PREVENZIONE DELLE DIPENDENZE IN AMBITO SCOLASTICO. Dagli aspetti teorici agli aspetti tecnico-operativi VOLUME 1 Daniela Orlandini Psicologo, dirigente dell’U.O. Prevenzione Dipendenze del Dipartimento delle Dipendenze – Azienda ULSS 12 Veneziana. Rosa Nardelli Psicologo collaboratore dell’U.O. Prevenzione Dipendenze del Dipartimento delle Dipendenze – Azienda ULSS 12 Veneziana Elena Bottignolo Psicologo collaboratore dell’U.O. Prevenzione Dipendenze del Dipartimento delle Dipendenze – Azienda ULSS 12 Veneziana Per informazioni e richieste: Unità Operativa Prevenzione Dipendenze Dipartimento delle Dipendenze – Azienda ULSS 12 Veneziana P.le San Lorenzo Giustiniani, 11/E – 30174 Zelarino Venezia Tel. 041 2608807/8 – Fax 041 2608841 e-mail: [email protected] Pubblicazione “no profit” - Vietata la vendita Impaginazione SerT@mente - Ser.T. Belluno - Az. ULSS n.1 Stampato in Italia Grafiche Venete s.r.l., Quarto D’Altino, Venezia Aprile, 2004 INDICE VOLUME 1 Presentazione 7 Introduzione 9 CAP. 1. 1.1 1.2 1.3 CAP. 2. 2.1 2.2 Prevenzione in ambito scolastico: ripartire dalle evidenze Massimo Santinello, Alessio Vieno, Karin Davoli e Elena Galbiati Introduzione Le nuove categorie della prevenzione 1.1.1 Universale/Individuale 1.1.2 Universale/micro-livello 1.1.3 Universale/macro-livello 1.1.4 Selettiva/individuale 1.1.5 Selettiva/micro-livello 1.1.6 Indicato/micro-livello Conclusioni Bibliografia 11 12 14 16 18 19 20 21 23 24 Gli interventi di prevenzione nelle scuole dell’Unione Europea Gregor Burkhart Drug prevention in schools. Is drug prevention in schools in Europe evidence-based? 2.1.1 Introduction 2.1.2 Key findings 2.1.3 Thematic development 2.1.4 Conclusions 2.1.5 Quotes 2.1.6 Further reading 2.1.7 On the web 26 26 27 27 31 31 32 32 Prevenzione in materia di droghe nelle scuole dell’UE. 33 2.2.1 L’importanza dei sistemi di informazione e monitoraggio 2.2.2 Prevenzione in materia di droga nelle scuole: quadro generale 2.2.3 Informazioni web Bibliografia 33 34 38 38 4 CAP. 3. 3.1 3.2 3.3 3.4 L’evoluzione della prevenzione delle dipendenze. Aspetti teorici e di efficacia Daniela Orlandini, Elena Bottignolo e Rosa Nardelli I differenti approcci nella prevenzione delle dipendenze: breve rassegna storica I principali ed attuali approcci nella prevenzione delle dipendenze Il contributo dei fattori di rischio e di protezione Verso un approccio basato sulle evidenze Bibliografia 39 42 44 48 CAP. 4. 4.1 4.2 4.3 CAP. 5. 5.1 5.2 5.3 5.4 5.5 5.6 5.7 5.8 5.9 5.10 5.11 5.12 5.13 5.14 5.15 5.16 5.17 5.18 5.19 5.20 5.21 5.22 5.23 5.24 L’evoluzione della prevenzione delle dipendenze. Dal teorico all’operativo Daniela Orlandini, Elena Bottignolo e Rosa Nardelli Le politiche a sostegno degli interventi di prevenzione delle dipendenze I destinatari dell’intervento 4.2.1 Gli studenti 4.2.2 Gli approcci preventivi con gli studenti 4.2.3 Esempi di programmi rivolti agli studenti secondo l’approccio Life Skills 4.2.4 Esempi di programmi rivolti agli studenti secondo l’approccio Peer Education 4.2.5 Gli insegnanti 4.2.6 Esempi di programmi rivolti agli insegnanti 4.2.7 I genitori 4.2.8 Esempi di programmi rivolti ai genitori In sintesi Bibliografia 57 63 65 66 70 72 72 77 78 80 80 82 Benessere in classe e prevenzione: alcune indicazioni teoriche e strategie operative Mario Polito Introduzione Il benessere in classe come prevenzione Abilità sociali per stare bene insieme Alcune indicazioni teoriche del nuovo paradigma di insegnamento ed apprendimento La pedagogia del prendersi cura Costruttivismo ed apprendimento attivo Apprendimento reciproco e tutoring reciproco Apprendere insegnando Apprendimento condiviso Tutti co-costruttori di conoscenza Il gruppo classe come comunità Dialogare e discutere Educazione come costruzione del significato Apprendimento cooperativo Lista delle abilità cooperative Socrate e il tutoring Intervista reciproca Consulenza tra pari Tutoring tra pari ed educazione alla salute Ragazzi turbolenti e tutoring tra pari Autovalutazione personale e di gruppo Aiutami a fare da solo Tecniche di comunicazione. Modello ABCDE Inserire i progetti di prevenzione in un modello di comunicazione chiaro ed efficace 84 84 85 86 87 87 88 89 89 90 91 92 92 93 94 95 95 96 96 97 97 98 98 100 5 5.25. Conclusione Bibliografia CAP. 6. 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5 6.6 6.7 100 102 La scuola del nuovo millennio: prospettive e cambiamenti rispetto alla prevenzione e all’educazione alla salute Andrea Bergamo Premessa C’erano una volta i Provveditorati agli Studi Il concetto di autonomia Una scuola centrata sugli studenti Il docente referente La risposta ai bisogni Prospettive e tendenze Bibliografia Principali riferimenti legislativi Protocollo d’intesa 103 103 104 106 110 111 113 114 115 116 ALLEGATI N. 1 Sintesi del Rapporto dell’EMCDDA sui baseline del 1999 relativi alla strategia dell’Unione Europea sulle droghe (2000-2004) Daniela Orlandini e Maria Malorni 118 Prevenzione primaria nelle scuole – criteri Prevenzione primaria nella comunità locale - criteri N. 2 Progetti di prevenzione delle dipendenze nella Regione Veneto rivolti all’ambito scolastico Daniela Orlandini e Maria Malorni 134 Presentazione dell’Archivio Progetti della Regione Veneto (Progetto Itinerari) Analisi dei progetti svolti in ambito scolastico Analisi dei progetti svolti in ambito scolastico dal 1995 al 2002 6 N. 3 Il Documento Tecnico di Itinerari Daniela Orlandini, Rosa Nardelli e Elena Bottignolo RICOMINCIO DA TRE: le evidenze scientifiche a livello internazionale. Lo specifico contributo del progetto Itinerari In sintesi 142 Prevenzione delle Dipendenze in Ambito Scolastico Presentazione Ormai da tempo, l’Azienda ULSS 12 Veneziana, grazie all’attività dell’Unità Operativa Prevenzione Dipendenze, è impegnata nella realizzazione di interventi di prevenzione primaria delle dipendenze in ambito scolastico. È, per me, importante introdurre e presentare questo lavoro, frutto dell’esperienza operativa e delle riflessioni teoriche e metodologiche di quanti si sono impegnati all’interno dei progetti di prevenzione primaria dell’uso di sostanze psicoattive e dei comportamenti a rischio, realizzati con gli studenti delle Scuole Medie Superiori di Venezia Centro Storico e Terraferma, dal 1995 ad oggi. L’Azienda ULSS 12 Veneziana ha investito molto su questo tipo di attività nonostante le sempre scarse risorse economiche a disposizione della Sanità. Abbiamo sostenuto gli interventi nelle scuole credendoci e seguendo le direttive della Regione Veneto, che, in questa direzione, ha saputo essere all’avanguardia nel contesto nazionale. Merita sottolineare come gli interventi, qui presi in considerazione, abbiano saputo sviluppare collaborazioni all’interno della rete territoriale veneziana di Enti Pubblici e del Privato Sociale, così come auspicato anche dai Piani di Zona, diventando, così, più aderenti alla realtà del territorio, esplicitando i modelli teorico-culturali di riferimento, promuovendo elementi innovativi e basati su evidenze scientifiche, ed attenti sia agli aspetti di valutazione qualitativa e quantitativa sia alla continuità dell’intervento; in poche parole, rispondendo alla necessità di mettere a punto sistemi preventivi divulgabili sempre più efficaci e coordinati, capaci di assicurare una risposta globale, in grado di contrastare l’uso di sostanze psicoattive e la messa in atto di comportamenti a rischio, fra gli studenti delle medie superiori. Claudio Beltrame Direttore Servizi Sociali, Az. ULSS 12 Veneziana 7 8 Prevenzione delle Dipendenze in Ambito Scolastico Introduzione L’uso di sostanze psicoattive è un fenomeno complesso, articolato e diffuso che trova inizio e sviluppo nel periodo pre-adolescenziale per il consumo di alcol e tabacco ed in quello adolescenziale per il consumo delle droghe illecite1 . Il grado di contiguità con le droghe, evidenzia come i giovani italiani, così come gli adolescenti veneti e veneziani2 , siano esposti al contatto con le droghe e, quindi, alla possibilità di provarle. Da ciò la necessità di strutturare interventi tesi ad incoraggiare e promuovere l’acquisizione da parte degli adolescenti di conoscenze, consapevolezza e responsabilità rispetto al consumo di sostanze psicoattive, al fine di contrastarne l’uso e la diffusione. L’Unità Operativa Prevenzione Dipendenze è stata istituita dalla Az.ULSS 12 Veneziana con delibera n° 1093 del 20.05.99 ed è “preposta al coordinamento e all’attuazione degli interventi di prevenzione nel campo dell’uso, abuso e dipendenza da sostanze psicoattive su tutto il territorio del’Az.ULSS Veneziana”. Promuove, inoltre, il benessere fisico, psichico e relazionale degli adolescenti e dei giovani e ha come finalità la conoscenza e la limitazione dei fattori di rischio connessi con l’uso e l’abuso di sostanze stupefacenti e psicotrope e dell’alcol. Dal 1995 porta avanti interventi di tipo preventivo anche in ambito scolastico. I progetti di prevenzione primaria dell’uso di sostanze psicoattive e dei comportamenti a rischio, implementati con gli studenti delle Scuole Medie Superiori di Venezia Centro Storico e Terraferma, prevedono degli interventi con il gruppo classe e con i docenti, interventi che si inseriscono in una programmazione congiunta che i Servizi dell’Azienda ULSS 12, del Comune di Venezia, del Privato Sociale e dell’ex Provveditorato agli Studi di Venezia hanno concordato e predisposto tramite un’apposita Commissione. L’esperienza precedente ha portato, nel corso degli ultimi tre anni, a rilevare l’esigenza di strutturare un modello operativo d’intervento che avesse come caratteristiche salienti l’adeguatezza di tecniche e contenuti, la possibilità di una riproducibilità in contesti scolastici differenti e l’elaborazione di un sistema di valutazione con indicatori di valutazione a più livelli. Il progetto, avente le finalità di incrementare negli studenti la percezione del rischio connesso al consumo di sostanze psicoattive, stimolare un atteggiamento critico e consapevole rispetto alla decisione personale di attuare un comportamento rischioso, fornire e rettificare informazioni, offrire occasioni e spazi di confronto all’interno del gruppo di coetanei per favorire lo sviluppo di atteggiamenti e opinioni che pos1 - O.E.D.T., E.M.C.D.D.A“Relazione annuale sull’evoluzione del fenomeno della droga nella Unione Europea”, www.emcdda.org (2001, 2002, 2003) - Parlamento Europeo “E.U. Action Plan to Combat Drugs 2000-2004”, (2000) - Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento degli Affari Sociali “Relazione Annuale al Parlamento sullo stato delle Tossicodipendenze in Italia”, Roma (2001, 2002). - Regione Veneto e Università di Padova, “Rapporto sullo stato di salute e gli stili di vita dei giovani veneti in età scolare”, (2002 e 2003) 2 - D. Orlandini, R. Nardelli, R.Potente “Adolescenti e sostanze psicoattive: abitudini e trend”, in M. Cibin, D. Orlandini, L. Rampazzo “Alcologia, Prevenzione, Progettualità Regionale”, Padova, La Garangola (2000) - D. Orlandini, R. Nardelli, R. Potente (a cura di) “Le rappresentazioni sociali delle droghe in giovani e adulti”; GraphPhoto, Venezia (2001) 9 sano disincentivare l’uso di sostanze, si è articolato in tre annualità. Il primo anno ha previsto una iniziale sperimentazione ed una messa a punto della struttura degli interventi, degli strumenti di lavoro e del sistema di valutazione degli stessi; il secondo ed il terzo anno una seconda sperimentazione ed una definizione del modello d’intervento e degli elementi di riproducibilità ed adattabilità dello stesso. Da questo lavoro, che è stato particolarmente impegnativo per gli operatori che vi hanno contribuito, nascono due volumi ed un CD. Il primo volume affronta gli aspetti teorici e tecnico-operativi legati agli interventi all’interno della scuola: le diverse tipologie d’intervento che in essa si ritrovano (dalla promozione dell’agio fino alla prevenzione specifica delle dipendenze), in Italia (Cap. 1) e in Europa (Cap. 2); i modelli, i programmi ed i progetti di prevenzione delle dipendenze in ambito scolastico considerabili come efficaci in base ad evidenze scientifiche (Cap. 3) e le politiche scolastiche (Cap. 4); gli aspetti teorici, l’utilità, l’utilizzo e la creazione di tecniche per la conduzione di un intervento in classe (Cap. 5); e, infine, com’è cambiata la scuola e come sono cambiati gli insegnanti e, quindi, quali prospettive si intravedono attualmente per la prevenzione e la promozione della salute (Cap. 6). In allegato, sono state inserite la sintesi del Rapporto dell’EMCDDA (Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze di Lisbona) sui Baseline del 1999 relativi alle strategie dell’Unione Europea sulle Droghe e l’analisi dei progetti di prevenzione delle dipendenze della Regione Veneto, contenuti nell’Archivio del Progetto Itinerari, rivolti all’ambito scolastico. Inoltre, è stato allegato il Documento Tecnico “La prevenzione delle dipendenze: elementi derivati dalle buone prassi e dalle evidenze scientifiche” (Orlandini, Nardelli, Bottignolo, 2003), messo a punto all’interno del Progetto Itinerari, in collaborazione con i referenti territoriali del Progetto stesso. Tale documento trae la sua origine dalla necessità, emersa fra gli operatori ed in particolare fra i referenti territoriali veneti afferenti a tale Progetto, di evidenziare punti di forza e punti di debolezza della prevenzione delle dipendenze, cercando, da un lato, di sottolineare le ottime indicazioni offerte dalle evidenze scientifiche e dalla prevenzione science-based e, dall’altro, valorizzando quanto in questi anni di buono è stato fatto nell’operatività, ed in particolare all’interno di quelle che sono definibili come “buone prassi”. Il secondo volume presenta il modello d’intervento messo a punto ed utilizzato all’interno delle Scuole Medie Superiori dall’Unità Operativa Prevenzione Dipendenze del Dipartimento delle Dipendenze dell’Azienda ULSS 12 Veneziana. Gli interventi prevedono un’attività diretta degli operatori nei gruppi-classe con una metodologia di lavoro attiva basata sulla psicologia sociale e sulla psicologia di comunità, e con l’ausilio di strumenti di stimolo e di informazione già esistenti. L’intervento prevede la raccolta delle adesioni da parte della scuole alle attività proposte, un primo momento di contatto-contratto con le scuole per l’analisi e la decodifica della domanda e per l’organizzazione e la contestualizzazione dell'intervento, un incontro di presentazione del lavoro ai docenti delle classi coinvolte di ogni singola scuola, l’intervento diretto con il gruppo classe (3 incontri di 2 ore in orario scolastico per ciascuna classe) ed un incontro di “restituzione” ai docenti del lavoro svolto. Per ciascuno di questi passaggi dell’intervento si è ritenuto opportuno fermarsi a riflettere sulle criticità e sui nodi problematici emersi ed affrontati. Oltre alla presentazione del modello, con i suoi aspetti operativi e con le sue criticità, nel volume è contenuto un capitolo che affronta nello specifico gli aspetti metodologici e di valutazione connessi alla strutturazione e all’implementazione del modello stesso. 10 Il CD, infine, contiene gli strumenti messi a punto per l’intervento, rendendoli così fruibili per coloro che intendono utilizzare, riprodurre, adottare e/o adattare il modello presentato. L’auspicio è che lo sforzo, non solo di costruzione, ma anche di sistematizzazione del modello qui presentato, possa risultare utile e fruibile da quanti, come noi, lavorano nella scuola convinti che una prevenzione delle dipendenze “efficace” non solo sia auspicabile, ma sia soprattutto possibile. Prevenzione delle Dipendenze in Ambito Scolastico Cap 1 Prevenzione in Ambito Scolastico: ripartire dalle evidenze I curatori Massimo Santinello, Alessio Vieno, Karin Davoli e Elena Galbiati3 1.1 Introduzione Le ragioni per intraprendere azioni preventive sono diverse. La più importante può essere individuata nella semplice constatazione che i servizi per l'età evolutiva non riescono a raggiungere la maggior parte dei bambini e degli adolescenti che vive situazioni di disagio e di malessere. Gli alunni che durante la scuola dell’obbligo sono segnalati ai servizi o alla dirigenza scolastica per un qualche comportamento o sintomo pre-clinico (oltre che per problemi più rilevanti) sono una percentuale tra il 10 e il 12%. Tra questi, solo il 30% riesce, con una stima ottimistica, a ricevere una qualche forma di aiuto dai servizi. Quindi è presente un gap rilevante tra i bisogni della popolazione giovanile ed infantile e la reale offerta di servizi del sistema socio-sanitario (Durlak, 1995; Hosman e Lopis, 1999). Considerando poi le altre difficoltà e i compiti evolutivi che i ragazzi incontrano e affrontano nel periodo della loro vita che li porterà all’età adulta (ad esempio, i problemi di apprendimento o legati alla sperimentazione di sostanze) gli interventi preventivi divengono più che un’alternativa, una priorità. Inoltre sembrano ormai chiare anche le indicazioni sui vantaggi economici del fare prevenzione (Durlak, 1997). Le esperienze di prevenzione all'interno del mondo della scuola hanno parecchia storia alle spalle. Già nel periodo tra il 1920 ed il 1940 si possono trovare tracce di progetti nell’area della salute mentale. In particolar modo nell'ultimo ventennio abbiamo assistito al proliferare di programmi dedicati alla promozione della salute e del benessere grazie al movimento culturale che ha ridefinito la salute in termini positivi e non solo di assenza di malattia. Sono comunque continuati tutta una serie di interventi preventivi specifici, a seconda del periodo e delle esigenze, orientati alla riduzione della diffusione di alcuni specifici disturbi, come la depressione, o comportamenti, come l'uso di sostanze psicoattive. Il mondo della scuola sembra ormai aver definitivamente acquisito ed inserito all'interno dei propri curricoli formativi, programmi dedicati alla prevenzione e alla promozione del benessere. Secondo alcuni studi (Alan Guttmacher Institute, 1994) più del 85% dei ragazzi in età scolare riceve una qualche forma di educazione sessuale e più del 70% partecipa a programmi di prevenzione all'uso di sostanze. Nel convegno nazionale per gli operatori della prevenzione, che dal 1999 il Laboratorio Link del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova organizza quasi annualmente, tra tutte le relazioni che presentano programmi di prevenzione, quelle dedicate a progetti nelle scuole oscillano, nei vari anni, tra il 50% e il 60%. Sfortunatamente però, gran parte dei programmi adottati dal mondo della scuola italiana non prevedono, fra le loro attività, la valutazione degli effetti e dell'efficacia del programma stesso. Se nei Paesi anglosassoni la diffusione di quest’importante pratica è testimoniata da un crescente numero di pubblicazioni scientifiche (Santinello e Cenedese, 2002), nel nostro paese la scarsa attenzione per la valutazione ha comportato una ridotta documentazione dell’efficacia dei progetti nella letteratura scientifica. Nel presente lavoro, dopo un breve inquadramento teorico sul concetto di prevenzione/promozione, saranno presentate alcune esperienze italiane che, da un lato rientrano nei criteri identificati dalle categorie teoriche proposte, e, contemporaneamente, riservano una forte attenzione alla valutazione dei risultati ottenuti. Per i progetti di cui, al momento della stesura del presente lavoro, non fossero presenti dati relativi all’efficacia, si è deciso di riportare i risultati ottenuti da analoghi pro3 - Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione - Università degli Studi di Padova 11 grammi presenti sul panorama internazionale. Individuare programmi italiani che soddisfacessero queste due condizioni non è stata comunque un’impresa facile. 1.2 Le nuove categorie della prevenzione Le tipologie di prevenzione cui ancora oggi si fa generalmente riferimento sono quelle proposte in ambito medico/psichiatrico da Caplan (1964). Secondo questo Autore possiamo distinguere tra prevenzione primaria, secondaria e terziaria. La prevenzione primaria è volta a ridurre l’incidenza di un disturbo, agendo sulla popolazione sana e quindi prevenendo lo sviluppo di nuovi casi. Quella secondaria ha lo scopo di individuare precocemente nuovi casi problematici e di fornire trattamenti ad uno stadio precoce o latente dello sviluppo del disturbo. Obiettivo della prevenzione terziaria è quello di ridurre la durata e l’impatto, la cronicizzazione di un particolare disagio o disturbo. Il limite di questa classificazione è che non riesce a discriminare tra interventi di prevenzione secondaria e terziaria e forme di trattamento o di terapia dei casi. Nel tentativo di superare questo Caplan Primaria Secondaria Terziaria Fasi della vita Alto – rischio Meso – livello Macro – livello Selettivi Indicati Bloom – Heller Comunità allargata Brofenbrenner Micro – livello Institute of Medicine Universali problema sono state proposte ed elaborate altre classificazioni (vedi tab. 1). Tabella 1. I principali approcci alla prevenzione 12 Quella creata inizialmente da Bloom (1968) e ripresa da Heller e altri (1984), sostituisce al criterio di Caplan, ossia al tempo di insorgenza del disturbo, quello del tipo di popolazione bersaglio. Sono così previste tre categorie: la comunità allargata, ossia chiunque abiti in una certa area geografica, i soggetti a rischio, identificati secondo qualche fattore di rischio, e le persone che stanno attraversando una fase particolare della propria esistenza. Ma anche questa proposta non è esente da critiche, per esempio, la parziale sovrapposizione tra le due ultime categorie. Una utile categorizzazione è quella riconducibile al modello di Brofenbrenner (1979), che consen- te di considerare, in un’unica cornice, le forme di prevenzione che non si limitano ad agire a livello individuale, ma propongono interventi che sono riconducibili ai diversi contesti di vita dei soggetti. A micro-livello si possono collocare quei programmi che agiscono sulle relazioni diadiche, a mesolivello quegli interventi che puntano a favorire le relazioni tra i diversi micro-livelli, e a macro-livello quelle azioni che introducono o modificano le norme o l’organizzazione dell’ambiente socio-culturale ampiamente inteso. La più recente e convincente concettualizzazione degli interventi preventivi è quella proposta dall’Institute of Medicine (1994) e prevede la seguente distinzione: - “universali”, ovvero gli interventi considerati desiderabili per l’intera popolazione; - “selettivi”, auspicabili solo quando un individuo appartiene ad un sottogruppo della popolazione il cui rischio di sviluppare un qualsiasi disturbo risulta significativamente maggiore rispetto alla media; - “indicati”, applicabili cioè a persone che sono state identificate come portatrici di chiari segni o sintomi prodromici, tali da doverli considerare ad alto rischio per quanto riguarda lo sviluppo futuro di un determinato disturbo. Questa classificazione offre il vantaggio di proporre delle categorie tassonomiche ben definite senza sovrapposizioni con gli interventi terapeutici rivolti a soggetti per i quali è stata fatta una chiara diagnosi secondo uno dei criteri di classificazione diagnostica previsti dal DSM IV o dall’ICD10. Sempre secondo l’Istitute of Medicine (IOM), all’interno della famiglia dei programmi di prevenzio- Livello dell’intervento Individuale Micro-Livello Macro-Livello (Ambiente sociale prossimale) Universali Selettivi Indicati ne non andrebbero annoverati, pur riconoscendone l’importanza, quelli di promozione della salute in quanto non riconducibili ad un modello medico di prevenzione, che prevede la definizione di un preciso disturbo sul quale agire in termini preventivi. Secondo Mrazek e Haggerty (1994) la promozione della salute rappresenterebbe la logica estensione degli interventi preventivi, pur disponendo di una sua autonomia concettuale. Senza entrare nel merito della disputa prevenzione/promozione, riteniamo utile segnalare e proporre un approccio che utilizzi la nuova classificazione dell’IOM, ma non rinunci ai vantaggi di un sistema di categorizzazione che consideri un approccio multilivello. Infatti, risultano più efficaci quegli interventi che, oltre a prevedere dei cambiamenti a livello individuale, includono azioni volte a modificare anche uno o più contesti di vita delle persone. Sviluppando la proposta di Durlak (1995) di combinare target e livello di intervento, abbiamo individuato uno schema (Tab. 2) che tiene conto contemporaneamente dei tre livelli possibili d’intervento (individuale, micro-livello o macro-livello) e dei tre target (universale, indicati e selettivi) proposti dallo IOM. Tabella 2. Categorie per i progetti di prevenzione I programmi focalizzati sull’individuo hanno l’obiettivo di indurre un cambiamento nel livello informativo o di incrementare competenze ed abilità sociali. Gli interventi centrati sul contesto, invece, cercano di influenzare il comportamento o il benessere degli individui indirettamente, manipolando l’ambiente all’interno del quale sono inseriti. Questi interventi possono assumere varie forme a seconda del livello ambientale (micro o macro) coinvolto. Con azioni a micro-livello si intendono quei programmi che si pongono l’obiettivo di migliorare la qualità degli ambienti relazionali delle persone, agendo però non sul target ultimo dell’intervento, ma sull’altra parte della diade: per esempio, per incrementare la qualità delle relazioni insegnanti-ragazzi attraverso dei corsi di formazione indirizzati agli insegnanti stessi. Gli interventi a macro-livello agiscono sull’ambiente inteso in senso 13 più ampio, modificando alcuni aspetti dell’ambiente fisico, oppure introducendo cambiamenti a livello di regolamenti d’istituto o nella modalità di gestione o programmazione della didattica di una scuola. La seconda dimensione utilizzata per classificare i programmi di prevenzione, e illustrata nella tabella 2, descrive il modo in cui si possono individuare i gruppi target degli interventi secondo la proposta dello IOM. Nei paragrafi successivi abbiamo ritenuto opportuno riportare, piuttosto che una rassegna parziale e soggettiva di programmi già ampiamente documentati nella letteratura internazionale, un esempio, per ognuna delle categorie sopra illustrate, di programmi italiani che sembrano funzionare. Il condizionale è d’obbligo: infatti, nonostante la varietà dei progetti che le scuole italiane propongono all’interno dei loro Piani di Offerta Formativa, abbiamo sperimentato ancora una volta (Santinello, 1996) la difficoltà di accedere alla documentazione sui dati relativi alla loro efficacia. La cultura della valutazione dei progetti continua a trovare molte resistenze. La maggior parte degli interventi che abbiamo esaminato hanno strutturato le proprie azioni finalizzandole a cambiamenti di tipo individuale, o al massimo allo scopo di produrre delle modificazioni all’interno degli ambienti relazionali con i quali i ragazzi si possono trovare a diretto contatto (intervenendo su insegnanti, genitori o gruppo dei pari). Più difficilmente si riescono ad individuare progetti che riescono ad agire sulla struttura dell’ambiente scolastico nel suo complesso (su regole o politiche d’istituto o sulla strutturazione degli spazi). Inoltre, i progetti implementati a scuola sono, nella loro maggior parte, indirizzati ad un target universale, in quanto ritenuti possibili solo nell’ottica della tradizionale concezione di prevenzione primaria oppure figli del movimento culturale della promozione della salute, ossia con interventi che coprano l’intera popolazione della scuola o, al limite, quella del gruppo classe. Per quanto concerne i “soggetti indicati” la politica scolastica sembra essere orientata a garantire azioni di sostegno (consulenza, invio a servizi, sostegno per la didattica), più che di prevenzione. Probabilmente questo genere di scelta nasce anche dalla constatazione che interventi per gruppi specifici di soggetti possono indurre, anche indirettamente, fenomeni di ulteriore stigmatizzazione ed isolamento, finendo per aggravare quelle situazioni/condizioni che l’intervento vorrebbe combattere. Partendo da queste premesse, non ci è stato possibile individuare un progetto esemplificativo per ognuna delle categorie da noi individuate (tab. 2). Nella scelta dei progetti qui di seguito presentati si sono privilegiati quegli interventi che hanno condotto e presentato studi di validazione in grado di mostrarne l’efficacia. Abbiamo inoltre scelto per ognuna delle categorie individuate programmi che andassero ad agire in termini preventivi su differenti aree di disagio, per ognuna delle quali si è cercato di presentarne la diffusione, le principali strategie/approcci d’intervento (nazionali ed internazionali) ed, infine, un programma che potesse risultare esemplificativo della categoria di riferimento. 1.2.1 Universale/Individuale 14 Tra le tante alternative disponibili in questa categoria, abbiamo scelto un programma che rappresentasse quella ampia famiglia di iniziative che rientrano all’interno della cosiddetta educazione alla sessualità. Negli ultimi decenni, anche a seguito dei mutamenti socioculturali occorsi nel campo della sessualità e delle relazioni interpersonali, l’istituzione scolastica ha rivelato un interesse specifico per l’introduzione dell’educazione sessuale e relazionale-affettiva tra le sue attività. Negli anni, l’idea di educazione sessuale intesa non come semplice trasmissione d’informazione, ma inquadrata nell’ambito più generale dello sviluppo delle capacità comunicative e relazionali della persona, si è sempre più diffusa. La sessualità diventa espressione di uno sviluppo armonico della personalità, in interazione con la crescita emozionale, relazionale e culturale dell’individuo (Del Re e Bazzo, 1995). Conseguentemente, i contenuti dell’educazione non interessano più solamente gli alunni più grandi, ma possono essere rivolti a tutte le fasce d’età, calibrando le informazioni secondo le possibilità di apprendimento caratteristiche di una certa fase dello sviluppo affettivo e cognitivo. Negli ultimi anni, all’interno del panorama italiano si sono sviluppate diverse proposte metodologiche per l’educazione sessuale. Tra quelle più conosciute e applicate, possiamo citare il metodo esperienziale, sviluppato dall’Uicemp (Unione italiana centri educazione matrimoniale e prematrimoniale), che struttura delle proposte d’intervento centrate sull’apprendimento attivo da parte dello studente inserito in una dinamica di gruppo, con la presenza di un insegnante o di un operatore sanitario o sociale in posizione non direttiva. Le attività, pur comprendendo una serie di informazioni, hanno come obiettivo principale l’acquisizione di consapevolezza di atteggiamenti e pregiudizi e l’acquisizione di abilità sociali di comunicazione. L’efficacia di questo tipo di approccio è stata dimostrata, ad esempio, attraverso la valutazione di un progetto proposto in alcune classi di terza media (per un totale di 67 studenti vs 44 nelle classi di controllo), che ha verificato sia l’apprendimento delle informazioni date, sia il cambiamento negli atteggiamenti verso vari aspetti della sessualità (Berti, 2001). È stata riscontrata una differenza significativa tra i due gruppi, che ha evidenziato un incremento nelle conoscenze dei ragazzi delle classi sperimentali. Per valutare il cambiamento negli atteggiamenti è stato utilizzato il differenziale semantico, che ha permesso di evidenziare spostamenti statisticamente significativi in senso positivo per le dimensioni indagate tra i ragazzi delle classi sperimentali. Un altro approccio all’educazione sessuale è rappresentato dall’educazione socioaffettiva-sessuale di Francescato, Putton e Cudini (1986), che si articola, anch’esso, in due distinti momenti: quello informativo e quello esperienziale individuale o di gruppo. Le attività previste da questo tipo di programma si rifanno al metodo Gordon (ascolto attivo, Messaggi-Io, metodo senza perdenti e circle time) e sono finalizzate, oltre che ad incrementare l’autostima e l’accettazione di sé e degli altri, a sviluppare un atteggiamento positivo generale verso la sessualità e a raggiungere un buon livello di maturazione emotiva. Questo programma è stato implementato in diverse località italiane (tra le quali Lanciano, Senigallia e Roma) ed è stato valutato attraverso il test Modello delle Relazioni d’Oggetto (Ardizzone e Grasso, 1984) e il sociogramma, ottenendo sempre risultati statisticamente significativi a favore dell’efficacia dello stesso (Francescato, Leone e Traversi, 1993). Entrambi questi programmi, pur differenziandosi per costrutti teorici di riferimento e metodologia di strutturazione degli incontri, attribuiscono un ruolo fondamentale all’esperienza relazionale dei ragazzi, più che al passaggio di sole informazioni ed enfatizzano l’importanza del lavoro in piccolo gruppo al fine di creare le condizioni favorevoli per una buona comunicazione interpersonale ed un buon apprendimento. Nonostante entrambi questi programmi mostrino dei buoni risultati in termini di efficacia, sono criticati perché spesso non tengono in considerazione le caratteristiche del mondo scolastico, i suoi programmi e orientamenti. L’intervento educativo qui di seguito proposto come esempio di progetto di prevenzione a livello individuale ed universale, è parte del programma di educazione sessuale e relazionale-affettiva di Del Re e Bazzo (1995), che nella programmazione delle sue attività si pone come sintesi critica dei precedenti approcci metodologici, formulando proposte maggiormente assimilabili e fruibili dagli insegnanti. Nel programma sono comprese le diverse dimensioni che gli autori fanno afferire all’educazione sessuale e relazionale-affettiva: quella biologica, riproduttiva, culturale, ludica e relazionale affettiva. Il programma è articolato con attività specifiche e materiali studiati per la scuola materna, elementare, media inferiore e media superiore. Per ogni fascia di età sono state progettate circa 40 unità didattiche. Questi moduli possono essere selezionati a seconda di itinerari tematici specifici o sui bisogni delle singole realtà scolastiche. Quindi ha una struttura modulare molto flessibile e comprende schede per l’uso e la valutazione che si possono fotocopiare e utilizzare durante le attività. Di questi percorsi didattici descriveremo quello finalizzato allo sviluppo di abilità prosociali, considerate dagli autori prerequisiti importanti allo sviluppo psico-sessuale e relazionale-affettivo della persona e che è stato oggetto di uno studio di valutazione (Santinello, Del Re, Cirio e Bazzo, 2001). La prima unità didattica (Riconosco le emozioni e collego pensieri a emozioni) cerca di incrementare la qualità della propria comunicazione emotiva e il riconoscimento dell’altrui attraverso la comprensione delle diverse espressioni facciali. La seconda (Analizzo gli episodi emotivi) cerca di stimolare gli alunni a comprendere l’influenza dei propri pensieri sui propri stati d’animo. La terza (Tengo conto dei sentimenti degli altri) stimola il riconoscimento, negli altri componenti della classe, degli stati emotivi collegati a determinati episodi. La quarta (Collego causa ed effetto) affronta l’importanza della comprensione delle relazioni di causa-effetto per individuare le possibili conseguenze delle azioni verso di sé e gli altri. La quinta (Valuto le conseguenze dei comportamenti) mira a stabilire una rete di rapporti basati sul riconoscimento ed il rispetto degli stati d’animo altrui. Infine, 15 l’ultima unità didattica (Capisco se qualcuno ha bisogno di aiuto) è finalizzata all’aumento delle abilità empatiche del bambino nelle situazioni quotidiane, incrementandone le condotte prosociali. L’intervento è stato condotto in 2 seconde classi (per un totale di 33 alunni) della scuola elementare di Chirignago (Ve). Si è articolato in 6 incontri a cadenza bisettimanale e ha previsto l’utilizzo di varie tecniche quali il role playing, la discussione libera o guidata e il modeling cognitivo con il supporto di materiali di vario tipo (diapositive, schede di lavoro, questionari, cartelloni, ecc.). Nella stessa scuola 2 seconde classi (per un totale di 37 alunni) sono state sorteggiate come classi di controllo. Per verificare gli effetti del programma sono stati utilizzati 2 strumenti: un questionario sociometrico (Nota e Soresi, 1997) e la seconda sezione della Teacher-Child Rating Scale (Cowen et al., 1996) - una scheda di osservazione del comportamento (tolleranza verso le frustrazioni, abilità sociali assertive, orientamento verso il compito e abilità sociali con i compagni) compilata dagli insegnanti (entrambi questi strumenti sono stati proposti prima e dopo l’intervento). Nelle classi sperimentali si è verificato un incremento dell’atteggiamento empatico rintracciabile in una maggiore disposizione alla condivisione degli stati d’animo, soprattutto positivi, e del riconoscimento delle emozioni altrui. Le relazioni tra i componenti della stessa classe acquistano un carattere di maggior reciprocità e diminuisce la frequenza dei casi in cui l’atteggiamento emotivo dell’alunno non viene corrisposto dai compagni, rafforzando la coesione tra i componenti della classe. Diminuisce, inoltre, il numero degli alunni isolati, a dimostrazione di una nuova tendenza a prestare attenzione ai sentimenti altrui e ad agire mediante comportamenti solidali. La valutazione attraverso la Teacher-Child Rating Scale ha permesso un confronto esclusivamente all’interno delle classi sperimentali nelle condizioni di pre e post-test, in quanto gli insegnanti delle classi di controllo non si sono resi disponibili a compilarla. Si sono notate differenze statisticamente significative tra i punteggi medi delle due subscale relative alle abilità sociali, mentre le altre, relative a variabili non soggette ad intervento, sono rimaste invariate. Quindi, in linea con gli obiettivi dell’intervento, nelle classi sperimentali è stato promosso un atteggiamento empatico che ha portato alla diffusione di comportamenti di aiuto e ad un clima di maggior solidarietà tra i bambini, riducendo la competitività improduttiva sul piano non solo relazionale, ma anche scolastico. I progetti di educazione sessuale nelle scuole hanno conquistato nel tempo sempre più spazio. Molti di loro inoltre dispongono anche di dati sulla propria efficacia. Probabilmente la peculiarità di questo tema e il dibattito che ha creato ha indotto la necessità di discriminare quali progetti funzionano e quali no. In realtà, spesso, il tema della sessualità risulta affrontato indirettamente attraverso attività (per esempio educazione socio-affettiva) dalle etichette rassicuranti. 1.2.2 Universale/Micro-livello 16 Il termine italiano bullismo è usato per descrivere il fenomeno delle prepotenze tra pari in un contesto di gruppo. Nel nostro Paese, la ricerca sul bullismo è cominciata solo all’inizio degli anni Novanta, ma ha evidenziato subito la gravità e la drammaticità del fenomeno che caratterizza le scuole italiane (Menesini, 2000). Da un’indagine condotta da Fonzi (1997), emerge come il bullismo nelle scuole italiane sia un comportamento molto diffuso: gli indici complessivi vanno dal 41% nella scuola elementare al 26% nella scuola media. Uno studio su un campione di preadolescenti veneti, condotto nel 2000, conferma la rilevanza del problema, riscontrando che il 35,9% degli studenti di scuola media dichiara di essere stato vittima di episodi di bullismo almeno con una frequenza mensile, nell’ultimo quadrimestre (Regione Veneto, 2000). Per quanto riguarda il panorama italiano, gli interventi contro il bullismo vengono suddivisi in tre gruppi, tra loro gerarchicamente integrati per complessità degli obiettivi proposti e delle metodologie utilizzate (Menesini 2000). Il primo gruppo di programmi è volto all’acquisizione della consapevolezza del problema da parte degli alunni e prevede, durante l’attività curricolare, la spiegazione di alcuni concetti strettamente legati alla comprensione dei fenomeni di violenza e bullismo. Un esempio di questo tipo di programma è stato proposto da Menesini e Smorti (1997) in 5 classi di terza elementare. I due autori hanno registrato dopo l’intervento un decremento significativo degli episodi di bullismo (21,4% vs 16,17%) tra i soggetti delle classi sperimentali, contrariamente a quanto avvenuto all’interno delle classi di controllo (17,9% vs 21,5%). Il secondo gruppo di interventi è quello che si pone l’obiettivo di potenziare le abilità sociali dei ragazzi; in tal senso alcuni autori hanno proposto un curriculum centrato sull’empatia e sulla comunicazione emotiva. Un esempio di tale progetto venne proposto, per 4 mesi da Ciucci (2000) in 4 classi di terza e quarta elementare. Dopo l’intervento, sebbene la percentuale di episodi di bullismo che i ragazzi dichiarano di commettere sia aumentata (18,7% vs 33,9%), risultano incrementati anche il dialogo e la mediazione delle vittime con i propri persecutori (5,3% vs 15,3%) e la percentuale di ragazzi che dichiarano di non comprendere i motivi che portano alcuni compagni ad atti di prepotenza (11,7% vs 29,8%). Infine, il programma sembra in grado di modificare l’atteggiamento emotivo nei confronti dei bulli (il 46,8% vs 73,3% dichiara di provare fastidio verso i compagni più prepotenti). Valutando questi dati nella loro globalità, l’autore interpreta l’aumento del numero degli episodi di bullismo come una espressione di una maggior consapevolezza e sensibilità verso il fenomeno stesso. La terza categoria è costituita da quei programmi volti alla costruzione di una cultura del rispetto e della solidarietà nella scuola: si intende dare una risposta all’esigenza di combattere la violenza e la sopraffazione e promuovere il rispetto e l’aiuto reciproco (Menesini e Benelli, 1999). Alcuni di questi, definiti anche sostegno tra coetanei, si basano sul fatto che spesso i ragazzi si rivolgono ad altri compagni, più che ad insegnanti o genitori, per chiedere aiuto in momenti di difficoltà, frustrazione e preoccupazione. Pertanto sono tesi a potenziare la capacità dei ragazzi di consolare, aiutare e dare sostegno ai compagni (Cowie e Sharp, 1996; Rigby, 1996). Un esempio interessante di programma che abbraccia questa filosofia di intervento è rappresentato dal progetto “OperatoreAmico” (Menesini, 2000), che è stato realizzato in due scuole medie della provincia di Lucca e che ha coinvolto 14 classi, di prima, seconda e terza media. Nove di esse hanno beneficiato, per 8 mesi, dell’intervento antibullismo, mentre 5 sono servite da controllo. Il modello dell’operatore amico è stato introdotto in Italia nell’ambito di un progetto europeo contro la violenza a scuola (Violence in school, a.s. 1997/98). Questo modello prevede l’attivazione di una figura di sostegno flessibile e polivalente, denominata appunto “Operatore-Amico”, che diviene punto di riferimento per compagni nel corso della normale vita di classe. Nel progetto, dopo una fase preliminare dove i ragazzi vengono sensibilizzati sul problema delle prepotenze, vengono selezionati coloro che diventeranno operatori-amici (in media 3/4 per ogni classe). Questi ragazzi partecipano ad un training di addestramento finalizzato ad acquisire competenze specifiche quali: sviluppare la capacità di ascolto, saper leggere e fornire messaggi non-verbali (di disponibilità e ascolto), comprendere le emozioni degli altri e fronteggiare le proprie, favorire la comunicazione utilizzando domande aperte e messaggi centrati sul proprio vissuto, ed infine, utilizzare l’approccio del problem-solving per aiutare il compagno in difficoltà. Successivamente, il programma prevede l’intervento degli “operatori” nelle classi con lo scopo di: fornire sostegno immediato ai compagni soli e rifiutati, fermare le prepotenze, migliorare il clima sociale ed affettivo della classe. Per raggiungere questi obiettivi gli “operatori” stilano, con l’ausilio dei compagni, un elenco dei “bisogni della classe”, intervengono verso i compagni in difficoltà e recepiscono le richieste di aiuto che i compagni spontaneamente pongono loro. Nella fase conclusiva dell’intervento (dopo circa tre mesi) si eleggono i nuovi “operatori” tra quanti hanno partecipato al training di addestramento insieme ad alcuni “vecchi operatori”, che avranno l’incarico di guidare i nuovi nell’esperienza da loro appena conclusa. I risultati ottenuti attraverso questo intervento sono stati incoraggianti. Infatti, sul piano comportamentale (episodi di bullismo) si registra una sostanziale stabilità di questi comportamenti nel gruppo sperimentale, mentre aumentano in quello di controllo e la differenza intergruppi risulta statisticamente significativa. Sul piano degli atteggiamenti si sono registrati effetti statisticamente significativi in relazione all’atteggiamento provittima: si assiste ad una diminuzione significativa dell’atteggiamento di empatia e comprensione verso la vittima nelle classi di controllo, mostrando come laddove non si intervenga, tale atteggiamento tende naturalmente a diminuire, mentre nelle classi sperimentali tale atteggiamento rimane stabile. Un ultimo dato che sembra estremamente importante a livello di programmazione di questo tipo di intervento, riguarda l’atteggiamento antibullismo, che è risultato significativamente più elevato nelle classi prime rispetto alle seconde e alle terze. Questo dato sembra indicare l’opportunità di iniziare 17 gli interventi contro il bullismo proprio dalle prime classi, che sembrano essere maggiormente recettive e sensibili al problema. Ci sembra quindi di poter condividere quanto sostiene Menesini: ”Nonostante gli inevitabili limiti di questa ricerca, ci sembra importante rilevare come l’intervento sia stato capace di arginare le prepotenze, di accrescere la consapevolezza dei ragazzi rispetto al problema, di mobilitare le risorse positive della classe ed in particolare di coloro che si erano sempre mostrati indifferenti alle prepotenze. Nelle classi ove non si è intervenuti in alcun modo, se non con una generica spiegazione di cosa è il bullismo, le prepotenze sono invece aumentate e soprattutto si è accresciuta la cultura del "meglio non immischiarsi", che è veramente disgregante, in quanto mina alla base il concetto d’unità del gruppo e di solidarietà tra pari” (vedi: Menesini 2000, pag 124-126). Concludendo questa breve rassegna dei progetti italiani di prevenzione al bullismo, non possiamo non sottolineare come tutti intervengano a livello individuale o al massimo – come quello proposto da Menesini - a microlivello, e sottovalutando azioni che incidano, invece, sulla struttura o la politica scolastica nel suo complesso. Questo nonostante i risultati ottenuti da Olweus (1993) attraverso l’implementazione di un progetto che, agendo a macrolivello, ha previsto l’introduzione di una programmazione scolastica contro le prepotenze (introduzione di nuove norme, riorganizzazione degli spazi adibiti al gioco e alla ricreazione, maggiore sorveglianza, …), ottenendo una riduzione del fenomeno attorno al 50% dopo soli 2 anni di esperienza. 1.2.3 Universale/Macro-livello 18 Il consumo di tabacco é un comportamento ancora molto diffuso tra i giovani del nostro Paese: secondo l’ISTAT (2001), circa il 25% dei giovani di età compresa tra i 18 e 19 anni fumano; inoltre, circa il 90% dei fumatori inizia a fumare prima dei 18 anni. Durante la prima metà degli anni novanta si è assistito ad una progressiva flessione del numero di giovani fumatori, ma negli ultimi anni si è riscontrato un sostanziale incremento, in particolare nella fascia d’età tra i 14 e i 17 anni (SEDES, 1999). Il mondo della scuola sembra assistere al fenomeno in maniera piuttosto passiva: secondo una ricerca condotta da Putortì (1996) il 99% degli studenti sostiene che nella scuola si fuma, in prevalenza nei servizi, nei corridoi, ma anche in palestra e addirittura in classe. Esistono diversi studi meta-analitici (Paglia e Room, 1999; Rosendahl et al., 2002) che documentano l’efficacia di interventi preventivi, dove, la qualità dei risultati ottenuti, è connessa alla possibilità di utilizzare un approccio multilivello: oltre a incrementare le conoscenze individuali o migliorare i rapporti con la rete sociale di sostegno, è importante innescare delle azioni mirate alla modificazione strutturale degli ambienti all’interno dei quali gli studenti vivono. Da queste considerazioni emerge chiara l’esigenza di agire non soltanto sulla consapevolezza dei singoli studenti, insegnanti e personale non docente, ma anche in direzione di una modificazione di valori e regole che all’interno di questo contesto permettono, condividono e approvano alcuni comportamenti. L’intervento che presentiamo si inserisce all’interno di in un’ottica di questo tipo, offrendo una serie di modalità di lavoro che, rivolgendosi al sistema scuola, mira alla modificazione delle norme e delle regole esplicite e socialmente riconosciute: in questo paragrafo verranno quindi evidenziate soprattutto le azioni intraprese per i cambiamenti che avvengono a livello organizzativo. Il progetto (Minervini, 1999), promosso dalla Lega Italiana per la Lotta Contro i Tumori, l’ASL 10 e il Provveditorato agli Studi di Firenze, ha coinvolto un’organizzazione scolastica che include al suo interno più licei, un educandato per ragazze e una scuola media inferiore. Le figure professionali coinvolte dal progetto, oltre agli psicologi e gli operatori di comunità, sono gli insegnanti e i direttori scolastici e, per moduli particolari, ma secondari, i medici di base e gli educatori sanitari. L’obiettivo principale dell’intervento è di promuovere nei ragazzi degli stili di vita sani e di diminuire il numero di fumatori attraverso l’istituzione di ambienti senza fumo prevedendo la partecipazione attiva e concreta dei soggetti coinvolti. Un elemento fondamentale del progetto è, infatti, la predisposizione delle linee per una politica e di un regolamento interno alla scuola, che definisca in maniera chiara e precisa quali sono gli ambienti “senza fumo”, quali le procedure per la pulizia degli ambienti dove questo fosse consentito, i nominativi delle persone deputate al controllo dei divieti, le sanzioni e le procedure per l’accertamento delle infrazioni. Tale regolamento dovrebbe essere redatto in appositi incontri prevedendo il coinvolgimento di tutte le figure che vivono nell’ambiente scuola, ma tenendo sempre in considerazione le normative vigenti in materia. In tal senso, gli incontri rappresentano l’occasione, oltre che per la presentazione del progetto, per la raccolta di opinioni, suggerimenti e per l’individuazione dei nodi critici presenti nell’ambiente scuola. Questo percorso si rende necessario per giungere in modo consensuale e partecipato alla definizione delle politiche scolastiche in materia di fumo. Parallelamente, nelle linee programmatiche del progetto, sono previste delle attività con chi è stato incaricato del controllo del divieto di fumare. Durante questi incontri vengono delineate le strategie alternative per raggiungere l’obiettivo della piena applicazione delle regole: tra queste rientrano la revisione della segnaletica del divieto di fumo e delle campagne di sensibilizzazione, la dissuasione e la negoziazione verbale, l’iscrizione del nominativo in uno speciale registro delle infrazioni o la spedizione di una lettera di richiamo formale da parte della direzione. Le attività di verifica del progetto prevedono la rilevazione, attraverso interviste semistrutturate, della diffusione del fumo nella scuola. Altri indicatori di successo che il gruppo di lavoro ha individuato per la verifica dell’efficacia dell’intervento riguardano il numero e la tipologia di interventi di dissuasione /negoziazione, le opinioni nei confronti del tabagismo ed il numero di persone che si avvicinano alla prima sigaretta. Pur non disponendo di dati sull’efficacia di questo progetto, abbiamo ritenuto opportuno presentarlo perché altre evidenze empiriche di progetti molto simili sembrano poter documentare (indirettamente) la sua potenziale efficacia. Secondo Paglia e Room (1999), tra i progetti che includevano azioni a livello di introduzione di norme, i programmi che si sono rivelati più efficaci, sono stati quelli che prevedevano il coinvolgimento attivo di tutti i soggetti della scuola. Inoltre, lo studio trans-nazionale condotto su un campione di preadolescenti in età scolare di 8 stati Europei (Currie, 2000), evidenzia come, quando alle decisioni restrittive relative al consumo di tabacco prese a livello governativo si associano delle coerenti politiche scolastiche, si ottiene una riduzione significativa del numero di ragazzi che cominciano a fumare. In conclusione, riteniamo che sia questo uno dei rari esempi presenti nel nostro territorio di programma che, oltre a considerare il livello individuale e quello relazionale dei ragazzi, offre una strategia di azione partecipata attenta alla modificazione degli ambienti e dei contesti all’interno dei quali i ragazzi passano gran parte delle loro giornate. In tal senso appare importante sottolineare come, nel programma presentato, si siano evitate azioni di natura repressivo/restrittiva calate dall’alto e, al contrario, si siano coinvolti attivamente i ragazzi per la definizione delle regole, strategia questa che risulta essenziale al fine di far accettare e condividere regole che, proprio in questa fase del ciclo di vita, si è predisposti ad infrangere. 1.2.4 Selettiva/Individuale Anoressia e bulimia sono diventati nell’ultimo decennio oggetto di accresciuto interesse, sia da parte della letteratura scientifica, sia da parte dei mass-media. La prevalenza di sintomi relativi a questi disturbi risulta in aumento tra le giovani donne occidentali, specie durante la fase adolescenziale (Stice e Whitenton, 2002): l’anoressia (1-4%) e la bulimia (18-20%) sono disturbi che intaccano la salute fisica e psicologica della persona, condizionando ogni aspetto del normale funzionamento. A fronte di una così rilevante diffusione del fenomeno, la percentuale di ragazze che si rivolge alle strutture sanitarie risulta ancora piuttosto bassa (Zanetti e Ferrara, 2001). I programmi che a livello scolastico si occupano della prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare sono molto variegati in termini di modalità di azione e la tendenza degli ultimi anni sembra quella di intervenire sempre più precocemente: la ragione risiede principalmente nelle difficoltà legate al trattamento di questo disturbo, ossia ai lunghi tempi, agli elevati costi e al fatto che una più lunga durata della malattia si correla ad una peggior prognosi. Gli interventi di prevenzione generalmente si pongono uno o più dei seguenti obiettivi: - aumentare le conoscenze relative all’utilizzo di strategie per il controllo del peso; - scoraggiare i comportamenti restrittivi e promuovere diete salutari e partecipazione ad attività sportive; - sviluppare le abilità per resistere alle pressioni sociali; 19 - promuovere l’accettazione e sviluppare una positiva immagine del sé. Gli studi sull’efficacia di questi programmi hanno evidenziato che un incremento delle conoscenze non porta automaticamente a cambiamenti nei comportamenti alimentari o nelle attitudini nei confronti del proprio corpo e del proprio peso (Piran, 1999). Anzi, secondo alcuni studi, oltre a non ottenere una diminuzione dell’incidenza del fenomeno (Baranowski e Hetherington, 2001; Stewart, Carter, Drinkwater, Hainsworth e Fairburn, 2001), hanno degli effetti potenzialmente dannosi (O’Dea e Abraham, 2000). Altri programmi oltre ad incrementare le conoscenze relative ai comportamenti a rischio, puntano a disincentivare alcuni comportamenti come il ricorso alle restrizioni alimentari e ad aumentare i livelli di autostima (O’Dea, 1995). Un interessante esempio italiano è quello di Dalle Grave, De Luca e Campello, (2001). È stato inserito in questa categoria (selettivo) in quanto è stata selezionata una categoria di persone considerate per età e genere sessuale maggiormente a rischio. L’obiettivo dell’intervento è quello di incrementare le conoscenze degli studenti sulle pressioni socioculturali relative alla bellezza e sui disordini alimentari, di agire sulle distorsioni cognitive, di sviluppare l’autoaccettazione e di promuovere stili di vita salutari. Il programma è basato sulla concettualizzazione cognitivo-comportamentale dei disturbi alimentari secondo la quale questi sarebbero delle condizioni multidimensionali dovute a diversi fattori: la sopravvalutazione dell’importanza attribuita all’immagine corporea, che interagendo con le caratteristiche ambientali (famiglia, pari e mass-media) produrrebbero queste problematiche. La prima attività prevista dal programma verte sulla presentazione di storie di giovani adolescenti per incrementare le conoscenze dei ragazzi. La seconda attività, studiata per favorire la ristrutturazione cognitiva, prevede, attraverso gruppi di discussione e compiti per casa, l’esplorazione dei vantaggi e dei svantaggi delle azioni mirate al contenimento del peso. Una ulteriore fase del programma ha l’obiettivo di incoraggiare gli studenti all’applicazione dello stesso in diversi contesti della loro vita. Sempre all’interno del contesto scolastico sono previste inoltre attività di role playing allo scopo di insegnare ai ragazzi ad affrontare in maniera positiva i commenti provenienti dai pari relativamente al proprio aspetto e al proprio peso. I risultati (Dalla Grave, De Luca e Campello, 2001) hanno permesso agli autori di concludere che il programma non ha prodotto nessun incoraggiamento all’utilizzo di diete, di restrizioni alimentari o di altre insalutari attitudini verso il proprio peso. Inoltre, il follow-up a 12 mesi, dimostra che le attività proposte hanno incrementato le conoscenze sull’argomento e disincentivato alcune attitudini negative nei confronti del proprio corpo. L’evidenza empirica più importante, rispetto al confronto con altri studi presenti in letteratura, riguarda la significativa riduzione nel gruppo sperimentale dei punteggi ottenuti all’EDE-Q (Eating Disorfìder Examination; Fairburn e Beglin, 1994), a indicare un cambiamento positivo in termini comportamentali. Viste le precedenti esperienze negative presenti in campo internazionale riteniamo che il programma presentato in questo paragrafo contenga al suo interno delle preziose indicazioni per chi si muove in questo delicato campo. In particolare, ci sembra di poter ribadire ancora una volta l’importanza di non limitarsi anche nei programmi di prevenzione ai disturbi alimentari ad azioni puramente informative. 