29
31 LUGLIO 2001
ANNO XLVII • NUMERO
SETTIMANALE DI POLITICA ED ECONOMIA SOCIALE
I GIORNI DEL G8 • LA PREOCCUPAZIONE DELLA CGIL
IL PUNTO
Violenza: una spirale
che va fermata
LA MORTE DI CARLO
Un ragazzo
come tanti
Spedizione in abbonamento postale 45% art.2 comma 20/B legge 662/96. Filiale di Roma. L. 3.000 - Euro 1,55
Noi non sappiamo perché
Carlo Giuliani si sia trovato con quell’estintore in mano il pomeriggio del 20 luglio. E, come dice amaramente suo padre Giuliano,
da anni nostro prezioso collaboratore, non possiamo
più chiederglielo.
Ma sappiamo che Carlo
non era quello che è stato
definito su tutti i giornali
all’indomani: un barbone,
un punkabbestia, uno
sbandato.
No, Carlo era un ragazzo
sensibile. Odiava le ingiustizie, lavorava per Amnesty
international. Aveva problemi, grandi e piccoli, come molti suoi coetanei. Faceva tanti piccoli lavori, qui
e là, dove capitava. Era un
ragazzo come tanti.
A Giuliano e alla sua famiglia l’abbraccio forte di tutti noi di Rassegna.
Gli avvenimenti che hanno
contrassegnato il vertice di Genova hanno fatto passare in secondo piano i temi al centro
dell’agenda del G8 e anche gli
scarsi risultati che questo vertice, come del resto gli ultimi,
ha prodotto. Questo giornale
non è solito aprire con documenti ufficiali, ma in questa
circostanza abbiamo pensato
che, data la gravità dei fatti di
cui Genova è stata testimone,
fosse necessario fare un’eccezione, pubblicando questa nota della segreteria della Cgil.
L
a segreteria della
Cgil esprime il proprio cordoglio alla
famiglia Giuliani,
formula gli auguri di
pronta guarigione a
tutti i feriti e solidarietà ai cittadini di
Genova. Giudica
gravissimi gli avvenimenti di questi giorni che
hanno insanguinato e devastato la città.
Gli ordigni esplosi o provvidenzialmente neutralizzati,
disseminati in varie città; la
guerriglia urbana scatenata da
migliaia di violenti ed eversori; il comportamento delle forze dell’ordine sia nella fase di
prevenzione che in quella di
gestione della piazza, a partire dalla mancata garanzia per
decine di migliaia di manife-
stanti di sfilare pacificamente
in corteo, fino alla brutale irruzione nella sala stampa del
Genoa Social Forum e nella
scuola adibita ad accoglienza,
consegnano un quadro allarmante, le cui conseguenze ri-
Bonus:
Formigoni
fa scuola
schiano di proiettarsi anche
nel prossimo futuro.
Innanzitutto, occorre confrontarsi con il tema della violenza e dell’eversione, che viene riproposto dagli ultimi avvenimenti. Rispetto al ritorno
del metodo della violenza nessuna sottovalutazione o indulgenza è possibile: da qui la
nostra netta condanna e il nostro impegno di lotta per combatterla e isolarla in tutte le situazioni in cui si manifesta; così come è necessario che ogni
forza politica e sociale, comprese le singole organizzazioni che fanno parte del Gsf, assumano posizioni e comportamenti rigorosi e privi di ogni
ambiguità.
Chiunque pensi di attaccare
la democrazia e la convivenza civile deve sapere che il movimento sindacale sarà sempre in prima fila per contrastarli e per impedire che il loro delirante disegno possa
realizzarsi.
L’azione delle forze di sicurezza non è stata all’altezza
SEGUE A PAGINA 2
▼
GLOBALIZZAZIONE • IL MESSAGGIO DI NELSON MANDELA AI SINDACATI
GENOVA • IN CORTEO CON I SINDACALISTI
Il secolo degli esseri umani
Piazze a rischio
globale opprime miliardi di cittadini del mondo, che sono privati dei loro diritti sociali ed economici. Come accadde nel caso dell’apartheid
in Sud Africa, una minoranza prospera e gode di
ricchezza oscena, come risultato diretto dell’eNelson Mandela
strema miseria e dell’oppressione della grande
sindacati in Italia e in altri paesi del mondo maggioranza. Allo stesso tempo, la stragrande
hanno svolto un ruolo vitale nella lotta per li- maggioranza delle persone rimane povera e priberare il Sud Africa dal giogo dell’oppressione e va di potere, intrappolata in una miseria degradell’apartheid. Il movimento sindacale conti- dante, uccisa a milioni da malattie che si possonua a dare un contributo magnifico alla lotta per no prevenire, mutilata da bombe e fucili, sfruttata come manodopera infanliberare l’umanità dalla povertà,
ALL’INTERNO
tile o carceraria, e i diritti umadalla malattia e dall’ignoranza
ni fondamentali vengono nee per costruire un mondo migati. Questa lista potrebbe congliore in cui tutti noi camminetinuare all’infinito. Invece di riDPEF
remo con orgoglio, rivendicandursi, le diseguaglianze si stando la nostra proprietà collettiva
QUELLO CHE NON VA
no aggravando. Invece di ridurdelle risorse del mondo.
PUNTO PER PUNTO
si, la povertà sta crescendo. InUomini e donne onorabili sono
pag.
vece di fare un uso più razionauniti nell’affermare che la glole e sostenibile delle risorse del
balizzazione deve essere al sermondo, si sta aggravando la miFONDI PENSIONE
vizio di tutti i cittadini del monnaccia al nostro pianeta. Tutto
do. Tutti noi vediamo con orroL’AGENDA
ciò sta producendo un movire che, entrando nel 21° secolo,
DELLA CGIL
il mondo è profondamente dipagg.
viso da una nuova forma di
SEGUE A PAGINA 2
apartheid. Questo apartheid
Quello che segue è l’intervento inviato dal leader
sudafricano al convegno internazionale dei sindacati a Genova il 18 luglio
I
5
10 -11
▼
Daniela Binello
C
inquemila tra metalmeccanici e delegati di diverse strutture della Cgil hanno
raggiunto Genova il 21 luglio
per prendere parte alla manifestazione internazionale indetta dal Genoa social forum,
a cui hanno aderito ottocento associazioni per protestare
contro i «grandi» riuniti nel capoluogo ligure per il G8 e contro la globalizzazione. Claudio Sabattini, segretario generale della Fiom, molti segretari e dirigenti regionali e
provinciali di Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna,
Campania, Puglia, Abruzzo,
Molise, Veneto, Lazio, Liguria, Sicilia sono arrivati insieme alle rispettive delegazioni
con pullman e treni speciali.
Un sole rovente ha irradiato
tutto il giorno una città angosciata dal lutto per l’assassi-
nio di Carlo Giuliani, il ventitreenne figlio di Giuliano, ex
segretario generale della Funzione Pubblica ligure. Nel corteo vengono distribuite fascette nere da mettere al braccio in segno di lutto.
La notizia dell’uccisione di
Carlo ha fatto il giro del mondo gettando una luce oscura
su questo G8 su cui tanto aveva puntato il governo Berlusconi per migliorare la sua immagine a livello internazionale. Ma quando i cinquemila si radunano, all’interno di
un corteo che arriverà a ingrossarsi fino a due-trecentomila persone, ancora non sanno che anche il sabato finirà
di nuovo tragicamente. Le «tute nere» del Black Bloc, gruppi marginali e professionisti
della provocazione, riescono
SEGUE A PAGINA 3
▼
La decisione del governo di
centro-destra di ritirare il ricorso presentato alla Corte costituzionale dal precedente
esecutivo contro la delibera
della giunta regionale Lombarda sui buoni scuola merita ancora qualche riflessione.
La decisione sottrae al giudizio della Corte una norma palesemente in contrasto con la
Costituzione, perché rappresenta un ulteriore atto nella
direzione della privatizzazione del sistema scolastico attraverso la riduzione delle risorse destinate alla scuola
pubblica e a chi la frequenta.
Attraverso il riconoscimento
delle sole spese per le rette e
il funzionamento della scuola vengono di fatto escluse dal
contributo le famiglie che
iscrivono i propri figli alle
scuole statali, visto che nelle
scuole di Stato le spese di funzionamento sono a carico degli enti locali e l’iscrizione generalmente non supera mai la
quota di 150.000 lire. Al danno della decisione governativa si è aggiunta un’ulteriore
beffa. Su 92 miliardi previsti
per il buono scuola ne sono
stati utilizzati solo 67 e nessuna delle pochissime domande che proviene da genitori i cui figli frequentano le
scuole pubbliche verrà accolta. La Regione ha respinto la
proposta presentata dalle opposizioni di utilizzare i 25 miliardi inutilizzati per ampliare il diritto allo studio, che si
rivolge a tutti ma può oggi contare su soli 13 miliardi. Formigoni ha invece deciso di destinare questa somma per ridurre il disavanzo del bilancio regionale, che deriva, principalmente, dalle scelte di privatizzazione nella sanità.
Cgil, Cisl e Uil scuola della
Lombardia si sono impegnate a riprendere una diffusa iniziativa nelle scuole finalizzata a contrastare la delibera che
la giunta dovrà ripresentare
per il prossimo anno scolastico. Tuttavia, le proposte di
regionalizzazione del sistema
scolastico previste nel ddl sul
federalismo di Bossi, o quelle comprese nei progetti di
riforma a cui si ispira il ministro Moratti, unitamente alla
generalizzazione del buono
scuola, richiedono una mobilitazione che coinvolga l’intero sindacalismo confederale.
WOLFANGO PIRELLI
Segretario Cgil scuola
Lombardia
LA SETTIMANA • CHI COSA QUANDO
Settimanale della Cgil
Via dei Frentani 4/a,
00185 Roma
tel. 06/448881
fax 06/4469008
E-mail [email protected]
Comitato editoriale
Aris Accornero, Patrizio Bianchi,
Mario Centorrino, Claudio De Vincenti,
Fiorella Farinelli, Giorgio Ghezzi, Enzo
Rullani, Giorgio Ruffolo, Bruno Trentin
Comitato scientifico
Piergiovanni Alleva, Giovanna Altieri,
Romano Benini, Adolfo Braga,
Lorenzo Birindelli, Bruno Broglia,
Mimmo Carrieri, Anna Catasta,
Marco Causi, Marida Cevoli,
Francesco Ciafaloni, Giancarlo Corò,
Giuseppe D’Aloia, Patrizio Di Nicola,
Claudio Falasca, Renato Fontana,
Francesco Garibaldo,
Antonio Giancane, Sandro Guerrieri,
Paolo Inghilesi, Beniamino Lapadula,
Giorgio Lunghini, Paola Manacorda,
Saul Meghnagi, Maria Luisa Mirabile,
Guido Moltedo, Edwin Morley-Fletcher,
Daniele Pace, Stefano Palmieri,
Stefano Patriarca, Ida Regalia,
Vittorio Rieser, Antonio Ruda,
Franco Sborgi, Patrizia Schifano,
Riccardo Terzi, Bruno Ugolini
Direttore responsabile
Enrico Galantini
Redazione
Anna Avitabile, Luigi Bonessio,
Patrizia Ferrante, Carlo Gnetti,
Mayda Guerzoni, Roberto Greco,
Marina Iacovelli, Guido Iocca,
Stefano Iucci, Giovanni Rispoli
Per la parte tecnica
Pierluigi Pinna
Collaboratori
Giliola Aleotti, Diego Alhaique,
Lisa Bartoli, Nedo Bocchio, Gianfranco
Brevetto, Federica Buroni, Carlo Casali,
Daniela Ciralli, Antonio Giacchè,
Giuliano Giuliani, Paola Guidetti,
Fernando Liuzzi, Maurena Lodi, Marco
Masi, Antonio Morandi, Sergio Vacirca,
Alessandro Valentini, Nicoletta
Villani, Maria Teresa Zangara
Segreteria
Gianfranco Mancini
Progetto grafico
Roberto Pavan
20 LUGLIO
POSTE: OK PER IL FONDO
MA IL 31 SI SCIOPERA
Come le banche, anche le poste avranno un Fondo per gli
esuberi. Ma, nonostante l’accordo siglato da azienda e 5
organizzazioni sindacali (non
ha firmato la Cisl, che comunque ha espresso un assenso in
linea di massima) la protesta
contro gli esuberi va avanti:
per il 31 luglio Cgil, Cisl, Failp
Cisal e Confsal Saip hanno
confermato lo sciopero di 24
ore; non si sono uniti al blocco
Ugl e Uil. «Scioperiamo contro
il taglio di 9.000 unità – dice
Piero Leonesio, della Slc Cgil –.
Per il resto, il nostro giudizio
sul piano d’impresa che scade
nel 2002 è positivo». La trattativa, comunque, continua fino
al 9 agosto: dopo quella data,
se non si sarà raggiunto un accordo, i sindacati sposteranno
la trattativa al ministero del
Lavoro. Grazie al Fondo esuberi, i postali vicini al pensionamento potranno uscire beneficiando di un assegno
equivalente alla pensione netta cui avrebbero diritto se
avessero maturato i requisiti
minimi. L’assegno sarà erogato dall’Ipost (l’Istituto di previdenza dei postelegrafonici),
coperto con risorse solo aziendali e avrà una durata massima di 5 anni.
18 LUGLIO
CHIMICA ED ENERGIA: VIA
LIBERA ALLE PIATTAFORME
Dall’assemblea unitaria dei
delegati Filcea, Flerica e Uilcem arriva il via libera alle
piattaforme per il rinnovo dei
contratti della chimica e dell’energia. Per quest’ultimo set-
Falsoinbilancioecooperative:èscontro
Scontro durissimo in aula sulla riforma del diritto societario. Governo e opposizione hanno affilato le armi nella riunione congiunta
delle commissioni Finanze e Giustizia della Camera che ha licenziato il provvedimento delega all’esame dell’aula a partire dal 27 luglio.
Due i capitoli su cui si è consumata la rottura:
la revisione dei reati societari (art. 10) e il nuove regime fiscale da applicare alle cooperative
(art. 5). Nel disegno di legge Mirone-Castelli, il
reato di falso in bilancio viene praticamente
riscritto. Il «falso in sé», che non prevede danni a soci e creditori, è punito con l’arresto fino
aun anno e sei mesi. In caso di danno, se la società non è quotata in Borsa la pena va da sei
mesi a tre anni, ma si procede solo a querela di
parte; se la società è quotata, la pena sale da
uno a quattro anni. Per il centro-sinistra, si
tratta del «primo vero colpo di spugna per Berlusconi», accusato di falso in bilancio in tre processi. «Una situazione assurda – ha spiegato
Beffe Fanfani, della Margherita – anche perché con questo provvedimento si dà la delega
al governo a definire le fattispecie criminose
di processi in cui è imputato il presidente del
Consiglio».
Quanto alle cooperative, l’articolo 5 ha l’obiettivo di «incentivare la trasformazione delle cooperative in società lucrative». Per Ivano
Barberini, presidente della Legacoop, si tratta di un provvedimento anticostituzionale: «La
nostra Costituzione – ha detto – impegna lo
Stato a favorire lo sviluppo della cooperazione a base mutualistica senza fini di lucro». Duro anche il giudizio della Confcooperative: «Avviene la liquidazione dell’esperienza cooperativa – ha commentato il presidente Luigi Marino –, demolendo, in altre parole, un fattore
di occupazione e sviluppo. Le vere cooperative verrebbero infatti relegate in spazi marginali». Sull’articolo 5, comunque, la maggioranza non è compatta: Luca Volontè (CdcCdu)ne ha chiesto lo stralcio e la stesura di un
testo unico «per riportare la figura del socio lavoratore e l’aspetto mutualistico delle cooperative al loro significato originario».
retributivi coerenti con l’accordo di luglio.
tore, l’intesa che si andrà a firmare – spiega Franco Farina,
segretario nazionale Filcea –
dovrà completare il processo
di unificazione dei contratti
energia Eni e petrolio privato.
In primo piano, tra le altre rivendicazioni la formazione, la
riduzione oraria per i turnisti e
il consolidamento dell’esperienza del conto ore. In generale, il governo degli orari dovrà servire a incrementare
l’occupazione. Quanto alla
chimica, i punti salienti della
piattaforma sono: ambiente e
salute, ampliamento della
contrattazione aziendale e territoriale, governo degli orari e
normative specifiche per le alte professionalità.
I lavoratori di chimica ed energia chiedono, infine, aumenti
18 LUGLIO
MORATTI ATTO SECONDO:
30.000 ASSUNZIONI
Il ciclone Moratti non si ferma.
Dopo la sospensione della
riforma dei cicli scolastici e l’equiparazione tra precari della
scuole privata e pubblica il ministro decisionista non si ferma e annuncia l’assunzione,
da subito, di 30.000 docenti
per l’anno scolastico 2000-01,
con decorrenza giuridica dal
31 agosto. Quindicimila saranno reclutati dalle graduatorie
permanenti, l’altra metà da
quelle dei concorsi ordinari.
Queste assunzioni si sommano alle 10.000 relative all’anno
scolastico 2000-2001 e sbloccate nei giorni scorsi da un decreto dal governo. Secondo
Enrico Panini, segretario della
Cgil scuola, «le assunzioni per
il 2001-02 non rappresentano
una novità, bensì la conferma
dell’entità dei posti già previsti
dallo scorso anno».
18 LUGLIO
POSTE: CONTRATTO
PER LE IMPRESE D’APPALTO
Assoposte e Cgil, Cisl e Uil
hanno raggiunto l’accordo per
il rinnovo del contratto di lavoro dei lavoratori delle imprese di appalto del trasporto
postale. Un contratto scaduto
il 31 dicembre ’98 e il cui rinnovo è stato particolarmente
difficile per la grave crisi di un
settore esposto a profonde
riorganizzazioni. Le Poste italiane hanno infatti ridotto in
maniera consistente la quantità di lavoro in appalto.
Gli aumenti retributivi rispettano la logica del protocollo di
luglio, con 50.000 lire d’aumento al terzo livello a partire
dal 1° luglio 2001 e altre 40.000
dal 1° novembre 2002. A compensazione del pregresso ci
sarà una una tantum di
700.000 lire in tre rate, mentre
l’indennità di trasporto (che
interessa l’80% degli addetti)
sale a 20/25.000 lire mensili. Il
contratto introduce, in via
sperimentale, l’orario multiperiodale, mentre sul fronte
del mercato del lavoro vengono regolamentati part-time,
interinale e apprendistato.
17 LUGLIO
TELECOM: LE ASSEMBLEE
APPROVANO L’ACCORDO
Le assemblee dei lavoratori
hanno approvato con il 75%
dei consensi l’intesa su premio
di risultato e norme di raccordo per i lavoratori Telecom. «Si
recupera così, positivamente –
ha detto Fulvio Fammoni, segretario generale Slc Cgil – attraverso la contrattazione tra le
parti, un meccanismo di unilateralità aziendale legato all’applicazione delle precedenti
norme». Le nuove norme di
raccordo migliorano i trattamenti per infortunio e ricovero
ospedaliero, introducono
meccanismi più favorevoli sulle maggiorazioni nella fascia
oraria 20-22. Il premio di risultato per il 2000 prevede un importo medio annuo di 3 milioni. Viene innalzata la quota di
Telemaco, il Fondo di previdenza complementare.
