29 31 LUGLIO 2001 ANNO XLVII • NUMERO SETTIMANALE DI POLITICA ED ECONOMIA SOCIALE I GIORNI DEL G8 • LA PREOCCUPAZIONE DELLA CGIL IL PUNTO Violenza: una spirale che va fermata LA MORTE DI CARLO Un ragazzo come tanti Spedizione in abbonamento postale 45% art.2 comma 20/B legge 662/96. Filiale di Roma. L. 3.000 - Euro 1,55 Noi non sappiamo perché Carlo Giuliani si sia trovato con quell’estintore in mano il pomeriggio del 20 luglio. E, come dice amaramente suo padre Giuliano, da anni nostro prezioso collaboratore, non possiamo più chiederglielo. Ma sappiamo che Carlo non era quello che è stato definito su tutti i giornali all’indomani: un barbone, un punkabbestia, uno sbandato. No, Carlo era un ragazzo sensibile. Odiava le ingiustizie, lavorava per Amnesty international. Aveva problemi, grandi e piccoli, come molti suoi coetanei. Faceva tanti piccoli lavori, qui e là, dove capitava. Era un ragazzo come tanti. A Giuliano e alla sua famiglia l’abbraccio forte di tutti noi di Rassegna. Gli avvenimenti che hanno contrassegnato il vertice di Genova hanno fatto passare in secondo piano i temi al centro dell’agenda del G8 e anche gli scarsi risultati che questo vertice, come del resto gli ultimi, ha prodotto. Questo giornale non è solito aprire con documenti ufficiali, ma in questa circostanza abbiamo pensato che, data la gravità dei fatti di cui Genova è stata testimone, fosse necessario fare un’eccezione, pubblicando questa nota della segreteria della Cgil. L a segreteria della Cgil esprime il proprio cordoglio alla famiglia Giuliani, formula gli auguri di pronta guarigione a tutti i feriti e solidarietà ai cittadini di Genova. Giudica gravissimi gli avvenimenti di questi giorni che hanno insanguinato e devastato la città. Gli ordigni esplosi o provvidenzialmente neutralizzati, disseminati in varie città; la guerriglia urbana scatenata da migliaia di violenti ed eversori; il comportamento delle forze dell’ordine sia nella fase di prevenzione che in quella di gestione della piazza, a partire dalla mancata garanzia per decine di migliaia di manife- stanti di sfilare pacificamente in corteo, fino alla brutale irruzione nella sala stampa del Genoa Social Forum e nella scuola adibita ad accoglienza, consegnano un quadro allarmante, le cui conseguenze ri- Bonus: Formigoni fa scuola schiano di proiettarsi anche nel prossimo futuro. Innanzitutto, occorre confrontarsi con il tema della violenza e dell’eversione, che viene riproposto dagli ultimi avvenimenti. Rispetto al ritorno del metodo della violenza nessuna sottovalutazione o indulgenza è possibile: da qui la nostra netta condanna e il nostro impegno di lotta per combatterla e isolarla in tutte le situazioni in cui si manifesta; così come è necessario che ogni forza politica e sociale, comprese le singole organizzazioni che fanno parte del Gsf, assumano posizioni e comportamenti rigorosi e privi di ogni ambiguità. Chiunque pensi di attaccare la democrazia e la convivenza civile deve sapere che il movimento sindacale sarà sempre in prima fila per contrastarli e per impedire che il loro delirante disegno possa realizzarsi. L’azione delle forze di sicurezza non è stata all’altezza SEGUE A PAGINA 2 ▼ GLOBALIZZAZIONE • IL MESSAGGIO DI NELSON MANDELA AI SINDACATI GENOVA • IN CORTEO CON I SINDACALISTI Il secolo degli esseri umani Piazze a rischio globale opprime miliardi di cittadini del mondo, che sono privati dei loro diritti sociali ed economici. Come accadde nel caso dell’apartheid in Sud Africa, una minoranza prospera e gode di ricchezza oscena, come risultato diretto dell’eNelson Mandela strema miseria e dell’oppressione della grande sindacati in Italia e in altri paesi del mondo maggioranza. Allo stesso tempo, la stragrande hanno svolto un ruolo vitale nella lotta per li- maggioranza delle persone rimane povera e priberare il Sud Africa dal giogo dell’oppressione e va di potere, intrappolata in una miseria degradell’apartheid. Il movimento sindacale conti- dante, uccisa a milioni da malattie che si possonua a dare un contributo magnifico alla lotta per no prevenire, mutilata da bombe e fucili, sfruttata come manodopera infanliberare l’umanità dalla povertà, ALL’INTERNO tile o carceraria, e i diritti umadalla malattia e dall’ignoranza ni fondamentali vengono nee per costruire un mondo migati. Questa lista potrebbe congliore in cui tutti noi camminetinuare all’infinito. Invece di riDPEF remo con orgoglio, rivendicandursi, le diseguaglianze si stando la nostra proprietà collettiva QUELLO CHE NON VA no aggravando. Invece di ridurdelle risorse del mondo. PUNTO PER PUNTO si, la povertà sta crescendo. InUomini e donne onorabili sono pag. vece di fare un uso più razionauniti nell’affermare che la glole e sostenibile delle risorse del balizzazione deve essere al sermondo, si sta aggravando la miFONDI PENSIONE vizio di tutti i cittadini del monnaccia al nostro pianeta. Tutto do. Tutti noi vediamo con orroL’AGENDA ciò sta producendo un movire che, entrando nel 21° secolo, DELLA CGIL il mondo è profondamente dipagg. viso da una nuova forma di SEGUE A PAGINA 2 apartheid. Questo apartheid Quello che segue è l’intervento inviato dal leader sudafricano al convegno internazionale dei sindacati a Genova il 18 luglio I 5 10 -11 ▼ Daniela Binello C inquemila tra metalmeccanici e delegati di diverse strutture della Cgil hanno raggiunto Genova il 21 luglio per prendere parte alla manifestazione internazionale indetta dal Genoa social forum, a cui hanno aderito ottocento associazioni per protestare contro i «grandi» riuniti nel capoluogo ligure per il G8 e contro la globalizzazione. Claudio Sabattini, segretario generale della Fiom, molti segretari e dirigenti regionali e provinciali di Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Campania, Puglia, Abruzzo, Molise, Veneto, Lazio, Liguria, Sicilia sono arrivati insieme alle rispettive delegazioni con pullman e treni speciali. Un sole rovente ha irradiato tutto il giorno una città angosciata dal lutto per l’assassi- nio di Carlo Giuliani, il ventitreenne figlio di Giuliano, ex segretario generale della Funzione Pubblica ligure. Nel corteo vengono distribuite fascette nere da mettere al braccio in segno di lutto. La notizia dell’uccisione di Carlo ha fatto il giro del mondo gettando una luce oscura su questo G8 su cui tanto aveva puntato il governo Berlusconi per migliorare la sua immagine a livello internazionale. Ma quando i cinquemila si radunano, all’interno di un corteo che arriverà a ingrossarsi fino a due-trecentomila persone, ancora non sanno che anche il sabato finirà di nuovo tragicamente. Le «tute nere» del Black Bloc, gruppi marginali e professionisti della provocazione, riescono SEGUE A PAGINA 3 ▼ La decisione del governo di centro-destra di ritirare il ricorso presentato alla Corte costituzionale dal precedente esecutivo contro la delibera della giunta regionale Lombarda sui buoni scuola merita ancora qualche riflessione. La decisione sottrae al giudizio della Corte una norma palesemente in contrasto con la Costituzione, perché rappresenta un ulteriore atto nella direzione della privatizzazione del sistema scolastico attraverso la riduzione delle risorse destinate alla scuola pubblica e a chi la frequenta. Attraverso il riconoscimento delle sole spese per le rette e il funzionamento della scuola vengono di fatto escluse dal contributo le famiglie che iscrivono i propri figli alle scuole statali, visto che nelle scuole di Stato le spese di funzionamento sono a carico degli enti locali e l’iscrizione generalmente non supera mai la quota di 150.000 lire. Al danno della decisione governativa si è aggiunta un’ulteriore beffa. Su 92 miliardi previsti per il buono scuola ne sono stati utilizzati solo 67 e nessuna delle pochissime domande che proviene da genitori i cui figli frequentano le scuole pubbliche verrà accolta. La Regione ha respinto la proposta presentata dalle opposizioni di utilizzare i 25 miliardi inutilizzati per ampliare il diritto allo studio, che si rivolge a tutti ma può oggi contare su soli 13 miliardi. Formigoni ha invece deciso di destinare questa somma per ridurre il disavanzo del bilancio regionale, che deriva, principalmente, dalle scelte di privatizzazione nella sanità. Cgil, Cisl e Uil scuola della Lombardia si sono impegnate a riprendere una diffusa iniziativa nelle scuole finalizzata a contrastare la delibera che la giunta dovrà ripresentare per il prossimo anno scolastico. Tuttavia, le proposte di regionalizzazione del sistema scolastico previste nel ddl sul federalismo di Bossi, o quelle comprese nei progetti di riforma a cui si ispira il ministro Moratti, unitamente alla generalizzazione del buono scuola, richiedono una mobilitazione che coinvolga l’intero sindacalismo confederale. WOLFANGO PIRELLI Segretario Cgil scuola Lombardia LA SETTIMANA • CHI COSA QUANDO Settimanale della Cgil Via dei Frentani 4/a, 00185 Roma tel. 06/448881 fax 06/4469008 E-mail [email protected] Comitato editoriale Aris Accornero, Patrizio Bianchi, Mario Centorrino, Claudio De Vincenti, Fiorella Farinelli, Giorgio Ghezzi, Enzo Rullani, Giorgio Ruffolo, Bruno Trentin Comitato scientifico Piergiovanni Alleva, Giovanna Altieri, Romano Benini, Adolfo Braga, Lorenzo Birindelli, Bruno Broglia, Mimmo Carrieri, Anna Catasta, Marco Causi, Marida Cevoli, Francesco Ciafaloni, Giancarlo Corò, Giuseppe D’Aloia, Patrizio Di Nicola, Claudio Falasca, Renato Fontana, Francesco Garibaldo, Antonio Giancane, Sandro Guerrieri, Paolo Inghilesi, Beniamino Lapadula, Giorgio Lunghini, Paola Manacorda, Saul Meghnagi, Maria Luisa Mirabile, Guido Moltedo, Edwin Morley-Fletcher, Daniele Pace, Stefano Palmieri, Stefano Patriarca, Ida Regalia, Vittorio Rieser, Antonio Ruda, Franco Sborgi, Patrizia Schifano, Riccardo Terzi, Bruno Ugolini Direttore responsabile Enrico Galantini Redazione Anna Avitabile, Luigi Bonessio, Patrizia Ferrante, Carlo Gnetti, Mayda Guerzoni, Roberto Greco, Marina Iacovelli, Guido Iocca, Stefano Iucci, Giovanni Rispoli Per la parte tecnica Pierluigi Pinna Collaboratori Giliola Aleotti, Diego Alhaique, Lisa Bartoli, Nedo Bocchio, Gianfranco Brevetto, Federica Buroni, Carlo Casali, Daniela Ciralli, Antonio Giacchè, Giuliano Giuliani, Paola Guidetti, Fernando Liuzzi, Maurena Lodi, Marco Masi, Antonio Morandi, Sergio Vacirca, Alessandro Valentini, Nicoletta Villani, Maria Teresa Zangara Segreteria Gianfranco Mancini Progetto grafico Roberto Pavan 20 LUGLIO POSTE: OK PER IL FONDO MA IL 31 SI SCIOPERA Come le banche, anche le poste avranno un Fondo per gli esuberi. Ma, nonostante l’accordo siglato da azienda e 5 organizzazioni sindacali (non ha firmato la Cisl, che comunque ha espresso un assenso in linea di massima) la protesta contro gli esuberi va avanti: per il 31 luglio Cgil, Cisl, Failp Cisal e Confsal Saip hanno confermato lo sciopero di 24 ore; non si sono uniti al blocco Ugl e Uil. «Scioperiamo contro il taglio di 9.000 unità – dice Piero Leonesio, della Slc Cgil –. Per il resto, il nostro giudizio sul piano d’impresa che scade nel 2002 è positivo». La trattativa, comunque, continua fino al 9 agosto: dopo quella data, se non si sarà raggiunto un accordo, i sindacati sposteranno la trattativa al ministero del Lavoro. Grazie al Fondo esuberi, i postali vicini al pensionamento potranno uscire beneficiando di un assegno equivalente alla pensione netta cui avrebbero diritto se avessero maturato i requisiti minimi. L’assegno sarà erogato dall’Ipost (l’Istituto di previdenza dei postelegrafonici), coperto con risorse solo aziendali e avrà una durata massima di 5 anni. 18 LUGLIO CHIMICA ED ENERGIA: VIA LIBERA ALLE PIATTAFORME Dall’assemblea unitaria dei delegati Filcea, Flerica e Uilcem arriva il via libera alle piattaforme per il rinnovo dei contratti della chimica e dell’energia. Per quest’ultimo set- Falsoinbilancioecooperative:èscontro Scontro durissimo in aula sulla riforma del diritto societario. Governo e opposizione hanno affilato le armi nella riunione congiunta delle commissioni Finanze e Giustizia della Camera che ha licenziato il provvedimento delega all’esame dell’aula a partire dal 27 luglio. Due i capitoli su cui si è consumata la rottura: la revisione dei reati societari (art. 10) e il nuove regime fiscale da applicare alle cooperative (art. 5). Nel disegno di legge Mirone-Castelli, il reato di falso in bilancio viene praticamente riscritto. Il «falso in sé», che non prevede danni a soci e creditori, è punito con l’arresto fino aun anno e sei mesi. In caso di danno, se la società non è quotata in Borsa la pena va da sei mesi a tre anni, ma si procede solo a querela di parte; se la società è quotata, la pena sale da uno a quattro anni. Per il centro-sinistra, si tratta del «primo vero colpo di spugna per Berlusconi», accusato di falso in bilancio in tre processi. «Una situazione assurda – ha spiegato Beffe Fanfani, della Margherita – anche perché con questo provvedimento si dà la delega al governo a definire le fattispecie criminose di processi in cui è imputato il presidente del Consiglio». Quanto alle cooperative, l’articolo 5 ha l’obiettivo di «incentivare la trasformazione delle cooperative in società lucrative». Per Ivano Barberini, presidente della Legacoop, si tratta di un provvedimento anticostituzionale: «La nostra Costituzione – ha detto – impegna lo Stato a favorire lo sviluppo della cooperazione a base mutualistica senza fini di lucro». Duro anche il giudizio della Confcooperative: «Avviene la liquidazione dell’esperienza cooperativa – ha commentato il presidente Luigi Marino –, demolendo, in altre parole, un fattore di occupazione e sviluppo. Le vere cooperative verrebbero infatti relegate in spazi marginali». Sull’articolo 5, comunque, la maggioranza non è compatta: Luca Volontè (CdcCdu)ne ha chiesto lo stralcio e la stesura di un testo unico «per riportare la figura del socio lavoratore e l’aspetto mutualistico delle cooperative al loro significato originario». retributivi coerenti con l’accordo di luglio. tore, l’intesa che si andrà a firmare – spiega Franco Farina, segretario nazionale Filcea – dovrà completare il processo di unificazione dei contratti energia Eni e petrolio privato. In primo piano, tra le altre rivendicazioni la formazione, la riduzione oraria per i turnisti e il consolidamento dell’esperienza del conto ore. In generale, il governo degli orari dovrà servire a incrementare l’occupazione. Quanto alla chimica, i punti salienti della piattaforma sono: ambiente e salute, ampliamento della contrattazione aziendale e territoriale, governo degli orari e normative specifiche per le alte professionalità. I lavoratori di chimica ed energia chiedono, infine, aumenti 18 LUGLIO MORATTI ATTO SECONDO: 30.000 ASSUNZIONI Il ciclone Moratti non si ferma. Dopo la sospensione della riforma dei cicli scolastici e l’equiparazione tra precari della scuole privata e pubblica il ministro decisionista non si ferma e annuncia l’assunzione, da subito, di 30.000 docenti per l’anno scolastico 2000-01, con decorrenza giuridica dal 31 agosto. Quindicimila saranno reclutati dalle graduatorie permanenti, l’altra metà da quelle dei concorsi ordinari. Queste assunzioni si sommano alle 10.000 relative all’anno scolastico 2000-2001 e sbloccate nei giorni scorsi da un decreto dal governo. Secondo Enrico Panini, segretario della Cgil scuola, «le assunzioni per il 2001-02 non rappresentano una novità, bensì la conferma dell’entità dei posti già previsti dallo scorso anno». 18 LUGLIO POSTE: CONTRATTO PER LE IMPRESE D’APPALTO Assoposte e Cgil, Cisl e Uil hanno raggiunto l’accordo per il rinnovo del contratto di lavoro dei lavoratori delle imprese di appalto del trasporto postale. Un contratto scaduto il 31 dicembre ’98 e il cui rinnovo è stato particolarmente difficile per la grave crisi di un settore esposto a profonde riorganizzazioni. Le Poste italiane hanno infatti ridotto in maniera consistente la quantità di lavoro in appalto. Gli aumenti retributivi rispettano la logica del protocollo di luglio, con 50.000 lire d’aumento al terzo livello a partire dal 1° luglio 2001 e altre 40.000 dal 1° novembre 2002. A compensazione del pregresso ci sarà una una tantum di 700.000 lire in tre rate, mentre l’indennità di trasporto (che interessa l’80% degli addetti) sale a 20/25.000 lire mensili. Il contratto introduce, in via sperimentale, l’orario multiperiodale, mentre sul fronte del mercato del lavoro vengono regolamentati part-time, interinale e apprendistato. 17 LUGLIO TELECOM: LE ASSEMBLEE APPROVANO L’ACCORDO Le assemblee dei lavoratori hanno approvato con il 75% dei consensi l’intesa su premio di risultato e norme di raccordo per i lavoratori Telecom. «Si recupera così, positivamente – ha detto Fulvio Fammoni, segretario generale Slc Cgil – attraverso la contrattazione tra le parti, un meccanismo di unilateralità aziendale legato all’applicazione delle precedenti norme». Le nuove norme di raccordo migliorano i trattamenti per infortunio e ricovero ospedaliero, introducono meccanismi più favorevoli sulle maggiorazioni nella fascia oraria 20-22. Il premio di risultato per il 2000 prevede un importo medio annuo di 3 milioni. Viene innalzata la quota di Telemaco, il Fondo di previdenza complementare. Illustrazioni Anna Keen • I giorni del G8 / La spirale della violenza • Casa Editrice Edit. Coop., Cooperativa di giornalisti a rl, Via dei Frentani 4/a, 00185 Roma Iscritta al reg. naz. Stampa al n.4556 del 24/2/94 Presidente del Consiglio d’amministrazione Tarcisio Tarquini Proprietà della testata Ediesse Srl Abbonamenti Annuo lire 130.000 (lire 80.000 per gli iscritti Cgil) estero lire 280.000; ccp n. 42445007, intestato a: Rassegna Sindacale, via dei Frentani 4/a, 00185, Roma Ufficio abbonamenti 06/44888201/228 Fax 06/44888222 Pubblicità Edit. 