20 1.2.5 Selettiva/Micro-livello Anche all’interno della scuola la percentuale di immigrati o figli di immigrati sta progressivamente aumentando e, poiché la scuola è occasione principale di socializzazione, educatori ed operatori sono sempre più spesso chiamati in causa per mediare l’incontro tra bambini provenienti da contesti familiari, sociali e culturali molto diversi. La comunicazione interculturale e con essa gran parte degli interventi preventivi, è stata spesso intesa, all’interno della scuola, sulla base di un schema diadico in cui entrano in gioco il bambino e la scuola: in questo contesto le difficoltà vengono appiattite al livello linguistico, mentre non si considera la molteplicità e la complessità dei fattori in gioco (Pearce, 1993; Gonzo, 1995). In realtà, i contesti interattivi in cui le problematiche della comunicazione interculturale e della mediazione assumono caratteristiche molto più variegate e complesse. In tal senso sono molti gli studi presen- ti in letteratura (vedi studio meta-analitico di Bigler, 1999) che hanno evidenziato l’efficacia dell’utilizzo di programmi per l’integrazione dei minori extracomunitari o figli di extracomunitari, implementati a scuola: le strategie più comunemente utilizzate prevedono l’utilizzo di curricoli e materiali per le lezioni che evidenziano il contributo offerto dall’integrazione di diverse culture ed etnie e instaurano quindi un clima di tolleranza e d’accettazione del diverso. Questi programmi hanno evidenziato differenze statisticamente significative, tra gruppi sperimentali e gruppi di controllo, relativamente al pregiudizio che gli alunni manifestano nei confronti dei compagni di un’altra etnia: gli studenti delle classi che hanno partecipato ai programmi risultano avere livelli di pregiudizio inferiori rispetto alle classi di controllo. Il programma che presentiamo in questo paragrafo, risulta a micro-livello, perché implementato sul gruppo classe di ragazzi extracomunitari, o provenienti da famiglie extracomunitarie. Inoltre, visto che il programma si concentra su una popolazione potenzialmente a rischio discriminazione, lo abbiamo classificato tra i programmi selettivi. L’intervento è stato implementato in sette scuole materne, elementari e medie (2/3 classi per ogni scuola per un totale di 16 classi), selezionate in base a criteri di territorialità per rappresentare tutti i distretti, della densità della popolazione immigrata e dislocate all’interno della ULSS 5 Ovest Vicentino (Zordan e Gonzo, 2001). L’obiettivo primario del progetto è di incentivare l’integrazione dei minori immigrati e di promuovere nei bambini italiani atteggiamenti di convivenza con le diverse culture. Oltre alla modificazione degli atteggiamenti in direzione dell’interculturalità l’intervento dovrebbe favorire l’acquisizione di competenze comunicative negli insegnanti e operatori coinvolti nella formazione. Ulteriori indicatori di successo saranno identificabili, secondo gli Autori, nella diversa formulazione delle richieste d’intervento dei servizi da parte degli insegnanti. Inoltre, si prevede che il progetto possa migliorare il coordinamento dei servizi socio-sanitari in funzione del sostegno offerto ai minori extracomunitari ed alle loro famiglie. Il programma ha, come obiettivo sovraordinato, la riduzione del numero dei casi di minori extracomunitari segnalati e seguiti dai serviz.i Vista la complessità e l’entità del progetto, a seguire verrà presentata una sintesi della parte relativa all’intervento realizzato nelle scuole materne. Nella prima fase sono stati realizzati degli incontri con gli insegnanti e i capi d’Istituto al fine di conoscere le caratteristiche specifiche di ogni gruppo classe oltre che per la presentazione del programma. Il progetto è stato articolato in sei incontri (laboratorio), della durata di un’ora circa, condotti da due educatori professionali animatori, uno con il ruolo di conduttore e l’altro con il compito di osservatore dei processi che venivano attivati all’interno del gruppo classe, allo scopo di favorire la conoscenza e l’accettazione di sé e degli altri e di far sperimentare la diversità come opportunità di arricchimento reciproco. Oltre all’attivazione di questi laboratori specifici si è svolto un corso di formazione rivolto ad insegnanti e operatori e si è offerto attività di consulenza ai centri estivi pomeridiani. I questionari per verificare il cambiamento di atteggiamento auspicato negli obiettivi del progetto sono stati compilati rispettivamente dalle insegnanti delle classi-campione nel ruolo di osservatori delle dinamiche tra gli studenti e dai partecipanti ai corsi di formazione. L’attività di valutazione del progetto triennale, è tuttora in fase di realizzazione. Le evidenze empiriche emerse dallo studio meta-analitico condotto da Bigler (1999) sono a sostegno di interventi di questa natura, ossia che si basano su azioni di riconoscimento delle eguaglianze e delle differenze tra bambini appartenenti a gruppi etnici diversi. Secondo queste evidenze però, risulta centrale adottare diversi modelli teorici ed empirici che prevedono variegate strategie di azione, come ad esempio, l’esposizione a modelli contro-stereotipici (libri con eroi di diverse culture), training per l’accettazione e la comprensione di diversi modelli simbolici (uomo di colore = lavoro scadente) o pratiche per la ricerca di similarità e differenze tra i diversi gruppi razziali/culturali. Altro aspetto che risulta centrale per la riuscita di questi programmi è l’implementazione degli stessi a diversi livelli dello sviluppo infantile, partendo quindi dalla scuola materna e accompagnando i bambini durante la continuazione dei loro studi. Questi elementi non sono facilmente riscontrabili nel progetto presentato, così come il piano di valutazione risulta alquanto discutibile. In conclusione, vista la recente ed importante diffusione in Italia delle problematiche relative alla convivenza tra diverse etnie, si auspicano per il futuro, interventi maggiormente piantati dal punto di vista teorico e attenti alla valutazione. 21 1.2.6 Indicato/Micro-livello 22 I programmi basati sul modello del mentoring sono sempre più diffusi. Difficile risalire alla paternità di questo tipo di interventi, utilizzati soprattutto per ragazzini che sono segnalati ai servizi dalle scuole per un qualche tipo di problema comportamentale e/o di rendimento, pur senza i sintomi di un disturbo conclamato. Già Goodman (1972), aveva proposto un programma, replicato successivamente da Dicken, Bryson e Kass (1997), che prevedeva di fornire uno studente di scuola media superiore come compagno a preadolescenti con problemi scolastici e relazionali. Lo scopo era quello di promuovere regolari contatti tra il ragazzo in difficoltà e il compagno-tutor, affinché si stabilisse tra loro una relazione significativa dal punto di vista interpersonale, oltre che di sostegno strumentale. Dagli inizi degli anni ’90 programmi simili sono stati realizzati anche in Italia (Martini e Sequi, 1995, Gelli e Mannarini, 1999) per affrontare problemi comportamentali e di scarso rendimento scolastico che si sono rivelati predittivi dei fallimenti e del drop-out scolastico (Barrington e Hendriks, 1989) e della delinquenza giovanile (Loeber e Dishion, 1983). L’efficacia di questo tipo di iniziative è comprovata dallo studio meta-analitico di DuBois, Holloway, Valentine e Cooper (2002), che ha riportato complessivamente, pur nella grande eterogeneità di queste esperienze, un effetto medio significativo anche se modesto. Il Progetto Tandem è una esempio dell’applicazione di questo modello realizzato in Italia (Bertarelli et al., 1997). L’obiettivo è la prevenzione del disagio giovanile (abbandono scolastico, aggressività, isolamento sociale, delinquenza, condotte devianti, ecc.), attraverso l’incremento dell’autostima, del rendimento scolastico, delle relazioni con pari, insegnanti e famiglia di ragazzi definiti “problematici”. Il Progetto Tandem, pur mantenendo come elemento centrale l’affiancamento tra un giovane volontario e un ragazzino in difficoltà, si configura come intervento multifattoriale e simultaneo nei differenti ambiti potenzialmente implicati nel processo di crescita dell’adolescente. Infatti, tenta di coinvolgere tutti i soggetti che a diverso titolo rivestono un ruolo centrale nell’esperienza dei ragazzi e di favorire tra loro un’azione sinergica e reciproca di collaborazione. A tal fine si articola nelle seguenti azioni: - affiancamento agli studenti delle scuole medie inferiori in situazione di svantaggio scolastico-relazionale (indici per la segnalazione: bassa autostima, basso rendimento scolastico, isolamento sociale, comportamento disturbante in classe, assenza di patologia conclamata), con giovani volontari (dai 18 ai 25 anni) opportunamente selezionati e formati attraverso un corso di circa 30 ore. Lo scopo dell’affiancamento: fornire un valido sostegno nel superamento di tali difficoltà attraverso lo sviluppo di una relazione interpersonale significativa. - La realizzazione di corsi di formazione per insegnanti delle scuole medie (6 incontri di 3 ore) finalizzati all’apprendimento di tecniche efficaci di gestione del gruppo-classe, di lettura del comportamento degli alunni e di un programma di potenziamento delle abilità sociali e di Problem Solving relazionale degli alunni. - La realizzazione di corsi di formazione per genitori finalizzati all’apprendimento di strategie atte a migliorare la relazione con i figli ed il clima familiare. I risultati evidenziano luci ed ombre dell’esperienza: tutti i ragazzi inclusi nel programma hanno portato al successo scolastico. Confrontando i punteggi ottenuti con il Self-Perception Profile for Children (Harter, 1985) rispetto al gruppo di controllo composto da uno stesso numero di coetanei con le stesse difficoltà che non hanno potuto partecipare al Progetto per mancanza di volontari, non si sono riscontrate differenze statisticamente significative nel livello di autostima e di autoefficacia degli alunni affiancati. La qualità delle relazioni all’interno della famiglia del ragazzo affiancato sono migliorate. Il confronto tra misurazioni pre- e post-intervento, effettuate attraverso la somministrazione di un questionario sia a ragazzi, che a genitori sull’intensità e la tipologia dei conflitti in famiglia ha dato luogo a risultati interessanti (Santinello e Canna, 1998). Inoltre tutti i genitori hanno espresso la richiesta che il programma continuasse dopo la sperimentazione durata 4 mesi. Nonostante non si possa affermare che il Progetto abbia ottenuto modificazioni significative in tutti gli indicatori previsti, almeno nei termini operativi imposti dal rigore sperimentale, si è deciso di pre- sentare questo progetto per differenti motivi: innanzitutto si ritiene che si sarebbero potuti ottenere risultati migliori se il periodo di affiancamento si fosse protratto più a lungo. Considerazione questa che ha trovato conferme in valutazioni di tipo qualitativo. I volontari hanno sottolineato il miglioramento della concentrazione dei ragazzi nei compiti a casa e la creazione di un clima sereno e amichevole nella relazione a due. Gli insegnanti hanno inoltre riconosciuto un generale miglioramento nell’ambito del profitto e della “competenza scolastica”. L’attività dei volontari è stata inoltre accolta positivamente dalle famiglie dei ragazzi e valutata favorevolmente dalla scuola nel suo complesso. Il 3/4 dei ragazzi ha chiesto di poter incontrare i volontari anche dopo la conclusione dell’anno scolastico. In secondo luogo, il Progetto Tandem ha offerto un valido contributo come occasione, prolungata nel tempo, per mettere in rete le diverse agenzie che svolgono un ruolo di primaria importanza nella crescita, psicologica e sociale, del preadolescente (dall’amministrazione comunale, l’università, le scuole, l’ULSS, i cui rappresentanti hanno costituito il Gruppo di coordinamento e supervisione del Progetto; alle famiglie dei ragazzi e ai volontari del territorio). La messa in rete degli attori formali ed informali della comunità permette inoltre di sfruttare le risorse che la comunità stessa può offrire e costruire la premessa indispensabile per interventi a basso costo come questo. Infine, ci è sembrato interessante proporre questo esempio di intervento strutturato per “soggetti indicati”, in quanto, pur agendo su di un sottogruppo dell’universo scuola, evita ulteriori fenomeni di stigmatizzazione e isolamento a carico dei ragazzi che presentavano difficoltà di tipo scolasticorelazionali. Gli alunni affiancati hanno vissuto la relazione con il giovane mentore come un’opportunità, un motivo d’orgoglio, anche perché invidiata persino dai compagni che non ne avevano necessità. 1.3 Conclusioni Nella preparazione di questo lavoro ed in seguito alla pluriennale esperienza di coordinamento scientifico dei convegni nazionali “La Prevenzione nella Scuola e nella Comunità”, abbiamo avuto modo di analizzare centinaia di programmi e attività implementate in scuole disseminate in tutto il Paese. La maggior parte di essi, operano con risorse umane ed economiche molto limitate: questo costringe spesso gli operatori a concentrare tali risorse sulla progettazione e implementazione delle singole attività del programma, sottovalutando o eliminando la fase di valutazione dell’efficacia dello stesso. Se da un lato, proliferano le descrizioni o l’analisi delle singole fasi o attività, dall’altro mancano le informazioni necessarie per poterne valutare la qualità in termini di efficacia, non permettendo di discriminare quali progetti funzionano e quali no. Sottoponendo ad un rapido esame gli interventi che, a livello nazionale ed internazionale, hanno dedicato attenzione al momento valutativo, si può notare che la maggior parte di essi coinvolga il mondo accademico. Tale constatazione denuncia una distanza mai completamente superata tra la ricerca ed il lavoro sul campo. Questa distanza, oltre a risultare piuttosto sterile e limitante dal punto di vista applicativo per chi si occupa di ricerca, rischia di fondare, per chi si occupa di lavoro sul territorio, i progetti su basi empiriche fragili. Dai numerosi studi da noi considerati emergono inoltre chiare indicazioni circa la necessità di programmare interventi preventivi sostenuti da più solide basi teoriche, che testimoniano carenze del sistema formativo poco attento ad offrire significative e specifiche occasioni di crescita professionale degli operatori. In tal senso risulta centrale per insegnanti, amministratori, psicologi scolastici, educatori e quanti altri si occupano di programmi a livello scolastico, disporre di strumenti teorici e pratici affinché gli interventi siano più congruentemente strutturati. Queste competenze, non possono comunque prescindere dal prezioso contributo che lo staff scolastico può offrire in termini di esperienza sul campo. Inoltre, sembra ormai completamente assodata e condivisa la centralità dell’insegnamento di abilità sociali come prevenzione di svariate forme di disagio e di malessere tra i ragazzi, indipendentemente dall’ordine e dal grado della scuola di appartenenza: questa sensibilità risulta condivisa da chi si occupa della ricerca delle determinanti della salute e del benessere, da chi si interessa di valutazione e anche da chi direttamente implementa i programmi. Un altro elemento chiaro che è emerso dalla nostra esperienza riguarda la scarsa propensione al confronto e alla documentazione dell’efficacia in riviste specialistiche da parte degli organi compe- 23 tenti. In effetti, riteniamo che sul territorio siano presenti interessanti esperienze che rischiano di restare sconosciute e che probabilmente non abbiamo presentato. È quindi auspicabile, in futuro, che i dirigenti scolastici, gli amministratori e i “decision making” favoriscano le condizioni affinché questi programmi vengano conosciuti, condivisi e messi in discussione, non solo attraverso momenti pubblici di presentazione a chiusura dei singoli progetti o con specifici siti web, ma stimolando gli operatori a dotarsi di solide strategie di valutazione per giungere alla presentazione dei risultati su riviste specialistiche. Infine, vogliamo sottolineare come, nella stesura di questo lavoro, si sia tentato di inserire i programmi di prevenzione all’interno di uno schema categoriale apparentemente rigido e mutuamente esclusivo: questo, oltre ad essere una forzatura dal punto di vista semantico (visto che uno comprende gli altri e comunque tutti si influenzano a vicenda), potrebbe risultare piuttosto fuorviante. In effetti, tutte le evidenze empiriche sostengono l’esigenza di interventi che prevedano azioni multilivello, che agiscono quindi sull’individuo (conoscenze, autoefficacia, etc.), sulla sua rete sociale di sostegno (genitori, pari, etc.) e, non ultimo, sugli ambienti di vita (strutture, regole, etc.) all’interno del quale i ragazzi passano il loro tempo. Bibliografia 24 Alan Guttmacher Institute (1994). Sex and A m e r i c a ’s teenagers. A u t h o r, New Yo r k . Ardizzone, M. e Grasso, M. (1984). Modello delle Relazioni d’Oggetto (MRO). Organizzazioni Speciali, Firenze. Baranowski, M.J. e Hetherington, M.M. (2001). Testing the efficacy of an eating disorder prevention program. International Journal of Eating Disorders, 29 (2), 11 9 - 1 2 4 . Barrington, B. e Hendriks, B. (1989). Differentiating characteristics of high school graduates, dropouts and non-graduates. Journal of Education Research, 82, 309-319. 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Report 129, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università di Padova. 0 Zordan R. e Gonzo M. (2001). Il bambino e la famiglia nella società multietnica: realizzazione di un progetto socio-educativo per i minori immigrati. In M. Santinello M., L. Dallago e A . Vieno (a cura di), Atti del secondo convegno nazionale “La prevenzione nella Scuola e nella Comunità. Idee per il terzo millennio”. Report 129, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, Università di Padova. Gregor Burkhart4 2.1 Drug prevention in schools. Is drug prevention in schools in Europe evidence-based? Most primary 5 drug prevention aims at avoiding or postponing the consumption of drugs or addictive behaviours among youth. School is traditionally the preferred setting for prevention interventions as it guarantees long term and continuous access to the target group and allows to influence group interactions, i.e. personal factors as well as social factors. Distinction must be made between curricular interventions (formal class-room based programmes with defined sessions and topics) and integrated prevention e.g. a set of interventions intending to include prevention-relevant topics into all activities of daily school life, e.g. school policies plus the flexible integration of drug-related issues into different class-room lessons. School prevention often includes a family involvement in the programmes. School prevention does not (and should not) focus on information on drugs alone, but on personal and social skills. It is thus important to include non-drug-specific elements. School prevention programmes are mostly universal, i.e. targeting pupils in general and with a no-use orientation. The present paper focuses on this kind of primary prevention in schools. Typically it is not directed at special risk groups. There are however some school programmes (e.g. in Germany, Austria, France, the Netherlands) that aim at an early identification and help for drug using pupils in schools. Source material: = = = = 26 Tables on prevention from National Reports 2001, Tables from school prevention survey 2001, NIDA prevention principles, Lifetime prevalence in ESPAD and perceived drug availability in ESPAD 2.1.1 Introduction 4 Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze – EMCDDA di Lisbona Secondary prevention interventions might have harm reduction aims, rather than abstinence, e.g. responsible drinking. 5 The EU Action Plan on Drugs 2000-2004 demands under Point 3 (“To give greater priority to drug prevention”), 3.1.1.1 “Member States and the Commission to develop comprehensive prevention programmes for both licit and illicit drugs and also covering poly-drug use. The Member States to encourage the inclusion in school curricula of the prevention of licit and illicit drugs in schools and to set up programmes to assist parents.” All member states stress the high priority of prevention in their national strategies and the necessity of preventive activities in different settings, at schools in the first place (see EMCDDA annual report). It is however important to distinguish here between national strategies and policies, i.e. between measures proclaimed by governments, and the actual prevention practice implemented (hence what is really being done and at best even evaluated). In fact, in most EU member states it cannot be claimed that prevention measures are selected, implemented and quality-controlled thoroughly and on a large scale. From international prevention research of the past years, some quality criteria and effective intervention models for effective prevention can be identified and are easily accessible through manuals, literature and the Web for academics, but less for prevention professionals. Also strategies that proved to be counterproductive or at best ineffective have been identified and deemed inappropriate. And still, many prevention programmes are not at the level of lessons learned from research and policy choices are often not evidence-based. Further, the level of evaluation of school programmes is not very high in Europe which makes it difficult to create a specific European knowledge or experience base on effective interventions in the prevention field6. In terms of quantity, it has not been possible to assess the extent of school prevention in terms of coverage EU-wide. But this would be necessary for the evaluation of policies, because obviously no effects (positive or negative) can be attributed to policies that are hardly implemented, in analogy to what we know from prevention evaluation: one of the most important reasons that prevention programmes fail, is insufficient implementation7. To evaluate prevention strategies (or limited sets of interventions) on national level by “key indicators” like prevalence rates or initiation age would be an ideal situation. It has been achieved in some states of the USA, where the coverage with school and community prevention was nearly total and where therefore longitudinal prevalence data could be used to prove the effects of prevention policies in on overall context8. But a similar scenario for the EU is only possible if it is assured that the most effective and evidence-based prevention approaches are really implemented with a high coverage in member states and then evaluated. This policy briefing focuses on prevention with school populations, but comprehensive drug prevention policies cannot rely on primary prevention in schools alone: high numbers of truants, dropouts and social exclusion limit the overall effect of school-based interventions. An important policy aim is therefore to keep students in school at all. This must be combined with specific interventions and outreach work for high risk groups (but this is beyond of the scope of this paper) 2.1.2 Key findings = Drug prevention in schools can be effective. = Key elements of successful practice and important elements of drug prevention in schools are well known = Inadequate approaches can aggravate the situation. = The quality of drug prevention interventions in EU schools leaves a great deal to be desired = The extent of drug prevention in schools in Europe is unknown = Policy makers should take advantage of the existing possibilities to control, evaluate and improve the quality of preventive strategies and interventions 6 The EMCDDA has published guidelines for the evaluation of drug prevention and a recent Monograph from the 2nd European evaluation conference. 7 Resnicow & Botvin, 1993. School-based substance use prevention programs: Why do effects decay? Preventive Medicine, 22, 484-490 8 For example: Effectiveness o school based programs as a component of a statewide tobacco control initiative – Oregon 1999-2000. MMWR 50 (31):663-666, 2001. Centers for Disease Control. 27 2.1.3 Thematic development 1. Drug prevention in schools can be effective in reducing or delaying the initiation into drug use There is an extensive experience base in drug prevention (mostly from large studies in the US) which clearly indicates that prevention programmes in schools are effective in reducing or delaying the initiation into drug use, especially as class-room prevention offers the big advantage that it can reach the vast majority of an important target group during the proper time window. The success of prevention, however, depends very much on the intervention model chosen and that the interventions are sufficiently structured, with a clear purpose, evidence-based, and that they are evaluated. All programmes with proven effects deal not only with illegal drugs but legal substances as well: an exclusive focus on illegal drugs limits effectiveness. Successful programmes involve the community and families as important supportive settings. “Effective prevention programmes are cost-effective: for every $ spent on drug use prevention, communities can save 4-5 $$ in costs for drug abuse treatment and counselling” [NIDA].Innovative programmes address gender differences9: certain components are more effective with girls than with boys (and vice-versa) and different age-related developmental needs must be taken into account10. However, school drug prevention as a standalone intervention has limited or no effects if not integrated in an overall school, local and national policy. Efforts in schools are more effective if they are endorsed by school policies (e.g. efforts in the UK, NL) and by public policies on legal drugs and their availability to youth. Evidence of prevention success can only be proved by regular and systematic evaluation of prevention programmes, which is not the rule in Europe. Still, as evidence of prevention programmes results has shown to be transferable to other countries and cultures11 , European prevention can use findings from international research to guide programme development. 2. Key elements of successful practice and important elements of drug prevention in schools are well known Modern prevention theories have managed to fit well-known risk and protective factors12 for drug use into theoretical models that explain their interaction in influencing human behaviour. In practice, these models are introduced into prevention programmes in form of components such as personal skills (decision making, coping skills, goal setting), social skills (assertiveness, resisting peer pressure), knowledge (about drugs and consequences of drug taking) and attitudes (especially correcting perceptions of peer drug use). Evaluation research has identified certain key elements for delivery that make prevention programmes successful: programmes should include interactive teaching such as peer discussion groups rather than didactic methods alone and they should include social competency and resistance skills. Prevention efforts should be intensive (in frequency, but also: small groups) and long term with booster sessions, they should include a parents’ component that reinforces what is achieved in school and opens space for discussion at home. In order to embed school prevention into a supportive framework, multi-agency cooperation must 28 Franzkowiak, P., Helfferich, C., Weise, E. (1999). Gender-related drug prevention for youths. Practical approaches and theory development. BZGA. Köln 10 National cross-site evaluation of high-risk youth programmes at http://www.health.org/govpubs/FO36/FindingSheet3.htm 11 Sindballe, A-M. (2000). Unge og rusmidler – evidensbaseret forebyggelse i skolen. MPH-thesis. Institute of Public Health. Copenhagen University, 2000. 12 Factors associated with greater potential for drug use are called “risk factors” and those associated with reduced potential for such use are called “protective factors”. 13 Uhl, A, Springer, A (2001): Leitbildentwicklung der österreichischen Fachstellen für Suchtprävention. Wien: Bundesministerium für soziale Sicherheit und Generationen. 14 Institut für Therapieforschung (1994). Expert Report on Primary Prevention of Substance Abuse, IFT Research Report Series, Vol. 60. Munich: IFT Institut für Therapieforschung. 15 Uhl, A. (2000) “Non-problematic Use“-“problematic use“: a paradox. In: Springer, A., Uhl, A. (Eds.) Illicit drugs. Patterns of use – patterns of response Proceeding on 10th ESSD Conference 2000. 9 be assured. Prevention should be carried out by teachers with the support of specialised professionals with knowledge in prevention science, project management and with basic evaluation skills. Few EU-countries have already established professional profiles for prevention workers and stipulated clearly that prevention is not to be carried out by treatment services13. 3. Inadequate approaches can aggravate the situation Drug prevention is not an innocuous activity and can be harmful (conducive to drug use) if done inadequately: this should be born in mind when planning or implementing prevention. All short term or punctual interventions, like informative lectures of specialists or police officers, drugs-information days, etc. are known to be at best ineffective, but might even have effects of raising interest and curiosity among youngsters 14. Unbalanced and non-factual information, e.g. exaggerating the risks of drug-taking and over-stressing the relative danger of illegal drugs, is counterproductive. When young people by their own experience or by peer information sources (also: information on the internet, in youth magazines etc.) learn about realistic effects and risks of drugs, they will from then on systematically reject any information on drugs from “official” sources15. There is broad consensus among experts that threatening messages in prevention are counterproductive and can be helpful only under very specific conditions16. Any prevention intervention which is not properly implemented (because e.g. teachers don’t follow the manuals, because of lacking coordination or participation of all actors involved), does not last long enough and is not sufficiently intensive (too few sessions) is a wasted effort. Content-wise, interventions which focus only on knowledge or only on intra-personal skills or on affective education, and those omitting social and peer influence will not yield any results. Frontal teaching (instead of interactive features), lack of structure and moral or value and prejudicial judgements (about drug use and users) are clues to failure17. 4. The quality of drug prevention interventions in EU schools leaves a great deal to be desired In a broad European overview, there are many examples where the inadequate strategies mentioned above are still used, often without control by experts. Through the EDDRA database18, the EMCDDA is able to review drug prevention in schools at programme level: about half of the projects in the database are concerned with prevention and more than 50 report on school prevention. Programmes selected for and inserted into EDDRA can be considered leading edge programmes as the inclusion criteria concerning design and evaluation are relatively high. A recent analysis of these programmes gives an indicative picture on the contents (objectives and guiding principles) of school programmes in Europe (see graph). In fact, life skills and peer-based approaches, nowadays considered to be most effective, are the most often applied models among these programmes, but they concentrate in only half of the EU member states. Programmes which in member states have been selected for EDDRA are therefore on a relatively high level. On the other hand, many programmes with a predominant knowledge component could be found in this analysis as well as programmes with significant difficulties to adequately describe their predominant intervention model at all. Seemingly there is not such a thing as common European, evidence/research based prevention principles and apparently the knowledge of prevention theories and practical basics differs very much between the countries, despite the global 29 Barth, J., Bengel, J.(1998). Prävention durch Angst? Stand der Furchtappellforschung. Bundeszentrale für gesundheitliche Aufklärung. Köln 17 Tobler, N., Stratton H.H.. Effectiveness of School-Based Drug Prevention Programs: A Meta-Analysis of the Research,, 1997, The Journal of Primary Prevention, 18(1), 71-128 Tobler, N.S., Drug Prevention Programs Can Work: Research Findings, 1992, Journal of Addictive Diseases, 11(3), 1-28 Tobler, N.S., et al., School-based Adolescent Prevention Programs: 1998 Meta-Analysis, 2000, The Journal of Primary Prevention, 20 (4) Tobler, N.S.: Prevention is a two-way process. Findings, Issue 5, Summer 2001, pp. 25-27. 18 This database contains detailed and standardised information on demand reduction programmes from the EU member states and is available through the internet (http://www.reitox.emcdda.org:8008/eddra). 16 accessibility of prevention research findings. Most school prevention interventions in member states are concentrated in the age window corresponding to secondary schools where initiation into drug comes about. In fact, drug-specific prevention has to start at the age where the issue becomes personally relevant, but before a majority have had their debut – which is in early adolescence (depending on the given national/local norms concerning youngsters’ use of drugs). On the other hand, strengthening personal and social resources, which is drug-unspecific, but of great drug-related relevance, should start the sooner the better. Despite these recommendations that primary prevention should begin early14, little use is made of the potential of primary school or Kindergarten (except for Austria and parts of Germany) in shaping drug-unspecific resistance skills and dealing with social mal-adaptation which is often a precursor of later drug problems. In some member states innovative high quality programmes and promising pilot projects are developed and proved effective in evaluation studies but afterwards these programmes are not implemented at a large scale into broad common practice or their dissemination and coverage is not sufficiently reinforced (German national report 2001). 5. The extent of drug prevention in schools in Europe is unknown The majority of member states have curricular guidelines in place which foresee – with differing level of detail and compulsiveness – the inclusion of prevention (or at least drug issues) into school syllabuses. But, in practice, most member states (except Spain and Ireland) do not dispose of information on the coverage of their prevention policies for the school population. Some comparable information can be drawn from the tables in the Annual Report 2002 section on the EMCDDA website. There is a clear need to further develop indicators on prevention coverage and intensity and in order to guide policy makers towards an evidence-based and rational way of decision making and resource allocation. A standardized information collection is needed that allows to monitor content and delivery of prevention in schools. Some countries already provide information on key factors, e.g. the number of teachers trained, the number of schools implementing prevention programmes, the number of pupils reached. Certain member states (UK, France, Spain) maintain databases with prevention projects but most do not cover these items. So, for many countries in the EU, we must assume that structured school prevention is much less put into practice than declared in the national strategies. But policy-makers might tend to compare national survey data on the actual drinking, drug taking, smoking or leisure time habits of young people with the respective national drug and prevention policy, without prevention measures being implemented thoroughly and on a large scale. Obviously no effects (positive or negative) can be attributed to policies that are hardly ever implemented. 30 6. Policy makers should take advantage of the existing possibilities to guarantee, evalua te and improve the quality of prevention and of prevention workers Prevention, contrary to other drug-related intervention areas, has by default a positive political image regardless its effects and it is considered “harmless”. Both assumptions explain lenient political commitment to good prevention practice: scientific evidence, clear design and theoretical foundation are rarely a prerequisite for funding and the sometimes counterproductive practices are not banned. Prevention quality can be improved by creating standards for programmes, professionals and services and by tight coordination and control, as for any other intervention with effect on human health. Interventions must be carried out by well-trained teachers or prevention professionals, have a clear structure (needs, objectives and means must fit together), be theory-driven, based on intervention models with positive evidence, and report back (according to sensible evaluation indicators). This requires that prevention professionals as well as teachers must receive regular and qualified training (as in e.g. Spain and Austria) in these areas and techniques. Social worker zealotism (#need a more “sensitive” term#), rejecting any kind or reporting, evaluation and theory based work has hindered prevention progress in many countries till now. Research on prevention on European level should therefore be strongly supported and coordinated between member states. Prevention practice is also decentralised in the majority of member states. Allegedly, the main reason is that prevention has to respond to local needs. A correct principle, which is often over-stres- sed in detriment of quality. Thus, local prevention centres, municipalities or even treatment centres are doing prevention work in schools on their own, often with little coordination and few standards. The quality of contents and design of prevention work are in this case difficult to assure. Only few countries (Spain, Ireland) cater for implementing structured and evaluated programmes on a large scale which at least permits to assure adequate programme delivery, quality and evaluation. This is independent from the political organisation, as the map shows: Spain (with controlled programme implementation) is politically more decentralised than e.g. France (which has a less controlled implementation). Regular and continuous programmes with large coverage of the schools and pupils of a country can better be evaluated and controlled for quality more effectively than sporadic and ad-hoc activities of prevention services. Map of prevention delivery forms: through large standardised programmes (Ireland, Spain, Flemish Community Belgium), mixed (UK, Germany, Sweden, Portugal, Greece), and the financing of prevention (or counselling) services/centres (Austria, Netherlands, Italy, France, Finland, Denmark, French Community Belgium). 2.1.4 Conclusions = Drug prevention is only good, if it is well done. Drug prevention is measurably effective, if it is evidence based, structured, evaluated and embedded in supportive policies on drug availability. It should be supported by community and family interventions. = Drug prevention programmes must focus on social interaction, hence interpersonal skills in combination with information and (intra)personal skills (=personality development). They must be interactive and involve families. = Short term, punctual interventions and moralistic and non-factual information are a counterproductive waste of resources and should be avoided. Also interventions with insufficient structure and intensity and bad implementation (little or no teacher training and involvement) should be abandoned. = The state of the art in drug prevention in the EU is globally not at a high level in terms of theorybase and delivery, despite better knowledge. Singular high-level programmes can however be found in most countries. Drug-unspecific interventions to strengthen resilience in young children are scarce. = The extent and coverage of drug prevention in member states is a relevant indicator to guide policy development, but needs to be further developed and exploited. Most member states have no information about the degree of prevention delivery to their schools. A standardised information protocol about drug prevention needs to be set up in member states. An increase in number of European, culturally adapted and evidence-based drug prevention programmes must be fostered. = Control and financing mechanisms that favour only programmes with quality features (based on effective models and with sound delivery 31 logistics) must be promoted instead of financing prevention like a irrigation system that funds any allegedly preventive activity or organisation. Training of teachers and professionals is crucial; systematic evaluation and standardised reporting are key conditions. There must be a better development of European “technology” and research on drug-prevention in schools. 2.1.5 Quotes QUOTE 1: “there are no neutral social interventions (nor prevention is). Therefore, prevention interventions must be monitored and rigorously quality-controlled in order to assure positive outcomes and avoid useless or even harmful strategies”. QUOTE 2: “In Europe there is a richness of different innovative prevention approaches fitted to our cultures and societies. Nevertheless there are universal principles of effectiveness and good practice for school prevention and its evaluation that should be rigorously implemented in member states (instead of hiding behind arguments of “prevention according to local specificities”).” 2.1.6 Further reading Becoña Iglesias, E. (1999). Bases Teóricas que sustentan los programas de prevención de drogas. Madrid: Delegación del Gobierno para el Plan Nacional sobre Drogas. Ministerio del Interior. IN SPANISH Morgan, M. (2001). Drug Use prevention: on overview of research. Stationery Office. Dublin. NIDA (1997). Preventing drug use among children and adolescents: a research-based guide. Bethesda, MD: National Institute on Drug Abuse. Hansen W.B. (1992). School-based substance abuse prevention: A review of the state of the art in curriculum, 1980-1990. Health Education Research 1992; 7(3): 403-30. 2.1.7 On the web: Drug prevention information at: http://www.school-and-drugs.org/ http://www.emcdda.org/responses/themes/prevention_schools_communities.shtml EDDRA at http://www.reitox.emcdda.org:8008/eddra/ Home office: Evaluating effectiveness at http://www.homeoffice.gov.uk/dpas/cdpur20.pdf 32 International registry of preventive trials at http://www.biostat.coph.usf.edu/research/psmg/Irpt/ NIDA-prevention information at http://165.112.78.61/DrugPages/Prevention.html Society for prevention research at http://www.preventionscience.org/ Mentor foundation at http://www.mentorfoundation.org/ Evaluation standards of the German evaluation society at http://www.degeval.de/standards/index.htm IDEA prevención at http://www.idea-prevencion.com/ 2.2 Prevenzione in materia di droghe nelle scuole dell’UE. (Tratto da “Focus sulle droghe19” ) 2.2.1 L’importanza dei sistemi di informazione e monitoraggio Il Consiglio dell’Unione europea invita gli Stati membri (5099/1/02 Cordrogue 4 Rev 1) a "inserire programmi di promozione della salute e di prevenzione in materia di droga in tutte le scuole (…)" e a "promuovere lo sviluppo di questi programmi adeguando, all’occorrenza, le risorse e le strutture organizzative delle amministrazioni interessate, per realizzare compiutamente l’obiettivo anzidetto". Il primo passo verso una corretta politica di prevenzione è l’elaborazione di una strategia di prevenzione formalizzata, attraverso la definizione di obiettivi specifici che prevedano l’introduzione di interventi di prevenzione nei programmi scolastici. I passaggi successivi sono la definizione di obiettivi, preferibilmente quantificabili, e l’assegnazione di finanziamenti mirati da parte delle istituzioni responsabili, a loro volta in stretto coordinamento reciproco. Solo alcuni Stati membri si sono dotati di tali meccanismi rendendoli completamente operativi. Nelle realtà in cui gli interventi di prevenzione vengono realizzati, lo Stato ha un ruolo attivo anche nel monitoraggio, nel controllo della qualità degli interventi e nella valutazione della prevenzione nelle scuole; esiste tuttavia una vasta eterogeneità all’interno dell’UE. La presenza di sistemi informativi e di rendicontazione si rivelano cruciali allo scopo di garantire riscontri a livello politico sulla qualità della realizzazione delle politiche di prevenzione, con particolare riferimento al loro contenuto e alla loro diffusione. Tuttavia, soltanto pochi paesi dispongono di sistemi di monitoraggio che consentano ai responsabili politici di disporre di informazioni rilevanti, sia a livello quantitativo che qualitativo sull’efficacia delle politiche preventive nelle scuole. L’OEDT ha elaborato un protocollo comune con gli Stati membri per il monitoraggio degli interventi di pre"I programmi nazionali di prevenzione dalla droga sono di fondamentale importanza e devono concentrar si sullo sviluppo di aspetti personali e sociali atti ad affrontare il conflitto e la pressione dei coetanei, non ché incoraggiare un atteggiamento critico da parte dei giovani. Sensibilizzare i giovani e i loro genitori al problema del consumo di droga e ai pericoli ad esso connessi è un importante supporto a tale strategia". MIKE TRACE, PRESIDENTE, CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DELL’OEDT venzione. Soltanto alcuni paesi hanno fornito dati relativi alle spese direttamente connesse alle atti19 Focus sulle droghe è un bollettino pubblicato dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT) di Lisbona. Questo bollettino è pubblicato sei volte l’anno nelle 11 lingue ufficiali dell’Unione europea e in norvegese. La versione originale è in inglese. È possibile scaricare i bollettini dal sito Web dell’OEDT (http//www.emcdda.org). La riproduzione è autorizzata, con citazione della fonte. L’abbonamento gratuito può essere richiesto all’indirizzo e-mail: [email protected]. EDITORE UFFICIALE: Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee © Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, 2002 DIRETTORE ESECUTIVO: Georges Estievenart REDATTORI: Joëlle Vanderauwera, John Wright AUTORE: Gregor Burkhart; COLLABORATORI: Danilo Ballotta, Margareta Nilson GRAFICA: Dutton Merrifield, Regno Unito; Printed in Italy 33 Definizione La maggior parte dei programmi di prevenzione dalla droga ha l’obiettivo di evitare o di ritardare l’assun zione di stupefacenti e la tossicodipendenza, a partire dall’ambito scolastico tradizionale. È necessario distinguere tra programmi di prevenzione specifici al di fuori dei curricula scolastici e attività preventive inte grate nei programmi scolastici. La prevenzione nella scuola non dovrebbe focalizzarsi esclusivamente sul problema droga, ma al contrario comprendere aspetti di carattere personale e sociale, anche attraverso il coinvolgimento delle famiglie degli alunni. vità di prevenzione (cfr. tabelle on line della Relazione annuale) [1]. Solo un esiguo numero di paesi è in grado di affermare che le proprie misure di prevenzione venQuestioni politiche chiave 1. Non tutti gli Stati membri citano esplicitamente programmi scolastici di prevenzione nei loro documenti di strategia o nei loro piani d’azione nazionali. 2. Costituiscono elementi rilevanti di buona riuscita di un intervento l’insegnamento interattivo, le discus sioni tra gruppi di pari, l’apertura sociale ecc., e non soltanto l’insegnamento tradizionale. 3. Approcci che non siano adeguati possono avere effetti persino negativi. 4. Oggi si può misurare in maniera più efficace la qualità del contenuto degli interventi preventivi nelle scuo le dell’UE grazie all’applicazione di sistemi di valutazione. 5. Molti Stati membri non dispongono di informazioni quantitative sulla copertura degli interventi nelle scuo le identificati nelle strategie nazionali. 6. I responsabili politici possono comunque avvalersi dell’opinione pubblica favorevole a questo tipo di interventi al fine di migliorare la qualità delle misure preventive e la loro valutazione, accentuando l’im portanza di definire standard, criteri di qualità e requisiti di valutazione, come nel caso di altri interventi sociali. gono dapprima selezionate e quindi realizzate in maniera efficace ed estensiva, e sottoposte ad un controllo di qualità. Tuttavia la maggior parte dei programmi di prevenzione per le scuole negli Stati membri non viene verificato; ciò rende difficile disporre di un adeguato numero di esperienze validate su scala europea. L’OEDT ha pubblicato uno studio monografico e linee guida in materia di valutazione nella prevenzione [2] con l’obiettivo di fornire un valido supporto nella progettazione. Il presente briefing è incentrato sulla prevenzione nelle scuole, pur partendo dal presupposto che un efficace sistema di prevenzione dalla droga non può basarsi esclusivamente sulla prevenzione primaria. L’impatto degli interventi negli istituti scolastici è tuttavia fortemente limitato dall’ampio numero di abbandoni precoci della scuola e dal grave fenomeno delle assenze ingiustificate, che costituiscono importanti fattori di esclusione sociale. Uno degli obiettivi politici chiave della prevenzione è quindi rappresentato dall’intento di tenere i giovani a scuola, unitamente alla realizzazione di interventi specifici mirati ai gruppi ad alto rischio. 2.2.2 Prevenzione in materia di droga nelle scuole: quadro generale 34 1. Dalla strategia alla realtà Otto Stati membri (Belgio, Spagna, Francia, Irlanda, Portogallo, Finlandia, Svezia e Regno Unito) "L’ormai vasta esperienza nel campo della prevenzione dimostra chiaramente che programmi di preven zione nelle classi contribuiscono realmente alla riduzione del consumo di droga e ritardano il primo approc cio dei giovani all’assunzione di stupefacenti [3]. Tuttavia, l’esito dipende molto dal tipo di misure scelte e dalla presenza o meno di obiettivi definiti, nonché dalla sufficiente organizzazione degli interventi, dalla fon datezza degli stessi su esperienze precedenti e, infine, dalla valutazione dei risultati". GEORGE ESTIEVENART, DIRETTORE ESECUTIVO, OEDT hanno pubblicato documenti ufficiali in materia di strategia antidroga assegnando un ruolo specifico alla prevenzione nella scuola; in Germania e in Grecia tali documenti sono ormai nella fase finale di preparazione. In alcuni paesi, la strategia generale è poi suddivisa in azioni specifiche con l’identificazione di obiettivi concreti e quantificabili al fine di valutare oggettivamente i risultati dei piani di azione (Spagna, Irlanda e Regno Unito). Tuttavia, per quanto riguarda la prevenzione, le strategie antidroga variano notevolmente da paese a paese. La maggioranza degli Stati membri dispone di un’organizzazione di interventi preventivi non coordinata, come è il caso di enti locali e regionali che agiscono in maniera indipendente; Nonostante ciò, il passaggio dalla fase di elaborazione politica alla realizzazione concreta delle strategie di prevenzione non è strettamente connessa all’organizzazione politica dei rispettivi paesi: paesi con una struttura decentrata come la Spagna si avvalgono di un sistema di interventi preventivi coordinato e controllato che si sviluppa attraverso diversi programmi nazionali nell’ambito scolastico. Nella maggior parte dei restanti paesi, non vi è alcun esempio in cui lo Stato ricopra un ruolo di tale importanza nell’ambito del controllo della qualità, del monitoraggio e degli interventi preventivi nel mondo della scuola. 2. La chiave del successo A partire dall’evidenza scientifica sono stati identificati alcuni elementi che, se inseriti nei programmi di prevenzione in ambito scolastico, costituiscono una garanzia di successo dei programmi stessi; in particolare, i programmi di prevenzione dovrebbero focalizzarsi sui seguenti fattori: = caratteristiche personali – capacità di prendere decisioni, di superare ostacoli, di fissare obiettivi; = aspetti sociali – capacità di imporsi, capacità di resistere alla pressione dei coetanei; = informazione – in materia di stupefacenti e sulle conseguenze della loro assunzione; = atteggiamenti – specialmente correggere convinzioni errate riguardo al consumo di droga tra gruppi di coetanei. Alcune ricerche hanno individuato ulteriori elementi rilevanti quali garanzia di efficacia degli interventi nel campo della prevenzione [4]: un insegnamento interattivo, come gruppi di discussione tra pari, piuttosto che esclusivamente un approccio didattico tradizionale (ad es., lezioni frontali), apertura sociale e capacità di far fronte all’attrazione della droga, e contemporaneamente un intenso coinvolgimento della famiglia, perché la discussione entri anche fra le mura domestiche. Si è inoltre visto come programmi intensivi diretti a piccoli gruppi conducano a risultati più soddisfacenti. Tutti i programmi completi, poi, si occupano sia di sostanze lecite che illecite [6]. Alcuni Stati membri hanno già messo in atto programmi per formare specialisti nel settore della prevenzione e hanno creato figure professionali specializzate (cfr. tabelle on line della Relazione annuale dell’OEDT) [1]. C’è un generale consenso nel ritenere che i programmi di prevenzione non debbano essere affidati a chi si occupa di trattamento delle tossicodipendenze. 3. È facile ottenere l’effetto contrario Attività preventive inadeguate possono risultare controproducenti [7]. Misure a breve termine o discontinue, quali singole conferenze isolate tenute da specialisti o da membri delle Forze dell’ordine, oppure giornate di sensibilizzazione, come "Diciamo no alla droga" o simili, hanno dimostrato di essere non solo inefficaci, ma di stimolare persino la curiosità dei più giovani nei confronti della droga. Anche la disseminazione di informazioni non del tutto corrette, come l’esagerazione dei rischi e dei pericoli connessi all’assunzione di sostanze illecite, non sembrano avere successo. Quando i giovani, in seguito ad esperienze dirette o a contatti personali, hanno la sensazione di essere stati ingannati, hanno una conseguente reazione di rigetto nei confronti di qualsiasi informazione in materia di droga proveniente da fonti ufficiali. Tra gli esperti vi è un ampio consenso sul fatto che messaggi di carattere "minatorio" siano utili solo in condizioni estremamente particolari. In genere, tutte le azioni preventive che trascurano l’influenza esercitata dalla pressione sociale in generale e dei coetanei in particolare, che mancano di interazione o di una struttura definita e che fanno perno su asserzioni cariche di pesanti giudizi in relazione alla droga sono destinate a fallire [3]. 4. Mancanza di un approccio comune a livello dell’UE Questa banca dati contiene informazioni dettagliate e uniformi su programmi destinati alla riduzione della domanda di droga fornite dagli Stati membri dell’UE ed è consultabile tramite Internet (http://www.reitox.emcdda.org:8008/eddra ). 20 35 Si possono citare molti esempi in cui strategie di prevenzione, pur essendo stata dimostrata la loro inadeguatezza, vengono ancora utilizzate, e spesso senza alcun controllo da parte degli esperti. Attraverso la banca dati relativa ad azioni finalizzate alla riduzione della domanda di droga (Exchange on Drug Demand Reduction Action – EDDRA) 20 , l’OEDT è in grado di fornire una valutazione dei programmi di prevenzione dalla droga nelle scuole dal punto di vista del loro contenuto. Analisi recenti evidenziano come approcci basati sugli aspetti fondamentali della vita quotidiana e sui rapporti tra coetanei, oggi considerati metodi efficaci, sono i modelli applicati con maggiore frequenza, pur essendo diffusi solo in metà degli Stati membri dell’UE. Il grado di conoscenza della teoria del concetto di intervento e della prassi di base differisce notevolmente a seconda del paese, nonostante sia accessibile su scala globale [5]. In quei paesi in cui sono stati compiuti i maggiori sforzi per formare specialisti nel settore della teoria preventiva e valutativa, fornendo loro il materiale rilevante, le prove e l’elaborazione di interventi tendono ad essere quantitativamente maggiori. Esempi di risultati positivi possono essere dimostrati solo grazie ad una valutazione regolare e sistematica, che ancora non rappresenta una prassi usuale nell’UE. Tuttavia, dal momento che si è visto come risultati ottenuti in un paese possono essere applicati a diverse realtà al di là delle barriere nazionali e culturali, le ricerche internazionali costituiscono un valido supporto per lo sviluppo dei programmi di prevenzione. In ogni caso, si rileva un’impellente necessità di ricerca a livello dell’UE in questo campo. La maggior parte degli interventi negli Stati membri è concentrata nella scuola superiore, dove generalmente si verificano i primi approcci alla droga. Essi contengono elementi mirati a contrastare il fenomeno del consumo, anche se non si tratta di programmi specifici sulla droga. Una prevenzione iniziale, non incentrata in maniera particolare sulla droga, deve cominciare molto prima. In Europa sono già operativi alcuni programmi specifici svolti nelle scuole materne ed elementari (ad esempio in Austria, Spagna e Germania). 36 5. Mancanza di sistemi informativi e di monitoraggio sulla prevenzione nelle scuole, nella maggior parte degli Stati membri In pratica, nessuno Stato membro, ad eccezione di Spagna, Grecia e Irlanda, dispone di informazioni sull’entità delle politiche preventive strutturate e basate su un programma. Spagna, Grecia e Irlanda realizzano su larga scala programmi strutturati e sottoposti a valutazione, al fine di garantire interventi adeguati, con un buon livello di qualità e valutazione della qualità degli interventi stessi. Inoltre, in questi paesi vengono sistematicamente raccolte informazioni quantitative e qualitative sulle misure e gli interventi di prevenzione. La Spagna si avvale di un sofisticato sistema di raccolta dati in materia di interventi preventivi, operativo già da lungo tempo sull’intera estensione del territorio nazionale, e raccoglie regolarmente informazioni in base a variabili chiave, quali il numero di insegnanti formati nel settore, il numero di scuole che realizzano programmi di prevenzione, il numero di alunni coinvolti in simili programmi nell’ambito scolastico. Il Regno Unito e la Francia mantengono banche dati contenenti progetti preventivi, tuttavia non nel settore in questione. Va sottolineato che i sistemi di monitoraggio sono indipendenti dall’organizzazione politica di uno Stato (federale o centrale). Dobbiamo quindi considerare che in molti paesi dell’UE la prevenzione strutturata a livello scolastico sia molto meno diffusa di quanto non venga dichiarato nelle strategie nazionali. L’OEDT sta elaborando una serie di parametri standard per supportare gli Stati membri nella creazione di sistemi informativi che permettano loro di avere un quadro d’insieme attendibile riguardo all’estensione e all’intensità dei programmi in ambito scolastico. 