DALLE COLLEZIONI STORICHE... Franco Battistelli IL CANONICO BILLI E CANTARINI A BRETTINO Il canonico Alessandro Billi, così come il conte Stefano Tomani Amiani, fu uno dei primi cultori di memorie storiche e artistiche fanesi che nel corso del secolo XIX diedero alle stampe brevi monografie dedicate a vicende, monumenti o personaggi locali più a meno noti e meritevoli di essere ricordati. Fu in occasione delle nozze del conte Leone Giacomini con la contessa Carlotta Rinalducci, figlia del conte Antonio, amico del suddetto Billi, che quest’ultimo provvide a far pubblicare nel 1866 dalla tipografia fanese di Giovanni Lana un opuscolo di notizie storico-artistiche sull’eremo di Brettino e sul pittore Simone Cantarini. Una località, Brettino, dove il Rinalducci aveva posto tanta cura ad abbellire il geniale casino: luogo di villeggiatura prossimo alla chiesa dell’omonimo eremo per il cui altare maggiore il ricordato Cantarini aveva dipinto la pregevole tela della cosiddetta Madonna della cintura (oggi conservata presso la Pinacoteca Civica del Palazzo Malatestiano). E chi non ammira il lungo viale da voi piantato a cipressi, a pioppi, ad ulivi, seminandolo di minuta ghiaia che mena al casino, al verziere, alla serra degli aranci, al padiglione cinese? Chi non vide con istupore la celerità onde faceste porre ad aiuole, a vialetti, a crocicchi, a sbocchi di giardinetto che poco stante era verdissimo prato? Merita quindi qui trascrivere quella parte dell’opuscolo in cui il Billi si adoperò a fornire (con linguaggio tipicamente ottocentesco) notizie sul Cantarini e sui dipinti eseguiti dallo stesso, oltre che per l’eremo di Brettino, anche per le chiese di Fano (San Pietro in Valle e Sant’Agostino) e per la chiesa parrocchiale (Sant’Antonio Abate) di Serrungarina. Non priva di ironia la motivazione avanzata dal Billi per una lunga scarpinata da farsi ai suoi tempi dal litorale fanese fino alle pendici collinari di Brettino: Brettino oggidì non è visitato che dai rustici bifolchi di quei contorni, che vi accedono nei dì festivi per ascoltarvi il santo sacrificio. Qualche fiata però vi si recano anche i villeggianti e gli amatori di belle arti, perché quivi contemplano un prezioso gioiello che non è dato rinvenire altrove. Per essi non è l’amenità del sito piantato a cipressi che li muove a condursi colà, non l’orto ed il pergolato messo a viti abbondevoli di dolci grappoli d’uva, non la lapide allegata, non le poche vestigie dell’antico convento, né la moderna chiesa messa a travi, ma una superba tela posta nell’altare maggiore, coperta e ben custodita dagli attuali vicarii. E’ questo un esimio lavoro di Simone Cantarini. Motivo per cui prosegue il Billi: Prima di descrivere un tal quadro mi si conceda di premettere alcune notizie sull’autore medesimo, perché riguardano la nostra patria. Per i desiderosi, quindi, di notizie biografiche sul Cantarini: Simone sortì i natali in Pesaro, fu battezzato nella chiesa priorale di San Cassiano, e dalla guida di Pesaro edita nel 1864 per le feste Rossini dal dotto professore sig. Giuliano Vanzolini direttore del ginnasio si rileva, che la casa ove nacque al Corso, faceva parte del lungo fabbricato con portico ai civici numeri 54, 55, 56, 57. In oggi [1866] del sig. Achille Bacchiani. Rettifica inoltre il Billi quanto affermato dal torinese Zani nella sua enciclopedia metodica delle belle arti alla voce Cantarini: (Cantarini o Contarini Simone di Oropecza, detto Simon da Pesaro, il Pesarese ed il Pesarino [che] nacque nel 1612, morì nel 1648). Località inesistente Oropecza (o Oropezza) nel territorio pesarese mentre il Billi: E’ parimenti sicuro dalla fede battesimale che Simone ebbe cognome Cantarini e non Contarini che fu famiglia veneta. Ne deduce il Billi: “Comechesia di questo Oropezza ecco la particella riguardante il Cantarini che si rinviene in