I NUOVI CRITICI
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I NUOVI CRITICI
La collana intende ospitare le opere di critici esordienti, non accademici, che si esercitano quotidianamente nella lettura di opere
letterarie e poetiche sia italiane che straniere, nell’analisi cinematografica di film noti e meno noti, nell’interpretazione delle opere
d’arte del presente e del passato, nell’attenta fruizione di opere teatrali sia sperimentali che classiche. Una critica di chi legge, interpreta
e decifra giorno dopo giorno, con gli occhi ben aperti sul mondo.
Maurice Actis–Grosso
Tra storia e memoria
La letteratura dell’esilio istro–dalmata
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
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via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: aprile 
Indice

Capitolo I
Tra convivenza civile e autonomia regionale istriana.
La modernità politica di Fulvio Tomizza

Capitolo II
Contro il memoricidio giuliano–dalmata. Enzo Bettiza tra damnatio memoriae ed epifania romanzesca

Capitolo III
Echi memoriali dell’esodo giuliano. Tre città, uno stesso dolore: Spalato, Fiume, Pola nel ricordo di Enzo
Bettiza, Marisa Madieri, Anna Maria Mori e Nelida
Milani

Capitolo IV
Anna Maria Mori e le metamorfosi del lutto esiliaco

Capitolo I
Tra convivenza civile
e autonomia regionale istriana
La modernità politica di Fulvio Tomizza
Ma se esiste un momento in cui la rivelazione si
manifesta, per me fu quello: capii che l’istrianità
non aveva niente a che fare con l’italianità, ma
con un’identità più profonda, che su quella terra
accomunava tutti coloro che — al di là dello stato
a cui appartenessero i confini che la racchiudeva
— avevano lì radici comuni.
D Z, I testimoni muti
Fulvio Tomizza, nell’epilogo alla sua Trilogia istriana, lungi
da fallaci certezze, rimane positivamente “l’uomo del dubbio” che ha sempre fedelmente preteso di essere; l’unica
certezza fondamentale alla quale approda è quella dell’essere umano nella propria verità intrinseca, sinonimo di
maturità responsabile acquisita al prezzo degli smacchi e
delle conquiste di fronte alle violenze della Storia. Animato dalla dolorosa nozione di Heimatlosigkeit o nostalgia
della patria perduta, non ebbe tregua nella trasmutazione
letteraria di tale carica affettiva e simbolica in una trama
romanzesca in cui la sua storia divenne il riflesso speculare
di un frammento d’universalità. In tal modo, nel rispetto
delle cinque caratteristiche costitutive dell’identità della


Tra storia e memoria
letteratura giuliana enumerate da Carlo Tullio Altan in
Ethnos e civiltà, passiamo dalla triade identitaria di base
dell’ascendenza multietnica, del territorio di frontiera e
del plurilinguismo (i tre punti cardinali del genos, del topos e del logos), alla coppia dicotomica di una definizione
di sé conseguente, assunta oppure denegata, pacificata o
conflittuale, determinata dall’epos cioè dalla memoria storica come dall’ethos che regge i rapporti tra i concetti di
vita e di morte. Tale coppia si rivela d’altronde duplice
nel senso che può sfociare negativamente su conflitti etnici ma anche positivamente aprirsi su una convivialità
civica da sempre difesa dall’autore in quanto convivenza
civile, unica fonte di equilibrio e di rispetto mutuo. In
questa prospettiva, dare un significato universale ad una
località provinciale come Materada per opera di un autore
che si trovava irrevocabilmente fuori dal campo riservato triestino, quindi italiano, corrispose alla constatazione
orgogliosa e legittima di avere ricollegato per sempre la
memoria storico–letteraria dell’Istria all’Italia. D’altronde,
tramite una amplificazione panoramica dettata dall’apertura mitteleuropea di Tomizza, la cui trilogia costituisce
però una visione troppo ristretta per un osservatore di
frontiera, l’idea è stata, lungo tutta la sua vita, di avere voluto ricollegare segretamente l’Italia alla Weltanschauung
dell’Europa dell’Est, via Trieste. Quindi, contrariamente
all’idea secondo la quale ogni processo evolutivo contiene
in sé i germi del proprio declino, l’anabasi tomizziana è
parimente sensibile in tale ottica, fortificando la certezza
fondamentale che sottende tutta la sua produzione romanzesca e saggistica, ancorandola nella modernità del dibattito contemporaneo sempre aperto e polemico sulle origini
storiche e sull’avvenire politico della sua terra natia.
Quando la fedeltà al dovere di memoria alimenta la
. Tra convivenza civile ed autonomia regionale istriana