6. I responsabili a livello politico possono contribuire efficacemente al progresso Sebbene la prevenzione dalla droga goda di una certa popolarità presso l’opinione pubblica, diversamente da altri argomenti connessi alla droga, tuttavia non costituisce un soggetto particolarmente attraente dal punto di vista politico, a fronte di questioni più controverse. La qualità degli interventi preventivi può essere migliorata creando criteri standard per i programmi, per gli specialisti e per i servizi, nonché promuovendo un miglior livello di coordinamento e di controllo più severo, come per ogni intervento sulla salute. Se i programmi preventivi sono realizzati da personale adeguatamente specializzato e qualificato, diminuiscono le difficoltà legate alla trasmissione di dati ai sistemi informativi nonché alla valutazione dei programmi stessi, come "L’esperienza una tantum della cannabis tra gli studenti di 15-16 anni nell’UE va dall’8 % in Svezia e Portogallo al 35 % in Francia e nel Regno Unito [rispetto al 41 % negli USA]… La disapprovazione nei con fronti del consumo di droghe illecite è diffusa in maniera omogenea fra i ragazzi e le ragazze di tutti gli Stati membri dell’UE, con una media dell’80 %, fatto salvo per la disapprovazione nei confronti della cannabis che è inferiore, con una media del 70 %". OEDT, RELAZIONE ANNUALE 2001 mostrano le esperienze e i dati disponibili per la Spagna, l’Irlanda e la Grecia. Nella maggior parte degli altri paesi, sono i centri di prevenzione locale, i comuni o persino i centri di trattamento ad occuparsi dell’attività di prevenzione nelle scuole su propria iniziativa, sovente con Forme di organizzazione di misure preventive nelle scuole Politiche scolastiche Definire ad esempio regole e norme relative all’assunzione di droghe nelle scuole. Possibilità di specificare attività a scopo preventivo Prevenzione integrata Una serie di interventi che prevedano l’inserimento di questioni rilevanti in materia di prevenzione in tutte le attività scolastiche quotidiane, come le politiche scolastiche e l’integrazione flessibile di temi relativi alla droga nell’ambito di diverse lezioni Interventi curriculari (programmi preventivi) Programmi basati su lezioni tradizionali con orari, argomenti e materiale stabiliti, ad esempio l’inclusione sistematica dell’argomento nel programma didattico scarso coordinamento e pochissimi criteri di riferimento. L’organizzazione delle misure da intraprendere ricopre un ruolo fondamentale: programmi svolPrevenzione dalla droga nelle scuole: considerazioni di carattere politico Questo briefing sintetizza la situazione della prevenzione nelle scuole dell’UE e fornisce indicazioni su ulte riori fonti di informazione per chiunque desideri saperne di più. Si consiglia di servirsi delle seguenti rifles sioni come base per considerazioni politiche future. 1. I risultati più promettenti in termini di intensità, struttura e qualità delle azioni preventive effettivamente realizzate possono essere individuati in quei paesi che hanno affrontato in modo esplicito, nelle loro poli tiche, la questione della prevenzione in ambito scolastico, con obiettivi chiari e specifici, la disponibilità di un’adeguata organizzazione logistica degli interventi e il relativo finanziamento. 2. Le prove dimostrano che i programmi più efficaci sono quelli che mirano a rinforzare i rapporti interper sonali dei giovani e a sviluppare un atteggiamento critico che supporta scelte ragionate e consapevoli rispetto alla droga. L’insegnamento di tipo interattivo ha inoltre dimostrato la sua efficacia. 3. Interventi a breve termine, isolati e "moralistici" sono controproducenti. 4. Il grande potenziale di prevenzione dalla droga nelle scuole dell’UE dal punto di vista del contenuto è riposto nella formazione intensiva di specialisti e di insegnanti nel settore della prevenzione, conforme mente ai comprovati risultati positivi ottenuti in alcuni paesi, dove si è visto che una formazione intensi va e focalizzata di specialisti in materia di modelli e metodi preventivi ha favorito la buona riuscita di molti progetti. 5. Gli Stati membri che dispongono di sistemi informativi circa l’estensione dei programmi di prevenzione dalla droga nelle scuole hanno la possibilità di servirsi delle informazioni raccolte per condurre e inten sificare una politica di prevenzione nazionale. 6. Il raffronto tra esperienze su scala europea mostra che le aree prioritarie per una politica di prevenzio ne sono la stretta collaborazione tra istituzioni e la creazione di sistemi di accreditamento per progetti specifici fondati su evidenze oggettive e che richiedano una valutazione minima nonché la diffusione dei risultati. ti con regolarità e in maniera continua, con ampia distribuzione sul territorio nazionale, si prestano ad una valutazione più adeguata, nonché ad un controllo della qualità più efficace rispet- 37 to ad interventi sporadici e isolati. Quando ad interventi non strutturati si aggiunge una mancanza di coordinamento, spesso si ottiene un effetto contrario e non vengono rispettati i criteri standard. L’Austria costituisce tuttavia un esempio di come politiche prive di ampi programmi preventivi adeguatamente valutati, possano comunque essere efficacemente coordinate e monitorate dal punto di vista qualitativo attraverso incontri regolari sulla qualità nell’ambito di una fitta rete interistituzionale. 2.2.3 Informazioni web 1. L’OEDT sulla prevenzione antidroga nelle scuole: http://www.emcdda.org/responses/themes/prevention_schools_communities.shtml e EDDRA all’indirizzo http://www.reitox.emcdda.org:8008/eddra/ 2. Informazioni sulla prevenzione antidroga: http://www.school-and-drugs.org/ 3. Ministero dell’Interno del Regno Unito, efficienza valutativa: http://www.homeoffice.gov.uk/dpas/cdpur20.pdf 4. Registro internazionale degli interventi preventivi: http://www.biostat.coph.usf.edu/research/psmg/Irpt/ 5. IDEA-Prevención all’indirizzo: http://www.idea-prevencion.com/ Bibliografia [1] Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT) (2000/2001), Relazioni annuali 2000 e 2001 sull’evoluzione del fenomeno della droga nell’Unione europea, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo [2] Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT) (2000), Evaluation: a key tool for improving drug prevention, Serie di monografie scientifiche dell’OEDT, n. 5, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo [3] Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT) (1998), Guidelines for the evaluation of drug prevention: A manual for programme-planners and evaluators, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo 38 [4] Hansen, W.B. (1992), "School-based substance abuse prevention: A review of the state of the art in the curriculum, 1980-90", Health Education Research, 1992; 7(3): pag. 403-430 [5] Becoña Iglesias, E. (1999), Bases Teóricas que sustentan los programas de prevención de drogas, Madrid: Delegación del Gobierno para el Plan Nacional sobre Drogas, Ministerio del Interior (in spagnolo) [6] NIDA (1997), Preventing drug use among children and adolescents: a research-based guide, Bethesda, MD, National Institute on Drug Abuse. (http://165.112.78.61/DrugPages/Prevention.html) [7] Morgan, M. (2001), Drug use prevention: an overview of research, Stationery Office, Dublino. Prevenzione delle Dipendenze in Ambito Scolastico Cap 3 L’evoluzione della prevenzione delle dipendenze. Aspetti teorici e di efficacia Daniela Orlandini, Elena Bottignolo e Rosa Nardelli21 3.1 I differenti approcci nella prevenzione delle dipendenze: breve rassegna storica Nel corso degli ultimi anni, la prevenzione delle dipendenze si è sempre più articolata come scienza multidisciplinare che richiede l’integrazione di servizi e professionalità e, secondo un approccio “science-based” (termini equivalenti in italiano sono: basato sull’evidenza, basato sulla scienza e basato sulla ricerca), mira ad individuare pratiche preventive efficaci che possano garantire risultati sostenibili e valutabili (Glynn, Leukefeld e Lundford, 1983; Van der Stel e Voordewind, 1998a,1998b; CSAP 2001a, 2001b, 2001c; Orlandini, Nardelli e Bottignolo, 2002) . Infatti, quando si parla di “science-based”, ci si riferisce ad un processo in cui esperti, utilizzando criteri condivisi relativamente alle modalità di analisi di studi e ricerche, pervengono ad un consenso circa la credibilità e la sostenibilità dei risultati della valutazione degli stessi (www.northeastcapt.org/science/framework/glossary.asp). I criteri che caratterizzano programmi “science based” sono: - essere basati su teorie e modelli ben definiti; - utilizzare modalità di raccolta dati e procedure di analisi appropriate; - possedere un alto livello di relazioni causa-effetto; - poter raggiungere la popolazione di riferimento. La presenza di un modello teorico ben definito diventa, in questo contesto, requisito fondamentale, in quanto permette di identificare le variabili significative presenti in una data situazione, di descrivere le loro relazioni, di valutare l’importanza di eventuali ed ulteriori fattori esterni, di condurre quindi ad una migliore comprensione della realtà presa in considerazione, del cambiamento e dei fattori che lo supportano. Negli interventi preventivi attuati prima degli anni ’60 risulta comunque difficile identificare l’esistenza di un modello in grado di esplicitare una solida base teorica, nonostante l’estendersi del consumo e dell’abuso di sostanze psicoattive fra la popolazione giovanile e la necessità, quindi, di rispondere a questo in modo tempestivo ed efficace. Unità Operativa Prevenzione Dipendenze – Dipartimento delle Dipendenze dell’Azienda ULSS 12 Veneziana 21 39 40 Nel presentare una breve rassegna storica inerente i diversi approcci, si deve quindi sottolineare come, di fronte ad un problema complesso e multideterminato come l’uso e l’abuso di sostanze, numerosi siano stati i fattori e le variabili presi in considerazione dall’uno o dall’altro approccio, e, quindi, diverse le strade intraprese. In un primo momento, la prevenzione è stata identificata in particolar modo con l’informazione. Per informazione si intende qualsiasi messaggio che miri a modificare la conoscenza e contribuisca a diminuire la confusione circa l’oggetto a cui si riferisce. I processi cognitivi del soggetto sono determinanti per trasformare le informazioni fornite in un bagaglio personale. Gli interventi preventivi che facevano riferimento a questo approccio si basavano sull’assunzione che l’informazione centrata sulle conseguenze negative del consumo potesse essere sufficiente per rendere le persone consce dei rischi e convincerle, quindi, ad evitare il contatto con le sostanze. L’obiettivo principale è stato, quindi, fin dall’inizio, fornire strumenti conoscitivi per prevenire le conseguenze negative derivanti dalle diverse modalità d’uso delle diverse sostanze (Amerio, 1995). La conoscenza veniva considerata come quella variabile in grado di modificare l’atteggiamento verso il consumo: questa permetteva all’individuo di modificare anche le sue intenzioni ed i suoi comportamenti, rendendoli coerenti con le informazioni acquisite e stabilendo una relazione diretta fra conoscenza, atteggiamenti e comportamento. La validità di questo approccio, quando applicato al campo delle dipendenze ed al consumo di sostanze, risultò gia vent’anni fa discutibile: infatti, un messaggio preventivo ben formulato può produrre un impatto immediato, ma ciò non significa né che modifichi l’atteggiamento positivo verso il consumo, né che questa modificazione si mantenga nel tempo né che esso produca un’effettiva riduzione del consumo. Inoltre, questi messaggi risultano essere efficaci per quei soggetti che sono già sensibili verso l’argomento e non altrettanto per coloro che non lo considerano importante o la pensano diversamente. Appare, inoltre, interessante sottolineare che, in un primo momento, gli interventi preventivi basati sull’informazione hanno fatto ricorso a messaggi dal forte impatto emotivo negativo, nell’intento di generare paura ed angoscia. Anche in questo caso, la natura minacciosa di questi messaggi si è dimostrata inefficace, in quanto suscita sentimenti spiacevoli che vengono associati all’informazione e, quindi, con essa cancellati. In alcuni casi si è rilevata addirittura controproducente. Infatti, il ricorso alla minaccia ed alla proibizione ha prodotto in alcuni casi un fenomeno definito come “devianza provocata”. Si tratta di un processo attraverso il quale una società, qualificando alcuni comportamenti come simboli di devianza e di asocialità, li definisce implicitamente come i canali migliori per ribellarsi ad essa, innescando in tal modo un meccanismo di induzione che contribuisce attivamente al diffondersi di quegli stessi comportamenti fra gli individui (Palmonari, 1993). L’accresciuta consapevolezza dei limiti fin qui descritti ha suggerito ben presto l’abbandono di iniziative ispirate a tale approccio, individuando soprattutto nella distorsione del messaggio informativo la ragione principale della sua inefficacia e, a volte, della sua pericolosità. In un secondo momento, il messaggio preventivo ha assunto una valenza maggiormente tecnica, fondata su informazioni specifiche circa le caratteristiche proprie delle diverse sostanze e le loro conseguenze, ma anche questa modalità, pur ricorrendo ad una comunicazione maggiormente equilibrata ed oggettiva, non si è dimostrata particolarmente efficace, sottolineando ulteriormente come la sola informazione non sia sufficiente per produrre un cambiamento nel comportamento a rischio (CSAP, 2001a,2001b,2001c). Infatti, tanto nel caso del ricorso ad esperti quanto nell’utilizzo di sussidi informativi, la tendenza a privilegiare l’asetticità delle informazioni sembra scaturire dall’idea secondo la quale, ad una maggiore oggettività dell’informazione, corrisponderebbe una maggior credibilità del messaggio informativo. In realtà, questa concezione non tiene conto di altri aspetti soggettivi che entrano in gioco nel consumo di sostanze, quali, ad esempio, la ricerca di nuove sensazioni, di autonomia e di emancipazione, il bisogno di appartenenza e di prestigio. L’ingenuità sottesa a questa idea è stata svelata da molti studi (Smart e Fejer, 1974; Stock e Ruiz, 1977; Ravenna, 1993; Colecchia, 1995), che mostrano come i consumatori dispongano in realtà di un patrimonio di informazioni oggettive di gran lunga superiore a coloro i quali non sono interessati al fenomeno. In un terzo momento, l’istituzione scolastica è stata identificata come l’agenzia privilegiata per la trasmissione delle informazioni sulle sostanze: si è assistito, quindi, all’evolversi di una fase che definiva gli insegnanti come protagonisti dell’intervento preventivo responsabili del passaggio dell’informazione, in quanto quotidianamente in contatto con i giovani. La scuola ha però trovato forti difficoltà a ridurre un’esigenza educativa entro i codici stereotipati della lezione, dove le informazioni vengono trasmesse attraverso modalità mono-direzionali, che non permettono uno scambio reciproco né l’integrazione e la partecipazione attiva da parte dei ragazzi. Questa comunicazione “a senso unico” relega ancora una volta il destinatario al ruolo di acritico contenitore di nozioni. In tal modo vengono alimentate, anziché contrastate, quelle tendenze alla passività, alla dipendenza, alle scelte non consapevolmente motivate che sono riconosciute oggi come altrettanti fattori di rischio dell’abuso di sostanze psicoattive. Inoltre, come gli importanti lavori meta-analitici della Tobler (1997) hanno evidenziato, gli interventi che ricorrono a tecniche attive di apprendimento risultano essere maggiormente efficaci in quanto capaci di influenzare atteggiamenti e comportamenti. Questa fase è stata comunque molto importante in quanto, coinvolgendo la scuola, ha permesso di aprire l’orizzonte a futuri interventi maggiormente efficaci ed educativi. Facendo sempre riferimento all’approccio che vede come elemento prioritario il dare informazioni non si possono non citare le numerose campagne informative inerenti le sostanze indirizzate alla comunità. Per tutti gli anni Settanta non è stata realizzata alcuna campagna strutturata, anche se tra i giornalisti e le testate televisive girava un imperativo: "spettacolarizzare" (Andreoli V., 2000). Dagli anni ’90 in avanti, l'attenzione delle campagne informative si è centrata quasi esclusivamente sull’uso dell'eroina, più o meno associata al problema dell'AIDS. Successivamente, con l'avvento dell'ecstasy, l'attenzione si è spostata sulle "nuove droghe". Quando si parla di campagna informativa s’intende un intervento di prevenzione che si rivolge a target differenti. In tal senso, è necessario tener presente che, in primo luogo, esiste sempre un rischio di arbitrarietà e superficialità nell’utilizzare lo stesso messaggio pensando che possa essere significativo per i ragazzi e per gli adulti, per gli uomini e per le donne, per i consumatori di sostanze e per coloro che non lo sono o non lo sono ancora. In secondo luogo, si deve considerare che le sostanze non sono tutte uguali, diverse sono le modalità di assunzione, differenti gli effetti e i danni, e specifici i contesti in cui vengono smerciate dal mercato illegale. Se non si creano anzitutto le condizioni atte a rendere gli individui ricettivi alle informazioni attraverso processi d’interazione in seno a gruppi, la diffusione di tali informazioni si rivelerà caduca e inefficace. E’ il caso delle informazioni di massa che non suscitano il coinvolgimento degli individui. Le esperienze di K. Lewin (1967) dimostrano che il cambiamento dei comportamenti individuali e sociali deve concepirsi in un quadro dinamico e non semplicemente dalla tendenza del conformismo degli individui. Le campagne informative sono da considerarsi come strumenti necessari a porre l'attenzione pubblica sul problema droga, attraverso un'ampia diffusione di materiale cartaceo e l'utilizzo di spot televisivi. Tuttavia queste campagne non sono sufficienti a modificare i comportamenti e per questo motivo richiedono il supporto di altre attività. Come già ribadito, è ormai risaputo che un'informazione calata dall'alto, che drammatizzi gli effetti nocivi delle sostanze e che si presenti come minacciosa, rischia di essere controproducente se fornita agli adolescenti. Può infatti dar luogo ad un rifiuto aprioristico, dettato dalla diffidenza generazionale o, addirittura, può ingenerare curiosità, voglia di sfida, pulsione a forzare i limiti imposti dal mondo adulto. E ciò a maggior ragione con le “nuove droghe” che non vengono percepite e “vissute” come droghe, da chi le consuma o da chi le vede anche solo circolare nei luoghi del divertimento notturno. E', quindi, particolarmente delicato affrontare la comunicazione sulla pericolosità di queste sostanze che tanto si intrecciano con il modo di vivere dei giovani, sapendo bene che a poco può servire l'informazione e la dissuasione se i ragazzi e le ragazze non hanno la possibilità di trovare nei loro luoghi di vita altri stimoli e altri sostegni. In effetti, è stato dimostrato che le campagne informative sul fumo risultano efficaci se di supporto ad interventi di tipo educativo (www.chochrane.org). Questo si può ipotizzare valga anche per altri ambiti di intervento, anche se non vi sono le stesse evidenze scientifiche. All’approccio di carattere informativo, pian piano e nel tempo, si sono affiancati altri tipi di approcci preventivi. Uno dei primi approcci che risentiva di una più generale influenza tratta dalla psicologia umanistica e che ha introdotto l’importanza degli aspetti emotivi, si basava sul riconoscimento dell’importanza, nello sviluppo della persona, di bisogni quali l’auto-realizzazione ed il raggiungimento dei propri obiettivi (Maslow, 1968; Rogers, 1961). Il modello umanistico affermava, infatti, come, al 41 fine di produrre cambiamenti nel comportamento e negli atteggiamenti riguardo al consumo, fosse necessario produrre modificazioni negli aspetti emotivi ed affettivi, che negli adolescenti giocano un ruolo rilevante nell’uso di sostanze psicoattive. Le metodologie utilizzate da questo approccio erano attive e richiedevano un alto grado di partecipazione e coinvolgimento affettivo. In seguito, nel corso degli anni ’70, sono stati implementati programmi non specificatamente rivolti alla prevenzione all’uso di sostanze, ma attenti alla sfera emotiva e focalizzati allo sviluppo della persona nella sua complessità. È possibile identificare tre determinanti principali che vengono prese in considerazione all’interno di questo approccio: la chiarificazione dei valori, l’incremento delle abilità di decision-making e la costruzione di alternative al consumo di sostanze. Si tratta di un approccio globale che prevede interventi su tutte queste tre determinanti, considerate specifiche in quanto rilevanti per la prevenzione specifica delle dipendenze. Per quanto riguarda la prima determinante, essa non si focalizza sui valori specifici personali, quanto sulla capacità di un soggetto di organizzarli ed applicarli, formulando un chiaro quadro di riferimento e riconoscendo ciò che veramente si rivela per lui essere importante. Secondo Raths et al. (1966), i valori sono chiari quando l’individuo è in grado di scegliere fra numerose alternative, analizzando le conseguenze di ciascuna di esse. L’iniziazione al consumo, dunque, può evidenziare la presenza di un sistema di valori poco chiaro o scarsamente organizzato. Le abilità di decision making sono importanti determinanti nel dissuadere dall’iniziazione al consumo di sostanze: in questo caso, il decision making rappresenta l’essere in grado di attuare un’adeguata presa di decisione prendendo in considerazione simultaneamente alternative e conseguenze del consumo. Inoltre, la capacità di prendere decisioni in modo autonomo può permettere al soggetto di evitare scelte di natura conformista ed imitativa che possano favorire il consumo. L’importanza delle alternative al consumo è stata sottolineata da autori quali Dohner (1972), il quale sottolinea come il consumo di sostanze serva per soddisfare bisogni di nuove sensazioni: dare all’ adolescente la possibilità di ritrovare e sperimentare questi ultimi attraverso altre attività può evitare il consumo e la sperimentazione. In sintesi, questo approccio enfatizzava come il consumo di sostanze fosse determinato da variabili affettive (valori, credenze ed atteggiamenti), nonostante non dimenticasse di considerare variabili cognitive quali il processo di decision-making. I due approcci sopra descritti possono essere storicamente considerati gli apripista dell’attuale prevenzione; nel prossimo paragrafo forniremo, invece, una sintesi di alcuni modelli che sono stati sviluppati successivamente e che sono tuttora utilizzati. 3.2 I principali ed attuali approcci nella prevenzione delle dipendenze 42 In questo paragrafo si intendono identificare e presentare, anche se in modo non esaustivo, le caratteristiche specifiche di alcuni modelli e delle rispettive teorie di riferimento nella prevenzione delle dipendenze, modelli che, a nostro parere, hanno consentito la progettazione e la valutazione di interventi preventivi mirati ed efficaci. In tal senso riteniamo utile approfondire: - il modello delle Life Skills - la teoria dell’apprendimento sociale - il modello evolutivo - la teoria dei comportamenti a rischio Il modello delle Life Skills riconosce nell’adolescente che consuma sostanze la risultante di un mancato apprendimento di abilità di vita. In quest’ottica, la promozione di questo tipo di abilità viene definita un importante obiettivo della prevenzione. Nello specifico, particolare attenzione è stata rivolta al concetto di “abilità sociali” che, in quanto repertorio di comportamenti verbali e non verbali che influenzano il tipo di risposta che l’adolescente può ottenere dagli altri in un contesto interpersonale (Rinn e Markle, 1979), possono permettere al soggetto di far fronte alle pressioni verso il consumo che provengono da agenti sociali circostanti. Gli interventi preventivi, in questo senso, mirano a produrre cambiamenti a livello comportamentale, sviluppando adeguate strategie di coping e abilità che permettano di affrontare le influenze sociali e di mettere in atto comportamenti salutari. Botvin (1987) ha applicato in modo operativo questo modello nel noto programma “Life Skills Training” che mira a stimolare la crescita personale e le abilità sociali, focalizzandosi principalmente sullo sviluppo di competenze che permettono di fronteggiare le influenze sociali verso il consumo di alcol, fumo e altre droghe. Questo tipo di intervento è stato ideato per essere applicato in ambito scolastico in quanto coerente con le generali politiche scolastiche che mirano ad incrementare negli studenti, non solo a fini preventivi, tale tipo di abilità. Questo approccio, pur non basandosi sull’informazione, le riserva uno specifico spazio, focalizzandosi prevalentemente sulle conseguenze negative a breve termine, in quanto in età adolescenziale, quelle a lungo termine non sono prese in eguale considerazione. Particolare attenzione viene data alla divulgazione di informazioni circa la diffusione del consumo, al fine di smantellare percezioni erronee relative alla stessa, come la sovrastima del consumo delle sostanze illegali (Van der Stel e Voorderwind, 1998a, 1998b). Un’altra teoria, quella dell’apprendimento sociale, si basa sull’interrelazione esistente fra persona, ambiente e comportamento, attribuendo particolare importanza “alla capacità dell’individuo di elaborare dei modelli cognitivi interni di esperienza utilizzabili come guide per prendere delle decisioni e per agire” (Ravenna, 1997b). L’individuo, infatti, modella i suoi comportamenti osservando ed apprendendo quelli delle persone con cui entra in relazione; in tal senso, concetti fondamentali di questa teoria sono quelli di modeling e di self-efficacy. Il modeling riguarda la possibilità per un soggetto di apprendere qualcosa osservando il comportamento di qualcuno, riconosciuto come modello dal soggetto stesso. Il ricorso al concetto di modeling viene descritto come particolarmente efficace nel momento in cui ci si trova di fronte alla necessità di dover far apprendere abilità “complesse” e nuove per il soggetto, che quindi non appartengono al suo usuale repertorio (Curran e Monti, 1982; Soresi e Nota, 1997). Il modeling può essere utilizzato come tecnica in ambito preventivo. Dal punto di vista tecnico-operativo il modeling si realizza con la presenza di un soggetto considerato come un modello, di spettatori che osservano i suoi comportamenti e di un “giudice” in grado di valutare come le prestazioni di quest’ultimi si avvicinino a quelle del primo. Il termine autoefficacia è stato coniato da Bandura (1977) che lo ha definito inizialmente come un insieme di credenze nutrite dalla persona a proposito delle proprie capacità di attuare i comportamenti necessari per raggiungere risultati e obiettivi, e successivamente (1997) come le credenze nei confronti delle proprie capacità di aumentare i livelli di motivazione, di attivare risorse cognitive, e di eseguire le azioni necessarie per esercitare un controllo sulle richieste di esecuzione di un compito. Il concetto di autoefficacia è particolarmente importante in quanto può essere validamente esteso a tutti i problemi, da quelli cognitivi a quelli interpersonali, in quanto fa riferimento a convinzioni che ognuno ha sulle proprie abilità di controllare il comportamento e, quindi, determinare il successo o fallimento delle proprie prestazioni (Nota e Soresi, 1997). I giudizi di efficacia personale (elaborati in rapporto all’osservazione della performance in altri, delle proprie passate esperienze e dall’attivazione emozionale) influenzano ciò che le persone scelgono e decidono di fare, l’entità dell’impegno ed il grado di resistenza che essi oppongono agli ostacoli che incontrano. Sentirsi poco efficaci significa ritenersi incapaci di svolgere con successo un determinato compito: perciò ci si sentirà preoccupati o si tenderà ad evitare il compito o ad impegnarsi limitando al massimo gli sforzi. Al contrario se ci si sente molto efficaci, ci si sentirà rilassati e si ricercheranno preferibilmente le situazioni in cui ci si sente competenti (Ravenna, 1997b). Barbaranelli et al. (1998) hanno sottolineato come questa variabile giochi un ruolo cruciale nella protezione dal rischio psicosociale; avere la consapevolezza di sapere resistere alle pressioni dei pari e di saper gestire in modo adeguato emozioni positive o negative, funge da meccanismo di autoprotezione interno, diminuendo possibili esiti di disagio. La teoria del comportamento problematico di Jessor & Jessor (1977) è stata sviluppata per spiegare alcuni comportamenti a rischio esistenti fra gli adolescenti, come ad esempio l’uso di sostanze e le esperienze sessuali precoci. Secondo questa teoria, questi comportamenti problematici e rischiosi non si presentano in forma isolata, ma esiste una disposizione costante a passare da una forma di comportamento problematico all’altra e, spesso, alcuni comportamenti problematici vengono associati sistematicamente ad altri (sindromi o costellazioni). I principali fattori che influenzano questa disposizione sono tre: l’ambiente, la personalità ed il comportamento. Questi tre sistemi sono intercorrelati e definiscono la comparsa del comportamento problematico. Il sistema di perso- 43 44 nalità si riferisce alle strutture motivazionali-istigative, come ad esempio il valore attribuito ai propri obiettivi e le aspettative circa il loro raggiungimento, quella delle credenze relative al sé ed alla società e quella dei controlli, quali sono considerati la religiosità, la tolleranza verso la devianza e la discrepanza fra i pro ed i contro di un dato comportamento. In relazione a questo sistema, si sottolinea come la presenza di una minor importanza attribuita alla riuscita scolastica, di uno scarso interesse per la religiosità, di posizioni critiche verso la società, di bassi livelli di autostima ed un locus of control esterno, oltre che di una certa tolleranza alla devianza, siano associati ad una maggiore disponibilità ad intraprendere un comportamento problematico. Il sistema dell’ambiente percepito comprende sia variabili che influenzano direttamente il comportamento, come il grado di approvazione dei familiari e degli amici rispetto ai comportamenti problematici, che variabili indirette, quali possono essere considerate il sostegno ed il controllo. Relativamente a questo sistema, ciò che viene sottolineato è che l’orientamento dell’adolescente verso i pari e la sua non accettazione delle norme sociali condivise rendono maggiore la sua disponibilità verso i comportamenti problematici. Il sistema del comportamento riguarda la struttura delle condotte problematiche e quella delle convenzionali. Inoltre, variabili come le caratteristiche demografiche, l’educazione dei genitori, la loro religione, la struttura familiare, giocano un ruolo fondamentale verso i tre sistemi, il loro sviluppo e la loro interazione. In tale ottica, quindi, è chiaro che l’assunzione di comportamenti a rischio da parte di un soggetto andrà compresa ed affrontata all’interno dell’interazione dinamica fra l’organismo ed il suo ambiente, relazione centrata sulla loro influenza reciproca e per questo, sempre in cambiamento (Ravenna, 1997b). Il modello evolutivo, che trova in Kandel (1980) il suo rappresentante più significativo, sottolinea l’esistenza di una possibile sequenza nell’uso delle diverse sostanze: in questa sequenza il consumo di birra e vino precede quello di tabacco e/o di superalcolici che, a sua volta, precede quello della marijuana, che a sua volta precede quello dell’eroina. Kandel evidenzia come le sostanze lecite possano giocare un ruolo molto importante nel facilitare l’accesso alle sostanze illecite e l’iniziazione al loro consumo (è per questo motivo che sono state definite “sostanze cancello”), pur rilevando che il trovarsi ad un certo stadio della sequenza non implica necessariamente la progressione verso il successivo. La precocità dell’iniziazione ed il livello di coinvolgimento nel consumo sono comunque riconosciuti come determinanti di questa progressione (Orlandini, Nardelli, Cavallin, Potente, 2000). Accanto a questi principali modelli teorici ci sembra interessante citare alcuni autori che a nostro parere hanno apportato un contribuito scientifico nell’ambito della prevenzione delle dipendenze. Brook e collaboratori (1986,1990, 1998) hanno studiato l’influenza delle interazioni esistenti fra la famiglia, il gruppo dei pari, la scuola ed il territorio, sempre in relazione all’iniziazione al consumo di sostanze. Questi Autori hanno valutato tre diversi modelli nei differenti microsistemi: l’” indipendent model”, in accordo al quale gli elementi appartenenti a ciascuna area sopracitata hanno un effetto diretto sul consumo di sostanze dell’adolescente; il “ mediator model” che riconosce ad ogni singola area o a tutte le aree sia un ruolo di mediatore che di dominanza nel processo che porta il giovane al consumo; l’ “interdipendent model”, in accordo al quale è necessario che un certo numero di variabili di ogni area siano simultaneamente presenti per far emergere un comportamento di consumo. Brook e collaboratori sono arrivati alla conclusione che il “mediator model” è quello che meglio riflette una capacità predittiva rispetto al consumo di sostanze; in tale modello la famiglia ed il gruppo dei pari hanno una diretta influenza verso la disposizione a consumare sostanze, l’ambiente scolastico dimostra la sua influenza attraverso il gruppo dei pari e tutte e tre queste componenti hanno un ruolo di mediatore verso il territorio. Hanno, inoltre, verificato come fattori correlati al gruppo dei pari, in particolare il consumo da parte degli stessi di sostanze legali ed illegali, ed i fattori di natura familiare, quali la mancanza di comunicazione con i genitori e l’empatia affettiva degli stessi verso il figlio, siano le variabili più significative associate al consumo di sostanze. Questi Autori, forse fra i primi, hanno sottolineato il ruolo protettivo che un ambiente scolastico favorevole può giocare nei confronti della presenza di una pressione del gruppo dei pari verso il consumo. Il “social developmental model”, proposto da Hawkins, Catalano e collaboratori (1992) cerca di spiegare e predire l’inizio, lo sviluppo, il mantenimento di comportamenti anti-sociali come la delin- quenza ed il consumo di sostanze. Questo modello assume che le condotte anti-sociali siano il risultato di fattori multipli, quali quelli biologici, psicologici e sociali, di natura sia intra-individuale che inter-individuale, correlati alla famiglia, alla scuola, al gruppo dei pari ed alla comunità. Secondo questi autori, gli interventi di prevenzione devono essere multipli in quanto vi sono modi diversi, diretti ed indiretti, che portano al comportamento anti-sociale, svolti più precocemente possibile e comunque adeguati alla fase di sviluppo a cui si indirizzano. 3.3 Il contributo dei fattori di rischio e di protezione Come vedremo più avanti, numerosi studi degli ultimi anni hanno messo in luce gli elementi ritenuti efficaci nei programmi di prevenzione. Essi hanno permesso di evidenziare la connessione esistente fra l’efficacia di questi interventi ed i fattori di rischio e di protezione. Questo importante progresso ha permesso di uscire dalle logiche delle singole scuole di pensiero, che spesso hanno contribuito ad uno sterile e continuo dibattito sugli assunti e sulle teorie di riferimento, e che pur restando necessari, non hanno aiutato a definire una comune base di partenza nell’operatività. Un approccio che consideri i fattori di rischio e di protezione ha portato ad importanti risultati per quanto riguarda l’efficacia degli interventi. In questa sede si è ritenuto utile e necessario soffermarsi anche su questo argomento, riservandogli uno spazio specifico. Lo studio dei fattori di rischio e dei fattori di protezione nasce in un ambito medico-igienistico e, solo avanti nel tempo, diventa d’interesse anche per la ricerca in campo preventivo. I fattori di rischio definiscono le condizioni grazie alle quali è più probabile che si sviluppi un certo comportamento disadattivo ed agiscono a tutti i livelli della società: individuo, famiglia, scuola, gruppo dei pari, situazione di lavoro, ambiente e comunità (Chavis, De Pietro e Martini, 1994). Lo studio di questi fattori si è sviluppato da una parte direzionandosi verso lo studio di fattori di rischio aspecifici (relativi, in altre parole, ad una molteplicità di forme di disagio e/o di devianza) e specifici, dall’altra, verso lo studio di fattori di protezione, in particolare di quelli aspecifici, e definiti come genericamente protettivi e legati a life skills quali le abilità sociali e le abilità decisionali. Come i fattori di rischio, anche quelli di protezione agiscono a vari livelli, ad esempio, la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari, l’individuo e la comunità. Per quanto riguarda quest’ultima, Chavis et al. (1994) hanno evidenziato i seguenti fattori protettivi: = gli individui hanno a disposizione all’interno della comunità una serie di risorse come la casa, i servizi socio-sanitari, le strutture educative per i bambini e per i giovani, le strutture ricreative, la formazione professionale; = la comunità facilita e mantiene la rete del sostegno sociale, come la parrocchia, la scuola, le organizzazioni, il vicinato, il gruppo dei pari; = la comunità coinvolge giovani ed adulti nei servizi comunitari; = la comunità sviluppa opportunità per il controllo collettivo della comunità stessa. Benard (1990) mette, invece, in luce i fattori di protezione aspecifici rispetto all’individuo, ovvero caratteristiche dei ragazzi che consentono loro di fronteggiare adeguatamente le situazioni di difficoltà ambientale: = essere socialmente competente (flessibile, empatico, comunicativo, capace di humor, ecc.); = avere una buona capacità di soluzione dei problemi; = avere un forte senso della propria identità e della propria capacità di esercitare un controllo sull’ambiente; = avere delle buone aspettative di salute e una visione positiva del futuro. Come già sottolineato precedentemente, Barbaranelli et al. (1998), hanno rilevato la funzione cruciale dell’autoefficacia e della dimensione della comunicazione interna alla famiglia nella protezione dal rischio psicosociale. Per quanto riguarda i fattori di rischio aspecifici, va considerato che l’esposizione a questi ultimi ha effetti cumulativi: la probabilità che comportamenti disadattivi compaiano aumenta a causa del numero, dell’intensità e della durata dei fattori di rischio. D’altro canto, come Sameroffet al. (1993) indicano, anche la presenza o l’assenza di fattori di protezione che interagiscono con quelli di rischio può ridurre od ampliare l’effetto di questi ultimi. Maggiolini e Riva (1999) hanno identificato quali fattori di rischio aspecifici la provenienza da fami- 45 glie multiproblematiche, la residenza in un territorio a rischio, le ridotte capacità di simbolizzazione e mentalizzazione, che comportano la tendenza a comunicare i propri conflitti attraverso l’azione piuttosto che il linguaggio. Secondo questi Autori, i fattori di rischio possono comprendere, quindi, sia la vulnerabilità individuale che il disagio familiare e sociale. In questa sede non si approfondirà l’analisi dei fattori di rischio aspecifici, in quanto si centrerà l’attenzione sui fattori specifici correlati all’uso ed abuso di sostanze. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto si riporta la recente lista dei fattori di rischio e di protezione prodotta dal NIDA nella Seconda Conferenza Nazionale sulla Prevenzione dell’Abuso di Sostanze che ha avuto luogo nell’agosto 2001 a Washington: Fattori protettivi: - Legami familiari forti e positivi; - Monitoraggio da parte dei genitori dei comportamenti dei figli e delle attività che conducono con i pari; - Regole di condotta chiare che la famiglia fa rispettare; - Coinvolgimento dei genitori nella vita dei loro figli; - Successo scolastico; forte legame con le istituzioni, come ad esempio la scuola e le organizza zioni religiose; - Ricorso a norme convenzionali sull'uso di sostanze. Fattori di rischio: - Ambiente familiare disordinato, in particolare i familiari che abusano di sostanze o soffrono di disturbi mentali; - Genitorialità inefficace, in particolare nei confronti di bambini con difficoltà caratteriali e problemi comportamentali; - Mancanza del legame di attaccamento fra genitore e figlio; - Comportamento in classe inappropriato in quanto timido o aggressivo; - Fallimento scolastico; - Scarse abilità sociali; - Affiliazione con pari caratterizzati da comportamenti devianti; - Percezione che in ambito familiare, scolastico, dei pari e della comunità vi sia approvazione nei confronti del consumo di sostanze psicoattive. 46 Rispetto ai fattori di protezione vengono identificati atteggiamenti, comportamenti, credenze, situazioni od azioni che incrementano, in un individuo, un gruppo, un’organizzazione o comunità, la capacità di rispondere in modo adeguato ad eventi particolarmente stressanti (ad esempio, la morte di un genitore, il divorzio, l'abuso sessuale, l'essere senza casa o un evento catastrofico) od altri tipi di avversità. Tali fattori possono inibire, ridurre o attenuare la probabilità dell'uso e/o abuso di sostanze. Relativamente ai fattori di rischio invece sono stati enucleati atteggiamenti, comportamenti, credenze, situazioni od azioni che possono porre un individuo, un gruppo, un'organizzazione o comunità in una condizione di rischio rispetto al consumo e/o abuso di alcol e altre sostanze e ai problemi ad essi correlati. Va comunque considerato che un fattore di rischio non porta necessariamente al consumo di sostanze, e sembra piuttosto che esso sia determinato dalla compresenza di più fattori. Inoltre, nonostante la numerosità di studi in questo campo, non vi è ancora una chiara distinzione fra quali siano i fattori di rischio e di protezione associati ai diversi stili di consumo (quali l’uso sperimentale e ricreativo, l’abuso e la dipendenza), ed al diverso tipo di sostanza consumata. Altro elemento particolarmente significativo che va considerato in questa sede è il potere del con trobilanciamento dei fattori di protezione rispetto a quelli di rischio. Ad esempio, nel decimo rapporto speciale dell’U.S. Department of Health and Human Services (2000) vengono identificate specifiche caratteristiche personali rilevate in età precoce, quali la presenza d’iperattività, un basso span attentivo ed un’elevata emotività, che possono essere considerati fattori di rischio per lo sviluppo di problemi alcol-correlati durante l'adolescenza e di alcolismo in età adulta (Tarter & Vanyukov, 1994). Tali fattori di rischio possono portare alla manifestazione del suddetto comportamento, laddove esista anche un rinforzo familiare e gruppale dello stesso. Come già detto, quest’interrelazione viene inoltre influenzata, nel corso della vita dell'individuo, da una serie di processi cognitivi, motivazionali ed esperienziali, tali da non permettere la definizione di una causalità lineare fra i fattori di rischio ed il comportamento. Dall’esempio sopra riportato si evince quanto possano essere rilevanti alcuni fattori di rischio presenti sin dall’età precoce e che necessariamente fanno riferimento all’ambito familiare. Per tale motivo, di seguito forniremo una sintesi dei diversi fattori di rischio e di protezione identificati in quest’ambito. Si tratta nello specifico di fattori che coinvolgono prevalentemente i genitori e secondariamente l’intero contesto familiare. In particolare, alcuni studi hanno dimostrato, come la presenza di genitori con problemi di abuso o dipendenza da sostanze ponga il figlio in una condizione di alto rischio per l’abuso di sostanze, rischio che risulta essere genetico, psicologico e sociale (Bry, 1994; Dumka et al, 1995; Johnson e Montgomery, 1989; Merikangas, Dieker e Fenton, 1998; Van Hasselt et al., 1993). Oltre alle ricerche sui fattori genetici, molte sono comunque quelle condotte sui fattori familiariambientali, poiché risulta essere estremamente difficile distinguere il ruolo dell’ereditarietà da quello dell’ambiente. In tal senso le ricerche hanno già da tempo messo in luce importanti fattori di rischio che riguardano la famiglia: l’uso di alcol, tabacco ed altre sostanze da parte di genitori e fratelli, la presenza di un atteggiamento positivo da parte della famiglia nei confronti del consumo, la mancanza di attaccamento alle figure genitoriali da parte del ragazzo, la presenza di abuso psicologico o fisico verso lo stesso ed un’inadeguata gestione familiare da parte dei genitori (Hawkins et al, 1992). Di particolare interesse è la proposta di suddividere i fattori di rischio in due categorie riguardanti il contesto familiare: una altamente specifica per il consumo di sostanze ed una più generale, non specifica (Merikangas et al., 1998). La prima categoria include l’esposizione alle sostanze in fase prenatale (Duncan et al., 1995), la presenza di modelli familiari che consumano od abusano di sostanze o che ricorrono alle stesse come meccanismo di coping (Patterson, 1986) ed, infine, l’accettazione dell’abuso di sostanze da parte dei genitori, fattore che può incrementare la disponibilità in casa delle sostanze stesse (Barnes & Welte, 1986; Brook et al., 1986). Vengono, invece, considerati fattori non specifici una famiglia caratterizzata da legami instabili o fratture, la presenza di disaccordo o conflitti fra i genitori, l’esposizione ad alti livelli di stress acuto o cronico, la presenza di psicopatologia in famiglia, situazioni di abuso fisico, sessuale ed emotivo e deprivazione sociale. I fattori protettivi includono, come abbiamo già detto, un forte legame tra il ragazzo e la famiglia, le capacità di monitoraggio e supervisione da parte dei genitori ed il supporto emotivo verso il ragazzo e le due difficoltà (Ge et al., 1996; Hawkins et al., 1992). Ad esempio, già gli studi longitudinali e trasversali condotti da Dishion et al. (1988) avevano dimostrato l’importanza della famiglia come ambito centrale per gli interventi preventivi, in quanto incrementare nei genitori la manifestazione di comportamenti che hanno una funzione protettiva, può avere una ricaduta positiva sul figlio. Inoltre, questi Autori avevano dimostrato che le abilità genitoriali necessarie a contrastare i fattori di rischio possono essere apprese, permettendo in questo modo di prevenire la comparsa precoce di uso di sostanze nei propri figli. Il ruolo della famiglia risulta particolarmente importante in adolescenza, momento della vita nel quale avvengono i primi contatti con le sostanze. È stato infatti rilevato come il rischio associato alla presenza di pari che consumano sostanze possa essere compensato da un’adeguata relazione con i propri familiari (Brook et al., 1990). Negli ultimi decenni anche alcuni ricercatori italiani hanno studiato questi fenomeni attuando ricerche retrospettive sull’insieme di variabili che diversificano gruppi di consumatori dipendenti da gruppi di non consumatori o di consumatori saltuari, estrapolando così una serie di fattori di rischio associati alla sperimentazione, all’iniziazione e alla stabilizzazione del consumo di sostanze psicoattive (Ravenna, 1993, 1997a, 1997b, 1998, 2001; Bonino, 1998a, 1998b e 1999; Bonino e Cattelino, 1998; Borca, Ciairano e Bonino, 2001). Tali autori confermano che nel primo contatto con la droga giocano un ruolo importante le influenze interpersonali esercitate dai familiari e dai coetanei. Gli atteggiamenti positivi e tolleranti verso il consumo da parte di genitori, fratelli e coetanei influenzano l’opinione che l’adolescente elabora nei confronti della droga stessa. Anche lo stile educativo adottato dai genitori, sia quello di tipo lassista-permissivo che quello autoritario, e le relazioni intrafamiliari (rapporto genitori-figli e di coppia), influenzano non solo lo sviluppo psico-sociale dell’adolescente, ma anche il suo stile di vita rispetto ai comportamenti a rischio. Inoltre, hanno un ruolo rilevante anche i fattori situazionali come la disponibilità e l’accessibilità della droga, gli eventi di vita 47 FATTORI DI RISCHIO E DI PROTEZIONE NELL’AMBITO SCOLASTICO (CSAP, 2000): - Gli studi condotti relativi al dominio della scuola evidenziano come un profilo ad alto rischio composto da scarsa performance scolastica, assenteismo, precoce abbandono scolastico e segnalazioni di quest’ultimo da parte del personale della scuola, predicono una futura inadempienza dell’obbligo scolastico, abbandono scolastico e coinvolgimento con le sostanze (Herting, 1990). Uno studio ha dimostrato che al contrario un notevole rendimento scolastico riduce la probabilità di consumo frequente di sostanze fra gli studenti frequentanti il nono grado della scuola superiore (in Italia la prima superiore) (Hundleby & Mercer, 1987). - Una scarsa performance nel percorso educativo è spesso la risultante di un processo di disinvestimento fra il bambino e la scuola, come evidenziato da numerosi studi (Eggert, Thompson, Herting, Nicholas, & Dicker, 1994; Maguin & Loeber, 1996; Reiff, 1998; Shannon, James, & Gansneder, 1993). I risultati emersi da una ricerca condotta a livello americano su studenti frequentanti la scuola superiore indicano che il consumo di sostanze è significativamente più basso fra gli studenti che pianificano di andare all’università, piuttosto che in quelli che non hanno quest’intenzione. Il grado di attaccamento alla scuola predice inoltre la successiva varietà e frequenza di consumo di sostanze in ragazzi e ragazze bianchi di colore (Gottfredson & Gottfredson, 1992; Gottfredson & Koper, 1996). - Numerose indagini hanno dimostrato che la presenza di un forte legame con la scuola protegge dall’abuso di sostanze e da altri comportamenti a rischio (Resnick et al., 1997). - Almeno uno studio ha dimostrato che un clima scolastico negativo, caotico e pericoloso può contribuire ad incrementare la manifestazione di comportamenti problematici fra gli studenti (Hawkins, Catalano, Morrison, O’Donnell, Abbott, & Day, 1992). - I dati evidenziano come l’esistenza di un grave ritardo fra l’età cronologica dello studente ed il suo livello scolastico, lo ponga in una situazione di rischio per l’abuso di sostanze (Dembo, Schmeidler, NiniGough, & Manning, 1998). I giovani frequentanti le “alternative high school”, cioè scuole superiori per studenti problematici, fanno maggior uso di tutte le sostanze rispetto agli studenti frequentanti una “normale” scuola superiore (Grunbaum et al., 1999). I dati evidenziano inoltre che gli studenti che frequentano scuole private, rispetto a quelli che frequentano le scuole pubbliche, riportano maggior consumo di alcol, guida associata ad alcol, consumo di tabacco e marijuana ed attività sessuale associata al consumo (Va l o i s , Thatcher, Drane, & Reininger, 1997). particolarmente stressanti e di disagio, le pressioni culturali rispetto all’uso di sostanze. Per quanto riguarda i fattori personali i tratti favorenti l’iniziazione sono l’impulsività, l’indipendenza, la ribellione, la tolleranza verso la trasgressione, un orientamento prevalente verso i pari ed il presente, la presenza di stati emozionali negativi (sentimenti di sfiducia, inadeguatezza, ansia e scarsa autostima), la ricerca di forti emozioni, un repertorio limitato ed inefficace di competenze sociali e di strategie relazionali e comunicative, l’adozione di comportamenti problematici precoci, la presenza di atteggiamenti e credenze positive verso l’uso, la sottovalutazione dei rischi connessi all’uso, le aspettative ed i significati positivi attribuiti alle droghe, un uso precoce di alcol e tabacco. I fattori sociodemografici importanti associati all’iniziazione sono il sesso maschile e l’età compresa tra i 15 ed i 18 anni, anche se da più parti si segnalano delle modificazioni di genere (Ravenna, 1993; 1997b e 2001). 48 Si propone di seguito una recente sintesi dei fattori di rischio e di protezione per l’uso ed abuso di sostanze riportata dal CSAP (2000a). Tali fattori sono frutto di un’analisi della letteratura e riguardano sette specifici domini: l’individuo, la famiglia, i pari, la comunità, l’ambiente, il luogo di lavoro e la scuola. Riportiamo in questa sede solo quelli relativi a quest’ultimo dominio. Di fronte al complesso campo della prevenzione delle dipendenze basata sui fattori di rischio e di protezione, ci sembrano interessanti alcune indicazioni proposte da un autore spagnolo (Moncada, 1997): = esistono fattori associati al consumo di sostanze ed altri associati al non consumo; = questi fattori sono stati classificati in letteratura in fattori che riguardano l’individuo e le sue relazioni (intrapersonali ed interpersonali), e fattori ambientali o del contesto; = una maggiore concentrazione di fattori rende maggiore il rischio o la protezione; = esistono differenti fattori di rischio per le diverse sostanze; = alcuni fattori di rischio hanno un'influenza costante, mentre altri hanno una maggiore importanza in età specifiche (ad esempio la pressione di gruppo durante l’adolescenza); = in base agli strumenti di misura ed agli indicatori che si utilizzano si evidenzia una maggiore o minore correlazione fra i fattori di rischio e l'uso di sostanze; = vi sono dei fattori che sono causa indiretta del comportamento a rischio, il cui effetto è mediato dalla presenza di fattori di rischio direttamente correlati allo stesso; = sono stati evidenziati fattori di rischio e protezione comuni ad una gran quantità di condotte problematiche o disadattive, come le gravidanze non desiderate, il fallimento scolastico, la violenza, la delinquenza giovanile; alcune di queste predicono anche l'uso problematico di sostanze. 3.4 Verso un approccio basato sulle evidenze Alla luce della complessità finora evidenziata risulta utile riportare i dieci criteri generali del Center for Substance Abuse Prevention (CSAP) del SAHMSA (1997). Questi esplicitano le condizioni necessarie al fine di incrementare la probabilità di selezionare ed implementare interventi efficaci, e quindi ben progettati e ben valutati, di prevenzione. Questi dieci criteri prevedono che l’intervento debba: - essere caratterizzato da obiettivi chiari e realistici (i risultati che si vogliono ottenere sono stati identificati in modo chiaro e realistico?); - essere basato su di un modello concettuale di riferimento supportato da evidenza empirica (esi ste evidenza scientifica che permetta di confrontare i risultati dell’intervento effettuato con quan to presente in letteratura e di confermarne quindi l’efficacia?); - avere una correttezza concettuale (esiste una spiegazione plausibile che correli l’intervento pre ventivo implementato ed i risultati ottenuti?); - incoraggiare la partecipazione delle organizzazioni e dei soggetti chiave e la loro integrazione (l’in tervento preventivo coinvolge nella pianificazione ed implementazione i soggetti e le organizza zioni chiave? Il disegno dell’intervento considera adeguatamente la complessità del sistema e l’in terdipendenza degli elementi coinvolti?); - utilizzare le risorse in modo sinergico ed adeguato (sono state considerate le risorse disponibili a cui può far riferimento l’intervento di prevenzione?); - riservare particolare attenzione alla definizione di tempi, intensità e durata proprie dell’intervento (sono stati definiti in termine di efficacia tempi, intensità e durata dell’intervento?); - garantire la qualità delle sue azioni (viene riservata particolare attenzione ad ogni componente dell’implementazione dell’intervento, in modo da garantirne la qualità?); - attuare la valutazione del processo e dei risultati (viene valutata l’efficacia dell’intervento attraver so un’adeguata valutazione di processo e di risultati?). Nonostante la rilevanza di ogni singolo punto sopra enucleato, è importante precisare che la presenza di solo alcuni di questi criteri non garantisce la pianificazione e l'implementazione di un intervento di prevenzione efficace, in quanto è il ricorso all’insieme di questi punti che soddisfa tale obiettivo. Tutte le fonti consultate, nazionali ed internazionali, raccomandano, quindi, che nei programmi di prevenzione ci sia massima coerenza fra obiettivi, modelli teorici di riferimento ed indicatori utilizzati per la valutazione, nonché tra questi tre elementi e le attività che si mettono in atto (Orlandini, Nardelli e Bottignolo, 2002). Riteniamo, quindi, utile riportare alcuni principi generali, scientificamente comprovati e definibili come efficaci per l’ambito specifico della prevenzione delle dipendenze, che sono stati messi a punto dal NIDA (2001). Alla luce di quest’ultimi i programmi di prevenzione dovrebbero: 1. mirare alla prevenzione dell’abuso di tutte le sostanze, incluse il tabacco, l’alcol, la marijuana e gli inalanti; 2. includere le abilità di rifiuto delle sostanze, rafforzare l’impegno personale contro il consumo delle stesse e incrementare la competenza sociale (ad esempio la comunicazione, le relazioni con i pari, l’autoefficacia e l’assertività); contemporaneamente risulta necessario rinforzare gli atteggiamenti contro il consumo; 3. utilizzare per gli adolescenti metodologie interattive, come ad esempio la discussione in gruppo, piuttosto che tecniche didattiche di apprendimento; 49 4. comprendere specifiche attività destinate ai genitori al fine di rinforzare nei ragazzi l’apprendimento, relativo ad esempio alle informazioni sulle sostanze e ad i loro effetti negativi, e al fine di creare opportunità di discussione in famiglia sul consumo di sostanze legali ed illegali, e sulle linee di condotta della famiglia inerenti il consumo; 5. essere a lungo termine e offrire la possibilità di rinforzare gli obiettivi originariamente preposti attraverso sessioni supplementari di intervento. Ad esempio, un intervento diretto a studenti di scuola elementare e media inferiore, dovrebbe includere sessioni da implementare al momento del passaggio dalla scuola media inferiore a quella superiore; 6. indirizzati all’intera famiglia in quanto sono maggiormente efficaci di quelli che si focalizzano esclusivamente sui genitori o sui ragazzi; 7. includere campagne dei media e cambiamenti di politiche sociali (ad esempio nuove strategie di regolazione che limitino l’accesso all’alcol, al tabacco od ad altre sostanze) associate con interventi in ambito scolastico e familiare in quando sono maggiormente efficaci; 8. rafforzare in ambito comunitario le norme contro il consumo di sostanze in tutti gli ambiti preventivi, inclusi quelli familiare e scolastico; 9. raggiungere a scuola tutti i ragazzi, in particolar modo quelli a rischio per l’abuso di sostanze, come ad esempio ragazzi con problemi comportamentali o difficoltà d’apprendimento e quelli a potenziale rischio di abbandono scolastico; 10. essere specifici per l’abuso di sostanze ed adattarsi alla comunità locale; 11. considerare che più alto è il livello di rischio nella popolazione target, più intensivo e precoce deve essere lo sforzo preventivo attuato; 12. essere specifici in base all’età del target cui si riferiscono ed appropriati al livello di sviluppo e a quello culturale dei destinatari; 13. considerare anche il cost- beneficio; ad esempio, si calcola che, in America, per ogni dollaro speso per la prevenzione dell’uso di sostanze, le comunità risparmiano da 4 a 5 dollari in costi di trattamento; 14. mirare all’incremento dei fattori protettivi ed alla riduzione dei fattori di rischio. Per concludere, si riporta la sintetica lista di principi scientificamente difendibili e comprovati messa a punto dal CSAP del SAMHSA (2001) utili per strutturare programmi di prevenzione delle dipendenze efficaci. Questi principi sono organizzati in sei domini, cioè sei specifiche aree di interesse (individuo, famiglia, pari, scuola, comunità e società). In particolare, si riporta la lista di indicazioni “science-based” in merito all’ambito scolastico e a quello familiare, in quanto di specifico interesse per questa pubblicazione. 