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Si pone quindi il problema delle garanzie costituzionali, seriamente messe in discussione sabato sera e che, invece, devono essere garantite in qualsiasi situazione. Spetta, innanzitutto, ai prefetti di tutte le città garantire concretamente l’esercizio delle libertà costituzionali che sono a fondamento della democrazia di questo paese e della sua convivenza civile. Sui temi politici al centro dell’agenda del G8, completamente oscurati dalla violenza di piazza, il giudizio della Cgil è negativo. Da un lato, si è an- • Mandela / Il secolo degli uomini • cor più evidenziata l’inefficacia di tale appuntamento quando in discussione vi sono temi che riguardano popoli e stati diversi da quelli lì rappresentati, dall’altro, le scelte compiute, improntate a una generica solidarietà compassionevole, si fermano a una soglia assolutamente insufficiente rispetto a quella che la drammaticità dei problemi richiederebbe. Il sindacato conferma pertanto la propria piattaforma – in tema di diritti universali, sviluppo sostenibile, ambiente, cancellazione del debito, lotta alle epidemie e malattie endemiche, tobin tax o soluzioni equivalenti, riforma delle sedi e strumenti di regolazione della globalizzazione – illustrata al presidente del Consiglio e proseguirà l’iniziativa, anche in rapporto con gli altri sindacati del mondo, affinché essa possa positivamente concretizzarsi. La segreteria della Cgil ha concordato con Cisl e Uil di invitare le loro strutture a promuovere delegazioni sindacali presso le prefetture per presentare, in quella sede, le valutazioni delle organizzazioni sindacali sulla necessità del rispetto delle regole costituzionali e sull’esigenza irrinunciabile di prevenire ogni e qualsiasi forma di violenza. da pag.1 mento internazionale crescente di persone e organizzazioni, che vogliono vedere una gestione più equa e razionale degli affari del mondo. Dirigenti e cittadini da tutto il mondo seguiranno insieme quest’anno le discussioni del G8 con un’attenzione tutta particolare. Chiederanno al G8 concrete proposte politiche e programmi, e risposte al grido di quanti vengono emarginati dalla globalizzazione. Io rimango sostenitore della necessità di riorientare l’Organizzazione mondiale del commercio e le altre istituzioni delle Nazioni Unite per garantire condizioni di equità nel commercio fra le nazioni del mondo; di assicurare la cancellazione del debito dei paesi poveri altamente indebitati; di garantire una profonda riforma della nostra architettura finanziaria internazionale attraverso la trasformazione delle istituzioni di Bretton Woods; di promuovere, infine, i diritti fondamentali del lavoro mediante una dinamica interazione fra l’Organizzazione internazionale del lavoro e l’Omc. Il sostegno a queste posizioni da parte del movimento internazionale dei lavoratori non deve limitarsi alla questione dei diritti dei lavoratori, ma estendersi alla necessità di tenere conto delle preoccupazioni dei paesi in via di sviluppo per l’eliminazione degli squilibri creati dai processi di globalizzazione. Elemento importante di questa riforma globale è un necessario pacchetto di misure attive per eliminare il grave deficit commerciale esistente fra paesi del Nord e del Sud. Io sostengo pienamente l’appello perché un nuovo round dell’Omc affronti queste questioni dello sviluppo. È necessaria una migliore cooperazione con i gruppi per i diritti umani e altre Ong progressi- 2 num. 29 - 31 luglio 2001 ste così come con i sindacati, per assicurare una protezione ambientale adeguata per tutti. A questo riguardo, ai paesi e alle imprese che hanno causato degrado ambientale dovrebbe essere richiesto di riparare questa eredità storica. In Sud Africa, per esempio, migliaia di persone soffrono di malattie causate dall’estrazione mineraria d’amianto. La stessa situazione esiste in Brasile e in molti altri paesi con miniere d’amianto. Questa situazione deve essere corretta dai governi per garantire che l’umanità non venga trattata come merce a disposizione della ricerca del profitto. Oggi il mondo ha l’opportunità di investire per arginare la diffusione dell’epidemia di Hiv/Aids. Dobbiamo lodare molti paesi del Nord, e alcuni del Sud, per la loro celere azione per educare i loro cittadini sulle misure preventive e per rendere disponibili assistenza medica e terapie. Come sapete, la nostra gente in Africa e in generale la comunità di nazioni nel Sud e in via di sviluppo hanno di fronte una catastrofe di dimensione indicibile. Molti bambini innocenti muoiono per la trasmissione del virus dalle loro madri quando sono ancora allo stato fetale, e questo potrebbe essere evitato. Molti poveri muoiono perché non possono acquistare farmaci retrovirali o medicine per il trattamento della meningite e delle altre malattie connesse. Una delle sfide critiche che abbiamo di fronte è quella di garantire che le persone affette abbiano accesso, a condizioni possibili, ai medicinali per l’Hiv/Aids. Io confido che se tutti noi, come individui e guidati dalle nostre organizzazioni, ci impegniamo per la creazione di un mondo migliore, il bene trionferà sul male. Dichiariamo, tutti insieme, questo secolo un secolo contro la povertà, contro la fame e contro la mancanza di speranza. Facciamone il secolo degli esseri umani, il secolo dell’equità e della giustizia. LA POLEMICA METALMECCANICI • AL VIA LA RACCOLTA DELLE FIRME PER IL REFERENDUM Tante adesioni fabbrica per fabbrica Avventuristi Il nodo di fondo è quello della sovranità dei lavoratori sulla contrattazione A vete mai sentito parlare della Carrozzeria Barbi? Probabilmente no. Eppure, è un nome da mandare a memoria. Perché qui, in questa piccola azienda emiliana, è stato raggiunto quello che, per ora, è un record relativo alla raccolta firme lanciata dalla Fiom tra i lavoratori delle imprese che applicano il contratto Federmeccanica. All’appello della Fiom hanno infatti risposto positivamente 70 dipendenti su 75, pari al 93,3% degli addetti. Ma che cosa hanno detto, con questo gesto, i lavoratori della fabbrica modenese? Hanno accettato, nella loro stragrande maggioranza, di apporre la propria firma in calce a un testo che, nella rigorosa e involuta secchezza di un linguaggio che sta a metà tra il politico e il giuridico, recita così: «Noi sottoscritti, lavoratori dipendenti delle aziende che applicano il Ccnl Federmeccanica-Assistal, siamo contro l’accordo separato, siglato da Federmeccanica e da Fim-Cisl e UilmUil: per questo intendiamo indire il referendum, come previsto dagli accordi unitari di Fim, Fiom, Uilm nazionali, e, insieme, rilanciamo la necessità di una legge sulla rappresentanza che vincoli la contrattazione al referendum delle lavoratrici e dei lavoratori sia per la piattaforma rivendicativa sia per la validazione conclusiva degli accordi». Come si vede, si tratta di un testo che, in sostanza, contiene un no e due sì: no all’accordo separato del 3 luglio scorso, sì al referendum che consenta ai metalmeccanici di approvarlo o di respingerlo, sì, infine, a una legge che renda ineludibile il ricorso al voto dei lavoratori su piattaforme e accordi. Con la raccolta di firme partita lunedì 16 luglio, la Fiom non chiede, insomma, alle metalmeccaniche e ai metalmeccanici un consenso più o meno generico alla propria linea contrattuale ma, innanzitutto, di prendere posizione rispetto a una questione da lungo tempo irrisolta: quella della sovranità dei lavoratori sulla contrattazione. Si tratta quindi di un’iniziativa di politica sindacale che, per avere successo, deve andare necessariamente oltre i confini dell’organizzazione, ovvero oltre i 363 mila iscritti raggiunti dalla Fiom a fine 2000. C’è lo spazio per farlo? La scommessa della Fiom è tutta qui. Con la sua iniziativa, infatti, la Fiom si propone di dar voce a quelle migliaia di lavoratori iscritti e non iscritti ai sindacati confederali, ma comunque interessati alla vita sindacale e ai risultati della contrattazione, che non hanno avuto nessuna possibilità di far pesare il proprio giudizio rispetto all’accordo siglato dalla Federmeccanica con Fim e Uilm. Ed effettivamente, già nella prima settimana della campagna promossa dalla Fiom, ovvero nei 5 gior- FIAT Cassa continua Ancora cassa integrazione alla Fiat. La casa automobilistica torinese segnala un rallentamento preoccupante del mercato europeo e annuncia un taglio alla produzione di 18.000 veicoli tra il 27 agosto e 30 settembre. In quel mese, dunque, resteranno a casa un bel numero di lavoratori, con il picco massimo della quarta settimana di settembre in cui la cassa coinvolgerà 7.200 addetti. Interessate le linee della Punto, della Marea, della 166, della Lybra e della 156. Durissimo il commento dei sindacati. Secondo Claudio Sabattini, segretario generale della Fiom Cgil, «la Fiat ha chiuso ogni canale di ordine o politico-istituzionale e gioca la sua partita con General Motors sulla base della compatibilità mondiale di quest’ultima». Insomma: si decide oltre Oceano. Al di qua dell’Oceano, però, in Italia, i lavoratori cominciano a farsi sentire. Con uno sciopero spontaneo a Pomigliano d’Arco di due giorni, fra 19 e 20 luglio. Nello stabilimento campano la situazione è particolarmente grave: il blocco della produzione dell’Alfa 156, oltre a tradursi in cassa integrazione per 2.600 dipendenti, mette a rischio il rinnovo del contratto per 660 lavoratori interinali, in scadenza proprio in questi giorni. ni lavorativi che vanno dal 16 al 20 luglio, in più di una fabbrica sono state raccolte più firme del totale degli iscritti alla federazione dei metalmeccanici Cgil. Ciò è accaduto, ad esempio, alla Gkn di Sesto Fiorentino (indotto auto, ex gruppo Fiat) dove, in pochi giorni, sono state raccolte 450 firme su 700 addetti, ovvero ben più firme delle 300 tessere della Fiom. Ma è accaduto anche in una serie di fabbriche lombarde come la Dalmine di Dalmine, mitica azienda siderurgica della provincia di Bergamo, in cui, nell’arco di due soli giorni, sono state raccolte, sugli appositi moduli predisposti dalla Fiom, ben 760 firme. E si tratta di una fabbrica (oggi del gruppo Rocca, ma un tempo delle Partecipazioni statali) in cui la Fim ha sempre contato. Lo stesso è successo all’Iveco di Mantova (veicoli industriali, gruppo Fiat), con 750 firme, alla Agusta di Vergiate (settore aereonautico, provincia di Varese), con 320 firme, o, ancora, all’Ansaldo Industria (termoelettromeccanica) di viale Sarca, a Milano, con 310 firme su 500 addetti. Che cosa c’è dietro a questi primi parzialissimi risultati? Si tratta di casi isolati o di fatti che lasciano intuire una linea di tendenza? Per dare una risposta certa a queste domande bisognerà ovviamente attendere almeno fino alla metà di settembre, quando sarà possibile fare qualche primo consuntivo sull’andamento della raccolta delle firme. Già adesso, però, si può dire che dietro lo slancio con cui è partita l’iniziativa della Fiom ci sono due fatti consistenti e robusti. Primo, l’indiscutibile successo dello sciopero nazionale del 6 luglio, indetto dalla Fiom. Secondo, il malessere diffuso già prima nelle fabbriche quando era apparso chiaro che Fim e Uilm, pur di riprendere il negoziato con Federmeccanica, erano pronte ad abbandonare la piattaforma unitaria. Un malessere, questo, ben espresso da quanto accaduto in una grande fabbrica del NordEst, qualche giorno prima del 6 luglio. Il giovane leader della Fim dello stabilimento disse a un suo collega, delegato della Fiom, che lui e gli altri delegati cislini non avrebbero scioperato, per fedeltà all’organizzazione, ma che lui lasciava agli iscritti libertà di coscienza. Questo malessere ha trovato una via di sfogo proprio con l’iniziativa della Fiom. Non si spiega altrimenti l’impeto con cui la raccolta firme è partita al Nord come al Sud: 2.900 firme raccolte in un giorno solo, lunedì 16, alla Fiat Mirafiori. Seicento firme raccolte lo stesso giorno, sempre a Torino, alla Fiat Rivalta. E poi all’Ilva di Taranto (siderurgia), dove sono già più di 1.500, o all’Alenia Marconi Systems di Fusaro (elettronica per la difesa), in provincia di Napoli, dove sono già più di 300. FERNANDO LIUZZI In un lungo articolo su Conquiste del lavoro (19 luglio) Giorgio Caprioli, prima di ragionare sulle vie possibili per una nuova unità d’azione, offre ai suoi lettori una ricostruzione piuttosto fantasiosa della vicenda del contratto dei metalmeccanici, tutta letta in chiave «congresso Cgil». Il segretario generale della Fim Cisl, dopo aver detto ovviamente che quello siglato insieme alla Uilm con Federmeccanica è in pratica il migliore dei contratti possibili (sorvolando senza eccessivi problemi su quello firmato nelle stesse ore da Fim Fiom Uilm con Confapi) sostiene che: «La richiesta della Fiom di distribuire 16.000 lire per l’andamento di settore rivela un maldestro tentativo di mediare tra le due posizioni presenti nella Cgil, in funzione di un congresso di ricomposizione tra maggioranza e minoranza (...). In nome di equilibri interni alla propria confederazione la Fiom voleva imporre a Fim e Uilm una gestione radicale e avventurista della vertenza contrattuale». A parte la ricostruzione fantasiosa (smentita dai fatti e dall’avvio del dibattito congressuale della Cgil) Caprioli dimentica un punto di non poca importanza: quelle 16.000 (o meglio 15.000) lire di andamento del settore non sono una richiesta della Fiom quanto uno dei contenuti della piattaforma unitaria, frutto di una mediazione (la Fiom era intenzionata a chiedere una cifra superiore) in cui sono state coinvolte Cgil Cisl e Uil e che è stata approvata dai lavoratori. Lasciamo stare per un momento i lavoratori (anche se per un sindacato questo dovrebbe comunque rappresentare un problema): se questo è il peso che si dà alle mediazioni – prima negarle nei fatti, poi disconoscerne addirittura l’esistenza – su quali basi sarà mai possibile l’unità d’azione? E.Ga. • Genova / In corteo con i sindacalisti • litica, e non giuridica, che ha fatto largo uso di discrezionalità. Da una parte c’erano i Black Bloc, che hanno agito per coinvolgere il corteo dei manifestanti, dall’altra la polizia che aveva l’obiettivo di strangolare il movimento davanti agli occhi di tutto il mondo. Vent’anni fa si diceva: conflitto uguale terrorismo. È una nozione infame che non abbiamo combattuto mai abbastanza, basti pensare al caso Fiat. Questa volta è proprio l’arco culturale esplicitato a Genova che fa temere che questo sia il modo in cui si pensa di affrontare il dissenso sociale anche nel prossimo futuro». Intanto, alle diciotto del 22 luglio, poco dopo la conferenza stampa finale del Gsf, il sindacato autonomo di Polizia Sap diffondeva un comunicato, firmato dal segretario Franco Maccari: «Chiediamo alla magistratura di valutare fra tutte le responsabilità, anche quelle dei portavoce del Gsf, protagonisti di una vigilia intrisa d’ambiguità e di incitamenti all’odio e alla violenza, utile premessa alla devastazione a cui si è poi assistito». Da qui all’autunno mancano solo una manciata di settimane. 5 num. 29 - 31 luglio 2001 Q uaderni rassegnasindacale LavoRi a spaccare in due il corteo dei pacifisti ingaggiando una guerriglia con le forze dell’ordine che reagiscono caricando chiunque capiti sotto tiro. Un Ducato Fiat targato Venezia apre il corteo della Fiom. Allo scoppiare dei primi incidenti, dopo un attimo d’incertezza, cambia corsia e devia in un viale, facendo da apripista al resto dei metalmeccanici, appena in tempo per scampare a lacrimogeni, spranghe e manganelli. Un gruppo di lombardi si stacca e decide di tornare sui suoi passi, per scoprire poco dopo che anche alla coda del corteo altri scontri stanno impedendo alla manifestazione di giungere a Marassi (la zona dello stadio) dove sono state svuotate le carceri per alloggiare corpi speciali di agenti a difesa dei «grandi». Il corteo dimezzato riuscirà a raggiungere piazza Galileo Ferraris, mentre altre cariche si susseguono nelle traverse laterali di corso Sardegna. Dopo le otto di sera la situazione torna pratica- bile. I manifestanti rientrano, ma la tregua dura poco. A mezzanotte carabinieri e polizia danno l’assalto ai giovani alloggiati nella scuola Pascoli. Li picchiano a sangue per un’ora e mezza sotto gli occhi dell’apparato del Gsf presente nell’adiacente scuola Diaz (prestata come sede operativa e press center ) a cui viene impedito d’intervenire. Accorrono sindacalisti, giornalisti, parlamentari. Ma sono costretti a rimanere in strada. Dopo la retata, la scuola viene lasciata a porte spalancate per invitare la stampa di tutto il mondo a entrare. Ci sono pozze e strisciate di sangue fresco sui muri lasciate dai ragazzi pestati contro i radiatori. La retata produce cinquanta arresti e sessantasei feriti. Perché tutta questa violenza, che cosa c’è dietro? Lo chiediamo a Claudio Sabattini, che ha vissuto in prima persona le fasi convulse di questa giornata interminabile. «Non vorrei – ci risponde il segretario dei metalmeccanici – che l’attacco nel cuore della notte fosse nelle intenzioni di questo governo un’anticipazione di una repressione “all’americana” di qualsiasi conflitto sociale. Abbiamo visto come le regole siano state stabilite da una struttura po- Q uaderni rassegnasindacale LavoRi da pag.1 La contrattazione del sapere n.2 ◗ La nuova società ◗ La struttura della contrattazione ◗ Politica dei redditi e questione salariale R I V I S T A T R I M E S T R A L E Nel n. 2/2001 dei «Quaderni» la contrattazione del sapere ◗ Una copia lire 20.000 (euro 10,33) ◗ Abbonamento lire 80.000 (euro 41,32) ◗ Strutture e iscritti Cgil lire 60.000 (euro 30,99) POLITICA ECONOMICA • LA CGIL CONFERMA IL GIUDIZIO NEGATIVO Un Dpef da rifare Nelle 63 cartelle del Documento di programmazione economica e finanziaria 2002-06 «previsioni poco credibili o vistosamente precarie» e insieme la realizzazione della piattaforma elettorale. Tutti i punti di dissenso «L a lettura del testo del Dpef conferma e aggrava le perplessità già emerse nel corso degli incontri che ci sono stati con il governo e mette in evidenza profondi punti di dissenso del sindacato». Il giudizio della Cgil sulla politica economica del governo Berlusconi, dopo i primi incontri con l’esecutivo, era stato tutt’altro che positivo, con l’ovvia riserva di un approfondimento sulle pagine del Dpef. Oggi, lette le 63 cartelle del Documento di programmazione economica e finanziaria per il quinquennio 2002-06, la prima impressione viene ribadita, e in peggio. Ma vediamo le obiezioni, messe nero su bianco in una nota della segreteria della confederazione. Il primo dissenso è proprio sugli andamenti programmatici dell’economia e della finanza pubblica, definiti «poco credibili e vistosamente precari». • L’andamento dell’economia. Per quanto concerne la crescita, il governo sembra mettere le mani avanti inserendo nel Dpef un capitolo sugli scenari internazionali (uno più sfavorevole rispetto al quadro programmatico, l’altro più favorevole). In particolare, tenendo anche conto della congiuntura internazionale, l’obiettivo di una crescita del Pil per il 2002 del 3,1 per cento sembra ottimistico, anche in relazione al fatto che la manovra dei «cento giorni» insiste sugli incentivi agli investimenti mentre la domanda interna resta debole. Come la Cgil aveva già sottolineato, la «Tremonti bis» introduce vantaggi fiscali prociclici e non selettivi con effetti di trasferimento indiscriminato alle imprese che non stimoleranno in modo significativo la crescita. Anche il tasso di inflazione programmato (1,7 per cento per il 2002) appare vistosamente