Infanzia, disabilità e violenza domestica Conoscere e prevenire: il ruolo delle associazioni e delle cooperative sociali Infanzia, disabilità e violenza domestica Conoscere e prevenire: il ruolo delle associazioni e delle cooperative sociali Le versioni in inglese, portoghese, greco e spagnolo dell’opuscolo possono essere ottenute scrivendo direttamente alle organizzazioni partner. Il contenuto di questo opuscolo rappresenta le idee degli autori. La Commissione Europea non è responsabile di alcun uso che potrebbe essere fatto delle informazioni contenute. ©Copyright AIAS Bologna onlus, a nome della partnership del progetto, 2004. Infanzia, disabilità e violenza domestica Pubblicato in cinque lingue diverse con il sostegno economico della Commissione Europea all’interno del Programma Daphne. Gruppo responsabile del testo dell’opuscolo: Melissa Filippini & Evert-Jan Hoogerwerf (AIAS) Susana Lució & Ana Rodrigues (Fenacerci) Cristina Diaz & Ana Royo Salas (DFA) Georgia Fyca (Disability Now) Grafica: Miranda Di Pietro Illustrazioni: Sara H. Si ringraziano per i preziosi commenti e gli spunti di riflessione: Rita Bosi, Simonetta Mavilio, Monica Mezzini, Lucia Nicoli, Marina Pirazzi, Paolo Ramonda, Maria Chiara Risoldi, Maria Rita Serra, Francesco Spoto. Si ringraziano inoltre i soci, i consiglieri, gli operatori e gli amici dell’AIAS Bologna onlus coinvolti nel progetto. AIAS BOLOGNA ONLUS, Via Ferrara 32, 40139 Bologna, Italia. [email protected]. www.aiasbo.it FENACERCI, Rua Augusto Macedo 2A, 1600-794 Lisboa, Portogallo. [email protected]. www.fenacerci.pt DISMINUIDOS FÍSICOS DE ARAGÓN, José Luis Pomarón 9, 50008 Zaragoza, Spagna. [email protected]. www.dfa-org.com DISABILITY NOW, 3rd Septevriou 30, 54636 Thessaloniki, Grecia. [email protected]. www.disabled.gr Indice Introduzione p. 5 ||| Perché è stato scritto questo testo? ||| A chi è indirizzato? ||| Come si usa? 1. Violenza domestica p. 7 ||| Definizioni di violenza domestica ||| Diversi tipi di maltrattamento infantile ||| La violenza nega i diritti fondamentali del bambino ||| Violenza domestica e bambini con disabilità ||| Forme di violenza nella disabilità 2. Comprendere il problema p. 11 ||| Teorie del maltrattamento ||| Come rilevare il maltrattamento infantile ||| Focus sulla disabilità 3. Prevenzione p. 17 ||| Definizione e livelli di prevenzione ||| Forme di prevenzione ||| Punti cardine per lo sviluppo di strategie di prevenzione Fonti p. 22 Nota per il lettore Per ulteriori informazioni Bibliografia Appendice 1 p. 23 Fattori di rischio Fattori di protezione Appendice 2 p. 24 Indicatori del maltrattamento infantile 4 ||| Perché è stato scritto questo testo? ||| A chi è indirizzato? ||| Come si usa? Introduzione Perchè è stato scritto questo testo? portata del fenomeno della violenza domestica contro i bambini con disabilità. Inoltre, con questa pubblicazione si vuole informare correttamente il lettore sulla complessità dei problemi, senza criminalizzare le famiglie. Perciò, verranno presentati concetti importanti sul tema, nella forma di definizioni, modelli esplicativi ed indicatori di violenza. Per ultimo, si intende promuovere la prevenzione, indicando i “punti cardine” per lo sviluppo di strategie preventive. Il testo fornisce inoltre esempi concreti per illustrare i concetti chiave. Il problema della violenza domestica è diffuso e conosciuto in tutto il mondo ed interessa ogni segmento della popolazione. Può essere rilevato in tutti i gruppi socio-economici, religiosi o etnici. È riconosciuto come un problema sociale significativo e, fortunatamente, negli ultimi anni è stata rivolta maggiore attenzione alle vittime della violenza domestica, in particolare nei casi in cui sono colpiti i bambini. Tuttavia, sono scarse le conoscenze rispetto al fenomeno della violenza contro i bambini con disabilità. Il maltrattamento di questi bambini può considerarsi un tabù nel tabù, probabilmente perché l’associazione tra disabilità e violenza è emotivamente difficile da sostenere. Non è facile individuare e quantificare la violenza nelle famiglie dei bambini con disabilità. I pochi e disomogenei dati epidemiologici a disposizione non consentono di definire con esattezza l’incidenza della violenza domestica contro questi bambini. Per loro, emerge tuttavia un rischio significativamente più elevato. Oltre al danno causato alle vittime, il problema del maltrattamento contro i bambini presenta importanti implicazioni sociali. La società, nel suo complesso, deve assumersi la responsabilità della prevenzione in tutti gli ambiti, da quello personale e familiare fino a quello della comunità e della società. Se ciò vale per tutti i bambini, è particolarmente vero per i bambini con disabilità, che sono generalmente più vulnerabili. Per raggiungere tale responsabilità condivisa devono essere riconosciuti e compresi il peso e la natura del problema. Lo scopo di questo testo è di far nascere la consapevolezza della A chi è indirizzato? Benché il tema del maltrattamento contro i bambini con disabilità riguardi l’intera società e le istituzioni pubbliche abbiano una responsabilità specifica nell’affrontare il problema, le associazioni locali che rappresentano le famiglie dei bambini con disabilità, le cooperative sociali e le ONG operanti nel campo della disabilità detengono un ruolo specifico e significativo nella definizione, nella comprensione, nell’analisi e nella prevenzione di questo fenomeno. Questo testo, perciò, è stato scritto principalmente, anche se non esclusivamente, per loro. Tali organizzazioni possono apportare un contributo specifico nella battaglia contro il maltrattamento dei bambini, a partire dal rapporto quotidiano e diretto che hanno con le famiglie e con i bambini stessi. Infatti, attraverso l’osservazione diretta del contesto familiare e sociale, si può cogliere lo sfondo emotivo e psicologico in cui il bambino vive e la qualità delle cure che riceve. Molte di queste organizzazioni possiedono una conoscenza diretta di casi di maltrattamento, ma 5 ||| Introduzione poche hanno sviluppato modalità sistematiche di prevenzione ed intervento. La loro abilità di “ascoltare”, di identificare situazioni a rischio e di prevenire il maltrattamento deve crescere e diffondersi, naturalmente in stretta collaborazione con la rete istituzionale di sostegno alle famiglie. Solo reti coordinate ed integrate, condividendo linguaggio ed obiettivi, possono realizzare una prevenzione efficace. Come si usa? Questo testo si propone di fissare il tema della violenza contro i bambini tra le azioni prioritarie delle organizzazioni operanti nel campo della disabilità. Dovrebbe motivare e supportare le persone attive in queste organizzazioni a sollevare la questione dentro e fuori le organizzazioni stesse. Il testo rappresenta un valido strumento per iniziare ed indirizzare la discussione sul tema. Inoltre, sono stati definiti punti cardine per lo sviluppo di strategie di prevenzione. Conoscere il “perché” ed il “come” della prevenzione della violenza contro i bambini con disabilità significa disporre di una base per la programmazione di interventi utili a prevenire l’esplosione di situazioni drammatiche in atti di violenza. Il testo è stato scritto da organizzazioni che lavorano in vari Paesi europei e in contesti sociali e culturali diversi. Nonostante gli autori ritengano che il contenuto sia universalmente valido, ogni azione intrapresa deve essere mediata dal contesto sociale, istituzionale e culturale presente a livello locale. 6 ||| Definizioni di violenza domestica ||| Diversi tipi di maltrattamento infantile ||| La violenza nega i diritti fondamentali del bambino ||| Violenza domestica e bambini con disabilità ||| Forme di violenza nella disabilità Violenza domestica sezione 1 Definizioni di violenza domestica Con il termine violenza domestica o familiare si intende ogni danno, intimidazione, coercizione intenzionale che avvenga nel contesto domestico. Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), si configura una condizione di abuso e di maltrattamento allorché i genitori, tutori o persone incaricate della vigilanza e custodia di un bambino approfittano della loro condizione di privilegio e si comportano in contrasto con quanto previsto dalla Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo (1989). Il maltrattamento si concretizza ne “gli atti e le carenze che turbano gravemente i bambini e le bambine, attentano alla loro integrità corporea, al loro sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di terzi”. Il maltrattamento può coinvolgere tutti i membri della famiglia, uomini, donne e bambini, sia come perpetratori sia come vittime. Vengono inclusi anche gli atti di violenza perpetrati da persone esterne alla famiglia responsabili della cura del bambino, come baby sitters ed educatori, oppure a danno di bambini istituzionalizzati. Secondo gli autori, il termine “domestica” non possiede solo un significato fisico (casa, famiglia), bensì anche emotivo, in quanto si riferisce allo spazio più intimo e sicuro che un bambino possa trovare. Perciò, per un bambino, la violenza domestica è più difficile da affrontare rispetto a violenza subita in altri contesti di vita. Diversi tipi di maltrattamento infantile L’OMS distingue cinque tipi di maltrattamento all’infanzia: Violenza fisica: si riferisce al danno fisico reale o potenziale provocato al bambino attraverso un’interazione o la mancanza di un’interazione, che è sotto il controllo di un familiare o di una persona in una posizione di responsabilità, potere o fiducia. Potrebbe verificarsi un unico episodio oppure ripetersi nel tempo, fino a cronicizzarsi. 