50 Dominio della scuola: S-1. Interventi che mirano a fornire unicamente informazioni sulle conseguenze negative dell’uso di sostanze sono considerati una strategia preventiva poco efficace, in quanto non in grado di produrre significativi cambiamenti misurabili nel comportamento e negli atteggiamenti relativi al consumo (Tobler, 1986). S-2. Gli interventi atti a modificare le errate opinioni esistenti relativamente alla prevalenza dell’uso di sostanze risultano modificare gli atteggiamenti verso il consumo delle stesse (Errecart et al., 1991; Hansen & Graham, 1991) e risultano maggiormente efficaci quando combinati con approcci educativi, quali ad esempio l’incremento delle abilità sociali (Shope, Kloska, Dielman, & Maharg, 1994). S-3. Gli interventi condotti dai pari risultano essere maggiormente efficaci di quelli condotti solo dagli adulti, o nello specifico, solo dagli insegnanti (St. Pierre, Kaltreider, Mark & Aitkin, 1992; Tobler, 1986, 1992). S-4. Utilizzare approcci interattivi permette agli studenti di mettere in pratica le abilità acquisite e di sentirsi maggiormente coinvolti negli interventi di prevenzione (Botvin et al., 1994, 1995; Brounstein & Zweig, 1996; Komro et al., 1996; Walter et al., 1989; Williams & Perry, 1998). S-5. Utilizzare sessioni supplementari di intervento permette di rinforzare e mantenere nel tempo le abilità acquisite (Botvin, 1994, 1995). S-6. Coinvolgere i genitori negli interventi attuati in ambito scolastico (Dent et al., 1995; Dishion et al., 1996; Kumpfer et al., 1996; Pentz, 1989; Walter et al.,1989). S-7. Le politiche scolastiche debbono chiaramente esprimere il loro impegno nella prevenzione delle dipendenze e debbono coinvolgere non solo gli studenti, ma anche il corpo scolastico docente e non docente (Paglia & Room, 1998). Dominio della Famiglia: F-1. Rivolgere l’intervento all’intera famiglia, cioè sia ai genitori che ai figli (Dent et al., 1995; Dishion, Andrews, Kavanagh & Soberman, 1996; Hawkins et al., 1992; Kumpfer et al., 1996; Pentz et al., 1989; Walter, Vaughn & Wynder, 1989). F-2. Facilitare lo sviluppo di relazioni all'interno del gruppo dei genitori e rispondere ai loro bisogni personali può promuovere la loro partecipazione al programma (Cohen et Linton, 1995; Resnik et Wojcicki, 1991; Kumpfer & Alvarado, 1995). F-3. Considerare la presenza di particolari problematiche culturali e razziali nelle famiglie appartenenti ad una minoranza, quali ad esempio l’influenza della religione, la presenza di differenze linguistiche e lo status socio-economico (Kumpfer & Alvarado, 1995; Kumpfer et al., 1997; Szapocznik et al., 1997). F-4. Focalizzare l’intervento non solo nel dare informazioni sulle funzioni genitoriali, ma anche promuovere nei genitori stessi lo sviluppo di specifiche abilità (Bry & Canby, 1986; Kumpfer et al., 1996; Szapocznik et al., 1988). F-5. Enfatizzare i legami familiari (Dishion & McMahon, 1998; Szapocznik et al., 1988). F-6. Offrire sessioni di intervento dove i genitori ed i figli possano apprendere specifiche abilità ed esercitarle (Brounstein et al., 1996; DeMarsh & Kumpfer, 1986; Dishion & McMahon, 1998; Kumpfer & Baxley, 1997). F-7. Migliorare le capacità di ascolto e di relazione dei genitori (Brounstein & Zweig, 1996; Kumpfer et al., 1997). F-8. Promuovere nei genitori l'utilizzo di positive e costanti tecniche di disciplina e il monitoraggio del comportamento dei propri figli (DeMarsh & Kumpfer, 1986). F-9. Utilizzare tecniche attive di apprendimento può incrementare lo sviluppo di nuove abilità al fine di migliorare la comunicazione in famiglia (Dishion & McMahon, 1998; Patterson & Chamberlain, 1994; Szapocznik et al., 1988; Webster-Stratton & Herbert, 1993). F-10. Adottare strategie ed incentivi per superare le resistenza dei genitori ai programmi di prevenzione (Kumpfer & Alvarado, 1995). F-11. Un intervento supportivo di almeno 12 sessioni di counseling può migliorare il comportamento e le capacità dei genitori che fanno uso di sostanze e può decrementare il loro livello di consumo e quello dei propri figli (Bry, 1994; Kumpfer et al., 1996; Olds, 1997). F-12. Migliorare il funzionamento familiare attraverso la terapia familiare quando indicato (DeMarsh & Kumpfer, 1986; Kumpfer et al.,1996). F-13. Identificare luoghi alternativi all’ambiente scolastico, quali ad esempio centri ricreativi e religiosi, al fine di garantire la partecipazione dell’intera famiglia all’intervento (Johnson et al., 1996; Kumpfer et al., 1996). F-14. L’utilizzo di video durante le attività di prevenzione può essere uno strumento efficace nell’apprendimento di abilità da parte dei genitori (Webster-Stratton, 1990; Webster-Stratton & Herbert, 1993). Questo capitolo rappresenta un tentativo di fornire una sintetica panoramica degli aspetti teorici a cui è doveroso fare riferimento quando si progetta un intervento di prevenzione nel campo delle dipendenze. Pur non fornendo una rassegna esaustiva dei diversi approcci che nell’arco di quarant’anni si sono sviluppati e moltiplicati, si ritiene importante aver ribadito la grande opportunità offerta dallo studio dei fattori di rischio e di protezione e dai risultati ottenuti dalla prevenzione basata sulle evidenze. 51 Bibliografia 52 Amerio, P. (1995). Fondamenti teorici di psicologia sociale. Bologna: Il Mulino. Andreoli, V. (2000). Le campagne antidroga. ADD Periodico di documentazione scientifica sui comportamenti di abuso, N. 1. Bandura, A. (1977). Social learning theory. Englewood Cliffs-New York: Prentice Hall. Bandura, A. (1997). Self-efficacy. The exercise of control. New York: Freeman. Barbarenalli, C., Regalia, C., & Pastorelli, C. (1998). 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È stato, infatti, più volte evidenziato come il clima scolastico ed il coinvolgimento delle figure significative che fanno parte della scuola siano fattori fondamentali, al pari di un’adeguata relazione e presenza di adeguate modalità di comunicazione. In effetti, in un ambito scolastico all’interno del quale emergono relazioni interpersonali inadeguate e si riscontra un’atmosfera sociale inadeguata, è difficile realizzare un qualsiasi tipo di intervento preventivo efficace. MacBeath et al. (A.A.V.V., 2002) hanno identificato 11 fattori che definiscono una scuola efficace all’interno della quale, quindi, è possibile implementare un programma di prevenzione efficace: 1) Presenza di una leadership professionale: - le scuole vengono gestite in modo adeguato e particolare attenzione viene posta ai bisogni ed ai problemi avanzati da chi si occupa di prevenzione - le politiche scolastiche contengono linee guida e regole chiare in merito alle sostanze psicoattive - tali regole sono fatte rispettare da chi gestisce la scuola - la scuola ha fiducia in sé - la scuola ha un piano d’azione nei riguardi degli incidenti droga-correlati - gli obiettivi identificati sono realistici Unità Operativa Prevenzione Dipendenze – Dipartimento delle Dipendenze dell’Azienda ULSS 12 Veneziana 21 57 - il modo nel quale la scuola viene gestita facilita i processi educativi e riserva adeguate risorse per la prevenzione (tempo, persone, coinvolgimento). 2) Presenza di idee e obiettivi condivisi: - la scuola sostiene ed accetta gli obiettivi della prevenzione - non esiste ambiguità nei messaggi preventivi (ad esempio, gli insegnanti non fumano all’interno della scuola). 3) Ambiente che facilita l’apprendimento: - l’atmosfera sociale è positiva e salutare - i metodi di insegnamento sono moderni ed interattivi. 4) Attenzione all’apprendimento e all’insegnamento: - i processi educativi sono al centro delle attività scolastiche - la disparità fra ciò che gli studenti apprendono e ciò che gli insegnanti insegnano viene ridotta al minimo; gli insegnanti prendono in considerazione le percezioni dei loro studenti riguardo le sostanze psicoattive e la loro prevenzione. 5) Aspettative: - gli insegnanti mirano a coinvolgere con successo tutti gli studenti, senza eccezione; non esistono studenti di “seconda categoria”. 6)Rinforzo positivo: - esiste un approccio positivo verso gli studenti e le loro caratteristiche (approccio orientato alla soluzione dei problemi) - le relazioni sono positive e c’è rispetto reciproco. 7) Monitoraggio dei progressi: - vi è monitoraggio dell’impatto degli effetti della prevenzione - all’interno del programma di prevenzione implementato a scuola sono definiti degli obiettivi misurabili. 8) Diritti e responsabilità degli studenti: - vi è partecipazione nelle decisioni riguardanti le attività scolastiche giorno dopo giorno - c’è coinvolgimento dei pari - viene data importanza degli studenti - vi è valorizzazione del comportamento responsabile. 9) Insegnamento per obiettivi: - gli insegnanti sono motivati, formati e professionali - gli insegnanti sono chiari in merito agli obiettivi che gli studenti devono raggiungere. 10) Organizzazione basata sull’apprendimento: - la scuola impara dagli errori e dagli eventi che accadono e che hanno a che fare con le sostanze psicoattive - la scuola considera importanti i nuovi trend, come si modificano le opinioni ed i punti di vista riguardo le sostanze psicoattive ed il loro consumo nella società. 11) Partnership scuola-famiglia: - il coinvolgimento familiare è importante all’interno di un approccio preventivo complessivo. 58 Ciò nonostante, nel corso degli anni è apparso sempre più evidente come, al fine di garantire l’efficacia di un intervento preventivo, sia necessaria la presenza di altri elementi significativi che, pur non riguardando direttamente l’intervento ma bensì i cosiddetti “aspetti di cornice”, risultano essere di fondamentale importanza. Per “aspetti di cornice” si intendono le politiche che dipartono a cascata dal livello europeo per declinarsi nel livello nazionale e, di conseguenza, regionale e locale. Assunto imprescindibile è, comunque, quello che per poter sviluppare interventi di prevenzione a livello locale e regionale è sempre necessaria una politica di sostegno a livello nazionale, che possa fungere da punto di riferimento e coordinare quanto presente nei diversi territori. L’esistenza di politiche scolastiche adeguate a riguardo del consumo di sostanze psicoattive e della sua prevenzione è, quindi, un aspetto di grande importanza quando si prende in considerazione l’efficacia degli interventi preventivi svolti in ambito scolastico. Un esempio dove emerge chiaramente tale importanza riguarda il fumo di tabacco. Pentz et al. (1989) hanno, infatti, rilevato come la presenza di politiche scolastiche che pongono in particolare rilievo lo smettere di fumare e la prevenzione al fumo raccoglie effetti positivi, mentre non risultano avere alcun effetto le misure di tipo punitivo. Un altro esempio interessante arriva dal contesto australiano, dove Munro & Midford (2001) rilevano come l’adozione di politiche di non tolleranza all’interno delle scuole conduca ad un trattamento punitivo nei confronti degli sperimentatori di sostanze, ma non ottenga nessun risultato positivo in termine di riduzione del consumo. Tornando alla realtà che più tocca da vicino gli operatori italiani, è indubbio che, nell’operatività, vi sia un concatenarsi di effetti dovuti a scelte politiche effettuate prima a livello europeo, poi a livello nazionale ed, infine, a livello locale e territoriale. Relativamente a questi livelli, in questa pubblicaCarta Europea sull’Alcol Conferenza Europea sulla Salute, la Società e l’Alcol Parigi, 12-14 dicembre 1995 Principi Etici e Obiettivi A sostegno del progressivo sviluppo del Piano d’Azione Europeo sull’Alcol, la Conferenza di Parigi invi ta tutti gli Stati membri a promuovere politiche globali sull’alcol e ad attuare programmi che esprimano, conformemente alle esigenze dei contesti economico-giuridici e socio-culturali dei diversi Paesi, i seguenti principi etici ed i seguenti obiettivi, tenendo conto del fatto che questo documento non conferi sce diritti legali. Tutti hanno diritto ad una famiglia, ad una comunità e ad un ambiente di lavoro protetti da incidenti, vio lenza ed altri effetti dannosi che possono derivare dal consumo di bevande alcoliche. Tutti hanno diritto a ricevere, fin dalla prima infanzia, un’informazione ed un’educazione valida ed impar ziale sugli effetti che il consumo di bevande alcoliche ha sulla salute, la famiglia e la società. Tutti i bambini e gli adolescenti hanno il diritto di crescere in un ambiente protetto dagli effetti negativi che possono derivare dal consumo di bevande alcoliche e, per quanto possibile, dalla pubblicità di que ste. Tutti coloro che assumono bevande alcoliche secondo modalità dannose o a rischio, nonché i membri delle loro famiglie, hanno diritto a trattamenti e cure accessibili. Tutti coloro che non desiderano consumare bevande alcoliche o che non possono farlo per motivi di salu te o altro hanno il diritto ad essere salvaguardati da pressioni al bere e sostenuti nel loro comportamen to di non consumo. Dieci strategie per un’azione sull’alcol Le ricerche ed il successo degli interventi in diversi Paesi hanno dimostrato che si possono ottenere benefici a livello sanitario ed economico in tutta la regione europea qualora vengano implementate le seguenti dieci strategie per la promozione della salute nell’ambito di un’azione sull’alcol, al fine di ren dere effettivi i principi e gli obiettivi prima elencati, nel rispetto delle differenze culturali e dei diversi con testi politici, sociali ed economici di ogni Stato membro: 1. Informare le persone sugli effetti che il consumo di bevande alcoliche può avere sulla famiglia e la società e delle misure efficaci che si possono prendere per prevenire o ridurne i possibili danni, realiz zando, a partire dalla prima infanzia, programmi educativi di vasta portata. 2. Promuovere ambienti pubblici, privati e di lavoro, protetti da incidenti, violenza e altre conseguenze negative dovute al consumo di bevande alcoliche. 3. Emanare ed applicare leggi che scoraggino efficacemente dal mettersi alla guida dopo aver consu mato bevande alcoliche. 4. Promuovere la salute attraverso il controllo della disponibilità di bevande alcoliche, ad esempio in rela zione alla popolazione giovanile, e attraverso interventi sui prezzi delle stesse, ad esempio tramite la tas sazione. 5. Attuare severe misure di controllo, tenendo conto dei limiti o dei divieti esistenti in alcuni Paesi sulla pubblicità, diretta o indiretta, di bevande alcoliche e assicurare che nessuna forma di pubblicità sia spe cificamente diretta ai giovani (ad esempio, collegando l’assunzione di alcol con eventi sportivi). 59 6. Assicurare l’accesso e la disponibilità di efficaci servizi di trattamento e riabilitazione, con personale opportunamente formato, alle persone con consumi a rischio o dannosi ed alle loro famiglie. 7. Incoraggiare un maggiore senso di responsabilità etica e giuridica tra coloro che operano nel settore del marketing e del commercio di bevande alcoliche; incentivare severi controlli sulla qualità e la sicu rezza del prodotto ed attuare norme appropriate contro la produzione e le vendite illegali. 8. Accrescere la capacità della società di occuparsi delle problematiche correlate con l’alcol, attraverso la formazione degli operatori dei vari settori coinvolti, quali quello sanitario, sociale, educativo e giudi ziario, rinforzando e sviluppando il ruolo centrale della comunità. 9. Sostenere le organizzazioni non governative ed i gruppi di auto-aiuto che promuovono stili di vita sani, in particolare coloro che operano nell’ambito della prevenzione e della riduzione dei danni alcol-correlati. 10. Formulare negli Stati membri programmi di ampia portata, che tengano conto di questa Carta euro pea sull’alcol; definire chiaramente obiettivi ed indicatori di risultato; monitorare i progressi e assicurare l’aggiornamento periodico dei programmi basati sulla valutazione. www.who.org www.dfc.unifi.it/sia/ zione, non saranno trattati gli aspetti prettamente legislativi, bensì quegli elementi che sostengono l’operatività in ambito scolastico ed hanno su di essa una ricaduta diretta. Sul piano europeo, storicamente, un punto di partenza lo si può ritrovare nella Carta Europea sull’Alcol, messa a punto all’interno della Conferenza Europea sulla Salute, la Società e l’Alcol, tenutasi a Parigi nel dicembre del 1995 ed organizzata dal Regional Office of Europe dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS - www.who.org). Tale documento identifica cinque principi etici/obiettivi e dieci strategie per la promozione della salute nell’ambito di un’azione sull’alcol. Le strategie individuate dovrebbero rendere effettivi i principi e gli obiettivi, nel rispetto delle differenze culturali e dei diversi contesti politici, sociali ed economici degli Stati membri che l’hanno sottoscritta. In questo documento si sottolinea il diritto di tutti ad una famiglia, ad una comunità e ad un ambiente di lavoro protetti da incidenti, violenza, ed altri effetti dannosi derivanti dal consumo di bevande alcoliche nonché il diritto di tutti a ricevere, fin dalla prima infanzia, un’informazione ed un’educazione valida ed imparziale sugli effetti che il consumo di bevande alcoliche ha sulla salute, sulla famiglia e sulla società. In termini di strategie, indica come sia importante l’informazione delle persone sugli effetti che il consumo di bevande può avere su famiglia e società e come, per prevenire e ridurre possibili danni, siano necessari programmi educativi di vasta portata. 60 Partendo da queste riflessioni e riprendendo le 10 strategie prima identificate, più recentemente l’OMS ha messo a punto il Piano d’Azione Europeo sull’Alcol 2000-2005. Il Piano indica ciò che dovrebbe essere realizzato (i risultati) e come lo si può realizzare (le azioni); ogni Stato membro deve, poi, pensare a come realizzare concretamente le azioni. Alcuni obiettivi generali di questo Piano, aventi in parte a che fare con il contesto scolastico, sono: = suscitare una maggiore consapevolezza, fornire strumenti educativi e costruire supporti a favore di politiche di sanità pubblica che abbiano il compito di prevenire i danni causati dall’alcol; = ridurre i rischi di problemi alcol-correlati che possono verificarsi a casa, sul luogo di lavoro, nella comunità, ecc.; = esercitare una maggiore protezione dalle pressioni del bere rivolte a bambini, giovani e a coloro che scelgono di non bere. Alcuni risultati indicati da questo Piano sono: - sviluppare una consapevolezza pubblica del danno causato dall’alcol o dalle sue conseguenze su salute e benessere di individuo, comunità e famiglia; - creare sostegno nei confronti di politiche di sanità pubblica in linea con il Piano; - fare in modo che i bambini ed i giovani abbiano le abilità necessarie per fare scelte sane e per essere sicuri delle proprie capacità di sopportare le pressioni a bere in età minorile. Le azioni raccomandate per raggiungere tali obiettivi comprendono: - fornire informazioni sui danni attraverso l’educazione pubblica ed i mass media; - organizzare campagne con i mass media per promuovere il supporto pubblico nei confronti delle Dichiarazione su giovani e alcol – Stoccolma 21 febbraio 2001 Obiettivi perseguibili entro l’anno 2006: 1. Ridurre in maniera rilevante il numero dei giovani che iniziano a consumare alcol; 2. Ritardare l’età in cui i giovani cominciano a consumare alcol; 3. Ridurre in maniera rilevante le occasioni e la frequenza del consumo ad alto rischio da parte dei gio vani, specialmente degli adolescenti e dei giovani adulti; 4. Proporre e/o sviluppare delle alternative significative al consumo di alcol e di altre sostanze, e miglio rare la formazione teorica e pratica di quanti lavorano a contatto con i giovani; 5. Incrementare il livello di coinvolgimento dei giovani nella definizione delle politiche giovanili legate alla salute, in particolare per le questioni che riguardano l’alcol; 6. Aumentare l’educazione dei giovani sull’alcol; 7. Ridurre al minimo le pressioni esercitare sui giovani per incitarli al consumo, specialmente quelle deri vanti dalle promozioni, distribuzioni gratuite, pubblicità, sponsorizzazioni e disponibilità relativi all’alcol, con particolare attenzione alle manifestazioni; 8. Sostenere le azioni contro la vendita illegale di alcol; 9. Garantire e/o migliorare l’accesso ai servizi sanitari e di counseling, specialmente per i giovani con problemi alcol correlati e/o i genitori o i membri della famiglia alcoldipendenti; 10. Ridurre in modo significativo i danni alcolcorrelati, in particolar modo gli incidenti, le aggressioni e gli atti di violenza, soprattutto quelli che riguardano i giovani. www.who.org www.dfc.unifi.it/sia/ politiche esistenti o nuove; - dare a tutti i giovani l’opportunità di sperimentare un tipo di apprendimento basato sulle proprie abilità attraverso un programma di educazione alla salute; - fare in modo che l’educazione sull’alcol a scuola, dalle materne in avanti, sia integrata nel concetto di scuola che promuove la salute e anche nelle forme aggregative della comunità locale che lavorano nella prevenzione. Sempre partendo dalla Carta Europea sull’Alcol e dal Piano d’Azione Europeo sull’Alcol 2000-2005, e rivolgendosi esclusivamente ad un target giovane, l’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS nel 2001, a Stoccolma, ha stilato la Dichiarazione su Giovani e Alcol. In particolare, questa dichiarazione propone obiettivi ad hoc per i giovani nonché strategie specifiche per perseguirli; l’intervento con i più giovani, in tutti gli ambiti di vita degli stessi, è visto in termini di investimento per il futuro e finalizzato a garantire loro qualità della vita ed un futuro soddisfacente in termini di lavoro, tempo libero, famiglia e vita comunitaria. Nel riquadro sono riportati gli obiettivi che tale documento propone e che chiede agli Stati membri di implementare e, possibilmente, di raggiungere entro il 2006. I due documenti citati, relativi all’alcol, sono reperibili in lingua italiana nel sito della Società Italiana di Alcologia (www.dfc.unifi.it/sia/ ). A livello europeo, oltre al Piano d’Azione Europeo sull’Alcol 2000-2005, vanno segnalati anche il Piano Europeo in materia di lotta alla droga dell’Unione Europea 2000-2004 (Parlamento Europeo, 2000) e la Strategia dell’Unione Europea in materia di droga 2000-2004 (Consiglio dell’Unione Europea, Bruxelles, 1 dicembre 1999). Uno degli obiettivi principali di tale Piano è quello di ridurre in maniera significativa la diffusione di droghe illecite fra i giovani sotto i 18 anni. Tra le azioni volte a ridurre la domanda, sottolinea la necessità di individuare buone pratiche da generalizzare nell’applicazione, di incentivare un approccio preventivo globale nelle scuole, in cooperazione con l’intera comunità scolastica e con la famiRelazione annuale al Parlamento sullo Stato delle Tossicodipendenze in Italia - 2002 Informazione L’obiettivo principale degli interventi di informazione nel particolare settore è quello di pervenire al miglio - 61 ramento della conoscenza del fenomeno della droga e della tossicodipendenza e delle conseguenze, di vario genere, derivanti dall’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope. L’informazione, pertanto, dovrà assumere le caratteristiche della validità scientifica, della chiarezza e della coerenza. Deve essere chiaramente veicolato il messaggio che l’assunzione di qualsiasi sostanza stupefacente o psicotropa (comprese quelle inappropriatamente definite leggere o ricreazionali) è dannosa per la salu te personale e pericolosa per la società nel suo insieme. Occorre, anche, valorizzare i modelli e gli stili di vita sani e liberi dalle droghe ed informare i giovani sulla vulnerabilità psicobiologica alle droghe sot traendo le droghe stesse alla dimensione “mitica” della trasgressione, per riportarle a quelle di una “trap pola” per persone con svantaggi personali e socio-ambientali. In tal senso, deve essere sottolineato il fatto che l’uso precoce delle droghe cosiddette “legali” o di quelle impropriamente definite “leggere” può divenire un “precursore biologico-comportamentale” verso l’uso di altre sostanze dagli effetti progressi vamente più “pesanti”. Dovrà essere privilegiata l’azione integrata di più interventi (mezzi d’informazione, comunità locali, pic coli gruppi, attività “faccia a faccia”, educazione fra pari, ecc.), evitando un’unica modalità di approccio, al fine di ampliare le possibilità di successo nel lungo periodo. Prevenzione Gli adolescenti, essendo i soggetti più a rischio, rappresentano, pertanto, il target principale al quale vanno rivolti gli interventi di prevenzione, allo scopo di evitare loro il primo, e più pericoloso, contatto con le droghe […] Occorre tener conto degli elementi significativi che rendono gli adolescenti, al di là delle interferenze del gruppo di appartenenza e delle pressioni dell’offerta, disponibili all’assunzione di sostanze per la “curio sità” di sperimentarle o per farne un uso voluttuario: scarsa considerazione di sé; difficoltà dell’adatta mento sociale; mancanza di controllo degli impulsi; aggressività; carenza del supporto parentale; inter ferenza degli stress ambientali. È necessario, pertanto, che le agenzie educative (famiglia, scuola, educatori della rete sociale) siano impegnate a coinvolgere i bambini e gli adolescenti nell’attivazione di strategie che consentano agli stes si, in piena autonomia, di tollerare gli elementi di frustrazione e controllare gli impulsi attraverso espe rienze relazionali, impegni, verifiche. Particolare attenzione dovrà essere posta ad “alfabetizzare” le rela zioni interpersonali, intervenendo sulla comunicazione emozionale, sull’accettazione dei limiti, sull’alle namento alla progettualità, compiti questi che già appartengono al processo educativo, ma possono dive nire anche strumenti essenziali per la prevenzione dell’uso di sostanze. Occorre predisporre ed avviare progetti mirati di formazione che acquisiscano per le loro modalità rea lizzative il consenso e la partecipazione dei genitori, degli insegnanti e degli educatori, finalizzati anche a far riguadagnare alla famiglia, alla scuola e ai luoghi di aggregazione giovanile in genere, il ruolo di ambienti significativi di crescita in un contesto socio-morale sicuro. La famiglia e la scuola hanno, pertanto, il compito di porre particolare attenzione a comportamenti che, nel bambino e nell’adolescente, pur non inquadrati in patologie conclamate, meritano un ascolto parti colare e strategie mirate di intervento educativo, anche senza ricorso ad interventi specialistici. […] Allo stesso modo si dovrà far crescere il senso di appartenenza alla famiglia, alla scuola e alle istituzio ni, alla comunità in generale, condizione che appare essere estremamente “protettiva” rispetto all’as sunzione di droghe illegali. […] (pag. 71-72). 62 glia, e di formare gli insegnanti affinché siano in grado di individuare tempestivamente i problemi dei giovani. Nel contesto scolastico, sottolinea poi l’importanza di sviluppare strumenti e metodi didattici flessibili per agevolare l’attuazione e la valutazione dei programmi preventivi. I programmi scolastici vengono qui indicati, quindi, come una delle principali misure preventive. Dichiarazione Etica Contro l’Uso di Sostanze Psicoattive – 1999 1) Tutti hanno diritto a godere di azioni sociali che promuovano e proteggano la salute, la famiglia, la comunità e l’ambiente di lavoro da incidenti, violenze ed altri effetti dannosi (ivi comprese le patologie dif fusive) che possono derivare dal consumo di sostanze psicoattive. 2) Tutti hanno diritto a ricevere, fin dalla prima infanzia, un’informazione ed un’educazione valide ed imparziali sugli effetti negativi che possono derivare dall’assunzione di sostanze psicoattive. 3) Tutti i bambini e gli adolescenti hanno il diritto di crescere in un ambiente protetto dagli effetti negati vi che possono derivare dalla promozione dell’uso di sostanze psicoattive e dal consumo di tali sostan ze, che, a volte, avvengono anche mediante l’esplicitazione della sottovalutazione dei rischi e dei danni ad essi correlati. 4) Tutti coloro che assumono sostanze psicoattive secondo modalità dannose, non terapeutiche o a rischio, nonché i loro familiari, hanno diritto a supporti, trattamenti e cure precoci ed accessibili (rispet tando la libera scelta sul luogo e le modalità di cura), finalizzati al recupero della persona mediante la sospensione dell’uso di sostanze ed il reinserimento in una vita dignitosa ed indipendente. Tutti gli utilizzatori possiedono anche il diritto ad avere a disposizione efficaci e permanenti informazioni ed azioni tese a prevenire l’acquisizione di patologie correlate all’uso di sostanze psicoattive e le conse guenti altre gravi situazioni sociali ed ambientali, quali le attività criminali e la prostituzione. 5) Tutte le persone hanno il diritto di essere salvaguardate da pressioni, dirette od indirette, individuali o sociali, volte a promuovere l’uso di sostanze psicoattive. Inoltre, costituisce loro diritto essere sostenute nel comportamento di sobrietà e di non consumo. 6) Tutte le persone hanno diritto di poter esprimere, valorizzare e conservare le loro potenzialità intellet tuali, professionali ed umane in un contesto di libertà e di indipendenza dagli effetti derivanti dall’uso non terapeutico di sostanze psicoattive. 7) Tutte le persone hanno diritto che le scelte e le attività istituzionali finalizzate al contrasto del merca to illegale di sostanze psicoattive non utilizzino strategie che espongano a rischi la loro salute. 8) Tutte le persone hanno il diritto di autodeterminare i propri comportamenti e stili di vita in un contesto di dignità e di reciproco e vincolante rispetto degli altrui diritti e delle altrui libertà. www.dronet.org Per quanto riguarda la realtà nazionale il punto di riferimento è la Relazione annuale al Parlamento sullo Stato delle Tossicodipendenze in Italia del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Dipartimento per le Politiche Sociali e Previdenziali (www.minwelfare.it). La Relazione del 2002 indica, fra le altre, le seguenti priorità d’azione per gli anni 2003-2007: = contrastare la tesi dell’innocuità delle sostanze psicoattive e dell’atmosfera di normalità d’uso; = potenziare le iniziative di prevenzione a partire dalla prima infanzia, con il coinvolgimento delle istituzioni e delle agenzie educative, soprattutto mediante la formazione delle famiglie e degli stessi adolescenti e il rafforzamento delle iniziative della scuola e delle agenzie educative extra-scolastiche che accolgono bambini ed adolescenti; ciò anche in sinergia con gli interventi predisposti dalla legge 285/97 su infanzia e adolescenza. Nel riquadro sottostante riportiamo le indicazioni tratte dalla suddetta Relazione del 2002, relative a informazione e prevenzione. Relativamente alla realtà regionale veneta, un importante documento è rappresentato dalla Dichiarazione Etica Contro l’Uso di Sostanze Psicoattive stilata nel 1999 dalla Regione Veneto. Un altro riferimento veneto importante è rappresentato dagli Indirizzi per gli interventi nel settore delle dipendenze, il piano attuativo delle politiche regionali nel settore, messo a punto dall’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Veneto nel novembre 2001. Tali indirizzi pongono come priorità la prevenzione primaria individuando, come aree primarie di intervento, il tempo libero, il mondo del lavoro e la scuola. In particolare, rispetto alla scuola, sottolineano come sia “indispensabile iniziare a sviluppare interventi fin dai primi gradi scolastici, con opportune tecniche e linguaggi, che permettano di non arrivare tardi all’appuntamento che il bambino di oggi avrà da adolescente domani. L’obiettivo principale è quello di indurre la creazione di modelli culturali e comportamentali di gruppo in grado di creare una pressione positiva per ottenere un comportamento di maggiore consapevolezza e responsabilizzazione di fronte all’uso delle sostanze. È importante soprattutto per ragazzi delle scuole superiori svolgere delle iniziative che li coinvolgano a livello del gruppo classe, in quanto, in adolescenza, il gruppo dei coetanei svolge un ruolo molto rilevante nel determinare opinioni, abitudini e comportamenti riguardo alle droghe” (pagg. 19-20). Da precisare che, sicuramente, risultano identificabili molti altri riferimenti in ambito internazionale, nazionale e regionale, ma quelli esposti appaiono particolarmente rilevanti in considerazione del contesto scolastico, focus di questo lavoro. Inoltre, come premesso, in questo contesto non sono 63 stati trattati gli aspetti normativi e legislativi relativi alle droghe. Per questi argomenti si rimanda al sito dell’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenza (www.emcdda.org), al Focal Point europeo in Italia (www.focalpoint.it ), al sito italiano del Ministero del Welfare (www.minwelfare.it) ed, in questo libro, al Capitolo 6 di A. Bergamo. 4.2 I destinatari dell’intervento Un altro elemento fondamentale da considerare al fine di garantire l’efficacia di un intervento di prevenzione, accanto alle succitate politiche sociali e scolastiche, è il ruolo svolto dalle parti sociali interessate.Essendo il consumo di sostanze essendo un fenomeno complesso e multideterminato, coinvolge diversi livelli di intervento, dalla famiglia alla comunità, al livello socio-politico, economico e culturale. All’interno delle istituzioni scolastiche, le principali parti sociali interessate sono gli studenti, i genitori e gli insegnanti, ma in una più ampia visione di rete, non si possono non considerare anche altri importanti agenti sociali primari (preside, staff scolastico, consiglio scolastico, ecc.) e secondari (Azienda Ulss, Enti Locali, Comunità Locale). Nel contesto scolastico, come evidenziato dalla Fig. 1, l’implementazione di un lavoro integrato e sinergico diviene possibile solo attraverso il coinvolgimento attivo di diversi agenti sociali primari. Fig. 1. Agenti sociali primari. 64 L’istituzione scolastica dovrebbe facilitare ed organizzare la discussione e la comunicazione fra quest’ultimi, rendendo possibile la loro partecipazione alle politiche scolastiche e, quindi, permettendo loro di prendere parte alle attività formali ed informali che hanno luogo al suo interno. La partecipazione attiva si rivela quindi uno strumento indispensabile per il coinvolgimento degli attori, e può essere definita in termini generali come “il processo di condivisione delle decisioni che riguardano la vita dell’individuo e della comunità dove esso è inserito. È il mezzo attraverso il quale viene costruita e misurata la democrazia ed è un diritto fondamentale della cittadinanza” (A.A.V.V., 2002). La partecipazione attiva non può comunque essere compresa se non all’interno di un dato contesto sociale, culturale e politico. De Winter (1997), ad esempio, ha definito la partecipazione attiva nei giovani come un mezzo funzionale di integrazione all’interno di una data struttura sociale, una modalità di empowerment degli stessi ed uno strumento per facilitare il loro divenire cittadini competenti, indipendenti e responsabili. Al fine di rendere partecipi, con successo, tutti i soggetti sociali sopra citati è, quindi, necessario coinvolgerli nella gestione della scuola e nei processi decisionali che la riguardano. È necessario precisare che tali soggetti sociali possono e debbono sviluppare delle competenze specifiche: solo attraverso capacità di cooperazione e di comunicazione ognuno di loro, pur partendo da differenti punti di vista ed opinioni e da una diversa percezione di un determinato fenomeno (nel nostro caso l’uso e l’abuso di sostanze psicoattive), si può arrivare ad una comprensione condivisa. A questo proposito, sembra necessario considerare la possibilità di istituire una rete che vada al di là del livello intra-scolastico. La creazione di una rete specifica di coordinamento fra scuole diverse permette l’attuazione di progetti di prevenzione basati su modalità d’azione e linguaggi comuni, scambi di esperienze, possibilità di sostegno reciproco e occasioni di formazione. Per quanto riguarda i programmi di prevenzione delle dipendenze attualmente sviluppati ed implementati, ci sembra importante sottolineare come, se pur si segnali la necessità di coinvolgere tutti i soggetti primari evidenziati, quelli maggiormente considerati risultano comunque essere gli studenti, gli insegnanti ed i genitori. Nei paragrafi seguenti si prenderanno in considerazione singolarmente i tre diversi target - studenti, insegnanti e genitori - in quanto: = posseggono opinioni, credenze e atteggiamenti diversi nei confronti dell’uso ed abuso di sostanze psicoattive; = posseggono una diversa visione della prevenzione; = ognuno di questi target appartiene ad una specifica fascia di età; = è necessario definire ed implementare strategie e tecniche di intervento differenziate ed adatte al ruolo ed alle caratteristiche di ogni singolo target. 4.2.1 Gli studenti I programmi di prevenzione delle dipendenze in ambito scolastico hanno come destinatari finali gli studenti, principalmente in età pre-adolescenziale e adolescenziale, mentre insegnanti e genitori, che comunque si avvantaggiano dell’intervento, sono considerati destinatari intermedi. Si tratta, quindi, di soggetti minorenni che hanno una serie di diritti fra i quali quello di sviluppare una morale e dei valori propri, così come quello di esprimere personali opinioni. Hanno inoltre il diritto di ricevere una formazione adeguata riguardo il proprio sviluppo e, quindi, la propria capacità di compiere una scelta informata nella loro vita. Addentrandoci negli aspetti più operativi, gli interventi focalizzati sugli studenti si rivolgono in modo particolare al gruppo che, nella maggior parte dei casi, è costituito dal gruppo-classe. Questo aspetto è particolarmente interessante in quanto l’adolescenza è la fase della vita in cui le interazioni fra coetanei sono tanto intense e coinvolgenti quanto importanti. Le esperienze che l’adolescente compie all’interno del gruppo dei pari gli permettono di sperimentare ed incrementare le proprie abilità, quali ad esempio quelle sociali, così come di elaborare una strategia di inserimento nel mondo adulto (Palmonari, 1997). È sempre all’interno del gruppo dei pari che gli adolescenti crescono e maturano la propria identità sessuale e sociale, sperimentano il proprio rapporto con gli adulti e interiorizzano le norme e le regole. Il gruppo dei pari diventa, quindi, un fondamentale punto di riferimento che può favorire la crescita cognitiva, emotiva ed affettiva e contribuire allo sviluppo dell’identità personale (Petter e Tessari, 1990). Il gruppo dei pari consente, inoltre, di confrontare le proprie strategie di soluzione e di coping, diventando uno spazio dove poter sperimentare ruoli, strategie e comportamenti, dove ha luogo il confronto fra individuo e gruppo e fra gruppo ed individuo, e dove si formano le opinioni collettive ed individuali. Per quanto riguarda lo specifico dell’uso ed abuso di sostanze di sostanze psicoattive, è noto che il gruppo svolge due funzioni: in primo luogo all’interno del gruppo è possibile sviluppare una cultura condivisa rispetto all’uso ed abuso di sostanze ed in secondo luogo, il gruppo stesso esercita una pressione verso il singolo influenzandone le opinioni, gli atteggiamenti ed i comportamenti. Le suddette motivazioni spingono, negli interventi preventivi, a rivolgersi, soprattutto in adolescenza, al gruppo-classe che al contempo permette di intervenire in un contesto ordinato e strutturato e di garantire continuità all’intervento. Il gruppo-classe, seppure composto di pari, non ha caratteristiche sovrapponibili al gruppo amicale che si costituisce per libera scelta. Al suo interno, comunque, i singoli possono aprirsi a nuove abilità e conoscenze grazie al confronto con i coetanei e alle 65 relazioni significative che vengono a crearsi. A prescindere dagli obiettivi propri degli interventi e dalle metodologie utilizzate, sembra interessante ribadire che punto fondamentale di una prevenzione efficace è il coinvolgimento attivo degli studenti. Come la Tobler (1986, 1997a, 1997b, 2000) più volte ribadisce, le metodologie attive e partecipative risultano essere il mezzo più efficace nei programmi di prevenzione all’uso ed abuso di sostanze in ambito scolastico. Infatti, il coinvolgimento attivo è una componente fondamentale di un intervento indirizzato agli studenti e, a tal fine, si propone agli operatori di porsi le seguenti domande: 1) Gli studenti ricevono lo stesso rispetto degli adulti? 2) Le leggi sono applicate anche a scuola? Vengono tutelate l’integrità, la privacy e la dignità degli studenti? 3) La scuola dà loro la possibilità di esprimere bisogni e desideri? 4) Gli studenti hanno la possibilità di parlare con i loro insegnanti in merito ai progetti e alle aspet tative o esistono degli impedimenti? 5) Sono coinvolti nel processo decisionale dei programmi di prevenzione? Anche da queste domande traspare come sia importante promuovere la comunicazione fra insegnanti e studenti, far sì che gli studenti possano prendere parte all’organizzazione scolastica, riservando loro specifici spazi di discussione e di rappresentanza e dando risposta ai loro bisogni (cfr. Cap. 6). 4.2.2 Gli approcci preventivi con gli studenti Come indicato nel capitolo precedente, nel programmare interventi nell’ambito scolastico, esistono diversi modelli a cui fare riferimento. Considerando i progetti presenti sul piano nazionale, europeo ed internazionale, sembra interessante considerare i due approcci più diffusi e più efficaci per quanto riguarda l’intervento diretto agli studenti: il primo riguarda l’incremento delle life skills ed il secondo la peer education. L’approccio basato sulle life skills, ovvero le abilità di vita, prevede interventi finalizzati all’increABILITA’ DI VITA Le abilità di vita sono competenze personali, interpersonali, cognitive e fisiche che permettono agli indi vidui di condurre la propria esistenza e di acquisire la capacità di vivere nel loro ambiente e di modifi carlo. Ecco degli esempi di abilità di vita: capacità di prendere delle decisioni e di risolvere problemi, ragionamento creativo e riflessione critica, coscienza di sé ed empatia, competenze sulla comunicazio ne e le relazioni interpersonali, capacità di fare fronte alle proprie emozioni ed ad affrontare lo stress. Le abilità di vita sopra citate sono fondamentali per l’acquisizione delle competenze personali della promo zione della salute. (OMS, 1999). 66 ABILITA’ SOCIALI Le abilità sociali sono forme particolari di capacità nelle relazioni interumane, acquisite attraverso l’e sperienza diretta di situazioni sociali complesse, da individui predisposti. Ne sono tratti caratteristici la competenza e la flessibilità nelle varie circostanze, l’adeguatezza delle risposte verbali e non verbali, la capacità di imporsi o di modificare la situazione o la posizione assunta dagli altri. Yates e Selman (1989) descrivono la competenza sociale come lo sviluppo di abilità socio-cognitive, includendo anche la capacità di autocontrollo emotivo che rivestirebbe un ruolo di mediazione nell’incre mento della probabilità di adattamento psicosociale della persona. Con questo concetto individuano quindi i comportamenti appresi, orientati verso un obbiettivo e governati da regole, che variano in fun zione della situazione e del contesto, che si basano su elementi cognitivi od affettivi osservabili e non osservabili, che sono in grado di elicitare negli altri risposte positive o neutrali e di evitare risposte nega tive. Le principali abilità sociali menzionate secondo Di Nuovo (1989) sono: - espressione (sentimenti, emozioni, opinioni) - comunicazione (conversazioni, uso appropriato linguaggio verbale e non verbale, ecc) - affermazione (fare richieste, esprimere disaccordo, respingere richieste) - soluzione problemi (definizione problemi, reperire soluzioni alternative, scegliere soluzioni più efficaci). Walker et al (1988) propongono uno specifico elenco di abilità sociali in ambito scolastico: - vita di classe (ascoltare l’insegnante, seguire istruzioni e regole, chiedere aiuto) - interazione di base (tono di voce adeguato, ascoltare, rispondere ed intervenire in modo adeguato, rispettare i turni, ecc) - andare d’accordo (fare affermazioni al momento giusto, condividere con altri le proprie cose, rispettare le regole, toccare gli altri in modo adeguato, ecc) - fare amicizia (curare aspetto fisico, sorridere, complimentarsi, ecc) - coping (negoziare, esprimere emozioni adeguatamente, affrontare aggressività altrui, gestire insucces so, ecc). ASSERTIVITA’ Capacità di esprimere in modo socialmente adeguato e costruttivo i propri diritti e interessi senza ledere diritti altrui, manifestare i propri sentimenti positivi e negativi, richiedere adeguatamente cambiamenti nei comportamenti di coloro con i quali si interagisce, esprimere opinioni contrarie agli altri, dire di no a richie ste irragionevoli, riconoscere i propri limiti e fallimenti, gestire efficacemente le critiche e la pressione sociale (Nota e Soresi, 1997) . mento di un insieme di abilità quali quelle comunicative e decisionali, le abilità sociali, di problem AUTO-CONTROLLO Capacità di regolare la propria condotta, in modo conforme alle esigenze sociali, dominando o inibendo manifestazioni emotive o impulsi, e contenendo i propri atti. Si accompagna generalmente a motivazio ne efficiente nei riguardi di mete sociali contrastate (Dalla Volta, 1985). AUTOEFFICACIA Il termine è stato coniato da Bandura, che lo ha definito una prima volta (1977) come un'insieme di cre denze nutrite dalla persona a proposito delle proprie capacità di attuare i comportamenti necessari per raggiungere determinati risultati e obbiettivi, e successivamente (1990) come le credenze nei confronti delle proprie capacità di aumentare i livelli di motivazione, di attivare risorse cognitive e di eseguire le azioni necessarie per esercitare controllo sulle richieste di un compito. Valutazione che una persona dà delle sue competenze a svolgere un compito in una situazione specifi ca. I giudizi di efficacia personale (elaborati in rapporto all’osservazione della performance, delle proprie passate esperienze e dall’attivazione emozionale) influenzano ciò che le persone scelgono e decidono di fare, l’entità dell’impegno e il grado di resistenza che essi oppongono agli ostacoli che incontrano. Sentirsi poco efficaci significa ritenersi incapaci di svolgere con successo un determinato compito, per ciò ci si sentirà preoccupati o si tenderà ad evitare il compito o ad impegnarsi limitando al massimo gli sforzi. Al contrario, se ci si sente molto efficaci ci si sentirà rilassati e si ricercheranno preferibilmente le situazioni in cui ci si sente competenti (Ravenna, 1997). AUTOSTIMA L’autostima si concretizza nel valore positivo o negativo che la persona attribuisce a se stessa. Gli psi cologi hanno trovato che emergono forti differenze fra coloro che possiedono un’alta od una bassa auto stima, sia nella sfera delle disposizioni comportamentali che nelle strategie di azione: le persone con un’autostima complessivamente alta tendono ad essere ottimiste, si pongono obbiettivi ambiziosi e riescono a gestire eventi negativi con serenità; al contrario, le persone con una bassa autostima tendo no ad essere pessimiste, maturano facilmente sindromi depressive e, se degli eventi negativi interessa no la loro esistenza, non sono in grado di dispiegare le potenzialità che possiedono. (Arcuri, 1995). 67 COPING (FRONTEGGIAMENTO) I primi studiosi ad introdurre questo concetto sono stati Lazarus (1968) e Folkman (1985), con la loro teo ria cognitivo-transazionale, per cui con coping si intendono gli sforzi della persona sul piano cognitivo e comportamentale per gestire (ridurre, attenuare, dominare o tollerare) le richieste interne ed esterne poste da quelle interrelazioni persona-ambiente che vengono valutate come estenuanti o eccessive rispetto alle risorse ottenute. Il coping comprende le strategie cognitive e comportamentali che le persone adottano per gestire una situazione stressante e le reazioni emotive da essa suscitate. Le strategie o stili di coping giocano un ruolo importante nel benessere psicofisico quando la persona si confronta con eventi negativi (Stroebe e Stroebe, 1997). solving e di coping, le abilità di tipo generale e quelle di tipo specifico riguardo l’uso di sostanze psiPROBLEM SOLVING D’Zurilla e Golfried (1971) si riferiscono, con questa espressione ad una qualsiasi situazione di vita che richiede una risposta efficace, non immediatamente chiara o disponibile all’individuo per mantenere un buon livello di adattamento. L’individuo percepisce una discrepanza tra ciò che è, ovvero le contingenze attuali e ciò che dovrebbe essere, ovvero le contingenze che sono richieste o desiderate. coattive. L’approccio basato sulle life skills permette di incrementare le competenze individuali, di affrontare e gestire la vita di ogni giorno ed i cambiamenti che la caratterizzano, di implementare comportamenti adattivi e positivi, di ridurre i fattori di rischio nei confronti dell’uso delle sostanze e di promuovere la salute ed il benessere. Nel complesso, un programma di prevenzione facente riferimento a questo modello, può avere fra i suoi obiettivi lo sviluppo di abilità che rendano gli studenti in grado di prendere decisioni sulla propria vita, di affrontare adeguatamente i problemi che si presentano, di analizzare con spirito critico le pressioni sociali, reagendo in modo creativo e nel contempo adattivo. Può mirare, inoltre, a sviluppare le abilità di comunicazione, in quanto fondamentali nello sviluppo di relazioni significative ed equilibrate. Anche un’adeguata gestione delle proprie emozioni è indispensabile per rispondere adeguatamente alle situazioni difficili e particolarmente stressanti che caratterizzano la vita di ogni individuo. Al fine di approfondire quanto finora espresso, si riportano nei riquadri alcune definizioni chiave inerenti le life skills, tratte dal “Glossario della prevenwione delle dipendenze” (Orlandini, Di Pieri, Scacchi, 2003). 68 Nella pratica preventiva lo sviluppo di life skills inizia tramite la loro sperimentazione in classe, così da poter analizzare in un ambiente protetto le conseguenze dei diversi modi di comportarsi. Obiettivo finale di questo approccio è, comunque, far sì che lo studente faccia uso di queste abilità anche al di fuori del contesto scolastico. In conclusione, gli elementi chiave che dovrebbero caratterizzare questo approccio (A.A.V.V., 2002) sono: 1) inserimento in un programma che agisca sul lungo termine; 2) insegnante, o chi attua l’intervento, specificamente formato; 3) focus sia su abilità generali che specifiche; 4) obiettivi a breve-termine e a lungo termine; 5) intervento adeguato al momento di sviluppo dei ragazzi; 6) coinvolgimento degli studenti; 7) con elementi di peer-education. La peer education è il secondo approccio considerato e rappresenta uno dei modelli di lavoro più significativi negli interventi con gli adolescenti. Con essa si può intendere, dal punto di vista letterale, “il rapporto di educazione/influenza reciproca che, a livello formale ed informale, instaurano fra loro persone afferenti ad un medesimo gruppo di riferimento” (Pellai, Rinaldin e Tamborini, 2002). Ponendo particolare enfasi sull’apprendimento attivo e partecipativo, essa viene considerata un modello alter- nativo a quello che pone al centro il professionista esterno che distribuisce informazioni. Infatti, è un sistema grazie al quale persone di età, status ed esperienze simili possono passarsi reciprocamente informazioni e imparare l’una dall’altra. Il fatto importante è che non c’è una relazione di potere come quella che c’è tra docente e studente, fra animatore e giovane, fra adulto e giovane. Peer education significa che persone con un interesse comune vengono istruite a sviluppare conoscenze e specializzazioni appropriate e a condividere queste conoscenze, in modo da informare e preparare altri e diffondere competenze ed abilità simili all’interno dello stesso gruppo d’interesse (Kahr, 2000). Un concetto vicino a quello di peer education è quello di empowerment. Di solito con questo termine si intende l’acquisizione di potere, ovvero l’incremento delle capacità delle persone di controllare attivamente la propria vita (Zani, Palmonari, 1996), che può essere favorito dall’interazione fra pari. Dal punto di vista teorico, il metodo della peer education trae ispirazione dalla teoria dell’apprendimento sociale di Bandura (1977). La peer education pone l’accento sulla comunicazione fra coetaneo e coetaneo. Il suo utilizzo sistematico risale ai primi del 1800: gli alunni imparavano a tenere delle lezioni al cospetto di altre scolaresche su temi che avevano già appreso. Intorno agli anni ‘60 negli U.S.A. ha avuto una vera e propria rinascita e, negli anni ’70, si è diffusa prevalentemente nel Nord America per la modifica di comportamenti specifici e lo sviluppo di abilità specifiche. Attualmente questo metodo viene utilizzato per la comunicazione di messaggi preventivi, ad esempio, relativi all’uso di sostanze e al sesso protetto, utilizzando lo stesso linguaggio della subcultura di riferimento. Il ricorso ai pari-leader viene identificato dalla letteratura come un elemento che può dare efficacia ad un progetto, in quanto i pari fanno riferimento ad uno stesso patrimonio linguistico, valoriale, culturale e sociale e, per questo, le loro comunicazioni vengono percepite come reali e vere e perciò o preferite alla componente adulta od almeno esperite in combinazione. Si tratta di una tecnica attualmente molto utilizzata sia in contesti formali e strutturati, come quelli scolastici, che in contesti informali, come il lavoro di strada con i consumatori di nuove droghe. Il coinvolgimento dei pari nelle attività di prevenzione può avere luogo a vari livelli: 1) gli studenti possono fungere da peer support: in questo caso lo studente diventa risorsa e fonte di feedback per gli altri studenti; 2) lo studente può avere funzione di peer counsellors: in questo caso, lo studente, dopo aver ricevuto alcune istruzioni-base sulle sostanze e su come esse funzionano, si propone come punto di riferimento all’interno della scuola, assumendo spesso il ruolo di mediatore fra gli altri studenti e gli insegnanti; 3) lo studente può avere il ruolo di peer-educator: in questo caso, gli studenti che hanno già il ruolo di peer-leader, sono formati non solo sulle sostanze e le loro caratteristiche, ma anche su alcune abilità educative dei base. Possono quindi avere la funzione di educatori all’interno dell’intervento preventivo, promuovendo ad esempio la discussione in classe o in altre attività extracurriculari. In pratica, si possono identificare nella letteratura internazionale quattro categorie descrittive degli approcci di intervento (Svenson 1998): =L’intervento pedagogico: il setting è formale, l’informazione è fornita tramite una presentazione di una o due ore, che include anche tecniche interattive. È possibile che gli adulti partecipino a queste presentazioni. =L’intervento “in sordina”: è simile all’intervento pedagogico, ma è condotto da peer educator che hanno caratteristiche o stili di vita specifici simili a quelli del gruppo target. Lo scopo è quello di destare nel gruppo target la coscienza dei comportamenti a rischio. =L’intervento “a diffusione”: i peer educator appartengono alla stessa classe sociale del gruppo target e dovrebbero influenzare informalmente le opinioni, le convinzioni, e le norme sociali percepite relative agli stili di vita ed ai comportamenti a rischio. =L’intervento “orientato alla comunità”: le comunità geografiche, etniche, scolastiche e religiose rappresentano la base per l’intervento dei peer educator, supportati da alcuni adulti autorevoli. La peer education risulta essere efficace in quanto in grado di influenzare attraverso due modalità: l’influenza normativa, grazie alla quale l’adolescente modifica comportamenti, credenze, motivazioni ed atteggiamenti al fine di ottenere consenso dal gruppo e l’influenza informativa, grazie alla 69 quale il cambiamento avviene tramite il riconoscimento della fonte e delle sue competenze. Bisogna, però, fare attenzione a quelli che la letteratura (Walker e Avis, 1999) indica come le ragioni più comunemente citate come causa di fallimento dei programmi di peer education: 1. mancanza di chiari obiettivi del progetto; 2. mancanza di coerenza fra la definizione del progetto e le caratteristiche (i vincoli) dell’ambiente esterno che lo condizionano; 3. mancanza di investimenti; 4. scarsa consapevolezza che la peer education è un processo complesso da gestire e richiede personale dalle caratteristiche professionali di alto livello; 5. preparazione e sostegno scarso dei peer educator; 6. mancanza di chiarezza sui problemi di “confine”; 7. errori o fallimenti nell’assicurare il supporto da parte di più agenzie. Da quanto finora riportato emerge quindi come l’approccio con i pari in prevenzione sia in grado di attivare gli adolescenti attraverso un processo di responsabilizzazione verso se stessi e verso gli altri che li rende maggiormente disponibili a riflettere in modo critico, ma creativo nei confronti dei comportamenti a rischio, incluso il consumo di sostanze. Sono infatti gli stessi pari che, oltre a dare informazioni corrette, stimolano uno scambio attivo di opinioni, valorizzando risorse e capacità. 4.2.3 Esempi di programmi rivolti agli studenti secondo l’approccio Life Skills Si riportano, di seguito, in forma sintetica, alcuni esempi di programmi che fanno riferimento a questo approccio e che hanno ricevuto un’adeguata valutazione ed, in seguito a quest’ultima, sono stati identificati come programmi efficaci. Per ulteriori approfondimenti sulla strutturazione dei progetti e sulle fonti si consiglia di fare riferimento al lavoro di Orlandini, Nardelli e Bottignolo del 2002. 