sottodimensionato. Come è noto il 2001 si chiuderà con un tasso di inflazione pari a circa il 3 per cento (la stima del governo è del 2,8). Partendo da questo livello l’obiettivo programmatico dell’1,7 per cento sembra perciò del tutto irrealistico. «È superfluo sottolineare la gravità di questa scelta del governo – sottolineano a Corso d’Italia – che toglie credibilità alla politica dei redditi, mette in difficoltà la contrattazione e rischia di aggravare quella questione salariale già ampiamente sottovalutata dal sistema delle imprese». • La finanza pubblica. Il Dpef ribadisce il rispetto degli impegni assunti in Europa di un deficit 2001 pari allo 0,8 per cento del Pil, ma non indica le misure con cui fronteggiare il cosiddetto «buco». Anche se questo dovesse limitarsi agli scostamenti previsti nel quadro programmatico (1,9 per cento del Pil) e non dalla premessa del Dpef, che paventa rischi di deficit fino al 2,6 del Pil (una percentuale vicina al quel 3 per cento oltre il quale scattano le multe previste dal patto di stabilità) si tratterebbe pur sempre di uno sforamento di 25 mila miliardi. C’è poi da aggiungere a questa cifra la riduzione del gettito connessa ai primi effetti della Tremonti bis (il governatore della Banca d’Italia calcolò in circa 2 mila miliardi la perdita di gettito 1995 dovuta alla «prima Tremonti» che, come noto non riguardava banche, lavoratori autonomi e professionisti). «Il rinvio all’E- cofindi dicembre di qualsiasi decisione sul deficit 2001 – si fa notare in Cgil – lascia adito a molti dubbi. Il governo potrebbe infatti trovarsi, nel pieno della discussione della Finanziaria, nella necessità di approvare una manovra correttiva con tagli alla spesa sociale e nuove tasse». •La politica economica. Oltre alla manovra dei «cento giorni», che entra organicamente nella più complessiva manovra di finanza pubblica su cui sono in corso incontri tecnici con il governo, molte delle altre decisioni di politica economica indicate dal Dpef ripropongono la piattaforma elettorale della «Casa delle Libertà». Diversi capitoli contengono pure enunciazioni di principio prive di novità significative (un esempio è quello sulle politiche industriali), altri contengono invece elementi che preoccupano il sindacato. • La pressione fiscale. Per quanto riguarda l’Irpef, mentre viene ribadita con precisione la riduzione a due aliquote: 23 per cento fino a 200 milioni e33 per cento per i redditi superiori, sul trattamento dei redditi medio-bassi si resta completamente sul vago. Si introduce inoltre un principio, estraneo all’attuale ordinamento, di deduzione di reddito imponibile connesse alle imposizioni del nucleo familiare. «Que- sta misura – osservano in Cgil –, nella realtà del nostro paese finirebbe, tra l’altro, con lo scoraggiare l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e/o con l’alimentare l’economia sommersa». Per quanto riguarda l’Irap, se ne promette l’azzeramento e la sostituzione con una non meglio precisata compartecipazione delle Regioni all’Irpeg. «Si tratta di un impegno che aggrava le preoccupazioni sulla “tenuta”del Servizio sanitario nazionale». • I contributi sociali. Si promette una riduzione di un punto percentuale all’anno, ma non si specificano gli effetti di questa operazione sulle prestazioni. • La spesa corrente. Si programma il contenimento della spesa corrente dell’1 per cento di Pil all’anno, con una riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi, per i sussidi delle imprese e, soprattutto, con la riduzione dell’1 per cento annuo dell’occupazione complessiva della pubblica amministrazione che ha già subito negli scorsi anni consistenti contrazioni, nonché l’outsourcing per le attività che comportano inefficienze gestionali da parte delle pubblico amministrazione. • La sanità. Si conferma, come richiesto espressamente dal sindacato, la salvaguardia dei principi universalisti del Servizio sanitario nazionale, senza precisare però le modalità finanziarie con cui si garantiscono questi princìpi nel quadro dell’annunciata «devolution» dei modelli organizzativi alle Regioni. «Il rischio che permane nel concreto – commenta la Cgil – è dunque quello dello smantellamento di fatto delle garanzie universalistiche in campo sanitario. Resta perciò decisiva l’apertura dell’apposito tavolo triangolare governo-Regioni-sindacato chiesto da Cgil Cisl Uil». •La scuola. Si afferma che la spesa pubblica per l’istruzione oggi coincide con gli stipendi del personale, mentre le risorse disponibili dovranno essere utilizzate per l’introduzione di tecnologie multimediali e formazione del personale: «ciò sembra preludere – è il commento Cgil – a un sostanziale blocco della spesa per il personale». • Il mercato del lavoro. Si programma un maggiore spazio per gli intermediari privati eliminando il vincolo dell’oggetto sociale esclusivo. Si annuncia l’introduzione di un nuovo «contratto di soggiorno per lavoro a tempo determinato» per i lavoratori extracomunitari in patente violazione delle norme comunitarie. • Le pensioni.Il governo non ha accettato l’invito di Cgil Cisl Uil a non introdurre nel Dpef le linee di riforma e di rinviare tutto alla verifica che dovrebbe essere avviata a metà settembre. Nel Dpef si enunciano una serie di princìpi, alcuni troppo vaghi per permettere un giudizio, altri sicuramente gravi e da respingere. In particolare: a) sembra intenzione del governo introdurre nella verifica il miglioramento delle pensioni minime, con l’evidente tentativo di proporre uno scambio con tagli alle prestazioni e ai diritti pensionistici; b) si punta a ridurre il peso della copertura pensionistica pubblica, con la contestuale riduzione dei contributi previdenziali, per ridurre il costo del lavoro e sviluppare i fondi pensione. In questo quadro il Tfr non viene più visto come lo strumento di finanziamento fondamentale per la previdenza complementare. •Le politiche sociali.Nel Dpef non si fa nessun riferimento all’attuazione della legge sulla riforma dell’assistenza e al Reddito minimo di inserimento. • Il Mezzogiorno. Al di là degli impegni generici sugli investimenti pubblici, il Mezzogiorno risulta complessivamente sacrificato dalla manovra del governo. I provvedimenti dei primi «cento giorni» hanno infatti un segno chiaramente «nordista»: le piccole imprese del Mezzogiorno, infatti, generalmente non hanno utili da reinvestire. Nel Dpef non c’è poi nessun riferimento agli strumenti di programmazione negoziata, mentre si punta a non meglio specificate forme di flessibilità da concordare a livello locale. SERGIO MANCINELLI EUROPA • L’ITALIA IN RITARDO NELL’UTILIZZO DEI FONDI PER IL MEZZOGIORNO A rischio cinquemila miliardi G rande preoccupazione nella riunione di metà luglio del Comitato di sorveglianza del Quadro comunitario di sostegno dell’Obiettivo 1, quello che valuta il funzionamento dei Fondi che l’Europa mette a disposizione per lo sviluppo e l’occupazione nel nostro Mezzogiorno. La situazione è difficile, a cominciare dalla programmazione del periodo 1994-99. A marzo 2001 la percentuale dei pagamenti sulle risorse europee a disposizione (60 mila miliardi) era dell’80,7%, mentre il sentiero di rientro stabilito dal governo Ciampi (che ereditava dal primo governo Berlusconi una situazione disastrosa) indicava la percentuale dell’85%. Le situazioni più critiche sono date da Sicilia e Puglia, e, a livello nazionale, dai programmi relativi ad agricoltura, ambiente, infrastrutture stradali e aereoportuali, risorse idriche, lotta contro la criminalità e contro l’emergenza occupazione (!). Ipotizzando al 31 dicem- bre 2001, data ultima per i pagamenti, un trend di spesa a questa velocità, l’Italia potrebbe perdere un’8 per cento delle risorse assegnate. Si tratta di circa 5.000 miliardi, una cifra enorme se si pensa alle esigenze del Sud e al nulla contenuto nel Dpef del governo Berlusconi. Ai gravi problemi del passato si aggiunge lo stato d’attuazione dei programmi 2000-06. Nonostante i cambiamenti positivi introdotti dalla passata legislatura (dalla nuova programmazione alle modifiche nella macchina istituzionale), e nonostante l’impegno del partenariato economico e sociale, si sono di nuovo accumulati ritardi. Italia e Portogallo sono partiti nello stesso periodo: noi siamo all’1 per cento della spesa, i portoghesi al 28. Oltre gli obiettivi prefissati di spesa è solo la Basilicata che così si candida alle risorse aggiuntive del Fondo di premialità; forte è l’impegno di Campania e Sicilia; buona la spesa del Pon Scuola. Per il resto, con i motivi più diversi, nessuno dà garanzie di non incappare a giugno 2002 nella perdita automatica delle risorse, che scatta dopo 18 mesi dall’inizio dei programmi. La spiegazione di fondo di tutto ciò è politica: la programmazione come metodo, l’Europa come priorità non sono ancora modo ordinario e quotidiano nell’operato di istituzioni e organizzazioni economiche e sociali, che in larga misura continuano a pensare che gli spiriti animali del mercato facciano tutto (ovviamente eccitati dal «Viagra» delle sovvenzioni pubbliche) e che alle scelte disgraziate sopperisca lo «stellone» d’Italia. Ne sta dando un’ennesima dimostrazione il ministro Tremonti, che ha chiesto di dirottare le risorse non spese dei Fondi europei sul credito d’imposta alle imprese. La Commissione europea ha risposto negativamente sia per la genericità dello strumento, che non garantisce risultati positi- 5 num. 29 - 31 luglio 2001 vi per il rafforzamento dell’apparato produttivo e la creazione di nuovi posti di lavoro nel Sud, sia per l’impossibilità, essendo la detrazione automatica, di determinare la quantità di risorse necessarie. I rappresentanti della Commissione europea hanno dato un giudizio assai preoccupato sulla situazione italiana e non sono bastate le spiegazioni date da amministrazioni centrali e Regioni a rassicurarli: la rondine del buon governo della Basilicata non ha fatto per niente primavera. Asettembre si convocherà un Comitato di Sorveglianza straordinario. Al sindacato toccherà riprendere con forza l’iniziativa su questo terreno denunciando le responsabilità a livello centrale e regionale e chiamando la società meridionale ad una diffusa mobilitazione, pena togliere credibilità ad ogni sforzo per lo sviluppo del nostro Sud. MARIO SAI Coordinatore dipartimento Coesione Cgil SPAZIO APERTO TELELAVORO • L’ACCORDO CONFAPI-CGIL CISL UIL Il congresso Cgil su due documenti oggi è un errore strategico Così fanno i «piccoli» F inora nel nostro paese il telelavoro era stato regolato – per via negoziale – a livello di aziende(esempi classici: Seat, Dun & Bradstreet, Digital, Telecom Italia…), oppure di settore (telecomunicazioni, commercio, banche), o anche, in ununico caso, a livello territoriale (Confapi e Cgil Cisl e Uil di Modena). C’era anche stato, nel triennio ’96-99, una lunga e affannosa vicenda parlamentare disseminata da varie forze politiche con ben sei proposte di regolazione e promozione del lavoro a distanza: quattro al Senato e due alla Camera. Unificando le prime, la commissione Lavoro del Senato riuscì ad approvare e passare all’aula nel giugno ’99 un testo che non fu, però, mai approvato. D’altra parte, nel corso delle audizioni ufficiali il parere dei dirigenti sindacali, sia confederali che di categoria, era stato di forte perplessità circa l’idoneità della regolazione per legge di un fenomeno in continua modificazione. Appare doverosa questa premessa per capire la rilevanza dell’accordo nazionale che Confapi e Cgil Cisl Uil hanno sottoscritto il 17 luglio per regolare l’introduzione del telelavoro nelle piccole e medie aziende. La sua stipula significa che non occorre scomodare il legislatore in quanto lo strumento negoziale è in grado di farsi carico della stragrande maggioranza delle problematiche che, dalla metà degli anni 90 in qua, aziende esindacati si sono trovati ad affrontare nelle trattative aziendali o settoriali. C’è, però, anche un altro motivo di soddisfazione: questo accordo, infatti, potrà contribuire a sbloccare l’impasse in cui da mesi si trova il confronto a Bruxelles tra Unice e Ces per la messa a punto di un accordo quadro europeo sul telelavoro, in analogia con gli accordi su altre flessibilità: congedi parentali, part-time, contratti a tempo determinato. Il motivo di dissenso fra le parti riguarda la natura, vincolante o meno, che quest’accordo avrebbe nei confronti dei singoli ordinamenti nazionali. In effetti, l’accordo del 17 luglio – che riguarda sia la trasformazione dei rapporti di lavoro già in atto che le nuove assunzio- ni – contempla tutti i punti su cui la Commissione Ue ha richiamato l’attenzione delle parti nel marzo scorso: volontarietà e reversibilità; mantenimento dello status di lavoratore subordinato; parità di trattamento con gli altri lavoratori, anche sul piano formativo; mantenimento dei diritti sindacali e d’informazione; costi d’installazione a carico dell’azienda; tutela di salute e sicurezza; orario di lavoro; riservatezza e controlli; mantenimento dei contatti con l’azienda. Buona parte di queste materie sono trattate solo in maniera generale. Ad esempio, proprio perché l’accordo abbia natura di griglia a maglie larghe, si rinvia ai contratti collettivi di settore la definizione delle «particolari situazioni e tipologie» per le quali attivare modalità di lavoro a distanza diverse da quelle, per così dire, «classiche»: esigenzefamiliari, riduzioni del pendolarismo, presenza di disabilità. Interessante anche la previsione che, prima del recepimento nella contrattazione disettore, territorialmente si possano avviare sperimentazioni intersettoriali. L’esigenza che il diverso uso del tempo (oltre che dello spazio) si risolva in un vantaggio anche per il lavoratore è salvaguardata dalla possibilità che l’orario di lavoro (a tempo pieno o parziale) venga «distribuito in base a quanto previsto dal ccnl edalle disposizioni generali dell’azienda o, in quest’ambito, con quanto eventualmente convenuto con il singolo telelavoratore interessato». Il carattere sperimentale dell’accordo fino al 31 dicembre 2003, con strumenti di monitoraggio e correzione in corso d’opera, dovrebbe offrire buone garanzie contro il rischio di obsolescenza rispetto a un fenomeno complesso e mutevole sul piano tecnologico, organizzativo e dell’impatto sociale. Sicuramente originale anche sul piano delle esperienze europee, l’accordo avrà presumibilmente la sua parte di rilevanza a «Telework 2001», classico convegno europeo in programma a Helsinki dal 12 al 14 settembre. RENATO RIZZO Coordinatore di Euro-Telework SETTORE PESCA • CALA L’OCCUPAZIONE Una categoria a rischio d’estinzione «C erchiamo di essere realistici: perché un giovane, oggi, dovrebbe scegliere di lavorare a bordo di un peschereccio, guadagnando, in condizioni ottimali, salari che sono inferiori a quelli di lavori che potrebbe fare sulla terra ferma con minore orario di lavoro, condizioni meno disagiate e oneri contributivi e previdenziali digran lunga più rassicuranti?». Se nel settore della pesca l’occupazione cala, per Antonio Cogoni, segretario della Flai nazionale, la spiegazione è molto semplice: «I giovani – osserva asciutto – non sono più interessati a questo tipo di lavoro». Occorrerebbe, allora, «rendere più allettante la vita a bordo delle navi». Di questo dovrebbero cominciare a preoccuparsi gli armatori, attualmente però più intenti a contestare i contenuti del Libro Verde, sulla gestione della pesca comunitaria, adottato dalla Commissione europea con l’obiettivo di ridurre lo sforzo di pesca nelle acque comunitarie e di tagliare perciò gli aiuti a sostegno del potenziamento della flotta. Per i primi di ottobre, ricorda Cogoni, è prevista la riunione della Commissione europea che dovrà decidere sull’approvazione del Libro Verde. L’attuale governo, come fa notare il sindacalista, «ha già assunto una serie di impegni verso le associazioni professionali, sia cooperative che confindustriali», per tutelarne gli interessi in sede europea. Si riconferma, dunque, una tendenza sbagliata, secondo il segretario: continuare a ragionare solo dalla parte dell’impresa, dimenticandosi il pezzo fondamentale che riguarda le condizioni occupazionali del settore. Le imprese ittiche, poco meno di 17mila in Italia, per un totale di circa 36mila addetti, agitano il pericolo di un calo occupazionale derivante dal taglio dei fondi comunitari; ma è solo un modo per mascherare o per non riconoscere appieno i veri motivi di una riduzione netta di posti lavoro che nel settore, spiega Cogoni, nell’ultimo decennio, è stata del 18%, pari a circa 10mila unità. «Nella pesca – rileva – non esiste disoccupazione, nonostante le forti percentuali di disoccupati pre- senti nei territori a vocazione peschereccia; nonostante i tagli dettati dalla vertenza spadare o dalla riduzione delle vongolare e nonostante, data le nuove tecnologie, ci sia stata una diminuzione delle tabelle di armamento». Se i pescatori in Italia rischiano di diventare «una categoria in estinzione», ciò non è certo imputabile a un paventato taglio dei finanziamenti, anche perché, tiene a sottolineare Cogoni, le misure a favore della pesca – eccetto il fermo biologico – «raramente hanno interessato i lavoratori». Le imprese continuano a mantenere «i loro vizi antichi» e hanno una scarsa capacità di innovazione. Per sopperire alla necessità di nuova manodopera si rivolgono a lavoratori extracomunitari. Prima di pensare, quindi, alla dieta imposta dal Libro Verde, il governo dovrebbe sedersi a un tavolo con imprese e sindacati per ragionare sul problema occupazionale, ormai «urgente e improcrastinabile», ammonisce Cogoni; è «il punto da cui partire per rilanciare il settore». «Abbiamo già chiesto un confronto sulle condizioni dei lavoratori della pesca, a cominciare dalla possibilità di fruire di ammortizzatori sociali». È vero che il settore oggi può contare su alcune misure a sostegno delle imprese del comparto, come il fermo biologico (circa 40miliardi stanziati nel Dpef del governo Amato) ma, ribadisce il segretario, «se ci fosse la cig non sarebbe necessario stanziare ulteriori fondi». «Perché i lavoratori forestali godono del beneficio della cig anche quando, per condizioni meteorologiche avverse, non sono in grado di lavorare, mentre la stessa tutela non esiste per i lavoratori della pesca?». Per questi lavoratori non ci sono, allo stato, misure sociali e le imprese che hanno chiesto di poter fruire dell’apprendistato e dei contratti di formazione lavoro pensano essenzialmente ai vantaggi che possono trarre da questi tipi di contratti, ma non hanno ancora seriamente provato a elaborare una strategia che induca i giovani a ricominciare ad