7 Sezione 1 ||| Violenza domestica 1. Una forma di violenza esclusa da questa classificazione, poco conosciuta ma rilevante per il tema di questo testo, è la Sindrome di Munchausen per procura (MPS). Nel DSM-IV viene definita come “Disturbo Fittizio con Segni e Sintomi Fisici Predominanti (300.19)". Si tratta di un disturbo psicopatologico che comporta un controllo volontario da parte del soggetto che simula la malattia, talora con lucida convinzione delirante. Quando queste persone hanno figli, esse possono spostare la loro convinzione di malattia su questi: le storie dei sintomi e delle malattie vengono inventate dai genitori (quasi sempre la madre) riferendole ai propri figli, i quali vengono in tal modo sottoposti ad accertamenti clinici inutili e a cure inopportune. Il disturbo interessa bambini prevalentemente di età compresa tra la nascita fino agli 8 anni. Genitori affetti dalla MPS possono esagerare o perfino inventare i sintomi del bambino, o possono provocare deliberatamente sintomi in diversi modi, quali avvelenamento, soffocamento, infezione del sangue del bambino. I bambini sono spesso sottoposti a esami, interventi o altre procedure invasive e causa di sofferenze inutili. Abuso sessuale: si intende il coinvolgimento di un bambino in attività sessuali che lui/lei non può comprendere completamente, non può acconsentire, o per le quali non è preparato rispetto allo sviluppo raggiunto, o che violano le leggi o i tabù sociali. L’abuso sessuale infantile implica un atto tra un bambino ed un adulto o un altro bambino che, per età o sviluppo, è in una relazione di responsabilità, potere o fiducia, intendendo che tale atto gratifichi e soddisfi i bisogni dell’altro. Viene inclusa anche l’induzione o la coercizione di un bambino ad attività sessuali illegali, lo sfruttamento del bambino nella prostituzione o in altre pratiche sessuali illegali, lo sfruttamento del bambino nella produzione di materiale pornografico. Trascuratezza e negligenza: è la mancanza di attenzione o l’omissione di cure necessarie allo sviluppo del bambino nelle diverse aree: salute, educazione, affettività, alimentazione, protezione e condizioni sicure di vita. Può causare, o ha un’elevata probabilità di provocare, danni alla salute del bambino o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale. Include il fallimento della protezione e della supervisione del bambino dal danno, per quanto possibile. Abuso emotivo: si manifesta in condizioni di mancanza persistente di un ambiente di supporto ed affettivamente positivo per lo sviluppo emotivo del bambino, inclusa l’assenza di disponibilità di una figura primaria di attaccamento, necessario affinché il bambino, all’interno del contesto sociale di appartenenza, possa acquisire solide competenze emotive e relazionali, sviluppando le potenzialità personali. Si possono includere atti che determinano o hanno un’alta probabilità di compromettere la salute del bambino o di danneggiare il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale, prodotti da parte di persone che in relazione con il bambino occupano una posizione di potere, responsabilità o di fiducia. Si considerano forme di abuso emotivo anche le restrizioni della capacità di movimento, le umiliazioni, le denigrazioni, le discriminazioni, le ridicolizzazioni, o altre forme non fisiche di rifiuto o comportamento ostile. Sfruttamento commerciale o di altro tipo: si riferisce all’uso del bambino in lavori o attività a beneficio di altri. Include anche la prostituzione infantile. Si tratta di attività a danno dello sviluppo fisico, mentale, morale, sociale o emotivo del bambino. (1) La violenza nega i diritti fondamentali del bambino Il termine violenza è di significato ampio, include diversi tipi di atti e pensieri sia verbali sia non verbali. La prospettiva giusta dalla quale comprendere il fenomeno è quella che considera la violenza soprattutto una negazione dei diritti dell’infanzia. La Convenzione ONU dei diritti del bambino, entrata in vigore nel 1990, dichiara nell’articolo 19 che “gli Stati parti adotteranno ogni misura appropriata di natura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere il fanciullo contro qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono o negligenza, maltrattamento o sfruttamento, inclusa la violenza sessuale, mentre è sotto la tutela dei suoi genitori, o di uno di essi, del tutore o dei tutori o di chiunque altro se ne prenda cura. Tali misure protettive comprendono, all’occorrenza, procedure efficaci per l’istituzione di programmi sociali miranti a fornire l’appoggio necessario al fanciullo ed a coloro ai quali è affidato, nonché per altre forme di prevenzione e ai fini di identificazione, di rapporto, di ricorso, di trattamenti e di procedimenti nei casi di maltrattamento del fanciul- 8 Sezione 1 ||| Violenza domestica lo di cui sopra, e potranno altresì comprendere procedure d’intervento giudiziario”. Un articolo di impatto che rappresenta sia un appello sia una pietra di paragone per lo sviluppo di politiche di prevenzione a tutti i livelli. Violenza domestica e bambini con disabilità È difficile trovare studi validi sull’incidenza della violenza sui bambini con disabilità. Inoltre, i dati a disposizione, prevalentemente di fonte americana, sono di difficile confronto con le fonti europee, data l’influenza di diverse variabili: vale a dire, la popolazione campione, il sistema di classificazione delle disabilità di riferimento, lo sfondo culturale e sociale, l’attitudine generale nei confronti del fenomeno, ecc. Quindi risulta essenziale lo sviluppo di un approccio sistematico allo studio della violenza contro i bambini con disabilità in ogni nazione europea, e la raccolta di dati validi a livello locale rispetto alla diffusione e alle conseguenze del fenomeno. Comunque è sufficientemente dimostrato dalle ricerche disponibili che i bambini con disabilità sono più a rischio di violenza domestica rispetto ai bambini senza disabilità (2). Elisa è affetta da Sindrome di Down. Ha 44 anni quando conosce Maria, un’educatrice dei Servizi Sociali. Fin dai primi momenti, Maria resta colpita dal carattere timido e dalla riservatezza di Elisa. In evidente contrasto, il suo atteggiamento verso il padre è eccessivamente disinibito: lo abbraccia e lo bacia con vigore. Durante un’attività ricreativa, all’aperto, un anno dopo la morte di sua madre, Elisa dichiara a Maria che durante la sua adolescenza ha fatto sesso con il padre. Attraverso dialoghi successivi, emergono ulteriori dettagli. Maria assume un atteggiamento di attesa rispettosa delle confidenze di Elisa, lasciando ad entrambe il tempo di elaborare le emozioni che emergono e di ricostruire l’accaduto. Elisa riferisce che Maria è la prima persona che viene a conoscenza dell’abuso subito. Lentamente, trovano una spiegazione anche i suoi disturbi del sonno: Elisa teme la notte in quanto proprio durante la notte veniva abusata dal padre. Apparentemente, Elisa non subì violenza fisica da parte del padre, e non mostra né rabbia né disgusto. Ad ogni modo, è convinta di aver fatto qualcosa di “proibito”. Maria trova molto difficile affrontare una questione di tale delicatezza. Contatta la sua responsabile e, assieme, decidono di consultare uno psicologo, per supportare sia Maria sia Elisa. Quando il bambino è oggetto di violenza, le conseguenze possono essere di vario tipo. I livelli di rischio e le reazioni alla violenza domestica si collocano su un continuum: alcuni bambini mostrano una grande resilienza*, mentre altri manifestano, attraverso segni determinati, un disadattamento significativo. Lo stesso vale per i bambini con disabilità. I problemi dell’infanzia causati dalla violenza domestica si possono suddividere in tre categorie fondamentali: • problemi comportamentali, sociali, emotivi (ad es. disobbedienza, ostilità, rabbia, paura, ansietà, depressione, scarse relazioni sociali o di fratellanza); • difficoltà cognitive e atteggiamenti problematici (ad es. minore funzionamento cognitivo, inibizione intellettiva, scarso rendimento scolastico, atteggiamento pro-violenza, mancanza di abilità nella risoluzione di conflitti); • problemi a lungo termine (ad es. maggiore probabilità di depressione in età adulta, segni isolati di trauma o manifestazione della sindrome post traumatica da stress). In termini generali, minore è l’età, più gravi saranno le conseguenze del maltrattamento, anche perché l’esposizione alla violenza potrebbe durare più a lungo prima di essere rilevata. Inoltre, bambini con scarse risorse personali e poche opportunità di socializzazione e comunicazione sono più a rischio di problemi, rispetto ai bambini con elevate capacità individuali e reti sociali di supporto. Perciò, un sostegno adeguato alle vittime di violenza dovrà necessariamente tenere in considerazione il tipo di disabilità e come questo influenzi le risorse personali ed i fattori contestuali, considerando anche la disponibilità di professionisti competenti (Elisa). 