Religioni E U RO PA u n islam europeo 30 anni di dialogo cristiano-musulmano I l suo nome è una sigla che suona un po’ astrusa: CRME, dall’inglese Committee for the Relationship with Muslims in Europe (Comitato per le relazioni con i musulmani in Europa), e designa l’unico gruppo di lavoro misto espressione della Conferenza delle Chiese europee (KEK), che rappresenta le Chiese luterane, calviniste, anglicane e ortodosse e del Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE), in rappresentanza della Chiesa cattolica. Questo comitato misto raccoglie una doppia sfida: quella di coniugare la ricchezza, ma anche le profonde differenze proprie al contesto ecumenico, e l’impegno interreligioso comune, orientato in particolare all’incontro tra cristiani e musulmani. Si stima che oggi in Europa vivano dai 20 ai 24 milioni di musulmani. Se per molti paesi, soprattutto del Nord, si tratta di una novità degli ultimi anni, per certi paesi come la Bulgaria, l’ex Yugoslavia o la Grecia, la presenza di musulmani risale all’epoca dell’Impero Ottomano. Da alcuni anni ormai, questo islam europeo assume un profilo sempre più istituzionale: è stato creato un Consiglio europeo per le fatwa (decreti di carattere religioso promulgati dai dotti islamici che regolano concretamente il comportamento dei musulmani o che rispondono a interrogativi più teologici), così come esistono ormai diverse associazioni islamiche ufficiali. Circa 400 di queste, hanno firmato nel gennaio di quest’anno la Carta dei musulmani d’Europa, con l’inten- to di promuovere un islam che rifiuti ogni forma di estremismo, che condanni il terrorismo e l’interpretazione violenta della jihad, oltre che affermare la parità tra uomo e donna. Questa Carta di sei pagine si rivolge prima di tutto al mondo islamico stesso e poi alle altre comunità religiose europee, chiedendo il riconoscimento dei musulmani come comunità religiosa europea, ricordando che una «mutua accettazione fondata sul dialogo e la conoscenza reciproca giova alla pace, al benessere delle nostre società e aiuta a rimuovere estremismo ed esclusione». Il documento si concentra in particolare, dunque, sul ruolo dei musulmani nella società, sollecitando un’integrazione positiva «sulla base di un equilibrio armonioso fra il mantenimento dell’identità islamica e i doveri di cittadinanza». Il cammino da fare appare ancora molto lungo, ma la Carta dei musulmani d’Europa esprime la crescente consapevolezza della necessità di uno sforzo maggiore di adattamento alle società occidentali, che anima una parte importante dei musulmani d’Europa. Per il raggiungimento di questo obiettivo, nel mondo islamico stesso si sente un forte bisogno di formazione, di approfondimento delle proprie radici spirituali e, non ultimo, di una maggior istituzionalizzazione e strutturazione dell’islam stesso. Al la ricerca del contat to Fin dagli anni Settanta il Segretariato vaticano per i non cristiani aveva orientato l’attenzione delle Chiese europee all’importante fenomeno della migrazione musulmana nel cuore dell’Europa. In occasione di un incontro svoltosi nel novembre del 1976 a Mödligen (Austria) fu istituito un primo gruppo di lavoro composto da 19 delegati cattolici e 5 musulmani per studiare la situazione e suggerire degli orientamenti di impegno alle conferenze episcopali in Europa. Nell’ottobre del 1978, anche la KEK decise di creare una commissione consultativa chiamata «Islam in Europa» per studiare le implicazioni teologiche del dialogo islamo-cristiano. Fu però solo nel 1986, durante una riunione del Comitato misto CCEE e KEK, che si decise la creazione di un gruppo di lavoro congiunto per «Islam in Europa». Si optava all’epoca per la costituzione di un comitato esecutivo composto da 8 membri e di un comitato allargato composto da 18 membri, per poter coinvolgere il maggior numero possibile di Chiese della KEK e del CCEE. I risultati di quasi cinque anni di riflessione vennero presentati in un simposio organizzato a Birmingham nel 1991 e pubblicati in un opuscolo intitolato «La presenza dei musulmani in Europa e la formazione teologica dei collaboratori ecclesiastici», tradotto in sei lingue. Nel febbraio 1994, il secondo mandato del