Domenico Liguori
Idee, sperimentazioni e pratiche
di autogoverno della FMB
(federazione municipale di base)
di Spezzano Albanese
Edito a cura dell’Associazione Culturale
“La Società Altra”
Laboratorio Comunalista di ricerche e iniziative sociali
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INDICE
1. Contesto storico e sociale
2. Genesi della FMB
a)
b)
c)
d)
e)
L’affermarsi della presenza anarchica e libertaria
L’USZ (Unione Sindacale Zonale)
L’USZ tra difficoltà interne e contraddizioni
La continuità della presenza anarchica e libertaria
Verso la costituzione della FMB
3. Come è strutturata la FMB, chi sono i suoi aderenti, quali scopi
pone
si pro-
4.
I punti forza del Comunalismo rispetto ad altre proposte di federali smo ed autogoverno
5.
L’azione e il ruolo della FMB nel luogo
6.
La prassi comunalista della FMB
6.1 Alcuni esempi di intervento territoriale
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
i)
sociale
Bilancio comunale
Tributi e tasse
Servizi
Mondo del lavoro: settore privato, settore pubblico
Urbanistica e ambiente
Attività produttive
Agricoltura
Turismo e questione terme
Il cooperativismo e l’esperienza della locale “Arcobaleno” cooperativa
6.2 Alcune significative vittorie
a) No alla fabbrica della morte
b) No al traliccio Omnitel
c) Nuova sede del liceo
6.3 Progettualità d’intervento in prospettiva
a) Le terme alla comunità
b) “Piccolo è bell0”
c) “Spezzano è… Spixana eshte”: l’anima del progetto
d) Il Marchio “Spezzano è…”
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INTRODUZIONE
Il desiderio di una costruenda società egualitaria e libertaria non ha
mai cessato di albergare, quale utopia in positivo, nel cuore di tutte
quelle donne e di tutti quegli uomini che della lotta contro l’autorità,
la gerarchia, lo sfruttamento, l’oppressione e per la libertà, hanno fatto la loro bandiera. E questo “dolce sogno”, a tutt’oggi, non è certamente svanito.
E’ vero, la barbarie della società del dominio sembra che ovunque regni in maniera incontrastata, ed a testimoniarlo non mancano certamente esempi di nuda e cruda realtà: i genocidi delle nazioni forti
perpetrati tra i popoli del terzo mondo, le guerre incombenti su tutto
il globo terracqueo, lo sfruttamento e l’oppressione che modellano sia
le società dei paesi ricchi che dei paesi poveri, la scellerata distruzione dell’ecosistema immolata al dio profitto, ecc.; ma altrettanto vero
risulta come gli ideali ed i valori libertari ed egualitari, mai del tutto
sopiti, anche se in maniera variegata, si risvegliano ed entrano in scena decisi a voler dimostrare, scusate il paradosso se tale può sembrare, la praticabilità dell’Utopia.
Una miriade di conflitti, frutto di quanti in maniera consapevole o inconsapevole non si riconoscono nell’eterna commedia del dominio,
commedia fatta di sacrifici, oppressione, repressione e sfruttamento,
sempre a danno delle classi sociali meno abbienti…
una miriade di conflitti, frutto di azioni ideate, maturate e messe in
atto da un vasto arcipelago di strutture di base autorganizzate, autogestionarie, comunaliste che la gente vede e vive nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, nelle comunità…
una miriade di conflitti testimoniano, insomma, pur se in maniera
estremamente variegata, come sia viva la voglia di opporsi in maniera alternativa all’esistente.
L’esperienza della FMB di Spezzano Albanese è una fra le tante
esperienze di questo variegato arcipelago.
Un’esperienza embrionale di Organizzazione di Massa Complessiva,
che si propone di sapersi rendere atta a coniugare sindacalismo e comunalismo; un’esperienza che, ponendosi in alternativa all’organizzazione sociale gerarchica, si dota della volontà di non sfuggire le
contraddizioni ed i conflitti che il dominio dell’uomo sull’uomo genera; di unire all’azione con finalità sindacali (rivendicazionismo
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economico, difesa dell’occupazione, dell’ambiente, controllo dell’attività amministrativa ed istituzionale in genere), un’azione con finalità comunaliste capaci di costruire “quì ed ora” spazi sociali di libertà
reale, di già alternativi all’organizzazione autoritaria del vivere sociale (cooperativismo autogestionario, laboratorio di autogoverno municipale, federalismo orizzontale delle strutture sociali alternative al
verticismo istituzionale).
Ed è proprio questa esperienza che è oggetto del presente lavoro, un
lavoro che nasce in occasione dell’Incontro Internazionale che si terrà a Spezzano Albanese dal 21 al 24 Agosto 2003 sul tema “Oltre
Porto Alegre… idee, sperimentazioni e pratiche di autogoverno”, per
l’appunto convocato dalla FMB col fine di mettere a confronto le
idee, la prassi e le sperimentazioni delle variegate strutture autogestionarie e di base operanti nel sociale, nonché di offrirsi come spazio
per tessere contatti e rapporti fra quanti si riconoscono in prospettiva,
ovunque nel mondo, pur se in maniera non completamente affine, in
una progettualità sociale di autogoverno dal basso.
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1.
SPEZZANO ALBANESE
IL CONTESTO STORICO-SOCIALE
Spezzano Albanese, paese di circa 8000 abitanti dell’alto cosentino,
nord della Calabria, sorge su una collina che dai piedi delle montagne
site a ponente, dietro le quali si estende l’alto Tirreno calabrese,
avanza ad est verso la piana di Sibari per immergersi nella costa dell’alto Jonio calabrese,
laddove in un ameno
paesaggio non privo di
selvagge bellezze la
catena montuosa del
Pollino e del Dolcedorme si stringe in un
plurisecolare abbraccio con i resti storicoculturali della Magna
Grecia sibarite.
Spezzano, di etnia arbëreshë, di cui ancora oggi conserva parte delle tradizioni e l’idioma,
risulta essere il più grande dei paesi di origine albanese dell’Italia
meridionale, sorti nel XV secolo quando l’Albania era stata invasa
dall’impero ottomano. Attraversato dalla SS 119, anche quando ancora non c’era l’autostrada, il paese, oltre a fungere da centro comprensoriale delle comunità limitrofe, è una piacevole meta per viaggiatori e turisti essendo dotata di salutari acque termali.
Il suo territorio non abbastanza esteso, ricevuto da donazioni dei paesi limitrofi, preesistenti all’arrivo dei profughi albanesi del XV secolo, da sempre dedito all’agricoltura (principale fonte di reddito), offre
un bellissimo paesaggio di uliveti secolari, di vigneti, recenti frutteti
(pesche e agrumi) e ortaggi. La proprietà terriera, altamente frazionata, soprattutto dopo l’occupazione delle terre avvenuta nel secondo
dopoguerra, risulta divisa in moltissimi appezzamenti a conduzione
familiare. Nel territorio sono presenti alcune realtà agricole industria-
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lizzate di lavorazione, trasformazione e commercializzazione di prodotti, che se in parte contribuiscono ad alleviare la piaga disoccupazionale, non offrono però lavoro stabile e neppure sempre retribuito
sulla base dei contratti collettivi nazionali.
Le amministrazioni locali, volutamente disattente a queste peculiarità
della produzione agricola, non si sono mai preoccupate di valorizzare
la produzione della piccola ma diffusa proprietà contadina territoriale, per non disturbare quei pochi grandi proprietari terrieri, quelle poche realtà ortofrutticole industrialmente organizzate (alcune cooperative di nome ma non di fatto) che controllano la domanda, l’offerta e
la commercializzazione dei prodotti.
I piccoli agricoltori, intanto, mancanti di un orientamento e di una
progettualità alternativi, vittime di quei politicanti che fino ad alcuni
decenni fa rimandavano ogni risoluzione al cosiddetto “sol dell’avvenir”, alla mercé dello strapotere economico e politico del capitale, si
vedono costretti a svendere la produzione effettuata con le proprie
braccia o a lasciarla marcire nei campi.
Tutto ciò ha provocato negli ultimi anni in molti piccoli produttori
agricoli sfiducia ed abbandono: da qui un graduale disfarsi dei piccoli
appezzamenti ritorna ad ingrossare i già grandi proprietari terrieri, riportando tendenzialmente l’orologio all’indietro, a prima delle occupazioni delle terre.
Altro settore produttivo è l’edilizia, che, legato ad una selvaggia speculazione di imprese e palazzinari che dalle amministrazioni comunali ha ricevuto il via libera con un piano regolatore generale a dismisura, ha determinato negli ultimi decenni un’esagerata urbanizzazione,
che da un lato ha inesorabilmente deturpato l’ambiente territoriale e
dall’altro ha trasformato il centro storico in ghetto.
Per la posizione che Spezzano occupa da centro comprensoriale, abbastanza sviluppato risulta inoltre il terziario, prevalentemente composto da piccoli esercenti che, però, gradualmente nell’ultimo decennio si vedono sopraffatti dalla nascita di iper e supermercati, sia in
paese che nel territorio circostante. Segnale questo di come oggi l’accentramento della globalizzazione capitalista, dall’agricoltura al commercio e oltre, marcia in maniera vandalica ovunque dalle metropoli
ai piccoli centri.
In materia di servizi, soprattutto in quelli dell’istruzione e della sanità, Spezzano, come tanti altri piccoli centri, si mostra deficitaria. Nel-
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l’istruzione, infatti, se presenti risultano la scuola primaria e secondaria inferiore, mancano invece molti degli istituti della secondaria superiore (unici presenti: liceo scientifico e professionale per l’agricoltura), di conseguenza molto vistoso si mostra il fenomeno del pendolarismo studentesco; nella sanità le uniche strutture presenti sono
quelle pubbliche di base, del resto molto deficitarie, e di conseguenza
necessita fare riferimento alle strutture ospedaliere del capoluogo di
provincia o a quelle poche presenti nei centri vicini più grandi.
Nell’ambito politico, Spezzano, vuoi forse per le sue origini arbereshë e dunque di comunità costretta a subire doppiamente il potere
(come minoranza etnica nella sua peculiarità e come comunità al pari
di tutte le altre comunità), vuoi forse per la strategica posizione geografica che l’ha sempre collegata al resto dell’Italia, ieri attraverso la
SS19 ed oggi attraverso tre raccordi autostradali, si è mostrata sempre aperta alle idee ed ai movimenti innovativi che si ponevano in
aperto dissenso col potere costituito, durante l’età dei lumi, del Risorgimento, in quella postunitaria e nell’attuale età repubblicana.
Nel 1799 la maggior parte dei suoi abitanti si schierò con le idee ri voluzionarie della Repubblica Partenopea e fallita la rivoluzione alcuni spezzanesi furono perseguitati ed esiliati. Nel 1848 si costituirono i primi comitati rivoluzionari che stimolarono sino alla spedizione
garibaldina dei mille la partecipazione di vasti settori della popolazione ai moti risorgimentali.
Dopo l'unità d'Italia mentre il paese cominciava a spopolarsi, perché
molti spezzanesi si trovavano costretti a scegliere la via dell'emigrazione verso il sud America, fiorivano in loco le prime idee socialiste
che abbracciavano il percorso di emancipazione della Prima Internazionale dei lavoratori.
Nel XX secolo, dopo l’avvento del Fascismo si costituirono da subito
i primi organismi clandestini antifascisti e molti aderenti si videro
ben presto costretti a subire carcere e confino.
Con la nascita della Repubblica si ricostituirono i partiti politici, le
organizzazioni sindacali e fiorì un forte movimento popolare di lotta
per l'occupazione delle terre.
Nel presessantotto, per molti mesi Spezzano occupò spazio nella
stampa internazionale essendosi tutta la sezione PCI trasformata in
sezione del PCdI – ml: Luigi Longo, allora segretario nazionale del
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PCI, scese a Spezzano, restaurò l’ordine in sezione ,ma l’attività dei
marxisti leninisti perdurò in paese sino ai primi anni settanta.
Ed è proprio nei primi anni settanta che fiorisce a Spezzano la prima
presenza libertaria ed anarchica organizzata, e da questo momento,
come vedremo nel seguito del presente lavoro, l’evolversi del contesto sociopolitico andrà di pari passo con le istanze sociali di cui gli
anarchici ed i libertari si renderanno promotori.
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2.
GENESI DELLA FMB
a) L’affermarsi della presenza anarchica e libertaria
La FMB (Federazione Municipale di Base) di Spezzano Albanese nasce da una presenza anarchica e libertaria ben radicata nel territorio,
che si protrae sin dal 1973.
Spezzano era allora governata da un’amministrazione a gestione assoluta PCI, che non aveva nulla
da invidiare in materia di corruzione, ruberie, clientelismo alle
amministrazioni locali di colore
politico contrapposto.
Nel gennaio del 1973 si costituiva in paese, ad opera soprattutto
di alcuni giovani studenti, disoccupati e lavoratori il Circolo
Culturale Libertario “G. Pinelli”,
che dopo un anno di controinformazione sulla strage di Stato, sul
“suicidio” Pinelli, sul caso Valpreda, avendo acquisito una specificità ideologica più marcata,
nonché interesse verso le problematiche territoriali, decide di denominarsi Gruppo Anarchico “G. Pinelli” ed in seguito Gruppo Comunista Anarchico - GCA “G. Pinelli” col fine di esplicare la propria attività non solo nella propaganda ideologica ma anche e soprattutto nel sociale.
Era attivo allora nel territorio del Pollino, con centro a Castrovillari,
un forte movimento di Studenti, lavoratori e disoccupati che lottava
per il diritto allo studio, per la gratuità dei trasporti e contro la disoccupazione.
Il Gruppo Anarchico di Spezzano, coinvolto direttamente in tale movimento attraverso i suoi militanti, si rendeva promotore in paese delle prime strutture di base fra gli studenti (NAS - nucleo autonomo
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studentesco), i disoccupati (CDO - comitato disoccupati organizzati),
i lavoratori edili (CEL - comitato lavoratori edili), nei quartieri (CdQ
– Comitato di Quartiere) e nel territorio del Pollino con il CZM
(Coordinamento Zonale di Massa).
