Infanzia, disabilità e violenza domestica
Conoscere e prevenire: il ruolo delle associazioni e delle cooperative sociali
Infanzia, disabilità e violenza domestica
Conoscere e prevenire: il ruolo delle associazioni e delle cooperative sociali
Le versioni in inglese, portoghese, greco e
spagnolo dell’opuscolo possono essere ottenute scrivendo direttamente alle organizzazioni partner.
Il contenuto di questo opuscolo rappresenta
le idee degli autori. La Commissione Europea
non è responsabile di alcun uso che potrebbe
essere fatto delle informazioni contenute.
©Copyright AIAS Bologna onlus, a nome
della partnership del progetto, 2004.
Infanzia, disabilità e violenza domestica
Pubblicato in cinque lingue diverse con il
sostegno economico della Commissione
Europea all’interno del Programma Daphne.
Gruppo responsabile del testo dell’opuscolo:
Melissa Filippini & Evert-Jan Hoogerwerf (AIAS)
Susana Lució & Ana Rodrigues (Fenacerci)
Cristina Diaz & Ana Royo Salas (DFA)
Georgia Fyca (Disability Now)
Grafica: Miranda Di Pietro
Illustrazioni: Sara H.
Si ringraziano per i preziosi commenti e gli spunti
di riflessione:
Rita Bosi, Simonetta Mavilio, Monica Mezzini,
Lucia Nicoli, Marina Pirazzi, Paolo Ramonda,
Maria Chiara Risoldi, Maria Rita Serra,
Francesco Spoto.
Si ringraziano inoltre i soci, i consiglieri, gli operatori e
gli amici dell’AIAS Bologna onlus coinvolti nel progetto.
AIAS BOLOGNA ONLUS, Via Ferrara 32, 40139 Bologna, Italia. [email protected]. www.aiasbo.it
FENACERCI, Rua Augusto Macedo 2A, 1600-794 Lisboa, Portogallo. [email protected]. www.fenacerci.pt
DISMINUIDOS FÍSICOS DE ARAGÓN, José Luis Pomarón 9, 50008 Zaragoza, Spagna. [email protected]. www.dfa-org.com
DISABILITY NOW, 3rd Septevriou 30, 54636 Thessaloniki, Grecia. [email protected]. www.disabled.gr
Indice
Introduzione p. 5
||| Perché è stato scritto questo testo?
||| A chi è indirizzato?
||| Come si usa?
1. Violenza domestica p. 7
||| Definizioni di violenza domestica
||| Diversi tipi di maltrattamento infantile
||| La violenza nega i diritti fondamentali del bambino
||| Violenza domestica e bambini con disabilità
||| Forme di violenza nella disabilità
2. Comprendere il problema p. 11
||| Teorie del maltrattamento
||| Come rilevare il maltrattamento infantile
||| Focus sulla disabilità
3. Prevenzione p. 17
||| Definizione e livelli di prevenzione
||| Forme di prevenzione
||| Punti cardine per lo sviluppo di strategie di prevenzione
Fonti p. 22
Nota per il lettore
Per ulteriori informazioni
Bibliografia
Appendice 1 p. 23
Fattori di rischio
Fattori di protezione
Appendice 2 p. 24
Indicatori del maltrattamento infantile
4
||| Perché è stato scritto questo testo? ||| A chi è indirizzato?
||| Come si usa?
Introduzione
Perchè è stato scritto
questo testo?
portata del fenomeno della violenza domestica contro i bambini con
disabilità. Inoltre, con questa pubblicazione si vuole informare correttamente il lettore sulla complessità dei problemi, senza criminalizzare
le famiglie. Perciò, verranno presentati concetti importanti sul tema,
nella forma di definizioni, modelli esplicativi ed indicatori di violenza.
Per ultimo, si intende promuovere la prevenzione, indicando i “punti
cardine” per lo sviluppo di strategie preventive. Il testo fornisce inoltre esempi concreti per illustrare i concetti chiave.
Il problema della violenza domestica è diffuso e conosciuto in tutto il
mondo ed interessa ogni segmento della popolazione. Può essere
rilevato in tutti i gruppi socio-economici, religiosi o etnici. È riconosciuto come un problema sociale significativo e, fortunatamente, negli
ultimi anni è stata rivolta maggiore attenzione alle vittime della violenza domestica, in particolare nei casi in cui sono colpiti i bambini.
Tuttavia, sono scarse le conoscenze rispetto al fenomeno della violenza contro i bambini con disabilità. Il maltrattamento di questi bambini può considerarsi un tabù nel tabù, probabilmente perché l’associazione tra disabilità e violenza è emotivamente difficile da sostenere.
Non è facile individuare e quantificare la violenza nelle famiglie dei
bambini con disabilità. I pochi e disomogenei dati epidemiologici a
disposizione non consentono di definire con esattezza l’incidenza della violenza domestica contro questi bambini. Per loro, emerge tuttavia
un rischio significativamente più elevato.
Oltre al danno causato alle vittime, il problema del maltrattamento
contro i bambini presenta importanti implicazioni sociali. La società,
nel suo complesso, deve assumersi la responsabilità della prevenzione in tutti gli ambiti, da quello personale e familiare fino a quello della
comunità e della società. Se ciò vale per tutti i bambini, è particolarmente vero per i bambini con disabilità, che sono generalmente più
vulnerabili. Per raggiungere tale responsabilità condivisa devono
essere riconosciuti e compresi il peso e la natura del problema.
Lo scopo di questo testo è di far nascere la consapevolezza della
A chi è indirizzato?
Benché il tema del maltrattamento contro i bambini con disabilità
riguardi l’intera società e le istituzioni pubbliche abbiano una responsabilità specifica nell’affrontare il problema, le associazioni locali che
rappresentano le famiglie dei bambini con disabilità, le cooperative
sociali e le ONG operanti nel campo della disabilità detengono un
ruolo specifico e significativo nella definizione, nella comprensione,
nell’analisi e nella prevenzione di questo fenomeno. Questo testo,
perciò, è stato scritto principalmente, anche se non esclusivamente,
per loro.
Tali organizzazioni possono apportare un contributo specifico nella
battaglia contro il maltrattamento dei bambini, a partire dal rapporto
quotidiano e diretto che hanno con le famiglie e con i bambini stessi.
Infatti, attraverso l’osservazione diretta del contesto familiare e sociale, si può cogliere lo sfondo emotivo e psicologico in cui il bambino
vive e la qualità delle cure che riceve. Molte di queste organizzazioni
possiedono una conoscenza diretta di casi di maltrattamento, ma
5
||| Introduzione
poche hanno sviluppato modalità sistematiche di prevenzione ed
intervento.
La loro abilità di “ascoltare”, di identificare situazioni a rischio e di prevenire il maltrattamento deve crescere e diffondersi, naturalmente in
stretta collaborazione con la rete istituzionale di sostegno alle famiglie. Solo reti coordinate ed integrate, condividendo linguaggio ed
obiettivi, possono realizzare una prevenzione efficace.
Come si usa?
Questo testo si propone di fissare il tema della violenza contro i bambini tra le azioni prioritarie delle organizzazioni operanti nel campo della disabilità. Dovrebbe motivare e supportare le persone attive in queste organizzazioni a sollevare la questione dentro e fuori le organizzazioni stesse. Il testo rappresenta un valido strumento per iniziare ed
indirizzare la discussione sul tema.
Inoltre, sono stati definiti punti cardine per lo sviluppo di strategie di
prevenzione. Conoscere il “perché” ed il “come” della prevenzione
della violenza contro i bambini con disabilità significa disporre di una
base per la programmazione di interventi utili a prevenire l’esplosione
di situazioni drammatiche in atti di violenza.
Il testo è stato scritto da organizzazioni che lavorano in vari Paesi
europei e in contesti sociali e culturali diversi. Nonostante gli autori
ritengano che il contenuto sia universalmente valido, ogni azione intrapresa deve essere mediata dal contesto sociale, istituzionale e culturale presente a livello locale.
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||| Definizioni di violenza domestica ||| Diversi tipi di
maltrattamento infantile ||| La violenza nega i diritti fondamentali
del bambino ||| Violenza domestica e bambini con disabilità
||| Forme di violenza nella disabilità
Violenza domestica
sezione
1
Definizioni di violenza domestica
Con il termine violenza domestica o familiare si intende ogni danno, intimidazione, coercizione intenzionale che avvenga nel contesto domestico. Secondo la definizione
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), si configura una condizione di abuso e
di maltrattamento allorché i genitori, tutori o persone incaricate della vigilanza e custodia
di un bambino approfittano della loro condizione di privilegio e si comportano in contrasto con quanto previsto dalla Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo (1989). Il
maltrattamento si concretizza ne “gli atti e le carenze che turbano gravemente i bambini
e le bambine, attentano alla loro integrità corporea, al loro sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o
psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di terzi”. Il maltrattamento può coinvolgere tutti i membri della famiglia, uomini, donne e bambini, sia come perpetratori sia come
vittime. Vengono inclusi anche gli atti di violenza perpetrati da persone esterne alla famiglia responsabili della cura del bambino, come baby sitters ed educatori, oppure a danno
di bambini istituzionalizzati.
Secondo gli autori, il termine “domestica” non possiede solo un significato fisico (casa,
famiglia), bensì anche emotivo, in quanto si riferisce allo spazio più intimo e sicuro che un
bambino possa trovare. Perciò, per un bambino, la violenza domestica è più difficile da
affrontare rispetto a violenza subita in altri contesti di vita.