politica, questa diventa l’arte del possibile e permette di
chiedere alla Storia di dare lezioni di etica all’azione politica. Sotto lo sguardo vigile dei fantasmi del passato, si tratta
allora di analizzare le mentalità dei due campi in presenza
e le loro rispettive motivazioni al fine di partecipare alla
cicatrizzazione di una piaga che la medicina democratica
stenta ancora a guarire. Vivo Tomizza, questa problematica lo ha naturalmente preoccupato, al di là dei limiti
dell’elaborazione della sua saga romanzesca; i due volumi
di riflessione politico–sociale Destino di frontiera () e
Alle spalle di Trieste () ne testimoniano. Non solo sono
utilissimi per la comprensione teorica che permettono di
avere sulle pagine narrative della Trilogia istriana ma sviluppano pure quantità di concetti più peculiarmente storici e
politici che situano Tomizza di sana pianta nella polemica
bollente dell’analisi memoriale nazionale degli eventi relativi al dramma dell’esodo istriano. Destino di frontiera è
in effetti, secondo Marco Neirotti, una sorta di opuscolo
parallelo all’opera narrativa che apre due prospettive: sullo
scrittore e la sua opera da una parte e, dall’altra, sulle terribili realtà di cui fu testimone Tomizza, il quale porta in sé
antiche ferite ma riesce comunque a decriptare l’attualità
con spirito imparziale sempre consacrato però alla riconciliazione. Alle spalle di Trieste propone piuttosto, sempre
secondo il critico citato, le riflessioni che illustrano un iter
politico e culturale, quasi antropologico, prima di essere
narrativo, sotto forma più didattica, del Nostro. Si tratta di
un volume in cui si concentrano le virtualità future reperite
nel passato, un saggio destinato a corroborare l’epilogo del
Bosco di acacie così come l’insieme della trilogia: si sa dove
si va quando si sa da dove si viene .
. N, Marco, Invito alla lettura di Tomizza, Milano, Mursia, ,

Tra storia e memoria
Sull’esempio di Claudio Magris, al quale fu conferito il
Premio Principe di Asturia per la Letteratura il  giugno
 per incoronare il suo umanesimo ed il suo europeismo quanto la sua lotta per «l’unità europea nella sua diversità storica», in nome di una Europa «diversificata e senza
frontiere, solidale ed aperta al dialogo interculturale», come lo annuncia il discorso ufficiale , Fulvio Tomizza, le
cui preoccupazioni furono molto simili, sarebbe potuto
essere giudicato degno di uno stesso onore. Gli intellettuali italiani e croati riuniti durante il quinto Convegno
dedicato a Fulvio Tomizza a Umago nel , nell’ottica degli incontri “Tomizza e noi”, sul tema «La terra di
mezzo e la terra di nessuno» imperniato sul paradosso di
una via di mezzo territoriale riassunta ad essere solo un
no man’s land, ne erano convinti. Oltre il fatto che la sede della Comunità degli Italiani di Umago, oggi chiamata
Umag, porta il nome di Fulvio Tomizza e che il Convegno si è conchiuso con un omaggio dei partecipanti sulla
tomba dell’autore a Matterada — ortografia topografica
della speculare Materada cartacea —, i dibattiti si svolsero
sulle possibilità di apertura delle diverse culture in causa
così come sulle frontiere che sopravvivono nelle mentalità
agli eventi originari. Infine, in considerazione dell’ampliamento dell’Europa unificata alla Slovenia (e alla Croazia),
il responsabile del progetto dell’epoca, diventato realtà nel
 (), Milan Rakovac sottolineò che un nuovo periodo in tale contesto rendeva possibile “un’attività più
dinamica” poiché era arrivato “il momento di evolvere”.
Precisava però che con tale Congresso prendeva fine «una
fase del nostro lavoro focalizzato sull’opera e sulla vita di
pp. –.
. Cfr. le edizioni del .. di ABC e di El Mundo.
. Tra convivenza civile ed autonomia regionale istriana

