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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLIII n. 196 (46.440)
Città del Vaticano
giovedì 29 agosto 2013
.
Una questione
mondiale
Chiari segnali di un attacco imminente senza attendere gli accertamenti dell’Onu sull’uso di armi chimiche
A prima vista l’immagine è quasi
idilliaca: una giovane famiglia — padre e madre che stringe a sé un
bambinetto — s’inoltra, cavalcando
un asino, in un paesaggio desertico.
L’asciutta didascalia della foto descrive invece, senza bisogno di commenti, una tragedia che sembra senza fine: sono profughi che lasciano
la Siria diretti in Iraq, per mettersi
in salvo da un conflitto già troppo
lungo e feroce, ma che potrebbe essere ancor più aggravato da scelte le
cui conseguenze sono imprevedibili.
La foto scattata nel deserto siriano
sembra anche una struggente e
drammatica raffigurazione moderna
di un’altra fuga: quella in Egitto della piccola famiglia di Gesù per
scampare all’odio di Erode, descritta
anch’essa con scarne parole nel vangelo di Matteo e nel corso dei secoli
innumerevoli volte rappresentata in
oriente e in occidente. A questa immagine se ne aggiungono tantissime
altre, che arrivano quasi ogni giorno
da molte parti del mondo, disegnando i contorni tragici di una vera e
propria questione planetaria, quella
delle migrazioni forzate.
Fenomeno ricorrente e mutevole,
nella seconda metà del Novecento i
flussi migratori si sono fatti più
drammatici e imponenti come conseguenza dei conflitti, al punto da indurre le istituzioni internazionali a
mobilitarsi e a istituire organismi
specializzati. In questo scenario,
drammatico in diverse parti del
mondo, la Santa Sede intervenne soprattutto con la costituzione apostolica Exsul familia pubblicata da Pio
XII nel 1952.
A questo ampio testo di riferimento — che si apre indicando appunto
nella sorte della famiglia di Nazaret
quella di ogni persona costretta a
fuggire dalla violenza — hanno fatto
seguito ripetuti interventi e provvedimenti. Tutti volti a sostenere l’impegno di moltissimi cattolici e cristiani per i quali la parabola del
buon samaritano rimane «criterio di
misura», come ha scritto Benedetto
XVI nella sua prima enciclica e già in
diversi modi ha mostrato al mondo
Papa Francesco: scegliendo Lampedusa come meta del suo primo viaggio, annunciando la visita al centro
Astalli di Roma e denunciando ripetutamente il crimine della tratta di
persone, «la schiavitù più estesa» di
questo secolo.
Un impegno per la Chiesa irrinunciabile, ripete ora il documento
Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle
persone forzatamente sradicate di due
consigli pontifici (quello della Pastorale per i migranti e gli itineranti insieme a Cor unum) pubblicato nello
scorso giugno. Per affrontare una
questione dalle dimensioni mondiali
e destinata a espandersi nei prossimi
decenni, che richiede sempre più
l’impegno internazionale e l’accoglienza delle comunità cristiane.
Il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali rilancia l’appello del Papa per la pace
g.m.v.
Ore critiche per la Siria
DAMASCO, 28. Nelle ore drammatiche che vedono moltiplicarsi i segnali di un possibile attacco militare
in Siria — si parla di tre giorni di
bombardamenti missilistici su siti
militari a partire da domani — da
parte di potenze occidentali e non
solo, le voci di pace e persino i richiami al diritto internazionale minacciano di rimanere inascoltati.
Eppure proprio in queste ore sarebbe ancora più necessaria una riflessione costruttiva sull’appello lanciato da Papa Francesco all’Angelus di
domenica scorsa alla comunità internazionale perché «metta tutto il
suo impegno per aiutare la amata
Nazione siriana a trovare una soluzione a una guerra che semina distruzione e morte».
In una dichiarazione rilasciata
oggi al nostro giornale il cardinale
Leonardo Sandri, prefetto della
Congregazione per le Chiese orientali, afferma che «in queste ore di
trepidazione si intensifica la preghiera per la situazione in Siria, che
si è aggravata nel delicato contesto
mediorientale, con ferite aperte in
Egitto, Iraq e altre regioni».
«L’ardente appello di Papa Francesco all’Angelus di domenica 25
agosto — continua la dichiarazione
— ha portato conforto a tutta la popolazione siriana, come assicurano
alla Congregazione per le Chiese
orientali i pastori e i fedeli che continuano a invocare il dono della pace. Alle comunità della madrepatria
si uniscono i molti orientali sparsi
nel mondo nello stesso appello perché la riconciliazione sia più forte
del clamore delle armi».
Facendo eco al messaggio inviato
in occasione della consacrazione
episcopale del nuovo pastore
dell’arcieparchia melkita di Bosra e
Hauran in Siria, avvenuta il 25 agosto presso Beirut alla presenza del
patriarca Gregorio III, la cui sede
principale è a Damasco, e dei nunzi
apostolici in Libano e in Siria, il
cardinale
continua
affermando:
«Preghiamo per la pace in Medio
Oriente e nel mondo, chiedendo al
Signore Gesù e al Cuore Immacolato di Maria di fortificare la speranza
di tutti i fedeli orientali. I nostri
cuori si volgono verso la Siria, immersa nella “grande tribolazione”.
Che la violenza si fermi: che Dio
onnipotente illumini la coscienza
dei responsabili e consoli ogni dolore con la nostra carità».
La dichiarazione ricorda altresì
che «altri vescovi ordinati per la Siria faticano a raggiungere le loro sedi. I pastori con i loro fedeli sono
costretti a continui trasferimenti nel
territorio siriano per ovviare ai gravi
pericoli purtroppo tanto diffusi e
senza volto».
«Con profonda amarezza e immensa tristezza — conclude la dichiarazione — ma insieme con altrettanta speranza, gli orientali cattolici
si stringono in preghiera intorno al
Papa nella certezza che il Dio della
pace e di ogni consolazione mai abbandonerà la terra santificata dagli
inizi della redenzione. Il cuore si
Macerie e distruzione nella periferia di Damasco (Reuters)
apre ai cristiani di ogni confessione
e a quanti credono nell’unico Dio
perché la superiore istanza di pace e
di vita per il Medio Oriente prevalga su ogni altro interesse o risentimento di parte. Siano prioritarie su
ogni altra ragione per la comunità
internazionale la giustizia, la riconciliazione e il rispetto solidale dei
diritti personali e sociali, anche religiosi, di tutte indistintamente le
componenti della popolazione mediorientale».
Alle voci delle comunità religiose
e della società civile che chiedono ai
responsabili governativi comportamenti in linea con quanto auspicato
dal Papa, si è aggiunta oggi quella
di Mairead Maguire, insignita nel
1976 del premio Nobel per la pace
per l’impegno in Irlanda del Nord.
Secondo Maguire, un intervento di
potenze straniere potrebbe portare
«alla morte di migliaia di siriani e
alla frantumazione della Siria», alla
fuga di altri profughi, alla destabilizzazione di tutto il Vicino Oriente,
«lasciando l’area in preda alla violenza senza controllo».
Quasi tutte le fonti di stampa
danno per certo l’attacco — prospettato con termini come “limitato” o
“chirurgico”, come tante volte fatto
in casi che si sono poi tradotti in
guerre pluriennali — e attribuiscono
la stessa incertezza del presidente
Barack Obama a valutazioni più di
opportunità politica che di merito.
Il portavoce della Casa Bianca, Jay
Carney, ha comunque ribadito ancora ieri che Obama non ha preso alcuna decisione e che, in ogni caso,
gli Stati Uniti non si prefiggono come obiettivo quello di intervenire
nella guerra civile siriana e di rovesciare il presidente Bashar Al Assad.
Sia Obama sia il primo ministro
britannico, David Cameron, sono
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L’Iran avrà
il suo primo ambasciatore donna
TEHERAN, 28. Per la prima volta
nella sua storia l’Iran avrà una donna come ambasciatore. La notizia è
stata diffusa ieri da un portavoce
del Governo, che però non ha precisato né il nome della donna né il
Paese in cui sarà inviata. L’ufficializzazione della nomina avverrà la
prossima settimana. Il portavoce ha
poi tenuto a sottolineare — secondo
quanto riportano i media locali —
che i diplomatici donna possono
svolgere «ruoli efficaci e di successo
nel campo della politica estera».
Inoltre — ha aggiunto il rappresentante governativo — sempre la prossima settimana sarà presentato il
nuovo portavoce del ministero degli
Affari esteri, anch’esso donna.
Già questo mese il nuovo presidente iraniano, Hassan Rohani, aveva nominato una donna, Elham
Aminzadeh, vicepresidente del suo
Esecutivo, con delega per le questioni giuridiche e i rapporti col
Parlamento. In una recente intervista Rohani ha dichiarato di opporsi
alla discriminazione di genere nella
società, ha criticato in generale la
segregazione nelle strutture educative e ha fatto diverse promesse per
migliorare la situazione dei diritti
delle donne.
impegnati in consultazioni con i rispettivi Parlamenti. Il punto cruciale è nelle presunte prove della responsabilità attribuita ad Assad di
un attacco con armi chimiche sferrato il 21 agosto. Il segretario di Stato
americano, John Kerry, ha parlato
lunedì sera di prove fornite da fonti
di intelligence, ma ha anche detto
che le reazioni si sono basate su immagini diffuse dall’opposizione siriana sui social network.
Sulla stessa linea sono Cameron e
il presidente francese, François
Hollande — che si è anche detto
pronto a fornire più armi ai ribelli
siriani — oltre che i Governi di Turchia, Australia e di altri Paesi. Accuse ad Assad ha mosso anche la Lega
araba, in un comunicato diffuso ieri
al Cairo. Secondo fonti diplomatiche a spingere per questa presa di
posizione sono stati Arabia Saudita
e Qatar. Nel comunicato si chiede il
deferimento dei responsabili davanti
alla giustizia internazionale.
Né sembrano scalfire tali certezze
i precedenti storici — prove rivelatesi
false di armi chimiche in possesso
dell’Iraq furono addotte per giustifi-
Uccisi venti civili delle milizie di autodifesa
Dilaga la violenza
nel nord-est della Nigeria
care l’intervento anglo-statunitense
del 2003 — e le considerazioni avanzate da diversi osservatori e da alcuni Governi sulla possibilità di una
manipolazione mediatica, oltre che
le perplessità su una simile azione
da parte del Governo di Damasco.
A molti, infatti, sembra difficilmente
comprensibile che quest’ultimo, proprio mentre l’esercito conseguiva
successi rilevanti e per gran parte
degli osservatori ormai decisivi, abbia varcato la “linea rossa” dell’uso
di armi chimiche.
In tutto questo, alcuni sembrano
ritenere irrilevanti le ispezioni che
l’Onu sta conducendo in Siria. Secondo quanto scrive oggi «The Wall
Street Journal», già domenica scorsa Susan Rice, il consigliere di
Obama per la sicurezza, avrebbe
scritto
a
diversi
ambasciatori
all’Onu, compresa la statunitense
Samantha Power, per sollecitare un
ritiro degli ispettori. Il quotidiano
pubblica una e-mail attribuita a
Rice nella quale si legge che «l’indagine dell’Onu è tardiva e ci dirà
quello che già sappiamo, ovvero che
le armi chimiche sono state usate.
Non ci dirà chi le ha usate».
Il Governo siriano ha sfidato
chiunque a fornire prove e ha sottolineato che l’azione dell’Onu è ostacolata nelle aree controllate dai ribelli, compresa quella del presunto
attacco del 21 agosto. Il portavoce
dell’Onu Farhan Haq ha dichiarato
che «se qualche Stato ha informazioni al riguardo deve condividerle
con la missione degli ispettori».
Sulle gravi conseguenze di un attacco alla Siria insiste il Governo di
Mosca. «Qualsiasi uso della forza
militare contro la Siria non farà altro che destabilizzare ulteriormente
il Paese e la regione», ha detto il
ministro degli Esteri russo, Serghiei
Lavrov in una conversazione telefonica con l’inviato in Siria dell’O nu
e della Lega araba, Brahimi. I due,
secondo il sito del ministero degli
Esteri russo, «si sono detti d’accordo sul fatto che in questo momento
critico tutte le parti, compresi anche
i “giocatori” esterni, devono agire
con la massima responsabilità, senza
ripetere gli errori del passato».
Il 29 agosto 1294 veniva incoronato
Papa Celestino V
Quanti indizi
in un diadema
FELICE ACCRO CCA
A PAGINA
4
NOSTRE
INFORMAZIONI
In data 27 agosto, il Santo Padre
ha ricevuto in udienza presso la
Domus Sanctae Marthae l’Eminentissimo Signor Cardinale Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio.
Civili nigeriani nelle aree colpite dalle violenze (Afp)
ABUJA, 28. Nel nord-est della Nigeria si susseguono le notizie di
scontri armati sempre più sanguinosi. Secondo quanto riferito oggi dal quotidiano Daily Trust, sono stati uccisi in due differenti
località dello Stato di Borno non
meno di venti civili arruolati in
milizie locali di autodifesa, che
sostengono l’esercito in un’offensiva contro il gruppo di matrice
fondamentalista islamica Boko
Haram. Stando alla ricostruzione
del giornale, presunti militanti di
Boko Haram sono entrati in
azione domenica e martedì a Ba-
ma e a Damasak, località distanti
tra loro circa duecento chilometri. il «Daily Trust» ricorda che
«le milizie locali nate per sostenere l’esercito sono diventate un
obiettivo per Boko Haram, finendo per trascinare ancora di più i
civili nel conflitto». Contro Boko
Haram, responsabile di attentati
ed attacchi armati che negli ultimi quattro anni hanno provocato
oltre tremila morti, l’esercito ha
avviato nel maggio scorso un’offensiva in tre Stati nigeriani nordorientali: lo Yobe, l’Adamawa e
appunto il Borno.
Il Santo Padre ha ricevuto oggi in udienza presso la Domus
Sanctae Marthae il Reverendo
Monsignore Antoine Camilleri,
Sotto-Segretario per i Rapporti
con gli Stati della Segreteria di
Stato.
Il Santo Padre ha ricevuto oggi in udienza presso la Domus
Sanctae Marthae il Reverendo
Padre Fernando Vérgez Alzaga,
L.C., Direttore della Direzione
delle Telecomunicazioni del Governatorato dello Stato della
Città del Vaticano.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
giovedì 29 agosto 2013
La necessità evocata dal presidente del Parlamento di Strasburgo
Bruxelles verso una norma comune
sull’immigrazione
BRUXELLES, 28. È «doverosa» una
legge europea sul tema dei migranti
perché c’è un vuoto legislativo,
«manca una legge che regoli veramente l’immigrazione».
Così Martin Schulz, presidente
del Parlamento Ue, ha voluto sottolineare come in Europa ci sia «un
vuoto legislativo», e quindi manchi
una legge che regoli veramente l’immigrazione. «Se abbiamo creato il libero movimento delle persone in
L’Ue giudica
inaccettabili
le pressioni russe
sull’Ucraina
BRUXELLES, 28. Il commissario
Ue all’Allargamento, Štefan Füle,
ha definito «inaccettabili» le pressioni esercitate ieri dalla Russia
per impedire all’Ucraina di firmare un accordo di associazione e di
libero scambio con l’Unione europea. In una conferenza congiunta
al termine di un incontro a Bruxelles con Andriy Klyuyev, il
coordinatore del Governo di Kiev
per la firma di un accordo di associazione con l’Ue, Füle ha detto che ci sono stati molti progressi da parte dell’Ucraina, ma ancora restano questioni pendenti, incluse quelle della «giustizia selettiva e serie preoccupazioni commerciali» relative in particolare
all’introduzione in Ucraina di una
tassa sulle auto riciclate.