70 a. All Stars ( Greensborg, NC- USA) Questo progetto si rivolge a studenti di età compresa fra gli 11 ed i 14 anni e mira a prevenire comportamenti a rischio che includono l’uso di sostanze, la violenza e l’attività sessuale precoce, attraverso lo sviluppo di caratteristiche personali positive. All Stars mira a rafforzare, in particolare, cinque caratteristiche tipiche degli adolescenti in questa fascia di età e fondamentali per i loro effetti preventivi: = lo sviluppo di ideali positivi ed aspirazioni future = l’instaurarsi di norme di riferimento positive = la costruzione di un forte impegno personale = la costituzione di forti legami personali con la scuola e con le organizzazioni inserite all’interno della comunità = la promozione di un interesse positivo ed adeguato da parte dei genitori. All Stars è disponibile in tre versioni, ognuna delle quali coinvolge gli adolescenti in piccoli gruppi di lavoro e di discussione, resi più significativi dall’utilizzo di videocassette, giochi ed attività artistiche. La prima versione prevede che sia l’insegnante a condurre l’intervento che, svolto in classe, comprende 13 lezioni di 45 minuti nel primo anno, 8 lezioni di rinforzo di 45 minuti nel secondo anno, incontri individuali con i ragazzi, se pur non obbligatori, ed un evento conclusivo al termine dell’intervento. La seconda versione, caratterizzata dallo stesso numero di lezioni della precedente, prevede però la presenza di un professionista della prevenzione, che interviene a scuola in veste di esperto esterno. Per quanto riguarda la terza versione, questa prevede l’attuazione dell’intervento in un setting non scolastico, ad esempio la parrocchia e i gruppi a carattere ricreativo. Pur focalizzandosi sugli stessi contenuti dei precedenti, utilizza un numero di lezioni differente: 9 lezioni della durata di 60 minuti nel primo anno, 7 incontri di rinforzo della durata di 60 minuti nel secondo. I genitori e gli adulti significativi partecipano a questo progetto attraverso i “compiti per casa” che vengono assegnati ai ragazzi e attraverso un incontro durante il quale viene fornito loro un utile CDROM. Vengono fornite inoltre delle indicazioni per il training indirizzato all’insegnante o a chiunque voglia condurre l’intervento. b. Lifeskills Training (Hartsdale, NY- USA) LST è un progetto rivolto ai ragazzi di età compresa fra gli 8 ed i 14 anni che ha come finalità quella di influenzare i fattori psicologici e sociali che sostengono l’iniziazione alle sostanze ed il loro consumo precoce. Questo progetto si focalizza su tre importanti fattori che possono influenzare in modo preponderante la scelta di consumare o meno sostanze: la ricerca ha infatti dimostrato che è meno probabile che i ragazzi che sviluppano abilità in queste tre aree manifestino successivamente comportamenti a rischio. In primo luogo, la presenza di capacità di resistenza alle sostanze permette agli adolescenti di riconoscere le false credenze inerenti il consumo e di gestire la pressione dei pari e dei media. Ciò permette loro di attuare di una scelta autonoma e consapevole, basata su un’adeguata raccolta di reali informazioni. La seconda area comprende fondamentali abilità personali, quali lo sviluppo di un’immagine di sé positiva e delle abilità decisionali e di problem-solving. In terzo luogo il progetto si focalizza sulla necessità di promuovere lo sviluppo di abilità sociali che rendano possibile la comunicazione e permettano una gestione assertiva, e non passiva ed aggressiva, delle situazioni relazionali. LST si suddivide in due curricula principali: il primo per i ragazzi di età compresa fra gli 8 e gli 11 anni ed il secondo per quelli di età compresa fra gli 11 ed i 14 anni, entrambi articolati lungo un periodo di tre anni. Il primo comprende 24 sessioni di durata compresa fra i 30 ed i 45 minuti, mentre il secondo comprende 25 sessioni, gestitre dagli insegnanti, della durata di 45 minuti. Le sessioni sono composte da letture, discussioni, ed altre attività che rendano i ragazzi in grado di disporre di informazioni adeguate sull’uso di sostanze e di sviluppare abilità personali e sociali che li rendano più forti e consapevoli di fronte ai fattori di rischio. c. Keep a clear mind (Fayetteville, AR- USA) KACM è un progetto di prevenzione all’uso di sostanze indirizzato a ragazzi di età compresa fra gli 8 ed i 12 anni ed ai loro genitori.Il progetto mira a sviluppare nei ragazzi specifiche abilità personali che li possono aiutare a rifiutare ed evitare il consumo di sostanze ed in particolare delle cosiddette “sostanze cancello”. KACM è un progetto di prevenzione le cui attività vengono svolte a casa dai ragazzi insieme ai loro genitori: il materiale comprende 4 lezioni principali focalizzate su tabacco, alcol, marijuana e sul “dire no” alle droghe, 5 newsletter per i genitori ed incentivi (ad es. gadgets) per ogni lezione conclusa dal ragazzo. d. Construyendo salud (Santiago di Compostela- Spagna) Questo progetto si rivolge a studenti di età compresa fra i 12 ed i 14 anni e mira a fornire agli adolescenti abilità personali e sociali necessarie per affrontare adeguatamente le influenze sociali che li incoraggiano a consumare sostanze, ed in particolare per fronteggiare le pressione dei pari, dato che queste sono molto forti durante l’adolescenza. Construyendo Salud consiste di un manuale per l’insegnante, un manuale per gli studenti ed un nastro registrato per sessioni di rilassamento; è un adattamento ed ampliamento del programma di prevenzione americano Life Skills Training di G.J. Botvin, sopra riportato. Il programma ha i seguenti obiettivi specifici: = evitare o rimandare l’uso di droghe e lo sviluppo di comportamenti antisociali fra gli adolescenti = promuovere le abilità psico-sociali: controllo emotivo, abilità decisionali, abilità sociali (comunicazione, conversazione, assertività), e ridurre la suscettibilità alla persuasione = cambiare comportamenti intermedi con l’informazione sulle droghe, l’intenzione di prendere droghe e gli atteggiamenti verso le droghe. L’insegnante dovrebbe ricevere 15 ore di addestramento ed una supervisione durante la realizzazione del programma. Il programma, implementato all’interno della classe, comprende diciassette sessioni di 50 minuti, organizzate in sette parti (informazioni, autostima, abilità decisionali, controllo emotivo, abilità sociali, tolleranza e cooperazione, tempo libero) che prevedono strategie attive e partecipative. 71 e. Tú decides (Palma de Mallorca – Spagna) Questo programma si rivolge a studenti di età compresa frai i 13 ed i 16 anni e mira ad incrementare le abilità decisionali degli studenti, partendo dalla considerazione che la decisione di usare una sostanza dipende dalla capacità di una persona di prendere decisioni responsabili. L’obiettivo generale del programma è quindi rendere abili gli adolescenti nel prendere decisioni riguardo all’uso di sostanze e ad altri problemi tipici di questa fascia di età. Consiste di 4 sessioni della durata variabile (ogni sessione comporta normalmente da una a tre lezioni), ed ogni sessione sviluppa una storia presentata in versione comica. Le storie non sono però il contenuto delle sessioni; esse sono considerate esempi di possibili situazioni, e la loro funzione è di aiutare gli studenti a ricordare, immaginare ed associare le vere situazioni che loro hanno sperimentato o che è probabile che sperimentino nel futuro prossimo. Il vero contenuto delle sessioni sono le storie raccontate dagli studenti stessi e le dinamiche di gruppo. Il lavoro del gruppo è quello di analizzare queste situazioni, razionalizzare ed esaminare possibili risposte diverse. La metodologia delle sessioni richiede una posizione neutrale da parte dell’insegnante, e l’uso di metodi attivi. Il programma deve essere condotto da un solo insegnante in ogni gruppo, al quale viene consigliato di frequentare un corso di addestramento su tecniche di prevenzione e tecniche di insegnamento attivo. Gli autori raccomandano che i genitori degli adolescenti siano coinvolti nel lavoro preventivo di Tú decides danno dei suggerimenti su come incoraggiarli a partecipare. La struttura didattica è identica per le 4 sessioni: distribuzione dei materiali, lettura individuale del materiale e lavoro di gruppo. La durata di massima del programma è di un mese e consiste di 49 lezioni che durano circa 50-60 minuti. 4.2.4 Esempi di programmi rivolti agli studenti secondo l’approccio Peer Education Si riportano di seguito, in forma sintetica, alcuni esempi di programmi che fanno riferimento all’approccio Peer Education e che hanno ricevuto un’adeguata valutazione ed, in seguito a quest’ultima, sono stati identificati come programmi efficaci. Per ulteriori approfondimenti sulla strutturazione dei progetti e sulle fonti si consiglia di fare riferimento al già citato lavoro di Orlandini, Nardelli e Bottignolo del 2002. a. ATLAS (Athletes Training and Learning to Avoid Steroids - Portland. OR – USA) ATLAS è un progetto rivolto a giovani atleti, studenti di scuola superiore di età compresa fra i 13 ed i 19 anni che mira a ridurre il consumo di steroidi anabolizzanti, alcol e prodotti che migliorano la prestazione fisica fra atleti maschi che frequentano la scuola superiore. Il progetto utilizza le dinamiche che si sviluppano all’interno delle squadre sportive, porgendo particolare attenzione alla pressione positiva che i pari possono esercitare e mira a promuovere uno stile di vita sano ed a rinforzare il valore dell’allenamento come alternativa al consumo. Gli studenti, membri di una stessa squadra, vengono coinvolti in 10 sessioni di attività, della durata di 45 minuti ciascuna. Attraverso attività interattive, quali giochi educativi ed esercizi di roleplay, viene loro richiesto di lavorare in sottogruppi, ognuno dei quali gestito da un pari-leader. 72 b. Young people as peer educators in drug misuse (Manchester – United Kingdom) L’obiettivo generale del programma è di incrementare le conoscenze delle sostanze nei giovani e di sviluppare le loro abilità di comunicazione al fine di renderli capaci di esplorare ed analizzare tutti gli aspetti correlati ai compiti di sviluppo dell’adolescenza ed al confronto con i pari rispetto all’uso di sostanze. L’ a p p roccio di educazione fra pari permette ai giovani di far proprio l’apprendimento e li incoraggia all’assunzione di responsabilità rispetto ad esso. L’approccio di peer-education può conferire empowerment ai giovani i quali possono utilizzare iniziative creative e nuove per agganciare ed educare i pari rispetto all’uso di sostanze. Sono proposte due unità educative: = I giovani ed il cattivo uso delle droghe = le Abilità di Comunicazione nella peer education (Partington Peer Education Programme). Ogni unità consisteva in 10 ore di lavoro in classe e di 20 ore di pratica supervisionata e non supervisionata per un periodo di 12 settimane. Scopo del programma era aumentare la conoscenza dei giovani rispetto alle droghe e di sviluppare le loro abilità di comunicazione nell’educazione fra pari. Uno scopo supplementare era direzionare il contenuto e le consegne di queste unità e misurarne l’efficacia dei metodi di valutazione. 4.2.5 Gli insegnanti Gli insegnanti giocano un ruolo fondamentale in numerosi programmi di prevenzione delle dipendenze, tanto che negli ultimi anni non si parla più di prevenzione, ma di drug education. Con questo termine si vuole sottolineare l’importanza di un approccio ampio e complesso quale quello educativo, anche se rivolto ad un ambito specifico quale quello della prevenzione delle dipendenze. In realtà, la drug education dovrebbe essere parte integrante dei curricula scolastici, inserita nel mandato istituzionale della scuola e sorretta da un adeguato assetto legislativo. Gli insegnanti si ritrovano spesso ad essere, nel contempo, operatori della prevenzione e destinatari dell’intervento. In tal senso, anche alla luce di quanto detto in precedenza, risultano fondamentali le loro abilità nel coinvolgere gli studenti per stimolare le loro decisioni in merito alla salute, allo stile di vita ed al comportamento. In questo senso, la presenza di capacità di ascolto, il rispetto reciproco e la libertà di espressione sono elementi fondamentali al fine di sollecitare fra i ragazzi una discussione aperta e spontanea e per creare un clima sociale supportante e stimolante. L’approccio metodologico utilizzato dovrebbe quindi: = includere la possibilità di ricorrere a strategie di apprendimento attivo = prendere in considerazione atteggiamenti e valori = assicurare la possibilità di accedere ad informazioni riguardanti le sostanze psicoattive = dare disponibilità di consiglio e supporto = sviluppare e sostenere l’autostima = sviluppare abilità personali e sociali in setting diversificati = valutare sentimenti, opinioni ed esperienze = dare opportunità di formare gruppi di discussione = dare continuità e progressione all’intervento (A.A.V.V., 2002). È chiaro che anche per quanto riguarda gli insegnanti è necessario valorizzare la loro partecipazione attiva e la loro esperienza, anche attraverso delle adeguate politiche scolastiche che riservino la giusta importanza al loro ruolo. In tal senso riportiamo delle domande (A.A.V.V., 2002), che si possono utilizzare al fine di stabilire se l’insegnante è stato coinvolto in modo adeguato: 1. Gli insegnanti vengono coinvolti nel processo decisionale, nell’analisi delle scelte e delle possi bilità di sviluppo delle stesse? 2. Gli insegnanti sono a conoscenza delle politiche scolastiche? Ricevono consulenza nell’imple mentazione del loro lavoro? Conoscenza e comprensione - regole della scuola nei confronti dell’assunzione di farmaci - informazioni di base su come funziona il corpo umano ed i modi in cui ognuno se ne può prendere cura - ruolo dei farmaci nella promozione alla salute e le ragioni che portano a farne uso - comprensione della pericolosità dei farmaci se usati con modalità improprie - definizione di alcune regole di comportamento inerenti i farmaci ed altre sostanze utilizzate in casa, inclusi i solventi - presa in considerazione di alcol e tabacco e dei loro effetti generali a livello fisico e comportamentale - persone che hanno a che fare con i farmaci (farmacisti, professionisti della salute, ecc.) - persone a cui i bambini possono rivolgersi quando hanno problemi o domande. 73 Abilità - comunicazione di sentimenti di preoccupazione su malattie e sull’assunzione di farmaci - imparare a seguire le istruzioni per l’uso dei farmaci - quando e come chiedere aiuto agli adulti. Atteggiamenti - atteggiamenti nei confronti dei farmaci, dei professionisti della salute e degli ospedali - atteggiamenti verso l’uso di alcol e di tabacco - valorizzazione del proprio corpo e riconoscimento della propria unicità - atteggiamento verso i media e la loro presentazione dei farmaci, dell’alcol e del tabacco. 3. Genitori, stu denti e i membri della presidenza sono in accordo con lo stile educativo degli insegnanti? Altro elemento importante è rappresentato dalla formazione continua dell’insegnante, il quale deve costantemente migliorare le proprie abilità ed i propri interventi. 74 Conoscenza e comprensione - regole della scuola nei confronti dell’assunzione di farmaci, alcol, tabacco, solventi e sostanze illegali - informazioni maggiormente dettagliate su come funziona il corpo umano ed i modi in cui ognuno se ne può prendere cura - differenti tipi di farmaci e sostanze psicoattive legali ed illegali (forma, effetti e rischi ad essi associati) - introduzione di alcuni concetti legali riguardanti il consumo di sostanze - persone a cui i ragazzi possono rivolgersi quando hanno problemi o domande - pericolosità nel maneggiare siringhe ed aghi usati. Abilità - saper identificare i rischi - fronteggiare l’influenza dei pari - comunicare con gli adulti - abilità decisionali ed assertive in condizioni associate al consumo di sostanze - dare e ricevere aiuto - saper ricorrere in modo adeguato ai farmaci. Atteggiamenti - valorizzazione di ciascuno e delle proprie abilità - atteggiamenti ed opinioni sulle diverse sostanze e sulle persone che le consumano o ne abusano - atteggiamento verso i media e la loro presentazione dell’alcol, del tabacco e di altre sostanze legali - presa di responsabilità sulla propria salute e comportamento. Sembra interessante citare quanto il governo inglese (Joyce e King, 1999) stabilisce a proposito della drug education e degli standard di qualità relativi ai docenti. Trattasi di un piano d’azione, dove, ad ogni fascia d’età, corrispondono attività standard. Il governo inglese ha, infatti, promosso lo sviluppo di interventi di prevenzione lungo un continuum che parte dai 5 anni e si conclude ai 16, affrontando, in quattro diversi stadi, contenuti e metodologie adeguate ad ogni singola età ed allo sviluppo psico-socio-affettivo e cognitivo che la caratterizza. Per ogni stadio si considerano obiettivi specifici suddivisi in: Conoscenza e comprensione - regole della scuola nei confronti dell’assunzione di farmaci, alcol, tabacco, solventi, sostanze illegali e su come rispondere ad incidenti droga-correlati - informazioni sulle sostanze psicoattive legali ed illegali, i loro effetti ed i rischi associati alla salute - definizione di una terminologia scientifica che includa le seguenti parole: uso, abuso, dipendenza, tolleranza, ecc. - categorizzazione delle diverse sostanze (stimolanti, allucinogeni, analgesici, ecc.) - leggi inerenti le sostanze psicoattive - consumo inadeguato di farmaci e di sostanze nello sport - effetti dell’alcol ai diversi livelli - riferimenti nazionali e locali, comprese le linee telefoniche, a cui chiedere supporto o consiglio in merito. Abilità - identificare i rischi per la salute comunicare con i pari, genitori ed adulti in genere abilità decisionali ed assertive in condizioni associate al consumo di sostanze dare aiuto in condizioni di particolare emergenza (ad esempio saper mettere una persona nella posizione di sicurezza). Atteggiamenti - atteggiamenti ed opinioni sulle sostanze e sui consumatori - impatto dei media e loro influenza sul modo di pensare dei giovani - atteggiamenti verso le sostanze e le leggi che le riguardano - riconoscimento del fatto che ognuno può giocare il ruolo di modello e accettazione delle proprie responsabilità in merito - responsabilità verso la propria ed altrui salute. = Conoscenza e Comprensione = Abilità = Atteggiamenti Conoscenza e comprensione - regole della scuola nei confronti dell’assunzione di farmaci, alcol, tabacco, solventi, sostanze illegali e su come rispondere ad incidenti droga-correlati - informazioni sulle sostanze psicoattive, i loro effetti e la loro posizione legale - effetti dell’uso ed abuso di sostanze a livello personale, sociale, finanziario, biologico e psicologico - modelli di consumo a livello locale e nazionale relativi all’abuso di sostanze e al loro impatto sulla società e sulla comunità - pericolosità associata alle sostanze, al loro mix ed a specifici ambienti e modalità di assunzione - politiche locali riguardo le sostanze, incluse l’educazione, la prevenzione, gli aspetti legali e penali, il trattamento e la riabilitazione - responsabilità legale e diritti - servizi ed agenzie locali di supporto. Abilità - identificare e valutare i rischi - comunicare con i pari, genitori ed adulti in genere - abilità decisionali ed assertive in condizioni associate al consumo di sostanze - gestire le situazioni di conflitto ed il comportamento aggressivo - dare consigli sulle sostanze ad altri giovani - dare aiuto in diverse situazioni. Atteggiamenti - influenze sociali e culturali delle persone giovani - atteggiamenti verso le sostanze, i consumatori e chi ne abusa, le leggi inerenti le sostanze - responsabilità dell’individuo verso le proprie azioni. 1° stadio: 5-7 anni 75 Standard di qualità: Conoscenze degli insegnanti Criteri 1) Gli insegnanti possiedono conoscenze di base sulle sostanze, sui servizi locali che si occupano di dipendenze, sul ruolo della scuola nella strategia nazionale contro le droghe, sulla situazione locale riferita dalla polizia e dalle agenzie che se ne occupano. 2) Gli insegnanti conoscono principi di riferimento e strategie operative dell’approccio governativo alla drug education. 3) Gli insegnanti conoscono il contributo della drug education nei programmi preventivi e nello sviluppo psico-sociale degli studenti. In primo luogo gli interventi dovrebbero focalizzarsi sul ruolo di sostanze quali i farmaci. Standard di qualità: Il ruolo degli insegnanti nella drug education Criteri: 1) Gli insegnanti sono in grado di affrontare situazioni controverse e delicate. 2) Gli insegnanti tengono in considerazione la loro esperienza ed i loro atteggiamenti nei confronti delle sostanze. 3) gli insegnanti riconoscono quando c’è la necessità di far intervenire esperti del settore. Standard di qualità: Pianificazione del programma di drug education Criteri 1) Il programma è inserito all’interno del piano nazionale. 2) La pianificazione dell’intervento è coerente con le politiche scolastiche. 3) Le metodologie di apprendimento che vengono utilizzate sono in linea con le linee guida governative sulla drug education. 4) Il contenuto del programma è stato sviluppato prendendo in considerazione la documentazione tecnica governativa (linee guida, etc.). 5) Gli studenti sono stati coinvolti nell’intervento, in quanto gli insegnanti hanno valutato le loro conoscenze, abilità e esperienze ed hanno tenuto in considerazione le loro opinioni, percezioni, atteggiamenti riguardo le sostanze. 6) I materiali utilizzati sono scelti attentamente per la loro qualità e rilevanza ai fini dell’intervento pianificato. 7) Lo spazio fisico all’interno delle classi è abbastanza flessibile per una varietà di interventi. 8) Gli insegnanti possono ricevere consulenza. 9) E’ possibile ricevere assistenza nel processo di apprendimento. 76 2° stadio: 7-11 anni Standard di qualità: Il clima di apprendimento è gestito con attenzione Criteri 1) Sono definite attentamente delle regole per ogni classe o gruppo. 2) Fra insegnanti e studenti esiste rispetto reciproco. 3) Gli insegnanti stimolano fra gli studenti un processo di apprendimento attivo. 4) Gli studenti ritengono piacevoli le attività di drug education. 5) Gli insegnanti si sentono adeguatamente supportati e formati. Standard di qualità: Le attività svolte in classe sono in accordo con le linee di intervento gover native di drug education Criteri 1) Gli studenti vengono informati degli scopi e dei risultati attesi di ogni sessione. 2) Gli insegnanti definiscono contenuti che sono rilevanti per gli studenti. 3) Ci sono opportunità di sviluppare attività sia individuali che di gruppo. 4) Vi è un giusto equilibrio fra l’utilizzo di attività interattive e didattiche. 5) Il ricorso ad agenzie esterne mira a completare, ma non a sostituire le attività condotte dagli insegnanti. 6) Gli interventi gestiti dagli insegnanti modificano il comportamento degli studenti. 7) I materiali utilizzati devono essere aggiornati e valutati in base a criteri precedentemente stabiliti. In questo stadio l’intervento è focalizzato sugli effetti dannosi di tabacco, alcol ed altre sostanze Standard di qualità: Processi di monitoraggio e valutazione Criteri 1) Gli insegnanti devono monitorare e valutare il processo di apprendimento degli studenti in base alle conoscenze, abilità, atteggiamenti e valori sviluppati ed esplorati. 3° stadio: 11-14 anni Ai ragazzi di quest’età si dovrebbe comunicare che: = l’abuso di alcol, solventi, tabacco ed altre sostanze influenzano la salute; = le naturali difese del corpo possono essere rafforzate attraverso la difesa immunitaria ed i farmaci; = il fumo di tabacco agisce sulla struttura dei polmoni e sulla respirazione. 4° stadio: 14-16 anni In questo stadio l’intervento dovrebbe focalizzarsi sugli effetti di solventi, tabacco e altre sostanze. Il piano d’azione inglese comprende anche dei riferimenti agli standard di qualità ai quali dovrebbero tendere gli insegnanti. 77 In conclusione, alle istituzioni scolastiche ed in particolare agli insegnanti, viene richiesto di essere efficaci agenti di formazione e prevenzione. Questo significa essere capaci, ad esempio, di porsi come promotori di abilità quali quelle cognitive, affettive e psico-sociali, facendo fronte alle continue trasformazioni sociali ed alle difficoltà istituzionali, di essere capaci di confrontarsi su valori personali, atteggiamenti e comportamenti, di ascoltare in modo attivo facilitando le relazioni all’interno della classe. Risulta, quindii, chiaro come sia necessario e prioritario sostenere questo difficile ruolo, attraverso adeguate politiche scolastiche ed efficaci percorsi di formazione, atti a potenziare non solo competenze tecniche specifiche, ma anche abilità personali. 4.2.6 Esempi di programmi rivolti agli insegnanti Si riporta, di seguito e in forma sintetica, un esempio di programma che fa riferimento ad interventi preventivi che prevedono il coinvolgimento degli insegnanti ed identificato come efficace. Si tenga presente che anche gli esempi citati nelle pagine precedenti a proposito degli studenti vedono un forte coinvolgimento degli insegnanti. Per ulteriori approfondimenti si rimanda al lavoro di Orlandini, Nardelli e Bottignolo del 2002. a. Standing on my own feet (Corfù – Grecia) Standing on my own feet aveva più obiettivi: sviluppare le abilità psico-sociali degli studenti, favorire la creazione di un clima scolastico positivo e creativo fortificando la personalità degli studenti, migliorare la comunicazione degli studenti tra loro e con i loro insegnanti, rafforzare il ruolo degli insegnanti attraverso l’applicazione di metodi di apprendimento attivi durante le lezioni e acquisizione di un atteggiamento sostenitivo. Il tutto affinché il processo di apprendimento potesse diventare più piacevole e la comunicazione potesse essere ulteriormente rinforzata. L’addestramento degli insegnanti mirava ad applicare le tecniche di apprendimento attivo in tuttte le materie curriculari. Questo progetto pilota ha avuto origine da un Programma di Promozione della Salute attuato in alcuni Licei di Corfù nell’anno scolastico 1998-1999 con lo scopo di prevenire l’uso di sostanze. Nel contesto del secondo anno di realizzazione (1999-2000), è stato implementato nelle stesse scuole, con gli stessi studenti e da parte degli stessi insegnanti che lo avevano seguito l’anno prima. L’insegnante, adottando tale atteggiamento, attira l’interesse degli studenti, li motiva alla partecipazione attiva nel processo di apprendimento e promuove la comunicazione fra sé e gli studenti. Supervisioni settimanali al programma furono offerte dal responsabile del programma al fine di assicurare un’adeguata realizzazione dell’intervento e la soluzione di possibili difficoltà. 4.2.7 I genitori 78 Come evidenziato finora, un approccio preventivo efficace non può limitarsi ad attivare solo interventi rivolti direttamente all’adolescente, ma deve proporsi anche come un rinforzo ed un potenziamento della rete sociale di riferimento dello stesso adolescente. Da più parti è segnalata l’importanza di coinvolgere i genitori o le figure educative sostitutive: la famiglia risulta essere infatti una delle componenti fondamentali nella formazione della personalità e nella crescita dell’individuo, sia dal punto di vista cognitivo ed affettivo che da quello esperienziale. È all’interno della famiglia, infatti, che l’individuo acquisisce valori, atteggiamenti, credenze, stili di vita e comportamenti ed i genitori in particolar modo giocano, in termini positivi o negativi, il ruolo di modelli per i loro figli. In particolare nell’adolescenza il ruolo della famiglia assume ulteriore importanza: in questo periodo, infatti, parallelamente al progressivo distacco dalle figure genitoriali ed all’aumentare dell’importanza del gruppo dei pari, è possibile avvenga il primo contatto indiretto o diretto con le sostanze psicoattive. Nonostante sia nota la rilevanza dell’influenza del gruppo dei pari nell’assunzione dei comportamenti a rischio, Brook et al. (1990), hanno messo in luce come un’adeguata relazione con i propri familiari possa compensare il fattore di rischio rappresentato da pari che consumano sostanze. Una mole sempre più vasta di ricerche ha ormai dimostrano come nella prevenzione delle dipendenze debbano essere presi in considerazione i fattori di rischio e quelli di protezione, compresi quelli identificati per lo specifico ambito familiare. Numerosi studi hanno dimostrato come in quest’ambito specifico i fattori di rischio sono di natura diversa e possano riguardare o direttamente i genitori o, in una visione più ampia, l’intero contesto familiare. Uno dei fattori di rischio intrafamiliare è l’abuso o dipendenza da sostanze, legali ed illegali, dei genitori, fattore che pone il figlio in una condizione di alto rischio per l’abuso di sostanze (Bry, 1994; Dumka et al., 1995), rischio che risulta essere genetico, psicologico e sociale (Bry, 1994; Dumka et al, 1995; Johnson e Montgomery, 1989; Merikangas, Van Hasselt et al., 1993). Altri importanti fattori di rischio riguardano l’uso di alcol, tabacco ed altre sostanze, sia da parte dei genitori che dei fratelli, e la presenza di un atteggiamento positivo da parte della famiglia nei confronti del consumo. La mancanza di attaccamento alle figure genitoriali da parte del ragazzo, la presenza di abuso psicologico o fisico ed un’inadeguata gestione familiare da parte dei genitori sono altresì citati fra i fattori di rischio (Hawkins et al, 1992). I fattori protettivi includono invece un forte legame tra il ragazzo e la famiglia, le capacità di monitoraggio e supervisione da parte dei genitori ed il supporto emotivo verso il ragazzo e le due difficoltà (Ge et al., 1996; Hawkins et al., 1992). La famiglia appare, quindi, un elemento centrale nello sviluppo di problemi legati all’uso di sostanze. Negli interventi di prevenzione rivolti alle famiglie una finalità generale, ma di chiara importanza, è quella di incrementare le abilità educative dei genitori e/o sostenerli nel loro compito educativo, stimolando la comparsa di comportamenti che hanno dimostrato avere una funzione protettiva. La maggior parte dei programmi di prevenzione delle dipendenze si rivolgono ai genitori di preadolescenti e adolescenti, non solo perché questo è il momento della vita in cui è più facile entrare in contatto con le sostanze, ma anche perché i genitori in questo periodo devono far fronte ad importanti cambiamenti del figlo e si trovano in difficoltà da nuove e sempre più complesse problematiche educative. Inoltre, il ricorso ad adeguate competenze educative da parte dei genitori facilita l’instaurarsi di un clima di buoni legami familiari che permette al figlio di non isolarsi, ripiegandosi su se stesso o sfidando, attraverso condotte rischiose quali il consumo di sostanze, l’autorità genitoriale. In tal senso risulta, quindi, necessario programmare ed implementare interventi che mirino ad incrementare le abilità genitoriali necessarie a contrastare i fattori di rischio ed al tempo stesso sviluppare i fattori di protezione, al fine di prevenire l’uso di sostanze nei figli. Mendes (1999) riassume nei seguenti punti i criteri di efficacia nella progettazione ed implementazione dei programmi di prevenzione rivolti ai genitori: 1) i programmi rivolti alla famiglia devono definire dei chiari obiettivi, quali risultati si vogliono ottenere, e quali strumenti utilizzare al fine di raggiungerli. Il messaggio preventivo deve essere chiaro ed adeguato ai suoi interlocutori, cosicché essi possano assimilarlo. 2) Questi programmi devono prendere in considerazione il momento della vita che la famiglia sta affrontando e coinvolgere in eguale misura sia i genitori che i figli, in quanto questo risulta essere un elemento che porta efficacia al programma. 3) Data la complessità degli obiettivi che questo tipo di programma si propone non possono che non essere a lungo termine, in quanto solo così possono essere in grado di stimolare il cambiamento di atteggiamenti e comportamenti. 4) Il programma non deve focalizzarsi solo su una consegna di informazioni, per quanto questa sia una necessità presente ed importante per i genitori, bensì su una comprensione di quelli che sono i fattori di rischio e di protezione nel consumo di sostanze e su un loro successivo decremento od incremento. 5) Ogni programma deve essere adattato alle caratteristiche ed ai bisogni della comunità all’interno della quale si colloca, da un punto di vista economico, sociale e culturale. Dal punto di vista operativo, oltre che identificare i principi che garantiscono l’efficacia di un intervento (cfr. Cap. 3), sembra opportuno segnalare alcune problematiche che riguardano l’implementazione e che, quindi, possono influenzare anche la programmazione. In primo luogo, nonostante lo sviluppo di competenze educative specifiche si riveli essere la finalità generale e di importanza prioritaria degli interventi di prevenzione rivolti ai genitori, nella realtà si devono considerare e descrivere diverse tipologie di programmi che li riguardano. Da un lato si sono diffusi, infatti, interventi minimali che riguardano non solo la semplice informazione sulle sostanze e sulle loro conseguenze (“conferenze”), ma che si strutturano in veste di veri e propri incontri di sensibilizzazione verso i comportamenti a rischio e, nello specifico, verso il consumo di sostanze. Tali interventi, denominati generalmente “corsi” o “incontri” per genitori, possono fare ricorso a materiali e mini-guide altrettanto precisi e dettagliati. Alla luce dei criteri di efficacia sopra elencati emerge, però, come questa tipologia di intervento, pur raggiungendo un ampio numero di 79 genitori, possa stimolare la comparsa di un diverso approccio culturale, ma non possa operare cambiamenti importanti nei riguardi di opinioni, credenze ed abilità. Dall’altro lato, si sono sviluppati dei veri e propri programmi preventivi di cui porteremo di seguito alcuni esempi significativi e che, data l’importanza dei processi che affrontano, necessitano di interventi che si svolgano nel lungo termine e che richiedono un notevole impegno da parte dei genitori. Sarebbe, quindi, necessario studiare un modello d’intervento che possa coniugare interventi strutturati che hanno dimostrato la loro efficacia con percorsi che vedano i genitori impegnati nel breve termine e che possano loro garantire facilità di frequentazione. Un altro punto critico è rappresentato dal fatto che, queste tipologie di interventi raggiunono una popolazione genitoriale che manifesta un proprio personale interesse verso queste problematiche e che quindi, possiede già al riguardo informazioni ed opinioni. Non si può non considerare quanti rimangono esclusi in quanto non motivati nel partecipare. Alla luce di quanto finora riportato, analizzando la sfera dei programmi di prevenzione delle dipendenze attualmente implementati e rivolti alla famiglia, emerge chiaramente che la maggior parte di essi si focalizzano solo sui genitori. La maggior parte dei genitori viene contattata attraverso la scuola, che si offre come efficace punto di contatto e contenitore d’intervento. La gamma dei programmi implementati ed implementabili comprende sia interventi di tipo informativo, che mirano quindi a dare informazioni in merito alle diverse sostanze ed alle loro conseguenze, sia interventi atti a modificare opinioni e credenze su queste e sui fattori di rischio e di protezione ad esse correlati. Infine, se da un lato alcuni interventi mirano a dare sostegno al genitore nella sua relazione con i figli, altri sono strutturati come vere e proprie sessioni di apprendimento focalizzate su abilità educative di carattere più generale o di carattere specifico. 4.2.8. Esempi di programmi rivolti ai genitori Si riportano, di seguito, in forma sintetica, alcuni esempi di programmi che includono come destinatari anche i genitori che hanno ricevuto un’adeguata valutazione ed, in seguito a quest’ultima, sono stati identificati come programmi efficaci. Per ulteriori approfondimenti sulla strutturazione dei progetti e sulle fonti si consiglia di fare riferimento al lavoro di Orlandini, Nardelli e Bottignolo del 2002. 80 a. Creating Lasting Family Connections (Louisville, KY – USA) Questo progetto, destinato a ragazzi di età compresa fra i 9 ed i 17 anni ed alle loro famiglie, mira a fornire sia ai ragazzi che ai loro genitori, abilità personali che li possano rendere capaci di affrontare i fattori di rischio presenti nel loro ambiente di vita. Mira quindi a prevenire la comparsa di comportamenti a rischio, tra i quali l’abuso di sostanze, promuovendo nei ragazzi come nei loro genitori, oltre che un’adeguata informazione, la crescita personale, la comunicazione interpersonale e lo sviluppo di specifiche capacità di rifiuto delle sostanze. Il progetto prevede il coinvolgimento dei ragazzi e dei genitori in 6 moduli, attuati con modalità altamente interattiva, che si focalizzano su tre componenti principali: le problematiche legate all’uso di sostanze, quelle inerenti la sfera personale, la comunicazione e le abilità che permettono di affrontare i comportamenti a rischio. b. PDFY - Preparing for the drugs free years (Seattle, Washington – USA) PDFY mira a fornire a genitori di adolescenti di età compresa fra gli 8 ed i 13 anni, la conoscenza e le abilità necessarie per guidare i figli lungo la prima fase dell’adolescenza. Negli ultimi vent’anni, la ricerca ha dimostrato come un coinvolgimento genitoriale positivo sia un importante fattore di protezione in grado di incrementare la probabilità di successo scolastico dell’adolescente e di prepararlo meglio ad affrontare i problemi successivi, quali consumo di sostanze, violenza e comportamenti sessuali precoci. Questo progetto si propone di: = rafforzare e rendere maggiormente chiare le aspettative della famiglia nei riguardi del comportamento dell’adolescente = evidenziare le condizioni che promuovono le relazioni all’interno della famiglia = insegnare agli adolescenti ed ai loro genitori abilità che permettano l’incontro fra l’adolescente e le aspettative di non consumo della famiglia. Anche se in alcune occasioni è possibile implementare il progetto in 10 incontri di 1 ora ciascuno, generalmente le attività sono articolate in 5 sessioni di 2 ore ciascuna, articolate lungo 5 settimane consecutive. Le diverse sessioni si basano su modalità interattive e sono focalizzate sull’acquisizione di abilità, cercando di dare ai genitori la possibilità di mettere in pratica quanto appena appreso e di ricevere utili feedback da operatori e da altri genitori. Viene fornito inoltre materiale didattico e video come spunti per poter discutere su un’ampia varietà di situazioni familiari. Il progetto è stato rivolto ai genitori in contesto scolastico, nei luoghi di lavoro, in ambito religioso ed ospedaliero e nelle prigioni. 81 4.3 In sintesi Sembra quasi scontato, a conclusione di questa panoramica, ricordare che la situazione ideale di lavoro all’interno delle scuole è quella che prevede interventi sui tre livelli (studenti, insegnanti, genitori), così come indicato dalle linee politiche europee, nazionali e regionali fin qui evidenziate e dalle indicazioni della psicologia di comunità. In modo particolare, sembrano essenziali interventi fasespecifica destinati agli studenti che prevedano una continuità temporale ed una longitudinalità della rilevazione degli esiti. Va, però, sottolineato come, anche laddove sono stati messi in atto interventi così idealmente strutturati, ci si è scontrati con difficoltà di implementazione e conuna limitatezza numerica delle sperimentazioni. Appare necessario, quindi, pensare non solo alla strutturazione di un impianto metodologicamente valido, ma anche ad un’estensione su più grandi numeri che consenta la generalizzazione dei risultati degli studi di efficacia. Altra considerazione da aggiungere è che non è più tempo di “fare per fare”. Dalla letteratura riportata si evince come il fare prevenzione richieda professionalità specifiche, vista anche la molteplicità delle dimensioni su cui si va ad incidere, pena l’inefficacia o addirittura la dannosità dell’intervento stesso. Da qui la necessità di indirizzare le risorse economiche destinate alla prevenzione in modo preciso, secondo criteri di assegnazioni che partano da mirate e ben attuate valutazioni qualitative e quantitative. Bibliografia 82 A.A.V.V. (2002). Making schools a healthier place. Trimbos Institute. Netherlands Institute of Mental Health and Addiction International Affairs Unit – The Netherlands. www.school-and-drugs.org Arcuri, L. (1995). 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In questo modo gli studenti si coinvolgono maggiormente, partecipano ed interagiscono con operatori ed esperti. Rimangono invece passivi, si annoiano e disturbano durante l'incontro, se l'operatore ed esperto comincia a fare lui la lista delle caratteristiche del "concetto di rischio". Una prevenzione dialogica ed interattiva richiede di accostarsi agli studenti, genitori ed insegnanti con uno stile comunicativo centrato sull'empowerment dell'altro (C.Piccardo 1995). Si tratta di riconoscere ed attivare le risorse del gruppo classe (M.Polito 2000), sostenere la genitorialità dei padri e delle madri (Milani, 1993, 2001), valorizzare gli interventi pedagogici e didattici degli insegnanti. La ricerca metacognitiva (C.Cornoldi 1995) e costruttivistica (D.C.Philips 2000) ha dimostrato che si apprende non in funzione delle informazioni che si ricevono, ma a seconda del grado di rielaborazione personale e collettiva delle informazioni ricevute. Questa consapevolezza era già presente a livello intuitivo in quel proverbio che afferma: "Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco". In questo capitolo saranno descritte: = Alcune indicazioni teoriche del cambiamento del concetto di apprendimento, operato dal 25 Psicologo e Psicoterapeuta libero professionista costruttivismo, dalla teoria della mediazione, dalla prospettiva dell'apprendimento cooperativo. = Alcune strategie dell'apprendimento cooperativo, per dimostrare che è possibile fare prevenzione in modo differente, creando interazione, discussione, elaborazione cooperativa delle informazioni. = Alcune strategie di comunicazione in classe (M. Polito 2003a). 5.2 Il benessere in classe come prevenzione La migliore forma di prevenzione del disagio è la costruzione quotidiana del benessere emotivo in classe (U.Mariani 2001). Quando si crea un clima di classe positivo è più facile insegnare, apprendere, contenere il disagio, offrire una prospettiva positiva alle difficoltà della crescita. Molti autori (D.Goleman 1996, L.E.Shapiro 1997, Roche Olivar 2002) sottolineano l'importanza di creare in classe una comunità di apprendimento basata sulla solidarietà, abilità prosociali, intelligenza emotiva. Comincia a diffondersi una maggiore attenzione verso il tema della comunicazione in classe, non perché si è più sentimentali o sotto la spinta della moda “buonista” del “vogliamoci bene”, ma piuttosto perché è una necessità. Addirittura una necessità di sopravvivenza. Molti insegnanti fanno notare che non si può più insegnare a scuola, perché i ragazzi non sanno stare insieme, non sanno stare in gruppo, non conoscono le regole della convivenza, non sanno come si vive insieme agli altri. Si è sgretolata, a loro parere, la consapevolezza di essere un gruppo, di essere una comunità. Come si può fare prevenzione in una situazione così lacerata? È impossibile. È necessario ricostituire innanzitutto la percezione di essere un gruppo solidale. Per questa ragione è utile inserire i progetti di prevenzione del disagio e di promozione della salute psicoaffettiva all'interno di un progetto più vasto: quello del benessere emotivo in classe (M.Polito 2000, 2003a). Questa riflessione sull'importanza del tema della comunicazione in classe comporta un profondo cambiamento all’interno della scuola. Suggerisce di migliorare il modo in cui gli insegnanti comunicano con gli studenti, ma anche il modo in cui gli studenti si relazionano con gli insegnanti e tra di loro. Stimola una migliore comunicazione tra insegnanti e genitori per condividere la loro comune responsabilità educativa. Facilita la comunicazione tra la scuola e le altre istituzioni del territorio. Molti progetti di prevenzione del disagio sono risultati inefficaci, proprio perché non hanno tenuto conto del contesto comunicativo più ampio che era dissestato. Non si può fare prevenzione da soli: bisogna coinvolgere tutte le componenti: studenti, insegnanti, genitori, agenzie educative del territorio, perché, come dice un proverbio africano, "per educare un bambino ci vuole un villaggio", non un solo insegnante o un singolo esperto. L'apprendimento avviene sempre all'interno di contesti di relazioni: quelli tra insegnante e studente e quelli tra gli studenti. In ambito scolastico abbiamo ascoltato frasi che ci hanno bloccato nella crescita o ferito nella nostra dignità e frasi che ci hanno incoraggiato, aiutato a sviluppare le nostre potenzialità. Se l'insegnante stima i suoi studenti, se valorizza le loro risorse umane e cognitive può contribuire a realizzare un clima di classe in cui la comunicazione fiorisce e l'apprendimento cooperativo diventa una "filosofia di vita", una modalità di porsi di fronte alla realtà: imparare insieme a pensare e a risolvere i problemi comuni. La comunicazione in classe riguarda anche il gruppo degli insegnanti. Quando la comunicazione tra loro è autentica, personale, solidale, si avverte un clima educativo positivo e accogliente, si condivide l'esperienza educativa, si progettano lavori comuni, si confrontano i risultati, si discute, si elaborano progetti, si assicura il sostegno nelle difficoltà: “Vorrei attuare questo percorso. Che te ne pare? Dimmi la tua opinione. Sto procedendo bene?”. L’insegnante è un agente importante del clima di classe. È un modello che tutti vedono ed osservano quotidianamente. Può proporsi come un “modello” di comunicazione efficace. Egli, coscientemente o meno, diventa per gli studenti l’esempio concreto di “come si fa ad apprendere, a comunicare, ad affrontare situazioni difficili”. Sollecita un tipo di apprendimento basato sull’imitazione e sull’identificazione (“Faccio come lui”). Con la sua empatia verso i bisogni degli studenti crea benes- 85 sere emotivo, solidarietà e cooperazione. Secondo Alfie Kohn (1999) il benessere emotivo in classe e l’apprendimento cooperativo introducono una particolare attenzione verso il benessere sociale in classe. Si apprende meglio se si sta bene con se stessi e gli altri. Molti insegnanti, invece, si concentrano solo sull’aspetto didattico e trascurano la dimensione relazionale. Per loro ha poca importanza la creazione di un clima di classe comunitario e solidale. L’apprendimento cooperativo riduce la preponderanza del modello individualista e competitivo, così forte nelle nostre scuole. 5.3 Abilità sociali per stare bene insieme Per realizzare in modo interattivo e cooperativo un progetto di prevenzione del disagio o di promozione alla salute, è necessario sviluppare alcune abilità sociali per stare bene insieme. Queste abilità sociali, non bisogna darle per scontate, bisogna verificarle, ma soprattutto coltivarle accuratamente. Il lavoro cooperativo in classe richiede molte abilità sociali, come ad esempio le seguenti: = chiedere e dare informazioni, = preparare un piano comune di studio, = sintetizzare le idee discusse, = verificare insieme l’accuratezza, la precisione, la correttezza dei dati, = aiutarsi nel problem solving cooperativo, = chiedere agli altri un feedback sulle proprie opinioni, = porre delle domande, = chiedere delle spiegazioni e delle motivazioni, = criticare le idee ma non le persone, = differenziare le opinioni, = ampliare le idee, = integrare idee differenti in prospettive più ampie, = evitare “frasi killer”, = incoraggiare la partecipazione di ciascuno, = impegnarsi ad un ascolto attivo e poi parafrasare le idee degli altri, = condividere i propri sentimenti, = manifestare apprezzamento per gli altri, = usare un senso dell’umorismo appropriato e pertinente. 5.4 Alcune indicazioni teoriche del nuovo paradigma di insegnamento ed apprendimento 86 Quali sono le indicazioni teoriche che sostengono il nuovo paradigma di insegnamento e apprendimento che è emerso negli ultimi decenni? Esse sono numerose e provengono da vari settori della ricerca. Nel presente lavoro sono state tenute presenti alcune teorie di riferimento, nate in campo psicologico, psicoterapeutico, sociologico, cibernetico. Si è cercato però di inquadrarle entro un ampio modello educativo denominato “pedagogia del prendersi cura dell’altro”. Alcune di esse sono le seguenti: = La teoria di J.Piaget sull’intelligenza come costruzione. = La teoria di L.Vygotskji (1980) sull’importanza delle interazioni sociali per la costruzione del pensiero e della mente. = La teoria del costruttivismo (D.C. Philips 2000) che stimola gli studenti ad essere protagonisti della costruzione della loro mente e competenze cognitive. = La teoria sulla metacognizione. = La teoria dell’apprendimento sociale (A.Bandura 1966, 1987). = Le numerose prospettive del cooperative learning (si vedano le ricerche dei fratelli Johnson 1996). = La teoria della conoscenza come costruzione sociale (si veda W.Doise e G.Mugny 1983). = La teoria delle intelligenze multiple (di H.Gardner 1987). = L'intelligenza emotiva a scuola e nella vita (D.Goleman, L.E.Shapiro 1997). = L’impostazione pedagogica di Paulo Freire (1975). = L’impostazione pedagogica di Don Milani (1967). = La teoria non-direttiva di C.Rogers (1973). = La teoria dell’apprendimento mediato di Reuven Feuerstein (1980). = La teoria sulla differenza di genere (L.Yrigaray 1992). = La teoria della “community care” (F.Folgheraiter 2000). = L’approccio dell’auto mutuo aiuto (P.R. Silverman 1993). La varietà e ricchezza di questi approcci teorici indicano la necessità di elaborare un pensiero complesso (E.Morin 1999), una visione molto articolata che sia capace di concettualizzare e di pensare l'intreccio delle numerose variabili presenti nella realtà educativa. È opportuno approfondire alcuni approcci pedagogici e didattici molto ricchi di indicazioni metodologiche e strategiche, che se applicate operativamente possono rendere più fruttuosi i nostri progetti di prevenzione del disagio e di promozione della salute fisica e psicoaffettiva. Nelle pagine seguenti approfondiremo questi temi: = La pedagogia come capacità del "prendersi cura della crescita e formazione dell'altro". = La teoria del costruttivismo che propone una teoria dell'apprendimento attivo, esperienziale e condiviso. = L'approccio dell'apprendimento cooperativo. 5.5 La pedagogia del prendersi cura La pedagogia del "prendersi cura" ha origine molto antiche. Già Socrate con l'immagine dell'educatore come ostetrico aveva sottolineato l'importanza del prendersi cura, attraverso il dialogo, per aiutare l'altro a partorire la propria verità ed il proprio pensiero. Nel mondo contemporaneo, L.Vygotskij (1980) con la sua teoria della mediazione nella zona prossimale di sviluppo, R.Feuerstein (1980) con la sua teoria della modificabilità cognitiva, Paolo Freire (1975) con la sua teoria della coscientizzazione e della pedagogia come liberazione degli oppressi, Don Milani (1967) con il suo coinvolgimento e partecipazione alla crescita dell'altro "I care" ("Mi interesso a te"), D.Goleman (1996) con la sua sottolineatura dell'importanza dell'intelligenza emotiva a scuola e nella vita, si è diffusa la consapevolezza dell'importanza del sostegno da dare a colui che apprende. J. Bruner parla di "scaffolding" (impalcatura) che è una metafora che deriva dalla pratica di dare sostegno, impalcatura agli alberi giovani per proteggerli dalle intemperie ed aiutarli a prendere una direzione orientata verso la propria crescita normale. Secondo J. Bruner (1987), esistono alcune funzioni che facilitano il sostegno, lo scaffolding, cioè il sostegno dato alla persona inesperta o novizia. Alcune sono le seguenti: conquistare l’interesse di colui che apprende, stimolare la fiducia reciproca, aiutare il novizio a concentrarsi nel compito di apprendimento ed incitarlo a perseverare, sottolineare gli aspetti fondamentali del compito da svolgere e informare il novizio sullo scarto o discrepanza che lo separa da una azione corretta, rassicurarlo, sostenendolo nei momenti di difficoltà e di frustrazione, offrire delle strategie per poter svolgere il compito adeguatamente e far vedere praticamente come risolvere ed affrontare alcune difficoltà (“Osserva come sto affrontando questo esercizio. Poi ti chiederò di ripetere i passaggi che eseguirò”). L'operatore o l'esperto che propone un progetto di prevenzione del disagio e di promozione alla salute ha bisogno di chiarire a se stesso e agli altri il suo ruolo, che non è quello di dispensare risposte corrette e ricette pronte per l'uso, ma di aiutare ciascuno ad elaborare le proprie all’interno di un progetto formativo ampio di crescita e di autorealizzazione. In questo modo l'operatore ed esperto neutralizza efficacemente le sue spinte megalomani e narcisiste e si pone al servizio della crescita degli altri, utilizzando le sue risorse professionali ed umane. Stimola in ciascuno dei presenti una riflessione sulle proprie abilità, preconoscenze, talenti e facilita il senso di responsabilità e di interattività: “Come possiamo utilizzare le risorse di tutti 87 quanti noi per sentirci migliori, più orientati, più capaci, più competenti, alla fine di questo corso di promozione alla salute?”. Emerge una diversa concezione dell'insegnamento e dell'apprendimento. Si insegna per far apprendere l'altro e si apprende in base al proprio processo attivo di coinvolgimento e rielaborazione personale e collettiva. 5.6 Costruttivismo ed apprendimento attivo Il costruttivismo suggerisce di considerare l'apprendimento come un processo attivo di elaborazione delle conoscenze (D.C. Philips 2000). Si impara non perché si ascoltano delle informazioni, ma perché desidera rielaborarle, inserendole entro i propri schemi cognitivi e al centro del cuore delle proprie motivazioni. Per attuare dei progetti di prevenzione efficaci bisogna tener conto di questo nuovo paradigma di insegnamento e di apprendimento, presentando a studenti, insegnanti e genitori delle “esperienze” di apprendimento, all'interno delle quali essi possano rielaborare personalmente ed in gruppo le informazioni che gli operatori e gli esperti propongono loro. In generale i corsi di formazione sono più efficaci quando sono basati sul coinvolgimento ed interattività e soprattutto quando rispondono a delle domande o bisogni interni, con i quali gli operatori e gli esperti si devono sintonizzare. In questo contesto il formatore è un facilitatore, un allenatore, un ostetrico che aiuta l’altro a elaborare e generare il proprio sistema o mappa conoscitiva, utilizzando le risorse proprie e quelle del gruppo. L’insegnamento e l’apprendimento sono esperienze condivise. È importante abbandonare la “predominanza” della lezione frontale e integrare la lezione frontale all'interno delle attività di lavoro di gruppo, in cui sia possibile digerire, ristrutturare, rielaborare, ridiscutere, approfondire le informazioni ricevute dall’insegnante. La partecipazione a piccoli gruppi, sviluppa delle abilità cognitive elevate, quali: = la sintesi, = l’analisi, = la valutazione, = il confronto, = la dissonanza cognitiva, = la ristrutturazione delle informazioni in seguito a nuovi dati, = l’assunzione di nuovi punti di vista, = l’assunzione di nuovi ruoli cognitivi. 5.7 Apprendimento reciproco e tutoring reciproco 88 Le ricerche sulla metacognizione (Cornoldi 1995) e sulla costruzione sociale della conoscenza (W.Doise e G.Mugny 1982) hanno sottolineato l’importanza dell’apprendimento attivo e condiviso come modalità strategica dell’apprendimento efficace. In tale contesto viene messa in discussione non la lezione frontale, ma la predominanza quasi assoluta e unica della lezione frontale nella maggior parte delle scuole. La lezione frontale offre il vantaggio della trasmissione delle informazioni ad un gran numero di studenti, ma la trasmissione delle informazioni non equivale all’apprendimento. L’apprendimento richiede invece una partecipazione attiva, mentre nella lezione frontale lo studente rimane passivo ed avverte un senso di pesantezza e di noia. Gli studenti apprendono meglio attraverso l’apprendimento attivo ed interattivo. Nell’ambito dei progetti di prevenzione è opportuno offrire delle “situazioni” di apprendimento per rendere gli studenti attivi e interattivi. Attivi per prendersi cura del proprio processo di apprendimento e interattivi per costruire insieme con gli altri la propria formazione e la propria rappresentazione cognitiva o mappa mentale. Una delle modalità più frequenti per rendere attivo lo studente è quella di stimolarlo ad utilizzare strategie metacognitive, ma soprattutto quella di raccontare agli altri come ha appreso o esporre agli altri i contenuti che ha acquisito, utilizzando schemi, mappe, esposizioni orali, caratterizzate da interattività. Nell’ambito del tutoring reciproco, ogni studente riceve il compito di studiare un testo o un brano di un libro, di un capitolo o una tematica. È impegnato a studiare e a relazionare ciò che ha appreso. Questo impegno implica un maggiore coinvolgimento nell’apprendimento, perché non si deve limitare a capire, ma deve andare oltre e chiedersi se ha capito bene, tanto da facilitare nel compagno o nel gruppo classe l’apprendimento di ciò che lui stesso ha già acquisito per primo. Nel narrare agli altri o nel presentare agli altri ciò che ha appreso, percepisce uno stimolo ad apprendere meglio ed è più attivo. Inoltre può ricevere un utile feedback dagli altri, una valutazione della sua esposizione o presentazione. Il giudizio degli altri va intrecciato con l’autovalutazione. Nei progetti di prevenzione basati sull'interazione e la condivisione si suggerisce ad ogni studente di approfondire un tema, di esporre ai propri compagni ciò che ha appreso e di richiedere loro un feedback su come ha esposto ciò che egli ha appreso, su quanto hanno imparato, su come si sono coinvolti. Da questa forma di valutazione reciproca impariamo a migliorare le nostre prestazioni. La raccolta del feedback degli altri rafforza nello studente ciò che lui ha appreso, consolida i contenuti, ma anche la sua motivazione ad apprendere di più e meglio. In particolare, è portato a mettere in atto i principi dell’apprendimento attivo, che sono la pianificazione dell’apprendimento, l’organizzazione delle idee, il controllo della comprensione del processo stesso di apprendimento, la scelta delle informazioni chiave da presentare agli altri, le strategie per presentare i concetti appresi e per coinvolgerli con entusiasmo verso ciò che sta presentando, l’autovalutazione e la valutazione del gruppo rispetto al proprio processo di apprendimento. Come si vede, si attivano molte abilità cognitive e metacognitive che confermano il principio generale dell’apprendimento attivo che è più efficace di quello passivo. J.Dewey (1859-1952) aveva sostenuto la necessità di passare da una scuola del "taci e ascolta", ad una scuola attiva e tutto il Novecento è stato attraversato da notevoli iniziative scolastiche basate sulla centralità dell’attività dello studente (attivismo). 5.8 Apprendere insegnando Già i latini sostenevamo che “docendo discitur”, che si impara mentre si insegna. Si possono organizzare i nuovi corsi di prevenzione del disagio e di promozione della salute utilizzando gli studenti stessi come insegnanti dei propri compagni, attuando il mutuo insegnamento o il tutoring reciproco (peer education) (A.Pellai, V.Rinaldin, B.Tamburini 2002). La prospettiva di insegnare agli altri è percepita dagli studenti come altamente motivante e stimola la responsabilità verso gli altri. Gli studenti si sentono impegnati a chiarire concetti difficili, prendendosi cura di come apprendono i loro coetanei. Imparano a prevedere le difficoltà e possono escogitare strategie per incuriosirli, entusiasmarli, coinvolgerli. Ad esempio, un gruppo che ha approfondito il tema del concetto di pericolo nei ragazzi e nelle ragazze possono stimolare la partecipazione dei propri coetanei chiedendo: “Secondo voi quali sono le differenze e le sfumature che ragazzi e ragazze presentano nella loro concezione del pericolo? Qual è la differenza tra maschi e femmine rispetto alla considerazione delle conseguenze del proprio comportamento? Come reagiscono maschi e femmine rispetto ai valori etici? Per quale ragioni, a vostro parere, vi è una forte differenza tra devianza maschile e femminile? Perché in carcere vi sono più maschi che femmine?”