Illustrazioni
Anna Keen
• I giorni del G8 / La spirale della violenza •
Casa Editrice
Edit. Coop.,
Cooperativa di giornalisti a rl,
Via dei Frentani 4/a, 00185 Roma
Iscritta al reg. naz. Stampa
al n.4556 del 24/2/94
Presidente del Consiglio
d’amministrazione
Tarcisio Tarquini
Proprietà della testata
Ediesse Srl
Abbonamenti
Annuo lire 130.000
(lire 80.000 per gli iscritti Cgil)
estero lire 280.000;
ccp n. 42445007, intestato a:
Rassegna Sindacale,
via dei Frentani 4/a, 00185, Roma
Ufficio abbonamenti
06/44888201/228
Fax 06/44888222
Pubblicità
Edit. Coop, via dei Frentani 4/A
06/44888223
Comunicazione e Marketing
Mael
Tel. 02/76007076
Telefax 02/795410
Stampa
Stabilimento Grafico Editoriale
Fratelli Spada Spa
Via Lucrezia Romana, 60
Ciampino, Roma
Chiuso in tipografia: lunedì 23 luglio
Associato all’Uspi
Unione Stampa Periodica Italiana
Iscritto al n. 13.101 del registro delle
pubblicazioni periodiche del tribunale
di Roma il 28 novembre 1969
da pag.1
della situazione. In un paese
civile non sono accettabili da
parte delle forze dell’ordine
improvvisazione, incapacità
di prevenzione, errori di valutazione dei reali obiettivi di chi
pratica violenza, poiché rendono inefficace e controproducente il loro stesso agire ed
espongono tanti lavoratori di
polizia e carabinieri a situazioni di rilevante pericolo; così come non sono sopportabili interventi come quelli di sabato sera, la cui fondatezza ed
efficacia, oltre alla inaudita
brutalità con cui vengono eseguiti, dovrà essere stabilita dalla magistratura.
Si pone quindi il problema delle garanzie costituzionali, seriamente messe in discussione sabato sera e che, invece,
devono essere garantite in
qualsiasi situazione. Spetta, innanzitutto, ai prefetti di tutte
le città garantire concretamente l’esercizio delle libertà
costituzionali che sono a fondamento della democrazia di
questo paese e della sua convivenza civile.
Sui temi politici al centro dell’agenda del G8, completamente oscurati dalla violenza
di piazza, il giudizio della Cgil
è negativo. Da un lato, si è an-
• Mandela / Il secolo degli uomini •
cor più evidenziata l’inefficacia di tale appuntamento
quando in discussione vi sono temi che riguardano popoli e stati diversi da quelli lì
rappresentati, dall’altro, le
scelte compiute, improntate
a una generica solidarietà
compassionevole, si fermano
a una soglia assolutamente insufficiente rispetto a quella
che la drammaticità dei problemi richiederebbe. Il sindacato conferma pertanto la
propria piattaforma – in tema
di diritti universali, sviluppo
sostenibile, ambiente, cancellazione del debito, lotta alle epidemie e malattie endemiche, tobin tax o soluzioni
equivalenti, riforma delle sedi e strumenti di regolazione
della globalizzazione – illustrata al presidente del Consiglio e proseguirà l’iniziativa,
anche in rapporto con gli altri sindacati del mondo, affinché essa possa positivamente concretizzarsi.
La segreteria della Cgil ha concordato con Cisl e Uil di invitare le loro strutture a promuovere delegazioni sindacali presso le prefetture per
presentare, in quella sede, le
valutazioni delle organizzazioni sindacali sulla necessità
del rispetto delle regole costituzionali e sull’esigenza irrinunciabile di prevenire ogni e
qualsiasi forma di violenza.
da pag.1
mento internazionale crescente di persone e organizzazioni, che vogliono vedere una gestione
più equa e razionale degli affari del mondo.
Dirigenti e cittadini da tutto il mondo seguiranno insieme quest’anno le discussioni del G8 con
un’attenzione tutta particolare. Chiederanno al
G8 concrete proposte politiche e programmi, e
risposte al grido di quanti vengono emarginati
dalla globalizzazione.
Io rimango sostenitore della necessità di riorientare l’Organizzazione mondiale del commercio e le altre istituzioni delle Nazioni Unite per garantire condizioni di equità nel commercio fra le nazioni del mondo; di assicurare
la cancellazione del debito dei paesi poveri altamente indebitati; di garantire una profonda
riforma della nostra architettura finanziaria internazionale attraverso la trasformazione delle istituzioni di Bretton Woods; di promuovere, infine, i diritti fondamentali del lavoro mediante una dinamica interazione fra l’Organizzazione internazionale del lavoro e l’Omc. Il sostegno a queste posizioni da parte del movimento internazionale dei lavoratori non deve
limitarsi alla questione dei diritti dei lavoratori, ma estendersi alla necessità di tenere conto
delle preoccupazioni dei paesi in via di sviluppo per l’eliminazione degli squilibri creati dai
processi di globalizzazione.
Elemento importante di questa riforma globale
è un necessario pacchetto di misure attive per
eliminare il grave deficit commerciale esistente
fra paesi del Nord e del Sud. Io sostengo pienamente l’appello perché un nuovo round dell’Omc affronti queste questioni dello sviluppo.
È necessaria una migliore cooperazione con i
gruppi per i diritti umani e altre Ong progressi-
2
num. 29 - 31 luglio 2001
ste così come con i sindacati, per assicurare una
protezione ambientale adeguata per tutti. A
questo riguardo, ai paesi e alle imprese che hanno causato degrado ambientale dovrebbe essere richiesto di riparare questa eredità storica. In Sud Africa, per esempio, migliaia di persone soffrono di malattie causate dall’estrazione mineraria d’amianto. La stessa situazione esiste in Brasile e in molti altri paesi con miniere d’amianto. Questa situazione deve essere corretta dai governi per garantire che l’umanità non venga trattata come merce a disposizione della ricerca del profitto.
Oggi il mondo ha l’opportunità di investire per
arginare la diffusione dell’epidemia di Hiv/Aids.
Dobbiamo lodare molti paesi del Nord, e alcuni del Sud, per la loro celere azione per educare i loro cittadini sulle misure preventive e per
rendere disponibili assistenza medica e terapie. Come sapete, la nostra gente in Africa e in
generale la comunità di nazioni nel Sud e in via
di sviluppo hanno di fronte una catastrofe di
dimensione indicibile. Molti bambini innocenti
muoiono per la trasmissione del virus dalle loro madri quando sono ancora allo stato fetale,
e questo potrebbe essere evitato. Molti poveri
muoiono perché non possono acquistare farmaci retrovirali o medicine per il trattamento
della meningite e delle altre malattie connesse. Una delle sfide critiche che abbiamo di fronte è quella di garantire che le persone affette abbiano accesso, a condizioni possibili, ai medicinali per l’Hiv/Aids.
Io confido che se tutti noi, come individui e guidati dalle nostre organizzazioni, ci impegniamo
per la creazione di un mondo migliore, il bene
trionferà sul male. Dichiariamo, tutti insieme,
questo secolo un secolo contro la povertà, contro la fame e contro la mancanza di speranza.
Facciamone il secolo degli esseri umani, il secolo dell’equità e della giustizia.
LA POLEMICA
METALMECCANICI • AL VIA LA RACCOLTA DELLE FIRME PER IL REFERENDUM
Tante adesioni
fabbrica per fabbrica
Avventuristi
Il nodo di fondo è quello della sovranità dei lavoratori sulla contrattazione
A
vete mai sentito parlare della Carrozzeria Barbi? Probabilmente no. Eppure, è
un nome da mandare a memoria. Perché
qui, in questa piccola azienda emiliana,
è stato raggiunto quello che, per ora, è un
record relativo alla raccolta firme lanciata dalla Fiom tra i lavoratori delle imprese che applicano il contratto Federmeccanica. All’appello della Fiom hanno infatti risposto positivamente 70 dipendenti
su 75, pari al 93,3% degli addetti. Ma che cosa hanno detto, con questo gesto, i lavoratori della fabbrica modenese? Hanno accettato, nella loro stragrande
maggioranza, di apporre la propria firma in calce a
un testo che, nella rigorosa e involuta secchezza di
un linguaggio che sta a metà tra il politico e il giuridico, recita così: «Noi sottoscritti, lavoratori dipendenti delle aziende che applicano il Ccnl Federmeccanica-Assistal, siamo contro l’accordo separato, siglato da Federmeccanica e da Fim-Cisl e UilmUil: per questo intendiamo indire il referendum, come previsto dagli accordi unitari di Fim, Fiom, Uilm
nazionali, e, insieme, rilanciamo la necessità di una
legge sulla rappresentanza che vincoli la contrattazione al referendum delle lavoratrici e dei lavoratori sia per la piattaforma rivendicativa sia per la validazione conclusiva degli accordi». Come si vede, si
tratta di un testo che, in sostanza, contiene un no e
due sì: no all’accordo separato del 3 luglio scorso, sì
al referendum che consenta ai metalmeccanici di
approvarlo o di respingerlo, sì, infine, a una legge
che renda ineludibile il ricorso al voto dei lavoratori su piattaforme e accordi.
Con la raccolta di firme partita lunedì 16 luglio, la
Fiom non chiede, insomma, alle metalmeccaniche
e ai metalmeccanici un consenso più o meno generico alla propria linea contrattuale ma, innanzitutto, di prendere posizione rispetto a una questione da lungo tempo irrisolta: quella della sovranità
dei lavoratori sulla contrattazione. Si tratta quindi
di un’iniziativa di politica sindacale che, per avere
successo, deve andare necessariamente oltre i confini dell’organizzazione, ovvero oltre i 363 mila iscritti raggiunti dalla Fiom a fine 2000. C’è lo spazio per
farlo? La scommessa della Fiom è tutta qui. Con la
sua iniziativa, infatti, la Fiom si propone di dar voce a quelle migliaia di lavoratori iscritti e non iscritti ai sindacati confederali, ma comunque interessati alla vita sindacale e ai risultati della contrattazione, che non hanno avuto nessuna possibilità di
far pesare il proprio giudizio rispetto all’accordo siglato dalla Federmeccanica con Fim e Uilm.
Ed effettivamente, già nella prima settimana della
campagna promossa dalla Fiom, ovvero nei 5 gior-
FIAT
Cassa continua
Ancora cassa integrazione alla Fiat. La casa automobilistica torinese segnala un rallentamento
preoccupante del mercato europeo e annuncia
un taglio alla produzione di 18.000 veicoli tra il
27 agosto e 30 settembre.
In quel mese, dunque, resteranno a casa un bel
numero di lavoratori, con il picco massimo della
quarta settimana di settembre in cui la cassa
coinvolgerà 7.200 addetti. Interessate le linee
della Punto, della Marea, della 166, della Lybra
e della 156.
Durissimo il commento dei sindacati. Secondo
Claudio Sabattini, segretario generale della
Fiom Cgil, «la Fiat ha chiuso ogni canale di ordine o politico-istituzionale e gioca la sua partita
con General Motors sulla base della compatibilità mondiale di quest’ultima».
Insomma: si decide oltre Oceano. Al di qua dell’Oceano, però, in Italia, i lavoratori cominciano a farsi sentire. Con uno sciopero spontaneo
a Pomigliano d’Arco di due giorni, fra 19 e 20
luglio.
Nello stabilimento campano la situazione è particolarmente grave: il blocco della produzione
dell’Alfa 156, oltre a tradursi in cassa integrazione per 2.600 dipendenti, mette a rischio il rinnovo del contratto per 660 lavoratori interinali, in
scadenza proprio in questi giorni.
ni lavorativi che vanno dal 16 al 20 luglio, in più di
una fabbrica sono state raccolte più firme del totale degli iscritti alla federazione dei metalmeccanici
Cgil. Ciò è accaduto, ad esempio, alla Gkn di Sesto
Fiorentino (indotto auto, ex gruppo Fiat) dove, in
pochi giorni, sono state raccolte 450 firme su 700
addetti, ovvero ben più firme delle 300 tessere della Fiom. Ma è accaduto anche in una serie di fabbriche lombarde come la Dalmine di Dalmine, mitica azienda siderurgica della provincia di Bergamo, in cui, nell’arco di due soli giorni, sono state raccolte, sugli appositi moduli predisposti dalla Fiom,
ben 760 firme. E si tratta di una fabbrica (oggi del
gruppo Rocca, ma un tempo delle Partecipazioni
statali) in cui la Fim ha sempre contato.
Lo stesso è successo all’Iveco di Mantova (veicoli
industriali, gruppo Fiat), con 750 firme, alla Agusta
di Vergiate (settore aereonautico, provincia di Varese), con 320 firme, o, ancora, all’Ansaldo Industria
(termoelettromeccanica) di viale Sarca, a Milano,
con 310 firme su 500 addetti.
Che cosa c’è dietro a questi primi parzialissimi risultati? Si tratta di casi isolati o di fatti che lasciano
intuire una linea di tendenza? Per dare una risposta certa a queste domande bisognerà ovviamente
attendere almeno fino alla metà di settembre, quando sarà possibile fare qualche primo consuntivo sull’andamento della raccolta delle firme. Già adesso,
però, si può dire che dietro lo slancio con cui è partita l’iniziativa della Fiom ci sono due fatti consistenti e robusti. Primo, l’indiscutibile successo dello sciopero nazionale del 6 luglio, indetto dalla Fiom.
Secondo, il malessere diffuso già prima nelle fabbriche quando era apparso chiaro che Fim e Uilm,
pur di riprendere il negoziato con Federmeccanica, erano pronte ad abbandonare la piattaforma
unitaria. Un malessere, questo, ben espresso da
quanto accaduto in una grande fabbrica del NordEst, qualche giorno prima del 6 luglio. Il giovane leader della Fim dello stabilimento disse a un suo collega, delegato della Fiom, che lui e gli altri delegati
cislini non avrebbero scioperato, per fedeltà all’organizzazione, ma che lui lasciava agli iscritti libertà
di coscienza. Questo malessere ha trovato una via
di sfogo proprio con l’iniziativa della Fiom. Non si
spiega altrimenti l’impeto con cui la raccolta firme
è partita al Nord come al Sud: 2.900 firme raccolte
in un giorno solo, lunedì 16, alla Fiat Mirafiori. Seicento firme raccolte lo stesso giorno, sempre a Torino, alla Fiat Rivalta. E poi all’Ilva di Taranto (siderurgia), dove sono già più di 1.500, o all’Alenia Marconi Systems di Fusaro (elettronica per la difesa), in
provincia di Napoli, dove sono già più di 300.
FERNANDO LIUZZI
In un lungo articolo su Conquiste del lavoro (19 luglio)
Giorgio Caprioli, prima di ragionare sulle vie possibili per
una nuova unità d’azione, offre ai suoi lettori una ricostruzione piuttosto fantasiosa della vicenda del contratto dei
metalmeccanici, tutta letta in
chiave «congresso Cgil».
Il segretario generale della
Fim Cisl, dopo aver detto ovviamente che quello siglato
insieme alla Uilm con Federmeccanica è in pratica il
migliore dei contratti possibili (sorvolando senza eccessivi problemi su quello
firmato nelle stesse ore da
Fim Fiom Uilm con Confapi)
sostiene che: «La richiesta
della Fiom di distribuire
16.000 lire per l’andamento
di settore rivela un maldestro tentativo di mediare tra
le due posizioni presenti nella Cgil, in funzione di un congresso di ricomposizione tra
maggioranza e minoranza
(...). In nome di equilibri interni alla propria confederazione la Fiom voleva imporre a Fim e Uilm una gestione
radicale e avventurista della vertenza contrattuale».
A parte la ricostruzione fantasiosa (smentita dai fatti e
dall’avvio del dibattito congressuale della Cgil) Caprioli
dimentica un punto di non poca importanza: quelle 16.000
(o meglio 15.000) lire di andamento del settore non sono una richiesta della Fiom
quanto uno dei contenuti della piattaforma unitaria, frutto di una mediazione (la
Fiom era intenzionata a chiedere una cifra superiore) in
cui sono state coinvolte Cgil
Cisl e Uil e che è stata approvata dai lavoratori.
Lasciamo stare per un momento i lavoratori (anche
se per un sindacato questo
dovrebbe comunque rappresentare un problema):
se questo è il peso che si
dà alle mediazioni – prima
negarle nei fatti, poi disconoscerne addirittura l’esistenza – su quali basi sarà
mai possibile l’unità d’azione?
E.Ga.
• Genova / In corteo con i sindacalisti •
litica, e non giuridica, che ha fatto largo uso di
discrezionalità. Da una parte c’erano i Black
Bloc, che hanno agito per coinvolgere il corteo dei manifestanti, dall’altra la polizia che
aveva l’obiettivo di strangolare il movimento
davanti agli occhi di tutto il mondo. Vent’anni fa si diceva: conflitto uguale terrorismo. È
una nozione infame che non abbiamo combattuto mai abbastanza, basti pensare al caso
Fiat. Questa volta è proprio l’arco culturale
esplicitato a Genova che fa temere che questo
sia il modo in cui si pensa di affrontare il dissenso sociale anche nel prossimo futuro».
Intanto, alle diciotto del 22 luglio, poco dopo
la conferenza stampa finale del Gsf, il sindacato autonomo di Polizia Sap diffondeva un
comunicato, firmato dal segretario Franco
Maccari: «Chiediamo alla magistratura di valutare fra tutte le responsabilità, anche quelle
dei portavoce del Gsf, protagonisti di una vigilia intrisa d’ambiguità e di incitamenti all’odio e alla violenza, utile premessa alla devastazione a cui si è poi assistito».
Da qui all’autunno mancano solo una manciata di settimane.
5
num. 29 - 31 luglio 2001
Q uaderni
rassegnasindacale
LavoRi
a spaccare in due il corteo dei pacifisti ingaggiando una guerriglia con le forze dell’ordine
che reagiscono caricando chiunque capiti sotto tiro.
Un Ducato Fiat targato Venezia apre il corteo
della Fiom. Allo scoppiare dei primi incidenti, dopo un attimo d’incertezza, cambia corsia
e devia in un viale, facendo da apripista al resto dei metalmeccanici, appena in tempo per
scampare a lacrimogeni, spranghe e manganelli. Un gruppo di lombardi si stacca e decide
di tornare sui suoi passi, per scoprire poco dopo che anche alla coda del corteo altri scontri
stanno impedendo alla manifestazione di giungere a Marassi (la zona dello stadio) dove sono
state svuotate le carceri per alloggiare corpi
speciali di agenti a difesa dei «grandi». Il corteo
dimezzato riuscirà a raggiungere piazza Galileo Ferraris, mentre altre cariche si susseguono nelle traverse laterali di corso Sardegna.
Dopo le otto di sera la situazione torna pratica-
bile. I manifestanti rientrano, ma la tregua dura poco. A mezzanotte carabinieri e polizia danno l’assalto ai giovani alloggiati nella scuola Pascoli. Li picchiano a sangue per un’ora e mezza
sotto gli occhi dell’apparato del Gsf presente nell’adiacente scuola Diaz (prestata come sede operativa e press center ) a cui viene impedito d’intervenire. Accorrono sindacalisti, giornalisti,
parlamentari. Ma sono costretti a rimanere in
strada. Dopo la retata, la scuola viene lasciata a
porte spalancate per invitare la stampa di tutto
il mondo a entrare. Ci sono pozze e strisciate di
sangue fresco sui muri lasciate dai ragazzi pestati contro i radiatori. La retata produce cinquanta arresti e sessantasei feriti.