Tutte queste controversie pendenti dovranno essere risolte prima del vertice di novembre a Vilnius, in Lituania, dove l’obiettivo
di Bruxelles resta comunque quello di siglare l’accordo con Kiev.
Il commissario europeo all’Allargamento ha poi ricordato che
la firma dell’accordo con l’Ue
non impedisce all’Ucraina di mettere in piedi un accordo costruttivo con Mosca e gli altri vicini euroasiatici (Unione doganale con
Russia, Bielorussia e Kazakhstan),
«fintanto che rispetta le regole
dell’organizzazione mondiale del
commercio e gli impegni assunti
con l’accordo di associazione con
l’Ue». L’accordo tra Kiev e
l’Unione europea, ha sottolineato
Füle, «non sarà a spese dell’isolamento dell’Ucraina con la Russia
o con gli altri Paesi vicini, ma
porterà benefici a tutti».
Il Governo
olandese
sulla riduzione
del deficit
AMSTERDAM, 28. Il Governo
olandese ha raggiunto un accordo
tra i membri della sua coalizione
per una nuova manovra da sei
miliari di euro per ridurre il deficit e rispettare il limite del tre per
cento, come richiesto da Bruxelles. Si tratta di un provvedimento
che completa e riprende una precedente manovra da 4,3 miliardi,
che era stata annunciata nel marzo scorso, ma poi sospesa ad
aprile. Una crescita peggiore del
previsto ha però resa necessaria la
nuova manovra. L’Esecutivo comunicherà nel dettaglio i contenuti del pacchetto di misure il
prossimo 17 settembre, in occasione della «Giornata del principe»,
in cui tradizionalmente vengono
presentati ai deputati, dopo la
pausa estiva, la Finanziaria e il
programma politico per l’anno
nuovo.
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Europa, i confini dell’Italia verso il
Sud sono anche dei confini tedeschi;
e la stessa cosa vale per i confini
della Polonia verso Est; in altre parole — ha spiegato Schulz — il problema dei confini è automaticamente
un problema di tutti i Paesi ed è per
quello che non si può dire all’Italia,
alla Grecia e alla Spagna che devono risolvere il problema da sole».
Abbiamo bisogno di «distribuire
l’onere tra i diversi Paesi» perché —
ha aggiunto — «avere 20.000 profughi a Lampedusa è una catastrofe,
ma avere 20.000 profughi sparsi tra
739 milioni di europei non è un problema».
Per il presidente del Parlamento
europeo «dovrebbe essere discussa»
l’idea secondo la quale «i Paesi che
non accettano i profughi devono
contribuire almeno economicamente
alla soluzione del problema», anche
se, ha ammesso, «oggi è un’utopia
pensare a una tassa europea sull’immigrazione». Meglio allora occuparsi delle ragioni per le quali i profughi lasciano i propri Paesi: «Le
guerre civili, l’accesso all’acqua, per
esempio. Sono cose che, come europei, possiamo già combattere nei
Paesi d’origine e con ciò diminuire il
numero dei profughi». E lavorare
con i Comuni e gli enti locali: «La
prima regola è che i Comuni che accettano profughi sul loro territorio
debbano essere aiutati dai loro Governi, senza imposizioni» ha spiegato Schulz. «Anche il modello teoricamente migliore di integrazione
non vale niente se è imposto in una
realtà che non è pronta; si finisce
per mettere le popolazioni le une
contro le altre facendo percepire solo
il costo dell’immigrazione».
Per quanto riguarda la spinosa
questione della regolazione dei flussi, «certamente come Stati europei
non saremmo in grado di accettare
tutti quelli che vogliono venire senza
applicare alcun criterio — ha aggiunto il presidente del Parlamento Ue —
per questo abbiamo bisogno del diritto di migrazione con norme chiare
per consentire una immigrazione regolare, che è poi il modo migliore di
combattere quella irregolare». Non
dobbiamo dimenticare — ha concluso — «che dietro la problematica dei
migranti spesso c’è anche quella del
crimine organizzato; sappiamo che
gli immigrati sono sfruttati, ma se
non siamo in grado di agire su questo punto non faremo altro che mettere ancora di più la responsabilità
di tutto sulle spalle dei poveri profughi che vengono in barca sulle nostre coste.
Intanto, dalle coste italiane non si
arrestano le notizie di nuovi sbarchi
e soccorsi. Un barcone in difficoltà
con a bordo 191 migranti, tra i quali
donne e bambini, è stato soccorso
questa mattina al largo di Siracusa
in un’operazione alla quale hanno
preso parte la nave «Foscari» della
Marina Militare, due motovedette
della Guardia Costiera e due della
Guardia di Finanza. I profughi sono
stati trasbordati sulle unità che in
questo momento stanno facendo rotta verso il porto. Tra i migranti, in
prevalenza siriani, c’è anche una
neonata partorita a bordo durante la
traversata.
Ieri sera un barcone con a bordo
107 migranti, tra i quali una trentina
di minori, tutti sedicenti siriani ed
egiziani, si è arenato sulla scogliera
di Punta Milocca, nella zona della
Fanusa, a pochi chilometri da Siracusa. Scattato l’allarme è stato attivato il dispositivo interforze che vede impegnate polizia, carabinieri,
guardia di finanza e guardia costiera. I migranti sono stati radunati nel
piazzale di una stazione di servizio
della zona — dicono fonti della
stampa locale — dove sono stati effettuati i primi controlli sanitari e
quindi è iniziato il loro trasferimento, a piccoli gruppi, verso la caserma
di via Vittorio Veneto, ad Ortigia,
dove sono state completate le operazioni di foto-segnalazione prima del
trasferimento in strutture di accoglienza.
Un’operazione di soccorso a largo delle coste siciliane (Ansa)
Sulla riforma delle pensioni
Oltre il quaranta per cento della popolazione è malnutrita
Parigi cerca il sostegno
delle imprese
Accordo internazionale per rilanciare
l’agricoltura ad Haiti
Il presidente francese Hollande (La Presse/Ap)
PARIGI, 28. Nel complesso rompicapo della riforma delle pensioni, il
Governo francese cerca l’appoggio
delle grandi aziende, offrendo misure per ridurre il costo del lavoro
in cambio di un aumento dei contributi sui salari destinati a finanziare il sistema previdenziale. In
particolare, riporta «Le Monde»,
l’Esecutivo starebbe lavorando a
nuove misure per la competitività,
dopo il credito d’imposta per sti-
molare la creazione di nuovi posti
di lavoro lanciato all’inizio dell’anno, e starebbe pensando a possibili
«esoneri mirati» da alcuni prelievi
fiscali. «Vi sarà uno sforzo da parte
delle imprese, ma stiamo pensando
a dei modi per compensarlo» ha
detto al giornale una fonte vicina
all’Esecutivo. La proposta della riforma pensionistica e delle misure
di compensazione collegate sarà
presentata nei prossimi giorni.
PORT-AU-PRINCE, 28. Formare i contadini haitiani con il contributo di
Taiwan e della Repubblica Dominicana per rilanciare l’agricoltura nel
Paese più povero dell’America latina:
è l’obiettivo dell’accordo firmato fra
la missione tecnica di Taiwan ad
Haiti, il ministero dell’Agricoltura di
Port-au-Prince e l’Istituto dominicano di indagini agrozootecniche e forestali (Idiaf). La questione agricola
resta infatti una delle principali
emergenze del Paese.
Sarà l’Idiaf a formare gli agricoltori di Haiti, cominciando con l’analisi di 7000 campioni di terra haitiana per determinare le caratteristiche
del suolo e scegliere i metodi più validi per sfruttarlo. L’accordo punta a
consolidare quelli che per il momento appaiono segnali positivi e comunque migliori delle previsioni iniziali per la stagione in corso sul piano della sicurezza alimentare ad
Haiti. Secondo il ministro dell’Agricoltura Jacques Thomas, il raccolto
2013-2014 potrebbe comportare un
aumento della produzione fino al
sessanta per cento in più rispetto a
quello 2012-2013, soprattutto per generi come yucca, patata e riso, «sempre che la stagione estiva e quella
autunno-invernale mantengano le
stesse condizioni climatiche favorevoli avute finora».
Le zone dove la produzione agricola ha mostrato i risultati più posi-
Si profila complessa l’intesa tra democratici e repubblicani
Scotta il tetto del debito statunitense
WASHINGTON, 28. L’Amministrazione Obama lancia un nuovo allarme
sul tetto del debito. Entro la metà di
ottobre, senza accordi con il Congresso che portino a un innalzamento del limite dell’indebitamento dello Stato, non saranno più possibili
manovre straordinarie che consentano di contenerlo entro il livello fissato dalla legge di 16.700 miliardi di
dollari. Gli Stati Uniti saranno così
esposti allo spettro del default e i
mercati a danni «irreparabili». L’avvertimento viene in primo luogo dal
segretario al Tesoro, Jack Law, che
punta a evitare il ripetersi di pericolose battaglie politiche tra repubblicani e democratici in Parlamento.
Ma l’intesa, rilevano gli analisti,
sembra difficile da raggiungere. I repubblicani sembrano puntare proprio sul tetto del debito per ottenere
concessioni alla loro agenda di austerità. E ieri, in quello che è stato
visto come un nuovo capitolo del
confronto tra democratici e repubblicani, il segretario al Tesoro ha scritto
allo speaker repubblicano della Ca-
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
TIPO GRAFIA VATICANA
EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO
Carlo Di Cicco
don Sergio Pellini S.D.B.
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
direttore generale
mera, John Boehner. Il messaggio è
chiaro: «Proteggere l’assoluta credibilità del credito degli Stati Uniti è
la responsabilità del Congresso. Solo
il Congresso può estendere la capacità del Governo di indebitarsi. E il
mancato rispetto di una simile responsabilità provocherebbe danni irreparabili». Lew ha stimato che a
metà ottobre il Governo avrà a disposizione solo 50 miliardi di dollari
in contanti: ovvero spiccioli che potrebbero durare pochi giorni per rispettare obblighi e pagamenti.
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tivi sono Grand-Anse, Nippes (ovest), Artibonite (nord-est) e una parte
dell’isola di Tortuga.
In base a dati recenti forniti dalla
Fao, l’organizzazione delle Nazioni
Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, circa il 44,5 per cento della popolazione haitiana — circa dieci milioni di persone — soffre di malnutrizione. A ciò si aggiungono le cattive
condizioni sanitarie e la recente
emergenza legata al colera
L’epidemia di colera ha infatti
provocato finora 650.000 contagi e
8100 decessi; solo dall’inizio del 2013
si contano 184 morti e 18.000 nuovi
casi. Nei mesi scorsi il Center for
Disease Control and Prevention
(Cdc) di Atlanta aveva accertato che
il colera era stato introdotto nel Paese dai caschi blu nepalesi della base
di Mirebalais, sul fiume Artibonite,
veicolo della massiccia e veloce propagazione. Il palazzo di Vetro non
ha mai ammesso la sua responsabili-
tà, ritenendo impossibile determinare con precisione l’origine della malattia e ha respinto nuovamente una
richiesta di risarcimento dichiarandola «irricevibile» in base alla sezione 29 della Convenzione sui privilegi e le immunità dell’O nu.
Uno studio di Yale, condotto da
studenti e insegnanti specializzati in
diritto e sanità pubblica, ha confermato le ipotesi del Centro di Atlanta. Introducendo il colera e rifiutando di attivarsi a favore delle vittime
dell’epidemia — si legge nello studio
di Yale — le Nazioni Unite non hanno ottemperato ai loro obblighi in
base al diritto internazionale umanitario. Inoltre, il rifiuto del palazzo
di Vetro di accettare le richieste di
ammissione di responsabilità e risarcimenti nei confronti delle vittime —
sottolinea ancora lo studio — costituisce una palese violazione dei suoi
doveri.
Focolaio di colera
a Cuba
L’AVANA, 28. Un focolaio di colera
ha colpito Cuba con 163 casi, tra i
quali 12 turisti stranieri. È quanto
riferisce la Organización Panamericana de la Salud (Ops) nel suo
bollettino. Le zone più colpite al
momento — stando all’ultimo bilancio, diffuso ieri, basato sui dati
forniti dalle autorità cubane — so-
no quelle della capitale L’Avana,
Santiago di Cuba e Camaguey. I
turisti affetti sono tre italiani, due
tedeschi, due cileni, due spagnoli,
due venezuelani e un olandese, di
età compresa tra i trenta e i 74 anni. «In tutti l’evoluzione della malattia è favorevole» sottolinea l’O ps
nel comunicato.
Piano argentino
sui bond
BUENOS AIRES, 28. L’Argentina ha
deciso di riaprire il pagamento dei
bond per gli ultimi obbligazionisti
(una quota residua del sette per
cento) ed evitare così il secondo
default in dodici anni. Ad annunciare la manovra straordinaria è
stato lo stesso presidente argentino,
Cristina Fernández de Kirchner,
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Ufficio diffusione: telefono 06 698 99470, fax 06 698 82818,
[email protected]
Ufficio abbonamenti (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480,
fax 06 698 85164, [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
che ieri, in un discorso alla televisione nazionale, ha sottolineato la
volontà del Governo di «voler pagare i debiti» dei detentori di
bond. Una decisione che segue la
sentenza della Corte di Appello
statunitense di venerdì scorso, con
cui i giudici hanno ordinato il pagamento di 1,33 miliardi di dollari.
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L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 29 agosto 2013
Violenti
scontri
nel sud
dell’Egitto
IL CAIRO, 28. Tensione crescente
in Egitto. Almeno due sostenitori
dell’ex presidente Mursi sono stati uccisi ieri nella città di Beni
Suef, nel sud dell’Egitto, in scontri con forze dell’ordine. Il quotidiano locale «Al Ahram», citando
fonti mediche, conferma che
nell’area sono stati avvertiti colpi
di armi da fuoco e sparatorie. Secondo le stesse fonti, i residenti di
Beni Suef hanno iniziato ad attaccare i partigiani di Mursi che
stavano compiendo una manifestazione attraverso il centro. Per
fermare i tafferugli le forze di sicurezza sono intervenute e ne sono nati violenti scontri.
Intanto, sono attese per oggi
nuove manifestazioni dei sostenitori di Mursi nelle principali città
egiziane, e in particolare al Cairo,
per protestare contro la scarcerazione dell’ex presidente Hosni
Mubarak.
Sul piano internazionale, il segretario alla Difesa americano,
Chuck Hagel, ha nuovamente
escluso un taglio degli aiuti
all’Egitto. Parlando ieri in un’intervista alla Bbc, Hagel ha sottolineato che Washington premerà
sul Governo egiziano di transizione perché promuova la riconciliazione. «Il Governo di transizione
deve impegnarsi per la riconciliazione, fermare la violenza e rimettere l’Egitto sulla strada delle riforme economiche e democratiche» ha dichiarato il capo del
Pentagono. Gli Stati Uniti «non
vorrebbero vedere la disintegrazione di un rapporto con un Paese grande e importante come
l’Egitto».
pagina 3
Il partito salafita Ansar Al Sharia dichiarato organizzazione terroristica
Non si scioglie il nodo tunisino
Il primo ministro tunisino Ali Laarayedh (La Presse/Ap)
TUNISI, 28. Non si scioglie il nodo della crisi politica in Tunisia. Il partito di ispirazione salafita
Ansar Al Sharia è stato classificato ieri come «organizzazione terroristica», perché ritenuto responsabile dell’omicidio di due deputati dell’opposizione. Lo ha reso noto il primo ministro, Ali
Laarayedh, nel corso di una conferenza stampa
convocata a Tunisi. È ancora presto per dire quali
saranno le reazioni: di certo, la tensione è destinata a aumentare.