Diversi tipi di maltrattamento infantile
L’OMS distingue cinque tipi di maltrattamento all’infanzia:
Violenza fisica: si riferisce al danno fisico reale o potenziale provocato al bambino attraverso un’interazione o la mancanza di un’interazione, che è sotto il controllo di un familiare o di una persona in una posizione di responsabilità, potere o fiducia. Potrebbe verificarsi un unico episodio oppure ripetersi nel tempo, fino a cronicizzarsi.
7
Sezione 1 ||| Violenza domestica
1. Una forma di violenza
esclusa da questa
classificazione, poco
conosciuta ma rilevante per il
tema di questo testo, è la
Sindrome di Munchausen per
procura (MPS). Nel DSM-IV
viene definita come “Disturbo
Fittizio con Segni e Sintomi
Fisici Predominanti (300.19)".
Si tratta di un disturbo
psicopatologico che comporta
un controllo volontario da
parte del soggetto che simula
la malattia, talora con lucida
convinzione delirante. Quando
queste persone hanno figli,
esse possono spostare la loro
convinzione di malattia su
questi: le storie dei sintomi e
delle malattie vengono
inventate dai genitori (quasi
sempre la madre) riferendole
ai propri figli, i quali vengono
in tal modo sottoposti ad
accertamenti clinici inutili e a
cure inopportune. Il disturbo
interessa bambini
prevalentemente di età
compresa tra la nascita fino
agli 8 anni. Genitori affetti
dalla MPS possono esagerare
o perfino inventare i sintomi
del bambino, o possono
provocare deliberatamente
sintomi in diversi modi, quali
avvelenamento, soffocamento,
infezione del sangue del
bambino. I bambini sono
spesso sottoposti a esami,
interventi o altre procedure
invasive e causa di sofferenze
inutili.
Abuso sessuale: si intende il coinvolgimento di un bambino in attività sessuali che lui/lei
non può comprendere completamente, non può acconsentire, o per le quali non è preparato rispetto allo sviluppo raggiunto, o che violano le leggi o i tabù sociali. L’abuso sessuale infantile implica un atto tra un bambino ed un adulto o un altro bambino che, per età
o sviluppo, è in una relazione di responsabilità, potere o fiducia, intendendo che tale atto
gratifichi e soddisfi i bisogni dell’altro. Viene inclusa anche l’induzione o la coercizione di
un bambino ad attività sessuali illegali, lo sfruttamento del bambino nella prostituzione o
in altre pratiche sessuali illegali, lo sfruttamento del bambino nella produzione di materiale pornografico.
Trascuratezza e negligenza: è la mancanza di attenzione o l’omissione di cure necessarie allo sviluppo del bambino nelle diverse aree: salute, educazione, affettività, alimentazione, protezione e condizioni sicure di vita. Può causare, o ha un’elevata probabilità di
provocare, danni alla salute del bambino o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale. Include il fallimento della protezione e della supervisione del bambino dal
danno, per quanto possibile.
Abuso emotivo: si manifesta in condizioni di mancanza persistente di un ambiente di supporto ed affettivamente positivo per lo sviluppo emotivo del bambino, inclusa l’assenza di
disponibilità di una figura primaria di attaccamento, necessario affinché il bambino, all’interno del contesto sociale di appartenenza, possa acquisire solide competenze emotive
e relazionali, sviluppando le potenzialità personali. Si possono includere atti che determinano o hanno un’alta probabilità di compromettere la salute del bambino o di danneggiare il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale, prodotti da parte di persone che in relazione con il bambino occupano una posizione di potere, responsabilità o
di fiducia. Si considerano forme di abuso emotivo anche le restrizioni della capacità di
movimento, le umiliazioni, le denigrazioni, le discriminazioni, le ridicolizzazioni, o altre forme non fisiche di rifiuto o comportamento ostile.
Sfruttamento commerciale o di altro tipo: si riferisce all’uso del bambino in lavori o attività a beneficio di altri. Include anche la prostituzione infantile. Si tratta di attività a danno
dello sviluppo fisico, mentale, morale, sociale o emotivo del bambino.
(1)
La violenza nega i diritti
fondamentali del bambino
Il termine violenza è di significato ampio, include diversi tipi di atti e pensieri sia verbali
sia non verbali. La prospettiva giusta dalla quale comprendere il fenomeno è quella che
considera la violenza soprattutto una negazione dei diritti dell’infanzia.
La Convenzione ONU dei diritti del bambino, entrata in vigore nel 1990, dichiara nell’articolo 19 che “gli Stati parti adotteranno ogni misura appropriata di natura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere il fanciullo contro qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono o negligenza, maltrattamento o sfruttamento, inclusa la violenza sessuale, mentre è sotto la tutela dei suoi
genitori, o di uno di essi, del tutore o dei tutori o di chiunque altro se ne prenda cura.
Tali misure protettive comprendono, all’occorrenza, procedure efficaci per l’istituzione
di programmi sociali miranti a fornire l’appoggio necessario al fanciullo ed a coloro ai
quali è affidato, nonché per altre forme di prevenzione e ai fini di identificazione, di rapporto, di ricorso, di trattamenti e di procedimenti nei casi di maltrattamento del fanciul-
8
Sezione 1 ||| Violenza domestica
lo di cui sopra, e potranno altresì comprendere procedure d’intervento giudiziario”.
Un articolo di impatto che rappresenta sia un appello sia una pietra di paragone per lo
sviluppo di politiche di prevenzione a tutti i livelli.
Violenza domestica e bambini
con disabilità
È difficile trovare studi validi sull’incidenza della violenza sui bambini con disabilità.
Inoltre, i dati a disposizione, prevalentemente di fonte americana, sono di difficile confronto con le fonti europee, data l’influenza di diverse variabili: vale a dire, la popolazione
campione, il sistema di classificazione delle disabilità di riferimento, lo sfondo culturale e
sociale, l’attitudine generale nei confronti del fenomeno, ecc. Quindi risulta essenziale lo
sviluppo di un approccio sistematico allo studio della violenza contro i bambini con disabilità in ogni nazione europea, e la raccolta di dati validi a livello locale rispetto alla diffusione e alle conseguenze del fenomeno. Comunque è sufficientemente dimostrato dalle
ricerche disponibili che i bambini con disabilità sono più a rischio di violenza domestica
rispetto ai bambini senza disabilità (2).
Elisa
è affetta da Sindrome di Down. Ha
44 anni quando conosce Maria, un’educatrice
dei Servizi Sociali. Fin dai primi momenti,
Maria resta colpita dal carattere timido e dalla
riservatezza di Elisa. In evidente contrasto, il
suo atteggiamento verso il padre è
eccessivamente disinibito: lo abbraccia e lo bacia con vigore. Durante
un’attività ricreativa, all’aperto, un anno dopo la morte di sua madre,
Elisa dichiara a Maria che durante la sua adolescenza ha fatto sesso
con il padre. Attraverso dialoghi successivi, emergono ulteriori
dettagli. Maria assume un atteggiamento di attesa rispettosa delle
confidenze di Elisa, lasciando ad entrambe il tempo di elaborare le
emozioni che emergono e di ricostruire l’accaduto. Elisa riferisce che
Maria è la prima persona che viene a conoscenza dell’abuso subito.
Lentamente, trovano una spiegazione anche i suoi disturbi del sonno:
Elisa teme la notte in quanto proprio durante la notte veniva abusata
dal padre. Apparentemente, Elisa non subì violenza fisica da parte del
padre, e non mostra né rabbia né disgusto. Ad ogni modo, è convinta
di aver fatto qualcosa di “proibito”. Maria trova molto difficile affrontare
una questione di tale delicatezza. Contatta la sua responsabile e,
assieme, decidono di consultare uno psicologo, per supportare sia
Maria sia Elisa.
Quando il bambino è oggetto di violenza, le conseguenze possono essere di
vario tipo. I livelli di rischio e le reazioni
alla violenza domestica si collocano su
un continuum: alcuni bambini mostrano
una grande resilienza*, mentre altri
manifestano, attraverso segni determinati, un disadattamento significativo. Lo
stesso vale per i bambini con disabilità.
I problemi dell’infanzia causati dalla violenza domestica si possono suddividere
in tre categorie fondamentali:
• problemi comportamentali, sociali,
emotivi (ad es. disobbedienza, ostilità,
rabbia, paura, ansietà, depressione,
scarse relazioni sociali o di fratellanza);
• difficoltà cognitive e atteggiamenti
problematici (ad es. minore funzionamento cognitivo, inibizione intellettiva,
scarso rendimento scolastico, atteggiamento pro-violenza, mancanza di abilità
nella risoluzione di conflitti);
• problemi a lungo termine (ad es.
maggiore probabilità di depressione in
età adulta, segni isolati di trauma o manifestazione della sindrome post traumatica da
stress).
In termini generali, minore è l’età, più gravi saranno le conseguenze del maltrattamento,
anche perché l’esposizione alla violenza potrebbe durare più a lungo prima di essere rilevata. Inoltre, bambini con scarse risorse personali e poche opportunità di socializzazione e comunicazione sono più a rischio di problemi, rispetto ai bambini con elevate capacità individuali e reti sociali di supporto. Perciò, un sostegno adeguato alle vittime di violenza dovrà necessariamente tenere in considerazione il tipo di disabilità e come questo
influenzi le risorse personali ed i fattori contestuali, considerando anche la disponibilità
di professionisti competenti (Elisa).
