L’ASSASSINIO
DEL
PRESIDENTE CARNOT
Le principali circostanze del fatto.
Il movimento anarchico.
La vittima. […omissis…]
L’assassino. Lo stato mentale di Caserio. Discorso dell’assassino.
Poncet: Ferita. Operazione. Morte del signor Carnot. […omissis…]
H. Coutagne: Primi riscontri medici. […omissis…]
Dottori Gailleton, Lacassagne, Coutagne, Ollier, Poncet, Lépine,
Rebatel, Gangolphe, Faure: rapporto medico d’autopsia. […omissis…]
Bournet: La Corte d’assise. Impressioni sulle udienze.
Appunti di un testimone.
Gli ultimi momenti di Caserio.
di
A. LACASSAGNE
Professore di Medicina legale presso la Facoltà di Medicina di
Lione
LIONE
A. STORCK, Editore
PARIGI
G. MASSON, Editore
78, rue de l’Hôtel-de-Ville
1894
120, boulevard St-Germain
1894
Alexandre Lacassagne, nato a Cahors il 17 agosto 1843 e morto a Lione il 24 settembre 1924,
era un medico francese (patologo e medico esperto in tribunale), professore presso la Facoltà di Medicina di
Lione e uno dei fondatori della antropologia criminale, nella tradizione della scuola italiana di
criminologia di Cesare Lombroso, dal quale poi cercano di distinguersi.
Era presente quando sono state prestate le prime cure a Carnot
e fece parte dell’equipe che effettuò l’autopsia del presidente.
N.d.T.
L’ASSASSINIO DEL PRESIDENTE CARNOT
-
Le principali circostanze del fatto.
Il movimento anarchico.
La vittima. […omissis…]
L’assassino. Lo stato mentale di Caserio.
Discorso dell’assassino.
Poncet: Ferita. Operazione. Morte del signor Carnot.[…omissis…]
H. Coutagne: Primi riscontri medici. […omissis…]
Dottori Gailleton, Lacassagne, Coutagne, Ollier, Poncet, Lépine, Rebatel, Gangolphe,
Faure: rapporto medico d’autopsia. […omissis…]
Bournet: La Corte d’assise. Impressioni sulle udienze.
Gli ultimi momenti di Caserio.
Appunti di un testimone.
All’inizio di ottobre 1882, una bomba caricata a dinamite e piena di pezzi di ferro e di piombo
esplose nello scantinato del Teatro Bellecour, in un caffè chiamato con il gergo dei vitaioli
l’Assomoir1, una specie di cabaret dove si davano appuntamento degli individui di un mondo
equivoco, delle ragazze, i loro protettori, e qualche raro naïfs, nottambuli o vitaioli, intenti ad
osservare i “retroscena della vita lionese”. Ho visitato i nuovi feriti.
Tre operai ritardatasi si trovavano là, due furono leggermente feriti, un terzo, Miodre, di 20 anni,
morì e gli praticai l’autopsia.
Mi ricordo ancora lo spavento che seguì questo attentato. Gli anarchici dovevano far saltare gli
edifici pubblici, le case private. L’indomani, un’esplosione ebbe luogo nella notte, su corso della
Vitrolerie, davanti all’ufficio di reclutamento. Ci fu allora furore ed affollamento. Gli edifici
vennero sorvegliati, le porte delle case chiuse di buon’ora, gli sfiatatoi degli scantinati tappati. Si
disertavano i luoghi di riunione, i teatri, i caffè ed anche le chiese.
Un ragazzo di 20 anni, Cyvoct, fu arrestato come autore di questi attentati. Passato davanti alla
Corte di assise di Lione, fu condannato a morte.
Ecco la prima manifestazione del movimento anarchico a Lione.
Circa 11 anni più tardi, nella sera del 24 giugno1894, Lione era in festa. Il Presidente della
Repubblica era arrivato alla vigilia tra acclamazioni entusiastiche. La città era pavesata ed
illuminata. Una folla immensa inondava le vie ed attendeva il signor Carnot che pranzava al Palazzo
del Commercio e doveva poi recarsi alle 21 al Grand-Théâtre ad assistere ad una rappresentazione di
gala. Il corteo presidenziale si era appena formato ed avanzava lentamente, quando un ragazzo si
avvicinò alla vettura e colpì con una pugnalata il signor Carnot. La ferita ne causò la morte qualche
ora più tardi.
1
Bettola (N.d.T.)
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 2
Quando la notizia di questo misfatto fu conosciuta a teatro, per le vie, un fremito di indignazione,
di passione generosa, scosse la città. La Francia fu sconvolta e prese il lutto. Un gran movimento di
pietà percorse le nazioni come un immenso fremito.
L’indomani praticai, con numerosi colleghi, l’autopsia del signor Carnot e non dimenticherò mai
i sentimenti di profonda tristezza, la stretta al cuore che ho provato entrando nella camera mortuaria,
alla vista della vittima delle nostre discordie sociali, di questo presidente della Repubblica, morto nel
pieno trionfo durante una festa, nel mezzo degli evviva e di simpatici entusiasmi che pochi ricordano
di aver mai visto.
Su questo tragico avvenimento, la medicina legale deve ancora pronunciarsi.
Oggi vogliamo presentare un insieme completo di questo dramma, studiarlo in medicina legale ed
in criminologia.
Diremo ciò che pensiamo delle cause dell’attentato, l’insieme delle constatazioni fatte sulla
vittima, il giudizio che si può nutrire sull’assassino. Faremo seguire queste considerazioni da
documenti che ne sono la base e che resteranno come materiale o prove che la Storia avrà spesso da
consultare, per discuterle, apprezzarle, e giudicare infine definitivamente.
LE CAUSE DELL’ATTENTATO
Del delitto abbiamo dato questa definizione: “ogni atto nocivo all’esistenza della collettività
umana”. É una formula che non sembra esatta perché è molto generica e si applica a tutti gli atti
considerati come delitti in un momento qualunque della storia.
Se così è, le manifestazioni anarchiche sono essenzialmente dei delitti. In un tempo molto vicino
a noi, abbiamo distinto i delitti contro il re, contro la sicurezza dello Stato, contro le persone, contro
la proprietà. Non si parla più oggi di sovrani e l’assassino del Presidente della Repubblica è stato
oggetto di una istruttoria giudiziaria assolutamente simile a quella che è conseguente al momento
della morte violenta di un cittadino qualunque.
La legge contro la sicurezza dello Stato, spesso persegue i complotti o le minacce che abbiano lo
scopo di cambiare la forma di governo, di attentare alle prerogative del re. Perché lo stato è lui. Ma
oggi gli anarchici, che io sappia, non desiderano un re o un imperatore: Filippo, Vittorio o Ernesto.
Preferiscono la Repubblica, perché la libertà è più grande, l’agitazione più facile (almeno fino ad
oggi) ed hanno la collaborazione degli insoddisfatti e dei partiti dell’opposizione, o da ovunque si
trovino elementi di discordia.
Gli anarchici vogliono soprattutto cambiare il funzionamento della vita comune, la relazione tra il
capitale ed il lavoro. Basta servitù, obblighi. L’uomo ha dei bisogni, li deve soddisfare. A ciascuno
secondo i suoi desideri. Notate che questi sono dei giovanotti, quasi dei ragazzi, che proclamano
questi aforismi.
Ma da dove vengono queste tendenze, queste idee? Non è come si ripete spesso, lo stato d’animo
di qualche individualista, più o meno sovreccitato o squilibrato.
No, c’è l’indizio di un malessere sociale, il risultato di una serie di cause che si intravvedono ma
che sono difficili da sbrogliare e dunque è impossibile precisarne l’influenza. Sono come
l’agitazione demoniaca, la possessione, la stregoneria, che hanno occupato tutto il medioevo.
Eravamo così preoccupati per il destino dell'anima in questa vita, dopo la morte soprattutto, ma si
accettavano le ineguaglianze sociali. Oggi è il corpo, il cencio, che deve essere soddisfatto: si hanno
dei bisogni, si devono soddisfare. Con le relazioni della vita moderna, gli appetiti sono aumentati e
c’è ora una fame insaziabile. La personalità si mostra coi suoi istinti egoisti: il benessere per se, lo
star bene a spese degli altri, la vanità, l’orgoglio e la lotta per pervenire all'attuazione degli strumenti
forniti dagli istinti costruttivi e distruttivi.
Cosa possono fare gli istinti sociali in questo straripamento, dove il cervello umano ha appena il
tempo di fare la conquista definitiva: la tenerezza e la simpatia?
Tutto questo apparirà più evidente quando avremo precisato la teoria anarchica.
Gli anarchici rivendicano di avere una idea, di possedere una filosofia, di obbedire a delle regole
scientifiche. C’è la legge, ma anche i profeti. Citando i più importanti, quelli dai quali prendiamo in
prestito sempre qualche frase caratteristica. Rabelais descrive l’abazia di Thélème: dove non c’è più
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
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governo, l’individuo è il suo padrone. Sulla porta c’era scritto: Fai ciò che vuoi questo vuol dire Fai
ciò che devi, perché è evidente che l’uomo diventato essenzialmente buono, non può volere che
quello che il dovere esige.
Jean-Jacques Rousseau si espresse così: “Il primo che avendo uno steccato, un terreno, pensò di
dire: Questo è mio, fu il vero fondatore della società civile! Quanti delitti, miserie ed orrori, avrebbe
risparmiato al genere umano colui che, strappando i pali e riempiendo il fossato, avesse gridato ai
suoi simili: guardatevi dal dare ascolto a questo impostore, sarete perduti se vi dimenticherete che i
frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno.
E l’avvocato di Jean Grave, il signor De Saint-Auban, riassume l’idea del proprio cliente in
queste due proposte:
1. se l’uomo è cattivo, la colpa è imputabile alla struttura sociale. Distruggiamo questa
struttura: l’uomo diventerà buono.
2. Per prevenire il ritorno della struttura sociale, si deve arrivare all’eliminazione completa
del principio di autorità.
L’eliminazione completa del principio d’autorità e delle istituzioni, dei poteri che lo manifestano:
ecco il mezzo ed il fine dell’anarchia scientifica dove lo scopo è la realizzazione della felicità
comune con la soppressione della concorrenza e l’armonia degli interessi.
L’anarchia è dunque la lotta per i diritti individuali, dell’individuo in rivolta contro la società e in
ribellione con la specie.
Noi non crediamo ai diritti dell’uomo tali e quali sono stati proclamati. Noi sappiamo, in modo
positivo, che non si devono considerare gli uomini come esseri isolati, degli individui particolari, ma
anche come parte di una collettività, dipendenti da un gruppo sociale, la famiglia, il comune, la
patria. Gli uomini hanno degli obblighi ineluttabili gli uni verso gli altri. “Nessuno non ha alcun
altro diritto di quello di fare sempre il suo dovere,” dice Auguste Comte2. Questi sono i principi
rivoluzionari che hanno sconvolto le giovani teste. Sotto i vecchi regimi o in uno stato monarchico,
le classi esistenti e ognuno, conducono la loro vita su un sentiero tracciato quasi in anticipo.
Con le idee d’uguaglianza diffuse dappertutto e fieramente accettate, gli spiriti deboli e
superficiali non vogliono che l’uguaglianza nelle apparenze, stesso abito, alimentazione simile. Si
sogna l’uniformità. Un anarchico ha recentemente detto: “Caserio ha fatto bene a colpire il
presidente nella sua vettura. Perché Carnot non andava a piedi come me?”
Auguste Comte, nel 1839, ha previsto questo movimento di rivolta prodotto dalle cause di cui
parliamo. Tarde3 ha già fatto questa osservazione e non è inopportuno rileggere la frase dell’autore
della Philosophie positive: “La dottrina rivoluzionaria, più di ogni altra, determinando attive
convinzioni, profonde seppure parziali, può sviluppare nelle anime evolute dei sentimenti generosi”
ma “non è, purtroppo, meno certo che nell’uomo qualunque, essa tende a esercitare, in diverse
maniere, un’influenza antisociale molto pronunciata. Così la politica rivoluzionaria trae, senza
dubbio, la sua principale forza morale dall’aumento molto legittimo, quantunque sovente esagerato,
quanto la proprietà di ispirare l'attività individuale; nondimeno, anche indipendentemente d’un
indisciplinato orgoglio così sollevato, non si può nascondere che la sua formidabile energia si basa
anche, in parte, sulla sua tendenza speciale allo sviluppo spontaneo e continuo di quei sentimenti di
odio e anche d’invidia contro ogni superiorità sociale, di cui l’irruzione, libera o contenuta,
costituisce una sorta di stato di rabbia cronica molto diffusa ai giorni nostri, anche in talenti
naturali.”
Il quadro è completo e noi notiamo: un’indisciplinabile orgoglio, dei sentimenti di odio e di
invidia, uno stato di rabbia cronica.
Isidore Marie Auguste François Xavier Comte (Montpellier, 19 gennaio 1798 – Parigi, 5 settembre 1857) è stato
un filosofo e sociologo francese, considerato il padre del Positivismo. (N.d.T.)
2
Gabriel Tarde (Sarlat, 1843 – Parigi, 1904) è stato un criminologo, sociologo e filosofo francese. In ambito
criminologico si è opposto alla Scuola italiana di criminologia di Cesare Lombroso e in specie alla sua concezione delle
cause dei reati. Da alcuni viene considerato uno dei fondatori della psicologia sociale (N.d.T.)
3
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
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In questi giovani, l’odio si manifesta con il disprezzo di tutte le autorità ed in particolare del
militarismo, che ne è l’incarnazione, perché bisogna riconoscere che c’è un po’ di contrasto tra le
parti di dolcezza, d’amenità, di benevolenza prodotte dalla nostra attuale civiltà e lo stato di guerra
latente, con i suoi preparativi formidabili e permanenti.
L’orgoglio, o l’istinto di dominio, ha fatto dei progressi, si è ipertrofizzato. A forza di sentir
parlare di uguaglianza, non si vogliono più i capi; si cerca di comandare e non si riesce più a farsi
obbedire.
Così sovreccitato, l’orgoglio, a sua volta, agisce sull’istinto distruttivo. Da qui la violenza del
linguaggio e l’attuazione dei comportamenti anarchici.
E sono gli stessi anarchici che ci ripetono che l’uomo è buono di natura. Come sono ignoranti!
Come conoscono molto meglio la natura umana i capi della religione, quando parlano della
cattiveria degli uomini, e predicano quale rimedio: l’amore e la pietà.
Gli anarchici, questi uomini del progresso veloce, che sono per le soluzioni istantanee,
proclamano dei principi retrogradi. Tarde l’ha dimostrato: l’anarchia è quasi sempre la vendetta
antica resuscitata. Ma, si noti: non è il secolo dell’impunità. Non è facile –ed è anche impossibileliberarsi dalle abitudini, dai pregiudizi della propria epoca.