Il capo del Governo ha accusato Ansar Al Sharia degli assassinii a febbraio e a luglio scorsi dei
deputati nazionalisti Chokri Belaid e Mohamed
Brahmi, sottolineando che «chiunque faccia parte
del gruppo dovrà affrontare conseguenze giudiziarie». Ansar Al Sharia è guidata dall’ex combattente di Al Qaeda in Afghanistan Saifallah
Benahssine, conosciuto anche come Abu Iyadh,
ricercato dalla polizia per avere incitato all’attacco
contro l’ambasciata americana a Tunisi nel settembre del 2012. Proprio gli omicidi di Belaid e
Brahmi hanno catalizzato le proteste dell’opposizione contro il Governo islamista di Ennahada,
facendo piombare il Paese nella crisi. L’opposizione chiede infatti ampie riforme socio-politiche, tra
le quali una nuova Costituzione.
Secondo i mezzi di informazione tunisini, le dichiarazioni di Laarayedh vanno lette alla luce del
difficile negoziato che gli islamici moderati di
Ennahada, il principale partito di Governo, hanno avviato con alcune forze di opposizione per
sbloccare lo stallo dei lavori dell’Assemblea costituente. Il partito è accusato di non avere saputo
garantire la ripresa dell’economia e la sicurezza
dopo la rivoluzione che, nel 2011, ha travolto il
presidente Zine El Abidine Ben Ali. Da settimane, il Fronte nazionale di salvezza, che riunisce le
forze dell’opposizione laica, chiede le dimissioni
dell’attuale Esecutivo.
Una lunga scia
di sangue
segna
Baghdad
BAGHDAD, 28. Anche oggi la capitale irachena è stata segnata
dalle violenze. Una serie di attentati ha causato la morte di cinquantuno persone; più di 140 i feriti. Lo hanno riferito fonti di polizia e mediche. L’attacco più sanguinoso ha avuto luogo a
Kadhimiya, un quartiere nel nordovest della capitale, dove diverse
esplosioni hanno provocato la
morte di cinque persone e il ferimento di altre trenta. Gli attentati, rileva la France Presse, sono
stati compiuti mentre la gente si
stava recando al lavoro: chiaro
quindi l’obiettivo di causare un
numero alto di vittime. Dunque
anche oggi l’Iraq è segnato da
una scia di sangue.
Lunedì era stata per il Paese
un’altra giornata drammatica. Attentati perpetrati in varie parti del
territorio avevano provocato più
di cinquanta vittime: le più colpite le province di Salaheddin e di
Ninive.
La recrudescenza degli attacchi,
registratasi qualche mese fa, non
accenna dunque a placarsi, e ciò a
detrimento della sicurezza e della
stabilità di un territorio già duramente provato da anni di conflitto. All’origine di queste violenze
— rilevano gli osservatori internazionali — vi è il ridestarsi delle rivalità tra sciiti e sunniti. Questi
ultimi, nel recente passato, hanno
organizzato manifestazioni di protesta contro la politica, a loro dire
«penalizzante e discriminatoria»,
del primo ministro, lo sciita Al
Maliki. Si stima che dall’inizio
dell’anno siano state uccise più di
3.500 persone.
In missione a Islamabad il presidente Karzai invita il premier Sharif a Kabul
Potranno votare a settembre anche i residenti all’estero
Rinnovata intesa
tra Afghanistan e Pakistan
Intesa sulle legislative in Guinea
ISLAMABAD, 28. La visita del presidente afghano Hamid Karzai avrebbe dovuto essere di un giorno: invece ne è durata due. Già questo
dato è di per sé significativo della
comune volontà dei due Paesi di rilanciare un’alleanza che nel passato,
anche recente, ha sofferto troppo
spesso di alti e bassi. E un altro dato, in tal senso, ha il suo peso:
Karzai ha invitato il primo ministro
pakistano, Nawaz Sharif, a recarsi
Casi sospetti
di peste
bubbonica
in Kyrghyzistan
BIŠKEK, 28. Tre persone sospettate di essere infettate dalla peste
bubbonica — l’epidemia che imperversò in tutta Europa tra il
1347 e il 1353, uccidendo almeno
un terzo della popolazione del
continente — sono state ricoverate ieri in Kyrghyzistan, in Asia
centrale, dopo la morte per la
stessa malattia la scorsa settimana di un ragazzo di quindici anni. Si tratta di una donna e di
due bambini, tutti abitanti del
villaggio di Sara-Kamych, nel distretto di Ak-Souou, a est del
Kyrghyzstan, non lontano dalla
frontiera con Cina e Kazakhstan,
dove le autorità sanitarie hanno
già messo in atto una serie di misure per contenere l’eventuale
contagio. Il quindicenne morto
— informa la Bbc — è stato morso probabilmente da una pulce,
animale spesso portatore di peste
bubbonica dopo aver morso un
ratto o un roditore infetto.
Finora sono state isolate 131
persone che erano entrate in contatto con il quindicenne. L’ultima epidemia significativa di
peste bubbonica — precisa in un
comunicato
l’O rganizzazione
mondiale della sanità — è avvenuta in Perú nel 2010, quando
vennero colpite dodici persone.
in Afghanistan, ricambiando così
l’invito rivoltogli da quest’ultimo a
venire a Islamabad. Insomma vi sono tutte le premesse perché Afghanistan e Pakistan possano stabilire
un legame sempre più solido così
da raggiungere un obiettivo quanto
mai importante: la stabilità nella regione che continua a essere segnata
dalle violenze scatenate dai talebani
e da altre cellule estremiste.
Il presidente Karzai ha ribadito
alle autorità di Islamabad la richiesta di aiuto per dare avvio ai difficili negoziati con i talebani. Dal canto suo il primo ministro pakistano
ha confermato l’intenzione di sostenere con il massimo impegno la
causa della riconciliazione afghana:
e ciò nella consapevolezza che la sicurezza del Pakistan dipende anche
dalla situazione in Afghanistan.
Il dato problematico di questo
scenario è rappresentato dai talebani, i quali non solo continuano a
compiere attacchi e imboscate, ma
sono inaffidabili, come sottolineano
fonti diplomatiche, anche sul piano
negoziale. Sembra che aprano qualche porta a trattative per poi fare
marcia indietro, e ciò contribuisce a
rendere ancor più fluida una situazione di per sé molto incerta. Gli
Stati Uniti stanno cercando da tempo si stabilire contatti diretti con i
miliziani, ma al momento sembra
che progressi in tal senso non siano
stati compiuti.
Nel frattempo si segnalano nuove
violenze. Riferisce la France Presse
che in un agguato un gruppo di talebani ha ucciso dodici civili afghani, tra i quali figurano cinque membri di un’organizzazione non governativa (Comitato internazionale per
i soccorsi) con sede a New York.
Questo ennesimo fatto di sangue
testimonia la difficoltà di stabilire
contatti fruttuosi con i talebani sul
piano negoziale: si tratta infatti di
un interlocutore, evidenziano gli
osservatori, che invece di sedersi al
tavolo delle trattative, continua nella sua azione diretta a distruggere.
CONAKRI, 28. È stato raggiunto in
Guinea l’accordo per il voto dei cittadini residenti all’estero nelle elezioni legislative di fine settembre, cioè
su un punto cruciale dell’annoso
braccio di ferro tra maggioranza ed
opposizione. I 123.000 guineani
Lotta in Angola
ai diamanti illegali
LUANDA, 28. Il Governo dell’Angola sta preparando una stretta
sull’estrazione illegale di diamanti, che non avviene sulla base di
concessioni e coinvolge migliaia
di migranti. L’impegno a contrastare l’estrazione illegale delle pietre preziose è in questi giorni al
centro di una missione nella provincia centrale di Bié alla quale
stanno partecipando esponenti
del Governo e delle principali imprese di estrazione.
Elevato il livello di gravità della perdita di acqua radioattiva
Serio rischio a Fukushima
TOKYO, 28. L’Agenzia sulla sicurezza nucleare del Giappone ha alzato
ieri ufficialmente a 3 (serio incidente) il livello di gravità della abbondante perdita d’acqua radioattiva in
mare avvenuta alla disastrata centrale atomica di Fukushima. L’aggiornamento, dal precedente livello 1
(anomalia), è il passo più serio finora intrapreso dall’Agenzia nipponica
sull’impianto nucleare, gravemente
danneggiato dal terremoto e dal
successivo tsunami dell’11 marzo del
2011, che causò la crisi di livello 7, il
più alto possibile. Nella falda acquifera sotto l’impianto nucleare, la radioattività è aumentata di quarantasette volte e oltre trecento tonnellate
di liquido contaminato finiscono
quotidianamente nell’oceano Pacifico, senza che il gestore dell’impianto, la Tepco (Tokyo Electric Power),
sia in grado di contenere la perdita.
Tecnici al lavoro nell’area di Fukushima (Reuters)
all’estero andranno alle urne il 22
settembre, 48 ore prima dello scrutinio in patria, in 163 seggi elettorali
in 17 Paesi, gli stessi dove erano andati alle urne alle presidenziali del
2010. La decisione è stata comunicata dalla Commissione elettorale nazionale indipendente, citata dal sito
d’informazione AfricaGuinée. Le più
folte comunità di guineani all’estero
sono in Francia, Senegal e Angola.
In Guinea la campagna elettorale
è in corso da sabato scorso. Dalla
città di Mamou, 350 chilometri dalla
capitale Conakry, il leader dell’opposizione e capo dell’Unione delle Forze democratiche di Guinea (Ufdg),
Cellou Dallein Diallo, ha invitato le
popolazioni ad adoperarsi per «evitare le divisioni» e per «difendere
l’unità nazionale». Nei primi comizi
non sono mancate critiche sull’organizzazione del voto, in particolare su
revisione delle liste dei votanti, mancata centralizzazione dei dati e lontananza di alcuni seggi.
Inizialmente previste nel 2011, le
legislative sono state rinviate più
volte per motivi logistici, ma anche
per contrasti tra maggioranza e op-
Clima
teso
in Thailandia
BANGKOK, 28. Si fa sempre più dura
la protesta dei produttori di gomma
nel sud della Thailandia. Dopo manifestazioni e scontri con la polizia
la settimana scorsa, ieri il rappresentante governativo è stato costretto a
lasciare precipitosamente la sede del
negoziato, con il rischio di essere aggredito da alcuni produttori contrari
al fragile accordo appena siglato con
una loro rappresentanza. Centinaia
di manifestanti hanno poi bloccato
con i tir la linea ferroviaria che collega il sud — e per suo tramite
Malaysia e Singapore — al resto della rete thailandese. Bloccata a intermittenza anche la superstrada, vitale
per i collegamenti nazionali. Per il 3
settembre, i produttori di gomma
minacciano di portare la protesta
nella capitale Bangkok.
posizione sulla loro organizzazione.
Il voto rappresenta un appuntamento cruciale per concludere la transizione politica in corso da dicembre
2008, dopo un colpo di stato militare seguito alla morte del generale
Lansana Conté che aveva guidato il
Paese per 24 anni. Una tappa significativa è stata la prima elezione presidenziale democratica, vinta nel dicembre 2010 dall’attuale capo di Stato, Alpha Condé. Le ultime legislative ci furono a giugno 2002. Attualmente il potere legislativo è affidato
al Consiglio nazionale di transizione, non eletto.
Bambini sfruttati
nelle miniere d’oro
della Tanzania
D OD OMA, 28. Migliaia di bambini, anche di appena otto anni di
età, lavorano nelle miniere d’oro
della Tanzania in assenza di misure di sicurezza e con grave rischio per la salute, secondo quanto denunciato in un rapporto
dell’organizzazione internazionale
Human Rights Watch (Hrw), al
quale dà ampio spazio la stampa
locale. Hrw afferma che questo
avviene in miniere d’oro sia autorizzate sia illegali, per lo più di
piccole dimensioni. Nel rapporto,
frutto delle visite degli attivisti di
Hrw in diverse miniere, si sottolinea che l’impiego dei minori nel
settore estrattivo «costituisce una
delle forme peggiori di sfruttamento ai sensi di leggi internazionali sul lavoro sottoscritte anche
dalla Tanzania». In particolare,
Hrw denuncia il pericolo di avvelenamento per l’utilizzo nell’attività estrattiva di quantità consistenti di mercurio.
La produzione d’oro è la prima
fonte di valuta estera del Paese,
quarto produttore africano. Secondo la Banca centrale di Dar es
Salaam, la principale città tanzaniana dove ha sede anche il Governo, nei primi sei mesi del 2013
le esportazioni hanno superato un
valore di un miliardo e 800 milioni di dollari.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
Il 29 agosto 1294 veniva incoronato Celestino
giovedì 29 agosto 2013
V
Quanti indizi
in un diadema
di FELICE ACCRO CCA
lla morte di Niccolò IV
(1292), il primo francescano asceso sul soglio
di Pietro, seguì una lunga vacanza della Sede
Apostolica. Il collegio cardinalizio,
spaccato in due, non riusciva a trovare una soluzione capace di mettere
insieme Orsini e Colonna. Finalmente, dopo ventisette mesi di conclave e — come testimonia Jacopo
Stefaneschi — dopo l’impressione suscitata da un’epidemia di peste che,
tra le tante vite falcidiate, non risparmiò neppure il giovane fratello
del cardinale Napoleone Orsini, i
cardinali elettori compresero che si
era giunti a una svolta. Su indicazione del cardinale Latino Malabranca,
scelsero allora unanimemente quale
nuovo Papa Pietro del Morrone, un
santo eremita abruzzese fondatore di
una piccola congregazione monastica, che accettò infine l’elezione assumendo il nome di Celestino V.
Lo stesso Pietro, peraltro, aveva
fatto giungere la propria voce ai cardinali riuniti a Perugia con una let-
A
tera che trasmetteva lo sdegno
dell’uomo di Dio, turbato da una situazione che poco o niente aveva a
che fare con il bene delle anime. Come Geremia, forse si sentì per un
momento costituito «sopra i popoli
e sopra i regni per sradicare e demo-
gure comunque differenti da Celestino V, incapaci di suscitare gli entusiasmi e le attese che il vecchio eremita produsse invece nelle masse.
E fin dalla sua prima decisione, il
novello Pontefice parve confermare
tali attese: vincendo le resistenze di
chi voleva salisse sul
cavallo che era stato
Un’attenta analisi
preparato per lui, egli
scelse infatti di entradella lettera «Inter sanctorum solemnia»
re a L’Aquila a dorso
dimostra come il Pontefice fosse sottoposto
di un asino. Crediamo si debba riflettere
a numerose pressioni
su questa decisione,
Ma quella dell’indulgenza
troppo spesso qualififu una scelta esclusivamente sua
cata unicamente come gesto di umiltà o
come l’assunzione di
lire, per distruggere e abbattere, per un chiaro indirizzo escatologico. Più
edificare e piantare» (Geremia, 1, 10). semplicemente, si trattava di una criIl 29 agosto 1294 Celestino V fu so- tica aperta alla mondanizzazione
lennemente incoronato a L’Aquila. della Chiesa, evidenziata proprio dai
Perché, alla fine, i cardinali furono superbi cavalli che in quella occasiod’accordo su quella elezione, senza ne erano montati da re e alti prelati.
