CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA *** RASSEGNA STAMPA 31 marzo 2008 Titoli dei quotidiani Avvocati Italia Oggi Assegni bancari in rottamazione Italia Oggi Imposta di bollo sui titoli in forma libera Italia Oggi Pagamenti, banconote addio Italia Oggi Libretti al portatore in regola Il Messaggero Assegni, da Aprile cambia tutto. I “non trasferibili diventano la regola Professioni Il Sole 24 Ore No ai revisori senza albo per ristrutturare i debiti Italia Oggi Pari opportunità solo sulla carta Italia Oggi Il giusto ruolo per i professionisti Italia Oggi Riconoscimento, è legittimo Elezioni Italia Oggi I candidati rispondono alle professioni Corriere della Sera L’azione penale? Oggi obbligatoria, domani chissà Studi di settore Italia Oggi Italia Oggi Studi, la territorialità al debutto Normalità economica in nota aggiuntiva Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Fisco Italia Oggi Italia Oggi La Repubblica Ritenute, certificazione esclusa Ritenute non fatte e non versate: sanzione raddoppiata Fisco-lumaca, 5 anni per chiudere una lite Europa Italia Oggi Ue, il futuro sono le qualifiche GIURISPRUDENZA Il Sole 24 Ore Parcella dell’avvocato al sicuro dal fallimento Il Sole 24 Ore Immobili in comodato, occhio alle clausole Il Sole 24 Ore La multa va annullata se il vigile è fuori servizio Italia Oggi Rito societario senza connessione Italia Oggi Niente «ex Cirielli» in appello La Repubblica Cani, l’ordine della Cassazione: “I padroni li facciano abbaiare poco” Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - *** Avvocati Antiriciclaggio R.La, Il Messaggero (29/03/08) pag. 20 Assegni, da Aprile cambia tutto. I “non trasferibili diventano la regola Assegni, dal 30 aprile cambia tutto. Gli assegni «non trasferibili» diventano la regola, e gli altri, quelli liberi, con la girata, saranno penalizzati da un’imposta di bollo di 1,5 euro ciascuno, che la banca verserà all’erario. Scende anche l'importo massimo consentito per i pagamenti in contante, e arrivano nuovi limiti per i libretti di risparmio e i titoli al portatore. L’obiettivo è chiaro, rendere più difficili quei pagamenti in nero che alimentano l’evasione fiscale. La ”fase due” delle norme antiriciclaggio è finalizzata appunto per far emergere e a rendere trasparenti le transazioni in denaro. Le banche rilasceranno solo carnet di assegni «non trasferibili». Chi vorrà continuare ad utilizzare assegni in forma libera dovrà farne una richiesta scritta alla propria banca e pagare l'imposta di bollo. Che ne sarà dei vecchi carnet di assegni? Chi vorrà utilizzarli anche dopo il 30 aprile dovrà scrivervi «non trasferibile». Altrimenti dovrà pagare il bollo e l’importo non potrà superare i 4.999 euro. E in questo caso, occhio alle girate! Accanto la nome ci dovrà essere il codice fiscale di chi le affettua, altrimenti l'assegno non potrà essere incassato. Anche per i libretti al portatore la soglia fissata dalle nuove disposizioni non deve superare i 5.000 euro. Chi ne ha con saldi superiori dovrà prelevare l’eccedenza. Ma per questa operazione c’è tempo fino al 30 giugno dell’anno prossimo. Dopodiché scatteranno le multe. E sono salate, perchè si va incontro a sanzioni che possono arrivare fino al 40% della somma depositata. E’ punito anche un uso non corretto degli assegni. La mancata indicazione della clausola «non trasferibile» per assegni con importi pari o superiori a 5.000 euro comporta sanzioni amministrative che possono arrivare al 40% del totale dell'importo trasferito. Le novità che stanno per entrare in vigore sul’assegno sono state illustrate ieri all’Abi dal direttore generale dell’associazione delle banche. «L'assegno è uno strumento di pagamento che non va demonizzato, ma va modernizzato e cioè reso più sicuro e più trasparente in linea con quello che accade nel resto d'Europa», ha detto Giuseppe Zadra. L’associazione ha messo a punto una guida sugli assegni, un opuscolo informativo che i clienti potranno ritirare agli sportelli delle loro banche. Con le nuove norme gli assegni «saranno blindati, quindi più sicuri e trasparenti a vantaggio delle categorie più esposte alle truffe». Le novità che scattano tra un mese non si limitano solo all’impedire il passaggio degli assegni di mano in mano. La rivoluzione riguarda anche il trasferimento di contante, dei libretti di deposito e i titoli al portatore. Nessun pagamento sopra i 5 mila euro potrà più essere effettuato in contante (il limite massimo prima era di 12 mila 500 euro). E sarà vietato spostare libretti di deposito bancari e postali tra persone diverse quando il valore dell’operazione supera i 5 mila euro. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Luciano De Angelis,Italia Oggi pag. 6 Assegni bancari in rottamazione Pagare a mezzo assegni bancari e postali dal 30 aprile risulterà complicato, poco conveniente e anche un po' rischioso. L'art. 49 del dlgs 231/07 ha introdotto infatti una serie di disposizioni finalizzate a disincentivare l'utilizzo dell'assegno quale strumento di pagamento. L'impossibilità di girare assegni per importi da 5 mila euro in su, l'obbligo di inserire nella girata il codice fiscale del girante, l'introduzione dell'imposta di bollo su ogni modulo di titoli liberi e la possibilità per l'amministrazione finanziaria di chiedere i nominativi degli utilizzatori sembrano circostanze orientate verso una direzione univoca. . Intrasferibilità: A partire dal 30 aprile, i moduli di assegni bancari e postali, pari o superiori a 5 mila euro, saranno rilasciati dalle banche (e da Poste italiane spa) muniti della clausola di non trasferibilità. La clausola impedisce la girata dell'assegno e rende lo stesso un titolo nominativo, consentendone l'incasso al solo beneficiario. Detta clausola (se ovviamente l'assegno viene emesso in forma libera) può essere apposta anche dopo una o più girate. La carenza di tale dizione, non inserita dal traente, e la relativa utilizzazione da parte del beneficiario, fermo restando l'efficacia del titolo, concretizza illeciti amministrativi e l'insorgenza di responsabilità per entrambi. Va ricordato che la banca negoziatrice di un assegno non trasferibile che effettua il pagamento a persona diversa dal beneficiario si assume il rischio (rilevante sul piano della responsabilità patrimoniale) di un' eventuale contestazione del pagamento da parte dell'effettivo prenditore. Il limite per gli assegni emessi prima del 30/4: Ai sensi del comma 5 dell'art. 49 «gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 5 mila euro devono recare l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità». Il nome o la ragione sociale del beneficiario non costituiscono elementi essenziali ai fini della validità dell'assegno. Ai sensi dell'art. 5 della «legge assegno», l'assegno bancario senza indicazione del prenditore vale come assegno bancario al portatore. Dal 30 aprile l'emissione di assegni bancari in forma libera sarà ammessa solo per importi inferiori ai 5 mila euro. Per questi titoli vale il divieto di trasferimento, senza il tramite di intermediario abilitato, quando l'importo da trasferire sia complessivamente pari o superiore ai 5 mila euro. Ma l'aspetto più interessante riguarda gli assegni emessi anteriormente al 30 aprile in forma libera e incassati a partire da tale data. Tali titoli, emessi per importi pari o superori a 5 mila euro e nei limiti dei 12.500, saranno di fatto, in tutto e per tutto regolari, e dunque non assoggettati ad alcuna sanzione anche se incassati a decorrere da tale data. I limiti per gli assegni emessi a partire dal 30/4: Gli assegni bancari emessi dal 30 aprile (recanti una data di emissione coincidente o successiva rispetto a tale giorno) per importi pari superiori ai 5 mila euro privi del nome o della ragione sociale del beneficiario e/o della clausola di intrasferibilità, saranno pagati da banche o Poste italiane spa, ma gli intermediari saranno chiamati a comunicare tali irregolarità al mineconomia. In relazione a tale comunicazione il traente (ma anche il beneficiario, giranti, giratari e portatore finale) saranno assoggettati a una sanzione dall'1 al 40% dell'importo dell'assegno (art. 58, comma 1 dlgs 231). L'art. 60, comma 2, dlgs 231 dà la possibilità di avvalersi dell'oblazione (art. 16 legge 689/81) consentendo quindi al soggetto adito di pagare il 2% dell'importo trasferito entro il 60° giorno dal ricevimento dalla contestazione dell'illecito. A condizione che non ci si sia avvalsi della oblazione per altra violazione dell'art. 49 (commi 1, 5, e 7) nei 365 giorni precedenti la ricezione della contestazione e che l'importo trasferito non ecceda i 250 mila euro. Assegni presso le banche e in possesso della clientela: I carnet giacenti presso gli istituti di credito potranno essere utilizzati successivamente al 29/4 depennando l'indicazione dei 12.500 euro nonché la Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - clausola di non trasferibilità. Nessun problema neppure per i carnet già in possesso degli utenti che potranno continuare a essere utilizzati come assegni liberamente trasferibili per importi inferiori ai 5 mila euro e mediante «l'apposizione a mano» della clausola di intrasferibilità e dell'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario per importi pari o superiori a 5 mila euro. Assegni emessi all'ordine del traente: Gli assegni bancari o postali emessi all'ordine del traente (con intestazione a me medesimo o a me stesso o dizione equivalente) potranno essere girati unicamente dal traente stesso per l'incasso a una banca o a Poste italiane spA, senza quindi possibilità di ulteriore circolazione a mezzo girata. Tali assegni potranno essere emessi anche per importi pari o eccedenti i 5 mila euro. Non è richiesto il codice fiscale del traente che gira per l'incasso il titolo. Detti assegni non sono sottoposti alla disciplina degli assegni liberi per cui nel caso in cui venissero erroneamente girati: a) le banche dovranno pagare il titolo nel caso di girate correttamente apposte; b) il traente (e i giratari) a seguito della segnalazione al Mef saranno assoggettati alle sanzioni ex art. 58, comma 1 (dall'1 al 40% dell'importo trasferito). Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Luciano De Angelis,Italia Oggi pag. 6 Imposta di bollo sui titoli in forma libera Ai sensi dell'art. 49, comma 10, è ammessa per il cliente la possibilità di richiedere per iscritto il rilascio di moduli di assegni bancari e postali in forma libera (cioè senza la clausola di non trasferibilità in modo che il titolo possa essere girato anche successivamente alla prima emissione) ma in questi casi per scoraggiare il ricorso ad assegni liberi è stata introdotta, a titolo di imposta di bollo, la somma di euro 1,50 per ogni assegno libero rilasciato. A riguardo, la circolare del 20 marzo evidenzia che: a) i moduli di assegni consegnati alla clientela entro il 29 aprile ed utilizzati successivamente (secondo le nuove regole) non saranno assoggettati all'imposta di bollo; b) i moduli consegnati a partire dal 30 aprile, sconteranno invece l'anzidetta imposta pari a 1,5 euro per modulo. L'obbligo del codice fiscale: Di estremo rilievo appare poi, la previsione di cui al comma 10 dell'art. 49 che, allo scopo di meglio identificare ciascun girante, impone, si badi a pena di nullità della operazione di girata e, dunque, con conseguente impossibilità di incassare il titolo, l'inserimento del codice fiscale del girante medesimo. Da ciò consegue che non potranno più utilizzare l'istituto della girata i soggetti sprovvisti di codice fiscale (es. non residenti). Tale indicazione è necessaria anche nel caso in cui venissero utilizzati moduli rilasciati anteriormente al 30 aprile. La circolare Mef del 20 marzo evidenzia come la girata sia considerata nulla anche qualora il codice fiscale del girante sia manifestamente errato. Non risulteranno sortire effetto sanante, a riguardo, la regolarità delle girate successive. In questi casi, dunque, l'ultimo girante dovrà rivolgersi al precedente (e così a ritroso in caso di molteplici passaggi del titolo) per arrivare a far regolarizzare il codice errato (o mancante). Di norma non è invece necessario il codice fiscale del giratario che pone all'incasso l'assegno