NASCE Busine L’IMPRESA come css plan: interpr ostruirlo e etarlo ELISABETTA GUALANDRI VALERIA VENTURELLI NASCE Busine L’IMPRESA come css plan: interpr ostruirlo e etarlo A cura di Elisabetta Gualandri e Valeria Venturelli Approfondimento di Jessica Iacobbe e Chiara Nigrisoli INDICE Elisabetta Gualandri è Professore Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari all’Università di Modena e Reggio Emilia. Svolge attività di ricerca con riferimento a temi bancari e finanziari nell’ambito del Cefin, Centro Studi Banca e Finanza, e con riferimento allo start-up d’impresa nell’ambito di Softech-ICT, Centro di ricerca industriale per le imprese. Su tali temi di ricerca ha prodotto numerose pubblicazioni in ambito nazionale ed internazionale. Valeria Venturelli è Professore Associato di Economia degli Intermediari Finanziari all’Università di Modena e Reggio Emilia. Svolge attività di ricerca con riferimento a temi bancari e finanziari nell’ambito del Cefin, Centro Studi Banca e Finanza, e con riferimento allo start-up d’impresa nell’ambito di Softech-ICT, Centro di ricerca industriale per le imprese. Su tali temi di ricerca ha prodotto numerose pubblicazioni in ambito nazionale ed internazionale. CENTRO STUDI BANCA E FINANZA PREFAZIONE 05 1 . IL BUSINESS PLAN COME DOCUMENTO DI PIANIFICAZIONE STRATEGICA 07 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 Che cosa è il business plan A chi è indirizzato il business plan: prospettiva interna ed esterna Il processo di pianificazione strategica Indice di business plan Descrizione del gruppo imprenditoriale Descrizione del progetto imprenditoriale La verifica di coesione e l’ambiente economico, sociale e normativo 2. ANALISI DEL SISTEMA COMPETITIVO ALLARGATO 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 Si ringraziano Le cinque forze di Porter I potenziali entranti Analisi dei concorrenti I fornitori di prodotti e servizi sostitutivi Analisi dei clienti e dei fornitori 3. STRATEGIA DI MARKETING www.brunacci.eu www.fin-innovations.com 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 Introduzione Domanda globale e quota di mercato dell’azienda La stima della domanda di mercato corrente e futura L’analisi del vantaggio competitivo La SWOT Analysis Il marketing strategico: segmentazione, targeting e posizionamento 07 08 10 12 13 14 15 17 17 19 21 23 23 25 25 26 28 29 31 33 03 3.7 Il marketing-mix 3.8 La politica di prodotto 3.9 La politica di prezzo 3.10 La politica di distribuzione 3.11 La politica di comunicazione 36 36 38 39 40 4. VERIFICA DELLA FATTIBILITÀ TECNICA 43 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7 4.8 4.9 Introduzione Definizione della struttura produttiva Analisi degli investimenti e analisi tecnologica Il modello di produzione Il layout di impianti e macchinari La capacità produttiva e le scelte di make or buy Gli accordi con le imprese La struttura commerciale La struttura organizzativa e i meccanismi operativi 5. LA FATTIBILITÀ ECONOMICA E FINANZIARIA 5.1 I bilanci previsionali 5.2 Il piano degli investimenti 5.3 Il conto economico preventivo 5.4 Lo stato patrimoniale previsionale 5.5 Il bilancio previsionale come strumento di controllo di gestione 5.6 La convenienza economica: la break-even analysis 5.7 Gli indici di reddittività 5.8 Gli indici di analisi della gestione finanziaria 5.9 Il rendiconto finanziario 5.10 Modalità di copertura del fabbisogno finanziario 04 43 43 44 45 46 47 48 48 49 53 53 55 57 62 63 68 70 72 75 77 6. FAQ 79 GLOSSARIO 81 LINK UTILI 85 PRINCIPALI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 87 PREFAZ IONE Il Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Modena, nell'ambito di riflessioni allargate su un modello territoriale che favorisca lo sviluppo di nuove imprese e sulla creazione di opportunità per i giovani, ha deciso di investire risorse ed energie per la creazione di un progetto che favorisca la nascita e la crescita di start-up innovative, che portino valore aggiunto al tessuto imprenditoriale della nostra provincia. Il progetto valorizza anche il ruolo del business angel quale soggetto chiave nella fase di avvio di nuove iniziative economiche. Crediamo fermamente che, per le sue peculiarità, l'investitore informale possa infatti apportare un contributo determinante a dare risposta a problematiche fondamentali che si pongono a chi voglia avvicinarsi al mondo dell’impresa: l’esigenza di finanziamento della start-up; il fabbisogno di competenze manageriali e gestionali trasversali, che un aspirante imprenditore non sempre ha avuto modo di sviluppare; l'opportunità di accesso a percorsi e reti di contatti già consolidati, utili ad accelerare la crescita. Inoltre è evidente l'ambizione di facilitare un indispensabile salto culturale rispetto ai modelli del passato: oltre alla preparazione tecnica, alle competenze gestionali e al coraggio necessario ad affrontare i nuovi scenari, oggi più che mai sono cogenti una attenta pianificazione finanziaria e l'impegno a tutelare il proprio know-how, per valorizzarlo e difenderlo. Da queste tematiche primarie l'iniziativa di una guida in quattro volumi, la cui chiave di lettura intende rispondere alle esigenze sia dei neo-imprenditori sia dei business angel, valorizzando per entrambi, ognuno con lo specifico punto di vista, priorità e strumenti. A nome del Gruppo che ho l'onore di presiedere ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile il progetto, nonché tutti nostri colleghi imprenditori, nei quali da sempre troviamo supporto e stimolo per indirizzare il nostro ruolo e il nostro impegno affinché il territorio modenese rimanga protagonista dei mercati mondiali. Davide Malagoli, presidente Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Modena 05 CAPITO Il busin LO 1 docum ess plan com e pianificento di strateg azione ica Il progetto “Servizi per la nuova imprenditoria innovativa del territorio” è stato svolto nell’ambito del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università di Modena e Reggio Emilia, sotto la supervisione di Elisabetta Gualandri e Valeria Venturelli - Cefin (Centro Studi Banca e Finanza) e Softech-ICT (Centro di ricerca industriale per le imprese). L’obiettivo del progetto è stato di identificare i principali servizi e strumenti volti a facilitare la nascita e lo sviluppo di start-up ad alto contenuto d’innovazione tecnologica, tra cui gli di spin-off universitari. Il fine è di contribuire a superare sia il gap di conoscenza (knowledge gap) sia il gap finanziario (financing gap) che contraddistinguono le nuove iniziative imprenditoriali innovative. Centrale a tal fine è la valorizzazione dei business angels, investitori informali generalmente radicati sul territorio, apportatori sia di conoscenze tecniche/manageriali, sia di capitale di rischio. Il progetto è stato articolato in tre fasi principali. Nella prima fase si è proceduto a una duplice mappatura: da un lato le esigenze finanziarie e non delle neo imprese e dall’altro le tipologie di servizi offerti ai potenziali investitori in capitale di rischio dai principali network/associazioni di business angels in ambito nazionale e internazionale. L’obiettivo della seconda fase è stato quello di far emergere i principali elementi che ostacolano l’incontro tra domanda e offerta di know-how e di finanziamenti per le start-up, con specifico riferimento al nostro territorio. Tale fase è stata realizzata con due modalità: da un lato con interviste ad un campione di imprenditori in prevalenza associati a Confindustria Modena che nel recente passato hanno avviato una attività di tipo innovativo/tecnologico; dall’altro lato attraverso un focus group con investitori informali, business angels, operanti nel territorio. Sulla base dell’analisi delle risultanze delle prime due fasi della ricerca, si è proceduto alla realizzazione di una guida operativa suddivisa in quattro volumi: uno dedicato allo start-up d’impresa [Start-up: dal progetto al mercato], uno ai business angels [Business angels: investitori a valore aggiunto], uno alla redazione ed utilizzo del business plan [Business plan: come costruirlo e interpretarlo] ed uno alla tutela della proprietà industriale [Come tutelare la proprietà industriale]. Ogni volume si chiude con le principali domande poste più frequentemente [FAQ], il glossario dei termini utilizzati e l’elenco dei link utili all’approfondimento degli specifici temi trattati. Un ringraziamento a tutti coloro che hanno partecipato al focus group e alle interviste, per il prezioso contributo alla realizzazione del progetto e di questi volumi. Il volume “Business plan: come costruirlo e interpretarlo” intende fornire gli elementi di base per la redazione e la lettura di un documento fondamentale per trasformare la visione dell’imprenditore in un progetto imprenditoriale coerente. Le fasi fondamentali sono: la valutazione del contesto competitivo in cui l’azienda deve inserirsi, l’analisi della fattibilità strategica, di mercato, strutturale ed economica, fino alla ricerca la modalità del finanziamento più opportuna per la nuova iniziativa imprenditoriale. Il business plan può essere redatto per descrivere un progetto che comporta la costituzione di una nuova impresa o progetti di diversificazione nell’ambito di imprese già esistenti. La redazione del business plan costituisce in molti casi la premessa per l’ottenimento di finanziamenti da parte di soggetti esterni all’impresa, sia a titolo di capitale di debito, sia a titolo di capitare proprio. A tal fine i finanziatori valutano la coerenza del piano con gli obiettivi strategici e con le modalità proposte per la loro realizzazione. Il lavoro è articolato in cinque parti. Nella prima viene definito il business plan, quale strumento di pianificazione strategica, nella prospettiva interna ed esterna. Il secondo capitolo affronta il tema dell’analisi competitiva del mercato obiettivo (potenziali entranti, concorrenti, fornitori di prodotti sostitutivi, clienti e fornitori). Il terzo capitolo si focalizza sulla strategia di marketing, introducendo la SWOT Analysis e le diverse politiche attivabili. Il quarto capitolo si occupa della verifica della fattibilità tecnica del progetto. Il quinto capitolo approfondisce, infine, la fattibilità economica e finanziaria della nuova iniziativa imprenditoriale. Modena, dicembre 2011 06 Elisabetta Gualandri e Valeria Venturelli - Università di Modena e Reggio Emilia 1.1 Che cosa è il business plan Il business plan è un documento che sintetizza il progetto imprenditoriale dell’impresa e ne illustra le strategie. Esso è una formalizzazione “nero su bianco” delle idee dell’imprenditore e, una volta redatto, lo aiuta a verificare se l’idea imprenditoriale originaria, anche definita business idea, sia concretamente fattibile. In altre parole, è il documento tramite il quale si comprende il livello di efficacia della strategia, in quanto permette di confrontare le performance effettive con quelle pianificate, identificando gli scostamenti e potendo in tal modo comprendere i punti di forza e di debolezza della strategia stessa. Il documento ha una duplice valenza: • interna, poiché è una guida strategica su cosa fare, perché e come, al fine di far comprendere all’imprenditore le conseguenze di precise scelte; • esterna, poiché permette di presentare il progetto ai portatori esterni d’interesse, i cosiddetti stakeholder, ovvero quelle categorie d’individui che sono portatori di attese nei confronti dell’impresa e influiscono sull’attività aziendale affinché tali aspettative si realizzino (tra gli altri: i nuovi soci potenziali, le banche, gli altri finanziatori). Il business plan ha una duplice valenza: interna, a supporto dell’imprenditore, ed esterna, a supporto dell’investitore Dal punto di vista interno, ovvero quello dell’imprenditore, redigere un business plan aiuta a identificare e aumentare le conoscenze relative ad attività aziendali quali: • ottimizzazione e sviluppo delle risorse a disposizione; • miglioramento della conoscenza di aspetti finanziari, dei flussi di cassa e dei volumi critici di attività che devono essere raggiunti ai fini dell’economicità dell’impresa, i cosiddetti break-even points; 07 • raccolta e analisi delle informazioni specifiche relative al settore e al mercato; I tipici investitori sono i seguenti: • gestione dei rischi che potrebbero compromettere l’attività; • Fondi di venture capital • identificazione dei percorsi necessari per raggiungere specifici obiettivi, realizzando un profitto; • Business angels • comunicazione con gli stakeholder attraverso un documento strutturato e chiaro. • Aziende Per quanto riguarda invece i rapporti con l’esterno, il business plan è uno strumento indispensabile per accedere a qualsiasi fonte di finanziamento pubblico e/o privato. Infatti, è difficile immaginare l’accesso al finanziamento di iniziative imprenditoriali senza la formalizzazione dell’idea di business e senza tradurre in un adeguato piano gli obiettivi strategici e le modalità proposte per la loro realizzazione. • Pool di investitori informali Inoltre il business plan è un mezzo di comunicazione utile per i soci e i portatori di capitale di rischio ovvero coloro che, detenendo già la proprietà dell’impresa, possono essere chiamati a ulteriori apporti di mezzi finanziari, a seguito delle esigenze derivanti dallo sviluppo della business idea. Infatti, gli stakeholder confidano nella buona riuscita dell’idea imprenditoriale e possono decidere di impegnare mezzi finanziari pro-tempore a fronte di una remunerazione solitamente tanto più elevata quanto maggiore è il rischio. Le categorie di stakeholders a cui si rivolge il business plan sono numerose 1.2 A chi è indirizzato il business plan Le categorie di stakeholder, di persone o gruppi d’interesse a cui si rivolge il business plan sono numerose e si possono suddividere in interni ed esterni all’azienda/organizzazione. Gli stakeholder interni sono i portatori di interesse che partecipano alla formazione del piano strategico attraverso proiezioni, analisi e numerose valutazioni, al fine di creare valore. Possono essere i componenti del consiglio di amministrazione, i manager di funzione (in grandi aziende), i manager di divisioni, i project manager e in generale persone con competenze tecniche e manageriali. Gli stakeholder esterni sono principalmente i finanziatori, gli enti che possono essere interessati ad entrare nel capitale di rischio dell’azienda, gli investitori, gli advisor e i consulenti. I finanziatori sono rappresentati generalmente dalle banche commerciali, dalle banche d’investimento e dalle istituzioni finanziarie internazionali. Tale categoria si concentra principalmente sul tasso di ritorno dell’investimento della nuova strategia previsto per i primi anni. Gli investitori sono rappresentati dalle organizzazioni che forniscono i mezzi finanziari per realizzare la nuova strategia, acquisendo una quota del capitale dell’impresa. 08 I fondi di venture capital sono specializzati nel finanziamento di imprese con forti potenzialità di sviluppo. Sono organizzazioni partecipate principalmente da fondi pensione, istituzioni finanziarie, o individui con numerose esperienze in settori specifici e di management aziendale. Generalmente sottoscrivono capitale di rischio delle imprese, diventando soci (solitamente di minoranza) e vendendo le partecipazioni ad altre aziende o in caso di una IPO (Initial Public Offering) collocandole in borsa se l’azienda viene quotata. I venture capitalist valutano continuamente strategie e business plan di aziende consolidate e start-up in settori innovativi, in particolare tecnologici, concentrandosi sulla qualità imprenditoriale dell’iniziativa, controllando la storia di chi la promuove, la qualità del team in termini di competenze tecniche e manageriali, e il vantaggio competitivo (assicurandosi che non sia facilmente replicabile da altri), l’innovazione del prodotto/servizio, la capacità dell’imprenditore e la strategia competitiva. Tali fondi vengono costituiti a tempo determinato, fino a quindici anni. Durante questo periodo, essi investono in media in 30-50 iniziative con l’obiettivo di uscirne ottenendo elevati rendimenti, di circa 5-10 volte l’investimento iniziale (Zancanella, 2005). A fine mandato, sciolgono il fondo e ridistribuiscono il patrimonio ai soci fondatori con possibili consistenti ritorni a causa dell’elevato rischio assunto. In USA la più importante associazione di fondi di venture capital è la National Venture Capital Association che raggruppa circa 450 fondi. Essa ha il compito di mantenere standard professionali di alto livello, di costruire sistemi di network e di fornire informazioni e dati relativi ai settori e all’evoluzione dei mercati. In Italia la più importante associazione è l’AIFI, Associazione Italiana dei Private Equity e Venture Capital (www.aifi.it), che ha il compito di coordinare i soggetti attivi sul mercato italiano dell’investimento in capitale di rischio. Il business angel è un investitore informale che, investe risorse finanziarie proprie acquisendo quote di partecipazioni nel capitale di piccole o piccolissime imprese a elevato potenziale e apporta anche competenze manageriali ed esperienze necessarie per lo sviluppo dell’impresa finanziata. Quindi il business angel non fornisce alla startup solo risorse finanziarie, ma anche conoscenze e contatti indispensabili per l’avvio e lo sviluppo dell’impresa. Il ritorno atteso è di 3-5 volte l’investimento iniziale. Il business angel molto spesso assume il ruolo di vero e proprio partner impegnato nella gestione operativa dell’impresa finanziata. Una differenza sostanziale tra business angels e venture capitalists è che i primi investono capitali propri e non raccolti presso terzi: quindi non devono garantire rendimenti minimi ai terzi. Generalmente analizzano il business e decidono se intervenire in tempi rapidi, ottenendo un ritorno dell’investimento nella misura del 20-30% annuo (Zancanella, 2005). Strutturano la partnership in forma mista con intervento di capitale proprio e di debito. I business angels generalmente sono imprenditori, ex dirigenti aziendali, e business leaders che in passato hanno creato o finanziato imprese di successo. Essi possono supportare l’iniziativa attraverso funzioni di guida nella pianificazione strategica e possono 09 impegnarsi a raccogliere ulteriori fondi sul mercato finanziario. In Italia sono presenti differenti associazioni che supportano le iniziative imprenditoriali con idee innovative, quali l’Associazione Italiana IBAN - Italian Business Angel Network - (www.iban.it); la EBAN - European Business Angels Network Association- e il club Italian Angels for Growth (www.italianangels.net). Per una trattazione più dettagliata sul tema si rimanda all’approfondimento “Business angels: investitori a valore aggiunto”. Figura 1. Metodo di elaborazione del business plan e valutazione della fattibilità Il pool di investitori ad hoc comprende coloro che finanziano specifiche operazioni creando un pool simile agli angels ma che possono effettuare operazioni di maggiore entità, con un livello di formalità inferiore. Essi focalizzano la loro attenzione sullo sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale, senza attribuire molta importanza al ritorno dell’investimento. Fondazioni o centri di ricerca possono mettere a disposizione risorse anche a fondo perduto. I fornitori e i clienti possono partecipare nel finanziamento di nuove iniziative strategiche. In particolare, i fornitori possono applicare sconti o estendere le dilazioni di pagamento, a seguito dei piani di crescita forniti dai clienti, mentre questi ultimi possono essere disposti ad acquisire una partecipazione in aziende fornitrici per sviluppare nuovi componenti o tecnologie. Ciò avviene nelle c.d. supply chain (catene di fornitura), tramite le quali le aziende producono particolari tipologie di beni di importanza strategica per i loro clienti, a causa dei problemi di reperibilità del prodotto. In tale caso il cliente considera il fornitore come strategico e investe nell’attività dello stesso, al fine di migliorare consegne e qualità dei prodotti e servizi. La pianificazione strategica è il processo attraverso il quale si definiscono obiettivi concreti e misurabili, si stabiliscono i piani d’azione e si assegnano risorse e compiti 10 I consulenti (advisor) sono le figure che frequentemente vengono coinvolte nelle attività di consulenza durante le fasi di sviluppo delle nuove iniziative. Essi possiedono elevate capacità tecnico-manageriali e partecipano allo sviluppo del processo strategico, definendo e pianificando, insieme alle persone chiave dell’azienda, le principali attività e formulando il piano di business. Fonte: Ferrandina e Carriero, 2010 Più nel dettaglio, lo studio dell’ambiente competitivo deve essere declinato nell’analisi di due elementi: • il mercato di riferimento, al fine di analizzare i volumi di vendita, offrire una stima realistica della quota di mercato raggiungibile, descrivere i clienti (chi sono, dove sono collocati geograficamente, qual è l’elasticità della domanda al prezzo), il posizionamento del prodotto e il marketing mix (politiche di prodotto, prezzo, comunicazione e distribuzione); 1.3 Il processo di pianificazione strategica La pianificazione strategica è il processo attraverso il quale si definiscono obiettivi concreti e misurabili, si assegnano funzionalmente le risorse, si stabiliscono le azioni da intraprendere e si attribuiscono i compiti ai responsabili. La pianificazione strategica si sostanzia nella formulazione di un piano strategico che prevede un orizzonte temporale di 3-5 anni. Infatti, affinché gli obiettivi siano misurabili e non rimangano solo “sulla carta” ma siano raggiungibili dall’intera struttura organizzativa, è necessario che derivino da un’attenta analisi di tre macro aree: l’area dell’ambiente competitivo, l’area tecnologica e l’area organizzativa. La figura 1 riporta, per ciascuna di queste aree, i tre principali livelli d’analisi strategica, ovvero l’individuazione di opportunità e vincoli, gli obiettivi riferibili all’area d’intervento, le strategie e le politiche che si possono delineare. • il settore d’appartenenza, evidenziando l’attuale dimensione dell’offerta e del sistema concorrenziale. Nell’analisi del settore è importante individuare la fase del ciclo di vita in cui si trova l’azienda, i principali attori dell’arena competitiva, ovvero i concorrenti, i clienti ed i fornitori. Inoltre, è necessario valutare quali sono i fattori critici per un confronto competitivo di successo nel settore, le barriere all’entrata e le variabili macroeconomiche che influenzano il settore. L’analisi dell’area tecnologica è invece volta ad identificare i requisiti di unicità di un prodotto e le risorse necessarie per investire nel suo sviluppo, a considerare l’importanza dei brevetti e dei marchi e il loro valore di mercato, a conoscere le caratteristiche dell’offerta proveniente dalla concorrenza. E’ necessario in tale fase individuare le varie alternative presenti nel settore unitamente al tasso d’innovazione e studiare il posizionamento di ciascuna alternativa tecnologica rispetto alle tendenze dell’ambiente e al relativo ciclo di vita. Per una trattazione più dettagliata sul tema dei brevetti si rimanda all’approfondimento “Come tutelare la proprietà industriale”. 