www.informatoreagrario.it Edizioni L’Informatore Agrario Tutti i diritti riservati, a norma della Legge sul Diritto d’Autore e le sue successive modificazioni. Ogni utilizzo di quest’opera per usi diversi da quello personale e privato è tassativamente vietato. Edizioni L’Informatore Agrario S.r.l. non potrà comunque essere ritenuta responsabile per eventuali malfunzionamenti e/o danni di qualsiasi natura connessi all’uso dell’opera. VITICOLTURA ● L’ESPERIENZA DELLA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA Conoscere il patrimonio viticolo per tutelarlo di S. Meglioraldi, P. Ruffa, S. Raimondi, M. Storchi, D. Torello Marinoni, M. Vingione, P. Boccacci, A. Schneider L’ erosione del patrimonio viticolo italiano, uno dei più ricchi d’Europa, è stata, com’è noto, di forte intensità, soprattutto a partire dal secolo scorso. La distruzione e la ricostituzione dei vigneti a seguito dell’invasione fillosserica, l’abbandono di vitigni sensibili a oidio e peronospora, nonché la necessità di fornire un prodotto di qualità riconosciuta e costante per far fronte allo sviluppo del mercato del vino nella seconda metà del XIX secolo, sono tra le principali cause che hanno avviato tale progressivo impoverimento. Successivamente, altri eventi hanno contribuito all’abbandono dei vitigni locali, tra questi: l’urbanizzazione dei territori e l’abbandono delle campagne; il cambio generazionale nel mondo rurale; il passaggio da una viticoltura promiscua a una specializ- zata; l’esclusione di molte cultivar locali dall’autorizzazione alla coltura in base al regolamento Cee del 6-10-1970; la necessità di rispondere alle richieste di un mercato vitivinicolo globalizzato e far fronte a una maggiore competitività internazionale. La viticoltura reggiana Per quanto riguarda la provincia di Reggio Emilia, nella seconda metà del XX secolo si è verificata una profonda trasformazione del comparto viticolo, con il passaggio da una viticoltura promiscua, con viti maritate a tutori vivi alternate a colture erbacee, a una di tipo specializzato. Nell’arco di un quarantennio la superficie a coltura promiscua, che era di quasi 100.000 ettari, si è praticamente azzerata (Storchi, 2002), mentre sono stati impiantati 12.000 ettari di vigneto specializzato, ridottisi poi di circa un terzo negli ultimi anni (vedi grafico in Salvaguardia e valorizzazione del patrimonio viticolo varietale impongono conoscenze precise. Indagini realizzate nel Reggiano ne evidenziano la complessa ricchezza varietale, con sinonimie e unicità rispetto ai patrimoni di altre zone viticole europee internet all’indirizzo riportato a fine articolo). Un tale rinnovamento dei vigneti reggiani ha inevitabilmente determinato la perdita di una parte importante del patrimonio varietale esistente. Nell’ultimo decennio, con l’avvento della vendemmia meccanica, è iniziata una ulteriore fase di trasformazione: circa 2.300 ettari (pari al 30% della superficie vitata), di forma espansa tradizionale della zona («semi-Bellussi»), sono stati rinnovati con nuove forme di allevamento meccanizzabili. Anche in questo caso si è determinata una erosione dell’assortimento varietale. 2 1 50 1. Ceppo di vite ultracentenario della varietà per ora non identificata, denominata Sconosciuta di Castellarano (Reggio Emilia) con il proprietario Nando Lucenti. 2. Una pianta centenaria di Malbo gentile nel medesimo podere allevata a raggi L’Informatore Agrario • 23/2013 © 2013 Copyright Edizioni L'Informatore Agrario S.r.l. VITICOLTURA Contrastare l’erosione dei genotipi tradizionali Per contrastare tale fenomeno, nel Reggiano come in altre zone d’Italia, si sono messe in atto strategie per conservare il patrimonio genetico esistente prima della sua definitiva scomparsa, al fine di salvaguardare una memoria culturale collettiva e di conservare caratteristiche genetiche potenzialmente utili. In ambito enologico, infatti, preservare un’ampia gamma di caratteri varietali locali può tradursi nell’offerta di prodotti diversificati e originali, che rispondono all’attuale interesse del consumatore per i vitigni «dimenticati» e per un consumo sostenibile attento alla valorizzazione del territorio. L’attenzione verso i vecchi vitigni del Reggiano si giustifica anche per un’altra ragione: non è improbabile che antiche varietà abbandonate perché maturavano troppo tardivamente, come certi Lambruschi, o perché dotate di un contenuto acidico elevato, sgradito al consumatore, possano oggi tornare utili proprio al fine di mantenere una certa acidità naturale nei vini, acidità che si va riducendo per il progressivo innalzamento delle temperature conseguente ai cambiamenti climatici. Tra gli altri aspetti che sottolineano l’importanza di conservare il patrimonio varietale in questa zona, vi è la recente necessità di allungare il periodo vendemmiale a seguito della diffusione della vendemmia meccanica, sfruttando la diversità dell’assortimento varietale e il recupero di varietà meno suscettibili a malattie di attuale diffusione e, spesso, di carattere epidemico, come le fitoplasmosi. La Fogarina, vecchio vitigno del Reggiano, è un esempio di fortunato recupero operato dal Consorzio per la tutela e la promozione dei vini dop «Reggiano» e «Colli di Scandiano e di Canossa» in collaborazione con la Cantina Sociale di