Va sottolineata, poi, anche la fordubbio inconsueta? Già con Urbano
za di carattere di Celestino V, che fiIV (1261-1264) e Gregorio X (12711276) avevano finito per eleggere sul nì per prevalere su tutti: forse non
soglio pontificio un uomo esterno al era poi così debole come ancora ogSacro Collegio, ma si trattava di fi- gi in troppi sono propensi a credere,
Dal 2015 il giubileo aquilano entrerà fra i “patrimoni immateriali” dell’Unesco
Un perdono lungo sette secoli
Con una basilica di Santa Maria
di Collemaggio inaccessibile fino
alla sua ricostruzione post-terremoto, si rinnova il rito della Perdonanza Celestiniana, l’annuale
giubileo che si celebra all’Aquila
da 719 anni per volere di Celestino V; una festa che dal 2015 diventerà anche “patrimonio immateriale” dell’Unesco. Sarà l’Eni a
finanziare i lavori in basilica così
come quelli per il rifacimento del
vicino Parco del Sole, come è stabilito nella convenzione con il
Comune dell’Aquila; il 29 agosto
è fissata la firma dell’accordo.
Il rito della Perdonanza consente di lucrare l’indulgenza plenaria a chi, «sinceramente pentito
e confessato», visiterà la basilica
dai vespri della vigilia fino a
quelli dell’anniversario dell’inizio
del pontificato, come recita la cosiddetta Bolla del Perdono emessa da Papa Celestino nel 1294.
Quest’anno la messa di apertura,
il 28 agosto, viene celebrata
all’esterno della basilica dal cardinale delegato Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede
Apostolica. «Erano tempi difficili
— afferma il cardinale nell’omelia
— per le tensioni in ambito civile
e anche all’interno della Chiesa,
non diversamente da quanto accade oggi. E l’ispirazione di Papa
Celestino V, tradotta in concreto
nella Bolla, dava una risposta di
fede e di amore». E continua: «Il
29 agosto era il giorno in cui si
commemorava il martirio di san
Giovanni Battista, la festa della
decollazione, ed era anche il giorno dell’inizio solenne del pontificato di Papa Celestino V. La Bolla
del Perdono è molto chiara sia
quanto alle circostanze che hanno
suggerito l’istituzione della Perdonanza sia quanto alla finalità della stessa istituzione. Il Battista
con la sua testimonianza fino al
martirio è un esempio di fedeltà
alla parola di Dio».
A concelebrare insieme al cardinale sarà anche l’arcivescovo
metropolita dell’Aquila, monsignor Giuseppe Petrocchi. «Papa
Celestino — scrive il presule nel
suo messaggio agli aquilani — fu
dunque, e tale si mostrò al mondo, vero dispensatore della misericordia di Dio. È fondamentale,
nella vita cristiana, imparare ad
avere misericordia verso noi stessi,
perché è proprio nel nostro circuito interiore che spesso si intrecciano nodi difficili da sciogliere,
per cui diventiamo giudici spietati
di noi stessi, incapaci di amarci
perché incapaci di perdonarci.
Nella misura in cui ciascuno di
noi apprenderà l’arte di “volersi
bene” nel Signore, diventerà pure
idoneo ad avere misericordia verso gli altri». L’arcivescovo presiederà, la sera di giovedì 29, la
messa conclusiva e il rito di chiusura della Porta Santa.
La bolla della Perdonanza celestiniana
o almeno non lo era
quando vedeva in
gioco aspetti per lui
fondamentali.
La
gran folla — Tolomeo
da Lucca riporta addirittura l’incredibile
cifra di duecentomila
persone, segno comunque di una calca
che senz’altro impressionò i presenti —
esprimeva certamente
l’ansia del popolo
cristiano
per
un
rinnovamento
della
Chiesa. La cosiddetta
Vita C, scritta da Bar«Allegoria
tolomeo da Trasacco
e Tommaso da Sulmona, due compagni di Pietro del
Morrone, e che indubbiamente costituisce la più importante tra le fonti
agiografiche celestiniane, parla di
una turba maxima (Analecta Bollandiana, 16, 1897, p. 418), riferendo che
pure nell’ottava si era radunata una
maxima multitudo (ibidem, p. 419).
Che tali ansie e attese venissero
colte e recepite da Celestino V ne è
prova la sua singolare decisione di
concedere una perdonanza generale,
sancita con la lettera Inter sanctorum
solemnia: Edith Pásztor, in un suo
studio, individuò una molteplicità di
influssi intervenuti nella redazione
del testo, steso «da qualcuno estraneo alla pratica cancelleresca pontificia» (Celestino V e Bonifacio VIII, in
Indulgenza nel Medio Evo e perdonanza di Papa Celestino, a cura di
Alessandro Clementi,
L’Aquila, 1987, p.
65).
Il testo papale,
in definitiva, risente
di un triplice influsso. Nella lettera
si parla infatti della
corona
pontificia
come di un diadema, termine estraneo alla terminologia dei segni del
potere papale, e
che sta piuttosto a
indicare la corona
imperiale o regale.
Un notaio pontificio non sarebbe
mai incorso in una
simile confusione di
termini, anomalia
che si spiega invece
con facilità se ipotizziamo un influsso della cancelleria
angioina e tanto
dell’incoronazione di Celestino V» (opera di attribuzione discussa, probabilmente del
XVI
secolo)
più se si pensa che, in quello stesso
anno 1294, a Napoli, Celestino V nominò notaio apostolico Bartolomeo
da Capua, il quale fin dal 1290 era
protonotario del re Carlo. Peraltro,
non soltanto la cancelleria pontificia
non sarebbe mai incorsa in un simile
errore (“diadema” per “corona”), ma
non vi incorsero neppure gli ambienti vicini al Pontefice, come dimostra un passaggio della Vita C in
cui si afferma che Celestino V fece
portare nella città abruzzese la «corona» papale e il «mantello apostolico» (Analecta Bollandiana 16,
1897, p. 418).
Altrettanto inconsueto, nel linguaggio della Inter sanctorum solemnia, è il verbo utilizzato dal Pontefice (absolvimus), che immette in tal
modo nel testo una straordinaria ansia pastorale, quella di un padre
l’espressione «tesoro della misericordia», finisce per rivelarsi coerente
con la terminologia pontificia
(Analecta Bollandiana, 16, 1897, pp.
418-419).
Un triplice influsso, dunque: dello
stesso Pontefice, o di ambienti a lui
vicini, della cancelleria angioina, di
un’ulteriore fonte difficilmente determinabile; quel che risulta assente, in
questa lettera papale, è proprio l’apporto della cancelleria pontificia.
Non si può negare, tuttavia, che il
nuovo Papa abbia assunto in prima
persona la responsabilità di quell’insolita decisione; una tale larghezza —
appunto, l’indulgenza plenaria — appariva del tutto estranea alla pratica
indulgenziale papale.
Al di là di un’affermazione di
Buccio di Ranallo, che voleva Celestino V ispiratore delle decisioni di
Carlo II d’Angiò (Cronaca Aquilana rimata,
Un Papa di cui va sottolineata
Roma, 1907, p. 40), è
certo che, divenuto
la forza di carattere
Pontefice, il vecchio
che finì per prevalere su tutti
eremita finì per essere
sempre più un ostagNon era poi così debole
gio nelle mani del re
come in troppi sono propensi a credere
di Napoli; nondimeno,
una volta resosi conto
preoccupato del bene spirituale dei della situazione — e della propria inpropri figli. Infine, la lettera rivela capacità di poter imprimere agli
l’influenza di una fonte ulteriore, eventi un corso diverso — Celestino
tuttavia non individuabile con sicu- V non esitò a rinunciare. Ebbene, se
rezza in una cancelleria specifica; si davvero in precedenza avesse agito
parla infatti di «gemme della Chie- in ossequio alle direttive di Carlo II,
sa, splendenti in doni spirituali», avrebbe avuto poi la forza di comladdove le lettere pontificie d’indul- piere un gesto simile? In realtà, se fu
genza utilizzavano piuttosto termini strumento del sovrano angioino, Cequali «tesoro», «tesoro spirituale», lestino V lo fu più da morto che da
«tesoro dei beni dei membri del cor- vivo, quando la sua persona fu inpo mistico di Cristo», in forza della dubbiamente utilizzata in funzione
comunione dei santi. Estranee alla chiaramente antibonifaciana. Si deve
cancelleria papale, tali espressioni ri- quindi a lui e alla larghezza del suo
sultano avulse anche dall’ambiente cuore di padre quella straordinaria
monastico celestiniano, poiché la Vi- Perdonanza che la comunità aquilata C, utilizzando per ben due volte na celebra ancor oggi.
La figura del santo eremita Pietro da Morrone e gli insegnamenti di don Orione nell’opera dello scrittore abruzzese
Silone conquistato da Francesco
di SABINO CARONIA
Ignazio Silone non dimenticò mai le parole
dell’incontro con don Orione richiamate nel
suo scritto raccolto in Uscita di sicurezza: «Ricordati di questo, Dio non è solo in chiesa.
Nell’avvenire non ti mancheranno momenti
di disperazione. Anche se ti crederai solo e
abbandonato, non lo sarai. Non dimenticarlo». E certo una componente francescana, la
Nell’«Avventura di un povero cristiano»
tenta di stabilire una continuità
fra la tradizione popolare della sua regione
e le convinzioni morali di cui è portatore
stessa che è alla radice del pensiero di don
Orione, è anche alla radice del pensiero di
Silone, testimoniata da scritti come, appunto,
Uscita di sicurezza e L’avventura d’un povero
cristiano.
Per comprendere il valore di quest’ultima
opera, che ricostruisce la vicenda di Celestino V, bisogna prendere le distanze da chi tende a identificare la personale posizione di Silone, quale risulta dai capitoli introduttivi,
con quella del suo personaggio. Esiste invece
una differenza tra i due punti di vista ed è significativo che il tono delle recensioni sulla
stampa cattolica cambi quando, scomparsa la
parte introduttiva, rimane il dramma vero e
proprio. Celestino infatti dichiara di aver imparato a sue spese che «è difficile essere Papa e rimanere buon cristiano». Difficile dunque ma non impossibile. È pertanto legittimo
sostenere che altri possa riuscire là dove Celestino ha dovuto dichiararsi sconfitto.
Non a caso proprio il giudizio di un francescano, padre Ernesto Balducci, mette bene
in evidenza quella componente francescana
che è propria di Silone, quella condanna-privilegio all’estraneità, quell’attenzione alla
profezia, all’utopia di quel Francesco che dicendo «Io non sono più il vostro superiore»
si ritirò sulla Verna, il senso profondo di
quell’eredità cristiana dichiarata in premessa
da Silone come l’acquisto più importante
della coscienza, pur nella consapevolezza di
una sua personale irrimediabile sconfitta nel
rapporto con la Chiesa: «Si capisce che l’ingenuità perduta difficilmente si recupera».
«Dal giorno — scrive Balducci — in cui Papa Giovanni parlò per la prima volta della
“Chiesa dei poveri” sembra si siano svegliati
dai loro sarcofagi gli antichi contestatori medievali per prendere la parola in Concilio e
in ogni angolo della cristianità».
Il dramma di Silone appare a questo punto conforme allo spirito del cristianesimo anche a giudizio di Raffaello Lavagna che, in
un articolo assai lusinghiero apparso su
«L’Osservatore Romano» l’8 agosto del 1969,
invita a considerare con rispetto il caso di
uno scrittore che «della vita dello spirito nel
suo più alto senso fa la sua vita, il suo scopo,
la sua ansia, il suo tormento».
Se è vero che in L’avventura d’un povero
cristiano Silone tenta di stabilire una continuità fra la tradizione popolare della sua regione e le convinzioni morali di cui è portatore, la vicenda di Pietro da Morrone si pone
come tappa emblematica verso l’attualità,
verso quella condizione dei cafoni descritti
da Silone con apparente realismo eppure
guardati con occhi ancora simili ai loro, ma
che guardano ormai da una grande lontananza, come giustamente ha scritto Sergio
Quinzio.
È importante ricordare che Aldo Moro nel
1945 pubblicò sulla rivista «Studium» uno
scritto, “Ed Egli si nascose” di Ignazio Silone,
che è la presa d’atto di «una fondamentale
convergenza di indirizzi ideali» in nome di
una identica volontà di dialogo con gli altri
umanesimi che all’indomani della caduta del
Ignazio Silone
fascismo si proponevano come risposte, diverse ma non incompatibili con quella cristiana, alla stessa crisi di civiltà». Lo scritto di
Moro richiamava la prefazione di Ed Egli si
nascose: «La rivoluzione della nostra epoca
promossa da politici ed economisti, prende
così le sembianze di un “mistero sacro” in cui
la stessa sorte dell’uomo sulla terra è coinvolta. I compiti dell’ordine economico e politico
non vengono affatto nascosti e dissimulati;
essi restano anzi preliminari. Ma è utile che
gli uomini chiamati ad assolverli sappiano di
venire da lontano e di andare lontano».
Si trattava, come risulta dalle parole della
presentazione al lettore di L’avventura d’un
povero cristiano, di una risposta diversa ma
non certo incompatibile con quella cristiana:
«La riscoperta dell’eredità cristiana nella rivoluzione sociale dell’epoca moderna resta
l’acquisto più importante della nostra coscienza negli ultimi anni». In particolare
Moro rivolgeva la sua attenzione al personaggio del frate eretico Gioacchino che predica che Cristo è ancora e sempre in agonia
sulla croce, con implicito riferimento alla lettera di Paolo ai Colossesi: «Ora io gioisco
nelle mie presenti sofferenze e completo in
me quel che resta alla passione di Cristo».
Dunque, riflettendo sulla condizione dei
personaggi del dramma di Silone, di fronte
alla vicenda di quegli uomini che «vengono
da lontano e vanno lontano» con la coscienza che Cristo è ancora e sempre in agonia
sulla croce, che la sofferenza di Cristo continua in tutti coloro che servono e patiscono
l’ingiustizia, Moro si chiedeva cos’altro si potesse desiderare per il nostro tempo se non la
misura delle “distanze” che pone nella nostra
vita l’esigenza implacabile dell’infinito.
L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 29 agosto 2013
pagina 5
Dieci anni fa moriva Dina Bellotti
Sexto Canegallo
«Specchio d’acqua» (1925)
Pittrice
della vita
di JOSEF CLEMENS*
arlo Bo amava definire
Dina Bellotti la «pittrice della vita», una felicissima espressione che
riassume
in
modo
straordinario tutta la tipicità e l’unicità dell’artista. Per più di settant’anni la pittrice alessandrina ha
potuto esprimere tramite innumerevoli opere questo suo amore per la
vita. Un amore per la bellezza della
natura “morta”, come i paesaggi e
le marine, le piazze e i monumenti,
ma particolarmente per la natura “viva” cioè fiori e animali,
cavalli e gatti, pesci e anatre.
E il suo amore per la vita si
manifestava in modo particolare nella raffigurazione della
natura viva per eccellenza, cioè
uomini e donne e specialmente
bambini e giovani.
«La vita, questo è stato il
suo primo tema e penso che
non lo potrà più cambiare: fino all’ultimo dovrà cercare di
esprimere al meglio il sentimento della grazia e del ringraziamento per Chi l’ha messa di fronte al miracolo quotidiano della luce e del colore»,
così scriveva lo stesso Bo nel
1992.
Dina Bellotti non si è fermata a ricopiare la superficie o
l’esteriorità (Schein) degli oggetti o delle persone, ma ha
cercato di penetrare e di far
vedere l’essenzialità delle cose
(Wesen), in particolare gli
aspetti del vero essere dei personaggi raffigurati (Sein). Non
si è mai lasciata corrompere
dalla bellezza “finta” e voleva
arrivare con la sua pittura alla verità interiore.
Il poter far vedere il senso autentico della vita presuppone uno
sguardo profondo e incorruttibile,
che era la singolare caratteristica
della signora Dina. Pur avendo conosciuto e frequentato grandi personalità del mondo e della Chiesa
non ha mai perso la forza e il coraggio di un proprio giudizio franco e sincero. Bellotti sapeva intuire
la bellezza interiore della fondatrice
di una congregazione religiosa o di
un autentico uomo di fede e sapeva
C
estrarne lati essenziali della personalità che riusciva a far trasparire
nei suoi inconfondibili ritratti, vero
specchio dell’anima.