Queste strutture di base, pur se promosse dagli anarchici e dai libertari, raggruppavano gli studenti, i disoccupati, i lavoratori, gli abitanti
del quartiere non in base all’appartenenza ideologica bensì, in senso
lato, con unica discriminante la condivisione della metodologia antigerarchica, assembleare e dell’azione diretta.
b) L’ USZ (Unione Sindacale Zonale)
Nella seconda metà degli anni ‘70, quando il Movimento anarchico
era impegnato a livello nazionale nella ricostruzione dell’USI - Unione Sindacale Italiana,
i Comitati di studenti,
disoccupati, lavoratori
ed il Coordinamento
Zonale di Massa confluivano in loco in
un’unica
struttura
dando così vita alla
USZ (Unione Sindacale Zonale).
L’intervento nel sociale dell’USZ venne
ben presto a scontrarsi con l’istituzione comunale, soprattutto per la
controinformazione pubblica nei riguardi di tutte le decisioni che venivano prese dagli amministratori comunali e che si riteneva andassero a ledere gli interessi della Collettività.
Ad esempio, a Spezzano, gli anarchici e l’USZ non hanno avuto certamente bisogno di attendere la “tragicomica farsa della rivoluzione
di mani pulite” per dimostrare con fatti alla mano la corruzione e gli
scandali della pubblica amministrazione: si portavano le delibere municipali in piazza, si allestivano mostre, si tenevano assemblee pubbliche, comizi, iniziative tutte tese a denunciare gli interessi privati,
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la corruzione e gli scandali che venivano operati dagli amministratori
nella gestione della Cosa Pubblica.
Molteplici furono negli anni ’80 le iniziative dell’USZ e degli anarchici: la lotta delle Vedove ed Orfani per il diritto all’assistenza che il
Comune loro negava girando i fondi su altre voci di bilancio; la denuncia delle plurime
doppie missioni percepite dal Sindaco PCI,
che risultava essere
nello stesso giorno e
nelle stesse ore in luoghi diversi, in veste di
Primo cittadino e di
Presidente dell’Unione
Sanitaria Locale; la denuncia della vendita a
privati di lotti vincolati
nel Piano di Fabbricazione a Verde Pubblico; la lotta del quartiere S.
Lorenzo contro la costruzione di un immenso palazzone che ostruiva
lo sbocco di ben due strade del quartiere stesso; la denuncia della costruzione, sempre su terreno vincolato a verde pubblico, di una serie
di appartamenti di edilizia pubblica e residenziale tra i cui destinatari
figuravano il Sindaco e un assessore comunale; la lotta per l’assegnazione degli alloggi popolari; la lotta per la libertà di pensiero e di
espressione e per la riconquista degli spazi sociali.
Per reprimere tali iniziative e tappare la bocca agli anarchici, col fine
di conseguentemente dividere il movimento libertario che ormai era
riuscito a radicarsi in larghe fasce popolari, gli amministratori non
tardarono ad usare ogni forma di ricatto, minacce, clientelismo, denunce per occupazione abusiva di suolo pubblico e della sala municipale rasentando, addirittura, la dittatura dei cosiddetti paesi a “socialismo reale” (ordinanze del Sindaco vietavano le Piazze centrali del
Paese per manifestazioni politiche, la Sala Consiliare non veniva concessa per assemblee popolari che non fossero organizzate dal PCI,
ecc.).
La repressione comunque non riuscì a spegnere né le istanze e né le
iniziative degli anarchici e dei libertari che a tale modo di amministrare continuarono a contrapporsi in maniera netta e decisa, mentre i
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Partiti politici dell’allora minoranza consiliare (DC, PSI, MSI) adagiati alla situazione in una rete di favoritismi amministrativi difendevano i loro interessi di bottega.
Gli scandali denunciati dall’USZ, riguardanti il settore dell’edilizia,
che si circoscrivevano soprattutto in una zona del paese denominata
“Orto Barbato”, da allora in poi denominata “Orto degli scandali”,
vennero pubblicamente negati dal sindaco che sfidò i militanti del
sindacato libertario dichiarando pubblicamente: “se sono veri gli
scandali, perché non ci denunciate?”.
Alcuni militanti dell’USZ, non per fiducia nei confronti della magistratura, ma perché pubblicamente derisi dal sindaco, raccolsero la
sfida e denunciarono, in qualità di cittadini, gli scandali con un esposto al Tribunale di Castrovillari.
Da quel momento all’interno del PCI cominciarono a manifestarsi serie spaccature: l’assessore all’Urbanistica e un consigliere indipendente abbandonarono la maggioranza consigliare
PCI
criticando
pubblicamente la
gestione amministrativa. Di conseguenza vennero a
mancare al PCI i
numeri per poter
amministrare, essendo il Consiglio comunale composto da 10 consiglieri PCI e da 10
consiglieri dell’opposizione. Ma a soccorrere l’amministrazione PCI
sopraggiunsero tre dei quattro consiglieri DC e il consigliere MSI.
Da questo momento l’amministrazione comunale, anche se in maniera ufficiale risultava pur sempre governata dal PCI, in realtà era governata da 10 consiglieri PCI, 4 democristiani e un missino. All’interno del PCI in molti chiesero le dimissioni del sindaco, ma risultò poi
opinione diffusa che colui che fra gli assessori PCI si accingeva a coprire il nuovo incarico da sindaco, alcuni giorni prima avesse rifiutato
il grande “onere”.
In seguito, giungeranno delle comunicazioni giudiziarie, relative all’esposto dei militanti dell’USZ, al sindaco e ad alcuni amministrato-
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ri, che si videro accusati di interessi privati in atti d’ufficio, truffa,
peculato, ecc. . All’interno del PCI si coagulava un vero e proprio
dissenso che porterà poi la locale sezione ad una vera e propria spaccatura e moltissimi dei dissidenti venivano pubblicamente espulsi dal
Partito. La crisi determinatasi all’interno del PCI, sembrava unire i
consiglieri dell’opposizione che concordavano nella decisione di presentare una mozione di sfiducia al sindaco. Alla fine di Maggio veniva convocato il consiglio comunale, e tutti in paese pensavano che
ormai la fine dell’egemonia dell’amministrazione PCI fosse veramente giunta; ma al momento della votazione, avvenuta per scrutinio
segreto, i consiglieri dell’opposizione non si ritrovavano più in 10
bensì in 9 e una scheda bianca. La mozione, di conseguenza, risultò
bocciata e l’opinione pubblica di allora individuò nella scheda bianca
il consigliere missino.
Le vicende amministrative del 1984 venivano a coincidere con la
campagna elettorale per le europee. Anarchici e USZ in quel periodo
risultavano fortemente impegnati nella campagna astensionista nonché in una vivace controinformazione sugli avvenimenti locali, ma
provocazioni di ogni natura provenienti da ambienti vicini agli amministratori e al PCI, che individuavano nell’opposizione libertaria la
causa dei problemi interni alla maggioranza amministrativa, impedivano o facevano degenerare ogni manifestazione di pubblico dissenso. Provocazioni rasentanti lo scontro fisico venivano tentate contro
anarchici e militanti dell’USZ. La caccia all’uomo diretta dagli amministratori e dal PCI creava in tutto il paese un clima di tensione, di
minacce per isolare l’opposizione che la presenza libertaria rappresentava. Approfittando di disordini provocati da militanti del PCI il
1° Maggio nel comizio tenuto dallo stesso Partito, il sindaco con
un’ordinanza imponeva a tutte le forze politiche il divieto di piazza
Matteotti (piazza storica delle manifestazioni politiche) e di tutte le
piazze centrali del paese, come luogo dove poter tenere i comizi, e indicava per gli stessi piazze periferiche e decentrate.
I divieti e le provocazioni non riuscirono però a isolare la presenza libertaria, ormai attorniata da un’opinione pubblica sempre più solidale
e partecipe.
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c) L’USZ tra difficoltà interne e contraddizioni
Nell’anno seguente, precisamente nel 1985, il dibattito politico si incentrava nel luogo soprattutto sulla scadenza elettorale amministrativa. I partiti in lizza erano da un lato il PCI e dall’altro DC, PSI, MSI
e una lista civica (Rinascita Spezzanese) formata prevalentemente dai
militanti che erano stati allontanati dal PCI nel 1984 e da dissidenti,
di cui alcuni vicini all’opposizione libertaria.
Gli anarchici anche in questa occasione spiegavano con pubblici comizi le ragioni del loro astensionismo e delle loro proposte alternative di autorganizzazione, ma le collocavano nel particolare momento
che il paese attraversava in cui molti simpatizzanti libertari, pur condividendo la posizione anarchica, ritenevano utile esprimere un voto
per rompere l’egemonia assoluta del regime amministrativo PCI.
Comunque, ancor prima che si svolgessero le elezioni, i giochi erano
chiari a tutti: la DC si presentava con personaggi che avevano sempre
convissuto con il regime amministrativo, il PSI con dissidenti interni
di cui uno all’ultimo momento sceglieva di candidarsi nel PCI e un
altro che, anziché raccogliere voti per la lista socialista nella quale risultava candidato, indicava a votare PCI. E di fatti i risultati elettorali
non riusciranno a rompere la maggioranza assoluta PCI, in quanto,
anche se la lista civica si affermava con 3 consiglieri, DC e PSI scendevano in voti e consiglieri che confluivano nel PCI.
L’astensionismo si attestava al 20% circa, mentre le schede bianche e
nulle che alle provinciali e regionali si attestavano al 15% circa, alle
comunali raggiungevano quasi il 5%.
Ancora una volta la pratica elettorale si dimostrava un’illusione, e il
trasformismo, le clientele, i ricatti cantavano vittoria.
Dopo le elezioni del 1985, il mancato crollo del PCI procurò nell’opinione pubblica e anche in quei simpatizzanti dell’USZ che si erano illusi sulla pratica elettorale, una profonda delusione che portava a valutare in modo pessimista ogni possibile mutamento.
Gli anarchici considerando la peculiarità della situazione venutasi a
determinare, senza rinunciare all’impegno sulle problematiche territoriali e di massa, ritenevano però fosse anche giunto il momento di
affiancare a tale intervento un discorso più specificamente libertario
per far meglio comprendere, come l’autorganizzazione reale, e non
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quella confusa da illusioni elettoraliste, fosse l’unico mezzo di cui
servirsi per affrontare e risolvere le questioni sociali.
L’USZ, comunque, nonostante l’impegno che i libertari continuavano
a mostrare verso di essa, non riusciva a superare le sue difficoltà interne e da questo momento inizierà una fase di progressivo declino
del suo intervento nel sociale.
d) La continuità dell’iniziativa anarchica
Nell’estate del 1986 vengono organizzate dagli anarchici a Spezzano
10 giornate di dibattito e di spettacoli: la prima Estate Anarchica.
Il sindaco in un primo momento tenta di vietare le manifestazioni,
mentre poi pensa di esiliarle in un luogo decentrato (ex campo sportivo), rifiutandosi di concedere al
GCA la piazza richiesta (piazza
parcheggio). I dibattiti, che toccano temi vari, sia di attualità
che di storia dell’anarchismo,
vedono una vastissima partecipazione popolare e di compagni
provenienti da ogni parte d’Italia, e permettono agli anarchici
di fare meglio conoscere in
loco le loro idee e proposte.
Negli
anni
successivi
(1987/88/89/91) si organizzano
in paese ben altre 4 manifestazioni dell’Estate Anarchica, che
vedono sempre attenta e interessata la gente del luogo e soprattutto il pubblico giovanile.
Nell’Autunno del 1986, considerati i divieti che il sindaco continua a porre ad ogni manifestazione
di dissenso, il GCA decide di promuovere una battaglia politica tesa a
conquistare l’agibilità di tutte le piazze del paese ed convoca una manifestazione da tenersi in piazza Matteotti, vietata dal 1984.
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Un’ingente forza di carabinieri impedisce la manifestazione per ben
due volte ma una folla, mai vista in luogo nelle manifestazioni politiche, solidarizza con gli anarchici e con la loro lotta.
Il sindaco, sordo alla solidarietà dell’opinione pubblica, decide di non
revocare l’ordinanza che vietava l’agibilità di tante piazze del paese.
Nel 1987 il G.C.A., dopo più di un decennio di militanza all’interno
del Movimento Anarchico Italiano, aderisce alla FAI (Federazione
Anarchica Italiana). Negli anni successivi l’impegno degli anarchici,
accanto alle manifestazioni più propriamente politiche e culturali
(ESTATE ANARCHICA) e all’assunzione dell’incarico della redazione e amministrazione del settimanale Anarchico UMANITA’
NOVA, affidato nel 1990 dal Congresso FAI di Trieste al GCA di
Spezzano e al Nucleo FAI di Cosenza, continua a caratterizzarsi verso le problematiche territoriali e la questione edilizia.
In varie manifestazioni anarchiche viene pubblicamente denunciato il
Piano Regolatore Generale (PRG), definito come strumento di potere
e di clientele, proteso a garantire gli appetiti di notabili proprietari e
impresari del luogo.
Di fatti, una volta approvato il PRG, mentre l’edilizia popolare viene
bloccata e il centro storico ghettizzato, gli intrecci tra amministrazione ed impresari si mostrano visibili a tutti: gli unici autorizzati a costruire, praticamente, risultano impresari vicini alla amministrazione.
Il connubio amministrazione-mpresari e la gestione del PRG generano nel PCI nuovi dissidi interni e le dimissioni dell’assessore all’urbanistica.