11 Gli investitori sono incentivati ad apportare capitali e competenze qualora dallo studio di fattibilità emerga un progetto con elevato potenziale di sviluppo Per quanto riguarda l’area organizzativa l’analisi può essere svolta su due dimensioni: • a livello dell’organizzazione aziendale ampiamente intesa, individuando la filiera tecnologica-produttiva, i rapporti con i fornitori e l’eventuale dipendenza nei loro confronti, le scelte di internalizzazione o esternalizzazione di determinate attività aziendali. In tale fase è importante anche descrivere il processo di controllo della qualità, valutare la convenienza dell’investimento in attrezzature e macchinari, analizzare la futura capacità produttiva e gli interventi necessari per incrementarla, individuare la qualità delle risorse umane impiegate, le modalità per la loro gestione e la loro interazione; • Descrizione del gruppo aziendale/descrizione del progetto • a livello del vertice aziendale, ovvero del management team, individuando i manager chiave e il loro background, descrivendo la struttura dell’organizzazione e il modo col quale devono essere distribuite le responsabilità, cercando di coinvolgere anche i diversi livelli dirigenziali dell’impresa. Riveste un ruolo fondamentale la sintesi del progetto, poiché gli interlocutori esterni, che non abbiano partecipato allo sviluppo della business idea e del piano d’investimento, devono essere in grado, attraverso la lettura del prospetto di sintesi, di formarsi un’idea completa sul piano di sviluppo e di comunicare la validità dell’iniziativa. La definizione degli obiettivi e delle connesse strategie che s’intendono perseguire consente di valutare la fattibilità di marketing, tecnologica ed organizzativa del progetto imprenditoriale. La predisposizione di un dettagliato studio di fattibilità globale rappresenta inoltre lo strumento fondamentale per la valutazione dell’iniziativa da parte dei potenziali finanziatori, affinché essi possano esaminare la convenienza nell’apporto di capitale di rischio o di debito. Infatti, gli investitori sono incentivati ad apportare capitali e competenze qualora dallo studio di fattibilità dovesse emergere un progetto caratterizzato da un elevato potenziale di sviluppo, con prospettive di crescita, sia dimensionale che reddituale. L’indice può essere modificato a seconda delle esigenze, ma è assolutamente necessario che: Infine, per valutare la convenienza di un progetto imprenditoriale è necessario eseguire la valutazione economicofinanziaria, che consente di giudicare con anticipo la concretezza dell’idea, l’effettiva possibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati e il modo più efficace ed efficiente per conseguirli, analizzando la business idea dai seguenti punti di vista (Advance, 2001): • Fattibilità tecnica • Fattibilità organizzativa • Fattibilità economica-finanziaria • la struttura complessiva del business plan abbia una propria logica intrinseca e presenti una piena coerenza tra le parti; • non manchino i capitoli indispensabili per la comprensione del progetto; La sintesi del progetto riveste un ruolo fondamentale poiché gli interlocutori esterni devono essere in grado di formarsi un’idea completa sul piano di sviluppo • il documento risulti comprensibile anche a chi non è a conoscenza dell’innovazione tecnica o di mercato della start-up. Nei due paragrafi a seguire verranno brevemente illustrati i due punti iniziali del business plan, ovvero la descrizione del gruppo e del progetto imprenditoriale, che rappresentano l’inquadramento strategico dal quale deriveranno le analisi di fattibilità tecnica, organizzativa ed economico-finanziaria. • il programma dell’attività, ovvero le fasi, i tempi, i costi e gli obiettivi tecnici e commerciali relativi al progetto, evidenziando i fattori critici per il conseguimento degli obiettivi; • le aree di incertezza relative agli aspetti tecnico-scientifici, economici e commerciali a fronte delle quali formulare ipotesi volte alla loro riduzione o eliminazione; • la disponibilità di risorse e competenze adeguate sotto il profilo quantitativo ed appropriate dal punto di vista qualitativo. In caso di esito negativo è importante esaminare le possibili fonti esterne a supporto dei punti di debolezza manifestatasi (possibilità di approvvigionamento da fornitori, partnership con altre imprese); 1.5 Descrizione del gruppo imprenditoriale • il profilo finanziario, con particolare riguardo ai flussi finanziari negativi. In questo paragrafo è molto importante descrivere brevemente e con precisione la denominazione dell’azienda, il settore di attività, la forma giuridica che assumerà l’iniziativa imprenditoriale (Spa, Sapa, Srl, Società cooperativa, società di persone, ecc.) tenendo conto che, talvolta, quando si deve accedere ai finanziamenti sono escluse dai benefici le ditte individuali, le società di fatto e le società aventi un unico socio. Per una trattazione più dettagliata sulla scelta della forma giuridica si rimanda all’approfondimento “Start-up: dal progetto al mercato”. 1.4 Indice di business plan E’ opportuno inoltre cominciare a definire sinteticamente l’attività (prodotto o servizio che si intende realizzare) e identificare la localizzazione legale, commerciale e industriale dell’impresa, la sede della direzione, degli uffici, delle filiali e la dislocazione dei punti vendita. Non esiste un indice del business plan che possa considerarsi universalmente valido, adatto a tutte le circostanze. Tuttavia, una buona struttura del documento di pianificazione dovrebbe essere la seguente: 12 • Descrizione del mercato di sbocco/fattibilità di marketing • Sommario Infine è fondamentale indicare i componenti del gruppo imprenditoriale e le loro esperienze/competenze, le posizioni chiave, e da chi sono o da chi saranno ricoperte in futuro. 13 1.6 Descrizione del progetto imprenditoriale E’ importante anche definire come deve essere strutturata l’impresa dal punto di vista produttivo, amministrativo e organizzativo per poter ottimizzare l’offerta all’interno del mercato prescelto. La risultante delle scelte di fondo riguardanti il sistema impresa, ovvero la business idea e la struttura del gruppo imprenditoriale, costituisce il progetto imprenditoriale, elemento centrale di ogni azienda che determina il modo col quale la stessa si vuole posizionare all’interno del sistema competitivo e nei confronti di tutti i soggetti con i quali desidera intrattenere le relazioni. In fase di messa a punto di una formula imprenditoriale, è necessario anche valutare le conseguenze economicofinanziarie delle diverse alternative, tramite l’elaborazione di un bilancio previsionale ovvero di proiezioni economicofinanziarie che illustrino le conseguenze in termini di costi, ricavi, profitti e di fabbisogno finanziario. Infatti, per uno stakeholder esterno è fondamentale conoscere le caratteristiche del progetto in modo semplice, chiaro e completo. La vision è la posizione che intende raggiungere l’azienda nel lungo temine, mentre la mission si integra con la vision attraverso una sintetica descrizione dello scopo ultimo dell’impresa Funzionali a tale scopo sono la vision e la mission del progetto, che rappresentano la fase embrionale, la fase creativa in cui si sviluppa l’idea che conduce verso un percorso attraverso il quale i manager, i fondatori e i leader di un’organizzazione si prefiggono di costituire una start-up. La vision è la posizione che intende raggiungere l’azienda nel lungo termine, mentre la mission si integra alla vision attraverso una sintetica e incisiva descrizione dello scopo ultimo dell’impresa (cosa fare), attraverso la definizione degli obiettivi da raggiungere, sui quali la direzione deve basarsi nella creazione di strategie e nella redazione del business plan (Bove, 2011). Ad esempio, la vision che guida Nokia dal 2005 è “Our Vision: Life Goes Mobile”, mentre la mission aziendale recita: “Mettendo in contatto le persone noi aiutiamo il soddisfacimento di un fondamentale bisogno umano di contatti e relazioni sociali. La Nokia costruisce ponti tra le persone - sia quando sono lontane che faccia-a-faccia - e colma il divario tra le persone e le informazioni di cui hanno bisogno”. Un’azienda, per lanciare un nuovo progetto imprenditoriale, deve prendere tre categorie fondamentali di decisioni: COSA: il sistema prodotto da offrire sul mercato prescelto: tipo di prodotto, ampiezza di gamma, prezzo, servizi complementari o accessori, tempi di consegna, presenza di eventuali brevetti o licenze; 1.7 La verifica di coesione con l’ambiente economico, sociale e normativo Una volta analizzate tutte le variabili è importante verificare la coerenza dell’intero progetto: bisogna valutare che i singoli elementi non entrino in conflitto gli uni con gli altri. In particolare è possibile concentrare l’analisi su tre fattori chiave (figura 2): • I bisogni espressi dai clienti target (obiettivo). • I prodotti/servizi che la nuova start-up vuole offrire sul mercato. • La struttura, intesa come insieme di risorse che l’impresa utilizza per proporre la propria offerta e comunicarla ai clienti target. Questi tre elementi sono strettamente interconnessi l’un l’altro e costituiscono, nella loro particolare combinazione, la formula imprenditoriale della singola azienda. Figura 2. Gli elementi della formula imprenditoriale Il sistema competitivo (mercato obiettivo) A CHI: il mercato obiettivo al quale ci si intende rivolgere, ossia a chi si vuole offrire il prodotto e servizio (mercato obiettivo e sistema competitivo); COME: quale struttura produttiva e commerciale predisporre per offrire al mercato quanto promesso e quali politiche di comunicazione adottare (mezzi e messaggi più efficaci per comunicare le caratteristiche del sistema di prodotto al mercato obiettivo, indicando a chi sono indirizzati) per promuovere il prodotto o servizio che si intende commercializzare (struttura di ricerca e sviluppo, struttura produttiva, struttura di marketing e commerciale, struttura amministrativa). 14 Tale modello definisce la formula imprenditoriale della start-up. Tutti gli elementi di questa formula (descritti nei vari capitoli e nel business plan) devono possedere un elevato livello di coerenza e devono essere concepiti in modo unitario. La formula imprenditoriale consente di trasformare la vision dell’imprenditore in strategie che garantiscano un vantaggio competitivo alla nuova impresa. In fase di definizione della formula imprenditoriale, una volta delineato il sistema prodotto e il mercato al quale ci si intende rivolgere, occorre mettere a punto una politica di comunicazione tesa a valorizzare presso i destinatari le caratteristiche del prodotto o servizio offerto. E’ importante valutare la coerenza dell’intero progetto, verificando che i singoli elementi non entrino in conflitto gli uni con gli altri Fattori critici di successo Vantaggio competitivo Il sistema di prodotto Fonte: Adattato da Coda (1988) e Invernizzi (2008) Competenze La struttura e le risorse 15 Ogni impresa presenta una propria combinazione specifica di: fattori critici di successo nel mercato di riferimento, vantaggi competitivi di prodotto e risorse interne distintive CAPITO LO 2 Analisi compe del sistema titivo a llargato Ogni impresa presenta dunque una propria combinazione specifica di questi tre elementi: condizione necessaria ed universale per il successo dell’impresa è la coerenza (fit) tra questi tre elementi. In sostanza, l’impresa deve capire quali sono i bisogni e le aspettative dei clienti che costituiscono il suo mercato obiettivo e, in particolare, quali sono le attese decisive per le scelte d’acquisto (i fattori critici di successo) e come i concorrenti rispondono a tali aspettative. L’impresa deve quindi offrire sul mercato un sistema di prodotto che rispetti le attese critiche dei clienti e che possegga vantaggi competitivi rispetto a quelli dei concorrenti. Infine, l’impresa deve sviluppare strutture e risorse che abbiano competenze distintive che, da un lato, siano difficilmente imitabili dai concorrenti e, dall’altro, possano offrire un sistema di prodotto coerente con i fattori critici di successo e con rilevanti vantaggi competitivi. Inoltre, nel caso in cui una start-up si prefigga l’obiettivo di produrre o vendere un prodotto o un servizio all’estero è molto importante analizzare le caratteristiche di stabilità politica, economica e monetaria nel paese di riferimento. E’ bene dunque spiegare l’evoluzione del sistema politico, le garanzie che si sono ottenute o che si pensa di poter ottenere (per operare senza difficoltà), il contesto sociale, la cultura e le norme che regolano il Paese in cui la start-up decide di operare. Ciò è fondamentale quando si sceglie di operare in settori specifici in cui esiste una regolamentazione precisa (quali il settore tecnologico o telefonico). In questo caso è opportuno sintetizzare in una tabella le norme rilevanti che incidono sul business e indicare i fattori che favoriscono o ostacolano l’attività della start-up. Una volta identificata la vision e la mission del progetto imprenditoriale è necessario effettuare un’accurata analisi strategica che individui le persone e i vari centri d’interesse coinvolti nel progetto imprenditoriale ( stakeholder, shareholder e manager), identificando chi dovrà assumere la leadership. Ci si dovranno porre le seguenti domande: • Chi sarà responsabile? Di cosa sarà responsabile? • Chi assumerà la leadership? • Quale sarà il valore aggiunto della nuova iniziativa? Come verrà quantificato? • La strategia è in linea con la visione aziendale o istituzionale? • Il top management è d’accordo nell’intraprendere la nuova iniziativa? L’analisi strategica aiuta a chiarire questi elementi fondamentali e, a volte, il risultato è la vera e propria rinuncia al progetto o una sua modificazione. L’identificazione del percorso strategico da attuare, condiviso e accettato da tutti gli attori all’interno e all’esterno del sistema impresa, riveste un’importanza fondamentale per lo sviluppo del progetto imprenditoriale. 2.1 Le cinque forze di Porter Al fine di valutare la fattibilità di mercato del progetto imprenditoriale, è necessaria l’analisi d’attrattività del settore nel quale s’intende andare ad operare. L’analisi strutturale del settore di riferimento è diretta a individuare le caratteristiche degli attori che agiscono nel sistema competitivo, ossia a definire le forze esterne che caratterizzano l’ambiente nel quale un’impresa compete o intende competere. Svolgere l’analisi del sistema competitivo non significa considerare solo i possibili concorrenti con i quali ci si troverà a competere sul mercato prescelto, ma significa anche valutare tutte le forze competitive che possono influenzare il livello di redditività del settore. Lo schema di riferimento più utilizzato per questo tipo di analisi è il modello delle 5 forze competitive di Porter (1985), che, sulla base di alcuni fattori strutturali, descrive il sistema competitivo in cui l’azienda opera o intende operare, ed è rappresentato da (figura 3): • i concorrenti nel settore • i potenziali entranti nel settore Al fine di valutare la fattibilità di mercato del progetto imprenditoriale è necessaria l’analisi di attrattività del settore nel quale s’intende operare • i fornitori • i clienti • i fornitori di prodotti o servizi sostitutivi 16 17 Figura 3. Il sistema competitivo e le 5 forze di Porter 2.2 I potenziali entranti Ai fini strategici è necessario valutare le diverse barriere da cui il settore potrebbe essere protetto e comprendere quali tra esse costituiscano un effettivo ostacolo all’ingresso e quali possono essere facilmente neutralizzate. Si possono individuare le seguenti barriere all’entrata nel settore: • Economie di scala e di dimensione dell’investimento • Economie di apprendimento • Differenziazione dell’offerta e identità del marchio • Possibilità di accesso ai canali di distribuzione • Fabbisogno finanziario • Politiche governative Fonte: Porter, 1985 Svolgere l’analisi del sistema competitivo riveste un’importanza fondamentale poiché significa valutare le caratteristiche strutturali di queste cinque forze, analizzandone l’impatto sulla redditività potenziale del business che si intende avviare. Tali forze determinano l’attrattività di un settore e costituiscono il presupposto per la formulazione delle strategie competitive. Tali strategie sono motivate, non solo dalla potenzialità della domanda e dai profitti conseguibili (attrattività), ma anche dal vantaggio che l’iniziativa potrà assumere, in termini di quota di mercato e di confronto con la concorrenza. Infatti, a seconda del tipo di settore (emergente, maturo, globale, frammentato, specializzato) mutano la natura e le fonti del vantaggio competitivo e, di conseguenza, le strategie. Inoltre, le cinque forze possono influenzare alcune delle variabili economiche delle imprese nel settore, quali ad esempio il livello dei prezzi-costo/prezzi-ricavo, l’ammontare dei costi fissi e l’importo degli investimenti. Ai fini strategici è necessario valutare le diverse barriere da cui il settore potrebbe essere protetto 18 Si è in presenza di economie di scala, ovvero di vantaggi economici derivanti da maggiori dimensioni dell’impresa, quando il costo di un’unità del prodotto o servizio offerto diminuisce all’aumentare della capacità produttiva, in ipotesi di saturazione della stessa. Ciò rappresenta un ostacolo all’ingresso nel settore, in quanto impianti produttivi di grandi dimensioni da un lato comportano un considerevole fabbisogno finanziario e dall’altro aumentano il rischio di saturare la capacità produttiva. Quindi, le economie di scala impongono il raggiungimento di una dimensione ottimale minima al di sotto della quale l’ingresso nel settore non è conveniente. Molti impianti, inoltre, diventano più efficienti con l’aumentare delle dimensioni. Le economie di scala derivano anche dai minori costi di acquisto medi unitari a seguito del maggiore fabbisogno di materie prime e materiali di consumo conseguente all’aumentare delle dimensioni. Un’altra fonte di economie di scala è determinata dalle maggiori possibilità di specializzazione che si accompagnano all’aumento della capacità produttiva. La maggiore specializzazione consente di aumentare l’efficacia e l’efficienza nello svolgimento delle proprie attività. Le economie di apprendimento sono rappresentate dalle riduzioni dei costi medi unitari all’aumentare del volume cumulato. Infatti, all’aumentare dell’esperienza cresce anche l’abilità nello svolgere le attività, nel coordinare e programmare le differenti risorse produttive e nel semplificare prodotti o processi. La differenziazione dell’offerta e l’identità del marchio (nonché la disponibilità di know-how e brevetti) sono definite barriere di tipo dinamico. Infatti, un prodotto differenziato risulta unico agli occhi del consumatore finale, che è disposto a pagare anche un premium price (prezzo superiore rispetto ai prodotti simili). Invece, i beni commodities sono quelli per i quali è molto facile confrontare l’offerta dei diversi possibili fornitori e la scelta dell’acquirente avviene esclusivamente sulla base del prezzo. La minaccia derivante da tale barriera all’entrata è rilevante solo a condizione che due beni confrontabili siano effettivamente sostituibili l’un l’altro, che i costi di riconversione (ossia i costi che si dovranno sostenere per passare da un fornitore all’altro) subiti dai consumatori siano modesti e che la propensione al cambiamento degli acquirenti sia elevata (es. per la presenza di forti oscillazioni nei gusti, per una forte propensione al rischio, per l’orientamento a cogliere tutte le opportunità di innovazione offerte). 19 La redditività di un settore risulta penalizzata dall’esistenza di prodotti sostitutivi che consentono agli acquirenti di migliorare le performance a parità di costo o di ridurre i costi sostenuti con lo stesso livello di soddisfazione complessiva I costi di conversione sono quelli che derivano dall’utilizzo del nuovo prodotto, dal bisogno di acquisire una certa padronanza nel suo utilizzo e dalla possibilità che il bene sostituito non soddisfi pienamente le aspettative dei consumatori. La redditività di un settore risulta penalizzata dall’esistenza di prodotti sostitutivi che consentono agli acquirenti di migliorare le performance a parità di costo o di ridurre i costi sostenuti con lo stesso livello di soddisfazione complessiva. Inoltre, la presenza di offerte molto differenziate, o di alcune aziende che possiedono marchi noti nel settore, aumenta, a parità di ogni altra condizione, la redditività media delle imprese, ma costituisce per coloro che vogliono entrare un’elevata barriera all’ingresso. Un’altra barriera all’entrata è rappresentata dalla difficoltà di accesso ai canali di distribuzione (supermercati e grandi catene). Il nuovo entrante deve quindi presentare un’offerta efficace per riuscire a scalzare chi già opera nel mercato. Il fabbisogno di capitale è una barriera all’entrata che aumenta al crescere delle economie di scala (es. impianti di grandi dimensioni), del grado di differenziazione, dei costi di riconversione e dipende dal capitale circolante (attività legate al ciclo operativo-passività legate al ciclo operativo)1 di cui necessita l’azienda (ad esempio a causa di pagamenti differiti concessi ai fornitori o consegne in tempi rapidi). Le politiche governative rappresentano un’ulteriore barriera all’ingresso e sono rappresentate dalla necessità di richiedere licenze e autorizzazioni ad autorità pubbliche. Nel caso in cui le barriere all’entrata e all’uscita siano numerose, il profitto potenziale tende ad essere elevato, ma altrettanto elevati saranno i rischi ad esso connessi, poiché le imprese meno efficienti saranno costrette a rimanervi, non potendo permettersi di uscire dal business. 2.3 Analisi dei concorrenti Una volta entrati in un settore, occorre sostenere il confronto competitivo con gli altri concorrenti. Una dura lotta concorrenziale implica normalmente minori opportunità di profitto perché le imprese concorrenti si contendono le quote di mercato utilizzando tutte le leve a loro disposizione, in particolare il prezzo. L’analisi della concorrenza consiste nel comprendere il posizionamento dell’impresa nei confronti dei concorrenti. A tal fine è importante individuare la loro quota di mercato, le risorse a loro disposizione, la strategia di marketing (in termini di qualità dei processi/prodotti, di offerta commerciale, di prezzo ecc). Nell’analisi del mercato, particolare attenzione va rivolta ai concorrenti diretti e alle altre imprese che operano in uno stesso mercato o settore produttivo. Le barriere all’entrata solitamente vengono poste in relazione alle barriere all’uscita. Queste ultime individuano le resistenze che le imprese incontrano nel mobilizzare le risorse verso altri campi di attività. Cinque fattori determinano la posizione competitiva dei concorrenti: Figura 4. Barriere all’entrata e all’uscita • La differenziazione dell’offerta L’analisi della concorrenza consiste nel comprendere il posizionamento dell’impresa nei confronti dei concorrenti • Il tasso di crescita della domanda • La diversità strutturale • L’eccesso di capacità produttiva • Le barriere all’uscita La prospettiva di profitto più favorevole è quella che vede la presenza di barriere all’entrata elevate e barriere all’uscita basse Fonte: Ferrandina e Carriero, 2010 Dalla matrice (figura 4) risulta evidente come la prospettiva di profitto più favorevole sia quella che vede la presenza di barriere all’entrata elevate e barriere all’uscita basse. Barriere basse sia all’entrata che all’uscita determinano profitti stabili e contenuti, ma la situazione peggiore risulta essere la prospettiva rappresentata da basse barriere all’entrata ed elevate all’uscita, poiché le imprese saranno incentivate a entrare nel settore in situazioni di congiuntura favorevole, ma le stesse incontreranno difficoltà ad abbandonarlo in situazioni sfavorevoli. 1 20 Per approfondimenti si rimanda al cap. 5. Il tasso di crescita della domanda si riferisce al numero di imprese operanti in un dato mercato. In un mercato caratterizzato da un’elevata crescita, tutti i concorrenti possono aumentare il fatturato senza dover sottrarre clienti agli altri concorrenti. Invece, nel caso in cui ci sia una sola impresa leader, quest’ultima esercita un elevato potere discrezionale nell’imporre i propri prezzi. Se il mercato è frammentato tra numerose imprese, è più difficile controllare i prezzi ed è più facile che essi si riducano (guerra dei prezzi). Il tasso di crescita della domanda dipende anche dalla fase del ciclo di vita del settore in cui si posiziona l’azienda. Nella fase di introduzione è relativamente facile entrare nel settore perché non vi sono concorrenti consolidati con vantaggi di costo significativi, la tecnologia non è ancora completamente sviluppata e le vendite stentano a decollare poiché il bene non è ancora molto conosciuto dai clienti. Invece, nella fase di sviluppo, è presente un numero sempre maggiore di potenziali clienti, i costi di produzione e i prezzi tendono a scendere per effetto del progresso tecnologico, dell’accumularsi dell’esperienza e del conseguimento di economie di scala. Ciò comporta un forte aumento dei tassi di crescita della domanda. Se all’interno del settore sono presenti rilevanti barriere all’entrata, man mano Se il mercato è frammentato tra numerose imprese, è più difficile controllare i prezzi ed è più facile che essi si riducano (guerra dei prezzi) 21 che ci si allontana dalla prima fase di sviluppo, in molti casi diventa difficile entrare nel settore poiché i concorrenti erigono ostacoli all’ingresso sempre maggiori. Nella fase di maturità, dato che i tassi di penetrazione nel mercato sono molto alti e difficili da incrementare, i tassi di crescita si riducono, assestandosi spesso vicino al tasso di crescita della popolazione o del PIL. Questa fase può durare a lungo, e può consentire a coloro che sono ben posizionati nel settore di trarre vantaggio dai buoni tassi di reddittività e dai flussi di cassa positivi. L’ultima fase del ciclo di vita di un settore è quella di declino, che vede la sua completa scomparsa o il sopravvivere di nicchie di mercato. La differenziazione dell’offerta si riferisce alla valutazione di quanto un bene presenta caratteristiche di unicità. Se un settore è caratterizzato da un bene molto differenziato, ciò consente alle imprese di creare un mercato unico intorno a quel determinato prodotto, limitando il confronto sui prezzi, poiché esse applicheranno un premium price più elevato rispetto alla concorrenza. Tali settori sono caratterizzati dalla presenza di poche imprese di notevoli dimensioni. Al contrario, quanto più i prodotti offerti alla clientela saranno simili tra le imprese, tanto più il cliente deciderà in base al prezzo. Infatti, nei settori frammentati non esiste un’impresa in grado di dominare il mercato e di controllare il contesto competitivo (Advance, 2001). La diversità strutturale deriva dall’analisi delle caratteristiche comuni delle imprese in termini di obiettivi, strategie e strutture di costo. Più le imprese si assomigliano, tanto più sarà difficile sottrarsi alla concorrenza basata solo sul prezzo. La struttura dei costi è un fattore importante che contribuisce a determinare il comportamento e la reddittività media delle imprese che vi operano. Essa è determinata dall’incidenza dei costi fissi sul totale dei costi. I costi fissi possono essere di struttura (es. manutenzioni, affitti, ammortamenti e costi del personale) o di Ricerca e Sviluppo (sviluppo, pubblicità, formazione del personale). I costi di sviluppo generano risorse (knowhow, conoscenza del marchio) che presentano una capacità produttiva illimitata e tendono ad accrescersi con l’uso. In assenza di differenziazione e in presenza di elevati costi fissi, le imprese possono innescare una vera e propria “guerra dei prezzi”, che riduce notevolmente i margini di redditività delle imprese nel settore e favorisce l’affermazione di un solo o pochi concorrenti all’interno del mercato. L’eccesso di capacità produttiva incoraggia le imprese a ridurre i prezzi permettendo loro di distribuire i costi su un volume di vendite più elevato. 