Perché tutta questa violenza, che cosa c’è dietro? Lo chiediamo a Claudio Sabattini, che ha
vissuto in prima persona le fasi convulse di
questa giornata interminabile. «Non vorrei –
ci risponde il segretario dei metalmeccanici –
che l’attacco nel cuore della notte fosse nelle
intenzioni di questo governo un’anticipazione di una repressione “all’americana” di qualsiasi conflitto sociale. Abbiamo visto come le
regole siano state stabilite da una struttura po-
Q uaderni rassegnasindacale LavoRi
da pag.1
La contrattazione
del sapere
n.2
◗ La nuova società
◗ La struttura
della contrattazione
◗ Politica dei redditi
e questione salariale
R I V I S T A
T R I M E S T R A L E
Nel n. 2/2001 dei «Quaderni»
la contrattazione del sapere
◗ Una copia lire 20.000 (euro 10,33)
◗ Abbonamento lire 80.000 (euro 41,32)
◗ Strutture e iscritti Cgil lire 60.000 (euro 30,99)
POLITICA ECONOMICA • LA CGIL CONFERMA IL GIUDIZIO NEGATIVO
Un Dpef da rifare
Nelle 63 cartelle del Documento di programmazione economica e finanziaria 2002-06
«previsioni poco credibili o vistosamente precarie»
e insieme la realizzazione della piattaforma elettorale. Tutti i punti di dissenso
«L
a lettura del testo del
Dpef conferma e aggrava le perplessità
già emerse nel corso
degli incontri che ci
sono stati con il governo e mette in evidenza profondi punti
di dissenso del sindacato». Il giudizio della Cgil sulla politica economica del
governo Berlusconi, dopo i primi incontri con l’esecutivo, era stato
tutt’altro che positivo, con l’ovvia riserva di un approfondimento sulle
pagine del Dpef. Oggi, lette le 63 cartelle del Documento di programmazione economica e finanziaria per il
quinquennio 2002-06, la prima impressione viene ribadita, e in peggio.
Ma vediamo le obiezioni, messe nero
su bianco in una nota della segreteria
della confederazione. Il primo dissenso è proprio sugli andamenti programmatici dell’economia e della finanza pubblica, definiti «poco credibili e vistosamente precari».
• L’andamento dell’economia.
Per quanto concerne la crescita, il governo sembra mettere le mani avanti
inserendo nel Dpef un capitolo sugli
scenari internazionali (uno più sfavorevole rispetto al quadro programmatico, l’altro più favorevole).
In particolare, tenendo anche conto
della congiuntura internazionale, l’obiettivo di una crescita del Pil per il 2002
del 3,1 per cento sembra ottimistico,
anche in relazione al fatto che la manovra dei «cento giorni» insiste sugli
incentivi agli investimenti mentre la
domanda interna resta debole. Come
la Cgil aveva già sottolineato, la «Tremonti bis» introduce vantaggi fiscali
prociclici e non selettivi con effetti di
trasferimento indiscriminato alle imprese che non stimoleranno in modo
significativo la crescita.
Anche il tasso di inflazione programmato (1,7 per cento per il 2002) appare vistosamente sottodimensionato.
Come è noto il 2001 si chiuderà con un
tasso di inflazione pari a circa il 3 per
cento (la stima del governo è del 2,8).
Partendo da questo livello l’obiettivo
programmatico dell’1,7 per cento sembra perciò del tutto irrealistico. «È superfluo sottolineare la gravità di questa scelta del governo – sottolineano a
Corso d’Italia – che toglie credibilità alla politica dei redditi, mette in difficoltà
la contrattazione e rischia di aggravare quella questione salariale già ampiamente sottovalutata dal sistema delle imprese».
• La finanza pubblica. Il Dpef ribadisce il rispetto degli impegni assunti in
Europa di un deficit 2001 pari allo 0,8
per cento del Pil, ma non indica le misure con cui fronteggiare il cosiddetto
«buco». Anche se questo dovesse limitarsi agli scostamenti previsti nel quadro programmatico (1,9 per cento del
Pil) e non dalla premessa del Dpef, che
paventa rischi di deficit fino al 2,6 del
Pil (una percentuale vicina al quel 3 per
cento oltre il quale scattano le multe
previste dal patto di stabilità) si tratterebbe pur sempre di uno sforamento
di 25 mila miliardi. C’è poi da aggiungere a questa cifra la riduzione del gettito connessa ai primi effetti della Tremonti bis (il governatore della Banca
d’Italia calcolò in circa 2 mila miliardi
la perdita di gettito 1995 dovuta alla
«prima Tremonti» che, come noto non
riguardava banche, lavoratori autonomi e professionisti). «Il rinvio all’E-
cofindi dicembre di qualsiasi decisione sul deficit 2001 – si fa notare in Cgil
– lascia adito a molti dubbi. Il governo
potrebbe infatti trovarsi, nel pieno della discussione della Finanziaria, nella
necessità di approvare una manovra
correttiva con tagli alla spesa sociale e
nuove tasse».
•La politica economica. Oltre alla manovra dei «cento giorni», che entra organicamente nella più complessiva
manovra di finanza pubblica su cui
sono in corso incontri tecnici con il
governo, molte delle altre decisioni di
politica economica indicate dal Dpef
ripropongono la piattaforma elettorale della «Casa delle Libertà». Diversi capitoli contengono pure enunciazioni di principio prive di novità significative (un esempio è quello sulle politiche industriali), altri contengono invece elementi che preoccupano il sindacato.
• La pressione fiscale. Per quanto riguarda l’Irpef, mentre viene ribadita
con precisione la riduzione a due aliquote: 23 per cento fino a 200 milioni
e33 per cento per i redditi superiori, sul
trattamento dei redditi medio-bassi si
resta completamente sul vago. Si introduce inoltre un principio, estraneo
all’attuale ordinamento, di deduzione
di reddito imponibile connesse alle imposizioni del nucleo familiare. «Que-
sta misura – osservano in Cgil –, nella
realtà del nostro paese finirebbe, tra
l’altro, con lo scoraggiare l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e/o con
l’alimentare l’economia sommersa».
Per quanto riguarda l’Irap, se ne promette l’azzeramento e la sostituzione
con una non meglio precisata compartecipazione delle Regioni all’Irpeg.
«Si tratta di un impegno che aggrava le
preoccupazioni sulla “tenuta”del Servizio sanitario nazionale».
• I contributi sociali. Si promette una
riduzione di un punto percentuale all’anno, ma non si specificano gli effetti di questa operazione sulle prestazioni.
• La spesa corrente. Si programma il
contenimento della spesa corrente
dell’1 per cento di Pil all’anno, con una
riduzione della spesa per acquisti di beni e servizi, per i sussidi delle imprese
e, soprattutto, con la riduzione dell’1
per cento annuo dell’occupazione
complessiva della pubblica amministrazione che ha già subito negli scorsi anni consistenti contrazioni, nonché l’outsourcing per le attività che
comportano inefficienze gestionali da
parte delle pubblico amministrazione.
• La sanità. Si conferma, come richiesto espressamente dal sindacato, la salvaguardia dei principi universalisti del
Servizio sanitario nazionale, senza precisare però le modalità finanziarie con
cui si garantiscono questi princìpi nel
quadro dell’annunciata «devolution»
dei modelli organizzativi alle Regioni.
«Il rischio che permane nel concreto –
commenta la Cgil – è dunque quello
dello smantellamento di fatto delle garanzie universalistiche in campo sanitario. Resta perciò decisiva l’apertura dell’apposito tavolo triangolare governo-Regioni-sindacato chiesto da
Cgil Cisl Uil».
•La scuola. Si afferma che la spesa pubblica per l’istruzione oggi coincide con
gli stipendi del personale, mentre le
risorse disponibili dovranno essere
utilizzate per l’introduzione di tecnologie multimediali e formazione del
personale: «ciò sembra preludere – è
il commento Cgil – a un sostanziale
blocco della spesa per il personale».
• Il mercato del lavoro. Si programma
un maggiore spazio per gli intermediari
privati eliminando il vincolo dell’oggetto sociale esclusivo. Si annuncia l’introduzione di un nuovo «contratto di
soggiorno per lavoro a tempo determinato» per i lavoratori extracomunitari in patente violazione delle norme
comunitarie.
• Le pensioni.Il governo non ha accettato l’invito di Cgil Cisl Uil a non introdurre nel Dpef le linee di riforma e di
rinviare tutto alla verifica che dovrebbe essere avviata a metà settembre.
Nel Dpef si enunciano una serie di
princìpi, alcuni troppo vaghi per permettere un giudizio, altri sicuramente
gravi e da respingere. In particolare: a)
sembra intenzione del governo introdurre nella verifica il miglioramento
delle pensioni minime, con l’evidente
tentativo di proporre uno scambio con
tagli alle prestazioni e ai diritti pensionistici; b) si punta a ridurre il peso della copertura pensionistica pubblica,
con la contestuale riduzione dei contributi previdenziali, per ridurre il costo del lavoro e sviluppare i fondi pensione.
In questo quadro il Tfr non viene più
visto come lo strumento di finanziamento fondamentale per la previdenza complementare.
•Le politiche sociali.Nel Dpef non si fa
nessun riferimento all’attuazione della legge sulla riforma dell’assistenza e
al Reddito minimo di inserimento.
• Il Mezzogiorno. Al di là degli impegni generici sugli investimenti pubblici, il Mezzogiorno risulta complessivamente sacrificato dalla manovra
del governo. I provvedimenti dei primi «cento giorni» hanno infatti un segno chiaramente «nordista»: le piccole imprese del Mezzogiorno, infatti, generalmente non hanno utili da
reinvestire. Nel Dpef non c’è poi nessun riferimento agli strumenti di programmazione negoziata, mentre si
punta a non meglio specificate forme
di flessibilità da concordare a livello
locale.
SERGIO MANCINELLI
EUROPA • L’ITALIA IN RITARDO NELL’UTILIZZO DEI FONDI PER IL MEZZOGIORNO
A rischio cinquemila miliardi
G
rande preoccupazione nella riunione di metà
luglio del Comitato di sorveglianza del Quadro comunitario di sostegno dell’Obiettivo 1, quello che valuta il funzionamento dei Fondi che l’Europa mette a disposizione per lo sviluppo e l’occupazione nel nostro Mezzogiorno.
La situazione è difficile, a cominciare dalla programmazione del periodo 1994-99. A marzo 2001
la percentuale dei pagamenti sulle risorse europee a disposizione (60 mila miliardi) era dell’80,7%,
mentre il sentiero di rientro stabilito dal governo
Ciampi (che ereditava dal primo governo Berlusconi una situazione disastrosa) indicava la percentuale dell’85%. Le situazioni più critiche sono
date da Sicilia e Puglia, e, a livello nazionale, dai
programmi relativi ad agricoltura, ambiente, infrastrutture stradali e aereoportuali, risorse idriche, lotta contro la criminalità e contro l’emergenza occupazione (!). Ipotizzando al 31 dicem-
bre 2001, data ultima per i pagamenti, un trend di
spesa a questa velocità, l’Italia potrebbe perdere
un’8 per cento delle risorse assegnate. Si tratta di
circa 5.000 miliardi, una cifra enorme se si pensa
alle esigenze del Sud e al nulla contenuto nel Dpef
del governo Berlusconi.
Ai gravi problemi del passato si aggiunge lo stato
d’attuazione dei programmi 2000-06. Nonostante i cambiamenti positivi introdotti dalla passata
legislatura (dalla nuova programmazione alle modifiche nella macchina istituzionale), e nonostante
l’impegno del partenariato economico e sociale,
si sono di nuovo accumulati ritardi. Italia e Portogallo sono partiti nello stesso periodo: noi siamo all’1 per cento della spesa, i portoghesi al 28.
Oltre gli obiettivi prefissati di spesa è solo la Basilicata che così si candida alle risorse aggiuntive del
Fondo di premialità; forte è l’impegno di Campania e Sicilia; buona la spesa del Pon Scuola. Per il
resto, con i motivi più diversi, nessuno dà garanzie di non incappare a giugno 2002 nella perdita
automatica delle risorse, che scatta dopo 18 mesi dall’inizio dei programmi. La spiegazione di fondo di tutto ciò è politica: la programmazione come metodo, l’Europa come priorità non sono ancora modo ordinario e quotidiano nell’operato di
istituzioni e organizzazioni economiche e sociali, che in larga misura continuano a pensare che
gli spiriti animali del mercato facciano tutto (ovviamente eccitati dal «Viagra» delle sovvenzioni
pubbliche) e che alle scelte disgraziate sopperisca lo «stellone» d’Italia.
Ne sta dando un’ennesima dimostrazione il ministro Tremonti, che ha chiesto di dirottare le risorse non spese dei Fondi europei sul credito d’imposta alle imprese. La Commissione europea ha
risposto negativamente sia per la genericità dello strumento, che non garantisce risultati positi-
5
num. 29 - 31 luglio 2001
vi per il rafforzamento dell’apparato produttivo e
la creazione di nuovi posti di lavoro nel Sud, sia
per l’impossibilità, essendo la detrazione automatica, di determinare la quantità di risorse necessarie. I rappresentanti della Commissione europea hanno dato un giudizio assai preoccupato
sulla situazione italiana e non sono bastate le spiegazioni date da amministrazioni centrali e Regioni
a rassicurarli: la rondine del buon governo della
Basilicata non ha fatto per niente primavera.
Asettembre si convocherà un Comitato di Sorveglianza straordinario. Al sindacato toccherà riprendere con forza l’iniziativa su questo terreno
denunciando le responsabilità a livello centrale e
regionale e chiamando la società meridionale ad
una diffusa mobilitazione, pena togliere credibilità ad ogni sforzo per lo sviluppo del nostro Sud.
MARIO SAI
Coordinatore dipartimento Coesione Cgil
SPAZIO APERTO
TELELAVORO • L’ACCORDO CONFAPI-CGIL CISL UIL
Il congresso Cgil su due documenti
oggi è un errore strategico
Così fanno i «piccoli»
F
inora nel nostro paese il telelavoro era stato
regolato – per via negoziale – a livello di aziende(esempi classici: Seat, Dun & Bradstreet, Digital, Telecom Italia…), oppure di settore (telecomunicazioni, commercio, banche), o anche, in
ununico caso, a livello territoriale (Confapi e Cgil
Cisl e Uil di Modena). C’era anche stato, nel triennio ’96-99, una lunga e affannosa vicenda parlamentare disseminata da varie forze politiche con
ben sei proposte di regolazione e promozione del
lavoro a distanza: quattro al Senato e due alla Camera. Unificando le prime, la commissione Lavoro del Senato riuscì ad approvare e passare all’aula nel giugno ’99 un testo che non fu, però, mai
approvato. D’altra parte, nel corso delle audizioni ufficiali il parere dei dirigenti sindacali, sia confederali che di categoria, era stato di forte perplessità circa l’idoneità della regolazione per legge di un fenomeno in continua modificazione.
Appare doverosa questa premessa per capire la
rilevanza dell’accordo nazionale che Confapi e
Cgil Cisl Uil hanno sottoscritto il 17 luglio per regolare l’introduzione del telelavoro nelle piccole e medie aziende. La sua stipula significa che
non occorre scomodare il legislatore in quanto
lo strumento negoziale è in grado di farsi carico
della stragrande maggioranza delle problematiche che, dalla metà degli anni 90 in qua, aziende
esindacati si sono trovati ad affrontare nelle trattative aziendali o settoriali.
C’è, però, anche un altro motivo di soddisfazione: questo accordo, infatti, potrà contribuire a
sbloccare l’impasse in cui da mesi si trova il confronto a Bruxelles tra Unice e Ces per la messa a
punto di un accordo quadro europeo sul telelavoro, in analogia con gli accordi su altre flessibilità: congedi parentali, part-time, contratti a tempo determinato. Il motivo di dissenso fra le parti
riguarda la natura, vincolante o meno, che quest’accordo avrebbe nei confronti dei singoli ordinamenti nazionali. In effetti, l’accordo del 17
luglio – che riguarda sia la trasformazione dei rapporti di lavoro già in atto che le nuove assunzio-
ni – contempla tutti i punti su cui la Commissione Ue ha richiamato l’attenzione delle parti nel
marzo scorso: volontarietà e reversibilità; mantenimento dello status di lavoratore subordinato; parità di trattamento con gli altri lavoratori,
anche sul piano formativo; mantenimento dei
diritti sindacali e d’informazione; costi d’installazione a carico dell’azienda; tutela di salute e sicurezza; orario di lavoro; riservatezza e controlli; mantenimento dei contatti con l’azienda. Buona parte di queste materie sono trattate solo in
maniera generale. Ad esempio, proprio perché
l’accordo abbia natura di griglia a maglie larghe,
si rinvia ai contratti collettivi di settore la definizione delle «particolari situazioni e tipologie» per
le quali attivare modalità di lavoro a distanza diverse da quelle, per così dire, «classiche»: esigenzefamiliari, riduzioni del pendolarismo, presenza di disabilità. Interessante anche la previsione
che, prima del recepimento nella contrattazione
disettore, territorialmente si possano avviare sperimentazioni intersettoriali.
L’esigenza che il diverso uso del tempo (oltre che
dello spazio) si risolva in un vantaggio anche per
il lavoratore è salvaguardata dalla possibilità che
l’orario di lavoro (a tempo pieno o parziale) venga «distribuito in base a quanto previsto dal ccnl
edalle disposizioni generali dell’azienda o, in quest’ambito, con quanto eventualmente convenuto con il singolo telelavoratore interessato».
Il carattere sperimentale dell’accordo fino al 31
dicembre 2003, con strumenti di monitoraggio e
correzione in corso d’opera, dovrebbe offrire buone garanzie contro il rischio di obsolescenza rispetto a un fenomeno complesso e mutevole sul
piano tecnologico, organizzativo e dell’impatto
sociale. Sicuramente originale anche sul piano
delle esperienze europee, l’accordo avrà presumibilmente la sua parte di rilevanza a «Telework
2001», classico convegno europeo in programma a Helsinki dal 12 al 14 settembre.
RENATO RIZZO
Coordinatore di Euro-Telework
SETTORE PESCA • CALA L’OCCUPAZIONE
Una categoria a rischio d’estinzione
«C
erchiamo di essere realistici: perché un
giovane, oggi, dovrebbe scegliere di lavorare a bordo di un peschereccio, guadagnando,
in condizioni ottimali, salari che sono inferiori a
quelli di lavori che potrebbe fare sulla terra ferma con minore orario di lavoro, condizioni meno disagiate e oneri contributivi e previdenziali
digran lunga più rassicuranti?». Se nel settore della pesca l’occupazione cala, per Antonio Cogoni,
segretario della Flai nazionale, la spiegazione è
molto semplice: «I giovani – osserva asciutto –
non sono più interessati a questo tipo di lavoro».
Occorrerebbe, allora, «rendere più allettante la
vita a bordo delle navi». Di questo dovrebbero cominciare a preoccuparsi gli armatori, attualmente
però più intenti a contestare i contenuti del Libro
Verde, sulla gestione della pesca comunitaria,
adottato dalla Commissione europea con l’obiettivo di ridurre lo sforzo di pesca nelle acque
comunitarie e di tagliare perciò gli aiuti a sostegno del potenziamento della flotta.
Per i primi di ottobre, ricorda Cogoni, è prevista
la riunione della Commissione europea che dovrà decidere sull’approvazione del Libro Verde.
L’attuale governo, come fa notare il sindacalista,
«ha già assunto una serie di impegni verso le associazioni professionali, sia cooperative che confindustriali», per tutelarne gli interessi in sede europea. Si riconferma, dunque, una tendenza sbagliata, secondo il segretario: continuare a ragionare solo dalla parte dell’impresa, dimenticandosi il pezzo fondamentale che riguarda le condizioni occupazionali del settore.
Le imprese ittiche, poco meno di 17mila in Italia,
per un totale di circa 36mila addetti, agitano il pericolo di un calo occupazionale derivante dal taglio dei fondi comunitari; ma è solo un modo per
mascherare o per non riconoscere appieno i veri motivi di una riduzione netta di posti lavoro che
nel settore, spiega Cogoni, nell’ultimo decennio,
è stata del 18%, pari a circa 10mila unità. «Nella
pesca – rileva – non esiste disoccupazione, nonostante le forti percentuali di disoccupati pre-
senti nei territori a vocazione peschereccia; nonostante i tagli dettati dalla vertenza spadare o
dalla riduzione delle vongolare e nonostante, data le nuove tecnologie, ci sia stata una diminuzione delle tabelle di armamento». Se i pescatori in Italia rischiano di diventare «una categoria
in estinzione», ciò non è certo imputabile a un
paventato taglio dei finanziamenti, anche perché, tiene a sottolineare Cogoni, le misure a favore della pesca – eccetto il fermo biologico – «raramente hanno interessato i lavoratori». Le imprese continuano a mantenere «i loro vizi antichi» e hanno una scarsa capacità di innovazione.