Gualtieri. Ritenuta ottima nel XIX secolo per vini da taglio (Balletti e Gatti, 1886), intensamente coltivata nella zona a margine del Po nei primi decenni del Novecento (con produzioni annue di 350.000 q/ha di uva) e successivamente abbandonata, è stata recuperata e promossa sul mercato, realizzando specifiche tipologie di vino di qualità, riconosciute tipiche della zona e particolarmente apprezzate. Altre varietà recuperate sempre dal Consorzio, come Terma- ESAME DELLE NORMATIVE VIGENTI IL CONCETTO DI VITIGNO AUTOCTONO Sebbene il termine vitigno autoctono indichi una varietà di vite originaria, nativa di una certa area, nel nostro Paese esso designa di solito un vitigno tradizionalmente coltivato in un certo luogo, indipendentemente dalla sua origine, incerta nella maggior parte dei casi. Lontano dal rigoroso rispetto del significato linguistico, dunque, si può ben dire che il termine autoctono sia diventato in Italia una delle parole più modaiole del marketing enologico. Uno studio condotto dalla dottoressa Giusi Mainardi sulla frequenza di utilizzo dell’aggettivo autoctono sul web e nelle pubblicazioni a stampa che riguardano il vino, vede il nostro Paese di gran lunga in cima alla classifica degli utilizzatori, seguito dagli spagnoli e, ben distaccati, dagli altri Paesi viticoli che, assai più prudentemente, definiscono i vitigni, da tempo coltivati in un certo luogo, come locali (inglesi) o tradizionali (francesi). Altrettanto poco rigorosa è la definizione che la legislazione nazionale dà per le varietà di vite autoctone (legge n. 82 del 2006, ocm vino, art. 2, e accordo della Conferenza permanente Stato-Regioni, seduta del 3-2- 2005), con cui si intendono le cultivar presenti da almeno 50 anni in una determinata area. Ma se nel caso di colture erbacee e ortive il limite temporale di 50 anni di coltura (ovvero 50 cicli colturali) può magari apparire congruo, non si può dire altrettanto per le specie arboree, per le quali 50 anni corrispondono a uno o al massimo due cicli colturali. Va da sé che, se mai ancora non lo fossero, nel giro di pochi anni molti vitigni diventerebbero autoctoni più o meno ovunque in Italia. Da uno sguardo alle leggi sulla tutela delle risorse genetiche di interesse agrario in ambito regionale, emergono, poi, evidenti difformità. Mentre nel Lazio (lr n. 15 del 1-3-2000) sono defi nite autoctone «anche specie, razze, varietà e cultivar di origine esterna, introdotte nel territorio regionale da almeno cinquant’anni» e «integratesi nell’agroecosistema laziale», altre normative, ad esempio quelle di Marche e Umbria, distinguono varietà autoctone (originarie della zona) da altre non autoctone, tradizionalmente coltivate nella regione da più di 50 anni. • rina e Lambrusco Barghi, non hanno In quest’ottica, il vitigno o i vitigni loavuto, per ora, la medesima fortuna cali, che da noi si definiscono autoctoni commerciale, anche se alcuni produt- (anche se questo non è forse il termine più appropriato, vedi riquadro «Il contori le osservano con interesse. Questi e altri vitigni rinvenuti sul cetto di vitigno autoctono»), si afferterritorio regionale, 36 in tutto, sono mano come strumento di marketing e stati inseriti nel «Repertorio volonta- comunicazione (Fontana, 2006). Diventa, dunque, oltremodo necesrio regionale delle risorse genetiche agrarie» creato nel 2008 dalla Regio- saria un’indagine approfondita sui vitigni locali minori o rari ne Emilia-Romagna (lr di ogni area, individuan1/2008), ai fini della salForte risulta do con precisione l’idenvaguardia della biodiverl’erosione tità varietale (per via sità, insieme ad altre inidel nostro dei numerosi sinonimi ziative, quali l’istituzione e omonimi che, nel caso degli «Agricoltori custodi patrimonio della biodiversità» per la varietale viticolo della vite, rendono spesso complicata e confusa conservazione in campo la rispondenza varietadi tale materiale. Alla base di queste attività vi è la le), valutandone i caratteri colturali, chiara consapevolezza che la promo- le potenzialità enologiche e il docuzione e la commercializzazione di al- mentato legame storico con il territomeno una parte dei prodotti enologici rio e gli usi del passato (Filippetti et al., e gastronomici passa attraverso la va- 2002; Fregoni et al., 2002; Fontana et al., lorizzazione del territorio di origine e 2007). Tutto ciò allo scopo di recupevi sono sempre più intimamente legati. rare, conoscere, tutelare e promuove- ▶ 23/2013 • L’Informatore Agrario © 2013 Copyright Edizioni L'Informatore Agrario S.r.l. 51 VITICOLTURA re il locale patrimonio viticolo, assicurandone la conservazione e ricavandone prodotti capaci di esplicare, oggi, un buon valore commerciale. Nel caso della provincia di Reggio Emilia, il Consorzio dei vini dop reggiani ha svolto in questo ambito un ruolo importante, promuovendo dalla fine degli anni Novanta un programma di collaborazione tra tecnici e associati per il recupero, la caratterizzazione e la valorizzazione dei vitigni minori e in via di abbandono. Gli studi effettuati Per questo sono stati esaminati tre tipi, di cui: il primo è il più comunemente diffuso, il secondo presenta foglie con nervature rosse, il terzo ha lamine fogliari con evidenti ginocchiature. Risultati delle analisi genetiche Pianta centenaria rinvenuta ad Albinea (Reggio Emilia) poi riconosciuta geneticamente identica al profilo della Scorzamara (della Val d’Enza) Un’indagine accurata sulle fonti storiche si è affiancata al lavoro di recupero sul territorio per verificare per quali cultivar fosse documentata una presenza locale. È seguita una descrizione ampelografica del materiale per mettere in evidenza non soltanto la diversità tra vitigni, ma anche la variabilità intravarietale. Il passo successivo, svolto anche alla luce delle evidenze storiche e ampelografiche, è stato quello di identificare correttamente il materiale dal punto di vista della rispondenza varietale, definendo i sinonimi usati nelle varie zone e distinguendo i vitigni omonimi. Il lavoro è stato svolto analizzando il profilo genetico delle viti sotto osservazione, confrontandole non solo con le varietà provinciali o regionali, ma anche con vitigni di altre zone geografiche. Dai vitigni di maggiore interesse, infine, è stato prelevato materiale di propagazione da impiantare. Alcune cultivar, come Termarina, Perla dei vivi, Lambrusco Barghi e Fogarina sono state valutate anche per le potenzialità enologiche mediante vinificazione in purezza e test di gradimento dei vini da parte di enologi e viticoltori (Meglioraldi et al., 2008). Le indagini hanno riguardato 65 accessioni di 53 presunte varietà. Maggiori dettagli sono disponibili in internet all’indirizzo in fondo al testo. Storie di vecchi vitigni Dei vitigni analizzati (vedi tabella A riportata in internet all’indirizzo in fondo al testo) la maggior parte è a bacca nera, tre sono a bacca rossa e otto a bacca bianca. Alcuni storicamente citati da numerosi autori, come ad esempio il Berzemino passo, la Scorzamara, l’Occhio di 52 gatto, il Lambrusco di Montericco. Altri, seppure ben conosciuti dai viticoltori locali e a volte anche molto diffusi, compaiono tardivamente nelle note storiche. È il caso del Lambrusco Marani (chiamato anche dai viticoltori Giannino Marani), attualmente terza varietà per importanza della provincia, ma di cui non si trovano tracce fino al 1958. È possibile che questo vitigno avesse altri nomi: potrebbe, ad esempio, celarsi nel cosiddetto Lambrusco Barani citato alla fine dell’Ottocento (Pizzi, 1892), oppure nel Lambrusco a graspo verde (Fornaciari, 1924), attualmente non più rintracciabile. Di altre varietà, come il Lambrusco dal peduncolo rosso, non si hanno informazioni storiche, ma l’esistenza di ceppi centenari sul territorio ne testimonia l’antica coltivazione. Nel caso della Scorzamara, nel corso della ricerca ci si è imbattuti in due vitigni diversi chiamati col medesimo nome. Vi è dunque il dubbio di quale possa corrispondere al vitigno citato nei documenti storici e se la Scorza amara, riportata dal Dalla Fossa nel 1811, sia il medesimo vitigno menzionato 100 anni dopo. Il termine Scorza amara o Guscia amara, che ricorda il gusto tannico dell’uva, ben si applicherebbe, infatti, a numerosi vitigni del Reggiano. Sgavetta e Lambrusco di Montericco sono cultivar che presentano una notevole variabilità morfologica intravarietale, soprattutto nell’aspetto delle foglie. Più volte, infatti, è sorto il dubbio osservandoli se si trattasse della medesima varietà e solo l’analisi genetica è stata in tal caso risolutiva. Nel caso del Lambrusco, inoltre, si trovano vigneti così eterogenei da dubitare che vi sia coltivato lo stesso vitigno. L’Informatore Agrario • 23/2013 © 2013 Copyright Edizioni L'Informatore Agrario S.r.l. Il profi lo allelico delle varietà oggetto di studio è presentato nella tabella B internet all’indirizzo in fondo al testo, dove è indicata la relativa identità e il nome locale. Proprio riguardo all’identità dei vitigni esaminati, l’Aleatico recuperato sui colli reggiani non corrisponde affatto all’Aleatico iscritto nel Registro, base dei passiti dell’Elba, di Puglia e del Viterbese. Neppure la Durella è identica all’omonimo vitigno dei colli Lessini (Verona) ufficialmente riconosciuto (Lorenzoni e Tomasi, 2007). Resta da verificare la sua eventuale corrispondenza con la Durella gentile segnalata tra i vitigni tradizionali della Lunigiana (Scalabrelli et al., 2008). La cultivar Scarsafoglia, recentemente iscritta nel Registro, corrisponde al ligure Scimiscià, vitigno minore, anch’esso di recente registrazione in Italia, che ha nel Genovèse della Corsica una controparte d’oltremare (Torello Marinoni et al., 2009). Il Rossara non è da identificarsi con il Rossara trentino iscritto nel Registro (alias Schiava N. o Schiava lombarda o Schiava bresciana). Tra i vitigni recuperati nel Reggiano vi sono cultivar ben note e diffuse in altre regioni italiane più o meno lontane, come il Barbera, il Trebbiano toscano, la Verdea, il Terrano e il Tocai friulano, che si nascondono dietro a nomi locali. Olivella, che richiama la forma dell’acino, per il Barbera, semplicemente Bianca per il neutro Trebbiano, Dorata per la Verdea (che si distingue infatti per il colore tra l’ambra e l’oro dell’uva a maturità), un immancabile Lambrusco per il Terrano e Occhio di gatto per il Tocai, nome che parrebbe indicare l’occhieggiare dei vinaccioli dietro la trasparenza della buccia dell’acino maturo. Vi sono anche vitigni tipici di altre Nazioni: il Bordò, localmente citato dai primi decenni del 1800, non è nient’altro che