22 2.4 I fornitori di prodotti e servizi sostitutivi I prodotti sostitutivi sono quelli che soddisfano gli stessi bisogni dei consumatori (es. margarina e burro). La presenza di prodotti sostitutivi impone spesso un limite massimo ai prezzi praticabili agli acquirenti oltre il quale essi orienteranno la propria scelta verso il prodotto sostitutivo più conveniente. Tuttavia, la minaccia esiste solo se è presente un elevato grado di succedaneità tra i prodotti, se i costi di riconversione sono modesti e se la propensione al cambiamento dei consumatori è elevata. L’analisi del valore-prezzo serve a comparare l’attitudine dei prodotti sostitutivi a generare valore per gli acquirenti rispetto a quelli presenti nel settore. E’ anche importante considerare i costi di riconversione, originati dalla necessità di adattamento al nuovo prodotto, dal bisogno di acquisire una certa facilità nel suo utilizzo e dal rischio che il bene sostituito non soddisfi completamente le aspettative. Inoltre è fondamentale individuare la propensione al cambiamento da parte degli acquirenti che deriva dall’intensità del cambiamento, dalla predisposizione all’innovazione, e dalla propensione al rischio. La presenza di prodotti sostitutivi impone spesso un limite massimo ai prezzi praticabili agli acquirenti oltre il quale essi orienteranno la propria scelta verso il prodotto sostitutivo più conveniente Le aziende con la presenza di tecnologie consolidate devono prestare molta attenzione alle nuove tecnologie poiché queste ultime presentano elevati margini di miglioramento. Infatti, le tecnologie emergenti presentano forti potenziali di sviluppo rispetto a quelle consolidate poiché hanno bassi volumi cumulati e sono avanzate poco lungo la curva di esperienza: l’adozione di una nuova tecnologia annulla il volume cumulato che un’impresa può avere prodotto con altre tecnologie. In alcuni casi, la grande esperienza ed i modi di operare acquisiti con la vecchia tecnologia possono essere d’ostacolo al pieno sfruttamento della tecnologia emergente. 2.5 Analisi dei clienti e dei fornitori L’analisi dei clienti e dei fornitori di un determinato settore è finalizzata a individuare i principali clienti e fornitori dell’azienda e quelli il cui peso contrattuale è in grado di ridurre i margini di profitto. I rapporti con il mercato di fornitura influiscono sulla capacità competitiva delle imprese relativamente agli approvvigionamenti. I fornitori possono incidere su fattori quali il livello dei prezzi di acquisto, le condizioni di pagamento, i tempi di dilazione, la stabilità nel tempo dei prezzi, la qualità delle forniture (efficienza dei processi produttivi e qualità dei prodotti finiti), l’adeguatezza dell’assistenza tecnica, la puntualità delle consegne e le informazioni sull’evoluzione tecnologica dei materiali. Le barriere all’uscita più significative sono caratterizzate dalla difficoltà di riconversione degli investimenti e dalla presenza di un numero elevato di lavoratori dipendenti. Se i beni acquistati dai fornitori rappresentano una componente fondamentale del processo produttivo, diverse condizioni di approvvigionamento comportano notevoli differenze nella capacità concorrenziale delle singole imprese. Una start-up può assumere diversi atteggiamenti nei confronti della concorrenza. Ad esempio, qualora confidasse nella propria superiorità derivante da una notevole forza finanziaria e da una strategia particolarmente innovativa, potrebbe decidere di adottare una strategia di confronto diretto con gli altri concorrenti; in alternativa potrebbe attuare una strategia di elusione qualora decida di affrontare la concorrenza sfruttando i “vuoti d’offerta” presenti nel mercato, per soddisfare le esigenze di un particolare tipo di clientela o per generare la nascita di nuovi sistemi competitivi (Advance, 2001). Per quanto riguarda i mercati di sbocco, i clienti possono rappresentare una forza competitiva nella misura in cui siano in grado di imporre all’azienda un comportamento che ne riduca i margini di profitto (riduzioni di prezzo, miglioramenti del servizio o della qualità). Al contrario, se i beni o servizi oggetto d’acquisto non rivestono una funzione importante nel processo produttivo delle imprese acquirenti, la diversità nelle condizioni di approvvigionamento non costituisce un fattore rilevante di differenziazione delle imprese nel settore. A parità di ogni altra condizione, le imprese migliorano il proprio posizionamento strategico se riescono a non dipendere troppo dai propri fornitori e a legare a sé i clienti. Le imprese migliorano il proprio posizionamento strategico se riescono a non dipendere troppo dai fornitori e a legare a sé i clienti 23 CAPITO LO 3 Fattibil marke ità di ting Il potere contrattuale dei clienti e dei fornitori è determinato dalle seguenti variabili: • Dimensioni relative dei contraenti: un cliente importante che acquista da fornitori di piccole dimensioni potrà esercitare un elevato potere contrattuale nei loro confronti. • Concentrazione dell’offerta o della domanda: minore è il numero di clienti che l’azienda ha nel proprio portafoglio, tanto maggiore sarà il loro potere contrattuale. Simmetricamente, il potere contrattuale nei confronti dei clienti diminuisce all’aumentare del loro grado di concentrazione. • Differenziazione dell’offerta: quando l’offerta è rappresentata da un bene poco differenziato (commodity) il potere contrattuale relativo dei clienti è elevato. Infatti, il prezzo dei beni scarsamente differenziati è molto più sensibile al rapporto domanda/offerta dei beni differenziati. Se la domanda supera l’offerta, il prezzo di una commodity può avere prezzi molto elevati, che si abbassano nel caso in cui l’offerta superi la domanda. • Possibilità di integrazione: il potere contrattuale dei clienti aumenta se questi ultimi decidono di integrarsi a monte, ovvero di “produrre” ciò che prima era acquisito esternamente, mentre quello dei fornitori cresce se si integrano a valle, ovvero se iniziano a “produrre” ciò che era di competenza dei propri clienti. Infatti i motivi per cui si attua un progetto d’integrazione risiedono nella possibilità di ridurre i costi e di migliorare la posizione di mercato, attraverso un maggiore controllo dello stesso e delle fonti di approvvigionamento. • Costi di riconversione: quando i costi di riconversione sono elevati, i clienti possono incorrere in numerose inefficienze e prezzi molto elevati. • Incidenza del bene sui costi dell’acquirente: se si riesce a vendere un prodotto che incide poco sui costi dell’acquirente, è molto probabile che si riusciranno ad ottenere prezzi molto convenienti, poiché il cliente non farà valere tutto il proprio potere contrattuale. L’analisi del sistema competitivo rappresenta il punto di partenza per la definizione della strategia con la quale s’intende affrontare la concorrenza. Infatti, in base alle caratteristiche del sistema competitivo e delle risorse e competenze di cui si dispone, occorre individuare una strategia che garantisca il successo competitivo e reddituale. 3.1 Introduzione E’ fondamentale che una start-up, per avere successo, definisca in modo più preciso possibile il proprio mercato di riferimento. In questo paragrafo verrà effettuata una semplice e sintetica analisi del mercato e del settore in cui l’azienda opera. Il mercato obiettivo è costituito da un gruppo di clienti esistenti o potenziali nell’ambito del più ampio mercato al quale l’azienda decide di rivolgersi. Una scelta selettiva del mercato obiettivo fa parte integrante di un orientamento al mercato. Infatti, essere orientati al mercato significa produrre ciò che il mercato può apprezzare. Tuttavia, assumere la prospettiva del cliente non significa necessariamente impostare la strategia sulla base di quello che il cliente chiede in un determinato momento bensì immaginare nuovi prodotti, nuovi servizi, nuovi processi di produzione e di distribuzione che il cliente finale, non disponendo di tutte le informazioni necessarie, non riuscirebbe nemmeno a immaginare, cercando quindi di anticipare i suoi bisogni. 24 La stima della domanda corrente e la previsione della domanda futura di mercato rappresentano la base informativa per la predisposizione del piano di marketing, nonché di quello relativo alla struttura e all’organizzazione aziendale. E’ fondamentale che una start-up, per avere successo, definisca in modo più preciso possibile il proprio mercato di riferimento 25 3.2 Domanda globale e quota di mercato dell’azienda La domanda globale individua i volumi complessivi di vendita dei beni che vengono richiesti in un determinato periodo di tempo dall’insieme di individui che costituiscono il mercato. E’ formata dall’insieme di potenziali consumatori interessati a soddisfare i propri bisogni impegnandosi in uno scambio sul mercato. La previsione della domanda di un certo prodotto/servizio costituisce la premessa necessaria per la formulazione del business plan: su di essa si basano le scelte del lancio di nuovi prodotti/servizi ed in generale tutte le decisioni che occorre assumere per l’avvio del progetto imprenditoriale e che comportano investimenti sul mercato (impianti da acquistare, dipendenti da assumere, dove localizzare l’impresa ecc.). All’interno del business plan occorre indicare qual è la quota di mercato e di conseguenza il fatturato che la startup vuole ottenere al fine di conseguire obiettivi in termini di costi di commercializzazione e di produzione. La quota di mercato è determinata dal rapporto tra il volume d’affari dell’impresa e il volume d’affari totale del settore che si vuole considerare. Se si lancia sul mercato un prodotto o un servizio molto innovativo ci si deve preoccupare della domanda complessiva che il mercato può raggiungere (domanda primaria). Quando, invece si entra in un mercato offrendo beni simili a quelli già esistenti, oltre alla domanda primaria occorre identificare la quota di mercato a cui l’azienda intende ambire. Per analizzare la quota di mercato a cui ambisce l’impresa è importante individuare i fattori che incidono sulla domanda primaria e specifica dell’azienda. • Psicologia del mercato: taluni aspetti sono soggettivi e attengono allo stile di vita e alla personalità degli individui, anche se sono riscontrabili caratteristiche oggettive di natura demo socioeconomica (yuppies, puritani, evoluti ecc). I profili psicologici delle persone che vivono nelle grandi metropoli sono piuttosto differenti dai profili di coloro che fanno parte di comunità agricole e montane. E’ importante, quindi considerare gli stili di vita e il tipo di personalità che meglio descrivono il mercato. Nella valutazione della quota di mercato è necessario anche individuare il comportamento dei consumatori, ossia tenere in considerazione che cosa i clienti acquistano (beni di consumo, beni industriali, beni durevoli, commodities), chi acquista (profilo dei clienti), dove acquistano, il motivo per cui acquistano (ad es. per se stessi o per fare un regalo), quando acquistano (se le vendite sono stagionali o annuali) e come avviene l’acquisto (ad es. se l’acquirente cerca consigli o supporto alla vendita, se è meditato o d’impulso, e se il consumatore è fidelizzato ad una marca). La strategia di marketing si può impostare anche considerando la propensione dei clienti ad accettare servizi e prodotti innovativi. Infatti, gli individui orientati all’innovazione presentano caratteristiche psicologiche molto diverse rispetto ai conservatori. La figura 5 riporta una classificazione dei consumatori sulla base della loro propensione all’innovazione in un arco temporale di medio-lungo periodo. Figura 5. Classificazione dei consumatori per propensione all’innovazione L’analisi della quota di mercato prende in considerazione il valore, in termini di fatturato, del mercato dei principali clienti prescelti come target, indicando il tasso di crescita atteso del mercato e le proiezioni future. Per farlo bisogna capire innanzitutto le caratteristiche qualitative e quantitative rilevanti delle persone che appartengono al mercato di riferimento. Dal punto di vista qualitativo, ovvero delle motivazioni che spingono i consumatori ad effettuare le loro scelte, i mercati sono descrivibili in termini geografici, demografici e psicologici 26 Dal punto di vista qualitativo (motivazioni che spingono i consumatori ad effettuare le loro scelte), i mercati sono descrivibili in termini di: • Geografia del mercato: questo fattore indica dove i clienti si trovano fisicamente. Se i prodotti sono distribuiti mediante Internet, è evidente che la collocazione geografica dei clienti potrebbe essere irrilevante; TEMPO • Demografia del mercato: è necessario effettuare l’analisi dei bisogni dei consumatori, in base alle loro preferenze, alla frequenza di acquisto, ai prezzi medi presenti sul mercato, alla disponibilità, al prezzo dei beni complementari e sostitutivi, al grado di saturazione del mercato e all’elasticità della domanda al prezzo2. Tali fattori sono spesso associati alle caratteristiche demografiche dei clienti (nazionalità, età occupazione e reddito personale e familiare). E’ molto importante individuare i fattori demografici comuni che individuano le persone che potrebbero diventare potenziali clienti. Fonte: Parolini, 1999 2 Tale profilo psicologico e sociale degli innovatori è profondamente diverso da quello dei conservatori: passando da un gruppo all’altro è quindi necessario modificare le strategie di marketing e le politiche di comunicazione. L’elasticità della domanda rispetto al prezzo indica la sensibilità degli acquirenti rispetto al prezzo e, in teoria, consente di valutare le quantità che saranno richieste in base a diversi livelli di prezzo. I consumatori che appartengono alle diverse categorie individuate presentano differenti comportamenti di acquisto e sono sensibili a diverse leve di marketing. Ad esempio, coloro che sono propensi all’innovazione presentano un grande atteggiamento di apertura mentale, una propensione al rischio alta, non sono fidelizzati a una marca, leggono riviste specializzate, hanno solitamente un’istruzione, una fascia di reddito e uno status lavorativo elevati. 27 3.3 La stima della domanda di mercato corrente e futura Moltiplicando il numero di clienti potenziali con il coefficiente di acquisto annuo (massimo) si ottiene la domanda potenziale massima di mercato Il metodo più comune della stima della domanda di mercato corrente è quello dei rapporti concatenati o a catena basato su una successione di stime interrelate. Seguendo la distribuzione omogenea della popolazione totale nazionale (ad es. per reddito, età, residenza, area urbana) si può definire il target quantitativo di consumatori. Tuttavia, tale metodo presenta problemi in materia della scelta dei moltiplicatori, poiché non sempre sono disponibili statistiche ufficiali per cui si sopperisce attraverso stime che possono presentare un elevato margine di errore. Un altro metodo è l’utilizzo dell’indice del potere di acquisto o di consumo utilizzato per i beni di consumo. Tale metodo si avvale di una formula matematica semplice attraverso la quale il mercato potenziale di un dato prodotto è individuato sulla base della popolazione residente in un’area, del suo potere d’acquisto, del suo indice di consumo. Il “coefficiente di acquisto annuo” rappresenta il numero di prodotti che la start-up può pensare di vendere ad ogni singolo cliente in un anno. Esso varia a seconda della tipologia di prodotto considerato. Moltiplicando il numero di clienti potenziali con il coefficiente di acquisto annuo (massimo) si ottiene la domanda potenziale massima di mercato. Si può sintetizzare l’analisi quantitativa della stima della domanda con la seguente formula: Q=n*p*q Q rappresenta il potenziale totale della domanda di mercato Comprendere in anticipo le tendenze di mercato permette di cogliere tempestivamente anche le più piccole opportunità di crescita per acquistare un vantaggio competitivo In questa sede non ci soffermeremo sull’analisi dettagliata dei metodi soggettivi e oggettivi previsionali della domanda di mercato. Ai nostri fini è importante sapere che, se le previsioni della domanda di mercato sono di crescita, è essenziale descrivere brevemente come si intenda sfruttare tale opportunità, mentre se si prevede una crescita molto lenta o anche negativa, il compito di stimare gli effetti sull’assetto aziendale diventa più difficoltoso e richiede l’attuazione di una strategia di sottrazione delle quote di mercato alla concorrenza. Le fonti di informazione per stimare il tasso di crescita del mercato sono rappresentate dai bilanci delle imprese depositati nelle Camere di Commercio, dalle pubblicazioni scientifiche e accademiche, dalle pubblicazioni dell’ISTAT (che fornisce numerose informazioni sulla popolazione, sull’andamento della domanda nei diversi settori e così via), da banche dati online (Datamonitor o Insite pro), siti web specializzati (Edgaronline.com, hoovers.com) e riviste internazionali specializzate (quali Business Week, Economist, Financial Times), interviste telefoniche o questionari, e la partecipazione a fiere, mostre e convegni. Una volta acquisite, queste informazioni si devono adattare alle necessità di analisi, tenendo conto dell’impatto effettivo dei trend analizzati sui propri mercati. n il numero di acquirenti del prodotto o servizio q la quantità acquistata mediamente da un acquirente in un anno p il prezzo medio unitario del prodotto-servizio. La fattibilità di un progetto di una nuova impresa comporta che, alla stima della domanda corrente, si aggiunga la previsione di quella futura. Tale previsione deve necessariamente coprire un periodo di tempo non breve, essendo solitamente pluriennale il ritorno degli investimenti. L’analisi del tasso di sviluppo del mercato è essenziale per la valutazione delle potenzialità future del business. Comprendere in anticipo le tendenze di mercato permette di cogliere tempestivamente anche le più piccole opportunità di crescita per acquistare un vantaggio competitivo. La tempestività è essenziale in ogni strategia di marketing. Il problema previsionale pone varie difficoltà, legate non solo all’orizzonte temporale da analizzare, in quanto al crescere di questo aumenta la difficoltà di stima e la probabilità di commettere errori, ma anche in relazione alla possibilità di disporre di informazioni storiche sul prodotto oggetto di stima. L’analista deve individuare se il tasso di crescita più significativo è espresso in termini di fatturato prospettico in valore, in numero dei clienti potenziali, o in progetti completati. 28 I metodi previsionali utilizzati in azienda possono essere soggettivi-informali (si basano sull’esperienza, sull’intuizione dei dirigenti, dello staff e dei venditori) o oggettivi (utilizzano veri e propri modelli matematici e statistici di calcolo). Tuttavia, i modelli oggettivi colgono solo una parte del sistema osservato e precisamente quell’aspetto sintetizzato dal modello stesso. Di conseguenza, l’adozione di un modello oggettivo non esclude l’impiego a latere di uno strumento soggettivo. 3.4 L’analisi del vantaggio competitivo Nell’analisi della fattibilità di marketing è fondamentale individuare il vantaggio competitivo che la start-up intende perseguire, sfruttando al meglio i propri punti di forza per conseguire margini di profitto più elevati rispetto ai concorrenti. Le strategie di base esperibili afferiscono ai concetti di leadership di costo e di differenziazione. La figura 6 rappresenta in matrice le principali strategie perseguibili. Figura 6. Vantaggio Competitivo Fonte: Porter, 1985 29 Con la leadership di costo, una start-up cerca di realizzare la produzione al costo più basso, servendo molti segmenti nel settore. Fonti di tale vantaggio risiedono nelle economie di scala, in un accesso privilegiato al mercato dei fattori produttivi, in tecnologie innovative e così via. In genere le imprese che adottano strategie di costo tendono a offrire prodotti standardizzati e di qualità non particolarmente elevata. Il leader di costo otterrà un vantaggio competitivo solo se riuscirà a fornire un bene di qualità con una buona immagine e a mantenere i propri prezzi vicini a quelli della concorrenza. La strategia della differenziazione legittima quello che si chiama premium price (vantaggio di prezzo) e mira a conferire al prodotto un valore distintivo rispetto a quello dei concorrenti in termini di immagine, caratteristiche intrinseche del prodotto, livello tecnologico del bene offerto, e modalità di erogazione dell’offerta. Tuttavia, come i leader di costo non possono permettersi di trascurare la qualità, le imprese che cercano di realizzare una strategia di differenziazione otterranno risultati economici soddisfacenti solo se non trascurano i costi, ossia se riescono a ottenere vantaggi di prezzo (premium price) superiori ai costi di differenziazione. Inoltre, nel caso in cui i segmenti prescelti siano mal serviti dai concorrenti (solitamente le grandi imprese) si può optare per una politica di focalizzazione sui costi, intesa a perseguire un vantaggio di costo limitatamente a uno o pochi segmenti del mercato, oppure di focalizzazione sulla differenziazione, il cui fine è cercare di rispondere ai bisogni di un segmento specifico (nicchia) meglio delle imprese che operano con un vasto raggio d’azione. Il rischio principale delle strategie di focalizzazione è quello che il segmento prescelto non sia sufficientemente ampio da consentire di operare con efficienza o che le imprese di grandi dimensioni riescano a soddisfare anche i bisogni di tale nicchia. La figura 7 riporta gli elementi chiave e le risorse e competenze di cui bisogna dotarsi per il perseguimento dei due differenti percorsi strategici. Figura 7. Requisiti delle strategie Una volta esplicitato il tipo di vantaggio competitivo ricercato e il conseguente orientamento strategico di fondo, l’analista aziendale dovrà analizzare i fattori critici di successo del business, ossia le competenze necessarie per conseguire tale vantaggio (es. qualità dei prodotti, l’affidabilità del prezzo, la capacità di consegne rapide e puntuali). Inoltre deve individuare gli eventuali punti di forza e di debolezza rispetto alla concorrenza, analizzati tramite la SWOT ANALYSIS. 3.5 La SWOT ANALYSIS La SWOT Anlysis identifica il percorso strategico che aiuta a valutare l’efficacia del progetto imprenditoriale (il modello può essere applicato a qualunque tipo di valutazione), supportando la sua implementazione e permettendo di decidere sulla validità dello stesso al fine di essere implementato. SWOT è un acronimo che sta per: Strenghts (punti di forza), Weaknesses (punti di debolezza), Opportunities (opportunità) e Threats (minacce). Tale analisi s’inserisce nel processo di formulazione delle strategie e offre al management gli elementi necessari per valutare la fattibilità e la sostenibilità di alternativi percorsi strategici. La SWOT Analysis consiste in un processo sistematico di analisi delle risorse, sia materiali che immateriali, finalizzato all’individuazione dei punti di forza e di debolezza del “sistema azienda” con riferimento ad un obiettivo strategico pre-definito. In tal modo si identificano le risorse chiave (“Core competencies”) a disposizione del neoimprenditore, affinché la nuova impresa possa raggiungere l’obiettivo prefissato e dunque conseguire un vantaggio competitivo sostenibile. L’analisi SWOT potrebbe anche fare emergere l’impossibilità dell’azienda di raggiungere l’obiettivo e dunque la necessità di dovere riformulare la strategia imprenditoriale. SWOT è un acronimo che sta per: Strenghts (punti di forza), Weaknesses (punti di debolezza), Opportunities (opportunità) e Threats (minacce) In particolare vengono analizzati gli aspetti indicati nella figura 8: • Strenghts (in cosa è o sarà forte la nostra azienda?): rappresentano le capacità e le competenze dell’organizzazione che sono utili e distintive per il raggiungimento dell’obiettivo strategico. • Weaknesses (in cosa riconosciamo le nostre debolezze?): rappresentano le risorse e le competenze aziendali che sono inutili se non dannose per il raggiungimento dell’obiettivo e che dunque devono essere riviste e reindirizzate. • Opportunities: evidenziano le tendenze e gli eventi positivi che possono fornire vantaggi all’impresa e sostenerla nella realizzazione dell’obiettivo strategico. Fonte: Coda, 1988 30 • Threats: identificano rischi o eventi certi che possono compromettere presente e futuro e che, in qualche modo vanno ridotti, evitati, o affrontati con un’accurata programmazione e pianificazione. 