PROGRAMMA ALCOTRA 2007 -2013
PIT Nuovo territorio da scoprire
PROGETTO SEMPLICE D5
Viaggio tra i prodotti tipici, i gusti e i sapori
Un percorso di
fattibilità per una
st ruttura di vendita
diretta collettiva
Coordinamento: Ger mano Modena, Pierguido Fiorina – Provincia di Cuneo Assessorato all’Agricoltura
A cura di I.rur – Innovazione rurale, Via Principi d’Acaja 20, Tel. 011. 5217965 - email: [email protected] t - www.irur.it
Febbraio 2012
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INDICE
1.
Origine e percorso dell’iniziativa.................................................................................................... 4
1.1. Premessa ............................................................................................................................ 4
1.2. Metodologia – le fasi di lavoro................................................................................................ 7
1.3. Analisi dello stato dell’arte – Il punto di partenza...................................................................... 8
1.3.1.
1.3.2.
1.3.3.
1.4.
2.
I punti di vendita collettivi francesi: peculiarità ................................................................................................ 8
Interessi e bisogni dal territorio: il focus group .............................................................................................. 10
Il contesto cuneese: spunti di riflessione dalle esperienze esistenti.......................................................... 11
Spunti di riflessione per la definizione della proposta ............................................................. 13
Indicazioni per una proposta di struttura di vendita diretta collettiva................................................ 14
2.1. Identificazione di un modello di riferimento ............................................................................ 16
2.2. Formare il gruppo ............................................................................................................... 17
2.2.1.
2.2.2.
2.2.3.
2.2.4.
La costituzione del gruppo ................................................................................................................................ 17
Il principio della non concorrenza .................................................................................................................... 17
Conoscere il gruppo, alcuni strumenti ............................................................................................................ 18
Definire un progetto comune: le domande da porsi ..................................................................................... 19
2.3.
L’organizzazione del gruppo ................................................................................................ 20
2.4.
Dare forma al gruppo .......................................................................................................... 24
2.5.
2.6.
Localizzazione della struttura ............................................................................................... 30
Fattibilità economica e finanziaria......................................................................................... 31
2.7.
Aspetti di comunicazione e promozione ................................................................................ 35
2.3.1.
2.3.2.
2.3.3.
2.4.1.
2.4.2.
2.4.3.
2.6.1.
2.6.2.
2.6.3.
2.7.1.
2.7.2.
Responsabilità e distribuzione degli impegni operativi ................................................................................ 20
Le regole interne e gli aspetti organizzativi .................................................................................................... 21
Comunicare all’interno: consigli e strumenti operativi .................................................................................. 22
Lo status giuridico .............................................................................................................................................. 24
Attività agricola e vendita diretta...................................................................................................................... 26
Indicazioni normative di sintesi sul commercio ............................................................................................. 28
Stima di massima del costo di realizzazione ................................................................................................. 31
Sostenibilità finanziaria: uscite ed entrate stimabili ...................................................................................... 32
Indicazioni sui principali aspetti fiscali ............................................................................................................ 34
Attività di divulgazione, promozione e altri servizi ........................................................................................ 35
Alcuni elementi cardine di comunicazione ..................................................................................................... 36
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1. ORIGINE E PERCORSO DELL’INIZIATIVA
1.1. Premessa
Il presente documento nasce nell’ambito del PIT “Nuovo territorio da scoprire”, promosso dalla Provincia di
Cuneo e dal Conseil Général des Alpes de Haute-Provence e finanziato dal Programma Alcotra 2007-2013.
La finalità del PIT è promuovere un turismo alternativo, sostenibile, che supporti le economie locali e
un’agricoltura equa, giusta e di qualità nell’area transfrontaliera compresa tra la provincia di Cuneo e l’ area
delle Alpi di Alta-Provenza. Quello che il PIT vuole stimolare è un turismo strettamente correlato alle
produzioni agroalimentari locali e all’agricoltura di prossimità (filiera corta, vendita diretta, spesa chilometri
zero): l’idea di base è che l’incontro tra consumatore e produttore può diventare un’occasione di crescita e
un modo diverso ed efficace per far conoscere le produzioni locali, le aziende agricole e gli agricoltori.
Le modalità di vendita diretta esistenti, negli ultimi anni, anche grazie all’innovazione tecnologica, si sono
altamente differenziate e dipendono da vari fattori, tra cui:
- motivazione, intraprendenza e imprenditorialità del produttore;
- competenze, attitudini e disponibilità (di tempo e conoscenze) del produttore e dei suoi famigliari;
- tipologia di prodotti offerti dall’azienda agricola;
- contesto territoriale dell’azienda agricola (se è una zona vocata al turismo, disponibilità servizi e
possibilità ricreative, ecc.);
- localizzazione dell’azienda agricola (zona facilmente raggiungibile, comodità, vicinanza a centri urbani,
ecc.);
- caratteristiche della domanda (attenzione alle produzioni locali, tipologia di clientela, disponibilità dei
consumatori potenziali a cercare il prodotto di qualità);
- radicamento sul territorio e/o capacità di comunicare dell’azienda agricola;
- disponibilità economica e di spazi dell’azienda agricola;
- rapporti e relazioni con istituzioni, enti locali, ecc.
Questi sono gli aspetti che il singolo produttore deve valutare nel momento in cui si pone la domanda se
iniziare a lavorare attraverso la vendita diretta.
Negli ultimi 10 anni, inoltre, si sono diffuse anche modalità di vendita diretta di tipo collettivo, vale a dire
forme di commercializzazione basate su un gruppo di agricoltori che decide di fare rete e di collaborare per
presentarsi ai consumatori come un “insieme”, in modo da essere più presente sul territorio, più visibile
rispetto ai singoli, raggiungere nuovi mercati e ottimizzare costi e risorse.
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Figura 1 - Vantaggi della vendita diretta collettiva
Per il produttore
Presenza diffusa sul territorio
Maggiore visibilità e nuovi sbocchi di mercato
Possibilità di integrare la propria offer ta di prodotti
Essere più for ti rispetto ai singoli (l’unione fa la forza)
Ottimizzazione delle risorse
Per il consumatore
Comodità: in un unico punto vendita si trova una gamma di
prodotti ampia
Buon rapporto qualità-prezzo
Evidenza dell’origine del prodotto
Possibilità di conoscere il produttore e di confrontarsi con lui o
con altri consumatori
Possibilità di accedere a finanziamenti e ader ire a progetti sulla
vendita diretta
Possibilità di promozione del territorio e dei propri prodotti
Poter stabilire prezzi equi
Condivisione dei rischi
In Francia la vendita diretta collettiva è molto diffusa, soprattutto nel sud est del paese, quindi anche nel
territorio transfrontaliero del dipartimento delle Alpi dell’Alta-Provenza, dove sono sorte numerose iniziative.
In Italia e in provincia di Cuneo queste esperienze sono limitate, disperse, poco organizzate e poco
conosciute. Si sono avviate solo sporadiche iniziative locali, generalmente promosse da associazioni di
categoria o da istituzioni locali, oppure da singole cooperative agricole.
Nell’area interessata dal PIT “Nuovo Territorio da scoprire”, per quanto riguarda il dipartimento delle Alpi
dell’Alta-Provenza, sono state individuate diverse modalità di vendita diretta collettiva che hanno avuto
riscontri molto positivi sul territorio, in particolare:
- Maisons des Produits de Pays: punti vendita con finalità di promozione del territorio in cui sono riuniti
i prodotti più rappresentativi, tra cui quelli agroalimentari, quelli dell’artigianato e dell’editoria locale;
- Punti Vendita Collettivi: punti vendita organizzati da gruppi di imprenditori agricoli che decidono di
vendere direttamente ai consumatori i loro prodotti;
- Marchés Paysans (mercati degli agricoltori): molto simili ai mercati dei contadini esistenti anche in
Italia, sono una tipologia di mercato in cui sono presenti solo produttori agricoli con i loro prodotti (non
tutti concordano che questa modalità sia effettivamente vendita diretta collettiva);
- Bistrots de Pays: sono “osterie di paese”, nate nei territori rurali al fine di mantenere viva l’economia e
la socialità in questi luoghi; nei bistrot si può gustare la cucina tradizionale, acquistare i prodotti locali,
comprare a volte anche beni di prima necessità; è un luogo di incontro, un punto di ristoro e di vendita.
Non si tratta in questo caso di vendita diretta collettiva in senso stretto, ma è un buo n esempio di
collaborazione tra soggetti diversi per la promozione del territorio e dei suoi prodotti.
Ciò che contraddistingue queste iniziative, oltre al fatto di essere “collettive”, è la partecipazione dei
produttori, ottenendo un buon mix e una buona collaborazione tra istituzioni e agricoltori. Nella maggior
parte dei casi si tratta di iniziative sorte “dal basso” che hanno poi trovato un supporto istituzionale, oppure
di iniziative partite “dall’alto” che hanno poi incontrato il consenso e la partec ipazione di agricoltori motivati e
partecipativi.
In provincia di Cuneo, come si è detto, non sono state individuate realtà così strutturate e radicate sul
territorio come quelle francesi, ma non si esclude che anche sul territorio italiano dell’area trans frontaliera,
si possa stimolare e promuovere l’interesse verso queste modalità di vendita diretta collettiva. Ecco perché
la Provincia di Cuneo ha manifestato l’interesse a utilizzare l’esperienza francese con il fine di adattarla al
proprio contesto per favorire lo sviluppo di circuiti di commercializzazione di vendita diretta di tipo collettivo,
che presenta vantaggi sia per consumatori locali e i turisti (ampia gamma di prodotti di qualità e
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conseguente valorizzazione delle produzioni locali) sia per i p roduttori, che possono saltare gli intermediari,
ottenendo un margine maggiore, far conoscere i prodotti e la propria realtà, agire in sinergia.
L’attenzione della Provincia di Cuneo si è concentrata in particolare sulle Maisons des Produits de Pays e
sui Punti Vendita Collettivi.
Anche i mercati degli agricoltori sono una modalità di vendita diretta di estremo interesse. Tuttavia, su
questa tipologia, è prevista una linea di intervento specifica, sempre nell’ambito del progetto D5 “Viaggio tra
i prodotti tipici, i gusti, i sapori” del Piano Integrato Transfrontaliero, e non sono stati quindi considerati in
questa sede.
Il presente studio, realizzato dall’associazione I.rur – Innovazione rurale di Torino di concerto con la
Provincia di Cuneo Assessorato all’Agricoltura, si pone l’obiettivo di individuare alcuni aspetti pratici per la
costituzione di punti vendita di tipo collettivo sul territorio cuneese, partendo dall’esperienza delle Maisons
de Produits de Pays e dai Punti Vendita Collettivi.
Siccome il progetto non prevedeva la selezione di un gruppo di agricoltori con cui dare forma concreta a
questa iniziativa, né uno spazio specifico in cui realizzare il punto vendita né, attualmente, esistono politiche
o contributi economici per sostenere un’attività di vendita diretta collettiva, la proposta qui contenuta ha un
carattere teorico e di indirizzo, un percorso di fattibilità rivolto agli agricoltori che si apprestano a valutare la
possibilità di una nuova sfida: la vendita diretta collettiva.
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1.2. Metodologia – le fas i di lavoro
L’attività è stata realizzata con le seguenti fasi di lavoro:
1) Studio delle modalità di vendita diretta esistenti e della letteratura in materia;
2) Analisi dello stato dell’arte:
a. Studio della realtà francese, con visita presso due Maiso ns des Produits de Pays e due
Punti Vendita Collettivi del dipartimento delle Alpi dell’Alta-Provenza;
b. Individuazione dei bisogni, delle priorità e valutazione dell’interesse da parte degli
agricoltori per questo tipo di realtà, attraverso un focus group condotto con tecnica di
brainstorming;
c. Analisi per individuare aspetti specifici del territorio, tramite interviste a testimoni privilegiati
di realtà di vendita collettiva;
d. Analisi dei dati emersi dalla fase precedente, individuazione delle caratteristiche generali
della struttura e degli obiettivi;
3) Definizione della proposta.
Per quanto riguarda il primo punto (studio delle modalità di vendita diretta), l’attività è stata realizzata
dall’associazione I.rur – Innovazione rurale di Torino in stretta collaborazione con le tre associazioni di
categoria: Coldiretti, Confederazione Italiana Agricoltori e Confagricoltura.
Dopo una prima fase di analisi della letteratura italiana e straniera sulle diverse forme di vendita diretta, ci si
è posti l’obiettivo di approfondire quali modalità di vendita diretta e di commercializzazione utilizzassero gli
agricoltori cuneesi.
A tal fine, dopo il reperimento di informazioni e dati a livello locale, I.rur – Innovazione rurale ha redatto un
questionario da sottoporre a un campione di aziende agricole segnalate e contattate direttamente dalle
associazioni di categoria, che si sono poi occupate di somministrare i questionari e restituirli a I.rur in tempo
utile per effettuare l’analisi delle risposte.