9 2. Alcuni ricercatori hanno rilevato che i bambini con disabilità sono circa 3,7 volte più a rischio di subire forme di negligenza, 3,8 volte di essere vittime di maltrattamento fisico o psicologico, e 4 volte più a rischio di essere violentati, rispetto a bambini senza disabilità (Sullivan e Knutson, 2000). In altri studi viene evidenziato come i bambini con disabilità mentale corrano un rischio più alto di essere vittime delle diverse forme di violenza rispetto ai bambini con disabilità fisica. Un’introduzione alla letteratura scientifica è inclusa nella versione integrale del report del progetto sul sito www.aiasbo.it/daphne. Per resilienza si *intende la capacità del bambino di resistere, affrontare e superare il trauma e la violenza, in relazione con il grado di presenza reale e/o percepita di risorse personali, familiari ed ambientali. In particolare, gli aspetti principali che sembrano caratterizzare i soggetti resilienti sono sentimenti positivi di sé e la presenza di solidi legami di attaccamento. Sezione 1 ||| Violenza domestica 3. Sobsey (2002), afferma Tommaso ha 13 anni ed è affetto da paralisi cerebrale, con ritardo mentale severo e grave ipo-visione. Non cammina né parla. Suo padre non ha accettato la disabilità e mantiene aspettative irrealistiche rispetto alle sue possibilità di miglioramento. Gli assistenti domiciliari riferiscono di essere obbligati dal padre a stimolare Tommaso diverse volte durante il giorno, con stimoli visivi, uditivi, tattili che lo fanno piangere. Tommaso viene obbligato dal padre a strisciare su un materasso: data la sua immobilità, mostra abrasioni alla base del collo. Alla vista del padre,Tommaso si irrigidisce. Antonio è affetto di tetraparesi spastica. Dai 2 agli 8 anni, su indicazione di diversi medici, interpellati dai genitori in differenti città italiane, Antonio fu sottoposto ad interventi di fisioterapia, che lui rifiutava costantemente con rabbia. A domicilio, una fisioterapista insegnò alla madre Susanna come svolgere gli esercizi: lei riferisce che quei momenti rappresentavano per entrambi una “tortura”, essendo costretta a legarlo alla sedia per mantenere le gambe in posizione diritta. Susanna racconta che in lei era forte la convinzione che ogni esercizio rappresentasse il modo migliore per aiutare suo figlio. Ricorda quegli anni come una “illusione”, e continua a chiedersi se non abbia sempre fatto violenza sul figlio. L’associazione tra violenza e disabilità si sviluppa in due direzioni. Non solo i bambini con disabilità sono più a rischio di subire violenza, ma quest’ultima è anche causa significativa di disabilità intellettuali o d’altro tipo (3). Le situazioni di violenza non sono statiche ma possono evolversi in intensità e, seguendo direzioni spesso imprevedibili, assumere forme diverse. L’indifferenza o le reazioni inadeguate da parte della società possono aumentare il rischio, il verificarsi di nuovi episodi di violenza e la possibilità che il fenomeno si intensifichi e si cronicizzi. Questo rischio è particolarmente elevato in situazioni complesse e spesso sommerse. Forme di violenza nella disabilità Esistono forme specifiche di violenza che tipicamente riguardano i bambini con disabilità in quanto vittime, che però risultano difficili da rilevare e da riconoscere. Comportamenti inadeguati della madre durante la gravidanza, per esempio abuso di alcool o droghe, rappresentano una forma di violenza pre-natale che potrebbe causare severe disabilità. A livello della famiglia, la scarsa o nulla accettazione della disabilità o le aspettative irrealistiche dei familiari rispetto alla riabilitazione, possono provocare un accanimento terapeutico a danno del bambino, anche se la distinzione fra cure riabilitative “buone” o “dannose” non è univoca e mette in difficoltà molte famiglie (Tommaso e Antonio). L’uso inappropriato dei farmaci o la mancanza di un’adeguata cura sanitaria (ad es. dell’igiene dentale) possono considerarsi forme di maltrattamento. Ci sono forme specifiche di violenza in situazioni di disabilità causate da comportamenti connessi a credenze individuali, sociali, culturali strettamente interrelate. Sono espressione di attitudini particolarmente difficili da svelare e modificare, in quanto culturalmente determinate e socialmente accettate, ma in contrasto con i diritti dell’infanzia. Alcuni esempi sono la mancanza di opportunità date al bambino per sviluppare autonomia e indipendenza, la mancanza di opportunità di comunicazione, la negazione dell’identità sessuale ai bambini con disabilità e la mancanza di privacy in epoca adolescenziale. Atteggiamenti negativi rispetto a ciò che è diverso ed alla disabilità, vengono dichiarati apertamente da molti. Umiliazione, rifiuto del contatto fisico e disprezzo sono forme di violenza che spesso vedono vittime i bambini con disabilità. Molte persone con disabilità dichiarano che la mancanza di pari opportunità in tutti gli ambiti della vita, produce effetti violenti sulle loro esistenze. Le barriere che ostacolano e/o impediscono l’accesso alle diverse opportunità sono sia architettoniche che culturali. 10 che i deficit neurologici conseguenti alla sindrome del bambino percosso diventano evidenti un anno o più dopo le dimissioni dall’ospedale. Bonier et al. (1995), hanno dimostrato come lo stress eccessivo associato alla violenza possa produrre cambiamenti biochimici che danneggiano sia la struttura sia la funzione cerebrale. ||| Teorie del maltrattamento ||| Come rilevare il maltrattamento infantile ||| Focus sulla disabilità Comprendere il problema sezione 2 Teorie del maltrattamento George nacque nel 1964. A tre giorni dalla nascita, contrasse la poliomielite, in seguito alla quale rimase fisicamente disabile. Da allora, necessita di una sedia a rotelle. I suoi genitori si trasferirono ad Atene qualche anno dopo la sua nascita. Suo padre lavorava come contadino mentre sua madre era una casalinga. Suo padre proveniva da una famiglia molto tradizionale dove alle donne non era concesso di lavorare ed erano tenute a stare in casa con i bambini. Ormai adulto, George racconta di avere subito violenza fisica e psicologica dal padre, che lo insultava frequentemente con termini come “inutile” e “storpio”. Al contrario, sua madre era dolce e protettiva, ma purtroppo sempre sotto il dominio del padre, impossibilitata a prendere alcuna decisione. La famiglia di Gorge era molto patriarcale, un modello familiare che esiste ancora in alcune aree delle Grecia. Sono state elaborate molte teorie causali per spiegare il fenomeno del maltrattamento dei bambini. Dai primi modelli esplicativi che definivano un nesso di causalità diretta tra le caratteristiche psicologiche individuali e/o i fattori socio-economici e la violenza, sono stati elaborati successivamente modelli che riconoscono l’interdipendenza e l’interazione di molteplici agenti causali. Il maltrattamento dei bambini con disabilità è un fenomeno complesso. Non è riconosciuta un’unica causa del maltrattamento nell’infanzia, e nemmeno è possibile fornire una sola descrizione di tutte le famiglie in cui i bambini sono vittime di violenza. Il modello ecologico Il modello ecologico può essere utile per comprendere le cause e lo sviluppo della violenza. Questo tipo di modello considera diversi fattori che contribuiscono al maltrattamento, compresi quelli socio-culturali, le caratteristiche familiari e/o del bambino e situazioni scatenanti che funzionano come catalizzatori di episodi di maltrattamento. Tale modello riconosce fattori predisponenti (individuali, familiari, sociali, culturali), fattori di mediazione (reti di supporto sociale) e fattori scatenanti (eventi del ciclo di vita, percezioni ed interpretazioni degli eventi stessi, l’effetto stressante di tali eventi sui familiari e sui genitori) (George). Il modello ecologico riconosce che alcune caratteristiche del bambino possono giocare un ruolo nel maltrattamento, in parti- 11 Sezione 2 ||| Comprendere il problema 4. Sullivan e Knutson colare nelle famiglie e negli ambienti già a rischio, senza ad ogni modo considerare la disabilità di per sé un fattore unico di rischio di maltrattamento (Leonor). Leonor è nata nel 1988. Nei primi anni di vita, furono diagnosticati ritardo globale dello sviluppo ed epilessia. Suo padre lavorava come artigiano ed aveva un passato da criminale. Aveva l’abitudine di bere pesantemente e spesso picchiava tutti i membri della famiglia. La madre era prostituta con 9 figli, 3 dei quali morirono a causa di eccessiva trascuratezza. Quando aveva 5 anni Leonor venne abbandonata dalla madre che se ne andò di casa portando con sé soltanto alcuni figli. I registri