31 3.6 Il marketing strategico: segmentazione, targeting e posizionamento Figura 8. L’analisi SWOT Fonte: Bove, 2011 A ognuna di queste caselle possono essere assegnati punteggi diversi, positivi o negativi, al fine di ottenere un risultato che aiuti a valutare la sostenibilità della strategia. La SWOT Analysis evidenzia l’adeguatezza delle risorse e delle competenze possedute da un’impresa rispetto al proprio mercato di riferimento La SWOT Analysis evidenzia l’adeguatezza delle risorse e delle competenze possedute da un’impresa rispetto al proprio mercato di riferimento. Le risorse sono distinte in tre particolari categorie: le risorse tangibili che identificano gli assets materiali e finanziari delle imprese; quelle intangibili che sono difficilmente valutabili, relative alla tecnologia, all’immagine, al know-how e all’insieme dei valori aziendali; le risorse umane relative ad abilità, esperienze e motivazioni del personale. Le competenze aziendali indicano la capacità dell’impresa di coordinare e impiegare le proprie risorse utilizzando processi organizzativi e meccanismi strutturali con l’obiettivo di raggiungere gli obiettivi aziendali. Il vantaggio competitivo delle imprese deriva dall’individuazione delle “core competencies” (competenze centrali), ossia dalle risorse distintive possedute dall’azienda che la contraddistinguono rispetto ai diretti concorrenti. La risorsa, per essere “core”, deve presentare un’elevata capacità di originare e di sviluppare un vantaggio competitivo duraturo e una bassa appropriabilità della risorsa stessa. Una volta analizzato il portafoglio di risorse e competenze della nuova impresa, è importante valutare, in chiave strategica, la situazione attuale e potenziale dello stesso, identificando le eventuali competenze distintive (punti di forza) ed i limiti (punti di debolezza) ravvisati nelle aree funzionali critiche. Fondamentale importanza riveste l’individuazione della posizione dell’impresa nei confronti dei concorrenti (posizione forte, allineata o debole) affinché la start-up possa sviluppare competenze che le consentano di mettere efficacemente in atto le strategie competitive e raggiungere gli obiettivi prefissati. Dopo aver compreso da dove derivino le fonti del vantaggio competitivo ricercato e la loro sostenibilità, si deve affrontare il problema dello sviluppo e della gestione di risorse e competenze distintive dell’impresa, comprendendo le opportunità e le minacce derivanti dal contesto competitivo e dal mercato di riferimento. A tal fine, è necessario individuare e identificare le risorse da mantenere, rafforzare, acquisire ex novo o abbandonare, coerentemente con il posizionamento futuro ricercato. In questo processo di valutazione, la tendenza è quella di concentrarsi sulla parte forte e tralasciare quella debole. Tuttavia, focalizzarsi sulla parte debole non costituisce pessimismo, ma aiuta a valutare meglio le limitazioni o gli ostacoli relativi a una nuova attività imprenditoriale. 32 I nuovi soggetti economici, decidendo di entrare in un certo mercato e dovendo operare in contesti dinamici devono considerare le minacce e le opportunità offerte dallo stesso e i punti di forza e di debolezza sui quali la nuova impresa deve fondare la propria strategia competitiva. A tal fine è necessario formulare strategie che siano coerenti, non solo con gli obiettivi e le risorse disponibili (coerenza interna), ma anche con le minacce e le opportunità che provengono dall’esterno (coerenza esterna). Una volta esaminati in dettaglio il mercato, il settore, la concorrenza e individuate le basi del vantaggio competitivo, il marketing strategico si propone di verificare le fasi di segmentazione, di scelta del mercato obiettivo e di posizionamento del prodotto o dell’intero marketing mix, ovvero della particolare combinazione di prodotto, prezzo, canale distributivo e campagna promozionale che identifica l’offerta dell’impresa. La segmentazione (partitioning) della domanda rappresenta uno dei passaggi fondamentali nell’elaborazione di una strategia di marketing. Essa consiste nell’individuare, all’interno del mercato, segmenti potenziali di clienti che risultano accumunati da una serie di parametri di varia natura (sociali, demografici, comportamentali, ecc.), i quali potrebbero richiedere prodotti e marketing mix specifici. La segmentazione è pertanto utile per analizzare meglio le caratteristiche dei clienti e sviluppare strategie e politiche di marketing efficaci col minimo costo, ricercando nuove possibilità di business e identificando nuovi bisogni o nuovi mercati che possono essere soddisfatti con l’attuale offerta dell’impresa o ai quali rivolgersi con un’offerta innovativa. Il marketing strategico si propone di verificare le fasi di segmentazione, di scelta del mercato obiettivo e di posizionamento del prodotto o dell’intero marketing mix La segmentazione del mercato per i beni di consumo può essere impostata utilizzando diversi criteri: • segmentazione geografica: si basa sul presupposto che in aree geografiche differenti (stato, regione, clima, dimensione, centro abitato) i bisogni espressi dal mercato siano diversi; • segmentazione socio-demografica: le variabili socio-demografiche per identificare gruppi omogenei di consumatori possono essere il reddito, la professione svolta, il sesso, l’età, il numero di membri della famiglia, la classe sociale, il grado d’istruzione; • segmentazione psicologica o per stili di vita: il marketing mix può essere definito per classi di individui che presentano particolari caratteristiche psicologiche, sulla base di indicatori di personalità (individui innovatori, conservatori, sensibili o meno al prestigio o alla moda, esibizionisti, aggressivi); • segmentazione comportamentale: si basa sul comportamento di acquisto del consumatore, individuando la posizione del cliente effettivo o potenziale (non utilizzatori, utilizzatori potenziali, utilizzatori al primo acquisto o abituali), il tasso di utilizzazione del prodotto (utilizzatore poco esperto o molto esperto), la quantità domandata (può accadere ad esempio che il 20% dei clienti realizzi l’80% del volume d’affari), la situazione d’uso (uso personale, per regalo, per occasioni speciali), il grado di fedeltà alla marca, e la sensibilità a certe variabili di marketing (prezzo, offerte speciali e così via.) • segmentazione in base ai vantaggi perseguiti: identifica i segmenti di mercato all’interno dei quali i consumatori acquistano per motivazioni simili. Ad esempio, un capo di abbigliamento può essere acquistato semplicemente per coprirsi, perché comunica conformismo a un gruppo di persone, oppure perché rappresenta uno status symbol, in quanto può essere prodotto da un brand famoso di alta moda o rappresenta un pezzo unico o una produzione limitata. Tale tipo di segmentazione fornisce delle indicazioni chiare e precise su come devono essere configurati il sistema dell’offerta e della comunicazione a seconda del segmento al quale ci si rivolge. 33 La segmentazione per i beni industriali si differenzia da quella per beni di consumo in quanto considera le variabili economiche, che sostituiscono quelle socio-demografiche. In tal caso, la segmentazione può avvenire per dimensione dei clienti (piccole, medie o grandi aziende), per settore di appartenenza (automobilistico, fashion, bancario, ecc.) per volumi acquistati (grandi o piccoli utenti), e ruolo occupato nella supply chain, ovvero nella catena di fornitura che lega le imprese di una stessa filiera (grossista, dettagliante, trasformatore). Inoltre i clienti per i beni industriali si possono segmentare anche per caratteristiche organizzative (organizzazioni imprenditoriali o burocratiche, semplici o complesse, statiche, dinamiche, accentrate o decentrate). Infatti, le caratteristiche organizzative influenzano notevolmente le politiche di vendita: in un’organizzazione semplice è sufficiente il consenso dell’imprenditore per ottenere l’ordine, mentre nelle organizzazioni complesse e burocratiche è importante capire chi effettivamente prende le decisioni, sulla base di quali criteri sarà necessario fare preventivi accurati. Una volta identificati i diversi segmenti di mercato nel modo più oggettivo e misurabile possibile, occorre procedere alla seconda fase del marketing strategico: la scelta del targeting di mercato che consiste nel decidere quali segmenti si intende fornire e come, identificando la convenienza a fornirli in modo differenziato. • il posizionamento per singoli utilizzatori: il prodotto viene associato a un particolare target di consumatori suddivisi per età, condizione economica-sociale e così via; • il posizionamento rispetto ad una classe di prodotti (es. latte intero o latte scremato); • il posizionamento per contrapposizione ad un prodotto, che è tipico delle nicchie di mercato impegnate a identificare i caratteri distintivi necessari per contrastare l’impresa leader di quella nicchia di mercato. L’analisi del posizionamento avviene anche tramite la costruzione di mappe di posizionamento che raffigurano la posizione occupata da ciascun prodotto rispetto alle variabili ritenute più significative. Esse sono rappresentazioni geometriche sintetiche delle percezioni che i consumatori utilizzano nella valutazione dei prodotti concorrenti. La figura 9 ne riporta un esempio. Figura 9. Esempio di mappa di posizionamento - categoria analgesici L’azienda può scegliere varie tipologie di targeting: • marketing indifferenziato: l’impresa elabora un solo marketing mix per tutti i clienti considerati in modo omogeneo, affrontando il mercato nel suo complesso e concentrandosi sui bisogni comuni piuttosto che sulle differenze. In tal modo l’azienda fornisce beni standardizzati, sfruttando le economie di scala; La descrizione del posizionamento si riferisce a quale percezione i mercati obiettivo (target) dovrebbero maturare rispetto al prodotto/marca offerto dalla start-up • marketing differenziato: l’azienda elabora strategie specifiche e per ciascun segmento della domanda, con diversi sistemi di offerta. In tal modo perde i vantaggi delle economie di scala, ma riesce a rispondere alle esigenze di ciascun segmento aumentandone il fatturato; • marketing concentrato: l’impresa decide di fornire il prodotto o il servizio ideali per un particolare segmento del mercato, su cui indirizza tutti gli sforzi, ossia si focalizza sulle nicchie di mercato. La terza fase di marketing strategico consiste nell’analisi del posizionamento del prodotto o dell’intero marketing mix (positioning). Infatti, dopo le scelte di copertura del mercato, l’aspirante imprenditore deve collocare la propria offerta, definendo la collocazione “spaziale” che il proprio prodotto deve assumere nell’area strategica prescelta e nella mente di consumatori, in modo da differenziarsi rispetto ai concorrenti. La descrizione del posizionamento si riferisce a quale percezione i mercati obiettivo (target) dovrebbero maturare rispetto al prodotto/marca offerto dalla start-up, individuando l’identità con cui il prodotto si presenterà sul mercato, i benefici attesi e i punti di forza o di debolezza dell’offerta rispetto a quella dei concorrenti. I criteri più utilizzati nell’analisi del posizionamento di mercato sono: • il posizionamento per attributi (qualità, livello di servizio, marca); • il posizionamento per benefici, ossia i bisogni di cui il consumatore ricerca la soddisfazione (es. per il latte e lo yogurt, la digeribilità); 34 L’analisi del posizionamento avviene anche tramite la costruzione di mappe di posizionamento che raffigurano la posizione occupata da ciascun prodotto rispetto alle variabili ritenute più significative • il posizionamento per specifiche occasioni d’uso (situazioni in cui il prodotto può essere consumato); Fonte: Ferrandina e Carriero, 2005 Sinteticamente, la mappa di posizionamento sopra riportata individua la leggerezza (in un continuum che muove da bassa nel caso di diversi effetti collaterali ad elevata nel caso di limitati o assenti effetti collaterali) e l’efficacia (da lenta a rapida) come le due principali caratteristiche che vengono valutate dal potenziale consumatore in fase d’acquisto di un prodotto analgesico. In base alle differenti percezioni dei consumatori, le principali marche di analgesici vengono posizionate nella mappa. Si può notare ad esempio che la marca Tylenol occupa una posizione vantaggiosa, coniugando rapidità e leggerezza della soluzione analgesica. La mappa rileva inoltre un “vuoto d’offerta” nel quadrante degli analgesici ad efficacia lenta ma di elevata leggerezza. Il posizionamento assume un notevole rilievo nel processo di decisione strategica in quanto rappresenta il collegamento tra la definizione e interpretazione del mercato e le scelte di marketing mix con le quali s’intende operare nel contesto competitivo. 35 Le variabili che tradizionalmente si includono nel marketing mix sono le 4P: Product, Price, Place, Promotion 3.7 Il marketing mix Per un’azienda start-up il lancio di nuovi prodotti assume un ruolo essenziale nel determinare il profitto: l’introduzione al momento giusto di un nuovo prodotto aiuta a mantenere il livello di profitto desiderato dalla nuova impresa. Il marketing mix indica la combinazione (mix) di variabili controllabili (leve decisionali) che le imprese impiegano per realizzare i propri obiettivi. Le variabili che tradizionalmente si includono nel marketing mix sono le 4P (in inglese four P's, McCarthy 1960): Si possono individuare tre categorie di nuovi prodotti: • Product (politica di prodotto): riguarda la natura fisico-tecnica del prodotto offerto, la sua funzione, la gamma offerta, la marca eventuale, i servizi pre- e post-vendita, il design e il packaging. • Price (politica di prezzo): tramite la politica di prezzo si definisce il prezzo base, gli eventuali sconti praticati, i termini di pagamento, le offerte speciali. • Place (politica di distribuzione): riguarda la scelta dei canali distributivi, gli aspetti logistici, l’organizzazione della forza di vendita, la definizione degli obiettivi di copertura del mercato (ad esempio in quali e quanti punti vendita si vuole essere presenti). • Promotion (politica di comunicazione): in tale ambito si definiscono la qualità e la quantità degli investimenti in pubblicità, promozione delle vendite, direct marketing, partecipazione a mostre, fiere e sponsorizzazioni. Il piano di marketing raccoglie tutte le decisioni inerenti il marketing mix e descrive le scelte che determinano il sistema di prodotto e servizio offerto sul mercato e la sua percezione da parte dei consumatori. La convenienza nel scegliere l’offerta di un’azienda rispetto a un’altra dipende dai vantaggi competitivi del sistema di prodotto rispetto a quello dei concorrenti Le decisioni individuate nel piano di marketing identificano gli elementi della formula imprenditoriale: la politica di prodotto e la politica di prezzo indicano la maggior parte degli elementi del sistema di prodotto, la politica di distribuzione influenza il sistema di prodotto (in quanto indica le modalità con le quali si deve impostare la struttura logistica e distributiva dell’azienda), la politica di comunicazione influenza l’immagine del bene offerto e la struttura di marketing dell’impresa. 3.8 La politica di prodotto Il sistema di prodotto indica l’offerta che l’azienda propone al mercato obiettivo prescelto. La convenienza nel scegliere l’offerta di un’azienda rispetto a un’altra dipende dai vantaggi competitivi del sistema di prodotto rispetto a quello dei concorrenti e può essere descritta considerando tutti i benefici e i costi che l’offerta dell’azienda comporta per i suoi clienti. Tra i benefici si possono individuare l’ampiezza della gamma, la qualità del bene (affidabilità, funzionalità estetica), la durata, l’obsolescenza, la disponibilità di prodotti o servizi complementari e accessori, la garanzia, le modalità di acquisto, il prestigio e l’accettazione sociale, la diffusione e la compatibilità con altri beni. 36 I costi si possono esprimere in termini di costi di acquisto, costi di manutenzione e installazione, costi informativi, di apprendimento, di conversione, di esercizio, di aggiornamento e il costo dei beni complementari e accessori. • prodotti realmente unici e innovativi (mercati e prodotti nuovi): tali prodotti sono introdotti spesso per consolidare la strategia di leadership tecnologica; • articoli sostitutivi di prodotti già esistenti che sono significativamente diversi da questi ultimi (nuovi modelli di vestiti, caffè solubile contro quello in polvere ecc.). Essi vengono introdotti spesso per difendere la quota di mercato; • prodotti imitativi che sono nuovi per l’azienda ma non per il mercato (il rischio è principalmente commerciale). Le scelte che riguardano i prodotti sono anche determinate dal ciclo di vita, vale a dire dalla fase di andamento delle vendite in funzione del tempo, dal ruolo che ogni articolo riveste nell’equilibrio del portafoglio prodotti e dalle valutazioni di tipo competitivo. La considerazione dei costi e dei benefici per il cliente per tutta la vita utile del bene (life cycle costs and benefits) prende in considerazione gli elementi materiali, gli elementi immateriali e i servizi. Gli elementi materiali sono rappresentati dalla qualità intrinseca del prodotto principale, dalla funzionalità, dalla qualità dei materiali, dall’affidabilità, dal suo aspetto estetico, dalla disponibilità o la qualità di prodotti complementari o accessori. I prodotti complementari sono quelli che devono essere necessariamente disponibili per utilizzare il bene mentre i prodotti accessori sono opzionali. Il confezionamento (package) assume un rilievo critico perché oltre alla funzione di protezione (trasporto dalla fabbrica al punto vendita) garantisce la conservazione, la sicurezza e l’igiene ed è diventato anche un importante strumento di differenziazione e di comunicazione. Infatti, contribuisce a definire ed enfatizzare l’immagine e il prestigio di un prodotto e accresce il suo valore percepito (quando è parte integrante di profumi, deodoranti, vini, detersivi e così via). Gli elementi immateriali sono rappresentati dal prestigio e dal senso di sicurezza che il consumatore tende ad associare al bene e possono derivare dal fatto che il prodotto sia firmato da un designer o uno stilista famoso o che appartenga ad una marca famosa. La politica di marca richiede un notevole sforzo di investimenti, necessario per assicurare la riconoscibilità e la notorietà, talvolta fuori dalla portata delle aziende di dimensioni minori. L’apposizione della marca consente di conseguire vantaggi quali l’identificazione, la riconoscibilità, l’unicità e la tutela dall’imitazione e dalla contraffazione. A questo punto occorre decidere se apporre una marca per ogni prodotto (che ha l’obiettivo di evitare che eventuali insuccessi possano minacciare la reputazione dell’azienda), se apporre una marca per ogni linea di prodotti (al fine di soddisfare esigenze differenti), oppure se apporre una marca a tutti i prodotti. Quest’ultima alternativa deriva dall’esigenza di rendere minima la spesa pubblicitaria e, ove vi sia una relativa certezza circa la qualità dell’offerta, di poter trasferire l’immagine di successo già affermata o che si affermerà. I servizi hanno assunto un’importanza quasi determinante nella decisione di acquisto. Possono essere suddivisi in servizi di base, servizi complementari e accessori. Tra i servizi di base assumono rilevanza le modalità di trasporto, i tempi di consegna, le possibilità di ricevere il servizio con prenotazione o il bene a domicilio. I servizi complementari sono necessari per poter usufruire del bene in modo continuativo (ad es., servizio di assistenza e riparazione per un’impresa I servizi hanno assunto un’importanza quasi determinante nella decisione di acquisto. Possono essere suddivisi in servizi di base, servizi complementari e accessori 37 che produce macchine utensili), mentre i servizi accessori sono opzionali (es. servizi di ristorazione sui treni). La garanzia e l’assistenza tecnica costituiscono servizi importanti in quanto riducono il rischio derivante dalla razionalità limitata dell’acquirente medio, che impedisce di poter verificare e apprezzare preventivamente il funzionamento e le componenti tecniche di prodotti complessi e, in particolare, dei prodotti meno noti. L’offerta della garanzia rappresenta un’importante strumento competitivo utile a rafforzare l’immagine e a favorire la differenziazione dell’azienda rispetto alla concorrenza 3.9 La politica di prezzo Il prezzo, tra le leve del marketing mix, è quella su cui i manager focalizzano maggiormente l’attenzione proprio per la diretta influenza che realizza sul profitto Il metodo del valore percepito (prezzo psicologico) fissa il prezzo del prodotto sulle percezioni che la clientela matura in relazione alle utilità da esso ottenibili 38 Nell’ambito delle analisi di marketing afferenti il business plan, è essenziale verificare con cura i processi di definizione dei prezzi. Il prezzo, tra le leve del marketing mix è quella su cui i manager focalizzano maggiormente l’attenzione proprio per la diretta influenza che realizza sul profitto. Le decisioni di prezzo sono fra le più difficili, soprattutto se si tratta di un prodotto innovativo per il quale non esistono molti termini di paragone. I metodi utilizzati più frequentemente nella prassi operativa considerano diversi dimensioni quali la struttura interna dei costi, il valore percepito di mercato e il comportamento dei concorrenti. Il metodo del prezzo basato sui costi (cost-plus-pricing) perviene alla determinazione del prezzo addizionando un margine di profitto (mark-up) ritenuto adeguato al costo sostenuto per produrre le unità di prodotto vendute. La quantificazione dei costi può essere realizzata tramite il metodo del costo pieno o full costing pricing, o dei costi indiretti (ovvero si sommano a tutti i costi direttamente riconducibili al prodotto, quali le materie prime, quote di costi indiretti, quali i costi amministrativi o produttivi, al fine di ottenere una configurazione di costo il più esaustiva possibile). Anche se molto utilizzata, la metodologia del prezzo basato sui costi presenta numerosi limiti in quanto il costo unitario dei beni può essere difficile da determinare e il prezzo influenza i volumi di produzione e, di conseguenza, i costi stessi. Soprattutto se l’impresa è in fase di avvio, se si decide di praticare prezzi elevati, questo limita le quantità domandate, si riducono le economie di scala e di esperienza e il costo medio di produzione rimane alto. Se, al contrario, si decide di avviare la start-up con prezzi estremamente aggressivi, si potrebbero realizzare rapidamente alti volumi di vendita e abbassare il costo medio unitario tramite le economie di scala e di esperienza. Il metodo del valore percepito (prezzo psicologico) fissa il prezzo del prodotto sulle percezioni che la clientela matura in relazione alle utilità da esso ottenibili. Se il prezzo che il consumatore è disposto a pagare non è remunerativo, si dovrà cercare di ridurre i costi, aumentarne il valore o rinunciare a vendere il prodotto o a erogare il sevizio. Una strategia di alti prezzi ha successo solo se il prodotto si presenta come “unico” agli occhi del consumatore, con elevata qualità, prestigio ed esclusività (es. i brand di lusso e del fashion e i servizi di consulenza). Tale unicità può riguardare sia aspetti immateriali, sia materiali. La presenza di prodotti sostitutivi che svolgono la stessa funzione base e presentano un’immagine e tecnologie comparabili può provocare una riduzione dei prezzi. L’orientamento della politica di prezzo alla concorrenza (going rate pricing) prende come punto di riferimento i prezzi dei concorrenti e viene adottata quando risulta difficile stimare i costi e quando le aziende hanno uno scarso livello di autonomia nello stabilire il prezzo sul mercato. Inoltre tale metodo viene adottato quando le imprese utilizzano una strategia di marketing basata su prezzi molto competitivi rispetto ai concorrenti. Le politiche di prezzo in sede di lancio di nuovi prodotti sono riconducibili alla politica di penetrazione e di scrematura. Tramite la politica di penetrazione viene fissato un prezzo relativamente basso e estremamente competitivo che permette alla start-up di acquisire rapidamente una buona quota di mercato e impedisce nel contempo l’ingresso di nuovi entranti. La politica di penetrazione è consigliata alle imprese che possono beneficiare di numerose economie di scala e di esperienza, che permettono di ottenere vantaggi competitivi in modo da impedire l’ingresso di nuovi concorrenti sul mercato. Con la politica di scrematura (skimming) si stabilisce inizialmente un prezzo più elevato rispetto a quello che la maggior parte dei consumatori sarebbe disposto a pagare. Tale politica di prezzi si può adottare quando il prodotto è fuori dalla portata di larghe fasce di clientela ed esiste un’adeguata quota della domanda disposta a corrispondere un prezzo superiore per un prodotto molto innovativo e difficilmente imitabile nel breve termine, poiché ad esempio gode di un’efficace protezione tecnologica e legale. In tal modo si consegue da subito un rilevante ritorno degli investimenti per il lancio del nuovo prodotto e una sensibile riduzione dei rischi che questi comportano. 