S.M.S. “RANZONI”
La classe 1^ C della sede di Trobaso
Presenta
“Le avventure italiane di Shira,
pecora errante”
ANNO SCOLASTICO 2008-9 Presentazione dell’opera
Shira è una pecora italiana, più precisamente siciliana, realmente
esistita e vissuta, intorno agli anni Ottanta del secolo scorso, nella
splendida isola di Vulcano. La maggior parte degli insegnanti e tutti
gli alunni della 1^ C della Scuola Media “Ranzoni” di VerbaniaTrobaso non l’hanno mai vista, se non ritratta nelle foto d’epoca, né
tanto meno conosciuta, ma essa è diventata ugualmente fonte
ispiratrice di una serie di attività didattiche curriculari, di
approfondimento e di laboratorio, ora autonome, ora invece fortemente
raccordate tra loro, di cui ha sempre rappresentato… il bandolo della
matassa!
Non a caso, infatti, da uno dei gomitoli di particolarissima lana, che
Shira ha prodotto in abbondanza nel corso della sua vita, si è svolto
virtualmente un filo lunghissimo di racconti che hanno dato
l’opportunità ai ragazzi di viaggiare per tutta l’Italia, fondendo nei testi
da loro prodotti aspetti narrativi e descrittivi, parti espositive e… perché
no? Un pizzico di autobiografia.
I giovani autori augurano a tutti quanti si dimostreranno interessati
alle loro opere una buona lettura e raccomandano un po’ di benevolenza
nei confronti di questa loro prima fatica letteraria, di certo condita con
tanto entusiasmo e altrettanta fantasia!
L’insegnante, Roberta Fattalini
Shira in Sicilia
Sull’isola di Vulcano, intorno agli anni Ottanta del secolo scorso, viveva una donna di nome Felicia. Un giorno, per caso, mentre faceva una passeggiata a piedi all’interno dell’isola, incontrò il macellaio, il quale stava caricando alcune pecore su un furgone. Felicia, osservandole, ne notò una molto particolare: la sua lana era di color nocciola e sul dorso aveva una macchia più scura; il muso e le zampe erano quasi nere. “Dove porti queste pecore?” chiese la donna al pastore proprietario ed egli rispose che stavano per essere portate al macello. Felicia allora domandò: “Posso avere quella pecora di color nocciola?” Il pastore, che non aveva niente in contrario a cederla, volle prima sapere il motivo di tanto interesse e così Felicia gli disse che le piacevano molto la pecora e la sua lana… Bisogna infatti sapere che essa era un’appassionata filatrice di lana. Poiché tuttavia non poteva tenere l’animale nella propria abitazione, andò a casa della sua amica Giuseppina, alla quale raccontò tutta la storia e a cui chiese se poteva tenere la pecora nel suo recinto. Giuseppina acconsentì e insieme decisero di chiamarla Shira. Passarono alcuni giorni e Felicia, che si recava quotidianamente da Giuseppina per aiutarla ad accudire Shira, si accorse che la pecora era triste, poiché spesso si rifiutava di mangiare. Le due donne, dopo essersi consultate, decisero che avrebbero chiamato il veterinario; ma, non appena si fece sera, accadde un fatto imprevisto: tre pecore, due maschi e una femmina, che si erano smarrite da qualche giorno sull’isola, sentirono all’improvviso un profumo di erba fresca e si diressero verso il recinto da cui proveniva. Qui videro una pecora come loro addormentata accanto ad una gran quantità di erba e ad un recipiente di acqua pulita. Shira si svegliò di soprassalto udendo rumori di zoccoli sul terreno arido e sassoso e si trovò di fronte le pecore sconosciute che la guardavano. Allora domandò: “Che cosa fate qui a quest’ora di notte?” Uno dei maschi, il più grande e il più scuro di pelo, rispose per primo. “Abbiamo fame, possiamo entrare nel tuo recinto per mangiare un po’ di erba e per bere dell’acqua fresca? Ci siamo smarrite e siamo molto stanche.” Shira acconsentì e insieme tagliarono con i denti la cordicella che teneva chiuso il cancello del recinto; poi, saziate, si addormentarono. La mattina successiva Giuseppina si alzò di buon’ora e andò subito al recinto per vedere come stesse Shira: con stupore si accorse che, oltre a lei, nel recinto c’erano altre tre pecore. Dunque telefonò immediatamente a Felicia per riferirle la novità. Felicia propose di cercare il proprietario ma, poiché dopo alcuni giorni di indagini serrate, nessuno era venuto a reclamarle, decisero di tenerle. Nei quattro anni successivi Shira partorì diversi cuccioli, tra cui uno molto speciale, perché aveva il pelo di un marrone assai scuro e la testolina bianca. La vita scorreva tranquilla, anche se da un po’ di notti Shira faceva un sogno ricorrente, cioè immaginava di viaggiare per tutta l’Italia scoprendo nuovi posti e vivendo molte avventure. Una mattina, dopo aver fatto per l’ennesima volta lo stesso sogno, decise di comunicare alle amiche pecore ed ai figli la sua intenzione di viaggiare. Dopo un attimo di grande stupore misto a tristezza, il figlio Nerone chiese alla madre perché mai avesse deciso così all’improvviso di lasciarli ed essa rispose che in verità era da parecchio tempo che ci pensava: infatti non solo avrebbe viaggiato per l’Italia, ma sarebbe arrivata fino in cima alla penisola dalla figlia di Felicia, Patrizia, la quale, aveva saputo origliando di nascosto alcune conversazioni avvenute tra Felicia e Giuseppina, stava svolgendo un lavoro con i suoi colleghi ed i suoi alunni piemontesi del corso C su di lei. Voleva leggere di persona i racconti che la riguardavano, promettendo che sarebbe tornata con tante novità da raccontare e bellissimi regali per tutti! Tuttavia Shira non sapeva come fare ad uscire dal recinto, che ogni giorno veniva chiuso con cura da Giuseppina; l’occasione però si presentò inaspettata la mattina stessa: Giuseppina si recò al recinto portando alle pecore cibo e acqua, poiché aveva percepito che erano agitate. Dopo aver aperto il cancelletto, si sentì chiamare da Felicia; ella accorse subito dimenticando di chiudere il recinto e Shira ne approfittò per fuggire, dopo un rapido e affettuoso saluto alle altre pecore. Quando Giuseppina e Felicia giunsero al recinto e si accorsero che Shira non c’era più, si preoccuparono e iniziarono a cercarla nei dintorni, chiedendo aiuto ad altri paesani. Intanto Shira si era allontanata a gran velocità verso il vulcano: essa infatti pensava che, per raggiungere il porto da cui partire, sarebbe stato indispensabile salire sul punto più alto dell’isola, cioè in cima al vulcano, per orientarsi. Shira si incamminò lungo la strada tra i cespugli che ricoprivano la base della montagna, ma, salendo, la pecora si accorse che la vegetazione scompariva lasciando il posto alla nuda terra. Dopo un’ora finalmente raggiunse la sommità: si meravigliò della grandezza della voragine, dell’odore sgradevole dello zolfo e dello strano colore bianco al centro del cratere. Quindi Shira si girò e, alzando lo sguardo, vide Milazzo in lontananza, che era la sua prima tappa; poi stupita osservò una ad una le altre isole e il mare che appariva calmo, di un azzurro intenso, scintillante ed occupato da numerose imbarcazioni. Improvvisamente un suono attirò la sua attenzione e Shira capì che proveniva dal porto: infatti un traghetto stava arrivando. La pecora subito pensò che quello era il mezzo ideale per raggiungere Milazzo e con gli occhi individuò la strada più breve. S’incamminò lungo la discesa e rapidamente raggiunse le pendici del vulcano; da qui continuò lungo la strada individuata dalla cima del cratere e ad un tratto le passò accanto un Apecar verde. Vedendolo, pensò che il mezzo era diretto al porto e che avrebbe potuto approfittarne per un passaggio: ma come fare a raggiungerlo? La fortuna però la assistette, perché una curva più avanti Shira vide l’Apecar fermo per un guasto. Subito si nascose, poi, quando il proprietario risalì, avendo risolto il problema, la pecora furba saltò sul cassone: qui trovò cibo in abbondanza e, mentre mangiava, osservava attenta e nello stesso tempo con stupore il paesaggio circostante. Dopo poco tempo raggiunsero la zona del porto e Shira udì vicino il rumore delle onde: il mezzo rallentò e poi si fermò ad uno stop per svoltare a destra in direzione dell’area mercato; a questo punto la pecora balzò giù e corse velocemente a nascondersi dietro la biglietteria. Si guardò attorno e, vedendo che non c’era nessuno che la osservava, cominciò a correre verso l’ingresso riservato ai passeggeri. Una volta salita a bordo, si diresse subito verso una scialuppa di salvataggio del ponte inferiore e ci saltò dentro. Da lì poteva osservare il mare, sicura di non essere vista da nessuno. Ad un certo punto sentì vicino alle zampe anteriori qualcosa che la infastidiva: era una macchina fotografica! Subito pensò di fotografare l’isola di Vulcano che stava lasciando chissà per quanto tempo… Mancava ormai poco a Milazzo e Shira iniziò a prepararsi per scendere; la pecora calò dalla scialuppa una fune assicurandosi che fosse ben legata e velocemente scese sul molo con la macchina fotografia appesa al collo. Si diresse verso l’Ufficio Turistico della città, che era ben indicato da un cartello e, con somma fortuna, trovò al di fuori di esso un contenitore di piantine del luogo: ne prese una e poi si allontanò furtivamente dietro un albero per leggerla. Si accorse che sul promontorio erano presenti (e tutti ben indicati) numerosi sentieri e, siccome la fame non le dava tregua, pensò di imboccarne uno. Si incamminò e dopo circa mezz’ora giunse nel punto più panoramico del famoso sentiero “C. da Manica”: qui si tuffò letteralmente nella vegetazione e mangiò in abbondanza capperi, carrubi e fichi d’india. Dopo l’abbuffata si diresse verso il castello: per arrivarci si inerpicò lungo il sentiero dissestato e, quando lo ebbe percorso tutto, arrivò in un punto in cui le mura presentavano un buco sufficientemente ampio da permetterle il passaggio. Una volta dentro, si trovò di fronte ad un vasto cortile tutto lastricato, al centro del quale stava un antico pozzo. Intorno non c’era nessuno, perché era l’ora della pausa pranzo; ad un certo punto però sentì una voce che le domandava: “Chi sei? Come hai fatto ad entrare?” Shira si voltò e vide davanti a sé un gatto tutto nero con una macchia bianca sul capo: subito si emozionò al ricordo del figlio Nerone; poi, dopo qualche attimo di commozione, rispose: “Mi chiamo Shira, sono entrata da un buco nel muro e mi piacerebbe visitare il castello…” “Nessun problema, io qui sono di casa!” replicò il gatto. Insieme incominciarono a fare il giro del castello e il gatto ne approfittò per spiegare a Shira tante cose sulle bellezze del luogo. Alla fine arrivarono davanti ad una fontanella, dove si dissetarono e si riposarono all’ombra. Poco dopo si udirono le prime voci dei turisti, quindi Shira, spaventata, salutò e ringraziò in tutta fretta l’amico gatto e si allontanò da dove era venuta. Ritornò al porto e cercò un modo per giungere a Messina: proprio in quel momento un pullman turistico era fermo sul piazzale di fronte al porto in partenza per la bella città. Poiché i vani portabagagli erano ancora aperti, Shira entrò in uno di essi senza essere vista dall’autista. Poco dopo furono chiusi entrambi ed il mezzo partì. Dopo qualche minuto la bestiola notò che il percorso si faceva tortuoso, perché i bagagli si spostavano e lei era trascinata qua e là all’interno del vano. Poi però si accorse che il pullman stava accelerando e che il percorso era più fluido e capì che erano entrati in autostrada. Cullata dal ronzio del motore la pecora si assopì, fino a quando all’improvviso una brusca frenata non la risvegliò: Shira guardò attraverso una fessura e vide i turisti scendere dal mezzo; capì che si erano fermati in un autogrill. Allora si preoccupò e decise di tenersi nascosta per un’eventuale apertura del portellone. Infatti di lì a poco esso fu sollevato e Shira scappò non appena la via di fuga fu libera. Si allontanò verso un’area molto ampia dietro la stazione di servizio e da qui poté osservare la catena montuosa dei Monti Peloritani con la sua lunga serie di picchi, crinali e burroni; notò inoltre che il paesaggio era vario, essendo le pendici di questi rilievi ricoperte in parte da nuclei di bosco naturale di roverella e di leccio, in parte invece da macchia mediterranea con predominanza di erica e ginestra con il suo caratteristico colore giallo. Pensò che questo era sicuramente un ambiente adatto all’allevamento di pecore come lei e pertanto le sarebbe piaciuto verificarlo di persona, ma un colpo improvviso di clacson la riportò alla realtà e Shira corse di nuovo al pullman. Il viaggio si concluse dopo un’ora: la pecora scese dal mezzo e si accorse di essere arrivata a Messina. Subito si diresse verso il centro storico e arrivò in piazza del Duomo: qui poté osservare sulla sinistra il Monumento alla Madonna Immacolata, dall’altra parte una fontana e di fronte il Duomo, di cui notò lo stile variegato; la facciata infatti era decorata con fasce multicolori ed abbellita con marmi, decorazioni rinascimentali, immagini barocche, statue e mosaici. La parte superiore invece era in pietra e i tre portali d’ingresso erano gotici. All’interno si meravigliò nel vedere ben ventiquattro colonne rivestite di marmo che dividevano le navate. Decise di salire sulla cuspide del campanile, che conteneva un meraviglioso orologio animato: su ogni lato della torre, un quadrante luminoso indicava le ore e negli altri lati c’erano figure ed automi che ogni giorno a mezzogiorno si mettevano in movimento. Gli altri quadranti indicavano il Calendario ed il Sistema Planetario. Dall’alto poté anche notare la pianta dodecagonale della fontana di Orione, sviluppata su tre gradini in marmo e chiusa da cancelli in ferro. A Shira venne un’idea improvvisa: scese rapidamente dal campanile e si avvicinò alla fontana, di cui sfruttò la fresca acqua per rinfrescarsi il corpo e per bere. Si accorse anche che la vasca superiore era decorata con versi in latino, dei quali però non comprese il significato. Ad un tratto vide che si era fatto tardi e decise di correre al porto, dove alcuni traghetti erano in partenza, non senza aver notato all’ingresso del porto stesso la stele votiva recante alla base un’enorme scritta in latino di buon augurio. Essa recitava così: ”Vos et Ipsam civitatem benedicimus”, cioè “Benedico voi e la vostra città”. Il traghetto su cui si trovava Shira incominciò ad allontanarsi dalla città in direzione dello stretto e della Calabria, regione dalla quale sarebbero iniziate nuove ed emozionanti avventure! Racconto di Mirko, Davide, Stefano, Riccardo M., Giada O., Giulia, Maroua,
Christian, Valentina, Ivana.
Shira in Sicilia
Shira era una pecora adulta e mamma di molti cuccioli. Aveva un pelo diverso dalle altre pecore: infatti era di color nocciola con striature scure; le sue zampe, assai sottili, così come il suo muso, erano di colore marrone scuro, lo stesso di suo figlio Nerone, che però aveva la particolarità di avere la sommità del capo completamente bianca e, per dire il vero, anche la codina. Shira abitava a Vulcano, una delle sette isole di origine vulcanica dell’arcipelago delle Eolie, situato nel Mar Tirreno. Sull’isola viveva anche una donna famosa per la sua passione per la filatura della lana: essa si chiamava Felicia. Un giorno, mentre si stava recando al mercato per acquistare del pesce, vide poco lontano un pastore del luogo che stava portando un piccolo gregge di pecore verso un furgone. Accanto ad esso c’era un macellaio che aspettava di caricarle per traghettarle in Sicilia. Felicia si accorse che le pecore erano molto spaventate e che per questo stavano strette strette una accanto all’altra…tutte tranne una, che sembrava pensierosa e si teneva in disparte. La donna rimase molto colpita dall’atteggiamento di quella pecora e notò che aveva anche un pelo assai particolare e decise di salvarla; in verità le sarebbe piaciuto salvarle tutte, ma per problemi di spazio non era possibile. Felicia si rivolse al pastore, chiedendogli come avrebbe potuto ottenere la pecora color nocciola ed egli rispose che poteva pagare la somma stabilita oppure sfidare a carte il macellaio. La donna tentò la sorte e vinse e così portò via l’animale. Erano i primi anni Ottanta del secolo scorso… Mentre tornava a casa lungo il sentiero sterrato, Felicia vide che la pecora cercava di fermarsi, forse perché era affamata ed assetata. Durante una sosta si rese conto di non avere lo spazio per tenere la bestiola, allora pensò alla sua amica Giuseppina, che era molto disponibile. Ella era una donna di mezza età, di altezza media a dai capelli neri e corti; i suoi occhi luminosi e le sue labbra sottili sempre sorridenti trasmettevano serenità e gioia. Felicia, dopo aver lasciato che la pecora si saziasse, si diresse verso la casa dell’amica: la trovò seduta sotto la pianta di fico intenta a sfogliare una rivista. Improvvisamente si udì un belato, subito Giuseppina si ricordò di due pecore a cui si era molto affezionata tra le tante che aveva allevato, Chira e Sciara. Giuseppina si alzò e vide arrivare Felicia con una pecora dal pelo particolare. “Giuseppina, ho appena vinto a carte questa pecora salvandola dal macellaio: potresti prendertene cura, così fileremo insieme la sua bella lana?” L’amica acconsentì e la portò nel vecchio recinto dove stavano un tempo le sue pecore. “Come la chiameremo?” domandò Felicia. Giuseppina le rispose: “Potremmo darle il nome di una delle mie due pecore preferite: Chira o Sciara.” “E perché invece, dato che le amavi tanto entrambe, non inventiamo un nome che le ricordi tutte e due?” “Ah, che bella idea! Perché non chiamarla Schiara, ad esempio?” propose Giuseppina. “Mmh…” Felicia scosse la testa “Perché invece non le diamo un nome dal sapore orientale?... Shira!!!” “Carino! Mi piace.” rispose l’altra. Da quel momento Shira visse giorni sereni e tranquilli, dando molta lana alle due donne e generando diversi figli, tra cui in particolare Fiocco di Neve e Nerone. Le due pecore, che erano molto curiose, una volta diventate adulte decisero di intraprendere un viaggio alla ricerca di nuove terre e così partirono all’alba di un giorno autunnale: Shira, seppure ansiosa, fu felice di lasciarle andare, sapendo che avrebbero imparato cose nuove sulla vita. Tuttavia, dopo alcuni mesi, Shira, non avendo più loro notizie, decise di partire alla ricerca dei figli, che le mancavano molto. Una notte, approfittando del sonno profondo di Giuseppina e Felicia e del fatto che aveva notato la debolezza di un legno della staccionata, lo urtò con le zampe posteriori, creandosi un varco e fuggì via. Si diresse verso una zona non distante dal porto che conosceva: qui trovò una grande pianta di buganvillea viola dal profumo inebriante e alcuni oleandri; poco più in là vide anche un boschetto di canne di bambù attorniato da sterpaglia. Aiutandosi con i denti e le zampe e sfruttando il peso del corpo, riuscì ad abbattere alcune canne costruendosi un giaciglio che ammorbidì con erbe e foglie della sterpaglia. Avvolta dal profumo della buganvillea e dal pensiero dei figli, si addormentò come un bambino. La mattina seguente, attirata dal profumo del mare trasportato dal vento e incantata da un’invitante pianta di fichi d’india, si incamminò avvicinandosi ad essa e scegliendo i più maturi per colazione. Dopo essersi saziata, bevve da una fontana lì vicino. Dopodiché si diresse verso la spiaggia passando per un sentiero dove sapeva che la vegetazione era rigogliosa e varia: infatti vi trovò agavi e abbondante macchia mediterranea, tra cui erbe aromatiche come rosmarino e timo. Alla fine del tragitto finalmente arrivò in spiaggia: “Ahi! La sabbia nera scotta!” disse Shira saltellando a…zampe levate verso il mare di un azzurro cristallino. Dopo un bel bagno rinfrescante, approfittò di una doccia turistica per togliersi il sale di dosso e qui trovò degli occhiali da sole firmati molto eleganti e li indossò. Quindi si sdraiò su un lettino per asciugarsi e notò alle due estremità della spiaggia degli scogli, che da una parte erano ricoperti di folta macchia mediterranea, mentre dall’altra erano di nuda roccia. All’improvviso udì la sirena del traghetto: di scatto si alzò in piedi e corse in tutta fretta al porto attraverso il sentiero e una scorciatoia che conosceva. Arrivata sul piazzale, vide che il traghetto era in partenza e che il portellone si stava chiudendo, quindi con un balzo fulmineo si introdusse nel ponte auto. Dopo aver tirato il fiato, notò un furgone bianco con impressa sulla fiancata una scritta: “Liborio abbigliamento­Milazzo” e allora decise di travestirsi per confondersi con gli altri passeggeri. Rovistando trovò dei vestiti e degli accessori adatti alle sue dimensioni: un abito rosso, un paio di scarpe gialle ed un cappellino di paglia. Una volta indossato tutto quanto, salì al piano superiore e si recò al bar, dove si fece servire una granita alla fragola perché aveva molta sete. Dopo essersi rinfrescata uscì sul ponte ad ammirare per l’ultima volta la sua Vulcano e, per non piangere, si girò e vide Milazzo all’orizzonte che si avvicinava sempre più. Un’ora dopo il traghetto attraccò al porto e Shira, scendendo, notò che la città di Milazzo era formata da due parti, di cui una moderna, mentre l’altra, posta sull’altura a Nord, antica: aguzzando la vista scorse alla sommità di essa un imponente castello medievale. Le sarebbe piaciuto molto visitarlo subito, ma un certo languorino vinse la sua curiosità; guardandosi attorno si sentì smarrita, ma poi vide un bel cane dalmata seduto davanti ad un ristorante e gli chiese se il suo padrone fosse per caso il proprietario del locale. Il cane rispose di sì, ma anche che non poteva procurarle del cibo; quindi le indicò dei cartelli su cui erano scritti alcuni sentieri. Shira ringraziò e si diresse verso il luogo segnalato: poiché c’era l’imbarazzo della scelta, la pecora per istinto optò per il sentiero antichissimo “C. da Manica”, un magnifico percorso naturalistico che si snodava per molti chilometri sul versante Ovest di Capo Milazzo. Qui trovò cibo in abbondanza con cui si rimpinzò lo stomaco: iniziò con dei carrubi e dei saporiti capperi, per terminare poi con dei dolcissimi fichi d’india. Mentre gustava queste delizie, rimase affascinata dalla vista del mare che appariva sconfinato e di un azzurro cristallino; all’improvviso un tuono la scosse e Shira, alzando gli occhi, si accorse che una massa di nubi nere si era addensata sul promontorio e che già cadevano le prime gocce di pioggia. Subito si mise a correre verso il castello e, quando fu giunta, si riparò sotto la volta del portone principale; da qui poté osservare l’ampio cortile interno abbellito da aiuole e vasiere colme di fiori. In lontananza scorse un folto gruppo di turisti accompagnati da una guida: Shira si accodò e così poté visitare anche l’interno del castello. Completato il giro, la pecora ripercorse la stradina che conduceva al porto e da qui si diresse verso il quartiere Vaccarella, che era famosa zona di pescatori. Quando arrivò, si accorse che era troppo presto, perché i pescatori sarebbero arrivati solo in tarda serata: allora decise di fare una passeggiata lungo l’isola pedonale della Marina Garibaldi alla ricerca di un albergo dove trascorrere la notte. Lo trovò: si trattava dell’Hotel “Lido Cirucco”, uno dei migliori di Milazzo. Girò sul retro e, approfittando di una porta di servizio aperta, vi si intrufolò. Da qui muovendosi furtivamente arrivò nella hall e corse dietro il bancone; dopo che ebbe preso la chiave con il suo numero fortunato, il trecentosessanta, salì velocemente in camera e scoprì di essere davvero fortunata, perché era libera. Dopo una bella doccia ristoratrice, si adagiò sul letto morbido e sui soffici cuscini: fece appena in tempo ad ammirare il tramonto sul mare che cadde in un sonno profondo. Si svegliò a notte fonda con uno strano languorino allo stomaco e, aprendo con cautela la porta della camera, sgattaiolò in cucina, dove trovò deliziosi piatti tipici siciliani: insalata di polpo e cozze gratinate, pasta con le sarde e spaghetti alla cappuliata, grigliata mista di carne, provola dei Nebrodi e infine un’ottima crostata d’arancia. Era talmente sazia che si addormentò direttamente in cucina! Alcune ore dopo fu risvegliata da un rumore improvviso: un addetto alle pulizie si stava avvicinando con un carrello; subito Shira raccolse in un fagotto un piatto di cavatelli alla siciliana, una abbondante porzione di caponata, quattro involtini di pescespada ed una manciata di dolcetti di mandorla e si diede alla fuga passando per la finestra. Nel parcheggio riservato dell’albergo trovò una moto con le chiavi inserite: aprì il bauletto posteriore e, nel prendere il casco, notò che c’erano dei bigliettini colorati ed una penna; scrisse un breve messaggio che diceva così: “Mi scuso in anticipo per averle preso la moto di cui ho bisogno. La ritroverà a Messina in piazza Duomo.” Infilato il casco, partì a tutto gas dirigendosi verso l’autostrada che conduceva allo stretto: durante il viaggio Shira notò da lontano i monti Peloritani con la loro varietà di paesaggi; vide infatti le gialle ginestre, le pinete di faggio, sughero, quercia e castagno, ma anche le greggi di pecore che brucavano sulle loro pendici… Dopo un’ora, seguendo con attenzione i cartelli stradali, giunse in piazza Duomo e, come promesso, parcheggiò la moto allontanandosi a piedi, non prima di essersi camuffata con gli abiti già precedentemente usati. Vedendo che un gruppo di turisti stazionava di fronte ad un’antica fontana, si aggregò a loro ascoltando le interessanti informazioni fornite dalla guida. “…Questa fontana, risalente al Millecinquecento e dalla singolare pianta do‐
decagonale, fu realizzata da Giovanni Angelo Montorsoli, discepolo e collaboratore di Michelangelo. E’ costruita con pregiati marmi che si sviluppano su tre gradini: la grande vasca è sostenuta da una serie di cariatidi e telamoni a mezza figura, mentre sui quattro lati rientranti sono sdraiate statue raffiguranti i fiumi Tevere, Nilo, Ebro e Camaro, che versano acqua nelle vasche sottostanti da brocche capovolte. La fontana, detta di Orione, attribuisce al mitico cacciatore le origini della città. Ora, però, spostiamoci a visitare il Duomo!” Poiché faceva molto caldo, Shira, per rinfrescarsi, lasciò che il gruppo si allontanasse per poi oltrepassare furtivamente la cancellata in ferro e raggiungere l’acqua fresca con cui dissetarsi. Successivamente si avviò verso il Duomo, di cui ammirò l’ampia facciata: si accorse che lo stile era misto, in quanto le decorazioni rinascimentali convivevano con immagini barocche e copie di statue, marmi e mosaici degli originali perduti. Decise di entrare dalla porta principale per salire sul campanile; una volta giunta sulla sua cuspide ammirò tutta la città, soffermandosi in particolare sulla zona del porto. Di tutta fretta scese e si recò appunto al porto: seguì il cartello che indicava l’area di partenza dei traghetti e arrivò giusto in tempo per salire su uno che stava per lasciare la città. Dopo pochi minuti infatti la nave si mosse e Shira vide la città allontanarsi lentamente… Allora, commossa, si voltò verso la costa calabrese, da cui sarebbero iniziate nuove avventure! Racconto di Irina, Raffaele, Sharon, Ivan, Giada G., Lucrezia, Vittorio, Roberta,
Riccardo Z.