9
2. Alcuni ricercatori
hanno rilevato che i bambini
con disabilità sono circa 3,7
volte più a rischio di subire
forme di negligenza,
3,8 volte di essere vittime di
maltrattamento fisico o
psicologico, e 4 volte più a
rischio di essere violentati,
rispetto a bambini senza
disabilità (Sullivan e Knutson,
2000). In altri studi viene
evidenziato come i bambini
con disabilità mentale corrano
un rischio più alto di essere
vittime delle diverse forme di
violenza rispetto ai bambini
con disabilità fisica.
Un’introduzione alla letteratura
scientifica è inclusa nella
versione integrale del report
del progetto sul sito
www.aiasbo.it/daphne.
Per resilienza si
*intende
la capacità del
bambino di resistere,
affrontare e superare il
trauma e la violenza, in
relazione con il grado
di presenza reale e/o
percepita di risorse
personali, familiari ed
ambientali. In particolare, gli aspetti principali che sembrano
caratterizzare i soggetti
resilienti sono sentimenti positivi di sé e la
presenza di solidi legami di attaccamento.
Sezione 1 ||| Violenza domestica
3. Sobsey (2002), afferma
Tommaso
ha 13 anni ed è
affetto da paralisi
cerebrale, con ritardo
mentale severo e
grave ipo-visione.
Non cammina né parla. Suo padre non ha
accettato la disabilità e mantiene aspettative
irrealistiche rispetto alle sue possibilità di
miglioramento. Gli assistenti domiciliari
riferiscono di essere obbligati dal padre a
stimolare Tommaso diverse volte durante il
giorno, con stimoli visivi, uditivi, tattili che lo
fanno piangere. Tommaso viene obbligato
dal padre a strisciare su un materasso: data
la sua immobilità, mostra abrasioni alla base
del collo. Alla vista del padre,Tommaso si
irrigidisce.
Antonio
è affetto di tetraparesi
spastica. Dai 2 agli 8 anni, su indicazione di
diversi medici, interpellati dai genitori in
differenti città italiane, Antonio fu sottoposto
ad interventi di fisioterapia, che lui rifiutava
costantemente con rabbia. A domicilio, una
fisioterapista insegnò alla madre Susanna
come svolgere gli esercizi: lei riferisce che
quei momenti rappresentavano per entrambi
una “tortura”, essendo costretta a legarlo alla
sedia per mantenere le gambe in posizione
diritta. Susanna racconta che in lei era forte
la convinzione che ogni esercizio
rappresentasse il modo migliore per aiutare
suo figlio. Ricorda quegli anni come una
“illusione”, e continua a chiedersi se non
abbia sempre fatto violenza sul figlio.
L’associazione tra violenza e disabilità si sviluppa in due direzioni. Non solo i bambini con disabilità sono più a rischio di subire
violenza, ma quest’ultima è anche causa significativa di disabilità intellettuali o d’altro tipo (3).
Le situazioni di violenza non sono statiche ma possono evolversi in intensità e, seguendo direzioni spesso imprevedibili, assumere forme diverse. L’indifferenza o le reazioni inadeguate da
parte della società possono aumentare il rischio, il verificarsi di
nuovi episodi di violenza e la possibilità che il fenomeno si intensifichi e si cronicizzi. Questo rischio è particolarmente elevato in
situazioni complesse e spesso sommerse.
Forme di violenza
nella disabilità
Esistono forme specifiche di violenza che tipicamente riguardano i bambini con disabilità in quanto vittime, che però risultano
difficili da rilevare e da riconoscere.
Comportamenti inadeguati della madre durante la gravidanza,
per esempio abuso di alcool o droghe, rappresentano una forma
di violenza pre-natale che potrebbe causare severe disabilità.
A livello della famiglia, la scarsa o nulla accettazione della disabilità o le aspettative irrealistiche dei familiari rispetto alla riabilitazione, possono provocare un accanimento terapeutico a danno del bambino, anche se la distinzione fra cure riabilitative “buone” o “dannose” non è univoca e mette in difficoltà molte famiglie
(Tommaso e Antonio). L’uso inappropriato dei farmaci o la mancanza di un’adeguata cura sanitaria (ad es. dell’igiene dentale)
possono considerarsi forme di maltrattamento.
Ci sono forme specifiche di violenza in situazioni di disabilità causate da comportamenti connessi a credenze individuali, sociali,
culturali strettamente interrelate. Sono espressione di attitudini
particolarmente difficili da svelare e modificare, in quanto culturalmente determinate e socialmente accettate, ma in contrasto
con i diritti dell’infanzia. Alcuni esempi sono la mancanza di
opportunità date al bambino per sviluppare autonomia e indipendenza, la mancanza di opportunità di comunicazione, la negazione dell’identità sessuale ai bambini con disabilità e la mancanza di privacy in epoca adolescenziale.
Atteggiamenti negativi rispetto a ciò che è diverso ed alla disabilità, vengono dichiarati
apertamente da molti. Umiliazione, rifiuto del contatto fisico e disprezzo sono forme di violenza che spesso vedono vittime i bambini con disabilità.
Molte persone con disabilità dichiarano che la mancanza di pari opportunità in tutti gli
ambiti della vita, produce effetti violenti sulle loro esistenze. Le barriere che ostacolano
e/o impediscono l’accesso alle diverse opportunità sono sia architettoniche che culturali.
10
che i deficit neurologici
conseguenti alla sindrome del
bambino percosso diventano
evidenti un anno o più dopo le
dimissioni dall’ospedale.
Bonier et al. (1995), hanno
dimostrato come lo stress
eccessivo associato alla
violenza possa produrre
cambiamenti biochimici che
danneggiano sia la struttura
sia la funzione cerebrale.
||| Teorie del maltrattamento ||| Come rilevare il
maltrattamento infantile ||| Focus sulla disabilità
Comprendere il problema
sezione
2
Teorie del maltrattamento
George
nacque nel 1964. A
tre giorni dalla
nascita, contrasse la
poliomielite, in
seguito alla quale
rimase fisicamente disabile. Da allora,
necessita di una sedia a rotelle. I suoi
genitori si trasferirono ad Atene qualche anno
dopo la sua nascita. Suo padre lavorava
come contadino mentre sua madre era una
casalinga. Suo padre proveniva da una
famiglia molto tradizionale dove alle donne
non era concesso di lavorare ed erano tenute
a stare in casa con i bambini. Ormai adulto,
George racconta di avere subito violenza
fisica e psicologica dal padre, che lo insultava
frequentemente con termini come “inutile” e
“storpio”. Al contrario, sua madre era dolce e
protettiva, ma purtroppo sempre sotto il
dominio del padre, impossibilitata a prendere
alcuna decisione. La famiglia di Gorge era
molto patriarcale, un modello familiare che
esiste ancora in alcune aree delle Grecia.
Sono state elaborate molte teorie causali per spiegare il fenomeno del maltrattamento dei bambini. Dai primi modelli esplicativi che definivano un nesso di causalità diretta tra le caratteristiche psicologiche individuali e/o i fattori socio-economici e la
violenza, sono stati elaborati successivamente modelli che riconoscono l’interdipendenza e l’interazione di molteplici agenti
causali. Il maltrattamento dei bambini con disabilità è un fenomeno complesso. Non è riconosciuta un’unica causa del maltrattamento nell’infanzia, e nemmeno è possibile fornire una sola
descrizione di tutte le famiglie in cui i bambini sono vittime di
violenza.
Il modello ecologico
Il modello ecologico può essere utile per comprendere le cause
e lo sviluppo della violenza. Questo tipo di modello considera
diversi fattori che contribuiscono al maltrattamento, compresi
quelli socio-culturali, le caratteristiche familiari e/o del bambino e
situazioni scatenanti che funzionano come catalizzatori di episodi di maltrattamento. Tale modello riconosce fattori predisponenti (individuali, familiari, sociali, culturali), fattori di mediazione
(reti di supporto sociale) e fattori scatenanti (eventi del ciclo di
vita, percezioni ed interpretazioni degli eventi stessi, l’effetto
stressante di tali eventi sui familiari e sui genitori) (George).
Il modello ecologico riconosce che alcune caratteristiche del
bambino possono giocare un ruolo nel maltrattamento, in parti-
11
Sezione 2 ||| Comprendere il problema
4. Sullivan e Knutson
colare nelle famiglie e negli ambienti già a
rischio, senza ad ogni modo considerare
la disabilità di per sé un fattore unico di
rischio di maltrattamento (Leonor).
Leonor
è nata nel 1988. Nei primi
anni di vita, furono diagnosticati ritardo
globale dello sviluppo ed epilessia. Suo
padre lavorava come artigiano ed aveva un
passato da criminale. Aveva l’abitudine di
bere pesantemente e spesso picchiava
tutti i membri della famiglia. La madre era prostituta con 9 figli, 3
dei quali morirono a causa di eccessiva trascuratezza. Quando
aveva 5 anni Leonor venne abbandonata dalla madre che se ne
andò di casa portando con sé soltanto alcuni figli. I registri
dell’ospedale indicano che all’epoca Leonor mostrava segni di
violenza fisica e sessuale. Per qualche tempo, visse con gli zii
paterni, continuando a mostrare segni di maltrattamento ed abuso.