3.10 La politica di distribuzione La politica distributiva riassume decisioni riguardanti le scelte del canale commerciale, dell’intermediario al primo livello di contatto nel canale distributivo e dell’organizzazione della forza di vendita necessaria per raggiungerlo. I canali diretti produttore-consumatore escludono l’intervento di intermediari e possono avvalersi di punti di vendita dislocati in diverse località. In tal caso sono necessarie risorse finanziarie e know-how propri (vendita porta a porta, mezzi telefonici o postali). I canali indiretti prevedono l’intervento di intermediari, nella persona dei dettaglianti nel caso di canali brevi oppure dei grossisti e dettaglianti nei canali lunghi. I canali diretti richiedono maggiori risorse rispetto a quelli indiretti, sebbene assicurino un controllo maggiore delle funzioni e del mercato a valle. Trovano rara applicazione per i beni di consumo, mentre per i beni industriali rimangono il meccanismo elettivo. Il quadro relativo alla leva distributiva si completa con la decisione sulle modalità attraverso le quali raggiungere gli intermediari, sia diretti che indiretti, che rappresentano il primo stadio di intermediazione. La politica distributiva riassume decisioni riguardanti le scelte del canale commerciale, dell’intermediario al primo livello di contatto nel canale distributivo e della forza vendita 39 Le alternative cui è possibile fare ricorso sono: • Venditori diretti: la loro retribuzione è in gran parte a stipendio fisso, e una percentuale contenuta è erogata sotto forma di provvigione al fine di incentivare il raggiungimento di determinate performance. • Agenti: percepiscono una remunerazione legata alla provvigione. Il costo per l’impresa è in gran parte variabile. Gli agenti sono meno controllabili rispetto ai venditori diretti. • Rete mista. La scelta tra rete diretta e indiretta dovrebbe discendere dalla considerazione dei relativi costi, dei problemi legati alla saturazione dell’attività degli agenti e venditori, della frequenza delle visite presso gli intermediari, dell’ampiezza delle zone da visitare e da altri elementi quali l’assistenza e la consulenza. In generale, la soluzione della forza di vendita propria è preferibile quando si prevede il raggiungimento di un fatturato elevato, mentre in caso contrario è consigliata l’agenzia. I beni strumentali complessi di solito vengono commercializzati attraverso venditori diretti, in quanto l’assistenza pre- e post-vendita richiede il contatto tra i produttori e gli intermediari. La scelta delle politiche di distribuzione dovrebbe avvenire tramite tre criteri: • economico: individuare il canale che genera configurazioni di costo e di ricavo più convenienti; • del controllo: individua le leve in cui il produttore è in grado di esercitare il controllo sugli operatori del proprio canale, quali il prezzo; • di adattamento: consente di valutare la capacità di risposta dei vari canali alle variazioni che intervengono nella domanda di mercato e la possibilità di uscire dal canale, qualora si presentassero alternative più convenienti, sia in termini di costi, sia di ricavi. Inoltre, il messaggio deve essere adattato al tipo di prodotto che si intende vendere (beni industriali, di lusso, commodities, beni di consumo) ed alla fase del ciclo di vita in cui si trova il bene. Nella fase introduttiva i canali devono essere soprattutto informativi poiché il consumatore non conosce bene il prodotto. Nelle fasi successive si potranno sottolineare le differenze rispetto alla concorrenza e le informazioni di base potranno essere date per scontate. I principali strumenti di cui si avvale la politica promozionale e di comunicazione sono i seguenti: • attività di pubbliche relazioni o di propaganda • pubblicità • promozione in senso stretto e packaging • attività di vendita personale e di merchandising. Nella fase introduttiva i canali devono essere soprattutto informativi poiché il consumatore non conosce bene il prodotto. Le attività di pubbliche relazioni o di propaganda comprendono l’utilizzo di canali personali, quali la partecipazione a seminari, convegni, beneficienza, visite a potenziali clienti, alle presentazioni per gruppi selezionati di destinatari, partecipazione a mostre o fiere del settore e così via. I canali personali sono classificabili come canali sociali (amici, familiari e conoscenti che l’individuo vuole raggiungere), canali aziendali (addetti alla vendita, commessi dell’azienda e agenti) o canali tecnici (consulenti, professionisti ed esperti) che possono essere coinvolti dall’acquirente in sede di decisioni di acquisto. Il fine ultimo è quello di far conoscere l’offerta dell’impresa sul mercato e di migliorare la posizione nel mercato della propria attività. La pubblicità comprende una qualsiasi forma impersonale di presentazione a pagamento di idee, beni o servizi con i seguenti canali: • canali di massa quali televisione, cinema, radio, giornali, riviste periodiche, quotidiani, o affissioni, direct mailing, Internet; • eventi quali presentazioni, sponsorizzazioni, convegni e così via; 3.11 La politica di comunicazione Nel quadro di analisi e scelte relative al marketing mix, il redattore del business plan dovrà compiere valutazioni accurate sugli strumenti e sui metodi di comunicazione che intende adottare. Gli obiettivi che persegue un piano di comunicazione possono essere i seguenti: • far conoscere ai potenziali consumatori che il prodotto o il servizio esiste ed è disponibile; • convincere i potenziali acquirenti a chiedere informazioni; • convincere i potenziali acquirenti ad acquistare. 40 Il messaggio o i messaggi sui quali impostare la politica di comunicazione devono essere correttamente e agevolmente interpretabili dal pubblico e devono enfatizzare le caratteristiche che maggiormente contraddistinguono l’offerta dell’azienda (es. rapidità di consegna, servizio personalizzato, assistenza post-vendita, il prezzo). • atmosfera (aspetto estetico del punto vendita, logo, insegna e così via). Tra i canali pubblicitari, il cinema e la televisione, soprattutto se ci si avvale di televendite nazionali, sono tra i più costosi. L’utilizzo di tale mezzo di comunicazione è particolarmente indicato per chi vende prodotti di largo consumo, mentre le riviste, i volantini, gli opuscoli, i pieghevoli, il direct mailing sono consigliati a chi si rivolge a un pubblico molto mirato. Internet consente di unire la possibilità di raggiungere un numero molto elevato di destinatari con un’informazione molto ricca, personalizzata e interattiva, attraverso strumenti quali il comunicato stampa, i link, le newsletter, le chat, il viral marketing, il sampling (distribuzione di campioni gratuiti), i freebies (distribuzione di oggetti o servizi gratuiti), i coupons, le raccolte punti e così via. Gli eventi sono iniziative che in genere non servono a sostenere la vendita di un prodotto specifico, ma favoriscono la conoscenza del marchio e sostengono l’immagine dell’azienda. L’atmosfera è particolarmente importante nelle attività di servizi, dove la configurazione dell’ambiente nel quale il servizio viene erogato influenza direttamente la soddisfazione dei consumatori (es. bar, ristoranti, pizzerie, parrucchieri). 41 CAPITO LO 4 Verifica tecnica della fattibili tà La promozione in senso stretto tenta di stimolare l’acquisto e la fedeltà sia dei consumatori sia degli intermediari tramite l’applicazione di particolari incentivi quali offerte speciali, sconti, abbuoni o concorsi a premio. Le azioni di promozione si possono distinguere in due categorie a seconda che siano indirizzate al consumatore finale (consumer promotion) o ai canali distributivi (trade promotion). Le azioni di consumer promotion possono puntare a favorire il lancio di un nuovo prodotto, rivitalizzare prodotti nella fase di maturità e declino o a raccogliere informazioni sui consumatori. Le azioni di trade promotion puntano ad aumentare il livello delle scorte presso i distributori, ad indurli a tenere tutta la gamma degli articoli offerti dall’azienda e a favorirli nell’esposizione e nelle azioni di vendita. Le attività di vendita personale, il merchandising e il display sono effettuate solitamente presso il punto vendita, laddove la vicinanza del cliente al prodotto è massima. In queste situazioni, l’azione persuasiva dei venditori assume un ruolo decisivo ai fini dell’orientamento delle preferenze e dell’acquisto. Inoltre, sia per i beni di largo consumo (esempio abiti da sartoria), sia per i beni intermedi si possono offrire soluzioni di marketing mix (volumi acquistati, modalità di consegna, prezzi, configurazione del prodotto) personalizzate, a seconda delle specifiche esigenze dei clienti. Il merchandising prevede la disposizione e l’organizzazione delle attrezzature nei reparti al fine di garantire l’esposizione più opportuna dei prodotti e un flusso funzionale di merci e clienti nel locale. Il display comprende tecniche (vetrinistica, supporti espositivi, punti di prova e assaggio) al fine di mostrare nel modo più efficace la presenza di certi prodotti nel punto vendita. Molto spesso tali attività comportano una gara per la conquista di spazi espositivi all’interno dei punti vendita e determinano attriti tra industria e distribuzione. Le prime tre forme di comunicazione sono realizzate prevalentemente dal produttore e riverberano effetti nel medio-lungo termine, mentre l’ultima categoria è di solito utilizzata dagli intermediari, in particolare dai dettaglianti su incarico e con la collaborazione dei produttori e si estendono nel breve periodo. L’analisi della fattibilità di marketing è una fase molto impegnativa L’analisi della fattibilità di marketing è una fase molto impegnativa, poiché tutte le deduzioni derivanti dalla valutazione degli aspetti ambientali connessi al business devono essere canalizzati e verso una direttrice organica che coniughi in modo ottimale le combinazioni prodotto-mercato perseguibili. In questa sezione deve prendere corpo tutto l’impianto progettuale in merito ai mercati da aggredire, i prodotti da offrire e le modalità di collocamento commerciale. 4.1 Introduzione La start-up, per realizzare il progetto imprenditoriale, deve prendere decisioni complesse relative alla struttura aziendale, ossia deve scegliere qual è la localizzazione che permetta di sfruttare in modo più efficiente possibile i propri stabilimenti produttivi, quali impianti e macchinari acquistare, gli immobili da utilizzare, la tipologia di rete distributiva da adottare, quanti dipendenti assumere, con quali imprese cercare di instaurare rapporti di partnership. Le scelte relative alla struttura aziendale possono riguardare la struttura tecnologica, la struttura commerciale, la struttura organizzativa, i meccanismi operativi, e gli accordi con altre imprese. 4.2 Definizione della struttura produttiva La start-up, per realizzare il proprio output, necessita di strutture produttive complesse quali impianti, stabilimenti, macchinari, uffici e magazzini, addetti alla produzione, procedure e sistemi di produzione, know-how di produzione. Le scelte relative alla struttura produttiva della nuova impresa si riferiscono ai seguenti aspetti: Le scelte relative alla struttura aziendale riguardano la struttura tecnologica, la struttura commerciale, la struttura organizzativa, i meccanismi operativi, e gli accordi con altre imprese • la tecnologia da utilizzare, ossia i macchinari e gli impianti di produzione; • il modello di produzione; • il layout di impianti e macchinari; • la capacità produttiva e le scelte di make o buy, ovvero se produrre internamente o acquistare dall’esterno; 42 • la scelta delle modalità di gestione dei materiali e delle scorte (sistemi just in time); 43 • la scelta se rivolgersi o meno a subfornitori esterni; • la struttura ed i metodi per il controllo della qualità. Ai fini della stesura del business plan riveste una particolare importanza compilare un elenco degli impianti, delle attrezzature e dei macchinari da acquisire, stimando il loro costo e identificando quali possono essere acquisiti in leasing o tramite finanziamenti, e quali devono essere costruiti internamente. Inoltre si deve indicare l’eventuale presenza di garanzie reali su di essi, o se si prevede di dare i cespiti in garanzia. Infine, è essenziale trattare gli aspetti tecnici ed organizzativi del piano degli investimenti, descrivendo il layout degli impianti, e indicando la capacità produttiva complessiva per prodotto/servizio degli impianti di produzione previsti per l’avvio e lo sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale. 4.3 Analisi degli investimenti e analisi tecnologica 4.4 Il modello di produzione La tecnologia ha assunto un ruolo decisivo per l’acquisizione di vantaggi competitivi sostenibili in quanto permette di anticipare e cogliere in modo tempestivo la manifestazione di possibili mutamenti del mercato. In sede di fattibilità tecnica, l’imprenditore deve scegliere gli impianti e i macchinari che intende utilizzare nella nuova iniziativa, cercando di comprendere gli effetti delle diverse ipotesi nel determinare la posizione competitiva della start-up. Si possono individuare tre tipi di tecnologie: Le modalità con le quali si possono svolgere i cicli di lavorazione fanno riferimento ai processi di tipo continuo, intermittente o misto. 44 La strategia difensiva rimanda l’ingresso nel mercato fino al momento in cui si sarà sviluppata una domanda consistente Si possono distinguere i seguenti modelli di produzione in base alla specifica natura del bene e del mercato da servire: • tecnologie chiave: tali tecnologie esercitano una notevole influenza sulla dinamica competitiva, poiché derivano da conoscenze specifiche di una determinata impresa, in grado di determinare il vantaggio concorrenziale; • produzione su commessa (job shop): è caratterizzata dal fatto di produrre specificatamente su richiesta e secondo i desideri del cliente. Il prodotto viene concepito in un unico esemplare e i flussi produttivi sono irregolari e discontinui. E’ tipica delle realizzazioni artigianali e delle grandi opere di ingegneria eseguite ad hoc per il cliente. Tale tipologia di produzione richiede l’impiego di attrezzature generiche il cui utilizzo sia polivalente e di risorse umane particolarmente qualificate e versatili; • tecnologie emergenti, di cui deve essere ancora testata la validità, sono ancora nella fase di sperimentazione, ma possiedono tutte le caratteristiche per imporsi come tecnologie leader. • produzione per lotti: tramite tale produzione, si ha una riduzione del numero di modelli forniti in lotti di grandi dimensioni; Nel caso in cui la start-up disponga di un’innovazione tecnologica in grado di creare nuovi mercati, l’impresa può adottare una strategia offensiva, entrando come pioniere. In tal modo acquisisce vantaggi concorrenziali, come quello della scelta dei canali di distribuzione migliori o la stipulazione di accordi di partnership con i fornitori, accumula esperienza in termini di processi produttivi con conseguente riduzione dei costi, e può acquisire i segmenti di mercato meno sensibili alle variazioni di prezzo. La strategia offensiva richiede numerosi investimenti in ricerca e sviluppo (brevetti e marchi), necessari per creare prodotti o servizi innovativi che permettano l’acquisizione di un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. Gli elevati costi fissi derivanti dagli investimenti effettuati in innovazioni tecnologiche (capital intensive) determinano l’esigenza di servire mercati ampi. Infatti, tale strategia richiede un elevato orientamento al marketing, al fine di sensibilizzare i clienti alla propria offerta innovativa. • programmazione dei flussi produttivi: si cerca di ottenere una sequenza di lotti differenti in grado di minimizzare i costi e i tempi di set-up richiesti dalle diverse produzioni. L’intero processo è suddivisibile in fasi, ciascuna affidata ad un reparto. Le parti non visibili dell’output rimangono solitamente standardizzate, mentre quelle visibili sono di solito, differenziate; • tecnologie di base che nel passato hanno conosciuto un importante sviluppo e non determinano un vantaggio concorrenziale in quanto sono alla portata di chiunque voglia entrare nel mercato; La strategia offensiva richiede numerosi investimenti in ricerca e sviluppo, quali brevetti e marchi La strategia difensiva, al contrario, rimanda l’ingresso nel mercato fino al momento in cui si sarà sviluppata una domanda consistente. Pochi sono gli innovatori, molti gli imitatori, in quanto tale strategia presenta minori rischi rispetto a quella offensiva. I follower, infatti sfruttando l’esperienza del first mover, possono individuare le reazioni dei clienti relativamente a un nuovo prodotto, evitare gli errori commessi dal pioniere e possono farne tesoro per migliorare le prestazioni del prodotto/servizio offerto sul mercato. Ai follower è sconsigliabile lo scontro diretto con il pioniere per evitare di esporsi ad attacchi di larga scala da parte dei concorrenti già presenti sul mercato. E’ preferibile, invece, una strategia di focalizzazione delle proprie risorse su nicchie di mercato, caratterizzate da minor concorrenza, pur senza rinunciare definitivamente a mire espansive. L’adozione di tale strategia è consigliata per le start-up che lavorano in settori labour intensive (in cui la principale risorsa produttiva è il lavoro dell’uomo) con una leva operativa bassa e costi variabili che aumentano rapidamente al crescere dei volumi di mercato. • produzione continua: il livello di automazione in questo tipo di industrie è elevato in quanto la fabbrica assume la forma di un’unica macchina il cui flusso è continuo, ossia ininterrotto. La sequenza dei macchinari non deriva da una libera scelta del management, ma è imposta dal tipo di processo adottato. Le produzioni a flusso continuo sono tipiche delle industrie di processo quali quella chimica, petrolifera, farmaceutica, del cemento e della carta. 45 Le scelte di layout hanno carattere particolarmente irreversibile 4.5 Il layout di impianti e macchinari 4.6 La capacità produttiva e le scelte di make or buy Le scelte di layout riguardano la disposizione fisica degli impianti, macchinari e attrezzature all’interno degli stabilimenti produttivi. Tali decisioni hanno carattere particolarmente irreversibile, in quanto il loro cambiamento richiede uno spostamento di risorse alquanto costoso. L’obiettivo principale del layout è quello di ottimizzare l’impiego delle risorse produttive (materiali, parti e componenti necessari per la trasformazione, macchine, e forza lavoro). Gli schemi a cui si ricorre più frequentemente per definire il layout sono i seguenti: La capacità produttiva identifica la quantità di produzione che assicura il pieno impiego dei macchinari e degli impianti di produzione, attraverso l’utilizzo efficiente dei fattori produttivi. La dimensione della capacità produttiva ottimale è quella che minimizza il costo unitario di produzione e la rischiosità dell’investimento. • layout per prodotto o in linea: è tipico delle catene di montaggio, caratterizzate da una certa rigidità e ripetitività delle operazioni. Gli output sono costituiti da beni standardizzati, prodotti in quantità elevate; • layout per processo: è tipico dei processi a piccoli lotti o intermittenti, in quanto prevede la suddivisione della fabbrica in reparti omogenei sotto il profilo delle operazioni da eseguire. Vengono svolti più cicli per differenti prodotti e le macchine versatili sono raggruppate in reparti che eseguono lavorazioni specifiche (es. frese, torni, presse ecc). Il vantaggio di tale versatilità è quello di consentire l’esecuzione di molti cicli per prodotti diversi, favorendo l’approfondimento delle conoscenze specialistiche degli operai. Tuttavia, tale tipologia di layout determina un allungamento dei tempi di attraversamento del prodotto, poiché le macchine non sono disposte nella sequenza dettata dai cicli, e dei costi connessi ai trasferimenti interni da un reparto all’altro; • layout a posto fisso: si utilizza quando un prodotto, per motivi di peso e volume, rimane fermo in una determinata ubicazione e il layout è determinato da una pronta mobilità dei mezzi di produzione attorno alla postazione fissa del prodotto. E’ utilizzato nella cantieristica navale, aeronautica e nelle grandi opere dell’ingegneria; • group technology: tale layout coniuga l’efficienza dei reparti di linea con la versatilità dei reparti funzionali. Le attrezzature e i macchinari vengono raggruppati al fine di realizzare la stessa tipologia di prodotti, omogenei dal punto di vista delle parti componenti, oppure del ciclo tecnologico. La flessibilità di tale produzione consiste nel variare il numero di addetti in base al ritmo di produzione. Appartengono a tale tipologia di layout quella delle isole di montaggio e quello in linea ad U. La prima arricchisce le mansioni degli operai, in quanto a essi viene affidato il compito di svolgere numerose parti del ciclo produttivo. Ogni isola è responsabile dell’output di prodotto e gode di ampia autonomia nella gestione del gruppo di lavoro. Il layout in linea ad U ha la peculiarità di disporre in posizione frontale la prima e l’ultima macchina. Di conseguenza, l’ingresso e l’uscita della linea risiedono nel medesimo punto. Gli impianti e macchinari si possono suddividere a seconda del grado di automazione e meccanizzazione. Gli impianti elastici o flessibili dal punto di vista economico perseguono l’obiettivo della riduzione dei costi. Infatti, essi non comportano aumenti sensibili del costo dei prodotti a seguito di inutilizzazioni degli stessi o di riduzioni in termini di volumi prodotti. Gli impianti versatili e flessibili in senso tecnico si prefiggono l’obiettivo di ridurre i rischi e possiedono la capacità di adattarsi a produzioni di differenti beni (variazioni di mix) attraverso lo svolgimento di processi diversi senza che l’impresa debba sostenere ingenti costi. 