Il questionario era composto dalle seguenti sezioni:
- dati sull'intervista: dati generali relativi all’intervista, contesto territoriale dell’azienda;
- informazioni sull'azienda: tipologia aziendale, struttura e organizzazione;
- vendita diretta: gli aspetti tecnici relativi alla vendita diretta, con particolare attenzione alla tipologia di
produzione (produzione primaria o trasformata, prodotto convenzionale o di qualità), al canale
utilizzato, all'area di commercializzazione, al prezzo e alla frequenza di vendita, la durata del serviz io, i
servizi aggiuntivi. Inoltre, sono stati valutati gli aspetti economici del fenomeno tenendo conto della
parte attiva dell'incidenza percentuale della vendita diretta sul fatturato e d i quella passiva dell'impiego
di manodopera dedicata a questo servizio. Un'ultima domanda ha cercato di indagare l'interesse degli
agricoltori alla realizzazione di un punto vendita collettivo;
- motivazione e formazione: informazioni relative alle opinioni dei soggetti riguardo alla vendita diretta e
all’individuazione degli eventuali fabbisogni di formazione degli operatori del settore nonché agli
svantaggi e vantaggi di questo tipo di scelta commerciale.
I risultati di questa prima fase di lavoro sono stati oggetto di uno studio specifico disponibile presso la
Provincia di Cuneo – Assessorato all’Agricoltura e al link www2.provincia.cuneo.it/agricoltura/progettoviaggio-prodotti/scambio-savoir-faire-sviluppo-filiera-corta-vendita-diretta e sono stati propedeutici per la
realizzazione dell’opuscolo “Dal campo alla tavola. Guida pratica per imparare a mangiare locale in
provincia di Cuneo e nel dipartimento delle Alpi dell’Alta-Provenza” realizzato nell’ambito del progetto D5
“Viaggio tra i prodotti tipici, i gusti e i sapori” del PIT.
Le fasi 2) e 3) del progetto sono descritte nelle pagine successive.
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1.3. Analis i dello stato dell’arte – Il punto di partenza
La fase 2) del progetto “Analisi dello stato dell’arte” è stata strutturata in quattro attività, tutte finalizzate a
definire un quadro iniziale, un punto di partenza dal quale avviare alcune prime riflessioni sull’esperienza da
proporre nel territorio cuneese.
Nei prossimi paragrafi si riportano le considerazioni più significative emerse nel corso delle fasi di lavoro.
1.3.1.
I punti di vendita collettivi francesi: peculiarità
Innanzi tutto è importante capire che cosa si intende quando si parla di Maisons des Produits de Pays e di
Punti Vendita Collettivi, capire come funzionano e quali peculiarità o criticità presentano.
Molto in generale le Maisons des Produits de Pays (MPP) sono punti vendita collettivi, spesso supportati
dalle amministrazioni locali, che si configurano come “vetrina” del territorio, un negozio ben arredato e
allestito con prodotti agroalimentari, artigianato, editoria locali. Le MPP sono situate in punti di transito e di
facile accesso per le automobili, ben visibili e segnalate, con ampio parcheggio. La gestione è piuttosto
centralizzata, sebbene i produttori siano chiamati a partecipare ad attività periodiche come degustazioni,
presentazioni dei prodotti, attività di animazione. La forma giuridica può variare tra la cooperativa, la srl e la
GIE 1. I prodotti esposti sono soprattutto confezionati (olio, vino, miele, oli essenziali, marmellate), ma non si
escludono quelli freschi (come carne e trasformati, yogurt, formaggi, latte, ecc.), mentre sono poco
rappresentati i prodotti ortofrutticoli. Le MPP di solito hanno personale dipendente che cura la vendita e
l’allestimento nel negozio.
Esistono due tipologie di soci: i soci veri e propri e gli “invitati”, chiamati soprattutto per completare la
gamma di prodotti, ma senza un reale coinvolgimento. Un “invitato” dopo un certo periodo di tempo può
diventare socio.
La remunerazione per i prodotti dei soci (anche quelli invitati) avviene in conto vendita, con il pagamento
posticipato di un mese sulla base delle vendite del mese in corso, da cui viene trattenuta una percentuale
per il funzionamento del punto vendita (più elevata per gli invitati e meno per i soci), a cui si somma anche
una quota per l’affitto della struttura.
Per aderire tutti i soci pagano una quota di adesione rilevante (varia tra i 1.000 e i 2.000 euro). Il prezzo di
vendita viene stabilito dal produttore ed è lui responsabile dei prodotti e non la MPP.
I clienti sono principalmente turisti, ma anche consumatori locali che cercano un prodotto accattivante,
confezionato, rappresentativo del territorio e adatto per un regalo, per un souvenir, per un acquisto di
prestigio.
I Punti Vendita Collettivi (PVC) sono costituiti da gruppi di agricoltori che decidono di collaborare e creare
un negozio gestito in comune. Il motto dei Punti Vendita Collettivi è “qui trovate tutto per preparare un
pranzo”, si possono quindi acquistare prodotti di uso quotidiano e soprattutto prodotti freschi (ortofrutta,
carne, latte, yogurt, formaggi).
Nel dipartimento delle Alpi dell’Alta-Provenza i Punti Vendita Collettivi sono associazioni o srl e anche in
questo caso, come nelle Maisons des Produits de Pays, i produttori aderenti possono essere di due tipi: i
soci e gli “invitati”, vale a dire produttori a cui ci si rivolge per avere prodotti secondari, adatti per completare
l’offerta. Anche in questo caso si richiede una quota iniziale per l’adesione (pari a circa 1.000 euro) e la
modalità di esitazione avviene in conto vendita, cioè il pagamento avviene mensilmente sulla base delle
vendite del mese precedente. Dalla cifra viene sottratta una percentuale per la gestione del punto vendita e
l’affitto, anche in questo caso più alta per gli invitati e più ridotta per i soci. Il Punto Vendita Collettivo di
solito ha un arredamento più semplice, il clima è informale. I soci sono invitati a essere pre senti nel punto
GIE è un acronimo che sta per Groupement d’Intérêt Economique , si tratta di una for ma giuridica presente in Francia, a metà
strada tra l’associazione e una società privata.
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vendita a turno, in media mezza giornata a settimana, al fine di mantenere il contatto con il consumatore e
mantenere alta la partecipazione. Il prezzo viene stabilito dal produttore ed è lui responsabile dei prodotti e
non il Punto Vendita Collettivo. La clientela è prevalentemente locale. Di solito i PVC sono ubicati in zone
comode per fare la spesa, accessibili in auto e con parcheggio, eventualmente anche vicino a ipermercati o
altri punti vendita più commerciali.
Sia nelle MPP sia nei PVC viene redatto e sottoscritto un regolamento interno, sono organizzate riunioni di
coordinamento e attività di presentazione dei prodotti e di animazione sul territorio.
Figura 2 - Maisons des Produits de Pays e Punti Vendita Collettivi a confronto
Maison des Produits de Pays
Punto Vendita Collettivo
Che cos’è
Che cos’è
La Maison des Produits des Pays è un luogo di vendita al
servizio dei produttori e di promozione dei prodotti del
territorio. Questi negozi sono situati vicino alle principali ar terie
turistiche.
È un negozio in cui un gruppo di produttor i agricoli (in media
tra una decina e una ventina) vende direttamente i prodotti
delle proprie aziende. I PVC sono collocati in zone di facile
accesso.
Chi partecipa
Chi partecipa
Artigiani, artisti e agricoltori che risiedono nel territorio
(“pays”).
Produttori agricoli di un deter minato territorio.
A chi si rivolge
A chi si rivolge
Prevalentemente ai turisti e in par te agli abitanti del territorio.
Prevalentemente agli abitanti del territorio e in parte ai turisti
nei periodi festivi.
Cosa si vende
Cosa si vende
Prodotti agricoli (prevalentemente trasfor mati, poco deper ibili,
a lunga conservazione, a forte vocazione turistica, poco
rappresentati i prodotti freschi) e ar tigianato locale.
Prodotti agricoli del territorio (prevalentemente freschi, da
agricoltura biologica o convenzionale, trasfor mati).
Come sono organizzati
Come sono organizzati
Hanno un regolamento interno che definisce l’organizzazione.
Ci sono dei dipendenti che si occupano della vendita e della
gestione della struttura. I produttori par tecipano ad attività di
animazione e degustazione.
Le MPP funzionano in conto vendita. I produttor i sono
responsabili dei propri prodotti fino alla vendita.
I produttori pagano una percentuale sulle vendite a cadenza
mensile. Da questa dipende il funzionamento della struttura.
La scelta del prezzo di vendita dei prodotti è fissata dai
produttori.
Il socio aderente deve essere un produttore e non può essere
solo un rivenditore di prodotti di terzi.
Hanno un regolamento interno che definisce l’organizzazione.
Almeno uno dei produttori deve essere sempre presente
durante l’aper tura. I turni sono di solito di mezza giornata a
settimana, non stipendiati. Ognuno si occupa della vendita dei
propri prodotti e di quelli degli altr i.
Possono anche esserci dipendenti stipendiati.
I punti vendita funzionano in conto vendita. I produttori sono
responsabili dei propri prodotti fino alla vendita.
I produttori pagano una percentuale sulle vendite a cadenza
mensile. Da questa dipende il funzionamento della struttura.
La scelta del prezzo di vendita dei prodotti è fissata dai
produttori.
Il socio aderente deve essere un produttore e non può essere
solo un rivenditore di prodotti di terzi.
Ci sono due tipi di produttori:
Ci sono due tipi di produttori:
Associati: pagano una quota di avvio e contribuiscono ai costi
di gestione con una quota mensile pari a cir ca il 25-30% sulle
vendite, oltre a una quota per l’affitto;
Associati: pagano una quota di avvio e una percentuale sulle
vendite compresa tra il 15 e il 20% al mese;
Invitati: sono chiamati per completare la gamma di prodotti;
pagano una quota mensile maggiore (circa 35% ) e un affitto
più elevato.
Invitati: produttori chiamati per completare la gamma di
prodotti, devono pagare una quota mensile sulle vendite
maggiore (circa 20-25% ).
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1.3.2. Interessi e bisogni dal territorio: il focus group
Al fine di condividere il percorso con i diretti interessati e con gli eventuali protagonisti dell’iniziativa, è stato
organizzato un focus group a cui hanno partecipato alcuni rappresentati del mondo agricolo: produttori di
varie aree geografiche provinciali e settori produttivi, associazioni di categoria, funzionari della provincia di
Cuneo e della Camera di commercio di Cuneo. Inoltre, sono stati invitati anche i responsabili della Maison
des Produits de Pays del paese di Jausiers e del Punto Vendita Collettivo di Peipin del dipartimento delle
Alpi dell’Alta-Provenza e un funzionario del Conseil Général des Alpes de Haute-Provence, al fine di far
illustrare dai protagonisti di queste esperienze le caratteristiche delle due tipologie, le motivazioni, le
dinamiche, l’organizzazione. In totale hanno partecipato una quindicina di persone.
La tecnica di conduzione del focus group è stata quella del brainstorming, stimolato da una domanda di
partenza. La domanda iniziale è stata posta in modo volutamente generico (“Quali necessità commerciali
oggi in provincia di Cuneo?”), al fine di far emergere esigenze, necessità e un orientamento generale. I
presenti erano comunque stati già informati sull’argomento dell’incontro, avevano ricevuto il primo studio
sulla vendita diretta e avevano una scheda con le caratteristiche dei due punti vendita francesi, quindi il
dibattito è stato orientato a comprendere come i presenti si ponevano nei confronti delle due modalità di
vendita diretta collettiva.
Dal focus group sono emersi diversi elementi di estremo interesse e utili per l’impostazione di un punto
vendita collettivo, e in particolare sono state sottolineate le seguenti priorità, riportate su un cartellone
durante il dibattito:
- far conoscere il prodotto locale e renderlo facilmente reperibile per il consumatore (comodità di
acquisto);
- rendere visibili e valorizzare le piccole aziende, che hanno più difficoltà rispetto alle aziende di
dimensioni maggiori;
- ampliare la gamma dei prodotti disponibili, operazione fattibile con la c reazione di reti tra produttori;
- dare un’informazione corretta al consumatore, spesso confuso tra decine di proposte, marchi,
produzioni locali reali o dubbie;
- avere una garanzia di continuità nella produzione e nelle vendite;
- creare un collegamento tra produzioni locali e turismo (ed eventualmente la ristorazione);
- migliorare la programmazione della produzione e delle vendite;
- migliorare la logistica in modo integrato e funzionale;
- gestire il prezzo dei prodotti in modo equo, evitare la concorrenza;
- fare sistema.
Nel momento in cui si è affrontata in modo diretto la questione delle caratteristiche del punto vendita
collettivo, si sono evidenziate le seguenti necessità:
- creare una vetrina dei prodotti locali, con una gestione esterna, centralizzata, che abbia una funzione
di “rimando” sul territorio e verso i singoli produttori;
- diversificare e valorizzare i ruoli e le competenze (non è detto che chi produce sia anche un buon
commerciale o adatto alla vendita al pubblico);
- rendere complementari i diversi canali di vendita utilizzati dai produttori, non ci sono modalità di
commercializzazione migliori o peggiori, tutte sono valide e p ossono essere utilizzate in
contemporanea dalla stessa azienda per raggiungere diversi mercati.
In un secondo focus group si sarebbero poi affrontati gli aspetti più pratici e concreti legati alle due modalità
di vendita diretta collettiva, definendo in modo partecipato alcuni aspetti generali della gestione e
collocazione del punto vendita “teorico”. Questo secondo focus group è stato organizzato, ma non ha poi
avuto luogo per numero troppo ridotto di partecipanti.
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Si è dunque deciso di procedere con una fase di intervista con le realtà di vendita diretta collettiva esistenti
sul territorio, seppur limitate, per comprendere meglio il contesto locale.