I suoi bisogni fondamentali erano trascurati. All’età di 10 anni, fu
ammessa in un istituto, dove la sua situazione si è stabilizzata.
Attualmente è dolce e socievole, ha un fidanzato ed è bene
integrata con gli altri.
Fattori di rischio e fattori
protettivi
A partire dal dato che non può essere
identificata soltanto una singola causa per
spiegare il maltrattamento dei bambini con
disabilità, alcuni ricercatori hanno riconosciuto un numero di fattori di rischio
comunemente associati con il maltrattamento.
• I fattori di rischio predicono un’alta probabilità di violenza.
• I fattori di rischio si presentano a molteplici livelli, dal biologico e individuale fino
al livello sociale.
Nessun fattore di rischio è di per sé sufficiente a prevedere se una persona sarà
maltrattata o maltrattante; però, maggiore
è il numero di fattori di rischio associato
alla disabilità, maggiore sarà la possibilità
di maltrattamento (Abel). Comunque, ciò
non significa che la presenza di questi fattori avrà sempre come risultato certo la
violenza.
Abel nacque nel 1985, con emiparesi
I fattori di rischio associati al maltrattamento infantile possono essere raccolti in
quattro gruppi: fattori relativi ai genitori o a
chi si occupa della cura del bambino, fattori familiari, fattori del bambino, fattori
ambientali. Per un elenco esteso si veda
Appendice 1.
Quando si parla di fattori relativi al bambino, non si intende che il bambino sia responsabile del maltrattamento. Alcuni fattori, comunque, possono rendere alcuni
bambini più vulnerabili riguardo comportamenti maltrattanti, data l’interazione tra
queste caratteristiche ed altri fattori riportati sopra (4).
sinistra, ritardo mentale, disturbi del
comportamento ed epilessia. Sua madre
Antonia ha avuto una giovinezza difficile,
scarsa educazione ed una relazione
problematica con i suoi familiari, che non
accettarono la sua convivenza con un uomo senza che fossero
sposati. Quando rimase incinta, il partner si rifiutò di assumere la
paternità e l’abbandonò. Abel non è mai stato riconosciuto dal
padre, né lo ha mai incontrato. Dopo la nascita di Abel, Antonia
ritornò a casa dei suoi genitori, lasciando spesso il bambino con i
nonni e con il fratello tossicodipendente ed alcolizzato. Antonia
restava lontano da casa per giorni, senza dare alcuna spiegazione.
Poco prima del suo quinto compleanno, Abel si ruppe un braccio
e fu accompagnato al pronto soccorso. Il medico informò la polizia
ed il Servizio di protezione dei minori dell’incidente, e loro
conclusero che Abel era stato maltrattato.
12
(2000/b), hanno evidenziato,
all’interno della loro
popolazione campione, che
rispetto ad altri gruppi i
bambini con disabilità sono
sottoposti al maggior numero
di fattori aggiuntivi di stress a
carico della famiglia. In
termini generali, i bambini con
disabilità tendono ad essere
maltrattati ad età più precoci.
In aggiunta, c’è
un’associazione significativa
tra lo stato familiare dei
perpetratori ed il tipo di
violenza. I membri più
prossimi della famiglia sono
responsabili della grande
maggioranza dei casi di
trascuratezza, violenza fisica
ed emotiva, mentre il maggior
numero dei responsabili
dell’abuso sessuale non è un
familiare . Sobsey (1997)
afferma che i bambini con
disabilità sono frequentemente
deumanizzati: la
depersonalizzazione delle
vittime potenziali è una chiave
per rimuovere l’inibizione della
violenza contro di loro.
Atteggiamenti sociali e
professionali potrebbero
trasmettere idee di
sottovalutazione che
metterebbero il bambino a
rischio. Sobsey (1994)
sostiene che la cura medica
neonatale precoce potrebbe
ostacolare i primi contatti ed
interazioni tra i genitori ed il
bambino con disabilità,
minando il legame
d’attaccamento primario,
aumentando il rischio di
maltrattamento.
Sezione 2 ||| Comprendere il problema
Nella valutazione e nell’analisi della situazione devono essere considerati sia i fattori di rischio sia i fattori di protezione con
uguale attenzione.
I fattori di protezione si riferiscono alle forze ed alle risorse che mediano o servono
come “deposito” contro i fattori di rischio,
promuovendo resilienza contro gli effetti
negativi delle esperienze di violenza.
In generale, le ricerche dimostrano che
relazioni percepite come gratificanti all’interno della rete di familiari o amici possono ridurre il rischio che i genitori maltrattino i bambini, soprattutto durante momenti
di stress. D’altra parte, famiglie dal funzionamento apparentemente armonico e
situazioni socio-economiche positive
potrebbero abbassare il livello di attenzione ed allerta da parte degli osservatori
esterni, come gli amici, i familiari ed i
Servizi Sociali (Maria).
Come i fattori di rischio, anche i fattori di
protezione possono essere suddivisi in
quattro gruppi: fattori relativi ai genitori o a
chi ha in cura il bambino, fattori familiari,
fattori del bambino, fattori ambientali.
Per un elenco esteso, si veda Appendice 1.
Maria nacque nel 1969. All’età di 2
anni, le fu diagnosticata una paralisi
cerebrale. I suoi genitori provenivano da
una famiglia benestante ed avevano
ereditato una fortuna considerevole dai
loro genitori. Conducevano una vita felice,
erano ben integrati e particolarmente apprezzati dalla società.
Quando Maria aveva 6 anni, il padre morì improvvisamente. Il
comportamento della madre nei confronti di Maria cambiò
completamente e cominciò ad accusarla della morte del marito,
dando la colpa alla sua disabilità. Cominciò a bere e a lasciare
spesso Maria sola per giorni, mentre lei non era in grado di uscire
dal letto per raggiungere il cibo. Maria aveva 15 anni quando
parenti ed amici della famiglia scoprirono quello che stava
realmente accadendo in quella casa. Fino a quel momento tutti
avevano creduto che la madre di Maria si stesse curando di lei
nella maniera più consona.
Come rilevare il maltrattamento infantile
È difficile riconoscere i segni e i sintomi del maltrattamento infantile, in particolare nel
caso dei bambini con disabilità. Spesso essi sono incapaci di esprimere verbalmente l’abuso subito oppure non hanno gli strumenti cognitivi per comprendere che ciò che gli è
successo è sbagliato e dannoso. Nei bambini con disabilità i sintomi segnale del maltrattamento sono spesso fraintesi, confusi oppure ignorati (Teresa).
Diagnosticare il maltrattamento richiede
un’elevata certezza ed un certo numero di
fu colpita da un attacco di
segnali determinati, quali:
poliomielite in età molto precoce, ma con
• indicatori fisici del bambino che si riferil’aiuto della famiglia uscì dalla malattia che,
scono a lesioni, condizioni igieniche,
ad ogni modo, le lasciò gravi conseguenze
modalità di alimentazione ed aspetto fisifisiche. Nonostante tali lesioni, da bambina
co;
la sua vita trascorse senza complicazioni
• indicatori comportamentali del bambino
particolari. Era amata dai suoi genitori e dalle sorelle; il suo
che si riferiscono ad atteggiamenti e a
rendimento scolastico era buono. Sfortunatamente, il padre di
tratti della personalità del bambino;
Teresa si ammalò ed i suoi zii cominciarono a prendersi cura di lei
• indicatori dei genitori rispetto a comfrequentemente. Alcuni anni più tardi suo padre morì, la situazione
portamento, linguaggio, atteggiamento
finanziaria della famiglia peggiorò e la madre fu costretta a lavorare
verso il proprio bambino.
molte ore al giorno. Le due sorelle di Teresa dovettero iniziare a
Per una lista degli indicatori del maltrattalavorare molto giovani, mentre Teresa, che era un’ottima
mento infantile, si veda Appendice 2.
studentessa, proseguì gli studi. Diventò molto introversa ma
Teresa
nessuno sospettò che stesse accadendo qualcosa di grave,
essendo lei molto responsabile. Nel corso del tempo, diventò
oppressa da una tristezza profonda.
13
Sezione 2 ||| Comprendere il problema
Focus sulla disabilità
La disabilità di per sé non causa violenza, ma senza dubbio ne aumenta il rischio.
Secondo il modello ecologico, i fattori di rischio e di protezione non sono statici ma
entrano in un processo dinamico insieme a fattori che provocano la rottura (ad esempio,
un evento improvviso che richiede un elevato livello di adattamento) e che potrebbero
agire come catalizzatori del maltrattamento in presenza di un delicato equilibrio.
I bambini con disabilità hanno bisogni speciali. La responsabilità ed il dovere di gratificare quotidianamente tali necessità può essere stressante e l’aumento eccessivo dello
stress percepito può sfociare in violenza.
Essere genitori di un bambino con disabilità richiede elevate abilità di coping* e di adattamento a situazioni nuove ed avverse, spesso frequenti. La nascita di una bambino con
disabilità causa un trauma che rende necessaria una profonda riorganizzazione sia delle aspettative attuali sia delle prospettive per il futuro. I genitori devono trovare immediatamente la forza sia di reagire allo shock sia di organizzare una nuova vita.