46 Il dimensionamento della capacità produttiva è strettamente legato agli obiettivi che la start-up si prefigge, in particolare in termini di numero di segmenti serviti. La scelta della capacità produttiva da installare, fornita dall’imprenditore in sede di redazione del business plan, riveste un’importanza strategica, poiché determina il livello di integrazione delle attività (a monte e a valle), identifica la struttura organizzativa, il posizionamento sul mercato e la struttura dei costi della nuova attività. Sovradimensionamenti o sottodimensionamenti degli impianti sono i rischi in cui si può incorrere sia in fase di start-up, sia nelle fasi ordinarie di gestione. La dimensione degli impianti produttivi è strettamente correlata alle scelte di make (quali attività sia opportuno svolgere internamente), o buy (acquisto di prodotti o servizi da subfornitori). La capacità produttiva identifica la quantità di produzione che assicura il pieno impiego dei macchinari e degli impianti di produzione, attraverso l’utilizzo efficiente dei fattori produttivi L’opzione make offre il vantaggio di garantire un controllo diretto sull’attività, su eventuali segreti industriali, sugli approvvigionamenti e sulla qualità del prodotto/servizio, ma crea maggiore rigidità della struttura a causa degli elevati costi fissi. Infatti, la decisione di controllare internamente una certa attività comporta maggiori investimenti (per dotarsi delle strutture necessarie) e maggiori costi fissi (soprattutto a causa del personale da assumere per svolgere l’attività). Inoltre, se si tratta di un’attività complessa si possono verificare anche lunghi tempi di attesa per la messa a punto della struttura. L’opzione buy comporta minori costi fissi e una maggiore flessibilità della struttura dei costi, poiché si sostituiscono i costi fissi con i costi variabili, proporzionali alle quantità di beni o servizi acquistati dall’esterno. E’ opportuno internalizzare le attività che costituiscono competenze distintive dell’impresa e che originano un importante know-how che rappresenta un’importante barriera all’entrata (si evita in tal modo che i sub-fornitori possano acquisire conoscenze e costituire una minaccia futura). L’esternalizzazione è sconsigliabile anche quando i livelli della domanda sono prevedibili e il controllo della qualità assume un’importanza fondamentale. Le scelte di make o buy sono influenzate anche dal ciclo di vita del prodotto e dalla localizzazione dell’azienda: se il prodotto che la start-up intende vendere è basato su di una tecnologia molto innovativa potrebbero non essere presenti sul mercato i fornitori capaci di fornire i componenti necessari. Se si decide di produrre vestiti nella zona di Prato, sarà possibile trovare numerose imprese nel territorio in grado di fornire prodotti e servizi specializzati (es. disegnatori, società specializzate nel controllo della qualità dei tessuti ecc.). Nella fase di avvio della start-up, la scelta di esternalizzare una certa produzione può essere adottata in modo transitorio, cominciando gradualmente a dotarsi di propri impianti di produzione con l’aumentare delle vendite. In tal modo si riducono i capitali necessari per l’avvio della nuova iniziativa imprenditoriale, rendendo la struttura produttiva più elastica. E’ opportuno internalizzare le attività che costituiscono competenze distintive dell’impresa e che originano un importante know-how 47 4.7 Gli accordi con le imprese Le aziende possono decidere la strada del “connect”, stringendo alleanze strategiche Le aziende possono decidere la strada del “connect”, che consiste non nell’internalizzare certe attività ma di stringere alleanze strategiche e accordi con altre imprese che possono assumere la forma di accordi informali o formali. Nell’ambito degli accordi informali due o più imprese collaborano senza sottoscrivere nessun contratto. Ciò avviene nei c.d. rapporti di subfornitura, caratterizzati dal fatto che le aziende subfornitrici svolgono fasi della lavorazione, attenendosi rigidamente alle specifiche fornite dal cliente o fornendo loro particolari componenti. Gli accordi e le collaborazioni possono essere formalizzati in numerosi contratti, (i contratti di cessione di brevetti e licenze di produzione, i contratti di distribuzione ecc.), portando anche alla costituzione di società o di organizzazioni condivise. Ciò accade nel caso dei consorzi di acquisto (il cui scopo è garantire contratti di approvvigionamento più convenienti per i consorziati), dei consorzi di vendita (aventi l’obiettivo di realizzare strutture di vendita condivise da più aziende concorrenti e complementari) e delle joint ventures (società controllate da una o più società che si accordano per realizzare obiettivi comuni). 4.8 La struttura commerciale La struttura commerciale consente alla start-up di far giungere i propri prodotti o servizi ai consumatori target. La struttura commerciale di un’azienda si compone di un insieme di elementi strettamente collegati tra loro: La definizione della struttura distributiva implica molte decisioni: grandezza, quantità e localizzazione dei depositi e magazzini centrali e periferici; modalità automatizzata o manuale di gestione delle scorte; scelta delle modalità di gestione dei flussi informativi (raccolta ordine, bollettazione o fatturazione); scelta dei mezzi di trasporto. La struttura distributiva dipende dal livello di servizio che si vuole offrire alla clientela. Il sistema deve essere strutturato diversamente a seconda dei tempi di consegna che si vogliono garantire e della politica di accettazione degli ordini (solo ordini di grandi dimensioni o se si accetta di spedire anche in piccole quantità). La struttura di marketing e di vendita deve essere coerente con i canali distributivi precedentemente scelti. La struttura di marketing è rappresentata dal personale che si occupa delle ricerche di mercato, della definizione delle politiche di marketing, dei prezzi di vendita e delle campagne pubblicitarie. La struttura di vendita commerciale può essere diretta, formata cioè da lavoratori dipendenti che sono remunerati in forma fissa, o indiretta, rappresentata da agenti e rappresentanti, retribuiti per provvigioni. Nella scelta verso l’una o l’altra configurazione è importante considerare il grado di controllo ritenuto necessario sulla forza di vendita: se questo viene percepito come basso è possibile affidarsi a una rete indiretta; se viene percepito come alto, meglio avere propri lavoratori dipendenti. L’utilizzo di una rete di vendita indiretta può essere conveniente nel primo periodo di avvio della start-up perché non presenta sostanziali costi fissi e costi di gestione. Al crescere dei volumi intermediati, la nuova impresa può rendere la forza di vendita diretta. La struttura di marketing e di vendita deve essere coerente con i canali distributivi precedentemente scelti 4.9 La struttura organizzativa e i meccanismi operativi • i canali distributivi • la struttura di distribuzione • la struttura di marketing e di vendita. I canali distributivi diretti (agenti o broker) permettono un contatto con la clientela senza intermediari, consentendo all’impresa di raccogliere preziose informazioni sulle esigenze e sul comportamento di acquisto dei consumatori. Inoltre il canale diretto consente di risparmiare i margini aggiunti dai vari intermediari, favorendo la riduzione del prezzo dei prodotti. L’utilizzo di tale canale è indispensabile se si vogliono offrire prodotti o servizi personalizzati (es. consulenze). La struttura organizzativa che la start-up intende utilizzare può essere di diversi tipi: I canali distributivi indiretti consentono una forte riduzione della complessità aziendale e dei costi di gestione, poiché riducono il numero di clienti con i quali l’impresa deve interagire. A livello di grossisti ci si può rivolgere ai cash & carry (grandi punti vendita aperti solo ai dettaglianti), o ai grossisti specializzati. A livello di dettaglio si possono scegliere varie alternative quali la distribuzione organizzata (grandi magazzini, ipermercati, supermercati ecc.) e il piccolo dettaglio, quali i bar, le farmacie, i negozi specializzati. • divisionale: dai vertici dipendo gli organi specializzati per prodotti o mercati/segmenti di mercato (prodotto A, prodotto B, mercato A, mercato B); La scelta del canale influenza anche le decisioni relative alla struttura distributiva. Essa include tutte le risorse (magazzini, personale, automezzi ecc.) necessari per consegnare i beni ai clienti nei tempi e nei modi predefiniti. 48 La struttura organizzativa descrive il modo col quale si è deciso di dividere ed assegnare i compiti e le responsabilità all’interno dell’azienda e individua i meccanismi operativi che si intendono utilizzare per formare, controllare e motivare il personale e i collaboratori dell’azienda. • elementare: dai vertici aziendali dipendono direttamente gli organi operativi; • funzionale: dai vertici dipendono gli organi specializzati per funzioni, quali acquisti, vendite e produzione; • matrice: unisce le due componenti funzionali e divisionali in una matrice. Sono presenti due livelli di direzione, e cioè la direzione in base alle funzioni (Direzione acquisti, Direzione produzione, Direzione vendite, Direzione personale, ecc.) e le varie direzioni in base ai prodotti o ai progetti o alle aree geografiche o in base ai clienti. Tutte le direzioni, sia di funzione, sia di prodotto dipendono dalla direzione generale. E’ il metodo più completo ma anche il più complesso. La struttura organizzativa descrive il modo col quale si è deciso di dividere ed assegnare i compiti e le responsabilità all’interno della azienda 49 Le seguenti figure (figure 10-11-12-13) descrivono le quattro forme di struttura organizzativa sopra elencate (Airoldi et al., 2005). Figura 13. Struttura a matrice Direzione generale Figura 10. Struttura elementare Direzione generale Direzione Ricerca r ABC Amministrazione e controllo Personale Approvvigionamenti Produzione Vendita Direzione Divisione B Direzione Divisione C All’interno del business plan è necessario anche indicare i dipendenti che si prevede di coinvolgere nel capitale azionario tramite l’attribuzione di stock-options e la presenza di eventuali meccanismi che legano la retribuzione dei dipendenti ai loro risultati. Per poter realizzare determinati obiettivi in termini di motivazione del personale si possono utilizzare diverse leve: Figura 12. Struttura divisionale • Job rotation: consiste nel far ruotare il lavoratore su più mansioni al fine di evitare l’esercizio di compiti troppo monotoni. Direzione generale Amministrazione e controllo • Job enrichment: all’aumento del numero dei compiti si accompagna il controllo sulla mansione e la discrezionalità decisionale. • Work group: al gruppo di lavoro viene attribuito un sistema di compiti da svolgere autonomamente. Divisione B (prodotto B) R&D Vendita R&D Approvvigionamenti Produzione In relazione ai meccanismi operativi, nella fase di avvio possono risultare particolarmente importanti i meccanismi di selezione, formazione e motivazione del personale • Job enlargement: ha l’obiettivo di aumentare la varietà dei compiti lungo la stessa dimensione. Personale Divisione A (prodotto A) 50 Direzione Divisione A In relazione ai meccanismi operativi, nella fase di avvio possono risultare particolarmente importanti i meccanismi di selezione, formazione e motivazione del personale. La determinazione delle unità lavorative è influenzata dai volumi di produzione da realizzare, dalle scelte tecnologiche e dal layout. Infatti, maggiore è il grado di automazione della tecnologia, minore sarà il fabbisogno di manodopera diretta. Inoltre, la scelta del layout influenza la logistica interna, la disposizione e il numero delle unità lavorative. Nel descrivere la struttura organizzativa è opportuno distinguere fra organi di staff e organi di linea. I primi dipendono gerarchicamente da qualcun altro, mentre i secondi sono organi di supporto, indipendenti e non inseriti in nessuna catena gerarchica (es. ufficio acquisti, gli affari legali o la direzione del personale). Direzione generale Produzione Direzione tecnica t ABC Può accadere che le aziende adottino strutture miste, ad esempio organizzando per divisioni tutte le funzioni aziendali, ma mantenendo congiunta la funzione marketing. Figura 11. Struttura funzionale Approvvigionamenti Direzione Commerciale c ABC Vendita In generale, le mansioni arricchite e i work group stimolano maggiormente il commitment (l’impegno) dei lavoratori verso l’organizzazione. In conclusione, è possibile affermare che la fattibilità tecnica riveste un’importanza decisiva per il successo dell’idea di business, poiché è in grado di annullare e di alterare il gap competitivo tra i concorrenti e di modificare significativamente la struttura del settore. 51 CAPITO LO 5 La fatti econombilità ico-fina nziaria 5.1 I bilanci previsionali L’ultima fase nella redazione del business plan è rappresentata dall’analisi della fattibilità economico-finanziaria. Obiettivo di tale fase è la conversione in cifre delle considerazioni finora fatte sulla strategia dell’impresa, il mercato di riferimento e la struttura operativa. In tale fase si analizza l’efficacia e la sostenibilità di un business plan, in termini di solidità patrimoniale, solvibilità finanziaria e redditività economica. L’analisi della fattibilità economica consiste nella valutazione della capacità dell’impresa di generare un reddito che consenta di raggiungere in tempi ragionevoli un equilibrio reddituale e, successivamente, di conseguire un risultato economico positivo. L’analisi della fattibilità finanziaria serve invece a valutare l’entità del fabbisogno finanziario per l’avvio della start-up e la sua evoluzione nel tempo. In fase di avvio del progetto imprenditoriale, la stesura di bilanci previsionali per un certo numero di anni (in genere da 3 a 5) ha l’obiettivo di fornire un quadro sull’evoluzione della fattibilità economica e finanziaria nel tempo. I bilanci previsionali sono dunque importanti strumenti di valutazione exante della fattibilità economico-finanziaria della start-up e consentono di coordinare i diversi “sforzi” economici e finanziari necessari per l’avviamento e la gestione di lungo termine dell’impresa. E’ importante sottolineare il fatto che la redazione degli schemi di bilancio previsionale non deve essere statica, poiché deve consentire all’imprenditore il confronto tra differenti scenari e ipotesi di partenza. In altre parole, l’imprenditore in fase di previsione deve poter modificare le variabili-chiave del progetto, dal prezzo di vendita di un bene al costo del lavoro, e misurarne l’impatto sugli andamenti economici e finanziari della start-up. L’analisi di come differenti ipotesi di calcolo che fungono da input del progetto possano determinare differenti risultati di performance economico-finanziaria è definita analisi di sensitività. Per svolgere tale analisi, i bilanci previsionali dovrebbero essere redatti attraverso l’utilizzo di modelli di simulazione che considerino almeno tre ipotesi di base: Obiettivo dell’analisi di fattibilità economica è la conversione in cifre delle considerazioni fatte sulla strategia dell’impresa, il mercato di riferimento e la fattibilità di marketing L’analisi di sensitività analizza come differenti ipotesi di calcolo che fungono da input del progetto possano determinare differenti risultati di performance economicofinanziaria 53 • worst case: performance calcolata con le ipotesi di crescita e di sviluppo pessimistiche associate allo scenario peggiore; L’utilizzo del business plan quantitativo può “educare” l’imprenditore ad un processo decisionale meno intuitivo e più consapevole • normal case: ipotesi correnti; troviamo le diverse forme con cui la start-up si finanzia, quali i debiti bancari, i debiti commerciali e verso dipendenti, il capitale proprio dell’impresa e, non da ultimo, l’utile d’esercizio (che rappresenta la principale forma di autofinanziamento delle imprese). • best case: situazione definita con le ipotesi di sviluppo migliori. Nel paragrafo che segue verranno illustrati i diversi passaggi per la costruzione degli schemi del bilancio previsionale. La redazione dei bilanci previsionali comporta quindi il combinarsi di diverse competenze e conoscenze: da un lato la padronanza tecnico-contabile del metodo di redazione del bilancio previsionale, dall’altro la conoscenza approfondita e realistica del mercato nel quale si opera o s’intende entrare. Regola cardine per la stesura della parte quantitativa del business plan è in sostanza quella di essere realistici: un bilancio previsionale tecnicamente corretto non ha alcun valore se non fondato su ipotesi e congetture realistiche, frutto di una conoscenza analitica e ponderata del settore di riferimento. 5.2 Il piano degli investimenti Il piano degli investimenti stabilisce, per ognuno degli anni compresi nel periodo di previsione, quali beni strumentali devono essere acquistati e costruiti e quali sono i costi che dovranno essere sostenuti per la loro acquisizione. Scopo dei bilanci previsionali è dunque quello di raccogliere e sintetizzare le previsioni economico-finanziarie che fungono da guida per le scelte della direzione e dei finanziatori esterni. Un esempio di piano degli investimenti viene illustrato in figura 143. Il bilancio previsionale non è tuttavia una semplice previsione, ovvero il mero tentativo di “indovinare” gli accadimenti futuri. Si tratta bensì di uno strumento “attivo”, che supporti l’imprenditore nelle sue simulazioni su differenti scenari futuri. L’utilizzo di tale strumento può “educare” l’imprenditore ad un processo decisionale meno intuitivo e più consapevole, facendolo ragionare sui numeri e le dinamiche del business, sui valori chiave da tenere sotto controllo e sulla necessità di elaborare eventuali piani d’emergenza. Figura 14. Il piano degli investimenti La parte quantitativa del business plan prevede sostanzialmente la redazione di tre schemi di sintesi, strettamente interconnessi tra loro: Il piano degli investimenti stabilisce quali beni strumentali devono essere acquistati e costruiti e quali sono i costi che dovranno essere sostenuti per la loro acquisizione • il piano degli investimenti • il conto economico preventivo • lo stato patrimoniale preventivo. Tutte le decisioni relative agli elementi fondanti la formula imprenditoriale prescelta, ovvero il sistema competitivo nel quale si è scelto di operare, il sistema di prodotto che s’intende offrire e la struttura aziendale con cui produrre tale prodotto o servizio, comportano il sorgere di costi e ricavi da una parte e di investimenti e dei correlati finanziamenti dall’altra. Il piano degli investimenti è il risultato finale del processo di valutazione e scelta dei progetti d’investimento, materiali ed immateriali, che devono essere effettuati per avviare e sviluppare la start-up. I progetti d’investimento possono essere suddivisi per aree, quali l’area produttiva, quella di marketing o quella amministrativa. La tavola di sintesi del conto economico raccoglie invece tutti i costi e i ricavi, su base annuale, di pertinenza della startup. Il conto economico previsionale consente di presumere quale sarà la “ricchezza” prodotta dall’impresa ogni anno, attraverso il calcolo del risultato reddituale (utile o perdita d’esercizio), che deriva dalla differenza tra ricavi e costi annuali. 54 Infine, lo stato patrimoniale è la “fotografia” del patrimonio dell’impresa al 31/12/2011, dove tra le attività (investimenti) troviamo i beni di proprietà della start-up, i crediti vantati e le disponibilità di cassa, mentre tra le passività (finanziamenti) 3 Come riferimento per la stesura del business plan è stato utilizzato lo schema pubblicamente reperibile al link www.startcupspinner.startcup.com/documentazione/business_plan.pdf 55 5.3 Il conto economico preventivo Il conto economico preventivo viene costruito attraverso diverse fasi e con l’ausilio di prospetti contabili in grado di rendere oggettivi e quantificati gli obiettivi stabiliti e i tempi di realizzazione. Esso prevede la compilazione dei seguenti documenti: • budget delle vendite nel medio-lungo termine; • budget dei costi fissi; • budget dei costi variabili; • conto economico previsionale a margine di contribuzione. Il budget delle vendite rappresenta la quantificazione degli obiettivi di vendita della start-up nel medio-lungo termine (in genere 3-5 anni). Costituisce quindi la prima indicazione in merito alla capacità di assorbimento dei prodotti/servizi offerti sul mercato e dei ricavi su cui la nuova iniziativa imprenditoriale potrà fare affidamento per generare profitto. Da ciò consegue che il budget delle vendite traccia il percorso lungo il quale gli altri budget dovranno inserirsi tenendo conto delle specificità dell’azienda, delle strategie e dei vincoli di breve-medio termine. Il conto economico preventivo viene costruito attraverso diverse fasi e con l’ausilio di prospetti contabili in grado di rendere oggettivi e quantificati gli obiettivi stabiliti e i tempi di realizzazione Un esempio di budget delle vendite è fornito nella figura 15. Fonte: Startcup. Guida alla compilazione del business plan Figura 15. Budget delle vendite Gli investimenti materiali si riferiscono ai beni utilizzati nella gestione caratteristica nel corso di più esercizi. Riguardano il costo dei terreni, fabbricati, impianti, macchinari, attrezzature industriali e commerciali, e altri beni, quali mobili e macchine da ufficio e mezzi di trasporto. Gli investimenti immateriali rappresentano condizioni produttive da utilizzare nella gestione caratteristica ma, a differenza dei beni materiali, non possiedono il requisito della tangibilità, ossia non hanno una consistenza fisica. Le immobilizzazioni immateriali si riferiscono ai brevetti, marchi aziendali, licenze d’uso e certificazioni della qualità, agli studi di fattibilità, servizi di consulenza e assistenza, ai costi di impianto e ampliamento, agli investimenti per la sicurezza nei luoghi di lavoro, all’acquisto di sistemi informatici e software e ai costi di ricerca e sviluppo capitalizzabili. Fonte: Startcup. Guida alla compilazione del business plan Il bilancio di vendita previsionale può essere espresso in volumi (quantità che si prevede di vendere) o in fatturato (prezzo unitario x quantità). Per valutare le cause analitiche di formazione dei ricavi è utile individuare delle combinazioni di prodotto/mercato che consentono all’imprenditore di avere una visione completa delle singole produzioni dell’impresa e dei mercati in cui queste saranno allocate. Numerose sono le possibilità a disposizione dell’imprenditore: 56 • per quanto riguarda i prodotti, possono essere utilizzate classificazioni per linea di prodotto, tecnologie impiegate, processi produttivi adottati ecc.; Per valutare le cause analitiche di formazione dei ricavi è utile individuare delle combinazioni di prodotto/mercato 57 • per quanto riguarda i mercati, si possono impiegare criteri di segmentazione geografica, per canale distributivo, per singoli clienti o per gruppi di clienti. Tale analisi deve primariamente fondarsi su una preventiva definizione delle combinazioni prodotto/mercato che il nuovo imprenditore ritiene più significative per realizzare la propria idea di business. Tali costi, a loro volta, possono essere classificati in costi fissi di struttura, in cui sono incluse le componenti di costo relative alla fase di trasformazione tecnico-fisica (stipendi per il personale non operativo, affitti, canoni di manutenzione e assistenza, ammortamenti) o costi fissi legati allo sviluppo futuro della nuova iniziativa imprenditoriale (es. investimenti in pubblicità, promozione, costi di ricerca e sviluppo, formazione del personale). Il budget dei costi fissi (figura 16) individua i costi il cui ammontare è indipendente dai volumi, poiché essi si mantengono costanti, per un certo intervallo, al variare dei volumi effettivamente realizzati. Il budget dei costi variabili (figura 17) individua i costi che sorgono e variano in relazione diretta al variare dei volumi effettivamente realizzati. Essi dipendono dalle quantità che si prevede di vendere negli anni successivi, individuati all’interno del budget delle vendite. Figura 16. Budget dei costi fissi Figura 17. Budget dei costi variabili Fonte: Startcup. Guida alla compilazione del business plan Fra i costi variabili rientrano i costi per provvigioni, i costi di acquisto delle materie prime, di lavoro diretto, trasporto e dogane, le perdite su crediti e i costi legati all’esternalizzazione delle attività produttive e commerciali (es. lavorazioni esterne). I costi variabili possono essere classificati in costi variabili commerciali o industriali. 58 Fonte: Startcup. Guida alla compilazione del business plan. I costi variabili commerciali sono quelli relativi alle diverse combinazioni prodotto/mercato. L’ammontare dei costi variabili commerciali (principalmente costi per provvigioni ai rappresentanti, trasporti su vendite, sconti) dipende 59 prevalentemente dai segmenti di mercato nei quali saranno allocati i prodotti. Per esempio, se i segmenti sono distribuiti su base territoriale, l’entità dei costi di trasporto su vendite varia a seconda della distanza geografica del segmento di mercato considerato. I costi variabili industriali (relativi ai costi per materie prime, lavoro diretto, servizi di lavorazioni esterne) variano in base alla linea di prodotti, senza distinzione per segmento di mercato. Tuttavia, si può verificare l’eventualità che, riguardo allo stesso prodotto, vi siano delle differenze dei costi variabili industriali a seconda del mercato nel quale i prodotti stessi sono collocati; tale fenomeno si verifica frequentemente per le imprese che producono su commessa e personalizzano la produzione destinata a particolari clienti o classi di clienti. Il budget economico previsionale a margine di contribuzione sintetizza in un unico prospetto l’insieme dei ricavi e dei costi, evidenziando il reddito operativo della gestione caratteristica Il conto economico previsionale a margine di contribuzione (figura 18) sintetizza in un unico prospetto l’insieme dei ricavi (provenienti dal budget delle vendite) e dei costi (derivanti dal budget dei costi variabili e dal budget dei costi fissi), evidenziando il reddito operativo della gestione caratteristica. Figura 18. Conto economico previsionale a margine di contribuzione Fonte: Startcup. Guida alla compilazione del business plan. Il conto economico previsionale è formato dai seguenti risultati intermedi: • il margine di contribuzione deriva dalla differenza tra ricavi e costi variabili e indica la capacità della nuova impresa di contribuire alla copertura dei costi variabili commerciali e industriali e di garantire un eventuale margine residuale. • Il reddito operativo della gestione caratteristica deriva dalla differenza tra ricavi, costi fissi e costi variabili. Esso evidenzia il risultato operativo della gestione tipica dell’azienda. • Il reddito operativo considera i componenti positivi e negativi di reddito relativi ad aspetti finanziari della gestione (interessi attivi, dividendi affitti attivi, oneri patrimoniali). Tale margine indica la capacità della nuova impresa di far fronte ai costi derivanti dagli oneri finanziari, dai componenti straordinari di reddito e dalle imposte. • Il reddito di competenza (reddito operativo-oneri finanziari) indica la capacità della nuova iniziativa imprenditoriale di coprire e garantire un adeguato margine ai componenti di reddito straordinari. • Il reddito ante imposte indica il risultato economico al lordo delle imposte correnti, differite e anticipate. • Il reddito netto esprime il risultato economico che la start-up prevede di conseguire negli anni successivi. 