Settimanale
Il capitale
tende a
occupare
meno operai possibile
Esiste una tendenza del capitale alla massima riduzione possibile del numero degli
operai da esso occupati, ossia della propria
componente variabile investita in forza-lavoro; tendenza che è in contrasto con l’altra
sua tendenza a produrre la maggior massa
possibile di plusvalore.
Nuova serie - Anno XXXVIII - N. 24 - 19 giugno 2014
Fondato il 15 dicembre 1969
Al Sud il 60,9% senza lavoro
Un giovane
su due E’
disoccupato
In totale 3 milioni e 487 mila stanno a casa
(K. Marx “Il Capitale”, vol. 1 (Libro I), 1865, Edizioni Rinascita, p. 334)
PAG. 2
Al ballottaggio per i sindaci la maggioranza degli elettori diserta le urne a Biella, Modena e Bari
Ai seggi solo 1 su 2
Il PD, nel 1921 PCI revisionista, dopo 68 anni perde il potere a Livorno, punito dall’elettorato di sinistra per
il malgoverno. Ne prende il posto il M5S con i voti dei fascisti, Forza Italia, Lega e con quelli determinanti
dei falsi comunisti. Il “centro-sinistra” batte il “centro-destra” ma la musica è sempre quella del capitalismo
ora occorre usare l’astensionismo come un voto dato al pmli e al socialismo
PAG. 3
L’esperienza e le valutazioni della Squadra di propaganda
dell’astensionismo della provincia di Modena PAG. 6
Alle amministrative e alle europee
Analisi del
voto a Livorno,
Empoli e
Valdisieve
PAGG. 4-5
fare il bilancio della storia
del movimento operaio per sapere
che cosa bisogna fare oggi
di Giovanni Scuderi
Renzi si scarica da ogni responsabilità
PAGG. 7-10
Renzi contestato a
Napoli e a Firenze
Risoluzione dell’Organizzazione
di Rufina sul Rapporto
di Scuderi al CC del PMLI
Forza Italia e PD
I media del regime, compreso “il manifesto”
Bisogna fare
si spartivano le
trotzkista, non ne parlano
e ottenere di più
Ventesimo Roma Pride
mazzette del Mose
sul radicamento
Grande
manifestazione
di Venezia
ed essere i
PAG. 6
35 mandati di arresto per tangenti milionarie. Nell’inchiesta coinvolti
imprenditori, politicanti, magistrati, finanzieri. Ai domiciliari il
sindaco di Venezia Orsoni (PD). Chiesto l’arresto per Galan, senatore
di FI, accusato di essere a libro paga per un milione l’anno
Sono marce le fondamenta del capitalismo, dei
suoi governi, istituzioni e partiti PAG. 11
per
i
diritti
di
LGBTQI
In 200mila colorano il centro storico di Roma con un
combattivo corteo. Fischiato il neopodestà Marino
“Renzi le tue promesse non ci bastano”
PAG. 12
migliori militanti
in tutto PAG. 14
2 il bolscevico / disoccupazione
N. 24 - 19 giugno 2014
Al Sud il 60,9% senza lavoro
Un giovane su due è disoccupato
In totale 3 milioni e 487 mila stanno a casa
Sull’Italia che il Berlusconi democristiano Renzi si vanta di stare cambiando sono piovuti come
una doccia gelata i dati sull’occupazione nel 1° trimestre 2014 rilevati ad aprile e pubblicati a giugno
dall’Istat, che non solo confermano che il lavoro continua inesorabilmente a calare, ma che la disoccupazione, e in particolare quella
giovanile, ha raggiunto proprio
adesso il livello più alto da 37 anni
a questa parte, da quando cioè l’istituto nazionale di statistica ha
iniziato a pubblicare la serie storica dei rilevamenti annuali.
I disoccupati tra i 15 e i 64 anni
hanno raggiunto infatti la cifra totale di 3 milioni e 487 mila, pari al
vi disoccupati registrati nell’ultimo anno sono persone in cerca
di primo impiego: 127 mila persone, quasi tutte giovani tra i 15 e
i 34 anni, un balzo del +15,2% in
un anno. E che praticamente tutti i nuovi disoccupati sono persone in cerca di lavoro da almeno 12
mesi. Tant’è che la disoccupazione di lunga durata ha avuto un balzo dal 54,8% del 1° trimestre 2013
al 58,6% di oggi. Ma quel che è
peggio è che nel numero dei disoccupati sono conteggiate solo le
persone che cercano attivamente
un lavoro (almeno una volta nelle quattro settimane prima della rilevazione). Non sono invece conteggiate altre 2 milioni e 442 mila
lia. Nel Mezzogiorno, poi, i giovani disoccupati sono il 60,9%, con
un incremento del 9% in un anno,
il doppio di quello nazionale e il
quadruplo di quello del Nord!
La piaga della disoccupazione
giovanile appare anche più grave
se vista in rapporto all’intera massa dei giovani, come per esempio
guardandola dal lato del tasso di
inattività, che è il rapporto tra le
persone non appartenenti alle forze di lavoro e la popolazione (tabella 4). Mentre infatti gli inattivi totali (popolazione meno forze
di lavoro tra i 15 e i 64 anni) sono
meno di 4 su 10 e risultano leggermente diminuiti, nella fascia 1524 anni gli inattivi sono invece 7
“Lavoro” è la rivendicazione più rilanciata nei cortei sindacali
13,6% delle forze di lavoro, ma tra
queste, nella fascia di età tra i 15 e
i 24 anni, i disoccupati alla ricerca disperata di un lavoro qualsiasi rappresentano ben il 46%, cioè
quasi la metà, e al Sud sono addirittura la maggioranza, il 60,9%.
Cifre mostruose, specie se comparate con quelle già non esaltanti,
ma comunque molto meno gravi,
della media europea, che secondo
i dati diffusi contemporaneamente da Eurostat è in leggero calo e
si attesta all’11,7% per i disoccupati in generale e al 23,5% per i
giovani, esattamente la metà dei
nostri. Peggio di noi, ma ormai
di poco, fanno solo la Grecia, col
56,9% di giovani disoccupati,
Spagna (53,5%) e Croazia (49%).
Anche perché l’aumento di disoccupati (totali) che c’è stato nell’ultimo anno (vedi tabella 1) è stato
imponente: il 6,5%, pari a +212
mila unità tra il primo trimestre
del 2013 e il primo trimestre 2014,
con una punta del +23,5% nel
Centro Italia, e se questa tendenza non cambia non ci vorrà molto tempo a raggiungere il gruppo
di testa.
Flagellato ancor di
più il Sud
Sempre dalla tabella 1 diffusa
dall’Istat si rileva altresì che quasi
la metà dei disoccupati (1 milione
e 603 mila) è concentrata nel Mezzogiorno, e che questa forbice si
sta continuamente allargando, visto che anche l’incremento di 212
mila disoccupati che c’è stato negli ultimi 12 mesi è ripartito in misura più che doppia al Sud rispetto
al Nord: il 7,3%, pari a 109 mila
unità al Sud, contro il 3,5%, pari a
40 mila unità al Nord. L’Istat rileva anche che oltre la metà dei nuo-
persone che il lavoro hanno smesso di cercarlo perché scoraggiate, tra cui 2 milioni di cosiddetti
“neet”, giovani che non lavorano,
non studiano e non fanno formazione, semplicemente languono in
casa e per le strade.
Dilaga la
disoccupazione
giovanile
Oltre che dai suddetti livelli assoluti questa allarmante situazione è confermata in pieno
anche in termini relativi dai dati
sul tasso di disoccupazione, che
è il rapporto tra le persone in cerca di occupazione e le forze di lavoro (occupati+disoccupati dai 14
ai 64 anni, pari a circa 25 milioni e 660 mila unità), Il tasso di disoccupazione nazionale, in crescita ininterrotta da ben 11 trimestri,
ha raggiunto oggi il 13,6%, con un
incremento dello 0,8% in un anno,
e al Sud è salito al 21,7%, con un
incremento doppio, l’1,6%. Ma se
si considerano solo le donne, al
Sud l’incremento è addirittura triplo (2,3%), mentre al Nord il tasso
di disoccupazione è rimasto stabile e al Centro la disoccupazione
femminile è leggermente diminuita. Calabria, Campania e Sicilia
detengono il triste record di disoccupati tra le regioni del Meridione, con tassi rispettivamente del
25,4%, 23,5% e 23,2%.
Se poi invece dell’intera massa
dei disoccupati si considera solo
la fascia dei giovani dai 15 ai 24
anni (tabella 3), la situazione assume aspetti veramente drammatici,
con il 46% di senza lavoro (+4,1%
in un anno), cioè la metà dell’intera forza lavoro giovanile, 347 mila
persone, cercano oggi inutilmente
una qualsiasi occupazione in Ita-
su 10 (73,2%, con un incremento
dello 0,8 in un anno), e quasi 8 su
10 (77,1%) tra le donne.
Aggravata anche la
piaga del precariato
Il quadro non cambia sostanzialmente neanche con i dati destagionalizzati, ossia epurati dai
fattori stagionali, che presentano
cifre leggermente inferiori a quelle non destagionalizzate finora
esposte, ma comunque sempre da
record negativo (vedi tabella 5).
E gli effetti sociali si vedono: tra il 2008 e il 2013 la crisi ha
espulso dal lavoro 1 milione e 830
mila giovani tra i 15 e i 34 anni,
mentre in 94 mila hanno lasciato
l’Italia e oggi l’Istat stima che un
giovane su tre è “sovraistruito per
il lavoro che svolge”, compresi
molti laureati in ingegneria. È ricominciata l’emigrazione, e non
solo di giovani e laureati e non
soltanto verso l’estero, ma anche
all’interno, da Sud a Nord come
negli anni ’50 e ’60: un’emorragia
pari a 87 mila persone ogni anno
dal 2003 al 2013.
Anche la piaga del precariato
si è aggravata nell’ultimo anno.
Sono infatti diminuiti gli occupati a tempo pieno (-1,4%, pari a
-255 mila unità), e tra questi oltre
il 60% dei casi riguarda contratti a
tempo indeterminato. Sono invece
aumentati (ma non altrettanto) gli
occupati a tempo parziale (+1,1%,
pari a +44 mila unità), ma la crescita riguarda esclusivamente il
part time involontario, che coinvolge il 62,8% dei lavoratori a
tempo parziale.
Unica ricetta il
liberismo
E c’è da considerare che questi dati non risentivano ancora degli effetti del decreto Renzi-Poletti che ha liberalizzato i contratti a
termine e l’apprendistato! Senza
contare poi il Jobs Act in preparazione, che abolirà l’articolo 18
per i neo assunti, e la controrifor-
ma degli “ammortizzatori sociali”
che quando sarà approvata getterà
sulla strada altre migliaia di lavoratori che oggi hanno ancora quel
minimo di protezione che offre la
cassa integrazione in deroga.
L’aria che tira l’ha annunciata
chiaramente il ministro del Lavoro Poletti, parlando il 7 giugno al
Torino 1 maggio 2014. Lo spezzone del corteo con in testa lo striscione contro il “jobs act” del governo Renzi e la precarietà
parafrasando le parole conclusive de “Il Manifesto” di Marx ed Engels.
convegno dei giovani industriali di Santa Margherita Ligure, più
applaudito dello stesso Squinzi a suo fianco sul palco, quando
ha detto che “dobbiamo cambiare testa. Liberarci del retropensiero sbagliato secondo cui l’impresa
è il luogo dove si sfrutta il lavoro. L’idea storica del conflitto non
ce la fa più a interpretare il mondo di oggi”. E mandando i giovani padroni letteralmente in delirio
quando ha attaccato la concertazione e la CGIL, tanto che il moderatore di turno ha osservato di
non capire chi dei due fosse il presidente di Confindustria.
Un grottesco show che il rinnegato ex presidente delle coop “rosse” ha ripetuto il giorno dopo sul
palco compiacente della “Repubblica delle idee” a Napoli, ribadendo che “serve un cambiamento
radicale della cultura del lavoro”,
e avendo la faccia tosta di definire “di sinistrissima” il suo decreto filopadronale che liberalizza il
lavoro a termine e l’apprendistato.
ballottaggi dell’8 giugno / il bolscevico 3
N. 24 - 19 giugno 2014
Al ballottaggio per i sindaci la maggioranza degli elettori diserta le urne a Biella, Modena e Bari
Ai seggi solo 1 su 2
Il PD, nel 1921 PCI revisionista, dopo 68 anni perde il potere a Livorno, punito dall’elettorato di sinistra per
il malgoverno. Ne prende il posto il M5S con i voti dei fascisti, Forza Italia, Lega e con quelli determinanti
dei falsi comunisti. Il “centro-sinistra” batte il “centro-destra” ma la musica è sempre quella del capitalismo
ora occorre usare l’astensionismo come un voto dato al pmli e al socialismo
Tutti i sindaci eletti risultano
delegittimati dal fortissimo astensionismo. Se si prendono in considerazione tutti gli elettori che
avevano diritto di voto, e non già
solo i voti validi, i neosindaci in
genere sono stati eletti da meno
di un terzo dell’elettorato.
Il minimo dei consensi spetta
DISERZIONE NEI COMUNI CAPOLUOGO
Provincia
Modena 11 maggio 2014. Due momenti del banchino di propaganda elettorale
astensionista del PMLI. Sulla destra il compagno Federico Picerni, Responsabile della Commissione giovani del CC del PMLI (foto Il Bolscevico)
al sindaco di Foggia Franco Landella (“centro-destra”), eletto con
appena il 22,3% degli elettori. A
Biella Marco Cavicchioli (“centro-sinistra”) ha ottenuto il 27,6%
degli aventi diritto. A Modena,
Gian Carlo Muzzarelli (“centrosinistra”) è eletto solo dal 27,8%
degli elettori, e a Bari l’erede di
Emiliano, Antonio Decaro (“centro-sinistra”), ha potuto contare sul sostegno risicato del 23%
dell’elettorato barese. Anche a
Livorno il neosindaco 5 stelle Filippo Nogarin deve fare i conti
con un risicato 26,2% di consensi
degli elettori labronici.
Chi vince e chi perde
Dieci comuni capoluogo vanno al “centro-sinistra”, cinque al
“centro-destra”, 1 al Movimento
5 stelle: è questo il risultato del
ballottaggio.
Fra primo e secondo turno, sui
27 comuni capoluogo, 19 vanno al “centro-sinistra” (ne aveva
15), 5 al “centro-destra” (ne aveva 12), 2 a liste civiche e 1, Livorno, al Movimento 5 stelle. E
questo è l’andamento in tutte le
altre città al ballottaggio che vedono in genere una vera e propria
disfatta del “centro-destra” e della Lega Nord.
Il “centro-sinistra” ne risulta
fortemente avvantaggiato ma non
può per questo “cantar vittoria”.
In genere, dove prevalgono,
il PD e i suoi alleati lo fanno per
esclusivo demerito degli avversari e non perché abbiano incrementato i propri voti rispetto alle
precedenti elezioni. E’ significativo che su 27 comuni capoluogo, solo in 9 sia stata confermata
la coalizione uscente. Nella stragrande maggioranza dei casi, gli
elettori hanno fortemente punito gli ex sindaci e amministratori
fossero questi della destra come
della “sinistra” borghese. Così si
spiega l’affermazione del “centro-sinistra” nei centri del Nord
fino ad ieri governato dal “centro-destra” e dalla Lega. Analogamente si spiega la perdita di
roccaforti storiche del “centro-sinistra” come Livorno e Perugia,
e, seppur più recenti, come Potenza e Padova, dove l’elettorato
di sinistra ha punito sonoramen-
te il malgoverno del PD. E il PD
se l’è vista brutta anche a Modena dove per la prima volta è stato
costretto al ballottaggio col M5S.
Il “centro-sinistra” esce quindi
alquanto scornato da questo ballottaggio. Specie il PD che pensava di andare con il vento in poppa, dopo il risultato delle elezioni
europee e il cosiddetto “effetto
Renzi”, che a quanto pare si va
già un po’ sgonfiando. Il segretario regionale del PD umbro ha
definito addirittura una “sconfitta
epocale e terrificante”, la perdita
di Perugia.
La sconfitta PD
a Livorno
La sconfitta di Livorno, dove il
PD, nel 1921 PCI revisionista, era
al potere da ben 68 anni, non è certo da meno. Qui non solo il PD per
la prima volta è stato costretto al
ballottaggio, ma l’ha persino perso nel confronto col candidato del
Movimento 5 stelle, Filippo Nogarin. Non c’è da stupirsene visto il
malgoverno della città: la disoccupazione dilagante, il degrado, l’inquinamento, le scelte politiche ed
economiche devastanti per il tessuto sociale e ambientale.
Al ballottaggio il PD non è
riuscito nemmeno a mantenere
i voti che aveva ottenuto al primo turno e tanto meno a incrementarli. Ne sarebbero bastati
una manciata per confermarsi al
potere della città. Mentre il candidato del Movimento 5 stelle è
riuscito addirittura a raddoppiare
i propri consensi, grazie alla nota
trasversalità del M5S che riesce a
raccattare a destra e a manca. Infatti Nogarin è riuscito ad assicurarsi al secondo turno i voti del
club azzurro “Liburni Fides” e
dell’UDC, nonché quelli dei falsi
comunisti raccolti sotto il cartello
di “Buongiorno Livorno” (quasi
14 mila voti al 1° turno) che pure
avevano posto inizialmente la
pregiudiziale del rifiuto dell’apparentamento con la destra. Nogarin ha tirato dritto e i dirigenti
falsi comunisti lo hanno seguito.
Del resto Nogarin può addirittura vantare un’origine trotzkista.
All’indomani dell’elezione ha
infatti ricordato che, prima dei
Verdi e dei Radicali, e prima ov-
Vercelli
Biella
Verb-Cus.Ossola
Bergamo
Cremona
Pavia
Padova
Modena
Livorno
Perugia
Terni
Pescara
Teramo
Bari
Foggia
Potenza
Caltanissetta
viamente di approdare al M5S,
il primo partito che ha votato in
gioventù è stata Democrazia proletaria.
Il PD tira un sospiro di sollievo a Modena ma se l’è vista brutta. Anche perché il candidato del
M5S, Marco Bortolotti, al secondo turno ha potuto contare sui
voti di Lega Nord, Fratelli d’Italia e del Nuovo centro destra del
modenese Carlo Giovanardi.
Il M5S riesce a conquistare la
poltrona di sindaco anche in altre
due grandi città come Civitavecchia e Bagheria (Palermo).
A Civitavecchia, dove la diserzione dalle urne passa dal
28,7% del primo turno al 52,6%
del ballottaggio (+23,9%), il
“centro-sinistra” perde clamorosamente il confronto con il candidato del M5S che fa il primo e
il secondo turno fa man bassa di
voti del “centro-destra” e triplica
i suoi consensi passando da 5.653
a 16.357 voti. Il “centro-sinistra”
invece ne guadagna solo 9 e resta al palo con 8.215 voti. Ma la
sconfitta stava già nel fatto che
dalle elezioni comunali del 2012
dove fu eletto sindaco Pietro Tidei, il “centro-sinistra” ha perso
ben 6.510 voti.
Il vero cambiamento
“Centro-sinistra”, “centro-destra”, Movimento 5 stelle, chiunque abbia prevalso sull’altro, alla
fine la musica è e rimarrà sempre
quella del capitalismo.
Già in passato sono state create delle grandi aspettative politiche ed elettorali che poi alla luce
dei fatti si sono dimostrate solo
una grande illusione e un grande
inganno.
Il vero cambiamento non passa certo né dal trasversale Movimento 5 Stelle, né da volti più o
meno nuovi del “centro-sinistra”,
DISERTORI BALLOTTAGGIO 2014
54,7
52,5
59,5
45,5
44,5
44,3
40,0
54,7
49,5
50,7
60,9
55,8
42,9
63,9
54,4
51,6
59,7
DISERTORI PRIMO
TURNO
33,4
34,2
34,9
28,9
29,6
30,5
29,9
27,8
35,5
30,2
32,5
29,7
25,8
32,4
29,6
24,9
35,1
per lo più repliche a misura e somiglianza del Berlusconi democristiano Renzi.
Milioni di elettori lo hanno già oggettivamente compreso scegliendo l’astensionismo.