San Cassiano: “A dì 21 Agosto 1612. Simone figliuolo di M. Gir.mo Cantarini e M.a Gir.ma sua moglie fu battezzato da me D.Troiano Fredi, per Comare M.a Ancilia Pica”. Ne deriva per il Billi un interrogativo: Ora leggendo questa fede battesimale testè inviatami dalla gentilezza amorevole del sig. Vanzolini mi sorse il dubbio non fosse la famiglia di Simone oriunda da Fano. Un’ipotesi suffragata dal fatto che il Borgarucci in A. Billi, Brettino e Simone Cantarini, Cenni Storico Artistici per le Nozze Giacomini - Rinalducci, Fano 1866 29 un suo storico mss. della nobiltà fanese posseduto e comunicatomi dal valente letterato Conte Camillo Marcolini, parlando delle famiglie esistenti in Fano sullo scorcio del secolo decimo sesto, delle quali rimaneva qualche ramo altrove, avvisa che - “in Pesaro lasciai Girolamo Cantarini fratello di Antonio, morto Consigliere, marito della vedova Camilla Nolfi della Posterna”-. Chi non vede, che non può essere fortuita l’identità del nome di Girolamo tanto nei libri parocchiali, quanto nell’inedita storia del Borgarucci? I Cantarini si leggono consiglieri nei libri dei consigli di Fano per tutto il secolo decimo sesto, ed appartennero al patriziato, ma in modeste fortune. Secondo che a me sembra - prosegue ancora il Billi nuovo indizio della sua origine da persone non volgari sarebbe il disperarsi che faceva il padre di Simone nel vederlo tuttodì scombiccherare que’ segni e quelle figure in carta, che stimava leggerezze da fanciullo, ed erano in vece un preludio di quell’arte, onde ritrasse tutta la sua fama. E di busse dovete pure sostenere dal suo genitore, quando era colto in tale puerile esercizio, al quale era spinto dal potente genio sortito da natura, cui non valgono ad attraversare opposizioni ed impedimenti di sorta alcuna, e per gli animi forti sogliono essere sprone a perseverare più costanti nell’intrapreso divisamento. A questo punto: Buon fu per Simone, che un religioso Servita il tolse a quelle paterne persecuzioni, e gli diede agio ad imbeversi dello stile succoso della veneta scuola, ammirando le opere del Tiziano e dei suoi discepoli, e studiando i loro ritratti dipinti in tanta copia in quella magnifica città, regina allora dell’Adriatico mare. Da questo magistero trasse il Cantarini sì grande profitto, che reduce in Pesaro, alla vista di tanto progresso nell’arte, ebbe il padre tramutato in favorevole alle sue inclinazioni, anche per ispeme di lucro, in guisa che fattosi secondo il Lanzi disegnatore esatto sotto il Pandolfi, vantaggiò nella scuola di Claudio Ridolfi e nell’assiduo studio sulle stampe dei Caracci e soprattutto in quelle del Barocci - Dopo di che: l’arrivo in Pesaro della grande tela di San Tommaso, ed in Fano della Nunziata e del San Pietro di Guido Reni invaghirono sì fattamente Simone di quel nuovo stile di pittura, che tutto si sacrò ad emularlo, risoluto anco di vincerlo, qualora a tanto gli arridesse fortuna e valentia pittorica. Allora fu, al dire del Malvasia, che disegnando più volte e dipingendo la tela guidesca per formarsi a quella maniera di ritrarre, cercò per sé medesimo a mettere in pratica quello stile in varie teste e mezze figure che gli riuscirono perfette a meraviglia. Logica conseguenza: Preso quindi maggior animo, su quel modo ritrattò in Pesaro una grandiosa tela da porsi entro piccola chiesa e n’acquistò lodi siffatte, che lo indussero a recarsi in Fano per istudiarvi le due famose nominate dipinture esposte alla vista d’ognuno nella gaia ed 30 ornatissima chiesa di San Pietro in Valle. Eccolo quindi il giovane Cantarini intento ad ammirare le due splendide tele reniane in detta chiesa: la soave Annunciazione sull’altare della cappella Gabrielli, realizzata nel 1621, e la Consegna delle Chiavi a san Pietro, posta sull’altare maggiore nel 1626. La bramosia poi d’apprendere quella nuova maniera