avvicinarsi a questo mestiere. GRAZIA MANTELLA di Umberto Franchi - Segretario generale Fiom Lucca nautunno si aprirà la stagione dei congressi, dei democratici di sinistra e della Cgil. Ciò Iavverrà in una situazione che potrebbe rivelarsi duramente negativa, per i lavoratori dipendenti e i ceti più deboli, in quanto il governo di destra intende governare in un connubio stretto con Confindustria, cercando di attuare un programma che, da una parte, prevede spostamenti di risorse economiche sotto forma di riduzione delle tasse alle imprese e dall’altra riduzione dei diritti, salari e dello Stato sociale, ai lavoratori e cittadini più deboli, attraverso il taglio della spesa pubblica. Ora per chi si colloca a sinistra con particolare riferimento ai Ds e alla Cgil, diventa innanzitutto essenziale andare al congresso con un’analisi chiara sui motivi della sconfitta elettorale, per procedere successivamente a ridefinire una strategia adeguata e i nuovi gruppi dirigenti. Queste le cause della sconfitta: • una sinistra che a differenza della destra si è presentata divisa all’appuntamento elettorale; • la mancanza della legge sul conflitto di interessi ; • una campagna elettorale che ha seguito Berlusconi sul suo terreno dell’immagine e non della proposta; • una mancata capacità della sinistra di governo a valorizzare e socializzare le pur rilevanti scelte economiche e sociali dell’ultima Finanziaria (riduzione ticket, tasse, casa, migliore sanità, scuola eccetera); •la convinzione esistente in diversi strati popolari che il risanamento dello Stato e l’ingresso in Europa sia avvenuto a danno dei ceti più deboli. Il governo di centrosinistra aveva creato tante aspettative tra i lavoratori: alla prova dei fatti è riuscito a dare risposte importanti in direzione del risanamento e della moneta unicaeuropea, ma non ha manifestato un impegno sufficiente sulle questioni sociali: nel nostro paese ci sono ancora ingiustizie storiche che riguardano la precarizzazione del lavoro, l’ambiente, lo Stato sociale e i servizi, la qualità del lavoro, la quantità dei salari, soprattutto per i lavoratori delle piccole aziende che non fanno contrattazione aziendale. L’avvento delle destre al governo dell’Italia non dipende quindi dal «destino cinico e baro», ma dal fatto che non siamo stati egemoni culturalmente su un preciso progetto di società, di civiltà, con un modello di sviluppo centrato sulla dignità sociale del mondo del lavoro. La sinistra di governo, anziché cercare d’indirizzare lo sviluppo abolendo le storture, ha sposato la bandiera delle modernità. È l’appannamento dell’identità e dei valori della sinistra di governo che ha prodotto una mancanza di visibilità delle differenze tra destra, centro e sinistra. l programma di governo di Berlusconi si caratterizza oggi sulla centralità del profitto Iel’assoluta libertà dell’impresa, nell’ambito della quale tocca alla forza lavoro adattarsi alle sue condizioni. La via che il Polo e Confindustria perseguono, attraverso una poderosa campagna ideologica già in atto, è quella di ridurre i diritti dei lavoratori, con l’abolizione di «lacci e laccioli», cioè di regole certe, con l’abolizione dei poteri di intervento delle rappresentanze sindacali sulle scelte che riguardano lo sviluppo e le sue ricadute. Il modello sociale americano viene presentato come lo sbocco obbligato, auspicato e inevitabile. Un sindacato come la Cgil, che difende lo Stato sociale e i diritti basilari, a partire da quello del lavoro a tempo indeterminato,viene bollato come conservatore e va sconfitto. Nel concreto ciò che chiamano riforme significherà: rimessa in discussione dell’accordo sulla politica dei redditi del 1993 con i due livelli di contrattazione (nazionale e aziendale); riduzione a «pioggia» delle tasse alle imprese senza legarla invece finalità occupazionali; un abbattimento dello Stato sociale a partire da pensioni, sanità e scuola; «libertà di licenziare» senza giusta causa; più 6 num. 29 - 31 luglio 2001 precariato, peggioramento dei servizi pubblici. Queste scelte, se veramente attuate dal futuro governo, saranno inaccettabili per tre ragioni fondamentali. La prima è che esse metterebbero in discussione i diritti del lavoro e di civiltà fondamentali, conquistati in Europa all’inizio del secolo. La seconda è che queste scelte porterebbero a uno sviluppo distorto, con più inquinamento, con più morti sul lavoro, più ammalati, più delinquenza mafiosa. La terza ragione riguarda il fatto che è illusoria la competitività basata sulla riduzione del costo del lavoro: i datori di lavoro potrebbero competere con la Corea o l’Albania, ma non potranno competere con le economie occidentali più forti, impoverendo così la qualità dei prodotti delle loro imprese con una prospettiva di indebolimento di tutta l’economia italiana. In questo contesto l’intesa separata sul contratto dei metalmeccanici, oltre a essere un grave atto sul piano delle relazioni sindacali, colpisce il ruolo del ccnl in materia di tutela salariale e redistribuzione della ricchezza. e le cose stanno davvero così, allora bisogna definire una giusta strategia senza più Scommettere errori. C’è un primo e basilare errore che va evitato. Ed è quello di chi sostiene: «Gli italiani hanno votato Berlusconi, ora bisogna metterlo alla prova sulle promesse che ha fatto, con un’opposizione che lo incalzi ma lo faccia governare». Questa posizione appare neutra, ma in realtà è pericolosa perché ogni ritardo nell’agire finirebbe per subordinare le forze di sinistra e il sindacato a un governo che invece agirebbe con atti precisi e scelte classiste antisociali che finirebbero per rovinare i lavoratori e l’Italia. Quanto sta accadendo non può lasciare indifferente la Cgil, non soltanto perché è inaccettabile una prospettiva di sistema economico fondato sulla rimessa in discussione dei diritti e delle conquiste sociali dei lavoratori che hanno segnato la nostra società da almeno trent’anni, ma anche perché verrebbe rimesso in discussione il ruolo del sindacato fondato sul confronto e la contrattazione come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi. In questa nuova situazione il Congresso della Cgil avrebbe dovuto stabilire una strategia unitaria di tutta la Cgil, divenendo una diga sicura contro il programma prospettato dal fronte del padronato e del governo. È necessario infatti ridefinire un progetto rivendicativo di tutto il sindacato nei confronti del governo e del padronato non solo per difendere il welfare, ma anche per allargare le tutele e i diritti dei più deboli; per definire regole più rigide sul mercato del lavoro; per chiedere ai datori di lavoro di fare il loro mestiere, investendo sull’innovazione tecnologica e di prodotto, sulla prevenzione , sulla sicurezza, sulla formazione; per rilanciare una stagione di contrattazione sull’organizzazione del lavoro, sulla riduzione degli orari, sugli incrementi salariali. Per questo sarebbe stato indispensabile svolgere il congresso della Cgil con un documento unitario, anche con tesi alternative su alcuni punti, su cui far pronunciare i lavoratori. Hanno quindi sbagliato i compagni che hanno mantenuto il proprio documento «Cambiare rotta» per cui le assemblee congressuali si svolgeranno su due documenti alternativi, con due Cgil che si confrontano. ome non capire che oggi è necessaria l’unità di tutta la Cgil? Il primo compito di chi C ha responsabilità direzionali nella Cgil, ai vari livelli, non è quello di stabilire il «che fare» in base alle convenienze, individuali o di gruppo, che potrebbero aprirsi al Congresso presentando e raccogliendo consensi su un proprio documento. La questione che oggi è in gioco è troppo grande per pensare a interessi di piccolo potere. IL CASO CARTAI E CARTOTECNICI • IL NUOVO CONTRATTO La flessibilità contro il lavoro straordinario La scommessa è quella di utilizzare questo strumento per il controllo dell’orario contrattuale e attenuare il ricorso alla cassa integrazione. Aumenti in linea con l’accordo di luglio A meno di un mese dalla scadenza, e dopo sessanta giorni di trattative, cartai e cartotecnici hanno il nuovo contratto di lavoro. Siglata il 13 luglio, stretta tra l’attesa del nuovo tasso d’inflazione programmata consegnato al Dpef e l’accordo separato dei meccanici, l’intesa conferma le regole del protocollo di luglio e detta nuove norme in materia di diritti, orari, sicurezza sul lavoro e inquadramento professionale. «Il contratto che abbiamo firmato – spiega soddisfatto Salvatore Barone, segretario nazionale Slc Cgil e capodelegazione alla trattativa – è un contratto “pulito” e chiaro. Recupera il differenziale in percentuale sull’inflazione pregressa e agisce su quella del prossimo biennio tenendo conto delle tendenze in atto». La retribuzione. Tradotto in cifre, fa un aumento medio a regime di 123.000 lire lorde, erogate in due tranche: 60.000 lire dal primo luglio 2001 e altre 63.000 dal primo ottobre 2002. Ritradotto in percentuali, significa un incremento complessivo del 5,34 per cento, di cui 3,60 acoprire l’inflazione programmata 2001-02. Ma il capitolo retributivo prevede anche altri miglioramenti: a decorrere dal primo luglio 2002, l’indennità in cifra fissa per i lavoratori a ciclo continuo del cartario passa da 18 a 30.000 lire mensili; un’indennità di 10.000 lire mensili verrà poi per la prima volta corrisposta, a partire dalla stessa data, per gli addetti su tre turni del comparto cartotecnico. La flessibilità. L’accordo (che interessa 90.000 addetti, 25.000 cartai, il resto cartotecnici) pre- cisa poi le norme in materia di flessibilità che, è una delle scommesse dei sindacati, dovrà contribuire al contenimento del ricorso al lavoro straordinario e alla cassa integrazione. Resta fermo il principio che alla comunicazione da parte dell’azienda del bisogno di una diversa modulazione dell’orario di lavoro segua il confronto con le rsu e le organizzazioni sindacali territoriali. «In tema di flessibilità, da parte dei lavoratori c’è ancora una certa difficoltà d’approccio – commenta il sindacalista – . Vanno, invece, colteanche tutte le opportunità che questa offre: le norme contrattuali, dunque, consegnano alla contrattazione un impegno significativo di gestione e controllo della materia». Eccole, nello specifico, le «regole» della flessibilità: il preavviso non potrà essere inferiore ai cinque giorni, entro i quali vanno definite le modalità attuative del regime orario; il riequilibrio tra prestazioni superiori e inferiori dovrà avvenire previa comunicazionealla rsu entro sei mesi dal periodo di ogni ricorso all’orario flessibile. La maggiorazione retributiva delle ore di «supero», inoltre, passa dal 10 al 30 per cento (con equiparazione allo straordinario); in orario notturno arriva al 40 per cento. Quanto al ricorso al lavoro straordinario, il contratto ne precisa le causali in riferimento alle «esigenze indifferibili di durata temporanea» già previste nel vecchio ccnl. Fissato anche un limite orario: l’azienda non potrà chiedere più più di complessive 40 ore di straordinario pro capite. Paletti qualitativi e quantitativi, dunque, con l’obiettivo di un controllo più efficace degli orari. Non solo: chi lo vorrà, potrà chiedere il recupero con riposo compensativo del 30 per cento delle ore di lavoro straordinario prestate. Per i sindacati si tratta di una novità importante: è l’inizio, infatti, di un percorso che dovrebbe portare verso l’istutzione della banca delle ore. Sicurezza e diritti. La sicurezza è un tema che attraversa diversi capitoli del contratto. «So- prattutto il cartario – dice Barone – è un settore a forte rischio infortunistico. Con questa intesa abbiamo raggiunto due risultati significativi: la progettazione congiunta di moduli formativi da mettere a disposizioned’imprese e lavoratori e il miglioramento dell’accordo confederale in materia di rls, che nel- COSI’ LE BUSTE PAGA LE DUE TRANCHE DI AUMENTI LIVELLI Q AS A B1 B2 Par. 161 C1 C2 C3 D1 D2 E ALL’1-10-2002 Aumenti Minimi ALL’1-7-2001 Aumenti Minimi +98.100 +97.800 +83.200 +72.300 +68.300 +63.300 +60.000 +54.600 +48.100 +47.500 +43.600 +39.200 2.047.500 2.039.300 1.736.300 1.507.000 1.425.100 1.318.600 1.253.000 1.138.400 1.056.500 991.000 909.100 819.000 +102.800 +102.300 +87.100 +75.600 +71.500 +66.200 +63.000 +57.100 +53.000 +49.700 +45.600 +41.100 2.150.300 2.141.600 1.823.400 1.582.600 1.496.600 1.384.800 1.316.000 1.195.500 1.109.500 1.040.700 954.700 860.100 COMUNICAZIONE • ARTIGIANI E PICCOLE E MEDIE IMPRESE Verso i contratti di settore D a due contratti a uno soltanto: con la firma del 18 luglio, è stato compiuto un altro piccolo passo verso l’unificazione contrattuale nel settore della comunicazione. I 30 mila dipendenti delle piccole e medie imprese aderenti a Confapi avranno un solo accordo di lavoro che sarà applicato a tutti gli addetti della filiera produttiva: cartai, cartotecnici, grafici editoriali. Non solo. «Con questa operazione – commenta Emiliano Baretella, responsabile piccola e media impresa e artigianato della Slc Cgil – abbiamo allargato la sfera contrattuale a tutta l’area del multimediale, del digitale e della grafica pubblicitaria, fino ad avere un primo, vero, contratto unico di settore, che va dalla fabbricazione della carta alle tecnologie informatiche della comunicazione». L’aumento retributivo sarà di 120.000 lire mensili medie, 50.000 dal luglio 2001, 30 mila da aprile 2002 e altre 40.000 da ottobre 2002. A copertura del periodo compreso tra gennaio e giugno di quest’anno ci sarà una una tantum di 275.000 lire. L’applicazione del contratto nazionale, che decorre dal primo gennaio del 2001 e scadrà il 31 dicembre del 2004, per i nuovi settori (multimediale e informatica) partirà dal primo gennaio del 2002; nel frattempo le parti troveranno le soluzioni più adeguate per risolvere le questioni non sempre facili dell’armonizzazione. Già da ora si sa, comunque, che ai «nuovi arrivati» per i livelli retributivi sarà applicata la scala parametrale più alta, quella dei grafici, e scatterà da subito la possibilità di aderire la fondo previdenziale integrativo Fondapi. Il giudizio di Cgil, Cisl e Uil è estremamente positivo: «L’intesa – dicono i sindacati – è stata infatti raggiunta nell’ambito delle regole del protocollo di luglio». Il compito più complesso sarà sicuramente quello in materia di classificazione: andrà infatti definita, aggiunge Baretella, una scala professionale più aderente alle innovazioni in un settore in continua mutazione. Il nuovo contratto (rispetto al quale proprio in questi giorni stanno partendo le consultazioni tra i lavoratori) amplia il diritto all’informazione, norma il telelavoro e il lavoro ripartito (il cosiddetto job sharing), rafforza le regole sul part-time e quelle sui congedi parentali e per la formazione. Cambiamenti anche in materia d’orario settimanale, che scende da 40 a 38 ore e mezzo. «All’inizio di ogni anno – spiega ancora il sindacalista – le parti definiranno i calendari. Sarà anche introdotta la banca delle ore». In attesa del lavoro sulla classificazione af- 7 num. 29 - 31 luglio 2001 le aziende da 150 a 200 dipendenti saliranno da uno a due». Importanti anche le nuove tutele previste per appalti e lavori esterni: nelle aziende con più di 50 dipendenti le attività di manutenzione per la salvaguardia ela sicurezza degli impianti sarà assicurata dai dipendenti dell’azienda madre. Quanto ai diritti, l’accordo dà particolare rilievo agli impegni in materia di formazione (resi ineludibili dalle traformazioni cui è esposto il settore), con particolare riferimento all’apprendistato, alla valutazione dei fabbisogni formativi e ai congedi per la formazione continua. Sul fronte dei diritti inviduali, sono in arrivo miglioramenti sul part-time, la cui norma è stata ampiamente riformulata. Le ore di lavoro supplementare oltre il limite fissato per il mezzo tempo (e non più del 20 per cento dell’orario normale annuo concordato) saranno retribuite con una maggiorazione del 20 per cento; in caso di variazione, da parte aziendale, della loro collocazione temporale (che dovrà comunque essere preannunciata con un preavviso adi almeno 10 giorni), i lavoratori godranno di una maggiorazione salariale del 10 per cento. Le aziende s’impegnano poi a prestare particolare attenzione alle richieste di part-time motivate da ragioni di salute, assistenza e formazione. Potenziati, infine, i compiti dell’osservatorio nazionale. Tra gli argomenti che saranno esaminati dall’organo paritetico verranno inseriti i processi di terziarizzazione e outsourcing, il potenziamento della raccolta differenziata della carta e, soprattutto, l’andamento dei trend infortunistici. STEFANO IUCCI Emersione concertata non condoni tombali Un settore in chiaroscuro. Nel cartario/cartotecnico convivono la modernità di investimenti innovativi di grande respiro e dimensione (l’ultimo del gruppo Burgo, che ha speso mille miliardi nello stabilimento di Verzuolo, a Cuneo) con la condizione più antica dei lavori più antichi: la diffusione di un’occupazione al nero o, comunque, irregolare. Un fenomeno difficile da quantificare anche se, soprattutto nella cartotecnica, cominciano ad arrivare segnali preoccupanti dal Mezzogiorno. E che contrastano, ancora una volta, con la realtà di un comparto ricco e in salute, nonostante un rallentamento nell’ultimo semestre dell’anno. Proprio per questo, il nuovo contratto di lavoro inserisce per la prima volta norme che dovrebbero servire a costruire una strumentazione adeguata per favorire l’emersione. Norme condivise da quelle aziende che hanno tutto da guadagnare da una competizione giocata sulla qualità e non sulla compressione dei costi. Per agevolare la regolarizzazioni dei rapporti di lavoro, le parti puntano a realizzare accordi territoriali di emersione e riallineamento economico e normativo. Questi accordi, sono sottoposti a tre condizioni vincolanti: dovranno avere il consenso delle organizzazioni nazionali stipulanti, diventare operativi solo a seguito di intese aziendali di recepimento, avvenire in tempi certi e concludersi con la piena applicazione del contratto nazionale. Con questi passaggi si evita il rischio di contratti pirata e si crea l’opportunità per i sindacati di entrare in contatto e realizzare consenso con i lavoratori in emersione. Il percorso prevede dunque la presenza e la concertazione costante delle parti. Giusto il contrario del condono tombale che lascia presagire il programma dei Cento giorni del governo Berlusconi. fidato all’osservatorio e alle varie commissioni, nell’immediato sono stati inseriti nel contratto i nuovi profili professionali relativi al multimediale e ai call center, mentre è stato