La cura quotidiana del bambino, degli altri familiari e il lavoro risultano spesso inconciliabili o estremamente difficoltosi. Per questo, chi si prende cura del bambino, nella maggior parte dei casi le donne, lascia il proprio lavoro, cosicché diminuisce il reddito familiare ed i ruoli all’interno della coppia si dividono. Un partner resta a casa ad occuparsi
della cura della famiglia, mentre l’altro è spesso assente in quanto deve provvedere alle
entrate economiche. Ciascun ruolo implica priorità ed azioni distinte, porta con sé fattori di stress che possono essere complessi da condividere, mediare e modulare all’interno della relazione sia genitoriale sia di coppia.
Un altro cambiamento significativo è rappresentato dall’attivazione di una rete formale
che include i servizi sociali e sanitari, e di una rete informale formata dai familiari e dagli
amici. Maggiore è la solidità di queste reti, la chiarezza e la condivisione degli obiettivi
con la famiglia, più il bambino sarà protetto (Valentina). Reti ben funzionanti garantiranno alla famiglia del bambino risorse sia psicologiche sia materiali, favorendo il raggiungimento ed il mantenimento di una buona qualità di vita e di cura. In questo modo,
potranno risultare rinforzate sia le abilità
dei genitori nel gestire le situazioni, sia le
All’età di 19 anni
prese la
loro aspettative positive verso il futuro.
decisione irrevocabile di lasciare casa ed
Quando il sostegno arriva tardi rispetto ai
andare a vivere in un’altra città. A 29 anni,
bisogni della famiglia ed è scarsa la comucomunque, decise di tornare a casa. Entrò
nicazione con i genitori, saranno minori le
in un’associazione per disabili per stabilire
probabilità di riuscita dell’intervento
nuove relazioni e cercare un nuovo lavoro.
(Andreas).
Fu in questo momento che conobbe persone alle quali raccontò
cosa le era successo durante l’infanzia. Aveva subito violenza
La disabilità di un membro della famiglia
sessuale da parte dello zio dai 4 fino ai 14 anni, e ciò l’aveva ferita
rappresenta un fattore di rischio che inteprofondamente. Questo abuso sessuale era stato interrotto quando
ragisce con altri. Il peso dei fattori di
rimase ingessata, per poi riprendere, cosicché Teresa decise di
rischio non è assoluto, ma risulta controbilasciare casa. La sua famiglia pensò che il suo dolore, la sua
lanciato da quello dei fattori di protezione.
ansietà, la sua introversione e le altre manifestazioni fossero dovute
Il risultato è rappresentato da un intreccio
alla sua disabilità, ma erano in realtà conseguenza dell’abuso
complesso di fattori, le cui caratteristiche,
sessuale che aveva sofferto e di cui nessuno aveva sospettato.
meccanismi e processi interni possono
Teresa
14
Le abilità di coping
*si riferiscono
a strategie, comportamentali
e/o cognitive, che le
persone utilizzano per
gestire, tollerare o
ridurre al minimo le
conseguenze di eventi
stressanti.
Sezione 2 ||| Comprendere il problema
non risultare facili da rilevare e comprendere. Ricostruire una mappa dei fattori e delle
loro interazioni può essere di aiuto per identificare le situazioni a rischio, evitando il pericolo di arrivare a conclusioni semplicistiche e scontate, mentre in questo testo viene
proposto un modello che sottolinea l’importanza della complessità e dell’approccio multi-fattoriale.
I diversi tipi di indicatori di maltrattamento possono favorire una rilevazione più precisa
ed oggettiva della violenza, nonostante alcuni siano definibili anche come sintomi di specifiche condizioni psicopatologiche o di disabilità (ad esempio, iperattività, disturbi del
comportamento ecc.).
La rilevazione del maltrattamento è spesso un processo che richiede tempo, soprattutto
nei casi di disabilità. L’osservazione del bambino con disabilità deve essere prolungata
e realizzata nei contesti familiare ed extra familiare. Solo un’analisi trasversale rispetto ai
tempi ed ai luoghi può portare ad un’ipotesi sufficientemente valida di maltrattamento.
Valentina
ha 15 anni ed è affetta
da paralisi cerebrale infantile. Vive con i
suoi genitori in una bella casa di
campagna, circondata da un giardino
ampio in cui lei ama stare per ore. Dato il
grado di invalidità di Valentina, la famiglia
ha diritto ad un assegno di accompagnamento. Ultimamente il
padre ha cominciato a tenere la bambina in casa, perché ha paura
che qualcuno dei servizi di riferimento, vedendola da sola in
giardino, possa toglierle il sussidio.
Andreas
è nato nel 1990, affetto
da ittero e tetraplegia spastica. Un anno
dopo la sua nascita, i suoi genitori
tornarono in Grecia, incontrando difficoltà
a reintegrarsi all’interno della comunità.
Alla nascita del figlio la madre di Andreas
soffriva di disturbi psicologici. Quando aveva 15 anni, i suoi
genitori si separarono e si interruppe il rapporto con il padre.
Andreas fu abbandonato senza alcun percorso né riabilitativo né
scolastico o educativo, e solo sua sorella si prese cura di lui. Per
la mancanza di assistenza medica, stava diventando sempre più
debole, per cui il medico decise di informare i Servizi Sociali della
sua situazione. Un assistente sociale cominciò a sollecitare visite
domiciliari, ma la madre rifiutò sempre gli incontri e l’aiuto
offertole, mentre le condizioni di Andreas non miglioravano. Alla
fine, il tribunale stabilì che Andreas e la sorella fossero tolti dalla
tutela della madre ed affidati alle cure di un istituto.
15
16
||| Definizione e livelli di prevenzione ||| Forme di prevenzione
||| Punti cardini per lo sviluppo di strategie di prevenzione
Prevenzione
sezione
3
Definizione e livelli di prevenzione
Risulta difficile fornire una definizione complessiva della prevenzione. Si possono individuare distinte definizioni e classificazioni a seconda che si consideri il momento dell’intervento, il destinatario o gli obiettivi principali della prevenzione.
In generale, si possono distinguere tre livelli.
! L’Associazione per lo
Sviluppo della Comunità della
Regione di Aragona,
l’Università di Zaragoza, il
Ministero per gli Affari Sociali
e l’Istituto di Aragona per i
Servizi Sociali hanno promosso
un programma per rilevare le
situazioni di vulnerabilità al
fine di prevenire l’abuso
contro i bambini. Dal 2000, gli
ambiti destinatari del progetto
sono stati diversi (scuola,
tempo libero, servizi sociali),
informando e motivando i
professionisti rispetto al ruolo
nella rilevazione e prevenzione,
attraverso azioni coordinate
tra le diverse istituzioni.
Livello primario: si riferisce a quella forma di prevenzione attraverso la quale si impedisce il fenomeno della violenza prima che si verifichi, mediante azioni che interessano tutta la popolazione. Essa richiede un’attenzione continua e può modificare o rinforzare
processi socio-cognitivi quali abilità di problem solving, ricerca di alternative possibili,
pensiero etico e morale e cambiamento di credenze ed atteggiamenti relativi all’aggressività e alla punizione fisica.
Esempi di prevenzione a livello primario sono:
– legislazione adeguata
– servizi sociali efficienti
– attività di incremento della consapevolezza pubblica (!)
– programmi di educazione della comunità destinati ai bambini ed agli adulti
– educazione ai diritti civili, inclusa la Convenzione ONU dei Diritti del Bambino.
Livello secondario: si tratta di azioni di prevenzione mirate a gruppi specifici.
Esempi di prevenzione a livello secondario sono:
– identificazione fin dall’epoca peri-natale delle famiglie e dei bambini “a rischio”
– programmi di trattamento di abuso di sostanze
– reti e centri di supporto, assistenza e sostegno basati sulla famiglia e sulla comunità
– adeguate cure sanitarie pre- e peri-natali e della prima infanzia che migliorino il decorso della gravidanza, del parto e rafforzino i legami precoci di attaccamento
– attività didattiche finalizzate alla non violenza
17
Sezione 3 ||| Prevenzione
– educazione dei bambini finalizzata ad intraprendere comportamenti di auto-protezione
e sicurezza personale.
! Il Centro Specialistico
per la prevenzione e il
contrasto dell’abuso
all’infanzia”Il Faro” opera
nell’ambito della Provincia di
Bologna (popolazione 0-18
anni). Si pone come obiettivo
principale lo sviluppo di una
rete di servizi e di azioni
caratterizzata da specifica
competenza multiprofessionale,
per affrontare la complessità
del fenomeno abuso superando
l’isolamento professionale e la
frammentarietà degli interventi.
Il team de “Il Faro” è
composto da professionisti dei
Servizi Socio-Sanitari del
territorio provinciale: un
neuropsichiatra infantile, due
psicologi, due pediatri, due
assistenti sociali, un consulente
legale; di questi solo una
assistente sociale lavora al
Faro a tempo pieno.
Le principali attività
del centro sono:
• consulenze sui casi di
sospetto abuso, intervenendo
dalla fase di rilevazione fino
alla fase di diagnosi e presa in
carico terapeutica del minore e
della famiglia;
• progettare e attuare
interventi di formazione e
sensibilizzazione;
• sviluppare attività di ricerca e
di documentazione qualitativa e
quantitativa sul fenomeno.
Livello terziario: è la forma di prevenzione attuata quando si è già verificata la violenza,
per ridurne le conseguenze o per evitare una recidiva.