Tomizza che rimangono particolarmente importanti per il
nostro territorio.» Abbiamo qui il doppio riconoscimento
del valore della produzione letteraria tomizziana, a monte
in quanto summa romanzesca unica sulle peripezie storiche e politiche legate all’esodo istriano, a valle in quanto
riflessione sull’avvenire di un’utopia umanistica alla quale
la Storia ha dato ragione. Ritroviamo in ciò l’aspetto bifrons della sua parabola creatrice, costituita da racconti e
romanzi ai quali si aggiungono opere di riflessione politica
e sociologica. Insistiamo pure sul fatto che i due volumi
teorici che ci serviranno di base in questa occasione sono
anch’essi all’immagine dell’autore per il quale biografia e
creazione si sono rivelate indissolubili, così come indissociabili sono le sue analisi politiche ed i loro echi narrativi,
nelle pagine di Destino di frontiera e di Alle spalle di Trieste.
Conviene quindi, a ridosso della visione speculare letteraria della problematica istriana percepibile nella Trilogia
istriana, analizzare il suo riflesso teorico sottolineando in
questi due “protocolli di pensiero” i dubbi e le certezze
tomizziani al fine di paragonarli alla realtà della politica
italiana attorno al Cinquantenario del ritorno di Trieste all’Italia nel  ed a tematiche relative al dramma istriano
come alle vicissitudini triestine, ossia l’esodo, le foibe, la
memoria storica, l’instaurazione della Giornata del Ricordo e la caduta dell’ultimo muro di separazione in Europa
a Gorizia. In tal senso verranno evidenziate l’attualità, la
modernità e la chiaroveggenza di Fulvio Tomizza.
Se Destino di frontiera verte soprattutto sugli sconvolgimenti legati al Secondo Conflitto mondiale e sulla situazione contemporanea della Jugoslavia in preda ai propri
demoni interiori, Alle spalle di Trieste propone un pano. «Cadono i confini, ma non i pregiudizi», Il Piccolo, ...

Tra storia e memoria
rama più diversificato, a ragione di una decina di articoli
scelti da noi, in parte consacrati al passato recente della
regione, in parte focalizzati sulle prospettive d’avvenire
dell’Istria, parte integrante dell’Europa unita, al di là delle
nazioni in questione. Tali articoli corrispondono essenzialmente agli anni – mentre il dialogo con Riccardo
Ferrante che costituisce il primo volume data del . Ci
sono due ragioni per cui un confronto con articoli giornalistici incentrati sui mesi da febbraio a maggio , tratti
dai quotidiani Corriere della Sera, La Stampa, La Repubblica
e Il Piccolo, data di un duplice anniversario (l’ultimo esodo istriano e Trieste proclamata di nuovo italiana), adotta
tutto il suo senso. L’allontanamento cronologico relativo
delle riflessioni tomizziane cessa di essere un eventuale
ostacolo poiché si radica nelle peripezie contemporanee
stesse che giustificano il tenore dei detti articoli. La relazione di causa ad effetto legittimata dal legame tematico
evidente ci pare la conditio sine qua non rispettata che rende
possibile questo triplice salto temporale dagli eventi storici
all’origine della Trilogia romanzesca alle riflessioni politiche dell’autore. Infine, questa proiezione nell’avvenire, che
avremmo desiderato simile ad un futuro nel passato per
Fulvio Tomizza, sparito troppo presto nel , pare molto
identica alla “lontana utopia” che dà il suo titolo a uno
dei suoi articoli del . Precisiamo che l’eterogeneità di
Alle spalle di Trieste corrisponde al fatto che si tratta di una
silloge di articoli ordinati dall’autore, secondo un ordine
non cronologico e senza spiegazioni in proposito, mentre
Destino di frontiera, risultato da una serie di interviste all’autore dallo stesso interlocutore, presenta un’omogeneità
che permette subito di determinare le parti ed i capitoli
che corrispondono alla nostra inchiesta. Nella fattispecie
si tratta della terza parte del primo capitolo consacrato
. Tra convivenza civile ed autonomia regionale istriana