Ora deve maturare la coscienza
fra le elettrici e gli elettori di sinistra di usare l’astensionismo
come un voto dato al PMLI e
al socialismo. Ci si può astenere per motivi diversi e i più disparati, tutti legittimi e efficaci,
per esprimere il proprio dissenso verso i partiti parlamentari, le
istituzioni rappresentative bor-
DIFFERENZA
BALLOT./1° TURNO
21,3
18,3
24,6
16,6
14,9
13,8
10,1
26,9
14,0
20,5
28,4
26,1
17,1
31,5
24,8
26,7
24,6
ghesi e i governi centrale, regionali e locali. Ma l’astensionismo
che fa più male e lascia il segno
più profondo è quello espresso
consapevolmente e apertamente come voto dato al PMLI e al
socialismo. Perché è con questo
voto che l’elettorato di sinistra
si impegna a spendere le proprie
preziose energie per l’avvento
del socialismo e per la conquista del potere politico da parte
del proletariato, che è la madre
di tutte le questioni, e senza la
quale non è possibile alcun cambiamento sostanziale.
Perché le regioni e i comuni
siano governati dal popolo
e al servizio del popolo
ci vuole il socialismo
NON VOTARE
I PARTITI
BORGHESI AL
SERVIZIO DEL
CAPITALISMO
Delegittimiamo
le istituzioni
rappresentative
borghesi
ASTIENITI
CREIAMO LE ISTITUZIONI
RAPPRESENTATIVE DELLE MASSE
FAUTRICI DEL SOCIALISMO
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected]
www.pmli.it
Committente responsabile: M. MARTENGHI (art. 3 - Legge 10.12.93 n. 515)
Il voto reale
ai sindaci
Elezioni comunali di ballottaggio dell’8 giugno 2014
Stampato in proprio
Domenica 8 giugno gli elettori erano chiamati al turno di ballottaggio per l’elezione dei sindaci di 148 comuni, dei quali 17
comuni capoluogo. Nei comuni
delle regioni a statuto ordinario
e della Sardegna (gli unici dati
diffusi dal Viminale, a esclusione quindi dei comuni del Friuli Venezia Giulia e della Sicilia),
ai seggi sono andati solo 1 elettore su 2. Infatti, il 50,5% dei
4.249.450 elettori che ne avevano
diritto, hanno disertato le urne.
Anche nei comuni capoluogo la maggioranza degli elettori ha prevalentemente disertato
le urne. La diserzione dalle urne
supera il 50% a Biella (52,5%) e
a Modena (54,7%). A Bari e Terni supera addirittura il tetto, quasi
impensabile fino a qualche anno
fa, del 60%. E ci riferiamo solo
alla componente dell’astensionismo costituita dalla diserzione
dalle urne alla quale andrebbero
aggiunte le altre due componenti
delle schede annullate e lasciate
in bianco.
L’incremento rispetto al primo
turno, quando negli stessi comuni
aveva disertato le urne il 29,4%,
è del 21,1%. Non è un dato semplicemente fisiologico perché in
passato lo scarto non era stato così
netto. E lo dimostra anche il fatto
che tale incremento non è omogeneo ma, stando solo ai comuni capoluogo, oscilla dal 10,1% di Padova al 31,5% di Bari.
E’ l’ennesima prova che sempre più gli elettori usano consapevolmente l’astensionismo come
un voto vero e proprio. Un voto
con cui dichiarano la loro estraneità e il loro rifiuto dei partiti della destra e della “sinistra”
borghese, dei loro candidati e
amministratori, delle istituzioni borghesi sempre più corrotte e
oppressive.
L’elettorato è sempre più mobile. Non esistono più “zoccoli
duri”, cieca fiducia, cambiali in
bianco. L’elettorato sempre più
rifiuta la logica del “meno peggio” e di “turarsi il naso” e sceglie consapevolmente di astenersi
per punire questo o quel candidato, questo o quel partito parlamentare. In genere, la peggio tocca al governo uscente.
La diserzione è più massiccia
nei grossi centri, per esempio nei
comuni capoluogo, rispetto ai comuni più piccoli dove evidentemente il controllo esercitato dalle
istituzioni e dai partiti parlamentari sull’elettorato è maggiore e
più capillare.
4 il bolscevico / ballottaggi dell’8 giugno
N. 24 - 19 giugno 2014
Al ballottaggio per il nuovo sindaco
Il vero “partito” che ha vinto
a Livorno è l’astensionismo
Il PD, nel 1921 PCI revisionista, perde il potere dopo 68 anni, punito dall’elettorato di sinistra
per il malgoverno. Eletto sindaco il leader del M5S, Nogarin, con i voti dei fascisti, di Forza Italia,
della Lega e con quelli determinanti dei falsi comunisti
Ma senza il socialismo Livorno non potrà mai essere
governata dal popolo e al servizio del popolo
di Una compagna del PMLI
residente attualmente a Livorno
“L’elettorato che si è astenuto ha espresso oggettivamente un
voto indipendentemente dal fatto che abbia voluto esprimere o
no un voto al PMLI seguendo la
sua indicazione. È un voto con cui
ha scelto di non premiare i governi borghesi centrale e locali sia di
‘centro-destra’ che di ‘centro-sinistra’. È un voto di delegittimazione, di rifiuto e di abbandono a se
stesse delle istituzioni rappresentative borghesi ad ogni livello e
dei partiti che le rappresentano”.
Questa citazione dall’editoriale
sui risultati delle amministrative
apparso sul numero scorso de “Il
Bolscevico” rende bene l’idea di
ciò che è emerso dalla urne a Livorno.
Il vero vincitore è l’astensionismo che si conferma già al primo
turno del 25 maggio il 1° “partito” con il 37,7% sul corpo elettorale crescendo del 16,1% rispetto
alle politiche del 2013 e del 2,6%
rispetto alle precedenti comunali del 2009, arrivando al 50,57%
complessivo di chi ha disertato
le urne, ha votato scheda bianca
o l’ha annullata al ballottaggio di
domenica 8 giugno cioè 69.243
elettrici e elettori su 136.901.
Le elettrici e gli elettori livornesi che si sono astenuti hanno
votato espressamente per delegittimare e punire i 68 anni di mal
governo locale in mano prima al
PCI revisionista poi PDS, DS oggi
PD, superando quei sentimenti di
attaccamento a questo partito nato
proprio nel capoluogo labronico nel 1921. Un malgoverno fatto
di sprezzante noncuranza verso la
dilagante disoccupazione che attanaglia soprattutto i giovani e le
donne. Le varie giunte di “centrosinistra” che si sono susseguite in
tutti questi anni non hanno mosso
un dito per salvaguardare il porto che era il più grande bacino di
occupazione per la città, non hanno mai stanziato fondi per dragaggi adeguati per accogliere le grandi navi e l’hanno lasciato in mano
ai pescecani capitalisti che si sono
aggiudicati la maggior parte degli
imbarchi e degli sbarchi commerciali internazionali mandando in
seria crisi la cooperativa dei portuali.
Il voto espresso con l’astensione è contro la decisione, imposta
senza ascoltare la volontà contraria di migliaia di abitanti, di installare il rigassificatore “Offshore”
con la sua piattaforma a poche miglia dalla costa cittadina che mette in estremo pericolo la vita e la
salute dei livornesi. Questo voto
astensionista è contro il degrado
sociale, la quasi totale mancanza
di servizi sociali, il mal funzionamento di quei pochi esistenti. Contro lo sperpero di denaro pubblico
conseguente al progetto del nuovo
ospedale che più che fare gli interessi della popolazione fa gli interessi degli speculatori privati: sorgerà in una zona decentrata e più
difficoltosa da raggiungere rispetto al vecchio, quest’ultimo depotenziato e decadente, tanto che per
i livornesi ormai è routine servirsi del Santa Chiara di Pisa. Questo voto astensionista è un grido
di protesta in faccia a chi ha lasciato nel più totale degrado culturale Livorno, città di grandi radici storiche per la classe operaia
italiana. Questi sono i motivi appena accennati che hanno indotto
le livornesi e i livornesi a votare
in maniera massiccia l’astensionismo. Non certo per andare “ar
mare” come hanno sentenziato alcuni mass-media di regime.
Il PD insieme alla sua coalizione composta da SEL, Lista civica
Livorno decide, PSI-altri, IDV il
25 maggio (1° turno) non raggiungeva il 51% sui voti validi necessario per far eleggere il suo candidato, renziano di ferro, Ruggeri, e
lo costringeva, per la prima volta,
al ballottaggio contro il candidato del M5S Filippo Nogarin, con
34.096 voti (il 24,9% sul corpo
elettorale). L’8 giugno il PD non
è riuscito a mantenere i voti che
aveva ottenuto al 1° turno e tanto meno a incrementarli, 31.759
(23,2% sul corpo elettorale) perdendone ulteriori 2.337, e dando
al M5S il potere cittadino che deteneva da 68 anni.
Il neoeletto a sindaco di Livorno, Filippo Nogarin del Movimento 5 Stelle ha poco da cantar vittoria poiché la sua ascesa al governo
cittadino è tutt’altro che plebiscitaria e popolare, se si pensa che i
suoi 35.899 voti al ballottaggio e
quindi il suo 53,06% sui voti validi si riduce a un 26,2% sul corpo elettorale. È vero anche che al
primo turno aveva preso appena
l’11,8% di consensi sul corpo elettorale cioè 16.212 voti. Di sicuro
non sarebbe riuscito a ottenere i
voti sufficienti per vincere su Rug-
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geri se come il suo padre-padrone
Grillo, non avesse cercato l’appoggio dei fascisti di FdI-AN e degli
xenofobi di Lega Nord, e in ultimo
di Forza Italia, che nell’occasione
del ballottaggio, non ha dichiaratamente espresso di appoggiare
Nogarin, ma era già sottointeso visto che lo stesso a tre giorni dall’8
giugno ha strizzato l’occhio a FI
dichiarando che se avesse vinto
portava: “subito a Livorno l’Esselunga” che è una vita che la catena
di supermercati dell’anticomunista e sfegatato berlusconiano Caprotti tenta di approdare nella città
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RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’
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“centro-sinistra”.
Determinante all’elezione di
Nogarin è stato l’appoggio di Andrea Raspanti candidato della lista
“Buongiorno Livorno” che insieme a “Sinistra unita per il lavoro”,
“Un’altra Livorno” e “Amiamo
Livorno”, liste della “sinistra” borghese e dei falsi comunisti, gli hanno portato oltre 13.000 voti. Non a
caso il M5S ha scelto Filippo Nogarin, ingegnere aerospaziale, libero professionista di Rosignano,
44 anni, elettore in giovane età di
Democrazia proletaria poi dei Ver-
Accade nulla attorno a te?
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di e Radicali, come lui stesso asserisce, che fino a ieri non aveva mai
fatto politica, che si presenta agli
appuntamenti ufficiali in jeans e
scarpe da ginnastica e si professa di “sinistra”. Nogarin nella sua
campagna elettorale ha cavalcato
furbescamente la tigre della rabbia
dei livornesi verso un gruppo dirigente del PD ormai lontano anni
luce dal suo elettorato, da una parte, e ha stretto alleanze coi fascisti,
Forza Italia e Lega dall’altra. Ne
vedremo delle belle.
Quindi in ultima analisi la vittoria è dell’astensionismo! Grazie
alle elettrici e agli elettori di sinistra di Livorno che l’hanno prati-
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in netto dissenso, contro le sirene illusorie dei partiti della destra
e della “sinistra” borghesi e di chi
promette il “cambiamento” come
il M5S.
Occorre ora che vadano oltre,
che abbandonino definitivamente ogni illusione parlamentarista e
governista, perché il cambiamento vero arriva solo prendendo coscienza che la causa di tutti i mali
di Livorno, e non solo di esso ma
dell’intero Paese, è il capitalismo
e che bisogna abbatterlo. Perché
solo col socialismo Livorno può
essere governata dal popolo e al
servizio del popolo.
Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università
dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante ingiustizie, soprusi, malefatte,
problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti.
Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche:
Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse e Sbatti i signori del
palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a:
Astensionismo
elettorale a Prato
Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 Firenze
Fax: 055 5123164 - e-mail: [email protected]
Sullo scorso numero nell’articolo di analisi del voto a Prato (pagina 5) sia nel titolo che nel testo sono saltate le virgolette al “partito” dell’astensionismo, “partito” che è al primo posto nelle scelte
degli elettori della città toscana.
Ce ne scusiamo con i lettori.
Errata corrige
elezioni del 25 maggio / il bolscevico 5
N. 24 - 19 giugno 2014
L’astensionismo avanza anche a Empoli, feudo del pd
‡‡Redazione di Fucecchio
parte soffocata anche dal divieto
governativo fascista di affiggere
i manifesti sui tabelloni a chi non
presentava liste elettorali. Ma tutto ciò non ha impedito ai marxisti-leninisti di propagandare tra le
masse l’astensionismo anticapitalista e per il socialismo,
Prendendo i risultati delle europee il partito che aumenta di più è
il PD, che però viene da numerose
consultazioni che lo hanno sempre
visto in perdita. Stavolta invece ha
guadagnato dal 7 al 10% a seconda dei raffronti con le politiche, comunali o europee. Di segno inverso invece Forza Italia con perdite in
doppia cifra, ben il 12,2% rispetto
al 2009. In questo modo il partito di
Berlusconi si posiziona, nettamente staccato, anche dietro al Movimento 5 stelle che comunque non
raggiunge un gran risultato perché
rispetto alle politiche dello scorso
anno perde più di 2.000 voti (-6,2%
sul totale degli elettori).
Questo ha pesato sul risultato del
loro candidato sindaco che speravano potesse andare al ballottaggio visto che alle scorse amministrative il
Empoli è uno dei comuni più
popolosi della provincia di Firenze con oltre 40 mila abitanti, da sempre feudo elettorale del
vecchio PCI revisionista, poi del
PDS, DS e ora del PD. Qui si raggiungono le più alte percentuali di affluenza anche se negli ultimi anni le cose stanno cambiando
e anche stavolta, per le europee e
le amministrative, l’astensionismo
ha fatto un ulteriore passo in avanti aumentando del 4,5 rispetto alla
consultazione del 2009. Ben più
consistente l’aumento se guardiamo alle politiche del 2013 rispetto
al quale l’astensionismo cresce di
ben 3.800 unità pari al 10,6%.
Nonostante la tradizione quindi, anche ad Empoli il voto astensionista è oramai scelto da una fetta consistente dell’elettorato, circa
il 30%, nonostante il gran daffare dei vari partiti borghesi in lotta
anche per la poltrona di sindaco.
Dall’altra solo il PMLI ha proposto il rifiuto delle istituzioni borghesi con l’astensionismo. Una
piccola voce isolata, quest’anno in
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sindaco eletto, la PD Luciana Cappelli, lo evitò solo per un centinaio
di voti. Gabriele Sani invece prende
solo il 13,7 dei voti validi (9,1 sul
totale) dietro anche a Damasco Morelli, candidato trasversale, ex PD
appoggiato anche dall’ex assessore al comune di Firenze, l’empolese
Graziano Cioni, sostenuto da tre li-
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che ha totalizzato il 14,5 (10%). A
seguire Dusca Bartoli, candidata
sostenuta da PRC-PdCI-SeL che ha
preso l’11,8% (8,2% sul corpo elettorale). Mille voti in meno, sia della candidata che delle liste a sostegno, rispetto a quelle che nel 2009
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quale stavolta ha sostenuto pubblicamente Damasco Morelli, appoggiato anche dalla destra empolese.
Ha vinto al primo turno Brenda
Barnini del PD che al di là dei trionfalismi non ha preso nemmeno i voti
della Cappelli di 5 anni fa e non è andata al ballottagio non per l’aumento
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dei propri consensi ma per le perdite degli altri candidati. Se prendiamo correttamente in considerazione
l’astensionimo, la percentuale effettiva dei suoi voti non è del 53,8
(%sui voti validi) bensi del 37,2%,
ovvero non è stata scelta dalla maggioranza degli empolesi come invece dicono la Barnini e il suo partito.
Oltre un quarto degli elettori diserta le urne, annulla la scheda o la lascia in bianco
Valdisieve, astensionismo record al 26,54%
Rispetto alle scorse politiche un altro elettore su
dieci nega il proprio voto ai partiti borghesi
Il PD raccoglie l’emorragia da destra e beneficia della scomparsa dell’IDV e di Scelta civica. Crollo del Movimento 5 stelle
‡‡Dal corrispondente
di gran lunga il secondo “partito”:
8.184 elettori, pari ad oltre il 26%
circa, hanno disertato le urne,
annullato la scheda o l’hanno lasciata in bianco.
al 70%; invece il PD ha raccolto
15.158 voti su 30.842 aventi diritto che gli conferma il primato fra i
partiti parlamentari e borghesi ma
con un ben più ristretto 49,15%
che rappresenta meno della metà
dell’elettorato. Voti raccolti anche
da destra, le cui forze raccolgono
appena un 10,3% con poco più di
3.000 consensi, dalla contrazione
del Movimento 5 Stelle (2.712
voti pari all’8,81%) e dal crollo
dell’IDV che in pratica scompare
assieme a Scelta Civica. L’astensionismo, nonostante il martellante invito al voto, si conferma
dell’Organizzazione di
Rufina del PMLI
Prima di esaminare nel dettaglio il risultato del voto dei due
principali comuni della Valdisieve
(Pontassieve e Rufina) pensiamo
sia il caso di fare una panoramica più generale sull’intera area
che comprende, oltre ai comuni
sopracitati, anche Pelago, Londa e San Godenzo. Tutti i media
hanno sbandierato ai 4 venti l’affermazione plebiscitaria del PD
nelle zone di origine di Renzi, attribuendogli percentuali intorno
Il voto a Pontassieve
e Rufina
Confrontando i risultati delle europee con quelli del 2009,
emerge che nei principali comuni della Valdisieve il PD raccoglie
8.367 preferenze contro le 6.612
di cinque anni fa e si attesta al
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PONTASSIEVE - europee 2014
CORPO ELETTORALE
VOTI VALIDI
16.315
11.987
CORPO ELETTORALE
VOTI VALIDI
EUROPEE 2014
PARTITI
ASTENUTI
FED.VERDI - GREEN ITALIA
FORZA ITALIA
L'ALTRA EUROPA CON TSIPRAS
FRATELLI D'ITALIA - AN
IO CAMBIO - MAIE
SCELTA EUROPEA
NUOVO CENTRO DESTRA - UDC
MOVIMENTO 5 STELLE
PD
LEGA NORD
IDV - DI PIETRO
ALTRI
Voti
4.328
93
796
712
234
12
27
232
1.314
8.367
155
45
-
EUROPEE 2009
% sui
voti
validi
% sugli
elettori
26,5
0,6
4,9
4,4
1,4
0,1
0,2
1,4
8,1
51,3
1,0
0,3
-
16.601
12.865
36,1
0,8
6,6
5,9
2,0
0,1
0,2
1,9
11,0
69,8
1,3
0,4
-
3.736
429
2.773
664
549
6.612
264
933
641
DIFFERENZA
% sui
voti
validi
% sugli
elettori
Voti
22,5
2,6
16,7
4,0
3,3
39,8
1,6
5,6
3,9
CORPO ELETTORALE
VOTI VALIDI
29,0
3,3
21,6
5,2
4,3
51,4
2,1
7,3
5,0
Diff.
Assoluta
592
-336
-1.977
48
234
12
-522
232
1.314
1.755
-109
-888
-641
POLITICHE 2013
Diff.
Diff.
% sugli
% sui
elettori voti validi
4,0
-2,0
-11,8
0,4
1,4
0,1
-3,1
1,4
8,1
11,5
-0,6
-5,3
-3,9
16.306
13.485
% sugli
elettori
Voti
7,1
-2,5
-15,0
0,7
2,0
0,1
-4,1
1,9
11,0
18,4
-0,8
-6,9
-5,0
2.821
1.412
295
226
175
2.242
7.824
66
1.245
17,3
8,7
1,8
1,4
1,1
13,7
48,0
0,4
7,6
DIFFERENZA
% sui
voti
validi
Diff.
Assoluta
1.507
93
-616
417
8
12
27
57
-928
543
89
45
-1.245
20,9
10,5
2,2
1,7
1,3
16,6
58,0
0,5
9,2
Diff.
Diff.