Altro momento significativo dell’attività anarchica di quegli anni,
non solo dei militanti del luogo ma anche degli anarchici del cosentino, della Calabria e di varie località Italiane, è rappresentato dall’opposizione espressa nei confronti dell’installazione degli F16 che gli
USA con l’assenso del Governo italiano volevano imporre a Isola
Capo Rizzuto: comizi, assemblee, cortei, partecipazione al Comitato
contro gli F16, campeggio antimilitarista caratterizzano tale intervento.
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e) Verso la costituzione della FMB
Nel Gennaio del 1992 succede però in loco un vero e proprio terre moto politico: l’ex sindaco PCI di Spezzano, diventato nel frattempo
Presidente della Provincia, viene sospeso da tale carica dal Prefetto di
Cosenza, causa una condanna per interessi privati in atti d’ufficio
emanata dalla Corte d’Appello di Catanzaro, riguardante l’assunzione
illegittima di un bidello, azione consumata quando copriva a Spezzano la carica di sindaco. La sospensione prefettizia del Presidente della Provincia provoca nell’amministrazione comunale dapprima le dimissioni di consiglieri ed assessori di maggioranza, poi le dimissioni
dell’allora sindaco ed infine le dimissioni in blocco dei consiglieri
della minoranza amministrativa.
Tutto ciò determina la caduta dell’amministrazione comunale e il
commissariamento prefettizio della stessa: per la pubblica opinione
tale crollo simboleggia allora la giustezza di tutte le battaglie anarchiche e libertarie che si erano
espresse in loco.
L’USZ come struttura operante non
esisteva più, esistevano però pur sempre come struttura
organizzata gli anarchici.
Proprio dopo un affollatissimo comizio tenuto in merito dagli anarchici nasceva in paese una forte esigenza di costituire un’alternativa
nei confronti di quello che era stato l’andazzo scandaloso di coloro
che avevano per più di un ventennio governato in loco. Agli anarchici
veniva addirittura proposto da ampie fasce cittadine di candidarsi
dando vita ad una lista alternativa.
Gli anarchici da un ventennio avevano sempre condotto in loco, in
occasione delle elezioni, una significativa battaglia astensionista,
però, dinanzi alla situazione del tutto particolare di allora e dinanzi
alle richieste di praticità che venivano ad essi avanzate, pensarono
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che continuare a proporre semplicemente un astensionismo meramente ideologico poteva apparire fuorviante. Pertanto, proprio in
quella peculiare contingenza storica, il GCA, in seguito ad una proficua discussione interna, maturò la decisione di lanciare alla comunità
la proposta di una costituenda Federazione Municipale di Base: la
FMB. Così, mentre i partiti politici si organizzavano con le loro liste
e con i loro candidati per raccogliere voti, gli anarchici si fecero promotori di una vasta e incisiva campagna sociale per spiegare ancora
una volta il perché non erano in lizza e per proporre la nascita di una
struttura comunalista di base complessiva, alternativa all’Amministrazione comunale, per la risoluzione dei problemi territoriali, e alternativa al sindacalismo di regime per la difesa e la conquista degli
interessi delle classi lavoratrici, dei disoccupati, degli studenti, dei
pensionati: una struttura autogestionaria di reale contropotere per tutte quelle persone che si sarebbero ritrovate per discutere ed offrire
soluzioni alternative ai problemi sociali attraverso una metodologia
di base e libertaria.
Nel corso della campagna elettorale, politica per i partiti e sociale per
gli anarchici, questi ultimi proposero con comizi ed assemblee popolari la costituzione di un comitato promotore per la FMB. Molte risultarono le adesioni in merito raccolte, non semplicemente tra gli anarchici o tra coloro che avevano negli anni simpatizzato con la metodologia e le lotte libertarie, ma anche tra chi magari aveva deciso di votare per questa o per quest’altra lista ma che si riconosceva nella costituenda FMB, in quanto condivideva l’idea di non concedere deleghe in bianco agli amministratori e vedeva in questo organismo nascente uno strumento attraverso cui autorganizzarsi per controllarli.
Ad elezioni fatte, un giorno prima che una neoamministrazione comunale pluripartito (PSI, DC e la civica Rinascita Spezzanese) con il
PCI all’opposizione si insediasse, la FMB varava lo Statuto associativo e si costituiva per rappresentare il contropotere, l’alternativa autogestionaria e di base, un seme di autogoverno contro la gestione istituzionale e gerarchica del territorio e del sociale. Intanto, il neosindaco appena insediatosi, quale segno di distensione, tolse il divieto per
Piazza Matteotti e le altre piazze centrali del paese, e così il 19 luglio
del 1992 il G.C.A. “G. Pinelli” con un comizio partecipatissimo, un
vero e proprio bagno di folla, un vero e proprio tributo di stima e riconoscenza alla lotta degli anarchici e dei libertari, che si trasformò
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alla fine in una grande festa popolare, alla presenza della FMB e di
quasi l’intero paese ridiede voce a Piazza Matteotti, piazza divenuta
ormai simbolo della lotta contro il regime instaurato in paese dal PCI
tra il1975 e il 1992.
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3.
COME È STRUTTURATA LA FMB
CHI SONO I SUOI ADERENTI
QUALI SCOPI SI PROPONE
La FMB raggruppa i suoi associati non in base ad una ideologia politica specifica, alla razza, al sesso, alla religione, alle visioni filosofiche, bensì in quanto lavoratori, disoccupati, studenti, pensionati, cittadini.
Le uniche discriminanti sono il metodo libertario e la prassi autogestionaria.
La FMB non è un'organizzazione di parte e pertanto né si schiera e né
scende in campo con proprie liste nelle campagne elettorali, mentre
agli associati che coprono cariche pubbliche e dirigenziali in altre organizzazioni o si candidano alle elezioni non è permesso coprire cariche esecutive nella FMB.
Gli associati alla FMB risultano appartenere soprattutto al mondo
della scuola, degli Enti Locali, dell’agricoltura, della pitturazione/pulizia e ristrutturazione locali, dell'informatica, dei pensionati, dei disoccupati.
Compongono la FMB le Unioni di Categoria, che si interessano principalmente dei problemi che riguardano il mondo del lavoro di appartenenza degli associati, e l'Unione Civica, che si interessa, invece, soprattutto di tutte le problematiche territoriali, quali ad esempio l'Urbanistica, l'Ambiente, i Servizi, ecc. . Su questi ed altri argomenti, le
Unioni della FMB discutono pubblicamente in apposite assemblee e,
quale volontà esplicita dei lavoratori e dei cittadini, partoriscono proposte sulle quali le controparti e le istituzioni preposte, volenti o nolenti, sono portate a doversi misurare.
La FMB, in quanto struttura autogestita, non possiede organismi direttivi al suo interno e le decisioni vengono autonomamente prese
dall'Assemblea di ogni specifica Unione, mentre l'Assemblea generale degli Associati alla FMB, che si svolge una volta all’anno, va semplicemente a discutere e coordinare le decisioni già prese dalle Unioni di categoria e dall'Unione Civica ed elegge un Comitato Esecutivo
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che ha il semplice compito di coordinare ed eseguire le decisioni assembleari.
Le decisioni vengono prese a maggioranza, alle minoranze viene però
garantita la facoltà di eseguirle o meno, nonché di esprimere pubblicamente il dissenso, anche attraverso specifiche iniziative pubbliche,
purché non venga ad essere ostacolata l'esecuzione delle decisioni
della maggioranza.
La differenza sostanziale tra la FMB e altre organizzazioni o organismi di massa consiste che mentre questi ultimi si esprimono meramente in un terreno rivendicazionista, delegando alle istituzioni gerarchiche la gestione politica del sociale, la FMB invece, pur non disdegnando di esprimersi sul terreno rivendicativo, rifiuta però ad altri
la delega nella gestione del sociale e si caratterizza soprattutto con
momenti di sperimentalismo autogestionario che mirano a costruire
nel “qui ed ora”, fuori dalle istituzioni, un'alternativa sociale comunalista, federalista e libertaria.
Si legge infatti in uno degli articoli dello statuto costitutivo della
FMB: “La F M B pone le sue basi sui principi dell'autorganizzazione, dell'autogestione, della democrazia diretta, ragion per cui bandisce ogni principio di organizzazione verticistica, di autoritarismo, di
burocraticismo e protende la sua azione diretta verso la costruzione di
una società di Donne e Uomini liberi ed uguali, basata sul libero accordo e federata orizzontalmente, dapprima tra gli individui nell’ambito di un’associazione, poi tra associazioni nell’ambito di un municipio ed infine tra comuni, province, regioni, nazioni in una grande
confederazione internazionale.”.
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4.
I PUNTI FORZA DEL COMUNALISMO
RISPETTO AD ALTRE PROPOSTE
DI FEDERALISMO ED AUTOGOVERNO
Il sistema sociale gerarchico che nello Stato trova espressione, per
sua natura, nega il federalismo e l’autogoverno comunitario e né potrà mai affermarli.
Il federalismo vero e l’autogoverno comunitario non possono, infatti,
certamente essere istituiti per decreto.
Pensare, ad esempio, che con leggi partorite da un sistema gerarchico
e statolatra possa essere
costruito un reale federalismo economico ed amministrativo, nonché una
partecipazione diretta dei
cittadini all’esercizio del
“potere” per dare vita ad
un reale autogoverno comunitario, è semplicemente una mera illusione.
Basti prendere ad esempio
la “rivoluzionaria” 142: quali mutamenti radicali ha prodotto? Ha
forse reso più trasparenti e partecipate le amministrazioni locali? è
venuta forse meno al suo spirito originario perché volutamente dimenticata dagli amministratori locali e controbilanciata da un nuovo
sistema elettorale che ha affidato più potere ai sindaci togliendolo ai
consigli comunali e ad altre leggi che sono ad essa seguite? oppure è
semplicemente la risposta che lo Stato ha inteso offrire all’allora secessionismo minacciante e da operetta della Lega con un falso decentramento?
Né la 142, con tutte le sue contraddizioni che da un lato sembrano
proporre l’autogoverno comunitario e dall’altro l’unione di più comuni in megalopoli, né altre leggi già venute ed altre ancora che nel fu-
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turo magari verranno, potranno garantire un reale federalismo ed un
reale autogoverno delle municipalità.
Il nodo da sciogliere, dunque, rispetto alle variegate proposte di federalismo e autogoverno locale che oggi da più parti si agitano, è senz'altro quello di capire quali fra queste propongono un reale federalismo e quali propongono invece un mero decentramento statalista mascherato da federalismo.
Le forze politiche istituzionali, con mere diversità demagogiche fra
maggioranza ed opposizione di governo, concordano ad esempio
oggi nel dire che si è ormai aperta l’era del Federalismo e pertanto regioni, province e comuni si devono attrezzare per l’Autogoverno del
territorio. Insomma, di Federalismo e Autogoverno, tutti i politicanti
si sciacquano la bocca ma volutamente stravolgono l’essenza di questi due ragguardevoli concetti: la costruzione in prospettiva di una
rete mutua e solidale di comunità autogestite ed autogestionarie che
si autogovernano in campo politico, economico, culturale programmando il loro essere società fuori e contro il recinto in cui lo Stato
centrale le vuole tenere ingabbiate.
Difatti, per i politicanti di mestiere dire Federalismo e Autogoverno,
non vuol dire niente di tutto ciò. Ad esempio, nell’attuale assetto politico italiano… per il centrodestra, e soprattutto per le due B (Berlusconi-Bossi), dire federalismo e autogoverno significa portare le istituzioni centrali dello Stato (parlamento, governo e magistratura) a legiferare, eseguire, giudicare, sia in materia estera che interna, in qualità di Grandi Gendarmi degli interessi del profitto e delegare il resto
delle materie amministrative a regioni, province e comuni; per il centrosinistra, invece, dire federalismo e autogoverno significa svestire
le istituzioni centrali dello Stato (parlamento, governo e magistratura)
di alcune materie amministrative da delegare a regioni, province e
comuni mantenendo però alle stesse un ruolo mediatore nel sociale
tramite il principio, coniato ad hoc, della sussidiarietà.
Molto probabilmente, alla fine, il regime bipartisan troverà un accordo all’italiana ed il federalismo e l’autogoverno, con buona pace di
tutti, si ridurranno semplicemente a ciò che oggi già in parte sono, ossia a trasferire alcuni poteri dello Stato alle regioni, province e comu ni in materia di scuola, sanità, ecc., a diminuire i trasferimenti statali
ai comuni, a trasformare le amministrazioni comunali in semplici
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esattrici delle tasse che sempre più si troveranno costrette ad imporre
alle comunità.
La società continuerà a conservare la sua gigantesca organizzazione
piramidale-gerarchica con la differenza che a dissanguare il popolo
lavoratore con le tasse prima era direttamente il vertice della piramide (il governo centrale) ed oggi invece questa iniqua opera di dissanguamento verrà gradualmente ma in toto delegata ai tre ultimi gradini
della piramide, ossia a regioni, province e soprattutto ai comuni. Lo
Stato, intanto, attraverso le sue istituzioni, da un lato continuerà ad
avocare a sé la difesa, l’interno, gli esteri, la giustizia a sigillo del suo
unico e indispensabile ruolo repressivo di gendarme assoluto dei profitti del dio capitale e dall’altro tenderà magari di non svendere completamente il suo ruolo di mediatore in materia sociale nei settori della sanità, della scuola, del lavoro, delle pensioni.
Solo un impegno che parta dal basso, solo un progetto sociale, gradualista ma rivoluzionario, capace di costruire con proposte praticabili nell’immediato cellule di società libertaria, possono nel tempo
costruire un reale federalismo economico e politico, un federalismo
che non nasce dall’illusione di trasformare uno Stato “centralista” in
Stato “federale” o di dividere uno Stato in più Stati.
Il federalismo reale non potrà mai né essere concesso dallo Stato e né
aversi frantumando uno Stato in più Stati. Federalismo reale è quello
che si costruisce dal basso, in orizzontale, che nega lo Stato per sostituirlo in prospettiva con una rete di liberi municipi autogovernati e
federati nei principi del mutualismo e della solidarietà.