Shira in Calabria
Shira sbarcò a Bagnara‐Calabria e si diresse verso Nord‐Ovest per cercare l’ hotel President: trovò una macchina aperta con le chiavi inserite e partì verso l’hotel di cui aveva sentito parlare. Travestita, prese le chiavi della camera 1792. Era ora di pranzo e, una volta assegnatole il tavolo, iniziò con il “Nduja”: era un salame al peperoncino, secondo quello che c’era scritto; poi continuò con un piatto di pasta al peperoncino, per terminare con del ghiro; ma non poteva mancare una granita alla arancia! Passata la notte, si diresse verso Reggio Calabria; prendendo la cartina dell’albergo, visitò dapprima il lungomare, dove vide Il Monumento al Marinaio ed un anziano seduto su una panchina le raccontò che era stato costruito in pietra reggina. (Il lungomare di Reggio Calabria) Successivamente imboccò l’autostrada, da dove si poteva vedere l’Aspromonte e si diresse a Catanzaro e in lontananza vide delle pecore. Fuori dall’ autostrada trovò un negozio di souvenir e prese un libro intitolato: ”Il tempo e il clima di Calabria” e c’era scritto nella prima pagina: “Il clima calabrese è generalmente di tipo mediterraneo. Il litorale Ionico è più secco e arido di quello tirrenico che si presenta con un clima più mite. Le temperature in genere lungo le coste non scendono mai sotto i 10 gradi e non salgono mai sopra i 40°, con punte di 42‐44° nei mesi estivi. Lungo gli Appennini, dal Pollino, passando dalla Sila fino all'Aspromonte, il clima è quasi di tipo alpino. Gli inverni sono freddi, rigidi e nevosi, le estati fresche con qualche temporale pomeridiano.” E visto che clima, bioma e vegetazione sono legati, c’era scritto anche: ”Le non uguali condizioni climatiche della regione favoriscono anche una diversa vegetazione da zona a zona. Dal livello del mare fino ai 600 metri (piano mediterraneo) predomina la macchia mediterranea con ulivi, lecci e altre piante tipiche del clima mediterraneo. Dai 700 metri fino ai 1000 metri (piano della bassa montagna appenninica), invece, cresce una vegetazione di transizione: castagni e alte querce hanno la loro dominanza. Dai 1000 metri in su (piano montano) dominano le specie tipiche del clima di montagna, composte da faggio, abete bianco e da pino lirico. Sulle Serre calabresi il piano montano inizia, in alcuni punti, anche a 800 metri.” Appoggiato il libro, salì in macchina e partendo aprì la carta, notando che c’era una lista dei monumenti nazionali: ™ Castello Aragonese di Reggio Calabria ™ Cappella Barocca del SS Sacramento e Basilica Cattedrale Metropolitana di Maria Santissima ™
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Assunta in Cielo (Duomo di Reggio Calabria) Castello di Palizzi Villa Comunale di Palmi Cattedrale dell'Assunta di Gerace Fontana degli Specchi di Villa Caristo di Stignano La Cattolica (Katholiké) di Stilo Altare maggiore nella chiesa di San Giovanni Battista di Soveria Mannelli Resti dell'Abbazia di Santa Maria di Corazzo a Castagna Chiesa di San Bernardino da Siena ad Amantea Casa natale di Michele Bianchi a Belmonte Calabro Castello aragonese di Belvedere Marittimo Chiesa matrice dell'Annunziata, chiesa di Sant'Antonio abate di San Fili Castello di Oriolo Ponte romano di Scigliano Tempio di Era Lacinia a Crotone Castello angioino‐aragonese, chiesa di San Giorgio di Pizzo Calabro Villa Comunale di Cittanova Il vento faceva scorrere le pagine e così trovò scritto successivamente: “Reggio di Calabria (Rrìggiu in dialetto reggino, Righi in greco di Calabria, Ρηγιον, Reghion in Greco), comunemente detta Reggio Calabria o Reggio in tutto il Meridione d'Italia, è la prima città calabrese per antichità, estensione geografica e numero d'abitanti. Dal 29 Aprile 2009 è divenuta la decima città metropolitana dello Stato italiano. È capoluogo della provincia omonima ed è sede del Consiglio regionale della Calabria. Con 185.602 abitanti è il diciottesimo comune più popoloso d'Italia. L'area metropolitana di Reggio conta 370.429 abitanti e comprende numerosi comuni tra la Piana di Gioia Tauro e Melito di Porto Salvo fin sull'Aspromonte; infatti Reggio è la sesta città di rango metropolitano dell'Italia Meridionale (dopo Napoli, Palermo, Catania, Bari, Messina) e su di essa e sulla dirimpettaia Messina gravita la vasta Regione Calabro‐Sicula dello Stretto. Con oltre 10 milioni di passeggeri trasportati all'anno, il porto di Reggio è il secondo in Italia nel settore, mentre con un flusso di 2.500.000 persone l'anno la stazione ferroviaria centrale è il maggiore scalo della Calabria per numero di passeggeri. Reggio viene tradizionalmente chiamata "Città della Fata Morgana" perché qui si manifesta il raro fenomeno ottico ‐ mitologico della Fata Morgana, durante il quale la costa siciliana sembra distare solo pochi metri rendendo possibile distinguere molto bene case, auto e persone. Reggio è nota come la "Città dei Bronzi" per i famosi Bronzi di Riace, simbolo delle proprie origini magno greche, ed è considerata la "Città del Bergamotto", agrume che cresce solo nell'entroterra reggino.” Tornando interessata all’indice, Shira trovò le tradizioni di Calabria riassunte in una tabella:
Le tradizioni e il folklore delle popolazioni della Calabria testimoniano un grande passato.
Infatti negli "usi e costumi calabresi" spiccano estremi storici e culturali di epoca anche molto remota, fastosi sono i costumi femminili nei centri di lingua albanese e grecanica, austeri ed essenziali quelli dei paesi montani. I più significativi e originali esempi di tradizioni popolari calabresi si registrano nei paesi più interni dove maggiormente lenta è stata la penetrazione di culture esterne e dominanti. Molte tradizioni sono legate alla religione (Natale, Pasqua, feste patronali ecc.), che per ogni evento vengono riproposte da secoli: si tratta di riti, manifestazioni e rappresentazioni di grande richiamo popolare. A proposito della Pasqua in numerosi comuni vengono eseguite le sacre rappresentazioni che coinvolgono l'intero paese; da citare la Pasqua di Nocera Tirinese, in provincia di Catanzaro, dove ancora oggi, il Venerdì Santo, si può assistere alla rappresentazione dei "flagellanti" o "vattienti", i quali si martoriano le carni (gambe e braccia) fino a far scorrere il loro sangue. Per quanto attiene le feste religiose, in molti paesi sulla costa calabra le processioni religiose (Immacolata, Annunziata) si svolgono in mare con le barche. Anche il carnevale in Calabria riveste una grande partecipazione popolare, con vere e proprie recite e sfilate di antichi costumi e usanze collegate alla tradizione pagana dei Greci e dei Romani. Degne di nota sono le manifestazioni folkloristiche nei paesi di origine albanese, dove le rappresentazioni ripercorrono l'esodo che queste popolazioni hanno intrapreso secoli addietro e per l'eroe nazionale Scanderberg. A Spezzano Albanese, viva è ancora la tradizione appunto albanese, nel dialetto, negli usi e costumi, il tutto molto evidente soprattutto durante la Pasqua ed i matrimoni accompagnati da danze e canti popolari. Un'altra piccola minoranza linguistica, con tradizioni e costumi propri, si trova a Guardia Piemontese, fondato da gruppi di esuli piemontesi, venuti dalle valli Pellice e Angrogna, di religione valdese, intorno al 1200. Di notevole interesse è l'area grecanica della Calabria ed è rappresentata dai comuni di Roccaforte del Greco, Condofuri, Roghudi e soprattutto Bova nel versante meridionale dell'Aspromonte; in queste zone si parla ancora il dialetto grecanico, interessanti rimangono le tradizioni e i costumi. Poi ci sono le credenze popolari come quella di credere al malocchio e che la caduta dell'olio per terra sia un segno negativo. Numerose sono le sagre dei prodotti tipici locali, tra i quali quella della 'Nduja di Spilinga, della Cipolla Rossa di Tropea, dei funghi, del vino, della castagne ecc. Si tratta comunque, sempre, di manifestazioni corali i cui sentimenti, le tradizioni e le radici culturali sono di tutto il popolo calabrese. Finita l’autostrada si ritrovò a Catanzaro; alle sue porte trovò una delle tipiche mappe turistiche con scritto: “Catanzaro (in dialetto locale Catanzaru, Κατανγτζα ριον, Katantza'rion in Greco), detta anche Città dei tre colli, è una città italiana di 93.471 abitanti capoluogo della regione Calabria e dell'omonima provincia. Si colloca al centro di un'area densamente popolata, con un'intensa mobilità urbana, comprendente alcuni comuni costieri, da Sellia Marina a Soverato e alcuni comuni della Sila per un totale di 156.196 abitanti. Va consolidandosi la formazione di un'area metropolitana, già deliberata dalla Regione Calabria con la città di Lamezia Terme, che comprenderà 10 comuni e porterà alla creazione di un'area integrata che si estenderà dalla costa ionica a quella tirrenica, coinvolgendo oltre 200.000 abitanti. Storico capoluogo dell'antica provincia di Calabria Ultra per oltre 200 anni e sede dell'Università degli Studi "Magna Grecia", è il secondo ateneo calabrese per numero di iscritti. Nei mesi estivi il litorale ionico da Catanzaro a Soverato è soggetto a importanti flussi turistici, soprattutto giovanili, per la presenza di numerose strutture ricettizie localizzate in particolar modo nei quartieri costieri della città e nelle località di Copanello e Soverato. Catanzaro è detta anche città delle tre V, riferite a tre caratteristiche distintive della città, ovvero: • V di San Vitaliano, santo patrono; • V di Velluto in quanto importante centro serico fin dai tempi dei Bizantini; • V di Vento in quanto costantemente battuta da forti brezze provenienti dal Mar Ionio e dalla Sila. "V V V" era la sigla con cui venivano identificati, sui mercati nazionali ed esteri, i velluti, i damaschi ed i broccati provenienti dalla città”. Shira poté osservare esposti in una vetrina costumi calabresi molto belli, che erano anche morbidi. Ma, già che c’era, perché non mangiare? Un bel gelato all’arancia non fa mai male! Inoltre, una bella passeggiata di qua, un acquisto di là e via col vento in superstrada! Era appena partita, quando incominciò a far buio e per questo cercò un riparo per la notte, ma senza risultato; in compenso trovò un ipod con cui rimase tutta la notte. Il giorno dopo si recò a Castrovillari, per poi andare a Lauria, dalla quale località sarebbe andata probabilmente in Campania. Prima di abbandonare la bella terra di Calabria, però, rilesse un passo de “Quando fu il giorno della Calabria” di Leonia Repaci e, rimaneggiandolo di… zampa propria, volle lasciare testimonianza di tutti i luoghi che aveva visitato ispirata dall’entusiasta autrice… “Caro lettore, devi sapere che quando io, Shira, dal mar Jonio sbarcai a Reggio Calabria, il profumo del bergamotto mi portò alla mente quel racconto ascoltato quand’ero ancora agnellino: …Dio si trovò in pugno quindicimila chilometri quadrati di argilla verde con riflessi viola. Pensò che con quella creta si potesse modellare un paese di due milioni di abitanti al massimo. Era teso in un maschio vigore creativo il Signore e promise a se stesso di fare un capolavoro. Si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi... E proprio da Reggio, terra del bergamotto, iniziai il mio viaggio alla scoperta della Calabria, dal maestoso Tempio di Artemide Facellide, seguendo la strada tracciata dal racconto. Ammirai la Sila con i suoi caratteristici pini che si innalzano verso il cielo, l’Aspromonte con le distese di ulivi. Affacciata sullo stretto che guarda Messina, vidi pescare il pesce spada, a Scilla sognai le leggende delle sirene, a Chianalea le palafitte attrassero la mia attenzione. A Bagnara i pergolati mi fecero un po’ di ombra, a Palmi il fico, con i suoi frutti dolcissimi, mi rifocillò e alla Pietrosa vidi volare la rondine marina. Gioia è il luogo in cui assaggiai l’olio con il suo sapore unico, a Cirò invece gustai il rosso vino dal caldo gusto; a Rosarno l’arancio profuma l’aria ed io lo aspirai a piene narici, mentre a Nicotera il fico d’India protetto dalle spine fece resistenza ai denti di me, pecora affamata. A Pizzo guardai i pescatori di tonno con le loro barche caratteristiche, a Vibo i fiori dai colori unici, a Tiriolo le donne che indossano gli abiti tradizionali, al Mesima la quercia secolare, all’ombra della quale anziani si riposano, orgoglio del paese! Al Busento la tomba del re barbaro nella sua maestosità incantò i miei occhi, all’Amendolea la sera è allietata dal canto delle cicale, ma non mancai di visitare a Cosenza l’Accademia, a Tropea l’Arcivescovado. A San Giovanni in Fiore osservai le tessitrici usare il telaio a mano, a Catanzaro il damasco, ad Antonimina provai il fango medicante che allevia la stanchezza e ad Agnana la lignite attirò la mia attenzione. A Bivongi osservai stupita i credenti che raccolgono in piccoli contenitori le acque sante; a Pazzano la pirite apparve dalla roccia, a Galatro il solfato. A Villa San Giovanni ci sono la seta greggia e i tessuti che ricordano gli abiti delle dame di corte, a Belmonte il marmo verde mi fece meditare sulla potenza della natura. La Calabria tuttavia è anche terra di grandi menti ed io immaginai i loro volti mentre scorrono i nomi: Pitagora, Orfeo, Democede, Almeone, Aristeo, Filolao videro i natali a Crotone; Zaleuco a Locri, Ibico, Clearco a Reggio, Cassiodoro a Squillace, San Nilo a Rossano, Gioacchino da Fiore a Celico, Fra’ Barlaam a Seminara, San Francesco a Paola, Telesio e il Parrasio a Cosenza, il Gravina a Roggiano, Campanella a Stilo, Mattia Preti a Taverna, Galluppi a Tropea, Gemelli‐Careri a Taurianova, Guerrisi a Cittanova, Manfroce e Cilèa a Palmi, Alvaro a San Luca, Calogero a Melicuccà, Rito a Dinami… Il viaggio proseguì a San Marco Argentano, dove la Torre Normanna si intaglia nel cielo azzurro; a Locri potei ammirare i Pinakes e il Santuario di Persefone, a Santa Severina il Battistero a Rotonda, a Squillace il Tempio della Roccelletta, a Cosenza la Cattedrale maestosa. Anche Gerace mostra con orgoglio la sua Cattedrale, a Crotone il Tempio di Hera Lacinia porta la mente indietro nel tempo, a Mileto c'è la Basilica della Trinità con i suoi dipinti e gli affreschi invidiati da tutto il mondo, a Santa Eufemia Lametia l’Abbaziale, a Tropea il Duomo, a San Giovanni in Fiore la Badia Florense, a Vibo la Chiesa di San Michele; a Nicotera il Castello evoca i fasti di un tempo, così come a Reggio il Tempio di Artemide Facellide, a Spezzano Albanese la necropoli della prima età del ferro impressiona. Il viaggio volgeva ormai al termine e le parole conclusive del racconto riecheggiavano nella mia memoria: …Poi Dio distribuì i mesi e le stagioni alla Calabria. Per l’inverno concesse il sole, per la primavera il sole, per l’estate il sole, per l’autunno il sole. A gennaio diede la castagna, a febbraio la pignolata, a marzo la ricotta, ad aprile la focaccia con l’uovo, a maggio il pescespada, a giugno la ciliegia, a luglio il fico, ad agosto lo zibibbo, a settembre il fico d’India, a ottobre la mostarda, a novembre la noce, a dicembre l’arancia. Volle che le madri fossero tenere, le mogli coraggiose, le figlie contegnose, i figli immaginosi, gli uomini autorevoli, i vecchi rispettati, i mendicanti protetti, gli infelici aiutati, le persone fiere, leali, socievoli e ospitali, le bestie amate. Volle il mare sempre viola, la rosa sbocciante a dicembre, il cielo terso, le campagne fertili, le messi pingui, l’acqua abbondante, il clima mite, il profumo delle erbe inebriante. Operate tutte queste cose nel presente e nel futuro il Signore fu preso da una dolce sonnolenza, in cui entrava il compiacimento del creatore verso il capolavoro raggiunto. Del breve sonno divino approfittò il diavolo per assegnare alla Calabria le calamità: le dominazioni, il terremoto, la malaria, il latifondo, le fiumare, le alluvioni, la peronospora, la siccità, la mosca olearia, l’analfabetismo, il punto d’onore, la gelosia, l’Onorata Società, la vendetta, l’omertà, la violenza, la falsa testimonianza, la miseria, l’emigrazione. Dopo le calamità, le necessità: la casa, la scuola, la strada, l’acqua, la luce, l’ospedale, il cimitero. Ad esse aggiunse il bisogno della giustizia, il bisogno della libertà, il bisogno della grandezza, il bisogno del nuovo, il bisogno del meglio. E, a questo punto, il diavolo si ritenne soddisfatto del suo lavoro, toccò a lui prender sonno mentre si svegliava il Signore. Quando, aperti gli occhi, poté abbracciare in tutta la sua vastità la rovina recata alla creatura prediletta, Dio scaraventò con un gesto di collera il Maligno nei profondi abissi del cielo. Poi, lentamente rasserenandosi, disse: ‐ Questi mali e questi bisogni sono ormai scatenati e debbono seguire la loro parabola. Ma essi non impediranno alla Calabria di essere come io l’ho voluta. La sua felicità sarà raggiunta con più sudore, ecco tutto. Una notte che già contiene l’albore del giorno.” Riccardo Zito
Shira parte con un traghetto da Milazzo, ma non sa dove andrà; ha solo deciso di cambiare zona e di incontrare nuova gente… Salì sulla prima nave in partenza e si rifugiò sotto delle sedie per ripararsi dal caldo sole… stava talmente bene che si addormentò. Quando riaprì gli occhi, il traghetto era già attraccato in un porto bellissimo. Chiese ad un signore, che legava le funi al porto, in quale città si trovassero e lui rispose che si trovavano a MARATEA. Il mare era bellissimo, il clima caldo
e Shira decise di scendere e fermarsi qui. Il paese era veramente bello e per questo pieno di turisti. Siccome Shira non stava bene nella confusione, decise di prendere un treno per andare in un posto più tranquillo. Non avendo soldi, si nascose sotto una coperta che trovò abbandonata sul sedile e, ancora una volta, si addormentò. Arrivato al capolinea, il treno si svuotò; allora anche Shira scese tenendo con sé la coperta perché, non sapendo dove stava andando, le poteva essere utile per la notte. Si incamminò e si trovò in una città antica fatta di abitazioni scavate nel tufo, collegate tra loro da ripide e tortuose stradine intrecciate come un labirinto. Le case erano tutte fatte di sassi, vecchie e disabitate; entrò in una di queste per vedere come fossero fatte all’interno, anche perché non aveva ancora un posto per dormire. Trovò un angolo con un po’ di paglia e le sembrò subito adatto per trasformarlo in un letto … la sua coperta sarebbe stata perfetta per passare la notte al caldo. Sistemando il suo nuovo letto però, si accorse che sotto c’era qualcosa, spostò la paglia e trovò uno strano strumento che non aveva mai visto prima in vita sua… Lo prese in mano e provò a suonarlo… ne uscì un suono dolce e bellissimo che le ricordava le cornamuse. Le piacque molto e si appassionò talmente tanto che passò intere giornate a suonarlo, così imparò a farlo benissimo. Tutti gli abitanti delle frazioni vicine sentivano questa bellissima musica provenire dal paese dei Sassi e, incuriositi, andarono a vedere chi fosse l’artista. Quando videro che si trattava di una pecora, rimasero molto stupiti e sparsero la voce prima in tutta la regione, poi in Italia e perfino all’estero. Arrivarono moltissimi turisti da tutto il mondo per vedere i Sassi di Matera, ma soprattutto per ascoltare la “SURDULINA” suonata dalla pecora Shira. Allora la nostra eroina decise di rimanere a Matera e di raccogliere i soldi donati dai suoi visitatori per offrirli al prete, che avrebbe aiutato le persone povere ed i bambini di un orfanotrofio. Giada Gunella Shira a passeggio per la regione Campania
Shira sbarcò alla stazione marittima di Napoli e si ritrovò nell'antica piazza Trieste‐Trento, anticamente chiamata San Ferdinando, nome che gli deriva dall'antica chiesa dedicata da un re Borbone al suo santo protettore e molto cara ai napoletani. Passeggiando, arrivò in piazza Plebiscito, dove ci sono due importanti monumenti: la basilica Palatina di San Francesco di Paola con il suo colonnato e il palazzo Salerno del comando della regione militare. Proseguendo con il suo itinerario, andò a visitare la sontuosa reggia e rimase meravigliata dalle bellezze degli appartamenti e dei giardini reali, dal teatro San Carlo, uno dei più gloriosi teatri lirici d'Europa e dall'imponente galleria Umberto I con la sua cupola di ferro e vetro e pavimento in marmo costruita nel 1887. Shira rimase strabiliata dall'importanza di questa città, ma era stanca e affamata e decise di fermarsi in una pizzeria, dove si mangio' la più buona pizza della sua vita (ovviamente la sua preferita è alle verdure) e come dolce un golosissimo babà! Decise poi di riprendere il cammino, passeggiando per i vicoli caratteristici e le vie della città con i suoi palazzi abitati dagli importanti nobili dell'epoca...insomma Napoli è una delle città più belle del mondo! Le sue origini sono piuttosto confuse: pare che nel VII secolo a.C. i Greci di Cuma avessero approfittato della posizione favorevole di quello che è oggi il golfo di Napoli per stabilirvi un porto commerciale che chiamarono Partenope. Un secolo dopo Ateniesi e Calcidesi fondarono nelle vicinanze Neapolis, cioè città nuova, che prosperò rapidamente. L'antica Partenope ne divenne un semplice quartiere, noto con il nome di Paleopolis, "città vecchia". Ormai era tardi ed era pericoloso per la nostra pecora girare per la città, perché purtroppo essa e' anche famosa per i vari problemi sociali dovuti alla delinquenza ed alle associazioni criminali, come a quella chiamata camorra. Shira dunque arrivò all'albergo che aveva prenotato, si fece una doccia, si vestì e scese in sala pranzo per la cena; qui ordino' un piatto tipico di Napoli, il “sartu” (un timballo di riso cotto al forno con polpettine, prosciutto, salame, uova e mozzarella) e per dolce una sfogliatella (listelli di pasta croccante) accompagnata dal vino della regione, l'Aglianico del Taburno. Quando si alzò da tavola, si sentì appesantita, ma soddisfatta! Shira si fermò nell'atrio dell'albergo a chiacchierare con gli altri ospiti, ma dopo un'oretta comincio' a sbadigliare e decise di rientrare in camera per una lunga dormita. Al mattino si risvegliò riposata e felice di continuare il suo itinerario. Si alzò di buon'ora, si affacciò alla finestra e ammirò il fantastico paesaggio del golfo di Napoli... Poi si vestì, scese in sala da pranzo per una ricca colazione e uscì. Si avviò alla visita del Museo Archeologico Nazionale, dove poté ammirare reperti archeologici, gioielli, sculture, dipinti, argenteria, reperti trovati nei vari scavi di Pompei e di Ercolano e le varie collezioni di antiche famiglie nobiliari. La visita al museo la impegnò tutta la mattinata, allora decise di fermarsi a pranzo in una piccola trattoria e ordinò una parmigiana di melanzane, dell'acqua e un dolce alla ricotta specialità della casa! Dopo un caffè riprese il suo giro turistico e andò a visitare Castel Nuovo, chiamato anche Maschio Angioino, edificato per volere di Carlo I d'Angiò nel 1282. Il castello e' situato vicino al mare, all'interno non c'è molto da visitare a parte qualche affresco, ma Shira rimase impressionata dall'importanza storica. Una volta uscita, si fermò in una gelateria e gustò un coppa di gelato alla frutta seduta sulla terrazza che si affacciava sul mare godendosi il tramonto. Riprese poi il suo cammino, ma stavolta il suo interesse era rivolto allo shopping: del resto si stava avvicinando il Natale e decise di acquistare dei regali per le sue amiche! Si avviò allora per i mercatini in via San Gregorio Armeno, dove si svolge il più importante mercato di statue per il presepe e di addobbi natalizi; Shira era affascinata dalla bellezza di queste statuine, dai particolari elaborati dagli artigiani, di cui la incuriosì molto la fantasia. Infatti c'erano statuine che rappresentavano le più alte cariche politiche o importanti personaggi della TV o del cinema. C'era una atmosfera particolare... Ormai era tardi e Shira doveva rientrare in albergo per la cena. Una bella doccia calda era quello che ci voleva, poi si vestì e scese in sala da pranzo dove si aggregò ad una comitiva di Milano. Insieme decisero di ordinare la cena a base di pesce, spaghetti allo scoglio e fritto di calamari; inutile dire che la cucina era ottima! Dopo la cena decisero di andare a vedere uno spettacolo teatrale di Edoardo de Filippo sulla sceneggiata napoletana. Shira rimase colpita dalla interpretazione degli attori e dalle sensazioni che essa le trasmetteva. Al rientro in albergo salutò la comitiva, ringraziò per la loro compagnia scambiandosi numeri di telefono per tenersi in contatto; Shira l'indomani avrebbe continuato il suo viaggio con delle escursioni alle isole di Capri, di Ischia e Procida, per poi proseguire sulla Costiera Amalfitana, partendo da Sorrento. La mattina successiva, dopo una buona colazione a base di succo di arancia, cappuccino e sfogliatella calda, preparò il suo bagaglio per recarsi al molo di Brovello con l'intenzione di imbarcarsi per l'isola di Procida. Il mare era tranquillo e la motonave proseguiva a una certa velocità: Shira rimase a prua per guardare Napoli dal mare; c'era ancora molto da visitare: chiese, musei, il duomo dedicato a San Gennaro, patrono di Napoli a cui i suoi cittadini sono molto legati e per questo festeggiato per ben tre volte all'anno (a maggio, settembre e dicembre). Si racconta che la mattina del primo sabato di maggio e il diciannove settembre, festa patronale, il sangue del santo contenuto in una teca trasparente subisca l'evento miracoloso della liquefazione. Tale evento miracoloso si svolge anche a Ravello, sulla costiera amalfitana, dove il sangue di san Pantaleone, custodito in una ampolla, subisce lo stesso processo di liquefazione della durata di due mesi. La motonave arrivò a Marina Grande e Shira sbarcò con il suo bagaglio