% sugli
% sui
elettori voti validi
9,2
0,6
-3,8
2,6
0,1
0,2
0,3
-5,6
3,3
0,6
0,3
-7,6
15,2
0,8
-3,9
3,7
0,3
0,1
0,2
0,6
-5,6
11,8
0,8
0,4
-9,2
RUFINA - comunali 2014
CORPO ELETTORALE
VOTI VALIDI
VOTI SOLO SINDACO
COMUNALI 2014
PARTITI
ASTENUTI
LISTA CIVICA - DEMOCRAZIA E SOLIDARIETA'
MOVIMENTO 5 STELLE BEPPEGRILLO.IT
LISTA CIVICA - INSIEME PER RUFINA
ALTRI
Voti
1.837
3.127
589
426
-
% sugli
elettori
30,7
52,3
9,9
7,1
-
5.979
4.142
0
% sui
voti
validi
44,4
75,5
14,2
10,3
-
CORPO ELETTORALE
VOTI VALIDI
VOTI SOLO SINDACO
COMUNALI 2009
% sui
% sugli
voti
elettori
validi
Voti
1.625
2.749
1.085
591
26,9
45,4
17,9
9,8
36,7
62,1
24,5
13,4
6.050
4.425
0
DIFFERENZA
Diff.
Diff.
Diff.
% sugli
% sui
Assoluta
elettori voti validi
212
378
-659
-591
3,8
6,9
-10,8
-9,8
CORPO ELETTORALE
VOTI VALIDI
5.876
4.711
POLITICHE 2013
Voti
7,7
13,4
-14,2
-13,4
1.165
908
3.803
% sugli
elettori
19,8
15,5
64,7
% sui
voti
validi
24,7
19,3
80,7
DIFFERENZA
Diff.
Diff.
% sugli
% sui
elettori voti validi
Diff.
Assoluta
672
-319
-3.803
10,9
-5,6
-64,7
19,7
-5,1
-80,7
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51,3% sul corpo elettorale a Pontassieve mentre a Rufina i suoi
voti sono 2.767 (1.960 nel 2009)
pari al 46,6%. Questo aumento
rispettivamente di oltre 11 e 12
punti è dovuto in particolare allo
slittamento di voti da Forza Italia
che globalmente ne perde oltre
1.500 pari a circa il 12% del corpo elettorale a Pontassieve e 749
a Rufina pari al 12,4%. Dobbiamo
considerare anche la scomparsa
dell’IDV che perde quasi 900 voti
a Pontassieve e 261 a Rufina, con
tutta probabilità a beneficio del
PD stesso. A Pontassieve tengono nella pratica la cosiddetta
“sinistra radicale” nel suo insieme e la Lega che perdono meno
dell’uno per cento sul corpo elettorale mentre a Rufina le flessioni
sono rispettivamente del 2,6%
e dell’1,3%. L’astensionismo a
Pontassieve passa da 3.736 unità
a 4.328 che gli valgono un incremento di 4 punti percentuali; più
modesto a Rufina, dove aumenta
del 2,7%.
Raffrontando i dati con le politiche del 2013, dato più fresco
e comunque indicativo, notiamo
che il “centro-destra” nel suo insieme perde circa 600 voti a Pontassieve, in parte raccolti dal PD,
che beneficia anche dalla scomparsa di Scelta Civica di Monti,
perdendone però qualcuno a
favore della lista del socialdemocratico Tsipras che a Pontassieve
alza sensibilmente il numero di
preferenze ricevute un anno fa da
Ingroia, allora sostenuto anche
dall’IDV. A Rufina guadagna qualcosa Tsipras (+1,2%) così come
il PD incrementa del 4,8% accogliendo anche in questo caso gli
ex-Scelta Civica e parte degli ex
elettori di destra che hanno visto
in Renzi un ottimo continuatore
di Berlusconi. Pesante crollo del
Movimento 5 Stelle che riduce
le preferenze di quasi mille voti
a Pontassieve (-5,6%) e di 530 a
Rufina (-6,6%).
È l’astensionismo che però fa
il balzo maggiore aumentando in
entrambi i comuni di oltre il 9%
e portandosi al 26,5% sul corpo elettorale a Pontassieve e al
28,9% a Rufina, confermandosi il
secondo “partito” subito dietro al
PD. Riassumendo, a Pontassieve il PD raccoglie 8.367 voti su
16.315 aventi diritto (51,3%), lo
segue il “partito” degli astensionisti al 26,5%, poi il Movimento
5 Stelle all’8,1%, Forza Italia al
4,9% e Tsipras al 4,4% degli elettori. Dati simili a Rufina dove il PD
ottiene 2.767 voti su 5.940 aventi
diritto (46,6%) fermandosi sotto il
50% del corpo elettorale, seguito
dal “partito” degli astensionisti al
28,9%, poi il Movimento 5 Stelle
all’8,9%, Forza Italia al 7,5% e
Tsipras col 3,2%.
I risultati
delle elezioni
amministrative
Le amministrative a Pontassieve confermano i candidati del
PD appoggiati anche da IDV, SEL
e PSI, Monica Marini a Pontassieve che mantiene le preferenze
raccolte dall’ultimo Mairaghi, ex
sindaco piddino, con una percentuale intorno al 52,5% del corpo
elettorale sommando il 44% della lista PD e l’8,5% della “civica”
SEL–PSI–ex IDV. Mauro Pinzani a
Rufina che rinnova il suo mandato col 52,3% degli aventi diritto.
Anche in questo caso è evidente
che il PD beneficia di gran parte
dei 2.000 circa voti in meno raccolti da Forza Italia a Pontassieve
(-659 a Rufina) e cede a sua volta
una significativa quantità di voti al
Movimento 5 Stelle che alla sua
prima apparizione alle amministrative si attesta al 9,3% sugli
aventi diritto con 1.526 voti a
Pontassieve. Rifondazione, presente con una lista civica, dimezza i propri voti dal 4% all’ 1,9%
pari a 350 preferenze in meno,
cedendoli in parte al Movimento
5 Stelle ed in misura maggiore
all’astensionismo.
Diverso il ragionamento per
Rufina dove rispetto alle scorse
amministrative non si è presentata alcuna lista a sinistra del PD
(nel 2009 il PRC raccolse il 9,8%)
e dove il Movimento 5 Stelle esordisce accogliendo 589 voti pari al
9,9%; è ipotizzabile tuttavia uno
slittamento di voti al PD da destra
ed al Movimento 5 Stelle dal PD
e dagli ex PRC. L’astensionismo
incrementa del 6,9% portandosi
al 27,7% degli elettori a Pontassieve e del 3,8% a Rufina pari al
30,7% degli aventi diritto, segno
evidente che la scelta di disertare
le urne, di annullare o lasciare in
bianco la scheda assume sempre
di più un valore politico di rifiuto
del sistema capitalista. Il crollo
del Movimento 5 Stelle rispetto
alle scorse politiche, dalla sua
fondazione deterrente dell’astensionismo e della lotta di classe,
conferma che l’interclassismo e
il populismo non sono ritenute
una valida alternativa al sistema
proprio perché esse nella pratica
lavorano per mantenerlo in piedi
nelle sue fondamenta.
Quale democrazia potrà esserci in un Consiglio comunale,
prendendo ad esempio quello
di Pontassieve, nel quale 13 dei
suoi 17 seggi saranno del PD e
dei suoi stretti alleati? Il neo sindaco di Pontassieve, attraverso
le due liste in suo sostegno, ha
raccolto il 52% dei voti ma la democrazia borghese gli attribuisce
il 76% dei seggi. Per questo il
PMLI si rivolge ancora una volta
a tutti gli astensionisti di sinistra,
che sono la parte indiscutibilmente più numerosa, e a coloro
che sono ancora legati all’elettoralismo borghese, a tuffarsi nella
lotta di classe e combattere le
istituzioni dall’esterno attraverso
le istituzioni rappresentative delle
masse fautrici del socialismo che
vanno create e le Assemblee e i
Comitati popolari.
Le masse devono prendere
coscienza che dall’interno delle
istituzioni non potranno aspettarsi nessun autentico cambiamento ma neppure il soddisfacimento
delle loro rivendicazioni che potranno essere conquistate solo
con la lotta di classe anche attraverso la costituzione di Comitati
di lotta su questioni specifiche.
6 il bolscevico
N. 24 - 19 giugno 2014
Renzi contestato duramente dalle masse a Napoli
La polizia di Alfano blinda la piazza e fa fuggire il Berlusconi democristiano da un ingresso laterale del teatro San Carlo
Vergognoso silenzio dei media del regime, compreso “Il Manifesto” trotzkista
‡‡Redazione di Napoli
Sabato 7 giugno, nella centrale
piazza Trieste e Trento a Napoli,
centinaia di manifestanti hanno
“accolto” il presidente del Consiglio, il Berlusconi democristiano
Renzi, con una clamorosa e dura
contestazione.
Ospite della terza edizione della kermesse “La Repubblica delle
Idee” organizzata dall’omonimo
quotidiano, è stato letteralmente
subissato dai fischi e dalle urla dei
manifestanti, nonostante la solita
militarizzazione attuata dalle “forze
dell’ordine” del suo fedele gerarca dell’Interno, Alfano, con Digos,
celere e carabinieri in assetto antisommossa. La “recinzione” costruita per contenere i manifestanti
inviperiti non ha fatto demordere i
coraggiosi contestatori antigovernativi e anticapitalisti, provocati
da alcuni spintoni da parte degli
agenti.
Tre giovanissimi dei centri sociali napoletani - cui va la nostra
solidarietà militante - sono stati
fermati e trattenuti in questura per
diverse ore perché stavano svolgendo un semplice volantinaggio
in piazza.
Alla protesta hanno partecipato
i precari Bros, i disoccupati, i movimenti studenteschi, i “sindacati
di base”, i comitati di lotta per la
difesa della salute - ambiente della
Campania e i dipendenti del consorzio fallito per il recupero dell’area Bagnoli; c’erano alcuni militanti della Cellula “Vesuvio Rosso” di
Napoli del PMLI. “Renzi vattene!”,
“Stop Jobs act!” e “Stop biocidio”,
chi ha inquinato deve pagare”,
alcune delle parole d’ordine degli
striscioni esposti dai combattivi
contestatori.
Nel frattempo si univa alla
protesta la comunità senegalese
napoletana scesa in piazza in seguito alla violenta aggressione di
cui è stata vittima per mano della
Napoli, 7 giugno 2014. Due momenti della contestazione al Berlusconi democristiano Renzi (foto del Comitato contro la discarica di Chiaiano)
guardia di finanza il giorno prima,
un ambulante senegalese. Iniziano
gli slogan, i cori, si grida davanti
alla città che non sono gradite le
passerelle di questo odiato governo antipopolare egemonizzato dal
PD.
Il premier è riuscito a evitare i
manifestanti usando un ingresso
laterale del teatro per andare a cinguettare col direttore di Repubblica, Ezio Mauro, cui è seguito un incontro con il neopodestà di Napoli
Luigi De Magistris.
Nella dura e bella giornata di
lotta le masse hanno espresso tutta la loro rabbia e dissenso contro
il governo Renzi e motivando politicamente le ragioni della loro protesta. Perché questo è un governo
che ripetendo all’infinito lo slogan
della “rottamazione” del passato
e usando il volto “nuovo” e “giovane” del premier, sta portando
avanti un attacco a tutto campo e
senza precedenti alle condizioni di
vita di milioni di donne, giovani e
meno giovani, lavoratori, studenti,
disoccupati e immigrati.
A conferma di ciò basti guardare al contenuto delle misure previste dai provvedimenti governativi
più discussi degli ultimi mesi: il
famigerato Jobs Act che col mi-
raggio della “ripresa” dell’occupazione e dell’economia italiana
comprime ulteriormente i salari,
aumenta lo sfruttamento e il ricatto
padronale a cui si è sottoposti in
nome della “flessibilità” in entrata
(come dimostrano le modifiche
previste per contratti a termine e
apprendistato) e in uscita (si parla infatti di una “riforma epocale”
degli “ammortizzatori sociali”. E
ancora: il Piano Casa firmato dal
ministro ex berlusconiano Lupi
che si limita a rispondere all’emergenza abitativa agevolando i
grandi proprietari e attaccando chi
è costretto a occupare una dimora, impedendogli il riconoscimento
della residenza e l’allacciamento ai
servizi pubblici. Questo è un go-
verno che non si è fatto scrupoli
nel rispondere alle sacrosante richieste di chi ha osato contestare
il suo operato negli ultimi mesi solamente con arresti, fermi preventivi, denunce e manganelli di stile
mussoliniani.
Risulta a dir poco vergognoso il
comportamento dei media del regime, compreso il manifesto, che
hanno tenuto nascosta la notizia, o
in qualche caso minimizzato i fatti
e la verità della giusta contestazione a Renzi da parte delle masse popolari di Napoli e provincia.
Un comportamento che dimostra
in maniera chiara come i media
asserviti al regime capitalista e al
suo governo, usano le loro pagine
come megafono solo per esaltare
il nuovo Berlusconi e difendere gli
interessi del capitalismo, censurando in modo vigliacco le rivendicazioni e i diritti di chi protesta
e lotta nelle piazze. Esattamente
come avveniva sotto la dittatura
fascista di Mussolini.
Firenze
CONTESTATO RENZI AL COMIZIO DI CHIUSURA
DELLA CAMPAGNA ELETTORALE DEL PD
‡‡Redazione di Firenze
Venerdì 23 maggio Renzi è stato accolto da fischi e slogan appena si è affacciato sul palco del comizio di chiusura della campagna
elettorale del PD in Piazza della
Signoria.
Ad animare la contestazione
principalmente i senza casa, vitti-
Massiccio intervento della polizia
me del piano casa di Renzi e Lupi
che impone all’articolo 5 il taglio
delle utenze negli edifici occupati e il divieto di avervi il domicilio. Gli slogan urlati nella protesta:
“Case subito!”, “No Jobs act, No
piano casa”; è stato tentato di srotolare lo striscione “Renzi nemico
di tutti i lavoratori” utilizzato anche dai lavoratori Ataf. Dopo po-
chi secondi i cordoni di Digos (più
di cento) supportati dal servizio
d’ordine del PD (circa 200) hanno attaccato i manifestanti spingendoli fuori della piazza, mentre
l’ipocrita Renzi dal palco faceva il
buonista commentando la protesta: “accogliamoli con un sorriso”.
I manifestanti, sospinti in via
della Ninna, hanno dato vita a un
corteo in pieno centro.
Questo è stato il clou di una
mobilitazione contro il piano casa
e l’articolo 5, aperto da un corteo sabato 17 maggio, sfociato in
un presidio di due giorni in piazza San Lorenzo, dietro il palazzo
della prefettura e nell’occupazione dell’anagrafe di Palazzo Vecchio lunedì 19 maggio.
L’esperienza e le valutazioni della Squadra di propaganda
dell’astensionismo della provincia di Modena
La Squadra di propaganda
dell’astensionismo marxista-leninista della provincia di Modena
si è insediata il 25 Aprile e si è
sciolta il 7 giugno. La Squadra ha
operato nei comuni di Modena e
di Castelvetro.
Calendario
delle
attività:
banchini a Modena il 2, 11 e 18
maggio; volantinaggio all’assemblea di confronto fra i candidati a
Castelvetro il 19 maggio; volantinaggio a Modena il 22 maggio.
Bilancio autocritico
del lavoro svolto
Ancora una volta il principale
pregio della Squadra di propaganda è rappresentato, senza
ombra di dubbio, dal grande entusiasmo proletario rivoluzionario, dallo spirito di sacrificio, dalla
consapevolezza di rendere un
servizio preziosissimo al trionfo
dell’astensionismo marxista-leninista e quindi, strategicamente,
alla causa del socialismo in Italia.
Tutti i compagni, nessuno
escluso, hanno dato il massimo,
compatibilmente con le proprie
inderogabili disponibilità, sobbarcandosi ben tre fine settimana
consecutivi di banchini. Tanta è
stata l’intensità con cui questa
campagna elettorale astensionista è stata vissuta, che tutti i
membri della Squadra di propaganda possono registrare
notevoli miglioramenti, nel giro
di poco tempo, sul piano ideologico, politico, organizzativo
e giornalistico. Esemplare in tal
senso la nota del compagno Stefano del 27 maggio nella quale
egli, di sua iniziativa, commenta
il dato astensionista. Addirittura,
da parte del compagno Antonio,
è maturata l’intenzione di fare un
passo avanti e richiedere l’ammissione al PMLI.
I compagni hanno inoltre reagito correttamente, con ottima
coscienza politica e di classe, al
risultato elettorale, che è peraltro
assai positivo e incoraggiante.
Bisogna fare attenzione a non cadere in una forma inconsapevole
e apparentemente di “sinistra”
dell’elettoralismo, che consiste
nel sopravvalutare il dato elettorale, qualunque esso sia, e credere che la battaglia strategica
per il socialismo dipenda soltanto
dal voto astensionista.
Vista la fase economica che
il Partito sta attraversando, è un
grande successo che la Squadra
si sia totalmente autofinanziata e
abbia potuto comunque realizzare tante cose, fra cui il “depliant”
autoprodotto.
Un’autocritica doverosa va
fatta per il ritardo con il quale abbiamo richiesto l’assegnazione
dei banchini, che ci ha impedito
di averli nei giorni in cui avremmo
preferito.
Al contempo, i compagni sono
invitati a migliorare la propria dialettica e capacità di argomentare
le nostre posizioni, che non è ancora del tutto soddisfacente, ma
è proprio usando dialettica e argomentando che possiamo convincere i nostri interlocutori della
giustezza delle nostre proposte,
che noi sappiamo essere vincenti
e rivoluzionarie, ma che dobbiamo fare accettare alle masse
popolari, oppresse propagandisticamente dalla borghesia, dai
riformisti e dai revisionisti. Utilissima in tal senso è la splendida
palestra politica dei banchini.
Inoltre, la Squadra esprime
solidarietà militante al PMLI per
il vergognoso rigetto del ricorso
presentato per la soppressione
dei tabelloni della propaganda
indiretta.
Nel complesso possiamo ritenerci soddisfatti del lavoro svolto
e della grande esperienza acquisita, che ci sarà preziosissima per
le battaglie che ci attendono.
Ribadiamo con forza che perché Modena sia governata dal
popolo e al servizio del popolo ci
vuole il socialismo.
I risultati
L’astensionismo segna una
grande vittoria anche in provincia
di Modena, registrando nella media un aumento del 5% e posizionandosi in certi casi come primo
“partito” (nel 2009 era il secondo). Un dato che assume ancora
più importanza se si pensa che la
nostra provincia, tradizionalmen-
te un feudo del PD, ha visto nello
scorso mese presenze importanti
come Poletti, Kyenge, Bersani e
lo stesso Renzi giunti in soccorso dei loro candidati. In generale,
poi, dallo squallido spettacolo
delle primarie erano usciti candidati considerati “esterni”, convenienti foglie di fico dietro cui
il PD ha potuto nascondersi per
mantenere qualche consenso e
rifarsi la faccia dinanzi alle masse
popolari.
La diserzione alle europee
passa dal 22,2% del 2009 al
27,4%.
Nel capoluogo Modena, dopo
dieci anni di governo antipopolare di Giorgio Pighi, il candidato civatiano Giancarlo Muzzarelli non
è riuscito a sfondare e, per la prima volta, si andrà al ballottaggio
con Marco Bortolotti del M5S. Sicuramente ciò è dovuto in parte
all’11,3% (sui voti totali) ottenuto
dal M5S e dall’ingente consenso raccolto dalle liste civiche,
ma anche dall’astensionismo: in
41.478 (il 30,5% dell’elettorato)
hanno disertato le urne, annullato la scheda o l’hanno lasciata in
bianco. La destra neofascista è
stata sonoramente respinta, con
Forza Italia che cala del 12,2%
(sui voti totali) e l’ex ministro
Carlo Giovanardi, candidatosi
sindaco con il NCD, ha ricevuto
meno di 4.000 voti, pari al 2,7%
dell’elettorato, a riprova dell’astio
che le masse modenesi nutrono
nei confronti di questo infimo
esemplare di oscurantismo cattolico e neofascista. Fallite le liste
del PRC, “L’Altra Modena” (sulla
scia della lista Tsipras “L’Altra
Europa”) che raggruppava anche
i “movimenti” (1.186 voti, 0,8%
dell’elettorato). Tracollo anche
per il PdCI (806 voti, 0,5%), che
sosteneva Muzzarelli.