Soprattutto negli ultimi anni, risultano presenti in campo economico,
politico, sociale (vedi movimento noglobal nelle sue varie componenti e sfaccettature da Seattle a Porto Alegre ed oltre Porto Alegre),
sia in Italia che all'estero, variegate esperienze di sperimentalismo autogestionario, che, pur se non completamente affini, ma certamente
similari in alcune caratteristiche, esprimono nella diversificazione
che le contraddistingue il desiderio di voler costruire una società altra, alternativa all’esistente.
“Piccolo è bello”: è questo lo slogan che meglio condensa l’opposizione ai processi di globalizzazione che l’attuale sistema gerarchico e
capitalista vuole imporre ai variegati popoli che abitano il pianeta.
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La riscoperta dell’agire locale con prospettive transnazionali di alternativa all’esistente fa infatti oggi gridare a molti “un altro mondo è
possibile”.
Solo che all’interno di questa progettualità alternativa all’esistente,
variegate sono le anime in movimento e non sempre unite nella coerenza tra i mezzi e il fine che intendono raggiungere.
Infatti, se tutti concordano nella denuncia delle iniquità sociali dell’attuale assetto di Dominio, non tutti però concordano su come e
cosa costruire l’alternativa all’esistente.
Alcuni pensano, infatti, che l’alternativa si possa costruire dall’interno dell’attuale assetto sociale gerarchico con un capitalismo
dal volto umano e con forme di
democrazia partecipativa ed in
tale ottica non fanno una netta distinzione tra dominanti e dominati, tra sfruttati e sfruttatori, tra vertice e base della piramide sociale:
tutti a detta loro possono concorrere nella costruzione dell’alternativa all’esistente (padroni e banche, burocrati e politicanti, sindaci e presidenti insieme alla cosiddetta società civile) se concordano in un’ottica concertativa nella necessità di dare delle regole più umane al Potere economico e politico
che mirino ad esempio ad un’equa distribuzione delle ricchezze ed a
forme di partecipazione diffusa alle decisioni istituzionali.
Insomma, l’illusione di poter giocare a scopa con le regole della briscola sembra alimentare tale ricetta sociale alternativa. Ma ogni gioco
ha le sue regole, pertanto se il fine (l’alternativa all’esistente) è quello
di cambiare il gioco (l’esistente), veramente si pensa di poterlo fare
illudendosi di cambiare al gioco meramente le regole? L’attuale assetto di Dominio capitalista e democratico, come ogni altro regime, si
basa su regole che ad esso garantiscono sfruttamento ed oppressione:
pertanto se lo si vuole tenere in vita affermando di voler ad esso cam-
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biare meramente le regole, vuol dire che ad una linearità di metodo si
preferisce il paradosso.
L’esperienza comunalista della FMB, che da circa un decennio si attua nel sociale, quando ancora non esisteva un movimento che gridava nelle piazze “un altro mondo è possibile”, sin dall’inizio del suo
percorso, a differenza di altre esperienze autogestionarie che oggi
compongono il summenzionato movimento, verso le quali si sente
comunque interessata in senso critico, non si è mai riconociuta, ad
esempio, nella convinzione di poter costruire situazioni autogestionarie, né con la partecipazione al voto amministrativo e né con la cosiddetta democrazia partecipativa.
La FMB si dice Comunalista, rifiuta le regole di gioco dell’attuale sistema sociale gerarchico ed in coerenza con tale diniego rifiuta altresì
il gioco stesso, muovendosi lontana sia dalla logica di quei partiti o di
quei movimenti, che, pur definendosi alternativi, chiedono ad esempio deleghe per democraticamente imporre le proprie ricette di risoluzione sociale, e sia dalla logica di quanti nutrono l’illusione di cambiare l’attuale sistema sociale attraverso forme di cosiddetta democrazia partecipativa, che in effetti finiscono semplicemente col partecipare a decisioni già prese dalle strutture di potere (sindaci, consigli
e giunte municipali).
Il Comunalismo della FMB, progettualità rivoluzionaria protesa a costruire già nell’oggi le nuove basi su cui edificare la “società altra”,
ritiene che la costruzione di un reale movimento autogestionario e federalista non può passare da liste o candidature elettorali nei municipi, mera illusione nonché paradosso, in quanto una simile prassi, portando le strutture comunaliste nel seno del nemico contro cui erano
sorte, vocherebbe semplicemente la loro intima essenza al suicidio
nei meandri della mastodontica e piramidale burocrazia legalitaria di
Stato; come non può passare da un mero confronto partecipativo con
le decisioni che di volta in volta vengono prese dalle istituzioni locali
(sindaci, giunte e consigli municipali) intorno a questioni e problematiche che interessano l’intera comunità .
Il Comunalismo della FMB propugna l'azione e la democrazia diretta,
come strumenti di risoluzione dei problemi di natura sociale nell’oggi
e come strumenti di costruzione in prospettiva di libere municipalità
autogestionarie in campo economico, politico, sociale e federate in
senso orizzontale in una rete mutua e solidale.
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Il Comunalismo della FMB, contrario all’elettoralismo, contrario ad
un mero confronto partecipativo alle decisioni istituzionali, ritiene
però che neppure bisogna servirsi come "principio" dell'astensionismo e dello scontro con le istituzioni.
Infatti, cosa tornerebbe più utile alla prassi comunalista: che in tanti
non vadano a votare, come del resto già oggi succede in tante democrazie occidentali, ma se ne stiano apaticamente a casa lasciando piena facoltà di strafare al dominio? Oppure che molti di quelli che vanno a votare, convinti però di non concedere deleghe in bianco, si impegnino in strutture autogestionarie?
Parimenti, cosa tornerebbe più utile alla prassi comunalista: scontrarsi aprioristicamente per “principio” con le istituzioni municipali? Oppure invalidare le istituzioni municipali con proposte e iniziative autogestionarie dal basso?
Insomma, la FMB ritiene che l'attività comunalista debba tenersi fuori da logiche elettorali, astensioniste e di scontro per lo scontro, fuori
dalle istituzioni ma non fuori dal dibattito comunitario, perché solo
attraverso campagne sociali sui problemi collettivi e territoriali, con
proposte ed iniziative, realmente alternative al demagogico rituale
della delega, si può contribuire con coerenza alla costruzione di una
reale prassi autogestionaria.
La prassi comunalista della FMB pone le sue basi su una metodologia libertaria essenzialmente ispirata al gradualismo rivoluzionario:
non sfugge le contraddizioni e i conflitti che caratterizzano oggi la
società del dominio, anzi si colloca nel terreno della lotta sociale per
la difesa degli interessi immediati delle classi subalterne, ma si prefigge nel contempo di iniziare a costruire nel "qui ed ora" le basi alternative su cui edificare la società libera del domani.
Di conseguenza, la prassi comunalista della FMB si pone anche fuori
sia dalla logica del rivoluzionarismo escatologico che dalla logica di
riformare l’esistente e si esplica all’interno della municipalità con iniziative che partono dal basso, nel mondo del Lavoro, nel Territorio
con lo scopo di fungere da embrione di piccola società autogovernata
per in prospettiva costruire, insieme a tante altre piccole società autogovernate, una rete di embrioni che sappia sostituire al verticismo
della statolatria una rete di liberi municipi, federati in una cooperazione mutua e solidale.
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5.
L’AZIONE E IL RUOLO
DELLA FMB NEL LUOGO
La comunità di Spezzano Albanese dalla costituzione della FMB a
tutt’oggi ha senza dubbio avuto modo di accorgersi del ruolo indispensabile che questa struttura comunalista libertaria svolge in paese,
sia in termini di controllo dal basso dell’operato delle amministrazioni comunali e sia come embrione di una società comunalista autogestionaria, organizzata in senso federalista libertario e dunque alternativa all’organizzazione di stato, gerarchica e piramidale, dell’attuale
società.
A Spezzano, infatti, da quando la FMB ha iniziato la sua attività, le
amministrazioni comunali, costrette a dover dare conto ad un’opinione pubblica sempre più matura e cosciente, hanno smesso di determinare il bello e il cattivo tempo, mentre la democrazia di base e l’azione diretta dimostrano come sia possibile iniziare a costruire nel “qui
ed ora” embrioni di una libera società futura alternativa alla delega in
bianco di cui si nutre il municipalismo di Stato nell’attuale società
gerarchica.
L’idea del cittadino buono semplicemente a mettere un segno sulla
scheda per delegare ad altri il proprio potere decisionale sulla risoluzione dei problemi di natura sociale, nella nostra comunità, grazie all’attività della FMB, trova infatti sempre meno adepti, mentre al contrario, l’esigenza di controllo dell’operato amministrativo, anche da
parte di coloro che in occasione delle elezioni comunali esprimono
un voto, cresce sempre di più. Insomma, coloro che si candidano per
andare a governare il paese sanno già in anticipo di non poter ignorare le prese di posizione, non certamente elettorali ma sociali che la
FMB esprime, così come gli amministratori eletti che si accingono al
governo della città sanno in partenza di non poterlo fare a loro volere
e piacimento senza tenere conto delle proposte della FMB, struttura
portavoce delle fasce sociali meno abbienti (lavoratori, disoccupati,
pensionati, ecc.).
A testimonianza di ciò, un esempio lampante, paradossalmente, lo si
può cogliere proprio nei risultati elettorali delle ultime amministrati-
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ve: il 20% circa dell’elettorato diserta le urne (più di 1500 elettori);
una lista minestrone dei poteri forti (banche e finanze, impresari, amministratori uscenti, gerarchia clericale), una lista dei nostalgici delle
amministrazioni assolute PCI e una lista espressione di AN, subiscono una inesorabile disfatta; un pugno di giovani DS insieme ad altri
giovani rappresentanti della cosiddetta società civile, completamente
digiuni di trascorsi amministrativi, proclamatosi in rottura con le lobby economiche e politiche locali e per un profondo rinnovamento
amministrativo (grazie a circa un migliaio di schede bianche e nulle
alle provinciali ed europee che si sono trasformate quasi tutte in voto
alle comunali aggiungendosi ai loro voti di lista) si sono ritrovati
come amministrazione in carica.
E’ stata la FMB in maniera diretta a determinare tali risultati elettorali? No di certo, in quanto non è certamente sul terreno elettorale che
si misura l’attività comunalista libertaria, bensì in quello sociale dell’azione diretta. Comunque, che tali risultati abbiano indirettamente
usufruito delle dure prese di posizione della FMB sugli intrallazzi e
le vergogne delle trascorse amministrazioni, è cosa indubbia.
Insomma, una parte consistente dell’elettorato del luogo, pur se restia
al voto, ha scelto di votare solo alle comunali, semplicemente con lo
scopo di liberarsi di tutto quel vecchiume amministrativo che per decenni ha saccheggiato il paese.
La FMB, intanto, proseguendo il suo cammino nella consapevolezza
che il vero rinnovamento sociale non passa attraverso le istituzioni,
bensì attraverso la partecipazione diretta dei cittadini alla risoluzione
delle problematiche comunitarie, continua oggi ad esprimere iniziative di lotta e proposte che oltre ad arricchire il dibattito collettivo stimolano la convinzione, in tutti coloro che ancora convinti non lo
sono, che l’autogoverno comunitario, volendo lo si può cominciare a
costruire nell’oggi.
L’esprimersi sulle problematiche comunitarie con iniziative e proposte concrete, caratteristica essenziale della FMB, comunque, se da un
lato arricchisce in paese il dibattito e il desiderio di praticare la democrazia diretta fra le fasce sociali subalterne, dall’altro suscita, invece,
soprattutto in coloro che si riconoscono nella bramosia e nella gestione del potere, strumentali prese di posizione che, mirando a creare
confusione, travisano volutamente il ruolo della FMB, organizzazione comunalista libertaria alla quale si aderisce non per credo politico
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bensì in quanto lavoratori, disoccupati, pensionati, cittadini che si ritrovano affini nella volontà di voler insieme lavorare per l’autogoverno comunitario, con il ruolo della Federazione Anarchica locale alla
quale invece si aderisce sulla base di principi prettamente ideologici.
Insomma, coloro che non vogliono essere disturbati nell’esercizio del
potere o nella corsa verso il potere, digiuni come sono dei principi e
della prassi che motivano il metodo e le finalità, nel caso in questione, dell’anarchismo sociale, alimentando confusione, ritengono di togliere alla FMB il diritto di esprimersi sulle questioni amministrative,
perché essendo, a detta loro, la FMB una struttura essenzialmente
anarchica ed essendo gli anarchici, sempre a detta loro, per natura
contrari ad ogni forma di organizzazione sociale, la FMB dovrebbe
semplicemente limitarsi a gridare contro tutto e tutti, esimendosi di
conseguenza dall’avanzare proposte ed opinioni sulle problematiche
collettive.
Altre affermazioni che vengono invece proferite in paese, e questa
volta soprattutto dall’opposizione consiliare, che evidentemente si
sente svuotata nel ruolo dalle iniziative e proposte della FMB, risultano paradossalmente essere le seguenti: “gli anarchici si sono ormai
venduti all’amministrazione comunale in carica”, “l’amministrazione
comunale è succube degli anarchici che risultano essere i veri amministratori di Spezzano”.
Soffermarsi in termini concreti e propositivi sulla problematica territoriale non è certamente cosa per i politicanti di mestiere che dei problemi sociali amano semplicemente parlare in termini strumentali.
Solo coloro che i problemi li vivono sulla propria pelle possono
esprimersi per la risoluzione degli stessi in maniera sincera e concreta.
E’ questo il caso dei ceti sociali meno abbienti, dei lavoratori, dei disoccupati, dei pensionati, contro i quali si abbattono le iniquità del sistema capitalistico. Tasse, sfruttamento, disoccupazione, clientelismo, deturpazione ambientale, oppressione, guerre: sono queste, alcune delle cancrene sociali che più offendono l’umanità. Contro questo stato di cose si può e si deve lottare.