stesso. Nel caso, infine, che la girata venga effettuata per conto di un diverso soggetto titolare della convenzione assegno (è il caso dell'amministratore che agisce per conto di una società) il codice fiscale da inserire nel titolo dovrà essere quello della persona giuridica. Il controllo sulle girate: Il controllo sulla regolarità delle girate spetterà alla Banca (o all'ufficio di Poste Italiane Spa) presso il quale l'ultimo giratario si rivolgerà per l'incasso. Tali controlli dovranno essere di tipo formale, nel senso cioè che la banca girataria per l'incasso sarà chiamata esclusivamente a verificare la compatibilità del codice fiscale (alcune lettere del nome e del cognome sono infatti parte integranti dello stesso) con la denominazione del girante. Ricordiamo, a riguardo, che nel caso di codice manifestamente errato l'assegno non potrà essere pagato se non previa regolarizzazione del codice stesso. I dati da comunicare al fisco: A ulteriore disincentivazione della procedura della «girata», viene espressamente previsto, nel comma 11, dell'art. 49, che gli uffici dell'amministrazione finanziaria possano chiedere alla Banca o a poste italiane spA i dati identificativi e il codice fiscale dei soggetti ai quali siano stati rilasciati moduli di assegni bancari o postali in forma libera o che abbiano richiesto assegni circolari o vaglia postali in forma libera nonché di tutti i giratari e di coloro che li abbiano presentati all'incasso. Le modalità di trasmissione di tali dati (che costituiscono una prova documentale) saranno fissati da un prossimo provvedimento dell'Agenzia delle Entrate. Gli assegni circolari: Anche gli assegni circolari, vaglia postali e cambiari saranno emessi con l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di intrasferibilità se di importo pari o superiore ai 5.000 euro. Il rilascio di detti titoli potrà avvenire in forma libera, su richiesta scritta del cliente, solo se questi strumenti sono emessi per importi inferiori ai 5.000 euro. Anche in questo caso su ciascun modulo sarà dovuta l'imposta di bollo di euro 1,50 per modulo e le girate dovranno recare a pena di nullità il codice fiscale del girante. Così come per gli assegni bancari e postali i nominativi di coloro che abbiano richiesto assegni circolari o vaglia postali o cambiari in forma libera Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - nonché di coloro che li abbiano presentati all'incasso possono essere richiesti dall'Amministrazione finanziaria. Italia Oggi pag. 7 Pagamenti, banconote addio La data del 30 aprile rappresenta uno spartiacque anche per i pagamenti in contanti. Fra circa un mese, infatti, privati, aziende e professionisti dovranno tener conto di una svolta epocale anche in merito alle transazioni in commento. Analizziamo di seguito tutte le novità introdotte dall'art. 49, evidenziando, peraltro, che allo stato manca un chiarimento ufficiale del Mef in merito alla giusta interpretazione da darsi al concetto di operazione frazionata . Le transazioni in contanti. In merito alle transazioni in contanti il novellato art. 49, comma 1 del dlgs 231, riscrive l'art. 1 della legge 197/91 prevedendo: «È vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari, o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera effettuato a qualsiasi titolo fra soggetti diversi, quando il valore dell'operazione, anche frazionata è complessivamente pari o superiore a 5 mila euro. Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste italiane spa». L'abbassamento del limite dei 12.500 euro ai 5 mila euro, si legge nella relazione di accompagnamento del decreto legislativo, è stato deciso anche «_ sulla base dell'esperienza maturata negli anni e del fatto che l'utilizzo del denaro contante continua a rappresentare, in Italia, una quota elevata dei mezzi di pagamento_». Tale divieto si pone l'evidente obiettivo di dirottare le transazioni di un certo rilievo verso intermediari abilitati perché negli archivi da essi tenuti resti traccia dei soggetti che hanno posto in essere la transazione, situazione che, ovviamente, non si verifica nella circolazione del denaro contante e di titoli al portatore. Da evidenziare, peraltro, che circa il concetto di operazione frazionata sussistono opinioni diverse fra il Consiglio nazionale del notariato e quello dei dottori commercialisti ed esperti contabili, i quali, peraltro, alcuni giorni or sono hanno proposto apposito quesito al ministero dell'economia. La posizione del Notariato: Con le nuove disposizioni, secondo il notariato, «l'avverbio complessivamente va letto nella sua accezione «teleologica» in modo da collocare il pagamento in una dimensione non più fine a se stessa, ma nell'interno di una prestazione sorretta da precisi profili causali anche se frazionata nel tempo». Mentre il cassiere di una banca, quindi, evidenzia il Notariato, non è in grado di cumulare in termini causali, pagamenti anche se effettuati dai medesimi soggetti in tempi diversi se non in ragione del lasso di tempo intercorso fra gli stessi (sette giorni), in situazione totalmente diversa si trova il professionista. Quest'ultimo è, infatti, in grado di riunificare le frazioni di pagamento all'interno della medesima prestazione contrattuale in relazione ad elementi in suo possesso. Ne deriva che, ai fini della cumulabilità, il professionista dovrà verificare l'oggetto della prestazione dedotta in contratto accertando se la pluralità dei pagamenti in contanti (pari o eccedenti i 5 mila euro, ndr), eventualmente cadenzati anche in un arco temporale superiore ai sette giorni, costituiscono frazioni di un'unica prestazione (con conseguente divieto di cumulo) o facciano riferimento a prestazioni distinte. La posizione del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti: Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti non condivide la posizione del Notariato, e ritiene implicitamente ancora valido, nonostante le innovazioni apportate dall'art. 49 dall'art. 231/07, quanto asserito dal Consiglio di stato con parere n. 1504/95, secondo il quale l'avverbio «complessivamente» di cui all' art. 1 della legge 197/91 è da riferirsi al cumulo dei mezzi di pagamento elencati nella disposizione stessa (denaro contante, libretti di deposito bancari o postali al portatore o titoli al portatore) la cui somma non poteva, quindi, superare i Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - 12.500 euro nelle operazioni contestuali (e che dovrà rimanere al di sotto dei 5 mila euro a partire dal prossimo 30 aprile). All'avverbio «complessivamente» è pertanto assegnato un valore oggettivo giustificato dall'impossibilità, per i soggetti passivi della normativa di verificare se i singoli pagamenti si riferissero o meno alla medesima operazione. L'interpretazione dell'avverbio «complessivamente», è stata peraltro confermata (seppur in epoca antecedente al dlgs 231/07) dal Dipartimento provinciale dei servizi vari di Verona con nota prot. 0910/Segr. del 9 ottobre 2006 nella quale si riafferma l'inesistenza del divieto quando, nell'ambito della medesima operazione, si convengono più pagamenti rateali in denaro o titoli al portatore (separatamente o cumulativamente) inferiori al limite di legge. I pagamenti in più fasi, quindi, non configurerebbero sostanzialmente infrazione, anche se complessivamente pari o superiori ai 5 mila euro, a condizione che i singoli versamenti, intesi come parti di pagamenti rateali risultino inferiori a detta soglia. Sulla base di detta interpretazione, come si legge nella «lettera alla clientela» di recente emanazione da parte del Cndcec, si potrebbe ritenere ancora ammissibile il pagamento di una fattura, ad es. di complessivi 12 mila euro, effettuato in tre rate in contanti, in quanto modalità di pagamento espressamente prevista nel documento ed usuale nella prassi commerciale. Di tale posizione, peraltro, il gruppo antiriciclaggio istituito presso il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, presieduto dal consigliere delegato dott. Enrico Maria Guerra ha chiesto recentemente conferma attraverso un documento scritto al ministero dell'economia. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Italia Oggi pag. 7 Libretti al portatore in regola Libretti al portatore: riduzione obbligatoria entro il giugno 2009. I libretti di deposito bancari o postali al portatore, sono, come evidenzia il nome degli stessi, tipici titoli al portatore, che permettono la riscossione o il trasferimento di liquidità attraverso la semplice identificazione del soggetto e presentazione del titolo in banca. Essi consentono, quindi, senza particolari problemi, il veicolo tacito e anonimo di capitali. In virtù di ciò, il comma 13 dell'art. 49 prevede che l'attuale soglia del saldo consentito per libretti emessi anteriormente al 30 aprile pari a 12.500 euro dovrà essere ridotta ad importi inferiori ai 5 mila euro entro il 30 giugno 2009. In alternativa, entro la stessa data detti libretti dovranno essere estinti. La mancata regolarizzazione dei libretti comporta una sanzione amministrativa pecuniaria dal 10 al 20% del saldo stesso. In relazione al fatto che il citato art. 13 prevede che sia le Banche che Poste italiane spa siano tenute a dare ampia diffusione e informazione a tale disposizione, non dovrebbero ingenerarsi grossi rischi sanzionatori per i sottoscrittori dei libretti in commento che, presumibilmente, in vista della scadenza saranno regolarizzati o trasformati in libretti nominativi. Un ulteriore chiarimento evidenziato nella circolare del 20 marzo riguarda il caso dei trasferimenti di libretti al portatore, laddove il comma 14 dell'art. 49 prevede in capo al cedente l'obbligo di comunicare alla banca o a Poste italiane spa entro 30 giorni i dati identificativi del cessionario e la data del trasferimento. A riguardo la circolare evidenzia che, per i libretti emessi anteriormente al 30 aprile 2008 e presentati all'incasso a decorrere da tale data, la comunicazione può legittimamente essere sostituita: 1) dall'autocertificazione del cessionario relativa al trasferimento contenente la data dello stesso e il nome del cedente; 2) nei 30 giorni successivi alla presentazione del libretto per l'incasso dalla dichiarazione, resa all'intermediario, di avvenuta cessione del libretto da parte del cedente. Solo in assenza di autocertificazione e di comunicazione l'intermediario sarà chiamato ad effettuare la comunicazione al ministero dell'economia e delle finanze con relativa applicazione della sanzione fra il 10 e il 20% del saldo. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Professioni Fallimento Franco Michelotti,Il Sole 24 Ore pag. 52 No ai revisori senza albo per ristrutturare i debiti Doppio requisito professionale per redigere la relazione sull’accordo di ristrutturazione. Dal 1 gennaio 2008, con l’entrata in vigore del Dlgs 169/07, gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis della legge fallimentare hanno subito rilevanti innovazioni, ritenute idonee a incentivarne la diffusione per la soluzione delle crisi d’impresa. Tra le novità di maggior rilievo è da segnalare la professionalizzazione della figura dell’esperto chiamato a redigere la relazione sull’attuabilità dell’accordo di ristrutturazione dei debiti e sulla idoneità del medesimo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo. Infatti, la norma previdente, nulla disponendo a riguardo, poneva agli interpreti il problema della individuazione dei soggetti che potevano essere qualificati esperti ai fini della legittima redazione della relazione suddetta. Con l’intervento riformatore si è opportunamente colmata tale lacuna, precludendo a soggetti non adeguatamente preparati di qualificarsi “esperti” al fine di svolgere una funzione professionale in un campo delicato come quello della crisi d’impresa. Con una pur discutibile tecnica normativa, l’articolo 182-bis individua il professionista esperto con il rinvio all’articolo 67, terzo comma, lettera d), il quale, a sua volta, rimanda all’articolo 28, primo comma, lettere a) e B), della legge fallimentare. Dunque, oggi la relazione può essere redatta solamente da un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che sia iscritto nell’albo degli avvocati o dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Andrea Battistuzzi,Italia Oggi (29/03/08) pag. 48 Pari opportunità solo sulla carta Precarietà, congedi parentali, discriminazioni salariali e difficoltà di fare carriera. A pochi mesi dalla chiusura dell'anno europeo per le pari opportunità restano ancora molti gli ostacoli che incontrano le donne nel mondo del lavoro. Un argomento su cui l'Italia non dà il buon esempio in Europa, rimanendo lontana dalle statistiche del Vecchio continente e che tocca da vicino le libere professioni dove i «colletti rosa» fanno ancora più fatica a ritagliarsi la propria fetta di mercato. Dello status di avanzamento delle opportunità lavorative per le donne in Italia si è discusso ieri a Roma nell'ambito del convegno «Professionisti e politica: confronto sulle riforme», organizzato dal Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro e da ItaliaOggi, alla presenza dei rappresentanti femminili nel mondo delle professioni: dal presidente dei consulenti del lavoro, Marina Calderone, alla presidente dell'associazione dottori commercialisti, Wilma Iaria, fino alla responsabile del settore lavoro del Censis, Maria Pia Camusi, a Rosa Gentile di Donne Impresa Confartigianato ed a Valentina Sanfelice di Bagnoli di Confapi. «Meno di una donna su due in Italia ha un lavoro regolare», ha denunciato la Calderone, «e dove non c'è regolarità c'è sottosviluppo». A leggere i dati della Commissione europea, i membri Ue hanno recuperato parte del gap calcolato a fine millennio tra il lavoro femminile e quello maschile e che dovrebbe portare entro il 2010 all'obiettivo del 60% di occupazione tra le donne, stando al target fissato dalla strategia di Lisbona. Nel 2007 il tasso di occupazione femminile in Europa ha raggiunto infatti il 56,3%, facendo così prevedere il raggiungimento degli obiettivi comunitari. Degli 8 milioni di nuovi posti di lavoro creati dal 2000 ben 6 milioni sono andati al gentil sesso. Cifre che le donne italiane guardano ancora da lontano visto il tasso di occupazione nazionale fermo circa al 47%. Un gap che in futuro potrebbe essere affrontato con un sistema di agevolazioni fiscali all'assunzione di lavoratrici, stando alle proposte di alcuni giuslavoristi. «Ridurre la pressione fiscale sul lavoro femminile può essere una soluzione ma può anche portare ad altri fenomeni di sfruttamento», ha commentato la Calderone. La crescita del tasso di occupazione femminile in Europa rischia però di fare da specchietto per le allodole visto che il 36,6% delle donne occupate nel Vecchio continente ha un lavoro part-time, contro il 7,7% dei colleghi maschi. «Le donne sono maggioranza nel lavoro precario, nelle qualifiche più basse e tra i lavoratori atipici», ha detto il sottosegretario al ministero del lavoro, Rosa Rinaldi, «l'impegno familiare delle donne inoltre ha un valore economico e di servizio mentre i del lavoro di una donna non sono pagati». E non va meglio sul fronte dei salari dove la Commissione europea ha calcolato nel 2007 un 15% di divario negli stipendi femminili per ogni ora lavorata rispetto ai colleghi uomini. Divario che aumenta con l'età e che ha un picco sopra i 55 anni. A parità di inquadramento tra i lavoratori dipendenti, e di incarichi tra quelli autonomi, il ministero del lavoro ha invece calcolato un gap che va dai 3.800 ai 10 mila euro tra i redditi annuali dei lavoratori maschili e femminili, a vantaggio dei primi. «Il volume d'affari tra studi maschili e femminili nei consulenti del lavoro è del 30% in meno per le donne e addirittura del 40% nel caso degli architetti», ha spiegato la Camusi. «L'innovazione passa anche per le pari opportunità», ha concluso il sottosegretario Rinaldi che nei mesi scorsi ha proposto il «bollino rosa» per gli uffici più virtuosi in quanto a pari opportunità uomo-donna. Qualcosa sembra muoversi sul fronte delle istituzioni pubbliche viste le quote rosa nelle liste elettorali e le promesse di dicasteri al femminile per la prossima legislatura. «Il tema non è affrontato in campagna elettorale, qui non servono interventi spot ma che vadano al cuore del problema», ha aggiunto la Calderone. In attesa del dopo elezioni comunque l'Italia resta ancora penultima in Europa tra i paesi che hanno una rappresentanza femminile in parlamento (solo Cipro e Malta non ne hanno), con un Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - modesto 15,5% di donne elette contro il 33% di rappresentanza femminile nel parlamento di Strasburgo ed il 57% svedese. «Le professioniste non possono godere di nessuna forma di sostituzione per maternità», ha sottolineato Wilma Iaria, «perché il rapporto con il cliente si fonda sulla fiducia personale». Sul fronte dei diritti sul posto di lavoro l'Italia ha cercato nel corso degli anni di porre rimedio anche se lo stesso ministero del lavoro ha riconosciuto la scarsa copertura finanziaria di parte della legislazione. È il caso dei congedi parentali previsti dalla legge 53 del 2000 che disciplina il congedo di maternità (e di paternità) facoltativo, che però solo il 24% delle lavoratrici utilizza. Cifra che scende al 3% nel caso degli uomini, a causa del taglio del 70% dello stipendio per chi approfitta dei mesi in più di assenza dal lavoro. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Benedetta P. Pacelli, Italia Oggi (29/03/08) pag. 49 Il giusto ruolo per i professionisti Il giusto ruolo ai professionisti. Sembra quasi un slogan elettorale ma è stato questo il filo rosso che ha tenuto insieme tutti i partecipanti alla seconda sessione del convegno «professionisti e politica: confronto sulle riforme», organizzato dal Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro e da ItaliaOggi. Perché per tutti, platea compresa, un vero processo riformatore non può non tenere conto che le professioni ordinistiche svolgono un ruolo cruciale nel sistema economico sociale. A dichiararlo con forza è stato, prima tra tutti, il presidente del Consiglio nazionale dell'ordine Marina Calderone, secondo la quale «è necessario che i professionisti si riappropino del proprio ruolo anche perché, anche se qualcuno sembra dimenticarselo, è proprio questa categoria a far girare gli ingranaggi economici del paese». Ecco perché è ormai indispensabile che arrivi in porto l'attesa riforma delle professioni. Il presidente del Cno si è dichiarata pronta ad avvallare la proposta della Siliquini come quella del Comitato unitario delle professioni capeggiato da Raffaele Sirica. Ma anche ribadito che una riforma che sia tale non può affrontare unitariamente ordini professionali e attività non regolamentate: «Sono due mondi agli antipodi per definizione che non possono essere affrontati all'interno della stessa legge». Opinione condivisa anche dalla responsabile delle professioni per Alleanza nazionale Maria Grazia Siliquini, che ha tuonato contro l'incapacità della scorsa legislatura di portare a casa alcuna riforma. Anzi, ha specificato «con un falso concetto di liberalizzare sono state fatte leggi contro i professionisti». Il riferimento va non solo ai decreti Bersani-Visco ma anche al recepimento della direttiva Zappalà che ha aperto un registro per associazioni professionali riconoscendole pari agli ordini e ai collegi, «senza alcun serio criterio di regolamentazione». «Mentre ora», ha puntualizzato la senatrice di An, «di cambiare rotta: il punto di partenza sarà il disegno di legge Fini Siliquini, ma si terrà conto anche delle istanze del Cup». Per il quale, come ha precisato il suo presidente Raffaele Sirica, sono state raccolte il doppio delle firme necessarie. Sirica ha poi ricordato i temi affrontati, solo poche settimane fa, alla I conferenza dei Cup tra cui si inseriscono, fra le altre cose, una serie di misure fiscali per i professionisti, come l'incremento della deducibilità del reddito di lavoro autonomo delle spese sostenute per la formazione professionale o la semplificazione fiscale per i piccoli studi professionali. A ribadire ancora la necessità di una riforma delle professioni è stato poi Paolo Piccoli, presidente del Consiglio nazionale del notariato che ha rimarcato come le vere liberalizzazioni per far ripartire il paese non sono quelle sulle professioni, ma quelle dei servizi, mentre in passato, «sono stati presentati inutili e talvolta dannosi interventi nel settore delle libere professioni come grandi operazioni della quali il cittadino non si è nemmeno accorto». Ma non solo riforma delle professioni. Ad animare il dibattito è stata anche la riforma fiscale e le problematiche del mondo del lavoro. A cominciare dalla nuova procedura telematica di dimissioni volontarie in cui si è assistito, secondo Luca De Compadri della Fondazione studi consulenti del lavoro, «a un bizantinismo imperante». De Compadri ha criticato aspramente la normativa in materia di dimissioni, «assolutamente abnorme rispetto a un fenomeno del tutto marginale». E che soprattutto ha fatto passare l'inaccettabile presunzione di malafede da parte del datore di lavoro. Sotto i riflettori anche la riforma degli ammortizzatori sociali ipotizzata da un altro esponente della Fondazione studi, Enzo Silvestri: «È tempo», ha spiegato, «di chiarire definitivamente che lo strumento non deve più servire solo per assicurare un'integrazione al reddito dei lavoratori, ma deve essere un ponte per la ricerca di una nuova occupazione». Ma soprattutto ha ricordato la proposta che i consulenti del lavoro hanno lanciato in occasione del loro ultimo congresso: la dote per ammortizzatori sociali per ogni cittadino che si trova in stato di inoccupazione, Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - disoccupazione o sospensione del rapporto. Una dote che sarà a disposizione su un conto individuale da cui poter attingere nell'arco di tutta la vita lavorativa. Per Enzo De Fusco, consulente del lavoro e collaboratore della Fondazione studi, una riforma fiscale deve partire dalla revisione delle modalità di tassazione dei redditi di lavoro dipendente fino ad arrivare alla regolamentazione sulla certificazione delle ritenute a titolo d'acconto sui redditi professionali. De Fusco ha poi ricordato che l'ultima delle riforme del diritto tributario risale che porta il nome di Maurizio Leo, responsabile per le politiche fiscali di Alleanza nazionale, risale solo al 1998. Lo stesso Leo ha confermato che la necessaria certificazione del pagamento delle ritenute ai professionisti è «senz'altro uno dei temi da rivedere». Tema di dibattito anche la nuova riforma che ha introdotto il regime contabile del cosiddetto forfettone, dal quale, ha spiegato Leo, «nonostante l'attuale esecutivo in carica si aspetti tanto non si vedranno i benefici valutati all'atto della predisposizione». Le riforme che vanno fatte, ha concluso, sono altre, a partire dalla graduale e progressiva riduzione dell'Irpef fino ad arrivare alle modalità di determinazione del reddito imponibile che tenga conto degli aggiornamenti dei costi in questi anni e di ulteriori tipologie di spese che necessariamente vanno portate in diminuzione del reddito tassabile». Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Qualifiche Roberto Falcone, Presidente nazionale Lapet, Italia Oggi (29/03/08) pag. 50 Riconoscimento, è legittimo I dottori commercialisti ed esperti contabili hanno espresso la loro ferma opposizione al decreto legislativo 206 del 2007 di attuazione della direttiva 2005/36/Ce per il fatto che esso ammette alla «piattaforma comune» anche le associazioni professionali. L'opposizione è stata espressa dal Consiglio nazionale con un documento del 6 marzo nel quale sono state indicate «le ragioni di un dissenso tecnico prima ancora che politico» con l'intento dichiarato, dunque, di far conoscere anche le ragioni giuridiche che renderebbero tale previsione illegittima nel nostro ordinamento. A voler significare apertamente che le associazioni professionali privatistiche non potrebbero sedere alla «piattaforma comune» non perché non sarebbero gradite, ma perché sarebbe loro vietato dalle norme.La questione si appunta tutta sull'art. 26 del dlgs 206 che prevede la «piattaforma comune» e i soggetti che sono legittimati a farne parte e, per conseguenza, sul decreto interministeriale preannunciato e di prossima emanazione che dà esecuzione a esso. Per entrambi il rilievo che viene mosso è di legittimare alla partecipazione alla piattaforma le associazioni professionali di tipo privatistico. Orbene, non voglio sottoporre le ragioni del dissenso espresse nel documento a vaglio critico sotto il profilo giuridico, né confutare compitamente sul piano tecnico-giuridico le argomentazioni addotte a sostegno della tesi dell'illegittimità della scelta operata dal dlgs. Intendo invece semplicemente fare una prima riflessione su alcuni punti del documento, focalizzando alcuni aspetti, senza pretesa di completezza di disamina. Mi sembra infatti che le «ragioni del dissenso» dei commercialisti partano da convinzioni/asserzioni/assunti/convincimenti/punti basilari che mostrano una grande debolezza, se non addirittura una palese erroneità e comunque una visione distorta e fuorviante che forse mette in dubbio le conclusioni cui si perviene. Ma vengo in maniera diretta all'esame del documento. Il documento (nell'analisi di esordio) ricorda innanzitutto che la direttiva 2005/36/Ce, che disciplina il riconoscimento reciproco tra i paesi comunitari delle qualifiche professionali che consentono l'accesso e l'esercizio delle professioni regolamentate, ha previsto che gli stati membri e le «associazioni o organismi professionali a livello nazionale o europeo» possono proporre alla Commissione la costituzione di «piattaforme comuni» al fine di armonizzare e compensare le diverse regolamentazione dei singoli paesi. Pertanto, il documento rileva come la menzione fatta dalla direttiva sia agli enti pubblici di tipo ordinistico pubblico che alle associazioni di diritto privato sarebbe riconducibile al solo fatto che nelle legislazioni di tradizione latina le professioni sono regolamentate secondo la figura giuridica degli enti ordinistici, mentre nella tradizione anglosassone, le professioni sono regolamentare secondo la figura giuridica dell'associazione di diritto privato. Lo schema è chiaro. Ma, dice il documento, il legislatore italiano non lo avrebbe ben compreso, perché nel decreto legislativo 206/2007 (che ha attuato la direttiva) la compresenza degli enti pubblici di tipo ordinistico e delle associazioni di diritto privato è stata interpretata non già come una regolamentazione generale destinata a paesi con ordinamenti giuridici interni diversificati, ma come un'apertura alla possibilità di far confluire nella piattaforma comune «associazioni rappresentative a livello nazionale delle professioni regolamentate per le quali non esistono ordini, albi o collegi, nonché dei servizi non intellettuali e delle professioni non regolamentate» secondo la dizione letterale della rubrica del decreto interministeriale di attuazione dell'art. 26 del dlgs 206/2007. Il documento giunge ad affermare che la dizione «professioni regolamentate per le quali non esistono ordini, albi o collegi» è priva di Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - significato, poiché in Italia professioni regolamentate senza ordini albi o collegi non esisterebbero atteso che «le uniche professioni regolamentate sono per l'appunto quelle per le quali esistono gli ordini, gli albi o i collegi». Ma questo non è vero o, meglio, non è del tutto vero. E difatti la vicenda va considerata avendo riguardo al concetto di «professione regolamentata» e di «titolo di formazione» vigenti in ambito europeo e nell'accezione che essi hanno ai fini della normativa della direttiva e del decreto legislativo che la attua. Se, quindi, si guarda alla definizione di «professione regolamentata» e alla definizione di «titolo di formazione» poste dall'articolo 4 del decreto legislativo (in aderenza alla previsione degli articoli 3 e 11 della direttiva) si rileva che «professione regolamentata» è anche quella il cui esercizio è consentito a seguito dell'iscrizione (non solo in albi o ordini o collegi), ma anche in «registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici», quale ad esempio quello degli intermediari fiscali, e per la quale la formazione si pone o può porsi anche a livello di «attestato di competenza». Si consideri sul punto che la stessa direttiva 2005/36/Ce, al «considerando» numero 43, ha cura di rimarcare che le professioni liberali sono parte delle professioni regolamentate, ma non le esauriscono. Dunque il documento sbaglia laddove ritiene che nel nostro ordinamento non esistono professioni regolamentate prive di ordini albi o collegi: esse esistono eccome ed esistono proprio in ambito europeo e ai fini propri della «direttiva qualifiche». Ma non finisce qui. Il documento dei dottori commercialisti non mi convince infatti neppure laddove censura la dizione del decreto interministeriale «professioni non regolamentate». Si afferma in particolare che, relativamente alle «professioni non regolamentate», «pare scontato che si dovrà comunque fare esclusivo riferimento a quelle categorie di lavoratori autonomi che svolgono attività che non rientrano tra quelle che caratterizzano l'operato di professionisti iscritti a ordini, albi, o collegi (in quanto se svolgono attività che rientrano tra quelle caratteristiche di una professione ordinistica, è evidente che si tratta di categoria di lavoratori autonomi che svolgono in forma non regolamentata un'attività per la quale esiste tuttavia una professione regolamentata», sicché, conclude il documento, «dovrebbe essere preclusa l'iscrizione nell'elenco ministeriale a tutte le associazioni di diritto privato i cui iscritti svolgono attività che rientrano tra quelle che caratterizzano l'operato dei professionisti iscritti ad ordini, albi o collegi». Ma, come detto, l'assunto è falso e infondato perché smentito dal concetto di «professione regolamenta» come posto dalla direttiva dall'articolo 3, punto 1, lettera a). Tale concetto ha riguardo all'«attività o insieme di attività professionali» sicché la «regolamentazione» (e ciò che essa comporta in termini di esclusività/preclusione/qualificazione) attiene ai contenuti dell'attività professionale o a modalità del suo esercizio. Sotto tale aspetto «la professione non regolamentata» è anche quella che riguarda attività che svolgono o possono svolgere o normalmente svolgono anche iscritti a professioni ordinistiche, se si tratta di attività che, in quanto ad essi non riservate in via assoluta, non si configurano come attività regolamentata e quindi come professione regolamentata. Ma allora l'assunto che vorrebbe escluse dalla piattaforma comune le associazioni i cui iscritti svolgono attività caratteristiche di professioni ordinistiche non trova conforto giuridico. E poi ricorre a un éscamotage fin troppo ingenuo laddove usa una locuzione, «attività caratteristiche», che non ha alcun significato nel nostro ordinamento dove l'unico spartiacque vero, giuridicamente significante, è tra attività libere e attività riservate. In conclusione, ritengo che una prima e semplice analisi al contenuto del documento ne ha evidenziato più di una crepa minando addirittura le basi di quelle «ragioni tecniche» che avrebbero dovuto dimostrare l'impraticabilità giuridica della presenza delle associazioni nella piattaforma comune. Mi auguro che alla fine prevalgano le ragioni dell'interesse generale evitando di arrecare ulteriori danni come già accaduto con la mancata partecipazione diretta, a livello europeo, degli organismi di rappresentanza delle professioni alle piattaforme comuni. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Elezioni Pamela Giufrè,Italia Oggi (29/03/08) pag. 50 I candidati rispondono alle professioni Stimolare la politica e il legislatore a varare al più presto la riforma delle professioni. Con questo intento Assoprofessioni, per volontà del presidente Giorgio Berloffa e del segretario Roberto Falcone, ha organizzato mercoledì scorso alla Camera dei deputati l'incontro con politici e istituzioni. Tema del confronto: «La riforma delle professioni che vogliamo». Se da una parte politici e tecnici del ministero hanno ribadito l'impegno per il riconoscimento delle professioni, già anticipato attraverso il dlgs Qualifiche, i professionisti degli ordini, dall'altra, hanno rimarcato la loro ferma opposizione. «Mi sembra», ha però precisato il capo di gabinetto del ministro Bonino, Gianfranco Dell'Alba, «che il Dipartimento delle politiche comunitarie abbia recepito un provvedimento perfettamente in linea con gli obiettivi della direttiva comunitaria Qualifiche e nell'interesse generale del paese. Tra l'altro, il dlgs ha seguito un iter parlamentare, presso le competenti commissioni, piuttosto lungo prima di essere approvato». Più duro nei confronti degli ordini che avversano questo riconoscimento, l'onorevole Turco. «La parola d'ordine», ha detto il radicale, «è una e semplice: abolire gli albi professionali». Secondo il presidente Turco «nell'interesse generale dell'utenza ed in vista della mobilità dei servizi professionali, sarebbe auspicabile la cancellazione degli ordini, con la sola eccezione di quelli che consentono la salvaguardia dei diritti costituzionali. Gli albi d'altronde non hanno finora svolto alcun ruolo di tutela dell'interesse pubblico e dei consumatori». Meno estrema la posizione dell'onorevole Balducci, che ha assicurato: «Se saremo riconfermati, riprenderemo il lavoro per la riforma delle professioni da dove è stato interrotto. Ripartiremo dal testo condiviso al quale stavamo lavorando con un iter più accelerato, senza avviare nuove audizioni parlamentari, ma facendo riferimento ai pareri degli ordini e delle associazioni professionali». E Roberto Orlandi, vicepresidente del Cup, in qualità di componente del Cnel, ha detto: «Continueremo a lavorare affinché il regolamento all'art. 26 del dlgs ce sia attuato la massima obiettività al momento del rilascio del parere sul riconoscimento delle associazioni. Il modus operandi per la formulazione dello stesso dovrà seguire criteri che cercheremo di racchiudere in un apposito documento da far approvare all'Assemblea del Cnel». Intanto, Balducci, invitata a rispondere su quali incentivi si prevedono per i giovani professionisti qualora dovesse restare in Parlamento, ha risposto: «Ci impegneremo per garantire agevolazioni di tipo economico, defiscalizzazione e sostegno alla formazione in favore dei giovani professionisti, il cui iter di avvio all'esercizio dell'attività è più lungo rispetto a quello di un'impresa». Concetto condiviso da Falcone, il quale ha però ha ribadito l'importanza di «ridurre la notevole pressione contributiva a carico degli studi professionali». Falcone ha aggiunto: «Occorre guardare al mondo delle professioni con una mentalità nuova, partire dal principio-base che solo il riconoscimento può garantire un livello equilibrato di competitività a tutto vantaggio della qualità delle prestazioni professionali, e dunque a favore dell'utenza». Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Vittorio Grevi, Corriere della Sera (29/03/08) pag. 44 L’azione penale? Oggi obbligatoria, domani chissà Scorrendo i programmi elettorali in materia di giustizia, ci si accorge che nessuno di essi approfondisce l'esigenza di dare maggiore effettività e concretezza al principio di obbligatorietà dell' azione penale. Principio sacrosanto, sancito a chiare lettere nella Costituzione quale specifica espressione dei principi di legalità e di eguaglianza di fronte alla legge. Principio da tenersi fermo, dunque, ma che non sempre riesce a trovare pratica attuazione — soprattutto in certi settori di condotte illecite — tali e tante sono le denunce e le altre notizie di reato che ogni giorno si accumulano su tavoli della polizia e delle Procure della Repubblica. Senza dubbio il principio per cui «il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale » non significa che ad ogni notizia di reato debba corrispondere un processo. I processi si fanno soltanto quando — dopo espletate le necessarie indagini — la notizia di reato risulti attendibile, essendo siano stati raccolti elementi tecnicamente «idonei a sostenere l'accusa in giudizio». Una volta superata una tale verifica tecnica, però, l'azione penale deve essere esercitata dal pm, al quale non sono consentiti ulteriori margini di valutazione di opportunità. Come, invece, gli sono riconosciuti nei sistemi ispirati all'opposto principio di discrezionalità dell'azione penale, che proprio per ciò comporta anche una responsabilità politica dello stesso pm, o almeno un suo collegamento subordinato agli organi detentori del potere esecutivo. Pur entro questi confini, il problema della sproporzione tra il rilevante numero dei processi penali che si dovrebbero svolgere e la limitata consistenza delle risorse giudiziarie, (umane e strutturali) destinate a farvi fronte, non può essere ignorato. Tuttavia, prima di pensare a pericolose attenuazioni del principio di obbligatorietà dell'azione legale, magari affidate alle maggioranze politiche di turno, bisognerebbe anzitutto fare ogni sforzo per adeguare al meglio le suddette risorse giudiziarie. A parte il ricorrente problema dei finanziamenti delle spese per la giustizia, esistono infatti numerose riforme di tipo ordinamentale che potrebbero farsi senza eccessivi esborsi, e che produrrebbero grandi vantaggi in termini di efficienza dell'attività processuale. Basti pensare alla prospettiva della revisione delle circoscrizioni giudiziarie, con la soppressione ed il conseguente accorpamento di molti piccoli tribunali; all'istituzione dell'«ufficio del processo», per aumentare il rendimento degli organi giudiziari; alla introduzione di competenze manageriali in rapporto agli aspetti organizzativi del «servizio giustizia»; ed ancora alla previsione di più rigorose forme di controllo (sugli orari delle udienze, sui calendari dei processi, su certi non inevitabili tempi morti) circa i livelli di produttività dei singoli magistrati, tra l'altro spesso assai differenti da distretto a distretto. Di alcune di queste prospettive di riforma vi è traccia, in realtà, nel programma del Partito Democratico, e sta bene. Assai più delicata sarebbe, invece, la proposta, recentemente avanzata dallo stesso Veltroni, relativa alla «fissazione di criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale », così da assicurare «uniformità di azione» delle Procure sull'intero territorio nazionale. A parte che le priorità concrete possono essere diverse da zona a zona (i problemi penali connessi ai rifiuti, per esempio, non sono gli stessi in Lombardia ed in Campania), la questione è resa ardua dal rischio di introdurre interferenze politiche nelle iniziative penali delle varie procure. Si è parlato, allo scopo, di un procedimento con «la partecipazione di Parlamento, Csm e procuratori della Repubblica», ma così si resta ancora troppo nel vago. Il problema esiste, e va affrontato. Tuttavia, anche per evitare equivoci, sarà bene discutere solo su una proposta chiara e ben articolata nei suoi meccanismi interni. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Francesco Santagada,Italia Oggi pag. 4 Studi di settore Studi, la territorialità al debutto Studi di settore, la territorialità diventa realtà. Con due decreti pubblicati nella Gazzetta Ufficiale di lunedì viene aggiornato il software Ge.Ri.Co che così accoglie un importante correttivo a favore dei contribuenti. In buona sostanza attraverso tre distinti valori rappresentati dalla concorrenza nel settore e con la grande distribuzione oltre che il livello degli affitti che rappresentano fattori assolutamente rilevanti nel commercio al dettaglio. In questo modo il ricavo puntuale attribuito al contribuente tiene conto anche delle evidenti differenze che promanano da città a città. Ciò in definitiva ha prodotto una forte demarcazione del risultato di congruità in relazione al comune di svolgimento dell'attività. Da un punto di vista tecnico è stata influenzata il coefficiente di regressione relativo al costo del venduto. In ogni comune è stato calcolato il valore mediano dei canoni di affitto di beni immobili per metro quadrato relativamente al comparto del commercio al dettaglio; la distribuzione di tali valori è stata successivamente standardizzata a valori compresi nell'intervallo da 0 (il comune con il più basso livello degli affitti) a 1 (il comune con il più alto livello). Il coefficiente di regressione presenta un differenziale pari a 0,1542 tra Enna e Portofino. Il livello degli affitti degli immobili commerciali: Il livello di misurazione degli affitti influisce in maniera importante sul livello dei prezzi e dei margini di ricarico. All'interno del software Ge.Ri.Co e in termini di condizionamento del ricavo attribuibile la contribuente ciò produce un elemento di differenziazione del coefficiente di regressione relativo al costo del venduto. Naturalmente la differenziazione è più marcata del risultato di congruità in relazione al Comune di svolgimento dell'attività, in particolare attraverso alcune simulazioni è stato evidenziato che il coefficiente di regressione presenta un differenziale pari a 0,1542 tra Enna e Portofino che rappresentano glia antipodi tra valori minimi e massimi degli affitti. L'indicatore è stato calcolato, per ogni comune, secondo le seguenti modalità: in ogni comune è stato calcolato il valore mediano dei canoni di affitto di beni immobili per metro quadrato relativamente al comparto del commercio al dettaglio; la distribuzione di tali valori è stata successivamente standardizzata a valori compresi nell'intervallo da 0 (il comune con il più basso livello degli affitti) a 1 (il comune con il più alto livello). Con questo metodo si è prodotta una maggiore rappresentatività ed equità dello Studio a livello territoriale Le aree omogenee: Il software Ge.Ri.Co utilizza, ai fini del calcolo del ricavo presunto, particolari elaborazioni statistiche effettuate a monte dello studio di settore con riguardo all'intero territorio nazionale. L'analisi della territorialità ha perciò consentito di classificare, separatamente le une dalle altre, le aree territoriali aventi caratteristiche comuni tra loro. La nuova evoluzione degli strumenti induttivi è partita da una rideterminazione delle aree territoriali coinvolte in maniera tale da cogliere anche gli importanti elementi che depongono a favore o a sfavore delle aree interessate dal punto di vista economico. Si è partiti, quindi, da una ridefinizione delle aree territoriali, omogenee in termini di grado di benessere e di sviluppo socio-economico per addivenire poi all'assegnazione di comuni, province e regioni all'area omogenea di riferimento. L'analisi che ha quindi ad oggetto gli studi di settore in applicazione dal periodo d'imposta 2007, ha preso in considerazione per ogni singola area il grado di benessere, il livello di scolarizzazione, la struttura economica, il tasso di imprenditorialità, il grado di sviluppo dei servizi (credito, logistica ecc.) Aggiornamento della territorialità del commercio: Per ciò che concerne l'area del commercio l'aggiornamento degli indicatori non ha potuto prescindere dalla ridefinizione delle aree territoriali, omogenee in termini di sviluppo socioConsiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - economico e delle caratteristiche della rete distributiva. Con queste basi analitiche è stata approntata l'assegnazione di comuni, province e regioni ad un'area omogenea. Gli lamentio utilizzate dalla Sose sono stati il grado di modernizzazione della rete distributiva, il grado di copertura dei servizi di prossimità, il grado di sviluppo socio-economico, il grado di benessere e quello di scolarizzazione. Italia Oggi pag. 5 Normalità economica in nota aggiuntiva Studi tra novità e correttivi. L'introduzione di nuovi indici capaci di misurare i ricavi presumibilmente attribuibili al contribuente ha come contraltare la facoltà di emarginare già in sede di compilazione del modello alcuni elementi che hanno condizionato l'attività del contribuente. I casi espressamente isolati dalla prassi sono quelli della marginalità economica che attiene a caratteristiche intrinseche del e soggettive contribuente (età, localizzazione, dotazione strumentale) a quelle esogene come il non normale periodo di attività. In entrambi i casi le informazioni in questione vanno inserite nella sezione «Note aggiuntive - Informazioni aggiuntive» dell'applicazione Gerico, riportando la motivazione principale che ha impedito lo svolgimento dell'attività economica in maniera regolare o le circostanza che denotano una marginalità economica. La marginalità economica: La circolare 31/2007 nel mitigare gli effetti della stretta sugli studi di settore ha meglio definito alcuni correttivi. Un caso emblematico è rappresentato dallo svolgimento dell'attività in condizioni di marginalità economica. In effetti, tale casistica appare ancora più stridente in riferimento ai nuovi ricavi congrui tarati sulla normalità economica. Normalità economica che quindi, a maggior ragione, non potrà essere invocata dall'amministrazione finanziaria per definire casistiche marginali. Tali circostanze sono generalmente ravvisabili nella localizzazione territoriale dell'attività, nelle ridotte dimensioni del mercato servito, nell'età avanzata del contribuente, nella limitata dotazione di beni strumentali e nella loro obsolescenza. Pertanto, dovrebbero beneficiare di un atteggiamento più comprensivo le attività poste nei territori montani per esempio, oppure le piccole imprese individuali condotte da soggetti anziani che svolgono l'attività secondo logiche non strettamente economiche che le differenziano dalle altre imprese del settore. In sede di accertamento dovrebbero essere benignamente valutati anche i bassi consumi energetici nonché l'assenza di personale dipendente. Entrambe le fattispecie dimostrerebbero, infatti, le ridotte dimensioni della struttura. Non normale periodo di attività: Per i contribuenti che si trovano in un non normale periodo di svolgimento dell'attività è necessario compilare il modello studi di settore indicando nell'apposito campo «Note aggiuntive - Informazioni aggiuntive» dell'applicazione Ge.Ri.Co, la motivazione principale che ha impedito lo svolgimento dell'attività economica in maniera regolare. In caso di omessa presentazione del modello, si applica la sanzione amministrativa da 258,00 a 2.065,00 euro, ridotta a un quinto del minimo se la presentazione avviene entro il termine fissato per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è commessa la violazione. Indicatori di normalità economica: Per gli studi di settore che entrano in vigore dall'anno di imposta 2007, si tiene conto anche di valori di coerenza, risultanti da specifici indicatori definiti da ciascuno studio, rispetto a comportamenti considerati normali per il relativo settore economico, come previsto dall'art. 10-bis, comma 2, legge n. 146/98, introdotto dall'art. 1, comma 13, della legge n. 296/06. Per gli studi di settore non interessati da evoluzione per il periodo di imposta 2007 continua a trovare applicazione l'art. 1, comma 14, della legge finanziaria 2007, il quale ha previsto che si debba tener conto anche di specifici indicatori di normalità economica di significativa rilevanza, idonei alla individuazione di ricavi, compensi e corrispettivi fondatamente attribuibili al contribuente in Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - relazione alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta. Tali indicatori di normalità economica sono stati approvati con apposito dm 20 marzo 2007. Livello di adeguamento: In sede di prima applicazione il livello di adeguamento alle risultanze degli studi di settore sarà costituito: per gli studi di settore in evoluzione che entrano in vigore a partire dall'anno di imposta 2007, dal ricavo o compenso puntuale di riferimento calcolato dal software Ge.Ri.Co., che terrà conto anche dell'eventuale incoerenza rispetto agli indicatori di normalità individuati per il singolo studio di settore; per gli studi di settore non interessati da evoluzione per il periodo di imposta 2007, dal maggior valore tra quelli di seguito indicati (comma 1-bis del dm 20 marzo 2007): livello minimo risultante dall'applicazione degli studi di settore tenendo conto delle risultanze degli indicatori di normalità economica di cui al comma 14, art. 1, della Finanziaria 2007; livello puntuale di riferimento risultante dall'applicazione degli studi di settore senza tener conto delle risultanze degli indicatori. Limite dei 7,5 milioni di euro: Per l'anno d'imposta 2007 il modello