Carmenère, vitigno bordolese che, come è noto, è stato a lungo confuso nel Nord-est d’Italia con il Cabernet VITICOLTURA franc (Calò et al., 1991) di cui è stretto parente (Boursiquot et al., 2009). Sotto il nome generico di Nigròn si nasconde un vitigno curioso, a insaputa di molti, sparso un po’ in tutta Italia a Nord come a Sud; si tratta del Jacquez, un probabile incrocio a polpa colorata Vitis aestivalis × Vitis labrusca (Galet, 2000), una delle prime «uve americane» a giungere in Europa da dove è stato, in seguito, bandito per legge ma che, malgrado ciò, spesso con il nome di «Giacché», si ritrova in Italia nei vigneti famigliari o nelle zone marginali. Tra i vitigni originali recuperati, ovvero con profili genetici unici almeno alla luce degli studi fino a ora compiuti, la Cavazzina, la Fogarina, la Sgavetta e l’Uva Tosca sono cultivar attestate localmente dal XX secolo se non prima. Rimane purtroppo sconosciuta l’identità varietale di un ceppo privo di nome rinvenuto a Castellarano (e pertanto definito Sconosciuta di Castellarano), tutelato perché ultracentenario, forse tra le viti più vecchie rinvenute in Italia ( foto 1). Nel Reggiano sono presenti vitigni omonimi che non vanno confusi tra loro. È stata recuperata una Balsamina diversa dal Marzemino e che è pure distinta dalle tante altre Balsamine sparse in vari angoli della Penisola: il nome Balsamina indica in Piemonte almeno tre distinti vitigni, tutti caratterizzati da una fine ma stuzzicante aromaticità (Vespolina, Uva rara e Slarina). Vi sono anche due Dorate distinte, ma che non hanno riscontri storici locali. Delle due Scorzamara recuperate siamo propensi a ritenere quella dell’area di Gattatico (chiamata anche Nero di Gonzaga) la storica Scorzamara, perché è questo il luogo dove i riferimenti del passato ne riportano la coltura più tipica e tradizionale; l’altra Scorzamara è probabilmente da identificarsi con la Basoleina, anch’essa un vitigno storico locale. Il profilo genetico della Negretta qui esaminata (un vitigno attestato da metà Ottocento) non corrisponde a quello della Negretta analizzata da Filippetti e collaboratori (2002): si tratta dunque di omonime ma distinte Negrette. Si differenzia, inoltre, morfologicamente dal Negretto inserito nel repertorio regionale (determina 14800/2010). Anche le tre Termarine meritano attenzione: il nome Termarina, Romanino in Romagna (Fontana, 2007), richiama Marìn, termine con cui viene talora indicato il Corinto; in effetti, Corinto e Termarine hanno in comune proprio l’apirenia, ovvero la caratteristica di avere vinaccioli rudimentali, o di non averli affatto, in acini piccoli e dolci. Mentre la Termarina con uva rossoviolacea è stata recentemente iscritta nel Registro come Termarina N., gli altri due vitigni a bacca bianca e nera, erroneamente definite Termarina, corrispondono invece a forme apirene rispettivamente di Trebbiano toscano e Sangiovese; quest’ultimo, con l’erroneo nome di Corinto, è presente in altre regioni italiane centro-meridionali tra cui Sicilia (Isole Lipari), Calabria e Campania (Schneider et al., 2009a). Altro caso di confusione ampelografi- ca è quello del Lambrusco di Montericco. Con questo nome sono stati individuati tre vitigni distinti, di cui il Lambrusco Montericco ritenuto autentico è quello osservato a Quattro Castella e i cui caratteri morfologici corrispondono a quelli riportati da Cosmo et al. (1962) (http://catalogoviti.politicheagricole.it/scheda.php?codice=119) e da Silvestroni et al. (2008b). Degli altri, uno corrisponde al noto Lambrusco di Fiorano, uva tradizionale del Reggiano occidentale, e il secondo, tipico per le nervature rosse della foglia, non è stato identificato. I Lambruschi sono senza dubbio i vitigni più tipici del Reggiano (Silvestroni et al., 2008a, 2008b e 2008c): UN NUTRITO PATRIMONIO DI VITIGNI LOCALI I VITIGNI INDAGATI DEL REGGIANO L’assortimento varietale del Reggiano si basa quasi esclusivamente su vitigni locali soprattutto a bacca rossa, tra cui spiccano l’Ancellotta (circa 3.400 ha, pari al 45% della superficie vitata complessiva), utilizzata prevalentemente per la realizzazione di vini da taglio, e i Lambruschi all’origine degli omonimi vini, vitigni simili per molti caratteri ma con diverse personalità (grafico A). A essi si deve aggiungere un nutrito patrimonio di ulteriori vitigni locali presenti sul territorio da molto tempo. Dalla fine degli anni Novanta, sono stati individuati e indagati molteplici vitigni presenti nel Reggiano. In internet all’indirizzo in fondo al testo sono disponibili le informazioni storiche e il profilo genetico relativo alle seguenti accessioni: Aleatico di San Valentino, Ancellotta, Balsamina (di Gattatico), Balsamina (di Reggio Emilia), Basoleina, Berzemino passo, Bianca di Poviglio, Bordò, Cavazzina, Dorata di Montericco, Dorata di Rossena, Durella, Fogarina, Fortana, Lambrusco a foglia frastagliata, Lambrusco ancellottato, Lambrusco Barghi, Lambrusco Benetti, Lambrusco dal peduncolo rosso, Lambrusco di Corbelli, Lambrusco di Fiorano, Lambrusco di Montericco (tipo 1), Lambrusco di Montericco (tipo 2), Lambrusco di Montericco (tipo 3), Lambrusco di Sorbara, Lambrusco grasparossa, Lambrusco Maestri, Lambrusco Marani, Lambrusco oliva, Lambrusco Salamino, Lambrusco viadanese o mantovano, Malbo