Gli anarchici, insorgendo contro le leggi stabilite, vogliono giustificarsi anche agli occhi di coloro
che combattono e la maggior parte, criminali abituali o criminali per soddisfare bramosie e bisogni,
rivendicano l’onestà del fine perseguito, dell’ideale da raggiungere, dell’umanità da migliorare,
dunque essi vogliono la felicità. Il “è colpa della società” è diventato la scusa comoda per
giustificare tutto. Si sta giudicando un giovane di 16 anni appena, uno dei più focosi anarchici di
Roanne, il capo del gruppo antipatriottico, che ha assassinato, a Villerest, la sua vecchia zia di 72
anni, per derubarla. Si può, o si potrà presto, ripetere la famosa battuta: se non tutti gli anarchici
sono dei ladri, tutti i ladri sono anarchici.
Ma può essere che tra i “compagni” vi siano degli individui in buona fede e anche, come dice
Auguste Comte, dei “talenti naturali”. Tarde ha scritto con una qualche ragione: per la stampa, la
suggestione del delitto, sta alla vecchia suggestione per la parola precisamente come la dinamite sta
al pugnale. Dopo questi avvenimenti si noti come gli anarchici impieghino l’una e l’altro.
Ciò non impedisce la diffusione di un’istruzione superficiale ed essenzialmente sovversiva. É
stato detto: bisogna conoscere per prevenire. Ma la pseudoscienza è più pericolosa dell’ignoranza:
crea il disordine mentale. C’e in una parte del campo scientifico che sembra per così dire indefinito,
soprattutto quello delle scienze naturali, e in un’altre parti, lo stato di stagnazione della morale
umana.
Il dialogo resta eternamente immutabile mentre le leggi della biologia sono infinite, diverse e
costantemente rinnovate con nuove scoperte. La natura ha mille sfaccettature. Il cervello umano è
uno ed il suo sviluppo è così lento che è quasi immutabile quanto le specie animali. Ci sono nel
cervello umano certi istinti essenziali, ineluttabili, primordiali, che niente li ha ancora modificati e
che non cambieranno più delle membra e del corpo dell’uomo.
Gli studiosi di anarchia non sono di questo avviso. Tale Vaillant4 presentando la memoria in sua
difesa, disse: “Non posso fare a meno di sorridere nel vedervi atomi perduti della materia,
pretendere il diritto di giudicare uno dei vostri simili, perché possedete un prolungamento del
midollo spinale.”
Ma Vaillant stesso, giudicando i suoi giudici e condannando la società, non si servì che dello
stesso procedimento, il “prolungamento del midollo spinale!” Sembra veramente che l’uomo si
conforta della propria impotenza, enunciando o formulando delle teorie, delle leggi che è
impossibile mettere in pratica. L’enumerazione dei desideri sostituisce una realizzazione che si fa
indefinitamente attendere.
Auguste Vaillant (1861 – 3 febbraio 1894) è stato un anarchico francese. L'esecuzione di Vaillant e la mancata
concessione della grazia da parte del Presidente Carnot spinse l'anarchico italiano Santo Caserio ad un attentato contro lo
stesso Carnot che morì il 24 giugno 1894. (N.d.T.)
4
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 5
Abbiamo studiato i principali fattori di questo omicidio politico, lo spirito rivoluzionario,
l’egoismo umano sovreccitato, il ruolo dell’istruzione. Qualche nota ancora sull’importanza delle
affiliazioni, delle società segrete, delle compagnie.
Detta associazione esprime la solidarietà degli interessi, la riunione dei desideri, degli odi e degli
appetiti, ma anche un cumulo di pericoli per la società e la conseguente solidarietà degli associati dal
punto di vista della repressione.
E non si pensi che dopo il clamoroso dibattito dei Parlamenti o delle assemblee deliberanti, delle
riunioni pubbliche o dei clubs, qualche compagno, riunito in chiacchiere, stimolato e cresciuto nella
proprio stima per la sorveglianza della polizia, consacrato come personaggio importante per uno o
più arresti, non voglia di colpo presentarsi come un politico profondo, di darsi delle arie di bullo o di
raddrizzatore delle iniquità sociali. Poi, dopo essersi ubriacato di parole, il centro d’impulsività
sovreccitato, decide di passare all’atto che è per così dire il compimento di una promessa data e
sembra il solo in grado di favorire il rilassamento, di ristabilire la calma, di produrre la
pacificazione.
Immaginare come un panettiere di vent’anni, straniero sul nostro suolo, possa di colpo far
tremare le basi della Francia ed attentare alla vitalità di un grande popolo! Questa intravista
prospettiva non è capace di turbare una testa avida di fama e di scalpore?
Abbiamo parlato della solidarietà degli associati dal punto di vista della repressione. La società
ha il dovere ed il diritto di difendersi. Richelieu5 ha proclamato le sue Maximes d’Etat che sono
valide per richiamare quelle che sono ancora vere: “Non punire una cattiva condotta facendo si che
l’impunità apra la porta alla licenza è un’omissione criminale… Una falsa clemenza è più pericolosa
della crudeltà stessa… Finora in Francia, l’impunità troppo consueta, è stata la sola causa per cui
l’ordine e la regole non siano mai state rispettate e che la continuazione dei disordini costringe ad
usare drastici rimedi per arrestarne la corsa… In materia di delitto di Stato, si deve chiudere la porta
alla pietà ed ignorare le lamentele delle persone interessate, ed i discorsi di un popolo ignorante, che
incolparle qualche volta, è più utile e spesso molto necessario.”
LA VITTIMA
[...omissis...N.d.T.]
(Lacassagne descrive qui la figura di Carnot, le modalità del colpo di pugnale e la posizione del
braccio di Caserio durante il ferimento del presidente della Repubblica francese. N.d.T.)
L’ASSASSINO
Ora non resta che parlare di Caserio. Si deve studiarlo dal punto di vista psichico e morale,
mostrare l’influenza della razza, dell’età, dell’istruzione, delle sue relazioni anarchiche. Possiamo
pronunciarci sul suo stato mentale e dire, in tutta franchezza, quale è stata la sua responsabilità.
Caserio è nato l’otto settembre 18736 a Motta Visconti (Italia). Sappiamo l’indignazione generale
che si è manifestata a Lione alla notizia che l’assassino del signor Carnot era un italiano. Dei locali
pubblici –grandi caffè e piccoli esercizi- hanno subito dei veri assedi, sono stati saccheggiati e,
bisogna anche dolorosamente ricordare, questi slanci di indignazione, di patriottismo esaltato, sono
stati il pretesto di furti e di saccheggi. Il consolato d’Italia è stato minacciato. Gli italiani, dopo
Armand-Jean du Plessis, noto soprattutto come Cardinale Richelieu, duca di Richelieu (Parigi, 9 settembre 1585 –
Parigi, 4 dicembre 1642), è stato un cardinale, politico e vescovo cattolico francese. Fu nominato primo ministro dal
re Luigi XIII di Francia. (N.d.T.)
6
Il registro di carcerazione indica per errore il 21 settembre. Caserio trovò divertente dire di essere nato il giorno della
festa della Vergine; scherzava spesso su questa coincidenza.
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L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
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qualche ora, non sono parsi in sicurezza, come se i nostri compatrioti avessero pensato di vendicare i
Vespri siciliani7.
Dopo alcuni anni d’allora, le relazioni fra i due paesi non sono più state quelle che dovevano
essere, ed esiste uno stato latente di diffidenza ed irascibilità che scoppia, di tanto in tanto, con un
pretesto qualunque, in cantieri, a Aigues-Mortes, che ha trovato soprattutto delle eco a Torino, a
Genova, a Roma stessa, sulla piazza dell’ambasciata di Francia.
L’Italia non è più la Velenosa Italia, come si diceva altrimenti, ai tempi della Cantarella8 dei
Borgia, o dell’Acqua Toffana9, la piccola acqua di Napoli.
I criminologi italiani sono d’accordo su questo punto: l’Italia è la terra del maleficio. É in effetti
la terra classica dei delitti di sangue, o semplicemente, come ha scritto Bournet, dell’omicidio
improvviso. Non dimentichiamo in effetti che in trent’anni, questi nostri vicini, hanno avuto 67.680
persone uccise, che gli strumenti preferiti dai criminali italiani sono gli strumenti taglienti ed
appuntiti (28%), il pugnale e lo stiletto.
Uno scrittore siciliano diceva dei suoi compatrioti nel 1860: “Da noi, l’assassinio non è che un
gesto”, usando l’espressione così spesso rimproverata a quel poeta10 ferito durante l’esplosione del
ristorante Foyot.
Gli italiani, dopo Cesare, hanno molto spesso varcato le Alpi e si sono immischiati nelle nostre
faccende. Sono venuti anche degli italiani puri come Mazarin11, degli Italiani d’origine, come
Bonaparte, questo genio della guerra, Gambetta, l’incomparabile uomo di Stato.
Ma hanno preso parte alle nostre discordie civili, e da Marat a Caserio, senza contare i carbonari,
gli internazionalisti, gli ultimi regicidi appartenenti a questa nazionalità: Fieschi, Pianori, Orsini e
Pieri.
Riassumendo, ci sembra che l’omicidio improvviso degli Italiani è un articolo di esportazione
troppo sovente preparato per il nostro paese e, questa è una costatazione, dagli studi che facciamo
non è una quantità trascurabile.
Caserio aveva 20 anni. É l’età delle passioni bollenti, delle idee generose e delle chimere, il
momento dell’assorbimento facile delle frasi profonde e dei sofismi. É anche il periodo della vita
durante la quale appaiono e si sviluppano più o meno veloci le psicosi dei degenerati.
7
I Vespri siciliani: tutto ebbe inizio mentre si era in attesa della funzione del Vespro del 31 marzo 1282, Lunedì di
Pasqua, sul sagrato della Chiesa dello Spirito Santo, a Palermo. A generare l'episodio fu - secondo la ricostruzione
storica - la reazione al gesto di un soldato dell'esercito francese, tale Drouet, che si era rivolto in maniera irriguardosa ad
una giovane nobildonna accompagnata dal consorte, mettendole le mani addosso con il pretesto di doverla perquisire. A
difesa di sua moglie, lo sposo riuscì a sottrarre la spada al soldato francese e ad ucciderlo. Tale gesto costituì la scintilla
che dette inizio alla rivolta. Nel corso della serata e della notte che ne seguì, i palermitani - al grido di "Mora, mora!" - si
abbandonarono ad una vera e propria "caccia ai francesi" che dilagò in breve tempo in tutta l'isola, trasformandosi in
una carneficina. I pochi francesi che sopravvissero al massacro vi riuscirono rifugiandosi nelle loro navi, attraccate
lungo la costa.
Si racconta che i siciliani, per individuare i francesi che si camuffavano fra i popolani, facessero ricorso ad
uno shibboleth, mostrando loro dei ceci («cìciri», nella lingua siciliana) e chiedendo di pronunziarne il nome; quelli che
venivano traditi dalla loro pronuncia francese (sciscirì), venivano immediatamente uccisi. Il termine shibboleth indica
una parola o espressione che, per le sue difficoltà di suono, è molto difficile da pronunciare per chi parla un'altra lingua o
un altro dialetto. (N.d.T.)
8
La cantarella è una variante dell'arsenico, molto efficace e difficile da rintracciare. (N.d.T.)
9
L'acqua tofana (conosciuta anche come acqua toffana, acqua tufania, acqua tufanica, acquetta, acqua di Napoli,
"manna di San Nicola") era un liquido velenoso ampiamente utilizzato a Napoli, Roma e Perugia. (N.d.T.)
10 Si tratta di Laurent Tailhade. Il suo nome è diventato popolare a partire dal dicembre 1893, quando ha proclamato la
sua ammirazione per l'anarchico Auguste Vaillant dicendo la famosa frase: “Che importa dei feriti, se il gesto è bello”.
Per una strana ironia della sorte, Tailhade, mentre pranzava al ristorante Foyot fu egli stesso vittima, qualche mese più
tardi, di un attentato anarchico dal quale uscì con un occhio solo, ma non si lamentò e continuò a mostrare il suo
anarchismo in maniera più determinata. (N.d.T.)
Nel 1659, dopo la pace dei Pirenei che ci ha dato l’Artois e il Roussillon, Mazarin disse: “Se la mia lingua non è il
francese, il mio cuore lo è per intero.” Occorre, in effetti, rimarcare, che di tutti gli stranieri che si inseriscono così
numerosi, ogni anno, nel nostro paese, gli Italiani sono quelli che assimilano più in fretta le abitudini, lo spirito, il genio
francese.
11
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 7
Il nostro collaboratore, il dottor Régis, in uno studio sui Regicidi che è apparsa nel 1890 sugli
Archivi, ha detto che, quasi tutti i celebri regicidi, salvo qualche rara eccezione, avevano più di 30
anni al momento dei loro attentati. Tutti sono stati colpiti dal grande numero dei giovani che hanno
preso parte al movimento anarchico. Questi non erano i meno violenti e dovevano essere
particolarmente sorvegliati come faceva la polizia di Napoleone. “Senza dubbio persuasi che
l’entusiasmo e l’abnegazione personale sono, per così dire, delle malattie della prima giovinezza, la
polizia dell’Impero, scrutava scrupolosamente tutti gli individui venuti dall’estero, ed esercitava
inoltre una sorveglianza speciale su quelli che avevano un età fra i 18 ed i 20 anni12.”
Régis riferisce che Napoleone aveva voluto graziare Staaps, questo giovane tedesco di 18 anni e
mezzo che aveva cercato di ucciderlo. “Ma il suo entourage militare insisté fortemente sulla
necessità di contenere con un esempio le disposizioni della gioventù tedesca.” Poco tempo dopo,
nuova minaccia d’attentato da parte di Sahla, di 18 anni. Napoleone lo fece rinchiudere a Vincennes
e scrisse queste note a margine del rapporto che fece trasmettere dal ministro Rovigo: “Questo caso
non deve essere divulgato, per non essere costretto a chiuderlo con scandalo. L’età del giovane è la
sua scusa; non si è criminali così presto quando non si è nati nel delitto. Tra qualche anno egli
penserà diversamente, e si sarebbe pentito di aver sacrificato uno stordito e immerso una famiglia
stimabile in lutto che avrebbe sempre qualcosa di disonorevole. Mettetelo a Vincennes, fategli dare
le cure che la sua testa abbisogna, dategli dei libri, fategli scrivere alla sua famiglia e lasciare fare al
tempo; parlate di questo al cancelliere, che è un buon consiglio.”13
L’età non è sempre una scusa. Se ci si lamenta di questo miserabile di vent’anni, non si può non
provare un senso di pietà per una madre, dei vecchi genitori.
La scheda antropologica di Caserio è stata compilata il 25 giugno nella prigione di Saint-Paul.
Questa può dare luogo a qualche considerazione.