L’amore per la vita e per il creato, in tutta la sua varietà e bellezza,
porta in modo diretto alla gratitudine e alla venerazione per il Creatore (cfr. Salmi, 92), e a lei non risultava difficile raffigurare scene bibliche e anche uomini e donne della Chiesa. Era nata “pittrice della
vita” e poté facilmente diventare la
“pittrice dei Papi”, perché condivideva nel suo intimo il senso della
Chiesa e in particolar modo l’inten-
«Paolo
VI
accende il cero pasquale» (1975)
to del ministero petrino: il Papa come pastore, maestro e responsabile
dell’unità della comunità dei credenti in Dio, il Creatore del cielo e
della terra. Ci sembra che sia più
che dovuto — a dieci anni dalla sua
scomparsa (Bellotti morì il 29 agosto 2003) — tener vivo il ricordo di
lei, grande pittrice della vita e dei
Papi, donna d’imparagonabile autenticità umana e artistica.
*Vescovo segretario
del Pontificio Consiglio per i Laici
di BRUNO FORTE
uomo è un cercatore
di senso, qualcuno
che anela alla parola
che vinca il silenzio
della morte e dia valore alle opere e ai giorni, offrendo
dignità e bellezza alla vita. Perciò
la condizione dell’essere umano è
quella del pellegrino. L’uomo non
è qualcuno che sia arrivato alla
meta, è piuttosto un cercatore della
patria lontana, che si lascia interrogare e sedurre dall’ultimo orizzonte, che chiama: come scriveva
Rahner, un «uditore della Parola».
Se l’uomo è per sua natura un
pellegrino verso la vita, un mendicante del cielo, la tentazione mortale, che potrà assalirlo, sarà quella
di fermare il cammino, di sentirsi
arrivato, non più esule in questo
mondo, ma possessore, dominatore
di un oggi che vorrebbe fermare la
verità del cammino. «L’esilio vero
d’Israele in Egitto fu che gli Ebrei
avevano imparato a sopportarlo».
L’esilio non comincia quando si lascia la patria, ma quando non c’è
più nel cuore la struggente nostalgia della patria. Martin Heidegger,
parlando della «notte del mondo»
nella quale ci troviamo, dice che la
malattia dell’uomo moderno è l’assenza di patria, e che il dramma
della nostra epoca non è la mancanza di Dio, ma il fatto che gli
uomini non soffrano più di questa
mancanza, e perciò non avvertano
più il bisogno di superare l’infinito
dolore della morte, considerando
esilio e non patria il presente.
L’illusione di sentirsi arrivati, il
pretendersi sazi, compiuti nella
propria vicenda, questa è la malattia mortale. Si sarà prigionieri di
essa quando il cuore non vivrà più
l’inquietudine e la passione del domandare, il desiderio del trovare,
per poter ancora e nuovamente domandare e cercare.
Questo vale anche per la via di
Dio: pure nell’esperienza dell’incontro con lui la grande tentazione
è quella di fermare la vita. Lutero,
ispirandosi a san Bernardo, dice:
«Sulla via di Dio non può darsi
sosta, perfino l’indugio è peccato».
Quando non si ha più il desiderio
di cercare, quando ci si ferma, allora ci si allontana da Dio. È questo
L’
La fede e il dialogo con i non credenti
Cercatori
di una patria lontana
il senso più profondo della legge
della Croce.
Il cristiano annuncia un verbum
Crucis, una parola scandalosa, che
lo inquieta sempre, perché sa bene
che la grande scelta è fra il crocifiggere le proprie attese sulla croce
di Cristo o il crocifiggere Cristo
sulla croce delle proprie attese.
Nella Leggenda del Grande Inquisitore Dostoevskij racconta come
sulla piazza di Siviglia, dove ardono i roghi degli eretici, un uomo
venga trovato a guardare in silen-
A Bressanone
Pubblichiamo uno stralcio
del discorso con cui
l’arcivescovo di Chieti-Vasto
apre a Bressanone, il 29
agosto, il congresso
internazionale «Dio
in questione: il linguaggio
religioso
e i linguaggi del mondo».
Cristo smentisce la presunta verità di questo ragionamento: egli è
libero e chiama alla libertà. Egli sa
che anche se la libertà ha un prezzo grande, vale sempre la pena di
essere vissuta. L’uomo acquietato
dall’assenza di libertà sarà forse
apparentemente felice, ma non sarà
più uomo, perché essere e volersi
umani vuol dire riconoscersi chiamati alla libertà, anche se questa
chiamata ha un prezzo alto: la
Croce. La Croce è il vangelo della
libertà! È questo il messaggio che
Dostoevskij ha voluto trasmettere:
colui che si sente padrone della verità, colui per il quale la verità non
è più Qualcuno da cui essere posseduto, ma qualcosa da possedere,
quest’uomo ha ucciso in sé non solo Dio, ma la stessa dignità del suo
essere umano.
La condizione umana è una condizione esodale: l’uomo è in esodo,
in quanto è chiamato permanentemente a uscire da sé, a interrogarsi,
a essere in cerca di una patria.
Martin Lutero avrebbe detto sul
letto di morte: Wir sind Bettler: hoc
est verum! (“Siamo dei poveri mendicanti, questa è la verità”). Sono
parole pronunciate alla sera della
vita, quando si è sulla soglia del
mistero e tutto si vede nella verità
che non mente.
In realtà, però, è proprio della
condizione umana stare ogni istante su questa soglia. Lo esprimono
intensamente questi versi di Margherita Guidacci: «Come onde la
tua riva tocchiamo, / ogni istante è
confine tra l’incontro e l’addio. /
Dal nostro mare in te fuggire, nel
zio la scena aberrante di quei supplizi. Portato davanti al Cardinale
Inquisitore, ne ascolta in silenzio
le domande ed è il suo silenzio che
fa capire al vecchio custode della
fede che quell’uomo è il Cristo. La
reazione dell’Inquisitore è dura:
«Sei Tu, sei Tu? Non rispondere,
taci. E che potresti dire? So troppo
bene quel che puoi dire. Del resto,
non hai il diritto di aggiungere
nulla a quello che Tu già
dicesti una volta. Perché
Il dramma della nostra epoca
sei venuto a disturbarci?
Sei venuto infatti a dinon è la mancanza di Dio
sturbarci». La scena si
Ma è il fatto che gli uomini
conclude con il bacio
non soffrano più di questa mancanza
con cui Cristo saluta il
vecchio Inquisitore.
Il senso di questa pagina si coglie quando si compren- nostro mare fuggirti: / non altro è
de che l’Inquisitore crede di com- di noi labili il destino. / Né tregua
piere il più grande degli atti mai ci è data, anche se amore / od
d’amore. Togliendo agli uomini la altra arcana ansia più lontano ci
libertà, egli pensa di renderli felici, spinse / sulle tue sabbie, in vista
perché li solleva dal peso di dover delle torri / della superba tua città.
continuamente cercare e scegliere. Ché ancora / indietro ci trascina il
L’uomo è in cerca di un simile pa- nostro peso / nel mutevole abisso
drone. L’Inquisitore ama “troppo” – / Siamo di nuovo desiderio e lagli uomini per dare loro la libertà!
mento.
In mostra a Basilea l’eccentrico surrealismo di Max Ernst
Tra i sogni di un bimbo stregato dalla foresta
tica di culture diverse e dall’appropriazione
del suo inconscio di stimoli visivi derivati
La grande retrospettiva che la Fondazione dall’ambiente naturale: le foreste, prima di
Beyeler di Basilea ha dedicato a Max Ernst tutto. Né va dimenticato il goticismo in ge(fino all’8 settembre) ci offre l’occasione di nerale, l’irrazionalità dell’anima germanica
scrivere di una fra le figure più poliedriche mista alle simbologie oniriche freudiane. Indell’arte moderna, instancabile ideatore di fi- somma, la poetica di Ernst, al di là della sua
gure, forme e tecniche innovative (frottage, straordinaria tecnica pittorica, non è per nulla semplice.
grattage, decalcomania e oscillazione), semMax Ernst (1891-1976) è considerato un
pre sperimentate per trovare nuovi legami artista epocale e tanto più è importante
fra le immagini e la coscienza dell’osservato- l’ampia retrospettiva che la Fondazione
re. In una lettera a Breton del 1932, Freud Beyeler gli ha dedicato per la prima volta
scriveva: «Nonostante voi e i vostri amici mi dall’anno della sua morte: oltre centosessantestimoniate tanto interesse in ragione delle ta dipinti, collage, disegni, sculture e libri ilmie ricerche, io stesso non sono in grado di lustrati, fra cui molte celebri opere facenti
spiegare che cosa sia e che cosa voglia il capo a tutte le fasi della sua ricca produzioSurrealismo. Probabilmente non sono affatto ne. Quando l’artista era in vita lavorò spesso
portato a capirlo, io che sono così
lontano dall’arte». Del resto, saInstancabile ideatore di figure
rebbe impensabile ricostruire l’essenza dell’arte di Max Ernst preforme e tecniche innovative
scindendo dalla lezione surrealiPer trovare nuovi legami fra le immagini
sta, dalla quale comunque la sua
e la coscienza dell’osservatore
personalità non può essere estrapolata. Si può, invece, dimostrare
quanto fu “eccentrica” la sua partecipazione al surrealismo. Basta ricordare per Ernst Beyeler, componendo cartelle litochi sono gli altri protagonisti: Dalí, Tanguy, grafiche e lavorando a dipinti e sculture di
Magritte, Delvaux e persino Masson. Tutti cui il primo è Fiori di neve, risalente agli ancostoro dipingono oggettivamente una “sur- ni 1920, e l’ultima opera è Nascita di una garealtà” inconscia e onirica, servendosi di una lassia, del 1969.
tecnica pittorica accademica e tradizionale.
Ernst appartiene a quel gruppo di artisti
Nessuno degli artisti citati usa però, come poliedrici e sperimentatori che i critici fanno
fa Ernst, i più spericolati ampliamenti speri- fatica a collocare. Di lui si sa che esordì a
mentali. Nessuno raggiunge le stesse inven- Colonia quando era ancora influenzato dal
zioni formali che portano a un allargamento Dadaismo e che nel 1922 si trasferì a Parigi,
degli orizzonti della pittura e della scultura.
dove si fece notare come uno dei maggiori
Si può affermare, quindi, che è proprio rappresentanti del surrealismo. Quello che
con Ernst che il Surrealismo ha potuto con- però si ricorda di rado riguarda il padre
tribuire all’avanzamento del problema stori- dell’artista, Philipp Ernst, che era un inseco della pittura, intesa come strumento d’in- gnante di scuola per sordomuti e pittore diterpretazione del mondo.
lettante. Aveva l’abitudine di condurre il
Mai come per questo artista è importante piccolo Max nelle escursioni silvestri, dove si
il luogo di provenienza, nel suo caso Brühl, fermava a dipingere puntigliosamente figure
tipico posto di frontiera, dove si influenzano inesistenti o strani eremiti. Il bambino osservicendevolmente la cultura tedesca e la cul- vava il padre mentre lavorava e ne subiva le
tura francese. Il cosmopolitismo tipico di suggestioni: per esempio il padre disegnava
Max Ernst proviene sicuramente dalla dialet- con precisione ossessiva tutte le foglie di un
di SANDRO BARBAGALLO
albero, e questo rendeva irreale la scena. Per
tutta la vita Max non dimenticò mai il senso
di incantamento e di terrore che provava seguendo il padre nel bosco. Non è un caso
che molte delle sue opere siano ispirate al
tema della foresta. Il padre però era anche
un devoto fervente, tanto da dipingere il figlio nelle vesti di Gesù Bambino (1896). E si
deve probabilmente a un rigetto del misticismo paterno se Ernst tra il 1926 e il 1928 dipinse alcune tele “estreme”, tra cui La Santa
Vergine castiga Gesù bambino davanti a tre testimoni (che erano André Breton, Paul
Eluard e l’artista stesso).
Dopo aver sposato nel 1918 una studentessa di storia dell’arte, Louise Straus, da cui
divorzia dopo pochi anni, nel 1924 si imbarca per l’Estremo Oriente. Rientrato dopo tre
mesi, si ferma a Parigi, dove si cimenta in
varie sperimentazioni, usando la tecnica del
frottage, ossia sfregare un supporto con matite o colori, lasciando affiorare i rilievi della
superficie sottostante. La raccolta dei primi
disegni con questa tecnica, derivati da reperti come foglie o legni o sassi, prende il nome
di Storia naturale, e molti fogli di questa serie verranno pubblicati in una cartella con
prefazione di Arp.
Nel 1927 si risposa con Marie-Berthe Aurenche e nel 1929 esce il suo primo romanzocollage, dal titolo ambiguo: La femme 100 têtes (che pronunciato in francese significa sia
“La donna cento teste” che “La donna senza
testa”). Composto con illustrazioni tratte da
romanzi, cataloghi, opuscoli di moda
dell’Ottocento, con queste carte, spesso xilografie molto raffinate, riuscì a simulare nuove realtà visive che lo porteranno presto a lavorare con Luis Buñuel e Salvador Dalì nel
film L’âge d’or, dove appare anche come attore.
Il gusto della sperimentazione e l’abilità
nell’usare le tecniche più insolite permisero a
Max Ernst di non invecchiare. Questo pioniere dell’espressione multimediale, infatti,
non ebbe mai una produzione datata, nonostante che il suo lavoro copra un arco temporale di circa sessant’anni, dal 1915 al 1975.
Un periodo che fu al centro di enormi scon-
volgimenti
sociali,
politici e artistici.
Fin dai primi anni del Novecento si
pensa a Max Ernst
come a un nomade
culturale e artistico.
Per quanto riguarda
la sua vita privata,
dopo esser stato internato come “straniero ostile” e poi
fuggito negli Stati
Uniti, Max passa
disinvoltamente dallo stato di profugo
di guerra alla vita
cosmopolita e mon«L’angelo del focolare» (1937)
dana, al fianco della
sua mecenate e poi
moglie Peggy Guggenheim. Qualcuno dice bilmente non solo dagli studi di arte, psicomaliziosamente che Max Ernst è stato «l’ar- logia e filosofia, ma anche dalle suggestioni
tista che non volle mai trovarsi», almeno fin- dovute all’espressionismo, nonché all’inconché non si innamorò di Dorothea Tanning, tro con Hans Arp in un momento di grandi
anch’essa artista, con la quale condusse rivoluzioni cubiste e futuriste. Anche se sarà
un’esistenza assorta e incantata nel deserto solo l’esperienza dadaista ad avvicinarlo ai
dell’Arizona.
surrealisti.
Si è sempre detto che i surrealisti, più che
La mostra della Fondazione Beyeler raccoper la tecnica pittorica, sono importanti per glie una nutrita serie di opere chiave, tra cui
le idee che esprimono. Questo non è certo il le immagini di giungla della seconda metà
caso di Max Ernst che, oltre a un mondo degli anni Trenta, dal tono misterioso e anonirico con radici nella psicanalisi, ha sem- gosciante. Opere, queste, in cui sono evidenpre cercato nuove tecniche, spesso divenute ti le influenze e la lezione sia del doganiere
pioniere delle ricerche dell’informale. Sua, Rousseau, sia del romantico Caspar David
ad esempio, è l’invenzione del dripping. Fa- Friedrich.