gentile, Marzemino, Morettina, Moscato del conventino, Negretta, Nero di Gonzaga, Nigròn, Occhio di gatto, Olivella, Perla dei Vivi, Rossara, Scarsafoglia, Sconosciuta di Albinea, Sconosciuta di Castellarano, Scorzamara (della Val d’Enza), Scorzamara (di Gavassa), Sgavetta, Termarina, Termarina nera, Termarina bianca, Uva Tosca, Uva Tosca bianca. • GRAFICO A - Assortimento varietale viticolo della provincia di Reggio Emilia (2011) Ancellotta N. (45%) Lambrusco Salamino N. (20%) Lambrusco Marani N. (10%) Lambrusco Maestri N. (7%) Lambrusco grasparossa N. (4%) Malbo gentile N. (2%) Malvasia di Candia aromatica B. (2%) Marzemino N. (1%) Altre varietà a bacca nera (5%) Altre varietà a bacca bianca (4%) 23/2013 • L’Informatore Agrario © 2013 Copyright Edizioni L'Informatore Agrario S.r.l. 53 ALCUNI VITIGNI TRADIZIONALI DEL REGGIANO su 53 varietà esaminate, 14 sono Lambruschi, a cui si aggiunge la Perla dei Vivi, localmente chiamata Lambrusco dei Vivi. Tranne i Lambruschi di Fiorano e di Corbelli ( foto 3), sono tutti vitigni regolarmente iscritti e autorizzati nella regione. In ordine di importanza colturale abbiamo: Lambrusco Salamino, Marani, Maestri, cui seguono Sorbara, grasparossa, Montericco e oliva, mentre foglia frastagliata e viadanese sono Lambruschi minori. Pochi ceppi rimangono degli altri Lambruschi (Barghi, Benetti, Corbelli, Fiorano, Piccòl ròss), che sono oggetto di conservazione o, come nel caso del Barghi, di recente riproposta in coltura. Si tratta di cultivar per la maggior parte con alta affinità genetica, in alcuni casi consanguinee (Boccacci et al., 2005), molte delle quali (ma non tutte) tra le poche varietà coltivate a essere in stretta relazione genetica con il comparto della vite selvatica, la vinifera non domesticata, come del resto ben lascia intendere il loro nome (Bellocchi, 1982; Schneider et al., 2009b). È possibile, pertanto, che la loro origine sia locale e che per i Lambruschi reggiani, o almeno per alcuni di essi, il termine autoctono sia effettivamente appropriato. Lambrusco di Corbelli Cavazzina Fogarina Lambrusco Barghi Lambrusco Montericco Lambrusco oliva Lambrusco Salamino Sgavetta Termarina Una complessa ricchezza varietale L’indagine compiuta negli anni con il sostegno del Consorzio di tutela e promozione dei vini dop del territorio reggiano ha portato a una migliore conoscenza della complessa ricchezza varietale del territorio, sia dei Lambruschi locali sia di altre cultivar minori e rare. Lo studio ha permesso di fare chiarezza sull’identità varietale, individuando sinonimie, mutazioni e la presenza di vitigni importanti di altre zone (Barbera, Verdea, Tocai) oltre che di focalizzare l’attenzione su alcune cultivar di interesse per via delle produzioni originali, di particolari caratteri varietali o perché rappresentano un patrimonio storico e genetico da salvaguardare. Stefano Meglioraldi Matteo Vingione Agronomi Paola Ruffa, Stefano Raimondi Daniela Torello Marinoni Paola Boccacci, Anna Schneider Cnr - Istituto di virologia vegetale Grugliasco (Torino) Matteo Storchi Consulente viticolo 54 Per commenti all’articolo, chiarimenti o suggerimenti scrivi a: [email protected] Per consultare gli approfondimenti e/o la bibliografia: www.informatoreagrario.it/rdLia/ 13ia23_6987_web ALTRI ARTICOLI SULL’ARGOMENTO • Vitigni Sennen e Gose: opportunità per i vini siciliani Pubblicato su L’Informatore Agrario n. 24/2010 a pag. 39. • Toscana: Orpicchio, interessante vitigno autoctono. L’Informatore Agrario • 23/2013 © 2013 Copyright Edizioni L'Informatore Agrario S.r.l. Pubblicato su L’Informatore Agrario n. 34/2010 a pag. 38. • Selezione genetica e sanitaria della vite. Pubblicato sul Supplemento de L’Informatore Agrario n. 45/2010. • Ruzzese, vitigno storico ligure da rivalutare. 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È seguita una descrizione ampelografica del materiale, anche per mettere in evidenza non soltanto la diversità tra vitigni, ma anche la variabilità intravarietale. Il passo successivo, svolto anche alla luce delle evidenze storiche e ampelografiche, è stato quello di identificare correttamente il materiale quanto a rispondenza varietale, definendo i sinonimi usati nelle varie zone e distinguendo i vitigni omonimi. Il lavoro è stato svolto analizzando il profilo genetico delle viti sotto osservazione e confrontandolo con i numerosi profili del DNA pubblicati o contenuti nella banca dati creata negli ultimi anni presso l’Istituto di virologia vegetale del Cnr, che conta oggi 750 genotipi unici di vite. I genotipi così esaminati sono stati confrontati non solo con le varietà provinciali o regionali, ma anche con vitigni di altre zone geografiche. Le analisi genetiche sono state condotte con i marcatori at- tualmente più utilizzati in vite per la verifica dell’identità varietale e dell’origine genetica delle cultivar (Sefc et al., 2009), adottando i 9 loci microsatelliti raccomandati per uso comune a livello internazionale (This et al., 2004; GrapeGen06 European Project, 2006-2010). Dai vitigni di maggiore interesse, infine, è stato prelevato materiale di propagazione da impiantare presso viticoltori appassionati (Meglioraldi et al., 2006) o nella collezione già esistente dell’Istituto «A. Zanelli», collezione servita talora quale riferimento per