1.3.3. Il contesto cuneese: spunti di riflessione dalle esperienze esistenti
Nel corso di questa fase sono stati intervistati diversi attori del territorio, tra cui tre Società Cooperative
molto attive sul territorio cuneese e con un forte riconoscimento locale e regionale e una realtà che può
essere assimilata a una “porta di valle”, struttura relativamente vicina alla Maison des Produits de Pays
come tipologia, poiché si pone come una vetrina del territorio, proponendo prodotti locali, un punto ristoro e
possibilità di acquisto di prodotti correlati alla montagna. L’obiettivo delle interviste consisteva
nell’evidenziare differenze organizzative, gestionali, di approccio al progetto collettivo tra l’area cuneese e il
dipartimento delle Alpi dell’Alta-Provenza.
Durante le interviste sono stati, quindi, affrontati diversi argomenti e in particolare: nascita della struttura
(motivazioni, tempi, ecc.); organizzazione e funzionamento; modalità di vendita e rapporti tra produttori;
partecipazione da parte dei soci (quota associativa, coinvolgimento in attività comuni, definizione del
prezzo, ecc.); clientela di riferimento e percezione delle esigenze della clientela, localizzazione e
allestimento punto vendita.
Dalle interviste sono emerse alcune questioni utili per l’impostazione del punto vendita collettivo sul territorio
cuneese:
Origine dell’esperienza:
- dietro a una realtà collettiva spesso ci sono poche aziende ben avviate, con un forte radicamento sul
territorio o un settore produttivo “di punta”; in questo caso, i tempi per lo sviluppo del progetto collettivo
dipendono dalla storia e dal successo delle aziende aderenti (se una o più realtà imprenditoriali
all’interno del gruppo sono già affermate sul territorio, è facile che i tempi per la creazione e il successo
del progetto comune tendano a essere più brevi rispetto alla situazione in cui tutte le realtà devono
ancora affermarsi);
- la realtà cooperativa spesso è una soluzione per ampliare la gamma dei prodotti offerti e superare il
problema dei limiti imposti per legge per la vendita di prodotti di terzi da parte dei produttori agricoli e
non c’è una reale volontà di impostare un progetto partecipato e condiviso;
- le “porte di valle” sono correlate a iniziative istituzionali (comunità montane in primis) e a singoli
imprenditori o cooperative che si occupano della loro gestione.
Organizzazione, funzionamento, modalità di vendita e rapporto con i produttori:
- c’è una generale consapevolezza che ognuno deve avere un ruolo preciso a seconda delle proprie
competenze e inclinazioni (produzione, vendita, attività commerciale richiedono capacità diverse);
- le quote di adesione sono poco impegnative dal punto di vista economico e quindi non garantiscono
una selezione dei produttori più motivati e una reale condivisione del progetto collettivo;
- non si utilizza la modalità in “conto vendita”: il prezzo viene stabilito a priori, il soggetto centrale
acquista i prodotti dai produttori e si occupa della vendita;
- la realtà delle aziende agricole è molto frammentaria, non esiste una volontà di fare rete e creare una
vera cooperazione; la gestione collettiva e partecipata richiede investimento di tempo, motivazioni,
costi;
- c’è necessità di personale specializzato, competente: il personale che si occupa della vendita deve
essere adatto al contatto con il pubblico; questo aspetto incide fortemente sulle vendite e sul successo
della struttura ma, ovviamente, anche sui costi;
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- i tempi per ottenere risultati positivi sono medio-lunghi (5-10 anni) in considerazione della consistenza
degli investimenti iniziali necessari.
Partecipazione e coinvolgimento:
- la gestione operativa e direttiva è in mano a pochi soggetti;
- c’è una scarsa disponibilità da parte degli agricoltori a partecipare alle attività (gestione e
collaborazione operativa);
- non esiste una vera compartecipazione e condivisione dei compiti, delle decisioni, delle attività
operative, dei rischi.
Percezione su clientela e consumatori:
- per attirare e mantenere il contatto con il consumatore occorre garantire un’ampia offerta di prodotti e
garantire la comodità di avere in un unico punto vendita tutti i prodotti che servono, eventualmente
anche quelli fuori stagione o non locali;
- la clientela è rappresentata in prevalenza da abitanti locali, ma nel caso di strutture ben avviate, con un
buon allestimento e una gestione efficiente, collocate in zone di passaggio e con prodotti di qualità,
anche da turisti;
- il cliente spesso non è disponibile a scendere a compromessi e quindi ad accettare la stagionalità dei
prodotti o le esigenze delle aziende agricole.
Localizzazione e allestimento:
- le strutture sono situate in punti di transito automobilistico e turistico, con parcheggio, abbastanza ben
segnalati;
- la cura nell’allestimento del punto vendita dipende dalla filosofia scelta dalla direzione, oltre che dalle
disponibilità economiche; è vincente la scelta di un allestimento curato e in linea con la filosofia
dell’azienda;
- in generale i singoli produttori non sono valorizzati nel punto vendita.
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1.4. Spunt i di rifless ione per la definizione della proposta
Sulla base delle considerazioni emerse nelle fasi precedenti del lavoro e di concerto con i funzionari della
Provincia di Cuneo, si è pensato di fondare la proposta, la fase 3) del piano di lavoro, su una struttura che si
pone i seguenti obiettivi:
-
-
prendere spunto dall’esperienza francese delle Maisons des Produits de Pays e dei Punti Vendita
Collettivi per individuare elementi fondamentali reiterabili sul territorio: in particolare la presente
proposta si basa sulla creazione di una struttura tipo Maisons des Produits de Pays, ma con una
gestione più vicina a quella dei Punti Vendita Collettivi, quindi più partecipativa e coinvolgente,
mantenendo la divisione dei compiti e dei ruoli;
valorizzare e far conoscere il territorio, le produzioni e i produttori locali;
promuovere la partecipazione dei produttori, unico modo per g arantire continuità al progetto;
predisporre un progetto integrato sul territorio, che in qualche modo poss a promuovere lo sviluppo
locale;
stimolare le sinergie e la creazione di reti tra produttori;
prevedere il coinvolgimento e la partecipazione dei produttori, lo spirito collettivo della struttura deve
essere presente in tutti i suoi aspetti;
prevedere una struttura il più possibile autonoma da finanziamenti continuativi da parte delle Istituzioni;
individuare soluzioni per farsi conoscere dal pubblico e radicarsi sul territorio;
integrarsi con il territorio, creare una rete locale;
svolgere una funzione di raccordo e di formazione nei confronti dei consumatori;
eventualmente si potrebbe pensare di attribuire un carattere transfrontaliero all’iniziativa.
Questi obiettivi hanno una funzione di indirizzo e rappresentano delle linee guida per la costituzione di un
progetto di vendita diretta collettiva in provincia di Cuneo. Le indicazioni riportate nelle pagine seguenti
vogliono presentare un supporto, un percorso per la nascita di strutture di vendita collettiva nel contesto
cuneese sulla base dell’esperienza, dei successi e delle criticità delle realtà francesi.
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2. INDICAZIONI PER UNA PROPOSTA DI STRUTTURA DI
VENDITA DIRETTA COLLETTIVA
La modalità seguita nella strutturazione della proposta è stata quella di individuare in modo più dettagliato
possibile, utilizzando la metodologia WBS2, le attività necessarie per la realizzazione di un progetto, in
questo caso di un punto vendita di carattere collettivo.
Le attività individuate con il WBS e riportate nella figura, sono state quindi articolate per area (analisi,
azione, comunicazione) e indicizzate negli step progettuali. Le principali fasi di lavoro si ritrovano lungo il
sommario del presente capitolo; in questo modo si è fatta una connessione diretta tra l’aspetto teorico con
quello operativo.
Figura 3 – WBS del percorso di costituzione di un punto vendita collettivo
Vendita diretta
collettiva
ANALISI
AZIONE
COMUNICAZIONE
Modello di riferimento
(2.1)
Scelta modello (2.1)
Comunicare nel
gruppo (2.2)
Analisi organizzazione
(2.2, 2.3)
Formazione del
gruppo (2.2)
Animazione
(2.2)
Analisi logistica e
flussi (2.5)
Scelta
localizzazione (2.5)
Partecipazione
(2.2)
Analisi
posizionamento
struttura e offerta
(2.4, 2.6 e 2.7)
Scelta prodotti
(2.6 e 2.7)
Informazione
(2.7)
Analisi filiera
(2.6 e 2.7)
Scelta target
(2.5 e 2.7)
Divulgazione
(2.7)
Fattibilità economica
(2.6)
Scelta
organigramma (2.3)
Evento
(2.7)
Fattibilità gestionale
(2.6)
Scelta forma
giuridica (2.4)
Promozione continua
(2.7)
Con l'espressione inglese Work Breakdown Structure (WBS, Struttura Analitica di Progetto) si intende l’elenco di tutte le attività di un progetto.
Le WBS sono usate nella pratica del Project management e coadiuvano il project manager nell'organizzazione delle attività di cui è
responsabile. Molto spesso i progetti sono composti da migliaia di attività: per facilitare il lavoro di organizzazione d elle varie attività esistono
delle WBS-tipo che elencano tutte le possibili attività (generiche) per i progetti del rispettivo ambito. L'insieme delle attività può quindi essere
confrontata con una check-list. La Practice Standard f or Work Breakdown Structures (Second Edition), edita dal Project Management Institute.
ISBN: 1933890134. Una sintesi dell’approccio è disponibile in lingua inglese al seguente indirizzo: http://www.projectmgt.com/Files/ArticleWBS% 20How.pdf.
2
14
Le diverse attività sono state poi inserite in un diagramma di flusso temporale (diagramma di Gantt 3) in cui
l’unità di tempo è il semestre e il punto 0 è il momento in cui il punto vendita si sta progettando ma non è
ancora operativo.
Nelle fasi individuate non è stata inclusa l’attività di vendita, che tendenzialmente inizia dopo il primo o il
secondo semestre, ma tutti gli step precedenti, sia teorici (analisi/progettazione) che operativi
(pianificazione economica e strategie di marketing) che permettono di realizzarla.
Figura 4 – Diagramma temporale attività previste
Attività / Semestre
Modello di riferimento (2.1)
0
1
2
3
4
5
6
7
8
Analisi organizzazione (2.2, 2.3)
Analisi logistica e flussi (2.5)
Posizionamento (2.4, 2.6 e 2.7)
Analisi filiera (2.6 e 2.7)
Fattibilità economica (2.6)
Fattibilità gestionale (2.6)
Scelta modello (2.1)
Formazione del gruppo (2.2)
Scelta localizzazione (2.5)
Scelta prodotti (2.6 e 2.7)
Scelta target (2.5 e 2.7)
Scelta organigramma (2.3)
Scelta forma giuridica (2.4)
Comunicare nel gruppo (2.2)
Animazione (2.2)
Partecipazione (2.2)
Infor mazione (2.7)
Divulgazione (2.7)
Evento (2.7)
Promozione continua (2.7)
3
Un diagramma di Gantt permette la rappresentazione grafica di un calendario di attività, utile al fine di pianificare, coordinare e tracciare
specifiche attività in un progetto dando una chiara illustrazione dello stato d'avanzamento del progetto rappresentato.
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2.1. Ident ificazione di un modello di riferimento
La proposta si concretizza in una sorta di via di mezzo tra la Maison des Produits de Pays e il Punto
Vendita Collettivo, prendendo elementi da entrambe le modalità, adattandole al contesto cuneese e agli
aspetti emersi nell’ambito del focus group. In particolare si evidenziano gli elementi rappresentati nella
Figura 5.
Figura 5 – Peculiarità delle strutture di vendita diretta francesi e italiane
Elementi peculiari
Maisons des Produits de Pays
Essere una vetrina del territorio, dei
produttori e dei prodotti locali
Avere diverse tipologie di prodotti, dai
trasfor mati ai freschi, dall’editoria
all’ar tigianato
La presenza di personale addetto alla
vendita
Elementi peculiari
Elementi comuni
Punti Vendita Collettivi
Il coinvolgimento e la par tecipazione dei
produttori (presenza presso il punto
vendita; visite presso le altre aziende e
conoscenza diretta dei prodotti, dei
produttori, ecc.)
La possibilità di prevedere un sistema di
partecipazione differenziato dei soggetti
aderenti, da adattare a seconda della
for ma giuridica (es. soci aderenti e
soggetti “invitati”)
La presenza di un produttore presso il
punto vendita
Quando applicabile, l’utilizzo del sistema
“conto vendita”, pagamento a mesi
posticipati e trattenuta di una
percentuale sulle vendite (per gestione
negozio + affitto mensile)
Organizzazione di a ttività di animazione
Localizzazione: aree urbane comode,
presso centri commerciali, oppure sulle
vie di transito
Oltre agli elementi sopra riportati, è necessario aggiungere alcune altre priorità volte al superamento di
aspetti critici del settore su cui sarebbe opportuno lavorare al fine dell’elaborazione di un progetto di vendita
diretta collettivo efficace e innovativo:
- ridurre l’individualismo e la frammentazione del settore;
- stimolare un approccio collettivo alla commercializzazione;
- promuovere forme di collaborazione innovative;
- promuovere progetti integrati sul territorio e la costruzione di filiere corte e reti di collaborazione a
livello locale.
Le informazioni di dettaglio inerenti l’apertura di un punto vendita e i relativi aspetti commerciali, fiscali e
giuridici sono reperibili presso commercialisti o esperti del settore e necessitano comunque di un
approfondimento del contesto territoriale specifico che in questa fase preliminare non è possibile affrontare.