per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore deve essere compilato anche dai soggetti per i quali valgono le seguenti cause di esclusione: - contribuenti che dichiarano un volume di ricavi di cui all'articolo 85, comma 1, esclusi quelli di cui alle lettere c), d) ed e) del Tuir, approvato con dpr n. 917/86, ovvero compensi di cui all'art. 54, comma 1, del Tuir, di ammontare superiore a 5.164.569 euro e fino a 7.500.000 euro. Per tali soggetti è necessario raccogliere le relative informazioni utili ai fini della verifica dell'applicazione degli studi di settore prevista ai sensi dell'art. 10, comma 4, della legge n. 146/98 modificato dall'art. 1, comma 16, della legge 296/06; contribuenti che rientrano nei casi di cessazione dell'attività, di liquidazione ordinaria ovvero che si trovino in un periodo di non normale svolgimento dell'attività così come previsto dall'art. 1, comma 19, secondo periodo, della legge n. 296/06 (legge finanziaria per il 2007). Sanzioni aggiuntive: La Finanziaria per il 2007, tra l'altro, ha disposto l'inasprimento delle sanzioni previste ai fini delle imposte sui redditi, Iva e Irap, indicate dall'art. 1, comma 2, e dall'art. 5, comma 4, del dlgs 471/97 nonché dall'art. 32, comma 2, del dlgs. n. 446/97. Sono state, infatti, elevate del 10% le sanzioni minime e massime indicate nelle predette disposizioni, in caso di: omessa ovvero infedele indicazione dei dati previsti nei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore; indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Andrea Bongi, Italia Oggi pag. 12 Fisco Ritenute, certificazione esclusa Per i professionisti il diritto a scomputare le ritenute d'acconto subite dipende, unicamente, dalla circostanza che queste siano state effettivamente operate da parte del sostituto d'imposta. Non assume alcuna rilevanza ai fini della deduzione delle ritenute da parte del sostituito nella propria dichiarazione dei redditi la circostanza che queste non siano state certificate dal sostituto o che quest'ultimo non abbia effettuato il relativo versamento all'erario. È questa, in sintesi, la presa di posizione della commissione studi tributari del Consiglio nazionale del Notariato ribadita recentemente attraverso lo studio n. 192-2007/T. Detta posizione si basa, essenzialmente, sul tenore letterale della disposizione contenuta nell'articolo 4, comma 6-ter, del dpr n. 322/1998, ai sensi del quale i sostituti d'imposta rilasciano ai sostituiti un'apposita certificazione unica anche ai fini dei contributi previdenziali, nella quale si attesta l'ammontare delle somme corrisposte e delle ritenute operate. Non esiste pertanto alcun obbligo normativo che imponga ai sostituti di indicare anche se dette ritenute, oltre che operate, siano state anche versate e in quali termini. L'esame condotto dal centro studi del Notariato muove per la verità su due fronti: il primo è relativo alla possibilità di scomputare o meno le ritenute d'acconto subite dal professionista nell'ipotesi in cui il sostituto non abbia rilasciato la certificazione di cui al citato articolo 4, comma 6-ter, del dpr n. 322/1998; il secondo è costituito invece dalla possibilità di scomputare anche ritenute trattenute ma non versate dal sostituto. Circa il primo profilo, tornato di attualità a seguito delle precisazioni dell'Agenzia delle entrate fornite in occasione del forum fiscale organizzato da ItaliaOggi nel maggio scorso, la posizione del Notariato rimane ferma sulle posizioni già assunte da questo organismo con il precedente studio n. 39/2005/T. Secondo questo primo intervento in materia, infatti, la certificazione delle ritenute d'acconto non fornisce la prova del pagamento delle ritenute d'acconto e non costituisce la conditio sine qua non per il diritto allo scomputo delle medesime da parte del professionista sostituito. L'argomentazione recentemente espressa dall'Agenzia delle entrate, prosegue il Notariato, poggia essenzialmente sulla circostanza che se si consente al contribuente di fornire la prova delle ritenute subite con mezzi alternativi alla certificazione rilasciata dal sostituto si finisce per consentire allo stesso l'utilizzo di mezzi probatori provenienti dalla stessa parte in causa. In realtà, questa affermazione è vera solo in apparenza. Grazie al combinato disposto dell'articolo 36-ter del dpr n. 600/1973 e dell'articolo 6, comma 4, dello statuto del contribuente (legge n. 212/2000) è infatti possibile sostenere che l'ostinata richiesta al contribuente delle certificazioni delle ritenute subite finisce per essere un'inutile ripetizione di dati già posseduti dal fisco. Il semplice riscontro delle dichiarazioni modello 770 presentate dal sostituto d'imposta può infatti agevolmente consentire all'amministrazione finanziaria di verificare il dato cercato. Circa il secondo profilo relativo alle ritenute non versate dal sostituto, oltre che non certificate, la posizione del Notariato resta favorevole al contribuente e si pone in aperto contrasto anche con la recente sentenza della Cassazione n. 14033/2006. Secondo il centro studi, infatti, il diritto allo scomputo della ritenuta scatta al momento in cui la stessa è stata operata indipendentemente dal versamento o meno della stessa da parte del sostituto. Posizione peraltro che ha trovato conferma anche in recenti interventi giurisprudenziali successivi anche alla citata sentenza della Corte di cassazione (Ctp Milano, sentenza n. 99/1207). Per il resto, la critica alla sentenza n. 14033 della Cassazione può essere mossa anche sotto diversi altri profili. In particolare, non si può condividere la tesi, fatta propria dai giudici di legittimità nella ricordata sentenza, secondo la quale nell'istituto della Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - ritenuta a titolo d'acconto esisterebbe una responsabilità solidale fra il sostituto e il sostituito per il versamento delle ritenute stesse. Se così fosse, il legislatore avrebbe dovuto prevederlo esplicitamente così come ha fatto per l'istituto delle ritenute a titolo definitivo o d'imposta. Recita infatti l'articolo 35 del dpr n. 600/1973 che «quando il sostituto viene iscritto a ruolo per imposte, soprattasse e interessi relativi a redditi sui quali non ha effettuato né le ritenute a titolo d'imposta né i relativi versamenti, il sostituito è coobligato in solido». Poiché manca nel nostro ordinamento un'analoga disposizione per quanto riguarda le ritenute a titolo di acconto deve desumersi che il legislatore abbia voluto intenzionalmente escludere che in tale ipotesi possa esservi una coobligazione solidale per il versamento delle stesse fra il sostituto e il sostituito. Solidarietà tributaria che deve essere esclusa anche sulla base del fatto che le prestazioni del sostituto e quelle del sostituito hanno un diverso oggetto nonché per il semplice fatto che il debito relativo alla ritenuta d'acconto non coincide quasi mai con l'Irpef dovuta dal sostituito che si calcola non sul singolo provento ma sull'intero suo reddito imponibile. Dunque, sull'annoso tema relativo alla possibilità di scomputare le ritenute d'acconto subite ma non certificate e/o non versate, di estrema attualità sia per i recenti interventi dell'Agenzia delle entrate sia per i frequenti casi di rettifiche operate da parte degli uffici locali sulla base delle motivazioni citate, il Notariato prende, con forza, una posizione chiara e netta, assolutamente contraria sia alle posizioni dell'amministrazione finanziaria sia alla recente posizione della Cassazione. Il contributo fornito dal Notariato alla risoluzione del problema non può certo essere sottovalutato. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Andrea Bongi, Italia Oggi pag. 12 Ritenute non fatte e non versate: sanzione raddoppiata Ritenute non operate e non versate: la sanzione è doppia. Nell'ipotesi in cui il sostituto d'imposta non effettui le ritenute sugli emolumenti corrisposti e non proceda, nei termini di legge, al versamento delle ritenute stesse, commette due distinte violazioni singolarmente sanzionabili. È questa l'opinione dell'Agenzia delle entrate espressa nella recente risoluzione n. 165/E del luglio 2007 in risposta a una precisa istanza di interpello formulata da un contribuente. Le sanzioni applicabili al caso di specie sono quelle rispettivamente previste nell'articolo 13 e nell'articolo 14 del dlgs n. 471/1997. La prima norma richiamata infatti prevede che «chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell'imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l'ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al 30% di ogni importo non versato_». La seconda norma richiamata punisce invece il non aver operato la ritenuta d'acconto stabilendo che «chi non esegue, in tutto o in parte, le ritenute alla fonte è soggetto alla sanzione amministrativa pari al 20% dell'ammontare non trattenuto, salva l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 13 per il caso di omesso versamento. Pertanto, ipotizzando la situazione di un sostituto d'imposta che omette di effettuare e versare nei termini una ritenuta d'acconto pari a 100 euro avremo una sanzione per l'omessa ritenuta pari a 20 euro (20% dell'importo della ritenuta) a cui si aggiungerà la sanzione relativa al mancato versamento di 30 euro (30% dell'importo della ritenuta). L'ipotesi qui descritta deve essere attentamente valutata in considerazione del fatto che, stante la rigida posizione dell'amministrazione finanziaria in tema di scomputo delle ritenute d'acconto, alcuni sostituiti preferiscano incassare il lordo del proprio compenso procedendo poi essi stessi al versamento della ritenuta d'acconto. Se questo metodo operativo è in grado di garantire al sostituito la certezza del versamento della ritenuta d'acconto potrebbe però essere fonte di sanzioni a carico del sostituto, il quale, evidentemente, corrisponde un compenso senza operare la ritenuta d'acconto. Tornando all'esempio numerico di cui sopra, infatti, il sostituto al momento del pagamento del compenso corrisponderà al sostituito l'intero importo, al lordo della ritenuta d'acconto, pari a 500 euro. Il sostituito provvederà poi al versamento, in nome e conto del sostituto, dell'importo di 100 euro corrispondente alla ritenuta d'acconto. Poiché dalla contabilità del sostituto sarà evidente il fatto che all'atto del pagamento del compenso non si è operata la ritenuta d'acconto e si è corrisposto l'importo al lordo della stessa, potrebbe scattare, a carico di quest'ultimo, l'ipotesi sanzionatoria prevista nell'articolo 14 del dlgs n. 471/1997. Naturalmente non sarebbe invece applicabile la sanzione prevista dall'articolo 13 del medesimo dlgs in quanto la ritenuta è invece versata nei termini di legge. Anche questo modus operandi, diffuso proprio a causa delle rigide posizioni assunte dall'Agenzia delle entrate in tema di scomputo delle ritenute, finisce per testimoniare, in un certo senso, l'assurdità delle pretese erariali sul tema. Dunque, chiarita la fonte normativa della doppia violazione e specificata l'entità delle singole sanzioni applicabili, resta comunque salva la possibilità per il sostituto di ricorrere all'istituto del ravvedimento operoso beneficiando così della riduzione della sanzione minima nelle misure variabili previste dalla norma a seconda del periodo in cui il ravvedimento stesso viene effettuato. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Barbara Addui, La Repubblica pag. 25 Fisco-lumaca, 5 anni per chiudere una lite Troppo lunghe e spesso fallimentari. Le liti tra fisco e contribuenti durano degli anni e nella maggior parte dei casi si risolvono con la sconfitta per l´erario. Alla fine del primo grado di giudizio il 52,88 per cento delle cause si chiude con una vittoria del contribuente. L´amministrazione finanziaria recupera qualche punto in appello, ma è ben poca cosa: vince l´erario solo nel 58,67 per cento dei casi. Ci sono sezioni tributarie poi, nelle quali le vittorie del contribuente sfiorano l´80 per cento. Accade in Valle D´Aosta e nella provincia di Catanzaro, dove l´amministrazione fiscale perde oltre 78 cause su cento. La sconfitta per il fisco giunge dopo anni di attesa. Per chiudere una causa ci vogliono di norma quattro anni tra primo e secondo grado con una media nazionale che si attesta a 654 giorni per il grado provinciale e a 721 per quello regionale. La regione delle cause lumache è il Lazio, dove mediamente il tempo che intercorre tra la presentazione del ricorso e il deposito della sentenza è di oltre 1.868 giorni, oltre 5 anni. Anche per arrivare al primo grado di giudizio bisogna aver pazienza. In Valle D´Aosta la procedura è veloce: sei sette mesi e si va in aula. Lente invece le Commissioni tributarie regionali di Calabria e Friuli Venezia Giulia, dove prima di quattro anni difficilmente si chiude. Un periodo di latenza che aumenta al Sud. L´arretrato rimane una sorta di zoccolo duro, anche se in diminuzione rispetto alla situazione del passato, dove non solo si contavano migliaia di cause pendenti, ma di anno in anno la cifra lievitava. A fotografare la situazione è l´ultima relazione inviata al ministero dell´Economia dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, che prende in considerazione gli ultimi dati a disposizione, quelli che si riferiscono al 2006. Ne viene fuori l´immagine di una giustizia tributaria lenta, dove mediamente è il contribuente a spuntarla e dove i ricorsi, invece di diminuire, tendono ad aumentare.Numeri che hanno convinto l´Agenzia delle entrate a recuperare terreno. Scatta oggi infatti il progetto "Qualità del contenzioso" con il quale l´amministrazione fiscale punta a incrementare gli esiti favorevoli delle liti di maggiore rilevanza economica. Una circolare con le linee strategiche del progetto è arrivata da tempo agli uffici competenti. Il progetto prevede in particolare il coinvolgimento delle direzioni regionali, che dovranno svolgere una costante azione di monitoraggio e assistenza agli uffici. Il fisco vuole migliorare la capacità operativa degli uffici, ma soprattutto chiede che la difesa in giudizio degli interessi erariali sia di qualità elevata. Qualità che va realizzata attraverso la tempestiva e esauriente costituzione in giudizio e la sistematica e qualificata presenza in udienza. Tra gli obiettivi del progetto c´è anche quello di evitare la causa a tutti i costi. Così l´amministrazione invita gli uffici, quando ci siano i presupposti, a incentivare strumenti quali l´accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale, evitando così sia al contribuente che al fisco di finire nelle aule giudiziali. Ma quante sono le cause? Per quanto riguarda gli ultimi dati, quelli del 2006, a fronte di 323.007 procedimenti che sono arrivati nelle Commissioni, se ne contano 323.062 che sono stati definiti. Il che significa che tanti ne entrano e più o meno altrettanti ne escono, lasciando l´arretrato ben oltre il mezzo milione di cause (dai 610.942 ricorsi pendenti del primo gennaio 2006 si è arrivati a 593.746 al 31 dicembre dello stesso anno, con una riduzione del 2,81 per cento). Sono in aumento invece ricorsi e appelli, a quota rispettivamente 275.153 nel 2006 (+7,7 per cento sul 2005) e 47.854, (+4,7%). Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Sabina Pignataro, Italia Oggi pag. 26 Europa Ue, il futuro sono le qualifiche Nel 2015 ci vorrà la laurea per fare il lavoro che ora richiede solo il diploma. E ci vorrà un master di specializzazione laddove adesso è sufficiente la laurea. In sette anni l'Europa assisterà a un drammatico declino della domanda di lavoratori poco qualificati a fronte di una crescita delle richieste di lavoratori altamente qualificati. Lo dicono le proiezioni occupazionali realizzate dal Cedefop, il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale, che evidenziano come in meno di dieci anni bisognerà studiare molto per trovare un primo lavoro e bisognerà continuare ad aggiornarsi, per mantenerlo o cambiarlo, per tutta la vita. Insomma, la forza lavoro cambierà quasi pelle mentre 13 milioni di lavoratori entreranno nelle imprese per la prima volta. Le aziende per lo più guarderanno a figure di alto e medio-alto profilo, come legislatori, dirigenti, manager e professionisti, con competenze e qualificazioni crescenti, ma anche a manovali e commessi. «La domanda di lavoro», spiega la direttrice del Cedefop, Aviana Bulgarelli, «si concentrerà su professioni fortemente specializzate e ad alto contenuto di conoscenza, i livelli di istruzione e qualificazione richiesti cresceranno a discapito delle basse qualificazioni». Se si guarda ai titoli di studio si scopre che le professioni per le quali oggi viene richiesto il titolo di laurea, da qui al 2015 registreranno un incremento del 2,8% mentre le professioni con un basso titolo di studio complessivamente caleranno dell'1,4%. In termini assoluti, si tratta di una crescita di quasi 12,5 milioni di posti con le qualificazioni più elevate e quasi 9,5 milioni di medio livello, controbilanciati da un deciso declino di 8,5 milioni di lavoro per quelli con nessuna o poca qualificazione. Le stime del Centro per lo sviluppo della formazione professionale cambiano da paese a paese: a livello europeo la domanda di lavoratori a bassa qualificazione calerà dell'1%. In generale si prevede un crollo della domanda di lavoratori a bassa qualificazione in ogni settore: lavori manuali da esperti (-4,8%), lavori impiegatizi (-2,3%) lavori di alta qualificazione (-0,4%). Mentre aumenterà del 3,6% quella di lavoratori a media qualificazione, come gli addetti specializzati alle vendite e i tecnici specializzati. Nel 2015 il settore primario occuperà 10 milioni di lavoratori in tutta l'Europa, contro i 12 milioni del 2006, e i 15 milioni del 1996; l'industria manifatturiera ne impiegherà 34,5 milioni, contro i 38 milioni del 1996. I servizi sono quelli che hanno le migliori prospettive con una crescita di quasi 9 milioni di posti di lavoro tra il 2006 e il 2015. Nei servizi pubblici le opportunità maggiori saranno nella sanità, lavori sociali e istruzione. Meno nella pubblica amministrazione. A livello italiano, secondo la ricerca, nei prossimi sette anni avremo sempre più bisogno di personale specializzato. Nello specifico, il Cedefop prevede una riduzione della domanda di lavoratori agricoli e della pesca (-47,5%), come anche di operai di fabbrica (-18,5%), di operatori e montatori di macchinari (-10,4%). In calo anche la richiesta di militari (-2,2%). Cresce, invece, la domanda di pubblici funzionari di alto livello, dirigenti e manager (+26,5%), tecnici (+26,1%), professionisti qualificati (+18,6%). Aumenta, anche se in percentuali più basse, anche la domanda di addetti al commercio (+8,3%) e di impiegati generici (+9,4%). Sempre più spesso saranno necessarie conoscenze linguistiche, tecniche e normative che porteranno a selezionare gli aspiranti uomini di fatica tra coloro che hanno studiato, almeno un po' più di quanto sia richiesto ora. A questo bisognerà aggiungere l'aggiornamento professionale continuo che dovrà essere effettuato da tutti i professionisti. Nonostante i singoli governi europei ci stiano lavorando, il livello è ancora molto basso: solo il 9,6% di lavoratori europei partecipa a programmi di formazione permanente. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - GIURISPRUDENZA Giovanni Negri,Il Sole 24 Ore pag. 49 Parcella dell’avvocato al sicuro dal fallimento Rafforzati i crediti dei professionisti. Anche quando questi ultimo sono inseriti in uno studio associato il loro credito deve essere considerato privilegiato tutte le volte che nasce da un’attività direttamente imputabile a un singolo professionista. A questa conclusione è arrivata la Sezione fallimentare del Tribunale di Milano con sentenza depositata il 25 febbraio. Fallita la società cliente del professionista, si era posta la questione delle caratteristiche giuridiche da applicare alle parcelle vantate per verificare se potevano essere assistite dal privilegio nel pagamento dei crediti fallimentari. L a sentenza traccia una linea di demarcazione cui fare riferimento. A prescindere dal fatto che l’attività di assistenza legale portata in giudizio non poteva che essere riferita direttamente all’avvocato indicato nella procura. Si è trattato, nella lettura dei giudici, di normali prestazioni professionali rese dal singolo professionista incaricato e non di prestazioni di servizi fornite da una struttura organizzata con caratteristiche di natura sostanzialmente imprenditoriale, “non risultando l’inserimento del professionista in uno studio associato di per sé sufficiente ad alterare la natura del rapporto tra professionista e cliente, caratterizzato dalla prestazione e dalla responsabilità diretta del professionista”. “In concreto – osserva la sentenza – l’associazione professionale può risultare articolata in forme alquanto variegate per quanto riguarda i livelli di interazione tra i professionisti coinvolti e, in ogni caso, volendosi focalizzare in modo corretto il piano della valutazione socio economica, la differenza rilevante nell’ambito della realtà delle professioni è rappresentata dalla grande divaricazione tra i livelli reddituali, certamente cresciuta a seguito dell’aumento esponenziale degli iscritti, che non riflette però la dicotomia tra professionisti titolari di studio individuale e professionisti che esercitano nell’ambito di studi associati”. Il Codice civile (articolo 2751-bis, n. 2) inoltre, che stabilisce la natura privilegiata del credito del professionista che copre i due anni precedenti, non si preoccupa di istituire una differenza fondata sulla forma di modello organizzativo o sul livello di reddito. Il privilegio assiste così sempre il credito, con l’unica condizione che quest’ultimo abbia per oggetto la retribuzione che spetta a un professionista. Per il tribunale, la prestazione resa dal singolo professionista come nel caso dell’assistenza legale, avrà sempre queste caratteristiche anche se il professionista fa parte di un’associazione professionale. La sentenza sottolinea che mancano i presupposti perché il privilegio possa essere riconosciutoselo quando l’opera intellettuale di una pluralità di professionisti è parte “di una complessa prestazione di assistenza tecnica commissionata alla struttura organizzata in cui i professionisti sono inseriti con cui essi collaborano”. In questa ipotesi è infatti evidente che il rapporto tra cliente e struttura organizzata, anche se costituita da professionisti nella forma dell’associazione professionale, non presenta le caratteristiche del rapporto professionale concentrato sulla personalità della prestazione: si tratta invece di prestazione di servizi intellettuali eseguita nell’ambito di un’attività che è sostanzialmente di natura imprenditoriale. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Cassazione Remo Bresciani,Il Sole 24 Ore pag. 49 Immobili in comodato, occhio alle clausole Prima di chiedere la restituzione di un immobile concesso in comodato conviene leggere attentamente le clausole del contratto. La sola volontà di rientrare in possesso del bene potrebbe, infatti, non essere sufficiente per riottenerne la restituzione. L’ipotesi si verifica quando, pur non essendo prevista una scadenza del contratto, il negozio contiene una clausola che dispone la restituzione solo in caso di necessità, con la conseguenza che il comodato diventa un contratto atipico, per cui la parte che chiede di rientrare in possesso del bene deve dimostrare di avere la necessità di impiegarlo per fini propri. Sono questi gli innovativi principi indicati dalla Cassazione con la sentenza n. 6678/08 che ha individuato una nuova figura di comodato non riconducibile a quelle disciplinate negli articoli 1809 e 1810 del Codice civile che prevedono rispettivamente il comodato a termine e quello senza limiti di durata. Italia Oggi (29/03/08) pag. 42 Rito societario senza connessione Niente connessione nel rito societario. Con la sentenza n.71/2008, depositata ieri in cancelleria e redatta dal giudice Francesco Amirante, la Consulta ha dichiarato illegittimo l'art.1 del decreto legislativo n. 5/2003 nella parte in cui estende l'ambito di applicazione del processo societario a tutte le controversie connesse a norma degli articoli 31, 32, 33, 34, 35 e 36 del codice di procedura civile. A sollevare la questione di legittimità è stato il giudice del lavoro del tribunale di Padova chiamato a decidere su una controversia societaria connessa con una causa di lavoro. Quest'ultima, stando alla lettera del dlgs n.5/2003, sarebbe stata da attrarre nel rito societario. Per scongiurare questa eventualità il giudice del lavoro si è rivolto alla Consulta sostenendo che il decreto legislativo sul processo societario sarebbe stato viziato per eccesso di delega. Secondo il giudice infatti, la connessione sarebbe stata introdotta dal legislatore “al di fuori dei termini della delega che nulla stabiliva in tema di rito applicabile in caso di connessione di procedimenti regolati da riti diversi”. La Corte costituzionale ha ritenuto la questione fondata. “La disposizione esorbita dalla delega nel cui dettato non trova fondamento”, ha sentenziato senza mezzi termini la Consulta che nella decisione si è spinta anche oltre quello che era l'oggetto del quesito posto dal giudice a quo. Questi, infatti, aveva censurato la disposizione del dlgs n.5/2003 solo nella parte in cui stabiliva l'applicabilità del rito societario in caso di connessione con una causa in materia di diritto del lavoro. Tuttavia, la Consulta, accertato che la legge delega non autorizzava il governo a intervenire in materia di connessione tra procedimenti diversi, ha ritenuto legittimo estendere l'oggetto della decisione, fino a ricomprendere “l'intera disposizione concernente il rito applicabile alle controversie connesse”. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Paolo Russo,Il Sole 24 Ore pag. 49 La multa va annullata se il vigile è fuori servizio Va annullato, in materia di circolazione stradale, il verbale di contestazione redatto dalla polizia municipale per violazione del Codice della strada, se la presunta violazione è accertata da un agente in abiti civili è fuori dal servizio di vigilanza. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 5771/08. Italia Oggi (29/03/08) pag. 42 Niente «ex Cirielli» in appello La legge «ex Cirielli» non si applica ai processi pendenti in appello e in Cassazione. Con la sentenza n.72/2008, depositata ieri e redatta dal giudice Alfio Finocchiaro, la Consulta ha respinto, dichiarandola non fondata, l'ennesima questione di legittimità sulla controversa legge (n. 251/2005) del governo Berlusconi che ha ridotto la prescrizione per alcuni reati aumentando le pene per i recidivi. La legge nella sua formulazione iniziale disponeva che le nuove norme si applicassero già ai procedimenti pendenti al momento della sua entrata in vigore, ad eccezione però di quelli di primo grado in cui fosse iniziato il dibattimento, nonché di quelli pendenti in appello e in Cassazione. Ma sul punto è intervenuta nel 2006 (sentenza n.393) la Corte costituzionale che ha esteso l'applicazione delle nuove regole a tutti i procedimenti di primo grado senza distinzioni, ritenendo non ragionevole che l'apertura del dibattimento potesse costituire un discrimine. L'inapplicabilità dei nuovi termini prescrizionali ai giudizi pendenti in appello e in Cassazione è invece rimasta ed è stata oggetto della decisione di ieri dei giudici di leggi. La Consulta ha bocciato il ragionamento della Corte d'appello di Roma che, partendo proprio dalle motivazioni della sentenza n.393/2006, puntava a estendere l'applicazione della «ex Cirielli» ai processi pendenti in secondo grado. Per questo tipo di giudizi, ha stabilito la Corte, «l'esclusione dell'applicazione retroattiva della prescrizione più breve non discende dall'eventuale verificarsi di un certo accadimento processuale (come l'apertura del dibattimento, appunto, ndr), ma dal fatto oggettivo e inequivocabile che processi di quel tipo siano in corso ad una certa data». Inoltre, prosegue la Consulta, «nei giudizi penali di appello, e ancor più in quelli di Cassazione, l'esigenza di evitare che l'acquisizione del materiale probatorio, e quindi l'esercizio del diritto di difesa dell'imputato, sia resa più difficile dallo scorrere del tempo è già soddisfatta dalla disciplina positiva di tali giudizi». Infatti, in via di principio, il materiale probatorio è acquisito nel corso del dibattimento di primo grado, mentre in appello la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è ammessa solo nei casi previsti dall'art. 603 cpp (riassunzione di prove già acquisite o assunzione di nuove prove, se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, ndr). Sulla base di queste argomentazioni la Corte costituzionali ha quindi ritenuto ragionevole la scelta operata dal legislatore del 2005 di escludere l'applicazione dei nuovi termini di prescrizione ai giudizi pendenti in appello e in Cassazione. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - Elsa Vinci, La Repubblica (29/03/08) pag. 21 Cani, l’ordine della Cassazione: “I padroni li facciano abbaiare poco” Abbaiare ma senza disturbare. Se qualche mese fa un giudice di pace a Trento ha sancito che abbaiare per un doberman «è un diritto esistenziale», la Cassazione invita i proprietari dell´amico a quattro zampe a un minimo di bon ton. Soprattutto in condominio, dove «l´eccitazione dell´animale va contenuta».C´era chiasso anche di notte in casa di una coppia di Monsumanno Terme, nel Pistoiese. Frequenti i dopo cena con amici, che il loro cane festeggiava. Ovvio durante il giorno l´abbaiare ad ogni suono del campanello e appena il portone richiudeva l´androne del palazzo. «Una continua cagnara», secondo i vicini. La lite è arrivata al supremo grado di giudizio. Con la sentenza 7856 la Cassazione sancisce che certo «non bisogna coartare» la natura del cane impedendogli del tutto di abbaiare, ma solo cercare di ridurre al minimo «le occasioni di disturbo, prevenendo le possibili cause di agitazione ed eccitazione dell´animale, soprattutto nelle ore notturne». Negli atti di piazza Cavour non è indicata né la razza né la taglia del cane in questione, la regola è generale: i padroni devono contenere la «tendenza» di certi esemplari ad abbaiare «ogni qualvolta sentono suonare il campanello o avvertono la presenza di persone all´interno del palazzo». Gli altri condomini però devono «contribuire alla civile convivenza e tollerare episodi saltuari di disturbo da parte dei cani che vivono nello stabile».La Cassazione ha respinto il ricorso della coppia pistoiese contro la decisione del tribunale che nel 2002 aveva ordinato ai padroni del cane di «osservare scrupolosamente il regolamento condominiale, cercando di evitare il continuo abbaiare». La sentenza è stata confermata, ed è nel solco della giurisprudenza. La Suprema Corte infatti ha sempre sanzionato i proprietari di cani «molesti». Anche se a lamentarsi era un solo vicino. Stavolta i padroni non sono stati condannati ma avendo perso il processo e dovranno pagare le spese di giudizio. Per non aver educato forse prima se stessi e soltanto poi il loro cane a vivere in una comunità. Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - FLASH Italia Oggi (29/03/08) pag. 44 Entrate, qualità per i contenziosi L'agenzia delle entrate dà il via al progetto «qualità del contenzioso tributario». Dal 1° aprile le direzioni regionali saranno chiamate ad assicurare, attraverso il monitoraggio delle controversie e l'assistenza agli uffici, l'incremento dell'efficienza dell'azione difensiva del fisco. A darne notizia è la circolare n. 29 del 28 marzo 2008, con la quale l'agenzia impartisce disposizioni operative in materia di contenzioso tributario, tenendo conto dell'atto di indirizzo ministeriale per il triennio 2008–2010 e delle linee guida del piano aziendale dello stesso periodo, che contempla quale fattore critico di successo l'aumento della sostenibilità della pretesa tributaria. La circolare si sofferma sulla novità rappresentata dal progetto, che vedrà le direzioni regionali impegnate nel riscontro preventivo di qualità dell'azione degli uffici, da effettuare durante l'iter del contenzioso, fino alla definitiva conclusione. Le controversie interessate dal progetto verranno individuate successivamente, nell'ambito dei ricorsi alla Ctp notificati a decorrere dal 1° gennaio 2008. In questo contesto, le direzioni regionali provvederanno a verificare la tempestività, correttezza e completezza degli adempimenti di competenza dei team legali degli uffici: dalla costituzione in giudizio in primo e secondo grado alla riscossione provvisoria e definitiva, dalla partecipazione alle udienze all'esecuzione dei provvedimenti del giudice, dall'appello o acquiescenza alle richieste di ricorso e controricorso in cassazione. Un'attività, quella delle direzioni regionali, che dovrà essere di stimolo per una più efficace gestione delle controversie. Riguardo agli obiettivi operativi, la circolare spiega che, in via sperimentale, è stato assegnato l'obiettivo di incremento degli esiti favorevoli dei giudizi di primo e secondo grado in relazione ai ricorsi contro atti di accertamento. Il miglioramento sarà valutato rispetto alla media registrata nel biennio precedente, prendendo come base di calcolo non il numero delle decisioni, ma i valori complessivi delle controversie confermati dai giudizi oppure annullati. Nel biennio 2006-2007, a livello nazionale, la percentuale a favore dell'agenzia è stata pari al 50,4% in Ctp e al 46,5% in Ctr, percentuali che ciascun ufficio dovrà incrementare di almeno il 2%, se nel detto periodo era sotto la media nazionale, ovvero dell'1% negli altri casi. Corriere della Sera (29/03/08) pag. 35 Assegni, tassa da 1,50 euro Dal 30 aprile nuove regole per assegni bancari, postali e circolari, libretti di risparmio e contanti. Dai 5.000 euro in su scatta l'obbligo di emettere solo assegni «non trasferibili», mentre per «cheque liberi» si paga una tassa di 1,50 euro ad assegno. Vietato emettere assegni «a me medesimo» se non per l'incasso di contanti da parte della stessa persona che li ha emessi. Inoltre gli assegni liberi dovranno portare per ogni girata, pena la sua nullità, anche l'indicazione del codice fiscale. Le nuove norme, messe a punto dal ministero dell'Economia per adeguarsi alle direttive comunitarie e combattere riciclaggio e criminalità, prevedono anche sanzioni. «Una sovratassa per disincentivare l'uso degli assegni trasferibili e sollecitare l'utilizzo della carta di credito» dice il direttore generale dell'Abi Giuseppe Zadra Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 - La Repubblica (29/03/08) pag. 25 Al via la stretta sugli assegni trasferibili: codice fiscale, bollo e tetto massimo Entro il 30 aprile è bene fare un salto in banca o alle Poste. È in arrivo infatti una minirivoluzione su emissione di assegni, trasferimento di contanti, libretti e titoli al portatore. «Nulla di che spaventarsi», avverte Giuseppe Zadra, direttore generale dell´Associazione bancaria italiana. È solo l´ultimo capitolo della "guerra al contanti", ma anche all´evasione, al nero, al riciclaggio. Per capire bene cosa cambierà sarà disponibile un vademecum agli sportelli bancari. È bene leggerselo attentamente perché ci sono scadenze o procedure che vanno rispettate. Cosa cambia? Dal 30 aprile quando chiederete il libretto degli assegni le banche vi daranno in automatico solo carnet di assegni "non trasferibili". Se li volete "trasferibili" dovrete fare una richiesta scritta e per ogni assegno pagare un´imposta di 1,50 euro. Ma, attenzione, andranno utilizzati solo per importi inferiori ai 5mila euro. E i vecchi assegni? Nel dubbio, è bene scriverci "non trasferibile". Quelli che dovete ancora incassare sono salvi. Non solo. Non potranno più essere girati a qualcun altro gli assegni con la dicitura "a me stesso, a me medesimo, ecc". Perché anche le regole sulla "girata" cambiano. Solo gli assegni "trasferibili" potranno essere girati ad altri, solo per importi non superiori ai 5mila euro e solo se ad ogni girata verrà indicato nome e codice fiscale di chi gira. Senza il codice fiscale l´assegno non potrà essere riscosso. Perso, dunque. Anche per i libretti "al portatore" la soglia fissata dalle nuove disposizioni non deve superare i 5mila euro. I libretti esistenti con saldi superiori dovranno essere estinti o dovranno essere condotti al nuovo limite. Ma c´è tempo fino al 30 giugno 2009. ( a cura di Daniele Memola ) Consiglio Nazionale Forense - via del Governo Vecchio, 3 - 00186 Roma - tel. 0039.06.977488 - fax. 0039.06.97748829 -