e la sua guida turistica a "portata di mano". Proseguì per via Roma, una delle vie principali dell'isola, dove si trova una graziosa chiesa dedicata a san Michele, in cui c'è una tela del secolo XVII raffigurante il santo che difende l'isola e un'altra tela che rappresenta san Michele che abbatte Lucifero. Il giro dell'isola si poteva fare in poche ore. Così Shira discese anche verso i ruderi di Santa Margherita vecchia e raggiunse il mare; trovò la deliziosa insenatura di Chiaiolella, alla quale approdano i pescatori. Percorse poi una piccola stradina, che la portò alla punta di Palombara e all'antica chiesa di Santa Margherita, dalla quale si può ammirare un panorama che abbraccia il golfo di Napoli, i Campi Flegrei e le isole. Si fermò in un bar e ordinò un panino con mozzarella e pomodoro e una coca cola. Controllò gli orari delle motonavi per imbarcarsi e andare a Ischia. Questa è la più grande delle isole flegree: essa conta i comuni di Barano, Casamicciola, Forio, Lacco ameno e Serrara fontana. E' dominata dal monte Epomeo, è di origine vulcanica ed è sempre andata soggetta a fenomeni sismici: nel 1883 ci fu la distruzione di Casamicciola. Shira sbarcò ad Ischia porto, prese un taxi e si fece accompagnare in albergo. Si fece una doccia, si cambiò l'abito, disfò i bagagli e scese giù al bar dell'albergo, dove ordinò una fetta di torta al limone e una cioccolata calda. Successivamente uscì dall'albergo, prese l' autobus in direzione Ischia ponte per andare a visitare il Castello Aragonese. Esso era prima isolato dal mare, in quanto fu costruito su un cono di lava vulcanica, ma Alfonso d'Aragona lo fece poi unire alla terraferma a mezzo di un ponte, dal quale si accede ad un'ampia galleria. Lungo la stradina che porta al castello vi è una piccola cappella dedicata a San Giuseppe della croce, un santo isolano; vi sono poi i ruderi dell'antica cattedrale costruita nel 1301 e restaurata nel 1700. Il castello fu edificato la prima volta dalla gente di Gerone di Siracusa. E' alto centoquindici metri ed ha una superficie di cinquecentoquarantatré metri quadrati. Ha una mola superba ed è diviso in tante stanze, con reperti archeologici o nude con i vari affreschi; nei sotterranei sono ancora oggi visibili celle dove venivano puniti i prigionieri e una stanza dove ci sono i vari strumenti di tortura usati nel Medioevo: Shira pensò che i prigionieri non la passavano di certo liscia! Dall'alto del castello si vedono infine i vari isolotti non abitati che confinano lungo la costa dove si erge il superbo edificio. La pecora uscì dal castello e si trovò sul ponte che collega l'isola con la terraferma: fu costruito nel 1774 e da qui nasce il nome di Ischia ponte, prima denominato borgo di Celza. Proseguendo vide la chiesa di Sant'Antonio dalla maestosa facciata principale, situata tra le due sorgenti di Pontano e di Mirtina. Vigeva l'usanza per gli ischiani di iniziare i bagni in mare in occasione della festa di Sant'Antonio il tredici giugno. In questo comune i vecchi edifici sono di architettura ischiana con influssi arabi e in questa zona si trova il caseggiato seminario, costruito da Mons. Schiaffinati nel 1737, sede del vescovo di Ischia. Esso raccoglie pregiati pezzi d'antichità trasportati dal castello, tra cui la tabula frontale del prezioso sarcofago paleocristiano del V secolo. Più avanti la piazza ricorda, con una croce, i martiri della libertà del 1799, insorti durante la Repubblica Partenopea. Lungo la strada s'aprono le botteghe degli artisti con i loro caratteristici oggetti. Essendo ormai sera, Shira rientrò in albergo, si fece un doccia, si cambiò e scese nella sala ristorante per la cena. Ordinò una zuppa di pesce e come dolce un tiramisù. Una volta in camera, diede un'occhiata al suo itinerario e si addormentò con la guida sul cuscino. La mattina seguente si alzò e si affacciò alla finestra: come sempre il tempo era stupendo e il clima mite e allora decise di andare a fare una nuotata nella piscina con acque termali all'interno dell'albergo... Del resto Ischia è famosa nel mondo per le sue fonti termali salsoiodiche e radioattive ed usate per i bagni e fanghi curativi. Vicino al porto si trova per esempio lo stabilimento balneo‐termale militare, che era in origine una palazzina reale, prediletta da Ferdinando II, che veniva a soggiornarvi spesso. Dopo la nuotata fece una doccia, si vestì e scese in sala ristorante per la colazione: ordinò cappuccino e brioche calda, diede ancora un'occhiata al suo itinerario e uscì dall'albergo. La sua prima meta era la cattedrale dedicata all'Assunta, che fu costruita nel secolo XIV e fu poi rifatta in linea barocca. Shira percorse la vecchia strada e arrivò alla chiesa di San Pietro, che sulla sua guida era definita "una porcellana della scuola di Capodimonte". Dopo aver bevuto una bibita in un bar, prese l'autobus che l'accompagnava a Lacco ameno, dove lungo la costa si erge uno scoglio a forma di "fungo"; Shira lesse sulla sua guida una poetica leggenda: quella di un fanciullo e di una fanciulla che, “presi da reciproco affetto, troppo grande per la loro età, vollero fuggire nell'immenso mare affidandosi a fragile burchiello. Appena fuori la riva, il mare li accolse nel suo infinito sorriso: perirono insieme e la natura, affranta, eresse loro nel mare un tumolo, un fungo, che sotto l'alcova della sua ombrella veglia ancora il riposo dei piccoli.” Shira pensò a quanto fosse romantica quella leggenda e rimase a fantasticare sulla riva del mare osservando quello strano scoglio a forma di fungo... Riprese il suo cammino per arrivare a Forio, paesino caratteristico con casette bianche e basse; questo piccolo centro ha un'importante produzione vinicola ed era apprezzato sin dall'epoca dei Romani, che sfruttavano le acque minerali di Citara, dedicata a Venere Citarea e ad Apollo. Sempre a Forio visitò la chiesa di Santa Maria di Loreto, costruita nel '300 e rifatta in linea barocca con la facciata tra due campanili e piastrelle maiolicate: l'interno a due navate è decorato con bei marmi policromi ed ha un grazioso pulpito e una bella balaustra. Ormai era ora di pranzo e la pecora affamata si fermò in una piccola trattoria, dove ordinò un risotto alla pescatora, vino della zona e una macedonia con frutta di stagione. Soddisfatta del suo pranzo, si concesse un digestivo al limoncello, uscì e si diresse alla spiaggia di Citara. Su questa spiaggia sorge un importante complesso moderno, che sfrutta le acque fredde e calde che scaturiscono; da qui poteva raggiungere la spiaggia di Montevergine e fare escursioni al monte Epomeo prendendo una mulattiera. Decise di proseguire lungo la spiaggia: dal mare emergevano alcuni caratteristici scogli chiamati "pietra nera", "pietra bianca", "pietra del cavallone" e "pietre rosse" e si scorgevano delle caratteristiche grotte, dove si conserva il vino. Raggiunta la frazione di Cuotto, si intravedeva una fumarola molto interessante per il fenomeno della ionizzazione, in quanto emette gas a ottanta gradi centigradi! Shira si incamminò in direzione di un sentiero, che la portò alla frazione di Panza; da lì fece un'escursione al Guardiola a centonovantaquattro metri, dove si può vedere uno splendido panorama. Continuando il giro dell'isola, si era trovata sull'altro versante, che ha di fronte Capri: qui vi è il promontorio di Sant'Angelo, unito all'isola da un istmo di sabbia e, proseguendo, si arriva alla magnifica spiaggia dei Maronti. Riprese il suo cammino e lungo la strada ammirò gli avanzi di un antico acquedotto romano, passò per una zona tutta di materiale eruttivo formatosi durante un'eruzione avvenuta nel secolo XIV. A questo punto Shira era arrivata al punto di partenza. Era oltremodo colpita dalle bellezze naturali di Ischia e avrebbe voluto fare il giro dell'isola anche per via mare, per ammirare in pieno le frastagliate coste, notare le interessanti stratificazioni della roccia e ammirare i vigneti, ancora oltrepassare l'insenatura chiamata Ponticello e passare per la grotta di terra e agli scogli di Sant'Anna. Oppure avrebbe potuto vedere Ischia dall'alto prendendo la funivia, ma essa doveva proseguire con il suo viaggio, ripromettendosi però che sarebbe tornata. Rientrò dunque in albergo, prendendo un taxi tipico di Ischia (un apecar a tre ruote), si preparò per la cena e mangiò dei gustosi spaghetti al ragù e della frutta fresca, mentre bevve una tisana prima di andare a dormire. L'indomani dedicò la giornata a se stessa, nel centro benessere dell'albergo. Al mattino si alzò, entusiasta per la giornata che l'aspettava: si preparò, scese nel centro benessere e cominciò il percorso estetico tra massaggi, saune, zampicure e infine andò dal parrucchiere per una messa in piega del suo folto pelo. Entusiasta dei risultati, si fermò nella hall dell'albergo e fece una abbondante colazione, poi rientrò in camera, preparò un piccolo zaino, un'ultima occhiata allo specchio, sorrise e uscì, avviandosi al porto per prendere l'aliscafo che l'avrebbe portata a Capri. Isola tra le più belle del mondo, essa fu abitata sin dall'era paleolitica e conquistata poi dai Fenici e dai Teleboi, che vi fondarono un regno fortificandone la parte alta, che oggi si chiama Anacapri. Nel 126 a.C. l'isola apparteneva a Napoli e nel 29 a.C. i napoletani la cedettero ad Augusto, che vi dimorò spesso. Anche Tiberio vi trascorse gli ultimi anni della sua vita e altri imperatori l'amarono. Vi dovevano essere molte sontuose ville, costruite in quell'epoca, ma a noi sono rimasti i ruderi della villa Iovis sulla collina di Santa Maria del Soccorso, di un'altra villa di epoca imperiale nel piano di Damecuta e di un'altra ancora dove vi sono i cosiddetti bagni di Tiberio. Nel 530 Capri passò all'abbazia di Montecassino: nel VII e nell'VIII secolo fu soggetta a continui saccheggi da parte dei corsari e dei saraceni e gli abitanti dell'isola furono costretti a trasferirsi sulla parte alta. Fu dominio longobardo. Nel secolo XVI Capri fu saccheggiata e semidistrutta dalle continue scorrerie dei pirati e solo sotto il dominio di Carlo di Borbone trovò finalmente un po' di pace. Shira sbarcò a Marina Grande e trovò la piccola, ma interessante, chiesa di S. Costanzo, costruita intorno al X secolo su una antica basilica ed ingrandita all'inizio del secolo XIV con una graziosa cupola ed un caratteristico campanile. Poi arrivò alla famosa piazzetta di Capri dove vi è la torre dell'orologio, che alcuni ritengono fosse il campanile dell'antica cattedrale. Sembra che questo fosse il centro dell'isola già nel IV secolo a.C. in quanto vi sono ancora i resti di mura in blocchi calcarei visibili verso la terrazza della funicolare ed alle falde del Castiglione. Shira si fermò in un bar per bere una cioccolata calda e mangiare una sfogliatella, diede un'occhiata alla sua guida e uscì. Andò a visitare l'antico castello di Giovanna I d'Angiò, trasformato poi in palazzo Cerio. Proseguì per la Certosa di San Giacomo, costruita nel 1371, distrutta in parte verso la metà XVI secolo durante un' incursione e rifatta con torri di difesa. Shira era attratta da un particolare interesse per il suo portale ogivale e per alcuni affreschi trecenteschi, tra cui uno raffigurante delle donne che pregano, una delle quali si pensa sia Giovanna d'Angiò. L'interno della chiesa, ad un'unica navata, conserva degli affreschi seicenteschi; degni di nota sono ancora il chiostro del convento del '400 con grazioso portico con colonnine, con capitelli romani e bizantini e la simpatica torre dell'orologio. Vi è poi un altro chiostro del '500 con la sala capitolare ed il convento dei certosini, con il belvedere nell'alloggio del priore. Dal belvedere, chiamato "cannone", Shira giunse attraverso una scalinata al castello medioevale, chiamato Castiglione, ritenuto in origine opera degli amalfitani del secolo IX, il quale subì gli attacchi dei turchi e, sotto la dominazione francese, l'assedio degli inglesi. Essendo ormai sera, Shira decise di cercare un piccolo albergo per passare la notte. Appena arrivata in camera si sdraiò sul letto, stanca della lunga giornata. Si riposò un'oretta, fece una doccia, scese nel ristorante dell'albergo e ordinò una caprese come antipasto (mozzarella, pomodoro e basilico) e un risotto mare e monti (frutti di mare e funghi). Sazia, tornò nella sua camera, si svestì e andò a letto. Al mattino si alzò, si preparò e scese per la colazione, composta da briosche e cappuccino; quindi pagò l'albergo e uscì. Con guida alla zampa si diresse all'Arco Naturale, dal quale scese alla grotta di Matromania, dove gli antichi romani probabilmente veneravano Cibele: essa presenta un ninfeo con decorazioni, stucchi e mosaici. A questo punto decise di andare a visitare villa Iovis: per arrivarci doveva affrontare una lunga passeggiata a piedi e lungo il tratto incontrò le rovine del faro romano. Questo era un blocco quadrato in mattoni alto circa sedici metri, che aveva al centro una base cilindrica su cui si faceva bruciare un fuoco resinoso per indicare ai naviganti che si trovavano all'altezza dell'isola. Esso crollò prima della morte di Tiberio a causa di un terremoto. Ora ne restano pochissimi avanzi. Per arrivare alla villa passò davanti al belvedere del salto di Tiberio, dal quale la leggenda vuole che il tiranno facesse precipitare le sue vittime. Arrivò ai ruderi della grandiosa villa Iovis, che occupava tutta la sommità del monte Tiberio: vi è ancora parte del primitivo pavimento a mattoni ed un vestibolo su quattro colonne. Sono ancora visibili tre stanze, al piano superiore, detto il "bagno", composto da cinque locali che sono in comunicazione con una delle quattro cisterne esistenti, mentre dalla scala si raggiunge l'appartamento imperiale, che è la parte più elevata della villa con una stupenda terrazza belvedere. Si passa alla loggia imperiale a ridosso dell'appendice del monte. Vi sono anche i resti di uno "specularium", che doveva servire per l'osservazione astronomica o per luogo di vedetta. La pecora proseguì lungo la strada che porta da Capri ad Anacapri e qui si vede ancora l'antichissima scala fenicia, che fu costruita dai primi colonizzatori dell'isola per unire Anacapri a Marina Grande; verso l'alto essa raggiunge, invece, la porta della cittadella detta “Porta della differenzia”, presso la famosa Villa San Michele. Arrivata ad Anacapri, vide dei ruderi di un castello detto di Barbarossa, perché la leggenda vuole che, preso ed incendiato dal condottiero saraceno Kaireddin Barbarossa nel 1534 durante un'incursione, fu poi da lui ricostruito: da questi ruderi a strapiombo sul mare si gode una veduta paradisiaca dei golfi di Napoli e Salerno. Shira visitò il museo della torre, che raccoglie armi e sculture antiche proprio dentro una torre. Nel piccolo centro invece vi sono la chiesa di San Michele e la piccola chiesa di Santa Sofia di origine medioevale. Sulla vetta del monte Solaro vi sono gli avanzi di una piccola fortificazione, che fu costruita dagli inglesi nel 1806 sui ruderi di un'altra costruzione medioevale. Superata una località chiamata Olivastra, giunse alle rovine della magnifica villa imperiale romana, danneggiata nel I secolo d.C. e che fu poi devastata nel periodo del decurionato francese. Oggi ne rimangono soltanto "l'ambulatio", alcuni archi e pilastri; all'estremità est fu costruita nel Medioevo la torre di Damecuta. A poco più di duecento metri vi sono una vasta cisterna romana ed altri avanzi in "opus reticulatum". Shira cercò una trattoria per pranzare, ordinò spaghetti al ragù e una torta alla crema di limone; come al solito il cibo era delizioso, pagò il conto e uscì. Raggiunse il mare ed andò a visitare la famosa Grotta Azzurra, nota dall'antichità, come lo provano alcuni avanzi di costruzione romana. Lunga circa cinquantacinque metri, deve la sua meravigliosa colorazione alla luce che vi entra per rifrazione. Si tratta di una cavità carsica, che ha una piccola apertura alta soltanto diciannove metri, unica fonte di luce, separata dall'ingresso da un ponte di roccia. L'ingresso è largo due metri ed alto un metro. Quando si entra, bisogna mettersi a carponi nella barca, ma l'interno è lungo cinquantaquattro metri, largo quindici ed alto trenta con profondità marina di venti metri. La grotta prosegue poi inoltrandosi in una piccola galleria, chiamata dei pilastri, suddivisa in tre zone comunicanti a cui segue un passaggio piuttosto stretto e infine una caverna quasi piana. Al di sopra di questa grotta vi sono i ruderi della costruzione romana chiamata villa di Gradola. Poiché la visita era stata spettacolare, decise di prenotare un motoscafo per fare il giro dell'isola, che è soltanto di nove miglia. In questo modo Shira poteva ammirare la meravigliosa costa, le grotte, gli scogli più strani, gli antri e le insenature naturali. Partì da Marina Grande, cercando di costeggiare la scogliera e le apparve la prima grotta chiamata del Bove marino: quando il mare è agitato si odono dei boati! Segue la grotta Ricotta, seguita dal rudere di un fortino e dalla punta del capo. Nella parte orientale dell'isola si notano dal mare la chiesa di Santa Maria del Soccorso e la villa Iovis e sotto il salto di Tiberio l'omonima grotta non sempre di facile accesso. Prima di giungere ad uno spazioso anfiteatro roccioso, vi sono la Punta del Monaco e quella della Chiavica, seguite dalla grotta dei Polpi, chiamata anche della Seppia, perché vi si trovano facilmente questi molluschi cefalopodi e la grotta dell'arco di Betlemme di difficilissimo accesso. Si aprono poi altre due grotte: la Bianca e la Meravigliosa; la prima, di facile accesso, è costituita da due zone di mare che sembrano due laghetti, mentre la seconda, accessibile da un ingresso artificiale, è chiamata Meravigliosa per le sue belle stalagmiti. Seguono la grotta dei Preti e il piccolo faraglione di Matromania, dal quale si può scorgere la grotta omonima e anche l'arco naturale. Si tocca, quindi, la punta Masullo, su cui vi è una villa appartenuta a Curzio Malaparte subito dopo i due maestosi scogli chiamati i Faraglioni. Lungo la costa, su uno scoglio semicircolare chiamato il "Monacone", vi sono i ruderi di antiche costruzioni; segue la grotta di Tragara con l'omonimo porto, dove si possono notare ruderi di un porto romano. Dopo il faraglione appare Marina Piccola: il passaggio tra questi scogli è molto suggestivo e Shira prese la sua videocamera per fare delle riprese. Costeggiando la scogliera si imbatté in una grotta chiamata “Albergo dei marinai”, che ha un doppio ingresso e un simpatico effetto colore, in quanto una parte è azzurra e l'altra verde. Shira passò sotto la Certosa, dove incontrò la grotta chiamata Oscura, con le macerie di una torre che si vuole costruita nel 1563 dai monaci della Certosa. Seguirono la grotta della Certosa, quella del Belvedere e quella dell'Arsenale. Passò sotto il Solaro dove vi è la grotta dell'Arco, con avanzo di antiche costruzioni e poi sotto la grotta delle Felci, passata alla storia perché vi sono stati trovati oggetti litici di età neolitica. Aggirò la punta di Mulo e scorse la Cala Ventrosa, con la vista retrospettiva di punta Tragara e dei faraglioni; raggiunse quindi la grotta Verde, chiamata anche “del turco”, molto vasta, dove la colorazione dell'acqua si avvicina allo smeraldo. Vi sono poi la grotta Rossa e la piccola grotta Marmola, seguita dalla cala Marmolata con la grotta della Galleria. Vicina vi è la grotta del cannone Krupp, seguita dalla grotta Brillante, la grotta dei Santi e la grotta Vela. La scogliera diminuisce dalla punta del Tuono alla punta Carena, ove si scorge la costruzione rossa del faro. Passò dalla punta Vetereto, raggiunse la grotta Azzurra, la superò e vide ciò che rimane dei bagni di Tiberio in un mare costellato di scoglietti innumerevoli. Infine ritornò a Marina Grande, dalla quale con la pittoresca funivia si può raggiungere il paese. Ormai tardi, Shira decise di prendere la motonave per rientrare a Ischia, dove aveva lasciato i bagagli e per riprendere il suo viaggio verso la penisola sorrentina. L'indomani, dopo una lunga dormita, si preparò i bagagli e scese al ristorante per una sontuosa colazione: cappuccino, pane, burro e marmellata, succo d'arancia. Pagò l'albergo e si avviò a Ischia porto per prendere l'aliscafo che l'avrebbe condotta sulla costiera amalfitana. La costiera, un aspro sperone calcareo, allungato nel Tirreno con alte e frastagliate scogliere, delimita a sud il golfo di Napoli e lo chiude in bellezza. La sua sponda meridionale prende il nome di costiera amalfitana: è un territorio esiguo, ma che vanta un tale patrimonio culturale e paesaggistico da essere diventato una delle principali mete del turismo internazionale. La ricchezza paesaggistica della costiera è frutto tanto della natura, quanto dell'opera dell'uomo. Le zone rocciose, i boschi e le lussureggianti estensioni di macchia mediterranea si alternano ai vigneti e ai limoneti piantati dall'uomo nei pochi spazi strappati a una natura molto spesso aspra e selvaggia. Il suo dichiarato patrimonio dell'umanità si estende per undicimiladuecento‐ trentuno ettari ripartiti tra una quindicina di comuni. Il suo limite naturale è il declivio meridionale della penisola formata dai monti Lattari, che separano i golfi di Napoli e di Salerno. Si tratta di quasi tutta la parte meridionale della penisola sorrentina, corrispondente in linea di massima al territorio occupato dall'antica repubblica marinara di Amalfi. Comprende quattro insediamenti litoranei principali (Amalfi, Atrani, Maiori e Minori), ai quali si devono aggiungere quelli minori di Positano, Praiano, Cetara, ed Erchie. Sono inclusi gli abitanti montani di Scala, Tramonti e Ravello, così come i borghi di Conca e Furore. La prima testimonianza scritta su Amalfi risale al 596 d.C. e riferisce di una città fortificata con statuto di sede episcopale. Vincolata a Bisanzio, contesa tra i Longobardi di Benevento e il ducato di Napoli, la città proclamò la propria autonomia nell'839, divenendo in poco tempo un'importante potenza marittima. Dopo aver scacciato i pirati saraceni, a partire dall'859 Amalfi divenne una repubblica governata dai prefetti. L'autonomia politica le consentì di imporsi come potenza marittima e commerciale e di prosperare a partire dalla metà del IX secolo fino alle fine del secolo XI. Nel 958 la città si subordinò formalmente all'imperatore di Bisanzio ottenendo in cambio il privilegio di poter insediare colonie commerciali lungo tutte le coste dell'impero. Amalfi acquisì in quel periodo il monopolio commerciale nel mar Tirreno: smerciava prodotti come legno, ferro, armi, vino e frutta sui mercati orientali e importava spezie, profumi, perle, gioielli e tessuti. L'ottenuto benessere economico ebbe positivi riflessi sullo sviluppo culturale e tecnologico, specie nei campi della legislazione marittima e della scienza della navigazione. Basti pensare alla tavola amalfitana, esemplare testo giuridico che regolava i rapporti fra i proprietari di navi e i marinai e fra questi ed i mercanti. Fu adottata da gran parte dei paesi del Mediterraneo per tutto il Medioevo e anche in tempi posteriori, oppure alla bussola, che i marinai amalfitani furono tra i primi a utilizzare. Gli stretti legami con l'Oriente influirono notevolmente sull'architettura locale, con la costruzione a picco sul mare di case serrate le une alle altre, collegate da un dedalo di viuzze e di strette scalinate che ricordano i mercati arabi. Ad Amalfi s'impose uno stile originale, frutto della simbiosi tra elementi locali e orientaleggianti, che è stato definito "arabo normanno". La potenza della repubblica marinara declinò insieme con la sua indipendenza lungamente insidiata da Salerno; finì sottomessa dai Normanni (1073) e perse via via la propria autonomia e con essa quella libertà d'iniziativa economica e commerciale che era stata alla base della sua prosperità. Shira, sbarcata ad Amalfi, depositò il suo bagaglio e noleggiò una moto per fare il giro della costiera amalfitana. In questo modo avrebbe apprezzato meglio il panorama. La prima tappa fu il duomo di Amalfi che fu costruito nell'XI secolo, rinnovato all'inizio del Duecento e quindi rimaneggiato nel XVIII secolo; la pecora salì attraverso una solenne scalinata, accanto alla quale si eleva il campanile, eretto tra il XII e XIII secolo, che conserva intatti i caratteri dell'arte arabo‐normanna e la ricca e fastosa policromia. La facciata del duomo e il portico che la precede sono stati completamenti rifatti nell'Ottocento. Pregevole risulta il portale centrale, con una splendida porta in bronzo fusa a Costantinopoli intorno al 1066; sul lato sinistro dell'edificio si apre il chiostro del Paradiso, costruito nel tardo Duecento in stile arabo. All'uscita dal duomo, Shira cercò una trattoria con cucina tipica sul mare, ordinò spaghetti allo scoglio e calamari fritti e vino bianco della zona e dopo pranzo prese un digestivo al limoncello. Nel piccolo museo esistente nel Palazzo Municipale si conserva quel prezioso codice chiamato “tabula amalphitana” che contiene le leggi marittime e ben sessantasei capitoli riguardanti l'antica repubblica, la cui formulazione è anteriore all'epoca romana. Uno fra i tanti vanti di Amalfi è quello di essere stata tra le prime città in Europa a fabbricare la carta a mano: le sue cartiere imposero infatti i loro prodotti sin dal periodo svevo . Shira riprese il tragitto lungo la costiera amalfitana e giunse ben presto ad un altro grazioso paesino: Atrani. Questo piccolo centro è rinomato per l'arte della ceramica, la cui produzione ha tradizioni antichissime che risalgono ai tempi della repubblica marittima. Nel IX e nel X secolo Atrani subì il dominio di Salerno, poi passò