inventata da Guido fu sì potente in lui, che dandone in Fano copiosi saggi, gli fu affidato di ritrarre nel suddetto tempio, al lato destro del maggiore altare, dove il Reni aveva collocato il San Pietro che riceve da Cristo la potestà delle chiavi, il miracolo del medesimo Santo alla porta Speciosa [San Pietro che guarisce lo storpio], ove così trasformassi in Guido al dire del Lanzi, che parve lui, e sino ai tempi del Malvasia i forestieri non distinguevano la diversità della mano. Così, ricorda il Billi, che avrebbe descritto più tardi [1856] l’opera Stefano Tomani Amiani: “Non ha mestieri di elogio la maestria del disegno, la bella disposizione dei gruppi, la severità delle pieghe, la franchezza del tocco, la verità in una parola che brilla in questa opera di somma eccellenza dovuta al pennello di Simone Cantarini, e che dagli estimatori del Bello, e dai conoscenti e periti dell’arte, vuolsi mandata innanzi a molte e molte delle più stupende dipinture dello stesso Guido Reni, di lui maestro e rivale ad un tempo”. Dimorò Simone - prosegue il Billi - varii mesi in Fano e forse nell’abitazione del defonto suo zio Antonio. Né vi rimaneva ozioso; chè, mentre con ben intesa composizione dava l’ultima mano alla tavola dello storpio risanato dal principe degli Apostoli la quale “Sbatte molto quella per altro bellissima di Guido che le sta vicino” (parole dell’esimio canonico pesarese Andrea Lazzarini) attendeva eziandio a dipingere un mediocre San Tommaso di Villanova per il bellissimo tempio di Santa Lucia degli Agostiniani. Questo dipinto, ch’io mi sappia, fu ignoto non che agli antichi e moderni descrittori di pitture, ma pure al Lanzi e al Lazzarini e non lo trovo accennato se non nel “catalogo delle pitture d’uomini eccellenti che si vedono in diverse chiese di Fano”, stampato per Andrea Donati nel 1765. Forse non ne fecero motto, perché fu guasto per comando d’un ignoto Priore, che volle da altra mano pennelleggiata sul capo del Santo una mitra vescovile bianchissima che discorda e disarmonizza col resto del quadro piuttosto cenericcio, direbbe l’Albani, e copre metà d’uno sfondo che alluminava gradatamente il volto del beato. Nulladimeno la figura di San Tommaso è bella e maestosa, e lo sguardo è rapito in contemplare la Vergine che in alto poggia col bambino graziosamente sostenuto col ginocchio e colle mani da sembrar vivo, e che rivolge giulivo i suoi occhi al Santo che fervorosamente lo prega: la visione par vera e non vi aveva luogo la mitra. Ai piedi del Santo da una banda, avvi un fanciullotto ignudo che con un dito indi- ca e l’estasi di Tommaso e rompe l’oscurità delle vesti e del rimanente quadro. Questo putto è sovranamente ritratto; non v’ha membro che non si scorga eseguito con la più fina esattezza anatomica ed artistica, ed ha tale grazia e leggiadria nel viso ed atteggiamento, che desso solo basterebbe a confermare quella sentenza del Lazzarini, che Guido ha vinto Simone nel bello “maestoso”, Simone ha superato Lui nel bello “grazioso”. Sempre a detta del Billi. Questo quadro era collocato a destra dell’altare maggiore nella Cappella Corbelli in San Agostino, ma i patroni il riebbero nella generale soppressione dei Conventi, e il venderono al nostro dilettante di pittura D. Giovanni Rayn con patto che non potesse giammai essere trasportato fuori di Fano. E fu saggio il loro anti vedere, perché così alla morte del Rayn non fu veduto sparire da Fano, come avvenne a tanti altri e non volgari dipinti. Ciascuno il può ora ammirare nella chiesa del Gesù [Sant’Ignazio], ma presto, si spera, sarà tolto di là ed allogato in miglior vista di luce per le cure e provvidenze municipali. (Anche questo dipinto, oggi, è conservato presso la Pinacoteca Civica del Palazzo Malatestiano). E’ a questo punto che il Billi fornisce il perché della fuga-ritiro del Cantarini presso l’eremo