Per sopperire alla necessità di nuova manodopera si rivolgono a lavoratori extracomunitari.
Prima di pensare, quindi, alla dieta imposta dal
Libro Verde, il governo dovrebbe sedersi a un tavolo con imprese e sindacati per ragionare sul
problema occupazionale, ormai «urgente e improcrastinabile», ammonisce Cogoni; è «il punto da cui partire per rilanciare il settore». «Abbiamo già chiesto un confronto sulle condizioni dei
lavoratori della pesca, a cominciare dalla possibilità di fruire di ammortizzatori sociali». È vero
che il settore oggi può contare su alcune misure
a sostegno delle imprese del comparto, come il
fermo biologico (circa 40miliardi stanziati nel
Dpef del governo Amato) ma, ribadisce il segretario, «se ci fosse la cig non sarebbe necessario
stanziare ulteriori fondi». «Perché i lavoratori forestali godono del beneficio della cig anche quando, per condizioni meteorologiche avverse, non
sono in grado di lavorare, mentre la stessa tutela
non esiste per i lavoratori della pesca?». Per questi lavoratori non ci sono, allo stato, misure sociali e le imprese che hanno chiesto di poter fruire dell’apprendistato e dei contratti di formazione lavoro pensano essenzialmente ai vantaggi
che possono trarre da questi tipi di contratti, ma
non hanno ancora seriamente provato a elaborare una strategia che induca i giovani a ricominciare ad avvicinarsi a questo mestiere.
GRAZIA MANTELLA
di Umberto Franchi - Segretario generale Fiom Lucca
nautunno si aprirà la stagione dei congressi, dei democratici di sinistra e della Cgil. Ciò
Iavverrà
in una situazione che potrebbe rivelarsi duramente negativa, per i lavoratori dipendenti e i ceti più deboli, in quanto il governo di destra intende governare in un connubio stretto con Confindustria, cercando di
attuare un programma che, da una parte, prevede spostamenti di risorse economiche sotto forma di riduzione delle tasse alle imprese
e dall’altra riduzione dei diritti, salari e dello
Stato sociale, ai lavoratori e cittadini più deboli, attraverso il taglio della spesa pubblica.
Ora per chi si colloca a sinistra con particolare riferimento ai Ds e alla Cgil, diventa innanzitutto essenziale andare al congresso con
un’analisi chiara sui motivi della sconfitta elettorale, per procedere successivamente a ridefinire una strategia adeguata e i nuovi gruppi dirigenti.
Queste le cause della sconfitta: • una sinistra
che a differenza della destra si è presentata divisa all’appuntamento elettorale; • la mancanza della legge sul conflitto di interessi ; •
una campagna elettorale che ha seguito Berlusconi sul suo terreno dell’immagine e non
della proposta; • una mancata capacità della
sinistra di governo a valorizzare e socializzare le pur rilevanti scelte economiche e sociali dell’ultima Finanziaria (riduzione ticket,
tasse, casa, migliore sanità, scuola eccetera);
•la convinzione esistente in diversi strati popolari che il risanamento dello Stato e l’ingresso in Europa sia avvenuto a danno dei ceti più deboli.
Il governo di centrosinistra aveva creato tante aspettative tra i lavoratori: alla prova dei
fatti è riuscito a dare risposte importanti in direzione del risanamento e della moneta unicaeuropea, ma non ha manifestato un impegno sufficiente sulle questioni sociali: nel nostro paese ci sono ancora ingiustizie storiche
che riguardano la precarizzazione del lavoro,
l’ambiente, lo Stato sociale e i servizi, la qualità del lavoro, la quantità dei salari, soprattutto per i lavoratori delle piccole aziende che
non fanno contrattazione aziendale.
L’avvento delle destre al governo dell’Italia
non dipende quindi dal «destino cinico e baro», ma dal fatto che non siamo stati egemoni culturalmente su un preciso progetto di società, di civiltà, con un modello di sviluppo
centrato sulla dignità sociale del mondo del
lavoro. La sinistra di governo, anziché cercare d’indirizzare lo sviluppo abolendo le storture, ha sposato la bandiera delle modernità.
È l’appannamento dell’identità e dei valori
della sinistra di governo che ha prodotto una
mancanza di visibilità delle differenze tra destra, centro e sinistra.
l programma di governo di Berlusconi si caratterizza oggi sulla centralità del profitto
Iel’assoluta
libertà dell’impresa, nell’ambito
della quale tocca alla forza lavoro adattarsi
alle sue condizioni. La via che il Polo e Confindustria perseguono, attraverso una poderosa campagna ideologica già in atto, è quella di ridurre i diritti dei lavoratori, con l’abolizione di «lacci e laccioli», cioè di regole certe, con l’abolizione dei poteri di intervento
delle rappresentanze sindacali sulle scelte
che riguardano lo sviluppo e le sue ricadute.
Il modello sociale americano viene presentato come lo sbocco obbligato, auspicato e
inevitabile.
Un sindacato come la Cgil, che difende lo Stato sociale e i diritti basilari, a partire da quello del lavoro a tempo indeterminato,viene bollato come conservatore e va sconfitto.
Nel concreto ciò che chiamano riforme significherà: rimessa in discussione dell’accordo sulla politica dei redditi del 1993 con i
due livelli di contrattazione (nazionale e aziendale); riduzione a «pioggia» delle tasse alle
imprese senza legarla invece finalità occupazionali; un abbattimento dello Stato sociale a partire da pensioni, sanità e scuola;
«libertà di licenziare» senza giusta causa; più
6
num. 29 - 31 luglio 2001
precariato, peggioramento dei servizi pubblici.
Queste scelte, se veramente attuate dal futuro governo, saranno inaccettabili per tre ragioni fondamentali. La prima è che esse metterebbero in discussione i diritti del lavoro e
di civiltà fondamentali, conquistati in Europa all’inizio del secolo. La seconda è che queste scelte porterebbero a uno sviluppo distorto,
con più inquinamento, con più morti sul lavoro, più ammalati, più delinquenza mafiosa. La terza ragione riguarda il fatto che è illusoria la competitività basata sulla riduzione
del costo del lavoro: i datori di lavoro potrebbero competere con la Corea o l’Albania, ma
non potranno competere con le economie occidentali più forti, impoverendo così la qualità dei prodotti delle loro imprese con una
prospettiva di indebolimento di tutta l’economia italiana. In questo contesto l’intesa separata sul contratto dei metalmeccanici, oltre a essere un grave atto sul piano delle relazioni sindacali, colpisce il ruolo del ccnl in materia di tutela salariale e redistribuzione della ricchezza.
e le cose stanno davvero così, allora bisogna definire una giusta strategia senza più
Scommettere
errori.
C’è un primo e basilare errore che va evitato.
Ed è quello di chi sostiene: «Gli italiani hanno
votato Berlusconi, ora bisogna metterlo alla
prova sulle promesse che ha fatto, con un’opposizione che lo incalzi ma lo faccia governare». Questa posizione appare neutra, ma in
realtà è pericolosa perché ogni ritardo nell’agire finirebbe per subordinare le forze di sinistra e il sindacato a un governo che invece
agirebbe con atti precisi e scelte classiste antisociali che finirebbero per rovinare i lavoratori e l’Italia.
Quanto sta accadendo non può lasciare indifferente la Cgil, non soltanto perché è inaccettabile una prospettiva di sistema economico fondato sulla rimessa in discussione dei
diritti e delle conquiste sociali dei lavoratori
che hanno segnato la nostra società da almeno trent’anni, ma anche perché verrebbe rimesso in discussione il ruolo del sindacato
fondato sul confronto e la contrattazione come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi.
In questa nuova situazione il Congresso della Cgil avrebbe dovuto stabilire una strategia
unitaria di tutta la Cgil, divenendo una diga
sicura contro il programma prospettato dal
fronte del padronato e del governo.
È necessario infatti ridefinire un progetto rivendicativo di tutto il sindacato nei confronti del governo e del padronato non solo per difendere il welfare, ma anche per allargare le
tutele e i diritti dei più deboli; per definire regole più rigide sul mercato del lavoro; per chiedere ai datori di lavoro di fare il loro mestiere,
investendo sull’innovazione tecnologica e di
prodotto, sulla prevenzione , sulla sicurezza,
sulla formazione; per rilanciare una stagione
di contrattazione sull’organizzazione del lavoro, sulla riduzione degli orari, sugli incrementi salariali.
Per questo sarebbe stato indispensabile svolgere il congresso della Cgil con un documento unitario, anche con tesi alternative su alcuni punti, su cui far pronunciare i lavoratori. Hanno quindi sbagliato i compagni che
hanno mantenuto il proprio documento
«Cambiare rotta» per cui le assemblee congressuali si svolgeranno su due documenti
alternativi, con due Cgil che si confrontano.
ome non capire che oggi è necessaria l’unità di tutta la Cgil? Il primo compito di chi
C
ha responsabilità direzionali nella Cgil, ai vari livelli, non è quello di stabilire il «che fare»
in base alle convenienze, individuali o di gruppo, che potrebbero aprirsi al Congresso presentando e raccogliendo consensi su un proprio documento. La questione che oggi è in
gioco è troppo grande per pensare a interessi di piccolo potere.
IL CASO
CARTAI E CARTOTECNICI • IL NUOVO CONTRATTO
La flessibilità
contro il lavoro straordinario
La scommessa è quella di utilizzare questo strumento per il controllo dell’orario contrattuale
e attenuare il ricorso alla cassa integrazione. Aumenti in linea con l’accordo di luglio
A
meno di un mese
dalla scadenza, e dopo sessanta giorni di
trattative, cartai e
cartotecnici hanno il
nuovo contratto di
lavoro. Siglata il 13
luglio, stretta tra l’attesa del nuovo tasso
d’inflazione programmata consegnato al Dpef
e l’accordo separato dei meccanici, l’intesa conferma le regole del protocollo di luglio e
detta nuove norme in materia
di diritti, orari, sicurezza sul lavoro e inquadramento professionale. «Il contratto che abbiamo firmato – spiega soddisfatto Salvatore Barone, segretario
nazionale Slc Cgil e capodelegazione alla trattativa – è un contratto “pulito” e chiaro. Recupera il differenziale in percentuale sull’inflazione pregressa e
agisce su quella del prossimo
biennio tenendo conto delle
tendenze in atto».
La retribuzione. Tradotto in cifre, fa un aumento medio a regime di 123.000 lire lorde, erogate in due tranche: 60.000 lire
dal primo luglio 2001 e altre
63.000 dal primo ottobre 2002.
Ritradotto in percentuali, significa un incremento complessivo del 5,34 per cento, di cui 3,60
acoprire l’inflazione programmata 2001-02.
Ma il capitolo retributivo prevede anche altri miglioramenti: a decorrere dal primo luglio
2002, l’indennità in cifra fissa
per i lavoratori a ciclo continuo
del cartario passa da 18 a 30.000
lire mensili; un’indennità di
10.000 lire mensili verrà poi per
la prima volta corrisposta, a partire dalla stessa data, per gli addetti su tre turni del comparto
cartotecnico.
La flessibilità. L’accordo (che
interessa 90.000 addetti, 25.000
cartai, il resto cartotecnici) pre-
cisa poi le norme in materia di
flessibilità che, è una delle scommesse dei sindacati, dovrà contribuire al contenimento del ricorso al lavoro straordinario e
alla cassa integrazione. Resta
fermo il principio che alla comunicazione da parte dell’azienda del bisogno di una diversa modulazione dell’orario
di lavoro segua il confronto con
le rsu e le organizzazioni sindacali territoriali. «In tema di flessibilità, da parte dei lavoratori
c’è ancora una certa difficoltà
d’approccio – commenta il sindacalista – . Vanno, invece, colteanche tutte le opportunità che
questa offre: le norme contrattuali, dunque, consegnano alla
contrattazione un impegno significativo di gestione e controllo della materia». Eccole, nello specifico, le «regole» della flessibilità: il preavviso non potrà
essere inferiore ai cinque giorni, entro i quali vanno definite
le modalità attuative del regime
orario; il riequilibrio tra prestazioni superiori e inferiori dovrà
avvenire previa comunicazionealla rsu entro sei mesi dal periodo di ogni ricorso all’orario
flessibile. La maggiorazione retributiva delle ore di «supero»,
inoltre, passa dal 10 al 30 per
cento (con equiparazione allo
straordinario); in orario notturno arriva al 40 per cento. Quanto al ricorso al lavoro straordinario, il contratto ne precisa le
causali in riferimento alle «esigenze indifferibili di durata temporanea» già previste nel vecchio ccnl. Fissato anche un limite orario: l’azienda non potrà chiedere più più di complessive 40 ore di straordinario
pro capite. Paletti qualitativi e
quantitativi, dunque, con l’obiettivo di un controllo più efficace degli orari. Non solo: chi lo
vorrà, potrà chiedere il recupero con riposo compensativo del
30 per cento delle ore di lavoro
straordinario prestate. Per i sindacati si tratta di una novità importante: è l’inizio, infatti, di un
percorso che dovrebbe portare
verso l’istutzione della banca
delle ore.
Sicurezza e diritti. La sicurezza è un tema che attraversa diversi capitoli del contratto. «So-
prattutto il cartario – dice Barone – è un settore a forte rischio
infortunistico. Con questa intesa abbiamo raggiunto due risultati significativi: la progettazione congiunta di moduli formativi da mettere a disposizioned’imprese e lavoratori e il miglioramento dell’accordo confederale in materia di rls, che nel-
COSI’ LE BUSTE PAGA
LE DUE TRANCHE DI AUMENTI
LIVELLI
Q
AS
A
B1
B2
Par. 161
C1
C2
C3
D1
D2
E
ALL’1-10-2002
Aumenti
Minimi
ALL’1-7-2001
Aumenti
Minimi
+98.100
+97.800
+83.200
+72.300
+68.300
+63.300
+60.000
+54.600
+48.100
+47.500
+43.600
+39.200
2.047.500
2.039.300
1.736.300
1.507.000
1.425.100
1.318.600
1.253.000
1.138.400
1.056.500
991.000
909.100
819.000
+102.800
+102.300
+87.100
+75.600
+71.500
+66.200
+63.000
+57.100
+53.000
+49.700
+45.600
+41.100
2.150.300
2.141.600
1.823.400
1.582.600
1.496.600
1.384.800
1.316.000
1.195.500
1.109.500
1.040.700
954.700
860.100
COMUNICAZIONE • ARTIGIANI E PICCOLE E MEDIE IMPRESE
Verso i contratti di settore
D
a due contratti a uno soltanto: con la firma del 18 luglio, è
stato compiuto un altro piccolo passo verso l’unificazione
contrattuale nel settore della comunicazione. I 30 mila dipendenti delle piccole e medie imprese aderenti a Confapi avranno un solo accordo di lavoro che sarà applicato a tutti gli addetti della filiera produttiva: cartai, cartotecnici, grafici editoriali.
Non solo. «Con questa operazione – commenta Emiliano Baretella, responsabile piccola e media impresa e artigianato della
Slc Cgil – abbiamo allargato la sfera contrattuale a tutta l’area
del multimediale, del digitale e della grafica pubblicitaria, fino
ad avere un primo, vero, contratto unico di settore, che va dalla fabbricazione della carta alle tecnologie informatiche della
comunicazione».
L’aumento retributivo sarà di 120.000 lire mensili medie, 50.000
dal luglio 2001, 30 mila da aprile 2002 e altre 40.000 da ottobre
2002. A copertura del periodo compreso tra gennaio e giugno di
quest’anno ci sarà una una tantum di 275.000 lire. L’applicazione del contratto nazionale, che decorre dal primo gennaio del
2001 e scadrà il 31 dicembre del 2004, per i nuovi settori (multimediale e informatica) partirà dal primo gennaio del 2002; nel
frattempo le parti troveranno le soluzioni più adeguate per risolvere le questioni non sempre facili dell’armonizzazione. Già
da ora si sa, comunque, che ai «nuovi arrivati» per i livelli retributivi sarà applicata la scala parametrale più alta, quella dei grafici, e scatterà da subito la possibilità di aderire la fondo previdenziale integrativo Fondapi. Il giudizio di Cgil, Cisl e Uil è estremamente positivo: «L’intesa – dicono i sindacati – è stata infatti
raggiunta nell’ambito delle regole del protocollo di luglio».
Il compito più complesso sarà sicuramente quello in materia di
classificazione: andrà infatti definita, aggiunge Baretella, una
scala professionale più aderente alle innovazioni in un settore in
continua mutazione. Il nuovo contratto (rispetto al quale proprio in questi giorni stanno partendo le consultazioni tra i lavoratori) amplia il diritto all’informazione, norma il telelavoro e il
lavoro ripartito (il cosiddetto job sharing), rafforza le regole sul
part-time e quelle sui congedi parentali e per la formazione. Cambiamenti anche in materia d’orario settimanale, che scende da
40 a 38 ore e mezzo. «All’inizio di ogni anno – spiega ancora il sindacalista – le parti definiranno i calendari. Sarà anche introdotta la banca delle ore». In attesa del lavoro sulla classificazione af-
7
num. 29 - 31 luglio 2001
le aziende da 150 a 200 dipendenti saliranno da uno a due».
Importanti anche le nuove tutele previste per appalti e lavori
esterni: nelle aziende con più di
50 dipendenti le attività di manutenzione per la salvaguardia
ela sicurezza degli impianti sarà
assicurata dai dipendenti dell’azienda madre.
Quanto ai diritti, l’accordo dà
particolare rilievo agli impegni
in materia di formazione (resi
ineludibili dalle traformazioni
cui è esposto il settore), con particolare riferimento all’apprendistato, alla valutazione dei fabbisogni formativi e ai congedi
per la formazione continua.
Sul fronte dei diritti inviduali,
sono in arrivo miglioramenti
sul part-time, la cui norma è
stata ampiamente riformulata. Le ore di lavoro supplementare oltre il limite fissato
per il mezzo tempo (e non più
del 20 per cento dell’orario normale annuo concordato) saranno retribuite con una maggiorazione del 20 per cento; in
caso di variazione, da parte
aziendale, della loro collocazione temporale (che dovrà comunque essere preannunciata con un preavviso adi almeno 10 giorni), i lavoratori godranno di una maggiorazione
salariale del 10 per cento. Le
aziende s’impegnano poi a prestare particolare attenzione alle richieste di part-time motivate da ragioni di salute, assistenza e formazione.
Potenziati, infine, i compiti dell’osservatorio nazionale. Tra gli
argomenti che saranno esaminati dall’organo paritetico verranno inseriti i processi di terziarizzazione e outsourcing, il
potenziamento della raccolta
differenziata della carta e, soprattutto, l’andamento dei trend
infortunistici.
STEFANO IUCCI
Emersione
concertata
non condoni
tombali
Un settore in chiaroscuro.
Nel cartario/cartotecnico
convivono la modernità di
investimenti innovativi di
grande respiro e dimensione (l’ultimo del gruppo Burgo, che ha speso mille miliardi nello stabilimento di
Verzuolo, a Cuneo) con la
condizione più antica dei lavori più antichi: la diffusione di un’occupazione al nero o, comunque, irregolare.
Un fenomeno difficile da
quantificare anche se, soprattutto nella cartotecnica,
cominciano ad arrivare segnali preoccupanti dal Mezzogiorno. E che contrastano, ancora una volta, con la
realtà di un comparto ricco
e in salute, nonostante un
rallentamento nell’ultimo
semestre dell’anno.