stabilito sin da ora che le linee guide delle nuove riclassificazioni, di livello nazionale e aziendale, si baseranno sul concetto di polifunzionalità delle mansioni nelle diverse aree. Mentre le piccole e medie imprese hanno il loro contratto, novità sono in arrivo anche dal comparto artigiano della comunicazione. Il contratto è scaduto il 30 giugno e Cgil, Cisl e Uil hanno da poco varato una piattaforma rivendicativa unitaria. Un settore complesso, quello dell’artigianato, vista la volontà di alcune delle controparti (soprattutto Confartigianato) di mettere in discussione il modello contrattuale vigente. La piattaforma verrà inviata nei prossimi giorni; nel frattempo Cgil, Cisl e Uil hanno già chiesto di riallineare i salari per il 2000. Sugli aumenti richiesti, ancora non si fanno cifre ma si chiede il rispetto dell’attuale struttura contrattuale. Anche questo accordo riguarda tutta la filiera produttiva del comparto della comunicazione: studi fotografici, fotolaboratori, legatorie, copisterie, S.I. lavorazioni artigianali della carta. FABBRICA INTEGRATA • DUE CASI A CONFRONTO IN UN LIBRO Per la qualità totale va bene anche un prato rosso L’affermazione della lean production non è possibile solo in contesti nei quali, come alla Sata di Melfi, si partiva da zero e il sindacato non c’era. Lo dimostra, secondo il sociologo Negrelli, l’esperienza Om-Iveco a Brescia I l punto è: che c’entra Gramsci con il toyotismo? Eppure un nesso c’è. Quando nei Quaderni del carcere afferma che «le maestranze italiane, né come singoli né come sindacati, si sono mai opposte alle innovazioni tendenti a una diminuzione dei costi, alla razionalizzazione del lavoro, all’introduzione di automatismi più perfetti», sembra quasi introdurre lalean production(produzione snella), l’inevitabile approdo dell’industria contemporanea. Quella che la letteratura chiama Fabbrica Integrata, mutuata dalle esperienze del settore auto giapponese, in particolare della Toyota. Un modello inaugurato in Europa dalla Fiat con lo stabilimento Sata di Melfi, e negli anni più recenti approdato anche in impianti tradizionali come l’Iveco di Brescia. Partendo da questo nesso Serafino Negrelli, professore associato di Relazioni industriali all’università bresciana, ha svolto un confronto – pubblicato dalla Rubbettino nel volume Prato verde, prato rosso–sulla realizzazione della fabbrica integrata nei due stabilimenti Sata e Iveco. Indagando soprattutto il rapporto con i sindacati e la loro adesione al «modello partecipativo», elemento essenziale per la riuscita della Qualità totale. E allora: cosa c’entra Gramsci? «La lean production–spiega Negrelli – poggia su due pilastri. Il just in time, ossia l’eliminazione dei magazzini e l’utilizzazione dei materiali solo nelle quantità necessarie alla realizzazione dei prodotti, e l’autoattivazione dei dipendenti, il loro for- te coinvolgimento. Nel modello taylorista il lavoratore era un semplice esecutore mentre oggi, e qui sta il richiamo a Gramsci, si riprende il rapporto positivo tra uomo e tecnologia. Senza l’intervento umano non vi è alcuna produzione: una verità che smaschera anche l’utopia della fabbrica senza lavoratore, praticata dalla Fiat negli anni ottanta con l’impianto ad alta automazione di Termoli». Conclusa, quindi, la «sbornia ipertecnologica», nei primi anni novanta la Fiat approda al toyotismo, costruendo a Melfi laprima fabbrica integrata d’Europa. A spingerla sono le cospicue agevolazioni finanziarie e fiscali, ma anche la volontà di creare un «laboratorio» dove sperimentare senza vincoli e rigidità il nuovo modello di organizzazione del lavoro e della produzione. Il contesto è green field (prato verde), cioè privo di cultura industriale e sindacale. Nell’area abbonda forza lavoro giovane, mediamente scolarizzata, che l’assenza di questa cultura rende più flessibile e malleabile. La costruzione ex novo dello stabilimento permette una divisione degli spazi tale da ottimizzare i rapporti tra le unità operative, dando vita al «flusso teso», cioè il processo sequenziale continuo a zero scorte, ottenuto anche mediante l’insediamento nel complesso industriale dei fornitori più importanti. «Il confronto con Brescia – aggiunge Negrelli – è immediato: lo stabilimento lombardo è ancora quello della Om, con i vecchi reparti e i magazzini ingombri di carrelli e semilavorati. La lean production continuo» (con premi per quelle accettate) e le riunioni di team. Di questo modello, le organizzazioni sindacali sono parte essenziale. La partecipazione si realizza attraverso sia le commissioni congiunte (composte da responsabili aziendali e della Rsu) in cui si trattano gran parte delle questioni relative alla vita in fabbrica, sia una continua attività di consultazione e informazione. Un capitolo nuovo – soprattutto per la Fiat che nella sua storia ha spesso interpretato le relazioni industriali in chiave unilaterale – che negli anni ha premiato maggiormente, in termini di iscritti, le organizzazioni più partecipative (Fismic, Fim e Uilm) e penalizzato la Fiom, la cui maggiore conflittualità scoraggerebbe l’adesione dei lavoratori. «All’inizio – riprende Negrelli – deve letteralmente aggirare le presse, frantumandosi in più punti. Una situazione comunque in via di superamento, anche perché si va verso la fabbrica modulare, dove l’impresa affida a terzi la maggior partedelle lavorazioni mantenendo soltanto il core business, il montaggio finale non più dei singoli componenti ma dei moduli complessi consegnati dai produttori». Nella Fabbrica Integrata al lavoratore, che opera all’interno di un team, non viene più chiesto soltanto di eseguire in modo ripetitivo un’unica operazione, ma di fare il controllo di qualità e la manutenzione preventiva, di apprendere più mansioni attraverso un meccanismo di rotazione programmata, di contribuire alla crescita dell’azienda mediante le «Proposte di miglioramento l’esperimento della Sata è parso riuscito, ma ora stanno affiorando problemi. Emergono nuove e più strategiche forme di resistenza operaia: se lo sciopero è ormai considerato un retaggio del passato, da utilizzare come evento straordinario, si affermano invece l’assenteismo, i sabotaggi della turnazione, la non partecipazione alle attività di miglioramento. Una disaffezione che dà vita a proteste individuali e passive, strettamente legate alla natura stessa della produzione snella». Daquanto detto, potrebbe sembrare che l’affermazione della lean productionèpossibile soltanto in contesti dove il sindacato non c’è, oppure è a vocazione moderata. Un’interpretazione sostenuta da molti, che nel volume trova però una puntuale smentita. La tesi di Negrelli èche la svolta verso la qualità totale funziona anche in ambienti red field (prato rosso), ovvero di più difficile modificabilità. L’Iveco dimostra, infatti, la possibilità di realizzare importanti innovazioni in un insediamento a forte sindacalizzazione, seppur con compromessi e gradualità. E proprio nel cuore dell’«anomalia bresciana», cioè in fabbriche dove l’organizzazione maggioritaria è la Fiom, una categoria locale particolarmente antagonista, al punto che spesso si è trovata in contrapposizione con i vertici nazionali o con la stessa Cgil. Gli anni novanta hanno visto processi di ristrutturazione che hanno accompagnato l’introduzione all’Iveco della Fabbrica Integrata. Si è passati dalla centralizzazione funzionale al decentra- mento, l’organizzazione del lavoro è stata organizzata per «gruppi integrati» con la contestuale riduzione dei livelli gerarchici, ma l’autonomia dello stabilimento e la rotazione dei lavoratori sono ancora di là da venire. I rapporti con i fornitori ela parte commerciale sono tuttora accentrati a Torino: la situazione quindi è a metà strada tra il just in time e l’assetto tradizionale. Il modello delle relazioni industriali di Brescia si caratterizza, oltre che per l’elevata sindacalizzazione, anche per la diffusa attività di contrattazione aziendale, di cui l’importante accordodel 1999 sulla terziarizzazione è solo l’ultimo esempio. A questa attività – si sostiene nel libro – ha corrisposto però una diffidenza, almeno da parte della Fiom, verso gli elementi di partecipazione e le commissioni miste, che pure sono state costituite a Brescia secondo quanto stabilito dall'accordo Fiat del marzo ’96. «Il loro limitato funzionamento – conclude Negrelli – non si è tradotto però in una completa assenza del modello partecipativo: occorre infatti annoverare il ruolo della contrattazione informale su alcuni temi come le assunzioni o l’orario di lavoro, oltre che contatti tra direzione e sindacati su investimenti e terziarizzazioni. Un altro modo, quindi, di combinare lean production erelazioni industriali che, pur non scalfendo l’immagine prevalente di rapporti formalizzati e antagonisti tra le parti, ha consentito di fatto una gestione in qualche misura concertata dell’innovazione tecnologica e organizzativa». MARCO TOGNA LA DELUSIONE DI MELFI • INTERVISTA A CILLIS IL MODELLO DUALE DI BRESCIA • PARLA SQUASSINA Il laboratorio smantellato Informali ma non per scelta «L alean production?Non è mai stata realizzata. All’inizio abbiamo visto una tiepida sperimentazione mentre ora, con le continue esternalizzazioni, assistiamo al progressivo smantellamento della fabbrica». Giuseppe Cillis, segretario generale della Fiom di Potenza, è durissimo. Il «laboratorio» Melfinon è riuscito, gli occupati sono diminuiti (sono meno di 6.000), l’esperienza partecipativa ha deluso le aspettative. Rassegna La Fabbrica integrata funziona se si affermano nuove relazioni industriali. Come si sono svolte in questi anni? Cillis L’atteggiamento della Fiat èsempre quello tradizionale. Un esempio? Le commissioni congiunte. Per l’azienda sono soltanto il luogo dove comunicarci decisioni già prese, con mar- gini di trattativa inesistenti. Noi vogliamo discutere dei contenuti, loro ci vogliono come semplici notai. Puoi solo dire sì o no, nient’altro. Rassegna Altro «mito» della Fabbrica integrata è la centralità del lavoratore, informato di tutto il processo produttivo e in grado di svolgere più prestazioni... Cillis L’operaio Sata compie le operazioni in meno di un minuto, in tali condizioni è impossibile occuparsi anche d’altro. Il lavoro è polverizzato, ognuno svolge esclusivamente la propria mansione. Il resto lo ignora. Rassegna Nel libro si registra la crescente disaffezione dei lavoratori alle sorti dell’azienda... Cillis All’inizio hanno creduto alla possibilità di una fabbrica diversa, poi hanno verificato l’inesistenza delle proposte. Ora tanti giovani si stanno avvicinando al sindacato, in particolare alla Fiom. Dal ’98 in poi la nostra presenza è aumentata, nelle recenti elezioni tenute nelle fabbriche esternalizzate siamo diventati il primo sindacato. E non dimentichiamo il successo dello sciopero separato: il 35 per cento di assenze in fabbrica e 400 lavoratori in piazza. Rassegna Quali sono i prossimi appuntamenti? Cillis In autunno si apre il confronto sul contratto aziendale. Le nostre proposte riguardano il miglioramento delle condizioni economiche e di vita, come l’eliminazione della «doppia battuta» che fa lavorare per 12 notti consecutive, e l’equiparazione dei salari di Melfi, attualmente inferiori di circa 200.000 al mese, al resto del gruppo. F abbrica integrata o quant’altro, non è un fatto di terminologie. La questione è avere relazioni industriali corrette, con pari dignità. «Questo stabilimento – dice Osvaldo Squassina, segretario generale della Fiom Brescia – ha una funzione strategica: se si ferma, si bloccano gli impianti Iveco d’Europa, poiché qui si producono quegli stampati in metallo e in plastica da cui tutti dipendono. La Fiat ha accettato questa realtà: per migliorare l’azienda deve avere il consenso dei lavoratori». L’introduzione della lean production sta andando avanti, anche se sul piano della partecipazione le lamentele sono le stesse di Melfi: «Le commissioni non contano nulla – aggiunge il sindacalista –, non rappresentano alcuna relazione avanzata. L’azienda ti informa di scelte già fatte, starci dentro non ha senso». Nel libro Prato verde, prato rosso, Negrelli sottolinea l’aspetto informale dei rapporti tra sindacati e management all’Iveco. «Per la Fiat – spiega Squassina – un accordo realizzato qui vale per tutti gli stabilimenti, ovunque siano. La trattativa informale non è una nostra scelta, ma ser- 9 num. 29 - 31 luglio 2001 ve a raggiungere un risultato senza mettere in discussione le regole militari della Fiat. Ci sono volte, però, in cui l’accordo verbale non è sufficiente ed è necessario procedere sulla via contrattualistica, come è stato per la riorganizzazione del ’97 e le terziarizzazioni del ’99». Questo modello duale, cioè fondato su contrattazioni scritte e intese verbali, è possibile laddove il sindacato esprime forza e interessi largamente condivisi. All’Iveco oltre il 60 per cento dei lavoratori è iscritto alle organizzazioni, con decisa predominanza della Fiom (1.500 tessere su 4.000 dipendenti). «La fabbrica – conclude Squassina – negli ultimi anni ha visto grandi trasformazioni. I lavoratori sono tutti giovani: il 90 per cento di loro è stato assunto dopo il 1987, l’età media è di 34 anni. Eppure questo cambiamento non ha scalfito minimamente il livello di rappresentanza sindacale, che anzi negli ultimi anni è divenuto più alto. Questo dimostra che anche i giovani hanno assorbito la memoria storica di questo impianto, fatta di serietà, unità sindacale, anM.T. tagonismo intelligente». Laura Martini Responsabile del gruppo di lavoro Cgil per lo sviluppo dei Fondi pensione I punti critici su cui si attesterà nei prossimi mesi la prospettiva dei Fondi pensione sono due. Il primo è costituito dall’intento, manifestato dal governo, di spostare progressivamente la previdenza complementare dal piano «integrativo», come sostiene il sindacato, a quello «sostitutivo». Il secondo è la mancata previsione dell’utilizzo del Tfr nei Fondi, che impedisce quell’operazione a cui per anni abbiamo puntato e che peraltro doveva completare gli effetti del Dlgs 47/2000 sul piano fiscale con una piena equiparazione dei diritti dei lavoratori dipendenti e degli autonomi (il plafond di deducibilità è infatti legato alla quantità di utilizzo del Tfr). Vi è poi un altro aspetto da tenere in considerazione, ed è quello riguardante l’annunciata equiparazione fra fondi chiusi e fondi aperti, che verrà certamente accelerata ma che, dobbiamo dire, ci aspettavamo: un elemento critico anche se non il più preoccupante. Questi comunque i temi con cui dovrà confrontarsi l’iniziativa della Cgil. Un’iniziativa che non possiamo delegare tutta a eventuali interventi esterni, sia promozionali che coercitivi, e che deve svilupparsi avendo chiari, in ogni momento, gli orizzonti strategici della nostra politica. Questi sono: • lo sviluppo della previdenza complementare come fattore essenziale per la tutela pensionistica, in chiave integrativa e non sostitutiva; • la difesa della previdenza pubblica, pur nell’ambito delle compatibilità di sistema, come elemento strutturale; • la tutela dei diritti individuali e collettivi dei lavoratori e dei cittadini, garantendo pari opportunità di accesso e pari dignità delle condizioni di vita. Con queste premesse proviamo a entrare nel merito della situazione specifica dei Fondi. La situazione attuale La Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) ha di recente presentato la prima relazione sullo stato dei Fondi al 2000. Intendo qui riferirmi solo ai Fondi pensione negoziali nazionali, non perché FONDI PENSIONE / 1 Ifondi negoziali sono un diritto esercitato in misura ancora ridotta. Un diritto che ora deve diventare realtà FONDI PENSIONE / 2 Un fondo per ogni settore, tutti i lavoratori con la possibilità di iscriversi a un fondo. Questo l’obiettivo da perseguire non sia interessante anche lo sguardo d’insieme, ma per focalizzare l’oggetto del lavoro che la Cgil dovrà compiere. I Fondi pensione negoziali autorizzati all’esercizio dell’attività sono passati dai 5 del 1999 ai 17 del 2000, con una media della contribuzione che è cresciuta dal 4,6 al 9,2. I Fondi autorizzati alla raccolta delle adesioni nel 2000 erano 15, con una media della contribuzione dell’8,97. Per quanto riguarda il rapporto fra occupazione dipendente e iscritti i dati ci dicono che gli iscritti sono complessivamente poco più di un milione su circa 9milioni di lavoratori dipendenti. Nei Fondi autorizzati all’esercizio, la massima percentuale di adesioni si ha nelle aziende con oltre mille dipendenti (45,6). Le adesioni femminili sono concentrate nel Nordest e nel Nordovest e precipitano al Sud. Più in generale le adesioni sono concentrate nel Nordest e nel Nordovest (26,3 e 39 per cento) e scendono al Centro e al Sud (19,1 e 15,6 per cento). Per quanto riguarda l’età il numero più consistente di adesioni si concentra fra i 35 e i 49 anni. Nei Fondi pensione autorizzati alla raccolta si confermano queste tendenze. non può certo dare risposta a tutti i problemi. Dovremmo allora assumere due logiche comuni e condivise: la prima è che il destinatario è l’utenza, i lavoratori presenti e futuri (in coerenza con l’obiettivo della esigibilità del diritto); la seconda è che non ci servono iniziative tutte e solo generali ma che ogni iniziativa, anche parziale, può corrispondere in modo molto più efficace alla soluzione di un problema elementare, parte importante del problema complesso. Obiettivi e destinatari C’è una legge che dice che non esiste problema complesso che non possa essere scisso in problemi elementari e che la somma delle soluzioni elementari conduce alla risposta al problema complesso. Il problema complesso che abbiamo di fronte non è «come far iscrivere i lavoratori» ma un altro, che corrisponde a un nostro obiettivo strategico: rendere esigibile un diritto contrattuale (e anche legislativo) per garantire la copertura previdenziale integrativa e tutelare la copertura pensionistica. I destinatari privilegiati della nostra azione sono i lavoratori e i futuri lavoratori (i giovani): e questo deve interferire con ogni nostra iniziativa: politica, contrattuale, organizzativa, di servizio. Uno dei punti di sofferenza di tutto il pregevole lavoro messo finora in campo dalle categorie e dalle strutture territoriali, sia sul piano politico che dei servizi, è che spesso sembra parlare più al nostro interno che ai destinatari. Spesso non vuol dire sempre, ma questo provoca una ulteriore disomogeneità di comunicazione che non facilita la possibilità di lavorare in rete e di diventare sistema. Il solo punto di coordinamento è costituito dal dipartimento Politiche sociali