agostiniano di Brettino: Creddono alcuni sapienti uomini, che la tela in discorso di San Tommaso di Villanova fosse lavorata dal Cantarini, prima di recarsi in corte del Duca di Mantova. Mi mostrai di contrario parere, perché congetturo con qualche probabilità che stesse occupato in esso, allorché in Fano pingeva il miracolo di San Pietro imitando le tavole di Guido ed amoreggiando anche troppo licenziosamente, sì che ne toccò un colpo d’archibugio onde campò quasi un prodigio, perloché con l’aiuto di quei religiosi agostiniani stimò bene ritirarsi e nascondersi nel loro convento di Brettino per iscansare il furore dei rivali e dei genitori, parenti e amici delle offese donzelle. Ciò si deduce anche dalle parole alquanto ambigue del Malvasia, che rimprovera Simone per questo vizio che il rendeva tardo e negligente all’avute commissioni. Siffatta pure è la tradizione che corre in Fano del suo volontario ritiro nel romitorio di Brettino, e della causa che lo produsse, e dell’aiuto prestatogli dagli eremiti di San Lucia a Brettino. Tutti quasi gli scrittori - prosegue il Billi - ed encomiatori del genio artistico di Simone tacciono di questa sua amorosa avventura in Fano e si limitano a descriverci la sua altezzosa natura, il dispregio con che soventi volte malmenava sommi pittori viventi e defunti, e le sue disgrazie in Bologna ed in Mantova, che il condussero, tuttor fresco di età, alla morte in Verona. Quindi non fa meraviglia, se tacquero pure del dipinto, che per gratitudine della ricevuta ospitalità e per isfuggire l’ozio e la noia in quella solinga villa, egli pennelleggiò per gli eremiti brettinesi, si perché non ebbero forse cognizione, sì per non averlo alcuno di loro osservato mai di veduta. Di fatto nol trovo menzionato, se non di volo e senza dire che cosa rappresenti, eccetto che nel citato catalogo di fanestri pitture. Eppure merita, secondo il mio corto vedere, d’essere delineato da penna non solo più abile della mia, ma che di vantaggio associi all’arte dello scrivere scienza e buon sentire in riguardo a disegno e pittura. Segue la puntuale volonterosa descrizione della pregevole tela cantariniano-brettinese come appariva allora al Billi e come ancora oggi appare ad un attento studioso della pittura del secolo XVII: Simone effigiò in quella tela il celeberrimo dottore Sant’Agostino duce e patriarca di tutto quell’ordine, che sotto varie forme osserva le regole da lui dettate. Stassi genuflesso a sinistra innanzi la Vergine, che sollevata in lucidissima gloria ha in seno il bambinello Gesù. Un ampio manto damascato a colori di rosso e giallo, messo a magnifiche pieghe avvicinantesi a quelle di Guido e del Tiarini e non meschine e grette, come quelle del San Tommaso di Villanova, tutto il ricoprono e gli nascondono l’estremità: il manto è affibbiato da una bella borchia lavorata di rilievo, e fra lo scuro, il cenerino, il bianco, il cilestro dell’altre figure campeggia mirabilmente e dà risalto ai volti e al resto di tutta la dipintura. Ha testa nuda, capigliatura bruno-castagna in apparenza trasandata, ma finissima per arte, sembiante grave ma sereno, che ti addita colla sua carnagione piena e vivace un’età che di poco oltrepassi il quarantesimo anno. Un angioletto ai piedi da un lato gli sorregge la dorata mitra ed il pastorale giace disteso a terra, mentre le mani lavorate a perfezione distendonsi dolcemente a guisa di supplichevole verso Maria SS. cui in parte è rivolto il suo sguardo, che non pare distaccarsi per intero dal rimirare sommesso la rapita in estasi sua genitrice San Monica. Ché al lato destro ella ancora a ginocchio piegato, ma non sì che non sembri come elevarsi da quell’atto per virtù divina e dipinta in postura tanto meravigliosa che non è lecito spiegarla a parole, ma fa duopo mirarla cogli occhi. Essendoché tanta espressione di affetto e di lacrime