La taglia dell’assassino è elevata, la campata è superiore a questa di 5 cm. Il busto è sviluppato,
giacché supera di un centimetro la lunghezza della parte inferiore del corpo. I muscoli sono
voluminosi. La testa, che sembra piccola, è ben conformata, è un brachicefalo con un indice di 0,84.
La fronte è normale, lo sguardo è spesso dolce, ma nelle discussioni politiche, esso diventa di colpo
terribile.
12
13
Testimonianze storiche in quindici anni di alta polizia, da Desmaries, Parigi, 1833.
Memorie di Rovigo, t. V, pag. 100
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 8
Niente di particolare per quanto riguarda le orecchie.
I capelli sono castani e spessi, la barba nascente. I baffi fini con qualche pelo sul mento, La pelle
con una tinta un po’ bruna, come quella degli italiani presenta numerosi nei.
Caserio è uno degli uomini magri e pallidi che ricordano Cesare.
É più difficile districare lo stato mentale di questo uomo, di precisare esattamente quali sono i
suoi sentimenti, i suoi atti, i suoi pensieri. La parte predominante del suo cervello è l’occipitale, la
parietale, la frontale? Non deve essere impossibile rispondere a qualcuna di queste domande.
Caserio aveva appena un’istruzione primaria, leggeva correttamente e sapeva un po’ scrivere.
La sua memoria è eccellente. Ha una memoria visiva, topografica. I piccoli fatti, le cose vacue,
viste, restano definitivamente incisi nei suoi ricordi. Più tardi indica le riflessioni fatte sul prezzo del
biglietto da Avignone a Lione e le ragioni che lo hanno obbligato a fermarsi a Vienne. Durante
l’ultimo viaggio indica chi veniva e chi andava, vede le case, segnala i gendarmi. Leggiamo questa
rimarchevole storia comunicata dal giudice istruttore e che descrive l’impiego del tempo di Caserio
durante le giornate del 23 e 24 giugno. Io non conosco una lettura più avvincente: nella fattispecie è
un vero capolavoro. L’ho letta tutto d’un fiato, ansimando, per così dire, cercando nel susseguirsi dei
fatti, delle riflessioni, di precisare uno stato mentale. E quando mi sono congratulato con il signor
Benoist14 per aver reso così bene ciò che Caserio aveva raccontato, mi rispose: “Ma, io ho tradotto
in francese quello che mi ha detto con il suo borbottio, non ho aggiunto né un tratto, né una linea”.
Ricordava facilmente ed afferrava velocemente i commenti che gli faceva. Così alla fine
dell’istruttoria, senza esprimersi più correttamente, evitava certi errori che gli erano familiari
all’inizio.
Ma quando si sente il suo interrogatorio, il memoriale di cui ha dato lettura in corte di assise, quando
si legge ciò che ha detto o scritto, si acquisisce la convinzione che la sua intelligenza era molto viva,
era un po’ profonda. Recepiva velocemente, comprendeva, ma era incapace di riflessioni, di
comparazioni, di giudizio.
Accettava senza difficoltà un paradosso, un sofismo, un errore. Le idee ridicole ed anche assurde
ma ben presentate erano sempre accettate senza difficoltà se esse parevano rispondere alle sue
concezioni politiche, anche se rudimentali e invariabilmente espresse con tre o quattro formule, la
sua piccola intelligenza non poteva mai scorgere che una sola parte delle cose.
Se si parla dei suoi principi, li difende con asprezza, non facendo concessioni, incapace anche di
riconoscere un solo punto debole alla propria dottrina. Con il suo sistema ha organizzato tutto nella
società: nessuna proprietà, non più furti e, di conseguenza, soppressione delle prigioni. Sotto il regno
dell’anarchia, i delitti passionali non si verificheranno più perché i colpevoli devono essere puniti
con i rimproveri della propria coscienza e la riprovazione pubblica, il loro castigo sarà tale che
nessun individuo oserà esporsi.
D'altronde, non è mai imbarazzato, risponde a tutto con dolci frasi stereotipate, come queste:
“Questo è un pregiudizio, è un pregiudizio”, oppure: “É colpa della attuale società. Questo sotto
l’anarchia non potrà succedere.”
Insomma, le sue conoscenze politiche sono pressoché nulle. Si era sottoposto ad un’abbuffata di
letture dalle quali aveva recepito qualche frase, che suonava bene alle sue orecchie. Rimugina queste
formule che sono una pastura sufficiente per il suo spirito. Molto superficiale, si scalda per la
dottrina anarchica eminentemente semplicistica, che comprende per intero. I giornali e gli opuscoli
della setta, in stile volgare ed infiammato, sono letti con avidità. É quasi insaziabile. A Milano,
assiste alle riunioni dei clubs, dedica tutto il suo tempo alla lettura e sottrae anche al suo sonno il
tempo che gli fa difetto.
In prigione, prova a leggere il Don Chisciotte. Non disdegna le opere scientifiche, quelle che si
occupano di astrologia. Come ogni buon anarchico, è materialista, critica anche i libri di
Flammarion, perché questo autore fa giocare un certo ruolo all’intervento divino. Victor Hugo è un
14
Il giudice istruttore (N.d.T.)
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 9
buon poeta che ha ben descritto il male che opprime l’uomo, ma si stupisce come questo uomo non
abbia indicato i rimedi che lui, Caserio, conosce così bene.
Se lo spirito è debole, si deve ammettere che la qualità predominante è il carattere. É un energico.
Ha una forte volontà, del coraggio per intraprendere e la perseveranza per eseguire il suo progetto.
Da quando è stato iniziato alle idee anarchiche, si lancia nell’associazione, diventa un compagno
modello e sacrifica tutto alle proprie convinzioni.
A Milano, sebbene molto ignorante e quasi illetterato, partecipa attivamente alla propaganda con
il giornale e con gli opuscoli. E questo proselitismo, questo ministero di apostolo, lusinga la sua
vanità e sprona il suo zelo.
Si fa arrestare parecchie volte, sempre in prima fila. Siccome non vuole fare il soldato e servire il
suo paese, lascia l’Italia. Quasi senza denaro, grazie ai suoi compagni, attraversa la Svizzera ed il
sudest della Francia, si ferma a Lione e a Vienne, poi si trasferisce a Cette. Malato, entra in
ospedale15, si eccita con una propaganda sfrenata, e si dice che, in conciliaboli con i convalescenti,
furono preparati i più oscuri complotti. Caserio ha d’altronde dichiarato che le sue idee criminali
erano state la conseguenza del suo soggiorno in ospedale a Cette.
Le esecuzioni di Vaillant e di Henry gli mettono la rabbia al cuore e fanno germogliare nel suo
cervello delle idee di odio e di vendetta. La letteratura pessimistica del partito, gli dipinge e gli
mostra l’esistenza dell’operaio con dei colori così neri, che è ben presto stanco della vita e pensa di
farla finita. Ma come? Non vuole morire stupidamente, affogarsi o essere scambiato come un
disperato, terminare i suoi giorni come un imbecille. La sua incommensurabile vanità non potrà
accontentarsi di questa fine. Deve sacrificarsi per la sua causa, vendere caramente la sua pelle e
mostrare ai compagni che egli era l’uomo forte e risoluto che avevano conosciuto. Il suo delitto è
un suicidio indiretto.
É energico, è pieno di fede, ma la felicità sognata, che gli avevano fatto intravvedere, non arriva
mai, adesso è un disilluso.
Dall’uscita dell’ospedale la sua decisione è presa. Attende solo l’occasione. Durante molti mesi la
studia. Infine si presenta. Il viaggio presidenziale a Lione più volte annunciato è infine fissato. Non
esita più, l’occasione è troppo favorevole. Parte e compie con selvaggia energia la decisione presa
da lungo tempo.
Ecco la genesi di un delitto!
La parte affettiva della sua natura non era fatta per ostacolare alcuna di queste decisioni disperate.
Aveva meno cuore di intelligenza. Certamente, Caserio non era un sentimentale. Non sognava la
pace delle anime, la tenerezza e la bontà universale.
Nella dottrina adottata, era stato colpito solo dalla parte materiale. Desiderava il livellamento
generale delle classi, l’uguale ripartizione della ricchezza, la stessa dose ad ognuno di godimento e
di piaceri.
Tuttavia, le sue richieste personali per un’esistenza felice e ciò che comprende, non hanno niente
di eccessivo. L’ideale di felicità per lui è il viaggiare, vedere molti paesi, essere sicuro, tutti i giorni,
di mettere sotto i denti due franchi di pane e di fumare 15 centesimi di tabacco. L’esistenza da
vagabondo, in queste condizioni, gli sembra piena di fascino. Impulsivo, ha come un prurito
muscolare e sene il bisogno di spostamenti continui. É un itinerante, non ama fermarsi da nessuna
parte, evitando così ogni obbligo sociale.
I giornali ci hanno informato che in prigione era preoccupato di mangiare bene, di dormire a
lungo e di fumare a proprio agio. D'altronde era quello che aveva sempre fatto quando era in libertà
e si può dire che per lui la vita non è mai stata dura. Senza lavoro, molte volte aveva fatto appello
alla propria famiglia che l’aveva nutrito, ospitato o gli aveva inviato del denaro. Non è stato
riconoscente per questi sacrifici, ne più affettuoso. Non dà il più piccolo segno di affetto filiale. Sua
madre, come aveva fatto notare il presidente Breuillac, a giudicare dalla sua corrispondenza, è una
donna di grande cuore. “É una donna del popolo che ha dei sentimenti elevati.” Il dolore e le
15
Aveva “un’eruzione di foruncoli” alle gambe, probabilmente di origine sifilitica.
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 10
angosce di questa madre lo lasciano freddo. Le lettere affettuose dei suoi fratelli e delle sue sorelle
lo toccano appena, mai, leggendole, è parso commosso o ha versato una lacrima. Tuttavia, una volta
ha pianto. All’udienza, quando il signor Dubreuil16 evocò il dolore di sua madre che passava la sue
giornate seduta, con la testa fra le mani, mormorando e singhiozzando: “O figlio mio! Mio povero
figlio!”
Dopo la sua condanna, in prigione, non ha che un rimpianto: aver lasciato cadere le sue lacrime.
É scontento di questa commozione: “I compagni, disse, mi prenderanno in giro per questa mia
debolezza.”
Debolezze affettive o altro, anche quelle che sono naturali alla sua età, non ne ha mai avute.
Durante i prolungati soggiorni, nelle varie città, nel corso dei suoi viaggi, non è stato mai fermato o
tratto dall’influenza dell’amicizia o dell’amore. Caserio è un frigido. É insensibile all’amore
platonico o volgare. Tuttavia spesso ripete, di dedicarsi alla felicità di coloro che soffrono, dei
miserabili.
Questo giovane si spendeva in attività faticose, nel suo lavoro, nelle sue letture. Ecco le sole
cause delle sue fatiche, dei suoi sonni profondi. I rapporti di polizia dicono anche che parla poco ed
é taciturno. É un solitario e certamente da solo ha pensato e preparato il suo delitto.
Poco istruito, di mediocre intelligenza, incapace di osservazione e di riflessione, completamente
privo di sentimenti affettuosi, anche i più elementari, Caserio, figlio di epilettico, non aveva che
l’attività, il carattere. Un vero tipo di parietale, di conseguenza un impulsivo.
Questi individui hanno muscoli d’acciaio e di conseguenza non hanno paura degli ostacoli,
insubordinati, agitati, il cui sangue è come della dinamite liquida, sono anche pericolosi come le
bombe nelle mani dei capi anarchici. La macchina scaldata al calor bianco è lanciata a tutto vapore
sulla strada: esploderà al momento voluto.
Ha sempre pensato che il delitto che ha commesso fosse utile alla causa anarchica e non l’ha mai
rinnegato.
Ci si può tuttavia domandare se questo assassinio gli ha lasciato, non dei rimorsi, ma qualche
cosa come un rimpianto! Così, un giorno in cui parlava dell’assassinio, ad un tratto dichiarò che
sarebbe stato incapace di colpire una persona che aveva già visto. Durante il suo soggiorno a
Milano, quasi ogni mattina, vedeva passare e salutava Umberto, il re d’Italia, che andava e veniva da
Monza. Non avrebbe potuto portargli un colpo di pugnale, ma non si sarebbe rifiutato di lanciargli
una bomba. Se prima di colpire il Presidente, disse, avesse incontrato quello sguardo fisso, misto di
dolcezza e di terrore, che il signor Carnot gettò su di lui quando si sentì ferito, non avrebbe mai
affondato il pugnale nel corpo della vittima.
Dopo tutte le informazioni suddette, è possibile trattare la questione della responsabilità. Questa
ha preoccupato il giudice istruttore e all’inizio dell’interrogatorio dell’accusato, il presidente delle
assise indicò che non sarebbe stata presa in considerazione. É l’opinione dello stesso interessato: i
Caserio non sono pazzi.
D'altronde, non ha mai chiesto di sottoporre Caserio all’esame degli specialisti, allo scopo di
stabilire lo stato mentale di questo uomo e di precisare la sua responsabilità.
Come medico specialista e criminologo, ci è parso interessante studiare questo problema.
Ci siamo domandati se Caserio è un pazzo, un degenerato o semplicemente un fanatico assassino.
Ma di quale genere di follia può essere affetto? É un maniaco, un perseguitato-persecutore, per
parlare delle forme più caratteristiche? No, assolutamente! Sarà in preda a una delle forme di
epilessia? É figlio di epilettico; questa eredità è stabilita, e nessuno ignora che è la più oppressiva.
Verifichiamo dunque se Caserio ne presenta i sintomi o i segni.
Non ha i caratteri di asimmetria epilettogena descritta da Lasègne17. Tuttavia si rileva un mento
scialbo con fossetta. Il viso non presenta altri particolari, salvo questo riso continuo, contratto, come
Il suo difensore d’ufficio (N.d.T.)
Ernest-Charles Lasègue (Parigi, 5 settembre 1816 – Parigi, 20 marzo 1883) è stato un medico francese. Ricevuto il
dottorato all'università di Parigi nel 1847, nonostante egli inizialmente avesse intrapreso gli studi da filosofo, fu grazie
agli scritti del medico Armand Trousseau che cambiò idea. Venne subito utilizzato dal governo francese che nell'anno
16
17
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
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satanico, che mi ha prodotto una penosa impressione. Questo ridere è effetto della circostanza o gli è
abituale? Un ridere simile e continuato è una sorte di tic. Bisogna diffidare da coloro che non sanno
ridere: sono cattivi o impostori.
Ricordiamo che la sua altezza supera di molto la taglia (Tonnini, Civadolli e Amati), che ha gli
alluci accavallati (Lombroso), che nella posizione in piedi ha un atteggiamento che richiama quelle
dei quadrumani, i piedi sono divaricati per allargare la base di sostegno (Féré).