Lo si può fare con proposte concrete all’interno di un’agitazione comunalista extraistituzionale che coinvolga l’intera collettività e che
induca le amministrazioni locali ad un confronto reale con i cittadini,
impedendo che un pugno di persone (in tal caso gli amministratori
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comunali) decida d’imperio sulla testa di tutti. Lo si può fare dimostrando con la prassi come una società altra la si può cominciare a costruire qui ed ora nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nell’ambito della
municipalità in cui si vive e si opera: opponendosi alle scelleratezze
di padroni e politicanti; proponendo analisi chiare, concrete e propositive sui problemi che più gravano sui ceti sociali meno abbienti
(quali, sfruttamento, disoccupazione, clientelismo, deturpazione ambientale, tasse, inefficienza dei servizi, ecc.); dando vita a realtà di lavoro cooperative ed autogestionarie; fungendo da controllo dal basso
dell’operato delle amministrazioni comunali; praticando nel piccolo
esempi reali di una società comunalista autogestionaria, organizzata
in senso federalista libertario e dunque alternativa all’organizzazione
sociale di Stato, gerarchica e piramidale. Sono proprio queste le ragioni che ispirano il lavoro quotidiano nel sociale della FMB.
6.
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LA PRASSI COMUNALISTA DELLA FMB
6.1 Alcuni esempi di intervento territoriale della FMB
Dal 1992, data di costituzione della FMB, ad oggi la caratteristica basilare delle molteplici iniziative comunaliste di intervento nel sociale
che si sono quotidianamente espresse in paese è stata sempre quella
di non proiettarle mai come mera rivendicazione, come un chiedere
alle istituzioni ma di finalizzarle, invece, con proposte autogestionarie rivolte alla comunità verso la costruzione in piccolo, dal basso e
fuori dalle istituzioni, di un peculiare laboratorio libertario di autogoverno. Si riportano di seguito in sintesi i momenti più salienti dell’intervento territoriale della FMB.
a) Bilancio comunale
Ogni comunità, se non vuole passivamente subire le scelte che gli
amministratori andranno comunque ad operare sulla testa dell’intera popolazione, può e deve rendersi capace di elaborare proposte e soluzioni in merito alle problematiche territoriali, col fine di
programmare uno sviluppo comunitario nell’equità e nella solidarietà.
Riguardo alle problematiche territoriali, una politica diversa e
naturalmente alternativa a quella
praticata dai padroni e dai politicanti di turno può e deve essere
attuata: una politica da costruire
insieme e non da subire; una politica non più concepita da un
vertice di burocrati ma da una comunità che sappia rendersi nell’occasione artefice ed esecutrice; una politica che veda le comunità protagoniste nella concretizzazione di un nuovo immaginario sociale,
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dove alla pratica della disuguaglianza, della lotta fra simili, del clientelismo, della corruzione venga a sostituirsi la pratica dell’uguaglianza, della solidarietà, della giustizia e della trasparenza; una politica
autogestita ed autogestionaria di reale autogoverno, capace di sostituirsi gradualmente al governo sulle città da parte dei padroni e dei
burocrati di partito o dei poli come va oggi di moda… ed il momento
migliore per iniziare ad attuarla è senza dubbio quello in cui le varie
amministrazioni comunali vanno a programmare la spesa dei loro bilanci di previsione (vere e proprie finanziarie locali) con entrate che
altro non sono che i sudori che la comunità lavoratrice paga in tasse
allo Stato, alle regioni, ai comuni.
La FMB, difatti, in occasione della stesura del bilancio comunale di
previsione da parte degli amministratori, mossa dalla convinzione di
cui sopra si mobilita annualmente con assemblee di quartiere e assemblee generali, comizi di piazza, manifesti e documenti pubblici
per ribadire che a decidere sul bilancio di una comunità non può essere un pugno di delegati (sindaco, assessori e consiglieri comunali) ma
la comunità stessa e per dare voce alle esigenze comunitarie delle fasce sociali lavoratrici e meno abbienti.
A Spezzano, dunque, grazie all’attiva presenza comunalista libertaria,
la stesura del bilancio comunale preventivo, ovvero della finanziaria
locale, non passa mai inosservata e l’amministrazione comunale si ritrova volente o nolente a doversi confrontare o scontrare con le proposte provenienti dal basso, relative alle tasse e tributi, ai servizi, al
mondo del lavoro, all’urbanistica e all’ambiente, alle attività produttive, ecc. .
b) Tributi e tasse
A finanziare le amministrazioni comunali e le altre amministrazioni
locali decentrate e nazionali dello Stato sono le tasse ed i tributi dei
cittadini.
Nella società gerarchica, in cui viviamo, la politica fiscale, ovvero le
entrate sono stabilite di autorità prima dal governo e poi dalle amministrazioni periferiche dello Stato, così come sempre di autorità viene stabilita la spesa pubblica dal governo prima, attraverso la finan-
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ziaria nazionale, e dalle amministrazioni locali decentrate poi, attraverso i bilanci di previsione.
La FMB, nel corso degli anni si è costantemente impegnata nel ribadire che la spesa pubblica della comunità deve essere discussa e stabilita dalla comunità stessa, ossia da coloro che garantiscono le entrate e dunque dai contribuenti che pagano le tasse con i sudori del proprio lavoro. Pertanto, se a programmare la spesa deve essere la comunità, a programmare le entrate e dunque la politica fiscale deve essere
la comunità stessa. Pertanto, la FMB, partendo dal presupposto che la
comunità non può fungere da semplice finanziatrice di un programma
di entrate ed uscite deciso di autorità da altri, siano pure questi gli
amministratori comunali, con variegate iniziative si è sempre mobilitata in paese a portare tale questione dal palazzo municipale nelle
piazze ed in pubbliche assemblee affinché fosse affrontata e discussa
dalla comunità.
c) Servizi
Le direttive politiche dei governi nazionali, soprattutto da un decennio a questa parte, hanno dato il via ad un vero e proprio smantellamento dei Pubblici Servizi.
Le Amministrazioni locali, siano esse municipali, sanitarie, scolastiche, dal canto loro, obbedienti ed ossequiose, non hanno fatto altro
che eseguire gli ordini che loro provenivano dall’alto, operando in
maniera selvaggia appositi tagli nei loro bilanci.
“Bisogna eliminare i rami secchi e rendere efficienti quelli che dimostrano invece vitalità; bisogna ridurre il deficit pubblico, evitando
sperperi e spese improduttive”: sono questi gli slogan che hanno
ovunque accompagnato la campagna pubblicitaria dei governi nazionali, amministrazioni locali, padroni, partiti politici, sindacati di Stato
al funerale dei pubblici servizi. Difatti dallo slogan si è passati subito
ai fatti decretando con diverse leggi in materia che l’efficienza e la
produttività dei servizi si possono raggiungere solo con la privatizzazione che sburocratizzando i servizi stessi li renderà nel contempo
più vicini all’utenza.
Naturalmente i partigiani della privatizzazione si sono naturalmente
ben guardati nel riferire come essa in effetti significhi che le comuni-
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tà lavoratrici debbano pagare più volte i servizi, nel senso che oltre a
continuare ad essere chiamate a pagare le tasse allo Stato, ai comuni,
alle province, alle regioni, alla previdenza, alla sanità pubblica, all’istruzione pubblica e così via, saranno magari nel tempo chiamate a
pagare anche il privato a cui è stato affidato il servizio.
Ma la “filosofia” delle privatizzazioni non si ferma certamente qui.
Questo descritto è solo l’aspetto pecuniario che naturalmente di più
interessa alle istituzioni di Stato ed ai
padroni. Ma vogliamo ora chiederci
cosa è di già successo nell’ultimo decennio e cosa continuerà a succedere
all’utenza?
Considerando, infatti, che non tutti possiedono le risorse
economiche per poter pagare i servizi
al privato (esempio:
lavoratori dipendenti, pensionati, disoccupati, emarginati), come si
sta già procedendo e come si continuerà a procedere ad esempio all’erogazione dei Servizi, tipo sanità e scuola?
Con la divisione in Servizi di serie A : ai quali potranno rivolgersi i
“benestanti”, che avranno dunque diritto ad essere curati ed istruiti; e
servizi di serie B: ai quali saranno costretti a rivolgersi i non abbienti,
ai quali sarà dato modo solo di essere alfabetizzati e di crepare di
morte lenta.
La FMB, è proprio su questi spunti di analisi critica del processo privatizzazioni, che ha basato la propria campagna sociale sui servizi,
guardandosi bene però dal riproporre il ripristino, tout court, del Servizio pubblico vecchia maniera.
Secondo la FMB, infatti, non si tratta di scegliere tra chi deve garantire alle comunità i servizi: il Padrone-Stato o il Padrone-Privato. Si
tratta semmai di iniziare a discutere su come rendere realmente Pubblici i servizi, perché tali non lo sono mai stati. Si tratta, insomma, di
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opporsi seriamente alla logica dello smantellamento e conseguente
privatizzazione dei servizi, ma non tanto in difesa del Servizio Pubblico inteso come Servizio che lo Stato deve continuare a rendere ai
cittadini, quanto invece per la conquista di un Servizio realmente
Pubblico, reso tale dalla gestione diretta dei cittadini all’interno delle
loro comunità. La comunità, insomma, deve opporsi allo smantellamento dei Servizi, ma nello stesso tempo discutere, proporre, decidere sull’articolazione, sull’efficienza, sulla professionalità e la gestione degli stessi, dal momento in cui è la comunità a pagarli ed è sempre la comunità che rappresenta l’utenza.
Sulla base di ciò la FMB si è resa promotrice di iniziative proponendo in merito quanto segue:
•
nessun taglio venga operato dall’amministrazione comunale in sede di bilancio preventivo alla voce servizi;
•
la distribuzione da parte dell’amministrazione comunale ai cittadini di una mappa descrittiva dei servizi di cui la comunità è dotata e di come gli stessi vengono attualmente gestiti;
•
l’invito ai cittadini a discutere, approfondire l’argomento in appositi incontri pubblici, per partorire proposte sul potenziamento e sulla gestione diretta dei Servizi da parte della comunità;
•
l’avvio di un confronto tra i cittadini e di un confronto/scontro diretto e complessivo tra questi e l’amministrazione
comunale sul tema Servizi.
d) Mondo del lavoro
Lo smantellamento dei Pubblici Servizi e la conseguente privatizzazione degli stessi, la mobilità della forza lavoro che interessa ormai
sia il settore pubblico che privato, la legalizzazione del lavoro nero
con le agenzie interinali ed i cosiddetti contratti o lavori atipici, l’uso
selvaggio del lavoro straordinario non pagato nelle industrie private, i
salari al di sotto del tasso di inflazione e non ultimi la telenovela a
puntate della vergognosa riforma delle pensioni e dell’articolo 18:
sono queste le conseguenze dell’altrettanta telenovela a puntate, a seconda della composizione dei governi nazionali (centrodestra, centro-
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sinistra) della concertazione tra Governo-Confindustria-Sindacati di
Stato (CGIL-CISL-UIL).
Nel Sud gli effetti di tali scellerate scelte stanno rendendo ormai la
vita impossibile a milioni di persone e soprattutto ai giovani, ormai
completamente in preda ad una vera e propria endemica disoccupazione.
Il sindacalismo di base, gli organismi autogestionari presenti nel territorio, arcipelago nel quale ama collocarsi anche la FMB, sono le
uniche strutture presenti nel mondo del lavoro e nel sociale che si
stanno duramente opponendo negli ultimi anni con lotte e scioperi a
queste scellerate misure concertate da burocrati e padroni.
Ed è senza dubbio quest’ultima la strada che si deve continuare a percorrere se non vogliamo passivamente subire licenziamenti, disoccupazione, sfruttamento. E’ questa la strada che dobbiamo continuare a
tracciare nei luoghi di lavoro e nel territorio all’interno di ogni realtà
municipale.
Come lavoratori, disoccupati, pensionati, cittadini occorre continuare
ad attivarsi con proposte concrete seguite da azioni di lotta dure e capaci di osteggiare a viso aperto le scellerate scelte dei politicanti e dei
padroni di ogni risma e colore.
Mossa dalle considerazioni testè riportate, la FMB nell’arco degli
anni con variegate iniziative ha sempre stimolato la comunità affinché si rendesse attiva nell’affrontare questa problematica, proponendo in merito quanto segue:
l’amministrazione comunale, in sede di bilancio preventivo, deve tenere in debito conto tale problematica e garantire nel conto delle spese di previsione fondi per lavori straordinari e socialmente utili da
esplicarsi nel settore dei servizi;
l’amministrazione comunale deve rendere pubblica la pianta organica
municipale, affinché tutti siano a conoscenza della stessa e possano
in merito discuterla ed elaborare proposte; l’avvio di un confronto diretto tra i lavoratori ed i disoccupati della comunità e di un
confronto/scontro tra questi e l’amministrazione comunale sull’individuazione di lavori straordinari e socialmente utili nonché sulle possibilità di uno sviluppo occupazionale complessivo che interessi il
territorio; l’invito ai lavoratori ed ai disoccupati a dare vita a cooperative autogestionarie sociali e di Produzione e lavoro di cui le Am-
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ministrazioni comunali debbano tenere conto nell’affidamento in gestione dei servizi municipali.
d.1 settore privato
Quelle poche realtà di lavoro che caratterizzano questo settore nel nostro territorio interessano soprattutto l’edilizia e il bracciantato. I lavoratori che svolgono la loro attività in questi due campi risultano per
lo più assunti in nero: non risultano dunque, per lo più, né registrati e
né pagati come si suol dire a tariffa contrattuale.
Le assunzioni inoltre avvengono a libero piacimento dei datori di lavoro che naturalmente scelgono tra coloro che offrono ad essi il lavoro a meno paga.