comitato iniziava con alcune novità. La sua struttura, un po’ alleggerita, veniva definita in un unico gruppo di lavoro composto da 12 membri che si riunivano due volte all’anno, con una seduta a Gine- IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 669 vra (caratterizzata da un lavoro d’elaborazione di testi) e una seduta in sedi differenti (nel 1995 a Córdoba, nel 1996 a Sofia, nel 1997 a Limassol) per prendere contatti più diretti con i responsabili delle Chiese e i leader di comunità islamiche. Durante questo mandato, che si concluse con la II Assemblea ecumenica europea a Graz nel 1997, il comitato lavorò a due documenti principali inerenti al matrimonio islamo-cristiano e alla reciprocità nel dialogo islamo-cristiano, oltre che alla creazione di una rete di contatti tra persone appartenenti alle diverse Chiese o a istituzioni cristiane attive nel settore del dialogo islamo-cristiano. Il terzo mandato del comitato iniziò nel gennaio 1999 e si concluse nel giugno 2003, senza cambiamenti strutturali. Il quarto mandato del comitato, che si concluderà a breve, ha avuto inizio nel 2004. Per un anno i membri della KEK si sono trovati da soli e solo l’anno seguente erano ritornati alla modalità mista, con 8 membri per parte. La rappresentatività del comitato in seno all’Europa era importante, ma i paesi del Nord restavano preponderanti, penalizzando un po’ le aree geografiche più significative per la presenza islamica. Il programma di lavoro era sempre assai denso e i membri del comitato cercavano d’intensificare anche gli scambi tra le due sessioni annuali. Gli obiettivi principali erano più o meno gli stessi: scrivere dei testi che mettessero a disposizione di un uditorio più vasto il frutto delle riflessioni concernenti gli aspetti istituzionali, sociologici e religiosi della presenza dei musulmani in Europa; essere il più possibile a servizio delle Chiese d’Europa nel lavoro di discernimento sulle questioni concrete del vivere comune quotidiano, ma c’era anche un grande sforzo organizzativo: la preparazione di un forum sul dialogo interreligioso alla III Assemblea ecumenica europea di Sibiu, nel settembre 2007, e di una conferenza europea cristiano-musulmana sul tema: «Essere un cittadino dell’Europa e una persona di fede. Cristiani e musulmani come partner attivi nelle società europee», conclusosi a Malines-Bruxelles (20-23 ottobre). 670 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 Nel le biblioteche, non nel le piazze L’esperienza di condivisione maturata in quattro anni di lavoro del CRME, ha permesso prima di tutto di far crescere la coscienza delle talvolta profonde differenze che caratterizzano non solo l’approccio alla questione multiculturale e multireligiosa nei diversi paesi europei, ma anche in seno al mondo cristiano stesso. Sensibilità diverse, storie e culture diverse, un approccio talvolta più intellettuale e teoretico contro uno più esistenziale e pastorale: sono alcuni degli aspetti all’origine della diversità delle posizioni e dei necessari compromessi. Anche se spesso l’impressione è quella di avanzare molto poco, ciò che si ottiene con una sofferta mediazione assume un valore particolare e aiuta a essere più sensibili alle profonde differenze che caratterizzano il mondo islamico. Non solo, la necessità d’interagire maggiormente con i partner musulmani in Europa ha talvolta aiutato il comitato a uscire dalle secche di contrapposizioni ataviche tra Chiese o tra una visione occidentale e una orientale delle problematiche. Se per parecchi anni il gruppo di lavoro ha riflettuto per lo più in assenza di referenti musulmani (per altro regolarmente contattati da molti membri del comitato nei rispettivi paesi di provenienza), nel prosieguo del cammino, poco a poco alcuni musulmani sono stati coinvolti direttamente nel dibattito. Se resta sempre particolarmente acuto il problema di una rappresentatività all’interno del mondo islamico, la possibilità di sottoporre «al credente altro», la pertinenza di certe interpretazioni e la praticabilità di certe proposte è stata, comunque, molto proficua. In un’intervista rilasciata poco tempo dopo la lezione di Ratisbona, Mohammed Arkoun, intellettuale musulmano