Ecco dei particolari insignificanti e di poco valore accanto ad altre constatazioni che sono state
fatte. La memoria è rimarchevole e quasi impeccabile; nel tragitto da Cette a Lione non ha il minimo
automatismo. Non si constata mai incoscienza, assenza; non ha tracce di allucinazioni, di visioni, di
incubi, di qualsiasi crisi. Aggiungo che gli epilettici sono molto spesso dei genitali18; ora, per
Caserio, su questo punto ci siamo spiegati.
Ignoro se si è cercata l’incontinenza urinaria. É stato un sifilitico, come lo si dimostra? In questo
caso, si potrebbe pensare alle conseguenze dell’infezione, che Fournier ha descritto sotto il nome di
infezioni parasifilitiche.
Insomma, dopo le informazioni raccolte, possiamo dire che Caserio non è epilettico.
Gli psichiatri tedeschi diranno che Caserio potrebbe essere un paranoico parziale. Altri
pronunceranno il nome di nevrastenia. Ci si domanderà infine se Caserio avesse avuto delle
ossessioni e se le sue ossessioni, per parlare il linguaggio della Scuola, fossero le sindromi
episodiche della follia dei degenerati ereditari (Maudsley, Magnan, Ladame, Garnier).
Caserio è uno squilibrato, un degenerato? Bisogna metterlo nella categoria dei regicidi, come
sono stati raggruppati da Régis?
Sotto il nome di regicida, il nostro illustre collega, descrive i fanatici che, nel corso dei secoli e di
ogni cospirazione, hanno assassinato o tentato di assassinare il potente di turno.
Caserio rientra in questa categoria? Non è stato un complotto o una cospirazione, ma è difficile
ammettere che non fosse affiliato ad un partito, a una setta.
Le definizioni hanno poca importanza, esaminando successivamente i caratteri generali e
particolari dei regicidi.
Essi non sono né assolutamente senza spirito, né assolutamente alienati. Si possono considerare
degli squilibrati. Hanno tare ereditarie e tra i loro parenti si riscontrano degli eccentrici, degli
epilettici. Si rilevano dei segni quali: malformazione del cranio, anomalia delle orecchie, strabismo,
ecc. Non sono sprovvisti ne di intelligenza ne di senso morale, ma hanno nello stesso tempo delle
profonde lacune. “In genere questi possono passare per degli spiriti distinti o degli spiriti fragili,
secondo il modo in cui vengono esaminati o quali dei loro atti si prova ad interpretare.”
La caratteristica è una sorta di malaticcia instabilità che, rendendoli sempre scontenti, non
permette loro di piegarsi alle esigenze di una professione regolare e continua, e li liberi dal rischio
dell’ignoto. Insomma, non sono dei pazzi, ma dei semipazzi, dei mattoidi, come dicono gli italiani,
nei quali c’è un tale miscuglio di ragione e di follia, che è difficile esprimersi per l’una o per l’altra.
Esaltati ed entusiasti, si scaldano per le cose della religione e della politica e il loro misticismo è
aggressivo. Quando sono in gioco le loro teorie, si superano e non sopportano le più piccole
contraddizioni. Quando le loro idee diventano deliranti, secondo la loro natura e per l’ambiente
circostante, il delirio è religioso o religioso e politico, più raramente politico. Vi sono qualche volta
delle allucinazioni che hanno il carattere di essere delle reali visioni, intermittenti, si verificano
soprattutto di notte e qualche volta si confondono con i sogni.
Come svolgono i loro attentati? Non avvengono in maniera improvvisa e cieca, come i folli
allucinati e impulsivi. Il delitto è logicamente pensato, premeditato e preparato. Quando il regicida è
deciso, va diritto allo scopo con l’audacia e l’energia di un convinto… I regicidi portano il loro
successivo notando un'epidemia di colera nel sud della Russia decisero di inviarlo per degli studi sulla malattia, divenne
successivamente professore dell'ospedale Necker dove rimase fino alla sua morte. Egli è stato impegnato in diverse
attività, nel 1860 il suo interesse si spostò verso le malattie mentali, arrivando ad essere uno dei primi medici a
descrivere l'anoressia nervosa e il complesso di persecuzione. (N.d.T.)
18
Coglioni? (N.d.T.)
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 12
colpo con una audacia ed una violenza straordinaria. Ravaillac19 “aveva colpito nel petto di Enrico
IV come in una balla di paglia, in modo che il coltello entrò tutto intero nella ferita ed il pollice andò
a toccare il giubbotto del re”. Se questa citazione di Régis ricorda l’evento che ci occupa, non è più
così dalla seguente: “A delitto commesso, questi fanatici non cercano di fuggire.”
Régis crede che tra i regicidi il suicidio dopo l’omicidio sia un fatto eccezionale, anche per il
suicida indiretto; il regicide non ricerca il suicidio, aspira al martirio.
É per questo, d’altronde, che dimostrano di fronte al supplizio un coraggio abbastanza
straordinario. Conosciamo le torture subite da Damiens20, tali da far dire a Michelet che era il più
rimarchevole esempio, per la psicologia, di quanto un uomo possa soffrire prima di morire.
Infine, Régis aggiunge che un certo numero di anarchici gli sembravano essere dei regicidi: “Una
volta, essi erano religiosi, oggi sono anarchici, ecco tutta la differenza, e ciò dimostra la
trasformazione apparente di un tipo che in fondo è sempre lo stesso.”
Questa é la teoria dei regicidi, formulata da un emerito psichiatra.
Malgrado il confronto facile da fare con Caserio, noi non oseremo, in nessun modo, metterlo
nella categoria indicata sotto il nome di veri regicidi. Noi abbiamo spiegato altrimenti la genesi del
delitto.
Caserio non è un pazzo; può essere, diciamo, che abbia qualche carattere dei degenerati. É un
fanatico assassino.
Questa bestia umana, difettosa già dalle origini, è stata soprattutto corrotta dalle teorie del partito
anarchico, che ne ha fatto un essere antisociale. Per Caserio, questo assassinio è un mezzo di terrore,
la vendetta di un partito, l’appagamento dell’odio ed allo stesso tempo la consacrazione di una
reputazione d’energia e di coraggio vantata dai compagni, la gloria bruciante e –molto
probabilmente- la fine di un’esistenza divenuta insopportabile.
Caserio è responsabile. É giusto e necessario che egli venga punito con la pena che le nostre leggi
attuali riservano agli autori dei più grandi delitti.
Tuttavia non possiamo non difenderci da un sentimento di pietà per questo giovane uomo, figlio
di epilettico, di una natura audace ed indomabile, che le dottrine malefiche hanno eccitato e perduto,
e che dopo avere, nella sua piccola testa, concepito un abominevole delitto, l’ha eseguito con
selvaggia energia, grazie ad un concorso di circostanze veramente straordinarie e sfidando ogni
previsione. Come si spiega che questo garzone panettiere, dai vestiti sordidi, senza soldi, che si
esprime male in francese, faccia un lungo viaggio in ferrovia o a piedi, e, conoscendo appena la
città, nella confusione di una festa, attraversa una massa di persone, arriva con precisione, all’ora
propizia e al posto giusto, dove è più facile avvicinare la vettura presidenziale! Quanti ostacoli
avrebbero potuto trovarsi sulla sua strada ed allontanare dallo scopo questa macchina infernale
lanciata da Cette a Lione!
Caserio non è morto con coraggio. Ha dovuto lottare, nel momento supremo, con le angosce del
suo essere. Quando è caduta la sua testa, c’è stato chi ha gridato dei “bravo” e chi ha applaudito. La
gran voce del popolo è spesso ingiusta, ma può essere anche il grido spontaneo della giustizia, della
verità. Mai, forse, la pena di morte ha trovato più approvazione.
A. LACASSAGNE
François Ravaillac (Touvre, 1578 – Parigi, 27 maggio 1610) fu l'assassino del re Enrico IV di Francia, nonché la
penultima persona, in Francia, ad essere stata condannata a morte, per mezzo dello squartamento. (N.d.T.)
20
Robert-François Damiens (La Thieuloye, presso Arras, 9 gennaio 1715 – Parigi, 28 marzo 1757) è stato
un domestico francese. Autore di un fallito tentativo di regicidio, ai danni di Luigi XV di Francia, fu l'ultima persona,
in Francia, a essere stata condannata a morte per mezzo dello squartamento. (N.d.T.)
19
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 13
RACCONTO DI CASERIO
SULL’IMPIEGO DEL SUO TEMPO DURANTE LE GIORNATE DEL 23 E 24 GIUGNO
(Comunicato dall’autorità giudiziaria)
A CETTE
[...omissis...]
A MONTPELLIER
[...omissis...]
A VIENNE
[...omissis...]
DA VIENNE A LIONE
[...omissis...]
ARRIVO A LIONE
[...omissis...]
PIAZZA DELLA BORSA
[...omissis...]
L’ATTENTATO
[...omissis...]
CASERIO DAVANTI ALLA CORTE D’ASSISE DEL RODANO
É il 2 agosto che Caserio compare davanti alla Corte d’assise del Rodano.
Alle 7,30 del mattino un battaglione del 98° Fanteria assicura l’ordine attorno al Palazzo di
giustizia. Nella sala dei passi perduti c’è un reparto del 98°.
I vigili urbani messi sotto gli ordini dei comandanti Jagot-Lauchaume, Delattre e Zerbini, i
gendarmi sotto gli ordini del comandante Lormel, sorvegliano l’esterno e l’interno del Palazzo. I
signor Rostaing, segretario generale; Roullet, procuratore della Repubblica; Meyer, capo di
divisione; Lassaigne, commissario di polizia, dirigono il servizio d’ordine. La consegna è molto
severa. Solo i generali, gli intendenti militari e gli ufficiali superiori in divisa possono entrare senza
pass. I giurati, i testimoni, i giornalisti, i magistrati, difensori d’ufficio, avvocati, uscieri, devono
mostrare il permesso firmato dal presidente Breuillac col sigillo delle assise. Alle 8, giurati,
testimoni, le persone provvisti dell’indispensabile carta: magistrati, funzionari, giornalisti, avvocati
in toga, ecc., riempiono la sala dei passi perduti di un rumoroso andirivieni.
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 14
Alle 9 meno un quarto, l’aula delle assise è aperta ai giurati, ai testimoni, agli avvocati, ai
giornalisti, ai postini telegrafisti che si tengono a disposizione dei giornalisti. All’ultimo momento
arriva l’abate Grassi, curato di Motta Visconti, paese d’origine di Caserio, il presidente Breuillac
prende le ultime misure d’ordine con gli ufficiali giudiziari, signor Odel, il cancelliere capo Widor,
assistito dal signor Mathieu, procede ad un primo appello dei giurati.
Di loro, ciascuno è al proprio posto. La fisionomia dell’aula è curiosa: i cinque grandi tavoli
riservati ai giornali lionesi, parigini e stranieri sono occupati da 60 rappresentanti dei grandi giornali
di Francia, d’Italia, di Spagna, d’Austria e d’Inghilterra.
L’udienza è aperta alle 9 e 10. Il consigliere della Corte di Lione Breuillac, presiede, assistito dai
consiglieri Ducrot e Davernière. Il procuratore generale Fochier, occupa la sedia del pubblico
ministero. Alla sua sinistra siedono Admand de Jenneval, professore di italiano alla Scuola
superiore del commercio, è l’interprete di Caserio. Il difensore d’ufficio Dubreuil, è al banco della
difesa.
Vista la lunghezza presunta del dibattimento, la Corte decide che un consigliere supplementare
venga aggiunto alla Corte (viene designato il consigliere Devienne) e che due membri
supplementari vengano aggiunti ai giurati.
Su ordine del presidente, Caserio viene introdotto. Le fotografie
note di Caserio, anche quelle di Garcin, gli schizzi presi durante le
sedute dai disegnatori dei grandi giornali illustrati di Parigi, non
sono di un’esattezza assoluta. Rendono talvolta i tratti, ma non
tutta la fisionomia di Caserio. Caserio è di alta taglia (1,70 mt.). Il
corpo, malgrado la delicatezza quasi femminina della pelle del
viso, è robusto: le spalle sono larghe, il torace è sviluppato, la
mano forte. É vestito con una giacca grigio marrone, una cravatta
alla marinara blu pallido, che staglia verticalmente sulla sua
camicia bianca sgualcita. É coperto con un cappello molle dello
stesso colore della giacca, ma di un tono più chiaro. Si può dire che
c’è nell’imputato qualcosa, esteriormente, di un garzone di fornaio
del sud. Non ha per nulla l’aria bestiale. Ci si domanda come
Lombroso ha potuto rilevare da una fotografia, come tipo
criminale, lo sviluppo delle mascelle, l’imperfezione della barba e
dalle orecchie di dimensioni anormali. Nella sua fisionomia che è
piuttosto dolce, nei suoi piccoli occhi blu molto mobili, sulle sue
Caserio. Museo della prefettura di labbra assai prominenti, impossibile trovarvi i segni del “tipico
Parigi
criminale”. Per chi osserva attentamente Caserio, questi è un
“pallido teppista”, non un “sinistro furfante”, come Ravachol, un rivoluzionario come Vaillant, un
giovane traviato pretenzioso come Emile Henry. A questo punto dell’udienza tutta la veemenza
naturale di questo primitivo, sembra contenuta con la volontà. Il presidente Breuillac avverte
Caserio che ha un interprete per tradurre le sue parole e quelle dei testimoni e dei giurati.
“Comprendete Caserio”, gli domanda.
“Comprendo” risponde l’assassino.
Quando risponde si o no, è sempre con dolcezza, Caserio sembra agire, per così dire, al di dentro
di se stesso.
Durante la costituzione della giuria, dopo l’appello dei testimoni, Caserio resta in piedi, con
l’atteggiamento di uno scolaro studioso.
L’usciere della Corte Odel, fa l’appello dei testimoni citati dal procuratore generale. Sono citati i
signori:
 Cousin (Hippolyte), commissario di polizia di Lione;
 Brun (Germain), vigile urbano di Lione;
 Bardin (Claude-Marie), vigile urbano di Lione;
 Jehlé (Francois-Xavier) vigile urbano di Lione;
 Colombani (Joseph), vigile urbano di Lione;
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
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Voisin (Nicolas-Joseph), governatore militare di Lione;
Galleton (Antoine), sindaco di Lione;
Borius (Léon-Charles), generale di divisione a Parigi;
Nœttinger (Charles), capitano al 7° corazzieri di Lione;
Bouthlat (François), barbiere di Lione;
Granger (Marie), domestica a Lione;
Bertiller (Emilie), doemstica a Lione;
Leynaud (Ferdinand-Louid), gerente del Circolo del Commercio di Lione;
Dott. Ollier, professore alla Facoltà di medicina di Lione;
Dott. Poncet, professore alla Facoltà di medicina di Lione;
Coutgne (Henry), medico specialista a Lione;
Dott. Lacassagne, professore alla Facoltà di Lione;
Vaux (Guillaume), coltellaio di Cette;
Viala (Auguste), panettiere a Cette;
Albigos (Emilie), moglie di Viala, panettiera a Cette;
Leblanc (Edouard), facchino, detenuto a Lione;
Crociocha, commissario centrale a Cette;
Bois, commissario centrale a Vienne (Isére);
Pernel, commissario speciale, prefettura del Rodano;
Dubois (Aimè-Constant), ispettore del servizio di sicurezza all’Eliseo.