. In questo modo il progetto di prevenzione non è calato dall'alto, dagli operatori sociosanitari o dagli esperti, psicologi e pedagogisti, ma diventa un luogo di discussione, animato dagli stessi studenti e coordinato o integrato dagli insegnanti o esperti. Gli studenti che svolgono il ruolo di animatori o tutor dichiarano spesso di imparare molto da questa inversione di ruolo. Sono impegnati a studiare, approfondire, organizzare le informazioni all’interno di una unità didattica. Prendono appunti dai vari libri di testo, ma organizzano la lezione-discussione tenendo presenti gli occhi dei propri coetanei e le loro risorse cognitive. Questo impegno ad ordinare le informazioni essenziali, costituisce l’elemento centrale dell’apprendimento: non è sufficiente accontentarsi di averle capite, ma bisogna anche organizzarle, per far in 89 modo che gli altri apprendano ciò che noi abbiamo già acquisito. Quando stiamo pensando da soli, ci bastano pochi collegamenti per dire a noi stessi di aver compreso. Ma quando presentiamo le nostre stesse convinzioni agli altri, ci accorgiamo immediatamente che esse non penetrano facilmente nella mente degli altri, perché mancano gli stessi agganci che abbiamo noi e che gli altri non hanno. È necessario creare questi collegamenti, per far accogliere le informazioni che desideriamo offrire agli altri. Questa esperienza di aiutare ad apprendere, costituisce una grande esperienza formativa per gli studenti. Gli studenti dimostrano di apprezzare questa modalità, la ritengono utile e soprattutto la ricordano come un’esperienza di apprendimento attivo e anche divertente. Apprezzano l’opportunità di aiutare gli altri, di fare qualcosa di utile, di migliorare le abilità di comunicazione, di migliorare la propria padronanza di ciò che insegnano, di migliorare il proprio successo scolastico, di mettersi alla prova come persone che possono insegnare qualcosa agli altri. 5.9 Apprendimento condiviso Si apprende meglio quando si condivide con gli altri ciò che si è appreso. Quando si presentano le proprie idee al proprio gruppo, si ha bisogno di articolarle meglio e di connetterle a delle argomentazioni ben strutturate. Questo permette allo studente di riflettere sul proprio modo di parlare, di esprimersi, di operare una riflessione metacognitiva, stimolata soprattutto dalle reazioni di comprensione, di accordo o di disaccordo, espresse dai compagni. Imparare a collaborare in un piccolo gruppo è anche una palestra di democrazia. Stimola la socializzazione, il sostegno emotivo, il senso di affiliazione e di appartenenza, l’apprezzamento delle diversità, la valorizzazione delle risorse personali e di gruppo, l’arricchimento dei punti di vista, l’ampliamento della propria visione o mappa cognitiva. L.Vygotskij (1980) sottolinea l’importanza delle interazioni sociali per lo sviluppo della mente e del pensiero. Egli sostiene che l’interazione con gli altri, una volta interiorizzata, ci aiuta a dare forma al nostro pensiero. A suo parere, ogni funzione cognitiva appare due volte nello sviluppo evolutivo e culturale di ogni bambino. La prima volta a livello sociale e successivamente a livello individuale. Prima all’esterno nelle interazioni con gli altri e dopo all’interno del bambino stesso. La conoscenza, come contenuto del conoscere e il conoscere come processo, ha origine nell’interazione sociale. L’apprendimento procede dal piano interpersonale e sociale a quello intrapsicologico e individuale ed è assistito dalle persone più esperte che fanno da mediatori e che permettono a coloro che sono inesperti di ampliare le proprie conoscenze e abilità, partendo dal loro potenziale di apprendimento. L.Vygotskji (1988) descrive la zona prossimale di sviluppo come la distanza tra lo sviluppo attuale (determinato da ciò che si sa fare fino a questo momento) e il livello di sviluppo potenziale (che indica le nuove possibilità di imparare) sotto la guida di un adulto o in collaborazione con coetanei più capaci. Il nostro sviluppo cognitivo può essere migliorato, ampliato, sia sotto la guida di un adulto, sia grazie alla collaborazione con coetanei più esperti. Questa osservazione di L.Vygotskji attribuisce all’insegnante la funzione di mediatore, ma riconosce anche l’importanza della collaborazione tra i pari, non soltanto a scuola, ma anche fuori. La maggior parte dei giochi che i ragazzi hanno appreso, l’hanno appreso proprio dai pari, giocando ed imparando da chi era più esperto. 90 5.10 Tutti co-costruttori di conoscenza Partendo da queste premesse, tutti i ragazzi della classe possono cominciare a percepirsi cocostruttori di conoscenza se si sentono impegnati a riorganizzare le informazioni che possiedono, a discuterle, ad ampliarle attraverso lo scambio, il confronto, il tutoring reciproco. Cominciano ad apprezzarsi reciprocamente, perché sentono che ognuno è una risorsa cognitiva ed affettiva per tutti gli altri. Sono disposti a valorizzare le storie personali, i saperi spontanei, anche ingenui, frammentati e lacunosi che già possiedono e, partendo da questi, giungere a costruzioni sempre più sistematiche di organizzazione cognitiva. Sanno che hanno bisogno degli altri per imparare di più e meglio. Quando un progetto di prevenzione riesce a convogliare queste risorse, si avverte una partecipa- zione ed una motivazione che ne garantisca il successo. Quando invece l'esperto non riesce ad entrare in risonanza con le risorse degli studenti, rischia di "fare un buco nell'acqua" anche se è bravo e preparato. La consapevolezza, sottolineata dalla didattica costruttivistica, di essere tutti co-costruttori di un sapere condiviso, aiuta l'esperto a collocarsi in modo interattivo e soprattutto a far emergere le risorse cognitive che gli studenti possiedono in relazione ai temi del disagio, malessere e benessere a scuola, devianza, concettualizzazione del rischio, pericolo, danno, senso di responsabilità, concetto del limite, solidarietà tra pari, affetti, innamoramento, amore. Sono tematiche sulle quali ciascuno è una risorsa da valorizzare e convogliare a beneficio degli altri. Bisogna cominciare a pensare i progetti di prevenzione partendo da questa consapevolezza costruttivistica che permette di vedere in ogni studente una storia, un percorso esistenziale, una visione, un ideale. Come connettere tutte queste mappe cognitive ed affettive al progetto di prevenzione organizzato dagli operatori ed esperti sociosanitari? Tale legame o intreccio è necessario, altrimenti ogni progetto cade nel vuoto. Secondo G.A. Kelly (1955) tutti costruiscono delle mappe per orientarsi nel mondo: sia il bambino, sia il ricercatore universitario. J.Bruner afferma che non vi è distinzione qualitativa tra un bambino che impara e un ricercatore o scienziato. Vi è una differenza di organizzazione delle mappe, ma ambedue le menti sia quella del bambino che dello scienziato, sono coinvolte nello stesso ruolo di costruzione del pensiero e del pensare. Nella prospettiva dell’insegnamento tradizionale basato sulla trasmissione delle conoscenze, colui che parla durante la lezione è l’insegnante, mentre lo studente ascolta. Nella prospettiva della costruzione sociale delle conoscenze, emerge un altro tipo di relazione che presuppone il coinvolgimento attivo sia dell’allievo, sia dell’insegnante, un’interattività, un domandarsi e un rispondersi reciproco. L’obiettivo fondamentale è la ricerca comune della conoscenza. Si ha bisogno dell’altro per costruire la nostra conoscenza. In questo modo, si modifica il ruolo di insegnante, che non è più semplicemente un trasmettitore delle informazioni, ma diviene una guida, una persona che accompagna, un organizzatore degli scambi interattivi all’interno del gruppo. Diventa una persona-risorsa come persone-risorse sono tutti gli allievi. L’apprendimento non è solo acquisizione, ma elaborazione, costruzione, scambio, negoziazione di significati, ristrutturazione condivisa delle informazioni, utilizzando gli strumenti culturali a disposizione di tutti e intessuti interamente di socialità. 5.11 Il gruppo classe come comunità Una tappa molto importante nella costruzione di una comunità di persone che apprendono è costituito dalla percezione di sentirsi non come un aggregato di individui, ma come una comunità di persone che condividono chiaramente un obiettivo formativo. Quando un progetto di prevenzione si radica in un gruppo classe ben affiatato, si percepisce un clima accogliente che facilita il coinvolgimento personale e quello collettivo. Alla domanda: “Cosa ne pensate di questo?” si avverte immediatamente un silenzio di riflessione, un bisogno di presentare la propria idea e il desiderio di sentire le idee degli altri per giungere ad una visione complessa. In una classe con scarse relazioni personali, con precaria capacità di ascolto, tutti vogliono “sparare” la propria opinione, senza ascoltare quella degli altri. Qualcuno cerca di affermare la propria idea urlandola più forte e bloccando quelle degli altri con frasi scortesi ed offensive: “Taci che ogni volta che parli spari solo cretinate”. In questo clima negativo di offesa, il progetto di prevenzione, anche se ben pensato e costruito, non riesce ad attecchire, né a scalfire la mente di persone che non concepiscono il gruppo classe come comunità. Pertanto è necessario creare con il contributo degli insegnanti, genitori e gli stessi studenti un clima di classe accogliente e solidale. Si può proporre di riflettere sulle proprie relazioni personali e su come il gruppo classe può diventare un ricchezza emotiva e cognitiva per tutti (M.Polito 2000). Possiamo chiedere agli studenti che cosa vuol dire considerare "il gruppo classe come comunità"? Alcune delle loro risposte possono essere le seguenti: 91 = “Per me comunità significa che mi sento di appartenere ad essa”. = “Per me significa che mi sento rispettato e gli altri riconoscono il mio valore e anche il mio contributo del gruppo”. = “È un luogo dove si possono incontrare tante risorse. Ognuno mette una parte, però ha a disposizione tutte le risorse degli altri”. = “Comunità è un luogo dove cerchiamo di volerci bene e di stare bene”. = “Comunità è un luogo dove tu puoi trovare un amico”. = “Comunità è la percezione di essere sempre in relazione con gli altri e di sentire che quello che fai crea un impatto sugli altri”. = “Comunità è sentire che stai facendo un cammino con gli altri. Che insieme si sta procedendo verso qualcosa di importante, verso il nostro sviluppo e formazione”. = “Comunità è sapere chi sei tu per gli altri e chi sono gli altri per te”. = “Comunità è sapere che ognuno sa fare una cosa ma che nessuno sa e sa fare tutto e quindi è necessario il contributo di tutti”. = “Comunità è costruire un clima di accoglienza, di empatia, di comprensione, di tolleranza”. = “Comunità significa imparare ad aiutarci”. Quando si è costituito questo senso di comunità è più facile chiedere agli studenti di partecipare come tutor dei propri compagni sul tema della devianza, alcolismo, tabagismo, tossicodipendenza. Molti di loro accettano questo ruolo importante di educazione tra pari (peer education). 5.12 Dialogare e discutere Attraverso la discussione di gruppo possono emergere nuove prospettive e soluzioni. La discussione non si improvvisa. Bisogna allenarsi a discutere, insegnando agli studenti le tecniche di comunicazione. Alcuni insegnanti ritengono che la discussione di gruppo sia una perdita di tempo. Tali insegnanti non sono abituati a discutere, ma ad imporre la loro verità e l’imposizione non tollera la discussione. Certamente la discussione richiede tempo, perché ognuno ha bisogno di riflettere per raccogliere informazioni, elaborare ipotesi, verificarle, controllarle, condividerle. Ha bisogno di tempo per ascoltare le opinioni degli altri e ascoltare in se stesso le reazioni emotive e cognitive provocate dalla discussione. Ha bisogno di tempo per formulare pensieri autentici. Invece gli uomini della televisione o gli insegnanti autoritari trovano intollerabile la discussione vera. Possono soltanto, in qualche rara eccezione, accettare una “simulata” della discussione e del dibattito: un dibattito “ossessionato dal tempo che passa” in cui una persona ha soltanto un minuto per esprimere il proprio pensiero per poi essere interrotto e lasciare il tempo a chi, in un minuto, è capace di formulare slogan e lanciare insulti e gridarli più forte. In questi finti dibattiti o discussioni prevale l’urlo, l’insulto, l’invettiva, la prevaricazione, ma non il dibattito, lo scambio, la condivisione, la cooperazione, la lenta costruzione di idee solide e coerenti. 5.13 Educazione come costruzione del significato 92 La mancanza di significato è diventato un disagio molto diffuso tra i nostri giovani che vivono spesso una vita piena di agi materiali, ma che non riescono a dare significato a ciò che fanno. Spesso, per dare significato alla loro vita prendono strade devianti o comportamenti stravaganti. L’esperienza educativa può essere intesa come un luogo di costruzione condivisa del significato. Riuscire ad attribuire senso a quello che si sta insegnando o apprendendo può motivare l’educatore e l’educando. Quando si riesce insieme a dare senso all’apprendimento è facile far fiorire la motivazione verso lo studio, dare valore e riempire di valore il sapere che viene proposto. Quando manca tale costruzione del significato, sia l’insegnante che lo studente sono succubi di un sapere già definito che deve essere soltanto riprodotto e ripetuto passivamente. Si tratta di un sapere già dato, rigido, che deve essere per forza di cose trasmesso in modo autoritario. La costruzione del significato è sempre aperta: aperta al possibile, al futuro, all’imprevisto, all’inatteso, all’inattuale, al negativo. Anche la demotivazione è un’esperienza che avviene all’interno della difficoltà di costruzione del senso. Non deve essere maltrattata, trascurata, messa da parte, insul- tata, denigrata, perché essa è portatrice di un disagio che deve essere accolto, chiarito, verbalizzato, condiviso. Si può chiedere allo studente: “Che cosa ti succede? In che senso non riesci o non riusciamo ad attribuire un senso, un significato a ciò che stiamo condividendo, a ciò che io sto insegnando e che tu stai imparando? Per quale ragione quello che ti sto proponendo ti appare senza senso? Parlami di te. Parlami della tua visione del mondo all’interno della quale non c’è senso per questo mio insegnamento, per questa materia per queste tematiche”. In questo modo è possibile “recuperare” paradossalmente anche la demotivazione, evitando di colpevolizzare lo studente che non si impegna, accusandolo di pigrizia, di disinteresse, di mancanza di riconoscenza verso l’insegnante, la scuola e la cultura. Per evitare la colpevolizzazione è opportuno che l’insegnante e gli studenti si possano incontrare e dialogare sul senso della loro interazione. La costruzione del senso è qualcosa che va fatta giorno per giorno, che può avere movimenti di accelerazione, movimenti di fermata, di ristagno e di ripresa. Rotter (1966) osserva che l’uomo è guidato dal bisogno di sentirsi padrone delle proprie azioni, grazie all’impegno, sforzo, significato che attribuisce al suo comportamento. È possibile incrementare la motivazione degli studenti valorizzando la loro esperienza cognitiva ed emotiva. In particolare l’apprendimento di un argomento complesso è più efficace se vi è un processo volontario di costruzione del significato partendo dall’esperienza reale degli studenti. Grazie alla guida di un supporto istituzionale, gli studenti possono creare una rappresentazione cognitiva, significativa e coerente, connettere in modo significativ, le nuove informazioni con quelle preesistenti, creare ed usare un vasto repertorio di strategie metodologiche e di ragionamento, ricorrere all’automonitoraggio e all’autoregolazione metacognitiva. Ciò si apprende e il modo in cui si apprende sono influenzati dalla motivazione. La motivazione intrinseca è stimolata da compiti significativi che presentano un livello ottimale di novità e di difficoltà e permettono di poter controllare il processo di apprendimento. Secondo Carl Rogers (1973) l’apprendimento significativo è connesso all’autoesplorazione e alla crescita personale. Gli studenti che imparano all’interno del progetto di "diventare persone", partecipano al processo di apprendimento in modo coinvolgente e esercitano il controllo su di esso. L’apprendimento diventa per loro una esperienza diretta, pratica, significativa e consapevole. Quando uno studente avverte di avere fiducia nelle proprie capacità cognitive, si predispone meglio verso lo studio, considera il compito di apprendimento più favorevolmente ed attiva più agevolmente le proprie risorse cognitive ed affettive. Quando invece sente che “non può farci niente”, si sente spinto verso la passività, sottomissione e rinuncia, sviluppa una sensazione di “impotenza” (helplessness), che è caratteristica delle persone ansiose, depresse, demotivate (M.Seligman 1996, 2001). Esse attribuiscono l’insuccesso a fattori esterni. Si sentono vittime e non responsabili di quello che accade loro. Aspettano una soluzione dall’esterno. Se non arriva si lamentano ancora di più nella loro situazione di disagio e di sofferenza. 5.14 Apprendimento cooperativo L'apprendimento cooperativo (Roger e David Johnson 1996) costituisce un importante punto di riferimento per orientare l'esperienza scolastica verso l'esperienza reale di apprendimento, emotivamente connotata e cooperativamente strutturata. Apprendiamo insieme con gli altri, cresciamo con loro. Ci formiamo con loro e loro con noi. I nostri progetti di prevenzione del disagio e di promozione della salute possono essere potenziati se sono intrecciati attraverso le numerose strategie di apprendimento cooperativo. Esse non sono semplici giochi psicologici di riscaldamento emotivo, di animazione o di socializzazione, ma vero e proprio "apprendimento" svolto in strutture cooperative. Nel passato i vari progetti di prevenzione erano svolti sotto forma di conferenze, relazioni, presentazioni di dati, statistiche, tabelle, brevi opuscoli (scritti da qualche insegnante o esperto) seguite da qualche timida e solitaria domanda del pubblico. Questa modalità ha fallito e ci ha messo in crisi. Siamo stati pungolati ad escogitarne altre. Adesso sono a nostra disposizione numerose strategie 93 94 di apprendimento cooperativo, che ci permettono di far lavorare i ragazzi sui temi che riguardano la prevenzione e la promozione della salute. L'apprendimento cooperativo è un approccio pedagogico che riconosce, stimola, valorizza le risorse di un gruppo che sono messe a disposizione di tutti (M. Polito 2000, 2003). Ad esse ciascun membro può accedere a piene mani per risolvere un problema. Le risorse del gruppo sono arricchite dal contributo che ognuno può offrire, migliorando se stesso e porgendo agli altri i frutti della propria maturazione ed autorealizzazione. Paul J. Vermette (1998, pp. 37-59), riferisce in modo analitico di 38 ricerche specifiche sull’apprendimento cooperativo che sottolineano i risultati positivi che comporta in vari settori. Essi sono: = un miglioramento delle relazioni interpersonali e dell’amicizia, = un incremento dell’autostima, = una crescita del successo scolastico, = un potenziamento della comprensione, del problem solving, della memoria e del transfer. Per quale ragione nell’apprendimento cooperativo si verifica un successo cognitivo più alto, rispetto ad un tipo di apprendimento competitivo e individualistico? Alcuni fattori che spiegano questo incremento del successo cognitivo possono essere i seguenti: = Gli studenti possono osservare come gli altri imparano e possono imitare le strategie migliori che i loro compagni utilizzano. = Nell’apprendimento cooperativo si verifica un processo di continua ricostruzione e rielaborazione cognitiva, che emerge soprattutto quando un membro del gruppo inserisce nuove informazioni, oppure presenta dati contrastanti. = Nel gruppo si assiste ad una continua crescita e sviluppo delle informazioni, delle prospettive e dei nuovi punti di vista. Si verifica un incremento dell’attività di rievocazione e rielaborazione delle informazioni. Si sviluppano le abilità metacognitive, perché si riflette su come lavorano gli altri, ma anche sul proprio modo di lavorare, sulla propria modalità di autoregolarsi e darsi autoistruzioni. Questo si traduce in una forma di autoefficacia e di motivazione intrinseca. = Vi è una maggiore responsabilità nei riguardi dei compiti che vengono suddivisi. Ognuno sente l’impegno a dare il proprio contributo, riconoscendo il valore di quello degli altri. = Nel gruppo di apprendimento cooperativo è molto frequente spiegare agli altri ciò che si è appreso. Ciò facilita una riorganizzazione del pensiero, una presentazione delle idee in modo graduale, stimola l’interesse a far capire gli altri. A queste abilità cognitive si aggiungono quelle affettive-motivazionali che spiegano ulteriormente il successo dell’apprendimento in ambito cooperativo. = Il coinvolgimento degli studenti è più alto e intenso rispetto all’insegnamento tradizionale che spesso crea passività e noia. = Vi è il supporto dei compagni che stimola a coinvolgersi maggiormente e a resistere meglio di fronte alle difficoltà o all’insuccesso. = Le regole condivise dal gruppo sottolineano l’importanza del contributo personale e scoraggiano l’imboscarsi o il defilarsi, anche perché vengono proposti degli incentivi di gruppo (sensazione di appartenenza, spirito di squadra). = Sono assenti le punizioni nei riguardi del “parlare in classe”. Anzi, il parlare in classe, il condividere, il collaborare, il discutere, sono abilità riconosciute e valorizzate. = Vi è un orientamento verso l’apprendimento significativo, che è condiviso dai propri compagni, i quali si sentono di essere all’interno di una modalità di apprendimento più coinvolgente, stimolante e partecipano maggiormente all’attività scolastica, all’apprendimento e questo contagia positivamente i propri compagni. Queste caratteristiche possono rafforzare il valore pedagogico e didattico dei nostri progetti di prevenzione. Essi non sono più semplici pacchetti di informazioni, ma diventano opportunità di partecipazione, coinvolgimento, rielaborazione, all'interno di una vasta gamma di abilità cognitive e sociali, che vengono riattivate e coltivate con cura. 5.15 Lista delle abilità cooperative Consideriamo il nutrito elenco di abilità cognitive e relazionali che l'apprendimento cooperativo mette in azione. Generalmente si distingue tra abilità cooperative focalizzate verso il compito e abilità cooperative focalizzate verso la relazione. Quelle focalizzate verso il compito sono le seguenti: = ascoltare attivamente, = condividere informazioni e idee, = concentrarsi sul compito, = porre delle domande, = chiedere per avere delle chiarificazioni, = verificare la comprensione propria ed altrui, = rielaborare ed arricchire le idee degli altri, = seguire delle direttive, = rispettare i tempi, = parafrase, = ristrutturare, = sintetizzare. Le abilità cooperative focalizzate verso la relazione sono le seguenti: = sostenersi emotivamente nel percorso verso il raggiungimento di un obiettivo comune, = ringraziare, esprimere gratitudine, = cercare l’accordo, = esprimere il dissenso e il disaccordo ma in modo cortese e corretto, = incoraggiare gli altri e dare sostegno, = invitare gli altri a parlare, condividere, partecipare, = ridurre la tensione e indurre la calma, = fare da mediatore, = condividere i sentimenti, = mostrare apprezzamento, = valorizzare il contributo degli altri = stabilire un mutuo impegno, responsabilità e coinvolgimento reciproco. David e Roger Johnson (1996) hanno elaborato alcune regole per facilitare l’apprendimento cooperativo in classe. Esse sono le seguenti: = critico le idee ma non le persone, = qui siamo tutti nella stessa barca, = ciascuno è incoraggiato a partecipare, = io ascolto, anche se sono in disaccordo, = se non comprendo, chiedo una rispiegazione, = cerco di capire tutti gli aspetti di un argomento, = devo avere delle buone ragioni per cambiare posizione, = tutte le idee devono essere espresse e poi io cerco di metterle insieme. 5.16 Socrate e il tutoring Si può dire che Socrate sia stato il fondatore della pedagogia interattiva del prendersi cura della crescita dell’altro. La sua azione era quella di guidare l’altra persona a far nascere la propria verità. Il contesto più ampio di questa attività maieutica era il dialogo e il domandarsi a vicenda, lo sviluppo del proprio pensiero a partire da quello altrui. La prima fase del dialogo socratico è l’ironia. È la domanda costante rivolta all’altro, per mettere in crisi e in discussione le reciproche rappresentazioni cognitive e riconoscere la propria ignoranza. Attraverso il domandarsi reciproco che spesso destabilizza ciò che sappiamo, è possibile riconoscere la nostra ignoranza, prendere coscienza della necessità di continuare la ricerca insieme con gli altri. La seconda fase è quella della maieutica (l’arte del far nascere). Socrate svolge il ruolo di tutor, di ostetrico di colui che aiuta gli altri a far nascere il proprio pensiero, la propria verità. Egli non incul- 95 ca un pensiero, ma lo fa emergere, aiutando l’altro a costruirselo e a esprimerselo. Nel dialogo intitolato “Menone”, lo schiavo Menone definisce Socrate come “torpedine”, un pesce che con le sue scariche elettriche fa risvegliare coloro che egli tocca. Socrate accetta questa comparazione ad una condizione: quella di riconoscere che lui stesso è sotto l’effetto della scossa elettrica, perché anche lui insieme con gli altri si sta impegnando nella ricerca dialogata della verità, riconoscendo la propria ignoranza e valorizzando il dialogo comune per chiarire i propri concetti insieme con gli altri. Per questa ragione, possiamo dire che Socrate rappresenta il modello più coerente di tutoring tra pari. Lui stesso si riconosce come bisognoso dell’apporto degli altri per crescere sul piano della conoscenza e lui stimola gli altri a produrre, ed esprimere il loro pensiero, di cui egli ha bisogno, per ampliare il proprio. 5.17 Intervista reciproca Un esempio pratico per utilizzare le proposte dell'apprendimento cooperativo è quello di proporre agli studenti l'intervista reciproca. Immaginiamo che il tema da approfondire sia “Il vissuto emotivo dei giovani il sabato sera in discoteca”. Si suggerisce ad ogni coppia di studenti di approfondire questo tema attraverso una intervista reciproca. Ognuno pensa alle domande da porre al proprio compagno. Una volta completata l'intervista, una coppia di studenti incontra un'altra coppia per confrontare le informazioni che sono state raccolte ed insieme organizzano una mappa, che poi, trascritta su un lucido per lavagna luminosa sarà presentata al gruppo classe. In questo modo un tema è approfondito attraverso il lavorio di ricerca di tutti gli studenti. È una modalità che li coinvolge e, se essi ne vedono l'attinenza col proprio vissuto, partecipano personalmente e attivamente. 5.18 Consulenza tra pari 96 Un’altra strategia cooperativa è quella della consulenza tra pari. Consulente tra pari è colui che, dopo aver partecipato ad un breve training di formazione, mette a disposizione la sua esperienza, le sue competenze, per aiutare gli altri compagni a orientarsi meglio all’interno dei vari problemi (K.Topping 1997). Il training deve prevedere lo sviluppo delle abilità dell’ascolto attivo, delle attività del problem solving e una conoscenza dei problemi dello sviluppo e della crescita. Lo studente che vuole svolgere il ruolo di “consulente” deve possedere alcune abilità come le seguenti: essere empatico, per essere capace di mettersi nei panni degli altri, imparare ad aiutare gli altri ad aiutarsi per non giudicare, per non dare etichette, per non bloccare la comunicazione. In ambito scolastico, questa “consulenza tra pari” può essere efficace sia per quanto riguarda problemi di socializzazione e di comportamento, sia per quanto riguarda alcuni temi cognitivi. Per esempio, vi possono essere studenti dell’ultimo anno che si mettono a disposizione degli studenti del primo, per dare suggerimenti, indicazioni, sostegno, rispetto allo studio di questa o di quella materia e in generale per dare indicazioni efficaci di metodo di studio, di strategie di apprendimento. Gli studenti più grandi possono fare da tutor verso i più piccoli. È un modo concreto per imparare ad accogliere gli altri, aiutarli, guidarli, sostenerli incoraggiarli. Gli studenti dell'ultimo anno possono comunicare a quelli del primo come affrontare bene un nuovo corso di studi oppure gli studenti più grandi possono fare da guida in un percorso di un Museo o di una Galleria d'arte. 5.19 Tutoring tra pari ed educazione alla salute L.Mathie e N.Ford (1998) hanno passato in rassegna i progetti che applicano il tutoring tra pari nella educazione alla salute (si veda K. Topping, S. Ehly, 1998, pag. 203-218). Sono presi in considerazione molti progetti di educazione alla salute. Ad esempio progetti su come smettere di fumare, progetti sulla contraccezione e sulla sessualità, progetti sulle malattie sessuali, sull’alimentazione, sull’abuso di droghe, sulla prevenzione della violenza, sulla prevenzione del suicidio, sulla dispersione scolastica, sulla prevenzione delle violenze sessuali, sulla prevenzione dello stress ed altri temi importanti per gli studenti. È stato notato che questi progetti sono più efficaci se sono svolti dal gruppo dei pari. Nel passato questi corsi non avevano avuto successo, perché erano stati svolti da adulti e da insegnanti, che davanti agli occhi degli studenti erano i rappresentanti del sistema sociale ed erano visti come figure autoritarie. Il rapporto tra insegnanti e partecipanti al corso era ineguale. Invece, questi stessi corsi presentati, descritti e gestiti da coetanei, ricevono un’accoglienza migliore. Gli studenti, infatti, attribuiscono grande importanza a ciò che i coetanei trasmettono loro sia come informazioni, sia come valori. D’altra parte, questi corsi gestiti da “tutor tra pari” creano il vantaggio di parlare lo stesso linguaggio, di avere addirittura lo stesso vocabolario e gergo. Inoltre, i gruppi tra pari esistono già, non bisogna costituirli. Sono una parte naturale dell’esperienza degli studenti. Per questa ragione, è molto meglio utilizzare i coetanei come risorse per attuare questi progetti riguardano il fumo, l’alcool, un comportamento alimentare equilibrato, l’informazione sulle varie malattie sessuali. In base alla teoria dell’apprendimento sociale (Albert Bandura 1986) le persone modificano maggiormente il proprio comportamento, se vedono un modello accessibile a loro e se lo ritengono desiderabile: a questo punto cercano di imitarlo. Questo principio è attuato nel gruppo tra pari e molto spesso le reazioni dei partecipanti sono entusiaste, perché gli studenti percepiscono questi coetanei che svolgono il ruolo del tutor come persone che vivono la stessa loro esperienza, che sono sulla loro lunghezza d’onda; sembrano più credibili e soprattutto li sentono vicini, mentre sentono un insegnante distante da loro, come appartenente ad un’altra generazione. Spesso le informazioni che cadono dall’alto, dall’insegnante, vengono sentite non come informazioni, ma addirittura come prediche. Invece i ruoli giocati all’interno del tutoring tra pari sono quasi eguali o molto vicini gli uni agli altri. Naturalmente, per organizzare questi gruppi di tutoring nel campo dell’educazione alla salute, è necessario insegnare adeguatamente le abilità sociali, stimolare l’abilità di accoglienza e di discussione. È opportuno prevedere un momento di rielaborazione e di riflessione dell’esperienza e infine certificare questa attività come un credito formativo. 5.20 Ragazzi turbolenti e tutoring tra pari Una modalità per recuperare i ragazzi dal comportamento problematico o turbolento può essere quella di proporre loro una attività di tutoring verso ragazzi più piccoli. Si tratta di proporre loro una forma di tutoring. Ad esempio, possono leggere per i ragazzi più piccoli un racconto, leggerlo in maniera drammatica, oppure aiutare i più piccoli a “fare i compiti”. Attraverso queste attività di tutoring verso studenti più giovani, questi ragazzi hanno la possibilità di vedersi in maniera differente. Invece di identificarsi con l’etichetta negativa che hanno addosso, cominciano a vedersi con occhi differenti, come persone capaci di essere utili per gli altri, di impegnarsi in qualche compito significativo di tipo scolastico come ad esempio la “lettura espressiva”, utilizzare il proprio tempo e le proprie risorse per rendere gli altri partecipi di qualcosa di bello e di buono. In altri termini, essi cominciano a vedersi con occhi differenti. Possono ricevere l’apprezzamento da parte dei loro tutees (studenti affidati alle loro cure). Questa strategia formativa del tutoring può dare loro uno stimolo al cambiamento del comportamento. Ma, come ottenere il loro consenso a svolgere queste attività di tutoring? Il primo passo è quello di stabilire con loro un rapporto personale di interessamento alla loro crescita e al loro benessere. Se percepiscono questo coinvolgimento dell’insegnante, dell’educatore, è più facile che si lascino coinvolgere in questa azione di tutoring, che diventa per loro una forma terapeutica di riscatto della loro precedente esperienza di comportamento inadeguato e scorretto. Quando una persona comincia a dedicarsi al servizio dell’altro vuol dire che desidera guarire e 97 soprattutto cambiare vita. Molte sono le conversioni di persone che sono passate da una prima fase della vita disordinata, sconsiderata e negativa, ad una vita dedicata al bene degli altri, a fare del bene agli altri. Ricordiamo soltanto la figura dell’Innominato descritto dal Manzoni, nel libro “I Promessi Sposi”. 5.21 Autovalutazione personale e di gruppo È opportuno chiedere agli studenti, di riflettere sul proprio modo di lavorare in gruppo attraverso domande strutturate. Ad esempio: = In che modo oggi abbiamo lavorato in gruppo? = In che modo abbiamo dato il nostro contributo? = In che modo oggi il gruppo mi ha aiutato? = Come ho aiutato il gruppo? = Cosa abbiamo imparato oggi insieme? = A cosa possiamo mirare domani, come scopo da raggiungere insieme? Queste domande consentono ad ogni membro del gruppo di valutare l’esperienza del lavoro di gruppo e di imparare da essa. 5.22 Aiutami a fare da solo M.Montessori (1870-1952) suggeriva di accogliere la richiesta che nasce dal cuore di ogni bambino che cresce: “Aiutami a fare da solo” L’intuizione pedagogica della Montessori, che è focalizzata sull’aiutare il bambino a diventare indipendente, autonomo, contiene una formulazione molto coerente e suggestiva del tutoring o della funzione essenziale dell’insegnare. Nell’espressione “Aiutami a fare da solo” abbiamo due richieste: “Aiutami” che indica il riconoscimento nell’altro di una competenza maggiore della propria, ma anche l’utilizzo di questa maggiore competenza per migliorare il livello della propria competenza. È una richiesta di cooperazione: “Aiutami”, “Dammi una mano”, “Prenditi cura di me”. Il fine è quello dell’indipendenza, affinché “io possa imparare a fare da solo”. Questa ultima frase richiama molto da vicino un’espressione di L.Vygotskij (1980) che afferma che “ciò che il bambino impara oggi a fare con l’assistenza dell’altro, domani potrà farlo da solo”. Queste espressioni della Montessori e di Vygotskij sottolineano l’importanza della cooperazione nel processo formativo, la cooperazione tra adulto e bambino, tra insegnante e allievo, tra educatore ed educando, che ha come fine l’aumento della libertà e della competenza dell’altro. 5.23 Tecniche di comunicazione. Modello ABCDE 98 Quando proponiamo in classe un progetto di prevenzione del disagio e di promozione alla salute dobbiamo utilizzare un modello efficace di comunicazione. Se utilizziamo uno stile comunicativo impersonale e direttivo creiamo immediatamente distanza, diffidenza e chiusura. Se adottiamo uno stile risuonante con le emozioni dei nostri interlocutori è probabile osservare un clima accogliente, partecipativo ed entusiasta. Come si crea un clima emotivamente positivo? Facilitando e potenziando le risorse dei nostri interlocutori (processo di empowerment). Siamo lì per renderli più competenti nell'affrontare i loro dubbi, problemi, difficoltà. Per raggiungere questo obiettivo possiamo utilizzare un modello, che è una sequenza strutturata di passaggi che mirano a rendere la nostra comunicazione efficace. Il modello di comunicazione (M.Polito 2003a) descritto in queste pagine è semplice: è costruito con una mnemotecnica, facile da ricordare, utilizzando le prime lettere dell'alfabeto ABCDE, così è più facile ricordare la sequenza delle seguenti parole chiave: Accoglienza, Bisogni, Cuore, Decisione, Empowerment. In breve i cinque passi fondamentali della comunicazione efficace possono essere i seguenti: Accoglienza. Per comunicare è necessario accogliere l'altro. Bisogni. Cuore. Verbalizzare accuratamente le sue richieste, i suoi bisogni, esigenze, necessità. Esprimere il proprio feedback di risonanza emotiva, per fargli percepire quanto ci teniamo a lui. Decisione. Aiutarlo a prendere le sue decisioni, per favorire la sua forza e competenza. Fornire consulenza per aiutarlo a risolvere i suoi problemi. Non glieli dobbiamo risolvere noi (iperprotezione), ma lo dobbiamo aiutare ad prendersi cura di sé e stimolarlo a diventare libero e autonomo. Empowerment. Aiutarlo a potenziare le sue abilità per sentirsi competente, efficiente, efficace, capace di prendere la vita nelle proprie mani ed orientarla in base ad un proprio progetto esistenziale. Approfondiamo brevemente queste cinque parole chiave della comunicazione educativa. Accogliere Per comunicare bisogna disporsi all'accoglienza. Non si può comunicare quando si rifiuta, si svaluta, si disprezza, si esclude, si demonizza l'altro. L'accoglienza è una disposizione della mente e del cuore, costruita momento per momento. Si tratta di rimanere aperti, nonostante le spinte verso la chiusura. È una forma di accettazione incondizionata verso l'altro, in quanto persona, in quanto valore. Il clima di classe e l'apprendimento cooperativo fioriscono solo in situazioni di accoglienza e di valorizzazione reciproca. Descrivere il bisogno Dopo l'accoglienza è necessario impegnarsi a leggere e a descrivere accuratamente il bisogno dell'altro. Si tratta di imparare a leggere i sintomi che l'altro ci presenta, ma è necessario anche imparare a descrivere ciò che noi vediamo ed osserviamo, stando attenti ad evitare generalizzazioni, etichette, stereotipi e pregiudizi. Dire ad un compagno: "Sei svogliato" non aiuta a descrivere accuratamente il suo bisogno. È molto meglio dire: "Mi sembra che oggi hai un comportamento svogliato". "Sei svogliato" è una etichetta generalizzata sulla persona. "Mi sembra che oggi hai un comportamento svogliato" è una osservazione più contestualizzata ad oggi e al comportamento esibito qui e ora. È importante imparare a leggere i bisogni sotto il messaggio dell’altro, o sotto il suo sintomo, o comportamento. Prima di rispondere all’altro accertiamoci di aver letto correttamente, interpretato, esplicitato i bisogni dell’altro. Non diamoli per scontati. Qualche insegnante pensa: “Gli studenti sono qui a scuola quindi vuol dire che sono qui per apprendere”. L’intenzionalità formativa deve essere ravvivata ogni giorno dagli insegnanti e dagli studenti. Se non si riesce a capire e verbalizzare il bisogno dell’altro, nascono numerosi fraintendimenti. È troppo tardi dire poi: “Ma io credevo…”, “Ma io volevo…”, “Ma io intendevo un’altra cosa…”. Esprimere il proprio coinvolgimento emotivo Dopo aver descritto accuratamente il bisogno dell'altro è opportuno fargli giungere il nostro feedback di risonanza emotiva, per fargli comprendere le nostre reazioni di fronte al suo bisogno o al suo comportamento, ma anche il nostro interessamento per lui. La nostra autorivelazione gli fa comprendere quanto ci teniamo al suo benessere e al suo miglioramento come persona. Esprimere il proprio feedback di risonanza emotiva significa fargli percepire quanto ci teniamo a lui. Siamo con lui, al suo fianco. Ci battiamo per lui. Possiamo ricordare, a questo proposito il motto "I care" di Don L.Milani: “Ci tengo a te. Mi interessa la tua crescita e formazione”. Si tratta di autorivelare la propria intenzionalità pedagogica ed esprimere il proprio amore pedagogico. L’amore pedagogico è un amore, ma diverso dall’amore filiale, fraterno, amicale, genitoriale. È un amore verso la crescita dell’altro. Quando lo si sente, è più facile percepire il contatto con questi ragazzi. Quando si avverte questo amore pedagogico, si può essere anche severi. Si può sentire grande comprensione ed essere molto esigenti. La severità di un insegnante è apprezzata, se si percepisce anche la grande stima che egli ha per ognuno. In un questionario, alla domanda sulla caratteristica più importante in un insegnante, gli studenti hanno risposto che è la stima, molto più della preparazione disciplinare. Amore pedagogico significa “voglia di aiutare l’altro a crescere a formarsi. Desiderare la sua realizzazione”. Se avessimo in classe un premio Nobel, bravissimo, ma non 99 in contatto con gli studenti, incapace di “tenerci agli studenti”, non riuscirebbe a far apprendere. Non basta che un insegnante sia bravo, è indispensabile che sia capace di relazione, di considerazione positiva. Favorire la scelta e la decisione È il momento di proporre all'altro la nostra consulenza per trovare una via di uscita al suo problema. Possiamo esprimere pienamente la nostra creatività per offrire consigli indicazioni, suggerimenti, proposte, nuovi punti di vista, percorsi di soluzione. In questo caso ci trasformiamo in tutor e guida dell’altro. Desideriamo vivamente che lui, insieme con noi, trovi la sua strada per risolvere i vari problemi ed avviarsi verso la piena autorealizzazione delle proprie potenzialità. Si tratta di aiutarlo a prendere le sue decisioni, per favorire la sua forza e competenza. Diamogli consigli, ma rispettando la sua libertà di scelta. Egli può anche rifiutare i nostri consigli e può anche contestare la nostra proposta. Sosteniamo l’altro solo quanto basta per aiutarlo a decidere, riconoscendo all’altro la responsabilità di scegliere la strada migliore per risolvere il suo problema: “Scegli, io ti suggerisco questo o questo. Se non studi, tu ci perdi in formazione, in umanità”. Non dire: “Se non studi, ti boccio”. In questo caso ci carichiamo noi della responsabilità della sua impresa. Ridiamola a lui. Lui deve camminare, procedere ed ascendere. Far conseguire la sensazione di empowerment Quando riusciamo ad aiutare efficacemente qualcuno, la persona aiutata si sente più competente, più forte, più capace (sensazione di empowerment). Sente che può continuare la sua via di autorealizzazione delle proprie potenzialità. Si sente più fiduciosa, aperta, gioiosa e radiosa. Il suo benessere e la sua voglia di vivere e di crescere è forse la maggiore soddisfazione che noi riceviamo quando siamo riusciti ad aiutare qualcuno. Bisogna far sì che l’altro si sente capace di prendersi cura di sé e capace di intraprendere una via di miglioramento. Se facciamo sentire l’altro incapace ed incompetente, lui si allontana dal suo processo di miglioramento. 5.24 Inserire i progetti di prevenzione in un modello di comunicazione chiaro ed efficace 100 Intrecciando i nostri progetti di prevenzione con le cinque parole chiave di questo “Modello di comunicazione ABCDE” è difficile fallire o scivolare nell'insuccesso. In ogni momento possiamo autoregolarci e chiederci: Accoglienza. Come sono stato accogliente verso i miei interlocutori? Bisogni. Come ho letto i loro reali bisogni formativi? Come sto leggendo ed interpretando adesso i loro bisogni? Cuore. Quanto ci tengo a loro, alla loro crescita e processo di miglioramento. Quanto mi sto coinvolgendo emotivamente con loro? Quanto mi sto autorivelando dal punto di vista umano e professionale? Decisione. Sto offrendo loro delle opportunità di apprendimento affinché possano ampliare le loro scelte e decidere meglio sulla loro vita? Le mie proposte, informazioni, dati, statistiche, tabelle, li stanno aiutando ad ampliare la loro capacità decisionale? Empowerment. Sto ampliando il loro senso di autoefficacia? Oppure li sto rimproverando, caricando di colpe. Li sto facendo sentire competenti o incompetenti? Sto seminando chiusura o percorsi aperti di soluzione, difficili ma percorribili? Se ogni operatore, attraverso un processo di autoregolazione cognitiva, si pone queste continue domande, può far “giungere” ai suoi interlocutori le sue proposte come un ampliamento della loro libertà di orientamento esistenziale. È opportuno insegnare anche questo modello ai nostri interlocutori, ai nostri studenti, per facilitare la fioritura di un clima positivo e accogliente in classe, a scuola ed in famiglia. 5.25 Conclusione Alla fine di un progetto, possiamo chiederci tutti: “Cosa abbiamo imparato gli uni dagli altri?”. Cosa hanno imparato gli studenti, insegnanti e genitori dalle nostre proposte formative? Chiediamoci anche però: “Cosa abbiamo imparato noi operatori sociosanitari ed esperti?”. Se non sappiamo cosa rispondere o se non abbiamo imparato niente, vuol dire che l'esperienza formativa è stata ridotta: è stata unidirezionale e limitata. Questa domanda su cosa abbiamo imparato gli uni dagli altri costituisce un efficace strumento di autorilevazione ed automonitoraggio. 101 Bibliografia 102 Bandura A. (2000), Autoefficacia, Trento, Erickson. Bandura, A. (1962). Social Learning through Imitation. University of Nebraska Press: Lincoln. Bandura, A. 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Se si valorizza questa consapevolezza, si crea nella classe un clima più consapevole di essere una comunità di persone che apprendono gli uni dagli altri, gli uni con gli altri, gli uni per gli altri. Un’impostazione di questo tipo facilita non solo l’inserimento, l’integrazione, ma soprattutto la valorizzazione dei ragazzi difficili, soprattutto la valorizzazione di ogni persona, sia abile che disabile, dal comportamento normale o deviante. Nella vita impariamo dagli altri e collaboriamo tutti giorni con gli altri nella soluzione dei problemi, nella gestione della nostra vita. È importante perciò imparare come si collabora, come si continua ad imparare insieme e a scuola possiamo imparare queste strategie del tutoring tra pari o dell’apprendimento tra pari, che caratterizzerà la nostra vita fino all’ultimo momento. Karl Popper ha sostenuto che vivere significa risolvere problemi. Vivere significa continuare ad imparare come risolvere i problemi e continuare ad imparare è una terapia contro l’ingiustizia e la cattiveria del mondo. È qualcosa che possiamo imparare insieme, prima a scuola e poi nella vita. Andrea Bergamo 26 6.1 Premessa Provo sempre molta tenerezza quando incontro qualche insegnante in quiescenza, cioè in pensione, da più di quattro anni. Mi accorgo con estrema facilità dalle loro espressioni un po’ stereotipate - quando ero in servizio… ai miei tempi gli insegnanti… - che la Scuola è, notevolmente, cambiata sotto tutti i punti di vista. Tutte le certezze che avevano caratterizzato la carriera di molti docenti, di qualsiasi ordine e grado di scuola, si sono rapidamente eclissate, molte delle sicurezze che avevano contribuito a rendere la professione docente sicura e protetta da eventi esterni, sono venute meno. Uno slogan del Ministero della Pubblica Istruzione di qualche anno fa recitava: “La scuola è cambiata, cambia la scuola” invitando soprattutto i giovani a prendere coscienza dei cambiamenti in atto, allo scopo di creare cultura e, allo stesso tempo, informazione verso i temi più importanti. Siamo quindi di fronte ad una vera e propria riforma della scuola, che ha modificato i suoi assetti tradizionali, ma ha anche introdotto delle novità, che aprono degli spazi, fino a poco tempo fa inimmaginabili. Pertanto, alla luce di quanto premesso, nelle pagine seguenti, sarà analizzato il cambiamento della scuola, con particolare riferimento alla “materia” che più mi sta a cuore, cioè l’educazione alla salute, intesa ovviamente nella accezione più ampia, dello star bene a scuola, cioè attività e interventi che contribuiscano a garantire il benessere totale del più gran numero possibile di individui, attraverso azioni educative intenzionali, orientate alla prevenzione delle malattie, alla promozione della salute e, più in generale, ad una cultura della qualità della vita in sé. 6.2 C’erano una volta i Provveditorati agli Studi Quando sono stati soppressi, in virtù dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, i Provveditorati agli 26 CSA di Padova 103 Studi avevano circa 150 anni di vita. Tanti se si pensa alle nuove strutture operative esistenti nel territorio, pochi se si pensa ad altre istituzioni di carattere pubblico, quali il ministero, l’università, le scuole stesse. In realtà, il vento della Riforma, introdotto con i cosiddetti decreti Bassanini del 1997 ha spazzato via alcune strutture giudicate “vecchie” o, comunque, non più confacenti ai nuovi obiettivi di una scuola sempre più attenta alle sollecitazioni culturali, alle richieste provenienti dal territorio, al dialogo interistituzionale e soprattutto attenta ai bisogni e alle esigenze degli utenti, cioè gli studenti di tutte le età, o come si suol dire, di qualsiasi ordine e grado, dalla scuola materna alla scuola superiore. Prima di procedere, però è il caso di osservare con attenzione, da dove è partito il progetto di riforma, cioè dall’emanazione della legge 15 marzo 1997, n°59 (conosciuta anche come legge Bassanini), che all’art. 21 prevedeva espressamente che tutte le istituzioni scolastiche assumessero di lì a breve, cioè dopo i necessari tempi tecnici, una veste di autonomia. Tale legge, che riguardava anche altri settori della società, rispondeva ad una forte esigenza di federalismo e di maggiori poteri alle Regioni, a coronamento di un più ampio progetto politico, secondo il quale lo Stato avrebbe dovuto via via ridurre i propri poteri in favore delle Regioni, che ovviamente sono molto più attente e vicine alle esigenze territoriali dei cittadini. Al di là delle necessarie valutazioni politiche per questo progetto, a tutti sembrò fortemente indicativo il fatto che la Scuola si apprestasse a cambiare livrea, vestendo i panni dell’autonomia. Il progetto di riforma globale della Scuola, che grazie all’articolo 21, poteva finalmente concretizzarsi, era quindi ai nastri di partenza. Da lì in poi, la scuola italiana fu sottoposta ad una serie di innovazioni e cambiamenti, tuttora in corso, anche a causa del cambio di governo, avvenuto nel giugno del 2001, che giocoforza modificò alcuni importanti punti già legificati, cambiando anche gli orizzonti e le prospettive del quadro scolastico e formativo. In quest’ottica, la struttura verticistica “Ministero – Direzioni generali – Provveditorati agli Studi – Scuole” si andava snellendo e modificando, in favore di un più agile modello, in cui la Scuola assumeva piena autonomia didattica e organizzativa. Conseguentemente, la gerarchica funzione di adempimento, collegata alla ovvia quanto indispensabile funzione valutativa venivano meno e demandate, per via diretta, al rapporto “Ministero – Istituzioni scolastiche”. In questo quadro, i vecchi Provveditorati sono stati tutti assorbiti in strutture regionali, denominate Direzioni Generali per l’Istruzione, assumendo nuovi assetti e nuovi incarichi, da qui il nuovo nome Centro Servizi Amministrativi che, però, tradisce alcuni importanti aspetti, quali il coordinamento, l’indirizzo e il dialogo con il territorio. Se un tempo il Provveditore agli Studi provvedeva a tutte le necessità per assicurare il regolare svolgimento dell’anno scolastico, ora al suo posto siede un Dirigente del Centro Servizi, cui compete l’espletamento di svariate attività di supporto, di consulenza e di promozione verso le singole istituzioni scolastiche, al fine di farle crescere in autonomia. Nostalgicamente, si può dire che il vecchio Provveditorato assomigliava quasi ad un padre severo che però sapeva anche essere buono e attento ai bisogni dei suoi “figli”; presidi e insegnanti, ora invece, i suoi figli, diventati grandi, sono in grado di provvedere a sé stessi, almeno per la parte didattica e organizzativa, assumendo in questo modo piena responsabilità dei risultati e, sicuramente, una maggiore attenzione verso l’utenza, spesso ignara dei grandi cambiamenti che interessano la Scuola. 104 6.3 Il concetto di autonomia Al di là dei cambiamenti istituzionali, che riguardano le strutture scolastiche e ministeriali, resta inalterato un dato centrale: l’autonomia delle scuole non risponde a esigenze di moda o, come qualcuno pensa, a necessità di contenimento della spesa pubblica, semmai tiene conto di una redistribuzione delle risorse e di un reinvestimento delle stesse (e degli eventuali risparmi) in favore della qualità dell’istruzione. Infatti, il Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche ai sensi dell’art. 21 legge 59/1997, promulgato con D.P.R. 8 marzo 1999, n°285, affronta i vari aspetti dell’autonomia e cioè: didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, offrendo un valido contributo all’innovazione del sistema scuola e alla sua necessaria riqualificazione, in virtù delle enormi modificazioni sociali e culturali registrate nell’ultimo decennio, che, tra l’altro, avevano contribuito ad alimentare il dibattito culturale sulla decadenza della scuola. A tale proposito, Dalle Fratte (1991, p.11) osservava come “il modello delle istituzioni scolastiche appare in gran parte, se non del tutto, superato rispetto alle esigenze attuali della società. Al di là di un’analisi di tipo riduttivistico, che tende ad attribuire l’intera responsabilità delle disfunzioni del sistema scolastico a mere distorsioni burocratiche e organizzative o alla scarsa incisività degli interventi sino ad ora messi in atto... sono avvertite, infatti, sempre più la necessità e l’urgenza di mettere in discussione le relazioni tra scuola, società e Stato, e di rilanciare le responsabilità educative della persona, della famiglia, della comunità e della stessa società. Lungo questo percorso si colloca anche la prospettiva dell’autonomia della scuola come strumento e come metodologia abilitati a costruire l’intero sistema formativo” . In tale contesto, quando fu emanato il regolamento, molti presidi e molti insegnanti tirarono un sospiro di sollievo: finalmente era legittimato un certo modo di lavoro, definito innovativo/alternativo, che abbandonando in parte il rigido programma ministeriale, si erano lanciati a trasmettere contenuti cosiddetti trasversali, cioè non riconducibili alle “materie” tradizionali, ma pur sempre attività educative di grande rilievo e maggiormente vicine ai bisogni di formazione degli studenti. Non a caso, l’art. 4 – comma 3 – del suddetto Regolamento dell’autonomia, recita espressamente: “Nell’ambito dell’autonomia didattica possono essere programmati, anche sulla base degli interessi manifestati dagli alunni, percorsi formativi che coinvolgono più discipline e attività nonché insegnamenti in lingua straniera in attuazione di intese e accordi internazionali”. Ecco che azioni mirate e progetti specifici, rientranti nella più ampia sfera dell’educazione alla salute, su cui necessariamente torneremo più avanti, non solo trovavano la loro legittima collocazione giuridico-legale, ma erano inserite a pieno titolo all’interno del dibattito pedagogico e didattico che sempre accompagna ogni progetto di riforma. Infatti l’art. 3 del suddetto Regolamento recita: “Ogni istituzione scolastica predispone, con la partecipazione di tutte le sue componenti, il Piano dell’offerta formativa. Il Piano è il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia. Il Piano dell’offerta formativa è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico del territorio”. E ancora, nell’art.8 – comma 2 - il Regolamento compie un ulteriore passo in avanti: “Le istituzioni scolastiche determinano, nel Piano dell’offerta formativa il curricolo obbligatorio per i propri alunni in modo da integrare….la quota definita a livello nazionale con la quota loro riservata che comprende le discipline e le attività da esse liberamente scelte”. Soffermandoci su quest’ultimo punto, viene però da chiederci se c’era proprio il bisogno di ricorrere a “materie liberamente scelte” o se bastassero già quelle indicate dai programmi ministeriali. Evidentemente, anche la scuola cominciava a risentire dell’effetto globalizzazione e aspirava a generalizzare all’interno di tutto il territorio nazionale, senza distinzione tra pubblico e privato le buone prassi educative. Pietrella (1991, p.45) sosteneva che con l’autonomia: “sostanzialmente non verrà a cambiare nulla rispetto alla sperimentazione in atto in centinaia di scuole statali e non statali da anni. La possibilità operativa verso le forme innovative verrà soltanto generalizzata, ma le novità non saranno portate sullo scenario scolastico direttamente e immediatamente dalla legge, ma dalla capacità progettuale dei collegi docenti…”. E, non di meno, gli stessi collegi docenti non rimangono insensibili (ora come allora) alle richieste provenienti dal contesto sociale economico e culturale. Queste orientano verso una doppia direzione. Da un lato si avverte la necessità di rinforzare le conoscenze già acquisite perché formino uno zoccolo duro, sul quale i ragazzi costruiscano il loro sapere; dall’altro anche la scuola, come agenzia culturale, deve offrire il proprio contributo alla ricerca, anche attraverso l’ istituzione di nuove discipline, che oltre ad essere gradite al cosiddetto “mercato”, costituiscono un ottimo viatico per ricercare nuovi spazi e nuovi confini scientifici. Del resto, la nuova scuola dell’autonomia è chiamata anche a fare ricerca, prioritariamente didattica e non ultima scientifica, come è sottolineato dall’art. 6 del DPR 275 (Regolamento): “Le istituzioni scolastiche, singolarmente o tra loro associate, esercitano l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, curando tra l’altro: a) la progettazione formativa e la ricerca valutativa; b) la formazione e l’aggiornamento culturale e professionale del personale scolastico; c) l’innovazione 105 metodologica e disciplinare; d) la ricerca didattica sulle diverse valenze delle tecnologie dell’informazione…” Siamo quindi di fronte ad una scuola nuova, che fa dell’autonomia, un volano per continuare le sperimentazioni in atto, per generalizzarle su tutto il territorio nazionale, ma anche per meglio qualificare la propria opera, in un momento storico- culturale in cui si sta sempre più facendo strada l’idea che la scuola abbia perso la sua centralità nel sistema educativo e che quindi debba, giorno per giorno, guadagnarsi il “diritto di esistere”. E ciò può essere realizzato attraverso gli strumenti propri della ricerca pedagogica, quale capacità di progettare. Infatti, “la progettazione, resa possibile dall’autonomia, rivitalizza la scuola e promette di restituirla all’utente, alle famiglie, alla comunità, ma, soprattutto, limita, corregge la tendenza pericolosa all’autoreferenzialità. Obiettivo principale dell’autonomia didattica che si traduce in progettazione è convertire la scuola ad una organizzazione funzionale” (Xodo, 2002, p.85). Il concetto di autonomia rischia quindi di diventare un’arma a doppio taglio, se non si tiene conto dei bisogni dell’utenza e delle famiglie, ma soprattutto se ad essi non si dà ascolto. Ancora una volta, il D.P.R. 275/1999 è in tal senso illuminante: “Il Piano dell’offerta formativa è elaborato dal collegio docenti… tenuto conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni anche di fatto dei genitori e, per le scuole secondarie superiori, degli studenti...”