di spicco (professore emerito alla Sorbona e a Princeton), pur criticando l’idea che non esista nel pensiero islamico e nelle sue espressioni un’intima relazione tra la ragione e la fede, ebbe modo di lamentare l’imbarbarimento e l’incapacità dell’islam di esprimere attualmente una seria riflessione intellettuale. Nella stessa intervista, Arkoun ricordava di aver ricevuto numerosi consensi affermando che dopo la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, i musulmani non avrebbero dovuto scendere in strada a dimostrare contro di lui, ma correre nelle biblioteche ad apprendere ciò che è accaduto al pensiero islamico dopo il XIII secolo. Ora, a partire dalla nostra esperienza di questi anni, se guardiamo all’islam europeo, non è tanto la mancanza di un apporto intellettuale a preoccupare, quanto una difficoltà a mettere in relazione riflessione intellettuale e formazione quotidiana del semplice credente. Detto altrimenti, è molto difficile far incontrare la prospettiva dei firmatari della lettera dei 138 intellettuali islamici con quella degli imam di quartiere, a contatto con la base credente. Questo problema è emerso in modo chiaro nel corso della conferenza europea cristianomusulmana, a Malines-Bruxelles, a cui hanno partecipato 45 rappresentanti cristiani e musulmani di 16 paesi d’Europa e organizzata nel quadro dell’anno europeo del dialogo interculturale. Cit tadinanza condivis a e neutralità benevola Coscienti che non basta oggi, nel cuore della società europea, un formale rispetto della fede altrui, la conferenza promossa dal CRME introduce, fin dal titolo, il concetto di «cittadinanza condivisa»: cosa significa essere un cittadino d’Europa e persona di fede? In sostanza, come cristiani e musulmani possono essere partner attivi nelle società europee, superando le tensioni e i conflitti del passato – e del presente – e sostenendo un processo politico verso un mondo più pacifico, più giusto e fondato sulla partecipazione? Il confronto è stato tutt’altro che formale fin dalle relazioni introduttive chiamate a offrire la prospettiva cristiana e quella musulmana sui temi trattati.1 Sono emersi alcuni tratti comuni essenziali che potremmo così sintetizzare: per un credente europeo, sia esso cristiano o musulmano, dottrina religiosa e doveri di cittadinanza non possono essere contrapposti (detto altrimenti, mai le ragioni religiose potranno giustificare un’offesa a un giusto ordine giuridico dello stato); l’antidoto al conflitto delle civiltà è un vero investimento nell’educazione interculturale, nell’educazione al rispetto del pluralismo religioso, alla cittadinanza democratica, alla pace e alla cooperazione internazionale; più che di laicità dello stato, sembra oggi più essenziale parlare di «neutralità benevola» verso la dimensione sociale delle religioni. Certamente l’adattamento a un regime di «neutralità benevola» implica un grande sforzo anche da parte delle religioni chiamate a un lavoro teologico sulla propria identità, a una rivisitazione delle proprie fonti ispiratrici e della propria tradizione in rapporto con una storia in cammino. C’è un sostanziale accordo nel rilevare che cristiani e musulmani sono chiamati a diventare sempre più partner attivi nella società europea, soprattutto nella difesa della libertà religiosa e della libertà di coscienza, nel rifiuto dell’esclusione (antidoto essenziale contro ogni forma di ripiego integrista delle religioni), nella promozione di un vero servizio all’uomo, nel dialogo delle culture e delle religioni. La prosecuzione della condivisione e del dibattito in piccoli gruppi tematici, ha permesso ai partecipanti della conferenza di Malines-Bruxelles, di confrontarsi più direttamente sul ruolo delle religioni nella società secolarizzata, sulle religioni al loro interno (la non facile conciliazione di un bisogno d’istituzionalizzazione dell’appartenenza religiosa e la sempre essenziale pratica individuale della fede), su come l’educazione possa promuovere mutuo rispetto e comprensione, su come costruire ponti tra comunità di religioni diverse. La Dichiarazione comune finale, adottata dall’assemblea plenaria, presenta alcune affermazioni estremamente importanti ed è