Il cancelliere in capo Widor, dà lettura del rinvio a giudizio della Camera di messa in accusa e
dell’atto di accusa.
ATTO DI ACCUSA
Caserio Santo Ironimo.
Nella sera del 24 giugno, nel mezzo delle feste date in occasione della visita del Presidente della
Repubblica all’Esposizione universale di Lione, il signor Carnot è stato colpito con una pugnalata e
poco dopo è morto. L’assassino è il nominato Caserio Santo Ironimo che è stato immediatamente
arrestato dopo il delitto. Il presidente ed il corteo lasciavano, un po’ dopo le nove di sera, il Palazzo
del Commercio, per recarsi ad una rappresentazione di gala al Grand Théâtre. Preceduto da un
plotone di corazzieri, la vettura presidenziale ove avevano preso posto, con il signor Carnot, i signori
generali Voisin e Borius ed il signor Guilleton, sindaco di Lione, partita dalla Piazza dei Cordelies,
si inseriva nella via della Repubblica, costeggiando la facciata ovest della Borsa.
Subito un individuo si distaccava dalla folla ammassata sul marciapiede di destra, a due metri
circa dalla vettura, di fianco a dove sedeva il signor Carnot, avanzando con una direzione un po’
obliqua e, appoggiando la mano sinistra sul bordo della vettura, portava la mano destra al petto del
presidente, senza che nessuno del seguito abbia visto nient’altro che un pezzo di carta che restava un
istante fissato sui suoi vestiti.
Si credeva che lo sconosciuto, che non era altri che Caserio, portasse un mazzo di fiori, come
quelli arrivati in giornata. Bruscamente questi si ritrasse e passando davanti al tiro di cavalli, dietro il
plotone dei corazzieri, guadagnò l’altro lato della strada, ove cercò di crearsi un passaggio attraverso
i ranghi compatti degli spettatori. Ma qualcuno, credendo di aver a che fare con un ladro e dei vigili
urbani arrivati numerosi, l’arrestarono sottraendolo al furore del pubblico, portandolo al sicuro dalla
polizia.
Nel frattempo la vettura è avanzata di qualche passo ancora, quando si vede il signor Carnot, che,
dopo aver respinto con un gesto il pezzo di carta rimasto sul suo petto, si accascia senza conoscenza.
Il dottor Guilleton, sindaco di Lione, che si trovava seduto di fronte a lui ed il dottor Poncet, quasi
immediatamente rintracciato, si sforzarono di portargli i soccorsi urgenti dopo che si prese di fretta
la strada della Prefettura.
Adagiato su un letto, il signor Carnot ricevette anzitutto le cure chiare ed abili del dottor Ollier, al
quale si aggiunsero molti illustri membri del corpo medico. Un’arma penetrante aveva perforato il
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
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fegato e reciso la vena porta, una emorragia che non era stata seguita da intervento, non si è potuta
arrestare e la morte è arrivata circa tre ore dopo l’attentato.
Un pugnale che fu raccolto al momento stesso sul selciato della via della Repubblica era stato lo
strumento del delitto. Nascosto alla vista della maggior parte dei testimoni da un pezzo di carta di
cui si è parlato e lasciato sulla ferita, era stato strappato e gettato dal ferito stesso.
Questa arma sporca di sangue, mostrata a Caserio al posto di polizia, è stato riconosciuto dallo
stesso senza esitazione. É pure senza esitazione, senza turbamento, senza emozione, che egli ha, da
subito, confessato il suo delitto e raccontato come lo aveva pensato, preparato ed eseguito.
Nato l’8 settembre 1873, a Motta Visconti, in Lombardia, da una famiglia modesta ed onesta,
Caserio è andato a Milano nel 1886, è stato apprendista e garzone panettiere.
All’età di 18 anni diventò discepolo degli anarchici, dedicandosi con passione alla lettura dei
giornali e degli opuscoli dove si sviluppava la dottrina della distruzione dello stato e si preconizzava
la propaganda col fatto.
Caserio diventò subito un agente di propaganda ed un intermediario per la corrispondenza tra
anarchici.
Arrestato preventivamente nell’aprile del 1892, per aver distribuito scritti anarchici a dei soldati,
poi messo in libertà provvisoria, ha lasciato Milano nella primavera del 1893 per sottrarsi
contemporaneamente al servizio militare ed all’arresto della Corte di appello di quella città, che
l’aveva condannato a otto mesi di reclusione.
Dopo un soggiorno di tre mesi a Lugano, Caserio venne a Lione, attraversando una parte della
Svizzera, fermandosi un po’ in diverse città, principalmente a Losanna e a Ginevra. É rimasto a
Lione due mesi circa, tre settimane a Vienne e si è recato infine a Cette verso il 15 ottobre. Ovunque
è stato in relazione con degli anarchici stranieri e francesi, a disagio, tuttavia, per la sua ignoranza,
che allora era completa, della lingua francese. A Cette, è stato, al suo arrivo, occupato come garzone
panettiere presso i coniugi Viala, dove ha cessato di lavorare il 23 giugno, salvo un soggiorno di un
mese fatto all’ospedale in gennaio e febbraio.
In relazione con qualche anarchico dichiarato, frequentava con loro il Café du Gard, che era il
loro luogo di ritrovo, Caserio non sembrava tuttavia da ritenersi un uomo d’azione.
Sabato 23 giugno, tra le dieci e le undici, Caserio iniziò, con un pretesto, una discussione con il
suo padrone, facendosi licenziare sui due piedi. Subito, con una somma di 20 franchi, che gli erano
stati dati a saldo del suo salario, e con qualche franco rimastogli da prima, si recò dall’armaiolo
Guillaume Vaux, del quale conosceva da tempo la bottega, ed acquistò al prezzo di cinque franchi, il
pugnale rivestito con una guaina, che mise nella tasca interna della sua giacca.
Ha affermato, che da molti mesi pensava di fare il colpo. Il suo progetto si era precisato da
qualche giorno; aveva deciso di uccidere il presidente della Repubblica da quando aveva appreso
della sua visita a Lione. Dopo aver cercato l’anarchico Saurel, al quale aveva detto semplicemente
che partiva per Montpellier, abbandonando la sua valigia e gli effetti che possedeva presso i coniugi
Viala, Caserio lasciò Cette in treno alle tre con una linea non diretta, arrivò a Montpellier, dove
passò diverse ore; vide il sunnominato Laborie e sua moglie; alle 11 di sera, partì per Tarascona; in
quella stazione, salì su un treno espresso che lo lasciò ad Avignone alle due del mattino; ripartì alle
quattro e arrivò a Vienne verso le dieci. Visitò questa città dove cercò infruttuosamente diversi
anarchici che aveva conosciuto l’anno prima e alle due si incamminò a piedi verso Lione.
Arrivò di notte alla meta del suo viaggio; con una chiaroveggenza singolare, guidato dalla folla
che andava verso il centro della città, munito di un giornale acquistato durante il tragitto, che
riportava il programma delle feste, Caserio seguì via della Repubblica, arrivò fine nelle vicinanze
del Palazzo della Borsa, dove il presidente assisteva ad un banchetto, andò a prendere posto sul
marciapiede di destra, sapendo da tempo, dice, che nella vettura il personaggio più importante sta
seduto da quella parte; aspettò tra la folla che acclamava e salutava il presidente della Repubblica. Il
signor Carnot e le persone che erano con lui, erano allegri e fiduciosi in mezzo alla popolazione
entusiasta.
La vettura passò davanti al Caserio; secondo il volere del presidente, egli era facilmente
raggiungibile; l’assassino si lanciò rapidamente, estraendo dalla sua tasca il pugnale ancora avvolto
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 17
in un pezzo di carta di giornale, con una mano fece scivolare il fodero e, senza che nessuno
supponesse il suo orribile disegno piantò la sua arma, lunga più di sedici centimetri, fino alla guardia
nel petto del signor Carnot, lanciando il grido di: “Viva la Rivoluzione!”. Questo grido, nel
frastuono generale, venne sentito solo da un palafreniere seduto dietro il presidente.
Lasciando il pugnale nella ferita, Caserio fuggì gridando ancora: “Viva l’Anarchia!” cercando di
scappare nascondendosi tra la folla; la sua fuga fu felicemente intravista ed egli restò nelle mani
della polizia. É superfluo, dopo questa ricostruzione, fatta in qualche parte dall’accusato stesso,
insistere sulla premeditazione; l’espressione è insufficiente per qualificare questa sua ostinazione nel
suo disegno omicida, che ha condotto Caserio dal negozio di panettiere Viala a Cette, fino alla città
in festa dove doveva trovare la sua vittima.
Caserio nega di avere avuto dei complici, e di aver confidato a qualcuno il suo progetto; afferma
che l’ha concepito da solo, come l’ha eseguito, senza aiuto e senza assistenza pecuniaria. Con
insistenza, ha dichiarato nel corso dell’istruttoria che solamente davanti ai giurati farà conoscere il
movente che l’ha spinto. É ben evidente, malgrado le sue reticenze, che egli non era ispirato che
dallo spirito di odio e di vendetta che anima gli anarchici e che è troppo spesso manifestato con i più
criminali attentati.
L’INTERROGATORIO
Il signor Breuillac procede all’interrogatorio. Dopo averlo interrogato sulla sua nascita, sulla sua
famiglia, sul suo carattere, il presidente dice a Caserio di voler sapere se egli è responsabile, se il suo
stato è normale:
C. – Si, signore, sono assolutamente responsabile.
G. – Dichiarate di essere assolutamente responsabile?
C. – Si, signore.
G. – L’ha detto e ci tiene a ricordarlo, il signor giudice istruttore vi ha posto delle domande al
riguardo. Dopo l’età dei 10 anni non siete mai stato malato?
C. – No, signore.
G. – Non avete mai avuto un momento di delirio, mai una turbe psichica, delle crisi di qualche
specie; non siete mai stato malato?
C. – No, signore.
G. – Nella vostra famiglia ci sono state delle persone colpite da malattie che turbano la ragione?
C. – No, signore.
G. – Si parla di un vostro zio, di cognome Caserio, che è stato matto, è vero che non è mai stato
matto?
C. – I Caserio non sono dei matti.
G. – Voi riconoscete che i due zii non erano pazzi?
C. – Si, signore.
G. – Sembra tuttavia che vostro padre ha avuto in un certo momento delle crisi epilettiche. Vostro
padre è stato, credo, profondamente turbato dai fatti che si sono verificati al momento
dell’occupazione austriaca; era stato arrestato ed aveva visto al suo fianco dei compagni…
C. – Suo fratello.
G. - …suo fratello che doveva essere fucilato.
C. – No, arrestato.
G. – Ha avuto paura.
C. – Si.
G. – Ed in seguito a questi fatti, si sono prodotte delle crisi epilettiche. Ma vostro padre non era
pazzo dalla nascita.
C. – Ho sempre visto mio padre lavorare.
G. – Ci sono delle vostre dichiarazioni al riguardo che cerco di esibire in dibattimento. La difesa
si servirà probabilmente dei vostri documenti, che non mi compete di discutere, ma richiamo la
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 18
vostra attenzione su questo punto. Vostro padre ha avuto degli attacchi di epilessia che si sono
verificati a seguito di uno spavento.
C. – Si, signore.
G. – Peraltro, il 25 luglio scorso e nei giorni successivi, voi dovevate essere difeso o piuttosto
assistito da un vostro compatriota e voi avete telegrafato al signor Prodreirer21 che non volevate che
si visitassero vostra madre e vostra sorella, che avete ucciso il presidente della Repubblica per il
vostro ideale anarchico.
C. – Si, signore.
G. – Avete inviato questo telegramma?
C. – Si, signore.
G. – Avete spedito anche una lettera?
C. – Si, signore, una lettera.
G. – Avete aggiunto che non è per voi stesso, che protestate, e che avete ucciso il presidente della
Repubblica per il vostro ideale anarchico; queste sono le vostre parole.
C. – Si, signore.
G. – Abbiamo peraltro constatato dalla lettura dell’istruttoria, dal racconto fatto di vostra bocca,
dagli interrogatori che vi ho fatto, dagli atteggiamenti stessi che tenete in udienza, che godete, dal
punto di vista del ragionamento, delle facoltà normali al di sopra dell’ordinario. Voi siete, l’abbiamo
detto, di una famiglia modesta; vostra madre, a giudicare dalla corrispondenza, è una donna di gran
cuore. É una donna del popolo con dei sentimenti elevati; ha fatto per voi tutto il possibile. I vostri
parenti vi hanno da subito mandato alla scuola elementare di Motta Visconti?
C. – Si, signore.
Ricordando l’infanzia di Caserio, il presidente dice: “Siete andato a scuola, ma non avete mai
avuto premi.” Caserio risponde: “Rimpiango di non avere avuto più istruzione. Sarei stato più forte.”
G. – E cosa avreste fatto di questa forza?
C. – Me ne sarei servito per l’ideale.
Interrogato sui suoi rapporti con l’avvocato Gori risponde: “Non ho molto frequentato le
conferenze di Gori nel 1891; ma ho letto degli opuscoli ed ho fatto più attenzione a quello che
dicevano che non a chi li scriveva. Del resto io faccio l’esposizione delle mie dottrine.”
Dopo il presidente lo interroga sulle sue relazioni con gli anarchici italiani. Ma su questo punto
Caserio mantiene il silenzio.
“Sono un panettiere, dice, non un poliziotto.”
Si arriva al giorno in cui Caserio lascia il suo padrone Vialla, panettiere a Cette. Erano le 11 e 30.
“Dove siete andato in quel momento” gli chiede il presidente.
C. – Ho dato tutte le spiegazioni al giudice istruttore.
G. – Si, ma i signori giurati non le conoscono. Dove siete andato verso le 11 e 30?
C. – Era più tardi, verso mezzogiorno, sono andato al negozio di via delle Casernes a comperare
il pugnale.
C. – Quanto avete pagato il pugnale?
C. – Cinque franchi.
Dopo avere constatato che i sigilli del pugnale erano intatti, li rompe, ed il presidente lo mostra a
Caserio.
G. – É questo il pugnale che avete acquistato?
C. – Si, signore.
21
L’avvocato italiano scelto dai fratelli di Caserio che rifiutò poi di andare a Lione (N.d.T.)
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 19
G. – (mostrando un altro pugnale) Questo è un altro pugnale che è stato spedito dall’armaiolo
come campione; ma il primo è quello che avevate comperato?