Vigendo per questo stato di cose il clima del ricatto (“se non lavori tu
ci sarà qualcun altro che lavorerà al posto tuo”), la sindacalizzazione
delle realtà lavorative risulta alquanto difficile, soprattutto se si considera il fatto che i burocrati della triplice CGIL-CISL-UIL spesso e
volentieri si rendono complici dei datori di lavori (insomma, sanno
ma fanno finta di non sapere: vedi ad esempio la questione del caporalato).
La FMB, nel considerare tutto ciò, si è sempre messa a disposizione
dei lavoratori e dei disoccupati del luogo per far loro conoscere i propri diritti stimolandoli nello stesso tempo ad organizzarsi a livello categoriale, per insieme porre fine a questo stato di cose che degrada la
coscienza di quanti spendono la loro vita lavorando per trovarsi da
vecchi senza alcun contributo versato, come se non avessero mai lavorato.
La FMB, comunque, se da un lato è fermamente convinta che ogni
lavoratore salariato deve difendere i propri interessi di classe nei confronti dei padroni e dello Stato, così come ogni disoccupato ha diritto
nel rivendicare lavoro, da un altro lato, invece, in quanto struttura di
massa complessiva e comunalista e dunque assertrice del principio
che l’emancipazione dei lavoratori può avvenire solo attraverso un
lavoro autogestito ed autogestionario all’interno di comunità a loro
volta autogestite ed autogestionarie, pone all’attenzione dei lavoratori
e dei disoccupati come il lavoro lo si può avere non solo elemosinan-
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dolo a padroni e Stato, ma autorganizzandosi nei vari settori della
produzione in maniera diretta senza nulla chiedere a nessuno.
Ed è proprio per queste ragioni che la FMB ha rivolto e continua a rivolgere ai lavoratori ed ai disoccupati della comunità l’invito a dare
insieme vita ad una rete di cooperative autogestite ed autogestionarie
sociali e di produzione e lavoro (agricole, edili, di servizi, ecc.) che
offrano il loro lavoro alla comunità, per iniziare a porre sin da oggi le
basi, all’insegna del mutualismo e della solidarietà, ad una società
che sappia fare a meno in prospettiva di padroni e Stato.
Dare vita ad un simile progetto cooperativistico significherà, dunque,
non solo fare fronte in maniera diretta alla disoccupazione, ma soprattutto iniziare a porre fine alle speculazioni ed ai profitti di quanti
hanno sempre vissuto del lavoro altrui per insieme progettare comunità autogestite ed autogestionarie che vivono e si sviluppano con i
frutti del proprio lavoro.
d.2 settore pubblico
Se non certamente rosea si presenta per i lavoratori dipendenti e per i
disoccupati la situazione in cui versa oggi il lavoro nel settore privato, la stessa cosa la si può dire per il lavoro nel settore pubblico.
I tagli alla Spesa Pubblica effettuati dalle varie Finanziarie che si
sono negli ultimi anni susseguite, decretando nei fatti un graduale ma
selvaggio smantellamento dei Pubblici Servizi, hanno in effetti determinato una rigida chiusura di assunzioni in questo settore, nonchè
un peggioramento vistoso delle condizioni di vita dei lavoratori che
in questo stesso settore svolgono la loro attività lavorativa.
Pertanto, se da un lato si tratta di lottare per difendere anche in questo
settore gli interessi di classe delle varie categorie lavoratrici, dall’altro lato anche in questo settore occorre iniziare a sostituire alla mentalità del servizio pubblico in quanto reso e gestito da strutture burocratiche dello Stato, la mentalità del servizio pubblico in quanto progettato dall’utenza (i cittadini) nelle singole Comunità e reso da realtà
produttive delle stesse Comunità.
Dunque, La FMB, nel rivolgersi ai lavoratori ed ai disoccupati li ha
sempre invitati da un lato a rivendicare nei confronti dell’amministrazione comunale e delle altre pubbliche amministrazioni decentrate lo-
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cali l’istituzione di lavori socialmente utili o di lavoro inerente esigenze straordinarie (lavori che la FMB propone che vengano affidati
in base a delle graduatorie pubbliche, redatte in considerazione dello
stato in cui versano i soggetti concorrenti e controllate dagli stessi interessati, attraverso dei contratti tra l’Ente Comunale o gli altri enti
amministrativi decentrati ed il lavoratore) e dall’altro lato, a riflettere,
sulla base di quanto già esposto nel punto precedente, sulla necessità
di andare verso la costituzione di cooperative di servizi.
Infatti, è solo attraverso una rete di strutture cooperative che la comunità, non solo potrà rivendicare nei confronti dell’amministrazione
locale il potenziamento dei Servizi, in quanto insieme di utenti e contribuenti, quanto potrà nel contempo rivendicare che la progettazione
ed il funzionamento dei servizi vengano discussi e decisi dall’utenza
(i cittadini) e la gestione degli stessi affidata non alla privatizzazione
di imprese basate sul profitto ma alle strutture cooperative della comunità stessa.
L’azione dell’utenza, attraverso le strutture autogestite ed autogestionarie municipali ( nel caso della FMB, l’Unione civica, i Comitati di
Quartiere), deve insomma tendere ad espropriare gradualmente la
progettazione, il funzionamento e la gestione dei servizi alle strutture
burocratiche dello Stato nonché alle imprese dei Padroni privati per
assumersi questi compiti in maniera diretta: ad esempio il sistema
della sanità pubblica deve essere gestito dalle figure professionali e
progettata dall’insieme della collettività, e così il sistema dell’istruzione pubblica deve essere gestito dalle figure professionali e progettato insieme a studenti, genitori e strutture di base territoriali.
Inoltre, sempre a tal proposito, la FMB, consapevole che la progettazione, il funzionamento e la gestione dei servizi sono di fondamentale importanza per la comunità, propone che all’interno della rete cooperativa alla quale sarebbe affidata la gestione venga data preminenza ad un’equipe professionalizzata a cui i singoli cittadini e le associazioni municipali di base degli stessi, in quanto fruitori dei servizi o
in quanto strutture autogestite ed autogestionarie dell’utenza, possano
quotidianamente rivolgersi per discutere sulle efficienze, inefficienze
e sulla progettazione del funzionamento e della gestione degli stessi.
e) Urbanistica e ambiente
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In paese, lo scempio urbanistico e ambientale delle varie amministrazioni comunali in combutta con le lobby economiche locali è sotto gli
occhi di tutti.
Negli anni ’80 l’allora amm. com. sosteneva che con l’approvazione
del PRG (Piano Regolatore Generale) l’armonia urbanistica e ambientale avrebbe regnato in loco creando un paese a misura d’uomo.
La presenza libertaria in loco, che si
esprimeva in quei
tempi nel sociale
con la USZ (Unione
Sindacale di Zona)
ha invece contestato
tali affermazioni sostenendo che il PRG
così come era stato concepito avrebbe semplicemente deturpato il
paese ed ingrossato gli interessi delle varie lobby economiche e politiche. Ed infatti così è stato: uno sviluppo a serpente tutto proiettato
sulla Nazionale soprattutto verso sud-sudest ed in piccola parte verso
nord, ha decretato uno sviluppo urbanistico abnorme e caotico, con
tutta gioia di impresari e palazzinari, mentre il centro storico privato
anche dei servizi di artigianato, commercio, studi di libere professioni, strutture sanitarie, ecc., è diventato gradualmente un vero e proprio ghetto.
Le amministrazioni che hanno partorito il PRG non hanno avuto però
il tempo per gestirlo e quelle successive, non appena insediatesi si
sono prese l’impegno di rimettere mano al PRG con una variante.
Nel pieno del dibattito sulla variante al PRG, la FMB ha reso pubblico un suo documento, protocollato e consegnato agli Amministratori,
dove riprendendo le critiche a suo tempo avanzate dalla USZ ha elaborato una proposta alternativa di Piano per porre fine agli scempi ed
avviare uno sviluppo urbanistico realmente armonico. Tale proposta,
definita nell’occasione “urbanizzazione a compasso”, prevedeva un
restringimento del PRG nella zona sud-sudest ed un suo allargamento
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alla zona est-nordest, la conservazione della collina di Serralta come
polmone verde ed uno sviluppo circolare ed armonico del paese con
nel seno il centro storico. E soprattutto rispetto all’ultimo punto indicava come intervento principe, la realizzazione a semicerchio di un'area per attività produttive diversa da quelle esistenti, intesa in senso
di artigianato culturale, e dunque protesa al recupero delle arti e me stieri, dei prodotti tipici legati alla civiltà contadina, di cui il centro
storico è testimonianza, col fine di stimolare in merito artigiani, piccoli produttori e la nascita di cooperative, associazioni, ecc. .
Un altro intervento mirato veniva dalla FMB individuato sullo schienale collinare che dal Santuario procede verso S. Giovanni, l'Anfiteatro, Costantinopoli, sino a congiungersi con quella parte della Nazionale con di fronte l'Aia, con la realizzazione di spazi verdi e viali
agresti.
Il tutto con l’obbiettivo di far ritornare il centro storico, non più riposto in periferia, palpitante di vita, di cultura, natura, dal momento in
cui verrebbero a mancare le motivazioni che avevano determinato il
suo abbandono; di porre fine alla speculazione edilizia di tecnici, impresari, palazzinari; di determinare quell'inversione di rotta indispensabile per una gestione urbanistica che rispetti le esigenze collettive e
l'ambiente.
L’Amministrazione comunale di allora, però, nonostante continuasse
ufficialmente a proclamarsi come amministrazione di rottura con
quelle precedenti, non appena insediatasi non ha trovato di meglio
che marcare ulteriormente in senso negativo le scelte urbanistiche.
Infatti, gli amministratori comunali, snobbata la proposta della “urbanizzazione a compasso” con l’espediente di una relazione geologica
in cui si sosteneva l’impossibilità di includere nel PRG la zona estnordest e tutte le altre proposte della FMB, hanno proseguito nello
scempio concedendo libero sfogo agli interessi di proprietari e di speculatori vari (tecnici, imprese, palazzinari), di alcuni componenti di
maggioranza (consiglieri e assessori), naturalmente tutti accontentati
nelle richieste, chi per la deturpazione di una zona e chi per la detur pazione di un’altra, mentre il centro storico si è trasformato nel frattempo in un vero e proprio ghetto.
Comunque, se il fenomeno dello sviluppo urbanistico a dismisura, rispetto alle reali esigenze collettive (in fondo Spezzano è un paese di
8000 abitanti circa), pone le sue radici soprattutto in seguito all’ado-
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zione del PRG, quello dello sviluppo caotico risale alla metà degli
anni ’60 in poi, quando era in adozione il Piano di Fabbricazione e il
paese iniziava ad espandersi al di là del centro storico.
Basta infatti pensare ai Rioni sorti tra gli anni ’60 e gli anni ’70, ovvero a Vignale, S. Domenico, San Lorenzo, Orto Cassiani e il caos
urbanistico è palese: quartieri del tutto sprovvisti di strade adeguate,
di spazi verdi, di piazze.
C’è da dire però che il centro storico, nonostante l’espansione urbanistica, continuava a mantenersi vivo sino a tutti gli anni ’70 circa con
attività artigianali, commerciali, studi professionali e medici, farmacie, ecc., in quanto la neourbanizzazione che si ebbe tra la metà degli
anni ’60 e gli anni ’70, a parte l’urbanizzazione caotica, era evidentemente ancora consona a reali esigenze collettive, e soprattutto a quelle di coloro che sprovvisti di un’abitazione propria, investivano i sudori dei propri sacrifici versati all’estero da emigrati per costruirsi
una propria abitazione.
Coloro che coprivano responsabilità politiche - amministrative negli
anni ’70 hanno sempre imputato l’espansione caotica del paese al fatto che la comunità fosse allora sprovvista del PRG. Ma ironia della
sorte volle che l’adozione del PRG anziché migliorare le cose le ha
ulteriormente peggiorate: i nuovi quartieri sorti, infatti, presentano le
stesse caratteristiche di quelli summenzionati (caotici, privi di piazze,
strade adeguate e verde), con la sostanziale differenza però di non essere più composti da abitazioni a misura d’uomo bensì da palazzoni
che sembrano veri e propri scatoloni abnormi che si erigono verso
l’alto.
Su queste tematiche, ossia sulle necessità di arginare lo sviluppo a
forma di serpentone del paese, di porre fine allo scempio ambientale
ed alla speculazione, di recuperare il centro storico e di realizzare
dunque il piano a compasso la FMB continua ad essere tutt’oggi impegnata.
f) Attività produttive
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Il Piano Insediamenti Produttivi (PIP), in quanto parte integrante del
PRG, regolamenta lo insediamento urbanistico delle attività produttive nell’ambito di uno specifico territorio.
Logica vorrebbe che le amministrazioni comunali nel redigere il PIP
tenessero innanzitutto in conto le potenzialità economiche e l’assetto
paesaggistico territoriale con l’obbiettivo di stimolare nelle collettività un decollo delle attività produttive, verso cui le collettività stesse e
lo specifico territoriale sono vocati, in consonanza con l’ambiente: in
tal modo si permetterebbe alle risorse economiche di armonizzare
con quelle culturali, garantendo nel contempo che lo sviluppo in prospettiva delle attività produttive non apporti violenza nei confronti
né delle risorse economiche già presenti e né dell’ambiente.
Purtroppo a prevalere non è mai la logica dello sviluppo produttivo
armonico, bensì quella del profitto perfettamente consona al sistema
capitalistico di cui le amministrazioni comunali sono espressione, ed
ecco dunque le comunità vedersi calare dei PIP che stravolgono l’ambiente e uccidono le risorse economiche presenti nel territorio per
fare posto magari ad attività economiche da importare, e dunque, di
là da venire che poco importa se stupreranno inesorabilmente l’ambiente naturale una volta giunte, soprattutto se la colonizzazione economica porterà regalie agli ideatori e gestori di simili PIP.