alla “dimensione politica” della produzione tomizziana
e dell’intero secondo capitolo intitolato: “La questione
jugoslava”.
In preambolo, consideriamo l’introduzione di Riccardo
Ferrante a Destino di frontiera, intitolata: “Fino all’ultimo
confine” a guisa di entrata in gioco particolarmente convincente. Di primo acchito, Ferrante sottolinea l’avversione di Tomizza contro il nazionalismo estremo, il suo
attaccamento alla ricerca ed alla tutela delle proprie radici così come all’autodeterminazione dei popoli, in nome
della lotta contro la discriminazione delle minoranze e
contro la limitazione arbitraria dei diritti individuali dei loro membri. D’altronde, confrontato al fatto che le frontiere
perdono sempre più significato, Tomizza ha coscienza che
l’individuo si rende conto della necessità che ogni stato
si trasformi sempre più in una società multietnica, considerando che l’obiettivo è dare vita ad un’Europa delle
nazioni che non diventi «una antistorica balcanizzazione
dell’Europa.» Contro i due cancri della Storia — il nazionalismo ed il suo riflesso speculare microcosmico: lo
sciovinismo — che potrebbero contribuire a ciò, la lucidità
della visione tomizziana è doppiamente evidenziata. Nella
Miglior vita, egli ha splendidamente descritto il miscuglio
di popolazioni sulla sua terra di origine e, in quanto testimone peculiare ed investigatore di spicco, si è imposto in
Destino di frontiera come una sorta di “indovino” profano
in un periodo in cui una serie di tematiche fondamentali
del Tomizza hanno tragicamente fatto irruzione nell’attualità al punto di fare percepire tutta la sua opera in quanto
«risposta letteraria alle lacerazioni [. . . ] della sua Istria,
. Riccardo Ferrante, in Destino di frontiera, Genova, Marietti, , pp.
–.

Tra storia e memoria
della Jugoslavia, dell’Europa.» Queste ne costituiscono
piuttosto, oppure simultaneamente, l’illustrazione delle
conseguenze.
Allo scopo di procedere alla dimostrazione dell’impegno tomizziano, in vitam e post mortem negli eventi strettamente contemporanei a mo’ di “profeta” riconosciuto
in quanto tale, proponiamo il seguente protocollo analitico. Adotteremo una prospettiva di lettura retrospettiva
iniziando dai quattro periodi cronologici sui quali vertono
i diversi articoli dei quattro quotidiani selezionati, cioè la
problematica foibe–esodo–memoria storica nei numeri del
 febbraio , la Giornata del Ricordo in quelli dell’ e
del  febbraio (più in eco quello del  marzo), la caduta
del muro a Gorizia il ° maggio e la vigilia del Cinquantenario del ritorno di Trieste all’Italia come questa stessa
celebrazione i  maggio, ° e  giugno dell’anno .
Ciò permetterà di evidenziare i legami esistenti tra tale
attualità e le riflessioni di Tomizza in Alle spalle di Trieste e
Destino di frontiera, senza che ciò impedisca naturalmente
eventuali confronti tra i due volumi. Eccetto una certa
ginnastica intellettuale destinata a evitare eventuali anacronismi e distrofie concettuali, le caratteristiche strutturali
di queste due opere non costituiscono un ostacolo bensì
permettono di osservare la propria evoluzione tomizziana
di fronte ad un paesaggio politico–sociale costantemente
mutevole.
Cinquant’anni dopo la funesta conclusione ufficiale della tragedia istriana, l’annuncio che il Monumento Commemorativo alle vittime delle foibe a Trieste, nel Parco della
Rimembranza del Castello di San Giusto, è stato vandalizzato con tre stelle rosse dall’evidente significato blasfemo,
. Ibidem, p. .
. Tra convivenza civile ed autonomia regionale istriana