l’identificazione. Alcune cultivar, come Termarina, Perla dei Vivi, Lambrusco Barghi e Fogarina, sono state valutate anche per le potenzialità enologiche mediante vinificazione in purezza e test di gradimento dei vini da parte di enologi e viticoltori (Meglioraldi et al., 2008). Le indagini hanno riguardato 65 accessioni di 53 presunte varietà. In alcuni casi si sono analizzate più accessioni di uno stesso vitigno perché morfologicamente dissimili o perché provenienti da zone diverse, in modo da verificarne accuratamente l’identità varietale. • GRAFICO A - Andamento della superficie vitata di tipo promiscuo e specializzato nel territorio reggiano nella seconda metà del Novecento 100 92,650 90 Superficie vitata (.000 ha) Sefc K.M., Pejic I., Maletic E., Thomas M.R., Lefort F. (2009) - Microsatellite markers for grapevine: tools for cultivar identification and pedigree reconstruction. In: Roubelakis-Angelakis K.A., «Grapevine molecular physiology & biotechnology». 2 nd edition, Springer Science+Business Media B.V., Dordrecht, Netherlands. 80 76,500 70 60 50 40 30 28,826 17,400 12,000 20 10 1,424 0 1950 1960 10,040 1970 12,410 7,635 3,44 2000 2010 1980 1990 Anno Superficie vitata di tipo promisicuo Superficie vitata di tipo specializzato VITICOLTURA VITICOLTURA TABELLA A - Elenco delle varietà recuperate nel presente studio svolto nella provincia di Reggio Emilia Varietà Aleatico di San Valentino Ancellotta Balsamina (di Gattatico) Balsamina (di Reggio Emilia) Basoleina Colore Rif. DNA dell’uva Nera Nera Nera Nera Nera 1151 344 868 331 1149 Sinonimi locali Lancellotta Località di reperimento Aleatich, Leàtich Scandiano Anzalòta, Lanzalòta, Inzalòta Correggio Gattatico Reggio Emilia Gualtieri Rara Elevata Rara Rara Rara Riferimenti storici significativi relativi al territorio di Reggio Emilia Citato nel 1805 da Filippo Re come un vitigno poco diffuso dell’area pedecollinare Claudio Dalla Fossa la indica nel 1811 come uva coltivata in pianura Bertozzi (1840), tra le uve di colore coltivate nei campi e scelte per i migliori vini in commercio Non si hanno notizie storiche Viano Media Nel 1805 Filippo Re distingue diversi tipi di Berzemino, tra cui il «passo» che reputa il migliore Bianca 359 Reggio Emilia Rara Non si hanno notizie storiche Bordò Nera 358 Quattro Castella Rara Nel 1892 Augusto Pizzi indica con questo nome un’uva coltivata nell’area pedecollinare Cavazzina Dorata di Montericco Dorata di Rossena Durella Nera Bianca Bianca Bianca 1160, 1161 334 727 1156 Durèlla Canossa Quattro Castella Quattro Castella Canossa Rara Rara Rara Rara Pizzi (1892) tra le uve coltivate nell’area pedecollinare Non si hanno notizie storiche Non si hanno notizie storiche Citata nel 1924 da Pietro Fornaciari tra le uve coltivate nell’area collinare Fogarina Nera 353, 380, 381, 382 Uva fogarina Òva Fugarèina Gualtieri Molto bassa Nel 1847 Galloni la indica come l’uva più gradita ed esportata del tempo Fortana Rossa 328 Uva d’oro Furtana, Óva d’or, Óva d’ora Gattatico Bassa Elencata nel 1840 dal Bertozzi tra le uve coltivate comunemente nel Reggiano, sembra la medesima citata nel 1661 da Vincenzo Tanara Lambrusco a foglia frastagliata Nera 329 Reggio Emilia Bassa Nel 2° Censimento dell’agricoltura del 1970 rilevati più di 1.500 ettari in coltura promiscua Lambrusco ancellottato Lambrusco Barghi Lambrusco Benetti Nera Nera Nera 346 336 Gualtieri Reggio Emilia Reggio Emilia Rara Rara Rara Non si hanno notizie certe fino al 1983 (Rota) Non si hanno notizie certe fino al 1992 (Rinaldi e Valli) Non si hanno notizie certe fino al 1992 (Rinaldi e Valli) Lambrusco dal peduncolo rosso Nera 356 Lambrósch dal piccòl ròss Montecchio Emilia Molto bassa Citato nel 1970 in diversi articoli di quotidiani locali, sembra la medesima descritta nel 1850 col nome Cagnone dal peduncolo rosso Lambrusco di Corbelli Nera Lambrósca éd Corbèlli Reggio Emilia Rara Citato nel 1892 da Augusto Pizzi tra le uve coltivate nell’area pedecollinare Lambrusco di Fiorano Nera 1002, 1008 Lambrusco di Rivalta Lambrusco oliva grossa, 339 Sorbarone, Lambruscone, Lambrusco modenese Surbaròun Reggio Emilia Rara Secondo Pietro Fornaciari (1924) era coltivato dalla fine dell’Ottocento, soprattutto nella parte occidentale della provincia Lambrusco di Montericco 1 Nera 335, 1004, Selvatica, Selvatica di 1005, Montericco 1006, 1470 Lambrósch ed Muntrécch, Salvàdga ed Muntrécch Quattro Castella, Albinea, Media Viano Lambrusco di Montericco 2 Nera 1469, 1472 Selvatica, Selvatica di Montericco Lambrósch ed Muntrécch, Salvàdga ed Muntrécch Albinea Media Lambrusco di Montericco 3 Nera 1010 Selvatica, Selvatica di Montericco Lambrósch ed Muntrécch, Salvàdga ed Muntrécch Albinea Media Lambrusco di Sorbara Nera 338 Lambrusch ed Surbera Correggio Media Indicato nel 1840 dal Bertozzi tra le uve di colore coltivate nei campi e scelte per i migliori vini in commercio Lambrusco grasparossa Nera 352 Graspa rossa Lambrósch dal gràsp ross Quattro Castella Media Filippo Re (1805) Lambrusco Maestri Nera 347 Lambrusco di Spagna, Groppello Maestri Correggio Elevata Le prime notizie certe risalgono al 1958 (Cosmo e Polsinelli), quando era molto diffuso nella zona pianeggiante occidentale della provincia Lambrusco Marani Nera 330 Quattro Castella Elevata Le prime notizie certe risalgono alla descrizione