A parere della FMB, il PIP confezionato per Spezzano rispecchia fedelmente queste caratteristiche, concepito senza tenere conto alcuno
delle reali risorse produttive del territorio e ubicato allo Scalo nella
parte destra del quadrivio a scendere, con di fronte il complesso termale e con sulla testa il Parco archeologico di Torre Mordillo, il cui
sabbioso schienale mostra tutte le ferite infertegli da cave abusive, finirà col saccheggiare irrimediabilmente in prospettiva, se la comunità
non sarà vigile, l’intero aspetto paesaggistico, con realtà produttive
industriali di cui il paese non ha certamente bisogno per far decollare
lo sviluppo economico territoriale.
Nessun occhio di riguardo è stato infatti dato dagli amministratori comunali alle risorse produttive del territorio (all’agricoltura come fonte di annessi servizi di produzione, trasformazione, commercializzazione prodotti ed alle variegate attività artigianali presenti nel territorio). Nessuna indagine è stata promossa dagli amministratori comunali sulle reali risorse economiche del territorio prima di redigere il
PIP. Nessun incontro pubblico con la collettività e con i diretti inte-
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ressati per discutere e insieme decidere sullo sviluppo economico del
territorio in cui la comunità vive e lavora.
Comunque, se è vero, secondo la FMB che ormai non si può più
completamente rimediare al male fatto, certamente si può impedire
che altro male venga prodotto, ad esempio con insediamenti di industrie inquinanti che inferiscano colpi mortali all’ambiente. Ed altrettanto si può fare promovendo sensibilizzazione e azioni di lotta per
attività produttive consone alle risorse territoriali.
g) Agricoltura
Nel campo delle attività economiche Spezzano possiede un territorio,
come si è detto all’inizio del presente lavoro, prevalentemente agricolo, soprattutto vocato
alla coltura di uliveti, vigneti, frutteti (pesche,
arance, mandarini di
tipo
clementino,
ortaggi),
altamente
frammentato, perché diviso in moltissimi appezzamenti di piccola
proprietà contadina a
conduzione familiare e
con poche realtà agricole industrializzate di lavorazione, trasformazione e commercializzazione di prodotti.
Le amministrazioni locali completamente mancanti di una politica
orientata all’agricoltura, intesa come sviluppo e potenziale bacino occupazionale per l’intera comunità non si sono mai preoccupate ad
esempio di procedere all’analisi del territorio agricolo per darsi delle
basi di studio col fine di partorire proposte protese a valorizzare la
coltivazione e produzione della piccola ma diffusa proprietà contadina.
I piccoli agricoltori privi, dal canto loro, di una progettualità propria
e alternativa, oggi alla mercé dei processi della globalizzazione in
atto, del mercato unico del capitalismo transnazionale, si ritrovano
costretti a svendere la produzione effettuata con le proprie braccia, a
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lasciarla marcire nei campi (è ciò che sta succedendo, da un po’ di
anni a questa parte, ad alcuni prodotti tipici della nostra zona, ossia
alle clementine ed alle olive) oppure a disfarsi delle loro piccole proprietà: quale risultato degli accordi stipulati a tavolino dai Potenti
della Terra protesi a difendere le multinazionali nei campi della coltivazione, produzione, commercializzazione e consumo.
Una soluzione per questi lavoratori della terra, a parere della FMB
potrebbe essere quella di unirsi, di associarsi per insieme elaborare
dei piani alternativi di coltivazione, produzione, commercializzazione
e consumo dei prodotti, col fine di svincolarsi dalle grinfie del mercato della globalizzazione capitalista.
Per queste ragioni la FMB ha promosso nel luogo variegate iniziative
protese a stimolare e sensibilizzare i lavoratori della terra e piccoli
proprietari su come l’associazionismo, inteso e praticato in senso autogestionario, potrebbe dare vita a un corso realmente nuovo delle
loro attività nei settori della coltivazione biologica, della produzione,
della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti col
fine di salvaguardare l’ambiente e la salute; di costruire un circuito
di produzione e consumo alternativo e indipendente dal mercato esistente, che sfrutta e sacrifica i prodotti tipici sull’altare del profitto
del capitalismo planetario; di considerare la produzione economica
come mezzo per una vita migliore e non come fine di lucro a cui soggiogare l’esistenza.
h) Turismo e questione Terme
Il settore turistico a Spezzano è solamente esistito sulla carta, in
quanto così serviva ad istituzioni pubbliche e private interessate solo
a ricevere finanziamenti ad hoc che naturalmente hanno sempre gestito a loro volere e piacimento. Se si parte comunque dal presupposto che il turismo non è un qualcosa di dato per natura, ma l’offerta
paesaggistica, culturale e ricreativa che una comunità riesce ad offrire, con parole più dirette si può senza dubbio affermare che il turismo
lo si può autocostruire. Pertanto, a parere della FMB l’offerta turistica può e deve essere costruita in modo autogestionario dalla comunità.
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Ad esempio le Terme, grazie alla loro strategica posizione geografica
(cuore del crocevia Parco del Pollino a Nord, Sila a sud, mar Tirreno
ad ovest e mar Jonio ad est;
vicinissime inoltre alla zona
archeologica di Sibari e con
nel proprio territorio il Parco archeologico di Torre
Mordillo, nonché una fiorente agricoltura di uliveti,
agrumeti e frutteti in genere), possono rappresentare
un vero e proprio centro turistico e non solo in termini
di servizi termali, sanitari
ma anche in termini di agriturismo e di servizi ricreativi e culturali. Insomma, secondo la FMB, lo sviluppo del settore turistico a Spezzano si potrà concretamente avere, ma occorre che lo
stesso risulti frutto dei summenzionati fattori concomitanti, ossia,
frutto di un forte intervento sulle Terme, sul Parco Archeologico, sulle attività produttive consone alle risorse territoriali. Ritornando alla
questione Terme, rimane da dire che esse rappresentano un’annosa
questione per la comunità di Spezzano.
Il 3 marzo 1923 l’Amministrazione comunale dell’epoca deliberava
di concedere in enfiteusi ad un privato, la sorgente delle acque minerali site in Contrada Bagni di Spezzano Albanese. Da allora ad oggi il
complesso termale è stato sempre gestito da privati (ditte individuali
o società), mentre l’Ente comunale si è completamente disinteressato
della questione. Le varie gestioni termali che si sono negli anni seguite si sono dimostrate tutte fallimentari, nel senso che hanno semplicemente cercato di estorcere denaro pubblico senza mai rilanciare l’industria termale.
Più volte nel paese è scoppiato il malcontento, stimolato soprattutto
dalla presenza anarchica e libertaria, ma tutto è stato sempre messo a
tacere dai compromessi consumatisi tra Ente comunale e le varie gestioni termali. Negli ultimi tempi, la FMB ha risollevato la questione
Terme con manifestazioni pubbliche: mostre, comizi, assemblee cit-
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tadine. A parere della FMB la questione Terme va affrontata in maniera radicale.
Vanno chiamate a confronto l’intera comunità se non addirittura le
comunità del comprensorio, per porre al vaglio del confronto collettivo proposte, quali ad esempio l’acquisizione ed una gestione collettiva e cooperativistica del complesso termale da parte della comunità
di Spezzano o delle comunità del comprensorio. Importante è non disgiungere la questione Terme dallo sviluppo del settore turismo e delle attività produttive, non solo perché tutte queste questioni vicendevolmente si completano, ma anche perché la risoluzione delle stesse
se non delegata in bianco agli Enti locali ma progettata, come un insieme, con l’apporto diretto delle collettività comprensoriali, offrirà
certamente a queste ultime risorse occupazionali autogestite ed autogestionarie non indifferenti.
i) Il cooperativismo e l’esperienza della locale “Arcobaleno” Cooperativa Sociale
Quando l’Amministrazione Comunale rese pubblica nel 1993 la sua
intenzione di voler licenziare i prestatori d’opera nel servizio dei rifiuti solidi urbani con il fine di privatizzare il servizio, la FMB si è
pubblicamente opposta all’operazione ed insieme ai prestatori d’opera ha dato vita ad una cooperativa di produzione, lavoro e servizi: la
Cooperativa “Arcobaleno”.
La cooperativa Arcobaleno radicalmente diversa nello spirito e nel
metodo da quelle che Spezzano aveva sino ad oggi conosciuto (cooperative queste ultime di nome e non di fatto, in quanto nate da mere
manovre elettorali e di speculazione su fondi pubblici ordite nell’occasione da personaggi semplicemente mossi dalla bramosia del potere e del denaro) ha fatto ricredere quanti in paese rimanevano convinti che le cooperative fossero per natura destinate al fallimento riconsegnando alla gente il senso originario del cooperativismo. Quel cooperativismo storicamente affermatosi come movimento reale anticapitalista di lavoratori sia dipendenti che autonomi, proteso a combattere lo sfruttamento e l’oppressione dell’uomo sull’uomo per mezzo
di strutture associative, atte ad unire armonicamente nella prassi l’au-
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togoverno assembleare con l’autogestione del lavoro, della produzione, della distribuzione e del consumo.
Queste caratteristiche originarie del movimento cooperativo, abbandonate dal sindacalismo rivoluzionario di classe e di azione diretta, in
cui predominanti risultarono le iniziative di lotta dei salariati contro il
capitale, e raccolte da forze riformiste cattoliche e laiche, non sempre
coerentemente ancorate ai principi del mutualismo, sono state nel
tempo quasi completamente fagocitate dal sistema capitalistico, trasformando le cooperative da cooperative di fatto a cooperative solo di
nome, cosicché oggi in molti vedono nella cooperativa solo uno strumento più tranquillo (considerata soprattutto la legislazione in merito
che magnificamente garantisce il lavoro nero con la figura del sociolavoratore) per meglio perpetuare lo sfruttamento.
La FMB resta invece convinta che se il cooperativismo fosse stato
portato avanti da persone che si riconoscono nella progettualità di
una società altra, sicuramente non avremmo avuto né la stortura e né
lo snaturamento del reale significato di cooperazione.
In effetti la cooperazione vera, in quanto unione di forze, offre un triplice vantaggio a coloro che non si riconoscono nell’odierna società
gerarchica: a) sfuggire dalle grinfie dello sfruttamento e dell'intermediario capitalista (ad esempio, nel territorio di Spezzano le attività
produttive, legate all’agricoltura e relativi servizi, o si lasciano in
mano ai grandi proprietari terrieri e agli speculatori senza scrupoli,
oppure i piccoli agricoltori ed altri lavoratori si riuniscono assieme
per insieme agire); b) autogestirsi ed autogestire lavoro, produzione,
distribuzione; c) praticare da oggi la società dei liberi ed uguali.
Può anche succedere che nell’associazionismo cooperativo il sociolavoratore si trovi a dover lavorare di più ed a percepire di meno rispet to ad altri che svolgono un attività di lavoro dipendente, però risulta
altrettanto vero che non un centesimo va ad ingrossare le casse del
profitto, dal momento in cui il profitto stesso più non esiste. In ultima
analisi: il cooperativismo se gestito in modo autogestionario è un ottimo strumento di ginnastica rivoluzionaria oggi per la società libera
ed egualitaria del domani.
Oggi la cooperativa Arcobaleno si è trasformata da cooperativa di
produzione e lavoro in Cooperativa Sociale, ad essa aderiscono una
trentina di associati e svolge attività nei seguenti settori: pitturazione
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e pulizia locali, verde pubblico e pulizia strade, legatoria artigiana,
servizi web.
6.2 Alcune significative vittorie
La prassi comunalista della FMB, frutto delle analisi critiche e delle
proposte sulle problematiche territoriali suesposte, relative alla comunità di Spezzano ed alle comunità comprensorio, ha prodotto nel corso degli anni delle significative vittorie popolari.
a) No alla fabbrica della morte
L’iniziativa che ha di più coinvolto le comunità comprensoriali, è stata senza dubbio la lotta contro la costruzione di un tunnel per la decoibentazione e la bonifica dei vagoni ferroviari in amianto (la fabbrica della morte) di tutto il sud Italia che la Ditta Niagara di Carpi di
Modena voleva ubicare nella stazione ferroviaria di Spezzano, a qualche chilometro dal complesso termale ed in mezzo ad un’agricoltura
fiorente di agrumeti, pescheti e uliveti.
Gli appelli all’unità d’azione lanciati dalla FMB alle forze sociali ed
ai cittadini del comprensorio, culminati in una grande e partecipata
assemblea popolare, organizzata dal “COMITATO CITTADINO
CONTRO L’AMIANTO” nella sala consiliare, hanno costretto l’amministrazione comunale di Spezzano Albanese ad abbandonare il NI
burocratico e sotto certi aspetti pilatesco in cui si era chiusa, facendo
proclamare ufficialmente al Sindaco il suo NO alla costruzione del
tunnel.
La Ditta Niagara è stata pertanto costretta dalla mobilitazione popolare a fare le valige, mentre le comunità del comprensorio sono riuscite
a conseguire con l’azione diretta popolare una grande vittoria.
b) No al traliccio Omnitel
Spezzano, risulta a tutt’oggi bombardata non solo dalle scariche elettromagnetiche delle antenne site nella collina di Serralta (zona ad alto
interesse paesaggistico e naturale) ma anche da quelle della centrale
Telecom, sita nei pressi della scuola materna e del liceo in pieno centro abitato, dove peraltro si sono già verificati casi di leucemia e di
malori che hanno costretto alcuni cittadini a spostare le proprie abita-
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zioni altrove. Come se ciò non bastasse, alcuni anni or sono l’ufficio
tecnico comunale concedeva l’autorizzazione all’Omnitel di installare un altro ripetitore in C/da Strogalia (zona agricola nonché turistica
di alto interesse archeologico, ossia Parco Torre Mordillo).
Ma questa volta l’Omnitel ha dovuto fare i conti con le iniziative di
lotta intraprese dalle famiglie che abitano in C/da Strogalia, sostenute
dalla FMB, da altre forze politiche e sociali, nonché da larghe fasce
popolari che tutti insieme hanno rivendicato che l’autorizzazione rilasciata dall’ufficio tecnico comunale all’Omnitel, senza che un’intera
comunità ne sapesse qualcosa, andasse immediatamente revocata.