Il presente studio si concentra, quindi, sugli aspetti legati alla gestione del gruppo, alle forme di
organizzazione e all’agenda delle attività e che sono illustrati nelle pagine seguenti.
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2.2. Formare il gruppo
Indipendentemente dalla tipologia di struttura a gestione collettiva che gli agricoltori sceglieranno, la
formazione del gruppo resta un aspetto prioritario.
Un’iniziativa di vendita collettiva si può presupporre che nasca da due motivazioni principali:
- un gruppo di agricoltori è interessato a lavorare insieme, quindi l’iniziativa nasce “dal basso”;
- un soggetto esterno intende sostenere e promuovere un’iniziativa di questo tipo e prova a riuni re gli
agricoltori del territorio.
In entrambi i casi, prima di intraprendere un’esperienza di questo tipo, che ha una particolare complessità
dovuta proprio al carattere “collettivo” dell’iniziativa, è opportuno che il gruppo impari a conoscersi, a sapere
come lavorare insieme, a definire regole comuni, a creare un rapporto di fiducia.
2.2.1. La costituzione del gruppo
Gli aspetti di cui tenere conto nella costituzione del gruppo sono:
- le tipologie di prodotti: non ci sono limiti sulle tipologie, ciò che è prioritario è che i prodotti devono
rappresentare il territorio e ovviamente le aziende produttrici; i prodotti cambieranno a seconda degli
obiettivi e della filosofia del progetto, della clientela a cui si vuole puntare ecc. Per partire, l’esperienza
francese suggerisce di considerare 7-8 tipologie di prodotti iniziali, di cui alcuni molto richiesti in loco e
con aziende con un’attività avviata e relativamente stabile; non sarà un problema, successivamente,
ampliare l’offerta se il gruppo funziona e l’iniziativa ha riscontri positivi; di solito il successo “attira”
eventuali collaboratori;
- la dimensione della singola azienda: la proposta si rivolge soprattutto alle piccole imprese, questo
non esclude che il gruppo possa decidere di coinvolgere qualche produttore di dimensioni più grand i
(se serve a integrare l’offerta), sapendo che questo può cambiare le dinamiche del gruppo;
- la dimensione del gruppo di agricoltori: secondo l’esperienza francese, una struttura collettiva,
soprattutto se nasce dal basso, senza finanziamenti o supporti istituzionali, ha più probabilità di riuscita
se non ha un numero troppo elevato di soggetti; si parla di solito di una decina al massimo, numero
che si può ampliare nel corso degli anni, in relazione al successo del progetto;
- rapporto tra associati/soci e soggetti fornitori: secondo il modello francese, accanto ai soci
fondatori, possono essere coinvolti soggetti fornitori; bisogna prima chiarire qual è la filosofia del
gruppo sulla gestione dei rapporti tra queste due tipologie , qual è la forma giuridica scelta e la
normativa di riferimento. Secondo l’esperienza francese è consigliabile non superare la quindicina di
soci per gestire al meglio riunioni e decisioni collettive. Sul numero di fornitori non ci sono limiti (salvo
quelli previsti dalla modalità organizzativa prevista, ad esempio per le cooperative agricole bisogna
tenere conto del concetto di prevalenza) e si possono prevedere diverse forme di partecipazione e
trattamento.
2.2.2. Il principio della non concorrenza
Tra gli aspetti principali da considerare nella definizione del gruppo dei produttori ci sono due elementi: essi
devono garantire una gamma di prodotti ampia e variegata e allo stesso tempo devono assicurare le
quantità necessarie.
In ragione di questi due principi, si può valutare di inserire nel gruppo anche due produttori della stessa
tipologia, purché sia utile a garantire uno dei due aspetti, o entrambi (l’assortimento dei prodotti e i volumi)
se sono complementari, rispettando il principio della non concorrenza.
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In Francia, una delle soluzioni più consuete è alternare i conferimenti dei vari produttori. In questo caso è
importante conoscere bene il prodotto e poter garantire un livello qualitativo costante, esattamente come
uno stesso prezzo di vendita, su cui i due produttori dovranno trovare un accordo.
Un’altra ipotesi è individuare un produttore prioritario per quel tipo di prodotto e un altro per un altro tipo di
prodotto.
Queste scelte devono essere prese al fine di evitare la concorrenza tra produttori e prevenire situazioni
spiacevoli. Sono questioni complesse, ma che devono essere affrontate, gestite, chiarite e condivise sin
dall’inizio ed è consigliabile esplicitarle anche nel regolamento interno.
È chiaro che alla base di tutto ci deve essere anche un rapporto di fiducia reciproca, per cui tali regole si
dovrebbero poi rispettare nella più totale correttezza.
La ripartizione dei prodotti tra i vari produttori e l’ingresso di eventuali nuovi produttori deve essere
comunque condivisa e concordata con tutto il gruppo. Il principio di non concorrenza serve proprio per
evitare che si creino tensioni o situazioni spiacevoli legate alla gestione e alla ripartizione dei profitti.
2.2.3. Conoscere il gruppo , alcuni strumenti
Nel momento in cui un gruppo sta per avviare un progetto di questo tipo è prioritario prendersi tempo per
conoscersi e capire se c’è un’affinità e una compatibilità di caratteri, di intenti, di disponibilità e risorse per
avviare questa iniziativa. Occorre conoscersi non solo personalmente, ma soprattutto a livello professionale.
Riunioni e incontri: è opportuno organizzare degli incontri tra i partecipanti; si può pensare di vedersi in un
luogo “neutro” oppure a rotazione presso le singole aziende, in modo da far conoscere anche la propria
azienda al gruppo. La seconda ipotesi è quella auspicabile.
Durante il primo incontro si può iniziare con un giro di presentazioni a voce e con la distribuzione di
materiale divulgativo della propria azienda ed eventualmente di qualche prodotto. Si può provare a definire
prima un elenco di informazioni utili per il primo incontro, in modo che tutti raccolgano le stesse informazioni
su tutti i componenti del gruppo.
Visite in azienda: è un passo imprescindibile della fase di conoscenza, anche perché getta le fondamenta
per la costruzione del punto vendita collettivo.
I componenti del gruppo devono conoscere perfettamente le aziende e le produzioni degli altri componenti e
per farlo non c’è niente di più utile che andare direttamente sul posto e vedere con i propri occhi, c hiedere,
conoscere, verificare.
Per questo motivo può essere interessante organizzare le riunioni preliminari presso l e varie aziende, in
modo di cogliere l’occasione e iniziare a conoscere le imprese del gruppo.
Per chi riceve la visita degli altri produttori, può essere un’opportunità di crescita e di confronto con colleghi,
avere uno sguardo esterno e poter valutare le proprie potenzialità oppure i propri errori. È anche un modo
per percepire e chiarire la filosofia dell’azienda (nella teoria, attraverso le riunioni, e nella pratica, attraverso
la visita in loco). Abbinare un momento conviviale durante questi incontri p uò essere un buon modo per
iniziare un rapporto di lavoro che si basa anche sulla fiducia e sul rispetto reciproco.
Viaggi studio presso altri punti vendita: l’organizzazione di viaggi studio presso gruppi francesi o italiani
già impegnati nella vendita diretta collettiva può essere utile per conoscere meglio queste realtà, la loro
organizzazione e la gestione. Il viaggio studio può aiutare a chiarirsi le idee sul significato e sulle modalità
del progetto e può favorire la creazione del gruppo.
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Figura 6 – Gli aspetti da approfondire durante gli incontri e le visite in azienda
L’azienda: storia, produzione e ciclo produttivo durante l’anno, organizzazione, localizzazione ed edifici presenti, metodi produttivi
e di allevamento, eventuali attività di trasfor mazione.
La qualità dei prodotti: origine dei prodotti, varietà prodotte, trattamenti, rispetto della nor mativa, igiene, tracciabilità.
I circuiti di commercializzazione utilizzati: la pratica della vendita diretta, i rapporti con altri distributori, gros sisti, grande
distribuzione, altri punti vendita.
L’aspetto umano: presenza di manodopera e personale, trattamento economico, tipologia di contratti, ripar tizione delle ore di
lavoro nella giornata, settimana, nel mese, clima di lavoro.
I punti di forza e di debolezza dell’azienda, non per giudicare o cr iticare gli altri, ma per capire come porre rimedio o come
valorizzare alcuni aspetti anziché altri.
Gli aspetti economici: fatturato, margini, andamento nel corso degli anni, costi, aspetti contabili, finanziari e fiscali.
Gli scenari: aspettative e progetti per il futuro, prospettive, possibili evoluzioni e cambiamenti. Quest’ultimo aspetto può essere
l’occasione per iniziare a capire quali sono le motivazioni e le aspettative nei confronti di un punto vend ita collettivo.
2.2.4. Definire un progetto comune: le domande da porsi
La proposta di punto vendita collettivo si basa su una forte motivazione e sulla partecipazione dei singoli
aderenti. Definire un progetto comune è quindi prioritario, a maggior ragione se il punto vendita viene
promosso dalle istituzioni. Una buona motivazione e una condivisione di obiettivi comuni sono gli elementi
su cui si basa un progetto che dia continuità, stabilità e una direzione all’attività.
Il primo passo è la verifica degli obiettivi, delle motivazioni e delle aspettative dei partecipanti.
Innanzi tutto è importante che il produttore che decide di intraprendere questa strada abbia le idee chiare
sul perché vuole passare alla vendita diretta collettiva, quale sarà il suo approccio e la sua disponibilità
nell’ambito del gruppo e della gestione collettiva. In una fase preliminare è quindi opportuna una riflessione
personale sulle proprie motivazioni, aspettative, disponibilità di tempo, spazi, idee progettuali per il
presente e per il futuro.
Alcune domande da porsi potrebbero essere: perché voglio partecipare a questo progetto? Quali vantaggi
mi aspetto? Quali vincoli? Quali aspettative ho? Quali altri canali commerciali sto utilizzando e come si
collocherà il punto vendita collettivo nell’ambito delle mie priorità e rispetto alle altre forme di
commercializzazione? Quanto tempo e quante risorse sono disponibile a concedere per questa attività?
Sono disposto a partecipare attivamente al progetto e dedicare parte del mio tempo per essere presente
presso il punto vendita? Nel caso in cui l’iniziativa abbia successo, sono disponibile eventualmente a
cambiare qualcosa nelle mie priorità o in alcuni aspetti organizzativi o produttivi? Quanto sono disposto a
mettermi in gioco e a scendere a eventuali compromessi nell’interesse del gruppo anziché nell’interesse
individuale? Quale volume d’affari mi aspetto?
Una volta chiariti questi aspetti, il secondo passo è la condivisione di tali riflessioni con gli altri
partecipanti e la creazione di un momento di incontro in cui esporre le proprie idee e verificare se c’è
un’effettiva convergenza di intenti e di disponibilità e, quindi, un denominatore comune. È opportuno che i
produttori interessati prendano parte a questo momento di confronto, visto che si stanno gettando le basi
per l’intero progetto; secondo l’esperienza francese, il modo di affrontare diverbi e difficoltà può fare la
differenza nella riuscita e il successo dell’iniziativa.
Un altro aspetto prioritario è la definizione di una filosofia o di un’etica del progetto: come rapportarsi
con gli altri? Qual è lo spirito che anima l’attività? Quali principi potrebbero guidare il progetto comune?
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Infine, una volta definito il progetto, è opportuno fare una breve analisi del territorio in cui potrebbe avere
sede il punto vendita al fine di definire la localizzazione più appropriata, la logistica e altri aspetti
organizzativi e di mercato: quali sono i concorrenti? Come si comportano? Che caratteristiche hanno? Quali
prezzi di vendita? C’è un mercato potenziale per un punto vendita collettivo? Quali sono i collegamenti e i
servizi disponibili sul territorio? Quale clientela esiste sul territorio?
2.3. L’organ izzazione del gruppo
2.3.1. Responsabilità e distribuzione degli impegni operativi
L'organizzazione collettiva interessa sostanzialmente i principi base e i mezzi impiegati per garantire
l'attività del punto vendita.
La ripartizione delle competenze in una struttura di questo genere è gestita collegialmente per
definizione. Per esempio, anche la struttura giuridica scelta richiede una gestione congiunta, il consenso
sulle decisioni necessarie per rendere il sistema lavoro efficiente e sostenibile. E’ importante aumentare la
consapevolezza del gruppo impegnato nel progetto e far sì che tutti accettino di fare uno sforzo per farlo
funzionare.
Le responsabilità, i compiti e i doveri sono condivisi. Allo stesso tempo è importante preventivare soluzioni
per mantenere aperta la struttura in modo continuativo, soprattutto nei momenti di grande affluenza.
È evidente che la presenza diretta dei produttori presso il punto vendita è un vantaggio sensibile sia
per il punto collettivo sia per il produttore stesso. Occorre, tuttavia, tenere anche conto che ognuno ha
predisposizioni differenti nei rapporti diretti con gli eventuali clienti. Inoltre le disponibilità dei diversi membri
del gruppo possono essere estremamente variabili (ad esempio il fine settimana, mattina o pomeriggio, le
feste, i tempi delle colture,…). Di conseguenza, le modalità per definire la presenza de l singolo operatore
possono essere diverse, sia nei tempi di permanenze sia nelle frequenze, sia nelle singole disponibilità sia
nelle necessità (impegni fissi o variabili, consistenza degli impegni, distribuzione degli impegni...). In questo
senso nella letteratura, soprattutto in lingua francese, si suggeriscono due criteri: la distribuzione ugualitaria
e quella in relazione al fatturato. Nel primo caso ogni membro svolge le stesse attività e permanenze,
indipendentemente dal fatturato, ma ciò richiede che tutti siano altamente motivati e coesi. La ripartizione in
base al fatturato invece usa come criterio principale la proporzionalità al fatturato generato da ciascuno.