agli Amalfitani, che si riunirono in un quartiere che fu chiamato "Fornelle", appunto per i forni che vi erano stati impiantati per la fattura della ceramica. Quest'arte, che ricevette indubbiamente l'influsso della tecnica artistica espressiva dell'antica Roma, è ancora oggi viva nelle antiche botteghe dei "fornaciari" che perpetuano la tradizione. Shira proseguì il suo viaggio a cavallo della sua moto e si diresse a Ravello, una diramazione verso l'entroterra. Celebre per i suoi vini, la sua storia e i suoi tesori d'arte, è ricordata da eminenti personaggi: da Boccaccio a Riccardo Wagner, grande musicista della fine del 1800. Sarebbe stata fondata, come risulta da un antico documento amalfitano, nel VI secolo durante la seconda guerra gotica o, meglio ancora, subito dopo la fine dell'Impero Romano di Occidente. Il suo nome ha una etimologia alquanto incerta, che forse si richiama a quello della collina occupata dai Romani, che era chiamata Torello. Soggetta ad Amalfi durante il IX secolo, nell'XI si ribellò alla repubblica dandosi a Ruggiero il Normanno, ma passò poi nel ducato di Amalfi. Fu sede vescovile sin dal 1086 ed ha un'interessante cattedrale, la cui facciata è stata rifatta nel 1931 e che conserva le antiche porte di bronzo. A sinistra dell'altare maggiore vi è la cappella di San Pantaleone, del 1617, con affreschi e dipinti. Il sangue del santo protettore, conservato in un'ampolla, si scioglie tutti gli anni il giorno della commemorazione della Santa Croce. Il campanile è del secolo XIII con grandi bifore ai lati. Molto interessante la visita alla villa Rufolo, che fu conosciuta da Giovanni Boccaccio: egli la descrisse nel suo "Decamerone" come una portentosa opera d'arte italiana in Campania con la sua magnifica torre all'ingresso che dà alla villa il carattere di un palazzo‐fortezza, allietato da vasti giardini con ricca decorazione moresca, i quali rappresentano una mirabile testimonianza dell'arte medioevale salernitana. La villa fu eretta dalla nobile famiglia Rufolo. Nella metà dell'800 fu acquistata dal botanico scozzese Francis Nevie Reid, che fece restaurare il complesso dal direttore degli scavi di Pompei, Michele Ruggiero. Nel settembre del 1943, dopo l'armistizio, vi dimorò Vittorio Emanuele III di Savoia. Interessante anche la villa Cimbrone, che comprende un edificio con due torri ed un cortile con spettacolare belvedere. Shira si fermò per una merenda in una paninoteca, dove ordinò un panino con pomodoro e mozzarella e una coca cola. Sazia, risalì a bordo della sua moto, riprese la costiera amalfitana e si diresse a Minori, che fu l'arsenale della repubblica di Amalfi. Innanzitutto visitò la villa romana, scoperta nel 1932. Del I secolo d.C., essa doveva avere l'ingresso principalmente dalla parte del mare. Proseguì verso Maiori, molto danneggiata dall'alluvione del 1954 e poi ricostruita più moderna. Dopo la frazione di Erchie la costiera si apre in un magnifico arco. Shira andò a visitare le catacombe di Badia, ruderi di un'antica abbazia benedettina del secolo XI. Da qui Shira si diresse direttamente a Vietri sul mare. Cittadina famosa per l'arte della ceramica, di cui esistono diverse fabbriche che lavorano con un notevole estro creativo, le ceramiche di Vietri in meno di trent'anni hanno invaso tutti i mercati europei, forse per il segreto dello smalto. Per l'istruzione delle maestranze la cittadinanza ha anche una scuola d'arte. Decise di fermarsi a Vietri per la notte: aveva con sé uno zaino con il necessario. Trovò un'accogliente pensione: lasciò i suoi documenti, prese le chiavi della stanza che si trovava al secondo piano e salì. Una veloce doccia e subito corse in sala da pranzo, perché era affamata. Il menù comprendeva antipasto di verdure, una zuppa di pesce con pane casereccio e infine il dolce della casa: crostata di arance. Dopo cena si fermò a fare due chiacchiere con i proprietari della pensione, quindi rientrò in camera per una lunga dormita. Il giorno dopo l'aspettava il centro archeologico più importante dell'Italia meridionale: Paestum. L'indomani si svegliò di prima mattina, preparò il suo piccolo zaino, scese per la colazione, come al solito abbondante, pagò il conto della pensione e uscì; prese la moto dal garage e montò in sella in direzione di Paestum. Fondata con ogni probabilità dai Greci di Sibari intorno al VII a.C. e da loro chiamata Poseidonia o città di Nettuno, divenne ben presto un'importante centro agricolo e marinaro. Paestum, con i suoi templi dorici, è alquanto interessante. Dopo la distruzione di Sibari, che si ebbe nel 510 a.C., Paestum riuscì a mantenere le sue posizioni rispetto agli Etruschi e anche dopo la battaglia di Cuma, avvenuta nel 474, conservò la sua indipendenza; ma nel 400 fu presa dai Lucani e il suo nome fu italianizzato in Paistos o anche Paistom. La vittoria del re dell'Epiro Alessandro contro i Lucani nel 332 la restituì ai Greci, ma dopo l'uccisione di Alessandro ritornò alle dipendenze dei Lucani fino a quando nel 273 Roma vi impiantò una colonia: i Romani, essendo stati aiutati dalla flotta di Paestum e da quella di Velia, quando Annibale assediò Taranto, grati alla città, provvidero ad ingrandirla ed arricchirla. Agli albori del Cristianesimo Paestum ebbe i suoi martiri e nel 370 vi sostarono le spoglie di San Matteo. Fu sede vescovile sin dal V secolo e rimase sempre cristiana. Nel medioevo i cristiani tramutarono in chiesa il tempio di Cerere. Durante l'impero fu uno dei porti più attivi della zona. La riduzione dei traffici, causata dallo spostamento delle vie commerciali, le incursioni saracene del X secolo e la malaria, presente nelle zone acquitrinose circostanti, provocarono il declino definitivo dell'insediamento. Nell'XI secolo Roberto il Guiscardo demolì numerosi edifici per trasportarne i materiali a Salerno (l'atrio della cattedrale è formato da ventisette colonne provenienti da Paestum). La città fu definitivamente abbandonata nel 1580. Shira avanzò con curiosità tra le mura, il foro romano e i tre templi ellenistici allineati lungo il cardo maximus. Sono gli elementi di maggior spicco degli scavi archeologici. Shira lesse sulla sua guida che le imponenti mura, lunghe cinque chilometri e formate da grossi blocchi di pietra, sono un adattamento lucano e poi romano di quelle originali greche. Sono interrotte da quattro porte (la più importante è Porta Marina), rinforzate da torrioni quadrangolari e circolari. Il foro, costruito sulla sommità dell'agorà greca, ha forma rettangolare ed è delimitato su tre lati da portici. Il complesso è circondato da edifici pubblici come il bouleuterion (luogo di adunanza pubblica), la curia (il palazzo di giustizia) e il macellum (il mercato coperto), mentre nella parte a nord si stagliano le quattro colonne della facciata del tempio italico eretto dai Romani nel 273 a.C. e dedicato a Giove, Giunone e Minerva. I templi di Paestum dimostrano come il severo e poderoso stile dorico abbia trovato in Campania una delle sue migliori espressioni. Il tempio di Hera, (dea della maternità) noto anche con il nome di "basilica", è il più antico (risale al VI secolo a.C.) ed è caratterizzato dalla presenza di nove colonne sui lati più corti, invece delle tradizionali sei o otto in uso nella Grecia classica. Il tempio di Cerere, consacrato però al culto di Atena, risale al 510 a.C.; fu restaurato dai Romani e trasformato in chiesa in età bizantina. Il tempio di Nettuno, anch'esso dedicato ad Hera, risale al 450 a.C. ed è il più grande e meglio conservato, paragonabile per bellezza al Partenone o al tempio della Concordia di Agrigento. La severità della costruzione è resa ancor più evidente dall'assenza di decorazioni sulle metope e sui frontoni. La cella appare stretta e lunga, suddivisa in tre navate da un doppio ordine di colonne sovrapposte. Shira, dopo la visita ai templi, proseguì per il museo archeologico, il quale accoglie trentatré delle trentasei metope che decoravano il tempio di Hera. Note anche come "metope del thesauròs", costituiscono il gruppo scultoreo più importante di tutta la Magna Grecia. Il museo raccoglie anche fondamentali testimonianze pittoresche, tra cui la cosiddetta "tomba del tuffatore", l'unico lascito della pittura greca classica giunto intatto fino ai giorni nostri; è costituita da cinque lastre dipinte che raffigurano, con sorprendente potere espressivo, un giovane tuffatore a grandezza naturale e una scena di banchetto funebre. Risalenti al 480 a.C., si sono conservate quasi intatte, perché protette dall'esposizione ad aria e sole. Nel museo sono esposti anche vasi dipinti nel IV secolo a.C. dai maestri giunti in Magna Grecia in seguito alla decadenza dei laboratori dell'Attica. A Paestum l'apogeo nella decorazione dei vasi fu raggiunto nella metà del IV secolo a.C. grazie alla presenza di maestri quali Asteas e Python. La scuola subì l'influenza della scenografia teatrale, che si manifestò nell'uso del colore e nell'ordine della composizioni. Shira rimase affascinata dalla storia e dalla cultura di questa antica città. Tuttavia si era fatto tardi ed essa salì sulla moto e prese l'autostrada Salerno‐
Napoli per continuare il suo viaggio nella regione Campania. Uscì a Castellammare di Stabia, nei cui pressi sono le rovine dell'antica città romana di Stabia, che subì le conseguenze dell'eruzione vesuviana del 79 a. C., ma che a differenza di Pompei si riprese e prosperò a causa delle sue sorgenti minerali, che ancora oggi ne fanno una stazione termale della massima importanza. La località era così amena e la sua aria così buona, che nel Medioevo i sovrani angioini vi si costruirono un palazzo che chiamarono "Casasana", per la sua meravigliosa posizione fra il mare e i boschi. Per il suo porto e per il suo valore strategico la cittadina durante i secoli fu spesso teatro di lotte: fu saccheggiata e distrutta durante il conflitto tra francesi e spagnoli e ricostruita da Carlo V, che la diede in dote a sua figlia, che sposò Ottavio Farnese. Carlo di Borbone vi fece intraprendere gli scavi archeologici ed i suoi eredi la dotarono di un efficiente porto, la congiunsero alla capitale con la ferrovia e vi fecero costruire un cantiere navale, nonché un importante complesso termale che sfruttava ben diciassette sorgenti. Il paese è senza dubbio dal punto di vista commerciale e industriale il centro più importante della penisola sorrentina. Shira proseguì il suo itinerario della giornata viaggiando lungo le coste del golfo di Sorrento; si fermò in una pizzeria da asporto per mangiare un veloce trancio di pizza e bere una bibita, visto che aveva saltato il pranzo. Arrivò a Sorrento, graziosa ed elegante cittadina. Si ritiene abitata sin dall'età neolitica. La città fu fondata probabilmente dai Teleboi quando conquistarono Capri e subì poi il dominio dei Siracusani, dei Sanniti e dei Romani, che aiutò nella Seconda guerra punica. Nel 216 si alleò con Annibale e durante la Guerra Sociale fu contro Roma: presa da Silla, non fu saccheggiata, né distrutta, ma dovette accogliere una colonia di reduci veterani e solo dopo la fine della repubblica divenne municipio. Nell'età imperiale la cittadina fu luogo di villeggiatura dei ricchi romani. Nel 420 divenne sede vescovile con un governo di arconti e di duchi: occupata dai Goti, fu ducato libero e, varie volte attaccata dai Saraceni, riuscì sconfiggerli, si racconta, per intercessione del patrono Santo Antonino. Nel secolo XI divenne parte del principato di Salerno: assediata dai Normanni una prima volta, riuscì ad evitare la sconfitta con l'aiuto dei Pisani, ma fu poi occupata da Ruggiero che la trasformò in un ducato. Lotte interne la divisero tra Angioini e Durazzeschi, ma nel 1501 la cittadina dimostrò coraggio nell'opporsi alla dominazione franco‐spagnola. Il suo più famoso cittadino fu Torquato Tasso, che vi nacque nel 1544. Interessante è la cattedrale con il campanile a forma gotica, il portale marmoreo del secolo XV. Shira uscì dal duomo. Quasi corrispondente ad una porta della città vi è un arco romano con avanzi di murazioni cinquecentesche. Shira riprese la moto, prese la via che la portò all'altopiano sorrentino, tutto verde di aranceti, che si affaccia sul mare di un azzurro profondo e misterioso dall'alto di poderose rupi a strapiombo; la costa, frastagliatissima e varia, è ricca di una vegetazione lussureggiante e olezzante di un'infinita varietà di fiori che i suoi giardinieri sanno disporre in artistica policromia. Si tratta di posti unici al mondo, la cui bellezza è classe, nobiltà e stile. Shira raggiunse Sant'Agata, dove si può ammirare un bellissimo panorama dei golfi di Napoli e di Salerno; poi riprese il suo viaggio, che la riportò ad Amalfi. Al suo arrivo, restituì la moto all'auto‐noleggio, riprese il suo bagaglio, cercò una pensione per la cena e la notte. Trovò una graziosa pensioncina all'interno delle viuzze del paese. Arrivata nella sua camera, si fece una doccia e si rilassò sul letto, stanca della giornata appena trascorsa. Scese quindi in sala da pranzo: il menù della sera comprendeva un antipasto di mare caldo, pasta con gamberi e zucchine e infine un dolce della casa al limone. Soddisfatta, salì in camera e si addormentò all'istante. Al mattino si svegliò, si affacciò alla finestra e anche quel giorno il suo viaggio era accompagnato da una bellissima giornata mite. Preparò il suo bagaglio, scese in sala da pranzo per la colazione, composta da cappuccino, succo di arancia, pane, burro e marmellata. Pagò l'albergo e si diresse al molo per prendere l'aliscafo che l'avrebbe portata a Napoli. Qui giunta, si recò alla stazione dei pullman, che l'avrebbero condotta a Pompei. Una volta salita sul mezzo, prese la sua guida e lesse i cenni storici, che riguardavano la storica città. Pompei fu sotterrata da uno spesso strato di cenere vulcanica, mentre Ercolano scomparve sotto una coltre di fango e di detriti vulcanici spessa diversi metri. Assieme a queste città anche numerose ville romane nei dintorni scomparvero sepolte dai materiali della terribile eruzione. La città di Pompei, le cui origini risalgono al VI secolo a.C., passò dopo fasi alterne sotto il definitivo controllo di Roma nell'80 a.C. come colonia con il nome di Cornelia Venaria Pompeianorum. Ercolano, invece, dovette sottomettersi con il titolo meno prestigioso di municipium. Al momento del loro passaggio nell'orbita dell'Impero Romano le due città erano profondamente ellenizzate. La struttura urbana della primitiva Pompei era costituita da un'arteria principale (cardo) attraversata da due decumani. Fu durante il II e il I secolo a.C. che ebbe un grande impulso l'urbanizzazione della città. Nelle costruzioni la pietra calcarea fu sostituita dal tufo. Nella parte meridionale della città si edificarono anche un teatro (teatro grande) e un foro triangolare con colonne attorno ad un antico tempio dorico. Più tardi si aggiunse un secondo foro rettangolare, circondato da templi consacrati alle divinità dell'Olimpo romano. Dopo la sua inclusione nei confini dell'impero, Pompei continuò ad arricchirsi di splendidi edifici pubblici in pietra, come il grande anfiteatro, le terme del Foro e un odeon (il teatro piccolo), coperto ed adibito soprattutto ad audizioni musicali ed a spettacoli di mimi. Alla fine del I secolo a.C. venne costruito un acquedotto per portare le acque del fiume Sarno nelle case, nelle terme e nelle fonti pubbliche. Situata su un promontorio della costa tirrenica alle pendici del Vesuvio, Ercolano, invece, era molto più piccola: l'area racchiusa dalle mura era di circa trecentoventi per trecentosettanta metri. Nel I secolo a.C. la sua larga via principale, il decumano massimo, svolgeva la funzione del foro. Nelle vicinanze si trovano numerosi edifici pubblici, tra i quali una basilica, un tempio dedicato a Ercole, un teatro e le terme. Nel centro cittadino le abitazioni erano spaziose, con vista panoramica sul mare, che all'epoca arrivava fino ai piedi dell'abitato. Esisteva, inoltre, una zona sacra con i templi e le terme suburbane, mentre nei dintorni si trovavano splendide ville, come la magnifica villa dei Papiri. Nonostante la loro vicinanza, le due città avevano funzioni diverse. Pompei era un fiorente centro commerciale, arricchitosi con gli scambi fluviali, che avvenivano lungo il fiume Sarno, tra la costa e l'interno della regione. Posta sulla strada tra Cuma, Napoli e le regioni meridionali, era inoltre al centro di una importante regione vinicola. Ercolano era, invece, una città residenziale e di svago per i facoltosi cittadini romani della zona, che ne apprezzavano la bellezza del paesaggio e la vicinanza del mare. Le rovine di Ercolano furono scoperte per caso durante la perforazione di un pozzo nel 1709. I primi scavi ufficiali vennero promossi dai Borbone e presero il via nel 1738 con il sistema dei cunicoli. A differenza di Pompei, le rovine di Ercolano si trovano sommerse da un banco tufaceo durissimo alto dieci metri. Gran parte della città antica è coperta dalla nuova città di Ercolano. Solo sette insulae (gruppi di case delimitate da strade che si incrociano ad angolo retto) sono attualmente aperte al pubblico. Tuttavia, l'enorme strato di lava vulcanica ha fatto sì che i suoi edifici siano giunti in un migliore stato di conservazione rispetto a quelli di Pompei: materiali organici, come legno, stoffe e cibo, si sono miracolosamente conservati e molti piani superiori delle abitazioni sono giunti intatti fino a noi. Tra gli edifici pubblici portati alla luce in buono stato di conservazione ci sono la palestra, il cui accesso è delimitato da un vestibolo con volta decorata, due complessi termali, uno dei quali di grandi dimensioni e ricco di affreschi, il collegio degli augustali e un teatro di tipo romano, in gran parte interrato e visitabile solo attraverso i cunicoli. Le abitazioni sono caratterizzate da ampi spazi e da accurate decorazioni, in particolare la cosiddetta Casa del bicentenario, così chiamata perché portata alla luce definitivamente nel 1938, esattamente due secoli dopo i primi scavi. Non è da meno la Casa dei cervi, con ampi cortili e i due gruppi marmorei dei cervi assaliti dai cani. Numerose sculture, mosaici e oggetti d'uso quotidiano, come i recipienti del vino, si sono conservati pressoché intatti. La monumentale Villa dei papiri, situata appena fuori dalla città, è ancora in fase di scavi e di studio (vi sono stati rinvenuti duecento papiri). Scoperta con il sistema dei cunicoli, occupa una vasta superficie, ma a cielo aperto ne è visibile solo una piccola parte. Shira rimase affascinata dalla lettura della sua guida, al punto che non riuscì a fermarsi e continuò a leggere... Delle rovine di Pompei si hanno notizie fin dal XVI secolo, ma i primi scavi iniziarono solo nel 1748. Sono stati portati alla luce quarantaquattro ettari, il foro principale è fiancheggiato dalle fondazioni di imponenti edifici dedicati al culto e pubblici come il tempio di Giove, la basilica e le terme. In prossimità si trova il foro triangolare, molto antico, vicino ai due teatri. La fama di Pompei si deve soprattutto alla serie di edifici pubblici allineati lungo le strade ancora ben pavimentate. La tipologia delle abitazioni va dalle case più semplici alle ville più sfarzose. La configurazione più antica è la casa con atrio completamente disposta verso il patio interno e di cui offre l'esempio più rappresentativo la Casa del chirurgo. In altre costruzioni si osserva un forte influsso ellenistico, che si manifesta nelle notevoli dimensioni, nella decorazione con colonne e arcate e nelle grandi sale per uso conviviale. Dalla tipica casa romana si passa ai palazzi, con molte dipendenze riccamente decorate. La Casa del fauno e la Casa degli amanti costituiscono dei magnifici esempi. Oltre alle abitazioni, Pompei offre numerosi resti di edifici più o meno legati alla sua vita commerciale, come negozi, magazzini, alberghi e altro. Ma la più straordinaria abitazione pompeiana è la Villa dei misteri, un enorme costruzione appena fuori le mura della città che è il risultato dei successivi ingrandimenti di una primitiva dimora signorile sorta nella prima metà del II secolo a.C.; essa deve il suo nome ai sorprendenti affreschi di una sala, che descrivono i riti iniziatici del culto di Dionisio. La ricchezza dei graffiti che appaiano sui muri è caratteristica di Pompei. Alcuni studiosi ritengono che fossero previste delle elezioni nei giorni dell'eruzione e che per questo motivo le pareti furono trovate ricoperte da numerosi slogan politici, oltre che da altre iscrizioni di natura più personale. E tra queste non mancano, naturalmente, parole dal significato osceno. A Torre Annunziata si trova la Villa oplontis, attribuita alla famiglia di Poppea, la seconda moglie di Nerone; ha un pregevole porticato che si apre su un giardino con una grande piscina con bordi decorati da statue, mentre all'interno si trova una serie di notevoli pitture parietali. Tutto questo è incluso nella lista del patrimonio dell'umanità. Shira, una volta arrivata a Pompei, si diresse all'antica città, immaginando di vivere il periodo in cui la vecchia Pompei era florida e viva con i suoi abitanti e il loro quotidiano, fino a quando furono sorpresi dalla invasione della lava del Vesuvio. Dopo due ore che girava per la città, si fermò in un bar all'interno e prese un panino con mozzarella e pomodoro e una bibita e si rilassò godendosi la giornata. La sera stessa Shira, stanca del lungo camminare prima a Pompei, poi ad Ercolano, si cercò un bed & breakfast per la notte: era talmente stanca, che non vedeva l'ora di toccare il letto e dormire per molte ore di seguito. Al mattino, fresca e riposata, fece colazione, prese il pullman in direzione di Napoli per fermarsi alle pendici del Vesuvio, che sovrasta il golfo di Napoli e il suo panorama. La cima più bassa a sinistra è il monte Somma e quella sulla destra, dal cono tronco, è il Vesuvio vero e proprio, vulcano attivo, anche se da molti anni ha perso il suo pennacchio...di fumo! Il Vesuvio è alto milleduecentosettanta metri e prima dell'eruzione del 79 a.C. questo monte era conosciuto più che altro per i suoi vigneti, che davano un vino eccellente. L'ultima eruzione è stata nel 1944 di cenere e lapilli, dopo la quale le manifestazioni vulcaniche furono soltanto fumaroliche ed extracrateriche, quindi un periodo di riposo. Shira si augurò che durasse ancora per molto tempo, visti i gravi danni e le vittime che aveva causato. Con una seggiovia la pecora raggiunse il cono craterico con l'aiuto di una guida, perché le era stato sconsigliato di andarci da sola. Sentiva molta nostalgia di Vulcano, perché anche lì c'è un vulcano... Apprese che il cratere aveva una circonferenza di circa un chilometro e mezzo e che intorno numerose fumarole emettevano vapore con temperatura a volte superiore ai cinquecento gradi. Al ritorno si fermò all'Osservatorio vesuviano eretto nel 1814, il quale è scampato alle varie eruzioni avvenute dopo la sua costruzione. Il primo direttore di questo osservatorio fu Macedonio Melloni, il quale riuscì a costruire le prime pile termoelettriche, a differenza delle pile produttrici di corrente inventate nel 1799 da Alessandro Volta. Inventò, inoltre, un elettroscopio sensibilissimo, che gli diede la possibilità di effettuare approfonditi studi sullo spettro solare. Dopo varie escursioni, Shira rientrò a Napoli. Il giorno seguente decise di prendere il pullman che l'avrebbe portata a Caserta. Prima di raggiungerla per visitare la famosa reggia, Shira si fermò nel vecchio borgo medioevale di Caserta vecchia, la quale fu edificata sulle rovine di alcuni templi dedicati a Giove, a Diana ed a Venere e di altre costruzioni romane dell'età imperiale. L'attuale capoluogo di provincia nacque intorno al XVIII secolo intorno alla reggia dei Borboni, una delle più importanti opere architettoniche che vanti l'Italia. La reggia di Caserta assomiglia al palazzo di Versailles in Francia, con un magnifico parco che si estende per più di tre chilometri, ricco di fontane e statue sullo sfondo di una deliziosa cascata artificiale. La reggia è divisa in tanti appartamenti, con numerose finestre che si affacciano sui giardini e saloni lussureggianti. Ormai Shira era alla fine del suo lungo percorso nella regione Campania. C'era ancora molto da visitare, ma oramai era tempo di rientrare... L'indomani comunque decise di visitare dei piccoli paesi del Vallo Diano, la valle intensamente coltivata e bonificata, percorsa dal fiume Tanagro, che fa da margine orientale del Cilento. Shira andò a visitare un paese, il cui nome era Padula, dove sorge il complesso monumentale della Certosa di san Lorenzo. Fu uno degli istituti religiosi più importanti dell'Italia meridionale ed è uno dei monumenti più insigni dell'architettura barocca italiana. Da Padula si spostò a Teggiano, sulla cima del colle alle pendici del monte Cervati, paese ricco di monumenti e di motivi di interesse, tra i quali un Museo delle arti e delle tradizioni popolari. Infatti nel mese di agosto ricorre una festa medioevale, in onore della principessa Costanza: arti e mestieri, giochi e manifestazioni dell'epoca la fanno da padrone! Nel viaggio di ritorno all'isola di Vulcano, si fermò a Benevento, la più notevole città dell'entroterra campano. Di fondazione sannita, nel III secolo a. C. Roma vi fondò una colonia e divenne poi municipio; i Longobardi vi stabilirono la capitale di un'importante ducato. Famoso è l'arco di Traiano, che alcuni considerano il più bell'arco di trionfo rimasto dall'epoca romana. Shira dunque si recò alla stazione con i suoi bagagli e in più portava con sé "uno zaino culturale molto interessante"... Ivan Di Leva L’AVVENTURA DI SHIRA…in Puglia!