Al ballottaggio andrà anche
Sassuolo, importante centro industriale del modenese, dove
l’astensionismo con 9.007 “voti”
diventa il primo “partito”, distanziando abbondantemente il PD
(6.719 voti). Rispetto al 2009,
quando pesò la tendenza degli
elettori di sinistra a turarsi il naso
e votare PD a fronte del rischio,
poi concretizzatosi, della vittoria
di Luca Caselli (PDL-Lega Nord),
che ora lascia la poltrona di sindaco con la città a rischio bancarotta, a questa tornata l’astensionismo recupera e aumenta.
L’8 giugno si torna a votare
anche a Vignola, per il ballottaggio fra il renziano Gasparini
e la lista civica Vignola Cambia,
composta perlopiù da delusi e
fuoriusciti del PD. Anche qui l’astensione è il primo “partito”, aumentando del 5,2%.
Se prendiamo infine in esame
anche gli altri due Comuni nei
quali fu fatta campagna elettorale astensionista per le politiche
2013, Castelvetro e Spilamberto,
vediamo in entrambi i casi un
considerevole aumento dell’astensionismo. Castelvetro regi-
stra poco meno del +5% e un PD
in costante calo, segno evidente
che il M5S non è riuscito a drenare tutto il voto di protesta che
pure si annunciava elevato vista
la presenza di candidati poco
raccomandabili e invisi alle masse (fra cui il sindaco Giorgio Montanari che, non ricandidato dal
PD, è clamorosamente passato
armi e bagagli alla lista civica
sponsorizzata dal NCD). A Spilamberto il successo del giovane
renziano Umberto Costantini, a
ben vedere, non è che un fuoco
di paglia dato che il PD continua
a calare e l’astensionismo aumenta a più del 5%.
Va considerato che i notevoli
consensi raccolti dalle liste civiche e, in parte, dal M5S, sono
comunque indice del rifiuto
delle masse verso i partiti borghesi. Ora tale rifiuto andrebbe
approfondito capendo che le
stesse istituzioni borghesi locali,
indipendentemente dal partito o
dalla lista che le governa, sono
antipopolari perché asservite al
capitalismo e ai potentati economici locali e nazionali, ed è perciò necessario opporre a loro lo
stesso rifiuto giustamente rivolto
ai partiti borghesi.
Con i Maestri e il PMLI vinceremo!
La Squadra di propaganda
dell’astensionismo marxistaleninista della provincia di
Modena
7 giugno 2014
N. 24 - 19 giugno 2014
fare il bilancio della storia del movimento operaio / il bolscevico 7
Fare il bilancio
della storia
del movimento
operaio per
sapere che cosa
bisogna fare
oggi
di Giovanni Scuderi
Compagni e amici,
buonasera e benvenuti a questo dibattito organizzato dai
compagni, bravissimi, generosissimi ed estremamente coraggiosi,
della Cellula “Vesuvio Rosso” del nostro Partito. Questi compagni
rappresentano il prototipo del militante marxista-leninista, cioè delle
ragazze, dei ragazzi, degli operai, dei lavoratori, insomma di tutte quelle
persone che danno la propria vita e le proprie sostanze alla causa del
socialismo, del proletariato e della rivoluzione. Tutto il Partito ha da
imparare dall’esempio e dal coraggio dei compagni napoletani.
Noi siamo qui per illustrarvi la proposta del PMLI che è diretta
specificamente alle ragazze e ai ragazzi, ma che interessa tutto il
proletariato e tutto il popolo di Napoli, della Campania, del Sud e di
tutto il nostro Paese. Vogliamo discuterla con voi, che siate d’accordo
o che non siate d’accordo, che siate d’accordo totalmente o che siate
d’accordo parzialmente.
Il compagno alla presidenza ha fatto una proposta per il dibattito. Gli
interventi però si possono moltiplicare e i tempi si possono allungare, a
seconda l’esigenza di conoscerci reciprocamente. lo, una volta che ho
fatto l’introduzione, potrei poi stare zitto per ascoltarvi, per imparare da
voi. Idealmente il dialogo lo potremmo continuare attraverso i compagni di
Napoli, che rimangono qui vita natural durante, e attraverso II Bolscevico.
Ha poca importanza da parte mia stare ore e ore a parlare e monopolizzare
tutto il tempo. Se è vero che da parte nostra c’è l’esigenza di avanzare
una proposta politica limpida, dati questi “chiari di luna” che ci sono a
Napoli, al Sud, a livello nazionale e internazionale, nello stesso tempo da
parte nostra abbiamo l’altra esigenza di conoscere la realtà locale, di
conoscere il pensiero delle masse, di discutere con le masse, di portare
tutte le questioni alle masse.
In quella mangiatoia che è il parlamento,
mangiatoia o porcile, come preferite, si fanno
tante proposte, e tutti dicono che parlano a
nome e a favore delle masse, ma in realtà
essi barano perché queste loro proposte non
vengono fuori dal basso, non vengono fuori dal
proletariato, non vengono fuori dai disoccupati,
non vengono fuori dai poveri, dalle persone
che soffrono. Mi riferisco a tutte le questioni
d’ordine economico, d’ordine istituzionale,
d’ordine politico e d’ordine sindacale. Occorre
invece discutere con le masse prima di fare
delle proposte a livello istituzionale di qualsiasi
tipo. Bisogna prima recepire la volontà e le idee
delle masse e a quel punto, solo a quel punto,
uno è veramente delegato a rappresentarle.
Vorrei esprimere personalmente e a nome dell’intero Partito marxistaleninista italiano il nostro saluto militante, la nostra attiva solidarietà a
tutti i disoccupati, ai cassintegrati, agli operai e ai lavoratori in mobilità,
ai poveri, ai diseredati di Napoli e della Campania. Noi ci sentiamo una
cosa sola con questi lavoratori, con questi disoccupati, come con i
terremotati dell’Irpinia. Una cosa sola, perché? Perché siamo carne
della stessa carne e sangue dello stesso sangue, perché i loro problemi
8 il bolscevico / fare il bilancio della storia del movimento operaio
sono i nostri stessi problemi, in quanto anche i militanti del nostro Partito
sono lavoratori, sono operai, sono disoccupati, sono terremotati. Per
cui non c’è distinzione tra i nostri militanti e le masse del Sud, come del
Centro e del Nord.
Se il proletariato a livello mondiale non ha confine, non ha patria,
figuratevi voi, compagne e compagni, se a livello nazionale ci possono
e ci debbano essere delle barriere tra Sud, Centro e Nord. Siamo tutti
componenti delle masse. Le masse sostanzialmente non hanno delle
contraddizioni interne antagonistiche, non hanno dei problemi interni
laceranti. È la borghesia e le sue cosche parlamentari che introducono
all’interno delle masse delle divisioni, delle contraddizioni di ordine
economico, di ordine sociale, di ordine sindacale, di ordine territoriale.
Ma questo non lo fa il proletariato, e noi, in quanto Partito del proletariato,
ricerchiamo, attraverso la chiarezza, la discussione e la verità, l’unità del
proletariato e delle masse popolari di tutte le regioni del nostro Paese,
come del mondo intero perché in prospettiva il proletariato italiano e di
tutti gli altri paesi mirano alla grande unità mondiale di tutti gli sfruttati e
gli oppressi.
lo sono particolarmente contento, felice e emozionato di essere a
Napoli. Perché nella storia del nostro Paese, e in particolare nella storia
del proletariato italiano, le masse napoletane hanno svolto un ruolo di
primo piano. Se ci riflettiamo bene, in ultima analisi, la Resistenza è
partita da qui, è partita da Napoli nel settembre del 1943 con l’eroica
insurrezione antinazista che ha visto una grande unità di popolo senza
distinzione di età, con gli scugnizzi in prima fila. Rimarranno scritte a
lettere d’oro nella storia di Napoli, della Campania, del nostro Paese e
del proletariato mondiale, le quattro giornate di Napoli del settembre del
‘43. La popolazione di Napoli ha avuto il coraggio e l’ardore di battersi
a dorso nudo, a sassate e con tutto quello che poteva avere nelle mani,
per scacciare via il mostro del nazismo. Tutto il proletariato italiano e
internazionale deve imparare, non può che imparare, dalle masse
napoletane. Ecco spiegati la mia emozione e il mio riconoscimento alla
popolazione di Napoli.
Se andiamo poi più indietro nel tempo, se ricordiamo la fondazione della
I Internazionale di Marx e di Engels nel 1864 e ci domandiamo qual è
stata quella città, quella popolazione di una regione d’Italia, che ha per
prima appoggiato Marx ed Engels, la risposta è Napoli. Infatti proprio
qui a Napoli si è creata la prima sezione italiana dell’Internazionale di
Marx e di Engels. Se poi ci interroghiamo, sempre guardando la nostra
storia, su ciò che avvenne nel ’21, quando ci fu la grande scissione
dei rivoluzionari dai socialdemocratici alla Craxi, alla Benvenuto e alla
Martelli, vediamo che Napoli è stata uno dei centri fondamentali di
questa grande divisione tra comunisti e socialdemocratici.
Nel Sessantotto, quando esplode la Grande Rivolta storica della gioventù
del nostro Paese che si tira dietro la classe operaia e i contadini poveri, a
Napoli si crea una base grossissima di questo movimento.
Quando nel 1964 e negli anni successivi i rivoluzionari hanno tentato
di formare un Partito marxista-leninista noi vediamo che a Napoli e
nella Campania nascono dei gruppi che si definiscono marxisti-leninisti.
Recentemente, quando c’è stata la liquidazione del PCI, noi abbiamo
visto che la parte dei napoletani più a sinistra di quel partito, quella
che idealmente aspira al socialismo, ha lasciato quel transfuga, quel
voltagabbana di Occhetto ed è andata con Rifondazione comunista.
Andando poi avanti, e finalmente si arriva al nostro Partito, vediamo
ancora una volta i rivoluzionari di Napoli in prima linea. Riassumendo
sottolineo due cose. Il proletariato e le masse di Napoli e della Campania
hanno sempre avuto un ruolo di prima linea e chiave nella storia e nello
sviluppo sociale del nostro Paese. Questo è un concetto preciso. C’è
però un altro concetto che non deve sfuggire e che io sottopongo fin da
subito alla vostra riflessione.
Purtroppo fin dal 1867 e 1869 e negli anni successivi le masse
napoletane e campane, come del resto in tutto il nostro Paese, hanno
avuto un grosso problema. Qual è? Quello di essere state fagocitate,
strumentalizzate e ingannate o dagli “ultrasinistri” e dagli anarchici o
dai riformisti e dai revisionisti mascherati. Questo è un fenomeno che
riguarda non solo Napoli e la Campania ma tutto il Paese, e io credo che
riguardi tutto il movimento operaio mondiale.
Che significa, qual è il problema? Il problema è, e qui si innesta
subito la riflessione per esempio sul ruolo di Rifondazione comunista,
che quando le masse italiane con alla testa il proletariato si liberano
dell’influenza degli oppressori e degli sfruttatori e si rivoltano contro di
essi, immediatamente gli agenti della borghesia travestiti da rivoluzionari
cercano di prenderne l’egemonia in modo che, gradualmente e nel
tempo, ciò che è uscito dalla porta rientri dalla finestra, salvaguardando
così il potere della classe dominante borghese.
Questo è il punto. Il punto da capire e che ci segue, dall’Unità d’Italia ad
oggi. Il nostro è un proletariato, entro il quale si inseriscono i proletari di
Napoli, complessivamente tra i più avanzati e maturi su scala planetaria,
che si è sempre posto in avanti ma che finora ha avuto alla sua testa
qualcuno che gli ha messo le catene. Questo è importante per capire
quello che è accaduto nel nostro Paese e quello che è accaduto nel
mondo intero, perché è stata ammainata la bandiera rossa a Mosca,
N. 24 - 19 giugno 2014
perché è stata ammainata la bandiera con la falce e martello e la stella
del PCI, perché adesso un Garavini, un Cossutta, un Libertini, un Russo
Spena o chicchessia ancora una volta non dicono quello che dovrebbero
dire, ovvero sia: sfruttati, oppressi, progressisti, democratici, antifascisti
volete liberami dalla dittatura della classe dominante borghese? Se volete
fare questo, ecco cosa dovete fare, ecco come dovete muovervi. E qui si
introduce il nostro discorso riguardo al revisionismo, alla conquista del
potere da parte del proletariato e al socialismo. Un’esperienza storica
enorme che va studiata e che non si può esporre in mezz’ora, ma
nemmeno in due ore.
Scusate, voi sapete o no che nel 1956 c’era un certo omone, non Craxi
s’intende, un certo gigante che si chiamava Mao? Lo sapete o no? Certo
che lo sapete, non siete mica ignoranti. Ma questo gigante del pensiero
e dell’azione rivoluzionari cosa ha detto nel 1956, subito dopo la presa
del potere da parte di Krusciov a Mosca? Mao ha detto: attenzione
compagni, il XX congresso del Pcus ha spezzato la spada di Stalin,
prima o poi i revisionisti sovietici spezzeranno la spada di Lenin. In altri
termini egli voleva dire che Krusciov aveva restaurato il capitalismo in
Unione Sovietica e che aveva dato il via libera ai vari Togliatti d’Italia
e del mondo per portare su un vassoio d’argento la testa della classe
operaia alla classe dominante borghese. Pochi ascoltarono Mao in
Urss, nel mondo e anche in Cina, dove 10 anni dopo Mao lanciò una
grande rivoluzione per impedire ai revisionisti di conquistare il potere
nel Partito e nello Stato. Per quanto ormai fosse molto in là con l’età,
vi ricordate, fece quella famosa nuotata, tanto derisa dalla borghesia e
dai fascisti internazionali, per dare una prova lampante che, nonostante
fosse anziano, il suo fisico, e non solo il suo cervello, era pronto per la
battaglia, pronto per fare un’ulteriore rivoluzione, per guidare le grandi
masse cinesi, un quarto dell’umanità, a difendere il socialismo e il potere
Napoli,13 febbraio 1993. Il compagno Scuderi, dopo l’introduzione, risponde alle domande degli intervenuti. Le
risposte sono riportate sull’opuscolo n. 5 di Giovanni Scuderi
politico del proletariato. Lancia così nel 1966 la Grande Rivoluzione
Culturale Proletaria che dura 10 anni fino al 1976 affinché il proletariato
cinese mantenesse il potere politico. Dopo la sua morte però la borghesia
l’ha ripreso tramite Deng Xiaoping.
Il discorso di Mao contro il revisionismo, così
vero, così reale, così lungimirante, fu quasi
ignorato, fu messo in un angolino dai sedicenti
comunisti. Perché? Perché nessun dirigente
revisionista mascherato, da Togliatti a Cossutta,
che allora si schierarono contro la Cina socialista
e il suo massimo artefice, aveva alcun interesse
a dire che Mao era nel giusto, era nel vero e che
bisognava continuare sulla via della Rivoluzione
d’Ottobre. Ecco il punto: continuare sulla via
della Rivoluzione d’Ottobre. Ma essi, come hanno
dimostrato i fatti, non volevano il socialismo
N. 24 - 19 giugno 2014
fare il bilancio della storia del movimento operaio / il bolscevico 9
e quindi hanno ingannato il proletariato
inculcandogli il veleno del revisionismo,
del riformismo, del parlamentarismo e del
riformismo. Cosicché una moltitudine di iscritti
ai loro partiti culturalmente e ideologicamente
sono diventati dei borghesi non coscienti.
Perché alla direzione di questi partiti che erano
nati per fare la rivoluzione, per buttare giù dal
potere politico la classe dominante borghese,
c’erano dei revisionisti che hanno rinunciato
alla via dell’Ottobre e quindi hanno bruciato
intere generazioni di rivoluzionari.
Ma noi non possiamo mica stare qui a piangere sul latte versato.
Attenzione bene. Noi ne parliamo solo per riflettere sul passato, come
un punto al quale dobbiamo agganciare la nostra attuale riflessione
personale e collettiva. Perché se non si parte da lì, non si può capire
quello che è accaduto nel mondo intero da allora ad oggi, e non si può
capire l’attuale situazione italiana. Oggi c’è un gran caos, un gran caos
e una grande confusione, e ci sono tante proposte in parlamento e
fuori dal parlamento per uscire da questa situazione. Ma un momento. il
punto primo da capire è che al potere c’è la classe dominante borghese.
Punto secondo: questo Stato, queste istituzioni, questa morale, questo
costume, questa scuola, questa università, questa ideologia, questi
partiti parlamentari, nessuno escluso, sono tutti quanti al servizio e
in funzione della classe dominante borghese. Questi sono i due punti
centrali da capire. E la confusione da dove nasce? Nasce dal fatto
che si presuppone che all’interno di questo Stato, all’interno di queste
istituzioni, all’interno di questo parlamento ci possa essere una forza
politica che sia pure in una certa misura faccia gli interessi delle masse
popolari e della classe operaia. È lì l’inganno, è lì che casca l’asino.
Eh no! Come è possibile, compagni e amici, una cosa del genere quando
nessuno, dico nessuno, fatemi nome e cognome se ne conoscete
qualcuno, mette in discussione il sistema economico, che è il punto dei
punti, il punto che sta a monte. È questo il problema su cui bisogna porre
l’attenzione, su cui bisogna riflettere e discutere. Vogliamo eliminare dal
potere la classe dominante borghese? Allora bisogna sostituirla con
un’altra classe. E qual è questa classe? La classe operaia. Vogliamo
eliminare la disoccupazione, la miseria, il razzismo, il fascismo? Sì,
allora bisogna eliminare il capitalismo. Questo è il punto. Al mondo c’è
o socialismo o capitalismo. Da qui non si scappa. Nessun cervellone o
cervellino è riuscito, al momento in cui sto parlando, ad elaborare una
terza via, un qualcosa che sia né capitalismo e né socialismo. State bene
attenti. La chiesa cattolica, Hitler, Mussolini, Fini, Togliatti, Berlinguer,
parlano di terza via. Lo stesso fanno Cossutta e Garavini e gli altri
lustra-scarpe della borghesia. Questi imbroglioni hanno commesso dei
crimini talmente grossi che li attende piazzale Loreto. Quando la classe
operaia, i lavoratori, le masse prenderanno coscienza dei loro inganni
ci sarà un grande piazzale Loreto e ci saranno tanti impiccati, fra cui
questi signori.
Hitler ha proposto la terza via, Mussolini ha proposto la terza via, il papa
ha proposto la terza via. Se voi andate a leggere gli atti del papa, vedrete
che il papa non dice che è per il capitalismo, dice però chiaramente che
è contro il socialismo. Critica certi aspetti del capitalismo e il liberalismo
come filosofia ma poi è d’accordo con la libera iniziativa capitalista e
con il mercato.
In realtà due sono i sistemi economici: o la proprietà è della classe
operaia e delle masse lavoratrici, o è degli Agnelli e degli altri sfruttatori
e oppressori. Da qui non si scappa. Non si può dire: mettiamo un po’
di operai nell’ufficio di Agnelli che insieme a lui stabiliscono se la Fiat
deve produrre a Napoli o altrove, e con ciò eliminiamo lo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo, che è poi il punto che ci interessa.
Sistema economico capitalistico e società divisa per classi. Questa è la
realtà in cui viviamo. Quel crumiro di Benvenuto, che ha preso il posto di
quel bandito che si chiama Craxi, nel discorso di investitura ha detto ieri,
lo leggevo in treno mentre venivo qui,: uno, non ci dobbiamo irrigidire
nelle ideologie fossilizzate. Due: non dobbiamo fare una battaglia di
classe contro classe. Beh, un crumiro come può fare un altro tipo di
discorso, ma un proletario autentico, un progressista autentico, un
antifascista autentico, non parliamo di un comunista autentico, come
fa ad accettare il sistema capitalistico e la società divisa in classi? È un
controsenso.
Ma come si fa, e siamo così pochi. Qualcuno
potrebbe dire. Marx ed Engels quanti erano,
scusate, 200 milioni? Erano due. Però avevano
capito una cosa fondamentale, avevano
capito che all’origine di tutto c’era il dominio
del capitale, il dominio della borghesia e che
bisognava distruggerli, sennò non si potevano
abolire le classi.