60 61 5.4 Lo stato patrimoniale previsionale Lo stato patrimoniale previsionale, rappresentato in figura 19, è un documento che fotografa il patrimonio dell’impresa in un dato momento. Esso si divide in due sezioni: le attività, che indicano quali sono gli investimenti che la start-up intende effettuare e le passività, che individuano le fonti attraverso le quali intende finanziare la propria attività. Il valore totale delle attività (o impieghi) e delle passività (fonti) deve coincidere. Figura 19. Stato Patrimoniale previsionale Il totale attivo fisso si riferisce agli investimenti di lunga durata, di carattere immateriale (brevetti, marchi, costi notarili per la costituzione della società), materiale (fabbricati, impianti, macchinari, attrezzature ecc.) e finanziario (es. quote di partecipazione detenute in altre società, titoli, azioni, obbligazioni). L’attivo corrente individua gli impieghi di breve durata, non aventi carattere pluriennale e facilmente smobilizzabili (crediti, rimanenze, liquidità). I crediti verso clienti indicano l’ammontare delle vendite che, alla data di redazione dello stato patrimoniale, si presume non saranno state ancora incassate a causa delle dilazioni di pagamento concesse. Le rimanenze indicano il costo per l’acquisto delle materie prime e materiali che si prevede non saranno utilizzati nell’anno di redazione dello stato patrimoniale. La liquidità rappresenta il denaro contante che l’impresa ha a disposizione in un dato momento. Le passività indicano tutte le fonti di finanziamento (patrimonio netto e debiti) utilizzate per realizzare la nuova iniziativa imprenditoriale. Il patrimonio netto deriva dal capitale fornito dai soci o da altri finanziatori, dalle riserve, dall’utile dell’esercizio e/o dalle perdite portate a nuovo. I debiti si suddividono in debiti di funzionamento e debiti di finanziamento. I primi nascono a seguito delle dilazioni di pagamento concesse dai fornitori, mentre i debiti di finanziamento rappresentano i capitali ottenuti da soggetti esterni (banche, istituzioni finanziarie), da restituire generalmente tramite piani di rimborso pluriennali. Essi servono a finanziare l’iniziativa nel suo complesso e non sono direttamente riferibili a nessuna attività specifica. Infine, il fondo TFR è un particolare tipo di debito che l’impresa dovrà restituire ai propri dipendenti quando cesserà il rapporto di lavoro, ma che nel frattempo utilizza per finanziare i propri investimenti. 5.5 Il bilancio previsionale come strumento di controllo della gestione I bilanci previsionali rappresentano non solo un importante strumento di pianificazione, bensì anche uno strumento di controllo economico-finanziario. I valori contenuti nei bilanci hanno infatti un valore previsionale e costituiscono al contempo termini di paragone attraverso i quali l’imprenditore può valutare l’effettivo andamento dell’impresa, nonché il raggiungimento o meno dei risultati prefissati. A tale proposito, un efficace strumento di rappresentazione dei risultati aziendali è costituito dalle riclassificazioni del bilancio previsionale e dal calcolo di alcuni indici di bilancio. 62 Fonte: adattamento da Startcup. Guida alla compilazione del business plan. Riclassificare un bilancio significa, in estrema sintesi, riordinare e riscrivere le voci di bilancio in un ordine differente rispetto al bilancio previsionale, in modo da ottenere maggiori informazioni sulla capacità dell’impresa di produrre ricchezza e di fare fronte ai propri impegni di pagamento. Una volta riclassificati gli schemi di bilancio, il calcolo degli indici consente di mettere a confronto le diverse grandezze economiche. I bilanci previsionali rappresentano non solo un importante strumento di pianificazione, bensì anche uno strumento di controllo economicofinanziario 63 Una corretta interpretazione dei valori inscritti in bilancio è fondamentale sia per l’imprenditore che per il finanziatore. Un approccio di questo tipo è infatti apprezzato dagli investitori esterni, che possono valutare la misura del ritorno sul capitale investito al variare delle diverse ipotesi, favorendoli nella decisione sul finanziamento della nuova iniziativa imprenditoriale. Esistono diversi modelli di riclassificazione degli schemi di bilancio. Per semplicità, in questa sede si riportano i due modelli di riclassificazione maggiormente utilizzati dagli analisti esterni dell’impresa: il modello “finanziario” per lo stato patrimoniale, il modello “a valore della produzione e a valore aggiunto” per il conto economico. Per ulteriori modelli e spiegazioni si rimanda ai testi citati in bibliografia (si vedano in particolare Giunta 2007; Canovi 2007). 2. valutare la struttura delle fonti di finanziamento, nei termini del rapporto tra mezzi di terzi e mezzi propri e della tipologia dei debiti verso terzi utilizzata per finanziare l’impresa. Il ricorso massiccio a debito a breve può esporre l’impresa alle dinamiche del mercato finanziario e ai rischi connessi; 3. valutare l’equilibrio strutturale dell’impresa nel suo complesso, in particolare nei termini di equilibrio tra natura e variabilità degli investimenti e natura e variabilità dei finanziamenti. Figura 20. Stato Patrimoniale riclassificato - criterio finanziario Lo Stato Patrimoniale previsionale può essere riclassificato secondo il criterio finanziario, ovvero in un’ottica temporale, sulla base della liquidità delle poste dell’attivo e della solidità delle poste del passivo (figura 20). In sostanza le poste dell’attivo vengono riclassificate in base alla loro attitudine a convertirsi in mezzi monetari: si ottengono così gli aggregati dell’attivo corrente, ovvero tutti quei valori di attivo patrimoniale che rappresentano investimenti facilmente convertibili in moneta, e l’attivo immobilizzato, ovvero quegli investimenti difficilmente convertibili in flussi monetari e che comunque si presume non verranno convertiti in mezzi monetari entro l’anno successivo. Fanno parte dell’attivo corrente: • le liquidità immediate (cassa, conti correnti attivi ecc.); • le liquidità differite (crediti verso clienti); • le disponibilità (scorte di magazzino). Fanno invece parte dell’attivo immobilizzato: • le immobilizzazioni materiali nette (ovvero al netto del fondo ammortamento), quali impianti, attrezzature ecc.; • le immobilizzazioni immateriali nette, quali marchi, brevetti ecc.; • le immobilizzazioni finanziarie, ovvero crediti esigibili oltre l’anno, partecipazioni e crediti di finanziamento. Le passività sono invece classificate sulla base della loro scadenza, ovvero del termine entro il quale bisogna onorare gli impegni di pagamento. Il passivo corrente comprende tutti i debiti che dovranno essere pagati entro l’anno successivo (debiti verso fornitori, debiti a breve verso banche, ecc.). Il passivo consolidato riporta i finanziamenti durevolmente vincolati all’impresa e che non generano impegni di rimborso nel breve termine (debiti con scadenza oltre l’anno quali mutui, TFR, ecc.). Infine, il patrimonio netto costituisce la forma di finanziamento a più lunga scadenza, dal momento che, in linea di massima, è legato all’impresa per tutta la sua esistenza. 64 Fonte: Giunta, 2007 Il conto economico può essere invece riclassificato secondo il modello a “valore della produzione e valore aggiunto”, ovvero sulla base della natura del fattore produttivo la cui acquisizione e il cui impiego ha determinato il sostenimento del costo (figura 21). I principali aggregati che emergono da tale riclassificazione sono il valore della produzione, il valore aggiunto e il margine operativo lordo (MOL). Da uno stato patrimoniale riclassificato possono trarsi tre fondamentali valutazioni sull’equilibrio patrimoniale dell’impresa (Airoldi et al., 2005): Il valore della produzione è un risultato parziale di grande rilievo ai fini della misurazione della produttività della gestione aziendale: si tratta tuttavia di un aggregato derivante dalla somma di valori certi (ricavi) e valori stimati (le rimanenze). 1. valutare la struttura degli impieghi, in termini di elasticità strutturale (incidenza delle immobilizzazioni sull’attivo corrente) e di efficienza nell’impiego delle risorse investite (rapportando le vendite all’attivo); Nello schema a scalare, togliendo al valore della produzione i costi sostenuti per l’acquisizione dei fattori produttivi esterni (materie prime, lavorazioni esterne, materiale di consumo, servizi ecc.) si perviene alla determinazione del valore 65 aggiunto, ovvero il valore prodotto internamente all’azienda tramite la propria gestione. Il valore aggiunto costituisce una sorta di “spartiacque” tra la gestione esterna e la gestione interna dell’impresa: da un lato, come detto, misura la capacità dell’impresa di creare, attraverso i propri processi di trasformazione, un valore riconosciuto dal mercato esterno; dall’altro rappresenta invece il punto di partenza per la distribuzione della ricchezza prodotta tra gli elementi della struttura aziendale che ne hanno permesso il conseguimento (il lavoro, i beni tecnici propri, i beni e servizi pubblici, il capitale di terzi, il capitale di rischio). Sottraendo al valore aggiunto il costo del lavoro si perviene ad un importante aggregato economico-finanziario: il margine operativo lordo (MOL) che esprime la redditività operativa dell’impresa al lordo di poste discrezionali quali gli ammortamenti (aggregato anche definito EBITDA - Earnings Before Interest, Tax, Depreciation and Amortization). Ultimo passo per la misurazione della redditività netta della gestione caratteristica (Margine Operativo Netto - MON) è la sottrazione dal margine operativo lordo di tutti quei costi della gestione caratteristica che possono essere oggetto di discrezionali politiche di bilancio: gli ammortamenti e gli accantonamenti operativi. Aggiungendo al MON i costi e proventi della gestione accessoria si perviene al reddito operativo globale (risultato antegestione finanziaria), ovvero la ricchezza prodotta dal complesso delle attività patrimoniali comprese quindi quelle accessorie (es. un investimento immobiliare) e finanziarie. La gestione accessoria è complementare alla gestione caratteristica e raccoglie il risultato delle operazioni collaterali alla gestione caratteristica, quale ad esempio la gestione dei cambi. Il reddito operativo globale è definito anche EBIT (Earnings Before Interest and Tax) e, dato che nella riclassificazione è seguito dagli oneri finanziari, rappresenta l’ultima espressione della redditività unlevered dell’impresa, in altre parole il rendimento aziendale senza considerare come l’impresa sia stata finanziata. Se l’EBIT esprime il valore prodotto grazie ai risultati delle attività operative e accessorie, gli oneri finanziari rappresentano il costo dei finanziamenti di terzi che hanno consentito, insieme al capitale proprio, l’acquisizione di tali attività. Infine, nella logica dell’analisi di bilancio, gli oneri e i proventi straordinari rappresentano tutti quei costi e proventi che, per la loro eccezionalità e scarsa frequenza di manifestazione, devono essere ben distinti nel quantum del reddito netto d’impresa. La qualità della redditività netta dell’impresa è infatti tanto più elevata quanto più deriva da eventi ordinari di gestione. Figura 21. Conto Economico e riclassificato “a valore della produzione e valore aggiunto” 66 Fonte: Giunta, 2007 67 5.6 La convenienza economica: la break-even analysis La Break-Even Analysis individua, per un certo livello di prezzi-ricavo, di costi fissi e di costi variabili unitari, il volume di vendita in corrispondenza del quale i ricavi coprono integralmente i costi totali di gestione Un altro importante strumento di controllo ex-ante della fattibilità economica del progetto imprenditoriale risiede nella rielaborazione dei dati riportati nel conto economico a margine di contribuzione, così come è stato presentato nel paragrafo 5.3. Il punto di pareggio in volumi si ottiene dallo sviluppo della seguente formula: Ricavi = prezzo di vendita * quantità Costi totali = costi fissi + costi variabili Prezzo di vendita * quantità = costi fissi + costi variabili totali Quantità di pareggio = costi fissi/(prezzo di vendita unitario - costi variabili unitari) In sede di messa a punto del progetto imprenditoriale è molto utile effettuare una serie di simulazioni valutando i risultati che derivano dalla diversa combinazione dei costi, dei volumi e dei prezzi di vendita. Per valutare i costi è importante considerare le economie di tipo strutturale che si vogliono ottenere (economie di scala o di esperienza). Il grado di saturazione della capacità produttiva è legato ai volumi effettivamente prodotti, i quali influenzano i costi che l’impresa dovrà sostenere. Inoltre i volumi determinano il livello effettivo dei ricavi e quindi il reddito operativo conseguito dall’impresa. Quest’ultimo è determinato anche dai prezzi di vendita e di acquisto dei fattori produttivi. La differenza tra i prezzi di vendita e i costi variabili unitari determina il margine di contribuzione che ogni singola unità venduta lascia per la copertura dei costi fissi e la generazione di un utile operativo. Lo stesso risultato si può ottenere rapportando il margine di contribuzione totale (fatturato-costi variabili), ai ricavi totali. Il margine di contribuzione può essere anche calcolato facendo una media ponderata dei prezzi e dei costi variabili relativi ai diversi prodotti o servizi offerti, quindi rapportando il margine medio unitario al ricavo medio unitario (nel caso in cui la gamma di prodotti sia limitata). I costi variabili sono quelli direttamente correlabili al volume di produzione e di vendita, quali le provvigioni, i consumi di materie prime, le lavorazioni esterne e la manodopera diretta. Al contrario, i costi fissi non variano direttamente al variare dei volumi di produzione o di vendita: i costi fissi di struttura sono finalizzati alla predisposizione della capacità produttiva (impianti, macchinari, costi del lavoro, costi per consulenze ecc.) e non possono essere ridotti nel breve termine, i costi fissi di sviluppo sostengono invece lo sviluppo futuro dell’impresa (ricerca e sviluppo, formazione del personale e costi di marketing) e sono discrezionali, ovvero possono essere alterati a breve termine dalle decisioni correnti del management. Sommando i costi fissi e i costi variabili, si ottengono i costi totali. Il punto di pareggio in fatturato determina il fatturato da conseguire per coprire tutti i costi di gestione. Il fatturato di pareggio si ottiene dividendo i costi fissi per il margine di contribuzione espresso in percentuale sul prezzo di vendita (Fatturato = Costi fissi/Margine di contribuzione %). Tale strumento è adatto per la rappresentazione di imprese tipicamente pluri-prodotto. La Break-Even Analysis individua, per un certo livello di prezzi-ricavo, di costi fissi e di costi variabili unitari, il volume di vendita in corrispondenza del quale i ricavi coprono integralmente i costi totali di gestione (ovvero legati alla gestione tipica). Tale valore indica il punto di pareggio (Break-Even Point), che è rappresentato nella seguente figura 22. Figura 22. Il punto di pareggio Quando è possibile trovare denominatori comuni a diversi prodotti o servizi (ad es. posti venduti nel caso di una compagnia aerea) è consigliabile effettuare un’analisi di break-even basata sui volumi. Un’ulteriore analisi percorribile è quella del grado di rischio operativo, ovvero la variazione del risultato reddituale al fluttuare dei volumi di produzione e di vendita. Il rischio operativo è essenzialmente legato a due elementi della struttura operativa: il livello del punto di pareggio e il grado di elasticità operativa, rappresentata dall’ampiezza della forbice tra ricavi e costi prima e dopo il punto di pareggio (Airoldi et. al., 2005). La flessibilità operativa si può definire con la seguente formula ed è rappresentata graficamente dalla figura 23: Indice di flessibilità = Costi variabili totali (nel punto di pareggio) / Ricavi totali Figura 23. Flessibilità operativa Fonte: Parolini, 2011 68 Il punto di pareggio può essere inteso come il numero di pezzi da produrre per coprire i costi totali di gestione (punto di pareggio in volumi), oppure come fatturato da conseguire per andare a pareggio (fatturato di pareggio). Fonte: Parolini, 2011 69 Maggiore è l’incidenza dei costi variabili totali sui ricavi, più le aziende saranno flessibili. Infatti, la forbice prima e dopo il punto di pareggio risulterà stretta, in quanto all’aumentare dei volumi aumenteranno rapidamente anche i costi variabili e il margine lasciato per la copertura dei costi fissi sarà basso. Tali aziende non risentono in modo pesante di eventuali riduzioni nei volumi poiché sono in grado di comprimere in modo immediato i costi, trattandosi prevalentemente di costi variabili; tuttavia vedono migliorare i loro risultati economici lentamente all’aumentare dei volumi in quanto registrano, insieme all’aumento dei ricavi, anche un rapido aumento dei costi. Viceversa, le imprese con un’elevata rigidità operativa e dunque con una preponderanza di costi fissi rispetto ai costi variabili, subiscono maggiormente le diminuzioni nei volumi, in quanto difficilmente riescono a comprimere i costi; tuttavia, ad un aumento dei volumi oltre il punto di pareggio vi è un notevole aumento del reddito aziendale dal momento che i costi (per la maggior parte fissi) aumentano ma in misura contenuta. Il ROA indica dunque la capacità dell’impresa di ottenere un flusso di reddito dallo svolgimento della propria attività caratteristica, prescindendo dalla natura delle fonti, sia in termini del capitale proprio che di terzi, che hanno finanziato gli investimenti posti al denominatore. Il ROI (Return On Investments) rappresenta un indicatore ancora più preciso della reddittività degli investimenti aziendali, dal momento che prende in considerazione solamente gli investimenti dedicati allo svolgimento dell’attività operativa dell’impresa. ROI = (Ro/Cin) x 100 Ro = risultato operativo Cin = capitale investito netto operativo Il calcolo del “capitale investito netto operativo” richiede un approfondimento. 5.7 Gli indici di redditività Dopo aver predisposto la riclassificazione dei bilanci previsionali, è opportuno integrare l’analisi con gli indici di bilancio. Gli indici di redditività rapportano un valore economico all’aggregato del quale s’intende valutare l’attitudine a produrre un risultato reddituale (Canovi, 2007). Il punto di partenza per l’analisi dell’economicità è il ROE (Return On Equity) che deriva dal rapporto tra il reddito netto e il capitale netto e misura, in termini percentuali, il rendimento globale dell’impresa per i portatori di capitale di rischio. ROE = (Rn/Pn) x 100 Rn = reddito netto Pn = patrimonio netto (a fine esercizio) L’ottica di costruzione del ROE è dunque quella dei portatori del capitale di rischio, i quali investono nell’impresa per ottenere una remunerazione “congrua” del loro investimento. Infatti, se si prevede che il capitale netto non venga adeguatamente remunerato, la start-up incontrerà difficoltà a trovare soci disposti ad investire in essa. La scelta del reddito netto deriva dal fatto che tale saldo contabile riassume i contributi reddituali offerti da tutte le aree di gestione (area operativa, straordinaria e tributaria). Un altro importante indicatore di reddittività è il ROA (Return On Assets), che si ottiene rapportando il reddito operativo dell’impresa, dunque solo il reddito derivante dall’attività tipica dell’impresa, al totale degli investimenti in essere alla fine dell’esercizio osservato. Cin = Capitale circolante commerciale + immobilizzazioni operative nette Il capitale circolante netto commerciale è dato dalla somma algebrica di (crediti commerciali + scorte di magazzino – debiti commerciali); le immobilizzazioni operative nette sono invece date dalla somma di tutti gli investimenti, sia materiali che immateriali, funzionali allo svolgimento dell’attività tipica dell’impresa, al netto dei corrispettivi fondi d’ammortamento. Il Cin raggruppa dunque tutti gli investimenti, sia correnti che fissi, che sono stati sostenuti al fine di svolgere l’attività tipica d’impresa. Rapportando il Cin al risultato che ha prodotto, ovvero il reddito operativo, si esprime un giudizio sulla capacità dell’impresa di impiegare in maniera ottimale gli investimenti operativi sostenuti. Il ROS (Return On Sales), calcolato come Reddito operativo/Ricavi netti è l’indice che misura la reddittività delle vendite ed esprime, in percentuale, il divario prezzi-costo/prezzi-ricavo con cui opera l’azienda. L’andamento del ROS nel tempo non spiega le cause del fenomeno ma segnala la presenza di alcuni fattori da tenere sotto controllo. Una diminuzione dell’indice può essere infatti dovuta, ad esempio, ad un aumento dei costi più che proporzionale rispetto all’aumento dei ricavi: l’analisi dei valori del conto economico e dei relativi scostamenti su base annua consente di individuare le cause della variazione del ROS. Ai fini della nostra analisi è importante considerare che, nella fase di start-up, di solito i costi di produzione sono alti e la produttività è bassa, a causa della scarsa esperienza posseduta dalla nuova impresa in termini di efficienza dei processi. La reddittività delle vendite potrebbe dunque essere minima nel periodo iniziale, per poi tuttavia crescere grazie all’accumulo di esperienza. ROA = (Ro/Ta) x 100 70 Ro = reddito operativo Ta = totale attivo 71 5.8 Gli indici di analisi della gestione finanziaria L’equilibrio finanziario deve essere ricercato sin dalla fase di avvio della nuova impresa, al fine di garantire la solvibilità e la continuazione del progetto imprenditoriale. Il fabbisogno finanziario iniziale si origina per le seguenti ragioni: Gli indici di analisi della gestione finanziaria misurano il grado d’indebitamento dell’impresa e la sua capacità di fare fronte ai vari impegni di pagamento Gli indicatori di solidità patrimoniale • investimenti finalizzati al concepimento e allo sviluppo del progetto legati alle attività di ricerca e sviluppo, selezione del personale ed altre attività di carattere immateriale. Normalmente tali investimenti sono di modesta entità; • investimenti finalizzati alla predisposizione della capacità produttiva, ossia quelli in immobilizzazioni (immobili, impianti, macchinari, marchi, brevetti ecc.) che richiedono un’elevata quantità di risorse finanziarie; • indice di copertura delle immobilizzazioni: (capitale netto+passivo consolidato)/Attivo Immobilizzato Tale indice vuole verificare in che misura il fabbisogno finanziario durevole, espresso dalle immobilizzazioni è coperto con fonti di finanziamento aventi la medesima durata; • tasso di intensità dell’indebitamento: (debiti finanziari/fatturato) Un tasso di intensità dell’indebitamento crescente segnala la difficoltà dell’impresa ad onorare, con i flussi derivanti dalle vendite dell’esercizio, gli impegni connessi al rimborso dei debiti; Gli indici di analisi della gestione finanziaria misurano sostanzialmente il grado d’indebitamento dell’impresa e la sua capacità di fare fronte ai vari impegni di pagamento, sia nel breve che nel medio-lungo termine. • indice di autonomia finanziaria: (capitale netto/totale finanziamenti) Tale quoziente segnala il livello di dipendenza finanziaria dell’impresa dai debiti di terzi. Gli analisti finanziari individuano per esso alcuni valori parametrici alla luce dei quali giudicare la congruità dell’indebitamento aziendale ed il conseguente grado di rischio presente nella struttura finanziaria (0-0,33: zona di rischio in quanto la struttura finanziaria è tanto più debole quanto più è elevato il costo dell’indebitamento; 0,33-0,50: zona di sorveglianza; 0,50-0,66 zona normale con livello di capitalizzazione accettabile; 0,66-1: zona di crescita, eccesso di autonomia finanziaria).