DALLE COLLEZIONI STORICHE...
Franco Battistelli
IL CANONICO BILLI
E CANTARINI A BRETTINO
Il canonico Alessandro Billi, così come il conte Stefano Tomani Amiani, fu uno dei primi cultori di
memorie storiche e artistiche fanesi che nel corso
del secolo XIX diedero alle stampe brevi monografie dedicate a vicende, monumenti o personaggi locali più a meno noti e meritevoli di essere ricordati.
Fu in occasione delle nozze del conte Leone Giacomini con la contessa Carlotta Rinalducci, figlia
del conte Antonio, amico del suddetto Billi, che
quest’ultimo provvide a far pubblicare nel 1866 dalla tipografia fanese di Giovanni Lana un opuscolo
di notizie storico-artistiche sull’eremo di Brettino e
sul pittore Simone Cantarini.
Una località, Brettino, dove il Rinalducci aveva posto tanta cura ad abbellire il geniale casino: luogo di
villeggiatura prossimo alla chiesa dell’omonimo
eremo per il cui altare maggiore il ricordato Cantarini aveva dipinto la pregevole tela della cosiddetta
Madonna della cintura (oggi conservata presso la Pinacoteca Civica del Palazzo Malatestiano).
E chi non ammira il lungo viale da voi piantato a cipressi, a pioppi, ad ulivi, seminandolo di minuta ghiaia che
mena al casino, al verziere, alla serra degli aranci, al padiglione cinese? Chi non vide con istupore la celerità onde
faceste porre ad aiuole, a vialetti, a crocicchi, a sbocchi di
giardinetto che poco stante era verdissimo prato?
Merita quindi qui trascrivere quella parte dell’opuscolo in cui il Billi si adoperò a fornire (con linguaggio tipicamente ottocentesco) notizie sul Cantarini
e sui dipinti eseguiti dallo stesso, oltre che per l’eremo di Brettino, anche per le chiese di Fano (San
Pietro in Valle e Sant’Agostino) e per la chiesa parrocchiale (Sant’Antonio Abate) di Serrungarina.
Non priva di ironia la motivazione avanzata dal Billi per una lunga scarpinata da farsi ai suoi tempi
dal litorale fanese fino alle pendici collinari di Brettino: Brettino oggidì non è visitato che dai rustici bifolchi
di quei contorni, che vi accedono nei dì festivi per ascoltarvi il santo sacrificio. Qualche fiata però vi si recano
anche i villeggianti e gli amatori di belle arti, perché quivi
contemplano un prezioso gioiello che non è dato rinvenire
altrove. Per essi non è l’amenità del sito piantato a cipressi
che li muove a condursi colà, non l’orto ed il pergolato
messo a viti abbondevoli di dolci grappoli d’uva, non la
lapide allegata, non le poche vestigie dell’antico convento,
né la moderna chiesa messa a travi, ma una superba tela
posta nell’altare maggiore, coperta e ben custodita dagli
attuali vicarii. E’ questo un esimio lavoro di Simone Cantarini.
Motivo per cui prosegue il Billi: Prima di descrivere
un tal quadro mi si conceda di premettere alcune notizie
sull’autore medesimo, perché riguardano la nostra patria.
Per i desiderosi, quindi, di notizie biografiche sul
Cantarini: Simone sortì i natali in Pesaro, fu battezzato
nella chiesa priorale di San Cassiano, e dalla guida di Pesaro edita nel 1864 per le feste Rossini dal dotto professore
sig. Giuliano Vanzolini direttore del ginnasio si rileva,
che la casa ove nacque al Corso, faceva parte del lungo
fabbricato con portico ai civici numeri 54, 55, 56, 57. In
oggi [1866] del sig. Achille Bacchiani.
Rettifica inoltre il Billi quanto affermato dal torinese Zani nella sua enciclopedia metodica delle
belle arti alla voce Cantarini: (Cantarini o Contarini
Simone di Oropecza, detto Simon da Pesaro, il Pesarese ed
il Pesarino [che] nacque nel 1612, morì nel 1648). Località inesistente Oropecza (o Oropezza) nel territorio pesarese mentre il Billi: E’ parimenti sicuro dalla
fede battesimale che Simone ebbe cognome Cantarini e non
Contarini che fu famiglia veneta.