Un altro aspetto relativo all’impegno dei soggetti aderenti o fornitori è quello che riguarda la partecipazione
economica e il contributo delle spese. Come si è già detto il modello francese su questi due punti è molto
chiaro:
- le quote sociali: di solito ammontano a cifre considerevoli, la quota di adesione varia in media tra i
1.000 e i 2.000 euro. Certe realtà hanno previsto la restituzione della quota di adesione, nel caso di
abbandono del progetto in corso d’opera, solo dopo alcuni anni; tali soluzioni sono utili per selezionare
gli aderenti e coinvolgere solo i più motivati; questa è una delle scelte che dipende dalla filosofia del
progetto;
- quota di partecipazione ai costi di gestione: in Francia si definisce in percentuale al fatturato mensile di
ognuno, alla tipologia di soggetto (socio o “invitato”) e si utilizza il sistema del conto vendita; nel caso
italiano questo aspetto dipende principalmente dalla forma giuridica scelta (un’associazione e una
cooperativa, ad esempio, gestiscono il rapporto con i soggetti fornitori in modo differente:
nell’associazione si può prevedere una forma di partecipazione simile al modello francese, nella
cooperativa il fornitore è un soggetto da cui si acquista il prodotto ed è difficile prevedere una
partecipazione economica ulteriore) e anche dalla filosofia del progetto. Nel caso in cui non possa
essere possibile una partecipazione economica, si possono comunque esplicitare altre forme di
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partecipazione non economiche o condivisione dei principi, esplicitando nello statuto (se associazione)
o attraverso strumenti contrattualistici (se soggetti societari).
2.3.2. Le regole interne e gli aspetti organizzativi
Il regolamento interno è un contratto tra i membri del gruppo: esso definisce le regole del gioco, la
distribuzione di compiti e responsabilità. Ma un'altra importante funzione è che diventa il garante delle
procedure. Infatti, in caso di conflitti, o di mancato rispetto delle regole, dovrebbe essere il referente ultimo e
a volte anche una sorta di arbitro o di conciliatore.
Un regolamento interno per essere valido (ma ancora più per essere usabile ed efficie nte), deve essere
stato redatto in un clima di elevato consenso e raccogliere l'approvazione su tutti gli articoli proposti.
L'accordo è formalizzato con la firma di tutti i membri del gruppo.
Nella maggior parte dei casi, è redatto all’inizio della vita del progetto, quando l’esperienza è ancora limitata
e i conflitti stanno nascendo. L'idea è quella di tentare , nella scrittura del regolamento, di prendere in
considerazione la massima casistica di criticità, prima che si verifichino. Il regolamento interno ovviamente
può avere bisogno di evolversi: non è immutabile, non è una legge. Quello che era considerato adeguato in
fase di avvio può non essere più adatto dopo alcuni anni di vita insieme; occorre, quindi, prevedere modalità
di revisione, ricordando che il regolamento non sostituisce un dibattito di fondo sull’organizzazione interna.
Gli obiettivi sono, quindi, di impostare una filosofia generale, confrontare i progetti di ciascuno e raggiungere
un accordo soddisfacente per tutti, anticipare per evitare malintesi e criticità che potrebbero accadere.
Un regolamento interno non ha valore legale. La sua autorevolezza è nella buona fede dei firmatari ed è
proprio per questo motivo che deve essere redatto insieme da tutti i partecipanti (chiaramente, chi è più
esperto può redigere una prima bozza, che deve comunque essere letta e discussa con l’intero gruppo),
condiviso e approvato da tutti.
A seconda della forma giuridica scelta, gli strumenti per regolamentare la vita e i rapporti nell’ambito del
progetto collettivo dovranno essere coerenti con gli altri eventuali documenti fondativi (come ad esempio
uno Statuto) creando con essi stessi un collegamento diretto.
Si riportano nel box sottostante una serie di elementi che dovrebbero essere inseriti nel regolamento
interno.
Figura 7 – L’organizzazione: i punti da inserire nel regolamento interno
L’OGGETTO
Regolamento: oggetto, finalità, contesto di applicazione, data e modalità di revisione; sanzioni nel caso di non rispetto del
regolamento e motivi per l’esclusione dal progetto (quali il mancato rispetto delle consegne e dei conferimenti, la non
partecipazione alle riunioni e ai Consigli d’Amministrazione, il mancato rispetto dei principi fondativi, il mancato pagamento di
quote di adesione: normalmente viene indicato un limite di tolleranza oltre il quale vengono poi applicate le sanzioni).
IL PROGETTO E IL C ONTESTO DI RIFERIMENTO
Missione e filosofia del progetto.
Obiettivi del gruppo e del progetto , principi fondativi, territorio di riferimento.
Eventuale accenno alla normativa di riferimento (sicurezza, igiene, vendita diretta, ecc.).
Assicurazioni sottoscritte dal punto vendita (responsabilità civile intossicazione alimentare, responsabilità civile per incidenti
all’interno del punto vendita, fur to, rottura ve tri, incendi, tubature acqua, ecc.).
I PARTECIPANTI, LA GAMMA DEI PRODOTTI, LA QUALITA’, I PREZZI
Partecipanti: definizione di soci/associati, tipologie previste e relativi ruoli.
Modalità di partecipazione: partecipazione alla gestione del negozio; ruoli (prevedere un piano per la definizione dei compiti);
principi su cui si basa la collegialità delle decisioni; responsabilità del singolo produttore sulla qualità dei propri prodotti e
redazione di un “quaderno di trasparenza”; impegno a consegnare i prodo tti con regolarità; esplicitazione della responsabilità del
21
singolo produttore sul prodotto fino al consumatore, sottoscrizione di un’assicurazione di responsabilità civile che includa i rischi
di intossicazione alimentare, presenza per il tempo concordato presso il punto vendita.
Riferimento all’applicazione del principio di non concorrenza: dettaglio su modalità di gestione dei rappor ti tra soci per
prodotti della stessa tipologia.
Prodotti: principi di qualità su cui si fonda il progetto collettivo, moda lità di gestione delle forniture ( tempi, calendario delle
consegne, redazione di un piano di fornitura per stagione); modalità di gestione delle mancate consegne ( prevedere possibili
soluzioni per la mancata consegna a seconda che sia occasionale oppure continuativa, ricordare il rappor to di fiducia, di
responsabilità nelle consegne e di trasparenza tra i soci, che devono essere sempre aggiornati in caso di problemi; indicare se
esiste la possibilità di affidarsi a ter zi se il socio non riesce a garantire la consegna).
Modalità di pagamento: conferimenti, tempi, gestione, regole.
Modalità di gestione rapporti con eventuali soggetti fornitori: definizione di soggetto fornitore, accenno al rappor to
collaborativo e di fiducia che sussiste tra soci e soggetti fornitori; impegno nel rispetto dello statuto e/o del regolamento interno;
modalità di ammissione e di gestione del rappor to con i soci in rappor to alle vendite e al prodotto conferito (es. nel caso in cui le
vendite del fornitore superino una certa percentuale, si può valutare di proporlo come socio); impegni e responsabilità del
fornitore (redazione di un “quaderno di trasparenza” dei prodotti, durata minima della collaborazione, defini zione di una lista di
prodotti, regolarità nelle consegne e nella qualità dei prodotti, par tecipazione agli eventi e attività di animazione organizzate,
sottoscrizione di un’assicurazione di responsabilità civile).
Definizione del prezzo di vendita: esplicitare la politica dei prezzi (gli stessi che in altri circuiti commerciali? Più bassi? Più
elevati? Prezzo del prodotto presso il punto vendita e presso gli altri canali utilizzati dallo stesso produttore ?), modalità di
definizione del prezzo.
Nuovi soci/associati: definire le modalità di ingresso di nuovi soci.
Aspetti finanziari: definizione dei margini di vendita, loro utilizzo, eventuali quote trattenute.
IL PUNTO VENDITA
Gestione del punto vendita: orario di apertura, presenza minima richiesta ai soci presso il punto vendita, modalità di gestione
delle aper ture e chiusure.
Ruoli e responsabilità di chi è presente presso il punto vendita: definire i ruoli e le responsabilità (es. rappresenta tutti i
produttori e deve conoscere tutti i prodotti, accoglie i clienti, occorre definire responsabilità e attività per l’apertura e chiusura del
punto vendita, prevedere modalità di gestione della cassa, il controllo della pulizia, dell’igiene, dell’ordine del punto ven dita,
verifica dell’etichettatura e dell’esposizione dei prodotti, eventuale compilazione di un “diario della giornata ” con lamentele,
osservazioni, ecc.).
Personale: esplicitare se è prevista l’assunzione di per sonale, eventuali ruoli e compiti, modalità di assunzione e coinvolgimento
nell’attività.
Consegne e produttori: modalità di gestione operativa, etichettatura dei prodotti, collocazione sui banconi, verifica della qualità
del prodotto alla consegna, rispetto della nor mativa vigente, degli orari delle consegne; l’imballaggio specifico per i prodotti viene
fornito dal produttore, mentre il punto vendita può fornire l ’imballaggio per le consegne, per la vendita al cliente, ecc. Di solito nel
caso di fur to di prodotti è il punto vendita che, secondo il principio di solidar ietà, si fa car ico della spesa.
Gestione della cassa: individuare le modalità di gestione della cassa; specificare le modalità e il responsabile per la creazione
dei codici da abbinare al produttore e al singolo prodotto.
FIRME DEI SOCI, DATA, LUOGO
2.3.3. Comunicare all’interno : consigli e strumenti operativi
La capacità di stabilire un’efficace comunicazione interna è uno dei fattori chiave di successo. A questo
scopo vengono proposti e utilizzati diversi strumenti.
Le differenze tra le persone sono inevitabili, così come anche gli eventuali attriti, ma occorre trovare le
modalità per uno scambio attivo e condiviso, senza volere imporre un punto di vista o un altro. Due
atteggiamenti sono auspicabili:
- riconoscere che ogni membro non può dirigere in toto la rotta del gruppo, ma occorre sostenere la
democraticità e la condivisione del progetto verso un approccio di investimento comune e la
collaborazione;
22
- riconoscere che le differenze esistono e che occorre muovere nella direzione dell’integrazione, non
della cooptazione.
Un gruppo rischia di collassare se ha troppo accumulo di “non detto”, di frustrazioni stagnanti e non
dichiarate. Ogni membro ha il diritto, e anche il dovere, di costruire un’opinione propria di commento e
suggerimento attivo verso tutto ciò che riguarda l’organizzazione generale della vita del gruppo.
Scegliere come approccio quello della critica costruttiva potrebbe inoltre permettere a tutto il progetto di
accelerare. Ma le critiche per essere di tipo costruttivo e non solo distruttivo devono sempre avere una
proposta alternativa e concreta a ciò che viene giudicato non adeguato. Se ognuno segue le regole
dell’ascolto attivo e usa la critica costruttiva, con rispetto l'uno dell'altro, non c'è ragione di non parlare.
Volere conservare a tutti i costi uno sviluppo armonioso e un clima di apparente coesione potrebbe portare
a un accordo solo superficiale e non condiviso, che sarà sicuramente fonte di conflitti futuri. Le differenze
espresse, ascoltate, rispettate possono sempre fornire una riflessione più approfondita e gli strumenti per
accordi veri e metabolizzati, anche a partire da posizioni molto distanti. Le critiche iniziali e di percorso
rappresentano una garanzia di successo per la decisione finale.
Ognuno deve potere esprimere il proprio parere, altrimenti si creano distorsioni e frustrazioni e si
indebolisce l’efficienza stessa del gruppo. È evidente che le minoranze debbano non solo avere voce, ma
anche essere ascoltate attivamente. La modalità di espressione e di critica dovrebbe essere ben strutturata
e integrata nei regolamenti operativi.
In questo senso si propongono almeno due strumenti.
Incontri di gruppo. Regolarmente, i gruppi si incontrano per fare il punto in una riunione (di solito mensile),
durante le quali vengono affrontati diversi argomenti: problemi di gestione corrente, la pianificazione delle
presenze presso il punto vendita, le operazioni future, ecc... Questi incontri sono adatti per la
comunicazione, l’informazione e per attivare il processo di decisione collettiva; dovrebbero essere cruciali in
quanto diventano il luogo fisico di condivisione. Sarebbe opportuno individuare una persona responsabile
per l'agenda, le note, il verbale delle decisioni. Si ricorda, inoltre, che presso alcune esperienze francesi si
utilizza una sorta di “agenda”, sulla quale il personale o i produttori presenti in negozio, tutti i giorni,
annotano osservazioni, consigli, lamentele. Questo può essere utile per impostare un ordine del giorno nel
corso delle riunioni.
Il sistema dei pannelli. In ogni ufficio si trova spesso una lista di connessione o pannelli che consentono lo
scambio informativo e di discussione. Per questo strumento è rilevante la precisione (tempi, modi..), ma
soprattutto la chiarezza immediata delle informazioni, le indicazioni di chi e quando le imposta e la richiesta
di un ritorno. Il vantaggio del pannello è che tutti lo leggono e che ricorda in modo rapido e chiaro le cose;
inoltre si tratta parole scritte che restano chiare in caso di contestazione, o di dimenticanza. Anche per
questo, occorre chiarire bene a tutti il ruolo dei pannelli, quello che è richiesto o permesso registrare, e
l'obbligo di lettura.