Essa include:
– diagnosi precoce di situazioni violente
– servizi interdisciplinari che assicurino adeguato trattamento medico, cura, consulenza,
gestione della situazione e sostegno per la vittima e/o la sua famiglia (!)
– reintegrazione all’interno di una comunità/scuola sicura e rinforzante per il bambino
– leggi di protezione del bambino più efficaci e tribunali attenti e accoglienti nei confronti dei bambini.
Le azioni di prevenzione possono essere realizzate su piani diversi, quali: individuale,
familiare, comunitario, regionale, nazionale, internazionale. La prevenzione secondaria
diretta alle famiglie dei bambini con disabilità è complessa, in quanto le stesse situazioni familiari e non familiari che devono essere analizzate sono molteplici.
Le strategie di prevenzione dovrebbero essere scelte con attenzione, per ben corrispondere all’obiettivo ed alle risorse del promotore e, per quanto possibile, essere in
sinergia con le strategie di intervento e di prevenzione prodotte dagli altri attori.
Forme di prevenzione
Attività di consapevolezza pubblica
Le attività di consapevolezza pubblica si pongono l’obiettivo di raggiungere diversi strati
sociali della comunità, inclusi i genitori ed i familiari, i bambini, ed altri membri della comunità. Gli sforzi per l’educazione pubblica possono raggiungere diverse mete rispetto all’estensione, alle cause ed alle conseguenze della violenza, quali: aumentare la sensibilità,
migliorare la conoscenza, cambiare atteggiamenti, modificare comportamenti (!).
Le strategie dei media sono concepibili come alternative non intrusive di diffusione del
messaggio di prevenzione per raggiungere numerose fasce di popolazione. Attraverso i
media, le comunità possono promuovere programmi di educazione alla salute per i genitori, abilità di sicurezza per i bambini, e protocolli di denuncia di sospetto maltrattamento.
Centri per le famiglie
I centri familiari mirano a sviluppare servizi specifici che soddisfino i bisogni dei membri
della comunità, spesso attraverso il metodo partecipativo. L’intervento orientato alla famiglia può essere finalizzato a modificare lo stile e le pratiche genitoriali (riducendo i metodi educativi negativi), a migliorare le relazioni familiari (vicinanza, coesione emotiva, abilità di comunicazione), riducendo effettivamente il rischio di comportamento antisociale
e violento.
I centri familiari possono provvedere a diverse azioni: addestramento delle abilità genitoriali, visite domiciliari, addestramento al lavoro, prevenzione dell’abuso di sostanze,
prevenzione della violenza, servizi per bambini con bisogni speciali, servizi per la salute
mentale, consulenza familiare, cura del bambino, servizi di supporto in situazioni di crisi
e di emergenza, assistenza ai bisogni economici fondamentali e alloggio.
18
!Dal 1965 l’Istituto Greco
per la Salute dell’Infanzia,
un’organizzazione privata,
promuove azioni di
prevenzione, salute pubblica,
ricerca ed intervento
educativo attraverso distinti
dipartimenti (Psichiatria
sociale, Relazioni familiari,
Educazione ecc.).
L’équipe è costituita da
elementi di varia
professionalità quali assistenti
sociali, psicologi, avvocati,
psichiatri.
I destinatari sono altrettanto
eterogenei: organizzazioni,
comunità, professionisti,
famiglie e bambini.
Dal 1998 l’Istituto si occupa,
tra l’altro, di diffusione nelle
scuole di materiale relativo
alla Convenzione sui diritti dei
bambini e alla legislazione
greca, con l’obiettivo di
informare e di accrescere nei
bambini la consapevolezza dei
propri bisogni e diritti.
Sezione 3 ||| Prevenzione
Visite a domicilio
! Cerci Estremoz è un
Istituto portoghese di
Fenacerci che ha sviluppato
un “Programma di Intervento
Precoce” per bambini di età
tra 0 e 6 anni e le loro
famiglie. Si pone l’obiettivo di
incrementare le risorse delle
famiglie dei bambini con
disabilità, fornendo supporto e
stabilendo contatti con la rete
dei servizi. I fattori di rischio
in relazione con la situazione
familiare sono rilevati ed
affrontati il più
tempestivamente possibile con
le famiglie, per ridurre il
rischio che diventino fattori
precipitanti.
Questi programmi sono realizzati da personale competente che visita i bambini ed i
genitori a domicilio, per fornire loro informazione, supporto, potenziamento delle abilità
parentali, per collaborare alla costruzione di un ambiente domestico sicuro, per incoraggiare il contatto e l’avvicinamento ai servizi della comunità.
Dovrebbe essere realizzata almeno una visita durante i primi due anni di vita del bambino, anche se il programma può avere inizio già durante la gravidanza e proseguire oltre
il compimento del secondo anno del bambino. I programmi a lungo termine che prevedono più visite sono generalmente più efficaci di quelli a breve termine con un minore
numero di visite (!).
I programmi possono associarsi a servizi di assistenza quotidiana, gruppi di auto aiuto
per genitori, trasporti ecc.
Programmi di educazione e supporto per genitori
I genitori non dovrebbero essere lasciati soli nella cura del bambino. Il lavoro con i genitori deve favorire l’accettazione della disabilità, incoraggiando l’attaccamento genitoriale e promuovendo il più possibile una buona genitorialità.
I programmi di educazione genitoriale mirano, tipicamente, a rafforzare i fattori familiari
di protezione. Affrontano temi quali le abilità infantili in relazione alle tappe evolutive, gioco ed interazione tra genitori e bambino, individuazione ed accesso ai servizi della comunità e supporto (!).
I gruppi di sostegno ai genitori possono offrire importanti opportunità per comunicare e
per condividere esperienze ed informazioni.
Curriculum centrati sulle abilità del bambino
Le scuole ed i servizi sociali della comunità possono fornire al bambino percorsi per insegnare loro abilità di sicurezza e di protezione personale. Possono includere temi e concetti generali come il comportamento assertivo, l’educazione sessuale, le abilità di presa
di decisione, le abilità di comunicazione che possono rivelarsi utili nelle situazioni di ogni
giorno. Generalmente, vengono utilizzati metodi interattivi. La maggior parte di questi programmi dirige i propri sforzi verso la prevenzione dell’abuso sessuale, insegnando al bambino a distinguere tra un contatto fisico normale ed uno inappropriato.
Programmi di sollievo e di supporto nei momenti
di crisi
I servizi di sollievo forniscono aiuto e cura per il bambino con disabilità affetto da malattie croniche o terminali, che sono in pericolo o che hanno subito violenza. Tali servizi
potrebbero essere predisposti anche in casi di emergenza o crisi, ad esempio quando
la famiglia attraversa una fase particolarmente stressante.
Questi programmi forniscono inoltre diversi servizi di supporto per le famiglie, come ad
esempio indicazioni per altri programmi, consulenza, gestione del caso, cibo, trasporto,
attività sociali, alloggio, servizi medici, cura personale, assistenza alle attività quotidiane (!).
I programmi sia di sollievo, sia di gestione delle crisi possono coinvolgere tutti i membri
della famiglia, amici, vicini, programmi ricreativi della comunità, centri di cura ed assistenza del bambino, aiuto sanitario domiciliare, centri per le famiglie, altre agenzie per il
supporto in situazioni di crisi.
19
!
Nel 2000, AIAS
Bologna Onlus ha inaugurato
La Stanza dei Giochi per
bambini con disabilità, alla
quale anche i genitori possono
recarsi per giocare con il
figlio. Educatrici ed una
musicoterapista propongono
attività di gioco
individualizzate, mentre i
genitori osservano,
conoscendo quali stimoli e
quali relazioni diano più
piacere al bambino. Questo
spazio mira anche ad essere
un luogo di incontro tra i
genitori, di discussione,
dialogo e confronto tra loro,
dove possano trovare
informazioni utili, per lo
sviluppo di abilità genitoriali
positive.
!
Il “Punto di Incontro per
Famiglie” di Zaragoza è un
meeting-point coordinato da
Consiglio cittadino del governo
di Aragona, con la
collaborazione di altre
istituzioni ed organizzazioni
nazionali. Mira ad assistere le
famiglie in crisi, quando i
genitori sono in fase di
separazione, divorzio o processi
di annullamento, oppure
qualora nelle famiglie siano
presenti relazioni disfunzionali
tra i genitori ed il bambino. La
cura del bambino è fornita da
un gruppo multi professionale
che non lavora solo con il
Dipartimento di Giustizia, bensì
anche con i genitori per
rinforzare sia le abilità
genitoriali sia la comunicazione
tra loro.
Sezione 3 ||| Prevenzione
Punti cardine per lo sviluppo
di strategie di prevenzione
Sviluppare strategie di prevenzione significa definire con precisione il problema che deve
essere risolto, gli obiettivi da raggiungere, le attività da intraprendere, i risultati attesi. I “punti cardine” riportati di seguito vogliono essere utili per tutte le organizzazioni che intendono affrontare direttamente la questione della violenza domestica contro i bambini con disabilità o che intendono incoraggiare le istituzioni ed i servizi pubblici ad agire in tal senso.