Ne deduce il Billi: “Comechesia di questo Oropezza ecco la particella riguardante il Cantarini che
si rinviene in San Cassiano: “A dì 21 Agosto 1612. Simone figliuolo di M. Gir.mo Cantarini e M.a Gir.ma sua
moglie fu battezzato da me D.Troiano Fredi, per Comare
M.a Ancilia Pica”.
Ne deriva per il Billi un interrogativo: Ora leggendo
questa fede battesimale testè inviatami dalla gentilezza
amorevole del sig. Vanzolini mi sorse il dubbio non fosse la
famiglia di Simone oriunda da Fano.
Un’ipotesi suffragata dal fatto che il Borgarucci in
A. Billi, Brettino e Simone Cantarini, Cenni Storico Artistici per le Nozze Giacomini - Rinalducci, Fano 1866
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un suo storico mss. della nobiltà fanese posseduto e comunicatomi dal valente letterato Conte Camillo Marcolini,
parlando delle famiglie esistenti in Fano sullo scorcio del
secolo decimo sesto, delle quali rimaneva qualche ramo
altrove, avvisa che - “in Pesaro lasciai Girolamo Cantarini fratello di Antonio, morto Consigliere, marito della
vedova Camilla Nolfi della Posterna”-. Chi non vede, che
non può essere fortuita l’identità del nome di Girolamo
tanto nei libri parocchiali, quanto nell’inedita storia del
Borgarucci? I Cantarini si leggono consiglieri nei libri dei
consigli di Fano per tutto il secolo decimo sesto, ed appartennero al patriziato, ma in modeste fortune.
Secondo che a me sembra - prosegue ancora il Billi nuovo indizio della sua origine da persone non volgari sarebbe il disperarsi che faceva il padre di Simone nel vederlo
tuttodì scombiccherare que’ segni e quelle figure in carta,
che stimava leggerezze da fanciullo, ed erano in vece un
preludio di quell’arte, onde ritrasse tutta la sua fama. E
di busse dovete pure sostenere dal suo genitore, quando
era colto in tale puerile esercizio, al quale era spinto dal
potente genio sortito da natura, cui non valgono ad attraversare opposizioni ed impedimenti di sorta alcuna, e
per gli animi forti sogliono essere sprone a perseverare più
costanti nell’intrapreso
divisamento.
A questo punto: Buon fu per Simone, che un religioso
Servita il tolse a quelle paterne persecuzioni, e gli diede
agio ad imbeversi dello stile succoso della veneta scuola,
ammirando le opere del Tiziano e dei suoi discepoli, e studiando i loro ritratti dipinti in tanta copia in quella magnifica città, regina allora dell’Adriatico mare. Da questo
magistero trasse il Cantarini sì grande profitto, che reduce
in Pesaro, alla vista di tanto progresso nell’arte, ebbe il
padre tramutato in favorevole alle sue inclinazioni, anche
per ispeme di lucro, in guisa che fattosi secondo il Lanzi
disegnatore esatto sotto il Pandolfi, vantaggiò nella scuola
di Claudio Ridolfi e nell’assiduo studio sulle stampe dei
Caracci e soprattutto in quelle del Barocci - Dopo di che:
l’arrivo in Pesaro della grande tela di San Tommaso, ed
in Fano della Nunziata e del San Pietro di Guido Reni
invaghirono sì fattamente Simone di quel nuovo stile di
pittura, che tutto si sacrò ad emularlo, risoluto anco di
vincerlo, qualora a tanto gli arridesse fortuna e valentia
pittorica. Allora fu, al dire del Malvasia, che disegnando più volte e dipingendo la tela guidesca per formarsi a
quella maniera di ritrarre, cercò per sé medesimo a mettere
in pratica quello stile in varie teste e mezze figure che gli
riuscirono perfette a meraviglia.
Logica conseguenza: Preso quindi maggior animo, su
quel modo ritrattò in Pesaro una grandiosa tela da porsi
entro piccola chiesa e n’acquistò lodi siffatte, che lo indussero a recarsi in Fano per istudiarvi le due famose nominate dipinture esposte alla vista d’ognuno nella gaia ed
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ornatissima chiesa di San Pietro in Valle.
Eccolo quindi il giovane Cantarini intento ad ammirare le due splendide tele reniane in detta chiesa:
la soave Annunciazione sull’altare della cappella Gabrielli, realizzata nel 1621, e la Consegna delle Chiavi
a san Pietro, posta sull’altare maggiore nel 1626.