del 1958 di Cosmo e Polsinelli Lambrusco oliva Nera 354 Lambrósch Uliva, Lambrósch Reggio Emilia Mazzòun Media Citato nel 1840 dal Bertozzi tra le uve ricche di colore adatte ai migliori vini in commercio Lambrusco Salamino Lambrusco viadanese o mantovano Nera 341 Lambruschîn Salaméin Correggio Elevata Anch’esso indicato dal Bertozzi (1840) come un vitigno ricco di colore e di qualità Nera 340 Lambrusco mantovano Òva mantvàna Reggio Emilia Bassa Le prime notizie certe in provincia risalgono al 1958 quando Cosmo e Polsinelli lo descrivono Malbo gentile Nera 350 Amabile di Genova Reggio Emilia Media Citato come Amabile di Genova nel 1805 da Filippo Re tra le uve delle zone pedecollinari e collinari Berzemino passo Nera Bianca di Poviglio 1155 Berzemino, Marzemino, Marzemina, Balsamina Nome dialettale Diffusione in provincia di Reggio Emilia (*) Berzmèin pâss Cavazzéina, Cavazza Barghi Benatti Lambrusco Mazzone Citato nel 1876 da Antonio Zanelli tra le uve da coltivare in collina continua VITICOLTURA VITICOLTURA segue TABELLA A - Elenco delle varietà recuperate nel presente studio svolto nella provincia di Reggio Emilia Varietà Colore Rif. DNA dell’uva Sinonimi locali Nome dialettale Località di reperimento Diffusione in provincia di Reggio Emilia (*) Riferimenti storici significativi relativi al territorio di Reggio Emilia Berzmèin Reggio Emilia Media Nel 1805 Filippo Re distingue diversi tipi di Berzemino, alcuni dei quali dichiarati in seguito sinonimi di Marzemino (Bertozzi, 1840) Filippina Russèra Reggio Emilia Reggio Emilia Viano Reggio Emilia Boretto Reggio Emilia Gualtieri Reggio Emilia Quattro Castella Rara Rara Rara Rara Rara Rara Rara Rara Rara Non si hanno notizie storiche Non si hanno notizie storiche Descritta nel 1854 da Luigi Maini Non si hanno notizie storiche Citato nel 1840 dal Bertozzi tra le uve di colore Dalla Fossa (1811) lo indica come diffuso soprattutto nel comune di Scandiano Molon (1906) come sinonimo di Barbera Non si hanno notizie storiche Citato dal 1805 da Filippo Re tra le uve delle zone pedecollinari e collinari Squarzafòja Scandiano Rara Descritta nel 1839 dal Gallesio tra le uve dei vigneti collinari impiegate per produrre i famosi vini di Scandiano 1158 Albinea Rara Presenza di un ceppo centenario. Non si hanno notizie storiche. Nera 1157 Castellarano Rara Non si hanno notizie storiche, sebbene vi sia la presenza di un ceppo ultracentenario Scorzamara (della Val d’Enza) Scorzamara (di Gavassa) Nera Nera 345 332 Scorzamera Scorzamera Gattatico Reggio Emilia Rara Rara Citata fin nel 1811 da Della Fossa; il Fornaciari (1924) la indica coltivata nella zona ovest della Via Emilia Sgavetta Nera 342, 1009 Sgavétta Reggio Emilia , Viano Bassa Indicata nel 1928 dal Rag. Umberto Rossi tra le uve economicamente più importanti del Reggiano Termarina Rossa 337 Tramarina Termarèina Reggio Emilia Molto bassa Citata dal Gallesio (1839) tra le uve presenti nel Reggiano e in altre aree dell’Emilia-Romagna Termarina nera Nera 1147 Tramarina Termarèina Reggio Emilia Rara Citata dal Gallesio (1839) tra le uve presenti nel Reggiano e in altre aree dell’Emilia-Romagna Termarina bianca Bianca 1148 Tramarina Termarèina Reggio Emilia Rara Secondo Dalla Fossa (1811) diffusa soprattutto nel comune di Scandiano Uva Tosca Rossa Tòsca, Òva tòsca Reggio Emilia , Viano Molto bassa Indicata dal Bertozzi (1840) tra le uve coltivate comunemente nel Reggiano; potrebbe trattarsi della medesima citata nel 1661 da Vincenzo Tanara Rara Non si hanno notizie storiche Marzemino Nera 351 Morettina Moscato del conventino Negretta Nero di Gonzaga Nigròn Occhio di gatto Olivella Perla dei Vivi Rossara Nera Nera Nera Nera Nera Bianca Nera Nera Nera 349 1162 1003 1150 1606 355 1153 357 348 Scarsafoglia Bianca 1159 Sconosciuta di Albinea Nera Sconosciuta di Castellarano 343, 1001 Berzemino, Marzemina Nigrètta, Nigrèlla Nigròn Òcc ed gât, Ucîn ed gât Lambrusco dei Vivi Rossana Scorza amara, Gusciamara Scorza amara, Gusciamara Bianca 1007, 1152 Viano Uva Tosca bianca (*) Elevata = varietà principali. Media = varietà ben rappresentate. Bassa = varietà coltivate su superfici inferiori a 20 ettari. a rischio estinzione, presenza limitata a pochi ceppi. Molto bassa = varietà limitate a 1 o pochi ettari di superficie. Rara = varietà VITICOLTURA TABELLA B - Identità e profilo allelico di marcatori microsatelliti di accessioni ritrovate nel Reggiano (dimensione degli alleli espressa in paia di basi) Accessioni DNA dei campioni (n.) Nome della cultivar (*) 1151 344 Ancellotta N. 868 331 351 Marzemino N. 1155 359 Trebbiano toscano B. 1148 358 Carmenère N. 1160 - 1161 334 Verdea B. 727 1156 353 - 380 - 381 - 382 Fogarina N. 328 Fortana N. 329 Lambrusco a foglia frastagliata N. 346 Lambrusco Barghi N. 336 Lambrusco Benetti N. 356 Terrano N. 1002 - 1008 Lambrusco di Corbelli 339 Lambrusco di Fiorano 1010 335 - 1004 - 1005 - 1006 - 1470 Lambrusco Montericco N. 1469 - 1472 338 Lambrusco di Sorbara N. 352 Lambrusco grasparossa N. 347 Lambrusco Maestri N. 330 Lambrusco Marani N. 354 Lambrusco oliva N. 341 Lambrusco salamino N. 1154 340 Lambrusco viadanese N. 350 Malbo gentile N. 349 1162 Moscato d’Amburgo N. 1003 1606 Jacquez 355 Tocai friulano B. 1153 Barbera N. 357 Perla dei Vivi N. 348 1159 Scarsafoglia B., Scimiscià B. 1157 345 1150 