e del welfare della Cgil nazionale, che di per sé rappresenta il luogo delle scelte e degli orientamenti generali e strategici, ma che Un diritto esigibile Dopo la legge 124 abbiamo conquistato, per via contrattuale, un diritto. Ora questo diritto dobbiamo generalizzarlo affrontando due problemi: • arrivare alla costituzione di un Fondo pensione in tutti i settori, • garantire a tutti i lavoratori che fanno capo a un Fondo pensione già costituito la possibilità concreta dell’iscrizione. Sul primo punto abbiamo cominciato a sistematizzare le nostre conoscenze e ad analizzare l’insieme dei settori per verificare dove il Fondo è già costituito, dov’è in previsione, dove c’è ancora un ritardo d’iniziativa e perché. In quest’ambito occorre avere ipotesi anche per i settori critici, rappresentati ad esempio da «piccoli contratti» o categorie di lavoratori molto dispersi anche se quantitativamente rilevanti, partendo dalla considerazione ormai abbastanza matura, almeno al nostro interno, che l’obiettivo non è «ogni contratto un fondo», ma la ricerca della collocazione (per settori affini) più opportuna. Su questo è evidente la centralità dell’iniziativa confederale ma è chiara anche l’importanza dell’iniziativa contrattuale delle categorie. Sul secondo problema – garantire a chi già abbia un Fondo di riferimento la possibilità reale di aderirvi – occorre risolvere questioni quali le resistenze aziendali, ma anche l’assenza d’informazione e la mancanza di luoghi in cui i lavoratori L’AGENDA possano recarsi per porre le loro domande e nei quali sia possibile fornire le risposte adeguate, la documentazione necessaria o solo spiegare, in termini semplici, cos’è un Fondo pensione negoziale. È evidente la necessità di un lavoro organizzato e sistematico di rete, che cioè metta in relazione i vari punti del lavoro su questo fronte: il lavoro di orientamento strategico e generale (confederazione nazionale); il lavoro contrattuale (categorie); il lavoro operativoorganizzativo (categorie, regionali e Camere del lavoro); il lavoro di supporto e di interfaccia del sistema dei servizi. È sintomatico che, mentre fra il primo e il DOVE VANNO I FONDI NEGOZIALI • I veti di Confindustria, le difficoltà che vivono C on il decreto legge n. 47 del 18 febbraio 2000 e il successivo decreto correttivo del governo (n. 168/2001), si è venuta consolidando la disciplina fiscale del sistema della previdenza complementare. L’analisi e la valutazione delle novità legislative introdotte va però sviluppata alla luce di alcune considerazioni di carattere generale sullo stato attuale del sistema previdenziale. Dopo anni di confusione e strumentalità intorno ai conti della previdenza, negli ultimi mesi del 2000 si è fatta chiarezza anche a livello degli organismi europei internazionali. Infatti, sia i documenti Ocse che quelli Fmi hanno riconosciuto la validità strutturale della riforma pensionistica italiana. A parere della Cgil bisognerà verificare ora gli eventuali effetti della cosiddetta «gobba demografica», che potrebbe verificarsi a partire dal 2005, con l’andata in pensione delle generazioni dei primi anni 50, determinando un aumento dell’incidenza della spesa per pensioni sul Pil. A fronte di un possibile futuro incremento della spesa, la Cgil ritiene che questo gap si possa affrontare con l’estensione pro rata, anche ai lavoratori più anziani, del metodo di calcolo contributivo della prestazione pensionistica. Questa misura di completamento della rifor- ma, però, potrà essere adottata solo dal momento che per tutti i lavoratori italiani sia possibile partecipare al sistema dei fondi pensione integrativi, per affiancare alla pensione pubblica una pensione complementare a capitalizzazione. La verifica delle pensioni che dovrà tenersi quest’anno non potrà, infatti, non tenere conto del fatto che l’equilibrio definito con la riforma del ’95 si basa su due pilastri che hanno tra di loro un preciso rapporto strutturale, e che non può essere proponibile nessuna ulteriore correzione al sistema pensionistico pubblico senza il decollo generalizzato della previdenza complementare. L’Italia non necessita di una nuova riforma delle pensioni. Il pilastro pubblico deve restare quello fondamentale e prevalente, e deve continuare a garantire un significativo tasso di sostituzione tra pensione e reddito da lavoro, integrato da un sistema complementare su base volontaria. Va difeso insomma l’impianto strutturale ripartizione/capitalizzazione deciso dalla riforma. Sono passati alcuni anni dal decollo dei primi Fondi pensione negoziali, e oggi è possibile fare un bilancio dei risultati raggiunti, sia rispetto alla caratteristica e alla quantità delle adesioni, che sui rendimenti finanziari annuali di esercizio. Il quadro attuale evidenzia aspetti positivi insieme a difficoltà rilevanti. Si registrano elevati tassi di partecipazione nelle realtà in cui esiste una forte rappresentatività del sindacato e delle associazioni imprenditoriali, dove sono stati raggiunti risultati, in termini di adesione, che in altri paesi hanno richiesto tempi molto più lunghi. Nello stesso tempo, però, nei settori dove il sindacato è più debole e le associazioni imprenditoriali meno rappresentative o divise al loro interno, i Fondi sono di fatto fermi al palo. Questo conferma che la contrattazione in materia di previdenza complementare, se non è supportata da nuove norme di legge, non può diffondere i benefici della previdenza medesima a una grandissima parte del mondo del lavoro, soprattutto ai giovani. Si rischia di lasciare senza protezione i lavoratori più deboli che, a seguito della precarietà del lavoro e delle basse retribuzioni, sono destinati a ricevere nel futuro una pensione pubblica assai modesta. È per questi motivi che la Cgil, nel 2000, si è impegnata per una riforma del Tfr che mettesse a completa disposizione dei lavoratori questo risparmio forzoso e poco redditizio per trasformarlo in «risparmio previdenziale», utilizzandolo per la previdenza complementare. 10 num. 29 - 31 luglio 2001 Se analizziamo i risultati quantitativi delle adesioni constatiamo che tuttora, su quaranta fondi negoziali avviati con la contrattazione, hanno aderito circa un milione di lavoratori rispetto a una platea di circa 9 milioni di lavoratori attivi. Tutto ciò dimostra che manca ancora la piena convinzione dei vantaggi reali della adesione ad un Fondo negoziale. Oggi, sul tema dei vantaggi, oltre a quelli derivanti dalla nuova disciplina fiscale, siamo in grado di valutare con certezza che i Fondi pensione che da tempo hanno avviato la gestione finanziaria, pur con una gestione prudente, conseguono risultati molto interessanti. Il Fondo pensione del settore chimico e affini (Fonchim), che ha raggiunto tre anni di pieno esercizio alla fine del 2000, ha avuto nel triennio una rivalutazione del patrimonio individuale di ogni iscritto del 20 per cento a fronte di una rivalutazione del Tfr non utilizzato per la previdenza complementare nello stesso triennio del 9,5 per cento. Tutto ciò conferma che chi si iscrive a un Fondo pensione negoziale, oltre al vantaggio di poter percepire il contributo dell’azienda e ai benefici fiscali, può avere dai contributi versati, compresa la quota di Tfr, una rivalutazione annuale più che apprezzabile. FONDI PENSIONE / 3 Ma per raggiungerlo bisogna cambiare stile di lavoro: parlare ai destinatari dell’iniziativa sindacale. Non solo al sindacato DELLA CGIL espressamente impegnati sulla materia, non c’è un’attivazione sostanziale del sistema per dare gambe al processo. Per questo si è definito come obiettivo strategico quello di rendere esigibile il diritto: per richiamare tutti alla funzione e al dovere squisitamente sindacale che l’operato in questo campo comporta. Occorre che l’insieme dei sindacalisti diventi operativo e si attivi; la conseguenza, altrimenti, è dal punto di vista organizzativo la delega agli addetti, dal punto di vista sindacale la mancata crescita della cultura del risparmio previdenziale fra i lavoratori e soprattutto fra le Rsu, le quali per prime, se sono convinte, sono il miglior tramite per fare adesioni. È chiaro che nelle grandi aziende i problemi si pongono diversamente (non a caso lì c’è la maggior concentrazione di adesioni), così com’è molto più delicato è il problema nelle aziende diffuse sul territorio. Ma veniamo ora ai problemi di carattere organizzativo che oggi abbiamo di fronte. secondo punto si è sempre avuta una relazione, il gap di rapporto si apre appena si passa al terzo punto e nella relazione fra il terzo e il quarto punto, cioè nella fase operativa in senso stretto. Per inciso, il gap fra il secondo e il terzo punto (dalla contrattazione all’operatività, intesa non nel senso della costituzione e gestione del fondo, ma nel rapporto con l’utenza, che abbiamo assunto a riferimento del lavoro da fare) nasce dall’idea che il lavoro strettamente sindacale si concluda con la fase costituente del Fondo e le assemblee di presentazione. Di fatto, salvo dove ci sono sindacalisti Alcune questioni organizzative Conoscenza generale della situazione Oggi come oggi ognuno conosce il suo «pezzo». Se ci poniamo nell’ottica di un intervento complessivo e sinergico, devono esistere punti in grado di effettuare il monitoraggio complessivo della situazione. Occorre però un lavoro organico. Lo strumento principale per quest’obiettivo è la realizzazione dell’anagrafe degli iscritti e subito dopo la realizzazione dell’interfaccia tra le banche dati di cui disponiamo: quella del Patronato e quella del Caf. La realizzazione di questo indispensabile strumento è ormai solo un problema di volontà: la strumentazione informatica è ampiamente diffusa e parti intere (in particolare i servizi) la utilizzano quotidianamente; da questa mole imponente e preziosa di dati dobbiamo riuscire a trarre utilità mirate a specifiche parti del nostro lavoro, nell’interesse degli iscritti. Dall’anagrafe si può sapere se un • UN BILANCIO DEI RISULTATI CONSEGUITI E DEI PROBLEMI APERTI le organizzazioni sindacali Le difficoltà presenti nella fase di raccolta delle adesioni ai Fondi mettono in evidenza che la mancata messa a punto di una linea comune del sindacato sulla materia determina, insieme ai veti della Confindustria, il blocco di ogni iniziativa finalizzata a consolidare il sistema. Questo ha creato una situazione molto grave, che finirà per incidere sulla verifica della riforma delle pensioni e ha determinato e determina una grave disparità di trattamento fra i cittadini. Nell’applicazione della riforma del trattamento fiscale e del risparmio previdenziale, entrata in vigore all’inizio di quest’anno, l’aumento della deducibilità (pari al 12 per cento del reddito, fino ad un massimo di 10 milioni) è collegato alla piena utilizzazione dei flussi annuali del trattamento di fine rapporto. Nei fatti, però, i lavoratori dipendenti non potranno beneficiare pienamente delle nuove misure fiscali, mentre questo sarà possibile per i lavoratori autonomi, i liberi professionisti e gli imprenditori, proprio perché la deducibilità è legata alla quantità di Tfr versato ai Fondi. Le sopra citate novità fiscali migliorano però il sistema di tassazione dei riscatti del capitale accumulato in caso di pensionamento, e migliorano la tassazione dei riscatti richiesti in ca- so di perdita del posto di lavoro per cause non dipendenti dalla volontà delle parti. A fronte dei risultati conseguiti non si possono sottovalutare i limiti presenti: non tutto il quadro dirigente ai vari livelli della Cgil si è impegnato in modo efficace sul tema della previdenza complementare. Si fa fatica a creare sinergia tra le categorie, le strutture confederali e il sistema dei servizi per costruire interventi mirati a superare le situazioni più critiche. È su questo che si sta mettendo a punto un piano di lavoro. Se infatti riusciamo a lavorare insieme per lo sviluppo dei Fondi, rafforziamo la nostra visibilità di organizzazione sindacale che ha al centro la difesa dei diritti dei lavoratori, tenuto anche conto che la contrattazione ha destinato ai Fondi risorse che sono state sottratte ai salari, per finalizzarle alla difesa dello Stato sociale e delle forme collettive di previdenza. In assenza di risultati apprezzabili, in conclusione, diverrà sempre più forte il partito di coloro che spingono per una previdenza privata di tipo individuale e per un definitivo smantellamento del sistema pensionistico pubblico. DANIELE CERRI Dipartimento Politiche sociali e del welfare Cgil lavoratore è iscritto o no ad un Fondo pensione e a quale, notizie si possono avere dalle banche dati di Inca e Caf: questo consentirebbe un primo approccio all’altro punto critico costituito dal deficit d’informazione. Scarsa informazione Si tratta di un problema richiamato non solo dalla Cgil ma anche dall’analisi sulle criticità dei Fondi effettuata dal Cnel. L’informazione ai lavoratori deve essere aggiornata, completa, costante; deve creare fiducia: cioè chi cerca l’informazione deve sapere che la troverà e che è attendibile. L’informazione una tantum è scarsamente efficace, la seconda volta rischia di non funzionare più. Essa deve saper rispondere alle domande: • chi (quale Fondo pensione), • come (mi iscrivo, chiedo informazioni ecc.), • dove (indirizzi, recapiti, persone a cui rivolgersi) e altri elementi utili. Volantini, manifesti, depliant ecc. fanno parte più della comunicazione che di questo tema. L’informazione può viaggiare attraverso i tradizionali strumenti cartacei: la stampa sindacale, in sostanza (ma con parti dedicate in modo permanente alla questione), con spazi interattivi a disposizione. Necessario è poi l’aggiornamento costante su tutte le iniziative dei fondi, l’utilizzo di strumenti dedicati, ad esempio il numero verde, e l’inserimento dei servizi informativi sui fondi nella Carta di servizi della Cgil. Estremamente utile è ovviamente anche l’uso di Internet. Per adesso il sito già esistente è stato solo aggiornato, in prospettiva deve assumere la forma di un portale dedicato. Prevediamo anche la pubblicazione in rete di una newsletter con le novità sui Fondi pensione da inviare su richiesta (abbonamento gratuito in linea) e il regolare aggiornamento della pagina con le Faq (domande ricorrenti). I siti delle categorie offrono molte cose utili e ben fatte, ma salta agli occhi qualche considerazione. Per arrivare ai Fondi spesso bisogna faticare e alla fine molte volte si è solo reindirizzati altrove: allora sarebbe meglio mettere subito un link ben visibile di rinvio. In molti casi non c’è niente e bisogna andarsi a cercare le informazioni sul sito del Fondo. Molti siti non sono aggiornati (discorso che riguarda anche quelli dei Fondi); ma bisogna fare attenzione: un sito è una porta aperta all’esterno, se non è aggiornato non è inutile, è dannoso. Nessuno dei nostri siti è interattivo, cioè consente, salvo le e-mail, di mettersi in contatto con noi per avere informazioni; critica che ci è venuta anche dalla recente indagine in materia di cui ha dato conto Rassegna (vedi il n. 26/2001, ndr). Non è un problema di costi: anche in questo caso il problema è semmai di formazione (sugli strumenti informatici, peraltro a livello di base) e di volontà (come per le anagrafi). Per le strutture verranno pubblicati tutti i documenti più importanti per l’aggiornamento del lavoro e i materiali utili per la formazione, in modo che siano liberamente scaricabili. In sostanza, distinguiamo fra informazione agli utenti, che deve rappresentare il leit motiv e informazione utile agli addetti. C’è poi il problema dell’informazione nei luoghi esterni al sindacato. Come far conoscere le nostre iniziative e i nostri servizi? Oltre agli strumenti di cui abbiamo parlato, c’è un dove: e cioè in quale luogo – all’interno delle sedi sindacali, in quelle dei centri servizi, dei patronati e dei Caf – mettiamo i depliant e altro materiale informativo. Molto importante, com’è ovvio, è che questo materiale venga effettivamente distribuito ed eventualmente illustrato (fa parte della formazione) nei luoghi di lavoro (se c’è una Rsu disponibile a non lasciarla in un cassetto) e anche fuori, nei posti frequentati dalla gente e soprattutto dai giovani: bisognerà trovare al riguardo le opportune disponibilità. Comunicazione Si tratta di un tema decisivo: c’è un problema di linguaggio, 11 num. 29 - 31 luglio 2001 SEGUE A PAG. 14 ▼ I FONDI PENSIONE OGGI 1. PER AREE GEOGRAFICHE Fonte Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione 1.1 - Autorizzati all’esercizio dell’attività (media della contribuzione: 9,2) UOMINI DONNE MEDIA 24,6 38,1 19,4 17,9 32,2 42,4 17,9 7,5 26,3 39 19,1 15,6 Nord-Est Nord-Ovest Centro Sud e Isole 1.2 - Autorizzati alla raccolta di adesioni (media della contribuzione: 8,97)* UOMINI DONNE MEDIA 20,9 56,4 16,8 5,9 20,8 60,4 16,4 2,4 20,9 57,8 16,7 4,6 Nord-Est Nord-Ovest Centro Sud e Isole * Adesioni sul dato complessivo 1,3 - Rapporto tra occupazione e adesione (Media della contribuzione: 9,17) OCCUPAZIONE Nord-Est Nord-Ovest Centro Sud e Isole 23 33 19 25 ADESIONI 26 39 19 16 2. I SINGOLI FONDI* Fonte Mefop 1.1- Autorizzati all’esercizio dell’attività Alifond Arco Cometa Cooperlavoro Filcoop Foncer Fonchim Fondenergia Fonser Fopen Mediocredito C. Pegaso Previambiente Previcooper Previvolo Quadri e capi Fiat Telemaco ADERENTI TASSO DI ADESIONI 30.574 17.000 351.000 10.818 10,19 9,60 35,10 3,61 5.495 107.726 30.420 498 55.518 390 16.082 14.148 8.030 2.532 14.311 62.354 15,70 58,23 64,72 66,14 76,58 74,00 40,21 33,69 14,60 93,78 87,42 77,46 1.2 - Autorizzati alla raccolta di adesioni ADERENTI Artifond Byblos Concreto Eurofer Fondapi Fondav Fontan Fonte Gommaplastica Marco Polo Mediafond Previagens Previmoda Priamo Socrate TASSO DI ADESIONI In corso 16.000 4.200 10.947 20.707 2.548 8,42 32,31 10,14 2,96 50,29 12.000 21.400 0,30 17,37 35.792 5,97 97 0,65 * A fine 2000 le adesioni ai Fp erano 885.651 su una platea di circa 9.000.000 di potenziali aderenti (lavoro dipendente). L’incremento delle adesioni rispetto al 1999 era del 26,3 per cento SANITA’ USA • LA CHIUSURA DEL D.C. GENERAL HOSPITAL DI WASHINGTON Niente cure per il «cittadino chiunque» Una vicenda emblematica dei gravissimi danni prodotti dalla riduzione della salute a mercato D opo 195 anni di attività ha chiuso, per volontà del sindaco del Distretto W. Williams, il D.C. General Hospital di Washington. L’ospedale forniva assistenza gratuita ai derelitti e ai poveri privi di assicurazione sanitaria residenti nel distretto della città, dove la stragrande maggioranza della popolazione è costituita da afroamericani. Nella sua storia travagliata la struttura ha conosciuto periodi di