ha riaperto la polemica alla vigilia di una cerimonia memoriale e politica al più alto livello: inaugurazione di una
lapide alla stazione ferroviaria; presentazione del progetto
del Monumento all’Esodo, che sarà realizzato nel corso
dell’anno , alla stazione marittima; omaggio previsto a San Giusto; intervento del Presidente Carlo Azeglio
Ciampi . Un trafiletto riprende, in occasione delle Giornate dei Valori nazionali, celebrate nel Lazio i  e  febbraio,
una dichiarazione ufficiale del capo dello Stato in cui si
ribadisce che «la tragedia delle foibe fa parte della memoria di tutti gli italiani» e che «la Repubblica si ricorda di
questi eventi con dolore e rispetto.» Simultaneamente alla
Camera dei Deputati, lo stesso  febbraio , si dibatte
sulla questione dell’istituzione di una Giornata del Ricordo dell’esodo giuliano–dalmata e del dramma delle foibe;
tale dichiarazione sancisce finalmente l’inserimento di tale
evento nella memoria nazionale.
Ciononostante, questo atto di giustizia storica continua
ad opporsi a pregiudizi politici, sordi e ciechi al dovere di memoria. Il procuratore militare di Padova, Sergio
Dini, incaricato invano delle ricerche sulle responsabilità nella disparizione di diecimila persone alla fine della
Seconda Guerra mondiale, conclude la propria missione affermando che nessuno dei due Stati ha desiderato
inizialmente riaprire il tragico dilemma. Secondo Dini,
le autorità italiane hanno preferito non mettere in causa l’ex Jugoslavia, evitando così la loro incolpazione, sul
fronte politico–giudiziario, per l’occupazione militare fascista del Montenegro e della Dalmazia. D’altro canto, egli
non omette il fatto che, dopo la frattura tra Stalin e Tito
e quella del Patto di Varsavia (già prima della morte di
. Corriere della Sera, ...

Tra storia e memoria
Stalin nel , la Jugoslavia viene espulsa dal Kominform
nel ), la Jugoslavia divenne il primo bastione antisovietico sulla scacchiera occidentale, quindi da preservare.
Quanto al comunista Armando Cossuta, egli risponde agli
imperativi della ragion di Stato con quelli di una colpevole coerenza con i suoi pari degli anni bui. Non esita a
parlare di “revisionismo”, mettendo in causa le nozioni di
“memoria condivisa” in nome di una storia assolutamente
“non condivisa” poiché, rifiutando di accettare il concetto di “guerra civile” in Italia dopo il  e attenendosi
fermamente a quello di “occupazione straniera”, ripropone impudentemente la tradizionale differenziazione delle
vittime in quanto “fascisti” in un’inaccettabile confusione
tra loro ed i loro boia. Ammette appena appena il fatto
che fu gettato sulle foibe e sull’esodo «un velo generale
di silenzio» da parte del Partito Comunista italiano. . . come della Democrazia Cristiana. Contro tale denegazione
comunista dell’evidenza storica, due proposte emanate
sia da Alleanza nazionale sia dai Democratici di sinistra
sull’istituzione di tale Giornata, malgrado lievi divergenze,
notevolmente sulla data prescelta (il  febbraio in ricordo
del  febbraio , data del trattato di pace che simboleggia la cessione definitiva dell’Istria e della Dalmazia alla
Jugoslavia; il  marzo in riferimento al  marzo ,
data della partenza del piroscafo “Toscana” da Pola, ultima
nave italiana a lasciare l’antico territorio italico), hanno
allora forti probabilità di accordo. Mentre An intende insistere sul dramma delle foibe, Ds privilegia il fenomeno
storico dell’esodo. Vedremo più avanti che tali scelte, lungi
dall’essere superficiali, corrispondono a prospettive politiche dicotomiche caratteristiche di due modi di percepire
questo atto memoriale.
Ma prima di discernere tali differenze, La Repubblica
. Tra convivenza civile ed autonomia regionale istriana