* Obiettivo dell’analisi della gestione finanziaria è quello di determinare il grado di “rischio finanziario” dell’impresa conseguente al suo livello di indebitamento, ovvero la probabilità che la nuova impresa non riesca a rimborsare i propri debiti nei tempi e/o nei modi prestabiliti. Si può parlare di eccesso di indebitamento dell’impresa e quindi di fragilità della struttura finanziaria quando i debiti sono più del doppio del capitale netto, le immobilizzazioni sono largamente finanziate con debiti e i debiti finanziari superano il fatturato. Una prima fondamentale dimensione del rischio finanziario è riconducibile alle condizioni di liquidità della gestione, ossia alla capacità dell’impresa di far fronte “istante per istante” ai propri impegni di pagamento (I margine di rischio per il finanziatore). La seconda dimensione del rischio finanziario è legata al profilo della solidità patrimoniale, ossia alla probabilità che l’impresa non riesca a rimborsare i capitali complessivamente ricevuti, indipendentemente dalla puntualità del rimborso (II margine di rischio). Se si analizza il I margine di rischio finanziario, i principali indicatori di liquidità sono: • investimenti in capitale circolante (es. magazzino, crediti commerciali). Per quanto riguarda il fabbisogno finanziario in fase di start-up si rimanda al volume “Start-up: dal progetto al mercato”. Muovendosi in questa prospettiva, l’analisi della gestione finanziaria è diretta da un lato ad accertare le condizioni di solidità patrimoniale (equilibrio tra impieghi di capitali e fonti di finanziamento) e dall’altro la situazione di liquidità. I due livelli di analisi sono fra loro integrati poiché la solidità è presupposto per negoziare i mezzi finanziari necessari per fronteggiare temporanee esigenze di liquidità, mentre la liquidità, in un’ottica di medio-lungo periodo, è condizione necessaria per rimborsare puntualmente i debiti, pagare dividendi remunerativi e, di conseguenza, attrarre i capitali necessari per rendere solida la struttura finanziaria aziendale. L’analisi delle condizioni di solidità patrimoniale utilizza i seguenti indicatori: • indice di rigidità: (attivo immobilizzato/capitale investito) Più elevata risulta l’incidenza delle immobilizzazioni sul capitale investito, maggiore è la rigidità dell’azienda a causa della difficoltà di smobilizzo che generalmente caratterizza le immobilizzazioni tecniche; 72 • margine di struttura: (capitale netto - attivo immobilizzato) Esprime la misura con la quale le immobilizzazioni sono coperte dal capitale proprio. Tanto più il margine tende verso valori positivi, tanto più l’impresa possiede un’elevata solidità patrimoniale; • il Capitale Circolante netto Finanziario (CCNf)4 (attività correnti-passività correnti) Il CCNf è uno dei parametri principali per misurare lo stato di solvibilità delle imprese. Se il CCNf è positivo, si ritiene che l’impresa presenti condizioni di liquidità, poiché significa che le entrate potenziali nel breve periodo sono superiori alle uscite potenziali nel corrispondente periodo. Se esso è negativo vuol dire che si stanno finanziando le immobilizzazioni con debiti a breve scadenza. Ciò determina disomogeneità tra la composizione dell’attivo e del passivo. Gli indicatori di liquidità • Margine di Tesoreria (MT) (Attivo corrente-scorte-Passivo corrente) Dal CCNf vengono sottratte le scorte, in quanto non sono attività prontamente liquidabili. In tal modo, si prendono in considerazione soltanto i valori dell’attivo e del passivo corrente di breve termine. Un’impresa in equilibrio di liquidità dovrebbe presentare un margine di tesoreria positivo; 4 Si noti che Capitale Circolante Netto Finanziario e Capitale Circolante Netto Commerciale sono due grandezze diverse. * Giunta (2007). 73 • indice di liquidità generale: attività correnti/passività correnti Se tale indice è inferiore a 1, la situazione di liquidità è critica in quanto le entrate nel breve si prospettano di importo inferiore alle uscite della stessa durata. La situazione di liquidità dell’impresa viene giudicata positivamente quando il quoziente disponibilità è superiore a 2; • indice di liquidità secca (current ratio) Attivo corrente-scorte/passivo corrente Tale indice non dovrebbe essere mai inferiore a “1”; • indice di liquidità immediata: (quick ratio o acid test) (liquidità immediate/passività correnti a breve in senso stretto) Dal calcolo di tale indice vengono escluse tutte le attività correnti che si rinnovano per rotazione e quindi stabili (come i crediti commerciali) e tutte le passività commerciali che si rinnovano a scadenza (come gli scoperti di c/c bancario). Tale indice può assumere diversi valori (tra 0,8-1,4 si è in presenza di una buona liquidità; tra 0,6-0,8 la liquidità è sufficiente; tra 0,4-0,6 si verifica una situazione di liquidità insufficiente; <0,4 determina una crisi di liquidità) ed è significativo nella valutazione del rischio di default delle imprese (Giunta, 2007). Infine, la durata del ciclo monetario della gestione operativa corrente esprime il periodo di tempo mediamente intercorrente fra le uscite monetarie derivanti dall’acquisto dei fattori produttivi di esercizio e le entrate monetarie derivanti dalla vendita dei beni e servizi prodotti legati al ciclo operativo. Deriva dalla somma algebrica di tre indicatori di durata: 5.9 Il rendiconto finanziario Il rendiconto finanziario riveste un ruolo rilevante nella redazione di un business plan poiché, fra le varie risorse, quella cruciale per la solvibilità nel breve termine è la cassa. Nello IAS 7 si afferma che “per quanto le imprese possano differire nella loro gestione caratteristica, esse hanno bisogno di disponibilità liquide sostanzialmente per gli stessi motivi. Esse hanno bisogno di disponibilità liquide per condurre le loro operazioni, per onorare i propri impegni, e per produrre utili per gli investitori”. Lo IASB formalizza un principio contabile già assodato tra gli operatori economici. Al grido “cash is king” gli investitori istituzionali, le banche d’affari, e gli analisti finanziari giudicano le imprese valutando soprattutto la loro capacità di generare flussi di cassa positivi. Cash is king: la capacità di generare flussi di cassa positivi Il rendiconto finanziario permette di comprendere sia la natura sia la consistenza dei diversi esborsi monetari richiesti per lo svolgimento della gestione, sia le fonti a cui la nuova impresa intende ricorrere per far fronte ai fabbisogni finanziari derivanti da tali uscite monetarie. Il rendiconto finanziario, meglio di qualunque indice, contribuisce a descrivere in senso dinamico l’evoluzione della solvibilità a breve dell’impresa. Il modello di rendiconto finanziario, illustrato in figura 24, ha come obiettivo quello di evidenziare le aree di gestione (operativa corrente, operativa strutturale, finanziaria attiva, finanziaria passiva) che si prevede genereranno avanzi monetari e quelle che produrranno fabbisogni monetari. Figura 24. Il rendiconto finanziario • giorni medi di giacenza del magazzino 360: (consumi o costo del venduto/scorte materie prime o scorte di prodotti finiti); Tale indice esprime i giorni medi necessari per il rinnovo delle giacenze e per la loro conversione in flussi di cassa positivi. • giorni medi di dilazione dei crediti commerciali 360: (ricavi delle vendite/crediti commerciali); Tale indice esprime il tempo che intercorre fra il momento in cui la produzione viene venduta ai clienti e il momento in cui essi pagano per il loro acquisto. • giorni medi di dilazione dei fornitori 360: (acquisto materie prime e servizi/debiti verso fornitori) Tale indice esprime il periodo di tempo mediamente intercorrente tra le uscite monetarie derivanti dall’acquisto di materie prime e servizi dai fornitori e il corrispondente esborso monetario. 74 Tempi di pagamento dei fornitori superiori alla somma dei tempi di incasso segnalano un elevato potere contrattuale della start- up nei confronti dei partner e una grande affidabilità dell’azienda a far fronte agli impegni a breve scadenza. 75 L’analisi dell’evoluzione del fabbisogno finanziario di una nuova impresa (figura 25) evidenzia come il cash flow periodale peggiori fino al momento in cui iniziano le vendite, per poi assumere segno positivo. Figura 25. Evoluzione del profilo finanziario della nuova impresa. Fonte: Giunta, 2007 L’equilibrio tra gli impieghi e le fonti di finanziamento all’interno del rendiconto finanziario avviene nel seguente modo: • l’incremento di una posta dell’attivo determina un impiego di risorse finanziarie; • la diminuzione di una posta dell’attivo dà luogo a una fonte di finanziamento (es. pagamento da parte dei clienti); • l’incremento di una posta del passivo genera una fonte di finanziamento (es. accensione di un mutuo); • la diminuzione di una posta del passivo corrisponde a un impiego di risorse finanziarie (es. rimborso di un debito). Il flusso di cassa operativo corrente, se positivo, indica l’ammontare dei mezzi monetari a disposizione dell’impresa per far fronte agli impegni di pagamento derivanti dalle operazioni di gestione. Il free cash flow rappresenta la capacità dell’impresa di far fronte, con i soli mezzi monetari prodotti attraverso il quotidiano avvicendarsi delle operazioni di acquisto-trasformazione e vendita, al fabbisogno finanziario derivante dalle attività di consolidamento e sviluppo della struttura produttiva. Il flusso di cassa a servizio del debito (free cash flow to debts) esprime la capacità dell’impresa di generare risorse monetarie sufficienti a servire adeguatamente i prestiti, ossia a rimborsare i debiti, pagare gli interessi e corrispondere i dividendi senza dover rinunciare allo sviluppo degli investimenti e della struttura operativa. Il flusso di cassa al servizio del capitale proprio (free cash flow to equity) indica in che misura la remunerazione corrisposta ai portatori di capitale di rischio concorre a determinare il fabbisogno finanziario dell’impresa e se le risorse prodotte internamente consentono di coprire tale fabbisogno oppure se è necessario ricorrere a fonti esterne. 76 Il saldo della gestione monetaria nel suo complesso si ottiene sommando al flusso di cassa al servizio del capitale di rischio, l’ammontare delle uscite dovute alla gestione del patrimonio netto, derivanti da distribuzioni di utili, di riserve e riduzioni di capitale sociale. Fonte: Guatri, Bini, 2002 La figura sopra riportata indica che il cash flow cumulato, pari alla sommatoria dei cash flow periodali, è negativo in fase di start-up. Perfino dopo che la start-up ha superato il break-even, il recupero totale dell’investimento può richiedere tempi lunghi, che dipendono dalla durata del ciclo del circolante, dal tasso di sviluppo del fatturato e dalla sua reddittività. L’intensità del capitale investito è elevata nelle prime fasi di vita dell’impresa e tende a decrescere e a stabilizzarsi col passare del tempo a causa di un più efficiente utilizzo della capacità produttiva e degli effetti della curva di esperienza. 5.10 Modalità di copertura del fabbisogno finanziario Il fabbisogno finanziario può essere coperto con mezzi propri o con mezzi di terzi. La combinazione tra capitale di debito e capitale proprio dev’essere stabilita in relazione al profilo strategico e di rischio dell’impresa. Se l’impresa vuole operare in un settore a forte evoluzione adottando politiche di crescita ambiziose (con alto rischio operativo), sarà costretta a optare per una struttura finanziaria con elevata presenza di mezzi propri (basso rischio finanziario). Al contrario, una struttura sbilanciata verso il debito (con elevato rischio finanziario) può essere impiegata, con le dovute cautele, solo nel caso in cui la start-up voglia operare in settori maturi con basso rischio operativo. Durante la fase di avvio di un’impresa è importante mantenere un elevato grado di elasticità finanziaria, tramite la creazione di riserve di credito che servono nel caso in cui si manifestino scostamenti rispetto ai bilanci previsionali. I vantaggi del ricorso al capitale (equity) proprio come mezzo di finanziamento nella fase di avvio delle imprese sono i seguenti: La combinazione tra capitale di debito e capitale proprio deve essere stabilita in relazione al profilo strategico e di rischio dell’impresa 77 CAPITO LO 6 FAQ (Fr Questioequently Ask ed n) • evitano che il rischio finanziario aumenti troppo e che provochi conseguenze indesiderate quali l’aumento del costo del capitale e restrizioni o revoche di finanziamenti da parte di terzi; • la presenza di equity favorisce l’impresa nella ricerca di capitale di debito, aumentando le sue capacità di indebitamento; • il capitale proprio riesce ad assorbire le perdite evitando situazioni di dissesto; • l’effetto leverage dell’indebitamento5 fa venire meno il vantaggio fiscale del debito (possibilità di dedurre gli interessi passivi) e amplifica ulteriormente le perdite. Le esigenze di copertura del fabbisogno finanziario richiedono l’apporto di fonti di finanziamento, nelle forme di capitale di debito e di capitale di rischio. Con riferimento a quest’ultimo, è importante valutare il valore della singola quota del capitale di rischio. Si riportano nel riquadro sottostante le principali tecniche di valutazione della quota di partecipazione e si rimanda alla bibliografia di riferimento. Le principali tecniche di valutazione della quota di partecipazione Il processo valutativo, cosi come inquadrato dalla letteratura, può essere condotto, sia mediante metodi analitici (indiretti) sia mediante metodi di mercato (diretti). I metodi indiretti impostano il processo di stima mediante calcoli basati su grandezze flusso (metodi reddituali e metodi finanziari) o su grandezze stock (metodi patrimoniali). I metodi diretti fanno riferimento agli effettivi prezzi di mercato oppure eguagliano il valore economico dell’impresa al prodotto tra un moltiplicatore di mercato, appartenete a società con caratteristiche comparabili alla target, ed una grandezza espressiva del valore dell’impresa. Le valutazioni effettuate seguendo i metodi analitici sono basate su modelli e formule e vengono definite valutazioni assolute, mentre quelle basate sui moltiplicatori sono valutazioni relative. Le valutazioni relative, a partire dal largo utilizzo che ne è stato fatto da parte delle merchant bank, si sono diffuse sempre più, andando a sovrastare l’utilizzo delle valutazioni assolute. Le motivazioni principali di questa diffusione possono essere individuate nello sviluppo dei mercati di borsa, un mercato liquido e profondo e un numero elevato di operazioni di M&A sono infatti un elemento essenziale per l’utilizzo dei moltiplicatori. Inoltre, hanno contribuito alla diffusione dei metodi relativi (diretti), le difficoltà di previsione dei flussi di cassa o reddituali associati all’investimento, nonché le difficoltà di includere beni intangibili all’interno di metodi assoluti, basati su modelli e formule. In conclusione le valutazioni relative appaiono sostanzialmente più rapide e meno onerose, ed anche per questo sono le più utilizzate anche da parte degli investitori. Per completezza è necessario ricordare che una valutazione accurata necessita di un utilizzo, almeno in chiave di confronto, di metodi sia relativi, sia assoluti, nonostante ciò comporti un dispendio di tempo e denaro che gli investitori, specialmente se informali, non sono tipicamente disposti ad affrontare. • Cos’è un business plan? Un business plan è un documento che descrive un progetto imprenditoriale che s’intende avviare in futuro, delineando il contesto nel quale sarà realizzato, le decisioni strategiche e le scelte operative ritenute più opportune, le prospettive di convenienza economica e il fabbisogno finanziario connessi al progetto. • Quali accorgimenti occorre tenere in considerazione nella stesura del business plan? Alcuni accorgimenti da tenere in considerazione nella stesura del documento potrebbero essere (Parolini, 2011): - Presentare per “primi” i capitoli meno scontati per chi legge e deve valutare il business plan. Ad esempio, nel caso del lancio di un prodotto innovativo, conviene iniziare con la descrizione chiara e comprensibile dell’offerta per poi procedere con la descrizione del mercato potenziale e del sistema competitivo. - Evitare affermazioni ingenue, eccessi di entusiasmo, considerazioni personali non documentate. - Cercare di non superare le 40-50 pagine, per evitare di scoraggiare il lettore. Eventualmente si possono inserire allegati di approfondimento, la cui lettura non sia tuttavia necessaria per una prima comprensione del progetto. - Prestare grande attenzione ai dati presentati, alla loro congruenza e alla spiegazione delle relazioni tra i diversi numeri. Per ulteriori approfondimenti si veda Guatri e Bini (2007) 5 78 L’effetto leverage è definito dalla seguente formula: (ROI-(Oneri finanziari/Debiti Finanziari))*(Debiti finanziari/Capitale proprio). L’effetto leva negativo si ha quando i risultati della gestione ordinaria (ROI) non sono sufficienti a coprire il costo del debito e il ricorso all’indebitamento amplifica ulteriormente le perdite. 79 GLOSSA RIO • Dove posso reperire le informazioni utili per l’analisi del mercato di riferimento? Nella sezione dedicata ai links sono riportati alcuni indirizzi on line utili per l’analisi del mercato italiano. • Sulla base di quali elementi gli investitori esterni valutano solitamente un business plan? Oltre alle evidenti valutazioni sulla redditività del disegno imprenditoriale, che di fatto determina l’appetibilità del progetto, possono essere effettuate anche analisi di tipo qualitativo. Potrebbe essere valutata la coerenza del progetto imprenditoriale con l’esperienza, le abilità e gli interessi dell’imprenditore, così come la coesione e le competenze del team delle persone che dovranno sviluppare e gestire il progetto. Altri elementi sottoposti a valutazione sono l’eventuale dipendenza da risorse esterne, soprattutto nel caso di risorse critiche per il successo del progetto, e il timing del progetto stesso, ovvero la stima dell’orizzonte temporale necessario per svilupparlo. B Barriere all’entrata: sono quegli ostacoli che rendono difficile l’ingresso in un determinato mercato o segmento dello stesso. Tanto più sono elevate, più sarà costoso l’ingresso nel mercato target e tanto più l’impresa sarà protetta una volta superate le barriere all’entrata nel mercato. Barriere all’uscita: sono quegli ostacoli che costringono l’impresa a continuare a produrre anche quando avrebbe tutti gli interessi ad uscire dal mercato, a causa di una bassa redditività offerta da quest’ultimo. Business Idea: indica l’idea imprenditoriale che si intende realizzare tramite l’individuazione del bisogno da soddisfare, del prodotto/servizio che lo soddisfi e la determinazione del mercato di riferimento. C Ciclo di vita del settore: identifica le quattro fasi di evoluzione di un settore (fase di introduzione o di avvio, fase di sviluppo, fase di maturità, e fase di declino). Commodities: beni offerti in modo standardizzato sul mercato e che presentano le stesse caratteristiche indipendentemente da chi li produce (es. prodotti agricoli). 80 Costi di riconversione: costi che l’azienda deve sostenere per convertire la sua produzione, o per passare da un fornitore all’altro. 81 E P Elasticità operativa: è la capacità di cambiare rapidamente le quantità prodotte in caso di variazioni quantitative della domanda o come risposta ad alcune azioni della concorrenza, poiché l’incidenza dei costi fissi sui costi totali è contenuta. Progetto imprenditoriale: è il documento che evidenzia le informazioni relative agli obiettivi operativi e strategici che la nuova impresa si prefigge di raggiungere, al sistema prodotto che intende offrire, alla struttura della nuova attività imprenditoriale, e al mercato obiettivo al quale intende rivolgersi. Elasticità strutturale: consiste nel fatto che l’impresa dispone di una struttura organizzativa flessibile che le permette di reagire ai mutamenti del mercato cambiando la propria struttura organizzativa. Elasticità della domanda al prezzo: indica la variazione percentuale attesa della domanda di un determinato prodotto o servizio alla variazione percentuale del prezzo di mercato dello stesso prodotto o di altri prodotti. La domanda è elastica rispetto al prezzo quando una variazione del prezzo dell’1% genera una variazione della quantità domandata superiore all’1%. F Formula imprenditoriale: deriva dalle scelte di fondo riguardanti il sistema impresa ( business idea, sistema prodotto da offrire e struttura) e dall’analisi del mercato obiettivo al quale si intende rivolgere. Essa identifica il modo di essere dell’impresa all’interno della propria arena competitiva e nei confronti dei soggetti con i quali intratterrà le relazioni. I IAS (International Accounting Standards): sono i principi contabili internazionali adottati per cercare di standardizzare le regole contabili a livello mondiale. La loro adozione è obbligatoria nei bilanci consolidati delle società quotate, delle banche e delle assicurazioni. IASB (International Accounting Standards Board): è l’organismo responsabile dell’emanazione dei principi contabili internazionali. M Mission: costituisce una guida operativa pratica focalizzata sugli obiettivi che la start-up si prefigge di raggiungere nel prossimo futuro. N 82 Nicchia di mercato: piccolo segmento di mercato verso cui in genere le piccole imprese concentrano i loro sforzi differenziando il più possibile il prodotto, in quanto non sono occupati né occupabili dalle grandi imprese a causa della mancanza di flessibilità o di convenienza economica. Q Quota di mercato: rapporto tra fatturato (o volumi venduti) dell’azienda e fatturato complessivo (o volumi complessivi) del mercato di riferimento. L’incremento della quota di mercato rappresenta un obiettivo fondamentale per le imprese. R Rigidità operativa: si verifica quando la struttura dei costi di un’impresa è caratterizzata da una forte incidenza dei costi fissi rispetto a quelli totali Rischio operativo: rischio legato alla probabilità di incorrere in risultati reddituali particolarmente positivi o negativi in relazione ai volumi effettivamente prodotti o venduti. S Settori capital intensive: settori ad elevata intensità di capitali o di investimento. Settori labour-intensive: settori ad elevata intensità di lavoro. Supply chain: è la catena di distribuzione che vede il coinvolgimento della rete di imprese che si trovano a monte e a valle delle attività dell’impresa. Struttura: con il termine struttura si intendono sia gli elementi tipici della struttura operativa dell’impresa, sia le risorse che costituiscono il patrimonio tecnologico, commerciale ed economico e finanziario della stessa. V Vantaggio competitivo: performance maggiori (solitamente in termini di redditività) che l’impresa riesce a raggiungere rispetto alla media dei suoi concorrenti, in un determinato settore, nel medio-lungo periodo. Virtual marketing: tecniche di marketing che utilizzano i social network per incrementare le vendite dell’impresa e la reputazione del brand. Vision: è l'insieme degli obiettivi che il top management si prefigge per la nuova iniziativa imprenditoriale nel lungo periodo, la sua ragion d’essere dell’organizzazione ed i valori cui si ispira. 83 INDIRIZ UTILI ZI/LINK Link utili per l’analisi di mercato e per il reperimento di informazioni aziendali: 03 www.demo.istat.it Statistiche demografiche dettagliate per tutto il territorio italiano www.ice.gov.it/ Sito dell’Istituto nazionale per il commercio estero www.istat.it Utile la sezione “Dati e Prodotti” Atlante statistico dei comuni All’interno del sito dell’Istat: Dati statistici disponibili a livello comunale www.infoimprese.it Informazioni sulle imprese iscritte alla Camera di Commercio www.sistan.it Sistema statistico nazionale: è la rete di soggetti pubblici e privati che forniscono informazioni statistiche www.hoovers.com Offre informazioni sulle imprese quotate www.cia.gov Nella sezione “World Factbook” sono riportati i profili politici e socio-economici di tutte le nazioni del mondo. www.datamonitor.com Banca dati online che fornisce informazioni sui mercati, sulla struttura societaria e bilanci delle imprese www.businessweek.com Giornale online con notizie quotidiane sull’andamento delle aziende e della finanza nel mondo www.economist.com Settimanale online che offre informazioni politiche, di economia, di marketing e di Finanza a livello mondiale www.ft.com Giornale online con informazioni aziendali, finanziarie e politiche a livello mondiale www.insitepro.com Soluzioni di Business Intelligence online per i professionisti 85 PRINCIP RIFERIM ALI BIBLIOG ENTI RAFICI Link utili per l’erogazione di questionari a basso costo: it.surveymonkey.com/ polldaddy.com/ www.sissurvey.net www.ask500people.com/ Link utili per elaborazione del business plan: www.nascelimpresa.it www.startcup-spinner.startcup.com/ Advance, (2001), Start-up: dall'idea all'impresa, Business Plan, Metodi di Valutazione, Canali di Finanziamento, Ipsoa, Milano G. 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