La bramosia poi d’apprendere quella nuova maniera inventata da Guido fu sì potente in lui, che dandone in
Fano copiosi saggi, gli fu affidato di ritrarre nel suddetto
tempio, al lato destro del maggiore altare, dove il Reni
aveva collocato il San Pietro che riceve da Cristo la potestà
delle chiavi, il miracolo del medesimo Santo alla porta
Speciosa [San Pietro che guarisce lo storpio], ove così
trasformassi in Guido al dire del Lanzi, che parve lui, e
sino ai tempi del Malvasia i forestieri non distinguevano
la diversità della mano.
Così, ricorda il Billi, che avrebbe descritto più tardi
[1856] l’opera Stefano Tomani Amiani:
“Non ha mestieri di elogio la maestria del disegno, la
bella disposizione dei gruppi, la severità delle pieghe, la
franchezza del tocco, la verità in una parola che brilla
in questa opera di somma eccellenza dovuta al pennello
di Simone Cantarini, e che dagli estimatori del Bello, e
dai conoscenti e periti dell’arte, vuolsi mandata innanzi
a molte e molte delle più stupende dipinture dello stesso
Guido Reni, di lui maestro e rivale ad un tempo”.
Dimorò Simone - prosegue il Billi - varii mesi in Fano e forse nell’abitazione del defonto suo zio Antonio. Né vi rimaneva ozioso; chè, mentre con ben intesa composizione dava
l’ultima mano alla tavola dello storpio risanato dal principe degli Apostoli la quale “Sbatte molto quella per altro
bellissima di Guido che le sta vicino” (parole dell’esimio
canonico pesarese Andrea Lazzarini) attendeva eziandio
a dipingere un mediocre San Tommaso di Villanova per il
bellissimo tempio di Santa Lucia degli Agostiniani. Questo dipinto, ch’io mi sappia, fu ignoto non che agli antichi
e moderni descrittori di pitture, ma pure al Lanzi e al
Lazzarini e non lo trovo accennato se non nel “catalogo
delle pitture d’uomini eccellenti che si vedono in diverse
chiese di Fano”, stampato per Andrea Donati nel 1765.
Forse non ne fecero motto, perché fu guasto per comando
d’un ignoto Priore, che volle da altra mano pennelleggiata sul capo del Santo una mitra vescovile bianchissima
che discorda e disarmonizza col resto del quadro piuttosto
cenericcio, direbbe l’Albani, e copre metà d’uno sfondo che
alluminava gradatamente il volto del beato. Nulladimeno
la figura di San Tommaso è bella e maestosa, e lo sguardo è rapito in contemplare la Vergine che in alto poggia
col bambino graziosamente sostenuto col ginocchio e colle
mani da sembrar vivo, e che rivolge giulivo i suoi occhi
al Santo che fervorosamente lo prega: la visione par vera
e non vi aveva luogo la mitra. Ai piedi del Santo da una
banda, avvi un fanciullotto ignudo che con un dito indi-
ca e l’estasi di Tommaso e rompe l’oscurità delle vesti e del
rimanente quadro. Questo putto è sovranamente ritratto;
non v’ha membro che non si scorga eseguito con la più
fina esattezza anatomica ed artistica, ed ha tale grazia
e leggiadria nel viso ed atteggiamento, che desso solo basterebbe a confermare quella sentenza del Lazzarini, che
Guido ha vinto Simone nel bello “maestoso”, Simone ha
superato Lui nel bello “grazioso”.
Sempre a detta del Billi. Questo quadro era collocato
a destra dell’altare maggiore nella Cappella Corbelli in
San Agostino, ma i patroni il riebbero nella generale soppressione dei Conventi, e il venderono al nostro dilettante
di pittura D. Giovanni Rayn con patto che non potesse
giammai essere trasportato fuori di Fano. E fu saggio il
loro anti vedere, perché così alla morte del Rayn non fu
veduto sparire da Fano, come avvenne a tanti altri e non
volgari dipinti. Ciascuno il può ora ammirare nella chiesa
del Gesù [Sant’Ignazio], ma presto, si spera, sarà tolto
di là ed allogato in miglior vista di luce per le cure e provvidenze municipali. (Anche questo dipinto, oggi, è
conservato presso la Pinacoteca Civica del Palazzo
Malatestiano).