C. – Si.
Il presidente (ai giurati): Questa è un’arma di circa 16 centimetri e mezzo; è sporca di sangue, la
punta è rotta perché cadendo sul selciato si è smussata. Ha su un lato Recuerdo, sull’altro Toledo,
ma è stato fabbricato a Thiers ed inviato all’armaiolo. Prego i signori giurati di non rovinarlo: perché
è una reliquia che si desidera conservare.
Il signor Vaux sostiene che avete acquistato questo pugnale alla sera della vigilia. Voi affermate
che l’avete acquistato sabato mattina; verrete messi a confronto. Il signor Vaux sostiene che l’avete
comperato più tardi; voi avete detto che vi siete coricato durante la giornata. Eravate stanco?
Si arriva alla domanda sulla premeditazione.
Il presidente invita Caserio a descrivere il suo viaggio da Cette a Lione, il 24 giugno scorso. Il
suo racconto è esattamente conforme a quello che ha fatto al signor Benoist, giudice istruttore.
Caserio dichiara ancora che era venuto a Lione per compiere il suo progetto.
“Che avete fatto nei pressi della Borsa?” gli domanda il presidente.
C. – Quando ho visto arrivare i cavalieri, ho compreso che il momento era arrivato e mi sono
tenuto pronto.
Il signor Breuillac fa passare sotto gli occhi dei giurati un fac-simile della vettura presidenziale ed
indica i posti occupati dai signori Gailleton, Voisin e Borius. Quando il presidente era seduto,
l’epigastrio non superava l’altezza di quella di un uomo in piedi. Il signor Carnot fece spostare i
cavalieri dalle portiere per meglio vedere la folla.
G. – Ciò detto, raccontate il vostro delitto, Caserio.
C. – Al momento in cui gli ultimi cavalieri della scorta passarono davanti a me, ho aperto la mia
giacca: il pugnale era con il manico in alto nell’unica tasca destra, all’interno, sul petto. L’ho preso
con la mano sinistra e con un solo movimento, spostando i due giovanotti piazzati davanti a me,
prendendo il manico con la mano destra e facendo scivolare con la mano sinistra il fodero che è
caduto a terra sul selciato, mi sono diretto velocemente, ma senza saltare, alla destra del presidente
seguendo una linea un po’ obliqua, in senso contrario al movimento della vettura.
Ho appoggiato la mano sinistra sul bordo della vettura ed ho, con un colpo portato leggermente
dall’alto verso il basso, il palmo della mano di dietro, le dita di sotto, immerso il pugnale fino alla
guardia nel petto del presidente.
E Caserio con un cinismo inaudito, mostra il modo in cui si è servito del
pugnale per uccidere il presidente.
La mia mano ha toccato il suo vestito; ho lasciato il pugnale nel petto del
presidente e rimase sul manico un pezzo di carta di giornale. Portando il colpo
ho gridato, se forte o piano non posso dirlo: “Viva la Rivoluzione!"
G. – Avete detto che lo sguardo del presidente ha prodotto su di voi una grande sensazione.
C. – Non ho avuto alcuna emozione.
G. - Volevate colpire al cuore; ma il vostro colpo andò più basso di quanto pensavate. Portato il
colpo, vi siete dato alla fuga; vedendo che non vi fermavano subito e che nessuno sembrava aver
capito ciò che avevate fatto, vi siete messo a correre gridando: “Viva l’Anarchia!” Vi siete disperso
tra la folla che si rifiutò di lasciarvi passare. Qualcuno dietro di voi gridò: “Fermatelo!”; venti agenti
allora vi presero per il colletto e vi portarono in un luogo sicuro.
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 20
Il signor Breuillac dopo racconta gli ultimi momenti del signor Carnot. I più famosi medici della
nostra città hanno fatto ciò che era umanamente possibile fare per salvare una vita così preziosa.
G. – Il risultato del vostro colpo di coltello, Caserio, è stato la morte del signor Carnot. Lo
sapete?
C. – (con voce flebile) Si, lo so.
G. – É perché siete anarchico che avete ucciso il signor Carnot. Odiate tutti i capi di Stato?
C. – Si, signore.
G. – Avete premeditato il vostro delitto. Lo riconoscete.
C. - Lo dirò con la mia dichiarazione.
Terminato il suo interrogatorio, il presidente dice a Caserio: “Mediante un delitto politico, avete
ucciso uno sposo ed un padre di famiglia.”
Caserio sviluppa allora in italiano lunghe considerazioni: “Non si ha avuto pietà delle mogli e dei
figli degli anarchici che hanno ghigliottinato in Francia, impiccati in America, fucilati in Spagna.”
L’interprete traduce a malapena le parole dell’accusato, snaturandone il senso, ciò che fa
sollevare proteste dai banchi dei giornalisti.
L’udienza è tolta a mezzogiorno.
L’UDIENZA DELLA SERA
L’udienza riprende alle 14. Stesse misure d’ordine nelle vicinanze del palazzo e nell’aula
d’assise, stessa affluenza. Questa udienza è interamente dedicata all’audizione dei testimoni. Il
signor Hippolyte Cousin, commissario di polizia a Lione ed i quattro vigili urbani Brun, Bardin,
Jehlé e Colombani fanno le loro deposizioni. Poi vengono ascoltati i generali Voisin, governatore
militare di Lione e Borius, capo della casa militare del signor Carnot; gli ufficiali della scorta, i
signori Nœttingen, capitano del 7° corazzieri, Delpech, luogotenente del 7° corazzieri, e Flotti,
palafreniere del signor Carnot. Il signor Rivaud, prefetto del Rodano, che era nella seconda vettura
con il signor Dupuis, presidente del Consiglio dei ministri, non ha assistito per niente alla scena.
Quando vide la vettura fermarsi, saltò a terra ed apprese dal signor Guilleton, sindaco di Lione, che
il presidente era stato ferito.
Il signor Giulleton, sindaco di Lione, che si trovava nella vettura presidenziale è malato e si trova
nell’impossibilità di venire all’udienza.
Il procuratore generale dà lettura della deposizione del sindaco di Lione.
Eccone il testo:
[…omissis… N.d.T.]
DOTTOR PONCET
Professore della facoltà di medicina e chirurgica in capo dell’Hôtel-Dieu Chevalier della Legion
d’onore.
Uscivo dal palazzo della Borsa, quando vidi il signor Carnot, riverso sul fondo della vettura,
estremamente pallido. [...omissis...N.d.T.]
DOTTOR OLLIER
Sono stato chiamato dalla prefettura per portare le cure al presidente Carnot. [...omissis...N.d.T.]
Signor HENRI COUTAGNE
Medico di turno
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 21
Sono stato chiamato alla sera del delitto al posto di polizia dove l’assassino doveva essere
condotto, poi alla prefettura presso la vittima. [...omissis... N.d.T.]
DOTTOR LACASSAGNE
Il dottor Lacassagne, professore alla Facoltà di medicina, che doveva deporre, non può
presenziare all’udienza; è venuto a mancare il suocero, il dottor Rollet.
Le deposizioni degli altri testimoni (Vaux, coltelliere a Cette; Viala, panettiere a Cette;
Crociocha, commissario Centrale a Cette; Boy commissario centrale a Vienne; Pernel, commissario
speciale presso la prefettura del Rodano) offrono poco interesse dal punto di vista medico legale.
Non resta da sentire che un testimone: il soldato Leblanc.
L’udienza è tolta senza incidenti alle ore 17 e 25 minuti.
UDIENZA DEL 3 AGOSTO (mattino)
In attesa che si apra l’udienza, l’interrogatorio di Caserio e le deposizioni dei testimoni, sono
oggetto dei commenti dell’uditorio. L’interesse per gli avvocati, per i criminologi, per i medici, è
stata soprattutto per le risposte di Caserio e per le deposizioni dei dottori Guilleton, Ollier, Poncet e
Coutagne. Si commentano soprattutto gli atteggiamenti dell’assassino, il suo vago sorriso, sempre lo
stesso, che ritorna sulle sue labbra. Nel corso delle due prime udienze, in effetti, ha sempre risposto
con dolcezza, quasi sorridendo, alle domande del presidente. Quando interrompeva il suo sorriso,
era per rettificare un errore del presidente o di un testimone: (“Sono assolutamente responsabile…
Non sono mai stato malato… Non ci sono mai stati pazzi nella mia famiglia… Non ho avuto dei
complici…). Quando inizia a parlare e quando parla, i suoi modi sono sempre gli stessi: annuisce
con la testa, tiene la mano destra sulla balaustra e gesticola con la mano sinistra. Qualche volta si
porta la mano destra sulle anche, soprattutto quando è girato verso il suo interprete, il signor Ch.
Armand de Geneval. L’assassino del signor Carnot parla molto male il francese e il suo italiano non
è molto corretto, a dire del suo interprete. Questi, purtroppo, traduce riassumendo. La sua traduzione
non è sempre di impeccabile fedeltà, ed i toni delle risposte di Caserio, che hanno pertanto la loro
importanza, vanno completamente dispersi. Il malcontento è soprattutto visibile dai banchi della
stampa.
L’udienza è aperta alle ore 9.
Dopo l’audizione del testimone Leblanc, il procuratore generale Fochier ha la parola. Con voce
grave e penetrante, con una logica inesorabile, il signor Fochier incomincia a stabilire, in risposta
all’ipotesi dell’irresponsabilità, la lucidità della mente, l’incrollabile forza di volontà con le quali
Caserio ha concepito e perpetrato il suo attentato; i suoi interrogatori durante l’istruttoria, il suo
atteggiamento nelle udienze, tutto indica che non ha cessato un solo istante d’avere la piena
coscienza dei suoi atti. Chiede il castigo supremo. “Ciò non sarà un atto di vendetta, ma un atto di
lungimirante giustizia.”
Tutta questa eloquente requisitoria, Caserio non ha cessato di ascoltarla molto attentamente, con
una sorta di ironico sorriso sulle labbra.
Il presidente Breuillac dà la parola al difensore, signor Dubreuil22. In questo processo criminale
dove tutte le prove sono contro il suo cliente, il signor Dubreuil si mostra all’altezza di un compito
nel quale deve ripudiare le proprie opinioni ed i propri gusti. “Ho ricevuto una consegna, quella di
aiutare Caserio nella sua difesa e, al bisogno, di integrarlo; lo eseguirò…”. Egli espone in seguito
che lo studio completo del dossier l’ha vivamente impressionato. “Mi sono sinceramente
domandato, dice, se è con una sufficiente coscienza del propri atti che Caserio ha compiuto
l’abominevole delitto che l’ha portato qui.” Il signor Dubreuil dichiara che la sua relativa
incoscienza risulta per lui prima dal germe ereditario che ha sicuramente causato a Caserio una turbe
psichica, in seguito dall’ambiente in cui ha vissuto alla fine della sua infanzia, infine
dall’impossibilità di conciliare i sentimenti di Caserio al momento dell’attentato con certi sentimenti
22
Difensore d’ufficio (N.d.T.)
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 22
che espresse poco prima o subito dopo. Il punto più interessante della arringa del signor Dubreuil
per i criminologi e per i medici, è stato quello nel quale ha esposto più o meno completamente la
questione della patologia psicologica e il grado di responsabilità di Caserio. Il signor Dubreuil ha
dipinto Caserio figlio di un padre epilettico, affetto di rachitismo, ed ha supportato le sue
affermazioni con citazioni di Maudsley (Le crime et la Folie, p. 44, e 168), di Lombroso, e di una
lettera del medico comunale che esercitò a Motta Visconti dal 1872 al 1874. E mostrando ai giurati
l’assassino: “Questo uomo ha compiuto il suo delitto con un balzo che è durato trenta ore!”
Si è sforzato di provare che Caserio ha semplicemente realizzato le dottrine di Gori e dei teorici
dell’anarchia, le ha applicate, le ha convertite in fatti. E quando insiste su questo punto, Caserio
protesta violentemente: “Non sono stato l’allievo di Gori, non è stato il mio maestro”.
“Il mio dovere è finito, il vostro comincia, dice terminando il signor Dubreuil, voi siete cittadini,
voi siete i giudici. Io non ho più che da abbandonare la sorte di Caserio ai vostri cuori ed alle vostre
coscienze.” (Agitazioni prolungate) Ad arringa finita, il presidente domanda a Caserio se insiste per
dare lettura della sua dichiarazione. [* N.d.T.] Sulla risposta affermativa di Caserio, l’interprete
legge questa opera senza originalità, della quale la Corte, su richiesta del procuratore generale, ne
interdice la pubblicazione in virtù della nuova legge23.
*DICHIARAZIONE DI CASERIO
da L’anarchiste et son juge di Pierre Truche ed. Fayard, 1994
Signori giurati,
non è la mia difesa che vi voglio esporre, ma una semplice esposizione del mio atto.
Dopo la mia prima giovinezza, ho cominciato a conoscere che la nostra Società è mal organizzata e che
tutti i giorni ci sono degli sfortunati che, spinti dalla miseria, si suicidano, lasciando i loro figli nella più
completa miseria.
A centinaia e centinaia, gli Operai cercano lavoro e non ne trovano: invano la loro povera famiglia
richiede del pane e durante il freddo, soffre la più crudele miseria. Ogni giorno i poveri figli domandano
alla loro sfortunata madre del pane che quest’ultima non può dare loro, perché a lei manca di tutto: i
vecchi abiti che si trovavano in casa sono stai giù venduti od impegnati al Monte di Pietà: sono allora
ridotti a chiedere l’elemosina ed il più delle volte vengono arrestati per vagabondaggio.
Quando tornavo al paese dove sono nato, è là soprattutto dove spesso mi mettevo a piangere, vedendo
dei poveri bambini di appena otto o dieci anni, obbligati a lavorare 15 ore al giorno per la miserabile
paga di 20 centesimi: dei ragazzi di 18 o 20 anni o delle donne in età più avanzata, lavorare ugualmente
15 ore al giorno, per un paga irrisoria di 15 soldi. E questo succede non solo ai miei compatrioti, ma a
tutti i coltivatori del mondo intero. Obbligati a restare tutto il giorno sotto i raggi di un sole cocente, e
mentre col loro lavoro ingrato, producono il sostentamento per migliaia e migliaia di persone, non
hanno, tuttavia, mai niente per loro stessi. Sono per questo obbligati a vivere nella miseria più dura ed il
loro nutrimento giornaliero consiste in pane nero, in qualche cucchiaiata di riso e dell’acqua, per cui
arrivano a malapena all’età di 30 o 40 anni sfiniti dal lavoro, muoiono negli ospedali. Inoltre, come
conseguenza di questa cattiva nutrizione e dell’eccessivo e faticoso lavoro, questi sfortunati, a centinaia e
centinaia, finiscono per morire di pellagra, una malattia che i medici hanno riconosciuto colpire coloro
che nella vita, sono soggetti a cattiva nutrizione ed a numerose sofferenze e privazioni.