Arrivata in Puglia, Shira era curiosissima e voleva visitare tanti luoghi. Per prima cosa scese dalla nave e subito fece una foto al paesaggio per portarla ai suoi amici, che l’aspettavano con grande gioia. Successivamente Shira iniziò ad incamminarsi senza sapere dove stava andando: con stupore guardava quanto la circondava e intanto scattava qualche foto. Ad un certo punto dovette andare in bagno, perché non ce la faceva più, però non sapeva dove dirigersi: e se poi si fosse persa, come sarebbe riuscita a tornare dai suoi amici?? Shira corse il rischio, andò velocemente dietro ad un cespuglio e, mentre faceva i suoi bisognini, guardò attentamente attraverso un buco enorme e vide che lì c’erano altre pecore che festeggiavano il Carnevale con vari costumi. La pecora voleva anche lei partecipare, però non aveva il costume e quindi cercò di inventare qualcosa per costruirselo: prese foglie, legnetti e tirò via da tre cestini gli elastici verdi che tenevano i sacchetti, quelli dell’immondizia s’intende. Una volta pronto il vestito, lo indossò ed andò dentro il recinto senza problemi. Un pecorone vide subito questa pecora che cercava di orientarsi e le disse: “Hai bisogno di aiuto??” E la pecora rispose: “Sì, sono in cerca di avventure, io arrivo da Milazzo!” Il pecorone ed essa fecero subito amicizia, il maschio la fece subito allontanare da quella festa e la portò in Piazza Bari, perché giustamente erano a Bari, cioè il capoluogo della regione. La nave del resto non si fermava su, ma giù, cioè quel giorno si fermava a Bari. Insieme andarono in un piccolo paese, che si chiamava Minervino Murge, il paese in cui era nato il padre dell’alunna Giada, allieva della figlia di nonna Felicia. Shira era molto affascinata da questo piccolo paesino e fece una foto. Lì essa passò un po’ del suo tempo, diciamo che vi rimase fino a sera, perché il pecorone aveva un piccolo accampamento. Lei ne approfittò per esplorare questo luogo, perché tanto non poteva perdersi: era davvero troppo piccolo! Il pecorone però non aveva avuto tempo di chiederle come si chiamava e quindi glielo chiese subito prima che se ne andasse a fare un giro. Dunque domandò a Shira: “Ma come ti chiami?” ed essa rispose: “Shira e tu?” “Yellow, perché ho il pelo un po’ giallo!” La pecora nella sua mente pensava che era bello il suo nome e… anche lui!!! Chiese pertanto se voleva viaggiare per farle un po’ di compagnia; lui accettò senza esitare, perché sotto sotto gli piaceva Shira e, visto che l’indomani sarebbe stato San Valentino, decise di chiederle se si volevano mettere insieme. Ovviamente lui era dolce, quindi pensò anche di portarle dei fiori e dei cioccolatini a forma di cuore con scritto sopra: ”TI AMO!!!” La pecora iniziò ad incamminarsi insieme a Yellow e Shira pensò subito che era un pecorone per bene, molto gentile e molto dolce dal muso, almeno pensava, però non era certa che fosse così. Il maschione iniziò a parlare delle acque interne, Shira ascoltava attentamente quanto diceva. Disse che la Puglia è una regione molto povera di acqua, con alcune eccezioni nel Nord e attorno a Bari. L’ambiente e il clima invece sono mediterranei: l’estate è cioè secca e caldissima, l’inverno mite. La Puglia infatti è la regione meno piovosa d’Italia e lunga è la siccità estiva. Shira, intanto che l’amico parlava, osservava il paesaggio davanti a lei e prendeva appunti. Yellow disse anche che le zone più industrializzate (le aree metropolitane di Bari, Brindisi e Taranto) soffrono di un diffuso inquinamento, ma che in altre aree i danni all’ambiente sono fortunatamente minori. Infine aggiunse ancora una cosa sull’ambiente: l’area protetta più estesa è il Parco Nazionale del Gargano, che comprende anche la foresta Umbra. Shira gli chiese di che cosa fosse ricca quest’ultima e Yellow rispose che è ricca di faggi, lecci, querce e pini marittimi e che è rara la quercia di sughero e aggiunse che la pianura più estesa è il Tavoliere. La pecora era curiosa e voleva sapere di più, quindi gli chiese di parlare di altre cose. Esso, senza esitare, iniziò a raccontarle altre curiosità sulla regione, del tipo: la Puglia è la regione più orientale d’Italia: poche decine di kilometri la separano infatti dalla penisola Balcanica! Il territorio pugliese è in gran parte pianeggiante e di natura calcarea. E poi era anche la terra dei trulli, caratteristiche e antiche abitazioni di forma circolare con il tetto conico. Essa pregò di parlarle di Bari, di Lecce e di cosa produce la Puglia. Yellow accettò e disse che, dopo averle spiegato quelle cose, era meglio andare a dormire, perché iniziava a fare molto freddo e anche molto buio; quindi dovevano tornare a casa per mangiare qualcosa e dormire sulla paglia. Dunque Yellow iniziò a spiegarle che Bari, il capoluogo pugliese, è la quarta città del mezzogiorno per numero di abitanti. Invece Lecce è detta “La Firenze del Sud” per la bellezza del suo patrimonio architettonico. La Puglia è il maggior produttore italiano di uva e uno dei maggiori di frumento, olive, legumi e ortaggi. Shira disse che poteva bastare: aveva raccolto tante informazioni e quindi potevano tornare a casa, perché adesso aveva un po’ di fame e tanto sonno! Tornati a casa, mangiarono pane e vino, perché era quello che si mangiava di sera e con l’aggiunta di abbondante peperoncino, perché il pecorone ne andava matto. Infine erano tutti e due stanchissimi e decisero di andare a dormire, però Shira, anche se aveva sonno, volle restare sveglia per guardare le stelle e a quelle stelle fece una foto, perché quella sera erano bellissime e molto luminose. Dopo un po’ anche Shira crollò e si mise a dormire, in modo che l’indomani potesse svegliarsi con energia sufficiente per affrontare la nuova giornata. Una volta sveglia, il pecorone le portò la colazione “in camera”: Shira era molto stupita, perché nessuno aveva mai fatto tutto questo per lei. Mangiò in abbondanza, ma si rattristò al pensiero che alla sera sarebbe dovuta partire: lo disse a Yellow, dal momento che doveva tornare dai suoi amici. Yellow disse che quella giornata dovevano passarla stupendamente e si dovevano divertire tantissimo; Yellow capì anche che si doveva sbrigare a chiedere a quella bellissima pecora di mettersi insieme a lui. Ad un certo punto Shira, prima di uscire di casa, gridò: “E’ San Valentino, la festa degli innamorati!!!” Il pecorone ne approfittò e le disse che a fine giornata avrebbe dovuto chiederle una cosa; la pecora gli rispose che andava benissimo, però adesso era ora di andare a divertirsi. Yellow accettò e per prima cosa andarono al parco skate per pecore, perché Shira era molto appassionata di skate e anche il pecorone. Arrivati lì, chiesero due skate in prestito, glieli diedero e iniziarono ad andare sulle rampe a fare numeri. Dopo un po’ era stanchi e allora decisero di andare sulle giostre che erano di fianco. Arrivati, salirono sulle montagne russe e si divertirono tantissimo: urlavano a squarciagola!! Shira però non era stanca e volle andare sugli autoscontri: seduti, iniziarono a scontrarsi con tutti senza mai fermarsi, poi scesero ubriachi dal ridere e cominciarono ad andare contro tutti perché erano pazzi. Infine si sedettero su una panchina stanchissimi e assetati; essa chiese se poteva andare a prenderle qualcosa da bere, qualunque cosa. Yellow disse subito di sì e andò a prendere due Peco‐Peco; il coccodrillo che stava al bancone gli disse che in tutto erano due euro. Yellow pagò le bibite e le portò a Shira. Era quasi finita la giornata e Yellow decise di chiederglielo… Si fece un po’ di coraggio e le disse: “Oggi è San Valentino, io vorrei chiederti se vuoi metterti con me: io ti amo tanto!!” Dopodiché tirò fuori i fiori ed anche i cioccolatini. Shira, molto stupita, disse: “Sì, lo voglio, sei troppo tenero, dolce e gentile e poi sei anche simpatico!!!” Però Shira diventò subito triste, perché doveva partire e non sapeva cosa fare, non poteva di certo abbandonarlo lì. Shira disse: “Vuoi partire con me per Milazzo??” e Yellow rispose: “Sì, vengo volentieri!” Shira e Yellow decisero di tornare a casa a fare i bagagli: del resto Shira non poteva visitare tutta la Puglia! Arrivati a casa, Shira fece velocemente i bagagli e mise anche la macchina fotografica, però, prima di chiudere la valigia, volle riguardare le foto di quella giornata, quando erano fuori a divertirsi; le osservò a lungo una per una felicemente. Senza neanche accorgersene arrivò subito sera, Shira doveva ripartire per Milazzo e quindi insieme si incamminarono verso il porto tenendosi per la zampa... Arrivati, Shira approfittò per entrare di nascosto nella nave, perché una signora stava parlando con gli addetti chiedendo delle informazioni. Una volta saliti sulla nave, aspettarono la fermata per Milazzo per poi scendere lì. Shira era ansiosa di ritornare dai suoi amici per far vedere loro le foto e spiegare tutto quanto Yellow aveva spiegato a lei!
Giada Orecchia
SHIRA IN MOLISE
Shira un giorno decise di andare ad Isernia; mentre si recava in città, si
fermò ad ammirare il magnifico paesaggio, ma, nel farlo rimase, attonita
a guardare le montagne molisane e non volle più andare ad Isernia,
decise di fare prima una scalata sull'Appennino Sannita, sui monti della
Meta e sui monti del Matese, che superano i 2000 metri di altitudine.
Dalla cima dei monti vide che il paesaggio verso il mare era decisamente
più arido e collinare con il suo aspetto molto brullo, mentre il suolo era
argilloso, franoso e solcato da numerosi calanchi.
Shira prima di giungere in Molise si era documentata sulle bellezze della
regione e a quella vista si ricordò che i suoi corsi d'acqua hanno un regime
torrentizio: ricchi d'acqua in primavera, i principali infatti sono quasi
asciutti in estate e in autunno ed i più importanti sono il Trigno e il
Biferno. Dai monti della Meta nasce invece il Volturno, che scorre in
Molise e in un piccolo pezzo della Campania (sfocia poi nel Mar Tirreno).
Aveva letto inoltre che il clima è continentale nelle valli interne, con
frequenti piogge e nevicate invernali in montagna e scarse piogge in
estate. Sulla costa, spesso battuta dai venti meridionali, gli inverni sono
miti e le estati molto calde.
Shira posò lo sguardo su quel paesaggio pressoché incontaminato e
disseminato
di
piccoli
paesi
arroccati
sui
colli.
La
scarsa
industrializzazione, la mancanza di grandi centri urbani e il ridotto
sviluppo turistico ha portato infatti ad un limitato degrado ambientale.
Oltre ad una sezione del Parco Nazionale d'Abruzzo, le poche aree
protette comprendono alcune piccole riserve dove sopravvivono lembi di
boschi che anticamente ricoprivano il territorio. E lei ora, incantata dalla
bellezza di quella regione, decise di girarla tutta, ma, nella completa
indecisione su dove andare, trovò un piccolo gregge e chiese informazioni.
Le pecore non le seppero dar risposta, ma lei perseverante non si fermò e
incontrò un cerbiatto a cui chiese: <<Scusa! Non è che sai la strada per
Campobasso??>>
E lui rispose: <<Sì, io e mio padre dobbiamo andarci a trovare dei
parenti.>>
E così tutti e tre si avviarono. Passarono per Capracotta, Pietrabbondante
e Triveneto e così via fino a Termoli.
Lei non sapeva dove si trovava e, tutta spaventata, iniziò a piangere, ma
poco dopo passò di lì un cavallo che gentilmente le chiese: <<Perché una
bella pecorella così carina come te è tutta sola?>>
Lei rispose: <<Due mascalzoni mi hanno fregato e mi hanno portato fino a
Termoli, mentre io volevo arrivare fino a Campobasso!!>>
Il cavallo cercò di incoraggiarla dicendole: <<Dai, non fare così! Il mondo è
pieno di “gente” del genere: non te la prendere!!>>
Shira venne allora accompagnata dal cavallo, che era molto anziano e
dunque molto saggio, fino a Campobasso; durante il viaggio però si
fermarono a mangiare qualcosa insieme: lui le offrì della biada, lei molto
lusingata accettò senza pensarci più di una volta e il cavallo, compiaciuto,
la osservò mangiare con molto gusto. Poi le chiese se voleva per caso del
fieno o del latte appena munto e lei, senza fare complimenti, accettò.
Dopo l'abbondante abbuffata ripartirono: con il cavallo c'era anche un
cane; il cavallo si chiamava Humber e il cane Zara. Il primo era un
bellissimo mustang beige con la criniera e la coda nere corvino, il cane un
bellissimo pastore tedesco.
Essi accompagnarono la pecora fino a Campobasso, che è il capoluogo
regionale situato a settecento metri di altitudine in posizione dominante
la valle del Biferno. Lì dovettero salutarsi, ma il cane disse: <<Ehi, perché
non restiamo con te? …Sai, per la tua protezione.>>
La pecora acconsentì e poi tutti e tre decisero di andare a fare un bagno
nel mare Adriatico. Nessuno resistette alla tentazione, così tornarono
nella zona di Termoli e si fermarono nella bella città di Campomarino, noto
centro turistico e balneare, in cui si concedettero una meritata vacanza!.
Lucrezia Lanza
Un giorno Shira decise di partire per l’Abruzzo; per recarvisi attraversò lo Stretto di Messina, la Calabria, la Basilicata, la Campania e il Molise. Arrivata in Abruzzo, Shira, molto stanca a causa del lungo viaggio, andò su una collina nelle vicinanze a fare un riposino. Dopo alcune ore si svegliò e, finalmente riposata, ammirò il paesaggio montuoso intorno a lei, i prati verdi e gli alti alberi. Shira si domandò in quale parte dell’ Abruzzo si trovasse, ma non riuscì a capirlo; dall’altra parte della collina vide un gregge di pecore, allora pensò di andare da una di loro a chiedere dove si trovava. Dopo alcuni minuti era già là e le disse: ”Ciao, mi chiamo Shira, sono nuova del posto e non so dove sono: me lo puoi dire?” Subito l’altra pecora rispose in modo molto scortese: ”Sloggia cocca, qui sto mangiando io; non fartelo ripetere due volte, se no sono guai grossi!” E Shira di rimando: ”Ah sì?! Andrò a chiedere a qualche altra pecora molto più gentile ed educata di te!” Shira provò ad andare a chiedere ad un’altra pecora e le porse la stessa domanda che aveva fatto alla prima; questa, al contrario dell’ altra, le rispose: ”Siamo a Chieti, bella cittadina che sorge su un colle ai piedi della Maiella; mercato di prodotti agricoli, molto cresciuto negli ultimi decenni, soprattutto nel triangolo di territorio compreso tra Chieti stessa, Ortona e Pescara, ospita alcune industrie minori. La provincia vive di agricoltura, di attività industriali e di turismo. Fra i suoi centri vi sono Francavilla al mare, Ortona e Vasto, stazioni balneari, Lanciano, centro commerciale.” Shira ringraziò e se ne andò, avviandosi verso Pescara. Strada facendo, lesse in un depliant turistico che era “…Animata città sul litorale adriatico e l’unico capoluogo abruzzese sul mare; sorge nei pressi della foce del fiume omonimo. Ospita attività industriali e terziarie che si sono aggiunte a quelle, tradizionali, del commercio e della pesca. La sua crescita è stata favorita dal notevole sviluppo delle vie di comunicazione stradali e ferroviarie. Tra i centri della provincia ricordiamo Penne e Città Sant’Angelo a economia agricola.” Dopo la lettura le venne fame e sete, allora aguzzò la vista e vide che nelle vicinanze c’era un negozio che vendeva salumi, pane, pasta, pesce, patatine e molte altre cose buone da mangiare. Siccome però Shira non aveva un soldo con sé, cercò di pensare a un rimedio che le permettesse di mettere qualcosa sotto i denti; pensò, pensò e all’improvviso disse: “Ci sono! Posso sfidare il commerciante!” Allora Shira si diresse verso il negozio e disse al commerciante: “Buongiorno, visto che io non posso comprare niente, perché non ho soldi, facciamo una partita a scacchi? Se vinco io, mi dai da mangiare, invece se perdo tu fai quello che vuoi di me.” Il mercante accettò la sfida. Shira gli fece scacco matto in quattro mosse e gli disse: “Io ho vinto e adesso vorrei quello che mi spetta; questo scacco si chiama scacco del barbiere.” Di conseguenza il mercante rispose: “Tu hai vinto onestamente. Tieni da mangiare e prendi la mia bici, se vuoi. Buona fortuna per il tuo viaggio.” Grazie alla bici che il mercante le aveva donato, Shira arrivò a Pescara in due ore. Una volta lì, fece il bagno nel Mar Adriatico per il gran caldo; poi, dopo la nuotata rinfrescante, si mise un po’ sulla sdraio a riposare. Ad un certo punto cinque bambini le presero la bicicletta e dissero a Shira: “Se vuoi avere indietro la tua bicicletta, devi fare una partita a calcio contro di noi: se vinci tu, ti ridiamo la tua bicicletta più cinquanta euro, ma se vinciamo noi, ci teniamo la bicicletta e si arriva a tre gol.” Shira rispose: “Va bene, voi che squadra fate?” E i bambini: “Noi siamo la Juventus e tu?” “Io sono il Milan.” Shira partì con la palla, perché era da sola; un bambino entrò in scivolata: lei spostò la palla e lui le prese la zampa, l’arbitro fischiò il fallo ed era punizione. Shira allora posizionò la palla, prese un po’ di rincorsa e calciò un missile che andò sotto l’incrocio: realizzò un gol fantastico che la portò in vantaggio e il risultato divenne Milan uno, Juventus zero. Successivamente prese la palla uno dei bambini e tirò una cannonata che colpì la traversa e andò nella sua porta: si era fatto un autogol pazzesco e i suoi si domandarono come aveva fatto. Shira stava vincendo due a zero, quindi partì con la palla e fece la” veronica” in mezzo a due; un altro avversario le andò contro e lei gli fece il “sombrero”, poi l’ultimo avversario lo scartò facendogli il doppio passo. Egli aprì le gambe e Shira gli fece tunnel, si alzò la palla e fece una splendida rovesciata che prese palo, traversa, incrocio, palo… finché la palla non andò dentro! I bambini le fecero i complimenti per come giocava, le ridiedero la bicicletta più i cinquanta euro e le augurarono buona fortuna. Shira arrivò a Teramo, già importante terreno agricolo che, a seguito dello sviluppo economico degli ultimi decenni, ha subito notevoli trasformazioni, anche urbanistico‐edilizie. La città oggi ospita varie attività industriali ( prodotti dolciari, pastifici, materiali da costruzioni ); possiede anche belle chiese ed un antico teatro romano. In provincia il centro più importante è Giulianova, cittadina balneare dotata di un caratteristico porto peschereccio, che la pecora si ripromise di visitare quanto prima. Giunse di sera, quand’era tutto buio perché, siccome aveva giocato la partita di calcio, aveva perso tempo; era spaventata, non vedeva niente, ma ad un certo punto vide una luce: Shira allora, presa dalla curiosità, andò a vedere cosa c’era di tanto misterioso. Incontrò un uomo e gli chiese: “Ma che cosa sta succedendo?” E lui: “E’ una festa! Tu che sei una pecora, che cosa ci fai qui?” Shira rispose: “Mi diverto un po’ e poi parto per l’Aquila. Se a te va bene, ci possiamo divertire insieme e poi partiamo tutti e due: cosa ne pensi?” “Sì, va bene.” “Io mi chiamo Shira, e tu?” “Io mi chiamo Peter.” Shira e Peter si divertirono come matti, fecero un torneo a ping‐pong e arrivarono primi, si concessero un bagno in piscina, ballarono e cantarono il rap. La mattina dopo Peter e Shira visitarono il Gran Sasso d’Italia (il cui Corno Grande è la vetta più alta dell’Appennino: duemilanovecentododici metri!) e dopo due ore arrivarono a L’Aquila, capoluogo regionale, situato nella conca omonima sulla sponda sinistra del fiume Aterno. Peter lesse alcune informazioni storiche sulla città: .”…Fondata dall’imperatore Federico II di Svevia, si sviluppò rapidamente diventando il secondo centro economico‐culturale del regno di Napoli. La città ospita bei monumenti, tra cui la chiesa di Santa Maria di Colle Maggio, il duomo, il castello spagnolo e la fontana delle 99 Cannelle. Dotata di varie industrie, la città è sede di università. Tra i centri della provincia: Avezzano, presso la Conca del Fucino e Sulmona.” Quindi si aggiunsero ad un gruppo di turisti e visitarono quanto di bello c’era da vedere; poi, finita la gita, Shira disse: “Questa è l’ avventura più bella che abbia mai vissuto in tutta la mia vita!” Raffaele Capobianco SHIRA IN LAZIO
Shira, dopo tanti ripensamenti, alla fine decise di andare in Lazio con il prossimo traghetto per vedere il suo capoluogo, Roma. Dopo ore e ore di navigazione, arrivo' sulle coste della regione nella zona di Civitavecchia, si guardò un attimo intorno e vide grandi industrie e strutture commerciali. Lei era molto stanca, così si riposò su una panchina e dopo un po' si rialzò. Shira, mentre camminava, incontro' casualmente una sua cara amica di nome Merry: anche questa pecora era in vacanza e voleva visitare la capitale italiana, Roma appunto, di cui aveva tanto sentito parlare dalle sue amiche. Shira e Merry alla fine decisero di fare il viaggio insieme. Per andare a Roma dovevano prendere il treno, ma non c'erano più posti; per fortuna Merry conosceva il capo della stazione ferroviaria e così riuscì a procurarseli. Dopo un po’ finalmente arrivarono a Roma: Shira si guardò un attimo intorno e si meravigliò della grande bellezza che la circondava! C'erano infatti grandi palazzi, strutture commerciali e anche strade, ferrovie e, poco piu' lontano, l'aeroporto di Fiumicino. Merry disse che doveva andare alla citta' del Vaticano, il più piccolo stato del mondo, situato nel territorio del comune di Roma e creato nel 1929. Non poteva non vedere i numerosi e bellissimi edifici che lo caratterizzavano: palazzi, basiliche e in particolare quella di San Pietro con la sua immensa piazza. Poi si sarebbero spostate fuori città, perche' aveva sentito dalle sue amiche che tra un po’ di giorni si sarebbe tenuta una gran festa a Marino. Finalmente arrivarono alla Citta' del Vaticano con un taxi, lì incontrarono un'altra pecora maschio di nome Marco: lui viveva in quel luogo e conosceva tutte le feste che si tenevano a Roma e dintorni. Dunque raccontò che la festa di Marino era legata al nome di un'antica storia; si teneva ad ottobre nella prima domenica del mese, aveva a che fare con l’uva (ed il vino) e veniva fatta una sfilata storica con una serie di quadri viventi in costumi cinquenteschi. Il mese era quello giusto e finalmente quel giorno arrivò; Shira vide un grande balcone e una grande tavola con altrettante grandi bottiglie di vino. La festa sarebbe iniziata tra pochi minuti e Shira e Merry erano agitatissime, mentre Marco no, perche’ non era la prima volta che assisteva ad una festa del genere. Dopo pochi minuti iniziò la sfilata e le persone incominciarono ad aumentare. Sul balcone iniziarono ad uscire persone vestite stranamente e Shira non aveva mai visto dei vestiti come questi e si meravigliò molto, anzi, con il passare dei minuti i vestiti cominciarono a diventare sempre più strani! Alla fine della sfilata, quando era ormai sera, tutti presero dal grande tavolo un bicchiere di vino; anche Shira, Merry e Marco presero dei bicchieri di vino, furono tutti ubriachi, così loro due dormirono nella casa di Marco, che era vicina. Nel secondo giorno Shira parlò con Merry e Marco e decise di andare via dal Lazio di lì ad una settimana. Negli ultimi giorni di permanenza visitarono molti luoghi, tra cui il Campidoglio, l’Aventino ed il Celio, dove sorgevano i più grandi monumenti dell’epoca antica; loro videro tra gli altri il Colosseo, il Foro Romano, la Basilica di Massenzio ed i Mercati Traianei. Poi visitarono il tratto pianeggiante fra i colli ed il fiume Tevere, dove si sviluppò la città rinascimentale e barocca. Shira era molto affascinata dai grandi palazzi che hanno lasciato i Romani! Videro per ultime le basiliche di San Maria Maggiore ed i palazzi Farnese e nell’ultimo giorno essa volle vedere anche la Grande Moschea. Alla fine del viaggio Shira salutò con riconoscenza Merry e Marco: lei si era divertita tantissimo, aveva visto bellissimi palazzi e monumenti che non avrebbe mai dimenticato, ma soprattutto era pronta a visitare nuovi luoghi nelle altre regioni d’Italia! Ivana Xia
Shira in Umbria
Shira prese il traghetto che l’avrebbe portata dall’ Abruzzo in vacanza dalle sue amiche in Umbria, passando attraverso le Marche. Sul traghetto incontrò una pecora di nome Grey: diventarono amici, anzi quasi fidanzati. Shira, attraversando il mare con il traghetto, vide su una guida turistica che l’Umbria era lontana dal mare e aveva un clima continentale, con temperatura calda d’estate; Grey le disse però che era fredda d’inverno. Una volta sbarcati, presero un pullman e, quando furono arrivati in Umbria, Shira e Grey scesero nella bella cittadina di Spoleto, famosa a livello internazionale per il festival dei ”Due Mondi”: qui videro i turisti con la loro guida, che parlava delle colture importanti della regione, cioè il frumento, il girasole, le barbabietole da zucchero e l’olivo. La guida inoltre precisò che l’Umbria era la regione meno estesa ed era anche l’unica dell’Italia priva di sbocchi al mare. Si avvicinarono per udire meglio e appresero che: “Il territorio è collinoso e montuoso: l’Appennino Umbro‐
Marchigiano infatti percorre la fascia orientale della regione ed ha le colline nei dintorni di Amelia; si può godere del magnifico panorama del Parco Nazionale dei Monti Sibillini e si possono gustare le famose lenticchie di Castelluccio, ma anche i salumi di Norcia. Invece l’industria è basata sugli stabilimenti siderurgici e meccanici. Nella regione si trovano inoltre il lago Trasimeno e la cascata delle Marmore…” Dopo, Shira e Grey presero il taxi per arrivare dove le amiche di Shira avevano detto che abitavano, cioè a Todi. Rimasero meravigliate dal piccolo, ma suggestivo borgo vecchio della cittadina, con i suoi edifici ed i resti di mura di epoca medievale. Quando arrivarono, là vicino trovarono una cabina telefonica da dove chiamarono le amiche. Poi esse andarono da loro a far vedere dove era la casa. Shira salutò le sue amiche e presentò loro Grey. Le amiche chiesero a Grey se era venuto da qualcuno e lui rispose che era venuto in vacanza. Allora gli proposero di stare con loro e lui accettò volentieri. Quando furono arrivate a casa, tutte le pecore mangiarono qualcosa prima di uscire per vedere com’era l’Umbria. Si divertirono a girare tra vicoli, vicoletti, scale, archi, spiazzi su cui si aprivano piccole chiese, vedute sulla valle e suggestive porte, come la medievale Porta Perugina, chiusa fra mura e torri… Il giorno successivo, dopo che ebbero finito di mangiare, le amiche suggerirono di andare a visitare l’antica abbazia dei Santi Severo e Martirio ad Orvieto, trasformata in albergo e ristorante. Shira, Grey e le amiche presero il taxi per andare. Quando arrivarono, videro molte cose interessanti, perché l’Umbria è ricca di posti d’arte, parchi di divertimento, centri termali, aree turistiche, centri di interesse religioso. Shira e le sue amiche, dopo aver finito di visitare il posto, affamate decisero di pranzare in un ristorante tipico. Per primo ordinarono zuppa di farro e gnocchi alle erbe, di secondo i fegatelli e come terzo piatto la crostata la frutta. Proseguirono la visita nel centro storico, dove poterono ammirare il Duomo con le sue alte e aguzze cuspidi dorate di stile gotico, le torri civiche; passeggiarono per via Ripa Medici, da cui era possibile ammirare la vista delle mura strapiombanti ed il panorama sulle valli circostanti… Non mancarono di soffermarsi nei vari negozi di vino, olio, funghi, tartufi e soprattutto di ceramiche. Seppero inoltre dell’esistenza di una città nel sottosuolo con le sue numerose grotte: cantine, cave, gallerie, pozzi in cui si divertirono a girovagare col rischio di perdersi! Dopo che ebbero finito la visita, presero il pullman turistico per tornare a casa. Arrivate a destinazione tardi e stanche, le pecore si misero a cenare e si addormentarono. Il mattino dopo si svegliarono e, poco dopo, fecero colazione. Dopo un po’ un amico telefonò a Grey e gli chiese di andarlo a trovare nell’albergo Astor di piazza Vittorio Veneto, al numero civico 1. Dopo la chiamata, Grey disse a Shira e alle sue amiche se volevano andare con lui. Visto che non avevano niente da fare, accettarono. Shira, Grey e le sue amiche camminarono non più di cinque minuti per arrivare, perché tanto non era lontano. Quando Grey, Shira e le sue amiche furono arrivati dall’amico, si salutarono e Grey lo presentò loro. Grey chiese se il suo amico poteva stare con loro e, alla fine, erano d’accordo tutte. Allora le pecore lo chiesero all’amico e lui accettò. Egli quindi fece i bagagli e li portò a casa; poi uscirono tutti insieme a fare una passeggiata e a mangiare il gelato, ripromettendosi di pianificare la prossima gita: Perugia, capoluogo regionale con i suoi bei monumenti e Assisi, uno dei massimi centri del turismo religioso italiano e del mondo, li attendevano! Maroua Rafik
Shira si fa un giro nelle Marche
di Sharon De Pasquale
A Shira, stanca dell'inverno ormai passato, venne in mente di farsi un
giretto nelle MARCHE. Infatti era venuta per caso a conoscenza da un
amico di Giuseppina, che era stato in vacanza nella regione, del fatto che
vi erano molti luoghi degni di essere visti: egli aveva visitato il Museo di
Rievocazione Storica e ancora Cagli e infine Sassocorvaro, la cui rocca
ubaldinesca racchiude il nuovo museo dedicato alle opere d’arte in pericolo
e denominato per questo “Arca dell’Arte”. Shira promise a se stessa che,
non appena arrivata, l'avrebbe visitato…
Il giorno della partenza era giunto ed ora, mentre si incamminava da
Milazzo, dove era sbarcata, per cercare una persona che le desse
un'informazione, trovò per terra una carta geografica: la seguì
perfettamente e così si trovò nel punto giusto, cioè alla stazione di
Messina.