E’ a questo punto che il Billi fornisce il perché della
fuga-ritiro del Cantarini presso l’eremo agostiniano di Brettino: Creddono alcuni sapienti uomini, che
la tela in discorso di San Tommaso di Villanova fosse lavorata dal Cantarini, prima di recarsi in corte del Duca
di Mantova.
Mi mostrai di contrario parere, perché congetturo con
qualche probabilità che stesse occupato in esso, allorché in
Fano pingeva il miracolo di San Pietro imitando le tavole
di Guido ed amoreggiando anche troppo licenziosamente,
sì che ne toccò un colpo d’archibugio onde campò quasi
un prodigio, perloché con l’aiuto di quei religiosi agostiniani stimò bene ritirarsi e nascondersi nel loro convento
di Brettino per iscansare il furore dei rivali e dei genitori,
parenti e amici delle offese donzelle. Ciò si deduce anche
dalle parole alquanto ambigue del Malvasia, che rimprovera Simone per questo vizio che il rendeva tardo e negligente all’avute commissioni. Siffatta pure è la tradizione
che corre in Fano del suo volontario ritiro nel romitorio di
Brettino, e della causa che lo produsse, e dell’aiuto prestatogli dagli eremiti di San Lucia a Brettino.
Tutti quasi gli scrittori - prosegue il Billi - ed encomiatori del genio artistico di Simone tacciono di questa sua
amorosa avventura in Fano e si limitano a descriverci
la sua altezzosa natura, il dispregio con che soventi volte malmenava sommi pittori viventi e defunti, e le sue
disgrazie in Bologna ed in Mantova, che il condussero,
tuttor fresco di età, alla morte in Verona. Quindi non fa
meraviglia, se tacquero pure del dipinto, che per gratitudine della ricevuta ospitalità e per isfuggire l’ozio e la noia
in quella solinga villa, egli pennelleggiò per gli eremiti
brettinesi, si perché non ebbero forse cognizione, sì per non
averlo alcuno di loro osservato mai di veduta.
Di fatto nol trovo menzionato, se non di volo e senza dire
che cosa rappresenti, eccetto che nel citato catalogo di fanestri pitture. Eppure merita, secondo il mio corto vedere,
d’essere delineato da penna non solo più abile della mia,
ma che di vantaggio associi all’arte dello scrivere scienza e
buon sentire in riguardo a disegno e pittura.
Segue la puntuale volonterosa descrizione della
pregevole tela cantariniano-brettinese come appariva allora al Billi e come ancora oggi appare ad
un attento studioso della pittura del secolo XVII:
Simone effigiò in quella tela il celeberrimo dottore Sant’Agostino duce e patriarca di tutto quell’ordine, che sotto varie forme osserva le regole da lui dettate. Stassi genuflesso
a sinistra innanzi la Vergine, che sollevata in lucidissima
gloria ha in seno il bambinello Gesù.
Un ampio manto damascato a colori di rosso e giallo, messo a magnifiche pieghe avvicinantesi a quelle di Guido e
del Tiarini e non meschine e grette, come quelle del San
Tommaso di Villanova, tutto il ricoprono e gli nascondono l’estremità: il manto è affibbiato da una bella borchia
lavorata di rilievo, e fra lo scuro, il cenerino, il bianco, il
cilestro dell’altre figure campeggia mirabilmente e dà risalto ai volti e al resto di tutta la dipintura. Ha testa nuda,
capigliatura bruno-castagna in apparenza trasandata,
ma finissima per arte, sembiante grave ma sereno, che ti
addita colla sua carnagione piena e vivace un’età che di
poco oltrepassi il quarantesimo anno. Un angioletto ai
piedi da un lato gli sorregge la dorata mitra ed il pastorale
giace disteso a terra, mentre le mani lavorate a perfezione distendonsi dolcemente a guisa di supplichevole verso
Maria SS. cui in parte è rivolto il suo sguardo, che non
pare distaccarsi per intero dal rimirare sommesso la rapita in estasi sua genitrice San Monica. Ché al lato destro
ella ancora a ginocchio piegato, ma non sì che non sembri come elevarsi da quell’atto per virtù divina e dipinta
in postura tanto meravigliosa che non è lecito spiegarla a
parole, ma fa duopo mirarla cogli occhi. Essendoché tanta
espressione di affetto e di lacrime versate mostra nel suo
sembiante, in alto rivolto verso la Vergine, come se allora
allora si fosse asciugato il pianto con un lino gialliccio, e
volesse disfogare tutta l’anima sua a ringraziare la Vergine per vedersi dinanzi genuflesso come lei il suo convertito
Agostino, che io sfido qualunque pittore e poeta a meglio
delinearla. Che dirò poi del vestimento, del sembiante, delle mani di Monica?