dell’ospedale indicano che all’epoca Leonor mostrava segni di violenza fisica e sessuale. Per qualche tempo, visse con gli zii paterni, continuando a mostrare segni di maltrattamento ed abuso. I suoi bisogni fondamentali erano trascurati. All’età di 10 anni, fu ammessa in un istituto, dove la sua situazione si è stabilizzata. Attualmente è dolce e socievole, ha un fidanzato ed è bene integrata con gli altri. Fattori di rischio e fattori protettivi A partire dal dato che non può essere identificata soltanto una singola causa per spiegare il maltrattamento dei bambini con disabilità, alcuni ricercatori hanno riconosciuto un numero di fattori di rischio comunemente associati con il maltrattamento. • I fattori di rischio predicono un’alta probabilità di violenza. • I fattori di rischio si presentano a molteplici livelli, dal biologico e individuale fino al livello sociale. Nessun fattore di rischio è di per sé sufficiente a prevedere se una persona sarà maltrattata o maltrattante; però, maggiore è il numero di fattori di rischio associato alla disabilità, maggiore sarà la possibilità di maltrattamento (Abel). Comunque, ciò non significa che la presenza di questi fattori avrà sempre come risultato certo la violenza. Abel nacque nel 1985, con emiparesi I fattori di rischio associati al maltrattamento infantile possono essere raccolti in quattro gruppi: fattori relativi ai genitori o a chi si occupa della cura del bambino, fattori familiari, fattori del bambino, fattori ambientali. Per un elenco esteso si veda Appendice 1. Quando si parla di fattori relativi al bambino, non si intende che il bambino sia responsabile del maltrattamento. Alcuni fattori, comunque, possono rendere alcuni bambini più vulnerabili riguardo comportamenti maltrattanti, data l’interazione tra queste caratteristiche ed altri fattori riportati sopra (4). sinistra, ritardo mentale, disturbi del comportamento ed epilessia. Sua madre Antonia ha avuto una giovinezza difficile, scarsa educazione ed una relazione problematica con i suoi familiari, che non accettarono la sua convivenza con un uomo senza che fossero sposati. Quando rimase incinta, il partner si rifiutò di assumere la paternità e l’abbandonò. Abel non è mai stato riconosciuto dal padre, né lo ha mai incontrato. Dopo la nascita di Abel, Antonia ritornò a casa dei suoi genitori, lasciando spesso il bambino con i nonni e con il fratello tossicodipendente ed alcolizzato. Antonia restava lontano da casa per giorni, senza dare alcuna spiegazione. Poco prima del suo quinto compleanno, Abel si ruppe un braccio e fu accompagnato al pronto soccorso. Il medico informò la polizia ed il Servizio di protezione dei minori dell’incidente, e loro conclusero che Abel era stato maltrattato. 12 (2000/b), hanno evidenziato, all’interno della loro popolazione campione, che rispetto ad altri gruppi i bambini con disabilità sono sottoposti al maggior numero di fattori aggiuntivi di stress a carico della famiglia. In termini generali, i bambini con disabilità tendono ad essere maltrattati ad età più precoci. In aggiunta, c’è un’associazione significativa tra lo stato familiare dei perpetratori ed il tipo di violenza. I membri più prossimi della famiglia sono responsabili della grande maggioranza dei casi di trascuratezza, violenza fisica ed emotiva, mentre il maggior numero dei responsabili dell’abuso sessuale non è un familiare . Sobsey (1997) afferma che i bambini con disabilità sono frequentemente deumanizzati: la depersonalizzazione delle vittime potenziali è una chiave per rimuovere l’inibizione della violenza contro di loro. Atteggiamenti sociali e professionali potrebbero trasmettere idee di sottovalutazione che metterebbero il bambino a rischio. Sobsey (1994) sostiene che la cura medica neonatale precoce potrebbe ostacolare i primi contatti ed interazioni tra i genitori ed il bambino con disabilità, minando il legame d’attaccamento primario, aumentando il rischio di maltrattamento. Sezione 2 ||| Comprendere il problema Nella valutazione e nell’analisi della situazione devono essere considerati sia i fattori di rischio sia i fattori di protezione con uguale attenzione. I fattori di protezione si riferiscono alle forze ed alle risorse che mediano o servono come “deposito” contro i fattori di rischio, promuovendo resilienza contro gli effetti negativi delle esperienze di violenza. In generale, le ricerche dimostrano che relazioni percepite come gratificanti all’interno della rete di familiari o amici possono ridurre il rischio che i genitori maltrattino i bambini, soprattutto durante momenti di stress. D’altra parte, famiglie dal funzionamento apparentemente armonico e situazioni socio-economiche positive potrebbero abbassare il livello di attenzione ed allerta da parte degli osservatori esterni, come gli amici, i familiari ed i Servizi Sociali (Maria). Come i fattori di rischio, anche i fattori di protezione possono essere suddivisi in quattro gruppi: fattori relativi ai genitori o a chi ha in cura il bambino, fattori familiari, fattori del bambino, fattori ambientali. Per un elenco esteso, si veda Appendice 1. Maria nacque nel 1969. All’età di 2 anni, le fu diagnosticata una paralisi cerebrale. I suoi genitori provenivano da una famiglia benestante ed avevano ereditato una fortuna considerevole dai loro genitori. Conducevano una vita felice, erano ben integrati e particolarmente apprezzati dalla società. Quando Maria aveva 6 anni, il padre morì improvvisamente. Il comportamento della madre nei confronti di Maria cambiò completamente e cominciò ad accusarla della morte del marito, dando la colpa alla sua disabilità. Cominciò a bere e a lasciare spesso Maria sola per giorni, mentre lei non era in grado di uscire dal letto per raggiungere il cibo. Maria aveva 15 anni quando parenti ed amici della famiglia scoprirono quello che stava realmente accadendo in quella casa. Fino a quel momento tutti avevano creduto che la madre di Maria si stesse curando di lei nella maniera più consona. Come rilevare il maltrattamento infantile È difficile riconoscere i segni e i sintomi del maltrattamento infantile, in particolare nel caso dei bambini con disabilità. Spesso essi sono incapaci di esprimere verbalmente l’abuso subito oppure non hanno gli strumenti cognitivi per comprendere che ciò che gli è successo è sbagliato e dannoso. Nei bambini con disabilità i sintomi segnale del maltrattamento sono spesso fraintesi, confusi oppure ignorati (Teresa). Diagnosticare il maltrattamento richiede un’elevata certezza ed un certo numero di fu colpita da un attacco di segnali determinati, quali: poliomielite in età molto precoce, ma con • indicatori fisici del bambino che si riferil’aiuto della famiglia uscì dalla malattia che, scono a lesioni, condizioni igieniche, ad ogni modo, le lasciò gravi conseguenze modalità di alimentazione ed aspetto fisifisiche. Nonostante tali lesioni, da bambina co; la sua vita trascorse senza complicazioni • indicatori comportamentali del bambino particolari. Era amata dai suoi genitori e dalle sorelle; il suo che si riferiscono ad atteggiamenti e a rendimento scolastico era buono. Sfortunatamente, il padre di tratti della personalità del bambino; Teresa si ammalò ed i suoi zii cominciarono a prendersi cura di lei • indicatori dei genitori rispetto a comfrequentemente. Alcuni anni più tardi suo padre morì, la situazione portamento, linguaggio, atteggiamento finanziaria della famiglia peggiorò e la madre fu costretta a lavorare verso il proprio bambino. molte ore al giorno. Le due sorelle di Teresa dovettero iniziare a Per una lista degli indicatori del maltrattalavorare molto giovani, mentre Teresa, che era un’ottima mento infantile, si veda Appendice 2. studentessa, proseguì gli studi. Diventò molto introversa ma Teresa nessuno sospettò che stesse accadendo qualcosa di grave, essendo lei molto responsabile. Nel corso del tempo, diventò oppressa da una tristezza profonda. 