Proprio per questo, il nuovo
contratto di lavoro inserisce
per la prima volta norme
che dovrebbero servire a
costruire una strumentazione adeguata per favorire
l’emersione. Norme condivise da quelle aziende che
hanno tutto da guadagnare
da una competizione giocata sulla qualità e non sulla
compressione dei costi.
Per agevolare la regolarizzazioni dei rapporti di lavoro, le parti puntano a realizzare accordi territoriali di
emersione e riallineamento
economico e normativo.
Questi accordi, sono sottoposti a tre condizioni vincolanti: dovranno avere il consenso delle organizzazioni
nazionali stipulanti, diventare operativi solo a seguito
di intese aziendali di recepimento, avvenire in tempi certi e concludersi con la piena
applicazione del contratto
nazionale. Con questi passaggi si evita il rischio di contratti pirata e si crea l’opportunità per i sindacati di entrare in contatto e realizzare
consenso con i lavoratori in
emersione. Il percorso prevede dunque la presenza e la
concertazione costante delle parti. Giusto il contrario
del condono tombale che lascia presagire il programma
dei Cento giorni del governo
Berlusconi.
fidato all’osservatorio e alle varie commissioni, nell’immediato
sono stati inseriti nel contratto i nuovi profili professionali relativi al multimediale e ai call center, mentre è stato stabilito sin da
ora che le linee guide delle nuove riclassificazioni, di livello nazionale e aziendale, si baseranno sul concetto di polifunzionalità delle mansioni nelle diverse aree.
Mentre le piccole e medie imprese hanno il loro contratto, novità sono in arrivo anche dal comparto artigiano della comunicazione. Il contratto è scaduto il 30 giugno e Cgil, Cisl e Uil hanno da poco varato una piattaforma rivendicativa unitaria. Un settore complesso, quello dell’artigianato, vista la volontà di alcune delle controparti (soprattutto Confartigianato) di mettere in
discussione il modello contrattuale vigente.
La piattaforma verrà inviata nei prossimi giorni; nel frattempo
Cgil, Cisl e Uil hanno già chiesto di riallineare i salari per il 2000.
Sugli aumenti richiesti, ancora non si fanno cifre ma si chiede il
rispetto dell’attuale struttura contrattuale. Anche questo accordo riguarda tutta la filiera produttiva del comparto della comunicazione: studi fotografici, fotolaboratori, legatorie, copisterie,
S.I.
lavorazioni artigianali della carta.
FABBRICA INTEGRATA • DUE CASI A CONFRONTO IN UN LIBRO
Per la qualità totale
va bene anche un prato rosso
L’affermazione della lean production non è possibile solo in contesti nei quali, come alla Sata di Melfi, si partiva
da zero e il sindacato non c’era. Lo dimostra, secondo il sociologo Negrelli, l’esperienza Om-Iveco a Brescia
I
l punto è: che c’entra
Gramsci con il toyotismo?
Eppure un nesso c’è.
Quando nei Quaderni del
carcere afferma che «le
maestranze italiane, né
come singoli né come sindacati, si sono mai opposte alle innovazioni tendenti a una diminuzione
dei costi, alla razionalizzazione
del lavoro, all’introduzione di
automatismi più perfetti», sembra quasi introdurre lalean production(produzione snella), l’inevitabile approdo dell’industria contemporanea. Quella
che la letteratura chiama Fabbrica Integrata, mutuata dalle
esperienze del settore auto giapponese, in particolare della
Toyota. Un modello inaugurato in Europa dalla Fiat con lo stabilimento Sata di Melfi, e negli
anni più recenti approdato anche in impianti tradizionali come l’Iveco di Brescia. Partendo
da questo nesso Serafino Negrelli, professore associato di Relazioni industriali all’università
bresciana, ha svolto un confronto – pubblicato dalla Rubbettino nel volume Prato verde,
prato rosso–sulla realizzazione
della fabbrica integrata nei due
stabilimenti Sata e Iveco. Indagando soprattutto il rapporto
con i sindacati e la loro adesione al «modello partecipativo»,
elemento essenziale per la riuscita della Qualità totale.
E allora: cosa c’entra Gramsci?
«La lean production–spiega Negrelli – poggia su due pilastri. Il
just in time, ossia l’eliminazione dei magazzini e l’utilizzazione dei materiali solo nelle quantità necessarie alla realizzazione dei prodotti, e l’autoattivazione dei dipendenti, il loro for-
te coinvolgimento. Nel modello taylorista il lavoratore era un
semplice esecutore mentre oggi, e qui sta il richiamo a Gramsci, si riprende il rapporto positivo tra uomo e tecnologia. Senza l’intervento umano non vi è
alcuna produzione: una verità
che smaschera anche l’utopia
della fabbrica senza lavoratore,
praticata dalla Fiat negli anni ottanta con l’impianto ad alta automazione di Termoli».
Conclusa, quindi, la «sbornia
ipertecnologica», nei primi anni novanta la Fiat approda al
toyotismo, costruendo a Melfi
laprima fabbrica integrata d’Europa. A spingerla sono le cospicue agevolazioni finanziarie e
fiscali, ma anche la volontà di
creare un «laboratorio» dove
sperimentare senza vincoli e rigidità il nuovo modello di organizzazione del lavoro e della produzione.
Il contesto è green field (prato
verde), cioè privo di cultura industriale e sindacale. Nell’area
abbonda forza lavoro giovane,
mediamente scolarizzata, che
l’assenza di questa cultura rende più flessibile e malleabile.
La costruzione ex novo dello
stabilimento permette una divisione degli spazi tale da ottimizzare i rapporti tra le unità
operative, dando vita al «flusso teso», cioè il processo sequenziale continuo a zero scorte, ottenuto anche mediante
l’insediamento nel complesso
industriale dei fornitori più importanti. «Il confronto con Brescia – aggiunge Negrelli – è immediato: lo stabilimento lombardo è ancora quello della Om,
con i vecchi reparti e i magazzini ingombri di carrelli e semilavorati. La lean production
continuo» (con premi per
quelle accettate) e le riunioni
di team. Di questo modello, le
organizzazioni sindacali sono
parte essenziale. La partecipazione si realizza attraverso sia
le commissioni congiunte
(composte da responsabili
aziendali e della Rsu) in cui si
trattano gran parte delle questioni relative alla vita in fabbrica, sia una continua attività
di consultazione e informazione. Un capitolo nuovo – soprattutto per la Fiat che nella
sua storia ha spesso interpretato le relazioni industriali in
chiave unilaterale – che negli
anni ha premiato maggiormente, in termini di iscritti, le
organizzazioni più partecipative (Fismic, Fim e Uilm) e penalizzato la Fiom, la cui maggiore conflittualità scoraggerebbe l’adesione dei lavoratori.
«All’inizio – riprende Negrelli –
deve letteralmente aggirare le
presse, frantumandosi in più
punti. Una situazione comunque in via di superamento, anche perché si va verso la fabbrica modulare, dove l’impresa affida a terzi la maggior partedelle lavorazioni mantenendo soltanto il core business, il
montaggio finale non più dei
singoli componenti ma dei moduli complessi consegnati dai
produttori».
Nella Fabbrica Integrata al lavoratore, che opera all’interno
di un team, non viene più
chiesto soltanto di eseguire in
modo ripetitivo un’unica operazione, ma di fare il controllo
di qualità e la manutenzione
preventiva, di apprendere più
mansioni attraverso un meccanismo di rotazione programmata, di contribuire alla
crescita dell’azienda mediante
le «Proposte di miglioramento
l’esperimento della Sata è parso riuscito, ma ora stanno affiorando problemi. Emergono
nuove e più strategiche forme
di resistenza operaia: se lo
sciopero è ormai considerato
un retaggio del passato, da utilizzare come evento straordinario, si affermano invece l’assenteismo, i sabotaggi della
turnazione, la non partecipazione alle attività di miglioramento. Una disaffezione che
dà vita a proteste individuali e
passive, strettamente legate alla natura stessa della produzione snella».
Daquanto detto, potrebbe sembrare che l’affermazione della
lean productionèpossibile soltanto in contesti dove il sindacato non c’è, oppure è a vocazione moderata. Un’interpretazione sostenuta da molti, che
nel volume trova però una puntuale smentita. La tesi di Negrelli
èche la svolta verso la qualità totale funziona anche in ambienti red field (prato rosso), ovvero
di più difficile modificabilità.
L’Iveco dimostra, infatti, la possibilità di realizzare importanti
innovazioni in un insediamento a forte sindacalizzazione, seppur con compromessi e gradualità. E proprio nel cuore
dell’«anomalia bresciana», cioè
in fabbriche dove l’organizzazione maggioritaria è la Fiom,
una categoria locale particolarmente antagonista, al punto che
spesso si è trovata in contrapposizione con i vertici nazionali o con la stessa Cgil. Gli anni novanta hanno visto processi di ristrutturazione che hanno accompagnato l’introduzione all’Iveco della Fabbrica Integrata. Si è passati dalla centralizzazione funzionale al decentra-
mento, l’organizzazione del lavoro è stata organizzata per
«gruppi integrati» con la contestuale riduzione dei livelli gerarchici, ma l’autonomia dello
stabilimento e la rotazione dei
lavoratori sono ancora di là da
venire. I rapporti con i fornitori
ela parte commerciale sono tuttora accentrati a Torino: la situazione quindi è a metà strada
tra il just in time e l’assetto tradizionale.
Il modello delle relazioni industriali di Brescia si caratterizza,
oltre che per l’elevata sindacalizzazione, anche per la diffusa
attività di contrattazione aziendale, di cui l’importante accordodel 1999 sulla terziarizzazione è solo l’ultimo esempio. A
questa attività – si sostiene nel
libro – ha corrisposto però una
diffidenza, almeno da parte della Fiom, verso gli elementi di partecipazione e le commissioni
miste, che pure sono state costituite a Brescia secondo quanto stabilito dall'accordo Fiat del
marzo ’96. «Il loro limitato funzionamento – conclude Negrelli
– non si è tradotto però in una
completa assenza del modello
partecipativo: occorre infatti annoverare il ruolo della contrattazione informale su alcuni temi come le assunzioni o l’orario
di lavoro, oltre che contatti tra
direzione e sindacati su investimenti e terziarizzazioni. Un altro modo, quindi, di combinare lean production erelazioni industriali che, pur non scalfendo
l’immagine prevalente di rapporti formalizzati e antagonisti
tra le parti, ha consentito di fatto una gestione in qualche misura concertata dell’innovazione tecnologica e organizzativa».
MARCO TOGNA
LA DELUSIONE DI MELFI • INTERVISTA A CILLIS
IL MODELLO DUALE DI BRESCIA • PARLA SQUASSINA
Il laboratorio smantellato
Informali ma non per scelta
«L
alean production?Non è
mai stata realizzata. All’inizio abbiamo visto una tiepida
sperimentazione mentre ora,
con le continue esternalizzazioni, assistiamo al progressivo
smantellamento della fabbrica».
Giuseppe Cillis, segretario generale della Fiom di Potenza, è
durissimo. Il «laboratorio» Melfinon è riuscito, gli occupati sono diminuiti (sono meno di
6.000), l’esperienza partecipativa ha deluso le aspettative.
Rassegna La Fabbrica integrata funziona se si affermano nuove relazioni industriali. Come si
sono svolte in questi anni?
Cillis L’atteggiamento della Fiat
èsempre quello tradizionale. Un
esempio? Le commissioni congiunte. Per l’azienda sono soltanto il luogo dove comunicarci decisioni già prese, con mar-
gini di trattativa inesistenti. Noi
vogliamo discutere dei contenuti, loro ci vogliono come semplici notai. Puoi solo dire sì o no,
nient’altro.
Rassegna Altro «mito» della Fabbrica integrata è la centralità del
lavoratore, informato di tutto il
processo produttivo e in grado di
svolgere più prestazioni...
Cillis L’operaio Sata compie le
operazioni in meno di un minuto, in tali condizioni è impossibile occuparsi anche d’altro. Il
lavoro è polverizzato, ognuno
svolge esclusivamente la propria
mansione. Il resto lo ignora.
Rassegna Nel libro si registra la
crescente disaffezione dei lavoratori alle sorti dell’azienda...
Cillis All’inizio hanno creduto
alla possibilità di una fabbrica
diversa, poi hanno verificato l’inesistenza delle proposte. Ora
tanti giovani si stanno avvicinando al sindacato, in particolare alla Fiom. Dal ’98 in poi la
nostra presenza è aumentata,
nelle recenti elezioni tenute nelle fabbriche esternalizzate siamo diventati il primo sindacato. E non dimentichiamo il successo dello sciopero separato: il
35 per cento di assenze in fabbrica e 400 lavoratori in piazza.
Rassegna Quali sono i prossimi
appuntamenti?
Cillis In autunno si apre il confronto sul contratto aziendale.
Le nostre proposte riguardano
il miglioramento delle condizioni economiche e di vita, come l’eliminazione della «doppia
battuta» che fa lavorare per 12
notti consecutive, e l’equiparazione dei salari di Melfi, attualmente inferiori di circa 200.000
al mese, al resto del gruppo.
F
abbrica integrata o quant’altro, non è un
fatto di terminologie. La questione è avere
relazioni industriali corrette, con pari dignità.
«Questo stabilimento – dice Osvaldo Squassina, segretario generale della Fiom Brescia – ha
una funzione strategica: se si ferma, si bloccano gli impianti Iveco d’Europa, poiché qui si
producono quegli stampati in metallo e in plastica da cui tutti dipendono. La Fiat ha accettato questa realtà: per migliorare l’azienda deve
avere il consenso dei lavoratori».
L’introduzione della lean production sta andando avanti, anche se sul piano della partecipazione le lamentele sono le stesse di Melfi: «Le
commissioni non contano nulla – aggiunge il
sindacalista –, non rappresentano alcuna relazione avanzata. L’azienda ti informa di scelte
già fatte, starci dentro non ha senso».
Nel libro Prato verde, prato rosso, Negrelli sottolinea l’aspetto informale dei rapporti tra sindacati e management all’Iveco. «Per la Fiat – spiega Squassina – un accordo realizzato qui vale
per tutti gli stabilimenti, ovunque siano. La trattativa informale non è una nostra scelta, ma ser-
9
num. 29 - 31 luglio 2001
ve a raggiungere un risultato senza mettere in
discussione le regole militari della Fiat. Ci sono
volte, però, in cui l’accordo verbale non è sufficiente ed è necessario procedere sulla via contrattualistica, come è stato per la riorganizzazione del ’97 e le terziarizzazioni del ’99».
Questo modello duale, cioè fondato su contrattazioni scritte e intese verbali, è possibile
laddove il sindacato esprime forza e interessi
largamente condivisi. All’Iveco oltre il 60 per
cento dei lavoratori è iscritto alle organizzazioni, con decisa predominanza della Fiom
(1.500 tessere su 4.000 dipendenti). «La fabbrica – conclude Squassina – negli ultimi anni
ha visto grandi trasformazioni. I lavoratori sono tutti giovani: il 90 per cento di loro è stato
assunto dopo il 1987, l’età media è di 34 anni.
Eppure questo cambiamento non ha scalfito
minimamente il livello di rappresentanza sindacale, che anzi negli ultimi anni è divenuto
più alto. Questo dimostra che anche i giovani
hanno assorbito la memoria storica di questo
impianto, fatta di serietà, unità sindacale, anM.T.
tagonismo intelligente».
Laura Martini
Responsabile del gruppo di lavoro Cgil
per lo sviluppo dei Fondi pensione
I
punti critici su cui si attesterà nei
prossimi mesi la prospettiva dei
Fondi pensione sono due. Il primo
è costituito dall’intento,
manifestato dal governo, di
spostare progressivamente la
previdenza complementare dal
piano «integrativo», come sostiene
il sindacato, a quello «sostitutivo». Il
secondo è la mancata previsione
dell’utilizzo del Tfr nei Fondi, che
impedisce quell’operazione a cui per anni
abbiamo puntato e che peraltro doveva
completare gli effetti del Dlgs 47/2000 sul
piano fiscale con una piena
equiparazione dei diritti dei lavoratori
dipendenti e degli autonomi (il plafond di
deducibilità è infatti legato alla quantità di
utilizzo del Tfr). Vi è poi un altro aspetto
da tenere in considerazione, ed è quello
riguardante l’annunciata equiparazione
fra fondi chiusi e fondi aperti, che verrà
certamente accelerata ma che, dobbiamo
dire, ci aspettavamo: un elemento critico
anche se non il più preoccupante.
Questi comunque i temi con cui dovrà
confrontarsi l’iniziativa della Cgil.
Un’iniziativa che non possiamo delegare
tutta a eventuali interventi esterni, sia
promozionali che coercitivi, e che deve
svilupparsi avendo chiari, in ogni momento,
gli orizzonti strategici della nostra politica.
Questi sono: • lo sviluppo della previdenza
complementare come fattore essenziale per
la tutela pensionistica, in chiave integrativa e
non sostitutiva; • la difesa della previdenza
pubblica, pur nell’ambito delle compatibilità
di sistema, come elemento strutturale; • la
tutela dei diritti individuali e collettivi dei
lavoratori e dei cittadini, garantendo pari
opportunità di accesso e pari dignità delle
condizioni di vita.
Con queste premesse proviamo a entrare nel
merito della situazione specifica dei Fondi.
La situazione attuale
La Covip (Commissione di vigilanza sui
fondi pensione) ha di recente presentato la
prima relazione sullo stato dei Fondi al
2000. Intendo qui riferirmi solo ai Fondi
pensione negoziali nazionali, non perché
FONDI PENSIONE / 1
Ifondi negoziali sono un diritto
esercitato in misura
ancora ridotta. Un diritto
che ora deve diventare realtà
FONDI PENSIONE / 2
Un fondo per ogni settore,
tutti i lavoratori con la possibilità
di iscriversi a un fondo.
Questo l’obiettivo da perseguire
non sia interessante anche lo sguardo
d’insieme, ma per focalizzare l’oggetto del
lavoro che la Cgil dovrà compiere.
I Fondi pensione negoziali autorizzati
all’esercizio dell’attività sono passati dai 5
del 1999 ai 17 del 2000, con una media della
contribuzione che è cresciuta dal 4,6 al 9,2.
I Fondi autorizzati alla raccolta delle
adesioni nel 2000 erano 15, con una media
della contribuzione dell’8,97. Per quanto
riguarda il rapporto fra occupazione
dipendente e iscritti i dati ci dicono che gli
iscritti sono complessivamente poco più di
un milione su circa 9milioni di lavoratori
dipendenti. Nei Fondi autorizzati
all’esercizio, la massima percentuale di
adesioni si ha nelle aziende con oltre mille
dipendenti (45,6). Le adesioni femminili
sono concentrate nel Nordest e nel
Nordovest e precipitano al Sud. Più in
generale le adesioni sono concentrate nel
Nordest e nel Nordovest (26,3 e 39 per
cento) e scendono al Centro e al Sud (19,1 e
15,6 per cento). Per quanto riguarda l’età il
numero più consistente di adesioni si
concentra fra i 35 e i 49 anni. Nei Fondi
pensione autorizzati alla raccolta si
confermano queste tendenze.
non può certo dare risposta a tutti i
problemi. Dovremmo allora assumere due
logiche comuni e condivise: la prima è che
il destinatario è l’utenza, i lavoratori
presenti e futuri (in coerenza con
l’obiettivo della esigibilità del diritto); la
seconda è che non ci servono iniziative
tutte e solo generali ma che ogni iniziativa,
anche parziale, può corrispondere in
modo molto più efficace alla soluzione di
un problema elementare, parte
importante del problema complesso.