Aspetti metodologici
• Conoscere e comprendere il problema, i suoi “perché” e “come” e le sue implicazioni
•
! CISAP è un Consorzio
Italiano che ha promosso il
progetto “Maltrattanti,
maltrattati e la rete sociale”. I
destinatari sono famiglie di
bambini di età 0-6 anni,
pediatri, operatori dei servizi
sociali, insegnanti, giudici,
polizia e volontari. All’interno
della cornice del progetto i
professionisti sono stati
formati a lavorare in rete,
condividendo informazioni ed
interventi. Un protocollo di
accordo è stato elaborato tra i
servizi locali, definendo le
modalità di rilevazione e di
intervento. Il protocollo ed un
manuale sono stati pubblicati
per diffondere i risultati del
progetto, ad uso dei
professionisti.
•
•
•
per i bambini con disabilità, rappresenta il primo gradino ed un prerequisito per scegliere la strategia di prevenzione. Dati accurati, definizioni uniformi e un punto di
vista comune e condiviso rappresentano la base per la pianificazione degli interventi.
Essendo la prevenzione un processo che mira a produrre cambiamento, i promotori
dovrebbero pianificare e monitorare il processo e gli effetti delle loro attività.
Data la complessità della questione e dell’impatto emotivo associato, tali effetti non
sono sempre semplici da prevedere. Nella discussione e nella scelta di una strategia
di prevenzione all’interno dell’organizzazione, dovrebbe essere previsto un supporto
professionale; qualora le azioni di prevenzione avessero come conseguenza maggiori
richieste di servizi, dovrebbero essere disponibili risorse sufficienti per soddisfare tali
necessità, per periodi anche di lunga durata.
La prevenzione è un processo definito da diverse fasi: rilevazione, intervento e follow
up. Alcune qualità basilari di tale processo sono: timing appropriato (la prevenzione dovrebbe essere il più precoce possibile), flessibilità (prevenzione ed intervento dovrebbero cambiare in relazione ai bisogni sia del bambino sia della famiglia),
oggettività (l’intervento dovrebbe essere basato su segnali di rischio specifici e precisi e l’efficacia deve essere monitorata e valutata), contestualizzazione (la prevenzione dovrebbe tenere in considerazione il contesto e la sua complessità in termini di
protagonisti principali e di interazioni tra loro).
Le strategie di prevenzione dovrebbero focalizzarsi sia sulla riduzione dei fattori di
rischio, sia sull’incremento dei fattori di protezione. L’efficacia può aumentare se la prevenzione comprende interventi a diversi livelli, che si dirigono verso i fattori di
rischio e di protezione provenienti da ambiti distinti.
La prevenzione (così come l’intervento) dovrebbe riferirsi ad una strategia chiara e
seguire idealmente un approccio multi-disciplinare, integrato e coordinato.
Quindi, i professionisti di diversi ambiti, quali salute, giustizia, lavoro sociale, educazione ed educazione speciale, dovrebbero lavorare in maniera integrata, condividendo gli
obiettivi attraverso una visione comune della prevenzione. È necessario che comunichino in maniera adeguata, efficace e con meticolosità tra loro (!).
Aspetti relativi ai diversi protagonisti
• Le associazioni e le altre organizzazioni private e sociali che mirano a preve-
nire la violenza domestica, lavorano prima di tutto su se stesse, anche attraverso discussioni interne, per essere consapevoli del loro ruolo durante tutte le fasi della prevenzione: nella raccolta dei segnali, nel decidere e nel dirigere la strategia di inter-
20
Sezione 3 ||| Prevenzione
!
L’ Associazione
portoghese per i disturbi dello
sviluppo e l’autismo (APPDA)
è un’organizzazione no profit
che ha promosso un progetto
di sviluppo ed incremento
delle abilità di comunicazione
e del comportamento
assertivo per famiglie ed
individui, in quanto esprimere
sentimenti e pensieri in un
modo funzionale riduce
drasticamente il rischio di
violenza ed aumenta la qualità
della vita.
•
•
•
•
•
•
•
vento. Spazi e momenti di dialogo, di condivisione delle idee, di valutazione e di modifica del progetto di prevenzione/intervento devono essere formalizzati all’interno dell’organizzazione. In questo modo, si favorirà lo sviluppo di un linguaggio comune, riducendo l’ambiguità di alcuni significati ed interpretazioni che spesso determinano la tendenza alla delega ed alla deresponsabilizzazione. Questi spazi, opportunità e contesti
di confronto dovrebbero essere allargati alle famiglie.
Affinché la prevenzione sia efficace, è prioritario venire incontro ai bisogni della famiglia
a diversi livelli (individuale/genitoriale, fisico/psicologico ecc.). Le famiglie devono essere messe nelle condizioni ideali per adempiere al loro compito fondamentale nel prosscesso di crescita del bambino. La prevenzione dovrebbe essere costruita a
partire dalle forze della famiglia, valorizzandone le risorse personali, genitoriali e
sociali. Le famiglie devono essere aiutate a scoprire e a conoscere le loro potenzialità
ed abilità, sia individuali sia genitoriali (!).
Le relazioni di cooperazione e di mutuo supporto tra genitori, agenzie e istituzioni responsabili del benessere fisico e psicologico del bambino (ad esempio, servizi sanitari, scuola, ecc.) devono essere incoraggiate, ad aumentare l’efficacia degli
interventi di prevenzione. Per essere percepito come un supporto concreto, l’intervento dovrebbe essere condotto attraverso un ascolto attivo per comprendere la situazione familiare e con il maggior consenso possibile (!). È importante essere consapevoli che solo poche istituzioni sono preparate ad affrontare il problema della violenza
domestica. Solo poche organizzazioni di assistenza e cura hanno adottato un codice
di comportamento rispetto alla prevenzione della violenza.
Rafforzare i bambini significa riconoscere i loro diritti di esplorare le proprie potenzialità, fornendo loro strategie e abilità per incrementarle. Programmi formativi ed educativi devono sviluppare e rinforzare la comunicazione, l’interazione e le abilità di azione, nei contesti familiari ed extra familiari . Ai bambini deve essere insegnato a diventare consapevoli dei propri bisogni e sentimenti (ad esempio, educazione sessuale) e
della maniera appropriata alla loro espressione. Questo faciliterà l’intervento finalizzato
al supporto fisico, sociale ed emotivo.
Le associazioni e le cooperative sociali devono incoraggiare lo sviluppo di una rete
di persone interessate al problema, assegnando a ciascuno un ruolo che meglio coincida con la propria competenza e il proprio obiettivo. Tali reti sono generalmente costituite da diverse istituzioni pubbliche che detengono una responsabilità formale per il
benessere del bambino, e da organizzazioni private no profit che rappresentano gli interessi dei bambini e delle famiglie. Gli obiettivi della rete ed il ruolo di responsabilità delle organizzazioni e delle istituzioni partecipanti deve essere chiaro a tutti.
Sia i servizi pubblici sia le organizzazioni private devono promuovere una politica di prevenzione attiva rivolta alle risorse umane, includendo le procedure di selezione, di formazione e di supervisione. Deve essere predisposta una formazione specifica per operatori e volontari che lavorano con i bambini e le famiglie, per favorire l’acquisizione ed
il consolidamento di abilità sia tecniche che relazionali, sviluppando contenuti cognitivi, organizzativi ed emotivi. Devono essere insegnati validi metodi standardizzati di
osservazione del bambino, della famiglia, del loro comportamento e dell’interazione.
Le strategie di prevenzione devono includere attività che favoriscono la consapevolezza, in modo che un ampio pubblico conosca e sia consapevole del problema e
del contesto di maltrattamento in cui il bambino con disabilità può trovarsi.
L’incremento della consapevolezza rispetto al rischio di maltrattamento a carico dei
bambini con disabilità dovrebbe essere diffuso in maniera trasversale, attraverso l’educazione, l’addestramento professionale, la pratica istituzionale.
Le organizzazioni dovrebbero usare la loro influenza politica e le opportunità di partecipazione alla definizione delle politiche per difendere i diritti dei bambini con disabilità ed ottenere strumenti appropriati quali legislazione, supporto, intervento, sia per i
familiari sia per gli altri membri della comunità.
21
!
Il Progetto Zeroseianni
di AIAS Bologna onlus per
bambini con disabilità di età
0-6 anni fornisce assistenza
domiciliare ai genitori.
Educatori ed assistenti si
occupano a domicilio della
cura dei bambini con
disabilità: il loro intervento è
deciso e coordinato in maniera
congiunta tra AIAS e le
agenzie sia sociali sia
sanitarie. Quest’ultime
mantengono un contato
costante con le famiglie, per
monitorare i loro bisogni. In
aggiunta, AIAS raccoglie le
osservazioni degli operatori e
le relazioni aggiornate rispetto
al bambino ed alla sua
famiglia. Tale monitoraggio
congiunto permette
all’intervento di essere
flessibile ed adattato ai
bisogni specifici di ciascun
bambino e della sua famiglia.
Fonti
Nota per il lettore
Il testo di questa pubblicazione non è il risultato di una semplice somma di contributi individuali, bensì di un lavoro
di scrittura condiviso. Infatti, nella realizzazione del progetto “Infanzia, disabilità e violenza”, le organizzazioni partner
sono state coinvolte attivamente nelle diverse fasi del progetto stesso: dalla ricerca della letteratura esistente alla
raccolta di storie vere di violenza contro i bambini con disabilità e di esempi di buona prassi di prevenzione.