13 Sezione 2 ||| Comprendere il problema Focus sulla disabilità La disabilità di per sé non causa violenza, ma senza dubbio ne aumenta il rischio. Secondo il modello ecologico, i fattori di rischio e di protezione non sono statici ma entrano in un processo dinamico insieme a fattori che provocano la rottura (ad esempio, un evento improvviso che richiede un elevato livello di adattamento) e che potrebbero agire come catalizzatori del maltrattamento in presenza di un delicato equilibrio. I bambini con disabilità hanno bisogni speciali. La responsabilità ed il dovere di gratificare quotidianamente tali necessità può essere stressante e l’aumento eccessivo dello stress percepito può sfociare in violenza. Essere genitori di un bambino con disabilità richiede elevate abilità di coping* e di adattamento a situazioni nuove ed avverse, spesso frequenti. La nascita di una bambino con disabilità causa un trauma che rende necessaria una profonda riorganizzazione sia delle aspettative attuali sia delle prospettive per il futuro. I genitori devono trovare immediatamente la forza sia di reagire allo shock sia di organizzare una nuova vita. La cura quotidiana del bambino, degli altri familiari e il lavoro risultano spesso inconciliabili o estremamente difficoltosi. Per questo, chi si prende cura del bambino, nella maggior parte dei casi le donne, lascia il proprio lavoro, cosicché diminuisce il reddito familiare ed i ruoli all’interno della coppia si dividono. Un partner resta a casa ad occuparsi della cura della famiglia, mentre l’altro è spesso assente in quanto deve provvedere alle entrate economiche. Ciascun ruolo implica priorità ed azioni distinte, porta con sé fattori di stress che possono essere complessi da condividere, mediare e modulare all’interno della relazione sia genitoriale sia di coppia. Un altro cambiamento significativo è rappresentato dall’attivazione di una rete formale che include i servizi sociali e sanitari, e di una rete informale formata dai familiari e dagli amici. Maggiore è la solidità di queste reti, la chiarezza e la condivisione degli obiettivi con la famiglia, più il bambino sarà protetto (Valentina). Reti ben funzionanti garantiranno alla famiglia del bambino risorse sia psicologiche sia materiali, favorendo il raggiungimento ed il mantenimento di una buona qualità di vita e di cura. In questo modo, potranno risultare rinforzate sia le abilità dei genitori nel gestire le situazioni, sia le All’età di 19 anni prese la loro aspettative positive verso il futuro. decisione irrevocabile di lasciare casa ed Quando il sostegno arriva tardi rispetto ai andare a vivere in un’altra città. A 29 anni, bisogni della famiglia ed è scarsa la comucomunque, decise di tornare a casa. Entrò nicazione con i genitori, saranno minori le in un’associazione per disabili per stabilire probabilità di riuscita dell’intervento nuove relazioni e cercare un nuovo lavoro. (Andreas). Fu in questo momento che conobbe persone alle quali raccontò cosa le era successo durante l’infanzia. Aveva subito violenza La disabilità di un membro della famiglia sessuale da parte dello zio dai 4 fino ai 14 anni, e ciò l’aveva ferita rappresenta un fattore di rischio che inteprofondamente. Questo abuso sessuale era stato interrotto quando ragisce con altri. Il peso dei fattori di rimase ingessata, per poi riprendere, cosicché Teresa decise di rischio non è assoluto, ma risulta controbilasciare casa. La sua famiglia pensò che il suo dolore, la sua lanciato da quello dei fattori di protezione. ansietà, la sua introversione e le altre manifestazioni fossero dovute Il risultato è rappresentato da un intreccio alla sua disabilità, ma erano in realtà conseguenza dell’abuso complesso di fattori, le cui caratteristiche, sessuale che aveva sofferto e di cui nessuno aveva sospettato. meccanismi e processi interni possono Teresa 14 Le abilità di coping *si riferiscono a strategie, comportamentali e/o cognitive, che le persone utilizzano per gestire, tollerare o ridurre al minimo le conseguenze di eventi stressanti. Sezione 2 ||| Comprendere il problema non risultare facili da rilevare e comprendere. Ricostruire una mappa dei fattori e delle loro interazioni può essere di aiuto per identificare le situazioni a rischio, evitando il pericolo di arrivare a conclusioni semplicistiche e scontate, mentre in questo testo viene proposto un modello che sottolinea l’importanza della complessità e dell’approccio multi-fattoriale. I diversi tipi di indicatori di maltrattamento possono favorire una rilevazione più precisa ed oggettiva della violenza, nonostante alcuni siano definibili anche come sintomi di specifiche condizioni psicopatologiche o di disabilità (ad esempio, iperattività, disturbi del comportamento ecc.). La rilevazione del maltrattamento è spesso un processo che richiede tempo, soprattutto nei casi di disabilità. L’osservazione del bambino con disabilità deve essere prolungata e realizzata nei contesti familiare ed extra familiare. Solo un’analisi trasversale rispetto ai tempi ed ai luoghi può portare ad un’ipotesi sufficientemente valida di maltrattamento. Valentina ha 15 anni ed è affetta da paralisi cerebrale infantile. Vive con i suoi genitori in una bella casa di campagna, circondata da un giardino ampio in cui lei ama stare per ore. Dato il grado di invalidità di Valentina, la famiglia ha diritto ad un assegno di accompagnamento. Ultimamente il padre ha cominciato a tenere la bambina in casa, perché ha paura che qualcuno dei servizi di riferimento, vedendola da sola in giardino, possa toglierle il sussidio. Andreas è nato nel 1990, affetto da ittero e tetraplegia spastica. Un anno dopo la sua nascita, i suoi genitori tornarono in Grecia, incontrando difficoltà a reintegrarsi all’interno della comunità. Alla nascita del figlio la madre di Andreas soffriva di disturbi psicologici. Quando aveva 15 anni, i suoi genitori si separarono e si interruppe il rapporto con il padre. Andreas fu abbandonato senza alcun percorso né riabilitativo né scolastico o educativo, e solo sua sorella si prese cura di lui. Per la mancanza di assistenza medica, stava diventando sempre più debole, per cui il medico decise di informare i Servizi Sociali della sua situazione. Un assistente sociale cominciò a sollecitare visite domiciliari, ma la madre rifiutò sempre gli incontri e l’aiuto offertole, mentre le condizioni di Andreas non miglioravano. Alla fine, il tribunale stabilì che Andreas e la sorella fossero tolti dalla tutela della madre ed affidati alle cure di un istituto. 15 16 ||| Definizione e livelli di prevenzione ||| Forme di prevenzione ||| Punti cardini per lo sviluppo di strategie di prevenzione Prevenzione sezione 3 Definizione e livelli di prevenzione Risulta difficile fornire una definizione complessiva della prevenzione. Si possono individuare distinte definizioni e classificazioni a seconda che si consideri il momento dell’intervento, il destinatario o gli obiettivi principali della prevenzione. In generale, si possono distinguere tre livelli. ! L’Associazione per lo Sviluppo della Comunità della Regione di Aragona, l’Università di Zaragoza, il Ministero per gli Affari Sociali e l’Istituto di Aragona per i Servizi Sociali hanno promosso un programma per rilevare le situazioni di vulnerabilità al fine di prevenire l’abuso contro i bambini. Dal 2000, gli ambiti destinatari del progetto sono stati diversi (scuola, tempo libero, servizi sociali), informando e motivando i professionisti rispetto al ruolo nella rilevazione e prevenzione, attraverso azioni coordinate tra le diverse istituzioni. Livello primario: si riferisce a quella forma di prevenzione attraverso la quale si impedisce il fenomeno della violenza prima che si verifichi, mediante azioni che interessano tutta la popolazione. Essa richiede un’attenzione continua e può modificare o rinforzare processi socio-cognitivi quali abilità di problem solving, ricerca di alternative possibili, pensiero etico e morale e cambiamento di credenze ed atteggiamenti relativi all’aggressività e alla punizione fisica. Esempi di prevenzione a livello primario sono: – legislazione adeguata – servizi sociali efficienti – attività di incremento della consapevolezza pubblica (!) – programmi di educazione della comunità destinati ai bambini ed agli adulti – educazione ai diritti civili, inclusa la Convenzione ONU dei Diritti del Bambino. Livello secondario: si tratta di azioni di prevenzione mirate a gruppi specifici. Esempi di prevenzione a livello secondario sono: – identificazione fin dall’epoca peri-natale delle famiglie e dei bambini “a rischio” – programmi di trattamento di abuso di sostanze – reti e centri di supporto, assistenza e sostegno basati sulla famiglia e sulla comunità – adeguate cure sanitarie pre- e peri-natali e della prima infanzia che migliorino il decorso della gravidanza, del parto e rafforzino i legami precoci di attaccamento – attività didattiche finalizzate alla non violenza 17 Sezione 3 ||| Prevenzione – educazione dei bambini finalizzata ad intraprendere comportamenti di auto-protezione e sicurezza personale. ! Il Centro Specialistico per la prevenzione e il contrasto dell’abuso all’infanzia”Il Faro” opera nell’ambito della Provincia di Bologna (popolazione 0-18 anni). Si pone come obiettivo principale lo sviluppo di una rete di servizi e di azioni caratterizzata da specifica competenza multiprofessionale, per affrontare la complessità del fenomeno abuso superando l’isolamento professionale e la frammentarietà degli interventi. Il team de “Il Faro” è composto da professionisti dei Servizi Socio-Sanitari del territorio provinciale: un neuropsichiatra infantile, due psicologi, due pediatri, due assistenti sociali, un consulente legale; di questi solo una assistente sociale lavora al Faro a tempo pieno. Le principali attività del centro sono: • consulenze sui casi di sospetto abuso, intervenendo dalla fase di rilevazione fino alla fase di diagnosi e presa in carico terapeutica del minore e della famiglia; • progettare e attuare interventi di formazione e sensibilizzazione; • sviluppare attività di ricerca e di documentazione qualitativa e quantitativa sul fenomeno. Livello terziario: è la forma di prevenzione attuata quando si è già verificata la violenza, per