dello stesso giorno riprende la tematica del Corriere della
Sera insistendo sulle dichiarazioni di Piero Fassino, segretario Ds, sulla «politica colpevole del Pci a proposito
delle frontiere orientali dell’Italia» sulla quale «pesarono
il condizionamento dell’U.R.S.S. e della Jugoslavia di Tito.» Quanto alla Stampa, dopo avere ricordato la visita
del Presidente Azeglio Ciampi alla foiba di Basovizza nel
febbraio  così come il fatto che il Lazio era l’unica
regione italiana all’epoca a celebrare il ricordo delle foibe
e dell’esodo sulla base di una legge del mese di maggio
, rievoca le parole di Marcello Pera, Presidente del
Senato, che glorifica le “eroiche vittime delle foibe” in
quanto “umili servitori della patria”, ulteriore passo avanti
nella riconoscenza a livello nazionale della memoria giuliano–dalmata . Notiamo quindi che un consenso delle
formazioni politiche italiane ha fatto la sua apparizione su
questo tema, colla notevole eccezione del Pci, divenuto in
tale frangente il capro espiatorio legittimo della classe politica nel suo insieme. Non era però tanto lontana l’epoca in
cui il Presidente Cossiga poteva dichiarare misconoscere
del tutto l’esistenza di una minoranza italiana in Jugoslavia,
relitto di una popolazione esiliata a forza, indizio d’indifferenza e d’insensibilità del governo italiano, condannato
da Fulvio Tomizza in Destino di frontiera. Ritroviamo d’altronde nelle proposte lodevoli e necessarie di An e dei
Ds gli echi a contrario di ciò che Tomizza critica in quanto focalizzazione duplice e antitetica della problematica
istro–triestina. Infatti, precisando che egli stesso si trovava
«in una fase in cui [voleva] ricominciare da zero, istituire
. Giovanna Casadio, «Ciampi: “La tragedia delle foibe nella memoria
di tutti gli italiani”», La Repubblica, ...
. La Stampa, ...

Tra storia e memoria
un rapporto nuovo», spiega che è ingiusto vedere negli
Jugoslavi odierni i responsabili delle foibe di ieri come
non può accettare l’equazione sempre in auge a Trieste
secondo la quale il conflitto tra Italiani e Slavi, successivo
all’abbandono dell’Istria ed alle esazioni conseguenti, dovrebbe obbligatoriamente essere opposto al campo nazista
della Risiera di San Sabba o alla Villa triste ed alle torture
ivi commesse . È a favore di Trieste in quanto «ponte tra
due mondi opposti» che egli predica contro un fenomeno
di “balcanizzazione” della città in nome di “rancori passati”, come vien detto nell’articolo eponimo del  che da
il suo titolo alla silloge Alle spalle di Trieste.
Trieste infatti, nell’ottica della nuova politica jugoslava
e nell’inedita aspirazione alla libertà della sua popolazione,
si è di nuovo imposta in quanto apertura sull’Occidente,
desiderio di apertura frutto del revisionismo ideologico jugoslavo, dettato dalla coscienza di un’irriducibile diversità
linguistica e razziale oltreché religiosa dei suoi popoli, sul
loro proprio suolo, avidi di liberalizzazione delle frontiere.
Così, tale riconoscenza mutua costituiva «l’unica soluzione
possibile per il rinnovo di questa città cosmopolita, il cui
futuro non può dimenticare le prospettive rimaste aperte
del suo passato.» Lungi dal somigliare a una negazione
del passato in favore di un’idillica speranza d’avvenire amnesico, la citazione tomizziana come l’insieme dell’articolo
in questione propongono, en toute connaissance de cause,
di ricongiungersi col destino plurietnico d’incrocio di civiltà che è sempre stata la ragion d’essere della metropoli
. T, Fulvio, Destino di frontiera, op. cit., “La dimensione
politica”, p. .
. T, Fulvio, Alle spalle di Trieste, Milano, Bompiani, , “Alle
spalle di Trieste”, pp. –.
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