versate mostra nel suo sembiante, in alto rivolto verso la Vergine, come se allora allora si fosse asciugato il pianto con un lino gialliccio, e volesse disfogare tutta l’anima sua a ringraziare la Vergine per vedersi dinanzi genuflesso come lei il suo convertito Agostino, che io sfido qualunque pittore e poeta a meglio delinearla. Che dirò poi del vestimento, del sembiante, delle mani di Monica? Il bianco soggola che le copre il capo e la gola, ha pieghe e solchi sì naturali e seconda sì bene il movimento della testa che ti parrebbe lino, se il tatto non ti dicesse ch’è colore di biacca chiaroscurata. Il velo nero svolazzante e trasparente è sì distaccato quale tu lo vedi nelle vive monache dei nostri conventi. L’abito, la cintura, il panneggiamento 31 non hanno eccezione. Il volto senile della Santa colle gote scarne, patito e ammaccato si scorge dalle lacrime e dalle penitenze benché gli occhi spirino un fervore inusitato che incanta e compunge. La mani infine paiono lavorate al tornio; tanta finezza di anatomia, di proporzione, di verità ti presentano che persino le vene potrebbe un artista annoverarvi: Un fraticello a testa nuda, vestito all’agostiniana sta ritto dietro San Agostino in atto umile, col volto dimesso e raccolto. E le mani incrociate al petto, e pare che sia rimasto sorpreso da stupore all’estasi meravigliosa dei due Santi: Il Cantarini a rischiarare vie meglio tutta la pittura pose in alto due angeli che di qua e di là corteggiano la Vergine e insieme rompono ogni oscurità. Per fermo se l’Albani avesse rimirato questo dipinto ed un altro che or ora descriverò, non avrebbe mai, se non per invidia, dato a Simone il titolo di pittor cenerino. Ché l’ombre e o chiari vi sono così bene divisi, che non ti par più quel pittore medesimo che fece il San Tommaso di Villanova. A integrazione di così ampia descrizione ecco infine l’altro dipinto cantariniano di cui fa cenno Il Billi: Nel più volte citato Catalogo delle pitture di Fano lessi che anche in Serrongarina antico Castello del contado fanese serbavasi un quadro del nostro Simone. Di fatto viddi nell’altare Maggiore della chiesa parrocchiale [di Sant’Antonio abate] un quadro che rappresenta la visita di Santa Maria ad Elisabetta, soggetto trattato dal sommo Domenichino in uno degli affreschi della celebre cappella Nolfi nella cattedrale [di Fano]. Il concetto è il medesimo in ambedue i pittori, e non diversificano che in pochi accessorii. Chi di loro si sarà usurpata l’idea dell’altro? Sono amendue lavori degni d’ogni maggiore encomio. Certo è che il Domenichino eseguì gli affreschi della cappella Nolfi fra il 1617 e il 1618, quando il Cantarini era ancora anagraficamente un fanciullo così che l’interrogativo del Billi può trovare immediata facile risposta su chi ebbe, almeno in questo caso, ad usurpare l’idea dell’altro. Il Cantarini figurò Maria nel fiore della giovinezza con bionde chiome, bianchissimo volto, e gote di colore incarnato, con paludamento di viva porpora, maestoso aspetto, che si piega alquanto nello stringere la mano alla cugina più attempata e curva e in abito più dimesso e coperta il capo di un manto, mentre la Vergine a testa scoperta mostra la ricchezza della sua rilucente capigliatura annodata con tutta cura e semplicità. Elisabetta rivolge il dorso alla sua casa, onde è discesa per varii gradini in sullo spiazzo, e sul limitare della porta si vede in alto uscir fuori ad incontrare la grand’ospite a lento e debil passo San Zaccaria molto vecchio di età, che sebben mutolo, mostra sulla faccia quella giovalità che si usa nell’ accogliere una gradita persona. Il Cantarini dipinse il vecchio col turbante all’ebraica in capo, mentre l’affresco nolfiano cel presenta come se allora allora si fosse tratta la berretta dalla 32 testa tenendosela avanti con ambe le mani. Ma amendue gli egregii artisti