grande decadenza che si sono alternati con altri, specie in tempi recenti, in cui essa aveva raggiunto, nonostante la cronica carenza di mezzi, livelli di eccellenza superiori a quelli di moltissimi altri ospedali. Prima di soffermarci sul significato più generale della vicenda, ripercorriamo alcuni momenti della vita di quest’istituzione. Nel 1943 una commissione del Senato definisce l’ospedale, allora chiamato Gallenger memorial, una «casa degli orrori», incui i pazienti, solitamente legati ai letti, vengono tenuti in una condizione simile alla prigionia. Nel 1953 l’amministrazione distrettuale cerca di apportare miglioramenti nella gestione della struttura e ne cambia il nome, adottando quella attuale di D.C. General Hospital, ma le condizioni non subiscono sostanziali cambiamenti. I miglioramenti avvengono invece negli anni successivi, tanto che nel 1975 la Joint Commission on the Accreditation of Health care Organizations conferisce all’ospedale l’accreditamento di soggetto erogatore, poi riconfermato nei trienni successivi. Così, prima della sua chiusura, il General Hospital viene sottoposto a una nuova pro- cedura di verifica al termine della quale realizza uno score del 94 per cento, superiore alla media tra l’86 e l’88 raggiunta dalle altre strutture ospedaliere accreditate per erogare prestazioni nell’ambito del programma di Medicare e Medicaid. Le motivazioni addotte per la chiusura da parte di Williams e della commissione costituita a tale scopo hanno riguardato sia la scarsa qualità del servizio reso, sia i costi della struttura ritenuti non compatibili con il bilancio distrettuale; altro elemento di pregiudizio è stato inoltre considerato l’uso improprio dell’ospedale come rifugio degli homeless della città. Il primo assunto è stato smentito dalla stessa Joint Commission, sul secondo pesanti riserve sono state sollevate dal comitato per la difesa dell’ospedale, che ha contestato i dati del bilancio previsionale parlando di una vera e propria manipolazione della verità compiuta dal sindaco e dalla commissione. Questi, in estrema sintesi, i fatti; fatti che hanno un valore emblematico ed evidenziano una vera e propria deriva del paese più ricco e potente del mondo. La privatizzazione del servizio sanitario e il liberismo economico hanno condotto gli Usa alla completa equiparazione tra prestazioni sanitarie, merci e altri beni di consumo; conseguentemente la loro «produzione» è stata affidata ad agenti che, al pari degli altri produttori, hanno come unico scopo la realizzazione di profitti e l’incremento del capitale. In questo processo tutto quello che non offre utili significativi o non riesce a trasformarsi in rendita viene dismesso in quanto antieconomico; nessuna remora solleva il fatto che ciò avvenga a discapito dei diritti fonda- mentali e dei bisogni più elementari dei cittadini; quel che conta è che il mercato non subisca interferenze e che venga lasciato libero di autoregolarsi. La società americana, in sostanza, somiglia sempre più a quella descritta da Marx nella Questione ebraica:un luogo «in cui l’uomo appare come uomo privato che considera gli altri come mezzo e facendo questo degrada se stesso a mezzo e diviene trastullo di forze estranee». In questa rete di interessi materiali a trovare posto e collocazione non è più il «cittadino chiunque» di Salvatore Veca, titolare come tale di diritti universali e sempre esigibili, ma solo il potenziale consumatore, eufemisticamente definito «il decisore razionale», il cui accesso ai beni è subordinato alla sua capacità economica. La chiusura del D.C. Hospital assume un ulteriore valore simbolico in relazione anche alla mai risolta questione razziale. I due temi della povertà e della discriminazione razziale si trovano intrecciati in questa vicenda in un groviglio difficile da dipa- nare; l’ospedale rappresentava infatti per la comunità nera un tessuto di relazioni, accoglienza e solidarietà che andava oltre il suo scopo istituzionale di luogo di cura e che ora viene irresponsabilmente reciso. Del resto quanto avvenuto è ben poca cosa in un paese come l’America che detiene il triste primato di 43 milioni di cittadini totalmente privi di assistenza sanitaria; costoro poi non rappresentano più i derelitti del sottoproletariato urbano ma appartengono prevalentemente alla middle class. Il ceto medio, in un processo di progressiva proletarizzazione, pur non versando in condizioni di indigenza tali da comportare il diritto all’assistenza riservata ai poveri, non è più in grado di pagare le polizze assicurative i cui importi hanno subito negli anni incrementi intollerabili. Questi cittadini di serie B erano 23 milioni nel 1980; sono cresciuti al ritmo di 1 milione l’anno, dimostrando chiaramente come l’imponente incremento del Pil non si sia convertito in una diminuzione delle diseguaglian- ze, anzi le abbia aumentate. Il servizio sanitario degli Usa, oltre a essere iniquo, appare sempre più come un gigante malato i cui incredibili costi di gestione (il 14 per cento del Pil) non si traducono in un effettivo benessere dei cittadini. Nella classifica per la qualità della vita è agli ultimi posti fra i sette paesi più industrializzati del mondo. I dati recentemente pubblicati dalla banca dati della Cia dimostrano che nonostante il Pil per abitante in Usa sia pari a 33,900 dollari rispetto a una media di 23,400 dei sette paesi più industrializzati (Francia, Germania, Italia, UK, Spagna, Giappone, Usa) la mortalità infantile è invece del 6,8 per mille rispetto alla media del 5,2 e la vita media è di 77,1 anni rispetto al 78,8 degli altri. Il servizio sanitario americano è dunque assolutamente inadeguato rispetto a quello degli altri paesi che spendono mediamente la metà; e appare equivalente a quello di Cuba (mortalità = 7,5; vita media = 76,2) che però può contare su un reddito per abitante venti volte inferiore, cioè pari solo a 1,700 dollari . Tutto questo dimostra non soltanto la netta superiorità dei servizi sanitari pubblici, ma anche il totale fallimento di quelli basati su un sistema assicurativo privato. Il regime delle assicurazioni, inoltre, ha assunto in Usa, negli ultimi anni, un potere sempre più dispotico e capace di condizionare pesantemente la politica. Emblematico in tal senso è il caso dello stesso presidente Bush che, in opposizione al Congresso, è pronto a esercitare il suo diritto di veto contro una legge che tenta di ridare un minimo di potere contrattuale al cittadino proprio nei confronti delle compagnie di assicurazione. Tempo fa il New York Times (vedi Adesso sto meglio n. 31, 3 aprile 2001 su <www.cgil.it>) illustrava in un articolo i costi proibitivi sostenuti da coloro che fanno ricorso alle cure ospedaliere e sono privi di assicurazione; le società proprietarie degli ospedali, infatti, impiegano tariffe diversificate nei confronti di tali cittadini rispetto a quelle praticate per le stesse prestazioni alle compagnie assicurative; gli importi non solo sono estremamente più elevati, ma hanno continuato a crescere a dismisura negli ultimi anni; è chiaro in questo l’intento di recuperare margini di guadagno proprio sugli elementi più deboli e meno provvisti di potere contrattuale. L’amara conclusione della vicenda è evidente: il paese più ricco del mondo, che è disposto a spendere 80mila miliardi per lo scudo spaziale, ritiene un costo insostenibile il mantenimento di un ospedale di 250 posti letto. In Italia di ospedali pubblici ne abbiamo circa 1600 e per questi spendiamo appena il 5,5 per cento del Pil. Chiunque voglia mettere mano al nostro servizio sanitario, che è stato giudicato dall’Oms tra i migliori del mondo, al secondo posto dopo la Francia, non può non partire da questa evidenza e riconfermare la validità del modello finora adottato e basato sui princìpi di universalità e solidarietà. ROBERTO POLILLO Segretario generale Fp Cgil medici (Il testo che qui pubblichiamo è una versione ridotta di un articolo apparso sul n. 27/2001 del settimanale Asi, Agenzia sanitaria italiana.Èpossibile leggerlo integralmente anche su Adesso sto meglio, la newsletter del dipartimento Politiche della salute Cgil, <www.cgil.it>.) SISTEMI PENSIONISTICI • LA PROPOSTA DELLA COMMISSIONE EUROPEA SUL COORDINAMENTO DEGLI INTERVENTI DI RIFORMA Meglio che in ordine sparso D opo il documento esplorativo dello scorso autunno, ma soprattutto alla luce delle determinazioni del vertice di Göteborg sull’iscrizione della questione pensionistica tra le priorità dell’agenda europea, la Commissione ha presentato a luglio una prima proposta per formalizzare il coordinamento della riforma dei sistemi all’interno dell’Unione. Commentando le nuove proposte, la commissaria agli Affari sociali Diamantopoulou ha segnalato le due facce del problema: quello di assicurare da una parte delle pensioni adeguate e sicure per la vecchiaia – fase della vita in cui queste sono sovente l’unica entrata – e quello di avviare, dall’altra, una riforma dei sistemi pensionistici per garantirne la futura gestibilità, soprattutto negli attesi scenari di senilizzazione della popolazione europea. Da qui muove la proposta della Commissione, che apre alla definizione di obiettivi comuni per l’insieme dei tre pilastri dei sistemi pensionistici, ossia i regimi legali di sicurezza sociale, quelli professionali e quelli individuali. In particolare, la proposta rilancia obiettivi già entrati nella discussione europea, quali l’aumento dei tassi di attività (il nuovo obiettivo adottato a Göteborg è quello di tassi di attività di almeno il 50 per cento per le persone tra i 55 e 64 anni), l’abolizione degli incentivi ai prepensionamenti, ma anche la riduzione del debito pubbli- co per ridurre il futuro peso degli interessi. Ogni adeguamento dei sistemi pensionistici dovrà inoltre tenere conto di un corretto equilibrio tra attivi e pensionati. La modernizzazione dei sistemi dovrà infine essere compatibile con i nuovi bisogni del mercato del lavoro, e particolarmente con la duplice esigenza della loro «flessibilità» e «sicurezza». Quanto al metodo proposto, si tratta di quello del «coordinamento aperto», lanciato lo scorso anno a Lisbona e ormai diventato di prammatica per la generalità delle politiche sociali. Esso include la fissazione di obiettivi comuni e di indicatori determinati, la stesura di rapporti regolari di monitoraggio e l’identificazione delle migliori pratiche attuati- 13 num. 29 - 31 luglio 2001 ve. Sull’iter di concretizzazione, la Commissione propone che si possa partire entro il luglio del prossimo anno con la presentazione di rapporti nazionali sulla strategia pensionistica da parte dei diversi governi. Questi rapporti includeranno ovviamente le iniziative assunte o le previsioni di riforma e dovranno essere preparati anche con il coinvolgimento delle parti sociali. La discussione è comunque già aperta, anche perché la presidenza belga ha collocato la questione tra le priorità sociali del semestre, avendo peraltro ricevuto uno specifico mandato da parte del Consiglio europeo di Stoccolma. Come lo assolverà il Belgio? Le prime indicazioni della presidenza propongono un approccio «generale» alla sfida pensionistica, ossia la considerazione degli «obiettivi sociali a lungo termine», contro ogni tentativo di ridurlo alla sola questione di sostenibilità finanziaria dei sistemi. «Le pensioni hanno effetti sociali positivi, sostengono i ministri agli Affari sociali Vandenbroucke ed Onkelinx –. Non pongono una sfida unicamente finanziaria, che ha anche qualche risvolto sociale, ma esattamente l’opposto». A questo principio si ispireranno dunque le necessarie ricerche e proposte, a partire da quelle di una grande conferenza europea su una nuova architettura della protezione sociale in Europa, che si terrà a Lovanio nel mese di ottobre. ANTONIO GIACCHE’ • Martini / Fondi pensione da pag. 11 non possiamo parlare in sindacalese: dobbiamo trovare uno stile in grado di dare efficacia al nostro messaggio e renderlo permanente. Bisogna riuscire a dire tre cose: • iscriversi ad un Fondo pensione negoziale è utile per sé e per la famiglia; • iscriversi a un Fondo consente di controllare direttamente come rendono i propri investimenti; • la Cgil tutela il diritto di ogni lavoratore a un Fondo pensione e gli offre un servizio di assistenza permanente. Formazione Sulla formazione in questi anni ci si è spesi molto, sia da parte della Cgil, sia delle categorie, sia della confederazione ai vari livelli, sia da parte dell’Inca. Occorre ora un piano formativo strutturato ed efficace, e quindi mirato rispetto ai destinatari. I linguaggi formativi, anche competenti, non sono buoni per tutte le occasioni e per tutti i destinatari. Esistono diversi piani: • formazione «alta» specifica e professionale, dedicata ai dirigenti sindacali e ai rappresentanti del sindacato nei consigli d’amministrazione dei Fondi; • formazione intermedia per sindacalisti e funzionari contrattualisti e Rsu mirata sugli obiettivi strategici del sindacato, gli orientamenti generali, la conoscenza complessiva della materia ma non necessariamente sugli aspetti tecnici; • formazione intermedia per Rsu, sindacalisti e funzionari dedicati alla materia, con contenuto anche tecnico; • formazione di base per Rsu e lavoratori eletti nelle assemblee e funzionari territoriali, che oltre alle conoscenze deve fornire elementi utili a relazionarsi con la domanda e l’utenza; • formazione per gli operatori dei servizi (Inca, Caf, uffici vertenze), mirata a strutturare competenze professionali sempre aggiornate; una formazione che deve essere precisa e rassicurante per i lavoratori (ipotizzando un percorso diretto alla costruzione di una figura «apicale», responsabile a livello regionale della regolazione del sistema servizi, e una formazione per gli operatori sul territorio). Problemi aperti Ci sono criticità che occorrerà affrontare, in particolare all’interno del coordinamento dei Fondi, che attengono a questioni di natura contrattuale e legislativa. Occorre dare una risposta, per via contrattuale, a due problemi • chi può iscriversi ai Fondi, • quali modalità di contribuzione. Per quanto riguarda il primo bisogna pensare all’inserimento di tutte le tipologie di lavoro, compresi i lavoratori con contratto di apprendistato, formazione lavoro, tempo determinato (tema su cui sarà necessario ritornare), contratto a termine (anche su questo occorrerà discutere). Soprattutto per i giovani dobbiamo porci il problema del lavoro «flessibile». Quanto al secondo problema, le modalità di contribuzione, i temi sono: la possibilità di prosecuzione volontaria in caso di sospensione (ad esempio Cig); la prosecuzione della contribuzione di entrambe le parti in caso di sospensione per malattia, infortunio sul lavoro, maternità (per il periodo di astensione obbligatoria). Vi sono poi anche altri aspetti riguardanti la sospensione del lavoro che andranno esaminati, ad esempio quelli conseguenti ai diritti in materia di congedi parentali. Diritti che se da un lato si prefiggono di riequilibrare tempi e vita delle persone, dall’altro – per non essere vanificati – devono trovare un’armonizzazione nell’ambito dei diritti più complessivi delle persone. I congedi che possono essere presi da entrambi i sessi rischieranno infatti di ricadere sempre in capo alle donne, in quanto le famiglie si faranno i conti del minor danno economico; e, visto che le donne hanno normalmente salari inferiori, saranno loro a restare a casa, con un danno in più oltre a quello del minor salario: la decurtazione della contribuzione al Fondo (per quella pubblica c’è la possibilità dei versamenti volontari e dei contributi figurativi). C’è poi per entrambi i sessi la questione degli undici mesi di assenza non retribuita per formazione: anche qui è previsto il possibile riscatto ma niente per la previdenza complementare. In buona sostanza, non possiamo più ragionare per compartimenti stagni: sui diritti occorre fare sistema. Uno dei temi più delicati, e a cui è urgente trovare una soluzione, è quello dei differenziali nelle rendite fra uomo e donna. Basta vedere i dati della Covip: i differenziali sono di 4-5 punti percentuali nella copertura salariale; se a tutto ciò si aggiungono salari per le donne mediamente più bassi e le questioni di cui parlavamo in precedenza (comprese le assenze per maternità), di quale diritto parliamo? Il lavoro atipico, stagionale e precario Qui si concentrano una grande quantità di problemi, che vanno dalla ricerca di una soluzione contrattuale adeguata e non penalizzante anche sul fronte dei costi (e quindi dei rendimenti) allo specifico del lavoro organizzativo: gli enti bilaterali possono, dove costituiti, rappresentare una sponda, a patto però che non vi siano difficoltà e ostacoli del padronato; ma comunque non è solo a questi che possiamo appellarci. Uno dei primi nodi è rappresentato da Artifond, il Fondo dei lavoratori e delle lavoratrici dell’artigianato: non possiamo pensare che tutto il risultato venga realizzato nelle poche regioni in cui da giugno è iniziata la raccolta delle adesioni. Più in generale occorrerà fare un punto sui destini dei lavoratori stagionali, che restano sempre troppo al margine delle discussioni. Il Mezzogiorno Il Sud, che più sconterà gli effetti della riforma previdenziale, fra le tante difficoltà si troverà anche quella della gran massa del lavoro nero, sommerso o sottopagato. Su questo, è chiaro, occorre una strategia più complessiva. Tuttavia, l’impegno messo nello sviluppo delle adesioni ai Fondi nel Mezzogiorno è troppo discontinuo e non si è fatto abbastanza neanche rispetto alle aziende che pure ci sono almeno per informare i lavoratori. Immigrazione da e verso l’Italia I lavoratori transfrontalieri I diritti della previdenza complementare vengono salvaguardati da una specifica direttiva europea. Anche sul piano generale ci sono questioni importanti da dirimere. Ad esempio, e in conclusione, l’equiparazione fiscale fra i vari paesi. SICUREZZA & SALUTE Come prevenire la fatica mentale? Le risposte in una guida ben fatta ladimensione mentale è una delle condizioni più importanti per il suo raggiungimento. All’opposto, la fatica può essere definita in generale come una condimo primario delle condizioni di malessere in cui si svol- zione di aumentato malessere e di ridotta efficienza ge il lavoro umano. Ma è estremamente importante dovuta a un’attività eccessiva o prolungata con riduche l’attenzione sulla salute nei luoghi di lavoro non si zione o perdita della capacità di rispondere agli stimoli limiti agli aspetti di salute fìsica. Gli antichi romani par- provenienti dall’ambiente esterno e dall’organismo. lavano di «mens sana in corpore sano». In