Presenti sono anche le mutazioni antropoceva gocciolare il colore da un barattolo forato, sospeso a una lunga corda, che faceva morfiche, come quella della donna in animaoscillare con ampi movimenti sopra la tela. le o dell’animale in donna. C’è poi il trionfo
Questo procedimento, chiaramente incon- del surrealismo con L’angelo del focolare
trollabile, perfezionava l’automatismo tanto (1937) che, pur ispirata alla guerra civile spacaro ai surrealisti e ne nascevano composi- gnola, affronta la dimensione dell’impegno
zioni reticolari, a cerchi e a punti, che richia- politico senza scadere nella propaganda. Per
mano le orbite planetarie. La tecnica del quest’opera Ernst si avvale sia dell’inconscio
dripping fu poi ripresa da Jackson Pollock, che del sogno: entrambi rivelati dalla psicadai più considerato il padre del drip-pain- nalisi ma sperimentati dal Surrealismo.
Max Ernst morì il 1° aprile 1976, a Parigi,
ting.
La grande necessità di sperimentare che un giorno prima di compiere ottantacinque
Ernst dimostrò per tutta la vita nasce proba- anni.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
giovedì 29 agosto 2013
Il cardinale Gracias dopo l’ultimo grave episodio avvenuto a Mumbai
Appello del patriarca di Babilonia dei Caldei a non vendere case e terreni
La violenza contro le donne
è declino sociale
I cristiani in Iraq
hanno radici da mantenere
MUMBAI, 28. «Le nostre donne e le
nostre bambine subiscono violenze e
abusi persino nelle loro famiglie, oltre che nella società, che le umilia,
le svilisce, le discrimina, le esclude e
le sfrutta. La corrosione della morale, la sua corruzione, dimostrano
che il nostro sistema di valori è stato seriamente compromesso». E il
brutale stupro di gruppo compiuto
contro una giovane fotoreporter di
Mumbai «riflette il declino spirituale, sociale e culturale del nostro
Paese». Non usa mezzi termini il
cardinale arcivescovo di Bombay,
Oswald Gracias, nel condannare il
grave episodio avvenuto il 22 agosto
scorso quando, nel capoluogo del
Maharashtra, una ventiduenne è stata aggredita e violentata da cinque
uomini, tutti arrestati.
La vittima è una giovane fotoreporter, stagista di una rivista in lingua inglese con base a Mumbai. Accompagnata da un collega, quel
giorno si era recata alla Shakti Mills
(una ex fabbrica tessile ora in stato
di abbandono) per realizzare un servizio fotografico. L’attacco si è svolto al termine del lavoro: mentre i
due uscivano, sono stati circondati
da tre uomini che hanno detto loro
che non avevano il permesso di fotografare. Ai tre se ne sono aggiunti
altri due che hanno picchiato e legato il collega e poi hanno trascinato la ragazza dietro a un muro. La
giovane è in ospedale, ma non corre
pericolo di vita. Il capo del Governo del Maharashtra ha ordinato un
processo rapido contro i cinque, che
hanno tra i 18 e i 23 anni.
Il caso, che ricorda il grave stupro di gruppo avvenuto nel dicembre 2012 a New Delhi (una ventitreenne morì dopo una lunga agonia per le ferite riportate nell’aggressione subita su un autobus), ha
colpito l’opinione pubblica indiana.
Per l’arcivescovo di Bombay — riferisce AsiaNews che ha raccolto le
sue dichiarazioni — «è urgente riportare Dio al centro delle nostre
vite, in famiglia, in società, nei posti
di lavoro, e comportarci secondo i
valori del Vangelo». Gracias ha accolto la notizia «con profonda angoscia» poiché «è la peggiore aggressione che una donna possa subire: lo stupro è terrorismo fisico e
psicologico, un crimine abominevole
contro l’onore delle donne».
Il porporato parla anche come
presidente della Catholic Bishops’
Conference of India: «La Chiesa è
uno strumento per servire la società
e la nazione attraverso l’educazione
e le nostre strutture. Ho già chiesto
alle nostre scuole di inculcare i valori della giustizia e del rispetto di genere non solo agli studenti, ma anche ai genitori. È importante sensibilizzare madri e padri su come trattiamo le donne nelle nostre famiglie. La Chiesa di Bombay e di tutta l’India servirà per dare inizio a
una cultura e una società nobile, co-
struite sull’uguaglianza, la giustizia
e il rispetto tra uomini e donne».
Da decenni — informa AsiaNews
— la Chiesa cattolica indiana dedica
l’8 settembre, festa della Natività
della Beata Vergine Maria, alle
bambine.
Proprio in conseguenza della tragica morte, a dicembre, di una giovane a New Delhi, il cardinale Gracias aveva proclamato il 27 gennaio
2013, nell’arcidiocesi di Bombay,
«Giornata di solidarietà per la giustizia, la sensibilizzazione e l’uguaglianza di genere». Quel giorno la
comunità cattolica ha partecipato a
incontri e seminari e in ogni parrocchia e convento si è tenuta un’ora di
preghiera. Gracias auspicò che la
Giornata potesse «annunciare una
trasformazione sociale» riguardo «il
disprezzo contro le donne».
BAGHDAD, 28. Ai fedeli delle due
piccole diocesi di Amadiyah dei
Caldei e di Zākhō dei Caldei, in
Iraq, recentemente accorpatesi in
un’unica circoscrizione ecclesiastica
affidata al vescovo di Amadiyah,
Rabban Al-Qas, e a tutti gli abitanti
dei quaranta villaggi cristiani situati
nel Kurdistan iracheno si è rivolto
ieri, con una lettera, il patriarca di
Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël
I Sako. Il messaggio — riferisce
l’agenzia Fides — contiene una sollecitazione forte ad «aggrapparsi ai
propri villaggi» e a non vendere le
case e i terreni ricevuti dai loro padri per non finire nella condizione
di «emigrati stranieri della diaspora». Sako aveva incontrato gli abitanti durante una visita effettuata
dal 15 al 23 agosto.
Nella lettera, il patriarca esprime
gratitudine per la manifestazione di
«fede, fedeltà, perseveranza, pazienza e gioia» sperimentata nei suoi
tanti incontri con i cristiani del
Kurdistan iracheno, da lui definiti
come «cittadini indigeni, con radici
profonde che non possono essere
estirpate e che risalgono a duemila
anni fa».
Dal riferimento a questo radicamento millenario, il patriarca ha
preso le mosse per invitare tutti a
seguire l’esempio di trentacinque famiglie «che erano a Mosul e si sono
trasferite a Duhok, comprando un
villaggio di nome Romtha, dove
hanno fatto sorgere belle case, la
chiesa, una scuola e tanti frutteti».
Per favorire queste dinamiche di resistenza alla dispersione, il patriarca
di Babilonia dei Caldei ha invitato
anche le formazioni politiche animate da militanti e dirigenti caldei a
portare avanti strategie condivise,
mentre la compagine ecclesiale è
stata sollecitata a coinvolgere di più
i laici nella gestione di attività e risorse attraverso i consigli diocesani
e quelli parrocchiali.
Secondo le stime del patriarcato,
alla nuova diocesi appartengono
14.500 cristiani, 13 sacerdoti e 34
chiese caldee. Il Kurdistan iracheno,
tradizionalmente considerato un posto sicuro per i cristiani, negli ultimi
anni — riferisce Fides — è diventato
per molti solo “l’ultima fermata” in
Iraq prima di emigrare all’estero.
Secondo molti osservatori, proprio
da tale fenomeno si può dedurre
che la violenza non rappresenta
l’unica ragione dell’esodo dei cristiani dall’Iraq.
La decisione di accorpare le diocesi di Amadiyah e di Zākhō in
un’unica sede, a Duhok, e di
affidarla a monsignor Al-Qas, è stata presa da Sako durante il sinodo
del patriarcato caldeo riunitosi a
Baghdad dal 5 al 10 giugno, come
informa il sito in rete «baghdadhope». La diocesi di Zākhō era sede
vacante dal 3 novembre 2010, giorno
della morte del vescovo Petros
Hanna Issa Al-Harboli. Attuale amministratore patriarcale era l’arcivescovo di Arbil dei Caldei, monsignor Bashar Matte Warda.
Resta alta la tensione fra Atene e Tirana per la vicenda di Përmet
Chi vuole entrare nell’Ue
deve rispettare le minoranze
TIRANA, 28. Non accennano a placarsi le polemiche per la vicenda
di Përmet, paese nel sud dell’Albania dove è esploso un conflitto tra
la comunità ortodossa e le autorità
municipali per la proprietà di un
sito a lungo utilizzato dalla Chiesa
per le proprie liturgie. Se non saranno tutelati i diritti delle minoranze etniche e religiose, potrebbe
essere addirittura a rischio il processo di adesione dell’Albania
all’Unione europea.
L’avvertimento
arriva
dal
viceministro degli Esteri greco,
Dimitris Kourkoulas, in un’intervista al quotidiano ateniese «Eleftherotypia» ripresa dai media albanesi
e dall’agenzia Agi.
L’esponente del Governo ellenico ha spiegato quali saranno le politiche che la Grecia seguirà nel
corso del semestre di presidenza
dell’Ue (gennaio-giugno 2014) sottolineando che «l’ingresso nella famiglia europea esige il rispetto per
le minoranze religiose, etniche e
culturali, così come la difesa delle
loro proprietà».
Secondo Kourkoulas, quanto accaduto a Përmet «è inaccettabile»
ma esiste la «volontà di approfondire la cooperazione con l’Albania» con l’auspicio che «la parte
albanese sarà in grado di isolare
coloro che minano le relazioni bilaterali».
Nei giorni scorsi il console greco
ad Argirocastro, Nikolas Kotrokoi,
ha incontrato il sindaco di Përmet,
Gilberto Jace, per chiarire la questione della costruzione del Palazzo della cultura su un terreno di
cui la Chiesa ortodossa rivendica
la proprietà e che ha portato a
scontri tra religiosi e vigilantes che
sorvegliano il sito.
Il primate della Chiesa ortodossa d’Albania, l’arcivescovo di Tirana e Durazzo Anastasios (Yannoulatos), ha denunciato «le violenze
contro clero e fedeli e gli atti di
vandalismo e sacrilegio della chiesa della Vergine Maria al Pazar di
Përmet».
Consultazione a Bangalore del National Council of Churches in India
Firmato accordo tra patriarcato di Mosca e distretto federale siberiano
Nuove strategie
per garantire pace e giustizia
Una collaborazione a lungo attesa
BANGALORE, 28. L’importanza di celebrare la vita pienamente, con vivacità, dinamismo e fervore, indipendentemente dalla casta, dal credo religioso, dal colore della pelle, dalla
categoria sociale, dal sesso, dall’etnia: è quanto hanno sottolineato i
partecipanti all’incontro del National
Council of Churches in India (Ncci)
tenutosi nelle settimane scorse a
Bangalore, capoluogo del Karnataka. Si è trattato di una consultazione, di una pre-assemblea che il World Council of Churches (Wcc) ha
voluto organizzare con l’obiettivo di
riflettere sul tema della sua decima
assemblea («Dio della vita, guidaci
verso la giustizia e la pace») in programma a Busan, in Corea del Sud,
dal 30 ottobre all’8 novembre.
Vi hanno preso parte una settantina di rappresentanti del Ncci, organismo che rappresenta circa tredici
milioni di fedeli protestanti e ortodossi in tutto il Paese. «La giustizia
e la pace devono essere garantite
non tanto per una vita di benessere
e prosperità quanto per dare pienezza alla vita dell’intera creazione di
Dio», ha spiegato nel discorso
d’apertura il suo vescovo presidente,
Taranath Sagar, secondo il quale «la
chiamata di Dio a essere partner
della sua missione di stabilire la pace con la giustizia nel mondo è una
chiamata a sostenere la dignità umana e l’integrità di tutto il creato».
Ha preso la parola anche il preside del Bishop’s College in Calcutta,
il reverendo anglicano Sunil Caleb:
«Poiché ci troviamo a soffrire delle
molteplici crisi che affliggono il
mondo di oggi, noi che ci troviamo
alla base siamo chiamati a mostrare
nuovi modelli di vita e di azione».
Alla potenza del male — ha aggiunto Caleb — si può resistere solo attraverso una profonda spiritualità e
la dipendenza dal Dio della vita che
cerca giustizia e pace per tutte le
persone.
L’incontro di Bangalore si è incentrato sulle preoccupazioni delle
Chiese indiane e sulle sfide che il
movimento ecumenico deve affrontare nei contesti locali. Erano presenti
anche attivisti per i diritti umani che
lavorano quotidianamente sui temi
sociali. Dhirendra Panda, uno di
questi attivisti, ha chiesto al National
Council of Churches in India di appoggiare la lotta contro alcune compagnie sud-coreane che stanno investendo miliardi di dollari per alcuni
progetti minerari (ferro e acciaio) in
Orissa. Secondo Panda — riferisce un
comunicato del World Council of
Churches — «le nostre terre stanno
per essere portate via da queste compagnie» e «sono state compiute diverse violazioni dei diritti umani».
Alla consultazione ha partecipato
anche Mathews George Chunakara,
direttore della Commission of the
Churches on International Affairs
del Wcc, il quale, parlando del tema
della prossima assemblea di Busan,
ha detto che esso è «immensamente
rilevante per contesti come quelli
asiatici dove la lotta delle persone
per la giustizia e la pace è pertinente
e dove un gran numero di cittadini
si vedono negati una pace giusta».
Il reverendo Roger Gaikwad, segretario generale del Ncci, ha garantito il contributo dei cristiani indiani
all’assemblea del Wcc.
MOSCA, 28. La recente visita del patriarca di Mosca, Cirillo, nel distretto federale siberiano, in particolare
nelle metropolie di Novosibirsk e di
Kuzbass (sede di un importante bacino carbonifero), è stata l’occasione
per firmare un accordo di cooperazione fra Chiesa ortodossa e Federazione russa. L’intesa, che riguarda le
diocesi che si trovano all’interno di
tale distretto, è in qualche modo
“storica” poiché è la prima volta che
patriarcato di Mosca e istituzioni
statali locali sottoscrivono un atto
formale di collaborazione. A sottolinearlo — si legge sul sito on line del
patriarcato secondo una traduzione
tratta dal magazine Eleousa — è stato lo stesso Cirillo: «Vi è una storia
ben definita dei rapporti tra la
Chiesa e lo Stato in tutto il Paese,
tra le regioni e i distretti federali, e
questa storia ha un’ottima tradizione. Noi oggi non sviluppiamo da
zero la nostra collaborazione su
molti aspetti importanti. Viviamo in
uno stato di diritto, ed è importante
che le nostre intenzioni, così come
l’esperienza di cooperazione siano
registrati in un qualche documento,
che da un punto di vista giuridico
costituisce la base per le azioni che
svolgiamo insieme».
Il primate ortodosso ha ricordato
il gran numero di progetti a livello
nazionale: «Essi non riguardano solo il ripristino dei nostri santuari, il
restauro dei monumenti architettonici e la costruzione dei templi. Riguardano molteplici programmi
educativi e sociali. Forse siete al
corrente del fatto che oggi la Chiesa
è attivamente coinvolta in Estremo
Oriente, che la Chiesa ha partecipato attivamente ai soccorsi per le
inondazioni a Krymsk. Potrei elencare grandi eventi, noti in tutto il
Paese, ma la maggior parte di tutte
le opere buone avviene in collaborazione con lo Stato, che forse il Paese non conosce, come — ha spiegato
Cirillo — l’affidamento e l’adozione
degli orfani, il lavoro con i giovani,
gli anziani, il lavoro con le forze armate, con il sistema carcerario e in
molti altri settori della vita. Attribuisco grande importanza alla firma
di questo documento e penso che
costituisca un importante fondamento giuridico per l’ulteriore sviluppo delle relazioni tra la Chiesa e
lo Stato nel vasto distretto federale
siberiano». Gli ha risposto il plenipotenziario del presidente russo, Viktor Aleksandrovich Tolokonskij, il
quale, ringraziandolo per la visita a
Novosibirsk, ha detto a Cirillo che
«le vostre parole e il documento firmato saranno molto importanti per
il lavoro della nostra squadra, per i
nostri colleghi dei dodici soggetti
federali della Siberia».