Marx ed Engels non arrivarono al punto di Lenin. Lenin aggiunse altri
insegnamenti ma partendo da Marx ed Engels. Lenin disse a Stalin e agli
altri suoi compagni: Marx ed Engels ci hanno insegnato che bisogna far
piazza pulita del capitalismo, ma come? seguendo quale via? con quali
mezzi? con quali strumenti? Tutto non potevano insegnarci, bisogna
applicare il loro pensiero alla nostra realtà.
Lo sforzo di Marx ed Engels è stato enorme. Nella storia della filosofia,
nella storia del pensiero umano, nella storia del progresso umano Marx
ed Engels rimangono incancellabili, dei giganti straordinari che hanno
segnato un’epoca non solo sul piano culturale ma anche sul piano
politico. Essi hanno smascherato per sempre il capitalismo.
Marx ed Engels non sono venuti dal cielo, sono usciti dal grembo
fertile della classe operaia e dei lavoratori. Non sono degli angeli, dei
santi e dei puri spiriti. Sono esseri umani in carne ed ossa, che hanno
sacrificato per la causa la propria vita e la propria famiglia. Marx non
aveva nemmeno i soldi per comprare il carbone per riscaldare i propri
figli. Essi sono stati di una generosità esemplare, enorme.
Il loro grande sforzo era quello di smascherare il capitalismo e vi son
riusciti in pieno. Nessuno più è riuscito a ribaltare le conclusioni a cui
sono arrivati Marx ed Engels. Lenin su questa base comincia a pensare,
a discutere con gli altri suoi compagni: che dobbiamo fare? quale linea
seguire? Ma mica in astratto, mica si rinchiuse in una biblioteca e nel
suo ufficio. Lui si mise ad analizzare la situazione concreta del suo
paese.
Napoli, 13 febbraio 1993. Il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, pronuncia il discorso
introduttivo al dibattito organizzato dalla Cellula “Vesuvio Rosso” nella sede della Redazione locale del
Bolscevico. Il dibattito su “La proposta dei marxisti-leninisti ai giovani” fu franco, serrato, approfondito
spaziando dalla linea del Partito alla storia del movimento operaio italiano ed internazionale. Era presente il
compagno Franco Di Matteo
In quel momento in Russia erano forti i populisti, come voi sapete, ma
agivano anche gli “ultrasinistri”. Un fratello di Lenin era un bombarolo,
un terrorista. Lenin era in contraddizione con il fratello terrorista,
all’inizio però aveva una certa simpatia verso di lui. Ma c’era questo
grande insegnamento di Marx ed Engels da realizzare nella pratica:
spazzare via il capitalismo e dare il potere alla classe operaia. Non si
trattava di uccidere questo o quello oppressore, quanto il problema
fondamentale era quello di rovesciare una classe per dare il potere a
un’altra classe. E questo problema è stato risolto magnificamente da
Lenin nel 1917. Dopo di lui altri l’hanno risolto in diversi paesi. A un certo
punto un quarto del mondo intero era dominato dal proletariato guidato
dai seguaci di Lenin.
Purtroppo, ecco il discorso che si è fatto prima, all’interno dei partiti
comunisti e dei paesi socialisti c’erano i vari Krusciov, coloro i quali
all’esterno, come dei cocomeri alla rovescia, erano rossi, e all’interno
erano bianchi se non neri, cioè dei borghesi mascherati, falsi comunisti
comprati dalla borghesia.
Cosa è cambiato mai nel mondo dal 1917 ad oggi? Mi domando: le
classi sono sparite? Il capitalismo è sparito? In Italia e negli altri paesi
chi c’è al potere? Possibile che non si capisca che al potere c’è la
borghesia e che è necessario rovesciarla? Dobbiamo avere una grande
fiducia verso il nostro proletariato e il nostro popolo. Ci si arriverà a
capirlo, non possiamo non arrivarci. Gli sfruttati e gli oppressi non
possono non arrivarci. Passeranno dei decenni, dei secoli, dei millenni,
che importanza ha, prima che trionfi il socialismo in Italia e nel mondo.
Ciascuno però deve fare la propria parte nel momento in cui vive.
Che si sia soli come Marx ed Engels, o che si
sia in tanti come quando un quarto dell’umanità
aveva alla testa la classe operaia e la bandiera
rossa. Oggi bisogna avere un cuore di pioniere
del tipo di Marx ed Engels, del tipo Lenin e
10 il bolscevico / fare il bilancio della storia del movimento operaio
Stalin, del tipo Mao. Occorrono delle ragazze e
dei ragazzi, degli operai, dei lavoratori, chiunque
voglia abolire le classi, che abbiano il coraggio
di alzare la bandiera rossa.
Qui bisogna essere precisi perché si tratta di alzare un certo tipo di
bandiera rossa, non una bandiera rossa qualsiasi. Avrete visto che i
traditori e gli imbroglioni revisionisti in tutto il mondo si stanno riciclando,
stanno ricreando dei partiti che si chiamano socialisti o comunisti, ma
se andiamo a scandagliare ci accorgiamo che sotto il rosso c’è il bianco,
se non il nero. Bisogna quindi alzare una ben precisa bandiera rossa, la
bandiera rossa con grande falce e martello e con l’effige di Mao. Perché
non bastano più i simboli dell’unità del proletariato e dei contadini, occorre
anche il simbolo della teoria rivoluzionaria. Noi abbiamo imparato dalla
storia, abbiamo imparato dai fatti, che bisogna essere delle persone
coscienti, delle persone colte sia da un punto di vista politico, che da un
punto di vista ideologico. Mao diceva che un esercito, quindi un partito, il
proletariato, senza cultura è un esercito ottuso, cioè non può capire che
chi guida la politica, e non solo il fucile, è l’ideologia, il disegno politico.
Il nostro Partito propone alle ragazze e ai ragazzi di essere gli alfieri della
lotta contro la seconda repubblica e per il socialismo. Che significa essere
alfieri? Essere alfieri significa stare in prima linea nella lotta di classe,
significa tenere alta la bandiera rossa con falce, martello e l’effige di
Mao, significa stare alla testa dei movimenti di massa dando la direzione
politica alla classe operaia, che nonostante tutto rimane sempre la
classe generale, la classe portatrice oggettivamente della nuova società
socialista e della società senza classi.
Il nostro Partito ha una grande fiducia verso le ragazze e i ragazzi perché
se la meritano, guardando la storia del nostro Paese, guardando la storia
del mondo intero e guardando anche i fatti recentissimi che dimostrano
che i giovani hanno il coraggio di essere fra i primi ad affrontare il nemico
e la lotta di classe. Ma che significa essere alfieri della lotta contro la
seconda repubblica? Nonostante la mia pochezza espositiva, immagino
che voi abbiate già capito che attualmente in Italia il potere ce l’ha la
classe dominante borghese. Ma con quale camicia? Con la classica
camicia bianca della Democrazia cristiana o con l’altrettanto classica
camicia nera fascista? Il nostro Partito dice che noi attualmente siamo in
un regime neofascista. Andate a prendere la Costituzione del ’48, andate
a prendere la collezione di un qualsiasi quotidiano e andate a vedere che
cosa è accaduto dal ’48 ad oggi, soprattutto in questi ultimi anni.
Prima però va detto che questa Costituzione non è né una cima né tanto
meno la Costituzione del proletariato. È una Costituzione democraticoborghese che riflette nient’altro che un compromesso tra il proletariato
e la borghesia quando il proletariato era diretto dai revisionisti e dai
riformisti, non dai marxisti-leninisti, per cui chi ci ha scapitato di più è
il proletariato. Un compromesso accettabile fino ad un certo punto, ma
quando la borghesia dal ’47 in poi ha cominciato a menare gli operai,
ha cominciato a menare i contadini, ha cominciato a imporre tutto il suo
potere impedendo con l’inganno e con la forza l’avvento del socialismo,
è divenuto un compromesso non più tollerabile.
Non è vero, come dicono Garavini e Cossutta
che questa Costituzione sia il non plus ultra
della democrazia, perché essa legalizza il potere
della classe dominante borghese, legalizza lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo, legalizza
la disoccupazione, la sottoccupazione, il
sottosalario, il lavoro nero, la miseria, la povertà.
Non solo nei fatti, ma anche da un punto
di vista istituzionale, questa Costituzione è
stata completamente stracciata ed è stata
introdotta a pezzetti, un boccone per volta, in
maniera surrettizia, una nuova costituzione, la
costituzione della seconda repubblica. Il fenomeno,
per esempio, dell’ultima stangata, il fenomeno delle privatizzazioni,
compresa quella della sanità, rientrano nello smantellamento della
Costituzione, così come l’accentramento di tutti i poteri nell’esecutivo
(sindaco, presidente della provincia, presidente della regione, presidente
della Repubblica, presidente del consiglio). Tutte queste cose sono una
violazione violenta e palese della Costituzione democratico-borghese,
cioè del regime che ha organizzato il potere della borghesia dal
dopoguerra fino a questi ultimi anni.
Andate a leggervi Il Bolscevico che riporta il Documento del PMLI del
20 febbraio del 1988, già allora dicevamo, nemmeno avessimo avuto
dei potenti cannocchiali, che la sovrastruttura del capitalismo era
stata stracciata, era stata bruciata ed era stata introdotta una nuova
sovrastruttura, una nuova organizzazione per mantenere ancora una
volta il potere alla classe dominante borghese non più vestita in camicia
N. 24 - 19 giugno 2014
bianca alla Democrazia cristiana, ma vestita in camicia nera.
Prima dell’ascesa di Mussolini nel ‘22 la questione era chiara: avanzava il
fascismo con la camicia nera e la classe dominante borghese si metteva
la camicia nera. Era chiarissimo e lampante, perché c’erano scontri
costanti di piazza tra proletariato e borghesia sul piano politico, sul piano
economico e sul piano sociale. C’era lo scontro fisico costante, c’erano
le bande di Mussolini che andavano verso Roma e il re che le accoglieva
con il tappeto rosso per dargli il potere, e così abbiamo avuto vent’anni di
fascismo. Le masse avevano coscienza di ciò perché alle spalle avevamo
la Rivoluzione d’Ottobre, alle spalle avevamo la spinta delle rivoluzioni in
tutto il mondo, alle spalle avevamo il proletariato cosciente, nonostante
la direzione revisionista e riformista, che il suo avvenire, il suo potere
passava dalla lotta contro il fascismo, passava dalla lotta contro il
capitalismo per prendere il potere politico.
La situazione di oggi è completamente cambiata
e le masse non si sono accorte che è ritornato il
fascismo sotto nuove forme. Oggi tutti i giornali
dicono che siamo nella seconda repubblica,
ma noi l’abbiamo detto il 20 febbraio del 1988
documentandolo con pagine e pagine de II
Bolscevico.
Tutte queste proposte che vengono fatte,
istituzionali, referendarie, elettorali, che
carattere hanno? Neofasciste, tutte quante
neofasciste. Nel momento in cui la classe
dominante borghese è entrata in crisi, data anche
la congiuntura mondiale, in una crisi verticale
sul piano economico, sul piano istituzionale,
sul piano morale, sul piano culturale, tutto si è
sfasciato, e quindi anche i partiti della classe
dominante borghese si sono sfasciati e ora sono
in fase di riorganizzazione. Siamo in questa
situazione: si sta riorganizzando il potere della
classe dominante borghese e i vari partiti, le
cosche parlamentari, portano l’acqua alla classe
dominante borghese in camicia nera. Una cosa
enorme, di portata storica.
Non dobbiamo piangere per questa situazione, né cascare nella
depressione e nella demoralizzazione. Non è vero che non ci sia nulla
da fare e che l’avvenire è buio. No, l’avvenire è sempre rosso, perché la
ruota della storia nessuno la può fermare. La lotta di classe, come ora,
può segnare il passo, ma prima o poi riprenderà il suo corso naturale e
fisiologico e tutto si rimetterà a posto.
Il problema è capire quale ideologia, quale cultura, quale disegno deve
stare al fondo del risveglio, del rilancio della lotta di classe, della lotta
della classe operaia per la conquista del potere politico. Solo se c’è
questa stella della conquista del potere, ogni nostro atto tattico rientra
nella strategia del rovesciamento del vecchio mondo in camicia nera e
del grande rilancio del socialismo.
Compagni e amici, io sono convintissimo che il socialismo ritornerà
di moda. Se vogliamo che il socialismo ritorni presto di moda, di gran
moda, dobbiamo darci da fare, dobbiamo fare il punto della situazione,
il bilancio di quanto è accaduto fin qui e riprendere il cammino con
l’esperienza degli oltre 150 anni di storia del movimento operaio.
Noi siamo un punto di riferimento piccolissimo,
una luce tenue, potremmo però diventare un
grande faro, ma questo spetta al proletariato,
spetta alle ragazze e ai ragazzi darci la forza
necessaria e mettersi a lavorare per dare le
gambe all’ideologia proletaria e al socialismo.
lo ho fatto la mia parte, spero che mi abbiate capito, ora fate la vostra
parte. Grazie.
(Giovanni Scuderi, Introduzione al dibattito organizzato
dalla Cellula “Vesuvio Rosso” di Napoli del PMLI, presso
la Redazione locale de “Il Bolscevico” il 13 febbraio 1993.
Allora la Sede di Napoli era in via Diodato Lioy 9f,
attualmente è in via Santa Maria dell’Aiuto, 5)
(I neretti in rosso sono redazionali)
corruzione / il bolscevico 11
N. 24 - 19 giugno 2014
Renzi si scarica da ogni responsabilità
Forza Italia e PD si spartivano le
mazzette del Mose di Venezia
35 mandati di arresto per tangenti milionarie. Nell’inchiesta coinvolti imprenditori, politicanti, magistrati, finanzieri. Ai domiciliari
il sindaco di Venezia Orsoni (PD). Chiesto l’arresto per Galan, senatore di FI, accusato di essere a libro paga per un milione l’anno
Sono marce le fondamenta del capitalismo, dei suoi governi, istituzioni e partiti
A poche settimane dalla scoperta della nuova tangentopoli
milanese targata EXPO, il 4 giugno la cloaca fetida delle tangenti
in cui sguazza il sistema capitalistico italiano, le sue istituzioni e
tutti i partiti politici che ne reggono le sorti in parlamento ha scavalcato anche le paratìe mobili
del Mose e ha sommerso Venezia, presunto fiore all’occhiello
del modello di governo locale del
“centro-sinistra” dal oltre un ventennio.
Ondata di arresti
L’inchiesta avviata tre anni fa
dai magistrati lagunari riguarda il
vorticoso giro di mazzette ruotato
intorno agli appalti per la costruzione del Mose che ha portato a
35 ordini di arresto, oltre 100 avvisi di garanzia e un sequestro di
beni per circa 40 milioni ai danni
di boss politici, funzionari pubblici, magistrati, imprenditori, manager, professionisti, consulenti,
finanzieri, vecchi mariuoli e nuovi
faccendieri tutti affiliati a una sorta cupola delle tangenti spartite
attraverso un collaudato sistema
di fondi neri, conti esteri e false
fatturazioni che ruotava intorno
alla colossale quanto dannosa
e inutile opera pubblica, imposta contro la volontà popolare
dai governi Berlusconi e Prodi,
costata ben 5 miliardi di euro e
che entro il 2017 avrebbe dovuto
proteggere la città lagunare dalle
acque alte al costo di 25 milioni
all’anno per la manutenzione.
Dopo l’arresto del 28 febbraio
2013 dell’ex manager della Mantovani, Piergiorgio Baita (capofila
del Consorzio Venezia Nuova e
impresa di primo piano anche
nelle opere dell’Expo 2015) e le
manette a luglio dell’anno scorso
all’ex presidente del Consorzio
Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, in carcere questa volta
sono finiti fra gli altri il sindaco
di Venezia, Giorgio Orsoni (PD),
l’attuale assessore regionale alle
infrastrutture, Renato Chisso (FI),
il consigliere regionale del PD
Giampiero Marchese, (accusato
“quale candidato dal Consiglio
regionale del veneto per il PD alle
elezioni 2010 riceveva i contributi illeciti per 58 mila euro”); il
generale in pensione della Gdf
Emilio Spaziante, gli ex presidenti
del Magistrato alle Acque (emanazione del Ministero dei lavori
pubblici) Patrizio Cuccioletta (in
carica dal 2008 al 2011) e il suo
successore Maria Giovanna Piva,
gli imprenditori Franco Morbiolo
e Roberto Meneguzzo (fondatore,
vicepresidente e amministratore
delegato di Palladio Finanziaria a Vicenza, chiave di volta dei
project financing ospedalieri, che
nel 2011 aveva tentato di scalare
Fonsai.
Tra le persone colpite dalla misura cautelare c’è anche (domiciliari) Alessandro Cicero, direttore
editoriale de “Il Punto” la cui sede
fu perquisita nel marzo del 2013
dalle Fiamme Gialle nell’ambito
delle indagini inerenti la prima
tranche dell’inchiesta. Nei guai
anche Vincenzo Manganaro cui
Cicero aveva ceduto il 50% delle
quote dell’editoriale del settimanale.
Manette anche per Giovanni
Artico (ex commissario straordinario per il recupero territoriale
e ambientale di Porto Marghera
e collaboratore di Renato Chisso), Stefano Boscolo “Bacheto”
(titolare di una cooperativa di
Chioggia specializzata in lavori
subacquei), Maria Teresa Brotto (ex amministratrice della società ingegneristica Thetis, ora
nel consorzio Venezia Nuova),
Enzo Casarin (capo della segreteria di Chisso), Giuseppe Fasiol
(funzionario regionale in Veneto
Strade), Alessandro Mazzi (presidente della Mazzi Scarl, con
incarichi anche nel consorzio
Venezia Nuova), Federico Sutto
(dipendente del ‘Venezia Nuova’),
Stefano Tomarelli (componente
consiglio direttivo ‘Venezia Nuova’). Ai domiciliari Nicola Falconi
(direttore generale della Sitmar
sub sc), Andrea Rismondo (rappresentante legale della Selc sc).
In mezzo alla cloaca rispuntano anche Lino Brentan: uomo
del PDS-PD, ex amministratore
delegato dell’Autostrada Padova-Venezia, già condannato
per tangenti nell’estate 2012;
Giuseppe Fasiol (braccio destro
dell’ad di Veneto Strade, Silvano
Vernizzi), Stefano Tomarelli del direttivo del Consorzio; Gianfranco
Contadin detto Flavio, direttore
tecnico della Nuova Coedmar;
l’ex sindaco di Martellago Enzo
Casarin, capo della segreteria di
Chisso (già condannato per concussione); il direttore generale di
Sitmarsub Sc e Bos.ca.srl Nicola
Falconi; il legale rappresentante
di Selc Sc Andrea Rismondo.
Molto clamore hanno susci-
anche al Tribunale dei ministri
perché valutassero l’incriminazione dell’ex ministro Altero Matteoli, attuale senatore di FI. Sulla
base della deposizione di Mazzacurati, i magistrati ipotizzano
l’“induzione indebita” da parte
dell’allora ministro prima dell’Ambiente e poi delle Infrastrutture
nei lavori di bonifica a Porto Marghera.
Invischiati anche i
servizi segreti
Venezia. Una manifestazione contro il Mose organizzata negli anni scorsi
sindaco e 450 mila ricevuti in contanti “di cui 50 mila procurati dal
Baita quale amministratore delegato della Mantovani che il Sutto
(dipendente del Consorzio Venezia Nuova, società coinvolta nella realizzazione del Mose, ndr) e
Mazzacurati (allora presidente di
Cvn, ndr) consegnavano personalmente in contanti a Orsoni, in
assenza di deliberazione dell’organo sociale competente e della
regolare iscrizione in bilancio”.
Mentre al “doge” berlusconiano
Galan, accusato di corruzione,
L’allora segretario del PD Bersani che esalta l’elezione di Orsoni a sindaco di
Venezia
tato anche i nomi dell’ex governatore berlusconiano del Veneto
ed ex ministro Giancarlo Galan,
deputato di Forza Italia, e quello dell’eurodeputata uscente Lia
Sartori (FI) le cui richieste di autorizzazione all’arresto sono state
inviate alle competenti commissioni parlamentari.