Il bianco soggola che le copre il capo e la gola, ha pieghe
e solchi sì naturali e seconda sì bene il movimento della
testa che ti parrebbe lino, se il tatto non ti dicesse ch’è colore
di biacca chiaroscurata. Il velo nero svolazzante e trasparente è sì distaccato quale tu lo vedi nelle vive monache
dei nostri conventi. L’abito, la cintura, il panneggiamento
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non hanno eccezione. Il volto senile della Santa colle gote
scarne, patito e ammaccato si scorge dalle lacrime e dalle
penitenze benché gli occhi spirino un fervore inusitato che
incanta e compunge. La mani infine paiono lavorate al
tornio; tanta finezza di anatomia, di proporzione, di verità ti presentano che persino le vene potrebbe un artista
annoverarvi: Un fraticello a testa nuda, vestito all’agostiniana sta ritto dietro San Agostino in atto umile, col volto
dimesso e raccolto. E le mani incrociate al petto, e pare che
sia rimasto sorpreso da stupore all’estasi meravigliosa dei
due Santi: Il Cantarini a rischiarare vie meglio tutta la
pittura pose in alto due angeli che di qua e di là corteggiano la Vergine e insieme rompono ogni oscurità. Per fermo
se l’Albani avesse rimirato questo dipinto ed un altro che or
ora descriverò, non avrebbe mai, se non per invidia, dato
a Simone il titolo di pittor cenerino. Ché l’ombre e o chiari
vi sono così bene divisi, che non ti par più quel pittore
medesimo che fece il San Tommaso di Villanova.
A integrazione di così ampia descrizione ecco infine l’altro dipinto cantariniano di cui fa cenno Il
Billi: Nel più volte citato Catalogo delle pitture di Fano
lessi che anche in Serrongarina antico Castello del contado fanese serbavasi un quadro del nostro Simone. Di
fatto viddi nell’altare Maggiore della chiesa parrocchiale
[di Sant’Antonio abate] un quadro che rappresenta la
visita di Santa Maria ad Elisabetta, soggetto trattato dal
sommo Domenichino in uno degli affreschi della celebre
cappella Nolfi nella cattedrale [di Fano]. Il concetto è il
medesimo in ambedue i pittori, e non diversificano che in
pochi accessorii. Chi di loro si sarà usurpata l’idea dell’altro? Sono amendue lavori degni d’ogni maggiore encomio.
Certo è che il Domenichino eseguì gli affreschi della cappella Nolfi fra il 1617 e il 1618, quando il Cantarini era ancora anagraficamente un fanciullo così
che l’interrogativo del Billi può trovare immediata
facile risposta su chi ebbe, almeno in questo caso,
ad usurpare l’idea dell’altro.
Il Cantarini figurò Maria nel fiore della giovinezza con
bionde chiome, bianchissimo volto, e gote di colore incarnato, con paludamento di viva porpora, maestoso aspetto,
che si piega alquanto nello stringere la mano alla cugina
più attempata e curva e in abito più dimesso e coperta
il capo di un manto, mentre la Vergine a testa scoperta
mostra la ricchezza della sua rilucente capigliatura annodata con tutta cura e semplicità. Elisabetta rivolge il dorso
alla sua casa, onde è discesa per varii gradini in sullo
spiazzo, e sul limitare della porta si vede in alto uscir fuori ad incontrare la grand’ospite a lento e debil passo San
Zaccaria molto vecchio di età, che sebben mutolo, mostra
sulla faccia quella giovalità che si usa nell’ accogliere una
gradita persona. Il Cantarini dipinse il vecchio col turbante all’ebraica in capo, mentre l’affresco nolfiano cel presenta come se allora allora si fosse tratta la berretta dalla
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testa tenendosela avanti con ambe le mani.