Durante la visita alla metropolia
di Kuzbass, il patriarca di Mosca ha
visitato la miniera di carbone «Berezovsky» a Prokopyevsk (Kemerovo).
Di fronte agli uffici verrà costruita
una cappella in onore di santa Barbara, patrona dei minatori. Cirillo
ha benedetto la prima pietra.
†
Il Prefetto S.E. Monsignor Gerhard L.
Müller, l’Arcivescovo Segretario Monsignor Luis F. Ladaria, S.I., il Sotto-Segretario Monsignor Damiano Marzotto,
il Promotore di Giustizia p. Robert Oliver, insieme ai Capi Ufficio ed ai collaboratori della Congregazione per la
Dottrina della Fede esprimono profonda partecipazione al dolore della famiglia per la morte di
Monsignor
MARCELLO BORD ONI
per molti anni
apprezzato Consultore
della medesima Congregazione
ed offrono le loro preghiere in suffragio
del Defunto, chiedendo al Signore di
accoglierLo, in attesa della resurrezione,
fra i giusti che vivono alla Sua presenza.
Città del Vaticano, 28 agosto 2013
L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 29 agosto 2013
pagina 7
Allo studio provvedimenti per la formazione dei giovani medici
Pubblicato il messaggio integrale dell’episcopato degli Stati Uniti
In Australia gli ospedali cattolici
sono una risorsa
Un Labor Day
a tutela dei diritti
SYDNEY, 28. La Catholic Health Australia (Cha) ha accolto nei giorni
scorsi con favore l’impegno della
coalizione di Governo a estendere il
numero dei tirocinanti presso gli
ospedali privati, le case di cura regionali e i grandi centri medici al fine di poter formare i giovani australiani durante l’importante primo anno post-laurea in medicina.
Nell’annunciare la politica sanitaria della coalizione prima delle elezioni federali del prossimo 7 settembre, il leader del partito liberale Tony Abbott si è impegnato ad assicurare che in futuro ci saranno sufficienti posti di tirocinanti per i laureati in medicina per completare il
loro ultimo anno di formazione clinica. Per conseguire la qualifica di
medico, i laureati dovranno frequentare un anno di stage presso un
ospedale o un centro medico accreditato.
Martin Laverty, amministratore
delegato di Catholic Health Australia, ha espresso soddisfazione per
l’impegno della coalizione di investire quaranta milioni di dollari per
i tirocini medici del settore pubblico
così come per quelli non tradizionali, come gli ospedali privati o regionali. «Questa decisione — ha detto
— consentirà di soddisfare ogni anno le richieste di un numero sempre
più crescente di laureati in medicina
e scongiurare la crisi che si è verificata lo scorso anno, quando i laureati erano molti di più rispetto ai
posti disponibili presso gli ospedali
pubblici australiani».
Nel 2012 i posti disponibili per i
tirocini erano 3.091, con molti studenti che non hanno potuto completare il loro ultimo e importante
anno di formazione. La Australian
Medical Association è intervenuta al
riguardo invitando il Governo statale e federale ad affrontare con la
massima urgenza e concretezza il
problema, sottolineando che questo
deficit ha costretto centinaia di studenti a cercare uno stage all’estero
con il rischio di non tornare più in
Australia e proseguire altrove la propria carriera medica.
Il tentativo del Governo federale
di trovare posti per i laureati si è
fatto ancor più difficile lo scorso
novembre dopo che i Governi del
New South Wales e di Victoria si
erano rifiutati di mettere a disposizione i fondi necessari per finanziare i posti aggiuntivi avendo appena
dovuto affrontare gli enormi tagli
dei finanziamenti destinati dal
Commonwealth agli ospedali e al
settore della salute.
La Catholic Health Australia, che
rappresenta settantacinque ospedali
pubblici e privati in tutta l’Australia, ha da tempo sollecitato l’accreditamento degli ospedali privati e
regionali come istituti di formazione
medica. Anche lo scorso anno aveva
proposto agli ospedali pubblici metropolitani di poter offrire tirocini
per i laureati. «È stato un passo
avanti — ha detto l’amministratore
delegato della Cha commentando
gli ultimi annunciati provvedimenti
Convegno promosso dall’arcidiocesi di Asunción in Paraguay
La famiglia
e l’educazione alla sessualità
— ma oltre a questo non è stato fatto quasi nulla per prepararsi al numero maggiore di laureandi di quest’anno. Tuttavia, grazie agli sforzi
di grandi gruppi sanitari non governativi, oltre alla Cha e all’Australian
Medical Association, sono stati messi a disposizione quaranta milioni di
dollari per finanziare fino a cento
posti all’interno di ospedali privati
per i prossimi quattro anni, che si
aggiungeranno agli impegni di finanziamento vigenti in materia di
tirocini presso le strutture ospedaliere pubbliche, finanziati con il contributo dello Stato, nonché dal
Commonwealth e che costa circa
35.000 dollari ogni anno per ogni
laureato».
Con il numero di laureati in medicina in continua crescita fino al
2015-2016, quando questo dovrebbe
rallentare gradualmente, si dovrebbe
dunque poter fare fronte alle carenze di tirocinio con la creazione di
posti supplementari presso ospedali
privati e regionali e in altri ambienti
non tradizionali. Alcuni «politici e
burocrati», ha spiegato ancora Martin Laverty, sono ostinati nel loro
modo di intendere la formazione
dei laureati in medicina, «ma abbiamo cercato di dimostrare quanto
possa e debba essere prezioso il sistema ospedaliero cattolico, sia pubblico che privato, per la formazione
dei medici di domani». Laverty si
trova d’accordo con il leader
dell’opposizione quando afferma
che l’Australia dopo aver investito
nella formazione medica e clinica
degli studenti, dovrebbe compiere
ogni sforzo per garantire che il loro
lavoro venga utilizzato dentro i propri confini e che perciò i giovani
medici non siano poi costretti a
emigrare.
Se dovesse vincere la coalizione
di Governo, Abbott ha preso l’impegno di lavorare a stretto contatto
con gli Stati, i territori, le università,
gli ospedali privati e altri soggetti
interessati per migliorare il coordinamento nazionale per la richiesta e
l’assegnazione dei tirocini. Anche se
verranno messi a disposizione solo
340 milioni di dollari in quattro anni, in un bilancio sanitario annuale
di sessanta miliardi di dollari, molti
dei progetti consentiranno di porre
maggiore attenzione all’assistenza
primaria e in particolare alla medicina generale.
WASHINGTON, 28. «Individui, famiglie, Chiesa, organizzazioni, imprese, Governo, tutti abbiamo la responsabilità di promuovere la dignità del lavoro e di onorare i diritti
dei lavoratori. L’unico modo per ridurre il divario tra i ricchi e i più
poveri nella nostra nazione è la
creazione di posti di lavoro di qualità adeguata che garantiscano una
retribuzione equa e giusta che permetta ai lavoratori di vivere una vita
dignitosa per sé e per la propria famiglia». È quanto scrive in una lettera monsignor Stephen Edward
Blaire, vescovo di Stockton e presidente del Committee on Domestic
Justice and Human Development
della Conferenza episcopale degli
Stati Uniti in vista del Labor Day,
la giornata nazionale dedicata ai diritti dei lavoratori, che quest’anno si
celebra il 2 settembre.
Negli Stati Uniti — si legge nel
testo ora pubblicato integralmente
sul sito della Conferenza episcopale,
dopo che nei giorni scorsi ne era
stata data un’anticipazione — più di
quattro milioni di persone sono senza lavoro da più di sei mesi, un dato che per altro non tiene conto dei
milioni di persone che hanno semplicemente perso la speranza di un
impiego. Per ogni posto di lavoro
disponibile, ci sono cinque disoccupati. Questo divario occupazionale
spinge i salari verso il basso. La metà dei posti di lavoro in questo Paese rende meno di 27.000 dollari l’anno. Più di 46 milioni di persone vivono in condizioni di povertà, di
cui sedici milioni sono bambini.
«L’economia — spiega il presule —
non sta creando un adeguato numero di posti di lavoro che consenta ai
lavoratori di provvedere a se stessi e
alle proprie famiglie. Lavoro, salari
e povertà sono correlati».
Secondo il vescovo di Stockton
occorre ridurre prima possibile il
crescente divario tra i ricchi e i più
poveri nella nostra nazione, creando
nuovi posti di lavoro ben retribuiti.
«La disoccupazione e la sottoccupazione — aggiunge il presidente
del Committee on Domestic Justice
and Human Development — sono
collegate all’aumento della disuguaglianza dei redditi, ce lo ha ricordato anche Benedetto XVI nella Caritas
in veritate. In molti luoghi, la ricchezza e lo stato di necessità assoluta sono visibili molto spesso l’una
accanto all’altra. Basta guardare sotto i ponti e nei vicoli delle città. La
maggior parte delle persone aspira a
vivere in una società più equa, che
offra reali opportunità di crescita e
di sviluppo. Gli attuali squilibri non
sono inevitabili, ma esigono audacia
nel promuovere un’economia più
giusta che riduca la disuguaglianza,
attraverso la creazione di posti di lavoro che forniscano un salario di
sussistenza e la condivisione dei
profitti con i lavoratori. Ma si richiede inoltre una forte rete di sicurezza per i lavoratori disoccupati e
le loro famiglie e per coloro che sono incapaci di lavorare».
Monsignor Blaire ricorda che dalla fine della guerra civile, «i sindacati sono stati una parte importante
della nostra economia, perché forniscono tutele per i lavoratori e soprattutto un modo per i lavoratori
di partecipare alle decisioni azienda-
li che li riguardano. La Dottrina
cattolica ha sempre affermato il diritto dei lavoratori di scegliere di costituire un sindacato. L’aumento
della disuguaglianza del reddito ha
rispecchiato il calo degli iscritti al
sindacato. I sindacati, come tutte le
istituzioni umane, sono imperfetti, e
devono continuare a riformare se
stessi in modo da rimanere concentrati sulle questioni importanti della
vita, assicurando condizioni di lavoro sicure e promuovendo il bene comune. La Chiesa, coerentemente
con i suoi principi sulla vita e la dignità della persona umana, desidera
collaborare con i sindacati nel garantire i diritti e la dignità dei lavoratori». Infine, il vescovo pone l’attenzione sull’importanza degli immigrati per la società. «Dobbiamo
sostenere le politiche di immigrazione che facciano uscire i lavoratori
immigrati dall’ombra e che diano
loro uno status giuridico. Accogliamo con favore lo straniero, il rifugiato, il migrante, e gli emarginati,
perché sono figli di Dio».
Il 28 e il 29 settembre in tutte le parrocchie del Paese
Colletta in Canada
a sostegno delle diocesi
OTTAWA, 28. Il 28 e il 29 settembre prossimi si svolgerà in tutte le
parrocchie del Canada la tradizionale colletta nazionale per i bisogni della Chiesa. Promossa dalla
Conferenza episcopale (Cecc) sin
dal 1975, il ricavato servirà a sostenere le diocesi canadesi nella loro
missione pastorale. «Questa colletta — si legge in una lettera pastorale a firma dell’arcivescovo di
Edmonton e presidente della Conferenza episcopale canadese, monsignor Richard William Smith —
serve a sostenere il lavoro della
Cecc e delle diocesi. La nostra
Chiesa continua a essere chiamata
alla missione e al servizio del nostro mondo. Papa Francesco, e
Benedetto XVI, prima di lui, hanno sempre sottolineato l’importanza dell’impegno della Chiesa nella
carità, il servizio e la solidarietà. Il
ministero pastorale dei vescovi del
Canada — prosegue la lettera — è
parte della stessa dinamica. I vescovi sono testimoni e strumenti
della carità e della solidarietà,
ognuno di noi nella nostra Chiesa
diocesana, e tutti insieme uniti
nella collegialità episcopale, testimoniamo il Vangelo di Cristo, qui
e all’estero».
Con i fondi raccolti nella precedente colletta nazionale, la Conferenza episcopale ha provveduto a
realizzare numerosi progetti, promuovendo in particolare la settimana nazionale per la vita e la famiglia, realizzando materiale di
supporto per l’insegnamento della
fede cattolica e aiutando circa un
migliaio di ragazzi e ragazze canadesi a prendere parte alla passata
edizione della Giornata mondiale
della gioventù di Rio de Janeiro,
in Brasile.
Allo studio in Messico iniziative per impedire lo sfruttamento dei minori
L’infanzia tradita dei bambini lavoratori
ASUNCIÓN, 28. Si svolgerà ad
Asunción, dal 7 all’8 settembre
prossimo, il secondo Congresso
della famiglia organizzato dalla
pastorale familiare dell’arcidiocesi
paraguayana di Asunción.
L’evento, dal titolo: «Familia
formadora de persona» (Famiglia
formatrice della persona), ha
l’obiettivo di affrontare al meglio
la formazione delle famiglie paraguayane sulle tematiche relative alla sessualità e all’affettività, nonché
quello di valutare attentamente gli
ostacoli e le molteplici sfide per
una crescita integrale e dignitosa
per le generazioni future.
Tra gli argomenti che verranno
discussi durante le due giornate di
lavoro vi sono: «Il quadro giuridico relativo al nascituro», «L’ideologia del genere» e «Sfide e creatività nell’educazione sessuale nella
famiglia e nella scuola».
Inoltre, si svolgeranno alcune
conferenze su «Come educare i
nostri figli nel campo dell’affettività» e «L’aborto e la sua relazione
con la pillola del giorno dopo».
CITTÀ DEL MESSICO, 28. In America
Latina ci sono 14 milioni di bambini
lavoratori. Tra questi oltre tre milioni
vivono in Messico, piccoli e adolescenti che avrebbero diritto a una vita dignitosa, allo studio, a giocare
con i loro coetanei, a godere pienamente della loro età e che invece in
molti casi vengono costretti a lavorare. La Chiesa in Messico è in prima
fila sia nella denuncia sia nell’azione
concreta contro questo fenomeno.
Nel corso del recente pellegrinaggio
della diocesi di Tehuantepec presso
la Basilica di Guadalupe, il vescovo,
Oscar Armando Campos Contreras,
è tornato sulla questione, affermando
che «l’ingiustizia, l’impunità che si
riflette nella criminalità, la povertà
economica, che poi si trasforma in
miseria, non danno alcuna speranza
di sviluppo ai giovani, e li rendono
facile preda della criminalità organiz-
zata nella regione». E, nel corso del
medesimo pellegrinaggio, il vescovo
di San Cristobal de las Casas, Felipe
Arizmendi Esquivel, ha rese note le
denunce fatte dai giovani nelle parrocchie: «Vogliamo essere qualcuno
nella vita e avere una vita sicura; vogliamo vivere in fraternità e cambiare
questo presente». Il Governo, assieme alla Fundación Telefónica, è impegnato all’eradicazione di questo
grave fenomeno e, attualmente, in
diverse comunità tra le più remote e
emarginate dello Yucatan sostiene oltre novemila bambini offrendo assistenza psicologica, alimentare, educativa con l’obiettivo che non lascino
la scuola ed evitino di alimentare il
lavoro minorile. Solo in Messico circa settantamila bambini tra i più vulnerabili lavorano o abbandonano la
scuola.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
giovedì 29 agosto 2013
Il priore generale Robert Francis Prevost sottolinea il significato della visita del Papa
Agostiniani
sulle frontiere della missione
di NICOLA GORI
Ai 90 padri che si accingono a dare
vita al 184° capitolo generale dell’ordine di Sant’Agostino si unisce questo pomeriggio un ospite di eccezione. Papa Francesco, infatti, celebra
la messa con i capitolari alle 18 di
mercoledì 28 agosto, nella basilica
romana dei santi Trifone e Agostino
in Campo Marzio. «Un gesto grande e generoso che sicuramente lascerà un segno in questi lavori» afferma il priore generale Robert Francis
Prevost, che proprio in occasione
del capitolo conclude il suo secondo
mandato alla guida dell’ordine. Da
sempre in prima linea in campo missionario, gli agostiniani attendono
dal Pontefice conferme e indicazioni
«per rinnovare la nostra vita — aggiunge padre Prevost in questa intervista al nostro giornale — ed essere più fedeli nella nostra risposta alla Chiesa e al popolo».