. In precedenza, attraverso lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria (art. 2, D.P.R. 24 giugno 1998 ,n°249), tale concetto era già stato preso in considerazione: “ Lo studente ha diritto di essere informato sulle decisioni e sulle norme che regolano la vita della scuola…. I dirigenti scolastici e i docenti… attivano con gli studenti un dialogo costruttivo sulle scelte di loro competenza in tema di programmazione e definizione degli obiettivi didattici, di organizzazione della scuola, di criteri di valutazione, di scelta dei libri e del materiale didattico”. Ne deriva che la scuola dell’autonomia è anche scuola della democrazia e delle masse. Il che, secondo alcuni autori, costituisce un elemento di appiattimento del livello culturale sostenuto dalla scuola del passato. Ad esempio, Russo (2001, p.19), non senza polemica, sostiene che “La nuova scuola deve preparare soprattutto consumatori, oltre che contribuenti ed elettori. Queste figure, a differenza dei tecnici e dei dirigenti, possono ignorare i processi produttivi e, tanto più, fare a meno di qualunque tipo di cultura generale”. Probabilmente, i prossimi anni ci diranno se e come il processo di autonomia in atto avrà contribuito a modernizzare e rivalutare la scuola, per ora, a mio avviso, vale la pena di esercitare il diritto all’autonomia, soprattutto in considerazione del diritto degli studenti di frequentare una scuola in cui loro siano protagonisti e coinvolti nelle scelte che li riguardano. Giustamente, sottolinea De Pieri (2002, p. 79) “La scuola…non può fare solo progettazione didattico-educativa centrata su se stessa, ma deve avvalersi delle capacità progettuali, anche se deboli, dei giovani di oggi per tentare insieme con loro di affrontare il cambio epocale che stiamo vivendo. Il progetto Educativo di Istituto non può essere fatto dagli adulti sui giovani ma deve essere fatto insieme ai giovani…” 6.4 Una scuola centrata sugli studenti 106 Se accogliamo l’ invito di De Pieri per tutte le discipline, a maggior ragione, non possiamo pensare ad alcun progetto di prevenzione senza aver messo in atto delle strategie di coinvolgimento e di ascolto delle esigenze giovanili. 27 Per nuovi scenari facciamo riferimento alla cosiddetta Riforma Moratti, diventata Legge dello Stato in data 28 marzo 2003, con il n°53. Sostanzialmente si tratta di una legge che delega al Governo, in un tempo massimo di 24 mesi, l’emanazione di uno o più Regolamenti attuativi, tramite Decreti-legge, per disciplinare le modifiche introdotte dalla legge. A tutt’oggi non c’è traccia dei Decreti attuativi, ma, ovviamente i tempi politici sono spesso imprevedibili. Di sicuro, la Legge 53 introduce alcune interessanti novità, quali l’introduzione del tutor, cioè un insegnante con il compito di seguire lo studente per tutto il suo corso di studi, l’istituzione del portfolio, che raccoglierà il profilo scolastico di ogni studente,comprensivo di prove di verifica, giudizi dei docenti, il punto di vista della famiglia e anche le osservazioni degli stessi studenti. Di queste tuttavia si può soltanto ipotizzare una certa evoluzione, che sarà confermata (o disconfermata) dai Decreti di attuazione.Ma in Parlamento soffia anche un altro vento di cambiamento della scuola, quello della devolution, il cui iter è più lungo perché si tratta di una modifica costituzionale, che prevede quattro passaggi in aula, alla fine dei quali le regioni potranno legiferare autonomamente in materia di sanità, scuola e sicurezza. Semmai, la difficoltà è intrinseca al sistema sociale e nasce dal dibattito sempre in corso sulle priorità della scuola. Vale a dire, che non sempre c’è accordo tra le varie istanze sociali su quale debba essere lo specifico della scuola. Ad esempio, Russo (op. cit.) sostiene che la nuova scuola dovrà fornire educazione stradale, sanitaria, sessuale, alimentare, fiscale…dovrà cioè fornire al futuro cittadino- consumatore una serie di prescrizioni, alle quali attenersi nei vari momenti della sua esistenza. In pratica, la scuola dovrà insegnare a leggere le bollette, a compilare le dichiarazioni dei redditi, a compilare senza fatica i vari questionari utilizzati dalle indagini di mercato, per fare in modo che il cittadino-consumatore sia in piena sintonia con le esigenze del mercato. Sara così? Difficile dirlo, anche perché le osservazioni dell’autore furono espresse come critica alla Riforma Berlinguer, poi annullata e sostituita dalla Riforma Moratti, che, almeno a giudicare dall’articolato di legge, innalzerà la qualità intrinseca della scuola, riappropriandosi delle valenze educative e spingendo sull’acceleratore della formazione professionale assistita anche dal punto di vista culturale. In attesa di nuovi sviluppi e nuovi scenari27 ci si può rallegrare di alcune osservazioni critiche di Russo e auspicare che succeda esattamente così. Infatti, se la scuola prendesse sul serio l’educazione alla salute e, senza trasformarla in una materia a sé stante, tentasse un’operazione di generalizzazione, vale a dire tentasse di inserire nei curricoli di tutte le scuole, attività di prevenzione e di promozione della salute, attività di educazione sessuale, attività di educazione stradale, ecc., saremmo di fronte ad una svolta epocale e a un cambiamento di tendenza, che potrebbero veramente aiutare le persone a crescere sane e integrate nel sistema sociale. In pratica, ci si può chiedere quale sarà l’atteggiamento della scuola verso le sollecitazioni sociali e sanitarie, in materia di prevenzione dei comportamenti a rischio e promozione dei comportamenti che portano salute. Nello specifico, ci si può interrogare su quanto vorrà investire la Scuola del futuro nella lotta alle tossicodipendenze, o all’AIDS, o al tabagismo o ai disturbi alimentari, e così via soprattutto, se si considera con attenzione un preciso riferimento di legge – il D. Leg.vo n°112 del 31 marzo 1998, che conferisce funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni e agli Enti locali. Vale a dire, che alcune importanti “materie” fino ieri di competenza dello Stato, passeranno gradualmente agli Enti locali, in applicazione del cosiddetto snellimento dei poteri amministrativi dello Stato verso le amministrazioni periferiche. È chiaro che in tale contesto, Province e Comuni assumeranno in prima persona compiti quali l’educazione alla salute e la prevenzione delle tossicodipendenze, in continuità, aggiunta e sviluppo di settori specifici, quali ad esempio l’orientamento o la dispersione scolastica, già di competenza o interesse di tali Enti. E ancora, ammesso che tali interventi siano inseriti nel Piano dell’offerta formativa, il dibattito può essere spostato sul “peso didattico” che sarà assegnato all’educazione alla salute, intesa come grande contenitore di tutte le attività che contribuiscono al raggiungimento e al mantenimento del benessere, ovviamente rispetto alle discipline tradizionali. Se dalle pagine precedenti abbiamo colto come i riferimenti normativi consentano ai docenti di ampliare l’offerta formativa, attraverso varie iniziative, ora possiamo affrontare più in profondità il tipo di interventi possibili, soprattutto facendo riferimento alle normative specifiche. Vale quindi la pena di focalizzare l’attenzione su due importanti Direttive ministeriali, che in più riprese hanno tessuto l’ossatura dei principali interventi di educazione alla salute negli ultimi cinque anni. Si tratta della Direttiva ministeriale n° 463 del 26 novembre 1998 e la Direttiva n° 299 del 3 dicembre 1999, entrambe emanate dal Ministero della Pubblica Istruzione La Direttiva Ministeriale 463/1998, come sarebbe logico attendersi, non mette al primo posto il carattere disciplinare e trasversale dei programmi di educazione alla salute, anche se li affronta, ma si preoccupa di fornire linee di indirizzo per l’attuazione degli interventi volti a garantire lo sviluppo delle potenzialità di ogni alunno, la realizzazione del diritto alla piena scolarità e qualità dell’istruzione e della formazione ed il recupero delle situazioni che possono provocare comportamenti a rischio, fenomeni di abbandono precoce e dispersione. Siamo quindi di fronte ad un testo normativo che, forse per la prima volta, sancisce, semmai ce ne fosse stato il bisogno di farlo, che la Scuola non solo deve occuparsi di attività preventive specifiche, ma nell’impegnarsi ad erogare servizi e programmi di qualità contribuisce non poco a mantenere alto il livello di benessere dei suoi studenti. Tutti sanno infatti, quanto deleterio e negativo sia per ogni ragazzo dover fare i conti con la propria mortalità scolastica, vale a dire con l’insuccesso formativo, che spesso origina da un scarsa azione di orientamento nei suoi confronti. La Direttiva quindi si preoccupa di chiarire il peso della promozione alla salute in classe, sostenen- 107 108 do che il suo inserimento negli ambiti curriculari, integrativi e complementari offre specifici contributi ai processi qualitativi dello sviluppo personale e alla promozione del successo formativo. Sembra quasi che la Direttiva 463 voglia ribadire il carattere solistico del concetto di salute e la sua più famosa definizione, che fa dell’equilibrio tra le componenti psicologiche, fisiologiche e sociali il proprio punto di forza. Infatti la Direttiva suggerisce alcuni importanti punti di interconnessione, da tenere ben presenti in un quadro progettuale attento ai bisogni dei giovani e soprattutto formulato in maniera unitaria. Questi sono i nodi a cui la Direttiva fa espresso riferimento: a) Legge n°216 del 1991 sui minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose; b) Legge °496 del 1994 sugli interventi in materia di prevenzione e rimozione dei fenomeni di dispersione scolastica; c) Legge n°285 del 1997 sulla promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e per l’adolescenza; d) Direttiva Ministeriale n°133 del 1996; e) DPR n°567 del 1996. Tali disposizioni non sanciscono il diritto alla salute, ma determinano una serie di interventi di prevenzione primaria, verso l’infanzia e l’adolescenza, tali da diventare causa di salute o comunque, sostegno mirato per la ricerca del proprio equilibrio interno. Ad esempio, la legge 285/97 si rivolge ai ragazzi sani e prevede il coinvolgimento di tutti i soggetti sociali che sono interessati alla crescita e alla formazione dei giovani: scuola, famiglia, terzo settore, parrocchie, enti di formazione, ecc..È appena il caso di ricordare che grazie alla legge 285/97, sono stati svolti, in molte scuole e in molti Comuni, numerosi corsi di sostegno alla genitorialità, che rappresenta uno degli ambiti di intervento della legge, sottolineando espressamente che il benessere dei ragazzi comincia prima di tutto in famiglia, continua a scuola e si stabilizza nella comunità. Secondo Milani (2002, p.21)), “i progetti sul sostegno alla genitorialità si muovono nell’ambito della prevenzione primaria cioè della promozione. La maggior parte dei progetti insiste sul potenziamento delle risorse delle famiglie da realizzarsi in una logica di partnership famiglia –servizi, in cui la logica prevalente è quella di favorire l’empowerment delle famiglie in generale e delle comunità, rafforzando le reti sociali”28. La Direttiva 133 è apparsa subito rivoluzionaria, poiché sancisce l’obbligo da parte dei dirigenti scolastici di mettere a disposizione degli alunni i locali della scuola per attività ricreative gestite direttamente dai ragazzi. Mentre con il DPR 567 si fa strada nella scuola e negli insegnanti la convinzione che anche le attività gestite direttamente dai ragazzi: musica, gruppi di discussione, atelier di pittura, giornalismo studentesco, danza, teatro, sport, ecc. siano, al pari di quelle scolastiche tradizionali, altrettanto importanti e formative per la crescita dei giovani. Pertanto, sono istituite e finanziate le attività complementari e integrative, che se da un lato esaltano il protagonismo giovanile, dall’altro impongono alla scuola di favorire al massimo tali iniziative e di cercare un giusto collegamento con le attività del mattino. Per effetto del DPR 567, che prevede uno specifico finanziamento a tutte le scuole superiori, prolificano nelle nostre scuole: la nascita di compagnie teatrali studentesche, l’attivazione di percorsi di cineforum, la nascita di band musicali, corsi di giornalismo, mostre di pittura ecc., contribuendo a fornire ai ragazzi degli spazi idonei dove gridare il proprio disagio di adolescenti in crescita e dove trovare, però, le risorse, per superarlo. Con la Direttiva Ministeriale n°299/199, si ribadisce quanto affermato dalla 463/98 e inoltre, si offrono alle scuole dei progetti contenitore, a cui riferirsi nella stesura del Piano dell’offerta formativa e, soprattutto, si comincia a prendere coscienza che la scuola sta attuando la svolta dell’autonomia. La Direttiva, che nasce con lo specifico compito di fornire le linee guida per l’attuazione degli interventi di educazione alla salute e per lo sviluppo delle attività di formazione, si caratterizza per almeno tre importanti aspetti, che danno all’educazione alla salute una fisionomia di rilevante attualità e di importanza strategica, all’interno del processo di innovazione nel quale è fortemente impegnata 28 Molto probabilmente, il fatto che i progetti non potessero essere presentati direttamente dalle scuole ma da altri enti, Comuni, Distretti sociosanitari, Associazioni del terzo settore, che pur hanno progettato insieme ad alcune scuole, ha sicuramente determinato una riduzione della potenzialità progettuale delle scuole, che in alcuni casi si sono limitate a offrire “la materia prima” per realizzare i progetti. 29 Il comma 2, art.2, del D.P.R. 275/97 recita: “Il presente regolamento….si applica alle istituzioni scolastiche a decorrere dal 1° settembre 2000. la scuola. Essa infatti auspica e favorisce: a) L’inclusione nel Piano dell’offerta formativa degli interventi di promozione della salute; b) l’integrazione territoriale con Enti locali, aziende ULS e soggetti del privato sociale, con particolare riferimento alle associazioni di genitori, per la programmazione delle attività e per l’utilizzo delle risorse. In qualche modo si sancisce la necessità di lavorare in rete con altri soggetti del territorio e con le famiglie, a torto lasciate a latere del progetto educativo della scuola; c) il rafforzamento della cittadinanza e della partecipazione studentesca nella scuola secondaria superiore, sottolineando che nessuna educazione può avvenire se non vi è coinvolgimento degli alunni e ribadendo ancora una volta un sottile concetto di servizio, che si traduce in una scontata iniezione di realtà: la scuola non ha motivo di esistere se non si preoccupa di tutelare e valorizzare la sua risorsa più importante: le studentesse e gli studenti. È interessante notare che la Direttiva viene emanata un anno e mezzo dopo la pubblicazione del DPR 275/97 sull’autonomia e poco prima che quest’ultima sia realtà di fatto per tutte le scuole29. Siamo, quindi, in presenza di un forte atto di indirizzo, che cerca di muoversi in un momento di transizione, senza però rinunciare a proporre modalità di lavoro e di intervento utili per la promozione della salute e fortemente intrise di elementi formativi in senso lato. Tra i vari progetti-contenitore, proposti dalla Direttiva 299/99, vale la pena di segnalarne almeno due: il progetto “Studentesse e studenti” e il progetto “Life skills - peer education30. Il primo si pone l’importante traguardo di inserire in un quadro unitario di intervento le attività connesse alla promozione alla salute, alla prevenzione del disagio, alle iniziative complementari e integrative, facendo così assumere all’educazione una funzione di mediazione tra aspetti di vita e aspetti disciplinari. Tale obiettivo po’ essere perseguito attraverso alcune azioni specifiche, delle quali sono degne di nota: a) la individualizzazione di interventi finalizzati alla prevenzione del disagio e delle tossicodipendenze modulati sulle diverse fasce di età a partire dalla scuola materna ed improntati a contrastare situazioni socio-culturali capaci di sostenere in modo aspecifico condizioni a rischio; b) la definizione di un patto formativo con i singoli studenti che individui percorsi in cui siano coinvolti tutti i docenti del consiglio di classe e la famiglia; c) l’utilizzazione di tutti gli spazi offerti dalle discipline per far conoscere la complessità della struttura psicofisica e relazionale del singolo individuo, per dare risposta ai bisogni della persona e per aiutarla a rapportarsi all’ambiente; d) la valutazione in senso formativo dell’apprendimento, in modo che lo studente capisca le proprie attitudini, i propri limiti, le proprie lacune colmabili, i propri errori contingenti; e) l’impiego di linguaggi non verbali come opportunità e strumento per conseguire competenze espressive e comunicative. Appare chiaro il riferimento ad una pedagogia della persona, che al di là di facili etichette propugna la necessità di tornare all’educazione , con la “e” maiuscola, senza aggettivi e più essenziale. Sostiene Beccastrini (2002): “ Pensate di quante singole nozioni da insegnare sarebbe fatta l’educazione alla salute, se volessimo affrontarla in tutti i suoi contenutistici aspetti: educazione contro le dipendenze, educazione alla prevenzione delle malattie legate alla condizione giovanile, educazione alla sicurezza, educazione alimentare, educazione sessuale… e chi più ne ha più ne metta. Si potrebbe arrivare a concepire, un po’ mostruosamente, altrettante educazioni sanitarie specifiche quanti sono i, sempre crescenti, servizi specialistici di un’Azienda Sanitaria Locale… Allora, educare alla meta-cognizione e all’intelligenza emotiva piuttosto che alla cognizione analitica è l’unica soluzione possibile”. L’altro progetto su cui vale la pena di soffermarsi è quello denominato “Life skills e peer education”, che si propone di attuare un programma di ricerca e intervento per prevenire e ridurre fenomeni di dipendenza, devianza e psicopatologia nella scuola. Questo progetto, fortemente caldeggiato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea la 30 La Direttiva 299/99 finanzia complessivamente otto progetti di cui quattro rivolti a tutte le province italiane, quattro rivolte a province campione. Tra i primi quattro, trovano posto due progetti per la formazione: uno rivolto ai docenti, l’altro rivolto alle famiglie. In questo modo, si può registrare una sorta di continuità con la legge 285/97, che nel realizzare interventi in favore di bambini e adolescenti, prevede attività di sostegno agli adulti significativi. 109 110 necessità e l’importanza di introdurre nella scuola una attenzione mirata alla promozione delle competenze psicosociali, cioè abilità che mettono la persona in grado di fronteggiare efficacemente le sfide della vita quotidiana, mantenendo un elevato livello di benessere psicologico e sviluppando attitudini positive e di adattamento nello stare in mezzo agli altri. In pratica siamo di fronte ad una specie di riedizione, riveduta e arricchita, dei programmi degli anni ’80, quando era propugnato il concetto di benessere e di star bene nel gruppo, nell’ambiente, nella società. Secondo tale impostazione, “la salute viene vista come risorsa per la vita di ogni giorno piuttosto che come obiettivo della vita stessa: non si vive solo perché si è sani, ma si è sani e si migliora la salute per vivere meglio” (Paccagnella, 1985,p.22). LeLlife skills spostano l’attenzione sull’ambiente sociale e psicologico di ogni individuo, affinché consapevolmente, modifichi la propria struttura mentale per modificare, per la sua parte, la struttura ambientale. In questo modo, “ si indica la necessità di assumere come criterio di riferimento per un’azione favorevole alla salute lo sviluppo della capacità di far fronte ai problemi da parte dei gruppi umani e degli individui. La salute è connessa con lo sviluppo di forme di esperienza e di comportamento complessi che tendono a porre persone e collettività in equilibrio dinamico rispetto al loro ambiente sia fisico sia sociale” (Ingrosso, 1989, p.394). Le attività prosociali si pongono esattamente nella direzione di dare all’individuo competenze per saper compiere scelte di equilibrio e di proficuità sociale. Tra queste, secondo la Direttiva 299/99, assumono un ruolo particolarmente indicativo: 1. I processi di decisione; 2. Il problem solving; 3. Il pensiero creativo; 4. Il pensiero critico; 5. La comunicazione efficace; 6. La capacità di relazioni interpersonali; 7. L’auto-consapevolezza; 8. L’empatia; 9. La gestione delle emozioni; 10. La gestione dello stress. Questa elencazione , tutt’altro che generica appare un po’ intrigante, poiché ricorda alla scuola che deve sempre perseguire in ogni disciplina il valore educativo e le competenze trasversali che aiutano a vivere, prima ancora di apprendere. Va da sé che un giovane in grado di sviluppare il proprio pensiero critico sarà sicuramente più incline a porsi delle serie domande ogni qual volta viene a contatto con proposte e stimolazioni (non sempre positive) dall’ambiente. Altrettanto sicuramente, un giovane in grado di gestire le proprie emozioni e capace di gestire lo stress, sarà sicuramente in grado di comprendere meglio e razionalizzare gli eventuali insuccessi scolastici e di vita che potrà incontrare nel suo cammino. Tutto roseo e promettente? Probabilmente le scuole che si sono impegnate nel programma “Life skills” hanno ricevuto qualcosa in più rispetto alle altre e, sicuramente, hanno restituito ai loro alunni delle occasioni di crescita alquanto rilevanti, ma se osserviamo la esigua realtà delle province dove si è sperimentato il programma31 (in tutto 20), causa finanziamenti limitati, allora lo sconforto rischia di essere il sentimento dominante, per cui non si può non concordare con le osservazioni di Crepet, (2001, p. 62) secondo il quale: “Troppe scuole non sono ancora il luogo della vivibilità, del benessere e degli interessi dei ragazzi, non costituiscono un loro spazio per esprimersi, tessere relazioni profonde e in esse imparare, per confrontare esperienze ed emozioni come in un laboratorio stabile, protetto e guidato dal sapere degli adulti cui sono affidati” . Resta tuttavia una forte indicazione di lavoro, che assume la caratteristica di percorso consigliato e comunque legittimo, nel panorama delle molte offerte formative prodotte dalle scuole. È auspicabile che i vari punti della Direttiva ministeriale 299/99 si affermino ulteriormente e diventino veramente patrimonio di tutte le scuole; ma è altrettanto realistico pensare che senza finanziamenti specifici e aggiuntivi per queste attività, alcune scuole costituiranno una inconsapevole conferma alle 31 Il progetto, sviluppatosi in tre anni, ha coinvolto 20 province, 98 scuole, 450 classi. Il C.I.C., Centro di Informazione e Consulenza è istituito in ogni scuola superiore, grazie all’art. 106 del D.P.R. 309/1990. All’interno dei C.I.C. possono essere realizzati progetti di attività informativa e di consulenza, che vengono erogate dalla scuola in collaborazione con i servizi sociali dell’ULS.. 32 teorie di Crepet. 6.5 Il docente referente Un siffatto impianto di interventi nella scuola non può non essere supportato da docenti specializzati e competenti nelle diverse fasi della programmazione e realizzazione degli interventi. Fino a pochi anni fa, in ogni scuola era individuato un docente , particolarmente sensibile ai temi dell’educazione alla salute, che veniva “battezzato” docente referente per l’educazione alla salute. I suoi compiti erano appunto quelli di riferire alla base le decisioni del vertice, riportare ai vertici i bisogni della base, coordinare, all’interno della propria scuola, le riunioni di varie commissioni di studio: salute, che prendono il nome dai temi trattati:salute,ambiente,prevenzione, C.I.C..32 Con l’introduzione dell’autonomia e con la progressiva ridefinizione degli organismi centrali e periferici, nascono le funzioni obiettivo, cioè figure di docenti con provata esperienza e competenza riconosciuta che assumono l’incarico di governare la parte progettuale della scuola, impegnandosi per la piena riuscita di tutti i progetti indicati nel P.O.F.. I docenti F.O. sono però previsti da una disciplina contrattuale, cioè non nascono assieme al Regolamento per l’autonomia, ma essendo frutto di contrattazione sindacale, costituiscono un importante capitolo del Contratto di lavoro dei docenti33 collettivo nazionale per i lavoratori del Comparto Scuola. I docenti F.O., infatti, percepiscono uno stipendio accessorio (3.000.000 delle vecchie lire all’anno) e fanno parte dello staff di direzione, cioè collaborano con il Dirigente scolastico, in alcune azioni di governo dell’Istituzione scolastica. Di particolare interesse per l’educazione alla salute è l’area n°3, definita: “Interventi e servizi per gli studenti”, che a sua volta si suddivide in: a) Coordinamento delle attività extracurricolari; b) Coordinamento e gestione delle attività di continuità, di orientamento e tutoraggio; c) Coordinamento delle attività di compensazione, integrazione e recupero. È facile intuire che l’ex docente referente per l’ E.S. è confluito nell’Area 3 – servizi agli studenti – immaginando che i vari progetti salute, CIC, accoglienza, dispersione, orientamento vi trovino la loro naturale collocazione. Naturalmente, al docente F.O. non è chiesta la realizzazione dei progetti, ma un’attività di coordinamento di supporto e di consulenza, riferite ai progetti indicati nel P.O.F.. Tuttavia, ciò avviene soltanto in sede teorica, poiché la determinazione delle funzioni obiettivo è stabilita da ciascun collegio docenti, che autonomamente potrebbe decidere di disporre di tre funzioni obiettivo per l’area 2, uno ciascuno per l’area 1 e 4, e nessuno per l’area 3; di conseguenza, il Dirigente, in certe situazioni, potrebbe ricorrere al “vecchio” docente referente, che comunque garantisce un minimo di passaggio istituzionale. Il numero delle funzioni obiettivo attribuite a ciascuna scuola è determinato su base provinciale, secondo parametri oggettivi: numero di alunni. Nella stragrande maggioranza, i docenti che seguono i progetti: salute, CIC, accoglienza, dispersione, successo formativo, orientamento sono tutti dell’area 3, poiché si configurano come connotazione di servizio agli studenti, ma in qualche caso, la scuola potrebbe collocare l’educazione alla salute nell’area 2 (la didattica) o nell’area 4, per via della collaborazione con le Aziende ULS. Al di là della collocazione, i loro compiti sono vari: coordinamento dei progetti di area, supporto e consulenza ai colleghi, partecipazione a commissioni di studio e di lavoro su tematiche specifiche, contatti con le ULS, contatti con il C.S.A. provinciale, produzione di materiali, supporto diretto agli studenti, consulenza al Dirigente scolastico,ecc.. Quasi sempre i docenti F.O. fanno parte dello staff 33 In realtà le nome contrattuali sono più d’una. La prima si riferisce all’art. 28 del CCNL (Contratto collettiva nazionale lavoratori – comparto scuola) del 26 maggio 1999, e all’art. 37 del successivo CCNI (Definito contratto integrativo) che individuano delle funzioni strumentali al piano dell’offerta formativa.. Il comma 1 dell’art.28 recita: “Per la realizzazione delle finalità istituzionali della scuola in regime di autonomia, la risorsa fondamentale è costituita dal patrimonio professionale dei docenti, da valorizzare per l’espletamento di specifiche funzioni-obiettivo riferire alle seguenti aree:la gestione dei piani dell’offerta formativa, il sostegno al lavoro dei docenti, interventi e servizi per gli studenti, realizzazione di progetti d’intesa con enti esterni alla scuola. Tali funzioni sono identificate ed attribuite dal collegio dei docenti, in coerenza con specifici piani dell’offerta formativa”. 34 Non è ancora noto cosa sarà delle F.O. per il futuro. Il nuoco Contratto di lavoro – Comparto Scuola – sembra confermarle in parte, ma sembra anche che ci si orienti verso figure di sistema, cioè docenti con competenze riconosciute, il cui compito è quello di fluidificare il sistema per renderlo più funzionale e aderente alla realtà locale. 111 di direzione, cioè sono i più diretti collaboratori del Dirigente scolastico e, quindi, partecipano direttamente alla leadership dell’istituzione, prendendo alcune decisioni riguardanti la qualificazione dell’offerta formativa e l’organizazione della sistema. L’esperienza dei primi quattro anni di applicazione delle norme contrattuali che prevedono le funzioni obiettivo34 è carica di luci e ombre. Difficile dire se sono prevalse le prime o le seconde. Di sicuro hanno portato una ventata di novità nel panorama scolastico, contribuendo ad arricchire e qualificare il dibattito in corso sulla qualità della Scuola. 6.6 La risposta ai bisogni 112 Uno dei punti di forza riconducibili al lavoro delle funzioni obiettivo è quello relativo agli interventi diretti in favore degli studenti, come nel caso dei progetti accoglienza, progetti CIC, progetti contro la dispersione scolastica. Quasi automaticamente, il docente F.O. assegnato all’area 3 - servizi agli studenti - nella maggioranza delle scuole, ha sviluppato una buona professionalità, migliorando la sensibilità nei confronti degli studenti e mettendosi in ascolto dei loro bisogni. Da ciò deriva che in molte scuole sono nati dei gruppi spontanei di docenti o commissioni che studiano i possibili interventi didattici e non in favore del “successo formativo” degli studenti, a prescindere dall’età degli stessi, anche se, ovviamente, si distinguono gli interventi in base all’età e al grado di scuola, per meglio calibrarli e renderli efficaci e mirati. In ogni caso, gli sforzi profusi per garantire ad ogni studente il raggiungimento del proprio successo formativo, rientrano a mio avviso in una forma elaborata ed evoluta di educazione alla salute, che può essere di grande aiuto per lo sviluppo della persona, sia essa bambino o adolescente. In buona sostanza, si può affermare che la scuola italiana conserva al suo interno una forte vocazione personalistica, per cui se da un lato il sistema delle interrogazioni, dei voti, della pagella e della valutazione in genere miete spesso tante vittime, originando così il triste fenomeno della “mortalità scolastica”, dall’altro si preoccupa di questo fatto, cioè cerca di mettere in atto forme e attività per combattere il fenomeno della dispersione, intesa sia come abbandono scolastico sia come insuccesso, quindi: debiti formativi (soltanto alle scuole superiori) o addirittura bocciature.35 Per fare un esempio, la sola città di Padova nel triennio 1998-2000, ha registrato un tasso medio di dispersione del 22% circa. Presi tutti insieme questi ragazzi sono un bel numero, equivalente a due grossi istituti tecnici. Al di là del rendimento scolastico,preoccupa il pensiero che alcuni di questi ragazzi sono sicuramente a rischio drop-out e quindi a rischio disagio, con tutto ciò che ne consegue. Ma come si diceva sopra, la scuola non è insensibile a queste situazioni. Pertanto, come contro misura ai numeri eccessivi di alunni “dispersi”, nascono nel territorio parecchi gruppi di insegnanti, provenienti da più scuole (in maggioranza superiori, anche se non manca la presenza delle scuole medie) che, avendo a cuore il successo scolastico e formativo dei loro studenti, si ritrovano attorno a un tavolo per mettere a punto dei programmi individualizzati, adattabili ai vari indirizzi di studio, che favoriscono l’apprendimento e, di conseguenza, la permanenza nel sistema scolastico o formativo.36 Si avverte quindi l’esigenza di coniugare l’esperienza formativa, sia essa esercitata nel sistema scuola sia nel sistema formazione professionale, con la più specifica esperienza, che diventa anche obiettivo di vita, di star bene, cioè fruire delle opportunità educative, intese come agenti di modifica del comportamento, laddove questo presenta degli aspetti di negatività. In quest’ottica, la promozione dell’autonomia e la partecipazione degli utenti ai programmi di for35 Il panorama legislativo in materia di dispersione scolastica è molto vasto. In particolare, la legge N° 9 del 20 gennaio 1999 (Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione) e il D.M. n° 323 del 9 agosto 1999 (Regolamento recante norme per l’attuazione dell’art. 1 della legge 9/1999) offrono al sistema scolastico degli ottimi strumenti per: a) aumentare il livello culturale dei nostri ragazzi; b) per mettere a punto dei sistemi didattico-organizzativi che favoriscano il più possibile il successo formativo di tutti. Del resto, anche la stessa Legge 53/2003 (Riforma Moratti) fa dell’alternanza scuola-lavoro e viceversa un suo punto di forza, consentendo ai ragazzi che hanno frequentato un Centro di Formazione Professionale e hanno raggiunto una “qualifica professionale”, di transitare, se lo vorranno, nel sistema dei Licei, previa una preparazione ad hoc con relativo esame di passaggio. 36 Le stesse disposizioni di legge prevedono due tipi di obbligo: scolastico e formativo. Si dà quindi pieno riconoscimento al valore formativo del lavoro in sé e dei CFP, Centri di formazione professionale, dove i ragazzi ottengono una qualifica da spendere nel mercato del lavoro. mazione, favoriscono la prassi di mettere insieme l’attenzione al successo formativo di ciascuno con l’integrazione territoriale delle risorse e l’attivazione di processi di sviluppo umano del territorio. E, parlando di territorio, occorre sempre più dare spazio ad un modello che normalmente viene chiamato “sistema educativo integrato” , in cui tutte le agenzie a vocazione educativa, presenti nella comunità devono imparare a coprogettare gli interventi e a erogare i servizi destinati ai bambini e agli adolescenti. La sfida che deve interessare ogni educatore nei prossimi 1000 anni è quella di misurare la propria capacità educativa nel promuovere la salute globale, ovvero misurare quanto il proprio agire educativo rende più vitale la vita sociale della comunità scolastica e viceversa a rendere più vitale la comunità locale in cui si inserisce la scuola. Da questo punto di vista è poco importante che si parli di salute, di sessualità, di dispersione scolastica, di successo formativo: tutto deve confluire in una visione promossa dell’essere umano, in cui ogni persona, diventata protagonista della propria formazione, avverte la gioia che migliorando il proprio stato di benessere migliora un poco anche lo stato di benessere della propria comunità. Se si accetta questo paradigma come stile di vita e di ricerca, cadono tutte le barriere sociali,burocratiche e culturali che spesso circondano le nostre realtà scolastiche e formative. Ad esempio, un gruppo di ragazzi e docenti dell’Istituto Euganeo di Este, sono riusciti a rivitalizzare il C.I.C. della loro scuola, trasformandolo da luogo stantio e agonizzante in un centro propulsore di voglia di vivere e voglia di esserci, dove esercitare pienamente il proprio protagonismo studentesco e giovanile. I ragazzi hanno chiamato questa loro avventura “Free box”, nel senso che la partecipazione alle attività del “Centro” 37 è libera, ma ciò che più conta è che è interamente gestita dai ragazzi, ovviamente con la supervisione di qualche docente. Sempre di più di deve andare verso un’integrazione delle risorse e una collaborazione interistituzionale, condivisa e confermata, così da offrire agli studenti una possibilità di crescita. Esempio di collaborazione interistituzionale è il “Protocollo D'intesa tra Ufficio Scolastico Provinciale38 di Padova, Auls 14 Chioggia, Auls 15 Camposampiero, Auls 16 Padova, Auls 17 Monselice, Comune di Padova ,per una pianificazione provinciale degli interventi nelle scuole padovane in ambito di educazione e promozione alla salute”, elaborato in seno al gruppo di lavoro della Provincia di Padova, che si riporta integralmente alla fine di questo capitolo. Il protocollo è una sorta di libro bianco di buone intenzioni, firmato dai rappresentanti di varie istituzioni per garantire degli interventi di “educazione alla salute” alle scuole, in un’ottica di miglioramento dell’offerta formativa. È presto, allo stato attuale, dire se tale strumento ha dato qualche frutto o meno, tuttavia, esso si colloca, ambiziosamente, nel panorama delle risposte alle scuole, promuovendo momenti di coprogettazione e momenti di collaborazione, di cui scuole e servizi territoriali hanno molto bisogno. Inoltre, questo modello va verso un utilizzo ragionato e una equa distribuzione delle risorse, che non sono infinite. 6.7 Prospettive e tendenze Come abbiamo visto nelle pagine precedenti la scuola è in rapida trasformazione, sia perché cerca di seguire le altrettanto rapide trasformazioni della società, sia perché, dopo l’approvazione della legge 53/2003 (Riforma Moratti) attendiamo l’emanazione dei Decreti legge attuativi, che daranno alla scuola nuovi assetti e nuovi orizzonti, anche di carattere culturale e disciplinare, fino ad ora mai esplorati. Se dunque ci si vuol porre la domanda: quanto spazio avrà la promozione della salute nella nuova scuola, che resterà pur sempre dell’autonomia, credo che le risposte possano essere positive. Questa convinzione si fonda su almeno tre considerazioni: 1. Recentemente, nei giorni 11 e 12 dicembre 2002, si è svolto a Rimini un convegno organizzato congiuntamente dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Istruzione , dell’Università e della Ricerca, denominato “Missione salute”. A questo appuntamento sono stati invitati docenti, per- I ragazzi non vogliono chiamare C.I.C questa loro esperienza, sostengono che sia una cosa diversa e la chiamano con un altro nome, più suggestivo e più rispondente alle attività, che grazie ad esso, sono promosse per tutta la scuola. 38 Questo è il nome di transizione, tra il vecchio Provveditorato agli Studi e il nuovo Centro Servizi Amministrativi. 37 113 114 sonale sanitario e, per la prima volta, anche i rappresentanti delle Associazioni di genitori. Già dal titolo si evince che le scuole sono invitate ad occuparsi di salute,in senso lato e per questo, durante il convegno sono stati presentati degli itinerari didattici, che in seguito saranno recapitati alle scuole e agli insegnanti che li potranno utilizzare. Le proposte spaziano dalla prevenzione degli incidenti domestici alla necessità di educare i giovani a riconoscere le proprie emozioni e saper gestire la propria sessualità. Non manca lo spazio dedicato all’informazione/prevenzione delle vecchie e nuove droghe e si offre un contributo a quanti vogliono affrontare le problematiche legate all’AIDS e ai disturbi alimentari. Dalla premessa alla presentazione di un cofanetto di materiali che sarà offerto a tutti docenti si legge: “L’educazione alla salute è un fatto sociale”. Essa coinvolge tutte le agenzie educative: la famiglia, le aggregazioni ricreative, il mondo del lavoro. Ne deriva l’intenzione e la convinzione, da parte dei due ministeri, di operare d’intesa nel territorio e di proporre modelli di studio e di intervento utilizzabili dalle scuole ma anche dalla famiglia. 2. Il secondo aspetto riguarda la pubblicazione delle “Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella scuola secondaria di 1° grado”, rese note dal Ministero dell’istruzione il 24 dicembre 2002. Il documento, prima ancora che la Riforma Moratti diventasse legge ha anticipato le caratteristiche della “nuova scuola media di 1° grado”, attraverso alcune importanti osservazioni di carattere educativo e disciplinare, date per scontate dal dibattito culturale e pedagogico in corso, ma mai sancite da documenti ufficiali del Ministero. Tra queste, per gli aspetti collegati all’educazione alla salute, si fa specifico riferimento ad alcuni tratti educativi, che caratterizzano la scuola media. Secondo tali tratti, la scuola media si configura come: a) Scuola dell’educazione integrale della persona; b) Scuola della motivazione e del significato; c) Scuola che colloca il mondo; d) Scuola della prevenzione dei disagi e del recupero degli svantaggi; e) Scuola orientativa; f) Scuola della relazione educativa. Credo che a nessuno sfugga l’impianto fortemente educativo della scuola media, attenta quindi ai bisogni attuali dei ragazzi, ma anche preoccupata di salvaguardare l’impianto disciplinare; tra i due riferimenti non dovrà esserci confine ma continuità: l’uno diventa propedeutico all’altro. Nel dettaglio, il punto “d” appare particolarmente in linea con l’inserimento di specifici programmi di educazione alla salute, i quali rispondono esattamente alla logica testé ricordata: impianto disciplinare o interdisciplinare, determinato dalle conoscenze e informazioni di carattere scientifico; impianto educativo, determinato dagli atteggiamenti e comportamenti corretti, vale a dire: stili di vita sani. Leggiamo dal testo: “La migliore prevenzione è l’educazione. Disponibilità umana all’ascolto e al dialogo, esempi di stili di vita positivi, testimonianza privata e pubblica di valori, condivisione empatica di esperienze, problemi e scelte, significatività del proprio ruolo di adulti e di insegnanti, conoscenze e competenze professionali diventano le occasioni che consentono alla scuola secondaria di 1° grado di leggere i bisogni e i disagi dei preadolescenti e di intervenire prima che si trasformino in malesseri conclamati, disadattamenti, abbandoni”. Queste poche righe, da sole, bastano a giustificare e a rilanciare l’educazione alla salute nella scuola, intendendola non come materia, ma come stile educativo e comportamentale. È comunque auspicabile che ad una prossima revisione dei contenuti disciplinari e contenutistici, i riferimenti all’educazione alla salute e al benessere siano più specifici e più diretti, per fugare qualsiasi dubbio interpretativo e confermare, per la scuola il suo doppio significato di sempre: agenzia che promuove programmi per il mantenimento della salute, sistema di relazioni che producono benessere e salute. Bibliografia AA.VV. (2001) Proteggiamo i bambini. Provincia di Padova. Assessorato alle Politiche sociali e culturali. Beccastrini, S. (2002). Il valore dell’educazione nella promozione della salute. In Bergamo (a cura di) Atti del III Seminario di educazione alla salute – MIUR - C.S.A., Padova Crepet, P, (2001). Non siamo capaci di ascoltarli. Einaudi, Torino. Dalle Fratte, G. (1991). L’autonomia tra problemi accertati e strategie possibili, in Dalle Fratte, G. (a cura di) Autonomia risorsa della scuola. Franco Angeli, Milano. De Pieri, S. (2002). Scuola e giovani: l’identità difficile in De Pieri, S.(a cura di). In Verso un sistema educativo integrato.Franco Angeli, Milano. Ingrosso, M. (1989). La promozione della salute: premesse epistemologiche e ragioni sociologiche in Donati, P. ( a cura di) La cura della salute verso il 2000. Franco Angeli, Milano. Milani, P. (2002) Analisi dei progetti rivolti al sostegno alla genitorialità in “Questioni e documenti” Quaderni del centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza”. Istituto degli innocenti Firenze, 2002. Paccagnella, B. (1985) Dalla prevenzione di malattie alla promozione della salute. In Bergamo, A. (a cura di) Atti del II Convegno Regionale Veneto. Esperienze di educazione alla salute nel Veneto. Regione Veneto-AIES, Padova. Pietrella, A. (1991) Processo di riforma scolastica e autonomia scolastica. Innovazioni organizzative e valore strumentale dell’autonomia in Dalle Fratte, G. (a cura di) Autonomia risorsa della scuola. Franco Angeli, Milano. Russo, L. (2001) Segmenti e bastoncini. Feltrinelli, Milano Xodo, C. (2002) Progettazione educativa e territorio in De Pieri S. (a cura di) Verso un sistema educativo integrato.Franco Angeli, Milano. (a cura di) Autonomia risorsa della scuola. Franco Angeli, Milano. Principali riferimenti legislativi Legge 8 agosto 1994 n° 496, Interventi urgenti in materia di prevenzione e rimozione dei fenomeni di dispersione scolastica. Legge 15 marzo 1997, n° 59, Delega la Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la esemplificazione amministrativa. Legge 28 agosto 1997, n°285, Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza. Legge 28 marzo 2003, n° 53, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. D.P.R. 9 ottobre 1990 n° 309, Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza. D.P.R. 10 ottobre 1996 n° 567, Disciplina delle attività complementari e delle attività integrative nelle istituzioni scolastiche. D.P.R. 24 giugno 1998, n° 249, Regolamento recante lo statuto delle studentesse e degli studenti. D.P.R. 8 marzo 1999, n° 275, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche ai sensi dell’art.21 della legge 15 marzo 1997 n° 59. D.leg.vo 31 marzo 1998, n°112, Funzioni e compiti amministrativi dello Stato e delle Regioni e agli Enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 Marzo 1997, n°59. Direttiva ministeriale P.I. 3 aprile 1996, n°133, per la creazione di spazi e occasioni di incontro per i ragazzi. Direttiva ministeriale P.I.26 novembre 1998 n° 463, Interventi di educazione alla salute nelle scuole. Direttiva ministeriale P.I. 3 dicembre 1999 n° 299, Progetti di educazione alla salute. 115 PROTOCOLLO D'INTESA TRA UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE DI PADOVA, AULS 14 CHIOGGIA, AULS 15 CAMPOSAMPIERO, AULS 16 PADOVA, AULS 17 MONSELICE, COMUNE DI PADOVA , PER UNA PIANIFICAZIONE PROVINCIALE DEGLI INTERVENTI NELLE SCUOLE PADOVANE IN AMBITO DI EDUCAZIONE E PROMOZIONE ALLA SALUTE. Visto il Protocollo d'intesa tra Regione Veneto, Sovraintendenza Scolastica Regionale e Provveditorati agli Studi del Veneto (D.G.R n.1526 del 4/5/1999); Visto il D.P.R. 8 marzo 1999 - N. 275 Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche ai sensi dell'art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59; Vista la Legge 28 agosto 1997, n.285, recante Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza; Vista la Direttiva del Ministero della P.I. 3 dicembre 1999, n. 292; Visti i 21 obiettivi dell'O.M.S. (organizzazione Mondiale della Sanità) per il XXI Secolo; Tenuto conto che le Istituzioni scolastiche, nel loro insieme sono impegnate ad attuare programmi e attività di studio che perseguono il raggiungimento di obiettivi formativi e cognitivi collegati allo "star bene a scuola"; Tenuto conto che le quattro Aziende ULSS del territorio padovano sono costantemente impegnate in progetti e attività che promuovono la salute dei ragazzi in età scolare; Tenuto conto che anche il Comune di Padova, attua e propone progetti di educazione alla salute, in collaborazione con le strutture scolastiche, tramite il progetto contenitore " Città Sane"; Considerata la pluralità degli ambiti di intervento in materia di educazione e promozione della salute; PREMESSO Che le Istituzioni firmatarie della presente hanno valutato positivamente l'esperienza di collaborazione già attuata negli anni precedenti tra le scuole, le Aziende sociosanitarie, il Comune di Padova 116 SI CONVIENE QUANTO SEGUE: 1) È istituito un gruppo di lavoro interistituzionale composto da : un rappresentante del Centro Servizi Amministrativi di Padova; due rappresentanti della Provincia di Padova, in rappresentanza dei Settori Istruzione e Servizi Sociali; un rappresentante per ciascuna AULS del territorio padovano; un rappresentante del Comune di Padova; quattro rappresentanti del mondo scolastico; un rappresentante dell'ANCI. Al rappresentante del Centro Servizi Amministrativi è demandato il compito di coordinamento del gruppo; 2) Il gruppo ha durata biennale e svolge al suo interno azioni di promozione, coordinamento, monitoraggio di interventi di educazione alla salute all'interno delle scuole. Il gruppo si considera tacitamente rinnovato fino a quando una delle parti non avrà dato disdetta; 3) Ferma restando l'Autonomia delle singole Istituzioni scolastiche e la necessità di istituire a livello locale degli ulteriori gruppi di coordinamento tra scuola e ULSS, come previsto dal protocollo d'intesa regionale, il gruppo di lavoro provinciale individua alcune linee guida che possono costituire un riferimento per la realizzazione dei programmi e interventi di educazione alla salute. Tra questi si segnalano i seguenti ambiti di priorità: a) promozione di condotte che favoriscano nei giovani la ricerca di dimensione di vita rivolta al proprio benessere; b) potenziamento e consolidamento di un buon livello di autostima; c) maturazione della propria identità sessuale nel rispetto della diversità biologica, psicologica e sociale; d) consolidamento della cultura di gruppo come elemento non trascurabile dello sviluppo individuale; e) assunzione di comportamenti e stili di vita sani con particolare riguardo all'alimentazione, ad un mondo senza fumo, all'utilizzo consapevole della TV, all'abuso dei farmaci e degli integratori dietetici; f) favorire nei giovani il riconoscimento della propria diversità di genere culturale, sociale e psicologica; g) prevenzione delle dipendenze; h) prevenzione della dispersione scolastica, attraverso il raggiungimento del successo formativo; i) valorizzazione della cultura della partecipazione giovanile; j) attivazione di percorsi che promuovono la scuola come ambiente di salute; k) attivazione di percorsi formativi per l'autotutela dei giovani nel mondo del lavoro; l) conoscenza degli ambienti extrascolastici; m) avviamento della pratica dell'empowerment (come consapevolezza di ciò che si realizza in base alle scelte personali; 4) Per la realizzazione e la ottimizzazione degli interventi di educazione alla salute è indispensabile che le Scuole e le ULSS stabiliscano dei momenti di raccordo per l'individuazione dei seguenti punti: 1. Priorità degli interventi; 2. Individuazione dei destinatari; 3. Individuazione delle risorse economiche; 4. Utilizzazione di eventuali risorse di personale; 5. Tempi e luoghi degli interventi; 6. Indicazione degli esiti attesi; 7. Valutazione e verifica degli interventi realizzati; 8. Socializzazione e diffusione delle esperienze. A tale scopo, si ritiene che la via maestra per realizzare l'effettiva collaborazione, sia quella di dar vita a delle commissioni "Scuola/AULS" per una migliore definizione dei bisogni locali e degli interventi di educazione alla salute a loro riferiti; 5) In fase di elaborazione congiunta delle intese programmatiche tra Scuola e AULS, le istituzioni avranno cura di individuare delle procedure di lavoro, espresse con lo strumento dell'Accordo di programma, al fine di migliorare la comunicazione all'interno dei rispettivi sistemi e tra sistemi diversi; 6) Alla fine dell'anno scolastico, le singole AULS presenteranno alle scuole appartenenti al proprio territorio: le linee programmatiche generali, le proposte operative ad indicazione generale, le proposte operative locali, relativamente agli interventi di educazione alla salute. Pertanto, entro la metà di maggio i Direttori generali delle AULS e/o loro delegati, incontreranno, previa propria convocazione, i Dirigenti scolastici e/o i docenti incaricati di sviluppare l'educazione alla salute, per presentare i progetti attuabili all'interno delle scuole. Nello stesso tempo le scuole, attraverso momenti di confronto e raccordo tra loro, progetteranno le iniziative in materia di educazione alla salute che intendono inserire nel P.O.F dell'anno scolastico successivo, concordando con le AULS la possibilità di intese, collaborazioni e coprogettazioni; 7) In continuità con quanto espresso dall’art. 6, la Provincia di Padova, presenterà alle istituzioni scolastiche le iniziative specifiche, programmate autonomamente, in relazione ai contenuti del presente protocollo; 8) Gli interventi programmati dalle intese "Scuola/AULS" dovranno rivolgersi prioritariamente verso reti di scuole, per non polverizzare le risorse e per favorire la cultura di rete tra servizi scolastici e servizi sociali; 9) La Provincia di Padova promuove presso la Comunità locale le iniziative di cui al presente protocollo, in particolare coordinando, nella valutazione delle esigenze delle diverse parti del territorio provinciale, gli interventi dei comuni su tematiche condivise e in sintonia con le linee guida del presente protocollo; 10) Il Comune dei Padova interverrà nel presente Protocollo tramite il "Progetto Città sane" o altri progetti, concordando con l'Azienda ULSS 16, la presentazione congiunta dei progetti di educazione alla salute, alle scuole, seguendo le stesse modalità previste dal punto sei; 11) Il gruppo di lavoro interistituzionale provinciale si riserva di attivare dei percorsi di formazione congiunta degli operatori, così come previsto dal Protocollo regionale, citato in premessa (DGR n°1526 del 4.5 1999); 12) Il gruppo di lavoro interistituzionale assumerà compiti di rilevazione degli interventi attuati, mettendo in atto specifici percorsi per il monitoraggio e la documentazione dei progetti esistenti, compresi eventuali materiali di valutazione. In questa operazione, il gruppo avrà cura di riferirsi e raccordarsi ad altre esperienze già in atto, a livello provinciale e/o regionale; 13) Al presente protocollo aderisce anche l’ANCI Veneto (Associazione Nazionale Comuni d’Italia) in rappresentanza dei Comuni del territorio padovano. In particolare, l’ANCI terrà i contatti con i comuni informan- 117 Prevenzione delle Dipendenze in Ambito Scolastico Allegati doli sulle iniziative intraprese dal gruppo interistituzionale, per favorire la collaborazione scuola/comuni, in relazione ai bisogni di Educazione alla Salute della popolazione studentesca e per facilitare a ciascun comune che ne faccia richiesta, l’adesione al presente Protocollo. Padova, 28 gennaio 2002 Il Dirigente del Centro Servizi Amministrativi di Padova Il Presidente della Provincia di Padova (o suo delegato) Il Direttore Generale dell' Azienda ULSS 14 – Chioggia Il Direttore Generale dell' Azienda ULSS 15 - Camposampiero Il Direttore Generale dell' Azienda ULSS 16 - Padova Il Direttore Generale dell' Azienda ULSS 17 - Monselice Il Sindaco di Padova (o suo delegato) Il Rappresentante dell'ANCI Veneto (o suo delegato) Allegato 1 SINTESI DEL RAPPORTO DELL’EMCDDA SUI BASELINE DEL 1999 RELATIVI ALLA STRATEGIA DELL’UE SULLE DROGHE (2000-2004) Daniela Orlandini e Maria Malorni39 Proponiamo una sintesi di questo documento che raccoglie i dati principali, antecedenti all’implementazione del Piano di Azione Europeo, relativi alla situazione riguardo alle droghe e alle dipendenze nel 1999. Il documento fa riferimento ai primi tre obiettivi della suddetta strategia della U. E.: Prevenzione inclusa nei curricula scolastici 118 39 = ridurre significativamente, in cinque anni, sia l’uso, prevalentemente di droghe illecite, sia le nuove assunzioni, in particolare fra i giovani sotto 18 anni di età; = ridurre sostanzialmente in cinque anni l'incidenza dei danni sanitari droga-correlati (HIV, epatite B e C, TBC ecc.) ed il numero di morti droga-correlate; Unità Operativa Prevenzione Dipendenze - Dipartimento delle Dipendenze dell’Az. ULSS 12 Veneziana Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti = aumentare in modo significativo il numero di tossicodipendenti trattati con successo. Molte delle informazioni di questo documento provengono dai rapporti nazionali prodotti nei punti focali nazionali Reitox e dall'analisi europea creata per il rapporto annuale del 2000 riguardante la realtà del problema droghe nell'U. E. È pertanto da considerarsi un supporto per concepire baselines nazionali nel contesto della valutazione del Piano di Azione U. E. sulle droghe (2000-2004). Tale documento permetterà, nel tempo, il monitoraggio di trends, in quanto i dati si riferiscono al momento iniziale, e di conseguenza, potrà diventare un indicatore di contesto o di impatto misurabile. Riportiamo in questa sede i risultati, raccolti secondo i criteri elencati nelle prime due tabelle, dello stato di attivazione di progetti di prevenzione delle dipendenze nell’ambito scolastico e in quello di Comunità, delle 15 nazioni appartenenti all’U.E. Prevenzione primaria nelle scuole - criteri Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti Concetto di “Programma di comunità” Per assicurare che le attività di prevenzione a scuola riguardino tutti, un importante e indispensabile requisito strutturale è che la prevenzione sia inclusa esplicitamente nei curricula scolastici. Ci sono diversi livelli, da linee guida obbligatorie a un solo orientamento indicativo, da interventi di prevenzione specifica concreta a interventi di sola educazione alla salute. Questo è un indicatore grezzo sul grado di realizzazione di misure di prevenzione concrete. Un fattore che confonde è la definizione di “programma” (per es. quale livello di struttura e durata ha un intervento di un programma). La disponibilità di materiali è un indicatore del livello di struttura, dettaglio e diversificazione degli interventi di prevenzione. I programmi 119 che offrono materiali e contenuti che guidano in maniera particolareggiata ogni sessione, si presume abbiano una più serrata implementazione, rispetto ad interventi che sono completamente affidati alle motivazioni e alle abilità degli insegnanti. Prevenzione inclusa nei curricula scolastici Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti Il numero di programmi contenuti nel database EDDRA. EDDRA richiede un minimo disegno di valutazione che dà un'indicazione approssimata del livello di disegno e della valutazione del programma. Questo indicatore, comunque, si riferisce più direttamente al livello di cooperazione del rispettivo paese nell'esercizio di EDDRA. Prevenzione primaria nella comunità loca le - criteri Il numero di programmi contenuti nel database EDDRA. EDDRA richiede un minimo disegno di valutazione dei programmi per poterli includere; questo dà un'indicazione approssimata del disegno e della valutazione del pro- gramma. Questo indicatore, comunque, si riferisce più direttamente al livello di cooperazione del Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti rispettivo paese nell'esercizio di EDDRA. “Programma di comunità” non ha lo stesso significato in tutti i paesi e fare un paragone è difficile. Un importante punto di partenza è, tuttavia, sapere quello che s’intende per "Programma di comunità" in ogni paese, ad es. se si intende prevenzione fatta IN una certa comunità o prevenzione fatta DALLE persone chiave della comunità rendendole protagoniste. Concetto di “Programma di comunità” 120 AUSTRIA 1999 Prevenzione primaria nelle scuole Prevenzione inclusa nei curricula scolastici Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione La prevenzione primaria è inserita nel contesto del programma “Educazione alla salute”. Tale attività, negli ultimi anni, si sta diffondendo sempre di più anche a livello di scuola elementare. Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti n.c. (non conosciuto) Sono disponibili un nuovo pacchetto per scuole elementari e dei documenti teoretici (per insegnanti): “Guida di prevenzione primaria dell’uso di droghe per insegnanti”. Per la Comunità tedesca: libri di esercizi; “Gesünder und bewusster leben”, “Rauchfrei”. Per la Comunità fiamminga: “Bevraging van de Leerlingen in het kader van een Drugbeleid op school” (Strumento per scuole per valutare le loro politiche sulla droga); “Een drugbeleid op school” (Una politica sulla droga a scuola: struttura globale per scuole sullo sviluppo di poliche: manuali e training); “Een beleid van tabakspreventie in de schoolomgeving” (Manuale sulle strategie del fumo a scuola); “Leefsleutels voor jongeren” (programma di Abilità sociali per ragazzi di 12–14 anni, programma di training per insegnanti, manuale, materiali per studenti); “Als dat niet geweldig is” (video e manuale su prevenzione alcol per ragazzi di 14-16 anni); “De Uitdaging” (programma di abilità sociali per ragazzi di 16-18 anni, programma di training per insegnanti e manuale); “Sleuteltreinen” (programma per percorsi con bambini in età scolastica); “Motivational interviewing” (programma di training per insegnanti, servizi di sostegno alla salute a scuola per consumatori sperimentali di droga ). È stato redatto un inventario che offre una rassegna di tutti i materiali che possono essere usati in un setting di scuola. Per la Comunità francese: “Drôles de Nectars” (Nettare strano) incluso nel pacchetto della scuola della comunità francese nel 1994; “Des griles au pays des merveilles”; “Fichier de jeux et activités”; “Mes amis, mon jardin” (basato su un programma canadese che punta a sviluppare un buon comportamento orientato alla salute); “Génération sans Tabac”, un programma di promozione alla salute specificatamente diretto contro il consumo di tabacco. 