Ma amendue gli egregii artisti espressero in quel vecchio
il tremolio delle membra proprio a molti di quella età in
modo, che bisogna confessare che piedi e mani gli tremano:
anche le ancelle di Maria sono uguali in ambo i lavori,
eccetto che il Cantarini una ne dipinse con veste a scacchi
bianchi e verdi con mirabili colori portante sul capo un
cesto con un donativo di galluzzi, la rosea cresta dei quali
è tanto ritratta al naturale che par vera. Eppure chi lo
crederà? Anche questo quadro fu malmenato da qualche
insipiente rettore, avendo voluto rinchiuderlo in una cornice massiccia del seicento e lunghissima, per la quale non
essendo capace in lunghezza, vi fu aggiunto un tratto di
tela dipintovi sopra un Sant’Antonio abate non spregevole a sinistra, un Sant’Aldebrando nel mezzo che colla
sua mitra bianca copre i piedi e parte della purpurea veste
della Vergine, a sinistra una Santa Maria Maddalena di
poca entità. È pittura del Guerrieri di Fossombrone.
Un’attribuzione ormai quest’ultima del dipinto in
questione definitivamente espulsa dal catalogo delle opere del Cantarini per essere integralmente trasferita, a giudizio di Andrea Emiliani, al ricordato
Guerrieri: “Fu proprio la composizione su due piani di
questa pala a dar origine, probabilmente, ad un equivoco
che, ancora qualche decennio fa, si trascinava nella tradizione storica locale. Si tramandava infatti che il dipinto,
eseguito nella sua parte superiore - e cioè la vera e propria Visitazione - di Simone Cantarini, avrebbe più tardi
subito, per insistenza dei committenti, un allungamento
affidato al Guerrieri da Fossombrone. La tradizione si
basava, diceva qualcuno, sull’autorità di un documento
manoscritto conservato nell’archivio della Parrocchiale di
Serrungarina. Naturalmente, non c’è traccia di allungamenti e neppure di documenti. E si può agevolmente correggere l’attribuzione, rimandandola del tutto alla mano
del Guerrieri”.
Annota infine il Billi: Nella sacrestia della parrocchiale
di Cartoceto avvi una Vergine col bambino donata dal
signor Filippo Palazzi di buona memoria, come opera di
Simone Cantarini. Un dipinto, quest’ultimo, di cui
oggi sembra perduta ogni traccia.
Nota bibliografica
A.M. Ambrosini Massari, schede dei dipinti in La Pinacoteca Civica di Fano, Milano 1993, a cura di A.M. Ambrosini Massari, R.
Battistini, R. Morselli, pp. 54-57, 254-256. (E si rimanda infra, al
saggio della stessa autrice, anche per ulteriore bibliografia).
Anonimo Sec. XVIII, Pitture d’uomini eccellenti nelle chiese di
Fano, Quaderno di “Nuovi studi fanesi”, a cura di Franco Battistelli 1995, pp. 16-18, 31-40, 60-62, 71-74.
B. Borgarucci, Istoria della nobiltà di Fano, Quaderno di “Nuovi
studi fanesi”, a cura di A. Deli 1994, p. 38.
G. Calegari, La chiesa di S. Pietro, Fano nel Seicento, a cura di
Aldo Deli, Fano 1989, pp. 146-166.
A. Emiliani, Giovanni Francesco Guerrieri da Fossombrone, Fano
1997, pp. 86-87 (scheda 33).
GDE (G. Degli Esposti), Guido Reni 1575-1642, Bologna 1988,
pp. 94-95 (scheda 39) e pp. 110-111 (scheda 47).
L. Lanzi, Storia pittorica dell’Italia dal risorgimento delle Belle
Arti fin presso la fine del sec.XVIII, Bassano, 1809 (1968-’74), III,
pp. 79-80.
C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite dei pittori bolognesi, Bologna
1678; Idem, Le pitture di Bologna, Bologna 1686.
M. Mancigotti, Simone Cantarini il Pesarese, Banca Popolare Pesarese, 1975, in particolare le pp. 78-81 e 82-85 (figg. 15-18, 19 e
20-21); 2006, pp. 57-59.
S. Tomani Amiani, Le dipinture più celebri esistenti in Fano, Fano,
1856; Idem, Guida Storico Artistica di Fano, prima edizione a
stampa del manoscritto datato 1853, presentazione e annotazioni di Franco Battistelli, Banca Popolare Pesarese, 1981, pp. 84,
107, 161, 168, 196, 199.
G.L. Vanzolini, Guida di Pesaro, Pesaro 1864.
P. Zani, Enciclopedia metodica ragionata delle belle arti, Parma
1817-24.
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Franco Battistelli. Il canonico Billi e Cantarini a Brettino