Papa Francesco celebra la messa in occasione dell’inizio del vostro capitolo
generale ordinario. Che significato ha
questo gesto?
Per noi si tratta di una vera e propria primizia: un Pontefice viene a
celebrare l’Eucaristia in mezzo a noi.
La sua presenza è un gesto grande e
generoso, che sicuramente lascerà un
segno in questi lavori capitolari.
Confesso che siamo rimasti meravigliati quando, dopo aver domandato
di essere ricevuti in udienza dal
Santo Padre in occasione del nostro
capitolo, abbiamo saputo addirittura
che aveva deciso di celebrare la messa con noi nella chiesa di sant’Agostino, nel giorno della sua memoria
liturgica. Con questa scelta il Pontefice ha voluto manifestare la sua vicinanza al nostro ordine e di questo
evidentemente siamo molto grati.
Ricordo che quando il cardinale
Bergoglio veniva a Roma, si recava
spesso nella chiesa di sant’Agostino,
dove c’è la tomba di santa Monica.
Come figli spirituali del grande vescovo di Ippona, siamo consapevoli
che la presenza del Papa deve ricordarci anzitutto che essere agostiniani
significa appartenere alla Chiesa.
Noi abbiamo un legame molto speciale e grande con il Santo Padre,
come dice il santo, perché siamo
parte del corpo di Cristo. È ciò che
caratterizza l’essere figli di sant’Agostino.
Su quali temi si concentrerà l’attenzione dei padri capitolari?
Il capitolo ha due aspetti molto
importanti. Il primo è quello legato
all’elezione del nuovo priore generale; l’altro, più sostanziale, riguarda
l’elaborazione di un programma di
lavoro destinato a orientare la vita
dell’ordine per i prossimi sei anni,
attraverso l’individuazione delle sfide che si pongono alla Chiesa e alla
vita consacrata. La presenza del
Pontefice in questo momento, in un
anno veramente storico come quello
che la Chiesa sta vivendo, è ricca di
significato per noi e ha delle conseguenze pratiche. In primo luogo, ci
richiama a vivere in questo mondo,
con un’attenzione particolare al messaggio che Papa Francesco vuole
trasmettere a tutta la Chiesa: vicinanza ai poveri, a quelli che soffrono, ai più bisognosi. Queste sono
indicazioni che per noi religiosi,
membri di un ordine mendicante,
hanno un’importanza particolare.
Dai gesti del Santo Padre, dalle parole delle sue omelie e dei suoi discorsi, capiamo che anche per noi
agostiniani c’è una missione grande
da intraprendere per rinnovare la
nostra vita ed essere più fedeli nella
Una missione agostiniana in Perú
nostra risposta alla Chiesa e al popolo.
Guardando al futuro, si possono già
indicare prospettive e impegni alla luce
di quanto emergerà nel capitolo generale?
La prima cosa da tener presente è
sempre la necessità di un rinnovamento continuo della nostra vita di
consacrati. Siamo chiamati ogni
giorno a cercare le strade per essere
fedeli ai consigli evangelici che abbiamo professato. Quanto alle diverse missioni che abbiamo come agostiniani, dobbiamo valutare quello
che stiamo facendo a livello di educazione, ricerca, promozione culturale e missionaria, per capire se abbiamo la capacità di rispondere con generosità alle rinnovate sfide che la
Chiesa deve affrontare, anche
nell’ambito della nuova evangelizzazione.
Qual è il bilancio della sua esperienza
di questi dodici anni trascorsi alla guida dell’ordine?
Sto terminando il mio secondo
mandato e devo dire che è stata
un’esperienza veramente ricca. Ringrazio tutti i confratelli per questi
anni e per l’opportunità che ho avuto di servire l’ordine. Ho potuto vedere la Chiesa da vicino e toccare
con mano la multiforme realtà
dell’ordine agostiniano nei cinquanta Paesi di tutti i continenti dove
siamo presenti. Ho visto i luoghi e
ho sperimentato le situazioni in cui
la Chiesa forse ha più difficoltà nel
far sentire il suo messaggio agli uomini di oggi. Ma ho potuto constatare anche la vitalità di quelle zone
missionarie in crescita, laddove la
Chiesa sta facendo veramente un
servizio molto grande. Aver avuto la
possibilità di partecipare a tutte
queste realtà è stato un grande dono; e, allo stesso tempo, credo di essere riuscito ad accompagnare e incoraggiare i miei confratelli, perché
siano capaci di rispondere in modo
sempre più efficace alle sfide del nostro mondo.
Benozzo Gozzoli, «Agostino consegna la sua regola ai monaci» (1465)
Un programma di azione
per i prossimi sei anni
Il 184° capitolo generale ordinario dell’ordine di sant’Agostino
vede la presenza di 90 padri capitolari (9 membri della curia generalizia,
21 provinciali, 53 definitori e 7 invitati senza diritto di voto)
provenienti da diversi Paesi del mondo. Dopo la messa celebrata dal Papa
nella basilica romana dei santi Trifone e Agostino, i lavori proseguiranno
presso l’Istituto patristico Augustinianum. La conclusione
è prevista intorno al 20 settembre. Uno dei temi di studio del capitolo
sarà il documento approvato dal capitolo generale intermedio del 2010,
svoltosi nelle Filippine sul tema «L’unità dell’ordine al servizio
del Vangelo». Questo testo dovrà essere completato con le osservazioni
delle varie circoscrizioni e delle comunità e con le risposte
del questionario già inviato. Nelle sessioni plenarie — oltre all’elezione
del nuovo priore generale e dei membri del consiglio — si definirà
anche il programma dell’ordine per il prossimo sessennio. I capitoli
generali ordinari si celebrano infatti ogni sei anni; tra una convocazione
e l’altra, trascorsi tre anni, si svolge invece il capitolo generale intermedio,
che secondo le Costituzioni viene celebrato «allo scopo di favorire
lo spirito di aggregazione della Chiesa e dell’Ordine e perché le Province
si conoscano meglio reciprocamente».
A Bucarest il 31 agosto la beatificazione del sacerdote martire Vladimir Ghika
Principe per nascita, mendicante per amore
di IOAN ROBU*
«Mamma, mamma, guarda laggiù
come il cielo bacia la terra!». Benché
bella e poetica, questa esclamazione
legata alla scoperta dell’orizzonte
non avrebbe nulla di speciale se non
fosse per il suo autore, che all’epoca
in cui la pronunciava aveva appena
tre anni e mezzo, ossia l’età del gioco e della spensieratezza. Quel bambino che riusciva a esprimere in modo così efficace l’intuizione dell’amorevole presenza divina era
Vladimir Ghika, poi divenuto sacerdote e quindi ucciso in odio alla fede a Bucarest il 16 maggio 1954,
all’età di 80 anni. Il prete romeno
sarà beatificato sabato 31 agosto, nel
corso di una cerimonia nella capitale
del Paese, dal cardinale Angelo
Amato, prefetto della Congregazione
delle Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Francesco.
Il piccolo Vladimir non avrebbe
mai perso di vista il costante “bacio”
di Dio all’umanità. E quando l’amore divino divenne certezza incrollabile della sua vita, Ghika si trasformò
in un testimone vivente del Deus caritas est.
Nato il 25 dicembre 1873 in una
nobile famiglia romena, ricevette i
sacramenti dell’iniziazione cristiana
nella Chiesa ortodossa. Durante gli
studi effettuati in Francia subì l’influenza dell’ambiente protestante per
poi approdare — dopo innumerevoli
letture, studi e meditazioni — al cattolicesimo. Conseguì la licenza e il
dottorato in filosofia e teologia nel
collegio San Tommaso a Roma. Nel
1902 fece il suo ingresso ufficiale
nella Chiesa cattolica, con l’atto di
fede nella basilica romana di Santa
Sabina all’Aventino. Resterà tuttavia
in lui uno spirito profondamente
ecumenico, fedele al sogno di un solo gregge e un solo pastore per il
quale egli spese tutta la vita.
Chi è stato Vladimir Ghika? Prima di tutto un grande dono che Dio
ha fatto al popolo romeno e alla
Chiesa universale. Se dovessi descriverlo in poche parole, direi che è
stato un “principe” per nascita che
ha seguito la via regale della Croce,
diventando per scelta un “mendicante” di amore per Cristo, con la convinzione che non amiamo Dio come
si dovrebbe se nel nostro amore verso di lui non riusciamo a farlo amare
anche dagli altri.
Ghika è stato un portatore della
croce. Ma la sua via crucis era destinata a diventare una via resurrectionis, grazie all’esempio della sua vita
e del martirio. Egli è diventato un
faro non solo per la gente del suo
tempo ma anche per le generazioni
future. Quando divenne sacerdote, a
50 anni, aveva già percorso un cammino in cui, dopo aver conosciuto la
misericordia di Dio, era diventato
egli stesso una viva immagine
dell’amore e della compassione divi-
na. Prima di celebrare la liturgia eucaristica aveva già praticato intensamente la cosiddetta “liturgia” del
prossimo, della carità cristiana e del
sacrificio di sé. Infatti, il metro di
misura di tutta la sua vita sacerdotale fu una domanda che arrivava nel
proprio cuore dall’altare: «Oh, mio
sacerdote, come ardirai a sacrificare
Me, effettivamente e totalmente, se
prima non hai sacrificato te stesso,
effettivamente e totalmente?».
Nel suo percorso verso il sacrificio
eucaristico, Ghika non evitò mai i
deserti dei tanti cuori umani afflitti
o smarriti, in cerca di aiuto, consiglio, consolazione e benedizione. Il
suo cammino umano e sacerdotale
non fu progettato secondo calcoli o
interessi terreni, bensì guidato da un
unico pensiero: fare la volontà di
Dio e rispondere alle sue attese, nel
desiderio di raggiungere la salvezza
propria e quella del prossimo.
E Pio XI lo chiamava
«il grande vagabondo apostolico»
«Il grande vagabondo apostolico»: così Pio XI chiamava
Vladimir Ghika per sottolinearne la instancabile attività missionaria.
Non a caso lo stesso Pontefice gli aveva concesso il permesso
di celebrare la messa sia in rito latino che in quello orientale,
e la facoltà di svolgere il suo ministero in ogni parte del mondo,
a beneficio delle più diverse categorie di fedeli. Da laico,
già durante la prima guerra mondiale Ghika viaggiò continuamente
tra Francia, Italia e Romania per assistere i prigionieri
e i feriti. Nel 1915 prese parte alle operazioni di soccorso
delle vittime del devastante terremoto nella Marsica,
in Abruzzo. Dopo l’ordinazione sacerdotale, la sua scelta di povertà
lo portò tra il 1923 e il 1939 a svolgere il suo ministero
tra le baracche dei quartieri periferici parigini Gentilly e Villejuif.
Fu nominato da Papa Ratti protonotario apostolico e in tale veste
prese parte a molte missioni in diversi Paesi del mondo:
viaggiò in Africa e in America latina, si recò in Giappone
e in occasione dei congressi eucaristici fu tra l’altro anche a Sydney,
Dublino, Buenos Aires, Manila e Budapest.
Se da un lato potrebbe risultare
relativamente semplice tracciare la
mappa dei numerosissimi viaggi
compiuti da quest’instancabile apostolo del XX secolo, non è altrettanto
facile descrivere la ricchezza delle
sue riflessioni dedicate al mistero di
Dio in relazione all’animo umano.
Tuttavia il comune denominatore
delle sue meditazioni resta la continua ansia di scoprire l’intervento di
Dio nella salvezza dell’uomo e di esserne strumento. Soltanto così si
spiega l’instancabile andare in cerca
delle anime perdute, lontane da Dio,
unito alla speciale cura per gli ammalati e i bisognosi. Ghika aveva capito che l’autentico abbraccio del
Cielo alla terra non avveniva all’orizzonte, ma nell’anima dell’uomo, per
cui non bisognava tenere lo sguardo
puntato lontano, bensì vicino, verso
il prossimo bisognoso di aiuto e di
speranza.
Di lui parlano soprattutto i gesti e
le azioni, la sua vita santa coronata
da una morte da martire nel carcere
politico di Jilava. Bisogna essere
grati a Dio che ci ha donato l’esempio di questo “principe” della carità
il cui insegnamento spirituale si potrebbe concentrare in tre temi: vita
sempre consapevole e animata dalla
presenza reale di Dio, preghiera continua e “liturgia” del prossimo. La
sua ferrea convinzione era che «nulla ci può avvicinare di più a Dio che
il prossimo». Va ricordato che il
principale apostolato al quale si dedicò fu quello di riportare le anime
smarrite alla casa del Padre, e per
compiere tale missione non tenne
conto né delle distanze geografiche,
né del ceto sociale, né della nazionalità. Fu un grande apostolo della carità: non bisogna dimenticare che
nel 1904 conobbe suor Vincenza
Pucci, delle Figlie della carità di San
Vincenzo de’ Paoli, e questo incontro lo aiutò a delineare il suo progetto per le opere di assistenza e solidarietà verso i più bisognosi, tanto che
due anni dopo, nel
1906, aprì a Bucarest il
primo
ambulatorio
medico gratuito. Ma
la sua carità non si limitó ai poveri, agli
ammalati e alle vittime
delle calamità naturali,
ma fu soprattutto rivolta a chi era lontano
da Dio. Per lui la più
grande povertà, malattia e calamità era l’assenza di Dio nella vita
di una persona, l’abbraccio mancato di
Dio, impedito talvolta
dal rifiuto consapevole
dell’uomo.
Ghika era un sacerdote che — come direbbe Papa Francesco
— è uscito dalla propria logica per entrare
nella logica di Cristo,
un pastore che stava
in mezzo alle sue pecore tanto da prendere
il loro odore.
Va anche detto che
le sue pecore — a forza di stargli accanto —
hanno preso il suo
profumo di santità,
come testimoniano le numerose conversioni di persone che l’hanno conosciuto e i tanti figli spirituali che
lo cercavano continuamente per avere i suoi consigli e il suo sostegno
nelle difficoltà di tutti i giorni. Ghika fu padre spirituale di numerosi
giovani affascinati non solo dalla sua
personalità e cultura e dalle conoscenze che lo avevano portato a parlare numerose lingue: quello che li
attirava era soprattutto la percezione
della presenza di Dio in lui, quell’inconfondibile profumo di santità.
I giovani, come tutti quelli che
hanno conosciuto monsignor Ghika,
non possono non rimanere affascinati da quest’uomo di nobili origini,
con davanti delle prospettive favolose, destinato a una carriera diplomatica brillante, imparentato con le teste coronate di tutta l’Europa, stimato, accolto come un re in tutti i salotti culturali dell’Europa, che ha rinunciato a tutto per servire umilmente Cristo, fino ad arrivare a dormire sulla panca di una baracca a
Villejuif, nella periferia di Parigi, per
vivere da povero con i poveri. Un
uomo che ha incontrato Cristo. E ha
capito che con Lui si può anche non
possedere niente, perché nel cuore
risuona una certezza: io non manco
di nulla.
*Arcivescovo di Bucarest
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