Obiettivi e destinatari
C’è una legge che dice che non esiste
problema complesso che non possa essere
scisso in problemi elementari e che la
somma delle soluzioni elementari
conduce alla risposta al problema
complesso. Il problema complesso che
abbiamo di fronte non è «come far
iscrivere i lavoratori» ma un altro, che
corrisponde a un nostro obiettivo
strategico: rendere esigibile un diritto
contrattuale (e anche legislativo) per
garantire la copertura previdenziale
integrativa e tutelare la copertura
pensionistica.
I destinatari privilegiati della nostra azione
sono i lavoratori e i futuri lavoratori (i
giovani): e questo deve interferire con ogni
nostra iniziativa: politica, contrattuale,
organizzativa, di servizio.
Uno dei punti di sofferenza di tutto il
pregevole lavoro messo finora in campo
dalle categorie e dalle strutture territoriali,
sia sul piano politico che dei servizi, è che
spesso sembra parlare più al nostro
interno che ai destinatari. Spesso non vuol
dire sempre, ma questo provoca una
ulteriore disomogeneità di comunicazione
che non facilita la possibilità di lavorare in
rete e di diventare sistema. Il solo punto di
coordinamento è costituito dal
dipartimento Politiche sociali e del welfare
della Cgil nazionale, che di per sé
rappresenta il luogo delle scelte e degli
orientamenti generali e strategici, ma che
Un diritto esigibile
Dopo la legge 124 abbiamo conquistato,
per via contrattuale, un diritto. Ora questo
diritto dobbiamo generalizzarlo
affrontando due problemi: • arrivare alla
costituzione di un Fondo pensione in tutti
i settori, • garantire a tutti i lavoratori che
fanno capo a un Fondo pensione già
costituito la possibilità concreta
dell’iscrizione. Sul primo punto abbiamo
cominciato a sistematizzare le nostre
conoscenze e ad analizzare l’insieme dei
settori per verificare dove il Fondo è già
costituito, dov’è in previsione, dove c’è
ancora un ritardo d’iniziativa e perché. In
quest’ambito occorre avere ipotesi anche
per i settori critici, rappresentati ad
esempio da «piccoli contratti» o categorie
di lavoratori molto dispersi anche se
quantitativamente rilevanti, partendo
dalla considerazione ormai abbastanza
matura, almeno al nostro interno, che
l’obiettivo non è «ogni contratto un
fondo», ma la ricerca della collocazione
(per settori affini) più opportuna.
Su questo è evidente la centralità
dell’iniziativa confederale ma è chiara
anche l’importanza dell’iniziativa
contrattuale delle categorie.
Sul secondo problema – garantire a chi già
abbia un Fondo di riferimento la possibilità
reale di aderirvi – occorre risolvere
questioni quali le resistenze aziendali, ma
anche l’assenza d’informazione e la
mancanza di luoghi in cui i lavoratori
L’AGENDA
possano recarsi per porre le loro domande
e nei quali sia possibile fornire le risposte
adeguate, la documentazione necessaria o
solo spiegare, in termini semplici, cos’è un
Fondo pensione negoziale.
È evidente la necessità di un lavoro
organizzato e sistematico di rete, che cioè
metta in relazione i vari punti del lavoro su
questo fronte: il lavoro di orientamento
strategico e generale (confederazione
nazionale); il lavoro contrattuale
(categorie); il lavoro operativoorganizzativo (categorie, regionali e
Camere del lavoro); il lavoro di supporto e
di interfaccia del sistema dei servizi. È
sintomatico che, mentre fra il primo e il
DOVE VANNO I FONDI NEGOZIALI •
I veti di Confindustria, le difficoltà che vivono
C
on il decreto legge n. 47 del 18 febbraio 2000
e il successivo decreto correttivo del governo (n. 168/2001), si è venuta consolidando la disciplina fiscale del sistema della previdenza complementare. L’analisi e la valutazione delle novità legislative introdotte va però sviluppata alla
luce di alcune considerazioni di carattere generale sullo stato attuale del sistema previdenziale.
Dopo anni di confusione e strumentalità intorno ai conti della previdenza, negli ultimi mesi del
2000 si è fatta chiarezza anche a livello degli organismi europei internazionali. Infatti, sia i documenti Ocse che quelli Fmi hanno riconosciuto la validità strutturale della riforma pensionistica italiana. A parere della Cgil bisognerà verificare ora gli eventuali effetti della cosiddetta «gobba demografica», che potrebbe verificarsi a partire dal 2005, con l’andata in pensione delle generazioni dei primi anni 50, determinando un
aumento dell’incidenza della spesa per pensioni sul Pil. A fronte di un possibile futuro incremento della spesa, la Cgil ritiene che questo gap
si possa affrontare con l’estensione pro rata, anche ai lavoratori più anziani, del metodo di calcolo contributivo della prestazione pensionistica. Questa misura di completamento della rifor-
ma, però, potrà essere adottata solo dal momento che per tutti i lavoratori italiani sia possibile
partecipare al sistema dei fondi pensione integrativi, per affiancare alla pensione pubblica una
pensione complementare a capitalizzazione. La
verifica delle pensioni che dovrà tenersi quest’anno non potrà, infatti, non tenere conto del
fatto che l’equilibrio definito con la riforma del
’95 si basa su due pilastri che hanno tra di loro un
preciso rapporto strutturale, e che non può essere proponibile nessuna ulteriore correzione al
sistema pensionistico pubblico senza il decollo
generalizzato della previdenza complementare.
L’Italia non necessita di una nuova riforma delle pensioni. Il pilastro pubblico deve restare quello fondamentale e prevalente, e deve continuare a garantire un significativo tasso di sostituzione tra pensione e reddito da lavoro, integrato da
un sistema complementare su base volontaria.
Va difeso insomma l’impianto strutturale ripartizione/capitalizzazione deciso dalla riforma.
Sono passati alcuni anni dal decollo dei primi
Fondi pensione negoziali, e oggi è possibile fare
un bilancio dei risultati raggiunti, sia rispetto alla caratteristica e alla quantità delle adesioni, che
sui rendimenti finanziari annuali di esercizio.
Il quadro attuale evidenzia aspetti positivi insieme a difficoltà rilevanti. Si registrano elevati tassi di partecipazione nelle realtà in cui esiste una
forte rappresentatività del sindacato e delle associazioni imprenditoriali, dove sono stati raggiunti risultati, in termini di adesione, che in altri paesi hanno richiesto tempi molto più lunghi.
Nello stesso tempo, però, nei settori dove il sindacato è più debole e le associazioni imprenditoriali meno rappresentative o divise al loro interno, i Fondi sono di fatto fermi al palo. Questo
conferma che la contrattazione in materia di previdenza complementare, se non è supportata da
nuove norme di legge, non può diffondere i benefici della previdenza medesima a una grandissima parte del mondo del lavoro, soprattutto
ai giovani. Si rischia di lasciare senza protezione
i lavoratori più deboli che, a seguito della precarietà del lavoro e delle basse retribuzioni, sono
destinati a ricevere nel futuro una pensione pubblica assai modesta. È per questi motivi che la Cgil,
nel 2000, si è impegnata per una riforma del Tfr
che mettesse a completa disposizione dei lavoratori questo risparmio forzoso e poco redditizio
per trasformarlo in «risparmio previdenziale»,
utilizzandolo per la previdenza complementare.
10
num. 29 - 31 luglio 2001
Se analizziamo i risultati quantitativi delle adesioni constatiamo che tuttora, su quaranta fondi negoziali avviati con la contrattazione, hanno aderito circa un milione di lavoratori rispetto a una platea di circa 9 milioni di lavoratori attivi. Tutto ciò dimostra che manca ancora la piena convinzione dei vantaggi reali
della adesione ad un Fondo negoziale.
Oggi, sul tema dei vantaggi, oltre a quelli derivanti
dalla nuova disciplina fiscale, siamo in grado di
valutare con certezza che i Fondi pensione che
da tempo hanno avviato la gestione finanziaria,
pur con una gestione prudente, conseguono risultati molto interessanti. Il Fondo pensione del
settore chimico e affini (Fonchim), che ha raggiunto tre anni di pieno esercizio alla fine del 2000,
ha avuto nel triennio una rivalutazione del patrimonio individuale di ogni iscritto del 20 per cento a fronte di una rivalutazione del Tfr non utilizzato per la previdenza complementare nello stesso triennio del 9,5 per cento. Tutto ciò conferma
che chi si iscrive a un Fondo pensione negoziale,
oltre al vantaggio di poter percepire il contributo dell’azienda e ai benefici fiscali, può avere dai
contributi versati, compresa la quota di Tfr, una
rivalutazione annuale più che apprezzabile.
FONDI PENSIONE / 3
Ma per raggiungerlo bisogna
cambiare stile di lavoro: parlare
ai destinatari dell’iniziativa
sindacale. Non solo al sindacato
DELLA CGIL
espressamente impegnati sulla materia,
non c’è un’attivazione sostanziale del
sistema per dare gambe al processo. Per
questo si è definito come obiettivo
strategico quello di rendere esigibile il
diritto: per richiamare tutti alla funzione e
al dovere squisitamente sindacale che
l’operato in questo campo comporta.
Occorre che l’insieme dei sindacalisti
diventi operativo e si attivi; la conseguenza,
altrimenti, è dal punto di vista
organizzativo la delega agli addetti, dal
punto di vista sindacale la mancata crescita
della cultura del risparmio previdenziale fra
i lavoratori e soprattutto fra le Rsu, le quali
per prime, se sono convinte, sono il miglior
tramite per fare adesioni. È chiaro che nelle
grandi aziende i problemi si pongono
diversamente (non a caso lì c’è la maggior
concentrazione di adesioni), così com’è
molto più delicato è il problema nelle
aziende diffuse sul territorio.
Ma veniamo ora ai problemi di carattere
organizzativo che oggi abbiamo di fronte.
secondo punto si è sempre avuta una
relazione, il gap di rapporto si apre appena
si passa al terzo punto e nella relazione fra
il terzo e il quarto punto, cioè nella fase
operativa in senso stretto.
Per inciso, il gap fra il secondo e il terzo
punto (dalla contrattazione all’operatività,
intesa non nel senso della costituzione e
gestione del fondo, ma nel rapporto con
l’utenza, che abbiamo assunto a
riferimento del lavoro da fare) nasce
dall’idea che il lavoro strettamente
sindacale si concluda con la fase
costituente del Fondo e le assemblee di
presentazione.
Di fatto, salvo dove ci sono sindacalisti
Alcune questioni organizzative
Conoscenza generale della situazione Oggi
come oggi ognuno conosce il suo «pezzo».
Se ci poniamo nell’ottica di un intervento
complessivo e sinergico, devono esistere
punti in grado di effettuare il monitoraggio
complessivo della situazione. Occorre però
un lavoro organico. Lo strumento
principale per quest’obiettivo è la
realizzazione dell’anagrafe degli iscritti e
subito dopo la realizzazione dell’interfaccia
tra le banche dati di cui disponiamo: quella
del Patronato e quella del Caf.
La realizzazione di questo indispensabile
strumento è ormai solo un problema di
volontà: la strumentazione informatica è
ampiamente diffusa e parti intere (in
particolare i servizi) la utilizzano
quotidianamente; da questa mole
imponente e preziosa di dati dobbiamo
riuscire a trarre utilità mirate a specifiche
parti del nostro lavoro, nell’interesse degli
iscritti. Dall’anagrafe si può sapere se un
• UN BILANCIO DEI RISULTATI CONSEGUITI E DEI PROBLEMI APERTI
le organizzazioni sindacali
Le difficoltà presenti nella fase di raccolta delle
adesioni ai Fondi mettono in evidenza che la
mancata messa a punto di una linea comune del
sindacato sulla materia determina, insieme ai
veti della Confindustria, il blocco di ogni iniziativa finalizzata a consolidare il sistema. Questo
ha creato una situazione molto grave, che finirà
per incidere sulla verifica della riforma delle pensioni e ha determinato e determina una grave disparità di trattamento fra i cittadini.
Nell’applicazione della riforma del trattamento
fiscale e del risparmio previdenziale, entrata in
vigore all’inizio di quest’anno, l’aumento della
deducibilità (pari al 12 per cento del reddito, fino
ad un massimo di 10 milioni) è collegato alla piena utilizzazione dei flussi annuali del trattamento di fine rapporto. Nei fatti, però, i lavoratori dipendenti non potranno beneficiare pienamente delle nuove misure fiscali, mentre questo sarà
possibile per i lavoratori autonomi, i liberi professionisti e gli imprenditori, proprio perché la
deducibilità è legata alla quantità di Tfr versato ai
Fondi. Le sopra citate novità fiscali migliorano
però il sistema di tassazione dei riscatti del capitale accumulato in caso di pensionamento, e migliorano la tassazione dei riscatti richiesti in ca-
so di perdita del posto di lavoro per cause non dipendenti dalla volontà delle parti.
A fronte dei risultati conseguiti non si possono
sottovalutare i limiti presenti: non tutto il quadro
dirigente ai vari livelli della Cgil si è impegnato in
modo efficace sul tema della previdenza complementare. Si fa fatica a creare sinergia tra le categorie, le strutture confederali e il sistema dei
servizi per costruire interventi mirati a superare
le situazioni più critiche. È su questo che si sta
mettendo a punto un piano di lavoro. Se infatti
riusciamo a lavorare insieme per lo sviluppo dei
Fondi, rafforziamo la nostra visibilità di organizzazione sindacale che ha al centro la difesa dei diritti dei lavoratori, tenuto anche conto che la contrattazione ha destinato ai Fondi risorse che sono state sottratte ai salari, per finalizzarle alla difesa dello Stato sociale e delle forme collettive di
previdenza. In assenza di risultati apprezzabili,
in conclusione, diverrà sempre più forte il partito di coloro che spingono per una previdenza privata di tipo individuale e per un definitivo smantellamento del sistema pensionistico pubblico.
DANIELE CERRI
Dipartimento Politiche sociali
e del welfare Cgil
lavoratore è iscritto o no ad un Fondo
pensione e a quale, notizie si possono
avere dalle banche dati di Inca e Caf:
questo consentirebbe un primo approccio
all’altro punto critico costituito dal deficit
d’informazione.
Scarsa informazione Si tratta di un
problema richiamato non solo dalla Cgil
ma anche dall’analisi sulle criticità dei
Fondi effettuata dal Cnel. L’informazione ai
lavoratori deve essere aggiornata,
completa, costante; deve creare fiducia:
cioè chi cerca l’informazione deve sapere
che la troverà e che è attendibile.
L’informazione una tantum è scarsamente
efficace, la seconda volta rischia di non
funzionare più. Essa deve saper rispondere
alle domande: • chi (quale Fondo
pensione), • come (mi iscrivo, chiedo
informazioni ecc.), • dove (indirizzi,
recapiti, persone a cui rivolgersi) e altri
elementi utili. Volantini, manifesti, depliant
ecc. fanno parte più della comunicazione
che di questo tema.
L’informazione può viaggiare attraverso i
tradizionali strumenti cartacei: la stampa
sindacale, in sostanza (ma con parti
dedicate in modo permanente alla
questione), con spazi interattivi a
disposizione. Necessario è poi
l’aggiornamento costante su tutte le
iniziative dei fondi, l’utilizzo di strumenti
dedicati, ad esempio il numero verde, e
l’inserimento dei servizi informativi sui
fondi nella Carta di servizi della Cgil.
Estremamente utile è ovviamente anche
l’uso di Internet. Per adesso il sito già
esistente è stato solo aggiornato, in
prospettiva deve assumere la forma di un
portale dedicato. Prevediamo anche la
pubblicazione in rete di una newsletter con
le novità sui Fondi pensione da inviare su
richiesta (abbonamento gratuito in linea) e
il regolare aggiornamento della pagina con
le Faq (domande ricorrenti).
I siti delle categorie offrono molte cose utili
e ben fatte, ma salta agli occhi qualche
considerazione. Per arrivare ai Fondi
spesso bisogna faticare e alla fine molte
volte si è solo reindirizzati altrove: allora
sarebbe meglio mettere subito un link ben
visibile di rinvio. In molti casi non c’è
niente e bisogna andarsi a cercare le
informazioni sul sito del Fondo. Molti siti
non sono aggiornati (discorso che riguarda
anche quelli dei Fondi); ma bisogna fare
attenzione: un sito è una porta aperta
all’esterno, se non è aggiornato non è
inutile, è dannoso.
Nessuno dei nostri siti è interattivo, cioè
consente, salvo le e-mail, di mettersi in
contatto con noi per avere informazioni;
critica che ci è venuta anche dalla recente
indagine in materia di cui ha dato conto
Rassegna (vedi il n. 26/2001, ndr). Non è un
problema di costi: anche in questo caso il
problema è semmai di formazione (sugli
strumenti informatici, peraltro a livello di
base) e di volontà (come per le anagrafi).
Per le strutture verranno pubblicati tutti i
documenti più importanti per
l’aggiornamento del lavoro e i materiali
utili per la formazione, in modo che siano
liberamente scaricabili. In sostanza,
distinguiamo fra informazione agli utenti,
che deve rappresentare il leit motiv e
informazione utile agli addetti.
C’è poi il problema dell’informazione nei
luoghi esterni al sindacato. Come far
conoscere le nostre iniziative e i nostri
servizi? Oltre agli strumenti di cui abbiamo
parlato, c’è un dove: e cioè in quale luogo –
all’interno delle sedi sindacali, in quelle dei
centri servizi, dei patronati e dei Caf –
mettiamo i depliant e altro materiale
informativo. Molto importante, com’è
ovvio, è che questo materiale venga
effettivamente distribuito ed
eventualmente illustrato (fa parte della
formazione) nei luoghi di lavoro (se c’è una
Rsu disponibile a non lasciarla in un
cassetto) e anche fuori, nei posti
frequentati dalla gente e soprattutto dai
giovani: bisognerà trovare al riguardo le
opportune disponibilità.
Comunicazione Si tratta di un tema
decisivo: c’è un problema di linguaggio,
11
num. 29 - 31 luglio 2001
SEGUE A PAG. 14
▼
I FONDI PENSIONE OGGI
1. PER AREE GEOGRAFICHE
Fonte Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione
1.1 - Autorizzati all’esercizio dell’attività
(media della contribuzione: 9,2)
UOMINI
DONNE
MEDIA
24,6
38,1
19,4
17,9
32,2
42,4
17,9
7,5
26,3
39
19,1
15,6
Nord-Est
Nord-Ovest
Centro
Sud e Isole
1.2 - Autorizzati alla raccolta di adesioni
(media della contribuzione: 8,97)*
UOMINI
DONNE
MEDIA
20,9
56,4
16,8
5,9
20,8
60,4
16,4
2,4
20,9
57,8
16,7
4,6
Nord-Est
Nord-Ovest
Centro
Sud e Isole
* Adesioni sul dato complessivo
1,3 - Rapporto tra occupazione e adesione
(Media della contribuzione: 9,17)
OCCUPAZIONE
Nord-Est
Nord-Ovest
Centro
Sud e Isole
23
33
19
25
ADESIONI
26
39
19
16
2. I SINGOLI FONDI*
Fonte Mefop
1.1- Autorizzati all’esercizio dell’attività
Alifond
Arco
Cometa
Cooperlavoro
Filcoop
Foncer
Fonchim
Fondenergia
Fonser
Fopen
Mediocredito C.
Pegaso
Previambiente
Previcooper
Previvolo
Quadri e capi Fiat
Telemaco
ADERENTI
TASSO
DI ADESIONI
30.574
17.000
351.000
10.818
10,19
9,60
35,10
3,61
5.495
107.726
30.420
498
55.518
390
16.082
14.148
8.030
2.532
14.311
62.354
15,70
58,23
64,72
66,14
76,58
74,00
40,21
33,69
14,60
93,78
87,42
77,46
1.2 - Autorizzati alla raccolta di adesioni
ADERENTI
Artifond
Byblos
Concreto
Eurofer
Fondapi
Fondav
Fontan
Fonte
Gommaplastica
Marco Polo
Mediafond
Previagens
Previmoda
Priamo
Socrate
TASSO
DI ADESIONI
In corso
16.000
4.200
10.947
20.707
2.548
8,42
32,31
10,14
2,96
50,29
12.000
21.400
0,30
17,37
35.792
5,97
97
0,65
* A fine 2000 le adesioni ai Fp erano 885.651
su una platea di circa 9.000.000 di potenziali aderenti
(lavoro dipendente).