frutto di una condivisione vera tra cristiani e musulmani. Unanimemente si guarda all’Europa come un laboratorio privilegiato in cui cristiani e musulmani possano sentirsi ed essere rispettati come credenti e come cittadini, perché preservati dalla necessità di scegliere tra lealtà civica e fedeltà alle proprie convinzioni religiose. È su queste basi che deve fondarsi la necessaria e indispensabile integra- zione che sa coniugare la ricchezza della diversità con il rispetto delle regole democratiche. Il cammino da fare è ancora lungo, ma una maggior fiducia reciproca, alimentata dall’ascolto dell’esperienza e delle ragioni dell’altro, diventa condizione essenziale per un dialogo possibile malgrado le tante ferite della storia passata ancora da sanare. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo viene adottata come perno centrale di una promozione condivisa di alcuni valori umanisti essenziali: il ruolo vitale della famiglia, la dignità umana, la giustizia sociale, la difesa dell’ambiente. Chi conosce più da vicino le vicende dell’islam sa bene che l’accettazione dell’universalità della Dichiarazione dei diritti dell’uomo non è mai stata scontata. È il nuovo volto di un islam che si vuole europeo e che, come tale, rivendica una triplice autonomia rispetto ai paesi d’origine di una buona parte dei musulmani dell’immigrazione: indipendenza politica, finanziaria e anche teologica.2 Alle istituzioni cristiane, così come alle istanze politiche europee, va il compito di sostenere ed incoraggiare questa evoluzione in atto in seno all’islam, investendo nella formazione al dialogo e alla diversità a partire dalle giovani generazioni. Claudio Monge* * Domenicano, responsabile del Centro per il dialogo di Istanbul, docente di Teologia delle religioni a Friburgo e a Bologna, membro del Comitato CCEE-KEK per le relazioni con i musulmani in Europa (CRME). 1 Due sono state le relazioni principali della giornata introduttiva: quella dell’imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini, vicepresidente della Comunità religiosa islamica italiana (COREIS) e quella del card. Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux e vicepresidente del CCEE. 2 Riguardo quest’ultimo aspetto, suona particolarmente forte il richiamo di alcuni partner musulmani che contestano le «fatwa cibernetiche» (cyber fatwa), rivendicando il diritto e dovere degli imam locali di orientare la pratica e il comportamento dei fedeli nei paesi stessi dove si trovano a vivere, respingendo quei pronunciamenti che, arrivando da migliaia di chilometri di distanza, risultano disincarnati e quindi non adeguati a interpretare la complessa realtà europea. Roma Cattolici musulmani Dopo la lettera, l’incontro D al 4 al 6 novembre si è svolto a Roma presso l’Università gregoriana il forum cattolico-musulmano. Ventinove persone, per ciascuna delegazione (la cattolica guidata dal card. J.-L. Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e l’islamica da S. Hossein Nasr e Mustafa Cerić), hanno dato vita a un appuntamento che mostra la fecondità del dialogo iniziato con la Lettera dei 138 sapienti islamici ai responsabili delle Chiese cristiane (cf. Regno-doc. 19,2007,588ss; 9,2008,314ss; Regno-att. 20,2007,680; 22,2007,755; 4,2008,88; 8,2008,240). «Nell’insieme è stato un incontro molto positivo. Forse il migliore tra quelli che i sapienti hanno avuto con molti interlocutori in giro per il mondo. Altrove abbiamo trovato minori distanze teologiche, meno punti di diversità, più facile intesa sulle cose da fare, ma non il clima intenso di riflessione teologica, la dimensione specificamente spirituale e la disponibilità a confrontarsi sui temi scomodi, ma reali, che abbiamo trovato a Roma. Forse il parallelo andrebbe fatto con il clima dell’incontro interreligioso di Assisi del 1986»: le affermazioni sono di un partecipante di parte islamica e concordano con le testimonianze cattoliche. Una parola comune Il tema è stato «Amore di Dio, amore del prossimo» e ha riecheggiato la lettera del 2007: Una parola comune tra noi e voi. I due giorni di confronto hanno avuto due titoli diversi: «Fondamenti teologici e IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2008 671