realtà la di- Esistono tuttavia vari tipi di fatica in relazione agli apvisione tra mente e corpo rappresenta un artifìcio che parati che vengono maggiormente stimolati: la fatica non considera la loro stretta integrazione. Un super- muscolare, quella mentale, la fatica determinata da lavoro fisico influenza la mente così come un superla- una sovrasollecitazione di un apparato specifico, come la fatica visiva, indotta ad esempio da uso intenso voro mentale ha delle ripercussioni sul corpo. «Pesare il carico mentale per prevenire la fatica men- diVdt o strumenti di precisione o uditiva (da rumore). tale», di Silvana Salerno e Riccardo Tartaglia – trentu- Lafatica mentale è intesa come una riduzione temponodomande e relative risposte – è la prima guida su co- ranea di capacità mentale che dipende dall’intensità, meorientarsi per affrontare i problemi di salute men- durata ed evoluzione nel tempo dell’attività lavoratitale nel lavoro, realizzata nell’ambito di un progetto va e che può ripercuotersi sull’intero organismo. promosso da Inail, Ispesl, Iims e confederazioni sin- Isegnali di affaticamento mentale sono l’incapacità a dacali. Un opuscolo, gratuito e ben fatto, su un pro- concentrarsi, il cambiamento dell’umore (irritabilità, blema che rappresenta gran parte dei disagi attuali e aggressività, depressione), l’insonnia, l’incremento di che tuttavia non è ancora affrontato con l’attenzione abitudini dannose per la salute (eccessiva o scarsa alidovuta sia nei luoghi di lavoro che nella ricerca scien- mentazione, l’abuso di bevande alcooliche, di farmatifica, soprattutto in rapporto all’organizzazione, cioè ci, di fumo, di droghe ecc.), la maggiore frequenza di al modo in cui la progettazione delle attività produtti- infortuni in seguito alla ridotta vigilanza ecc. Come si può prevenire la fatica mentale? L’obiettive può influenzare la salute di chi le svolge. Il benessere mentale è quella condizione in cui esiste vo principale è quello di modificare le scelte e deciun buon livello di soddisfazione nel lavoro insieme a sioni organizzative per renderle adeguate al raguna soddisfacente qualità della vita senza squilibri ri- giungimento del benessere mentale, fisico e socialevanti dal punto di vista psico-fisico. Equilibrio, sere- le. L’analisi del lavoro organizzato può essere molnità, tranquillità, coscienza del proprio stato indivi- to utile nell’individuare le costrittività organizzative che possono determinare la faduale e sociale e allo stesso tempo cutica mentale, permettendo una ririosità e spirito di iniziativa rapprea cura di 2087 RLS progettazione del lavoro senza sentano gli ingredienti più importanIl mensile di formazione e informazione aspettare l’insorgere di disagi, diti. Certamente il benessere mentale per la sicurezza del lavoro, sturbi e malattie: un lavoro ergonon è uno stato, bensì un processo diedito dalla Edit.Coop. Articoli, inchieste nomico, cioè che si adatti all’uomo namico che non si raggiunge una volma anche corsi, schede tecniche, strumenti di formazione . E in più e alla donna e non viceversa. ta per tutte né è per tutti uguale, ma è fascicoli di approfondimento l’obiettivo verso cui si deve tendere coe di documentazione. Diego Alhaique stantemente. Un lavoro organizzato E-mail [email protected] che rispetti la salute umana anche [email protected] aggia accise ’e fatica» (mi sono ammazzato dalla fatica, in napoletano) non è che una del«M’ le molte espressioni dialettali che indicano un sinto- DIRITTO & LAVORO Riduzione di personale: senza i numeri giusti, stessa disciplina del licenziamento individuale per riduzione di personale si distinda quello individuale non per la sua motivazioIne,lguelicenziamento ma per il numero dei licenziati in un determinato arco di tempo. Se manca il requisito numerico, si applica la disciplina prevista per i licenziamenti individuali. È questo il principio affermato dalla sentenza della Cassazione 26 giugno 2001, n. 8777. I fatti sono i seguenti. Nell’ottobre del ’95 una casa di cura di Sulmona sottoscriveva con l’assessorato regionale alla Sanità un accordo in base al quale il numero dei posti letto veniva aumentato da 25 a 30. A fronte di quest’aumento, essa s’impegnava a mantenere inalterato l’organico. Successivamente venivano però licenziati tre dipendenti per generiche esigenze di ridimensionamento. I lavoratori impugnavano il licenziamento, chiedendo la reintegrazione e il risarcimento del danno. La domanda veniva accolta, in quanto la casa di cura non aveva provato di aver soppresso i posti di lavoro e di essere, comunque, nell’impossibilità di mantenerli altrimenti. Il giudice d’appello confermava questa decisione. La casa di cura proponeva allora ricorso per Cassazione, sostenendo, tra l’altro, che si era trattato di un licenziamento per riduzione di personale eseguito per necessità di ridimensionamento dell’organico e che, pertanto, non era tenuta a dimostrare la soppressione dei singoli posti né l’impossibilità d’impiegare in altro modo i lavoratori licenziati. on la sentenza sopra citata, la CasC sazione ha ritenuto che i giudici del merito avessero correttamente motivato la loro decisione, escludendo la configurabilità di un licenziamento per riduzione di personale, in base alla legge n. 223 del 1991. Questa legge, ha osservato la Corte, si applica a tutte le imprese che occupino più di 15 14 num. 29 - 31 luglio 2001 dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione d’attività o di lavoro (o per cessazione d’attività), intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito di una stessa provincia. Questo nuovo assetto normativo, introdotto in attuazione della direttiva Cee 75/129, ha determinato il superamento di ogni diversità ontologica tra licenziamenti collettivi e licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo e ha individuato i tratti distintivi del licenziamento collettivo in determinati presupposti numerico-temporali. dell’articolo 24 della legge n. 223/91 alIlelelriferimento ragioni che giustificano la riduzione del persona(«riduzione o trasformazione di attività o di lavoro», ovvero «cessazione di attività») non vuole individuare un presupposto di differenziazione qualitativa od ontologica rispetto ai licenziamenti individuali plurimi, trattandosi di una formula ampia, di portata onnicomprensiva delle ragioni inerenti l’impresa, ma è piuttosto finalizzato a evidenziare il necessario collegamento dei licenziamenti collettivi (ma che caratterizza anche i licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo) a motivi «non inerenti la persona del lavoratore». Ne consegue, allora, che solo il requisito numerico-temporale distingue il licenziamento collettivo da quello individuale plurimo per giustificato motivo oga cura di Rgl news gettivo. Pertanto, una volta accertata Per saperne di più puoi la sussistenza del presupposto nuconsultare la Rivista Giuridica del Lavoro e il merico-temporale, e una volta verifisuo notiziario, Rgl news, editi cato che la risoluzione del rapporto dall’Ediesse e presenti su Internet non è collegata a motivi inerenti la perall’indirizzo cgil.it/ediesse/rglnews/ sona del lavoratore, diventa ultronea L’indirizzo e-mail è: ogni ulteriore indagine per accertare [email protected] la ragione della riduzione di lavoro. UNIONE EUROPEA • I PROGRAMMI DELLA PRESIDENZA BELGA Sei mesi prima dell’euro Riconciliazione dei cittadini con l’Unione, Europa sociale e qualità del lavoro tra le priorità annunciate. Il premier belga sarà affiancato da un gruppo di saggi, di cui fanno parte Jacques Delors e Giuliano Amato. Positivo il giudizio della Ces PROGRAMMA Le priorità sociali del semestre «Verso l’Europa della solidarietà» è il titolo della pubblicazione, curata dai ministri belgi del Lavoro e della Protezione sociale Onkelinx e Vandenbroucke, che illustra le priorità sociali del semestre. Al primo posto figura l’occupazione, affrontata secondo due innovative priorità: la qualità degli impieghi e la partecipazione dei lavoratori alle trasformazioni economiche. L’obiettivo del pieno impiego dovrà cioè essere perseguito con riferimento alla sua qualità effettiva, da determinare con appositi indicatori (salute e sicurezza, conciliazione tra lavoro e vita familiare, parità, diritti sociali, e così via). In materia di partecipazione dei lavoratori l’impegno è per la definitiva adozione delle direttive su informazione e consultazione e sulla partecipazione dei lavoratori nella Società europea, assieme all’approfondimento della «Responsabilità sociale delle imprese». Le priorità del secondo capitolo, «Un’Europa socialmente giusta», sono la proposta di un accordo europeo sul futuro dei sistemi pensionistici, e un’azione contro la povertà e l’esclusione. Il capitolo «Parità donnauomo» illustra le priorità legislative, programmatiche (5° Programma europeo sulla parità) e di «Mainstreaming». Lo «Sviluppo dell’economia sociale», la cui priorità è l’approvazione dello statuto della Cooperativa europea, è inquadrato nella strategia dello sviluppo sostenibile. La lotta alle discriminazioni e la promozione dei diritti umani prevedono infine il monitoraggio della Carta dei diritti fondamentali («solida base» della futura Costituzione europea) e diverse iniziative contro il razzismo e tutte le forme di discriminazione. A. G. D all’inizio di luglio il testimone della presidenza dell’Unione è passato al Belgio, paese che si è impegnato affinché il nuovo semestre sia davvero un momento di svolta. Almeno due appuntamenti hanno già fissato le fortune della nuova presidenza: la coincidenza del definitivo passaggio all’euro, con la volata degli adempimenti conclusivi, e l’attesa dichiarazione di Laeken, ovvero la formalizzazione di un dibattito sull’avvenire dell’Europa, richiesto dal Consiglio europeo di Nizza in vista della nuova riforma istituzionale dell’Unione stabilita per il 2004. A queste due scadenze si sovrappongono altre opzioni e altri nodi: in primo luogo la garanzia che siano mantenute le tappe di un allargamento considerato «irreversibile» anche a Göteborg, ma condizionato dalla ratifica del Trattato di Nizza messa in discussione dal recente «no» del referendum irlandese. Presentando il programma al Parlamento europeo, il giovane premier belga Guy Verhofstadt, che guida la coalizione «arcobaleno» composta da liberali, socialisti e verdi, ne ha legato i capitoli principali a un comune obiettivo: la «riconciliazione» dei cittadini europei con l’Unione, ossia con le sue istituzioni e il suo avvenire. Una priorità è dunque costituita dall’euro: «Nulla – ha detto Verhofstadt – avvicinerà di più i cittadini che il fatto di disporre di una moneta unica». Ma il Belgio intende anche rilanciare il pacchetto di grandi misure economiche e finanziarie che avanza con fatica da un vertice all’altro. La «riconciliazione» passa poi attraverso la realizzazione dell’Europa sociale, secondo «punto di forza» di un’agenda che rivolge particolare attenzione alla qualità del lavoro, ai diritti di informazione e consultazione dei lavoratori, al rilancio del dialogo sociale, ma anche al delicato nodo della riforma dei sistemi pensionistici (vedere box a lato). Il terzo asse è la realizzazione dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, in altre parole l’attuazione degli impegni assunti a Tampere nel 1999, durante la presidenza finlandese dell’Unione europea, in direzione di una comune politica europea in materia di immigrazione, di asilo e di coordinamento di polizia e di assetti giudiziari. Il quarto capitolo tocca le questioni della qualità della vita, legata al rispetto dei Protocolli di Kyoto ma anche a una serie di temi ecologici, a partire dal rispetto dell’ambiente e dalla salute alimentare. La quinta linea di forza è l’allargamento dell’Unione europea, di cui vengono riconfermati tappe e impegni, assieme a uno sviluppo coerente della politica estera e di difesa comune. Per quanto riguarda la Dichiarazione di Laeken, cioè il documento che dovrà riannodare le fila del dibattito aperto sull’avvenire dell’Europa, si tratta di rilanciare la dimensione sociale e politica di un sistema la cui identità appare annebbiata dal «garbuglio di istituzioni e di strumenti». Secondo la presidenza belga la riflessione dovrebbe partire da un’analisi che riconosca le attuali debolezze (mancanza di trasparenza, di legittimità democratica, ecc.), per passare alle risposte possibili in termini di ripartizione di competenze (europee, nazionali e regionali) e di finanziamento dell’Unione, anche attraverso un’eventuale imposta europea e un riaggiustamento di poteri e competenze della Commissione, del Parlamento e del Consiglio. Il tutto nella prospettiva di giungere a una Costituzione europea, di cui la Carta dei diritti fondamentali dovrebbe costituire la parte introduttiva. Per iniziare al meglio questo lavoro, Verhofstadt si è dotato di un gruppo di «saggi», tra i quali figurano personaggi del calibro di Jacques Delors e Giuliano Amato. Visto il programma, il calendario della Presidenza è fitto da «Sozialismus» di impegni. Il Consiglio informale degli Affari sociali, tenutosi lo scorso 6 luglio, è stato il primo dei tre appuntamenti consacrati alle priorità del lavoro e delle politiche sociali. A metà semestre è previsto un vertice a Gand. Il 13 e 14 dicembre, infine, si terrà il Consiglio europeo a Laeken, sobborgo di Bruxelles ove ha sede il palazzo reale. L’ambizione del programma è «all’altezza del momento storico di cui siamo testimoni», hanno tenuto a sottolineare i principali gruppi parlamentari europei. Anche la Commissione europea non nasconde l’identità di vedute rispetto ai grandi cantieri aperti e alla preoccupazione di «riconciliare» i cittadini con l’Europa, come ha sottolineato Romano Prodi in un intervento davanti al Parlamento europeo. Da parte sua la Confederazione europea dei sindacati, assieme alle due confederazioni belghe Csc e Fgtb, aveva già presentato lo scorso giugno al governo belga un memorandum di proposte e di richieste, centrate sulla qualità dell’occupazione, sulla protezione sociale, sui diritti di informazione e di consultazione dei lavoratori, oltre che sull’avvenire dell’Europa e del suo modello sociale. ANTONIO GIACCHE’ VERTICE SINDACALE A GENOVA • TUTELA DEI DIRITTI E GLOBALIZZAZIONE 8 grandi e miliardi di deboli S ono oltre 1300 i sindacalisti provenienti da tutto il mondo che riempiono fino all’inverosimile il cinema Augustus di Genova. Sono qui per partecipare al convegno internazionale del 18 luglio promosso da Cgil, Cisl e Uil, insieme alla Cisl internazionale e alla Ces, in occasione del G8. Ci sono, per citare solo alcune sigle, la Cut e Força Sindical del Brasile, l’AflCio statunitense, la canadese Clc, la tedesca Dgb, la Fitur russa, la nipponica Rengo. Gli interventi sono tutti incentrati sui contenuti della globalizzazione e sul G8, ma i leader sindacali del sud del mondo non si lasciano andare a una fin troppo facile retorica della «solidarietà compassionevole». A nome del Genoa social forum, organismo di cui fanno parte 800 associazioni, ong e strutture sindacali, interviene al convegno anche Vittorio Agnoletto, il quale invita le confederazioni sindacali ad aderire alla manifestazione del 21 luglio. «Va ostacolato – afferma – il tentativo di contrapporre la realtà del lavoro regolare e organizzato alla moltitudine dei poveri. Per questo chiediamo ai sindacati di lottare con noi per l’affermazione dei diritti umani». All’invito risponde Sergio Cofferati, segretario generale della Cgil, sostenendo che «le diverse articolazioni con cui si è deciso di manifestare a Genova in maniera pacifica e democratica sono una ricchezza e non un limite. Occorre che sia garantito il diritto di manifestare, assumendoci ognuno le proprie responsabilità. Cosa che il sindacato ha sempre fatto». Emilio Gabaglio, segretario generale della Ces, ricorda due date importanti: la prima è quella di due anni fa, quando a Helsinki la Ces votò la sua adesione alla Tobin tax, uno strumento (non l’unico, ma uno dei più efficaci) per combattere le speculazioni finanziarie. La seconda è il 13 dicembre di quest’anno, quando si svolgerà l’assemblea generale della Confederazione e si farà una verifica sulle «promesse» della globalizzazione. «La nostra lotta per i diritti fondamentali – aggiunge Gabaglio – non rappresenta un aspetto marginale nel contesto 15 num. 29 - 31 luglio 2001 DA BRUXELLES A. G. GENERAL ELECTRIC E HONEYWELL LA COMMISSIONE DICE NO ALLA FUSIONE Dopo un’inchiesta durata qualche mese, che ha coinvolto anche il Dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti, la Commissione europea ha formalizzato il proprio no alla proposta di acquisizione della Honeywell lanciata dalla General Electric, bloccando così l’ipotesi di fusione fra i due colossi americani dell’avionica e della componentistica. Le ragioni di questa decisione stanno nella posizione dominante della General Electric sul mercato, che l’apporto finanziario e produttivo della Honeywell (principale fornitore di prodotti chiave, come i motori a reazione) avrebbe reso ancora più evidente. Furiose sono state le reazioni d’oltre Atlantico, anche a livello governativo, che parlano di guerra commerciale contro le imprese americane e già minacciano ritorsioni. In realtà, come ha pacatamente chiarito il Commissario europeo Mario Monti, la Commissione non ha fatto che applicare le norme europee vigenti, che a partire dal 1990 le affidano la vigilanza sulle concentrazioni di imprese con una cifra d’affari globale superiore ai 5 miliardi di euro, di cui almeno 250 all’interno dell’Unione europea. Scopo di tali norme è appunto quello di scongiurare la formazione di posizioni dominanti di imprese all’interno dei mercati dell’Unione europea. della globalizzazione. L’internazionalismo sindacale è sempre stato uno dei pilastri della nostra storia, e deve continuare a esserlo anche instaurando un rapporto positivo con i nuovi soggetti della società civile. La verifica delle convergenze e delle divergenze con tali soggetti dev’essere intesa come un dialogo costruttivo per l’affermazione della globalizzazione dei diritti». Bill Jordan, segretario generale della Cisl internazionale, ricorda che nessuna delle promesse fatte sette anni fa al G7 di Napoli, presieduto anche allora da Silvio Berlusconi, è stata mantenuta. «La Banca mondiale, l’Fmi e gli altri organismi delle Nazioni Unite – argomenta Jordan – non hanno combattuto la povertà e le disuguaglianze, ma hanno ferito di più proprio i paesi svantaggiati che dovevano aiutare. Ciò che noi proponiamo è che in ogni normativa sia sempre compreso un insieme di regole a tutela dei diritti umani fondamentali». DANIELA BINELLO