Vide un palo su cui era montato un cartello che indicava gli orari dei treni:
dopo pochi minuti passò il suo e ci salì sopra e in questo modo partì per
Catania, dove intendeva prendere l'aereo che l’avrebbe portata ad
Ancona.
Dopo due ore di viaggio arrivò alla meta e chiese informazioni ad un cane
che passava di lì. "Beee, mi scusi, signor cane, beee, mi potrebbe dire
dov’è la strada per l’aeroporto? Beee."
Lui le rispose: "Bau... Sì, lo so dove si va: ora glielo spiego!” E il cane con
molta precisione e gentilezza diede alla pecora tutte le indicazioni
necessarie.
Shira allora aggiunse: "Beee... la ringrazio, signor cane, arrivederci!
Beee!!".
La pecora andò all’ aeroporto e, per entrare nell’aereo, si nascose nella
stiva dove stanno alloggiate le valigie; in verità ci stette molto comoda e
passò il viaggio in tutta tranquillità.
Finalmente arrivò nelle Marche: Shira, appena ebbe visto la regione, si
ricordò che aveva sentito parlare Giuseppina e Felicia di un buonissimo
ristorante di nome "Speedy tagliatella". La pecora quindi chiese subito ad
un gatto di passaggio e disse: "Mi scusi, signor gatto, mi può dire dov’è il
ristorante "Speedy tagliatella?"
Il gatto rispose: " Miao, certo che so dov’è, è dall'altro lato della
strada.”
La pecora ringraziò il gatto e andò al ristorante. Qui Shira era davvero
imbarazzata per l’ampia scelta; c'erano: salsicce, tagliatelle al sugo di
cinghiale, panzanella e tante altre delizie. Scelse le panzanelle, perché le
piacevano molto; si saziò, poi pagò il conto e se ne andò.
Shira a questo punto pensò di individuare qualcuno che potesse farle da
guida turistica; quindi cercò notizie in giro e dopo un po’ di tempo trovò
un’umana che si chiamava Antonella. La pecora ed Antonella erano in
difficoltà, perché non riuscivano a capirsi, ma ugualmente, per simpatia
reciproca, andarono in molti posti: ci andarono con un taxi e pagò tutto
Antonella.
Si soffermarono per esempio a Fabriano ed Antonella spiegò che la
cittadina ebbe origine da due castelli feudali posti a poca distanza l'uno
dall'altro presso la riva destra del fiume, detto allora Castellano, su due
alture separate da uno stretto avvallamento. Shira si fece accompagnare
anche nello splendido museo della carta, di cui poté ammirare le varie fasi
storiche di lavorazione e non trascurò di osservare alcune delle industrie
dove ancora oggi si fabbrica il prezioso materiale.
Poi andarono a visitare l'Imperiale di Pesaro e lo trovarono molto bello,
cinto com’era da solide mura di difesa; in verità esso sorge a circa
quattro chilometri da Pesaro, in posizione dominante sulla cima di una
delle alture che, correndo verso la costa, precipitano nel mare separando
la valle del Foglia da quella del Metauro.
Col caldo che faceva pensarono anche di andare a farsi un bel bagno
rinfrescante nel mar Adriatico e poi di farsi una scorpacciata di
tagliatelle al sugo di cinghiale! Così decisero di andare nel tratto di mare
antistante la bellissima spiaggia di Senigallia… E dopo questo rinfrescante
bagno decisero di visitare la città dalle antichissime origini e dal
carattere ospitale, famosa in tutta Europa appunto per la sua “spiaggia di
velluto”, ovvero dodici chilometri di sabbia candida e finissima!
Un giorno tuttavia successe che Antonella comunicò all’amica che doveva
partire; Shira, disperata, la salutò con una lacrima sul muso, un beeeee di
dolore ed una leccatina affettuosa...
La pecora, ora sola, era in cerca di una persona come Antonella che la
potesse accompagnare nelle sue avventure; cercando e chiedendo in tutte
le Marche, trovò finalmente una simpaticissima ragazza di nome Caterina
disposta ad accompagnarla nel suo viaggio e così decisero di andare alla
festa del Palio dell'oca a Pesaro, dove si divertirono molto.
Poi a Shira venne in mente di visitare la famosa Rocca di Sassocorvaro,
che fu una delle prime opere progettate dal grande architetto Francesco
di Giorgio Martini, a cui si devono anche la ristrutturazione del Forte di
San Leo, dove fu rinchiuso il conte Cagliostro e del Palazzo Ducale di
Urbino.
La caratteristica fondamentale della Rocca è di essere stata la prima
fortezza progettata in Italia per resistere ai colpi delle prime bombarde
o cannoni. Con tanti “Beeee e beeeeeeeee...!!!” di meraviglia, visitarono
l'interno della Rocca, in cui si trova un po' di tutto: un piccolo teatro, una
pinacoteca, il museo della civiltà contadina… Ad un certo punto sentirono
un languorino allo stomaco e, visto che c'era una paninoteca nei dintorni,
decisero di mangiarsi un bel panino: era così buono che Shira continuava a
leccarsi i baffi e allora Caterina gliene prese un altro e la pecora con un
sonoro “beeeee” ed una leccatina la ringraziò.
Però un giorno anche Caterina dovette partire, ma non volle abbandonare
Shira e quindi chiese a sua madre se poteva adottarla; la donna rimase
un po’ a pensare, ma poi decise di fare la scelta giusta, cioè di adottarla.
Caterina in quel momento fece un salto di gioia con Shira.
Poco dopo partirono insieme per l'isola di Vulcano, che Caterina non aveva
mai visto e Shira fu felice di farle a sua volta da guida turistica.
Fu felice anche quando incontrò di nuovo Giuseppina e Felicia e la pecora
fece in modo che si conoscessero la sua nuova famiglia e le due donne che
per tanto tempo l’avevano accudita con amore.
Poiché la nuova famiglia di Shira non aveva una casa e siccome a
Giuseppina e Felicia Shira era mancata moltissimo, pensarono di abitare
tutti insieme… e fu così che finì la felice vacanza di Shira! Insomma…
…E VISSERO TUTTI … FELICI E CONTENTI!!!
SHIRA IN TOSCANA
Shira, dopo essere passata dalle regioni del Sud, arriva al Centro e, con l’aiuto di una barca, va sull’isola d’Elba, ma compie tutto di nascosto. Appena arriva, ha una fame che non ce la fa più, allora si dirige in un frutteto dove trova: albicocche, angurie e pesche, insomma tanti tipi di frutta; lei, indecisa su quale frutto prendere, raccoglie un po’ di tutto e va a mettersi in un grande prato. Dopo aver mangiato, si fa una bella dormita e al suo risveglio trova uno zainetto: incuriosita lo apre e scopre che dentro ci sono due panini, una cartina e una bottiglietta d’acqua (proprio quello che le serviva!), allora se lo mette in spalla e parte. Prima di tutto apre la cartina, non avendo ancora visitato le isole circostanti. All’inizio va a vedere l’isola di Giannutri, dopo l’isola del Giglio, l’isola di Montecristo, l’isola di Gorgona e infine l’isola di Capraia, dove resta più tempo, perché è il cuore dell’arcipelago, un vero gioiello incastonato nel mare. Shira, impressionata dall’isola, va a sbattere sbadatamente contro un albero e sviene. Dopo qualche tempo, si trova di nuovo sull’isola d’Elba, a Portoferraio, dove incontra una gattina a cui chiede: “Scusa, sei stata tu a portarmi qui?” E la gattina: “Sì, sono stata io con i miei amici: ti ho vista svenuta, allora ho pensato che avevi bisogno d’aiuto!” E Shira: “Ti ringrazio di cuore, ma ora devo ripartire, ciao!” Esaminando con cura il porto, si intrufola dentro un'imbarcazione che sta partendo per Populonia. Dopo essere arrivata, dalla sfrenata gioia va subito al Parco Archeologico di Baratti e Populonia, che si estende dal promontorio di Piombino fino al Golfo di Baratti. Shira, dopo essere uscita, estasiata dal luogo, è felicissima, perché ha finito la sua prima tappa. La sua seconda tappa è Piombino, ma non ha idea di come ci si arrivi; ad un tratto passa un autobus e la pecora, con sua somma fortuna, vede la scritta:“ Fermata a Piombino”. La pecora prende al volo questa occasione e salta velocemente sul mezzo. Una volta rrivata a Piombino scende e di impulso acquista un gelato presso la gelateria più vicina, per rinfrescarsi le idee; intanto fa una bella passeggiata e ne approfitta per vedere il Museo Archeologico della città. Dopo un po’ di tempo si stanca di vederlo, allora si dirige verso San Vincenzo, da dove raggiunge Campiglia Marittima, una cittadina dal caratteristico aspetto medievale, con tanto di Palazzo Pretorio, l’antica Rocca e la Piccola Pieve (praticamente una semplice chiesa di campagna). A poca distanza, Shira va a visitare il Parco Archeologico Minerario di San Silvestro, un vero e proprio “archivio” all’aperto. Shira, da San Silvestro, si sposta poi a Livorno. Un animale ad un certo punto si avvicina a Shira e, all’improvviso, le dice: “Qui, gli Etruschi fondarono un importantissimo insediamento abitativo, chiamato ancora oggi Costa degli Etruschi.” E l’animale, dopo aver detto queste cose, altrettanto improvvisamente sparisce. Shira vaga un po’ in giro e le sembra una città stupenda, affacciata sul mare e dice: “Questa è la città ideale!” Dopo aver girato in lungo e in largo va a Pisa e si ferma nella Piazza del Duomo, detta non a caso “Campo dei Miracoli” per la straordinaria bellezza dei suoi monumenti tutti costruiti in marmo bianco. Shira apre il suo zainetto: in una tasca trova fortuitamente una macchina fotografica e la tira fuori, facendo foto al Duomo e alla Torre; ad un certo punto però sente un rumorino alla pancia, allora estrae dallo zaino un panino e la bottiglietta d’acqua e si mette per terra a mangiare. Dopo aver gustato il panino, si dirige verso Lucca, città‐scrigno racchiusa fra possenti mura medievali rimaste intatte nei secoli. Shira, oltrepassate le mura dalla Porta di San Pietro, imbocca Via Vittorio Veneto, che la conduce nel centro della città, dove trova il monumento dedicato a Maria Luisa di Borbone, moglie di Napoleone Bonaparte. Qui la pecora trova la bicicletta di un bambino, che l’aveva dimenticata lì: era con le rotelle! Proprio adatta a lei! Allora Shira salta su e, pedala pedala, arriva a Massa, dove va a visitare la Rocca di epoca medievale e il maestoso Palazzo Ducale che osserva minuziosamente. Dopo aver girato un po’ qui e un po’ là, si dirige con la sua super‐bicicletta a Carrara, dove ammira l’antico Castello dei Malaspina trasformato in residenza signorile e affiancato dal Palazzo del Principe. Shira, non contenta, si mette sopra la bicicletta e parte per Pistoia, dirigendosi verso Piazza Gavinana. Attorno si ergono tre cerchia di poderose mura, costruite in periodi diversi, oltre le quali sorge la bella Chiesa di San Giovanni Fuorcivitas, chiamata così proprio perché costruita fuori dall’ultima cinta muraria e di epoca medievale. Dopo aver girato per la provincia di Pistoia, va a Prato, città ricca di monumenti, che documentano il suo prestigioso passato. Shira, avendo ancora fame, si dirige verso un banchetto dove vendono i cantucci, tipici biscotti di Prato croccanti e friabili, preparati con mandorle. Ancora con la sua biciclettina va ad Arezzo, dove non manca di vedere gli affreschi di Chiesa San Francesco, poi va a vedere i monumenti della Pieve di Santa Maria e l’elegante palazzo della Fraternita dei Laici. La pecora, instancabile, continua a pedalare, ma ad un tratto si rompono i pedali e allora porta la bicicletta da un meccanico degli animali, a cui chiede gentilmente: “Mi scusi, signore, può riparare la mia bicicletta?” E il signore: “Certo, è il mio lavoro! Ci vorrà un po’ di tempo però…” Shira, nascondendo la sua delusione, non può fare a meno di essere cortese e dice: “La ringrazio, comunque!” Se ne parte quindi alla volta di Siena, un viaggio lungo a piedi, ma con tutta la sua forza giunge di fronte alla Torre del Mangia, alta ottantotto metri; Shira sale su questa torre con i suoi cinquecento gradini e dopo si gode estasiata tutto il magnifico panorama che si può osservare da lassù! La pecora curiosa va a visitare anche il Museo Archeologico e d’ Arte della Maremma, che conserva interessanti reperti archeologici, preziose raccolte d’arte sacra, ceramiche, monete, antichi libri… Shira senza la sua bici è lenta, lenta, ma riesce ad arrivare a Firenze, dove ammira la Basilica di Santa Maria del Fiore e tutte le altre bellezze della città. Dopo quest’ultima visita pensa di aver girato per tutti i luoghi più significativi della Toscana e quindi decide di ripartire per le regioni del Nord: quanto le rimane da visitare? Shira non lo sa, ma non intende perdere nemmeno un minuto di più… e allora via e buona fortuna!!! Valentina Witri Shira in Emilia­Romagna Non appena Shira arrivò in Emilia Romagna, fu avvolta da un gran freddo: era inverno. Allora partì alla ricerca di un luogo in cui ripararsi: ”Ecco, quel ristorante è l’ideale!” pensò. Stava entrando quando… ”Chi ha portato quella pecora?!” domandò una donna: ”Via! Via! Vattene.” Con il muso triste la pecora se ne andò…quando le venne una “stramba” idea. Prese dalla valigia (che aveva dentro la pelliccia) il suo vestito più bello, quello rosso porpora, poi prese il suo cappello, quello rubato al venditore sulla nave per Milazzo, lo indossò ed indossò anche un paio di occhiali. Rientrando, nessuno le disse niente. “Desidera un tavolo?” chiese la donna che prima l’aveva scacciata: “Sì, grazie!” rispose la pecora camuffata da signora. La padrona la portò ad un tavolo sotto ad una finestra da dove l’animale poteva ammirare uno splendido panorama invernale. Stava nevicando e doveva fare un freddo là fuori! Più tardi arrivò la cameriera con il menù. Dopo averci dato un’occhiata, ordinò: salame di felino, gnocco fritto, una piadina e della mortadella. Una volta sazia, le venne un sonno terribile, pagò il conto e chiese se poteva restare lì fino a quando non avesse smesso di nevicare. La richiesta fu accolta. Così Shira si avvicinò ad un divanetto collocato nelle vicinanze su cui si adagiò e si addormentò. Risvegliatasi, le venne una gran voglia di visitare tutta l’Emilia Romagna, perché per lei era un luogo così nuovo, strano e bello. Osservò il paesaggio esterno e si accorse che la tempesta era finita. Uscita, si incamminò verso Bologna. Arrivata in città decise di salire sulla Torre degli Asinelli: era molto alta ed aveva delle finestre con grate: “Che strano luogo” pensò. Una volta all’interno si spaventò vedendo la lunghissima rampa che saliva sempre più su. Shira, siccome era una pecora coraggiosa, salì pian piano tutte le scale. Arrivata in cima era sfinita, ma la ricompensò il meraviglioso panorama: si vedeva quasi tutta Bologna! Tuttavia, non contenta del belvedere, salì anche sull’altra torre: la Garisenda, che, come venne a sapere in seguito, ha preso il nome da una nobile famiglia bolognese. Essa era ancora più alta! Arrivata alla fine anche di questa scalinata, non si stupì affatto… anzi si “strastupì”: si vedeva proprio tutta Bologna ed anche i dintorni. Intanto stava pensando di comprarsi una bella casetta a Bologna o da qualche parte lì vicino. Siccome ormai la “malattia” di visitare aveva preso il sopravvento, ricercò su depliant altri luoghi storici famosi. Vi trovò la Chiesa di Santo Stefano, situata nei pressi di Reggio Emilia. Chiamò un taxi e chiese all’autista di portarla appunto alla Chiesa di Santo Stefano. Purtroppo, quando arrivò, era ormai notte e quindi il luogo di culto era chiuso; allora si dovette accontentare di vederla dall’esterno: era fatta di mattoni cotti, aveva un gran campanile ed un rosone sopra il gigantesco portone. Stanca del viaggio, andò in un albergo situato nei pressi e, travestendosi nuovamente da signora, prenotò una camera, dove in breve si assopì. Il giorno dopo scese al bar per fare colazione. Al centro vi era un gran buffet con un mucchio di prelibatezze. Shira non ci pensò due volte a prendere i tortellini, un piatto che dicevano essere prelibato; insieme ci bevve un po’ di Lambrusco e per finire un po’ di latte. Finita la colazione, risalì in camera per fare le valigie. Uscita poco dopo dalla sua camera (sempre travestita), si diresse verso la hall, restituì le chiavi, pagò il conto e se ne andò. Fuori dall’hotel chiamò un taxi e chiese di essere portata dove vendevano auto, perché ne desiderava tanto una. L’autista, un po’ scosso e indeciso, la portò a Maranello, in provincia di Modena, dove c’è la famosa fabbrica delle Ferrari. Arrivata, si presentò davanti a lei un dipendente chiedendole: “Desidera qualcosa, signora?”. Shira per un attimo non rispose perché era troppo affascinata dal luogo, poi disse con un filo di voce: “Desideravo… acquistare una macchina!” “Bene. Le porto subito il catalogo” rispose lui. Un attimo dopo arrivò lo stesso ragazzo, appunto, con il catalogo. Shira lo sfogliò per un momento, poi indicò con la sua zampetta un’auto: una Ferrari 360 GTC. “Gliela porto subito!” fu la risposta. Dopo poco il venditore ritornò con l’auto che aveva ordinato. “Il totale è di 300.000 euro” disse lui, porgendo la mano, come se volesse tutti quei soldi. Sentendo che doveva pagare una cifra tale, la pecora afferrò le chiavi con balzo fulmineo, saltò sulla vettura, che poi mise in moto, scappando dalle “grinfie” di quel venditore. Continuò a viaggiare per ore senza sosta, fino a quando non arrivò a Ferrara, dove si fermò stanca. Guardò l’ora: erano le due del pomeriggio. Affamata, cercò un ristorante, ma erano ormai tutti chiusi, così si accontentò di mangiare il pane di Ferrara che aveva acquistato in una panetteria lì vicino. Mentre lo gustava, fu avvolta da un’atmosfera quasi marittima, anche se si era in pieno inverno. La città era tutta fatta di mattoni cotti, inoltre aveva ponti, case, negozi e canali piccoli e grandi. Il luogo non ha particolari musei o grandi ville, però gode del fatto di essere un bel posto in mezzo ai prati. Incuriosita iniziò a gironzolare per la città. Per Shira era un labirinto: c’erano vie, strade, scalinate, viuzze, canali… insomma era un luogo in cui ci si poteva perdere! Camminando, incontrò anche un cane a cui chiese: “Scusa, mi puoi dire da dove si esce? Sai mi sono persa” “Ma certo, basta che vada dritto, giri a destra, a sinistra, poi vada sempre dritto; quando trova una fontana, giri a destra, poi salga una scala, passi sul ponte che c’è dopo, poi si troverà davanti ad una gelateria; lì giri a destra, vada dritto ed infine giri ancora a destra e avrà trovato l’uscita! Capito?!” Shira, perplessa, lo superò senza nemmeno ringraziarlo e continuò a cercare da sola l’uscita. Dopo un paio d’ore non l’aveva ancora trovata. Così si accovacciò e si mise a riflettere. Ad un tratto passò una gatta. “Mi dici dov’è l’uscita?” E la gatta con una smorfia le rispose: ”Sto andando fuori città: se vuoi ti porto con me”. La pecora ed il micio si avviarono fuori dal quartiere. Uscite, il felino la salutò con aria sprezzante. L’animale riprese la sua Ferrari e si mise di nuovo al volante. Girando per boschi, strade e autostrade arrivò a Ravenna. Ormai era notte, faceva freddo; anziché cercarsi un albergo, fermò la macchina e si sdraiò sui due sedili dell’auto. Le ore passavano e lei non riusciva a dormire fino a quando…:”Ah!!! Arg!!! Mi lasci ?!” Un uomo, dopo aver forzato il finestrino, la stava tenendo per le zampe e un altro la minacciava con un coltello. “Scenda dall’auto” schiamazzò uno dei due uomini. Shira, sentendosi perduta, aprì la portiera e scese dalla vettura, che intanto i due malviventi stavano portando via. A piedi si mise alla ricerca di un angolino in cui riposare. Il giorno seguente la pecora si mise alla ricerca di un ristorante.”Eccolo là!!!” esultò non appena lo ebbe visto. Prima di entrare si assicurò di sembrare un umano e di non dare troppo nell’occhio. Si sedette ad un tavolo e fece l’ordinazione. Finito di mangiare, uscì per visitare il luogo. Gira a destra, gira a sinistra… trovò la basilica di San Vitale. “Ooooh” esclamò stupita dalla bellezza e dalla grandezza dell’interno. Aveva soffitti abbelliti da affreschi e pareti ornate da mosaici, pavimenti maestosi ed una cupola gigantesca. Non sapendo che, oltre ad un luogo di culto, era anche una specie di museo, si sedette sul “trono” dove una volta si metteva il sacerdote ed inoltre si mise anche a fare il bagno vestita nella fonte battesimale fino a quando…: ”Esca subito da lì” la rimproverò un custode. Spaventata iniziò a correre verso l’uscita fino a quando non fu sicura di non essere seguita. Sfinita dalla corsa, entrò nel Battistero Neoniano senza nemmeno accertarsi che nessuno la stesse guardando, quindi si svestì e si tuffò nella vasca al centro del battistero, mettendosi anche il bagnoschiuma addosso. Finito di lavarsi, si rivestì ed uscì. Mentre camminava per strada, sentì un signore pronunciare il nome “San Marino”. In quel momento Shira si ricordò di Marino, un suo caro amico, di cui non aveva più notizie da tempo. Pensando che fosse santo, andò ad informarsi per sapere dove trovarlo. All’ufficio informazioni le dissero: ”Ma non è un santo, è un luogo!” “Non fa niente, mi dica allora: dov’è questo luogo ?” “A San Marino” rispose l’addetto. La pecora, un’ altra volta perplessa, uscì dall’ufficio. Prese un taxi dicendo al taxista di portarla a San Marino. L’autista la prese per pazza, perché quel posto era troppo distante: ma d'altronde i taxisti sono pagati per questo. Superata la dogana, si sentì catapultare nel Medioevo, dato che era un luogo proprio di quell’epoca. Saltellando e canticchiando, era affascinata dal posto tipicamente d’ epoca. Tutta contenta decise di visitare un museo dell’armatura. Fatti i biglietti entrò ad ammirare gli antichi costumi. Poi, terminata la visita, esclamò: “Che luogo fantastico San Marino!!!” “Non si chiama San Marino, bensì Serenissima Repubblica di San Marino” la corresse un vecchio cane. “Lo Stato è nato tantissimo tempo fa” continuò lui “ed è considerato la più antica repubblica del mondo. Secondo la tradizione la nascita della città risale al tre settembre del 301 d.C., quando Marino, un tagliapietre fuggito dalle persecuzioni cristiane dell’imperatore Diocleziano, stabilì una mini‐comunità sul monte Titano. Inoltre abbiamo anche la più antica costituzione scritta in vigore. Durante il Medioevo San Marino sviluppò istituzioni di autogoverno che purtroppo si indebolirono a partire dal 1700, quando il potere venne preso dalle famiglie patrizie. Questo durò fino al 1906”. “Molto interessante, grazie della sua spiegazione!” esclamò Shira e se ne andò. Girando per la città giunse al mercato, dove distribuivano dei volantini che pubblicizzavano l’inaugurazione di un parco di divertimenti nelle vicinanze di Rimini. Proprio in quel momento stava passando un bus con scritto sul display: “Rimini”. Così la pecora pagò il biglietto e salì sul mezzo. Dopo poco tempo una voce annunciò: ”Fermata stazione di Rimini‐Rivabella!!! Vi consigliamo di andare nel parco dei divertimenti che hanno appena inaugurato!” A queste parole Shira si alzò di scatto ed uscì sgambettando. Appena acquistato il biglietto, si tuffò fra la folla per entrare. ”Provate la Valle della Morte!!! Fatevi leggere il futuro da Sarnaga la maga!!! Provate a conoscere Mago Merlino…nel suo castello!!!” incitavano gli animatori del parco facendo quasi a gara l’un con l’altro. Ce ne fu uno che in particolare attirò la sua attenzione, perché diceva di provare a salire sulla giostra dell’Apocalisse. Per non farsi sfuggire l’occasione, la pecora andò ad acquistare un biglietto speciale che consentiva di provare l’attrazione del parco. Finito il giro, si diresse verso il chiosco dove vendevano panini. “Un panino al prosciutto crudo con lattuga e formaggio” ordinò Shira. All’incirca un minuto dopo aveva il suo panino tra le zampe... Intanto che lo gustava, guardò gli annunci pubblicitari. Una locandina diceva che al teatro di Parma quella sera ci sarebbe stata l’Aida di Verdi. Attirata da quest’ opera lirica, chiamò subito un taxi ordinando di essere portata al teatro di Parma. Più tardi, mentre ascoltava l’opera, osservò minuziosamente nei particolari quello splendido teatro in stile. Finito lo spettacolo, Shira guadò l’ora: erano le ventitrè e trenta! Affascinata e ancora emozionata prese un altro taxi per ritornare a Rimini. Durante il viaggio la nostra amica si addormentò. Quando arrivò a destinazione ormai erano le cinque del mattino. Un po’ intontita dal sonno e dalla stanchezza pagò il taxista e si accovacciò su un marciapiede vicino al porto. “Uh, Uh” la nave stava partendo. Shira scattò e con una corsa da sportiva andò al molo mentre con un gran balzo saltò sul ponte. Mentre la nave si allontanava osservò il porto che aveva appena lasciato. In quell’istante le venne in mente il momento in cui aveva lasciato Vulcano. Poi si girò dalla parte opposta scrutando il cielo e poi ancora il mare senza sapere né chi avrebbe incontrato né cosa le avrebbe riservato il destino. Vittorio Ruschetta Il viaggio di Shira in Veneto
Shira dal battello vide un cartello con scritto “Venezia” e capì subito che era arrivata in
un'altra regione; allora prese la sua macchina fotografica e incominciò a scattare foto
per farle poi vedere ai suoi amici che l'attendevano in Sicilia. Arrivata dunque a
Venezia, si trovò in una piazza grandissima: piazza San Marco, una delle più belle
d'Italia.