23
2.4. Dare forma al gru ppo
2.4.1. Lo status giuridico
Per gli attori di una proposta di vendita diretta collettiva, la scelta dello status giuridico è un passo difficile e
importante nella strutturazione del gruppo.
La condizione giuridica è la forma, l'involucro esterno del progetto collettivo. Questo permette di dichiarare
la sua esistenza, per essere riconosciuti da parte di enti pubblici e privati. La scelta di questo status non è
banale, crea obblighi, fornisce un quadro di riferimento normativo, impone alcune regole di funzionamento e
ha implicazioni per ciascuno dei membri del gruppo.
Per scegliere una forma giuridica si devono avere chiari tutti gli elementi in gioco e le azioni che si
intendono sviluppare al fine di valutare le implicazioni e le conseguenze.
Un punto collettivo, infatti, può essere costituito da singole aziende o avere una forma societaria, oppure
può essere solo l'estensione di ciascuna azienda. Ma resta fermo che un’organizzazione collettiva di
vendita assume i principi di non delega alla vendita e di gestione collettiva.
Se si intende creare un soggetto giuridico occorre avere chiare alcune questioni:
- Quale è la missione? Quale l’obiettivo comune?
- Quali sono i principi e i reciproci diritti e doveri?
- Che tipo di rappresentanza?
- Chi sono i nostri clienti, quali i loro bisogni, le loro richieste?
- Quali richieste, responsabilità, procedure amministrative?
- Quale è la migliore posizione fiscale?
Attualmente sono diverse le forme giuridiche utilizzabili per strutturare punti vendita collettivi.
Evidentemente tutte, da quelle societarie al modello di associazione, comportano vantaggi e svantaggi,
come viene riassunto nella figura seguente.
24
Figura 8 – Possibili forme giuridiche per punti vendita collettivi
FORMA SOCIETARIA
Vantaggi
Svantaggi
Ditta individuale
No spese di costituzione
Minimi obblighi di tenuta contabilità
Completa autonomia gestionale
Responsabilità illimitata
Non è una forma collettiva
Adatta solo a un gestore
Società semplice
No obblighi per la stipula dell’atto sociale
No capitale minimo
Non può esercitare attività commerciale
Società in nome collettivo
Pochi obblighi contabili
Nessun capitale minimo
Responsabilità illimitata e solidale
Il fallimento ricade sul socio
Società in accomandita
semplice
Pochi obblighi contabili
Nessun capitale minimo
Responsabilità limitata per i soci accomandanti
Responsabilità illimitata per i soci
accomandatari
Società a responsabilità
limitata
Responsabilità limitata per i soci
Flessibilità di gestione
Tassazione sul reddito della società
Capitale sociale minimo di € 10.000
Obbligo alla tenuta della contabilità
Società per azioni
Responsabilità limitata per i soci
Flessibilità di gestione
Possibilità di ricorrere al mercato del credito
emettendo titoli
Capitale minimo di € 120.000
Rischio speculazioni
Obbligo al collegio sindacale
Gestione molto complessa
Società in accomandita per
azione
Responsabilità limitata per i soci
Tassazione sul reddito della società
Possibilità di ricorrere al mercato del credito
emettendo titoli
I soci accomandanti sono limitatamente
responsabili
Capitale minimo di € 120.000
Rischio speculazioni
Obbligo al collegio sindacale
I soci accomandatari sono illimitatamente
responsabili
Gestione molto complessa
Società cooperativa
Capitale sociale variabile
Tassazione molto vantaggiosa e par te degli
utili non vengono sottoposti a tassazione
Limiti stringenti alla distribuzione degli utili
Obbligo di devolvere, allo scioglimento, la
residua par te di patrimonio
Associazione
Elevata democraticità interna
Costi e obblighi amministrativi limitati
Nessun capitale minimo
Difficoltà per la gestione di attività commerciali
Obbligo di devolvere il patrimonio allo
scioglimento
Difficoltà per eventuale distribuzione di ricavi
Fermo restando che la scelta della forma giuridica spetta al gruppo di produttori, non avendo a disposizione
gli elementi che potrebbero personalizzare la proposta (le caratteristiche del territorio, l’ubicazione, i
componenti del gruppo e le loro produzioni da cui derivano la “filosofia”, l’organizzazione, le finalità dei
promotori, la predisposizione dei partecipanti, le risorse disponibili), in estrema sintesi si possono
individuare due tipologie di possibilità gestionali che rispecchiano finalità e differenti filosofie:
- una struttura basata sulla cooperazione e la partecipazione degli aderenti, con attività di animazione
“standard”, che si pone obiettivi commerciali e che potrebbe avere come forma giuridica quella di una
cooperativa o di una srl; il target potrebbero essere turisti e in parte clienti locali;
- una struttura che si pone obiettivi non solo commerciali, ma anche sociali, educativi, d i valorizzazione
del territorio e che si rivolge soprattutto a una clientela locale e affezionata e in secondo luogo ai turisti;
25
in questo caso la gestione potrebbe avvenire ad esempio tramite un’associazione, tenendo conto delle
forti rigidità illustrate 4 nella Figura 8.
Figura 9 – Tipologie e categorie di cooperative
A seconda del tipo di rapporto mutualistico che intercorre tra la cooperativa e il socio, si evidenziano tre tipologie di
cooperative così come individuate dalla legislazione vigente: cooperative di utenza (svolgono la loro attività in favore
dei soci, consumatori o utenti, di beni e servizi); cooperative di lavoro (si avvalgono, nello svolgimento delle loro
attività, delle prestazioni lavorative dei soci) e cooperative di conferimento (si avvalgono, nello svolgimento delle loro
attività, degli apporti di beni e servizi da parte dei soci).
Le cooperative, inoltre, vengono classificate in categorie anche a seconda dell'attività svolta. Le principali categorie
sono:
- cooperative di consumo (per assicurare ai soci-consumatori la fornitura di beni, a prezzi più contenuti di quelli
correnti di mercato);
- cooperative di produzione e lavoro;
- cooperative agricole (costituite da coltivatori che svolgono sia attività diretta di conduzione agricola, sia attività
di commercializzazione e trasformazione dei prodotti agricoli conferiti dai soci);
- cooperative edilizie di abitazione;
- cooperative di trasporto;
- cooperative della pesca;
- cooperative di dettaglianti (costituite da soci imprenditori che svolgono attività nel settore del commercio ai
quali garantiscono servizi di acquisti collettivi, amministrativi, finanziari);
- cooperative sociali (quelle che gestiscono servizi socio-sanitari ed educativi dette di tipo A; quelle che svolgono
attività finalizzate all'inserimento di persone svantaggiate dette di tipo B).
2.4.2. Attività agricola e vendita diretta
Il Legislatore nazionale ha ritenuto indispensabile fornire alle imprese agricole una strumentazione
normativa in grado di supportare la loro propensione ad assumere il nuovo ruolo di soggetto vocato alle
relazioni con l’esterno. Da tali presupposti, infatti, trae origine la riforma della definizione giuridica di attività
agricola contenuta nella “legge di orientamento e modernizzazione del settore agricolo” (decreto legislativo
18 maggio 2001, n. 228). Nello specifico, si consente all’imprenditore agricolo di esercitare , oltre alle attività
di coltivazione o allevamento, anche la manipolazione, la conservazione, la trasformazione, la
commercializzazione e la valorizzazione dei prodotti agricoli, a condizione che dette attività riguardino
prevalentemente i prodotti derivanti dalla coltivazione del proprio fondo o dall’allevamento dei propri animali.
Inoltre, si consente all’imprenditore agricolo di fornire beni o servizi.
Sono quindi agricole anche le attività che precedono la commercializzazione dei prodotti agricoli, purché
esercitate dal medesimo imprenditore che li produce, con la possibilità riconosciuta a quest’ultimo di
integrare la propria produzione con prodotti altrui in misura, tuttavia, non prevalente. Il riferimento è alla
manipolazione, conservazione, trasformazione e valorizzazione.
Con l’articolo 1 del decreto legislativo n. 228 si è chiarito definitivamente che deve considerarsi comunque
agricola la commercializzazione dei propri prodotti, effettuata sia direttamente al consumatore sia a
commercianti o industriali trasformatori, poiché realizza il collegamento con il mercato che è elemento
fondamentale dell’impresa agricola come di tutte le altre imprese. Ai fini della qualificazione dell’attività di
commercializzazione come agricola è richiesto in primo luogo un collegamento soggettivo e l’attività deve
Si ricorda, infatti, che in Italia le associazioni devono avere finalità no-profit; l’associazione consente l’attività commerciale solo
se essa rappresenta una minima par te dell’attività complessiva, in un contesto in cui sono prioritarie le funzioni sociali, e ducative,
culturali o di gestione del territorio in favore della comunità.
4
26
essere svolta dallo stesso soggetto già qualificabile come imprenditore agricolo. Inoltre si richiede un
collegamento aziendale, di carattere oggettivo, individuato nella circostanza che i prodotti provengano
prevalentemente dalla attività agricola principale. Per effetto di questa definizione, è evidente la possibilità
per l’imprenditore agricolo di poter alienare i propri prodotti affiancando alla sua produzione aziendale
anche prodotti agricoli acquistati, in forma non prevalente, sul mercato.
Circa il significato della prevalenza va affermandosi una interpretazione nel senso che vi sia prevalenza
sulla base di un confronto in termini quantitativi tra i prodotti interni e i prodotti acquistati da terzi. Nei casi in
cui sia necessario confrontare prodotti di comparti diversi, la verifica avviene in termini di valore.
Nel qualificare come agricola l’attività di commercializzazione, la Legge di orientamento ha introdotto novità
anche nella disciplina dell’attività di vendita diretta. Con l’articolo 4 si prevedono regole in ordine agli aspetti
procedurali e all’ambito applicativo della disciplina di detta attività. In sintesi, le principali innovazioni
possono così riassumersi:
- possibilità per “gli imprenditori agricoli, singoli o associati” di esercitare la vendita diretta dei “prodotti
provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende”;
- diritto di esercitare la vendita diretta “in tutto il territorio della Repubblica” “previa comunicazione” al
Comune, “decorsi trenta giorni dal ricevimento della comunicazione”;
- possibilità di esercitare la vendita dei prodotti agricoli anche attraverso la modalità del “commercio
elettronico”;
- estensione della disciplina prevista dall’articolo 4 anche alla “vendita di prodotti derivati, ottenuti a
seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici”;
- se l'ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dall’azienda nell'anno
solare precedente sia superiore a euro 160.000 per gli imprenditori individuali o a 4 Meuro per le
società, si applicano le disposizioni sul commercio 5.
Risulta quindi ampliato l’ambito di applicazione della disciplina e si consente all’imprenditore agricolo di
poter usufruire della semplificazione delle procedure, anche se intende commercializzare prodotti non
provenienti dalla propria attività aziendale, seppur non prevalenti rispetto a quelli propri, ovvero derivati e
ottenuti dalle attività di manipolazione o trasformazione inerenti il ciclo produttivo dell’impresa, senza
doversi munire di ulteriori atti autorizzatori oltre quello che abilita alla vendita diretta.
In ordine agli aspetti procedurali, si introduce la previa comunicazione al posto della autorizzazione
comunale, prevista sino al 2001, disponendo che la vendita può essere effettuata decorsi trenta giorni dal
ricevimento della comunicazione. Inoltre, per la vendita esercitata su superfici all’aperto nell’ambito
dell’azienda agricola o di altre aree private di cui gli imprenditori agricoli abbiano la disponibilità non è
richiesta la comunicazione di inizio attività.
In ordine alla questione degli orari di vendita, viene superata l’applicazione all’attività di vendita diretta di
prodotti agricoli dell’obbligo di chiusura domenicale e festiva.
Per l’ampliamento delle possibilità di vendita di prodotti provenienti da un'altra azienda (che non devono comunque superare il
49% del fatturato), la Finanziaria 2007 indica che gli 80 milioni di lire sono sostituiti dai 160 mila euro e i 2 miliardi di lire sono
sostituiti dai 4 milioni di euro. In questo modo risultavano quadruplicati i tetti di ricavo oltre i quali l’agricoltore è so ttoposto alle
norme sul commercio.
5
27
Figura 10 – Vademecum di sintesi sulla vendita diretta
Descrizione: per vendita diretta di prodotti agricoli si intende l’attività esercitata dagli imprenditori agricoli, singoli o associati, che
vendono direttamente al pubblico i prodotti provenienti in misura prevalente dalla propria azienda agricola. Possono essere
addetti all’attività di vendita l’imprenditore agricolo e i suoi familiari nonché i lavoratori dipendenti.
Luogo: l’attività può essere svolta nel luogo di produzione utilizzando una struttura di vendita; in una struttura di vendita (negozio
o spazio all’interno di un negozio) diversa dal luogo di produzione.
Requisiti: il possesso dei requisiti morali previsti e l’assenza di pregiudiziali ai sensi della legge antimafia.
Requisiti oggettivi: l’attività deve essere esercitata presso immobili che posseggono i requisiti urbanistico-edilizi, igienicosanitari, di pubblica sicurezza e che rispettano le vigenti disposizioni in materia di vigilanza antincendi.