ridurne le conseguenze o per evitare una recidiva. Essa include: – diagnosi precoce di situazioni violente – servizi interdisciplinari che assicurino adeguato trattamento medico, cura, consulenza, gestione della situazione e sostegno per la vittima e/o la sua famiglia (!) – reintegrazione all’interno di una comunità/scuola sicura e rinforzante per il bambino – leggi di protezione del bambino più efficaci e tribunali attenti e accoglienti nei confronti dei bambini. Le azioni di prevenzione possono essere realizzate su piani diversi, quali: individuale, familiare, comunitario, regionale, nazionale, internazionale. La prevenzione secondaria diretta alle famiglie dei bambini con disabilità è complessa, in quanto le stesse situazioni familiari e non familiari che devono essere analizzate sono molteplici. Le strategie di prevenzione dovrebbero essere scelte con attenzione, per ben corrispondere all’obiettivo ed alle risorse del promotore e, per quanto possibile, essere in sinergia con le strategie di intervento e di prevenzione prodotte dagli altri attori. Forme di prevenzione Attività di consapevolezza pubblica Le attività di consapevolezza pubblica si pongono l’obiettivo di raggiungere diversi strati sociali della comunità, inclusi i genitori ed i familiari, i bambini, ed altri membri della comunità. Gli sforzi per l’educazione pubblica possono raggiungere diverse mete rispetto all’estensione, alle cause ed alle conseguenze della violenza, quali: aumentare la sensibilità, migliorare la conoscenza, cambiare atteggiamenti, modificare comportamenti (!). Le strategie dei media sono concepibili come alternative non intrusive di diffusione del messaggio di prevenzione per raggiungere numerose fasce di popolazione. Attraverso i media, le comunità possono promuovere programmi di educazione alla salute per i genitori, abilità di sicurezza per i bambini, e protocolli di denuncia di sospetto maltrattamento. Centri per le famiglie I centri familiari mirano a sviluppare servizi specifici che soddisfino i bisogni dei membri della comunità, spesso attraverso il metodo partecipativo. L’intervento orientato alla famiglia può essere finalizzato a modificare lo stile e le pratiche genitoriali (riducendo i metodi educativi negativi), a migliorare le relazioni familiari (vicinanza, coesione emotiva, abilità di comunicazione), riducendo effettivamente il rischio di comportamento antisociale e violento. I centri familiari possono provvedere a diverse azioni: addestramento delle abilità genitoriali, visite domiciliari, addestramento al lavoro, prevenzione dell’abuso di sostanze, prevenzione della violenza, servizi per bambini con bisogni speciali, servizi per la salute mentale, consulenza familiare, cura del bambino, servizi di supporto in situazioni di crisi e di emergenza, assistenza ai bisogni economici fondamentali e alloggio. 18 !Dal 1965 l’Istituto Greco per la Salute dell’Infanzia, un’organizzazione privata, promuove azioni di prevenzione, salute pubblica, ricerca ed intervento educativo attraverso distinti dipartimenti (Psichiatria sociale, Relazioni familiari, Educazione ecc.). L’équipe è costituita da elementi di varia professionalità quali assistenti sociali, psicologi, avvocati, psichiatri. I destinatari sono altrettanto eterogenei: organizzazioni, comunità, professionisti, famiglie e bambini. Dal 1998 l’Istituto si occupa, tra l’altro, di diffusione nelle scuole di materiale relativo alla Convenzione sui diritti dei bambini e alla legislazione greca, con l’obiettivo di informare e di accrescere nei bambini la consapevolezza dei propri bisogni e diritti. Sezione 3 ||| Prevenzione Visite a domicilio ! Cerci Estremoz è un Istituto portoghese di Fenacerci che ha sviluppato un “Programma di Intervento Precoce” per bambini di età tra 0 e 6 anni e le loro famiglie. Si pone l’obiettivo di incrementare le risorse delle famiglie dei bambini con disabilità, fornendo supporto e stabilendo contatti con la rete dei servizi. I fattori di rischio in relazione con la situazione familiare sono rilevati ed affrontati il più tempestivamente possibile con le famiglie, per ridurre il rischio che diventino fattori precipitanti. Questi programmi sono realizzati da personale competente che visita i bambini ed i genitori a domicilio, per fornire loro informazione, supporto, potenziamento delle abilità parentali, per collaborare alla costruzione di un ambiente domestico sicuro, per incoraggiare il contatto e l’avvicinamento ai servizi della comunità. Dovrebbe essere realizzata almeno una visita durante i primi due anni di vita del bambino, anche se il programma può avere inizio già durante la gravidanza e proseguire oltre il compimento del secondo anno del bambino. I programmi a lungo termine che prevedono più visite sono generalmente più efficaci di quelli a breve termine con un minore numero di visite (!). I programmi possono associarsi a servizi di assistenza quotidiana, gruppi di auto aiuto per genitori, trasporti ecc. Programmi di educazione e supporto per genitori I genitori non dovrebbero essere lasciati soli nella cura del bambino. Il lavoro con i genitori deve favorire l’accettazione della disabilità, incoraggiando l’attaccamento genitoriale e promuovendo il più possibile una buona genitorialità. I programmi di educazione genitoriale mirano, tipicamente, a rafforzare i fattori familiari di protezione. Affrontano temi quali le abilità infantili in relazione alle tappe evolutive, gioco ed interazione tra genitori e bambino, individuazione ed accesso ai servizi della comunità e supporto (!). I gruppi di sostegno ai genitori possono offrire importanti opportunità per comunicare e per condividere esperienze ed informazioni. Curriculum centrati sulle abilità del bambino Le scuole ed i servizi sociali della comunità possono fornire al bambino percorsi per insegnare loro abilità di sicurezza e di protezione personale. Possono includere temi e concetti generali come il comportamento assertivo, l’educazione sessuale, le abilità di presa di decisione, le abilità di comunicazione che possono rivelarsi utili nelle situazioni di ogni giorno. Generalmente, vengono utilizzati metodi interattivi. La maggior parte di questi programmi dirige i propri sforzi verso la prevenzione dell’abuso sessuale, insegnando al bambino a distinguere tra un contatto fisico normale ed uno inappropriato. Programmi di sollievo e di supporto nei momenti di crisi I servizi di sollievo forniscono aiuto e cura per il bambino con disabilità affetto da malattie croniche o terminali, che sono in pericolo o che hanno subito violenza. Tali servizi potrebbero essere predisposti anche in casi di emergenza o crisi, ad esempio quando la famiglia attraversa una fase particolarmente stressante. Questi programmi forniscono inoltre diversi servizi di supporto per le famiglie, come ad esempio indicazioni per altri programmi, consulenza, gestione del caso, cibo, trasporto, attività sociali, alloggio, servizi medici, cura personale, assistenza alle attività quotidiane (!). I programmi sia di sollievo, sia di gestione delle crisi possono coinvolgere tutti i membri della famiglia, amici, vicini, programmi ricreativi della comunità, centri di cura ed assistenza del bambino, aiuto sanitario domiciliare, centri per le famiglie, altre agenzie per il supporto in situazioni di crisi. 19 ! Nel 2000, AIAS Bologna Onlus ha inaugurato La Stanza dei Giochi per bambini con disabilità, alla quale anche i genitori possono recarsi per giocare con il figlio. Educatrici ed una musicoterapista propongono attività di gioco individualizzate, mentre i genitori osservano, conoscendo quali stimoli e quali relazioni diano più piacere al bambino. Questo spazio mira anche ad essere un luogo di incontro tra i genitori, di discussione, dialogo e confronto tra loro, dove possano trovare informazioni utili, per lo sviluppo di abilità genitoriali positive. ! Il “Punto di Incontro per Famiglie” di Zaragoza è un meeting-point coordinato da Consiglio cittadino del governo di Aragona, con la collaborazione di altre istituzioni ed organizzazioni nazionali. Mira ad assistere le famiglie in crisi, quando i genitori sono in fase di separazione, divorzio o processi di annullamento, oppure qualora nelle famiglie siano presenti relazioni disfunzionali tra i genitori ed il bambino. La cura del bambino è fornita da un gruppo multi professionale che non lavora solo con il Dipartimento di Giustizia, bensì anche con i genitori per rinforzare sia le abilità genitoriali sia la comunicazione tra loro. Sezione 3 ||| Prevenzione Punti cardine per lo sviluppo di strategie di prevenzione Sviluppare strategie di prevenzione significa definire con precisione il problema che deve essere risolto, gli obiettivi da raggiungere, le attività da intraprendere, i risultati attesi. I “punti cardine” riportati di seguito vogliono essere utili per tutte le organizzazioni che intendono affrontare direttamente la questione della violenza domestica contro i bambini con disabilità o che intendono incoraggiare le istituzioni ed i servizi pubblici ad agire in tal senso. Aspetti metodologici • Conoscere e comprendere il problema, i suoi “perché” e “come” e le sue implicazioni • ! CISAP è un Consorzio Italiano che ha promosso il progetto “Maltrattanti, maltrattati e la rete sociale”. I destinatari sono famiglie di bambini di età 0-6 anni, pediatri, operatori dei servizi sociali, insegnanti, giudici, polizia e volontari. All’interno della cornice del progetto i professionisti sono stati formati a lavorare in rete, condividendo informazioni ed interventi. Un protocollo di accordo è stato elaborato tra i servizi locali, definendo le modalità di rilevazione e di intervento. Il protocollo ed un manuale sono stati pubblicati per diffondere i risultati del progetto, ad uso dei professionisti. • • • per i bambini con disabilità, rappresenta il primo gradino ed un prerequisito per scegliere la strategia di prevenzione. Dati accurati, definizioni uniformi e un punto di vista comune e condiviso rappresentano la base per la pianificazione degli interventi. Essendo la prevenzione un processo che mira a produrre cambiamento, i promotori dovrebbero pianificare e monitorare il processo e gli effetti delle loro attività. Data la complessità della questione e dell’impatto emotivo associato, tali effetti non sono sempre semplici da prevedere. Nella discussione e nella scelta di una strategia di prevenzione all’interno dell’organizzazione, dovrebbe essere previsto un supporto professionale; qualora le azioni di prevenzione avessero come conseguenza maggiori richieste di servizi, dovrebbero essere disponibili risorse sufficienti per soddisfare tali necessità, per periodi anche di lunga durata. La prevenzione è un processo definito da diverse fasi: rilevazione, intervento e follow up. Alcune qualità basilari di tale processo sono: timing appropriato (la prevenzione dovrebbe essere il più precoce possibile), flessibilità (prevenzione ed intervento dovrebbero cambiare in relazione ai bisogni sia del bambino sia della famiglia), oggettività (l’intervento dovrebbe essere basato su segnali di rischio specifici e precisi e l’efficacia deve essere monitorata e valutata), contestualizzazione (la prevenzione dovrebbe tenere in considerazione il contesto e la sua complessità in termini di protagonisti principali e di interazioni tra loro). Le strategie di prevenzione dovrebbero focalizzarsi sia sulla riduzione dei fattori di rischio, sia sull’incremento dei fattori di protezione. L’efficacia può aumentare se la prevenzione comprende interventi a diversi livelli, che si dirigono verso i fattori di rischio e di protezione provenienti da ambiti distinti. La prevenzione (così come l’intervento) dovrebbe riferirsi ad una strategia chiara e seguire idealmente un approccio multi-disciplinare, integrato e coordinato. Quindi, i professionisti di diversi ambiti, quali salute, giustizia, lavoro sociale, educazione ed educazione speciale, dovrebbero lavorare in maniera integrata, condividendo gli obiettivi attraverso una visione comune della prevenzione. È necessario che comunichino in maniera adeguata, efficace e con meticolosità tra loro (!). Aspetti relativi ai diversi protagonisti • Le associazioni e le altre organizzazioni private e sociali che mirano a preve- nire la violenza domestica, lavorano prima di tutto su se stesse, anche attraverso discussioni interne, per essere consapevoli del loro ruolo durante tutte le fasi della prevenzione: nella raccolta dei segnali, nel decidere e nel dirigere la strategia di inter- 20 Sezione 3 ||| Prevenzione ! L’ Associazione portoghese per i disturbi dello sviluppo e l’autismo (APPDA) è un’organizzazione no profit che ha promosso un progetto di sviluppo ed incremento delle abilità di comunicazione e del comportamento assertivo per famiglie ed individui, in quanto esprimere sentimenti e pensieri in un modo funzionale riduce drasticamente il rischio di violenza ed aumenta la qualità della vita. • • • • • • • vento. Spazi e momenti di dialogo, di condivisione delle idee, di valutazione e di modifica del progetto di prevenzione/intervento devono essere formalizzati all’interno dell’organizzazione. In questo modo, si favorirà lo sviluppo di un linguaggio comune, riducendo l’ambiguità di alcuni significati ed interpretazioni che spesso determinano la tendenza alla delega ed alla deresponsabilizzazione. Questi spazi, opportunità e contesti di confronto dovrebbero essere allargati alle famiglie. Affinché la prevenzione sia efficace, è prioritario venire incontro ai bisogni della famiglia a diversi livelli (individuale/genitoriale, fisico/psicologico ecc.). Le famiglie devono essere messe nelle condizioni ideali per adempiere al loro compito fondamentale nel prosscesso di crescita del bambino. La prevenzione dovrebbe essere costruita a partire dalle forze della famiglia, valorizzandone le risorse personali, genitoriali e sociali. Le famiglie devono essere aiutate a scoprire e a conoscere le loro potenzialità ed abilità, sia individuali sia genitoriali (!). Le relazioni di cooperazione e di mutuo supporto tra genitori, agenzie e istituzioni responsabili del benessere fisico e psicologico del bambino (ad esempio, servizi sanitari, scuola, ecc.) devono essere incoraggiate, ad aumentare l’efficacia degli interventi di prevenzione. Per essere percepito come un supporto concreto, l’intervento dovrebbe essere condotto attraverso un ascolto attivo per comprendere la situazione familiare e con il maggior consenso possibile (!). È importante essere consapevoli che solo poche istituzioni sono preparate ad affrontare il problema della violenza domestica. Solo poche organizzazioni di assistenza e cura hanno adottato un codice di comportamento rispetto alla prevenzione della violenza. Rafforzare i bambini significa riconoscere i loro diritti di esplorare le proprie potenzialità, fornendo loro strategie e abilità per incrementarle. Programmi formativi ed educativi devono sviluppare e rinforzare la comunicazione, l’interazione e le abilità di azione, nei contesti familiari ed extra familiari . Ai bambini deve essere insegnato a diventare consapevoli dei propri bisogni e sentimenti (ad esempio, educazione sessuale) e della maniera appropriata alla loro espressione. Questo faciliterà l’intervento finalizzato al supporto fisico, sociale ed emotivo. Le associazioni e le cooperative sociali devono incoraggiare lo sviluppo di una rete di persone interessate al problema, assegnando a ciascuno un ruolo che meglio coincida con la propria competenza e il proprio obiettivo. Tali reti sono generalmente costituite da diverse istituzioni pubbliche che detengono una responsabilità formale per il benessere del bambino, e da organizzazioni private no profit che rappresentano gli interessi dei bambini e delle famiglie. Gli obiettivi della rete ed il ruolo di responsabilità delle organizzazioni e delle istituzioni partecipanti deve essere chiaro a tutti. Sia i servizi pubblici sia le organizzazioni private devono promuovere una politica di prevenzione attiva rivolta alle risorse umane, includendo le procedure di selezione, di formazione e di supervisione. Deve essere predisposta una formazione specifica per operatori e volontari che lavorano con i bambini e le famiglie, per favorire l’acquisizione ed il consolidamento di abilità sia tecniche che relazionali, sviluppando contenuti cognitivi, organizzativi ed emotivi. Devono essere insegnati validi metodi standardizzati di osservazione del bambino, della famiglia, del loro comportamento e dell’interazione. Le strategie di prevenzione devono includere attività che favoriscono la consapevolezza, in modo che un ampio pubblico conosca e sia consapevole del problema e del contesto di maltrattamento in cui il bambino con disabilità può trovarsi. L’incremento della consapevolezza rispetto al rischio di maltrattamento a carico dei bambini con disabilità dovrebbe essere diffuso in maniera trasversale, attraverso l’educazione, l’addestramento professionale, la pratica istituzionale. Le organizzazioni dovrebbero usare la loro influenza politica e le opportunità di partecipazione alla definizione delle politiche per difendere i diritti dei bambini con disabilità ed ottenere strumenti appropriati quali legislazione, supporto, intervento, sia per i familiari sia per gli altri membri della comunità. 