L’incremento delle adesioni rispetto al 1999
era del 26,3 per cento
SANITA’ USA • LA CHIUSURA DEL D.C. GENERAL HOSPITAL DI WASHINGTON
Niente cure
per il «cittadino chiunque»
Una vicenda emblematica dei gravissimi danni prodotti dalla riduzione della salute a mercato
D
opo 195 anni di attività ha chiuso, per
volontà del sindaco del Distretto W.
Williams, il D.C.
General Hospital di
Washington. L’ospedale forniva assistenza gratuita ai
derelitti e ai poveri
privi di assicurazione sanitaria
residenti nel distretto della città,
dove la stragrande maggioranza della popolazione è costituita da afroamericani. Nella sua
storia travagliata la struttura ha
conosciuto periodi di grande decadenza che si sono alternati
con altri, specie in tempi recenti, in cui essa aveva raggiunto,
nonostante la cronica carenza
di mezzi, livelli di eccellenza superiori a quelli di moltissimi altri ospedali. Prima di soffermarci
sul significato più generale della vicenda, ripercorriamo alcuni momenti della vita di quest’istituzione.
Nel 1943 una commissione del
Senato definisce l’ospedale, allora chiamato Gallenger memorial, una «casa degli orrori»,
incui i pazienti, solitamente legati ai letti, vengono tenuti in
una condizione simile alla prigionia. Nel 1953 l’amministrazione distrettuale cerca di apportare miglioramenti nella gestione della struttura e ne cambia il nome, adottando quella
attuale di D.C. General Hospital, ma le condizioni non subiscono sostanziali cambiamenti. I miglioramenti avvengono
invece negli anni successivi, tanto che nel 1975 la Joint Commission on the Accreditation of
Health care Organizations conferisce all’ospedale l’accreditamento di soggetto erogatore, poi
riconfermato nei trienni successivi. Così, prima della sua
chiusura, il General Hospital viene sottoposto a una nuova pro-
cedura di verifica al termine della quale realizza uno score del
94 per cento, superiore alla media tra l’86 e l’88 raggiunta dalle altre strutture ospedaliere accreditate per erogare prestazioni nell’ambito del programma
di Medicare e Medicaid.
Le motivazioni addotte per la
chiusura da parte di Williams e
della commissione costituita a
tale scopo hanno riguardato sia
la scarsa qualità del servizio reso, sia i costi della struttura ritenuti non compatibili con il bilancio distrettuale; altro elemento di pregiudizio è stato
inoltre considerato l’uso improprio dell’ospedale come rifugio degli homeless della città.
Il primo assunto è stato smentito dalla stessa Joint Commission, sul secondo pesanti riserve sono state sollevate dal comitato per la difesa dell’ospedale, che ha contestato i dati del
bilancio previsionale parlando
di una vera e propria manipolazione della verità compiuta dal
sindaco e dalla commissione.
Questi, in estrema sintesi, i fatti; fatti che hanno un valore emblematico ed evidenziano una
vera e propria deriva del paese
più ricco e potente del mondo.
La privatizzazione del servizio
sanitario e il liberismo economico hanno condotto gli Usa
alla completa equiparazione tra
prestazioni sanitarie, merci e
altri beni di consumo; conseguentemente la loro «produzione» è stata affidata ad agenti che, al pari degli altri produttori, hanno come unico scopo
la realizzazione di profitti e l’incremento del capitale. In questo processo tutto quello che
non offre utili significativi o non
riesce a trasformarsi in rendita
viene dismesso in quanto antieconomico; nessuna remora
solleva il fatto che ciò avvenga
a discapito dei diritti fonda-
mentali e dei bisogni più elementari dei cittadini; quel che
conta è che il mercato non subisca interferenze e che venga
lasciato libero di autoregolarsi.
La società americana, in sostanza, somiglia sempre più a
quella descritta da Marx nella
Questione ebraica:un luogo «in
cui l’uomo appare come uomo
privato che considera gli altri
come mezzo e facendo questo
degrada se stesso a mezzo e diviene trastullo di forze estranee». In questa rete di interessi
materiali a trovare posto e collocazione non è più il «cittadino chiunque» di Salvatore Veca, titolare come tale di diritti
universali e sempre esigibili, ma
solo il potenziale consumatore, eufemisticamente definito
«il decisore razionale», il cui accesso ai beni è subordinato alla sua capacità economica.
La chiusura del D.C. Hospital
assume un ulteriore valore simbolico in relazione anche alla
mai risolta questione razziale. I
due temi della povertà e della discriminazione razziale si trovano intrecciati in questa vicenda
in un groviglio difficile da dipa-
nare; l’ospedale rappresentava
infatti per la comunità nera un
tessuto di relazioni, accoglienza e solidarietà che andava oltre il suo scopo istituzionale di
luogo di cura e che ora viene irresponsabilmente reciso.
Del resto quanto avvenuto è ben
poca cosa in un paese come l’America che detiene il triste primato di 43 milioni di cittadini
totalmente privi di assistenza
sanitaria; costoro poi non rappresentano più i derelitti del sottoproletariato urbano ma appartengono prevalentemente
alla middle class. Il ceto medio,
in un processo di progressiva
proletarizzazione, pur non versando in condizioni di indigenza tali da comportare il diritto
all’assistenza riservata ai poveri, non è più in grado di pagare
le polizze assicurative i cui importi hanno subito negli anni incrementi intollerabili. Questi
cittadini di serie B erano 23 milioni nel 1980; sono cresciuti al
ritmo di 1 milione l’anno, dimostrando chiaramente come
l’imponente incremento del Pil
non si sia convertito in una diminuzione delle diseguaglian-
ze, anzi le abbia aumentate. Il
servizio sanitario degli Usa, oltre a essere iniquo, appare sempre più come un gigante malato i cui incredibili costi di gestione (il 14 per cento del Pil) non
si traducono in un effettivo benessere dei cittadini. Nella classifica per la qualità della vita è
agli ultimi posti fra i sette paesi
più industrializzati del mondo.
I dati recentemente pubblicati
dalla banca dati della Cia dimostrano che nonostante il Pil per
abitante in Usa sia pari a 33,900
dollari rispetto a una media di
23,400 dei sette paesi più industrializzati (Francia, Germania,
Italia, UK, Spagna, Giappone,
Usa) la mortalità infantile è invece del 6,8 per mille rispetto alla media del 5,2 e la vita media è
di 77,1 anni rispetto al 78,8 degli altri. Il servizio sanitario americano è dunque assolutamente inadeguato rispetto a quello
degli altri paesi che spendono
mediamente la metà; e appare
equivalente a quello di Cuba
(mortalità = 7,5; vita media =
76,2) che però può contare su
un reddito per abitante venti
volte inferiore, cioè pari solo a
1,700 dollari . Tutto questo dimostra non soltanto la netta superiorità dei servizi sanitari pubblici, ma anche il totale fallimento di quelli basati su un sistema assicurativo privato. Il regime delle assicurazioni, inoltre, ha assunto in Usa, negli ultimi anni, un potere sempre più
dispotico e capace di condizionare pesantemente la politica.
Emblematico in tal senso è il caso dello stesso presidente Bush
che, in opposizione al Congresso, è pronto a esercitare il suo diritto di veto contro una legge che
tenta di ridare un minimo di potere contrattuale al cittadino
proprio nei confronti delle compagnie di assicurazione. Tempo fa il New York Times (vedi
Adesso sto meglio n. 31, 3 aprile
2001 su <www.cgil.it>) illustrava in un articolo i costi proibitivi sostenuti da coloro che fanno ricorso alle cure ospedaliere
e sono privi di assicurazione; le
società proprietarie degli ospedali, infatti, impiegano tariffe diversificate nei confronti di tali
cittadini rispetto a quelle praticate per le stesse prestazioni alle compagnie assicurative; gli
importi non solo sono estremamente più elevati, ma hanno continuato a crescere a dismisura negli ultimi anni; è chiaro in questo l’intento di recuperare margini di guadagno proprio sugli elementi più deboli e
meno provvisti di potere contrattuale.
L’amara conclusione della vicenda è evidente: il paese più
ricco del mondo, che è disposto a spendere 80mila miliardi
per lo scudo spaziale, ritiene
un costo insostenibile il mantenimento di un ospedale di
250 posti letto. In Italia di ospedali pubblici ne abbiamo circa 1600 e per questi spendiamo appena il 5,5 per cento del
Pil. Chiunque voglia mettere
mano al nostro servizio sanitario, che è stato giudicato dall’Oms tra i migliori del mondo,
al secondo posto dopo la Francia, non può non partire da
questa evidenza e riconfermare la validità del modello finora adottato e basato sui princìpi di universalità e solidarietà.
ROBERTO POLILLO
Segretario generale
Fp Cgil medici
(Il testo che qui pubblichiamo è
una versione ridotta di un articolo apparso sul n. 27/2001 del
settimanale Asi, Agenzia sanitaria italiana.Èpossibile leggerlo integralmente anche su Adesso sto meglio, la newsletter del
dipartimento Politiche della salute Cgil, <www.cgil.it>.)
SISTEMI PENSIONISTICI • LA PROPOSTA DELLA COMMISSIONE EUROPEA SUL COORDINAMENTO DEGLI INTERVENTI DI RIFORMA
Meglio che in ordine sparso
D
opo il documento esplorativo
dello scorso autunno, ma soprattutto alla luce delle determinazioni del vertice di Göteborg sull’iscrizione della questione pensionistica tra le priorità dell’agenda europea, la Commissione ha presentato a luglio una prima proposta
per formalizzare il coordinamento
della riforma dei sistemi all’interno
dell’Unione.
Commentando le nuove proposte,
la commissaria agli Affari sociali
Diamantopoulou ha segnalato le
due facce del problema: quello di
assicurare da una parte delle pensioni adeguate e sicure per la vecchiaia – fase della vita in cui queste
sono sovente l’unica entrata – e
quello di avviare, dall’altra, una
riforma dei sistemi pensionistici per
garantirne la futura gestibilità, soprattutto negli attesi scenari di senilizzazione della popolazione europea. Da qui muove la proposta della
Commissione, che apre alla definizione di obiettivi comuni per l’insieme dei tre pilastri dei sistemi
pensionistici, ossia i regimi legali di
sicurezza sociale, quelli professionali e quelli individuali.
In particolare, la proposta rilancia
obiettivi già entrati nella discussione
europea, quali l’aumento dei tassi di
attività (il nuovo obiettivo adottato a
Göteborg è quello di tassi di attività
di almeno il 50 per cento per le persone tra i 55 e 64 anni), l’abolizione degli incentivi ai prepensionamenti, ma
anche la riduzione del debito pubbli-
co per ridurre il futuro peso degli interessi. Ogni adeguamento dei sistemi pensionistici dovrà inoltre tenere
conto di un corretto equilibrio tra attivi e pensionati. La modernizzazione dei sistemi dovrà infine essere
compatibile con i nuovi bisogni del
mercato del lavoro, e particolarmente con la duplice esigenza della loro
«flessibilità» e «sicurezza».
Quanto al metodo proposto, si tratta
di quello del «coordinamento aperto», lanciato lo scorso anno a Lisbona e ormai diventato di prammatica
per la generalità delle politiche sociali. Esso include la fissazione di
obiettivi comuni e di indicatori determinati, la stesura di rapporti regolari di monitoraggio e l’identificazione delle migliori pratiche attuati-
13
num. 29 - 31 luglio 2001
ve. Sull’iter di concretizzazione, la
Commissione propone che si possa
partire entro il luglio del prossimo
anno con la presentazione di rapporti nazionali sulla strategia pensionistica da parte dei diversi governi. Questi rapporti includeranno
ovviamente le iniziative assunte o le
previsioni di riforma e dovranno essere preparati anche con il coinvolgimento delle parti sociali.
La discussione è comunque già
aperta, anche perché la presidenza
belga ha collocato la questione tra le
priorità sociali del semestre, avendo
peraltro ricevuto uno specifico
mandato da parte del Consiglio europeo di Stoccolma. Come lo assolverà il Belgio? Le prime indicazioni
della presidenza propongono un
approccio «generale» alla sfida pensionistica, ossia la considerazione
degli «obiettivi sociali a lungo termine», contro ogni tentativo di ridurlo
alla sola questione di sostenibilità finanziaria dei sistemi. «Le pensioni
hanno effetti sociali positivi, sostengono i ministri agli Affari sociali
Vandenbroucke ed Onkelinx –. Non
pongono una sfida unicamente finanziaria, che ha anche qualche risvolto sociale, ma esattamente l’opposto». A questo principio si ispireranno dunque le necessarie ricerche
e proposte, a partire da quelle di una
grande conferenza europea su una
nuova architettura della protezione
sociale in Europa, che si terrà a Lovanio nel mese di ottobre.
ANTONIO GIACCHE’
• Martini / Fondi pensione
da pag. 11
non possiamo parlare in sindacalese:
dobbiamo trovare uno stile in grado
di dare efficacia al nostro messaggio
e renderlo permanente.
Bisogna riuscire a dire tre cose: •
iscriversi ad un Fondo pensione
negoziale è utile per sé e per la
famiglia; • iscriversi a un Fondo
consente di controllare direttamente
come rendono i propri investimenti;
• la Cgil tutela il diritto di ogni
lavoratore a un Fondo pensione e gli
offre un servizio di assistenza
permanente.
Formazione
Sulla formazione in questi anni ci si è
spesi molto, sia da parte della Cgil,
sia delle categorie, sia della
confederazione ai vari livelli, sia da
parte dell’Inca. Occorre ora un piano
formativo strutturato ed efficace, e
quindi mirato rispetto ai destinatari.
I linguaggi formativi, anche
competenti, non sono buoni per
tutte le occasioni e per tutti i
destinatari. Esistono diversi piani:
• formazione «alta» specifica e
professionale, dedicata ai dirigenti
sindacali e ai rappresentanti del
sindacato nei consigli
d’amministrazione dei Fondi;
• formazione intermedia per
sindacalisti e funzionari
contrattualisti e Rsu mirata sugli
obiettivi strategici del sindacato, gli
orientamenti generali, la conoscenza
complessiva della materia ma non
necessariamente sugli aspetti
tecnici; • formazione intermedia per
Rsu, sindacalisti e funzionari
dedicati alla materia, con contenuto
anche tecnico; • formazione di base
per Rsu e lavoratori eletti nelle
assemblee e funzionari territoriali,
che oltre alle conoscenze deve
fornire elementi utili a relazionarsi
con la domanda e l’utenza;
• formazione per gli operatori dei
servizi (Inca, Caf, uffici vertenze),
mirata a strutturare competenze
professionali sempre aggiornate; una
formazione che deve essere precisa e
rassicurante per i lavoratori
(ipotizzando un percorso diretto alla
costruzione di una figura «apicale»,
responsabile a livello regionale della
regolazione del sistema servizi, e una
formazione per gli operatori sul
territorio).
Problemi aperti
Ci sono criticità che occorrerà
affrontare, in particolare all’interno
del coordinamento dei Fondi, che
attengono a questioni di natura
contrattuale e legislativa. Occorre
dare una risposta, per via
contrattuale, a due problemi
• chi può iscriversi ai Fondi,
• quali modalità di contribuzione.
Per quanto riguarda il primo
bisogna pensare all’inserimento di
tutte le tipologie di lavoro, compresi
i lavoratori con contratto di
apprendistato, formazione lavoro,
tempo determinato (tema su cui
sarà necessario ritornare), contratto
a termine (anche su questo
occorrerà discutere).
Soprattutto per i giovani dobbiamo
porci il problema del lavoro
«flessibile».
Quanto al secondo problema, le
modalità di contribuzione, i temi
sono: la possibilità di prosecuzione
volontaria in caso di sospensione
(ad esempio Cig); la prosecuzione
della contribuzione di entrambe le
parti in caso di sospensione per
malattia, infortunio sul lavoro,
maternità (per il periodo di
astensione obbligatoria).
Vi sono poi anche altri aspetti
riguardanti la sospensione del lavoro
che andranno esaminati, ad esempio
quelli conseguenti ai diritti in
materia di congedi parentali. Diritti
che se da un lato si prefiggono di
riequilibrare tempi e vita delle
persone, dall’altro – per non essere
vanificati – devono trovare
un’armonizzazione nell’ambito dei
diritti più complessivi delle persone.
I congedi che possono essere presi
da entrambi i sessi rischieranno
infatti di ricadere sempre in capo alle
donne, in quanto le famiglie si
faranno i conti del minor danno
economico; e, visto che le donne
hanno normalmente salari inferiori,
saranno loro a restare a casa, con un
danno in più oltre a quello del minor
salario: la decurtazione della
contribuzione al Fondo (per quella
pubblica c’è la possibilità dei
versamenti volontari e dei contributi
figurativi). C’è poi per entrambi i
sessi la questione degli undici mesi
di assenza non retribuita per
formazione: anche qui è previsto il
possibile riscatto ma niente per la
previdenza complementare. In
buona sostanza, non possiamo più
ragionare per compartimenti stagni:
sui diritti occorre fare sistema.
Uno dei temi più delicati, e a cui è
urgente trovare una soluzione, è
quello dei differenziali nelle rendite
fra uomo e donna. Basta vedere i dati
della Covip: i differenziali sono di 4-5
punti percentuali nella copertura
salariale; se a tutto ciò si aggiungono
salari per le donne mediamente più
bassi e le questioni di cui parlavamo
in precedenza (comprese le assenze
per maternità), di quale diritto
parliamo?
Il lavoro atipico, stagionale e precario
Qui si concentrano una grande
quantità di problemi, che vanno
dalla ricerca di una soluzione
contrattuale adeguata e non
penalizzante anche sul fronte dei
costi (e quindi dei rendimenti) allo
specifico del lavoro organizzativo: gli
enti bilaterali possono, dove
costituiti, rappresentare una sponda,
a patto però che non vi siano
difficoltà e ostacoli del padronato;
ma comunque non è solo a questi
che possiamo appellarci. Uno dei
primi nodi è rappresentato da
Artifond, il Fondo dei lavoratori e
delle lavoratrici dell’artigianato: non
possiamo pensare che tutto il
risultato venga realizzato nelle poche
regioni in cui da giugno è iniziata la
raccolta delle adesioni.
Più in generale occorrerà fare un
punto sui destini dei lavoratori
stagionali, che restano sempre
troppo al margine delle discussioni.
Il Mezzogiorno
Il Sud, che più sconterà gli effetti della
riforma previdenziale, fra le tante
difficoltà si troverà anche quella della
gran massa del lavoro nero,
sommerso o sottopagato. Su questo, è
chiaro, occorre una strategia più
complessiva. Tuttavia, l’impegno
messo nello sviluppo delle adesioni ai
Fondi nel Mezzogiorno è troppo
discontinuo e non si è fatto
abbastanza neanche rispetto alle
aziende che pure ci sono almeno per
informare i lavoratori.
Immigrazione da e verso l’Italia
I lavoratori transfrontalieri
I diritti della previdenza
complementare vengono
salvaguardati da una specifica
direttiva europea. Anche sul piano
generale ci sono questioni importanti
da dirimere. Ad esempio, e in
conclusione, l’equiparazione fiscale
fra i vari paesi.
SICUREZZA & SALUTE
Come prevenire la fatica mentale?