Domanda: per aprire o modificare l'attività di vendita diretta in luogo di produzione occorre presentare una comunicazione al
comune del luogo dove ha sede l'azienda di produzione; decorsi 30 giorni dal ricevimento della comunicazione l'attività può
essere iniziata. Per aprire o modificare l’attività di vendita diretta in un luogo diverso da quello di produzione occorre presentare,
una segnalazione cer tificata di inizio attività, completa della necessaria documentazione.
2.4.3. Indicazioni normative di sintesi sul commercio
Come si è visto, secondo la normativa illustrata nel paragrafo precedente, il produttore agricolo (impresa o
cooperativa) che svolge attività di vendita diretta può godere, seppur entro certi limiti, di una serie di
agevolazioni in termini fiscali e commerciali. Nel momento in cui il produttore esce da questi parametri
(come forma giuridica o come modalità di commercializzazione, vale a dire se non si effettua solo vendita
diretta, ma anche vendita di altri prodotti, quali editoria, artigiano o la vendita di bevande e di alimenti)
occorre tenere presente le indicazioni normative specifiche.
In particolare, la riforma del commercio, introdotta dal decreto legislativo n. 114 del 31 marzo 1998, ha
modernizzato il settore adeguando la normativa a quella della maggior parte de i paesi europei.
Oggi la procedura da seguire per poter aprire un negozio è semplice. La legge Bersani ha liberalizzato
infatti il commercio. In sostanza, dal 2006, chiunque può aprire un negozio facilmente se inferiore ai 250 mq
di superficie e destinarlo alla vendita di qualunque cosa, purché sia legale. Sopra i 250 mq di superficie
resta la necessità della licenza.
I riferimenti normativi principali sono: decreto legge n. 223 del 2006 e relativa legge di conversione n. 248
del 2006; secondo pacchetto Bersani, ovvero decreto legge n. 7 del 31 gennaio 2007 e legge di
conversione n. 40 del 2007. L'esercizio di qualunque attività di vendita al dettaglio su aree private è inoltre
subordinato al rispetto delle norme relative ai regolamenti di polizia urbana, annonaria e igienico-sanitaria,
dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche nonché di quelle relative alle destinazioni d'uso, che può
essere autocertificato.
Per esercitare l'attività commerciale occorre essere in possesso di alcuni requisiti soggettivi previsti dall'art.
5, commi 2 e 4, del decreto legislativo 114/98.
Per il settore alimentare, occorre avere frequentato, con esito positivo, un corso professionale per il
commercio relativo al settore merceologico alimentare, istituito o riconosciuto d alla Regione. In caso di
società, il possesso dei requisiti professionali è richiesto con riferimento al legale rappresentante o ad altra
persona specificamente preposta all'attività commerciale.
Gli esercizi di vendita di alimenti e bevande non necessitano di autorizzazione sanitaria (è sufficiente
richiedere all'ASL un semplice nulla osta) ma sono tuttavia tenuti a rispettare i requisiti igienico -sanitari e
devono essere forniti di idonei mezzi di conservazione degli alimenti (ved. D.P.R. 327/80). L'autorizzazione
sanitaria è invece necessaria per tutte le attività che forniscono al pubblico alimenti preparati, cotti o
comunque manipolati (quali ad es. ristoranti, bar, trattorie, pizzerie, panifici, latterie, cantine, ecc.).
28
Inoltre, i prodotti alimentari confezionati, destinati al consumatore, devono riportare le seguenti indicazioni:
- la denominazione di vendita;
- l'elenco degli ingredienti;
- la quantità netta;
- il termine minimo di conservazione;
- il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede del fabbricante;
- la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento;
- il titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande alcoliche;
- una dicitura che consenta di identificare il lotto di appartenenza del prodotto;
- le modalità di conservazione e di utilizzazione;
- le istruzioni per l'uso, ove necessario;
- il luogo di origine o di provenienza, nel caso in cui l'omissione possa indurre in errore.
29
2.5. Localizzazione della st ruttura
Il primo e più importante problema di un esercizio commerciale è l’individuazione del luogo dove svolgere la propria
attività e tale aspetto rappresenta una decisione complessa per tutte le imprese.
In particolare per un’impresa commerciale la scelta della propria localizzazione è critica per l’entità e la composizione
dei flussi di domanda. La possibile concorrenza è un ulteriore fattore importante e si articola su due livelli distinti e
complementari:
- la concorrenza tra insegne: offrire prodotti convenienti, originali e di qualità elevata conquistando la preferenza
del pubblico;
- la concorrenza tra punti vendita: ossia localizzare il punto vendita in siti facilmente accessibili dal pubblico,
tenendo presente che il consumatore tende sempre a recarsi in punti vendita il più possibile vicino alla sua zona
di residenza.
Per aprire un punto vendita bisogna tener conto inoltre di alcuni aspetti specifici:
- attinenza dell’area considerata al business;
- la presenza di eventuali concorrenti;
- il numero e il tipo di consumatori che frequentano quella zona;
- l’influenza esercitata nei confronti delle leve del marketing mix: perché a seconda della zona in cui aprirà il punto
vendita dovranno essere avviate strategie commerciali o iniziative di comunicazione diverse;
- la scelta del format del nuovo punto vendita in relazione al target di c onsumatori previsto.
Le fasi principali nella scelta della localizzazione fisica sono:
- la definizione dell’area, vale a dire raccogliere informazioni sulle caratteristiche dell’area da cui proverrà la
clientela, valutando la sua estensione e la sua forma. In questo senso si definisce l’area commerciale come la
parte del territorio da cui proviene la clientela escludendo quella a carattere occasionale;
- la valutazione dell’area in senso economico, cioè determinare quale è l’entità della domanda, attraverso
indicazioni sul mercato potenziale e sul mercato reale;
- l’individuazione del sito: ossia localizzare con precisione il luogo in cui avviare l’iniziativa commerciale,
utilizzando alcuni parametri come la presenza di abitazioni o luoghi di lavoro, i flussi di traffico, la presenza di
altri punti vendita di beni complementari, la presenza di aree parcheggio libere/gratuite.
Nel caso del punto di vendita collettivo si evidenzia che la priorità assoluta dal punto di vista della localizzazione è
avere una buona accessibilità.
Oltre a questo, si possono evidenziare almeno tre differenti tipologie di scelta operativa di localizzazione, da verificare
in termini di efficacia ed efficienza, quando definiti gli step precedenti:
- localizzazione lungo vie di comunicazione rilevanti (nodi autostradali e ferroviari) e presso centri rilevanti,
cercando il maggiore bacino possibile di clienti potenziali, anche solo di passaggio;
- localizzazione presso il fondovalle, in linea con le peculiarità di un progetto di questo genere e puntando su una
clientela più attenta e fidelizzata;
- in alternativa si può anche valutare una localizzazione in centri abitati di piccole dimensioni, nel caso in cui il
gruppo di agricoltori decida di dedicarsi non solo all’attività commerciale, ma anche ad attività di tipo sociale o di
gestione del territorio e puntare quindi a una clientela locale e affezionata.
30
2.6. Fattibilit à economica e fin anziaria
2.6.1. Stima di massima del costo di realizzazione
Si riporta di seguito un’indicazione di massima in relazione al costo di realizzazione complessivo di una
struttura di vendita. La stima è stata condotta a partire da analisi di fattibilità per strutture analoghe a quella
proposta, sia in termini di finalità, appunto il processo di vendita, sia in termini di esigenze strutturali.
Nella stima si intende una struttura di vendita comprensiva anche di un eventuale punto di degustazione.
Figura 11 – Previsioni dei costi di realizzazione del punto vendita
Attività
Importo
Punto Vendita: attrezzature
€ 90.000
Area Degustazione: attrezzature
€ 80.000
Pannellistica (interna ed esterna)
€ 40.000
Totale
€ 210.000
Si è ipotizzato che il punto vendita sia realizzato in due ampi locali con un ingresso dalla strada e un retro
dove è prevista un’area magazzino dove sia possibile lo stoccaggio dei prodotti.
L’intervento previsto è un completamento della struttura mediante arredi e attrezzature durevoli necessarie
per rendere la struttura fruibile e idonea all’attività di vendita.
Nello specifico la realizzazione dell’area di vendita potrebbe strutturarsi in questo modo:
- allestimento e arredamento dell’area di vendita posta al piano terra dell’edificio;
- arredamento del magazzino di ricevimento merci, posto nel locale seminte rrato e collegato al punto
vendita mediante montacarichi;
- arredamento del locale adibito alla degustazione di piatti e bevande.
In particolare l’intervento prevede una parte di arredi e attrezzature per l’area magazzino e una parte per
l’area vendita, come di seguito riportato:
area di vendita – magazzino:
- scaffalature generiche;
- celle frigorifere;
- scaffalature in inox per celle frigorifere.
area di vendita - punto vendita:
- banconi frigo (carni, formaggi, frutta e verdura);
- espositori frigo per prodotti confezionati;
- scaffalature legno;
- bilance, affettatrici, attrezzature per sottovuoti;
- banconi da lavoro in inox e lavatoio;
- piccola attrezzatura (coltelleria, prezzatrice, carrelli, taglieri, sterilizzatore);
- arredamenti area cassa e piccolo ufficio.
31
Riguardo all’area degustazione si prevede la realizzazione di un locale in cui sia possibile sostare per
degustare i prodotti esitati alla clientela di passaggio al punto vendita.
In particolare l’intervento prevede l’acquisizione delle seguenti attrezzature:
- armadio frigo;
- lavastoviglie;
- lavabicchieri;
- cantinetta refrigerata per bianchi;
- tavolini, bancone e sedie;
- armadi d’arredo;
- attrezzature varia (espositori, forni , robot cucina, scaldavivande, minute da cucina, affettatrice,..).
Sono da prevedere inoltre:
- eventuali costi di acquisizione delle aree con assenso dei proprietari;
- eventuali costi per l’affitto (o per un mutuo) della struttura;
- eventuali oneri aggiuntivi a carico del comune (opere di urbanizzazione, adeguamento infrastrutture,
trasferimenti occupanti e attività, ecc.);
2.6.2. Sostenibilità finanziaria : uscite ed entrate stimabili
Sulla base delle analisi dei bilanci di diverse realtà, collocate soprattutto nel territorio della provincia di
Torino e Cuneo, ossia di punti vendita di prodotti tipici, è possibile effettuare una stima dei costi di gestione
del servizio.
Il quadro temporale di riferimento è stimato a titolo indicativo in quattro esercizi. Il quarto anno è dunque
considerato come l’entrata a regime del progetto. Come possiamo notare dalle figure seguenti, si prevede
che nei primi tre anni di attività il punto vendita sia in perdita essendo necessario avviare l’attività per
ammortizzare le spese di apertura della struttura che già al quarto anno di attività si ipotizza produrrà un
ricavo netto di 3.000 euro, puntando sulle strategie comunicative pianificate e sulla capacità di rendersi
visibili e connotarsi come esercizio di qualità sul territorio.
Figura 12 – Previsione entrate/uscite del punto vendita
Dettaglio
1° anno
2° anno
3° anno
4° anno
Personale fisso 1 unità
24.000
24.000
24.000
24.000
Personale occasionale (1 Unità)
12.000
12.000
12.000
12.000
Utenze (elettricità, acqua,gas, etc)
20.000
20.000
25.000
25.000
8.000
10.000
12.000
14.000
10.000
10.000
12.000
13.000
Riparazioni,manutenzioni
8.000
8.000
8.000
8.000
Investimenti imprevisti
7.000
5.000
Totale spese annue
89.000
89.000
93.000
96.000
Fatturato punto vendita
150.000
200.000
220.000
240.000
Fatturato degustazione
20.000
20.000
25.000
25.000
170.000
220.000
245.000
265.000
Assicurazioni , Imposte
Materiali di consumo
Totale fatturato annuo
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Si sottolinea, inoltre, che non sono stati inseriti in tabella i seguenti costi, data l’impossibilità di stimare una
cifra adeguata in mancanza di informazioni specifiche:
- costi per l’acquisizione / utilizzo dell’immobile;
- ammortamento di beni durevoli di proprietà;
- accantonamento per eventuali spese straordinarie.
Nella tabella sottostante si illustra il confronto tra il margine lordo 6 di vendita (che rappresenta il 35% del
fatturato del punto vendita) e il margine lordo delle degustazioni (che rappresenta il 60% del fatturato totale
delle degustazioni, in quanto permette margini di utili più elevati rispetto alla vendita).
Come è noto il margine lordo è una grandezza contabile che evidenzia il reddito di un’azienda o, come nel
nostro caso, di un processo, al netto principalmente delle voci di costo relative all’approvvigionamento o alla
produzione dei beni e dei servizi e al personale. In sintesi, si è provveduto a sottrarre alle previsioni di
fatturato una stima, espressa in percentuale, delle voci di costo relative ai prodotti e al personale, per
arrivare a un margine lordo, che dovrebbe dare una indicazione di redditività. Evidentemente, la stima dei
costi dell’attività di vendita è considerata pari al 65% del fatturato e la stima dei costi della degustazione pari
al 40% del fatturato.
L’esercizio qui condotto, in assenza di un progetto reale, e quindi di informazioni analitiche, si basa su
quanto osservato in letteratura e dalla lettura di esperienze il più possibile simili a quanto prevedibile in
questo caso. Come già accennato, nell’ipotesi presentata, peraltro anche in linea con l’esperienza francese,
solo nel corso del quarto anno di attività si stima sia possibile ottenere dei margini di utili positivi.