21 ! Il Progetto Zeroseianni di AIAS Bologna onlus per bambini con disabilità di età 0-6 anni fornisce assistenza domiciliare ai genitori. Educatori ed assistenti si occupano a domicilio della cura dei bambini con disabilità: il loro intervento è deciso e coordinato in maniera congiunta tra AIAS e le agenzie sia sociali sia sanitarie. Quest’ultime mantengono un contato costante con le famiglie, per monitorare i loro bisogni. In aggiunta, AIAS raccoglie le osservazioni degli operatori e le relazioni aggiornate rispetto al bambino ed alla sua famiglia. Tale monitoraggio congiunto permette all’intervento di essere flessibile ed adattato ai bisogni specifici di ciascun bambino e della sua famiglia. Fonti Nota per il lettore Il testo di questa pubblicazione non è il risultato di una semplice somma di contributi individuali, bensì di un lavoro di scrittura condiviso. Infatti, nella realizzazione del progetto “Infanzia, disabilità e violenza”, le organizzazioni partner sono state coinvolte attivamente nelle diverse fasi del progetto stesso: dalla ricerca della letteratura esistente alla raccolta di storie vere di violenza contro i bambini con disabilità e di esempi di buona prassi di prevenzione. Professionisti di diversi ambiti, rappresentanti di istituzioni, di Associazioni e Cooperative sono stati intervistati per raccogliere la loro opinione. Inoltre, i temi e le questioni emersi durante la realizzazione del progetto sono stati discussi all’interno delle stesse organizzazioni. I casi presentati si basano su fatti realmente accaduti, anche se nomi, luoghi e situazioni specifiche sono stati modificati per proteggere la privacy delle persone interessate. Gli esempi di buona prassi sono stati scelti laddove risultassero in relazione con il contenuto della pubblicazione, e non si esclude l’esistenza di altri interventi di buona qualità. Per ulteriori dettagli, la versione integrale della pubblicazione è disponibile sul sito: www.aiasbo.it/daphne Per ulteriori informazioni • • • • • • • http://www.who.int/violence_injury_prevention/violence/neglect/en/ http://www.unhchr.ch/html/menu2/6/crc/ http://www.ualberta.ca/~jpdasddc/abuse/ http://www.nspcc.org.uk/html/home/needadvice/protectingdisabledchildren.htm http://www.securityworld.com/library/retirement/abuseofthedisabled.html http://nccanch.acf.hhs.gov/pubs/prevenres/focus.cfm http://www.aiasbo.it/daphne per il report del progetto ed altri indirizzi web. Bibliografia • Asociacion de Desarrollo Comunitario en Areas de Aragon and Instituto Aragones de Servicios Sociales, “El maltrato infantil", 2003. • Bonnier C., Nassogne MC, and Evrard P. “Outcome and Prognosis of Whiplash Shaken Infant Syndrome: Late Consequences After a Symptom-Free Interval”. Developmental Medicine and Child Neurology, 1995; 37 (11): 943-956. • DSM IV, The Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 4th ed., American Psychiatric Association, 1994. • Sobsey, D. “Violence and abuse in the lives of people with disabilities: The end of silent acceptance?". Baltimore, MD: Paul H. Brookes Publishing Co., 1994. • Sobsey D, Randall W, and Parrila RK, “Gender differences in abused children with and without disabilities”. Child Abuse Neglect, 1997, Aug; 21 (8): 707-20. • Sobsey D., “Exceptionality, Education, and Maltreatment”. Exceptionality, 2002; 10 (1): 29-46. • Sullivan PM and Knutson JF, “The association Between child maltreatment and disabilities in a hospital-based epidemiological study”. Child Abuse Neglect, 1998, Apr; 22(4): 271-288. • Sullivan PM and Knutson JF, “Maltreatment and disabilities: a population-based epidemiological study”. Child Abuse Neglect, 2000/a, Oct; 24 (10): 1257-73. • Sullivan PM and Knutson JF, “The prevalence of disabilities and maltreatment among runaway children”. Child Abuse Neglect, 2000/b, Oct; 24 (10): 1275-88. • Tomison AM, “Exploring family violence: Links between child maltreatment and domestic violence”. Issues in child abuse and prevention, National Child Protection, 2000; Clearinghouse Issues Paper, AIFS, No. 13. • Nazioni Unite, Convenzione sui diritti dell’infanzia, 1989. Testo integrale: http://www.unhchr.ch/html/menu2/6/crc/treaties/crc.htm • Organizzazione Mondiale della Sanità. http://www.who.int/violence_injury_prevention/violence/neglect/en/ 22 1 Appendice Fattori di rischio • • • • • • Fattori dei genitori o di chi cura il bambino • Malattia mentale, disturbi di personalità, tentativi di suicidio, sofferenza psicologica • Mancanza di abilità genitoriali • Scarse abilità di coping dello stress, scarsa autostima, scarse aspettative verso sé • Stile genitoriale autoritario • Maltrattamento subito durante l’infanzia • Abuso di sostanze • Conoscenza imprecisa delle tappe fondamentali dello sviluppo del bambino • Aspettative irrealistiche e non soddisfatte • Disturbi del comportamento e di aggressività • Adolescenza senza supporto familiare • Elevati livelli di stress • Isolamento sociale • Stato economico basso • Famiglia monoparentale • Gravidanza indesiderata • Cura prenatale inadeguata • Bassa accettazione della disabilità da parte della famiglia • Rifiuto del supporto e delle risorse offerte Fattori di protezione Fattori dei genitori o di chi cura il bambino • Benessere psicologico • Elevate abilità di coping dello stress, autostima, aspettative verso sé • Accettazione della disabilità, riconoscimento sia dei limiti sia delle potenzialità del bambino • Accurata conoscenza delle tappe evolutive principali • Supporto sociale e familiare • Cura materna, genitoriale e sanitaria adeguate • Durante l’infanzia, almeno una relazione positiva con un adulto Fattori familiari • Cura quotidiana e domicilio sicuri ed ordinati • Relazione stabile e di supporto con il partner • Abilità di gestire le sfide, di adattamento ai cambiamenti che caratterizzano il naturale ciclo di vita della famiglia • Buone condizioni lavorative e finanziarie • Supporto sociale • Strategie educative positive (ad esempio feedback positivo) Fattori familiari • • • • • • • • Isolamento sociale Scarso supporto materiale ed emotivo Vicinato pericoloso Elevata accettazione sociale della violenza Promozione della violenza attraverso le norme culturali Violenza dei media Gestione familiare caotica e difficile (numerosità e densità familiare) Cura quotidiana inadeguata e domicilio scarsamente sicuro Conflitti coniugali, violenza fra i coniugi Eventi di vita stressanti, stress genitoriale, stress emotivo Disoccupazione e disagio finanziario Basso livello culturale Isolamento sociale Maggiore tolleranza per la disciplina severa e l’aggressività verbale Fattori del bambino • • • • Abilità di interazione con gli altri e di espressione dei sentimenti Educazione sessuale durante l’adolescenza Integrazione nei contesti sociali (ad esempio, scuola) Stabilità comportamentale e attentiva Fattori del bambino Fattori ambientali • • • • Disabilità fisica, cognitiva, emotiva Nascita prematura e basso peso alla nascita Bisogni speciali, frequente ospedalizzazione Disturbi del comportamento (ad esempio aggressività, iperattività, disturbi del sonno ecc.) o elevati bisogni assistenziali • Incapacità di comprendere, riferire l’abuso e sfuggirne • • • • • • • • • Fattori ambientali • Mancanza o scarsa applicazione di leggi di protezione del bambino • Devalorizzazione del bambino (ad es. per disabilità, sesso, ecc.) • Povertà e disoccupazione 23 Rispetto dei diritti dell’infanzia Leggi di protezione dell’infanzia rinforzate Valorizzazione dell’infanzia Benessere ed occupazione Rete di supporto sociale Rete sociale multi-professionale Vicinato sicuro Inaccettabilità sociale della violenza Norme culturali e promozione contro la violenza da parte dei media 2 Appendice Indicatori del maltrattamento infantile Indicatori fisici del bambino: lesioni, salute, alimentazione, aspetto • • • • • • • • • • • • Ferite o segni sulla pelle Bruciature Morsi Fratture Segni di trauma Ritardo psicomotorio Aspetto trascurato Basso peso Infezioni trascurate Sporcizia Apatia e mancanza di vitalità Segni clinici di intossicazione Indicatori comportamentali del bambino: comportamenti e tratti di personalità • Il bambino si mostra sospettoso e timoroso nell’interazione con gli adulti • Il bambino sembra spaventato dai genitori • Tendenza al ritiro e all’isolamento • Mancanza di partecipazione ad attività e gioco in gruppo • Mancanza di reazioni differenziate verso gli sconosciuti • Aggressività e comportamento antisociale • Distruttività • Ipervigilanza • Comportamento sessuale inatteso • Bisogno di richiamare l’attenzione • Disturbi psicologici (anoressia, insonnia, enuresi, irritabilità, somatizzazioni, bullismo) • Difficoltà scolastiche Indicatori dei genitori: comportamento, linguaggio, atteggiamenti • Spiegazione poco plausibile dell’accaduto • Discrepanza tra i sintomi riferiti dalla madre, la storia clinica, e l’evidenza clinica • Storia familiare di maltrattamento infantile • Relazioni familiari disfunzionali • Ritardo dell’assistenza medica al bambino • Assenza di preoccupazione per il bambino, il suo aspetto, i suoi bisogni fisici ed emotivi • Iperprotettività • Gelosia • Idee negative ed attitudini verso il bambino (devalorizzazione e rifiuto) • Disciplina severa 24 Infanzia, disabilità e violenza domestica Il progetto Infanzia, disabilità e violenza domestica si pone l’obiettivo di rafforzare il ruolo delle associazioni e delle cooperative sociali che operano nel settore della disabilità nel contrastare un fenomeno poco visibile ma che le riguarda direttamente. Si tratta della violenza contro bambini e ragazzi con disabilità, in particolare in ambito familiare. L’opuscolo intende essere uno strumento per informare sul tema, per facilitare la discussione all’interno delle organizzazioni e per stimolare lo sviluppo di strategie di prevenzione. Il progetto è finanziato dalla Commissione Europea – nell’ambito del Programma DAPHNE – e dalle organizzazioni promotrici.