La spartizione delle
tangenti fra PD e FI
Galan e Orsoni in particolare
sono accusati di essere a libro
paga del “cerchio magico” della laguna per un milione di euro
all’anno. Orsoni è accusato di
finanziamento illecito perché secondo i magistrati “con più azioni
esecutive del medesimo disegno
criminoso, quale candidato sindaco del PD alle elezioni comunali di Venezia del 2010, riceveva
i contributi illeciti... consapevole
del loro illegittimo stanziamento
da parte del Consorzio Venezia
Nuova”: si parla 110 mila euro al
Comitato elettorale del candidato
veniva garantito “uno stipendio di
un milione di euro l’anno più altri
due milioni una tantum per le autorizzazioni... 900 mila euro tra il
2007 e il 2008 per il rilascio nell’adunanza della commissione di
salvaguardia del 20 gennaio 2004
del parere favorevole e vincolante
sul progetto definitivo del sistema
Mose, 900 mila euro tra 2006 e
2007 per il rilascio (...) del parere
favorevole della commissione Via
della regione Veneto sui progetti
delle scogliere alle bocche di porto di Malamocco e Chioggia”.
Mezzo milione di euro in tangenti li ha incassati anche Marco
Milanese, ex finanziere, consigliere politico di Giulio Tremonti,
deputato del Pdl, già indagato
dalla procura di Napoli, che nel
2011 ne chiese l’arresto per il
suo coinvolgimento nell’inchiesta P4. Milanese per ora risulta
solo indagato in quanto il Gip
non ha firmato la richiesta di arresto avanzata nei suoi confronti
dai Pm, anche se, come si legge
nell’ordinanza, Milanese ha rice-
vuto dal presidente del Consorzio
Venezia Nuova la somma di 500
mila euro “al fine di influire sulla
concessione di finanziamenti del
Mose” dirottando buona parte
dei lauti stanziamenti del Cipe
per le grandi opere verso il Mose.
Le dazioni risalirebbero tutte negli anni tra il 2005 e il 2008 e poi
ancora nel 2012. Tremonti non ne
sapeva nulla?
E intanto è stato chiamato in
causa anche Gianni Letta, l’ex
sottosegretario alla presidenza
del Consiglio e consigliere strettissimo e fidatissimo di Berlusconi, che secondo Baita avrebbe
svolto un ruolo di “contatto istituzionale” per il Consorzio.
“grande burattinaio” Mazzacurati
coadiuvato da una banda di amministratori e funzionari dello Stato tutti corrotti a suon di tangenti,
regali e favori come ad esempio i
400 mila euro versati in un conto
estero ai dirigenti del magistrato
delle acque Cuccioletta e Piva
per ammorbidire i controlli; più,
per quanto riguarda Cuccioletta,
500mila euro di “buonuscita” al
momento di passare le consegne
alla Piva; e poi ancora l’assunzione della figlia e del fratello in due
società controllate dal Consorzio
e altre regalie varie quali: voli aerei per tutta la famiglia, alloggi di
lusso a Venezia, Cortina e altre
località per le vacanze.
Le origini dell’inchiesta
L’interesse pubblico
asservito al crimine
L’inchiesta parte circa 3 anni
fa da un filone dell’indagine per
mazzette relative ad opere autostradali lungo la A4 riguardanti
una società presieduta da Lino
Brentan. Patteggiata la pena
per quella vicenda, Brentan oggi
risulta tra gli arrestati ai domiciliari. Da quel filone la Guardia di
Finanza, coordinata dalla Procura
di Venezia, è giunta ai fondi neri
creati da Baita, all’epoca dei fatti
ai vertici della Mantovani, la società leader nella realizzazione
del Mose e all’interno del concessionario unico Consorzio Venezia Nuova (Cav). Gli inquirenti
sono riusciti poi a risalire agli allora vertici della Cav, con l’arresto (ai domiciliari) del presidente
Mazzacurati e di altre persone.
Un esercito di indagati
Tutti gli arrestati, devono rispondere, a vario titolo, dei reati
di corruzione, finanziamento illecito ai partiti, frode fiscale. A loro
si aggiunge un “esercito” di circa
100 indagati: funzionari pubblici,
addetti alle segreterie dei politici, imprenditori grandi e piccoli,
dipendenti di aziende e coop
che accedevano alla spartizione
degli appalti del Mose accettando il gioco dei fondi neri e delle
fatture gonfiate, per pagare politici di “centro-destra” e “centrosinistra”.
Un sistema tangentizio ben
collaudato che, secondo i Pm del
pool della Dda di Venezia: Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e
Paola Tonini, era governato dal
Uno scandalo nazionale denunciato da anni dalla popolazione e dalla coraggiosa lotta del
movimento No Mose ma reso
possibile grazie a una larga intesa politico-criminale con complicità e coperture ai più alti livelli
della pubblica amministrazione e
dei massimi organismi di controllo dello Stato. Ciascuno dei 135
indagati: “per anni e anni - scrive il Gip nell’ordinanza di arresto - hanno asservito totalmente
l’ufficio pubblico che avrebbero
dovuto tutelare agli interessi del
gruppo economico criminale, lucrando una serie impressionante
di benefici personali di svariato
genere”.
A Spaziante, all’epoca a capo
delle fiamme gialle dell’Italia centrale, per le sue soffiate inerenti
il prosieguo delle indagini, sono
stati promessi 2,5 milioni di euro
da dividere con Milanese, e il finanziere vicentino Roberto Meneguzzo. Ad un altro indagato
eccellente, il magistrato della
Corte dei Conti Vittorio Giuseppone, è stato garantito uno ‘stipendio’ annuo di 3-400mila euro,
“per compiere atti contrari ai suoi
doveri”.
Nelle 711 pagine di ordinanza
si sottolinea che solo la “Mantovani” ha creato fondi neri per 20
milioni di euro. In questa terza
fase dell’inchiesta, i magistrati
hanno scoperto altri 25 milioni di
false fatture. I Pm hanno inviato
una parte degli atti dell’inchiesta
Il sistema poteva contare anche su informazioni riservate relative alle indagini in quanto la
cupola di Orsoni e Galan aveva
messo a libro paga “Un gruppo
criminoso che ha abdicato alla
propria funzione pubblica, completamente asservito al privato”
di cui facevano parte insieme a
Spaziante anche un vicequestore
della polizia di Stato ed ex appartenenti ai servizi segreti che
passavano ai boss politici e del
Consorzio informazioni inerenti
gli sviluppi delle indagini.
Insomma una magiatoia di
Stato senza fine: “peggio di una
Tangentopoli”, come l’ha definita
il procuratore aggiunto di Venezia
Carlo Nordio, a cui partecipano
sia la destra che la “sinistra” del
regime neofascista che conferma come da Milano-Expo fino al
Mose e a altre decine di inchieste
i fondi neri, le tangenti e il finanziamento illecito ai partiti: “sono
stati utilizzati per campagne
elettorali e, in parte, anche per
uso personale da parte di alcuni
esponenti politici. Hanno ricevuto
elargizioni illegali persone di entrambi gli schieramenti”. Non a
caso l’ex comandante della Gdf
del Veneto Bruno Buratti ha spiegato che “il sistema che ha prodotto 25 milioni di euro di fondi
neri” e di questi si è “accertata la
destinazione” risalendo a responsabilità soggettive.
Le responsabilità
del governo
Tutto ciò dimostra che tangentopoli non è mai finita e di
fronte al dilagare della corruzione il Berlusconi democristiano
Renzi si comporta esattamente
come i suoi predecessori a Palazzo Chigi cercando di scrollarsi di dosso ogni repsonsabilità
sia come segretario del PD che
come presidente del Consiglio.
Nella primo caso Renzi ha vestito i panni del verginello e,
facendo finta di cascare dalle
nuvole, ha cercato di minimizzare il grave coinvolgimento del
PD addossando tutte le colpe
alla solite “poche mele marce” dichiarando, con un elogio
all’ovvietà, che “Se c’è nel PD
chi ruba va a casa a calci nel sedere. Non c’è PD o non PD, ci
sono ladri e non ladri. Non esiste il giochino noi e loro”. Mentre in veste di capo del governo
ha assicurato i poteri al super
commissario
anti-corruzione
Raffaele Cantone e ha annunciato il Daspo per i dirigenti che
sbagliano. Ma si è “dimenticato”
di sollevare dall’incarico di Capo
della struttura tecnica di missione del ministero delle Infra-
SEGUE IN 12ª
➫
12 il bolscevico / gay pride
N. 24 - 19 giugno 2014
Ventesimo Roma Pride
Grande manifestazione per
i diritti di LGBTQI
In 200mila colorano il centro storico di Roma con un combattivo corteo. Fischiato il neopodestà Marino
“Renzi le tue promesse non ci bastano”
Dal corrispondente della
Cellula “Rivoluzione
d’Ottobre” di Roma
“Siamo inarrestabili” dichiara
il movimento LGBTQI (lesbiche,
gay, bisessuali, transessuali,
queer e intersessuali) nel documento politico del Gay Pride
2014 a Roma, una manifestazione giunta al suo ventesimo anno,
con un bagaglio di elaborazioni,
istanze e rivendicazioni, alle quali
i LGBTQI chiedono di dare ascolto e risposte politiche, culturali,
istituzionali e mediatiche adeguate.
Il documento
politico
Il movimento esprime un significativo livello politico, maturato negli ultimi anni come risposta
all’attacco ai diritti globali, non
solo di LGBTQI, ma di tutti, dai
lavoratori, ai pensionati, agli studenti, alle donne. Un livello politico ben espresso nella richiesta,
avanzata dal documento politico,
di interventi politici per garantire i
diritti a quanti subiscono gli effetti
più duri di emarginazione, discriminazione e violenza, “come le
donne, i migranti, diversamente
abili, lavoratori precari e sfruttati, Rom, non credenti, credenti
di minoranze religiose, giovani e
studenti”.
Contestualmente il movimento chiede parità di diritti, il matrimonio civile per le coppie formate da persone dello stesso sesso,
su un piano di piena uguaglianza
formale e sostanziale rispetto alle
coppie eterosessuali, l’accesso
alle adozioni e la tutela dell’omogenitorialità, il riconoscimento dei
poliamori e delle relazioni aperte,
la laicità dello Stato; legittime tutele e politiche di intervento contro l’omo-lesbo-transfobia e a
favore delle persone trans e intersessuali che subiscono discriminazioni e abusi; interventi legislativi per il contrasto di ogni forma
di pregiudizio legato all’orientamento sessuale e all’identità di
genere e, soprattutto, la rimozione di tutte le discriminazioni legislative; seri programmi di educazione e informazione sessuale
e di prevenzione delle malattie
sessualmente trasmissibili; investimenti e interventi di contrasto
dell’emarginazione sociale che
colpisce le persone in HIV.
Su queste precise rivendicazioni il movimento avverte Renzi:
“Le tue promesse non ci bastano.
Adesso fuori i diritti” è la parola
➫ DALLA 11ª
strutture, Ercole Incalza, amico
del ministro Lupi che a febbraio
scorso lo ha riconfermato per il
12° anno alla guida della cabina di regia governativa dove si
decidono le gare d’appalto per
le grandi opere. Incalza risulta
indagato a Firenze per la vicenda del Tav, che coinvolge anche
l’ex presidente dell’Umbria del
PD, Rita Lorenzetti e inoltre è
stato tirato in ballo nello scandalo della cricca degli appalti di
Anemone per una vicenda analoga all’acquisto di una casa a
Roma come quella di Scajola.
La manifestazione
d’ordine conclusiva dello spot
di presentazione del Gay Pride
2014 e la stessa dello striscione
di apertura della manifestazione.
Il parolaio Renzi viene inchiodato alla dichiarazioni da lui stesso
fatte durante le primarie del PD:
“Di questi temi – affermava pochi mesi fa - si parla sempre in
campagna elettorale, poi il giorno dopo silenzio totale. Io invece
mi prendo un impegno chiaro. Se
noi vinciamo in cento giorni facciamo le civil partnership (unioni
civili)”.
Sono passati ormai più 100
giorni dalla imposizione alle masse popolari di questo governo e
Renzi continua a tacere sui diritti
dei LGBTQI. Figuriamoci se ha
rispettato anche uno degli impegni presi con il movimento che
pure erano parte della campagna
elettorale delle primarie del PD:
unioni civili, step child adoption
(l’adozione del bambino che vive
in una coppia dello stesso sesso,
ma che è figlio biologico di uno
solo dei due), legge contro omotransfobia e ius soli (diritto di
cittadinanza per chiunque nasca
sul territorio italiano). Come affermato nel medesimo documento
politico di indizione del Gay Pride 2014 Matteo Renzi, “ha finora deluso le aspettative di una
svolta e gli impegni presi, peraltro
insufficienti, sono rimasti lettera
morta. Infatti, oltre a non avere
assegnato un dicastero alle Pari
Opportunità, persino le politiche
messe in campo nell’ambito della
Strategia nazionale contro le discriminazioni basate su omofobia
e transfobia hanno subito una
brusca battuta d’arresto e sono
state messe in forse da esponenti
di Governo”.
La preoccupazione del movimento è pressante, poiché, si
rileva giustamente, il concreto rischio che l’inattività del governo
acuisca le differenze socio-economiche che andranno a colpire
con maggiore violenza proprio
coloro che godono già di minori tutele, diritti e riconoscimenti,
col rischio che la crisi economica e occupazionale finisca per
penalizzare maggiormente quelle
componenti sociali che si trovano
già a subire pressioni e difficoltà,
“pensiamo in particolare alle persone trans, intersessuali e queer,
che a causa della loro visibilità
e di tutte le difficoltà legate alla
incongruenza tra i documenti d’identità e l’aspetto esteriore, troppo spesso sono messe ai margini
della vita sociale e lavorativa”.
Su questa base comune di
lotta in 200mila sono scesi in una
grande manifestazione di piazza a Roma il 17 giugno. E’ stata
la combattiva conclusione della
lunga rassegna del Roma Pride, fatta di iniziative e di eventi,
giunta quest’anno alla ventesima
edizione. Quella romana è stata la
prima delle tredici manifestazioni
che si terranno in Italia al posto
della manifestazione nazionale,
in grandi città: Alghero, Bologna,
Catania, Lecce, Milano, Napoli,
Palermo, Perugia, Torino e Venezia, il 28 giugno, giornata che
celebra il ricordo dei moti di Stonewall (1969, quando a New York
vi furono violenti scontri tra omosessuali e polizia) e scelta come
data della “giornata mondiale
dell’orgoglio LGBTQI” o “Gay
pride”. A chiudere Siracusa il 5
luglio e Reggio Calabria il 19 luglio. Quest’anno la Sicilia stabilirà
il record di tre parate nella stessa
regione a mostrare l’apertura e la
solida storia di accoglienza delle
masse popolari siciliane, contrariamente alle caricature che ne
suole fare l’ideologia dominante
borghese.
I 200mila hanno colorato e vivacizzato il centro della Capitale,
partiti da Piazza della Repubblica
intorno alle 17, per raggiungere il
Colosseo con una lunga sfilata di
15 carri coloratissimi.
Presenti alla manifestazione
anche l’Unione degli Universitari
e la Rete degli studenti medi in
piazza per sconfiggere il bullismo
omofobo dilagante nelle scuole.
All’apertura del corteo ha
preso parte anche Ignazio Marino (PD) in qualità di sindaco di
Roma, con tanto di fascia tricolore. Portandosi dietro uno sciame
di fotografi si è messo al centro
dello striscione principale con lo
slogan della parata. La seconda
volta, dopo 20 anni, che un sindaco di Roma prende parte al Pride.
La messinscena pubblicitaria
non ha comunque risparmiato
Marino dalla contestazione mossa di una parte del corteo che
ha rimarcato come da 7 mesi
manchi ancora la delibera sulle
unioni civili promessa al consiglio
comunale, che riconosca a livello
anagrafico i matrimoni già stipulati all’estero.
Quindi un Pride anche
quest’anno largamente di attualità e politicamente vivo, che dopo
venti lunghe edizioni ancora
spinge sulla rivendicazione degli
Altro che questione morale!
La verità è che il vertice del PD
e il suo “nuovo modo di governare” è in tutto e per tutto omologato al regime neofascista e si basa
esclusivamente sul clientelismo,
l’affarismo, la corruzione e le tangenti tipico della vecchia DC e
del vecchio PSI, poi trasmigrati
nel sistema politico-mafioso berlusconiano dopo tangentopoli.
Ricordiamo peraltro che il sindaco Orsoni era stato voluto da tutte le correnti del PD e sponsorizzato dall’allora segretario Bersani
e che l’attuale capogruppo dei
senatori PD e vice-presidente del
PD Luigi Zanda è stato chiamato
in causa nell’inchiesta per aver
ricoperto ininterrottamente la ca-
rica di presidente del famigerato
Consorzio Venezia Nuova dal
1986 al 1995. E poi Renzi non ci
venga a raccontare che costoro
sono le scorie del vecchio apparato ereditato dal PCI revisionista,
visto che Luigi Zanda non ricopre
solo i massimi vertici del PD di
oggi ma è un ex democristiano
come lui, ed è nato politicamente
come segretario-portavoce del
picconatore Cossiga al ministero
dell’Interno nel 1976-78.
Nei pochissimi casi in cui il PD
risulta che abbia rubato meno
degli altri partiti è perché aveva
meno potere e di conseguenza
meno pretese sul fronte tangentizio. Mentre là dove ha le mani in
pasta da molto più tempo, come
Roma, 7 giugno 2014. Un aspetto della manifestazione del Roma Pride
stessi diritti civili delle unioni gay
in Italia.
Dall’altra parte del Tevere, da
Piazza Mazzini a Castel Sant’Angelo va invece riportato il flop
mediatico e politico del “controcorteo” organizzato dai fascisti di
Forza Nuova, la cosiddetta “Marcia per la famiglia”, partecipata
da appena un centinaio di persone. Da registrare il fermo da parte
della Digos di un gruppo di fascisti che era pronto a un lancio di
volantini omofobi su via Cavour al
passaggio del Pride, provocazione comunque sventata.
La posizione del PMLI
Il PMLI da sempre attento sostenitore militante delle battaglie
per i diritti civili di tutti sostiene
la richiesta di LGBTQI di avere
risposte politiche, culturali, istituzionali adeguate e maggiori spazi
mediatici che trattino con laicità,
onestà intellettuale, con obbiettivi di inclusione le questioni poste
dal movimento. Per quanto riguarda le iniziative del PMLI, precisiamo che il nostro Partito non
fa parte delle istituzioni rappresentative borghesi, e quindi può
solo sostenere e pubblicizzare,
attraverso il proprio Organo, “Il
Bolscevico”, il movimento.
È comune la lotta per affossare tutte le norme giuridiche e
amministrative del regime neofascista che discriminano i rapporti consensuali omosessuali,
negandone parità di trattamento
in relazione alla sicurezza sociale,
all’assicurazione delle malattie,
alle prestazioni sociali, al sistema
educativo, al diritto professionale,
matrimoniale e di successione,
al diritto di adozione, alla legislazione sui contratti d’affitto e per
rivendicare il riconoscimento, da
parte delle istituzioni dello Stato
e amministrative, delle unioni civili e di fatto, comprese quelle tra
omosessuali di ambo i sessi. Alle
coppie di fatto vanno garantiti gli
stessi diritti ascrivibili alle coppie
ad esempio Milano e Venezia,
il PD sguazza nella mangiatoia
delle tangenti esattamente come
tutte le altre cosche parlamentari.
Dopo l’Expo si è ora aggiunto lo scandalo del Mose, che lo
supera per entità e durata delle
tangenti e per ampiezza degli indagati, che vanno dagli alti papaveri dei partiti di regime ai vertici
delle istituzioni, dagli imprenditori
e i più potenti gruppi economici ai
magistrati e ai più alti gradi della
Guardia di finanza. Non si tratta di
isolare poche mele marce perché
la corruzione è tutt’uno con le fondamenta del capitalismo, dei suoi
governi, istituzioni e partiti. Non è
l’eccezione ma la regola di questo
marcio regime naofascista.
“legali”. Tutti i nuclei familiari, comunque costituiti, devono essere
considerati alla pari, con gli stessi
diritti e gli stessi trattamenti sociali, economici e fiscali. Il PMLI chiede che lo Stato favorisca il cambiamento di sesso, nelle strutture
pubbliche e gratuitamente, e il
cambio di identità anagrafica. Alle
coppie lesbiche, gay, bisessuali
e transessuali va garantito pure
il diritto di avvalersi gratuitamente in strutture sanitarie pubbliche
delle tecniche per la fecondazione
assistita e di accedere senza discriminazioni all’istituto delle adozioni e tutti gli altri diritti in materia
sociale, assistenziale, lavorativa,
previdenziale e ereditaria. Per
questo motivo, occorre cancellare dai codici penale e civile ogni
norma repressiva e discriminatoria basata espressamente sull’orientamento sessuale.