Figura 13 – Previsione utili del punto vendita
1° anno
2° anno
3° anno
4° anno
Margine lordo vendita (35% fatturato)
Margine lordo degustazione (60% fatturato)
52.500
12.000
70.000
12.000
77.000
15.000
84.000
15.000
Totale attivo
64.500
82.000
92.000
99.000
Costi gestione
89.000
89.000
93.000
96.000
-24.500
-7.000
-1.000
3.000
Margine
Un’ultima nota si può fare in merito alle modalità di reperimento dei fondi. Le strade possono essere quelle
normali di qualsiasi attività imprenditoriale. Sostanzialmente si ricordano tre tipi: sottoscrizione degli
operatori coinvolti, ricorso al mercato del credito, reperimento fondi pubblici. Tuttavia, si devono evidenziare
alcuni meccanismi particolari per il mondo cooperativo: si ricorda che le cooperative sono società a capitale
variabile e che quindi il capitale non è determinato in un ammontare prestabilito, ma varia in ragione della
variabilità del numero dei soci e della loro quota di individuale di partecipazione. Le società cooperative
possono destinare una quota degli utili di esercizio ad aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e
versato. I soci inoltre possono finanziare la cooperativa anche attraverso il cosiddetto prestito sociale, a
condizione che le somme raccolte da ciascun socio rientrino in alcuni limiti legati al tipo di cooperativa, che
Per la presente stima, essendo impossibile strutturare le voci di costo in modo analitico e puntuale, si è fatto ricorso alla stima
della dimensione contabile del margine lordo (ML). Si tratta quindi di un processo di stima di proxy, dove tutte le voci di costo
sono intese in modo for fettario, a partire da progetti simili.
Si ricorda che secondo la teoria, il ML può essere calcolato sommando valore delle produzioni e sottraendo i costi per materie
prime, per servizi, costi per il personale e altri vari costi, secondo le seguenti relazioni.
VA valore aggiunto = VdP − CEdP
ML Margine Lordo = VA − CdP − ACdS
Dove:
• VdP = Valore della produzione
• CEdP = costi esterni di produzione
• CdP = costo del personale
• ACdS = Altri costi di struttura.
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le somme siano destinate esclusivamente al finanziamento delle attività sociale che la cooperativa osservi
sempre i requisiti mutualistici.
2.6.3. Indicazioni sui principali aspetti fiscali
Per quanto riguarda le implicazioni fiscali dell’attività di vendita diretta, vengono di seguito presentati alcuni
aspetti legati alle imposte dirette sui redditi e all’imposta sul valore aggiunto e ai conferimenti, tralasciando
di entrare perciò nel dettaglio degli aspetti fiscali riguardanti altre imposte, accise o speciali regimi di
imposta per particolari tipologie di attività.
In relazione alle imposte sui redditi, il criterio della normalità è sostituito, in aderenza alle novità della
Legge di orientamento, con quello della prevalenza, con oggetto i prodotti ottenuti in gran parte dalla
coltivazione del fondo e dalle altre attività principali. Tuttavia, sotto il profilo fiscale non tutti i prodotti
possono essere dichiarati con il reddito agrario7.
Per tutte le vendite relative ai prodotti “agricoli” non deve essere dichiarato alcun reddito, in quanto lo stesso
è assorbito dal reddito agrario dell’imprenditore nel rispetto della prevalenza. Per gli altri beni che derivano
dalla commercializzazione di prodotti ottenuti prevalentemente dalla attività agricola diretta, il reddito
imponibile è determinato forfettariamente nella misura del 15% dei corrispettivi.
È bene precisare che prima potevano applicare il regime forfettario soltanto gli imprenditori individuali e le
società semplici; oggi è previsto che il regime forfettario possa essere utilizzato anche da società di persone
e da società a responsabilità limitata e cooperative che esercitino esclusivamente attività agricole.
In merito alle imposte sul valore aggiunto, come è noto esistono per l’agricoltura diverse opzioni: regime
ordinario, speciale, semplificato e di esonero.
Il regime ordinario permette agli imprenditori agricoli di comportarsi come tutti gli altri contribuenti.
Il regime speciale prevede l’applicazione delle aliquote ordinarie sulle cessioni dei prodotti, mentre la
detrazione ai fini Iva viene effettuata in modo forfettario, sulla base delle cosiddette percentuali di
compensazione. Il regime speciale si applica a produttori agricoli8 che esercitano individualmente o in forma
associata le attività, e vi rientra anche la commercializzazione di prodotti agricoli acquistati, purché non sia
prevalente rispetto alla commercializzazione di prodotti propri; organismi di intervento in agricoltura;
cooperative di produttori agricoli e loro consorzi.
Il regime semplificato si applica alle imprese agricole con un volume d’affari compreso fra euro 2.582,28 e
euro 20.658,28; il cui volume d’affari sia costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti agricoli negli
elenchi ministeriali.
Il regime di esonero riguarda gli agricoltori che esercitano attività di piccolissime dimensioni e consiste in un
completo esonero dagli obblighi documentali e contabili (fatturazione, registraz ione, liquidazione periodica,
versamento e dichiarazione annuale).
Il conferimento dal socio alla cooperativa o a un’associazione tra produttori al fine della successiva
rivendita sono considerate cessioni di beni. Pertanto, le suddette operazioni si rilev ano ai fini Iva, sono
soggette a fatturazione (o autofatturazione) e costituiscono volume d’affari per il socio. Le cooperative
operano una detrazione forfetizzata determinata in misura al rapporto tra l'importo dei conferimenti dei soci
in regime speciale e l'ammontare complessivo di tutti i conferimenti e acquisti.
Si rinvia all’elenco di prodotti individuati con apposito de creto emanato, ogni due anni, dal Ministero dell’economia e delle
finanze.
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Si osserva che non vi è un richiamo puntuale alla forma societaria o giuridica, ma solo la concetto di produttore imprenditor e
agricolo; in questo senso, vi è applicabilità sia alle persone fisiche che a persone giuridiche, società di persone e capitali.
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2.7. Aspetti di comun icazione e promozione
2.7.1. Attività di divulgazione, promozione e altri servizi
Il punto vendita che si vuole ipotizzare si configura come una realtà inserita e parte integrate del territorio in
cui si colloca. Di conseguenza, oltre all’attività commerciale, sarebbe opportuno che il punto di vendita
diretta collettiva avesse anche finalità di animazione e/o una funzione sociale -educativa, creando elementi
aggiuntivi di qualificazione e quindi favorire un aumento delle vendite.
Tra le attività prioritarie, figurano le degustazioni, con l’allestimento di un’area dedicata presso il punto
vendita. La proposta di prevedere uno spazio per le degustazioni è motivata dal bisogno di potenziare la
capacità propositiva e promozionale della struttura in merito non solo alla vendita, ma anche, e soprattutto,
in relazione alla comunicazione della conoscenza dei prodotti esitati. È indubbiamente un valore aggiunto
dare la possibilità ai clienti di provare il prodotto, assaggiarlo, parlare con il produttore e apprendere la storia
e le tradizioni legate a tale prodotto.
Non è necessario un fitto calendario di degustazioni, ma quello che conta è la regolarità e la qualità delle
iniziative; la capacità delle persone addette alla vendita e alla degustazione e l’attrattività dell’iniziativa
possono fare la differenza e garantire il successo della proposta.
Occorre tenere presente che per poter somministrare e vendere prodotti attraverso le degustazioni è
necessario possedere la licenza per somministrazione di bevande e alimenti disciplinata dal decreto
legislativo 26 marzo 2010 n.59 e dalla legge regionale n. 38/2006.
Per informazioni su questa tematica ci si può rivolgere al Comune, alle Camere di commercio o presso la
Regione Piemonte – Settore Commercio.
Oltre alle degustazioni, si può ipotizzare di abbinare altre attività, più impegnative per certi aspetti, ma che
potrebbero aumentare la visibilità e l’integrazione delle varie funzioni del punto vendita. In questo caso,
occorre prevedere una persona dedicata e preparata per proporre e seguire lo svolgimento e il
coordinamento delle iniziative.
A titolo di esempio si propongono alcune indicazioni:
visite presso le aziende, abbinando attività educative e ricreative: sono un’altra interessante
opportunità, soprattutto per le famiglie. Si possono proporre iniziative di partecipazione e
coinvolgimento della clientela, come “adotta l’animale della fattoria”, oppure “adotta l’albero”, una visita
in azienda nelle differenti stagioni per osservare i cambiamenti della natura e i prodotti agricoli a
seconda del periodo dell’anno, ecc;
corsi e attività formative: per queste attività si consiglia di operare sul territorio non in modo isolato,
ma cercando il contatto e la collaborazione delle associazioni, dei professionisti locali, per organizzare
ad esempio corsi di degustazione, corsi di cucina, incontri per conoscere i piatti tipici, corsi sulla
conoscenza e l’uso delle erbe, manifestazioni nelle aziende agricole del gruppo o presso il punto
vendita;
enfatizzare l’approccio multidisciplinare e la funzione educativa: presentare ai clienti le aziende e
l’attività agricola con un approccio innovativo e costruire l’immagine di un’agricoltura diversa,
multidisciplinare, ricreativa per trasmettere i propri messaggi. Gli strumenti possono essere i più
diversi: il teatro, la musica, l’arte, la comunicazione visiva, ecc. in questo modo si può far “vivere” il
punto vendita e collocarsi sul territorio con un ruolo attivo e propositivo.
Inoltre, possono essere previsti alcuni servizi aggiuntivi, quali la realizzazione di pacchi regalo e confezioni
in occasione di eventi, la distribuzione di documenti informativi (su alimentazione, prodotti tipici, ecc.) o di
ricette, ecc.
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Si può pensare di abbinare anche altre modalità di vendita diretta, quali la vendita on-line o la vendita a
domicilio, collaborare con gruppi di acquisto. È chiaro che tali servizi necessitano di una logistica e di una
organizzazione più strutturata e impegnativa.
2.7.2. Alcuni elementi cardine di comunicazione
Per costruire una proposta di comunicazione adeguata è necessario domandarsi preventivamente quali
temi affrontare; è evidente, infatti, come occorra procedere a un piano di comunicazione mirato e
fortemente relazionato alla missione del progetto, dove contenuti e forma siano coerenti, anche per ridurre
la minimo le spese di comunicazione, che, potenzialmente, potrebbero divenire anche consistenti.
I punti cardine da cui muovere potrebbero essere:
- essere identificati e riconosciuti: definire il nome e i segni di riconoscimento del progetto (approccio
visivo, colore, destinazione) e le linee base di comunicazione (ricerca, progettazione, realizzazione);
- essere visti: eventuale segnaletica, comunicazione con la stampa locale, facciata struttura;
- essere riconosciuti dal cliente in modo chiaro e univoco, fidelizzare il cliente, sfruttare i contatti diretti e
la comunicazione orizzontale del passa parola;
- informare il cliente in modo chiaro e adeguato, raccontare le proprie peculiarità e caratteristiche, fare
attenzione alle etichette e alle informazioni di vendita e post vendita.
L'identità è sicuramente il passaggio cruciale. E l’identità è data non solo dal nome, ma da tutti gli elementi
comunicativi, che devono essere pensati insieme e ben relazionati: design, colori, tipografia, layout grafico,
modalità informative, cartelle stampa, segnaletica, e cc...
In tal senso è necessario orientare una composizione di segni grafici facilmente riconoscibili e utilizzabili,
dal colore di riferimento (ad esempio logo e facciata della struttura in coerenza), font (usare sempre lo
stesso font, cioè il tipo di carattere utilizzato per la scrittura, in tutte le modalità di comunicazione, dalle
brochure alle targhette da scaffale), stile grafico (dai cartelli stradali eventuali, ai pannelli interni, alla
comunicazione diretta). Tutti questi segni devono essere coerenti su tutti i supporti.
Nelle operazioni di comunicazione occorre tenere a mente le attività di analisi che hanno condotto a definire
la missione, il target e la localizzazione. Infatti dovrebbe essere ormai chiaro chi è la clientela target e da
dove arriva, le caratteristiche – leva del progetto. In altri termini occorre focalizzarsi sulla area business
specifica e non ricercare le ultime mode.
Per una struttura di vendita di prodotti agroalimentari, ad esempio, occorre focalizzare l’attenzione su alcuni
strumenti semplici ma particolarmente rilevanti, come:
- segnaletica stradale, che deve essere incisiva, chiara e facile da leggere;
- la struttura stessa, nella facciata e nell’ingresso e negli ambienti stessi;
- un sito web adeguato ai clienti (non serve un sito all’avanguardia, quando il nostro target usa poco
internet…).
Secondariamente, occorre impostare la comunicazione, ma anche e soprattutto l’informazione, su media
immediati e semplici e con l’obiettivo di raggiungere un folto pubblico, quali volantini, mailing, spazi su
stampa locale, possibilmente in modo diretto e non mediato. In questo senso, si deve evidenziare la
necessità di essere sempre espliciti sulla vocazione, la natura del servizio e sulla base di tradizione e
semplicità dell’offerta.
Un ulteriore strumento di buona efficacia è la redazione di un “manifesto di trasparenza”, vale a dire un
documento da lasciare a disposizione dei clienti in cui si riportano la filosofia, la descrizione dei produttori e
dei prodotti. Ogni produttore può anche redigere un “quaderno di trasparenza” per quanto riguarda i propri
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prodotti. Si può anche pensare di realizzare delle schede sui singoli produttori e sui singoli prodotti da
esporre nel punto vendita, al fine di chiarire maggiormente la provenienza e le caratteristiche della merce e
delle aziende produttrici.
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