Professionisti di diversi ambiti, rappresentanti di istituzioni, di Associazioni e Cooperative sono stati intervistati per
raccogliere la loro opinione. Inoltre, i temi e le questioni emersi durante la realizzazione del progetto sono stati
discussi all’interno delle stesse organizzazioni. I casi presentati si basano su fatti realmente accaduti, anche se nomi,
luoghi e situazioni specifiche sono stati modificati per proteggere la privacy delle persone interessate. Gli esempi
di buona prassi sono stati scelti laddove risultassero in relazione con il contenuto della pubblicazione, e non si
esclude l’esistenza di altri interventi di buona qualità.
Per ulteriori dettagli, la versione integrale della pubblicazione è disponibile sul sito: www.aiasbo.it/daphne
Per ulteriori informazioni
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http://www.who.int/violence_injury_prevention/violence/neglect/en/
http://www.unhchr.ch/html/menu2/6/crc/
http://www.ualberta.ca/~jpdasddc/abuse/
http://www.nspcc.org.uk/html/home/needadvice/protectingdisabledchildren.htm
http://www.securityworld.com/library/retirement/abuseofthedisabled.html
http://nccanch.acf.hhs.gov/pubs/prevenres/focus.cfm
http://www.aiasbo.it/daphne per il report del progetto ed altri indirizzi web.
Bibliografia
• Asociacion de Desarrollo Comunitario en Areas de Aragon and Instituto Aragones de Servicios Sociales, “El maltrato infantil", 2003.
• Bonnier C., Nassogne MC, and Evrard P. “Outcome and Prognosis of Whiplash Shaken Infant Syndrome: Late
Consequences After a Symptom-Free Interval”. Developmental Medicine and Child Neurology, 1995; 37 (11):
943-956.
• DSM IV, The Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 4th ed., American Psychiatric Association,
1994.
• Sobsey, D. “Violence and abuse in the lives of people with disabilities: The end of silent acceptance?". Baltimore,
MD: Paul H. Brookes Publishing Co., 1994.
• Sobsey D, Randall W, and Parrila RK, “Gender differences in abused children with and without disabilities”. Child
Abuse Neglect, 1997, Aug; 21 (8): 707-20.
• Sobsey D., “Exceptionality, Education, and Maltreatment”. Exceptionality, 2002; 10 (1): 29-46.
• Sullivan PM and Knutson JF, “The association Between child maltreatment and disabilities in a hospital-based
epidemiological study”. Child Abuse Neglect, 1998, Apr; 22(4): 271-288.
• Sullivan PM and Knutson JF, “Maltreatment and disabilities: a population-based epidemiological study”. Child
Abuse Neglect, 2000/a, Oct; 24 (10): 1257-73.
• Sullivan PM and Knutson JF, “The prevalence of disabilities and maltreatment among runaway children”. Child
Abuse Neglect, 2000/b, Oct; 24 (10): 1275-88.
• Tomison AM, “Exploring family violence: Links between child maltreatment and domestic violence”. Issues in child
abuse and prevention, National Child Protection, 2000; Clearinghouse Issues Paper, AIFS, No. 13.
• Nazioni Unite, Convenzione sui diritti dell’infanzia, 1989.
Testo integrale: http://www.unhchr.ch/html/menu2/6/crc/treaties/crc.htm
• Organizzazione Mondiale della Sanità.
http://www.who.int/violence_injury_prevention/violence/neglect/en/
22
1
Appendice
Fattori di rischio
•
•
•
•
•
•
Fattori dei genitori o di chi cura il bambino
• Malattia mentale, disturbi di personalità, tentativi di suicidio,
sofferenza psicologica
• Mancanza di abilità genitoriali
• Scarse abilità di coping dello stress, scarsa autostima,
scarse aspettative verso sé
• Stile genitoriale autoritario
• Maltrattamento subito durante l’infanzia
• Abuso di sostanze
• Conoscenza imprecisa delle tappe fondamentali dello sviluppo
del bambino
• Aspettative irrealistiche e non soddisfatte
• Disturbi del comportamento e di aggressività
• Adolescenza senza supporto familiare
• Elevati livelli di stress
• Isolamento sociale
• Stato economico basso
• Famiglia monoparentale
• Gravidanza indesiderata
• Cura prenatale inadeguata
• Bassa accettazione della disabilità da parte della famiglia
• Rifiuto del supporto e delle risorse offerte
Fattori di protezione
Fattori dei genitori o di chi cura il bambino
• Benessere psicologico
• Elevate abilità di coping dello stress, autostima, aspettative
verso sé
• Accettazione della disabilità, riconoscimento sia dei limiti
sia delle potenzialità del bambino
• Accurata conoscenza delle tappe evolutive principali
• Supporto sociale e familiare
• Cura materna, genitoriale e sanitaria adeguate
• Durante l’infanzia, almeno una relazione positiva con un adulto
Fattori familiari
• Cura quotidiana e domicilio sicuri ed ordinati
• Relazione stabile e di supporto con il partner
• Abilità di gestire le sfide, di adattamento ai cambiamenti
che caratterizzano il naturale ciclo di vita della famiglia
• Buone condizioni lavorative e finanziarie
• Supporto sociale
• Strategie educative positive (ad esempio feedback positivo)
Fattori familiari
•
•
•
•
•
•
•
•
Isolamento sociale
Scarso supporto materiale ed emotivo
Vicinato pericoloso
Elevata accettazione sociale della violenza
Promozione della violenza attraverso le norme culturali
Violenza dei media
Gestione familiare caotica e difficile (numerosità e densità familiare)
Cura quotidiana inadeguata e domicilio scarsamente sicuro
Conflitti coniugali, violenza fra i coniugi
Eventi di vita stressanti, stress genitoriale, stress emotivo
Disoccupazione e disagio finanziario
Basso livello culturale
Isolamento sociale
Maggiore tolleranza per la disciplina severa e l’aggressività verbale
Fattori del bambino
•
•
•
•
Abilità di interazione con gli altri e di espressione dei sentimenti
Educazione sessuale durante l’adolescenza
Integrazione nei contesti sociali (ad esempio, scuola)
Stabilità comportamentale e attentiva
Fattori del bambino
Fattori ambientali
•
•
•
•
Disabilità fisica, cognitiva, emotiva
Nascita prematura e basso peso alla nascita
Bisogni speciali, frequente ospedalizzazione
Disturbi del comportamento (ad esempio aggressività, iperattività,
disturbi del sonno ecc.) o elevati bisogni assistenziali
• Incapacità di comprendere, riferire l’abuso e sfuggirne
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Fattori ambientali
• Mancanza o scarsa applicazione di leggi di protezione del bambino
• Devalorizzazione del bambino (ad es. per disabilità, sesso, ecc.)
• Povertà e disoccupazione
23
Rispetto dei diritti dell’infanzia
Leggi di protezione dell’infanzia rinforzate
Valorizzazione dell’infanzia
Benessere ed occupazione
Rete di supporto sociale
Rete sociale multi-professionale
Vicinato sicuro
Inaccettabilità sociale della violenza
Norme culturali e promozione contro la violenza da parte dei media
2
Appendice
Indicatori
del maltrattamento infantile
Indicatori fisici del bambino:
lesioni, salute, alimentazione, aspetto
•
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•
•
•
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•
•
•
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Ferite o segni sulla pelle
Bruciature
Morsi
Fratture
Segni di trauma
Ritardo psicomotorio
Aspetto trascurato
Basso peso
Infezioni trascurate
Sporcizia
Apatia e mancanza di vitalità
Segni clinici di intossicazione
Indicatori comportamentali del bambino:
comportamenti e tratti di personalità
• Il bambino si mostra sospettoso e timoroso nell’interazione
con gli adulti
• Il bambino sembra spaventato dai genitori
• Tendenza al ritiro e all’isolamento
• Mancanza di partecipazione ad attività e gioco in gruppo
• Mancanza di reazioni differenziate verso gli sconosciuti
• Aggressività e comportamento antisociale
• Distruttività
• Ipervigilanza
• Comportamento sessuale inatteso
• Bisogno di richiamare l’attenzione
• Disturbi psicologici (anoressia, insonnia, enuresi, irritabilità,
somatizzazioni, bullismo)
• Difficoltà scolastiche
Indicatori dei genitori:
comportamento, linguaggio, atteggiamenti
• Spiegazione poco plausibile dell’accaduto
• Discrepanza tra i sintomi riferiti dalla madre, la storia clinica,
e l’evidenza clinica
• Storia familiare di maltrattamento infantile
• Relazioni familiari disfunzionali
• Ritardo dell’assistenza medica al bambino
• Assenza di preoccupazione per il bambino, il suo aspetto,
i suoi bisogni fisici ed emotivi
• Iperprotettività
• Gelosia
• Idee negative ed attitudini verso il bambino (devalorizzazione
e rifiuto)
• Disciplina severa
24
Infanzia, disabilità e violenza domestica
Il progetto Infanzia, disabilità e violenza domestica si
pone l’obiettivo di rafforzare il ruolo delle associazioni
e delle cooperative sociali che operano nel settore
della disabilità nel contrastare un fenomeno poco
visibile ma che le riguarda direttamente. Si tratta della
violenza contro bambini e ragazzi con disabilità,
in particolare in ambito familiare. L’opuscolo intende
essere uno strumento per informare sul tema, per
facilitare la discussione all’interno delle organizzazioni
e per stimolare lo sviluppo di strategie di prevenzione.
Il progetto è finanziato dalla Commissione Europea
– nell’ambito del Programma DAPHNE –
e dalle organizzazioni promotrici.
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