Shira vide tutte le persone della città vestite in modo strano e che si buttavano
coriandoli e stelle filanti addosso. La pecora pensò subito che fosse Carnevale e infatti,
mentre camminava, ad un certo punto vide un cestino della spazzatura con dentro un
vestito di carnevale: approfittò dell'occasione per prenderlo e per festeggiare anche lei
il Carnevale, in modo che nessuno potesse accorgersi del fatto che era una pecora. Poi
incominciò a raccogliere coriandoli e stelle filanti ed a tirarle addosso alla gente, come
facevano tutti gli altri bambini; all'improvviso però Shira inciampò e non riusciva più ad
alzarsi: una mamma provò ad alzarla, ma capì che era una pecora e la lasciò subito
scappando con il proprio figlio e urlando: “Aiuto! C'è una pecora in piazza!!.” In meno di
un quarto d'ora la piazza fu vuota. Shira rimase da sola e, pur facendo molta fatica, si
alzò e si incamminò alla ricerca di cibo. Cammina cammina, giunse presso un pascolo
dell'entroterra veneziano e le pecore del posto chiesero se desiderasse restare un po'
da loro e parlare di lei e di come aveva fatto ad arrivare a Venezia, visto che lì c'era
solo il loro pascolo: “Il pascolo di Cece”.
Le pecore del pascolo ospitarono Shira molto cortesemente, dandole da mangiare tutto
quello che portava Cece ogni mattina, cioè un po' di tutto quanto offriva l'agricoltura del
Veneto: mais, soia, barbabietola da zucchero... Siccome inoltre erano pecore raffinate,
non mancavano pesce fresco dell'Adriatico e ottimo formaggio Asiago!
Dopo aver saziato Shira, le pecore del pascolo volevano sentire la sua storia e allora lei
iniziò a raccontare tutta la sua vita. Mentre la raccontava, continuava a guardare un
pecorone, poi capì che si era innamorata di Gimi, che la ricambiava. La pecora gli disse
che, come aveva già raccontato, lei voleva girare un po' tutta la regione e che gli
avrebbe fatto piacere se lui l'avesse accompagnata, così le avrebbe fatto anche da
guida, visto che non sapeva niente di quei luoghi. Gimi accettò la proposta. Il giorno dopo
le pecore fecero nascondere Shira in modo che Cece non la vedesse; dopo poco tempo
Cece si recò al pascolo e portò loro da mangiare: le pecore decisero di dare tutto il cibo
a Shira e Gimi per il viaggio, loro ringraziarono e partirono.
Il pecorone, per intrattenerla ed istruirla, iniziò a parlarle dell'economia della regione e
le disse che il punto di forza risiedeva in una fitta rete di piccole e medie imprese
industriali, specializzate nei più svariati settori; esse esportavano gran parte delle loro
produzioni. In Veneto si trovavano anche alcuni dei più dinamici distretti industriali
italiani: molto importanti quelli specializzati nella produzione di calzature, calzature da
sport, strumenti ottici, oreficeria e pelletteria, vetro e mobili. Spiegò inoltre che, pur
ridimensionati nel corso degli anni Ottanta, erano ancora attivi i grandi complessi
petrolchimici e metallurgici di Mestre e Porto Marghera, sorti negli anni Trenta.
L'industria più moderna si era sviluppata sui due assi Verona-Vicenza-Padova e VeneziaTreviso-Belluno. Rilevante era il settore dell'abbigliamento, concentrato in provincia di
Treviso. Come avrebbe potuto verificare lei stessa girandola, il Veneto era la regione
italiana con il più alto numero di arrivi e di presenze turistiche annue e, oltre a Venezia,
i luoghi di maggior richiamo erano le altre città d'arte (sopratutto Verona, Padova,
Vicenza) e le stazioni di sport invernali (tra cui Cortina d'Ampezzo, Pieve di Cadore).
Molto frequentati però erano anche i centri termali di Abano-Montegrotto Terme e
Recoaro Terme: forse che voleva sperimentarli? Mentre Gimi parlava e parlava del
Veneto, arrivarono a Padova; il pecorone, visto che aveva molta sete, si ricordò che lì
c'era un fiume: il Brenta.
Arrivati al fiume, mangiarono e bevvero. All'improvviso videro una bambina seduta vicino
ad un cespuglio: Shira si avvicinò e le fece delle domande, ma la bambina non rispose. La
pecora allora disse a Gimi che l'aveva già vista da qualche parte, poi le venne in mente
che l'aveva vista in TV, al programma “Chi l'ha visto?”
Dal momento che la bambina non aveva risposto a nessuna delle loro domande, decisero di
chiamare la redazione del programma; Shira e Gimi furono immediatamente ospitati, ma
loro accettarono la proposta solo ad una condizione: che non avrebbero fatto andare in
onda la puntata in Sicilia, perché altrimenti Giuseppina l'avrebbe vista. Il giorno dopo
Shira, Gimi e la bambina scomparsa furono prelevati e portati nello studio del programma
a Padova. Poiché avevano trovato la bambina, la mamma voleva ringraziare le due pecore
e decise di farlo dando loro un biglietto gratis per andare a visitare la casa di “Giulietta”
a Verona, così avrebbero potuto scambiarsi il primo bacio sul balcone della fortuna! Shira
e Gimi ringraziarono la mamma della bambina e iniziarono a camminare verso Verona.
Arrivati nella storica città, entrarono nella casa della sfortunata amante e, dopo averla
visitata tutta, andarono sul balcone e si diedero il loro primo bacio.
Dopo un'oretta circa dovettero uscire dalla casa e decisero di ritornare al pascolo a
raccontare tutto alle altre pecore.
Arrivati, Shira e Gimi si divertirono a narrare tutta la storia nei minimi particolari, ma
la notizia più brutta e triste che Shira dovette dare fu che doveva lasciare la regione
per andare a visitare le altre, per poi tornare in Sicilia da suo figlio Nerone. Gimi si era
divertito molto con Shira in Veneto e decise di seguirla anche nelle altre regioni che
doveva visitare e forse sarebbe andato anche in Sicilia. Shira ringraziò
per l'ospitalità
ricevuta, assicurando che quel pascolo non l'avrebbe mai dimenticato e piangendo tornò al
porto di Venezia con Gimi. Insieme salirono sul battello e... girarono per tutte le altre
regioni in modo divertente come avevano fatto nel Veneto!
Giulia Petrillo
Shira si fa un giretto nel…
Friuli-Venezia Giulia!
DI ROBERTA TASCONE
Shira, annoiata di stare sempre in albergo, sfogliando un libro,
lesse tra le righe il nome FRIULI-VENEZIA GIULIA . Dopo un po’ di
giorni da quando aveva comprato il biglietto, partì con
l'elicottero di un privato e arrivò da Messina a Catania; qui
l'elicottero la fece scendere proprio davanti all'aeroporto e la
pecora si diresse al check-in. Dopo una lunga attesa, si imbarcò
sull'aereo e partì per il FRIULI, dove cominciò la sua avventura!!!
Arrivata alla meta, andò in un ristorante dell'aeroporto: mangiò
polenta e selvaggina e quel piatto le sembrò molto buono; dopo
una mezz'ora uscì fuori e, guida turistica alla mano acquistata
all’edicola, cominciò a capire qualcosa della fisionomia della
regione.
Apprese che essa si era trasformata in area forte e dinamica
grazie allo sviluppo di una fitta rete di piccole e medie imprese
industriali; il settore primario restava tuttavia l'attività
agricola, concentrata nella bassa pianura e nella fascia collinare
con le caratteristiche colture di cereali e lo sviluppo di
frutticoltura con mele e pere. Lesse inoltre che nelle zone
collinari dell'area di Gorizia era diffusa la vite, da cui si
ottenevano vini pregiati… Shira fu molto contenta di tutte
queste “gustose” notizie: non le sarebbero certo mancati cibo e
bevande di qualità!
Scoprì che a Udine tenevano un corso per imparare a parlare il
FRIULANO e Shira lo apprese rapidamente e dopo fece amicizia
con un cane del luogo che si chiamava "Maty". Insieme vissero
molte avventure. Per esempio un giorno andarono a visitare un
allevamento di bovini e suini e Shira rimase meravigliata della
grande produzione di latte, burro, formaggi e salumi ed anzi, le
venne un languorino… così volle assaggiare il rinomato prosciutto
di San Daniele, che trovò veramente squisito!!!
Un giorno purtroppo Maty si perse e Shira era disperata: chiese
aiuto a tutte le persone del posto, attaccò per tutta la città di
Udine manifesti con scritto: "Aiutatemi, beee, aiutatemi! Ho
perso il mio amico! Se lo trovate chiamate al seguente numero:
347-8152777.”
Dopo mesi e mesi di ricerca Shira era ridotta ad uno straccio,
non viveva più in albergo, ma sotto i ponti del fiume Tagliamento.
Dopo settimane e settimane di vita solitaria, un giorno, mentre
chiedeva la carità, vide un signore passare con al guinzaglio
MATY : il cane la vide, allora fece cadere il signore, poi scappò
da lui e andò ad annusare la pecora: insieme scapparono in treno
fino alla bellissima città di Trieste. Qui poterono ammirare la
bella città che nel passato conobbe grande ricchezza e
splendore durante la dominazione austriaca: l'istituzione del
porto franco la rese infatti uno dei più importanti empori
marittimi del Mediterraneo, unico sbocco al mare dell'Impero
austroungarico. Il porto, da cui Shira vide partire numerose navi,
ha ripreso importanza negli ultimi anni del XX secolo, come
accesso ai paesi dell' Est europeo. Questa informazione le venne
da Maty, che osservava con divertimento l’espressione sbigottita
della pecora alla vista delle gigantesche imbarcazioni in partenza
ed in arrivo!
Un sabato sera in città si ballava e si cantava e anche loro lo
fecero e mangiarono baccalà alla viantina; poi si tuffarono nel
mar Adriatico antistante il meraviglioso castello di Miramare: si
fecero una bella nuotata e si divertirono un mondo.
Dopo cinque mesi di divertimenti, purtroppo la padroncina di
nome "Patty" venne a riprendersi Maty: guardando alla tv le
riprese della festa, aveva casualmente visto i due animali! Essi
erano molto tristi, ma a Shira venne in mente un' idea: quella di
nascondersi nel baule!
Maty non sapeva nulla. All'arrivo a casa la pecora uscì fuori e
Patty dallo spavento cadde, ma si riprese subito; intanto Maty
scodinzolava dalla gioia e dopo un po' di carezze e di acrobazie il
cane convinse Patty a far rimanere Shira con loro. Finalmente
erano superfelici!!! E infatti vissero felici e contenti.
QUESTA E’ LA STORIA DI SHIRA NEL
FRIULI - VENEZIA GIULIA!!!
Shira, dopo aver visitato quasi tutte le località più importanti d’Italia,
arrivò alle porte del Trentino-Alto Adige alla guida del suo camper. In
questa regione la pecora visse dei momenti indimenticabili.
Il suo itinerario iniziò sullo splendido Lago di Garda, nella cittadina di
Torbole. L’animale rimase affascinato dal cristallino
azzurro delle acque. Intorno al lago ella, infatti,
osservava la ricca vegetazione formata da olivi,
limoni, palme e allori, con colori e profumi intensi.
Dopo una visita alla piccola cittadina, Shira si recò a
Riva del Garda, il centro più importante della sponda
settentrionale del lago.
Il suo percorso partì da Piazza IV Novembre, che si
La Torre Apponale
affaccia sul porticciolo con gli edifici più antichi
della città: a Ovest il trecentesco Palazzo Pretorio e
il Municipio, a Est la Torre Apponale, costruita nel Duecento a difesa del
porto. Shira pensò:<<Se la vacanza continua come è iniziata, sarà
bellissimo stare in questa regione.>>
La pecora si recò allora ad Est della torre, dove sorge la massiccia Rocca,
dalla forma squadrata e dall’aspetto severo, completamente circondata
dall’acqua. Alla fine dell’entusiasmante primo giorno di vacanza in
Trentino-Alto Adige, Shira andò sul suo camper per mangiare e per
riposarsi.
La mattina dopo, Shira e il suo mezzo raggiunsero Bolzano. La sua giornata
iniziò da Piazza Walther, realizzata nell’Ottocento su volere del re di
Baviera. Sulla piazza si affaccia il duomo. Nella chiesa sono presenti i
segni di diverse culture: sul tetto le tegole di diversi colori formano un
disegno che ricorda gli edifici nordici; sulla facciata il protiro è retto da
leoni di pietra. Shira li osservava quasi impaurita: sembravano veri! A
Bolzano c’è anche un museo, chiamato “Museo archeologico dell’Alto
Adige”, dove è conservata la mummia di Otzi. Il suo corpo mummificato
venne ritrovato nel 1991. Venne scoperto da due turisti che stavano
facendo un’escursione sul ghiacciaio del Similaun. L’importanza della
scoperta fu chiara solo dopo che le analisi di laboratorio rilevarono che la
mummia aveva più di cinquemila anni!
Dopo questa interessante visita e un buon riposo sul comodo materasso
del camper, Shira intraprese la grande strada delle Dolomiti, che collega
Bolzano a Cortina.
La pecora rimase a bocca
aperta
quando,
dall’alto
degli abeti, vide il Lago di
Carezza, uno specchio di
acqua limpida in cui si
riflettono il verde cupo
dei boschi di abeti, il
grigio
argenteo
creste
del
delle
Latemar
e
l’azzurro del cielo. Questo
Lago di Carezza
lago
è
noto
per
i
suoi
meravigliosi colori, ed è per
questo che i ladini lo chiamano
“Lec
de
l’Ergobando”,
dell’arcobaleno.
Il Passo Pordoi
Lago
L’animale
d’accordo
con
affermazione,
poiché
era
questa
il
lago
sembrava un arcobaleno verde
smeraldo! Il giorno seguente Shira arrivò felicissima sul Passo Pordoi. Era
mattino presto ed ella si incamminò verso le funivie, ma queste erano
chiuse.
La pecora andò verso il bar per
comperare una macchina fotografica
“usa e getta”, un souvenir e un
binocolo. Essa, in anticipo per la prima
funivia, decise di fare una passeggiata
per i prati, ma, data l’irresistibilità di
questi, Shira iniziò a correre. Esausta,
decise di sdraiarsi a prendere il sole.
La funivia del Passo Pordoi
Recuperate le energie, l’animale si intrufolò nella cabina della funivia e, con
il cuore in gola, osservò il paesaggio mozzafiato nei pochi minuti che
separano il passo dalla destinazione, cioè il Sass Pordoi.
Solo una cosa riuscì a dire Shira: <<Wow!>>
La pecora, ancora incredula per ciò che la natura offriva, scattò delle
foto del paesaggio e, dopo aver consumato il rullino, osservò le
spettacolari Dolomiti con il binocolo. Rimase lì fino al tramonto e
l’emozione fu grande nel vedere le cime di color rosa-arancio.
La mattina seguente Shira si svegliò di buon’ora, entusiasta del giorno
precedente. Verso le
otto partì dal Passo
Pordoi per arrivare sul
Passo
Fedaia.
l’animale
Museo
con
Qui
arrivò
della
al
Guerra,
l’intenzione
visitarlo.
di
Marmolada: la regina delle Dolomiti
Al suo interno si trovavano dei reperti bellici di diverso tipo. La pecora
rimase colpita da elmi, munizioni, armi, divise e decise di comprare un
libro sul museo. Essa salì poi fino in cima al ghiacciaio della Marmolada, la
regina delle Dolomiti.
In seguito andò nel rifugio, per
bere qualcosa di caldo e a riposarsi
dell’estenuante camminata. Da qui
osservò meravigliata il Passo Pordoi
e le Pale di S. Martino.
Rimase molte ore sul ghiacciaio,
dopodiché scese al lago. Questo
era
splendente
e
di
un
color
azzurro intenso, diviso da una diga.
Lago di Fedaia dalla Marmolada
Dall’altra parte si apriva una valle con un piccolo torrente.
Shira, la mattina seguente, ripartì e, dopo un breve tragitto, arrivò a
Dobbiaco, la splendida città situata tra la Val Pusteria e la Val di Landro.
Questa città è famosa per le sue feste e tradizioni, legate alla cultura
contadina e alla montagna, tramandate attraverso i secoli. Dobbiaco è
nota anche per i lavori di intaglio del legno e per la produzione dello
speck,
simbolo
gastronomico
della
regione dolomitica. Poco distante si
trova anche la cittadina di S. Candido,
a soli sette chilometri dal confine con
l’Austria. Il suo centro è piccolo, ma
molto ordinato, con bei negozi che si
affacciano sulla piazza della chiesa.
S. Candido dall’alto
Shira
era
in
uno
di
questi
e
all’improvviso sentì due persone che parlavano delle Tre Cime di Lavaredo.
Decise di osservarle nella realtà, non solo nelle splendide cartoline,
siccome la sua magnifica vacanza era giunta al termine. La pecora
raggiunse le cime il giorno seguente, dopo aver recuperato le energie
durante la notte a bordo del suo camper. Dopo una lunga e faticosa
camminata, Shira giunse a destinazione e rimase a bocca aperta nel
vedere le stupefacenti cime.
Le osservò con attenzione da diversi punti: prima però dal Rifugio
Locatelli, dal quale scattò numerosissime foto e poi dal sentiero che le
collega al Veneto. Bisogna sapere che le Tre Cime di Lavaredo sono,
infatti, al confine tra Trentino- Alto Adige e Veneto.
Shira , triste, arrivò al termine della sua avventura, ma anche felice per
aver visitato il Trentino- Alto Adige, la splendida regione caratterizzata
dal bilinguismo: sia l’italiano sia il tedesco e, in alcune valli, anche il ladino.
La regione, però, è anche ricca di acqua, che favorisce la produzione
agricola di mele e uva e di legname, con il quale la pecora ha scolpito
oggetti d’arte. I numerosi pascoli favoriscono l’allevamento, con il quale
latte i pastori producono latticini. Shira è felice anche per un altro
motivo: viaggerà ancora per le regioni d’Italia!