Occorre tenere presente che
nonostante la riforma del 1975,
il diritto di famiglia in Italia è ancora un diritto borghese, retrivo e
antifemminile, risente fortemente
della sua origine nel diritto canonico e della struttura fascista,
sostanzialmente immutata, risalente al codice Rocco.
Il principio fondante è comunque quello contenuto nella
Costituzione del ’48, nel suo articolo 29, che sancisce che “La
Repubblica riconosce i diritti del-
la famiglia come società naturale
fondata sul matrimonio”. Sulla
base di questo articolo lo Stato
riconosce unicamente la famiglia
tradizionale fondata sul matrimonio, esclusivamente eterosessuale e preferibilmente indissolubile
e prolifico. Esso esclude a priori
e giuridicamente i diritti di tutti
gli altri tipi di famiglia, da quelle
di fatto a quelle gay, allargate,
ecc. Con ciò vuole perpetuare un
modello di famiglia fondata sulla
proprietà privata, l’ereditarietà, la
gerarchizzazione interna, la subordinazione della donna e dei
figli al marito e al padre.
Occorre quindi lottare per cancellare l’articolo 29 della Costituzione e rimuovere tutte le norme
che di fatto lasciano inalterato il
potere maritale, la potestà sui figli, le disuguaglianze fra figli legittimi e naturali, la discriminazione
e la mancanza di diritti per le coppie di fatto, etero e omosessuali,
il divieto di matrimonio, di adozione e di ricorrere alle tecniche
di fecondazione artificiale per le
coppie gay.
Intanto sosteniamo le prossime manifestazioni del 28 giugno, del 5 luglio, del 19 luglio e
auguriamo in maniera militante
il loro pieno successo e il raggiungimento degli obbiettivi di
parità all’inarrestabile movimento
LGBTQI.
Conto corrente postale 85842383 intestato a:
PMLI - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze
lotta sindacale / il bolscevico 13
N. 24 - 19 giugno 2014
“No Delocalizzazioni”, “No gare massimo ribasso”
Migliaia di lavoratori dei Call Center
in piazza
Tra i più combattivi i siciliani
e i calabresi
Il 4 giugno scorso si è svolto a
Roma un importante e combattivo
corteo che ha visto sfilare migliaia di lavoratori denominato ‘No
delocalizzazioni day’, manifestazione nazionale dei dipendenti dei
Call Center, un settore dove regnano supersfruttamento e precarietà, nonostante un giro di affari
di 1,3 miliardi di euro per le imprese e dove i lavoratori vengono
messi con le spalle al muro, con il
rischio concreto di delocalizzazioni e la perdita di decine di migliaia
di posti di lavoro in tutta Italia, e
soprattutto nel meridione.
I lavoratori accusano soprattutto le delocalizzazioni verso Pa-
esi come l’Albania, la Romania e
la Tunisia, e insieme le gare al ribasso, perché in entrambi i casi le
aziende ci guadagnano: con le delocalizzazioni effettive le aziende trasferiscono i loro impianti all’estero lucrando su salari da
fame in quei Paesi, e anche la sola
minaccia di delocalizzare - anche
se concretamente non viene attuata - porta a strappare ai lavoratori che operano in Italia condizioni salariali sempre più bestiali per
i lavoratori, e lo stesso vantaggio
le aziende conseguono con le gare
al massimo ribasso, come quella
bandita dal Comune di Milano lo
scorso febbraio, che solo le azien-
de che dispongono di manodopera
albanese, romena e tunisina possono vincere.
Vi è poi un problema che accomuna questi lavoratori a tanti
altri dipendenti di aziende di servizi, ovvero quello della esternalizzazione, per cui enti pubblici e
grandi società con il passare del
tempo hanno deciso di non gestire in proprio le attività telefoniche
di relazione con il pubblico, ma di
affidarle a terzi, ad aziende esterne, con il risultato anche in questo
caso di far diminuire drasticamente i costi e quindi i diritti e la paga
dei lavoratori.
Il settore si è sin dagli inizi con-
traddistinto per una crescita selvaggia e priva di regole certe, tanto che vi proliferano praticamente
tutti i tipi di contratti che rendono questo lavoro tra i più precari
e privi di tutele normative e sindacali, e spesso le aziende nascono e muoiono nell’arco di appena
tre anni, giusto il tempo per beneficiare degli sgravi fiscali previsti
della legge n. 407/1990, per poi
chiudere e riaprire altrove con personale nuovo che subirà la stessa
sorte tre anni dopo.
Hanno già portato all’estero
una notevole parte della loro attività Sky, Fastweb, Vodafone, Almaviva, il gruppo Abramo, soprat-
Roma, 4 giugno 2014. Un aspetto della combattiva manifestazione dei lavoratori
dei call center
tutto in Albania dove ci sono ben
60 aziende presenti tra Durazzo,
Valona e Tirana.
Tra i più combattivi alla manifestazione si sono distinti i lavo-
ratori siciliani e calabresi, perché
in quelle regioni la chiusura di un
Call Center significa quasi sempre
perdere l’unica possibilità di lavoro rimasta sul territorio.
Primo sciopero generale dei dipendenti comunali nella storia di Roma
I dipendenti pubblici in sciopero
protestano sotto il Campidoglio
Contestato Marino
‡‡Dal corrispondente
della Cellula “Rivoluzione
d’Ottobre” di Roma
Venerdì 6 giugno è la data del
primo sciopero generale dei dipendenti comunali nella storia di
Roma, indetto da Cgil, Cisl e Uil.
La partecipazione ha riguardato
80% dei 25 mila lavoratori di diversi settori: vigili urbani, maestre
d’asilo e impiegati a tutti i livelli.
Lo sciopero ha perciò provocato alcuni disagi sul traffico, per
l’assenza di vigili sulle strade e incroci principali della Capitale, disagi alle famiglie che non hanno
potuto lasciare i figli negli asili
pubblici rimasti chiusi e disagi per
l’impossibilità di svolgere attività di natura burocratica e ammini-
strativa, perché praticamente sono
rimasti chiusi tutti gli uffici di circoscrizione dei vari municipi.
Circa 10 mila lavoratori si sono
incontrati in Piazza Bocca della
Verità per raggiungere il Campidoglio. Un corteo breve ma intenso, caratterizzato dall’apparizione
quasi macchiettistica di Marino
che in bicicletta accoglieva i suoi
dipendenti in corteo che hanno risposto con slogan e insulti contro
il sindaco, colpevole di aver tanto sperato di scongiurare lo sciopero con una lettera che cercava di
alleggerire i toni e tranquillizzare
tutti, attaccando persino l’utilità
stessa della manifestazione.
Alla base della protesta c’è la
difesa del salario accessorio dei
Roma, 6 giugno 2014. La manifestazione dei dipendenti comunali al Campidoglio
dipendenti comunali. Il salario
accessorio è quella parte di salario che concerne le attività straor-
dinarie e di merito che però, con
il blocco dei contratti pubblici, è
diventato quel quid che ha garan-
tito fino ad oggi un reddito quasi
dignitoso ai lavoratori del comune di Roma.
Marino, secondo quanto previsto dal patto di stabilità, ha aperto
un tavolo con ultimatum 31 luglio
per risolvere la questione del salario accessorio per legarlo a voci
strettamente produttive: mansioni supplementari, flessibilità degli
orari di lavoro e reperibilità.
Il dramma del salario accessorio è che in una fase di tagli come
questa in corso, dettata dal governo Renzi, si è rivelata un boomerang perché non dà nessun diritto
ai lavoratori. Infatti c’è una parte di lavoratori, quasi dimenticati
dalla stampa, che sono quelli della
Multiservizi, 51% AMA, che potrebbero ritrovarsi dall’autunno
prossimo con un contratto di 450
euro mensili, superprecario, di 15
ore settimanali per 10 mesi. Con
il salario accessorio avrebbero garantito, con straordinari veri, uno
stipendio di 800 euro mensili.
È un errore grave proteggere
il solo salario accessorio. I sindacati e soprattutto la CGIL avrebbero dovuto adoperare parole
d’ordine per nuovi diritti dei lavoratori e non proteggere questo
ricatto che non cambia nulla sul
piano delle rivendicazioni sindacali; anzi, potrebbe solo portare a
nuove forme di sfruttamento e a
futuri tagli.
Il nostro auspicio è che la vertenza si tramuti in una richiesta di
un contratto nuovo, più solido e
che dia maggiori diritti ai lavoratori, partendo dai contratti precari
e meno retribuiti. Pronti a scendere di nuovo in piazza se non si raggiungerà l’accordo.
Squinzi: “Non ci deludere”
Confindustria sta con Renzi
La ministra Guidi: “Basta alla criminalizzazione del profitto”
Il “mandato popolare dato al
principale partito di governo e al
suo leader Matteo Renzi, testimonia la voglia di cambiamento
che c’è nel paese. Questa voglia
attende fatti che diano sostanza
alle riforme e alla crescita”. Con
queste parole il presidente degli
industriali, Giorgio Squinzi, ha
dato il suo pieno appoggio al Berlusconi democristiano Renzi dal
palco dell’assemblea annuale di
Confindustria tenutasi alla fine di
maggio. Sembra di essere tornati ai tempi del grande feeling tra
Berlusconi e i rappresentanti dei
padroni come Abete e D’Amato,
dove l’identità di vedute e d’interessi veniva espressa in maniera
palese e senza freni.
Qualche osservatore e massmedia ha invece sottolineato
l’assenza di Renzi all’assise di
Confindustria, così come fu dal
congresso Cgil, come un segnale
di equidistanza del capo del governo da sindacati e industriali,
questo invece è il segno del decisionismo e del piglio ducesco di
Renzi. Poi l’ex sindaco di Firenze, pur incassando il pieno appoggio di Squinzi, è molto furbo e da
buona lenza democristiana sta attento a non andare tra i padroni
a raccogliere ovazioni e applausi che potrebbero appiccicargli
addosso il ruolo di servo dei padroni, come in effetti è. Lui vuole interpretare il ruolo di chi fa
gli interessi del Paese e di tutti gli
italiani, cosa peraltro impossibile
nel capitalismo.
Chiunque non abbia una benda sugli occhi può vedere come la
Confindustria stia con Renzi e lo
abbia scelto come cavallo su cui
puntare per rappresentare i propri
interessi. Squinzi porta sul carro
del vincitore l’organizzazione padronale, applaude Renzi ma non
rinuncia a dettare le sue condizioni e la strada che secondo i padroni deve seguire il governo: “agire
con determinazione, con il vento
della legittimazione popolare alle
spalle. Il voto dà forza politica
alle riforme che si sono annunciate in questi primi mesi. La legge
elettorale e la revisione della Costituzione e del titolo V devono
diventare realtà, con un robusto
ridimensionamento e ammodernamento della macchina pubblica”.
Per Squinzi, occorre “agire sul
progressivo ridimensionamento
della spesa corrente, tagliando gli
incentivi improduttivi, riducendo
il perimetro pubblico e avviando
una radicale messa in efficienza della pubblica amministrazione, riportando la pressione fiscale a livelli accettabili”. Insomma,
Confindustria detta l’agenda di
governo, nonostante lo neghi con
tutte le sue forze, parlando solo di
“consigli”. Di fronte a una crisi
che ha portato la disoccupazione
a sfondare quota 13% e dove solo
nel manufatturiero in poco più di
10 anni si sono persi oltre un milione e 200 mila posti di lavoro si
propone il presidenzialismo a livello politico mentre sul fronte
economico si chiede minor intervento del pubblico, sgravi alle imprese e ulteriore flessibilità al mercato del lavoro, e perfino che la
magistratura (vedi Ilva) non interferisca, altrimenti si nega la libertà (leggi impunità) dell’impresa.
“Libertà d’impresa, di Fabbrica
e di Profitto” e di licenziamento
aggiungiamo noi, è lo slogan coniato da Confindustria.
Infine l’ennesimo richiamo ai
sindacati ad abbandonare le vecchie liturgie e contrapposizioni.
La solita solfa ribadita più volte
anche da Renzi e dal riinnegato
Napolitano che tradotto in parole
povere vuol dire pretendere che ci
sia la totale subordinazione dei lavoratori ai padroni, con i sindacati a svolgere solo il ruolo d’imbonitori, ruolo oltretutto già svolto
dalla maggior parte di loro. Verso il capo del governo solo elogi,
l’unico richiamo a Renzi è quello
a fare presto, insomma i padroni
sono tutti con lui ma, dice Squinzi, “non ci deludere”.
Dalla parte del governo trova piena sintonia. L’intervento
del ministro dello Sviluppo Economico, Fiorenza Guidi, è uno
sperticato elogio verso i capitalisti italiani. Del resto essa stessa è
un’imprenditrice ed è stata presidente dei Giovani Industriali e vicepresidente di Confindustria ma
per lei non vale il conflitto d’interessi. “Dobbiamo dire basta alla
dilagante cultura anti-imprenditoriale. Basta alla criminalizzazione
del profitto. Solo un imprenditore
che fa profitti può investire, crescere e dare occupazione”, questi sono solo alcuni ma eloquenti
passi del suo discorso. Per la Guidi la colpa della crisi è di quelli
che criticano i “poveri” imprenditori nostrani (per lei invece i veri
salvatori della patria), è colpa dei
lavoratori che vogliono difendere
i loro diritti e dei sindacati anziché della crisi globale del sistema
capiltalistico.
Noi marxisti-leninisti non avevamo bisogno di questa prova per
inquadrare il governo del Berlusconi democristiano Renzi come
nemico dei lavoratori. Purtroppo
Cgil, Cisl e Uil hanno invece un
atteggiamento più che connivente. Confidiamo che la maggioranza dei lavoratori e delle masse popolari si renda conto che questo
governo deve essere spazzato via
al più presto.
14 il bolscevico / PMLI
N. 24 - 19 giugno 2014
Risoluzione dell’Organizzazione di Rufina sul Rapporto di Scuderi al CC del PMLI
Bisogna fare e ottenere di più sul radicamenteo
ed essere i migliori militanti in tutto
Settimanale
Nuova serie - Anno XXXVIII - N. 15 - 17 aprile 2014
Fondato il 15 dicembre 1969
Rapporto di Giovanni Scuderi alla 4ª Sessione plenaria del 5° Comitato centrale del PMLI
Innanzitutto esprimiamo dolore
per le sorti della principale attività
di finanziamento del Partito; la pesante situazione delle nostre casse
ci è da tempo fin troppo chiara e
la conferma definitiva è stata l’aver
fatto a meno della stampa cartacea
del giornale che per noi non rappresentava solo una questione di
studio ma un vero e proprio strumento che ci accompagnava fra le
masse e nelle bacheche delle fabbriche.
Siamo però d’accordo col Segretario generale del Partito quando afferma che “la mancanza de Il
Bolscevico cartaceo non è determinante per il successo del nostro
lavoro politico e organizzativo. Il
fattore determinante per la vita e lo
sviluppo del Partito è l’applicazione, con determinazione, perseveranza ed intelligenza tattica, della
linea del Partito negli ambienti di
lavoro, di studio e di vita”.
Le contraddizioni
nel Partito
In tutta franchezza pensiamo
che il Partito abbia svolto il proprio compito a pieno. Se la volontà delle parti in una contraddizione
è risolverla e tornare ad una unità
ancora più forte, i ravvedimenti di
chi è in errore vi saranno; nei casi
declamati invece pare che sia mancata totalmente la volontà di risolvere tali contraddizioni. Non accet-
tare la critica, collocarsi all’esterno
del Partito ma nella pratica sparire
completamente o tuffarsi immediatamente in altri partiti, sono atteggiamenti che confermano quanto
sopra detto. Una sintesi ottimale è
da ricercarsi nella parola d’ordine
“Unità-critica-unità” che, fra l’altro, vale anche per il lavoro negli
organismi di massa, ovviamente
su basi e con obiettivi differenti rispetto a quelli che ci riguardano internamente al Partito, poiché questo metodo è inequivocabilmente
giusto, leale, sincero e proficuo se
l’intento di tutti è lavorare nell’interesse dell’intento comune.
Anche l’aver respinto i tentativi
di infiltrazione è segno di forza del
gruppo dirigente del Partito anche
perché quando persone spingono
per prendere contatti fino ad entrare tra le nostre file, il “grande” bisogno di forze che abbiamo potrebbe avere la meglio sulla vigilanza
ferrea del Partito. Per non cadere in
questo errore, dobbiamo aver bene
a mente che il nostro non è un Partito di massa, bensì d’avanguardia,
e per questo occorre tenere sempre
altissima la vigilanza rivoluzionaria, pena la sua dissoluzione.
Le vittorie del Partito
Ci troviamo perfettamente in
linea con il Segretario nel ringraziare la Commissione giovani centrale ed in particolare il compagno
Comunicato stampa del Comitato provinciale
di Firenze del PMLI
Condanniamo
l’ordigno contro
la sede PD di Firenze
I marxisti-leninisti fiorentini
condannano ed esprimono forte
preoccupazione per l’ordigno
esploso fuori dalla sede cittadina del PD in via Forlanini lunedì
notte. Esprimiamo la nostra solidarietà al PD in quanto bersaglio
di un atto di stampo terroristico.
Un attentato oscuro che è stato collegato dai quotidiani vicini a quel partito alle denunce del
movimento NoTav, e sfruttato per
alimentare la campagna mediatica volta a dipingere a fosche tinte
e criminalizzare il giusto e coraggioso movimento nato in Val-
susa, un movimento di massa che
vede protagonista l’intera popolazione.
Non si deve confondere le
giuste e necessarie lotte di massa
per la difesa dei diritti e dei territori con il terrorismo che, come ci
ha dimostrato anche la storia del
nostro Paese, è funzionale agli
interessi della classe dominante
borghese.
Il Comitato provinciale
di Firenze
del Partito marxista-leninista
italiano
Firenze, 11 giugno 2014
Picerni per il lavoro svolto del quale adesso può beneficiare l’intero Partito. Abbiamo analizzato la
questione giovanile nel nostro territorio (Valdisieve) nella scorsa relazione specifica e non ci soffermiamo di nuovo. La speranza è di
poter al più presto avere a che fare
direttamente con essa poiché sarebbe un segnale tangibile di sviluppo del Partito nella nostra zona.
Abbiamo avuto anche modo di seguire da vicino lo scorso congresso della CGIL poiché è stato uno
dei fronti approfonditi col compagno M. che cogliamo l’occasione per ringraziare per la sua attività svolta all’interno della CGIL
Scuola. A tal fine sono stati molto
importanti i documenti e le analisi che abbiamo letto e studiato sul
giornale; ci auguriamo fortemente
che la Commissione massa centrale faccia chiarezza sui punti citati
da Scuderi quali la rappresentanza,
il reddito di cittadinanza, il reddito minimo garantito e via di seguito poiché sono d’enorme attualità,
nonché elementi chiave della nostra proposta sindacale.
Ovviamente esprimiamo plauso
per l’enorme sforzo organizzativo
che il Partito ha dovuto compiere
per la nuova Sede e tutto ciò che ha
comportato.
I tre problemi aperti
Non entriamo in ulteriore merito per i primi due visto che sul primo (finanziamento) la situazione è
fin troppo chiara così com’è chiaro a livello di base ciò che occorre
fare per migliorare la situazione, e
sul secondo non possiamo fare altro che esprimere i ringraziamenti
per l’attività che il Centro sta facendo. Siamo certi che a questo
punto vi sarà trovata adeguata soluzione.
Relativamente invece alla questione del radicamento locale,
esprimiamo gioia per l’essere stati
citati ad esempio come istanza dal
Segretario generale. Siamo però
convinti che potranno essere sì apprezzabili la nostra perseveranza e
il nostro impegno, ma è altrettanto vero che si deve fare e ottenere di più, in particolare in un territorio come il nostro nel quale se
da un lato l’elettoralismo la fa da
padrone, dall’altro siamo presenti
sempre ed ogni volta che vi sia una
seppur piccola possibilità di fronte
unito e d’azione.