Riflettendo io mi dicevo che se ci sono tante persone che soffrono di fame e di freddo, e vedono
soffrire i loro piccoli, non è per mancanza del pane o dei vestiti: poiché io vedevo numerosi e grandi
negozi pieni di vestiti, di stoffe e di tessuti di lana: come dei grandi depositi di farina, di granoturco e
frumento, per tutti quelli che ne hanno bisogno.
Mentre, d’altra parte vedevo migliaia e migliaia di persone che non facendo nulla e non producendo
nulla, vivono sul lavoro degli Operai, spendendo tutti i giorni migliaia di franchi per i loro divertimenti
ed i loro piaceri, deflorando le ragazze del povero popolo, possedendo dei palazzi di 40 o 50 camere, 20
o 30 cavalli, numerosi domestici, in una parola tutti i piaceri della vita.
23
Le leggi “scellerate” (così definite dai deputati socialisti) varate nel 1892/1894 (N.d.T.)
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 23
Ahimè! come soffrivo vedendo questa Società così mal organizzata!... e molte volte maledicevo coloro
che accumulavano i loro patrimoni, che sono attualmente alla base di questa ineguaglianza sociale.
Quando ero un ragazzo, mi hanno insegnato ad amare la patria ma quando ho visto migliaia e migliaia di
operai lasciare il loro paese, i loro cari figli, le loro mogli, i loro genitori, nella più spaventosa miseria, ed
emigrare in America, in Brasile, o in altri paesi, per trovare il lavoro, è allora che mi sono detto: “La
Patria non esiste per noi poveri operai: la Patria per noi è il mondo intero. Coloro che predicano l’amore
per la patria, lo fanno perché qui essi trovano i loro interessi ed il loro benessere. Anche gli uccelli
difendono il loro nido, perché lì si trovano bene.”
Io credevo in un Dio, ma quando ho visto tale disuguaglianza fra gli uomini, è allora che ho
riconosciuto che non è Dio che ha creato l’uomo, ma sono gli uomini ad aver creato Dio: non come
dicono quelli che hanno interesse a far credere all’esistenza di un Inferno e di un Paradiso, nell’intento
di far rispettare la proprietà individuale e per mantenere il Popolo nell’ignoranza.
Per questo motivo sono diventato ateo.
Dopo gli avvenimenti del primo maggio 1891, cioè quando tutti i lavoratori del mondo domandavano
una festa internazionale, tutti i Governi, non importa di quale colore, sia i monarchici che i repubblicani,
hanno risposto con dei colpi di fucile e con la prigione: causando dei morti e dei feriti in gran numero,
così come numerosi incarcerati.
É a partire da questo anno che sono diventato anarchico, perché ho constatato che l’idea anarchica
corrisponde alle mie idee. É fra gli anarchici che ho trovato degli uomini sinceri e buoni, che sapevano
combattere per il bene dei lavoratori: fu così che cominciai a fare della propaganda anarchica, e non ho
tardato a passare dalla propaganda ai fatti, considerato ciò che abbiamo avuto dai Governi.
Non è tanto che mi trovo in Francia, e tuttavia questo tempo mi è stato sufficiente per riconoscere che
tutti i Governi sono uguali.
Ho visto i poveri minatori del Nord, che non prendevano una paga sufficiente per le loro famiglie,
protestare contro i loro padroni, facendo lo sciopero: dopo una lotta di più di tre mesi, sono stati
obbligati a riprendere il lavoro con la stessa paga, avendo bisogno di mangiare. Ma i Governanti non si
sono occupati di queste migliaia di minatori, perché essi erano occupati in grandi banchetti ed in grandi
feste date a Parigi, Tolone e Marsiglia, per l’alleanza fra la Francia e la Russia.
I deputati hanno dovuto votare delle nuove tasse, per pagare i milioni di franchi spesi per quelle feste, e
questi qui hanno venduto le loro penne e le loro coscienze alla borghesia (intende dire i giornalisti)
scrivendo dei bellissimi articoli per far credere che l’alleanza fra la Francia e la Russia avrebbe portato
grandi benefici per i lavoratori; nel frattempo noialtri poveri lavoratori ci troviamo sempre nella stessa
miseria, obbligati a pagare delle nuove tasse, per saldare il conto di queste grandi feste dei nostri
governanti. E se poi noi domandiamo del pane o del lavoro, ci rispondono con dei colpi di fucile e con
la prigione, com’è capitato ai minatori del Nord, ai coltivatori della Sicilia, ed a migliaia d’altri.
Non è da molto che Vaillant ha lanciato una bomba alla Camera dei Deputati, per protestare contro
questa infame Società. Egli non ha ucciso nessuno, non ha ferito nessuno, e malgrado ciò, la Giustizia
borghese l’ha condannato a morte: non soddisfatti d’aver condannato il colpevole, cominciano a dare la
caccia a tutti gli anarchici, arrestando a centinaia coloro che non avevano neanche conosciuto Vaillant,
colpevoli unicamente di aver assistito ad una conferenza, o di aver letto dei Giornali o dei volantini
anarchici.
Ma il Governo non pensa che tutta questa gente ha mogli e bambini, e che durante il loro arresto e la
loro detenzione in prigione per quattro o cinque mesi, seppure innocenti, non sono i soli a soffrire: [il
Governo] non ha figli che chiedono del pane.
La Giustizia borghese non si occupa di questi poveri innocenti, che non conoscono ancora la Società e
che non sono colpevoli se il loro padre in trova in prigione: essi non domandano altro che di mangiare
quando hanno fame, mentre le mogli piangono i loro mariti.
Si continua dunque a fare delle perquisizioni, a violare il domicilio, a sequestrare giornali, volantini, la
stessa corrispondenza, ad aprire le lettere, ad impedire le conferenze, le riunioni, ad esercitare la più
infame oppressione contro noi anarchici. Oggi stesso stanno in prigione in centinaia, per aver tenuto
nient’altro che una conferenza, o per aver scritto un articolo su qualche giornale, o per aver esplicitato
idee anarchiche in pubblico: e sono in attesa che la Giustizia borghese pronunci le loro condanne per
Associazione a delinquere.
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 24
Se dunque i Governi impiegano i fucili, le catene, le prigioni, e la più infame oppressione contro noi
anarchici, noi anarchici che dobbiamo fare? Cosa? Dobbiamo restare rinchiusi in noi stessi? Dobbiamo
disconoscere il nostro ideale che è la verità? No!...
Noi rispondiamo ai Governi con la Dinamite, con il Fuoco, con il Ferro, con il Pugnale, in una parola
con tutto quello che noi potremo, per distruggere la borghesia ed i suoi governanti.
Emile Henri ha lanciato una bomba in un ristorante, ed io mi sono vendicato con il pugnale, uccidendo
il Presidente Carnot, perché lui era colui che rappresentava la Società borghese.
Signori Giurati, se volete la mia testa, prendetela: ma non crediate che prendendo la mia testa, voi
riuscirete a fermare la propaganda anarchica. No!.. Fate attenzione, perché colui che semina, raccoglie.
Quando i Governi cominciarono a fare dei martiri (vi voglio parlare degli impiccati di Chicago, dei
garrotati di Jerez, dei fucilati di Barcellona, dei ghigliottinati di Parigi) le ultime parole pronunciate dagli
stessi martiri, intanto che andavano alla morte, furono queste: “Viva l’Anarchia, Morte alla borghesia”.
Queste parole hanno attraversato i mari, i fiumi, i laghi: sono entrate nelle città, nei paesi, e sono
penetrate nelle teste di milioni e milioni d’operai, che oggi si ribellano contro la Società borghese.
É la stessa massa di lavoratori che finora si sono lasciati guidare da coloro che si proclamano partigiani
delle otto ore di lavoro, della festa del 1° maggio, delle Società operaie, delle Camere sindacali, e da altre
mistificazioni, che hanno servito solamente le loro ambizioni, per farsi nominare Deputati o Consiglieri
Municipali, con la mira di poter vivere bene senza fare nulla. Ecco i Socialisti!...
Ma essi hanno finito ora per riconoscere che non sarà che una rivoluzione violenta contro la borghesia,
che potrà riconquistare i diritti dei lavoratori.
Quel giorno, non ci saranno più gli operai che si suicideranno per la miseria, non ci saranno più gli
Anarchici che soffriranno la prigione per anni e anni, non ci saranno più anarchici che saranno
impiccati, garrotati, fucilati, ghigliottinati: ma saranno i borghesi, i Re, i Presidenti, i Ministri, i Senatori, i
Deputati, i Presidenti delle Corti d’Assise, dei Tribunali, ecc. che moriranno sulla barricate del popolo, il
giorno della rivoluzione sociale.
É da lì che splenderanno i raggi d’una Società nuova, cioè dell’Anarchia e del Comunismo. Sarà
solamente allora che non ci saranno più né sfruttati, né sfruttatori, né servi, né padroni: ciascuno
darà secondo la propria forza e consumerà secondo i propri bisogni.
Alle 12 e 5, i giurati entrano nella sala delle deliberazioni. Avvocati, magistrati, giornalisti,
medici, commentano i punti salienti di questa udienza. L’atteggiamento di Caserio, questa
semplicità terrificante nelle piena rivendicazione dell’atto commesso, questo eterno sorriso ironico,
sono oggetto di conversazione. Le proteste di Caserio, quando il signor Dubreuil ha parlato dell’avv.
Gori, sembra uno dei punti più interessanti dell’udienza, che ben evidenzia “lo stato d’animo”
dell’assassino del signor Carnot. Caserio si è infatti presentato davanti alla giuria senza vanterie,
senza fanfaronate, senza iattanza. Ha voluto portare solo il demerito o piuttosto il merito del suo
atto. Ha colpito coscientemente, non ha avuto rimorsi dopo come non ha avuto esitazioni prima.
Più si analizzano le risposte di Caserio durante l’interrogatorio, durante l’arringa del sig.
Dubreuil, più ci si convince che questo anarchico che è certamente della famiglia dei Ravachol, dei
Vaillant, degli Emile Henry, è un esempio compiuto di rivoluzionario, di internazionalista che
conforma la sua condotta individuale alle teorie di violenza e di odio precedentemente ascoltate.
Questa opinione, che sembra essere quella della maggioranza del pubblico, sarà anche quella dei
giurati? Senza avere una divinazione rara, si potrà, durante le deliberazioni dei giurati, immaginarsi
lo stato mentale e morale di ciascuno dei giurati come si è potuto raffigurarseli nelle differenti fasi
del processo, e di conseguenza prevedere il verdetto.
In capo ad un quarto d’ora i giurati rientrano portando un verdetto affermativo per tutte le
domande, muto sulle circostanze attenuanti; la lettura viene data dal capo dei giurati di fronte ad un
religioso silenzio. La Corte dopo una sosta, condanna Caserio alla pena di morte e ordina che la sua
esecuzione abbia luogo in un posto pubblico di Lione, a scelta dell’autorità amministrativa.
Caserio ascolta con un sorriso contratto. Cerca di mostrare fermezza, le due mani allargate,
appoggiate alla sbarra. Quando il presidente l’avverte che ha tre giorni di tempo per ricorrere in
cassazione, biascica con voce sorda: “Viva la Rivoluzione sociale!”. Poi, quando i gendarmi lo
incatenano, si gira a metà verso i giurati e grida: “Coraggio, compagni, viva l’Anarchia!”
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 25
A.B.
APPUNTI DI UN TESTIMONE
Caserio fu svegliato alle quattro e mezzo del mattino. Era coricato sul fianco destro e sembrava
dormire tranquillamente. Aveva fatto, preventivamente, un copioso ordine allo spaccio, volendo
senza dubbio approfittare del suo ultimo giorno per fare un buon pasto. Mai era stato così espansivo,
così allegro come alla vigilia, molto affabile con i suoi custodi, facendo il suo testamento con
battute. Si sente sicuro del suo domani, e questo spiega la calma perfetta nella quale lo trovammo.24
Il direttore ha dovuto battergli sulla spalla, in due riprese, per svegliarlo. Caserio, si gira, si mette
a sedere, si alza, ancora addormentato, l’occhio un po’ vago. Il direttore gli annuncia che deve
scontare la pena e lo invita a mostrarsi coraggioso. Il condannato risponde con un segno della testa
“si”; è livido e trema in tutto il corpo, ma non altre tracce di debolezza. Gli si domanda cosa ha da
dire. “Grazie, grazie”, risponde al direttore. “Volete dire qualcosa a me? domanda quest’ultimo – Si,
grazie, grazie.” (Senza dubbio grazie per i modi che l’ha trattato). – “Ecco il signor cappellano, il
procuratore ed il vostro avvocato che vengono a stare con voi, se desiderate confidare loro
qualcosa.” – “No” risponde Caserio, con un lento movimento della testa da destra a sinistra.
Successivamente il cappellano ed il procuratore ricevono la stessa risposta e si ritirano. Escono tutti
per lasciare il detenuto con il proprio avvocato, ma pare che questi non ottenga altre risposte.
Si veste, tremando sempre in ogni membra; si porta in seguito in cella; là, il suo tremore è visibile
e manifesto, benché vi fosse una temperatura normale. Il condannato non trema per il freddo, trema
realmente. A più riprese gli viene offerto un cordiale, egli risponde, sempre con lo stesso gesto,
girando la testa, con una semplice parola: no. E se questo suo essere taciturno venisse dal fatto che
questo Italiano parla con difficoltà il francese? Sarebbe più loquace se la nostra lingua gli fosse
famigliare? Noi non lo pensiamo: Caserio parla poco naturalmente; attualmente sembra oppresso e
sembra concentrarsi su se stesso per non lasciarsi andare. Risponde con l’aria di un uomo che chiede
si finisca al più presto possibile e che lo si lasci tranquillo. Mi avvicino a lui e gli offro a mia volta
un cordiale, lo rifiuta: “Non avete paura di essere troppo debole? – No” mi risponde.
Attendendo l’arrivo di Deibler 25 e dei suoi assistenti, esamino questo criminale di venti anni, il
cui nome diventerà tristemente celebre.
Non ha l’aria bestiale; la taglia è alta, un po’ curvo, i movimenti generalmente lenti; la fronte non
ha nulla di saliente, gli occhi sono dolci, molto grandi, la bocca è grande, le labbra spesse; in breve,
è piuttosto una fisionomia insignificante, e si cerca invano in qualche angolo del viso di potervi
trovare una traccia di ferocia, di tendenza al delitto.
L’espressione non è poco intelligente, quel che appare piuttosto chiaramente, sono l’apatia e
l’indifferenza: né il mento né il naso palesano passione violenta; i padiglioni non sono staccati dalla
testa; un po’ di dimagrimento dovuto alla detenzione fa moderatamente risaltare gli zigomi, senza
sporgenza apprezzabile. Le labbra non po’ forti, a contorni uniti, rettilinei, completano questo
insieme che è piuttosto insignificante. Cerco invano un nonnulla che possa permettere di trovare nei
tratti di un condannato, non la spiegazione del suo delitto, ma l’indizio di una tendenza criminale.