Chiesa Davide
SHIRA ARRIVA IN LOMBARDIA… La storia di Shira ci ha permesso di ripassare in maniera divertente l’Italia (dal Sud al Nord) sotto tutti i suoi aspetti… Shira ormai è quasi arrivata alla fine del suo viaggio e la Lombardia è la regione che adesso sta percorrendo. Arrivando in Lombardia, Shira si trova davanti a quattro tipi di paesaggio: quello alpino a Nord, quello padano a Sud e nel mezzo quello prealpino e dei laghi. Decide di iniziare la sua visita dal paesaggio alpino. Percorrendolo, la pecora si accorge della presenza di alcuni valichi o passi: dello Spluga e del Bernina che portano in Svizzera, del Tonale e dello Stelvio che collegano la Lombardia al Trentino Alto Adige. Shira arriva poi alla bassa pianura passando per le Prealpi Bergamasche e Bresciane, ricche di valli e di laghi. Giunta sul luogo, si accorge che il terreno è argilloso a Sud, mentre a Nord è ghiaioso ed impermeabile. Nota la presenza di fiumi, quali il Po ed i suoi affluenti, tra cui il Ticino, l’Adda, l’Oglio ed il Mincio. La pecora rimane attonita davanti allo spettacolo dei laghi che man mano si trova di fronte: il lago di Garda, di Como, d’Iseo ed il lago Maggiore, tutti di origine glaciale. Shira si accorge che, percorrendo questo vasto territorio, il clima varia: rigido sulle montagne, temperato nelle valli vicino ai laghi, continentale in pianura. Stanca del suo viaggio, Shira pensa di riposarsi. Al suo risveglio si trova davanti un contadino, che la porta a conoscere la sua attività; egli infatti coltiva: cereali, ortaggi, frutta, uva da vino e foraggio per il suo bestiame, visto l’allevamento di bovini e suini tipico di molte zone della regione. Lasciata la campagna, la pecora decide poi di incamminarsi verso le città lombarde più importanti, perché le hanno detto che la Lombardia è la regione più industrializzata d’Italia e la più popolata (l’abbondanza delle acque, la fertilità del suolo, la facilità delle comunicazioni hanno reso possibile il suo sviluppo in ogni settore produttivo!). Lungo il cammino Shira nota la presenza di industrie; curiosa chiede pertanto ad un operaio che cosa producano e questo le risponde: “Ferro, acciaio e ghisa per fabbricare macchine!”. Più avanti nota altre industrie, a suo avviso diverse dalle prime, così chiede nuovamente cosa trattino e questa volta si sente rispondere: “Fibre tessili, plastica, prodotti farmaceutici, raffinerie di petrolio…”. Finalmente Shira arriva nel capoluogo lombardo, Milano, dove si accorge dell’esistenza di grandi palazzi; sono le sedi di importanti società finanziarie: banche, assicurazioni, uffici legali e finanziari ed uffici turistici. La pecora sa per esperienza che il turismo è sviluppato soprattutto nella zona dei laghi ed in quella montana. Incuriosita dalla vetrina di un ufficio turistico dove sono esposte numerose foto della Lombardia, decide di entrare per chiedere un opuscolo di questa regione. Shira lo legge attentamente e vede illustrato quanto segue: Capoluoghi di provincia: Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Mantova, Monza, Pavia, Sondrio, Varese. Capoluogo di regione: Milano. (1.247.000 abitanti) Comuni: 1546 Abitanti:9.121.700 Fiumi: Po, Adda, Oglio, Ticino, Lambro, Serio. Po Adda Shira si fa un bagno rilassante… Oglio Laghi: Maggiore, di Como, d’Iseo, d’Idro, di Garda. L. di Como L. Maggiore L. di Garda La pecora si gode il panorama… Monti: Pizzo Bernina, Ortles, Cevedale, Disgrazia, Adamello. Bernina Cevedale Adamello Qui Shira prende spunto per una sciata… Passi: Spluga, Bernina, Stelvio, Tonale. Stelvio Tonale Dopo una settimana di divertimento e viaggi la pecora, riposata, decide di ripartire per visitare altri luoghi significativi della regione. A questo scopo acquista un bel libro, che la accompagnerà nel suo itinerario turistico, dove legge: “Milano è una città di origini antichissime. Milano e tutta la Lombardia possiedono un ricco patrimonio storico‐artistico lasciato dalle varie popolazioni che si sono succedute sul territorio. Dal punto di vista architettonico notevoli sono le numerose chiese romaniche e gotiche. Fra queste ultime spicca il Duomo di Milano, con le sue guglie di marmo. Dopo San Pietro a Roma ed il Duomo di Siviglia, è la chiesa più grande del mondo con una lunghezza di 157 metri. Sulla guglia principale, alta 108 metri, è posta la “Madonnina”, simbolo della città. La letteratura italiana deve alla Lombardia autori famosi come Manzoni. Inoltre in questa regione c’è una consolidata tradizione musicale; il Teatro alla Scala è uno dei templi mondiali della musica lirica. Milano occupa una posizione di primo piano in ogni settore: industriale, commerciale, culturale.” Qui Shira , interessatissima, fa molte foto ed inoltre fa incetta di souvenirs… “Il capolavoro di Leonardo: in Santa Maria delle Grazie a Milano è conservato il celebre affresco di Leonardo da Vinci Ultima cena. Questa opera è considerata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. In modo più specifico: L’UNESCO ha istituito (nel 1972) il programma internazionale dei “patrimoni dell’umanità”; questo programma ha lo scopo di catalogare, di segnalare e di preservare siti di eccezionale interesse, sia naturale che culturale, per tutta l’umanità.” La pecora fa alcune foto … “Il Naviglio è un canale artificiale costruito dai milanesi attorno al 1200 per favorire l’irrigazione dei campi e collegare per via d’acqua Milano con il lago Maggiore. Il canale nasce dal Ticino, fa un ampio giro nella regione ed arriva fino al capoluogo lombardo. Nel ‘700 e nell’ 800, alcune grandi e ricche famiglie fecero costruire le loro residenze di campagna sulle rive del Naviglio: ancora oggi è possibile ammirarle nella loro imponenza. Sulla parte di canale chiamata Naviglio Grande, lungo circa 50 Km., si affacciano villa Castiglioni, villa Eusebio, ecc.. Il Naviglio Grande fa parte di uno straordinario sistema di canali che metteva Milano in comunicazione a nord con il lago Maggiore e la Svizzera, e a sud con il Po e la Pianura Padana, uno dei punti più suggestivi del Naviglio Grande è Cassinetta di Lugagnano.” Qui invece Shira non fa il bagno, perché le acque non sono proprio pulite… “Mantova: la città conserva importanti monumenti medievali e rinascimentali. Il fiume Mincio, che quasi la circonda, forma tre laghi attorno alla città.” “Sirmione: centro turistico e termale sulla riva meridionale del lago di Garda, a Sirmione sono ancora visibili i resti di ville di epoca romana.” “Cremona: ha un’antica tradizione nella produzione artigianale di strumenti musicali.” “Le località montane: si può scegliere tra note località come Bormio, Livigno, Santa Caterina Valfurva, Foppolo, se si è amanti dello sci e della montagna.” Dopo questo lungo viaggio in terra lombarda, Shira si prefissa un’altra meta: il Piemonte e la scuola media Ranzoni! …Nota dell’autore: Lo svolgimento di questo elaborato mi ha aiutato a ripassare ambienti e paesaggi, produzioni, capoluoghi e province delle regioni italiane ed in maniera più specifica della Lombardia: grazie Shira, a presto!!! Stefano Losio Shira in Piemonte
Shira arrivò in Piemonte. Per questo viaggio, che era stato lungo, si dovette riposare: infatti era molto stanca e, arrivata nella bella regione del Nord‐Ovest, non sapeva dove andare. Pensando pensando, si decise a fare una bella passeggiata a Torino. Qui Shira rimase due giorni e andò ad osservare nella piazza principale, Piazza Castello, molte cose belle e importanti. Shira infatti vide Palazzo Reale, Palazzo Madama e molte case belle di cittadini privati, veri e propri palazzi. Poi girò per le piazze e le sue chiese, che erano tutte bellissime. Rimase impressionata in modo particolare dalla “Gran Madre di Dio”, la chiesa fatta costruire dai Savoia al loro ritorno a Torino dopo la caduta di Napoleone. Secondo la leggenda, nelle sue fondamenta si troverebbe addirittura il Santo Graal! Ammirò la magnificenza e il buon gusto con cui era stata costruita la svettante cupola della Mole Antonelliana, anzi prese l’ascensore panoramico e da lì osservò stupefatta tutta la città! Shira, curiosa, entrò anche nel castello del Valentino per ammirarne la bellezza dall’interno e andò a riposarsi nel bellissimo parco che la circondava, perché il giorno successivo aveva la partenza. Dopo partì per Alessandria, il capoluogo di una provincia ricca di attività agricole ed industriali, dove conosceva altre pecore come lei. In Alessandria si fermò poco tempo, perché voleva andare a Vercelli, la “patria” del riso. Quando era partita, si era presa una rivista e un libro per leggere mentre stava andando. Nel viaggio in treno che stava facendo passò per la Pianura Padana, che è la più importante pianura d’Italia. A Vercelli restò più giorni, perché voleva ammirare da vicino la pianura e la città, con i suoi monumenti. Lì aveva visto anche un negozio con dei vestiti perfetti per lei: già sapeva che doveva arrivare la primavera, quindi ne comprò alcuni. Shira, rilassata e soddisfatta degli acquisti, subito dopo partì per Novara, città situata vicino al fiume Ticino; a Novara faceva caldo e Shira indossò un vestito bello, che aveva comprato in centro a Vercelli. Dopo aver visitato la città, andò a Biella, grande e rinomato centro dell’industria tessile, che non era tanto lontano. L’intenzione era di farsi un giro come tutte le altre persone che abitano a Biella. Shira aveva ancora i vestiti che aveva comprato prima a Vercelli e questo le consentiva di andare in giro abbigliata come una donna. In questo momento Shira era molto felice, perché finalmente poteva partire per Verbania! Arrivata a Verbania, Shira, utilizzando diversi battelli, si fece un giro intorno al Lago Maggiore, di cui ammirò le diverse località che si specchiavano nelle acque. Dopo essere andata in un bagno per travestirsi con vestiti da donna puliti per poter entrare in un hotel, prese una camera e la trovò in un albergo vicino a un fiume che scorreva nella località di Trobaso. Shira, salendo un poco sulle alture dei dintorni, vide un pastore con tante altre pecore belle come lei e il pastore si chiamava Stefano. Il ragazzino aveva dato alle sue sette pecore un nome, ma una di loro era maschio; le pecore si chiamavano: Mira, Azzurra, Diana, Fiocco di Neve, Silvia, Giovanna, invece l’altra, che era maschio, si chiamava Andrea. Shira si avvicinò al gregge, Andrea la vide e le andò vicino a chiederle come si chiamava e lei rispose: ‐Shira‐. Andrea chiese ancora ad Shira: ‐Questa sera vuoi uscire con me per guardare le stelle?‐ ‐Sì!‐ disse Shira molto felice. Passato il giorno e arrivata la sera, Shira andò nell’hotel per farsi bella per questa uscita. Più tardi Shira e Andrea salirono sulle alture sopra Verbania e, ammirando da un lato le montagne piene di neve e dall’altro le acque scintillanti del lago, guardando insieme le stelle e si innamorarono quella sera stessa. Il giorno dopo Andrea andò da Shira per vedere come stava; Shira, incuriosita, chiese se c’era da qualche parte un negozio di costumi. Andrea rispose che, siccome arrivava il Carnevale con i costumi, si potevano mascherare. Andrea, pensando, disse a Shira: ‐Vuoi venire con me in un negozio a comperare dei vestiti per festeggiare il Carnevale?‐ Shira acconsentì. Shira e Andrea andarono a prendere tutto ciò che serviva e aspettarono il Carnevale che arrivava. Essi passarono insieme il Carnevale divertendosi a Intra alla sfilata ed al ballo sotto il Palatenda. Lo trascorsero insieme quest’anno e passeranno insieme anche il prossimo e il prossimo ancora, perché Shira, un po’ per amore di Andrea e un po’ per la bellezza dei luoghi verbanesi, decise di rimanere per sempre in Piemonte! Irina Bernicu Shira in Valle d’Aosta Shira, arrivata in Valle d’Aosta, cominciò a guardarsi in giro per vedere come era fatta questa regione. Osservando di qua e di là, la pecora vide un castello molto bello e allora si incamminò verso di esso per osservarlo più da vicino; nelle vicinanze vide una bacheca e in essa c’era scritto: “Quello che vedete davanti a voi è il castello di Verres”. Sotto questa scritta c’era una mappa, che indicava da che parte si passava per andare davanti a quel bel castello. La pecora velocemente si incamminò e, giunta sulla via che doveva imboccare per andare su al castello, si fermò e disse a se stessa: “Quanta strada!” Senza perdersi d’animo proseguì e dopo mezz’ora arrivò in cima e vide una mucca; Shira si presentò e le disse: “Ciao!” La mucca le rispose: “Ciao! Vuoi che ti faccia da guida nel castello?” e la pecora felicissima: “Sì!!” Allora si incamminarono per un piccolo sentiero e, una volta davanti, la mucca aprì l’imponente edificio con uno stratagemma segreto e la pecora, stupita, restò imbambolata. Pian piano la mucca incominciò a spiegare: “Questo castello fu costruito nel 1390 da Ibleto di Chollad; nel 1536 fu aggiunta anche la fortificazione all’esterno munendola di artiglierie; nel 1896 fu acquistato dallo Stato e dichiarato monumento nazionale.” Shira, molto contenta, la ringraziò e poi uscì: fuori da questo castello c’era una vista molto suggestiva, ma, se guardava giù, faceva molta paura! Quindi scese dalla strada che aveva imboccato per salire; intanto si stava facendo sera e la pecora doveva trovarsi un posticino per passare la notte. Camminando, pian piano arrivò ad un ponte e vide in lontananza delle abitazioni, allora cominciò a correre e a correre finché non arrivò. La pecora entrò in una proprietà passando attraverso un cancello, salì dalle scale e arrivò in una casa. Nel frattempo da essa uscì un bambino di nome Christian che le disse: “Cosa ci fai in giro? Vieni nella mia stalla al caldo.” Allora Christian la portò nella sua stalla: era da solo, ma aveva tutto per lei e dunque Shira si mise a mangiare. Dopo qualche oretta la pecora si addormentò. Al mattino presto uscì, aprì il cancello e si diresse verso un passo: qui vide un camion che doveva andare a Cervinia, la bella e famosa località turistica della regione, allora la pecora saltò su e si nascose. Il signore chiuse la porta e partì. Dopo due ore e mezza la pecora si chiese: “Ma non arriviamo più a Cervinia?” Finalmente dopo una mezz’ora il camion si fermò e Shira saltò giù, perché l’autista aveva visto un suo amico e insieme erano andati a bere un caffè. Per fortuna l’uomo aveva lasciato la porta aperta. La pecora vide tanta, tanta neve e le sembrava panna montata; lì vicino c’era anche un ruscello, allora la pecora si mise a bere quell’acqua freschissima. Shira poi, guardandosi intorno, vide una serie infinita di montagne ed esclamò: “Ma quante montagne ci sono in questa regione così piccola! Che bello il Cervino!” In seguito la pecora pian piano si incamminò e sentì un profumo molto invitante, quindi decise di andare a curiosare ed alla fine entrò in un caseificio che vendeva la fontina, il tipico e prelibato formaggio della Valle d’Aosta. Shira decise di comprarne un pezzo, poi uscì e si mise in una stalla, dove poté pranzare e gustare quella fetta di buon formaggio. Guardando di qua e di là Shira notò una motoslitta parcheggiata; pensò: “ Se la prendo, posso risparmiare tempo e vedere più cose!” Così vi montò sopra e decise di dirigersi verso Saint Vincent. Una volta giunta sul posto, posteggiò il mezzo di fronte ad un grosso edificio tutto a specchi di nome “Casinò della Valle” e, incuriosita, vi entrò: era bellissimo, c’era tanta gente che giocava soldi a delle macchinette chiamate “Slot machine”; alcuni vincevano e altri invece perdevano… Decise di giocare anche lei, così mise una monetina nella slot ed ad un certo punto questa incominciò a suonare: Shira aveva vinto duecentocinquantamila euro! Contenta uscì e ritornò alla sua motoslitta: la pecora aveva ora una meta ben precisa in testa, ma prima di raggiungerla decise di fare un giro su e giù per le vallate che c’erano nei dintorni, fino a che la benzina non finì. Poiché su questa motoslitta c’era un paio di sci, Shira cominciò a sciare e, arrivata nella bella città di Aosta, capoluogo della regione, entrò in una concessionaria di auto (non senza aver prima ammirato i numerosi resti romani), dove acquistò una bella Ferrari “Testarossa”. Ora a Shira rimanevano ancora dieci euro e per questo decise di comprarsi un pensierino, a ricordo della splendida Valle d’Aosta. Optò per un piccolo stambecco intagliato nel legno, tipico prodotto dell’artigianato locale e poi sfrecciò via con il suo bolide rosso fiammante alla ricerca di nuove avventure! Christian Santina
Shira è una pecora bellissima con molte passioni, come quella per il viaggio:
soprattutto le piace vagare per l’Italia per scoprire nuovi posti.
Una regione che le mancava da visitare era proprio la Liguria, che si affaccia a Sud sul
bellissimo mar Ligure, a Ovest confina con la Francia, a Nord con il Piemonte e ad Est
con l’Emilia Romagna; così incominciò a preparare la valigia e ad incamminarsi verso
Genova, che è proprio il capoluogo della Liguria.
A Genova aveva intenzione di fermarsi un paio di giorni, pertanto, appena arrivata,
decise di andare a visitare il famoso Acquario
di Genova, che è il più grande acquario italiano
e il secondo in Europa, dopo quello di Valencia,
in Spagna. Il percorso durò circa due ore e
trenta minuti e, nonostante Shira fosse molto
stanca, non aveva intenzione di perdersi
neanche un animale! Li voleva proprio osservare
tutti da vicino!
Aveva solo un piccolissimo problema… Come avrebbe fatto ad entrare senza farsi
notare dalle persone che lo stavano visitando, dalle guardie e dalle telecamere
presenti all’interno?
Allora iniziò a pensare cercando di trovare una buona scusa, quando gliene venne in
mente una eccellente!
Decise di entrare dicendo che lei non veniva dall’Italia e che nel suo Paese, proprio in
quel periodo, si festeggiava il Carnevale, e ancora che, non potendo non seguire la
tradizione, si era vestita da pecora.
Arrivata all’ingresso, tutti fecero una faccia strana, così lei raccontò la storia che
aveva pensato prima di entrare e riuscì ad ingannare la guardia, incominciando a girare
tra le varie vasche.
Il suo animale preferito era il delfino e, seguendo le indicazioni presenti all’interno
dell’acquario, decise di precipitarsi subito alla loro vasca, ovviamente con molte
difficoltà per arrivarci, essendo lei una pecora e quindi animale che non passava
inosservato. Quando arrivò lì davanti, rimase a bocca aperta!
Non voleva più andarsene tanto era affascinata, ma, avendo visto da uno specchio
arrivare una persona, corse subito a nascondersi dietro una tenda.
Dopo la vasca dei delfini andò di fronte a quella degli squali, ma, essendo molto
paurosa, non resistette neanche dieci secondi davanti ad essa: c’erano questi pesci
enormi con dei denti affilati che facevano venire la pelle d’oca al solo pensiero!
Girovagando, trovò anche la vasca delle tartarughe, quella delle foche, dei coccodrilli,
ma, essendo molto stanca (l’acquario ha infatti più di 500 specie diverse di animali
marini, di foreste pluviali e di acqua dolce), decise di uscire da un’uscita di sicurezza
per trovare un posto dove trascorrere la notte. Il problema fu che, appena ebbe
aperto la porta, scattò l’allarme, così incominciò a correre all’impazzata finché non
riuscì a seminare le guardie.
Quando arrivò fuori, si guardò bene in giro e non vide altro che una piazza, antichi
portici e molti “Carrugi”, cioè i vicoli caratteristici di Genova,
quindi decise di rimanere nei pressi del Bigo, che è una
struttura architettonica che domina il Porto Antico.
Dopo una bella dormita cominciò a guardarsi intorno e rimase
affascinata dalla Lanterna, il simbolo della città. Se avesse
potuto, sarebbe rimasta lì davanti per delle ore!
Camminando arrivò sul lungomare di Genova, che si trova in
corso Italia e, dopo aver percorso più o meno due chilometri e mezzo, arrivò a
Bocadasse: lì decise di prendere un buon gelato, ma c’era
sempre quel piccolo problema: lei era una pecora!
Demoralizzata, si mise accanto alla barca di un pescatore e
ad un bambino, che giocava davanti a lei, cadde il gelato… Lei
subito ne approfittò e, senza farsi vedere da nessuno,
incominciò a mangiarselo con piacere, visto che i gusti di quel
gelato erano panna e fragola, i suoi preferiti.
Il pomeriggio decise di trascorrerlo in un posto tranquillo e
così, pensando e ripensando, le venne in mente di andare in spiaggia a prendersi il sole.
Dopo un pomeriggio di serenità e dopo aver sentito parlare
molti giovani, che si sarebbero ritrovati in piazza De Ferrari,
la sera decise di andare proprio lì, passando per i Carrugi. Si
trovò davanti una fantastica fontana con lo sfondo del
palazzo Ducale. Lì non seppe resistere e si buttò dentro la
fontana: incominciò a giocare con l’acqua e in quel momento si
sentì la pecora più felice del mondo.
Il mattino dopo riprese il suo viaggio
per la Liguria e si incamminò verso la
splendida località di San Fruttuoso.
A metà mattina arrivò a Santa
Margherita Ligure, fece una pausa e
continuò poi la camminata per arrivare
a San Fruttuoso.
Appena arrivò, si trovò davanti una
spiaggia piccola, ma che caratterizza
proprio il luogo. Era una giornata
splendida, con un sole veramente
caldo, così stese il suo telo e anche lì cominciò a prendere il sole. Quando poi esso iniziò a tramontare, Shira ritirò il suo telo e riprese il suo cammino
verso La Spezia.
Passò tutta la notte a camminare, camminare e ancora a camminare, ma per fortuna
durante il tragitto trovò un immenso campo di erba e lì fece… rifornimento!
All’alba vide il Castello di San Giorgio, ne rimase affascinata per la sua grandezza e
perché è una delle costruzioni più antiche di quella città.
Dopo aver visto il castello, volle andare a Portovenere e a Rio Maggiore, di cui aveva
tanto sentito parlare e che sono due paesini sul mare. Lì si divertì molto a fare
acquisti, a comprare cartoline e souvenirs per i suoi amici e parenti.
Poi, dopo aver visitato tutto quello che voleva, le venne in mente di andare a trovare i
suoi cugini lontani di Imperia, per cui iniziò a pensare a come partire, poi però,
essendo abituata a camminare tanto, decise di andare a piedi. Dopo aver trascorso un
pomeriggio di cammino, arrivò dunque ad Imperia e andò subito a Diano Marina, un
ridente paesino sul mare, dove abitavano i suoi cugini.
Arrivata dai parenti senza preavviso, non la riconobbero subito, ma appena capirono
che era proprio lei, incominciarono a saltare e ad abbracciarla con forza calcolando il
fatto era da molti anni che non si vedevano.
I suoi cugini le fecero visitare un bel po’ di posti come Ventimiglia, che è al confine
con la Francia, Bordighera, Pieve Di Teco e infine Sanremo, chiamata anche la città
dei fiori e dove annualmente si tiene il famoso festival.
Dopo aver girovagato un po’ per tutta la Liguria, arrivò il momento di ripartire, così un
giorno salutò i suoi cugini e tornò a casa.
Mirko Castellana
LE AVVENTURE DI SHIRA IN SARDEGNA
Arrivata in Sardegna, Shira osservò il paesaggio un po’ perplessa, domandandosi: “Ma dov’è il mare e dove sono finita adesso?” Non capendo che, essendo arrivata in aereo, non era possibile vedere il mare, chiese informazioni ad un vecchio cane poco lontano; presentandosi davanti al cane, gli chiese in che parte della Sardegna fosse finita e come avrebbe fatto a raggiungere Cagliari. Esso le rispose dicendo: “Sei a Sassari!” Allora Shira, presa dalla gioia, decise di andare alle spiagge di Olbia, famose per il “lido di Orrì”, costituito da spiagge dorate e acque cristalline: arrivarci, però, non sarebbe stato facile, perché la cartina indicava che Olbia era completamente dalla parte opposta orizzontalmente! Shira allora decise di non andarci subito; prima volle visitare e conoscere meglio Sassari, anche perché non aveva fretta… Ben presto tuttavia scoprì che le cose belle sono a Cagliari o a Olbia! Ma Shira non si diede per vinta e, prima di partire per Olbia, cominciò a conoscere le culture e le tradizioni presenti nella regione. La fortuna, come sempre, era dalla sua parte, perché era capitata nel periodo della festa dei “Colurgioni”: ravioli ripieni avvolti da uno dei migliori sughi di Sardegna!! Shira aveva una gran voglia di assaggiarli, ma, visto che era nel bel mezzo della festa, non fu facile mangiare un buon piatto di colurgioni. Aguzzando l’ingegno, la pecora riuscì senza problemi a raggiungere il suo obiettivo: infatti saltò sul camion che trasportava cibi e, per la fortuna che la assisteva sempre, capitò proprio su un mezzo di trasporto di colurgioni. Dopo la scorpacciata che si fece, decise di andare ad Olbia a vedere il famoso lido di Orrì; salita su un furgone diretto nella bella città, Shira decise di schiacciare un pisolino, anche perché era rimasta molto stanca dal viaggio ed i colurgioni la fecero addormentare… Quando si svegliò, Shira si accorse che il furgone era fermo e che l’autista non c’era più ed in quel momento capì: era arrivata a Olbia!! La pecora, presa dalla gioia, scese subito dal furgone e si diresse verso la meta. Cercò di chiedere indicazioni, ma non ebbe risposta; allora decise di seguire la folla che era diretta verso le spiagge. Arrivata dove desiderava ( al lido di Orrì ), si tuffò nel mare: giocò con i pesci che la schizzavano, mentre si divertiva ad immergersi e a tornare in superficie… Dopo essersi divertita come non mai a giocare nell’acqua cristallina e sulla sabbia dorata della spiaggia, arrivò la sera e lì venne la parte più difficile: trovare un posto dove dormire e dove potersi nutrire e, in quel momento, le venne un lampo: decise di entrare in un hotel, in modo da essere servita con sontuose colazioni ed avere un letto tutto suo. Oramai era già calata la notte e Shira era già intenta a sognare nel grosso letto dell’albergo. La mattina si presentò davanti alla cameriera che le chiese: ”Cosa vuole per colazione?” E la pecora sicura esclamò: ”Due brioche, un cappuccino, una spremuta d’arancia, tre tortine, una fetta di torta e un bicchiere di latte.” ”Obbedisco!!!” esclamò la cameriera ed aggiunse: ”Il latte lo vuole con il cacao o senza? E la brioche la vuole con la marmellata o con il cioccolato?” Shira non rispose subito, pensò a lungo, poi disse: ”Cambio ordinazione, prendo un piatto tipico locale: qual è? Beh, qualunque sia, lo prendo!!” Allora la cameriera le portò un piatto di nome “Is Panadas”: una torta di pasta ripiena di verdure, carne o pesce, a seconda dei gusti… Non potendo pagare però, decise di lavare i piatti dell’hotel… E così fece: tutte le stoviglie presenti nell’hotel diventarono come specchi!! Dopo aver gradito i complimenti della cameriera, si recò al primo treno per “Capo Pecora” che, come si capisce dalla parola, è famosa per l’allevamento di ovini. Nel treno fu difficile trovare un posto libero, perché le gente dentro era tanta ed una pecora non riesce facilmente a trovarlo; comunque, bene o male, riuscì ad arrivare sana e salva a Capo Pecora. Una volta sul posto, si diresse subito verso una fattoria in lontananza. Giunta a destinazione, decise di andare a conoscere gli animali che c’erano dentro. La prima cosa che vide fu un gruppo di caproni che, appena la notarono, esclamarono in coro: ”Straniera, da dove vieni?” E Shira rispose: ”Io vengo dalla Sicilia, dall’isola di Vulcano”. Nel gruppo c’era anche una giovane pecora di nome Annabella, che subito salutò cordialmente la sua simile, di cui le piacque molto il comportamento; poi la pecorella aggiunse: ”Tu stai visitando la Sardegna, posso visitarla con te? Io, pur vivendo in Sardegna, non la conosco; conosco solo Capo Pecora, nient’altro…” Shira, un po’ commossa, disse: ”Sigh!... Va bene, vieni, ma quando avrò finito, ti riporterò qua: ok?”. A questo punto si misero in mezzo i caproni, vietando ad Annabella di andare con Shira. Molto triste, essa tornò sulla sua strada singhiozzando. Dopo essersi ripresa dall’accaduto, decise finalmente di andare a Cagliari e di restarci. Una volta arrivata, la pecora vide che la folla premeva ed in quel momento capì: era capitata nel carnevale barbaricino, lì i vestiti ed i cibi non mancavano! Senza perdere altro tempo si vestì subito in modo molto strano: indossò pelli di animali, si mise una maschera di legno sul viso e iniziò a danzare con gli altri esseri umani. Il cibo rimaneva molto campagnolo: polenta, tapelucco e spezzatino al sugo. Dopo la scorpacciata, Shira si aggirò per le vie di Cagliari e ripensò a nonna Felicia, che l’aveva salvata dal macello; allora la pecora decise di preparare un po’ di scorte per il ritorno a Vulcano, dal momento che, ne era certa, nonna Felicia e Giuseppina la aspettavano con ansia al recinto! Riccardo Murriero Congedo
“Terminato il viaggio in giro per l’Italia, Shira fece ritorno sull’isola di
Vulcano, dove fu accolta con grande gioia e calore. Per giorni e giorni
nonna Felicia, Giuseppina, i figli Nerone, Fiocco di Neve e le amiche
pecore ascoltarono divertiti e meravigliati le sue strabilianti avventure:
chissà se anche voi vi siete divertiti con loro…”
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Shira ebook - Istituto Comprensivo di Verbania Trobaso