Scorzamara 1158 332 Basoleina 1149 342 - 1009 Sgavetta N. 337 Termarina N. 1147 Sangiovese mutazione, Corinto N. 343 - 1001 Uva tosca N. 1007 - 1152 Le cultivar, i cui nomi sono seguiti dalla lettera indicante il colore dell’uva, sono iscritte nel Registro Italiano. Aleatico di San Valentino Ancellotta Balsamina (di Gattatico) Balsamina (di Reggio Emilia) Marzemino Berzemino passo Bianca di Poviglio Termarina bianca (falsa) Bordò Cavazzina Dorata di Montericco Dorata di Rossena Durella Fogarina Fortana Lambrusco a foglia frastagliata Lambrusco Barghi Lambrusco Benetti Lambrusco dal peduncolo rosso Lambrusco di Corbelli Lambrusco di Fiorano Lambrusco di Montericco 3 Lambrusco di Montericco 1 Lambrusco di Montericco 2 Lambrusco di Sorbara Lambrusco grasparossa Lambrusco Maestri Lambrusco Marani Lambrusco oliva Lambrusco salamino Lambrusco ancellottato Lambrusco viadanese o mantovano Malbo gentile Morettina Moscato del conventino Negretta Nigròn Occhio di gatto Olivella Perla dei Vivi Rossara Scarsafoglia Sconosciuta di Castellarano Scorzamara (della Val d’Enza) Nero di Gonzaga Sconosciuta di Albinea Scorzamara di Gavassa Basoleina Sgavetta Termarina Termarina nera (falsa) Uva Tosca Uva Tosca bianca VvMD5 225 235 231 231 225 231 VvMD7 249 253 239 263 247 247 VvMD25 251 257 243 257 257 259 VvMD27 178 180 184 188 184 188 VvMD28 236 270 236 246 236 260 VvMD32 265 273 241 273 241 253 VvS2 133 135 133 155 143 155 VrZAG62 186 192 194 194 194 196 VrZAG79 254 258 244 246 244 250 225 231 239 263 243 257 184 188 236 238 241 263 133 133 194 194 242 250 225 231 249 253 243 257 178 182 246 250 251 273 133 143 194 200 244 250 225 225 233 225 225 227 225 225 227 227 225 227 237 231 239 245 231 239 231 227 239 231 227 237 239 247 247 233 253 233 247 247 233 247 247 239 263 257 247 249 253 239 253 263 257 263 249 263 241 241 241 257 241 243 241 257 251 243 243 243 257 257 257 259 243 257 257 257 257 257 257 257 174 184 178 184 178 184 180 184 184 188 188 184 188 194 188 184 194 188 190 190 194 188 188 184 238 236 238 236 246 230 236 230 236 236 220 224 250 260 262 260 246 236 236 256 260 238 236 238 241 253 251 253 251 251 251 257 251 257 251 257 241 273 273 273 251 257 273 263 273 273 273 257 139 143 133 133 133 133 135 135 143 133 135 151 147 151 133 155 133 135 151 151 151 135 155 155 188 194 194 196 188 194 192 192 192 194 192 196 204 196 204 202 194 204 204 194 204 196 194 202 246 250 244 238 236 246 244 242 250 250 238 238 246 250 248 242 250 250 258 250 250 250 250 256 225 231 239 253 257 259 184 184 236 262 253 263 143 155 188 192 242 250 227 225 227 231 227 237 227 231 231 227 231 231 239 227 247 247 239 239 253 233 233 253 249 247 249 257 239 239 243 257 251 243 257 251 251 257 259 257 257 257 257 259 188 182 180 184 190 184 184 188 188 188 188 194 188 190 236 230 230 220 236 230 236 260 238 236 246 266 236 236 241 241 273 241 251 257 251 273 273 273 263 253 273 253 143 155 135 133 135 135 151 155 155 151 133 155 151 155 200 194 194 194 192 196 194 204 202 196 200 202 204 204 246 246 250 244 244 246 250 248 250 258 244 250 250 250 227 231 233 263 251 257 184 188 238 260 241 251 151 151 194 204 246 250 225 231 225 231 231 227 227 225 225 235 225 227 239 245 239 237 239 243 237 225 231 239 235 231 247 247 247 247 239 237 239 249 239 243 239 257 263 253 247 249 253 239 257 253 239 247 253 257 243 243 243 251 243 257 243 241 241 243 243 241 257 243 257 257 257 259 251 257 257 257 251 251 188 180 184 178 184 178 184 184 184 184 178 180 194 194 184 184 184 188 194 188 184 184 188 190 236 236 230 238 230 232 236 236 270 248 238 236 266 236 236 246 262 238 250 262 270 262 246 236 228 253 253 273 253 253 241 253 241 253 238 263 265 259 273 273 273 253 257 273 263 273 263 263 135 145 143 135 133 139 133 133 135 133 133 151 153 155 155 149 143 143 151 135 151 143 133 151 196 194 192 186 192 186 188 192 188 188 188 194 204 200 196 192 194 198 194 200 194 192 200 196 250 250 242 238 244 248 250 242 250 242 250 250 250 258 248 254 250 248 250 258 254 250 258 258 225 237 247 257 243 257 184 194 246 266 263 273 135 155 194 196 242 250 227 231 247 253 243 269 182 188 230 260 241 263 133 143 194 204 246 250 231 225 225 231 231 239 227 235 231 231 239 239 239 247 239 247 247 263 257 257 241 241 243 241 243 257 243 243 243 257 184 182 178 180 180 184 188 184 188 188 236 238 236 236 236 262 260 246 236 260 241 253 253 241 241 253 273 257 273 273 133 133 133 151 143 135 133 133 155 155 196 194 194 194 186 196 204 196 204 194 242 244 242 248 244 242 244 258 258 258 I numeri in tabella (profilo allelico) costituiscono una sorta di carta d’identità del vitigno, da utilizzarsi nel caso si voglia confrontare un vitigno sconosciuto, di cui si intenda conoscere l’identità, con quelli qui indagati. I sinonimi osservati all’interno del set di vitigni analizzati sono indicati uno accanto all’altro, insieme al relativo comune profilo genetico. Ad esempio, Balsamina (di Reggio Emilia), Marzemino, Berzemino passo, mediamente coltivati in provincia di Reggio, si riconducono al Marzemino, vitigno più noto per la sua attuale diffusione in Trentino-Alto Adige, ma un tempo attestato in gran parte dell’Italia centro-settentrionale. Il Lambrusco cosiddetto «ancellottato» (per via della foglia più incisa), si riconduce al Lambrusco Salamino, e così via.