4 121 “Step by Step”, uno strumento di formazione per insegnanti. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 4 Concetto di “Programma di comunità” n.c. DANIMARCA 1999 Prevenzione primaria nelle scuole Prevenzione inclusa nei curricula scolastici Le informazioni sulla droga costituiscono parte del programma nella scuola primaria e secondaria all’interno del corso obbligatorio “Salute, sesso e famiglia”. Non sono state fissate delle linee guida, sono stati strutturati orientamenti per forma, contenuti e scopo di un programma sulle droghe. Questi programmi sono stati proposti agli studenti della seconda e terza media e della prima superiore. Normalmente spetta al docente di ogni classe organizzare l’intervento. Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione n.c. Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile Gli esperti preparano il loro materiale e i programmi relativi all’alcol e alla droga, assistiti dal National Board of Health. A livello territoriale, centri locali e centri educativi hanno materiale educativo e audivisivo sugli effetti della droga a disposizione di insegnanti della scuola primaria e secondaria. I docenti sono invitati a partecipare alle riunioni di informazione per essere messi al corrente delle più recenti ricerche in materia e del materiale a disposizione. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 2 122 3 Prevenzione primaria nella comunità locale 1 Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 1 Concetto di “Programma di comunità” n.c. Le attività principali sono rivolte all’offrire strategie di comportamento e interventi strutturali di supporto al lavoro di un grande gruppo di persone chiave e di abitanti che operano per la prevenzione Prevenzione inclusa nei curricula scolastici n.c. Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione n.c. Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile n.c. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 3 delle dipendenze. Un altro gruppo chiave è formato da giovani residenti che lavorano come peer educators sia all’interno che all’esterno delle scuole. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 5 Concetto di “Programma di comunità” Nellla maggior parte dei programmi la popolazione intera è inclusa; esistono però programmi rivolti solo ai bambini e ai giovani. “I programmi Municipali contro l’abuso di sostanze nel 1994-1998” è un rapporto scritto sulle azioni e i progetti Municipali legati all’abuso di droghe. BELGIO 1999 Prevenzione primaria nelle scuole n.c. n.c. 123 Prevenzione inclusa nei curricula scolastici Nel Novembre 1999 la Direzione dei Licei e dei Collegi e il MILDT hanno pubblicato un nuovo quadro di riferimento per la prevenzione dei comportamenti a rischio nella scuola (incluse le scuole elementari). Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione n.c. Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile n.c Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 4 Prevenzione primaria nella comunità locale Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 1 Concetto di “Programma di comunità” È presente un principio di intervento globale in cui i problemi della droga sono visti nella prospettiva dello sviluppo sociale ed urbano. Ciò si pone come obiettivo l’essere sufficientemente flessibile al fine di ottenere risposte sensibili all’identificazione dei bisogni locali, basate sulle partnership esistenti e sulle reti sociali. È essenziale lavorare con le reti cittadine se l’implementazione deve avere una base negoziata e i partner chiave devono essere mobilitati all’interno di aree specifiche. Per esempio il “Punto di ascolto” si pone come obiettivo l’attirare i giovani che si sono allontanati dalle istituzioni. Prevenzione inclusa nei curricula scolastici Nelle materie curricolari di ogni scuola è stato inserito un corso specifico di informazione sui temi della droga, della dipendenza, ecc. 124 Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione n.c. Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile BZgA ha sviluppato un insieme di materiali interzonale, diversificati a seconda dell’età degli studenti, approvato dai Ministeri degli Affari Culturali e dell’Educazione. Sono stati presentati su scala nazionale un nuovo pacchetto mediatico sull’ecstasy (film informativo accompagnato da un opuscolo, aiuto di un insegnante per ogni classe, ecc.) e un programma di intervento (“Step by Step”) in grado di evidenziare i primi problemi con le droghe. Il livello locale, il materiale di lavoro, lo sviluppo dei corsi e i testi si sono sviluppati su larga scala. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 6 Prevenzione primaria nella comunità locale Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 2 Concetto di “Programma di comunità” Sono stati svolti programmi con lo specifico scopo di prevenire la dipendenza e programmi di promozione della salute che hanno lo scopo di incoraggiare uno stile di vita sano e ambienti salutari che aiutano ad evitare l’uso di droghe. FINLANDIA 1999 Prevenzione primaria nelle scuole 125 Prevenzione inclusa nei curricula scolastici Prevenzione primaria nella comunità locale Programmi specifici e non sulla prevenzione dell’uso di droghe non sono inseriti nei curricula scolastici, ma su scala nazionale vengono effettuati interventi sulla popolazione studentesca. 126 Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione Non ci sono numeri certi. Negli anni 19992000, il numero di programmi rivolti alla promozione della salute sono stati 740, dei quali il 14.5% riguardava la prevenzione di problemi legati alla droga. Predominano gli interventi a livello di scuola secondaria, sono in aumento i programmi rivolti ai bambini di scuola elementare e sono stati presentati interventi rivolti agli studenti universitari. Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile n.c. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 3 Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 3 Concetto di “Programma di comunità” La filosofia fondamentale del programma di prevenzione di comunità greco è il seguente: “Progettisti di prevenzione conducono in modo crescente programmi adeguati al contesto in cui operano, partendo dal presupposto che i problemi droga-correlati necessitano di strategie che coinvolgano tutti i settori della società e tutti i canali ad essi rivolti. (Malliori et al. 1999, p.90). Attualmente la prevenzione è inserita in un più ampio programma di interventi di comunità ed include attività che coinvolgono gli studenti della scuola primaria e secondaria, studenti dell'università, insegnanti, genitori, professionisti nel campo della salute mentale, medici, farmacisti, agenti di polizia, avvocati, giornalisti, la Chiesa, le associazioni locali e le autorità locali. FRANCIA 1999 Prevenzione primaria nelle scuole Prevenzione inclusa nei curricula scolastici Previsti per il 2000 Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione n.c. Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile Sono stati valutati due programmi di prevenzione “Step by Step” e “Cammino in alto”, ed è stato perfezionato il materiale corrispondente. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 3 Prevenzione primaria nella comunità locale GERMANIA 1999 Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 3 Concetto di “Programma di comunità” Sono state organizzate, da gruppi formati da membri appartenenti la comunità, iniziative locali orientate alla comunità che mirano alla presa di coscienza degli effetti derivati dall'uso di droga.Sono incluse iniziative di supporto per le famiglie e di sviluppo delle strategie per la riduzione della domanda di droga nelle aree locali. Prevenzione primaria nelle scuole Prevenzione primaria nella comunità locale Prevenzione inclusa nei curricula scolastici 127 Progetti di prevenzione sono stati inseriti nei programmi obbligatori delle scuole medie. Nonostante siano stati stanziati fondi specifici per questi programmi, spesso sono state prese iniziative dai singoli insegnanti che hanno promosso, durante le loro ore di lezione, interventi di prevenzione. Gli interventi di prevenzione mirano a far sì che la scuola divenga anche un luogo di educazione alla salute e di prevenzione dell’uso di droga. Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione n.c. Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile Nessuna informazione particolareggiata. Per evitare problemi che possono sorgere dalla presentazione di informazioni non filtrate, sono state strutturate lezioni precise e sono intervenuti esperti che hanno spiegato specifiche informazioni tecniche. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 0 GRECIA 1999 Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 2 Concetto di “Programma di comunità” n.c. Prevenzione primaria nelle scuole Prevenzione inclusa nei curricula scolastici Temi legati alla droga e alle dipendenze sono inclusi nei programmi di igiene o di etica ma non in corsi specifici e obbligatori. Nelle scuole secondarie il Direttore Didattico può promuovere corsi di prevenzione facendo intervenire esperti o poliziotti del reparto anti-droga. Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione n.c. Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile n.c. 128 Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 1 Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 2 Concetto di “Programma di comunità” n.c. Prevenzione primaria nella comunità locale Prevenzione inclusa nei curricula scolastici In Olanda la legge impone alle scuole di fornire agli studenti informazioni sui problemi legati alla salute. Uno dei temi maggiormente inclusi nei programmi è quello dell’uso delle sostanze. Il “Programma azione per la salute nella scuola”, previsto per il 2000, riguarda il cercare le condizioni per perfezionare un più largo programma di educazione alla salute nella scuole primarie e secondarie. Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione Sono state rilevate approssimativamente 400 attività preventive. L’indagine evidenzia che più del 50% delle attività preventive all’interno del GGD erano condotte in ambito scolastico. La prevenzione del fumo, dell’uso di droga e di alcol, viene svolta nel 90% dai GGD e nel 70% dall'IVZ; questo indica che al centro dell’attenzione del sistema olandese c’è la prevenzione a scuola. Le attività sono diversificate, c’è più attenzione per i programmi di prevenzione generale e meno per le attività più specifiche. 129 Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile Un rapporto aggiornato (Wetser e De Jong, 1999) raccoglie e descrive 20 attività di prevenzione standardizzate che sono considerate esempi di buone pratiche. Più di 50% delle scuole secondarie in Olanda hanno partecipato al progetto “La Scuola Sana e le Droghe: 1998” e questo ha permesso di inserire nel loro curriculum alcuni elementi del progetto. Alcuni materiali educativi per alunni ritardati e disabili dai 12 ai 18 anni (un libretto “Cosa aspettarsi da XTC”, una brochure, un dépliant informativo e un manuale per l’insegnante), sono stati introdotti nelle scuole secondarie; inoltre nuovo materiale è stato creato per le scuole con un numero considerevole di alunni stranieri. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 2 IIRLANDA1999 Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 1 Concetto di “Programma di comunità” “Programmi di Comunità” sono ancora rari in Olanda. Questi programmi coprono prevalentemente quartieri invece di regioni intere o grandi aree urbane. Prevenzione primaria nelle scuole Prevenzione primaria nella comunità locale 130 Prevenzione inclusa nei curricula scolastici La prevenzione dell’abuso di droga è prioritaria nell’intero sistema scolare ed è sotto la responsabilità del Ministero dell’Educazione che promuove il programma “Educazione e promozione alla salute”. Questo promuove la prevenzione dell’uso di sostanze lecite ed illecite. Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione La “Rete Nazionale di promozione della salute nella scuola” comprende 670 scuole. I progetti proposti hanno presumibilmente contribuito alla formazione di un clima più sano a scuola ed ad un miglioramento delle abilità di comunicazione. Il 70% delle scuole che ha risposto all’indagine sperimentale ha ricevuto un sostegno adeguato dal Ministero dell’Educazione. Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile n.c. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 1 ITALIA 1999 Prevenzione primaria nelle scuole Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 1 Concetto di “Programma di comunità” Un esempio di buona pratica include: la preparazione di un programma di prevenzione municipale in collaborazione con Organizzazioni Non Governative, scuole, centri per la salute e il lavoro e altro; una specifica prevenzione dell’abuso di droga attraverso interventi rivolti prevalentemente a gruppi ad alto rischio, basati sulla promozione dei fattori protettivi e la riduzione dei fattori di rischio nell’individuo, nella famiglia e nella scuola; programmi di formazione per adulti (genitori, insegnanti, personale ONG); il supporto al recupero di tossicodipendenti in collaborazione con lo SPTT, con centri di trattamento specializzati e centri di salute locali; la creazione di una rete di supporto per aiutare gli ex-tossicodipendenti nella fase della reintegrazione professionale; la preparazione di risposte per la riduzione del danno. Prevenzione primaria nella comunità locale LUSSEMBURGO 1999 Prevenzione primaria nelle scuole 131 Prevenzione inclusa nei curricula scolastici La prevenzione dell’uso di droghe nella scuola è promossa attraverso “Healthy Schools Standard” e mediante la realizzazione in tutte le scuole de “L’educazione alla persona, alla società, alla salute”. Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione Il 93% delle scuole secondarie e il 75% delle primarie promuovono politiche di prevenzione dell’uso di droga e il 95% delle scuole secondarie attuano politiche che riguardano gli incidenti droga- correlati. Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile n.c. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 5 Prevenzione primaria nella comunità locale Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 3 Concetto di “Programma di comunità” n.c. OLANDA 1999 Prevenzione primaria nelle scuole Prevenzione inclusa nei curricula scolastici Si Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione Sono stati strutturati programmi di prevenzione dell'uso di droga in 5.000 scuole (600.000 alunni). Circa 1.520 sono scuole elementari (alunni sotto gli 11 anni di età). Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile 24 programmi con un supporto di materiali. Di questi, 12 includono una formazione per insegnanti che dura da 3 a 55 ore; uno dei programmi che dura meno (circa 4 ore) è basato su materiali molto specifici. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 4 132 Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 4 Concetto di “Programma di comunità” Molti dei programmi per giovani, famiglie, ecc. hanno un carattere di comunità. Tutte le attività puntano ad aumentare la consapevolezza della popolazione e sono basati sulla mobilitazione sociale. "Corsa contro la droga", "Giornata mondiale senza tabacco o altre droghe", sono sostenute dai piani locali contro le droghe. Prevenzione primaria nella comunità locale PORTOGALLO 1999 Prevenzione inclusa nei curricula scolastici Sì, non sono fornite altre informazioni. Numero di scuole coperte da programmi di prevenzione Circa 600 scuole stanno partecipando alla rete di “Promozione della salute nella scuola”. Numero e grado di dettaglio di materiale del programma disponibile I programmi con materiale, perfezionati a livello nazionale, sono: “Sfida”, “Primo Aiuto”, “Reagire”. Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 1 Prevenzione primaria nelle scuole 133 Numero di programmi minimamente valutati nei loro effetti 1 Concetto di “Programma di comunità” n.c. Prevenzione primaria nella comunità locale REGNO UNITO 1999 Prevenzione primaria nelle scuole Prevenzione primaria nella comunità locale SPAGNA 1999 Prevenzione primaria nelle scuole Prevenzione primaria nella comunità locale SVEZIA 1999 Prevenzione primaria nelle scuole Prevenzione primaria nella comunità locale Allegato 2 PROGETTI DI PREVENZIONE DELLE DIPENDENZE NELLA REGIONE VENETO RIVOLTI ALL’AMBITO SCOLASTICO Daniela Orlandini e Maria Malorni40 Presentazione dell’Archivio Progetti della Regione Veneto (Progetto Itinerari) 134 L’Archivio dei progetti è un’importante azione svolta nell’ambito del progetto Itinerari al fine di promuovere la rete veneta della prevenzione delle dipendenze attraverso la valorizzazione e la diffusione dei progetti attuati e in corso in tale ambito. L’Archivio, infatti, è stato ideato con i seguenti scopi: = Raccogliere e conservare il patrimonio dei progetti esistente nel Veneto nell’ambito della prevenzione delle dipendenze; = Mettere a disposizione degli operatori tale ricchezza di idee e di materiali utili per la progettazione futura attraverso delle schede sintetiche informatizzate. La creazione dell’Archivio è avvenuta tra il 1999 e il 2000 con l’inserimento di 435 progetti raccolti e classificati. A luglio 2002 è stato fatto un aggiornamento che ha permesso sia di rivedere i progetti già contenuti nell’Archivio, sia di aggiungerne di nuovi, raggiungendo il numero di 518 progetti. 40 Unità Operativa Prevenzione Dipendenze - Dipartimento delle Dipendenze dell’Az. ULSS 12 Veneziana La realizzazione dell’Archivio è stata possibile grazie alla fattiva collaborazione dei Ser.T., delle CT e di molte altre Agenzie Territoriali presenti nel Veneto. L’Archivio è consultabile anche a livello informatico: per ogni progetto è stata predisposta una scheda sintetica contenente le informazioni essenziali che consentono di coglierne velocemente il contenuto e le caratteristiche basilari. L’Archivio informatizzato permette di eseguire una ricerca ragionata per parole chiave relative alle seguenti aree tematiche: Tipologia del progetto: Prevenzione, se si tratta di intervento di prevenzione specifica delle dipendenze o dei comportamenti a rischio correlati all’uso di sostanze (HIV, incidenti stradali, ecc.); Promozione, se si tratta di intervento specifico di prevenzione del disagio e di promozione del benessere. Sostanza o comportamento a rischio considerato: Sostanze se intervento focalizzato sulle droghe in generale; Alcol se il progetto riguarda esclusivamente tale sostanza; Tabacco se il progetto riguarda esclusivamente tale sostanza; Ecstasy se il progetto riguarda esclusivamente tale sostanza; Sostanze ricreazionali se il progetto riguarda amfetamine, LSD, popper, ecc.; HIV se il progetto riguarda esclusivamente tale malattia. Ambito dell’intervento: Scuola Materna; Scuola Elementare; Scuola Media Inferiore; Scuola Media Superiore; Ambulatorio e Ser.T. ; SPISAL; Centri Estivi; Azienda; Farmacia; Internet; = Target: Studenti; Insegnanti; Genitori; Popolazione; Adolescenti; Giovani; Adulti; Associazioni di categoria; Tossicodipendenti; Infermieri; Operatori; MMG; Ospedale; Centro sociale; Scuola guida; Casa di riposo; Parrocchia; Carcere; Territorio; Discoteca; Distretto socio-sanitario. Personale di discoteca; Ricoverati; Soci; Corsisti; Direttori Didattici; Dirigenti Sportivi; Donne; Farmacisti; Lavoratori; Animatori; Caposala; Anziani. In questa sede si procede ad un’analisi specifica dei progetti svolti in ambito scolastico, rivolti quindi, a studenti, insegnanti, genitori e operatori. Analisi dei progetti svolti in ambito scolastico (aggiornamento del 2002) 41 Demetrio D., Educatori di Professione, Firenze, La Nuova Italia, 1990 135 Il luogo privilegiato per svolgere iniziative sia di promozione che di prevenzione del disagio giovanile, delle devianze, delle dipendenze è sicuramente l’ambito scolastico. Totale Progetti 232 Materne - Elementari 2 Elementari 9 Medie 40 122 Prevenzione Superiori 147 110 Promozione Elementari - Medie 2 Elementari - Superiori 2 Medie - Superiori 27 Elementari - Medie - Superiori 3 La Scuola, infatti, è il contesto che dà garanzie per una prevenzione efficace per diversi motivi: = La Scuola dell’obbligo dura fino a 16 anni: svolgendo nelle classi programmi di prevenzione è possibile raggiungere un target numeroso con caratteristiche socio-culturali, socio-economiche, cognitive e affettive molto diverse; = Lavorando con i ragazzi è possibile raggiungere e coinvolgere anche i genitori ed in tal modo si possono rinforzare i fattori di protezione; = Lavorare nella Scuola significa poter coinvolgere anche gli insegnanti che possono divenire figure chiave per riconoscere in tempo eventuali comportamenti a rischio negli alunni delle loro classi così come divenire essi stessi operatori della prevenzione; = Infine per il ruolo che ricopre la Scuola nella nostra società: è un luogo educativo che deve promuovere il compito conoscitivo (dare ai ragazzi la possibilità di conoscere altro rispetto le solite materie curriculari), esplicativo (dare agli alunni e ai genitori un maggior numero di informazioni, spiegando anche il motivo per cui la Scuola ha il dovere civile e sociale di occuparsi di questi temi), promozionale (dare la possibilità di partecipare attivamente a progetti di prevenzione). (D. Demetrio, 1991) 41 . Non si può trascurare, inoltre, il fatto che attraverso il lavoro nella Scuola è possibile entrare in con- Totale Progetti 232 136 158 (68%) Partner 8 (3,5%) Cotitolarità 66 (28,5%) No Collaborazione 198 Ser.T. (85%) 34 Agenzie Territoriali (15%) tatto con altre Agenzie di cui i ragazzi fanno parte, attivando così un lavoro di rete indispensabile nelle attività di prevenzione. La Scuola, dunque, è un luogo privilegiato per attività di prevenzione: non è un caso che fra i 518 progetti contenuti nell’Archivio regionale, 232 (che costituisce il 44% del totale) siano promossi in tale ambito. Figura 1: Distribuzione dei progetti Veneti svolti in ambito scolastico tratti dall’Archivio Itinerari (valori assoluti). L’analisi specifica dei 232 progetti di prevenzione svolti in ambito scolastico mette in luce che l’85% (198) dei progetti risulta con titolarità del Ser.T., mentre il restante 15% (34) con titolarità di altre Agenzie Territoriali sia pubbliche che private. Oltre la titolarità del progetto è interessante considerare, secondo le finalità di Itinerari e nell’ottica Totale Progetti in Archivio 282 Totale Progetti in Archivio 236 Prevenzione Promozione Progetti in ambito Scolastico 122 Progetti in ambito Scolastico 110 del lavoro di rete, i possibili livelli di collaborazione. I vari progetti, infatti, possono essere realizzati in tre modi: attraverso l’intervento della singola Agenzia pubblica o privata che li propone (Agenzia titolare del progetto), attraverso un lavoro sinergico di due Agenzie che risultano, perciò, cotitolari dei progetti stessi, oppure con una collaborazione fra l’Agenzia titolare del progetto e un’altra, che risulta perciò esserne partner. Fatte queste precisazioni, si rileva che il 68% (158) dei progetti raccolti nell’Archivio e svolti in ambi- Progetti 122 65 Sostanze in genere (53%) 19 Alcol (16%) 18 HIV (15%) 17 Tabacco (14%) 2 Sostanze ricreazionali (1,6%) 1 Ecstasy (0,4%) 137 to scolastico, prevede la partecipazione di soggetti partner per quanto riguarda la realizzazione, il 3,5% (8) la cotitolarità mentre il 28,5% (66) viene esclusivamente progettato e realizzato dal titolare stesso del progetto e non prevede alcuna forma di collaborazione. (Fig.2) Figura 2: Titolarità e livelli di collaborazione dei Progetti Veneti svolti in ambito scolastico tratti dall’Archivio Itinerari. 124 solo studenti Totale Progetti 232 32 solo insegnanti 24 insegnanti e studenti 122 Prevenzione 3 insegnanti e operatori 20 solo genitori 110 Promozione 8 genitori e studenti 21 genitori, studenti e insegnanti I progetti Veneti di prevenzione archiviati, appartengono a due diverse tipologie: = prevenzione specifica delle sostanze e dei comportamenti a rischio pari al 54% dei progetti raccolti (282); = promozione:pari al 46% dei progetti raccolti (236). Dei 282 progetti di prevenzione specifica, il 43% (122) viene svolto in ambito scolastico e più precisamente lo 0,6% (2) nelle Scuole Elementari-s.e., l’8% (23) nelle Scuole Medie Inferiori-s.m.i., il 28% (79) nelle Scuole Medie Superiori-s.m.s, il 5% (13) sia nelle s.m.i. che nelle s.m.s., lo 0,2% (1) nelle s.e.-s.m.i., l’1% (3) nei tre livelli scolastici e lo 0,2% (1) nelle Scuole materne ed elementari. Per quanto riguarda la promozione dell’agio, invece, nella Scuola sono svolti 110 progetti che costituiscono il 47% del totale (236), in particolare il 29% nella Scuola Media Superiore (68), seguito dal 7% delle Scuole Medie Inferiori (17) e dal 3% delle elementari (7). Inoltre vengono segnalati 2 progetti di prevenzione nelle s.e.-s.m.s., che costituiscono l’1% del totale, 1 progetto nelle s.e.s.m.i. (0,5%) e 1 nelle Scuole Materne-Scuole Elementari (0,5%), 14 nelle s.m.i.-s.m.s. (6%). Figura 3: Tipologia dei progetti Veneti svolti in ambito scolastico tratti dall’Archivio Itinerari PREVENZIONE 122 Progetti 138 Studenti: 77 Sostanze in genere: 40 Tabacco: 12 Alcol: 15 HIV: 7 Ecstasy: 1 Sostanze ricreazionali: 2 Studenti-Insegnanti: 14 Sostanze in genere: 6 Tabacco: 3 Alcol: 2 HIV: 3 Genitori: 4 Sostanze in genere: 4 Insegnanti-Operatori: 2 HIV: 2 Studenti-IGenitori: 3 Sostanze in genere: 2 HIV: 1 Insegnanti: 16 Sostanze in genere:9 Tabacco: 2 Alcol: 2 HIV: 3 Studenti-InsegnantiGenitori: 6 Sostanze in genere: 4 HIV: 2 (valori assoluti). Entrando nel dettaglio, i progetti di prevenzione specifica (122) riguardano nel 53% dei casi (65) le sostanze psicoattive in generale o più sostanze, il 16% (19) l’alcol, il 15% (18) l’HIV, il 14% (17) il tabacco, l’1,6% (2) le sostanze ricreazionali e lo 0,4%(1) l’ecstasy. Studenti 48 Promozione 110 Genitori 17 Insegnanti 16 Studenti - Genitori 10 Insegnanti - Operatori 1 Studenti - Insegnanti 10 Genitori - Studenti - Insegnanti 13 Figura 4: Contenuti dei progetti di prevenzione svolti in ambito scolastico tratti dall’Archivio Itinerari. I destinatari presi in considerazione sono tutti quegli attori che, a vario titolo, sono inseriti nell’ambiente scolastico: operatori, genitori, insegnanti e soprattutto studenti. Come si può vedere dalla Fig. 5, il target prevalente degli interventi di prevenzione sono gli studenti. Figura 5: Target dei progetti veneti svolti in ambito scolastico tratti dall’Archivio Itinerari (valori assoluti). Appare interessante, però, tenere presente la distinzione fra le due diverse tipologie di progetti, dall’analisi dell’Archivio emerge che dei 122 progetti di prevenzione svolti nella Scuola, il 61,2% è rivolto agli studenti (77), il 13% agli insegnanti (16), l’11,4% a studenti-insegnanti (14), il 7,2% a stu denti-genitori-insegnanti (6), il 3,2% ai genitori (4), il 2,4% a studenti-genitori (3), l’1,6% a inse gnanti-operatori (2). Prendendo in considerazione il target degli interventi di promozione (110), invece, emerge che il 44% dei progetti è destinato agli studenti (48), il 15% è rivolto agli insegnanti (16), il 14% ai genitori (17), il 5% a studenti-genitori (5), il 9% a studenti- insegnanti (10), l’1% ad insegnanti-operatori (1), il 12% a studenti-genitori-insegnanti (13). È necessario sottolineare che nell’Archivio di Itinerari sono contenuti due progetti rivolti agli insegnanti ma svolti nel distretto sanitario e per tale motivo non sono inseriti in questa analisi. Confrontando i progetti di prevenzione specifica in base ai target e ai contenuti risulta la distribuzione espressa nelle Fig. 6. Figura 6: Distribuzione dei progetti di prevenzione per target e contenuti tratti dall’Archivio Itinerari (valori assoluti). Per quanto riguarda i progetti di promozione del benessere, la distribuzione in base al target è espressa dalla Fig.7. 139 Figura 7: Distribuzione dei progetti di prevenzione per target e contenuti tratti dall’Archivio Itinerari (valori assoluti). Materne - Elementari 2 Totale Progetti 140 Elementari 4 Medie 24 88 Prevenzione Superiori 87 52 Promozione Elementari - Superiori 2 Medie - Superiori 18 Elementari - Medie - Superiori 3 Da una prima analisi dei dati a disposizione, emerge che i progetti di prevenzione svolti nella Scuola sono rivolti soprattutto a studenti, ma anche a genitori ed insegnanti nella consapevolezza che questi adulti hanno un ruolo fondamentale nel percorso evolutivo ed educativo. Non è un caso che il numero maggiore di interventi sia rivolto ai ragazzi degli ultimi anni delle Scuole Medie Inferiori e a quelli dei primi anni delle Scuole Superiori: l’età adolescenziale, infatti, è quella che richiede maggior attenzione perché più esposta al contatto, alla sperimentazione, all’uso e all’abuso di sostanze legali ed illegali. Analisi dei progetti svolti in ambito scolastico dal 1995 al 2002 Dato lo sviluppo che si è avuto negli ultimi anni nel campo della prevenzione delle dipendenze, si è proceduto ad un’analisi dei progetti iniziati tra il 1995 e il 2002. Negli ultimi 7 anni sono stati svolti in ambito scolastico 140 progetti su 232, cioè il 60,3% del totale. Questo dato evidenzia un crescente interesse rivolto al mondo della Scuola da parte di Agenzie Prevenzione 73 Prevenzione 15 Ser.T. 119 Ag. Territoriali 21 Promozione 46 Promozione 6 140 pubbliche e private, nella consapevolezza che è necessario effettuare interventi di prevenzione strutturati e continuativi nel tempo. In particolare negli ultimi sette anni, oltre ad aumentare il numero di attività nelle Scuole seconda- rie, si sono attivati progetti di prevenzione nelle Scuole materne ed elementari: sono, nella maggior parte dei casi, interventi rivolti a genitori ed insegnanti, cioè a quegli adulti che hanno il difficile e Studenti: 57 (65% del Tot) Sostanze in genere:27 Tabacco: 11 Alcol: 12 HIV: 4 Ecstasy: 1 Sostanze ricreazionali: 2 Studenti-Insegnanti: 9 (10,2% del Tot) Sostanze in genere: 3 Tabacco: 1 Alcol: 2 HIV: 3 Genitori: 3 (3,3% del Tot) Sostanze in genere: 3 Insegnanti-Operatori: 1 (1% del Tot) HIV: 1 Studenti-IGenitori: 3 (3,3% del Tot) Sostanze in genere: 2 HIV: 1 Insegnanti: 9 (10,2% del Tot) Sostanze in genere: 4 Tabacco: 2 Alcol: 1 HIV: 2 Studenti-InsegnantiGenitori: 6 (7% del Tot) Sostanze in genere: 5 HIV: 1 delicato compito di aiutare i bambini a crescere e che devono, quindi, disporre di quanti più validi strumenti per assolvere nel miglior modo possibile questo compito. Approfondendo l’analisi dei 140 progetti svolti negli ultimi 7 anni, emerge la prevalenza di interventi inerenti la prevenzione specifica (88 pari al 63% del totale considerato) rispetto a quelli orientati alla promozione del benessere (52 pari al 37% del totale considerato). (Fig.8). Figura 8: Distribuzione dei progetti svolti in ambito scolastico nell’intervallo 1995-2002 tratti dall’Archivio Itinerari (valori assoluti). Scendendo più nello specifico, degli 88 progetti di prevenzione il 19,3% (17) sono svolti nella Scuola Media Inferiore., il 64% (56) nella Scuola Media Superiore, l’11,3% (10) nella Scuola Media Inferiore e Superiore, il 3,4% (3) nei tre livelli scolastici, l’1% (1) sia nelle Scuole Elementari che nelle Scuole Materne-Scuole Elementari. Considerando, invece, i 52 progetti di promozione, il 60% (31) sono svolti nelle Scuole Medie Superiori, il 13% (7) nelle Scuole Medie Inferiori, il 6% (3) nelle Scuole Elementari, il 15% (8) nelle Scuole Medie Inferiori e Superiori, il 4% (2) nelle Scuole Elementari e Superiori e il 2% (1) nelle Scuole Materne ed Elementari. Per quanto riguarda la titolarità dei progetti, i Ser.T. promuovono circa l’85% del totale dei proget- 141 ti considerati (119), le Agenzie Territoriali, invece, il 15% (21). È interessante sottolineare che i Ser.T. promuovono maggiormente interventi legati alla prevenzione specifica ma non vengono trascurati i progetti di promozione del benessere, come espresso in Fig. 9. Figura 9: Titolarità e contenuto dei progetti svolti in ambito scolastico nell’intervallo 1995-2002 tratti dall’Archivio Itinerari (valori assoluti). I destinatari del maggior numero di interventi di prevenzione sono gli studenti, seguiti poi dagli insegnanti. La Fig. 10 evidenzia anche i contenuti dei progetti rispetto ai target: per gli studenti emerge un ventaglio molto ampio d'azione che non è riproposto a nessun altro target. Figura 10: Distribuzione dei contenuti rispetto al target dei progetti di prevenzione svolti in ambi to scolastico nell’intervallo 1995-2002 tratti dall’Archivio Itinerari (valori assoluti). Anche se con proporzioni diverse, non cambia molto il quadro se si considerano i destinatari dei progetti di promozione: 23 progetti, pari al 44% del totale, sono rivolti agli studenti. Gli insegnanti, invece, sono i destinatari di 12 progetti (23% del totale) mentre i genitori di 5 progetti (10% del totale); 7 sono i progetti rivolti a studenti-insegnanti-genitori (13,4%), 2 quelli per studenti-genitori (4%), e studenti-insegnanti (4%), e 1 quello rivolto ad operatori-insegnanti (2%). L’analisi della tipologia dei progetti e del target evidenzia che ad insegnanti e genitori sono rivolti un numero di progetti di promozione del benessere superiore a quello degli interventi di prevenzione specifica. Questo non avviene per gli studenti che, in entrambi i casi, sono il target privilegiato. Tale dato non stupisce: a genitori ed insegnanti, infatti, servono occasioni di confronto e strumenti per sviluppare al meglio il proprio ruolo educativo e supportare i ragazzi lungo la loro crescita. Dall’analisi dei Progetti Veneti di prevenzione delle dipendenze tratti dall’Archivio di Itinerari viene confermata l’idea che la scuola assume un ruolo sempre più determinante e rappresenta lo spazio entro cui devono confluire le risorse e l’impegno per attuare degli interventi efficaci. Inoltre è un luogo educativo privilegiato in cui diversi adulti, lavorando in sinergia fra loro, si interfacciano in maniera positiva col mondo dei giovani favorendo e sviluppando iniziative rivolte alla promozione dell’agio e alla prevenzione specifica. Allegato 3 Documento Tecnico LA PREVENZIONE DELLE DIPENDENZE: ELEMENTI DERIVATI DALLE BUONE PRASSI E DALLE EVIDENZE SCIENTIFICHE Daniela Orlandini, Rosa Nardelli e Elena Bottignolo40 Con il contributo di Paolo Bello, Doriano Dal Cengio, Maria Chiara Forcella, Ermanno Margutti, Lino Vianello e Gianni Zini 142 Il presente documento tecnico trae la sua origine dalla necessità, emersa fra gli operatori ed in particolare fra i referenti territoriali veneti afferenti al Progetto Itinerari, di evidenziare punti di forza e di debolezza della prevenzione delle dipendenze cercando, da un lato, di sottolineare le ottime indicazioni offerte dalle evidenze scientifiche e dalla prevenzione science-based e dall’altro, di valorizzare quanto in questi anni è stato fatto di buono nell’operatività, ed in particolare, all’interno di quelle che sono definibili come “buone prassi”. Questo documento vuole essere un punto di partenza più che un punto di arrivo, desidera fornire uno stimolo finalizzato a sollecitare un confronto allargato sulle tematiche esposte, vuole proporre un contributo degli operatori veneti della prevenzione delle dipendenze ai colleghi che lavorano in altre regioni. RICOMINCIO DA TRE: le evidenze scientifiche a livello internazionale Negli ultimi vent’anni, la prevenzione delle dipendenze ha sempre più fatto ricorso ad un approccio basato sull’evidenza scientifica, che potesse essere in grado di individuare pratiche preventive caratterizzate da risultati soddisfacenti ed efficaci. Per tale motivo riteniamo utile “appropriarci” di alcuni punti di forza emersi nell’ambito di tale approccio. La prevenzione “science-based” si riferisce all’analisi di programmi preventivi basati su criteri prestabiliti che fanno riferimento alla ricerca empirica e consente di identificare e costruire “buone prassi” secondo indicazioni e principi scientifici riconosciuti come efficaci. Il CSAP (www.northeastcapt.org), uno dei più importanti organismi che si occupa di prevenzione delle dipendenze, identifica tre chiavi del successo in prevenzione emerse dalle rassegne di programmi di prevenzione delle dipendenze, basati appunto sulle evidenze scientifiche: 1. Seguire modelli teorici che considerino approcci sia individuali che ambientali. Le molte teorie che vengono considerate nei programmi presentano ipotesi circa il cambiamento, o il mantenimento di comportamenti positivi, e circa i fattori che supportano il cambiamento. Nello sviluppare dei programmi preventivi è importante considerare l’intero spettro di teorie circa i cambiamenti individuali, organizzativi e sociali. 2. Applicare strategie diversificate in setting diversificati. Quando i programmi preventivi utilizzano strategie diversificate, adeguate al contesto, per raggiungere un unico obiettivo la probabilità di successo degli stessi aumenta. 3. Seguire un disegno logico nella progettazione che includa la valutazione. Per ottenere dei risultati positivi nel processo di pianificazione strategica è necessario effettuare un’analisi dei bisogni, un’analisi della popolazione coinvolta, definire delle attività chiaramente collegate agli obiettivi e alle finalità del programma, implementare strategie e modelli basati sulle evidenze scientifiche e valutare i risultati del programma al fine di ottenere dei feedback per poter ridefinire il programma stesso. Nella stessa direzione si esprime il Gruppo Pompidou del Consiglio d’Europa (Van der Stel e Voordewind, 1998) che sottolinea come sia molto importante puntare sulla programmazione e sulla valutazione degli interventi preventivi, nonché sostenere un lavoro per progetti. D’altronde anche molte altre autorevoli fonti riportano come particolarmente importante la coerenza interna nei progetti fra obiettivi, modelli teorici di riferimento, indicatori utilizzati per la valutazione, nonché fra questi tre elementi e le attività che si implementano. Anche il NIDA (www.nida.nih.org) identifica alcuni principi scientificamente comprovati e definibili come efficaci per la prevenzione delle dipendenze, che pensiamo siano un importante ed indispensabile punto di partenza per chi opera in questo campo: = I programmi di prevenzione dovrebbero mirare alla prevenzione dell’abuso di tutte le sostanze, incluse il tabacco, l’alcol, la marijuana e gli inalanti; = I programmi di prevenzione dovrebbero includere le abilità di rifiuto delle sostanze, rafforzare l’impegno personale contro il consumo delle stesse e incrementare la competenza sociale (ad esempio la comunicazione, le relazioni con i pari, le abilità decisionali, l’autoefficacia e l’assertività): contemporaneamente risulta necessario rinforzare gli atteggiamenti contro il consumo; = I programmi di prevenzione per gli adolescenti dovrebbero utilizzare metodologie interattive, come ad esempio la discussione in gruppo, piuttosto che tecniche didattiche di apprendimento; = I programmi di prevenzione dovrebbero comprendere specifiche attività destinate ai genitori al fine di rinforzare nei figli l’apprendimento, relativo ad esempio alle informazioni sulle sostanze e ad i loro effetti negativi, e al fine di creare opportunità di discussione in famiglia sul consumo di sostanze legali ed illegali, e sulle linee di condotta della famiglia inerenti il consumo; = I programmi di prevenzione dovrebbero essere a lungo termine, e offrire la possibilità di rinforzare gli obiettivi originariamente preposti attraverso sessioni supplementari di intervento. Ad esempio, un intervento diretto a studenti di scuola elementare e media inferiore, dovrebbe includere sessioni da implementare al momento del passaggio dalla scuola media inferiore a quella superiore; 143 = I programmi di prevenzione indirizzati all’intera famiglia sono maggiormente efficaci di quelli che si focalizzano esclusivamente sui genitori o sui ragazzi; = I programmi di prevenzione che includono campagne dei media e cambiamenti di politiche sociali, come ad esempio nuove strategie di regolazione che limitino l’accesso all’alcol, al tabacco od ad altre sostanze, sono maggiormente efficaci quando sono associati ad interventi in ambito scolastico e familiare; = I programmi in ambito comunitario devono rafforzare le norme contro il consumo di sostanze in tutti gli ambiti preventivi, inclusi quello familiare e scolastico; = La scuola offre la possibilità di raggiungere tutti i ragazzi, in particolar modo quelli a rischio per l’abuso di sostanze, come, ad esempio, ragazzi con problemi comportamentali o difficoltà d’apprendimento e quelli a potenziale rischio di abbandono scolastico; = I programmi di prevenzione dovrebbero essere specifici per l’abuso di sostanze ed adattarsi alla comunità locale; = Più alto è il livello di rischio nella popolazione target, più intensivo e precoce deve essere lo sforzo preventivo attuato; = I programmi di prevenzione devono essere specifici in base all’età del target cui si riferiscono ed appropriati al livello di sviluppo e a quello culturale dei destinatari; = I programmi efficaci di prevenzione vanno considerati anche in termini di costo-beneficio. Ad esempio, si calcola che, in America, per ogni dollaro speso per la prevenzione dell’uso di sostanze, le comunità risparmiano da 4 a 5 dollari in costi di trattamento; = I programmi di prevenzione dovrebbero mirare all’incremento dei fattori protettivi ed alla riduzione dei fattori di rischio. 144 Ci sembra opportuno adottare la lista di alcune condizioni necessarie per selezionare ed implementare interventi efficaci individuate dal CSAP del Samsha (1997): = essere sensibile alla popolazione target identificata (ci sono ragioni specifiche per pensare che la popolazione target risponda positivamente all’intervento?); = essere caratterizzato da obiettivi chiari e realistici (i risultati che si vogliono ottenere sono stati identificati in modo chiaro e realistico?); = essere basato su di un modello concettuale di riferimento supportato da evidenza empirica (esiste evidenza scientifica che permetta di confrontare i risultati dell’intervento effettuato con quanto presente in letteratura e di confermarne quindi l’efficacia?); = avere una correttezza concettuale (esiste una spiegazione plausibile che correli l’intervento preventivo implementato ed i risultati ottenuti?); = incoraggiare la partecipazione delle organizzazioni e dei soggetti chiave e la loro integrazione (l’intervento preventivo coinvolge nella pianificazione ed implementazione i soggetti e le organizzazioni chiave? Il disegno dell’intervento considera adeguatamente la complessità del sistema e l’interdipendenza degli elementi coinvolti?); = utilizzare le risorse in modo sinergico ed adeguato (sono state considerate le risorse disponibili a cui può far riferimento l’intervento di prevenzione?); = riservare particolare attenzione alla definizione di tempi, intensità e durata proprie dell’intervento (sono stati definiti in termine di efficacia tempi, intensità e durata dell’intervento?); = garantire la qualità delle sue azioni (viene riservata particolare attenzione ad ogni componente dell’implementazione dell’intervento, in modo da garantirne la qualità?); = attuare la valutazione del processo e dei risultati (viene valutata l’efficacia dell’intervento attraverso un’adeguata valutazione di processo e di risultati?). Nel corso degli ultimi anni la prevenzione delle dipendenze sta pian piano abbandonando la staticità delle teorie eziopatogenetiche per far ricorso ad un approccio preventivo sempre più focalizzato sui fattori di rischio e di protezione. Pur riconoscendo l’importanza dei singoli modelli teorici di riferimento, questo passaggio concettuale consente di uscire dalle logiche delle singole “scuole di pensiero”, dal continuo dibattito sugli assunti e sulle teorie di riferimento, e contribuisce a stabilire una comune base concettuale comune a tutti gli operatori, al di là dell’orientamento del singolo. A titolo di sintesi, si riporta la più recente lista dei fattori di rischio e dei fattori di protezione messa a punto dal NIDA (www.nida.nih.gov). A. Fattori protettivi: = Legami familiari forti e positivi; = Monitoraggio da parte dei genitori dei comportamenti dei figli e delle attività che conducono con i pari; = Regole di condotta chiare che la famiglia fa rispettare; = Coinvolgimento dei genitori nella vita dei propri figli; = Successo scolastico e forte legame con le istituzioni, come ad esempio la scuola e le organizzazioni religiose; = Ricorso a norme convenzionali sull'uso di sostanze. B. Fattori di rischio: = Ambiente familiare disordinato, in particolare quando i familiari abusano di sostanze o soffro no di disturbi mentali; = Genitorialità inefficace, in particolare nei confronti di bambini con difficoltà caratteriali e problemi comportamentali; = Mancanza del legame di attaccamento fra genitore e figlio; = Comportamento in classe inappropriato in quanto diretto verso la timidezza o l’aggressività; = Fallimento scolastico; = Scarse abilità sociali; = Affiliazione con pari caratterizzati da comportamenti devianti; = Percezione che in ambito familiare, scolastico, dei pari e della comunità vi sia approvazione nei confronti del consumo. Lo specifico contributo del Progetto Itinerari In questi anni molti operatori veneti della prevenzione delle dipendenze hanno lavorato per mettere a fuoco alcuni elementi, tratti dalle prassi e dall’operatività, da considerarsi come importanti in tale ambito. In occasione della conclusione del Progetto Itinerari vi è stata la possibilità di fare il punto della situazione. = Un primo elemento è legato all’evoluzione dello stesso concetto di prevenzione delle dipendenze: forse non è più opportuno parlare di prevenzione delle dipendenze, ma di educazione finalizzata all’evitamento delle sostanze legali e illegali o, ancor meglio, di un approccio educativo che promuova la possibilità di scelte consapevoli al fine di evitare comportamenti a rischio. = È importante che gli operatori e gli adulti significativi pensino agli interventi educativi-preventivi come a qualcosa di flessibile e continuativo nel tempo. In questi termini, è auspicabile che in futuro vi sia una chiara identificazione (grazie anche alla valutazione) dei criteri che portano a determinare la continuità o la non continuità dei progetti e il loro eventuale finanziamento. = Gli interventi dovrebbero essere inoltre capillari. La capillarità è da intendersi come relativa al territorio, ad esempio tutte le zone di una regione, e relativa al target, ad esempio la maggior parte dei ragazzi di una certa fascia di età. = Gli interventi dovrebbero evidenziare oltre che una propria coerenza interna, una coerenza con gli altri interventi implementati nello stesso territorio, sia relativamente ai messaggi trasmessi che ai linguaggi utilizzati. Alcune tematiche meritano una specifica trattazione: LA COMUNICAZIONE Nell’ambito della prevenzione delle dipendenze la comunicazione gioca un ruolo fondamentale in quanto, se utilizzata in modo adeguato, essa diventa una strategia di base nelle pratiche preventive. La comunicazione è uno strumento che concorre a modificare o a rinforzare l’uso ed abuso di sostanze ed i comportamenti a rischio ad essi associati, e che deve far riferimento ad un quadro 145 molto più complesso che comprende l’individuo, la famiglia, l’ambiente, l’influenza di fattori di rischio e dei fattori di protezione, la presenza di altri comportamenti problematici, e così via. Inoltre, è bene ricordare che gli interventi di prevenzione in tale ambito debbono tendere non tanto ad attivare la sfera cognitiva quanto la sfera emotiva ed il sistema di relazioni. Se si desidera programmare ed implementare un intervento efficace, pertanto, non si può adottare una comunicazione di tipo pubblicitario in quanto i nostri obiettivi preventivi non hanno a che fare con prodotti commerciali, ma con comportamenti che, come viene riconosciuto da un’ampia letteratura, non si modificano con la semplice informazione. L’utilizzo dei media, dei multimedia e di altre innovazioni tecnologiche è utile per diffondere informazioni di carattere generale ma anche scientifico, mentre il ricorso a quest’ultime non è sufficiente per prevenire un comportamento di uso/abuso di sostanze. All’interno di un intervento di prevenzione delle dipendenze la comunicazione deve tener conto delle seguenti caratteristiche: 1. Attendibilità: un soggetto è attendibile se è degno di fiducia, se è credibile, se è informato e competente. Se si tratta di pura informazione, è dimostrato che il messaggio perde forza perché si tende a dissociare il messaggio dalla fonte ritenuta attendibile. 2. Attrattività: se chi lancia il messaggio è attraente, risulta facilitata l’identificazione e quindi l’accettazione del messaggio. Il potere del messaggio viene potenziato se l’emittente è sentito affine al destinatario per lo stile di vita, gli atteggiamenti, le precedenti esperienze, il gruppo etnico o religioso, la professione. 3. Intenzionalità: il messaggio persuasivo acquista ulteriore forza se non rientra negli interessi di chi lo emette. 4. Disposizione del ricevente: è una variabile che dipende da elementi contingenti (stati d’animo, fretta) e da elementi più stabili (valori, pregiudizi, ideologia, etc.). L’eccessiva divergenza di opinioni tra emittente e ricevente rende inefficace il messaggio anche quando attendibilità e attrattività sono elevate. In particolare durante la fase di aggancio, è fondamentale partire da considerazioni con le quali l’ascoltatore concordi. È noto infatti che comunicazioni che raccomandano drastici cambiamenti di comportamento vengono comunque rifiutate da chi ascolta. Alla luce degli aspetti teorici ed in base alle rassegne delle letteratura, ci sembra importante trarre le seguenti indicazioni: 1. L’operatore deve essere credibile, cioè informato e competente; 2. Il messaggio e l’azione preventiva devono essere attraenti ed in sintonia con il linguaggio del target; 3. Anche se il messaggio è attendibile ed attraente, la pura informazione è inefficace e non cambia i comportamenti. È, quindi, necessario pensare alle campagne informative come ausilio e supporto all’interno di organici progetti di prevenzione, strutturati e continuativi; 4. Il rinforzo del messaggio preventivo da parte di chi risulta essere affine al destinatario (opinion leader, peer educator,etc.) è un importante elemento da considerare. 146 LA RELAZIONE Sta emergendo sempre più la consapevolezza che la relazione interpersonale rappresenti la conditio sine qua non di ogni progetto che si prefigga il cambiamento di atteggiamenti e comportamenti di una determinata popolazione. Sembrerebbe che ciò che più condiziona atteggiamenti e condotte sia la vicinanza tra esseri umani ed, in particolare, il clima emotivo che rende possibile la strutturazione di legami tra gli stessi. Il gruppo è un contesto relazionale importante per i giovani: anche per questa ragione appare l’ambito migliore per promuovere cambiamenti a fini preventivi. L’imitazione, l’identificazione e il bisogno di modelli comportamentali associati agli stati di piacere, d’ansia e di dolore e al desiderio di conoscenza, specie durante l’adolescenza, rappresentano alcune delle condizioni base che consentono o inibiscono il cambiamento o il rafforzamento di condotte, di idee e atteggiamenti nelle persone. Ciò che caratterizza questo quadro sono chiaramente l’affettività e l’emotività che intervengono per creare un determinato “clima“ che può favorire o impedire processi sia d’apprendimento che di cambiamento. Nell’ambito della prevenzione delle dipendenze l’asse portante è la relazione interpersonale. La relazione diretta, non mediata da altri mezzi, consente di andare a creare, quel clima di scambio e collaborazione che favorirà il cambiamento, anche se inizialmente si dovranno superare degli ostacoli, inevitabili in qualsivoglia dinamica interpersonale. In quest’ottica appare evidente quanto la formazione e l’esperienza degli operatori siano alla base della pratica preventiva. L’ incisività di ogni intervento è pertanto direttamente proporzionale alla qualità della relazione che si riesce ad instaurare fra operatori e target. Una relazione “produttiva“ è il risultato di un processo di scambio tra soggetti, gruppi o istituzioni: partendo dal superamento degli ostacoli che impediscono la comunicazione e che sono per lo più di origine affettiva, è possibile giungere successivamente ad una relazione interpersonale che possa promuovere cambiamenti nelle opinioni, negli atteggiamenti e nella percezione del rischio. LA FORMAZIONE Quando si fa riferimento al termine formazione si intende quell’insieme di attività volte ad incrementare le competenze di un individuo. Nell’ambito della prevenzione delle dipendenze le attività formative possono rivolgersi sia ai giovani che agli adulti significativi e agli operatori. Per quanto riguarda i giovani, essa dovrebbe attribuire meno importanza all’oggetto droga e più importanza al soggetto individuo, portando a considerare l’evoluzione del consumo non come legata all’oggetto ma al soggetto. In tal senso, la formazione deve mirare a consentire non solo l’acquisizione di competenze ma anche l’incremento delle abilità di vita (lifeskills), con particolare riferimento a quelle protettive rispetto all’uso di sostanze. In quest’ambito acquista rilevanza la peer education, strategia in base alla quale dei giovani appositamente formati e supportati intervengono in termini educativi e preventivi all’interno di gruppi di pari. Prendendo in considerazione gli adulti significativi, con particolare riferimento ai genitori e agli insegnanti, è importante sottolineare come sia necessario puntare su diversi aspetti formativi, che non escludono in questo caso, anche una parte di informazione di carattere scientifico-divulgativo. Fare solo informazione è più facile, forse anche più economico, mentre la via della formazione è più difficile e costosa: quest’ultima infatti implica un “saper fare” ed un “saper essere”, che non sempre sono patrimonio comune, e necessitano di interventi più capillari e mirati. I bisogni formativi dei genitori e degli insegnanti implicano comunque delle differenze. Per i genitori l’adolescenza del figlio rappresenta un momento di difficoltà educativa all’interno del quale l’argomento droga viene caricato di forti valenze emotive. Le proposte formative per i genitori devono quindi dirigersi verso momenti di informazione-sensibilizzazione, ma anche di supporto alle loro specifiche difficoltà educative. Per quel che concerne gli insegnanti, i bisogni formativi nascono dall’esigenza di conoscere in modo preciso ed approfondito l’universo giovanile e nello specifico di aggiornare e migliorare le competenze in merito alle strategie preventive che essi stessi possono mettere in atto. Infine, va considerata la formazione dei formatori, ovvero degli operatori che lavorano nell’ambito della prevenzione delle dipendenze e più in generale, della prevenzione aspecifica rivolta ai giovani. Tale formazione dovrebbe permettere loro di acquisire tecniche specifiche al fine di attuare percorsi di formazione con i diversi target sopracitati, secondo una logica di tipo interattivo-partecipativo. In sintesi Attualmente, la prevenzione delle dipendenze basata sull’efficacia ha tracciato una nuova strada da percorrere, definendone presupposti ed orientamenti. È necessario, ora, continuare e procedere lungo questa via che ha reso possibile il raggiungimento di così importanti risultati e, per fare ciò, un primo passo indispensabile è favorire la diffusione delle conoscenze acquisite fra gli operatori delle diverse agenzie. Questo documento tecnico desidera offrire a chi si occupa di prevenzione un piccolo contributo italiano in tal senso. Avvicinarsi alle evidenze scientifiche significa abbandonare gli interventi “fai da te”, estremamente ricchi di elementi creativi ma poco riproducibili e valutabili. D’altro canto è bene sottolineare che un’applicazione troppo rigida di principi efficaci, non può essere considerata una “buona prassi”. Le buone prassi, infatti, si basano sulla contestualizzazione degli interventi rispetto alle specificità di target, ambiente, rete territoriale, risorse, ed utilizzano tecniche e strategie basate su relazioni educative significative. 147 La prevenzione “science-based” pone come presupposto dell’efficacia dell’intervento l’adeguatezza del processo che si sviluppa attraverso la programmazione, la progettazione, l’implementazione e la valutazione. A questo proposito, non si può fare a meno di notare che, mentre per le prime tre esiste una vasta e accreditata letteratura, per la valutazione non è così. Poiché appare fondamentale che la valutazione entri a pieno titolo nei programmi, anche in termini di verifica costi-benificio, è necessario investire su di una specifica formazione degli operatori del settore. Accanto all’acquisizione di tecniche e competenze professionali, è necessario stimolare un cambiamento culturale che permetta di vedere nel processo di valutazione una risorsa e non una mera modalità di controllo o di esercizio accademico. Venezia, marzo 2003 Il presente documento è stato sottoscritto dal gruppo dei Referenti territoriali veneti della Prevenzione delle Dipendenze: 148 Paolo Bello - Ser.T. Belluno - Az. ULSS 1 Alina Pezzè - Ser.T. Agordo - Az. ULSS 1 Paola Perucon - Ser.T. Auronzo - Az. ULSS 1 Luigi Turco - Ser.T. Feltre - Az. ULSS 2 Maresa Rizzo - Ser.T. Bassano - Az. ULSS 3 Luca Zini - Ser.T. Thiene - Az. ULSS 4 Gianni Zini – U.F. Prevenzione- Dip. Dipendenze - Az. ULSS 5 Giovanni Sbalchiero - Ser.T. Vicenza - Az. ULSS 6 Mauro Codogno - Ser.T. Noventa Vicentina - Az. ULSS 6 Angelo Tagliamento - Ser.T. Conegliano - Az. ULSS 7 Claudia Passudetti - Ser.T. Castelfranco - Az. ULSS 8 Ivana Bolzonella - Ser.T. Treviso/Oderzo - Az. ULSS 9 Fortunata Idone - Ser.T. Portogruaro - Az. ULSS 10 Emilia Serra - Ser.T. San Donà - Az. ULSS 10 Emanuele Perrelli - Ser.T. Dolo/Mirano - Az. ULSS 13 Ermanno Margutti - Ser.T. Chioggia - Az. ULSS 14 Alberto Poli - Ser.T. Piove di Sacco - Az. ULSS 14 Laura Semino - Ser.T. Cittadella/Camposampiero - Az. ULSS 15 Maria Chiara Forcella – Ser.T 1 Padova - Az. ULSS 16 Rosaria Sorgato - Ser.T 2 Padova - Az. ULSS 16 Marialuisa Gerardi - Ser.T. Este - Az. ULSS 17 Germana Gay - Ser.T. Este - Az. ULSS 17 Luciano Cadalino - Ser.T. Monselice - Az. ULSS 17 Mariangela Rossi - C. Studi Bresparola - Dip. Dipendenze - Az. ULSS 18 Caterina Forza - Ser.T. Taglio di Po - Az. ULSS 19 Franco Aldegheri - Ser.T. Verona 1 - Az. ULSS 20 Stefano Donini - Ser.T. Verona 2 - Az. ULSS 20 Pietro Madera - Ser.T. Soave - Az. ULSS 20 Paola Schiavi - Ser.T. Legnago - Az. ULSS 21 Mario Torneri - Ser.T. Zevio - Az. ULSS 21 Andrea Saccani - U.F. Prevenzione – Dip. Dipendenze - Az. ULSS 22 Giuseppe Cioffi - Ser.T. Villafranca - Az. ULSS 22 Enzo Bacchion - Ass. Il Borgo - Schio Vicenza Monica Lazzaretto - C.T. Coop. “G. Olivotti” - Mira VE