Prendiamo spunto dagli inviti che il Segretario rivolge ai dirigenti nazionali del PMLI dicendo
che essi devono essere i migliori
Affisso “Il Bolscevico” col necroogio su Zunica
Le bacheche del PMLI a Villa Rosa
e Alba Adriatica (Teramo)
Alba
Adriatica
militanti in tutto, estendendo anche a noi stessi, semplici e modesti
militanti di base, questo invito con
lo stimolo di lavorare e di studiare fino a cambiare definitivamente
la propria concezione del mondo in
chiave marxista-leninista.
Ogni militante del PMLI deve
essere il “miglior militante” del
PMLI e ciò lo si fa innanzitutto
provando a diventarlo con “anima”
e con tutto il cuore.
Elezioni europee e
amministrative
Come avete potuto vedere dagli articoli e dall’analisi di voto,
in Valdisieve in collaborazione
con i compagni mugellani, si è
fatto quanto abbiamo potuto. Tre
banchini (Pontassieve, Borgo e Rufina) e numerose diffusioni “veloci” hanno rappresentato la nostra
proposta alla popolazione.
Sicuramente il non poter affiggere manifesti negli spazi dell’indiretta è stata per noi, che eravamo
sempre i primi, una grave perdita.
Tantissimi si sono chiesti il perché
e molti lo hanno anche chiesto direttamente a noi; abbiamo risposto e abbiamo cercato invano di far
pubblicare il comunicato stampa
fatto dal Centro sull’argomento ai
media locali.
Ci auguriamo alle prossime
elezioni, con l’obiettivo di coinvolgere i numerosi contatti che ci
provengono dai rapporti di massa
(moltissimi dei quali ancora fortemente legati al voto di lista e alla
“rappresentanza”), di poter organizzare un dibattito elettorale per
parlare dell’astensionismo e della
nostra proposta politica delle Assemblee popolari e dei Comitati
popolari.
Pensiamo che riuscire a mettere in piedi una iniziativa che possa
avere un discreto successo, sarebbe molto importante per il nostro
radicamento sul territorio. C’è anche da considerare che non sappiamo quando vi saranno le prossime
politiche e che le contraddizioni di
classe mosse dal Berlusconi democristiano Renzi sono destinate inevitabilmente ad aumentare. È giusto
pertanto individuare il socialismo
come elemento centrale, come passaggio determinante “affinchè tutto
cambi ideologicamente”.
Allo stesso modo il fallimento
della lista a sinistra del PD a Pontassieve, la scomparsa del PRC sul
resto del territorio (tranne a Pelago
dove il segretario del circolo locale Fallani ha appoggiato il sindaco
PD Zucchini “meritandosi” un posto da assessore) e le pesanti perdite del Movimento 5 Stelle, fanno
pensare ad opportunità che vanno
colte e indirizzate sul terreno a noi
congeniale della coscienza e della
lotta di classe.
Relativamente alle europee è
giusto indicare l’uscita dalla Ue
imperialista e non semplicemente
la moneta unica quale battaglia da
perseguire.
È quello il vincolo associativo
che impedisce l’indipendenza nazionale, almeno in riferimento alla
Ue. Oggi la popolazione individua
nella sovrastruttura europea ed in
particolare nelle direttive di Bruxelles, gran parte delle responsabilità dei tagli allo “Stato sociale” e
di tutto ciò che ne consegue in termini di costi, di disoccupazione e
di tutti gli altri mali che affliggono la nostra popolazione. Alla fine
si finisce per pensare che il nostro
governo possa fare poco o niente e che non c’è più via di uscita
in un percorso così stretto quanto
già programmato; da lì il pessimismo e l’arrendevolezza che si stanno diffondendo a macchia d’olio.
L’uscire dalla Ue creerebbe effettivamente, come suggerisce il nostro
Segretario, “migliori condizioni
per lo sviluppo della lotta di classe
Mi rispecchio in tutto
e per tutto nelle
vostre parole
Ciao compagni
Chi vi scrive è un giovanissimo
lettore de “Il Bolscevico” e sostenitore del PMLI. Complimenti vivissimi per il lavoro che fate. C’è bisogno di un Partito come il vostro
di questi tempi.
Ho appena finito di leggere l’ultimo numero de “Il Bolscevico”.
Come al solito mi rispecchio in tutto e per tutto nelle vostre parole.
Vorrei cominciare a studiare il
marxismo-leninismo. Da dove mi
consigliate di partire?
Saluti a pugno chiuso.
Giuseppe, dalla Sicilia
___________
Comincia dal “Manifesto del Partito comunista” di Marx e Engels.
Totalmente d’accordo
con voi sull’analisi
dei risultati elettorali
Care compagne e cari compagni
del PMLI,
grazie per avermi inviato l’articolo sulle elezioni amministrative parziali, il cui testo mi trova
totalmente d’accordo. E, secondo
me, degna di ulteriore nota positiva la parte riguardante la valenza dell’astensionismo come vero e
proprio voto.
Infatti, ma non è un caso, è la
risposta che spesso ho dato a chi
mi rimproverava per la mia posizione astensionista dicendomi che
“c’è chi è morto per darci la libertà
di votare!”. Bene, dico io, ma chi
Un accendino “marxista-leninista”
Villarosa
Le bacheche de “Il Bolscevico” a Villarosa e Alba Adriatica (Teramo) con il giornale che riporta la notizia della scomparsa del
compagno Salvatore Zunica, pioniere del PMLI Abruzzo
Il compagno simpatizzante attivo del PMLI Mario Corsetti di Cassino (Frosinone) ha preso l’iniziativa
di attaccare sul suo accendino modello zippo da un lato la spilla realizzata
dal nostro Partito per il 60° Anniversario della scomparsa di Stalin (5 Marzo
2013), dall’altro la spilla col simbolo
del PMLI.
LA SITUAZIONE DEL PARTITO
E LE ELEZIONI
EUROPEE E
AMMINISTRATIVE
PAGG. 2-5
Comunicato
della 4ª Sessione
plenaria allargata
del 5° Comitato centrale del PMLI
PAGG. 6-7
VOLANTINAGGI CONTRO
IL GOVERNO RENZI E CONTRO
IL PRECARIATO ALLA WHIRLPOOL
(VA) E A BORGO S. LORENZO (FI)
PAG. 7
Firenze, 5 aprile 2014. Il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, tiene il Rapporto alla 4ª Sessione plenaria allargata
del 5° Comitato centrale del Partito
Il Documento del PMLI sul precariato
è una spada rossa con cui
colpire la borghesia e il capitalismo
Per abolire il precariato occorre abolire il capitalismo
IL PROLETARIATO DEVE CONQUISTARE IL POTERE POLITICO SENZA IL QUALE NON CONTA NULLA
di Marco - Biella
PAG. 7
CON LA BENEDIZIONE DI NAPOLITANO E ATTUANDO IL PATTO COL NEODUCE BERLUSCONI
Renzi abolisce il Senato. Golpe piduista
,O%HUOXVFRQLGHPRFULVWLDQRWLUDGULWWRVXOOH³ULIRUPH´LQ¿VFKLDQGRVHQHGHOOHDFFXVHGLDXWRULWDULVPRHGHOOHPLQDFFHGLIDUORFDGHUHLQSDUODPHQWR
PAG. 9
contro il capitalismo e per il socialismo” e farebbe tornare il nostro
governo al centro della critica.
Con l’occasione ringraziamo
il CC del PMLI ed in particolare
il compagno Scuderi per il lavoro
che svolgono quotidianamente.
Lunga vita al PMLI!
L’Organizzazione di Rufina
(Firenze) del PMLI
è morto per liberarci dal fascismo
(intendendo i Partigiani) sicuramente avrebbe voluto darci anche
una società diversa da questa!
Sperando di aver esternato in
modo comprensibile il mio pensiero, colgo l’occasione per inviarvi
sinceri saluti rossi.
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Andrea, operaio del Mugello
(Firenze)
Conquistare gli
astenuti per istruirli
alla lotta senza
quartiere
Carissimi compagni,
I risultati elettorali me li aspettavo onestamente, l’astensione ormai domina ovunque, la gente è
stanca, i politici promettono ma
non mantengono, la corruzione va
al galoppo. Da qui si deve lavorare a mio parere per conquistare gli
astenuti o meglio per istruirli alla
lotta senza quartiere a quello che
ormai è un capitalismo morente di
un sistema corrotto.
Un abbraccio.
Saluti marxisti-leninisti
Conce-Firenze
Riflessioni
sull’astensionismo
a Catania
Il sindaco di Catania, Enzo Bianco si è dichiarato più che soddisfatto del voto, nonostante che più del
60% degli aventi diritto abbia delegittimato l’Europa imperialista.
In effetti a Catania la sconfitta
è ancora più cocente perché 5.092
elettori, equivalenti al 4,95% dei
votanti, ha annullato il proprio
voto che, sommato alla diserzione
delle urne, arriva al 65,14%; mentre nei 52 comuni della provincia il
55,65% di diserzione si somma al
6,92% di voti nulli, pervenendo ad
una percentuale del 62,57%.
Fraterni e militanti saluti marxisti-leninisti.
Giuseppe Sparatore, simpatizzante della Cellula “Stalin”
della provincia di Catania del
PMLI
esteri / il bolscevico 15
N. 24 - 19 giugno 2014
Bellicoso e tronfio discorso ai cadetti di West Point
Obama: “Siamo i leader del mondo”
“Interverremo militarmente se gli interessi Usa vengono colpiti direttamente”
Il discorso di Barack Obama del 27 maggio all’Accademia
militare degli Stati Uniti di West
Point, nello Stato di New York, secondo la Casa Bianca era il primo
di una serie di interventi pubblici
nei quali il presidente avrebbe illustrato la politica estera degli Usa
negli ultimi due anni del suo secondo mandato. Secondo il Wall
Street Journal era il primo di “una
campagna chiarificatrice” per
contestare le posizioni della destra
americana che descrive la sua politica estera come “timida” e capace di “diluire l’influenza americana nel mondo”. Ma più che agli
avversari interni Obama ha pensato di lanciare un messaggio chiaro alle potenze imperialiste rivali,
con un bellicoso e tronfio discorso che ha al suo centro la riaffermazione del principio che l’imperialismo americano è il “leader
del mondo”, quantunque azzoppato sul piano economico e in via di
cedere il primato di prima potenza
economica mondiale alla Cina. E
che è pronto a far valere la sua leadership dall’alto della sua potenza militare, ancora di gran lunga la
prima nel mondo, con l’affermazione che “interverremo militarmente se gli interessi Usa vengono colpiti direttamente”.
Il punto di partenza del discorso di Obama è che l’America è e rimane “indispensabile”,
sarà sempre la “nazione leader del
mondo”, perché “se non lo guidiamo noi nessuno lo farà”. Anzi,
ha chiosato, “l’America raramente è stata così forte rispetto al resto del mondo. E quelli che parlano di declino e di mancanza di
leadership travisano la storia e
fanno solamente un gioco di parte”. Il concetto è che “noi siamo
i più forti”. Accade sempre così
alle potenze imperialiste egemoni ma in declino: quanto più si vedono minacciate e superate dalle
nuove potenze imperialiste emergenti, tanto più digrignano i denti
e gridano forte la loro indiscussa
ma vacillante superiorità militare.
Ed è così che aumentano i pericoli di guerra imperialista, quando la
nuova spartizione del mondo può
essere regolata solo sul piano militare
“Gli Stati Uniti devono continuare a rimanere al vertice del
palcoscenico globale”, ha indicato ai giovani cadetti di West Point,
a una platea che quando entrerà in
azione non agirà certo sul palcoscenico mondiale con opere filantropiche, e quindi per camuffare
l’anima bellicista ha sottolineato che “l’azione militare non può
essere sempre l’unica – e in molti
casi nemmeno la principale – tra
le componenti della nostra leadership globale. Solo perché abbiamo il martello più pesante, non significa che ogni problema sia un
chiodo”. Una metafora, quella del
martello, che esalta la forza militare degli Usa e comunque la mantiene sempre come parte attiva
della politica estera imperialista
americana, una componente per
mantenere la leadership mondiale. Un bel discorso da Nobel per
la pace!.
Da buon imbonitore e imbroglione politico Obama cita dichiarazioni del tipo “la guerra è la
follia più tragica e stupida dell’umanità” ma solo quale premessa
per affermare che l’uso della forza sia limitato a affrontare minacce contro “interessi fondamentali”. Quindi, continueremo a usare
la forza quando “i nostri cittadini
sono minacciati, quando sono in
gioco i mezzi di sussistenza, quan-
do è in pericolo la sicurezza dei
nostri alleati”, ha spiegato. La casistica che giustificherebbe l’uso
della forza secondo Obama è talmente aleatoria che detta in altre
parole diventa, quando lo decidiamo noi.
D’altra parte in un altro passaggio del suo discorso è ancora più
chiaro: “gli Stati Uniti useranno
la forza militare, anche unilateralmente, se necessario. E non chiederanno mai il permesso a nessuno se i suoi interessi saranno in
pericolo e i suoi cittadini minacciati”. Questo passaggio si trova
nella parte dedicata alla “lotta al
terrorismo” ma ha una valenza generale.
Da quello stesso palco, nel
giugno 2002, il suo predecessore guerrafondaio Bush sostenne
la necessità di azioni militari preventive nella “nostra guerra al terrorismo che è appena iniziata”. “Il
terrorismo resta la più grande minaccia per l’America”, ha ripetuto Obama, specificando che però
non può essere combattuto con
“una strategia che prevede l’invasione di ogni paese che dà asilo ai terroristi, sarebbe ingenuo e
insostenibile”, soprattutto insostenibile economicamente e quindi è
meglio usare le risorse per “finanziare missioni antiterrorismo mirate, piuttosto che per intraprendere nuove guerre”.
Nei programmi della Casa
Bianca ci sarebbe l’investimento
di 5 miliardi di dollari per “svolgere diverse missioni”, dalla formazione delle forze di sicurezza
che in Yemen combattono al Qaida, al supporto a una forza multinazionale per mantenere la pace in
Somalia, dal pattugliamento delle acque della Libia, alla collaborazione con le operazioni militari
francesi in Mali, al finanziamento
delle formazioni che combattono
in Siria contro il regime di Assad.
Quanto le parole del “pacifista” Obama siano lontane dalla realtà lo conferma tra le altre la sua
posizione sulla chiusura del lager
di Guantanamo, la prigione per
“terroristi” voluta da Bush fuori
da ogni legalità nazionale e internazionale. “Continuerò a spingere
per la chiusura di Gitmo, perché
credo profondamente nell’eccezionalità americana e i nostri valori non consentono la detenzione
a tempo indeterminato di persone fuori dalle nostre frontiere”, ha
detto a West Point. La chiusura di
Guantanamo l’aveva già promessa nella campagna elettorale che
lo aveva portato al primo mandato
presidenziale nel novembre 2008
e il lager è ancora aperto.
Alla faccia della “democratizzazione della Rete”
Internet veloce solo per i ricchi
Sarà riservata alle multinazionali imperialiste
La Federal communications
Commission (Fcc), l’agenzia federale che regola le comunicazioni negli Stati Uniti, ha annunciato
agli inizi di maggio l’apertura di
un periodo di commenti della durata di 4 mesi sul progetto di legge
che modifica l’utilizzo della rete
Internet in un sistema a due velocità, permettendo ai grandi gruppi
che gestiscono le telecomunicazioni di offrire ai loro clienti la
possibilità di avere una banda più
larga e la priorità sulla rete attraverso il pagamento di un abbonamento più costoso. Nel corso dei
4 masi l’Fcc valuterà le proposte e
i suggerimenti prima del varo della legge. Il risultato sarà una Rete
da cui transitano l’informazione,
la comunicazione e tanti servizi importanti con qualità diverse;
una Rete a due velocità, con quella veloce solo per ricchi. Alla faccia della “democratizzazione della Rete”.
La questione sottoposta alla
Fcc era nata dalle pretese dei giganti delle telecomunicazioni,
del tipo Comcast, Verizon, AT&T
e TimeWarner che quasi sempre sono anche i gestori della tv
via cavo e degli accessi Internet,
avanzate da anni alle authority
Usa per avere il diritto a far pagare di più i cosiddetti maxiutenti,
gli altrettanto giganti Google, con
la sua filiale YouTube, il numero
uno dei servizi di videostreaming
Netflix, la Walt Disney, Microsoft
Nel mondo il 71% delle lavoratrici
non hanno tutela di maternità
Nel mondo ci sono 830 milioni di donne, 71,6% delle lavoratrici, che non hanno una tutela della
maternità o l’hanno in modo insufficiente. La maggior parte di loro,
l’80% delle donne non tutelate,
si trova in Africa o in Asia dove
“il lavoro nero è predominante e
i tassi di mortalità materna e infantile sono ancora molto elevati”.
Lo ha rivelato il recente rapporto
dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) intitolato Maternità e paternità nel lavoro: legislazioni e prassi nel mondo”.
Il rapporto documenta che sui
185 paesi e territori presi in esame, solo poco più di un terzo hanno assunto impegni, e non sempre
rispettati, con almeno una delle
tre convenzioni in materia di protezione della maternità adottate
nel 1919, 1952 e 2000. Temi come
la prevenzione dall’esposizione a
rischi per la salute e la sicurezza
durante la gravidanza e l’allattamento; il diritto al congedo di maternità retribuito, alla tutela della
salute della madre e del bambino
e ai permessi per allattamento; il
diritto al reintegro sul posto di lavoro dopo il periodo di congedo,
sono stati riconosciuti da sessantasei paesi.
Questi dispositivi di protezione della maternità darebbero una
tutela legale a circa il 40% delle
lavoratrici; il rapporto dell’Ilo rivela che invece le donne protette
in maniera sufficiente sono solo il
28,4%. La differenza, spiega l’Ilo, “dipende da come le leggi vengono applicate e garantite”, senza
contare la loro mancata divulgazione che impedisce alle lavoratrici di conoscere i propri diritti. La
mancata protezione della maternità dipende anche da “disparità nei
sistemi di sicurezza sociale, controlli inadeguati, pratiche discriminatorie, lavoro nero ed esclusione sociale”.
Circa l’80% di queste donne
si trova in Africa e Asia, ci sono
gruppi di lavoratori completamente esclusi da qualsiasi forma di
protezione, a partire dai lavoratori in proprio fino ai migranti, ai
domestici, agli addetti del settore
agricolo, occasionali o tempora-
nei, o lavoratori che appartengono
a minoranze indigene e tribali. In
queste zone dove la garanzia delle
tutele è affidata alla “responsabilità” del datore di lavoro, si hanno i
maggiori casi di schiavitù salariata, di tassi di mortalità materna e
infantile ancora molto elevati.
In merito a diritti affermati da
leggi ma negati o limitati nella pratica il rapporto dell’Ilo denuncia
situazioni come quella dell’Italia
dove si fa “largo uso” di lettere di
dimissioni in bianco, senza data,
che le lavoratrici sono costrette a
firmare quando vengono assunte e
che permettono ai datori di lavoro di licenziarle se restano incinte. Una pratica segnalata anche in
Croazia, Grecia e Portogallo.
con Skype, Apple con iTunes che
controllano e quindi determinano la distribuzione dei contenuti
dell’informazione, della comunicazione, spettacolo e musica.
Le multinazionali delle telecomunicazioni
sostenevano che se gli utenti “occupano”
una parte consistente della banda larga che deve smaltire ad
alta velocità un grosso volume
di traffico dovrebbero pagare
di più. Una richiesta che è stata ritenuta valida in due sentenze di tribunali federali americani
e recepita dal vertice della Fcc
che ha deciso di definire nuove
regole. Che saranno valide non
solo per gli Usa ma per tutti gli
utenti della Rete.
La posta in gioco non è soltanto una redistribuzione di guadagni
fra le multinazionali del settore.
Diverse organizzazioni americane
di difesa dei consumatori hanno
contestato la decisione della Fcc
e denunciato che si realizzerebbe
una “discriminazione commerciale” a favore dei soggetti più
forti. Le multinazionali imperialiste avranno Internet veloce, pagata comunque dagli utenti della
Rete sui quali scaricheranno il sovrapprezzo.
Ne usciranno penalizzati anche i piccoli operatori, singoli o
aziende locali e nuove, che non
potendosi permettere di viaggiare
sulla più cara corsia veloce saranno confinati su quella lenta.
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chiuso il 11/6/2014
ore 16,00
FUORI
4 il bolscevico / studenti
N. 45 - 19 dicembre 2013
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e sfruttatrice da Torino
xxx
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GIOVANI
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il governo
del Berlusconi democristiano Renzi
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