Grazie alle dure iniziative di lotta il comune si è visto costretto a sospendere all’Omnitel l’autorizzazione a installare il ripetitore.
c) Nuova sede del liceo
Grazie alla costante controinformazione della FMB e conseguenti
iniziative che sono
sfociate in tre anni di
dura lotta di studenti,
genitori, docenti, cittadini e forze sociali,
l’amministrazione comunale è sfuggita alle
pressioni di quanti
avevano
interesse
(potentati economici
e politicanti locali)
che la nuova sede liceale venisse costruita in c/da Coscia; l’amministrazione provinciale ha revocato l’aggiudicazione dell’appalto per la costruzione della nuova sede liceale in
C/da Coscia emanando un nuovo bando di gara, e così la nuova sede
del liceo sta oggi sorgendo laddove la FMB insieme alla comunità
l’hanno a gran voce reclamata, ossia nei terreni dell’IPAA (Istituto
Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente). Ancora una volta,
come per “la fabbrica di morte” che avrebbero voluto costruire allo
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scalo ferroviario, le lobby economiche e politiche hanno perso e la
democrazia diretta ha vinto.
6.3 progettualità di intervento in prospettiva
La FMB sta contribuendo oggi al fiorire di un’interessante progettualità d’intervento in prospettiva che vede come artefice una variegata
rete locale autogestita ed autogestionaria in cui confluiscono la stessa
FMB, autonome associazioni di categoria, quali l’associazione commercianti ed artigiani spezzanese già attiva e l’associazione produttori e consumatori in via di costituzione, nonché il comitato popolare
pro “Spezzano è… Spixana eshte…” su cui si va ora a riferire.
a) Le Terme alla comunità
La telenovela Terme iniziata nel 1923 e protrattasi sino al 1998 con
scandalose gestioni che nel 1999 hanno determinato il fallimento, è
proseguita negli ultimi anni con aste giudiziarie andate deserte (le
lobby aspettavano che calasse il prezzo per poi buttarsi a pesce nel l’acquisto) e con la mancanza di iniziative e proposte concrete da
parte dell’amministrazione comunale e del locale commissario regionale alle acque termali, che sembra abbiano scelto il ruolo di semplici
spettatori.
Il 23 aprile 2003, giorno fissato per l’ennesima asta giudiziaria, la telenovela rischiava di chiudersi con un gran finale a sorpresa: insomma, all’insaputa di un’intera comunità, tenuta completamente all’oscuro da coloro che avevano invece tutto il dovere di informarla (amministrazione comunale e commissario regionale alle acque termali
di Spezzano Albanese) le Terme di Spezzano Albanese, dopo essere
state schiacciate dalle intestine lotte di losche trame lobbistiche, rischiavano di essere vendute e dunque tolte alla progettualità comunitaria sul termalismo, si cui la FMB insieme al popolo di Spezzano si
è resa negli ultimi anni promotrice.
Lo scandalo andava fermato e pertanto la FMB, depositaria di tutte le
istanze e le iniziative di controinformazione e di lotta popolari, libertarie ed autogestionarie che sulla questione Terme si sono negli ultimi trent’anni in loco espresse, con un manifesto rende pubblica la denuncia affermando che le Terme di Spezzano Albanese non possono
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cadere nelle mani di losche trame di politica e di affari, che la Questione deve essere affrontata subito da tutta la comunità e che pertanto le autorità preposte si adoperino a rimandare l’asta giudiziaria. La
FMB propone altresì col manifesto l’acquisizione e la gestione collettiva delle Terme (pubblico e sottoscrizione popolare diffusa), aperta a
chiunque voglia contribuire con energie, beni e lavoro ad uno sviluppo equo e solidale dell’economia dell’intero comprensorio nei settori
della salute, della cultura, dello sport e tempo libero, dell’agricoltura
e prodotti tipici, del turismo.
Le Terme – ricorda inoltre la FMB nel suo manifesto chiamando a
raccolta tutta la comunità per reclamare il diritto ad una progettualità
collettiva ed a tenersi pronta per una forte mobilitazione popolare,
fatta di proposte ed iniziative concrete - possono rappresentare l’asse
attorno a cui far ruotare l’idea/progetto autogestionaria e di sviluppo
“Spezzano è…”, promossa e resa pubblica dalla locale associazione
commercianti ed artigiani spezzanese e del lavoro che il Comitato
Popolare Pro “Spezzano è…” si accinge a mettere in pratica per l’attuazione del progetto stesso. L’interesse e il dibattito pubblico scaturiti dal manifesto di denuncia portano l’amministrazione comunale a
chiedere un rinvio dell’asta con la motivazione che la comunità è interessata all’acquisizione ed alla gestione del complesso termale. L’asta giudiziaria viene così rinviata al mese di ottobre.
La FMB con un comizio rende pubblica la cosa mentre a tutt’oggi
prosegue la sua mobilitazione insieme ad altre strutture e larghi settori della comunità per giungere realmente all’acquisizione ed alla gestione collettiva del complesso termale.
b) “Piccolo e’ bello”
Le proposte legate all’autogoverno ed all’autogestione delle risorse
territoriali di cui nel corso degli anni la FMB si è resa promotrice
hanno ravvivato in loco l’associazionismo autogestionario determinando un fiorire di strutture, comitati e movimenti che sono in stretto
rapporto con la stessa FMB.
Proprio sulla base di ciò si è costituita e prosegue in loco la sua attività l’Associazione commercianti ed artigiani spezzanese, che avendo
fatti propri i metodi dell’autorganizzazione, dell’autogestione e della
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solidarietà sociali afferma di essere “nata per la difesa della categoria
e per lo sviluppo economico e sociale della comunità, (di essere) autonoma da qualsivoglia partito politico, (di essere) disponibile a confrontarsi e scontrarsi con le istituzioni sulle problematiche sia categoriali che comunitarie per una risoluzione delle stesse
che sia espressione
delle esigenze e delle proposte dell’intera collettività”.
Ideatrice del progetto “Spezzano è…
Spixana është…” idea protesa a rilanciare le risorse di
Spezzano e dell’intero comprensorio facendo perno sulla vocazione
turistica, sulla produzione e commercializzazione dei prodotti tipici,
sulle espressioni artistiche, tradizionali, etniche, culturali in genere
(terme, siti archeologici, storia locale, posizione geografica, ecc.)” l’Associazione commercianti ed artigiani spezzanese rilanciando con
un suo manifesto lo slogan “piccolo è bello” sostiene che “in un mondo in cui i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri sempre più
poveri, ovvero nella globalizzazione che si vuole imporre dall’alto,
l’unica via è quella di instaurare rapporti con tutte le forze vive, economiche, culturali e sociali e con l’intera comunità con l’obbiettivo
di allargare la partecipazione diretta per la costruzione di uno sviluppo vero e autogestionario che riparta dalle risorse comunitarie locali
per poi legarle a rete e rilanciarle in un discorso a pari con gli altri
paesi del comprensorio”.
Comunque, per meglio comprendere lo spirito autogestionario del
progetto “Spezzano è… Spixana është…”, le tematiche sociali care
alla FMB che in esso si agitano, nonché il rapporto con la stessa
FMB si riportano di seguito ampi stralci di un documento che lo illustra, redatto per l’appunto dall’Associazione commercianti ed artigiani spezzanese.
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c) “Spezzano è… Spixana është…”: L’anima del progetto
Nel mondo di oggi, mentre da un lato le veloci trasformazioni sociali
che ci cadono dall’alto (vedi processo di globalizzazione in atto) tendono tutte verso un’omologazione dei contenuti culturali e dei modelli politici ed economici, dall’altro invece non pochi sono i fenomeni sociali di controtendenza,
che, senza rifiutare il cosiddetto
concetto di “villaggio globale”,
tendono però a realizzarlo attraverso una rete solidale ed autogestita multilocale che si confronti su
uno scambio di culture, idee, nuovi modelli politici ed economici,
con l’obiettivo di rilanciare un progetto alternativo di società in cui
l’uomo diventi attore e costruttore del proprio destino nella comunità
in cui vive, pensa, lavora e produce.
Infatti, è proprio per le suddette ragioni che le peculiarità culturali di
ogni singola comunità di donne e uomini sono oggi “riscoperte” quale valore essenziale, proteso
a promuovere un modello di
partecipazione diretta ai processi culturali, politici, economici, intimamente legato
alle specificità del territorio.
“Spezzano è…”, se da un
lato sente il bisogno di darsi
completamente alla comunità, dall’altro stimolerà la comunità stessa affinché diventi in termini pratici la vera protagonista
del progetto, convogliando tutte le energie culturali, sociali e produttive che i suoi singoli componenti esplicano nel territorio verso un turismo di intelligenza che, gradualmente nel tempo, faccia da base ad
uno sviluppo diffuso dell’economia locale.
Per dirla in altri termini, “Spezzano è…” intende stimolare l’intera
comunità a contribuire direttamente in prima persona alla promozione di un contesto comunitario in cui turismo e sviluppo economico
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diffuso diventino sinonimi per offrire una singolare mescolanza culturale di storia, arte, artigianato, tradizioni, folklore, gastronomia,
agricoltura, produzioni tipiche.
Del resto Spezzano, per la posizione geografica strategica che occupa (il paese si trova in posizione centrale rispetto alla Piana di Sibari
e al Parco del Pollino), per le sue radici etniche e il suo idioma arbërëshë, per la presenza di importanti strutture (Terme, Parco archeologico del Mordillo, torre Scribla), possiede già di per sé più che il necessario per uno sviluppo siffatto; pertanto “Spezzano è…”, non mira
ad altro che a fungere
da stimolo per far decollare lo sviluppo
economico della comunità, grazie ad un
uso intelligente delle
peculiarità storico –
culturali e produttive
del territorio.
Intendendo rafforzare
l’anima preminentemente sociale del progetto “Spezzano è…”, in vista della realizzazione della sua seconda edizione, che vedrà la luce nell’estate 2003, sulla base di un confronto diretto e costruttivo con la FMB (struttura
municipalista di base attivamente presente nelle problematiche sociali del territorio), con personalità del mondo della cultura del luogo e
del territorio, con la vita pulsante dei quartieri della nostra comunità,
ivi compreso quello dello Scalo, con gli amministratori comunali preposti al mondo della cultura, dell’agricoltura, delle attività produttive
in genere e del sociale si è dato vita alla costituzione di un COMITATO CIVICO PRO “SPEZZANO È…” con l’obiettivo di coinvolgere
alla realizzazione del progetto stesso l’intera comunità rendendola attivamente e direttamente attrice e partecipe.
Compito del COMITATO è quello di curare lo spirito progettuale,
l’organizzazione e il coordinamento tecnico per la realizzazione della
“FIERA IN FESTA” che quest’anno, a differenza dell’anno trascorso, si svolgerà non solo nella Via Nazionale ma anche nei quartieri,
con lo scopo di coinvolgere le varie “ghjtonie” (rioni) che in piena
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autonomia elaboreranno ed autogestiranno la propria manifestazione.
I quartieri coinvolti sono due: Carmine, Piazza Vecchia.
Spezzano sarà ravvivata da canti, balli, esposizioni d’arte, gastronomia, prodotti tipici. Il momento conclusivo dell’itinerante “FIERA IN
FESTA” si svolgerà infine nella Via Nazionale col concorso di tutti i
quartieri che insieme hanno contribuito a realizzare nel complesso
l’iniziativa.
Forse questa lungimirante progettualità di “Spezzano è…”, arricchita
dagli allegri e socializzanti momenti della “FIERA IN FESTA” di
primo acchito può apparire come una bella ed affascinante favola…
ma se tale “favola” sarà fatta propria dalla intera comunità, perderà
certamente l’apparente alone fiabesco per tramutarsi in realtà vivibile
e palpabile di un insieme collettivo che all’accettazione passiva ha
preferito l’azione diretta per gettare le basi ad un rilancio sociale comunitario nuovo ed altro rispetto all’omologazione dei modelli dominanti.
d) Il Marchio “Spezzano è… Spixana është…”
Per iniziare a svestire il progetto dell’apparente alone di favola, la associazione commercianti ed artigiani spezzanese in collaborazione
con la FMB - federazione municipale di Base si è resa promotrice
della ideazione di un marchio per i prodotti tipici territoriali, marchio
denominato per l’appunto “Spezzano è… Spixana është…”, che è
stato pubblicamente presentato dalla stessa associazione commercianti ed artigiani spezzanese il 07.06.03 nell’ambito del convegno
sull’olio d’oliva organizzato dalla amministrazione comunale di
Spezzano Albanese con il patrocinio della amministrazione a provinciale di Cosenza.
Il marchio transitoriamente è dato in gestione al Comitato Popolare,
in coerenza con lo spirito popolare del progetto, e già in occasione
delle manifestazioni che si terranno dal 21al 24 Agosto 2003, grazie a
singoli componenti del Comitato e produttori locali, molti prodotti tipici saranno dotatati del marchio ed esposti negli stands.
L’idea in prospettiva è comunque quella di dare il Marchio in gestione ad una costituenda “Associazione autogestita di Produttori e Consumatori” che si renda artefice di uno sviluppo economico equosoli-
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dale del territorio, uno sviluppo che sappia coinvolgere, in maniera
diretta e dunque in prima persona, gli appartenenti alle comunità territoriali, per
iniziare a gettare le basi ad un’economia altra, un’economia non più
basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, bensì un’economia
che garantisca sviluppo nell’uguaglianza e nella solidarietà.
Nota
Per l’argomentazione espressa nel presente opuscolo l’autore si è
documentato negli archivi della Federazione Anarchica “G.
Pinelli”- FAI di Spezzano Albanese, della FMB – Federazione Municipale di Base di Spezzano Albanese, dell’Associazione Commercianti ed Artigiani Spezzanese e del Comitato Popolare “Pro Spezzano è…”.
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