Le risposte in una guida ben fatta
ladimensione mentale è una delle condizioni più importanti per il suo raggiungimento. All’opposto, la fatica può essere definita in generale come una condimo primario delle condizioni di malessere in cui si svol- zione di aumentato malessere e di ridotta efficienza
ge il lavoro umano. Ma è estremamente importante dovuta a un’attività eccessiva o prolungata con riduche l’attenzione sulla salute nei luoghi di lavoro non si zione o perdita della capacità di rispondere agli stimoli
limiti agli aspetti di salute fìsica. Gli antichi romani par- provenienti dall’ambiente esterno e dall’organismo.
lavano di «mens sana in corpore sano». In realtà la di- Esistono tuttavia vari tipi di fatica in relazione agli apvisione tra mente e corpo rappresenta un artifìcio che parati che vengono maggiormente stimolati: la fatica
non considera la loro stretta integrazione. Un super- muscolare, quella mentale, la fatica determinata da
lavoro fisico influenza la mente così come un superla- una sovrasollecitazione di un apparato specifico, come la fatica visiva, indotta ad esempio da uso intenso
voro mentale ha delle ripercussioni sul corpo.
«Pesare il carico mentale per prevenire la fatica men- diVdt o strumenti di precisione o uditiva (da rumore).
tale», di Silvana Salerno e Riccardo Tartaglia – trentu- Lafatica mentale è intesa come una riduzione temponodomande e relative risposte – è la prima guida su co- ranea di capacità mentale che dipende dall’intensità,
meorientarsi per affrontare i problemi di salute men- durata ed evoluzione nel tempo dell’attività lavoratitale nel lavoro, realizzata nell’ambito di un progetto va e che può ripercuotersi sull’intero organismo.
promosso da Inail, Ispesl, Iims e confederazioni sin- Isegnali di affaticamento mentale sono l’incapacità a
dacali. Un opuscolo, gratuito e ben fatto, su un pro- concentrarsi, il cambiamento dell’umore (irritabilità,
blema che rappresenta gran parte dei disagi attuali e aggressività, depressione), l’insonnia, l’incremento di
che tuttavia non è ancora affrontato con l’attenzione abitudini dannose per la salute (eccessiva o scarsa alidovuta sia nei luoghi di lavoro che nella ricerca scien- mentazione, l’abuso di bevande alcooliche, di farmatifica, soprattutto in rapporto all’organizzazione, cioè ci, di fumo, di droghe ecc.), la maggiore frequenza di
al modo in cui la progettazione delle attività produtti- infortuni in seguito alla ridotta vigilanza ecc.
Come si può prevenire la fatica mentale? L’obiettive può influenzare la salute di chi le svolge.
Il benessere mentale è quella condizione in cui esiste vo principale è quello di modificare le scelte e deciun buon livello di soddisfazione nel lavoro insieme a sioni organizzative per renderle adeguate al raguna soddisfacente qualità della vita senza squilibri ri- giungimento del benessere mentale, fisico e socialevanti dal punto di vista psico-fisico. Equilibrio, sere- le. L’analisi del lavoro organizzato può essere molnità, tranquillità, coscienza del proprio stato indivi- to utile nell’individuare le costrittività organizzative che possono determinare la faduale e sociale e allo stesso tempo cutica mentale, permettendo una ririosità e spirito di iniziativa rapprea cura di 2087 RLS
progettazione del lavoro senza
sentano gli ingredienti più importanIl mensile di formazione
e informazione
aspettare l’insorgere di disagi, diti. Certamente il benessere mentale
per la sicurezza del lavoro,
sturbi e malattie: un lavoro ergonon è uno stato, bensì un processo diedito dalla Edit.Coop. Articoli, inchieste
nomico, cioè che si adatti all’uomo
namico che non si raggiunge una volma anche corsi, schede tecniche,
strumenti di formazione . E in più
e alla donna e non viceversa.
ta per tutte né è per tutti uguale, ma è
fascicoli di approfondimento
l’obiettivo verso cui si deve tendere coe di documentazione.
Diego Alhaique
stantemente. Un lavoro organizzato
E-mail [email protected]
che rispetti la salute umana anche [email protected]
aggia accise ’e fatica» (mi sono ammazzato
dalla fatica, in napoletano) non è che una del«M’
le molte espressioni dialettali che indicano un sinto-
DIRITTO & LAVORO
Riduzione di personale: senza i numeri giusti,
stessa disciplina del licenziamento individuale
per riduzione di personale si distinda quello individuale non per la sua motivazioIne,lguelicenziamento
ma per il numero dei licenziati in un determinato
arco di tempo. Se manca il requisito numerico, si applica la disciplina prevista per i licenziamenti individuali. È questo il principio affermato dalla sentenza
della Cassazione 26 giugno 2001, n. 8777.
I fatti sono i seguenti. Nell’ottobre del ’95 una casa di
cura di Sulmona sottoscriveva con l’assessorato regionale alla Sanità un accordo in base al quale il numero dei posti letto veniva aumentato da 25 a 30. A fronte di quest’aumento, essa s’impegnava a mantenere
inalterato l’organico. Successivamente venivano però
licenziati tre dipendenti per generiche esigenze di ridimensionamento. I lavoratori impugnavano il licenziamento, chiedendo la reintegrazione e il risarcimento
del danno. La domanda veniva accolta, in quanto la casa di cura non aveva provato di aver soppresso i posti
di lavoro e di essere, comunque, nell’impossibilità di
mantenerli altrimenti. Il giudice d’appello confermava questa decisione. La casa di cura proponeva allora
ricorso per Cassazione, sostenendo, tra l’altro, che si
era trattato di un licenziamento per riduzione di personale eseguito per necessità di ridimensionamento
dell’organico e che, pertanto, non era tenuta a dimostrare la soppressione dei singoli posti né l’impossibilità d’impiegare in altro modo i lavoratori licenziati.
on la sentenza sopra citata, la CasC
sazione ha ritenuto che i giudici del
merito avessero correttamente motivato la loro decisione, escludendo la
configurabilità di un licenziamento
per riduzione di personale, in base alla legge n. 223 del 1991. Questa legge,
ha osservato la Corte, si applica a tutte le imprese che occupino più di 15
14
num. 29 - 31 luglio 2001
dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o
trasformazione d’attività o di lavoro (o per cessazione
d’attività), intendano effettuare almeno cinque licenziamenti, nell’arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell’ambito di una
stessa provincia. Questo nuovo assetto normativo, introdotto in attuazione della direttiva Cee 75/129, ha
determinato il superamento di ogni diversità ontologica tra licenziamenti collettivi e licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo e ha individuato i tratti distintivi del licenziamento collettivo in determinati presupposti numerico-temporali.
dell’articolo 24 della legge n. 223/91 alIlelelriferimento
ragioni che giustificano la riduzione del persona(«riduzione o trasformazione di attività o di lavoro»,
ovvero «cessazione di attività») non vuole individuare un presupposto di differenziazione qualitativa od
ontologica rispetto ai licenziamenti individuali plurimi, trattandosi di una formula ampia, di portata onnicomprensiva delle ragioni inerenti l’impresa, ma è
piuttosto finalizzato a evidenziare il necessario collegamento dei licenziamenti collettivi (ma che caratterizza anche i licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo) a motivi «non inerenti la
persona del lavoratore». Ne consegue, allora, che solo
il requisito numerico-temporale distingue il licenziamento collettivo da quello individuale plurimo per giustificato motivo oga cura di Rgl news
gettivo. Pertanto, una volta accertata
Per saperne di più puoi
la sussistenza del presupposto nuconsultare la Rivista
Giuridica del Lavoro e il
merico-temporale, e una volta verifisuo notiziario, Rgl news, editi
cato che la risoluzione del rapporto
dall’Ediesse e presenti su Internet
non è collegata a motivi inerenti la perall’indirizzo cgil.it/ediesse/rglnews/
sona del lavoratore, diventa ultronea
L’indirizzo e-mail è:
ogni ulteriore indagine per accertare
[email protected]
la ragione della riduzione di lavoro.
UNIONE EUROPEA • I PROGRAMMI DELLA PRESIDENZA BELGA
Sei mesi prima dell’euro
Riconciliazione dei cittadini con l’Unione, Europa sociale e qualità del lavoro
tra le priorità annunciate. Il premier belga sarà affiancato da un gruppo di saggi,
di cui fanno parte Jacques Delors e Giuliano Amato. Positivo il giudizio della Ces
PROGRAMMA
Le priorità
sociali del
semestre
«Verso l’Europa della
solidarietà» è il titolo
della pubblicazione, curata dai ministri belgi
del Lavoro e della Protezione sociale Onkelinx e Vandenbroucke,
che illustra le priorità
sociali del semestre. Al
primo posto figura l’occupazione, affrontata
secondo due innovative
priorità: la qualità degli
impieghi e la partecipazione dei lavoratori alle
trasformazioni economiche. L’obiettivo del
pieno impiego dovrà
cioè essere perseguito
con riferimento alla sua
qualità effettiva, da determinare con appositi
indicatori (salute e sicurezza, conciliazione tra
lavoro e vita familiare,
parità, diritti sociali, e
così via).
In materia di partecipazione dei lavoratori
l’impegno è per la definitiva adozione delle direttive su informazione
e consultazione e sulla
partecipazione dei lavoratori nella Società europea, assieme all’approfondimento della
«Responsabilità sociale
delle imprese». Le priorità del secondo capitolo, «Un’Europa socialmente giusta», sono la
proposta di un accordo
europeo sul futuro dei
sistemi pensionistici, e
un’azione contro la povertà e l’esclusione. Il
capitolo «Parità donnauomo» illustra le priorità legislative, programmatiche (5° Programma europeo sulla
parità) e di «Mainstreaming». Lo «Sviluppo
dell’economia sociale»,
la cui priorità è l’approvazione dello statuto
della Cooperativa europea, è inquadrato nella
strategia dello sviluppo
sostenibile. La lotta alle
discriminazioni e la
promozione dei diritti
umani prevedono infine
il monitoraggio della
Carta dei diritti fondamentali («solida base»
della futura Costituzione
europea) e diverse iniziative contro il razzismo e tutte le forme di
discriminazione.
A. G.
D
all’inizio di luglio il testimone della presidenza
dell’Unione è passato al
Belgio, paese che si è impegnato affinché il nuovo semestre sia davvero
un momento di svolta.
Almeno due appuntamenti hanno già fissato
le fortune della nuova
presidenza: la coincidenza del definitivo passaggio all’euro, con la volata degli adempimenti conclusivi, e
l’attesa dichiarazione di Laeken, ovvero la formalizzazione di un dibattito sull’avvenire dell’Europa, richiesto dal Consiglio europeo di
Nizza in vista della nuova riforma
istituzionale dell’Unione stabilita
per il 2004.
A queste due scadenze si sovrappongono altre opzioni e altri nodi: in primo luogo la garanzia che siano mantenute le tappe di un allargamento
considerato «irreversibile» anche a
Göteborg, ma condizionato dalla ratifica del Trattato di Nizza messa in
discussione dal recente «no» del referendum irlandese.
Presentando il programma al Parlamento europeo, il giovane premier
belga Guy Verhofstadt, che guida la
coalizione «arcobaleno» composta
da liberali, socialisti e verdi, ne ha legato i capitoli principali a un comune obiettivo: la «riconciliazione» dei
cittadini europei con l’Unione, ossia
con le sue istituzioni e il suo avvenire. Una priorità è dunque costituita
dall’euro: «Nulla – ha detto Verhofstadt – avvicinerà di più i cittadini
che il fatto di disporre di una moneta
unica». Ma il Belgio intende anche rilanciare il pacchetto di grandi misure economiche e finanziarie che
avanza con fatica da un vertice all’altro. La «riconciliazione» passa poi attraverso la realizzazione dell’Europa
sociale, secondo «punto di forza» di
un’agenda che rivolge particolare attenzione alla qualità del lavoro, ai diritti di informazione e consultazione
dei lavoratori, al rilancio del dialogo
sociale, ma anche al delicato nodo
della riforma dei sistemi pensionistici (vedere box a lato).
Il terzo asse è la realizzazione dello
spazio europeo di libertà, sicurezza e
giustizia, in altre parole l’attuazione
degli impegni assunti a Tampere nel
1999, durante la presidenza finlandese dell’Unione europea, in direzione di una comune politica europea in materia di immigrazione, di
asilo e di coordinamento di polizia e
di assetti giudiziari.
Il quarto capitolo tocca le questioni
della qualità della vita, legata al rispetto dei Protocolli di Kyoto ma anche a una serie di temi ecologici, a
partire dal rispetto dell’ambiente e
dalla salute alimentare. La quinta linea di forza è l’allargamento dell’Unione europea, di cui vengono riconfermati tappe e impegni, assieme a
uno sviluppo coerente della politica
estera e di difesa comune.
Per quanto riguarda la Dichiarazione di Laeken, cioè il documento che
dovrà riannodare le fila del dibattito
aperto sull’avvenire dell’Europa, si
tratta di rilanciare la dimensione sociale e politica di un sistema la cui
identità appare annebbiata dal «garbuglio di istituzioni e di strumenti».
Secondo la presidenza belga la riflessione dovrebbe partire da un’analisi
che riconosca le attuali debolezze
(mancanza di trasparenza, di legittimità democratica, ecc.), per passare
alle risposte possibili in termini di ripartizione di competenze (europee,
nazionali e regionali) e di finanziamento dell’Unione, anche attraverso
un’eventuale imposta europea e un
riaggiustamento di poteri e competenze della Commissione, del Parlamento e del Consiglio. Il tutto nella
prospettiva di giungere a una Costituzione europea, di cui la Carta dei
diritti fondamentali dovrebbe costituire la parte introduttiva.
Per iniziare al meglio questo lavoro,
Verhofstadt si è dotato di un gruppo
di «saggi», tra i quali figurano personaggi del calibro di Jacques Delors e
Giuliano Amato. Visto il programma,
il calendario della Presidenza è fitto
da «Sozialismus»
di impegni. Il Consiglio informale
degli Affari sociali, tenutosi lo scorso
6 luglio, è stato il primo dei tre appuntamenti consacrati alle priorità
del lavoro e delle politiche sociali. A
metà semestre è previsto un vertice
a Gand. Il 13 e 14 dicembre, infine, si
terrà il Consiglio europeo a Laeken,
sobborgo di Bruxelles ove ha sede il
palazzo reale.
L’ambizione del programma è «all’altezza del momento storico di cui
siamo testimoni», hanno tenuto a
sottolineare i principali gruppi parlamentari europei. Anche la Commissione europea non nasconde l’identità di vedute rispetto ai grandi
cantieri aperti e alla preoccupazione
di «riconciliare» i cittadini con l’Europa, come ha sottolineato Romano
Prodi in un intervento davanti al
Parlamento europeo.
Da parte sua la Confederazione europea dei sindacati, assieme alle due
confederazioni belghe Csc e Fgtb,
aveva già presentato lo scorso giugno
al governo belga un memorandum di
proposte e di richieste, centrate sulla
qualità dell’occupazione, sulla protezione sociale, sui diritti di informazione e di consultazione dei lavoratori, oltre che sull’avvenire dell’Europa
e del suo modello sociale.
ANTONIO GIACCHE’
VERTICE SINDACALE A GENOVA • TUTELA DEI DIRITTI E GLOBALIZZAZIONE
8 grandi e miliardi di deboli
S
ono oltre 1300 i sindacalisti provenienti da tutto il
mondo che riempiono fino all’inverosimile il cinema Augustus di Genova. Sono qui per partecipare al
convegno internazionale del 18 luglio promosso da
Cgil, Cisl e Uil, insieme alla Cisl internazionale e alla
Ces, in occasione del G8. Ci sono, per citare solo alcune sigle, la Cut e Força Sindical del Brasile, l’AflCio statunitense, la canadese Clc, la tedesca Dgb, la Fitur russa, la nipponica Rengo. Gli interventi sono tutti incentrati sui contenuti della globalizzazione e sul G8, ma i
leader sindacali del sud del mondo non si lasciano andare a una fin troppo facile retorica della «solidarietà
compassionevole».
A nome del Genoa social forum, organismo di cui
fanno parte 800 associazioni, ong e strutture sindacali, interviene al convegno anche Vittorio Agnoletto,
il quale invita le confederazioni sindacali ad aderire
alla manifestazione del 21 luglio. «Va ostacolato – afferma – il tentativo di contrapporre la realtà del lavoro regolare e organizzato alla moltitudine dei poveri.
Per questo chiediamo ai sindacati di lottare con noi
per l’affermazione dei diritti umani». All’invito risponde Sergio Cofferati, segretario generale della
Cgil, sostenendo che «le diverse articolazioni con cui
si è deciso di manifestare a Genova in maniera pacifica e democratica sono una ricchezza e non un limite. Occorre che sia garantito il diritto di manifestare,
assumendoci ognuno le proprie responsabilità. Cosa
che il sindacato ha sempre fatto».
Emilio Gabaglio, segretario generale della Ces, ricorda due date importanti: la prima è quella di due
anni fa, quando a Helsinki la Ces votò la sua adesione alla Tobin tax, uno strumento (non l’unico,
ma uno dei più efficaci) per combattere le speculazioni finanziarie. La seconda è il 13 dicembre di
quest’anno, quando si svolgerà l’assemblea generale della Confederazione e si farà una verifica sulle «promesse» della globalizzazione. «La nostra lotta per i diritti fondamentali – aggiunge Gabaglio –
non rappresenta un aspetto marginale nel contesto
15
num. 29 - 31 luglio 2001
DA BRUXELLES
A. G.
GENERAL ELECTRIC E HONEYWELL
LA COMMISSIONE DICE
NO ALLA FUSIONE
Dopo un’inchiesta durata qualche mese, che ha coinvolto anche il
Dipartimento della Giustizia degli
Stati Uniti, la Commissione europea
ha formalizzato il proprio no alla proposta di acquisizione della Honeywell
lanciata dalla General Electric, bloccando così l’ipotesi di fusione fra i due
colossi americani dell’avionica e della componentistica.
Le ragioni di questa decisione stanno
nella posizione dominante della General Electric sul mercato, che l’apporto
finanziario e produttivo della Honeywell (principale fornitore di prodotti
chiave, come i motori a reazione)
avrebbe reso ancora più evidente.
Furiose sono state le reazioni d’oltre
Atlantico, anche a livello governativo,
che parlano di guerra commerciale
contro le imprese americane e già minacciano ritorsioni.
In realtà, come ha pacatamente chiarito il Commissario europeo Mario Monti, la Commissione non ha fatto che applicare le norme europee vigenti, che a
partire dal 1990 le affidano la vigilanza
sulle concentrazioni di imprese con una
cifra d’affari globale superiore ai 5 miliardi di euro, di cui almeno 250 all’interno dell’Unione europea. Scopo di
tali norme è appunto quello di scongiurare la formazione di posizioni dominanti di imprese all’interno dei mercati
dell’Unione europea.
della globalizzazione. L’internazionalismo sindacale è sempre stato uno dei pilastri della nostra storia, e deve continuare a esserlo anche instaurando
un rapporto positivo con i nuovi soggetti della società civile. La verifica delle convergenze e delle divergenze con tali soggetti dev’essere intesa come
un dialogo costruttivo per l’affermazione della globalizzazione dei diritti».
Bill Jordan, segretario generale della Cisl internazionale, ricorda che nessuna delle promesse fatte sette
anni fa al G7 di Napoli, presieduto anche allora da
Silvio Berlusconi, è stata mantenuta. «La Banca mondiale, l’Fmi e gli altri organismi delle Nazioni Unite –
argomenta Jordan – non hanno combattuto la povertà e le disuguaglianze, ma hanno ferito di più proprio i paesi svantaggiati che dovevano aiutare. Ciò
che noi proponiamo è che in ogni normativa sia
sempre compreso un insieme di regole a tutela dei
diritti umani fondamentali».
DANIELA BINELLO
Scarica

Violenza: una spirale che va fermata