Non so se l’esame più approfondito e più dettagliato della testa possa dare dei risultati più
positivi, ma è chiaro che questo nostro esame resta infruttuoso.
Assistendo all’esecuzione di Busseuil, fummo sorpresi dalla sua impassibilità, dalla sua
indifferenza davanti alla morte; il suo naso portava l’impronta di una certa bassezza, di una qualche
bestialità, era perché Busseuil era un professionista del delitto, abituato alle dissolutezze e alle
violenze, e che questi suoi tratti avevano come custodito una certa impronta? Può essere; quello che
Il suo sonno d’altronde era abitualmente normale. Mai Caserio ha avuto od è parso avere delle allucinazioni dell’udito
o della vista, durante la veglia o nel sonno. Mai ha avuto degli incubi.
25
Il boia (N.d.T.)
24
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 26
è sicuro, è che sono singolarmente stupito di non trovare nulla in Caserio che indichi un criminale
nato.
Tuttavia i condannati tremano sempre, il tremore è visibile in tutti. Caserio lascia vagare su chi
gli sta attorno il suo sguardo cupo e oppresso. Sembra indifferente a tutto; tuttavia sempre pallido,
ha le pulsazioni veloci, deboli ma regolari.
Non sono riuscito a fargli accettare niente. Deibler arriva; la toilette è fatta rapidamente e il
condannato la sopporta senza muoversi, senza articolare una parola; in questo momento è ancora più
pallido e mi sembra quasi incosciente.
Viene quindi condotto nella vettura cellulare; l’aria esterna sembra rianimarlo un po’ e un po’ di
colore si mostra agli zigomi. La vettura, chiusa, varca la soglia della prigione e arriva nei pressi della
ghigliottina situata per la circostanza poco distante dalla prigione, all’angolo di corso Suchet e della
via Smith.
Di fatto, la lontananza del cordone delle truppe, rende la riunione meno imponente del solito,
quando la folla si accalca su ogni lato del marciapiede, i cavalieri formano una massa più ravvicinata
al luogo dell’esecuzione.26 La vettura si apre, Caserio scende, sempre pallido, sempre tremante; le
sue labbra si muovono come se volesse parlare, ma forse si ravviva, scende i gradini dello sgabello
sostenuto dagli assistenti che lo spingono verso la ghigliottina, ha un forte movimento di
arretramento, evidentemente non ha piacere di trovare lo strumento fatale così vicino a lui; lo
spingono sempre, lo spingono sulla bascule27; in questo momento, mentre la semilunetta superiore si
abbassa, si sentono delle grida di cui non capisco il senso ma distinguo in compenso, molto
nettamente, lo sforzo per rialzarsi fatto dal condannato, il cui dorso si inarca come un arco di spinta
per resistere. Una mano vigorosa lo tiene, il coltello cade e la testa rotola nel paniere; il sangue cola,
di colore poco intenso e precipita a getti. Lunghi applausi si fanno sentire.
Riconosco che malgrado l’enormità del delitto di Caserio, gli applausi mi sono parsi indiscreti e
tali da causarmi un vero malessere. So bene che si addurrà che si tratta di un delitto inaudito
commesso da uno straniero, ma ciò mi fa auspicare una volta di più la soppressione della pubblicità
delle esecuzioni. Peraltro, come contropartita, una voce, dopo questi applausi si alza, gridando:
“Viva l’Anarchia!”.28
Molte persone che erano al mio fianco mi confermano di aver compreso nelle ultime parole di
Caserio queste parole: “Coraggio, compagni, viva l’Anarchia!”. Adotto questa versione perché tutti
me la riferiscono, ma confesso di non averle sentite.
Quando tutti si ritirano, una persona che aveva assistito con me a tutti i dettagli dell’esecuzione,
esprime l’opinione che il suppliziato non era stato per niente coraggioso. Una terza persona dice che
Caserio, lontano dal turbarsi alla vista della ghigliottina, era corso sul davanti. Tutte queste
divergenze su un fatto che scorreva sotto i nostri occhi, dimostrano come è difficile essere precisi.
Quello che è sicuro, è che, paragonato a Busseuil, Caserio ha fatto una brutta figura davanti al
patibolo, non ha cessato di tremare, e che se aveva pensato di comportarsi meglio di Henry e di
Vaillant, sui confratelli in attentati, aveva troppo presunto da se stesso. Se si osserva da vicino,
penso che l’annuncio della sua esecuzione, prematura per lui, perché l’attendeva 24 ore dopo,
l’abbia sbalordito, levandogli ogni facoltà di riflettere e di pensare. Non ha avvertito che una
prostrazione, uno scoramento che ha offuscato la sua intelligenza e la sua sensibilità.
L’annuncio del massimo supplizio deve produrre uno shock tale che è come un’inibizione della
riflessione, la sola che potrebbe mostrare al condannato la sua situazione in tutto il suo orrore. É
senza dubbio per questo che, a parte il tremore, spesso non c’è traccia di emozioni esteriori, crisi,
26
Ricordiamo che le precauzioni speciali erano state prese per allontanare la folla e per evitare ogni disordine. Poche
persone, quindi, hanno potuto rendersi esattamente conto dell’esecuzione.
27
Sono le due semilunette in legno, di cui quella inferiore fissata alla base e la superiore scorrevole, presenti tra i due
montanti. Abbassando la lunetta superiore su quella inferiore, alla congiunzione delle due veniva a formarsi un collare
che serviva ad immobilizzare il collo del condannato tra i due montanti. (N.d.T.)
28
Questa voce partiva senza dubbio da una delle celle ove erano rinchiusi dei detenuti anarchici.
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
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paura, recriminazioni. É per questo che l’emozione sentita è qualche volta più grande in apparenza
per certi astanti che per il condannato.
Quello che appare, ad un primo esame, è che Caserio non sembra possedere alcuni dei segni di
degenerazione e che ci troviamo in presenza di un criminale creato con ogni mezzo dalla
propaganda anarchica. Non c’era alcuna propensione criminale in lui, se si analizza la sua storia.
Delle tare ereditarie, è superfluo parlarne, la sua intelligenza era lucida e grande la sua volontà,
capace di pianificare con abilità e di eseguire con audacia; non sembrava sprovvisto di sensibilità;
avrebbe detto in una delle sue ultime conversazioni, che se avesse visto prima il signor Carnot ed
incrociato il suo sguardo, si sarebbe sentito incapace di colpirlo all’ultimo momento. É dunque un
uomo con le facoltà apparentemente intatte; solo l’idea anarchica vi aveva fatto breccia e si era
insinuata al punto di assorbire totalmente la sua attenzione e di concentrare tutte le sue facoltà su
questo scopo, l’anarchia, della quale si crede il campione e il martire, senza riflettere che è stato
unicamente sentendo il suo ruolo di martire che ha cominciato ad essere un assassino.
§§§§§§
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
Pagina 28
GLI ULTIMI MOMENTI DI CASERIO
Sempre calmo nella sua cella, Caserio vede avvicinarsi l’ora dell’espiazione, che egli sa
inevitabile, senza angoscia, senza inquietudine apparente.
Il condannato si apre facilmente ai visitatori comuni, preoccupato solamente di tacere i nomi dei
suoi amici, al fine di evitare delle difficoltà ai compagni.
Sospettoso e muto alla sua incarcerazione, non è senza fatica che gli si strappa qualche parola,
difficili da afferrare, d’altronde, perché non c’è l’abitudine al suo gergo franco-italiano.
Visto qualche ora dopo il delitto, il viso tumefatto, la tenuta da protettore, l’andatura ondeggiante
facevano pensare che Caserio fosse qualche vagabondo di barriera maltrattato durante una
spedizione notturna. Il soggetto non aveva nulla di simpatico.
Le ecchimosi spariscono, l’aspetto del viso s’addolcisce; il detenuto comincia a parlare
liberamente con le persone che gli stanno intorno.
Difende le sue idee con un accanimento che non lascia disgraziatamente alcun dubbio della
sincerità delle sue pericolose convinzioni e sul carattere del suo abominevole delitto. É certo un
fanatico, questo adolescente di 20 anni, dallo sguardo ora dolce, ora minaccioso e scuro, che discute
in una maniera così strana, passando improvvisamente da un riso convulsivo alla collera ed alla
furia. Questa fisionomia a volte paurosa a volte simpatica è certo quella di un illuminato. Caserio è
convinto dell’utilità del suo delitto; accompagna sempre i suoi argomenti con un riso forte, che gli è
famigliare, soprattutto quando fa l’apologia del suo delitto. La sua coscienza non gli rimprovera
nulla. Né il suo appetito né il suo sonno sono stati un solo istante turbati nei suoi cinquantatre giorni
di cella. Sa della sua condanna e della sua esecuzione certa e la crede vicina. Resta indifferente. Si
possono appena notare che i suoi movimenti sono più convulsi e più nervosi; dei lunghi sospiri
seguono spesso il suo ridere forzato ed i suoi scherzi macabri.
Talvolta, manifesta paura; debilitato per la carcerazione, teme un cedimento all’ultimo momento
che potrebbe offuscare la sua aureola agli occhi del partito.
Attende dunque coraggiosamente la morte, in questa pace dello spirito che procura all’uomo la
soddisfazione di aver compiuto il proprio dovere. Non un dubbio, non un rimorso.
Il suo sonno è profondo, quando il 16 agosto, alle 4 e 30 del mattino, il signor Raux
accompagnato dai magistrati si presenta nella sua cella. Lo scuotono vivamente ed a più riprese per
svegliarlo; apre infine i grandi occhi, sconvolto e pallido; capisce.
Si alza e tremando ai piedi del suo letto, non risponde all’esortazione del direttore; si limita a
dichiarare che non ha nulla da dire al giudice e che rifiuta le cure del cappellano. Si sveste da solo;
gli si fa lasciare la divisa penale e la camicia di forza per rivestirlo con gli effetti che indossava il
giorno del delitto. Resta muto, i presenti rispettano il suo silenzio.
Il suo sguardo si turba dopo l’annuncio della fatale notizia, la sua debolezza è estrema; il tremore
si accentua. Il paziente sforzo per sostenere e contenere le lacrime è visibile, ma non si abbandona al
suo dolore. Avrà il coraggio di giocare fino in fondo il triste ruolo che si è assegnato. Anche di
fronte alla morte vuole dimostrare fermezza.
Al posto centrale gli offrono qualche conforto. Rifiuta tutto ostinatamente, liquore, rhum, caffè.
Non ha bisogno di nulla. Accasciato sulla sedia, pallido, leggermente oppresso. Qualche lacrima
spunta per un istante sul suo viso. Rivolge uno sguardo vago all’assistente. Le scintille ardenti che
brillavano in questi occhi nel fuoco della discussione sono spente. Turbato, l’aria ebete, Caserio ha
perso la sua sicurezza. L’intelligenza è mezza paralizzata dalle angosce della morte.
Deibler 29 ed i suoi assistenti si avvicinano al paziente; egli si lascia docilmente legare. Ogni tanto
gira la testa e lancia ai suoi carnefici uno sguardo scuro e minaccioso. Che impressione dolorosa
causa questo sguardo dall’espressione sprezzante, di disgusto, di odio, di rabbia! Il paziente si
abbandona, indifferente e docile, agli assistenti impassibili che lo legano senza pietà.
La camicia e la maglia molto scollata scoprono un petto bianco. La toilette è terminata; venti
minuti appena ci separano dal risveglio.
29
Il boia (N.d.T.)
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
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Il condannato cammina a piccoli passi fino all’entrata della prigione ove sale sulla vettura del
boia. Il suo atteggiamento è fermo, senza vanteria, senza spavalderia, ma senza debolezze. Il furgone
si arresta 50 metri dopo, perché la ghigliottina è stata montata vicino all’intersezione delle due vie,
all’angolo sud-ovest della prigione.
Livido, Caserio scende accompagnato da due assistenti; con gli occhi cerca la folla che la truppa
ha respinto a grande distanza. Sorpreso, sembra domandarsi se questa è la fine, quando il suo
sguardo incontra la ghigliottina; lo spingono. Una voce rauca, strangolata dalla paura, attenuata dal
rumore della discesa del corpo basculante si fa sentire: “Coraggio, compagni, viva l’Anarchia!”.
Caserio non poteva morire senza indirizzare un’ultima provocazione, senza lanciare un’ultima sfida
alla società. É un testamento politico.
Steso sulla panca, si irrigidisce, fa uno sforzo per sfilarsi; ma la semiluna30 si abbassa e gli blocca
la testa. La lama cade.
Dei “bravo!” accompagnati da nutriti applausi della folla che non ha perdonato il suo delitto
all’assassino. Ci avviciniamo allo strumento del supplizio: il suolo è inondato di sangue; nel paniere,
il corpo disteso trema ancora; la testa rotolata nel cesto di legno è invisibile. Si racchiude il paniere
dentro il furgone che parte al gran trotto.
Ho seguito questa lugubre scena senza provare una emozione così profonda come la prima volta.
Tutto questo ci commuove e ci causa evidentemente un disagio, una vera sofferenza morale, ma
l’impressione non è durevole. Ci si abitua, credo, a questo orribile spettacolo. Le emozioni vive
smussano la sensibilità e producono questa anestesia morale che ci stupisce sugli altri.
Capisco l’impassibilità dei chirurghi, la crudeltà incosciente del macellaio. Mi spiego anche
l’attività febbrile di Deibler, questo vegliardo impotente, come la precisione matematica molto
marcata dei movimenti dei sui assistenti, per l’assenza totale di emozioni al momento fatale.
Qualche parola finale.
Caserio non ha avuto il coraggio di Vaillant che ha dato il suo corpo alla scienza. Caserio temeva
la dissezione postuma. Ecco almeno un pregiudizio dal quale non aveva saputo liberarsi. Dieci
giorni prima dell’esecuzione, sotto dettatura del suo avvocato e su carta bollata, ha dichiarato che
intendeva che il suo corpo non fosse dato alla Facoltà [di medicina legale, N.d.T.], ed ha incaricato il
signor Dubreuil dell’esecuzione delle sue ultime volontà.
Aggiungo che la maggior parte dei giornali di Lione hanno annunciato che la testa di Caserio era
stata portata nel nostro museo di medicina legale per essere modellata e sottoposta ad autopsia. É un
errore che noi teniamo a rettificare al fine di non lasciare divulgare questa leggenda.
Lione, 20 agosto 1894
§§§§§§
30
Abbassando la lunetta superiore su quella inferiore, alla congiunzione delle due veniva a formarsi un collare che
serviva ad immobilizzare il collo del condannato tra i due montanti della ghigliottina. (N.d.T.)
L’assassinio del Presidente Carnot di A. Lacassagne
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Alexandre Lacassagne