espressero in quel vecchio il tremolio delle membra proprio a molti di quella età in modo, che bisogna confessare che piedi e mani gli tremano: anche le ancelle di Maria sono uguali in ambo i lavori, eccetto che il Cantarini una ne dipinse con veste a scacchi bianchi e verdi con mirabili colori portante sul capo un cesto con un donativo di galluzzi, la rosea cresta dei quali è tanto ritratta al naturale che par vera. Eppure chi lo crederà? Anche questo quadro fu malmenato da qualche insipiente rettore, avendo voluto rinchiuderlo in una cornice massiccia del seicento e lunghissima, per la quale non essendo capace in lunghezza, vi fu aggiunto un tratto di tela dipintovi sopra un Sant’Antonio abate non spregevole a sinistra, un Sant’Aldebrando nel mezzo che colla sua mitra bianca copre i piedi e parte della purpurea veste della Vergine, a sinistra una Santa Maria Maddalena di poca entità. È pittura del Guerrieri di Fossombrone. Un’attribuzione ormai quest’ultima del dipinto in questione definitivamente espulsa dal catalogo delle opere del Cantarini per essere integralmente trasferita, a giudizio di Andrea Emiliani, al ricordato Guerrieri: “Fu proprio la composizione su due piani di questa pala a dar origine, probabilmente, ad un equivoco che, ancora qualche decennio fa, si trascinava nella tradizione storica locale. Si tramandava infatti che il dipinto, eseguito nella sua parte superiore - e cioè la vera e propria Visitazione - di Simone Cantarini, avrebbe più tardi subito, per insistenza dei committenti, un allungamento affidato al Guerrieri da Fossombrone. La tradizione si basava, diceva qualcuno, sull’autorità di un documento manoscritto conservato nell’archivio della Parrocchiale di Serrungarina. Naturalmente, non c’è traccia di allungamenti e neppure di documenti. E si può agevolmente correggere l’attribuzione, rimandandola del tutto alla mano del Guerrieri”. Annota infine il Billi: Nella sacrestia della parrocchiale di Cartoceto avvi una Vergine col bambino donata dal signor Filippo Palazzi di buona memoria, come opera di Simone Cantarini. Un dipinto, quest’ultimo, di cui oggi sembra perduta ogni traccia. Nota bibliografica A.M. Ambrosini Massari, schede dei dipinti in La Pinacoteca Civica di Fano, Milano 1993, a cura di A.M. Ambrosini Massari, R. Battistini, R. Morselli, pp. 54-57, 254-256. (E si rimanda infra, al saggio della stessa autrice, anche per ulteriore bibliografia). Anonimo Sec. XVIII, Pitture d’uomini eccellenti nelle chiese di Fano, Quaderno di “Nuovi studi fanesi”, a cura di Franco Battistelli 1995, pp. 16-18, 31-40, 60-62, 71-74. B. Borgarucci, Istoria della nobiltà di Fano, Quaderno di “Nuovi studi fanesi”, a cura di A. Deli 1994, p. 38. G. Calegari, La chiesa di S. Pietro, Fano nel Seicento, a cura di Aldo Deli, Fano 1989, pp. 146-166. A. Emiliani, Giovanni Francesco Guerrieri da Fossombrone, Fano 1997, pp. 86-87 (scheda 33). GDE (G. Degli Esposti), Guido Reni 1575-1642, Bologna 1988, pp. 94-95 (scheda 39) e pp. 110-111 (scheda 47). L. Lanzi, Storia pittorica dell’Italia dal risorgimento delle Belle Arti fin presso la fine del sec.XVIII, Bassano, 1809 (1968-’74), III, pp. 79-80. C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite dei pittori bolognesi, Bologna 1678; Idem, Le pitture di Bologna, Bologna 1686. M. Mancigotti, Simone Cantarini il Pesarese, Banca Popolare Pesarese, 1975, in particolare le pp. 78-81 e 82-85 (figg. 15-18, 19 e 20-21); 2006, pp. 57-59. S. Tomani Amiani, Le dipinture più celebri esistenti in Fano, Fano, 1856; Idem, Guida Storico Artistica di Fano, prima edizione a stampa del manoscritto datato 1853, presentazione e annotazioni di Franco Battistelli, Banca Popolare Pesarese, 1981, pp. 84, 107, 161, 168, 196, 199. G.L. Vanzolini, Guida di Pesaro, Pesaro 1864. P. Zani, Enciclopedia metodica ragionata delle belle arti, Parma 1817-24. 33