393 Nuova Umanità XXVI (2004/3-4) 153-154, pp. 393-436 ARTE ED ESPERIENZA ARTISTICA NEL PENSIERO DI HANS URS VON BALTHASAR. UNA LETTURA PREMESSA Hans Urs von Balthasar, spesso ricordato come il teologo della bellezza, come colui che ha tentato una rivisitazione di tutta la storia del pensiero occidentale e della teologia dal punto di vista del terzo trascendentale, non ha mai inteso costruire una teoria dell’arte: non l’ha mai fatto, né ha voluto mai farlo. Nel corso del presente lavoro appariranno chiari i motivi di tale scelta. Nella sua sterminata bibliografia un solo titolo è dedicato ad una appena abbozzata teoria dell’arte: Lo sviluppo dell’idea musicale 1. È il primo volume che von Balthasar scrisse (nel 1925): in esso l’autore intendeva analizzare gli elementi costitutivi dell’arte musicale (melodia, ritmo, armonia, struttura, limiti, valori). Più nulla di questo tipo troviamo nella sua produzione successiva. La sua passione giovanile per la musica probabilmente l’aveva spinto a realizzare questo suo primo saggio. Le vicende biografiche lo indirizzarono verso altri ambiti: principalmente l’interesse per la letteratura tedesca e, nel 1929, la vocazione “fulminea” ad entrare nella Compagnia di Gesù 2. 1 H.U. von Balthasar, Die Entwicklung der musikalischen Idee. Versuch einer Synthese der Musik, Fritz Bartels Verlag, Braunschweig 1925; Lo sviluppo dell’idea musicale, Milano 1995, trad. it. di L. D’Angelo, note e commento di P. Sequeri, il quale aggiunge anche un saggio dal titolo Antiprometeo. Il musicale nell’estetica teologica di Hans Urs von Balthasar. Nello stesso volume è riportato anche un breve scritto dello stesso von Balthasar dal titolo Testimonianza per Mozart. 2 Era il 1929: dopo un corso di esercizi presso i gesuiti di Lucerna lo raggiunge una «fulminea (...) vocazione alla via di sant’Ignazio». «Con l’entrata nell’ordine fu automaticamente finita con la musica» (H.U. von Balthasar, Unser Auftrag, Johannes Verlag, Einsiedeln 1984; Il nostro compito, Milano 1991, p. 28). 394 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... L’arte resterà, comunque, sempre un termine di paragone privilegiato, per quanto l’elaborazione teologica e filosofica stavano maturando. Accanto a brevi saggi sul rapporto tra arte e teologia o a brevi scritti su opere musicali o autori musicali, spesso troviamo, a mo’ di esplicazione di quanto von Balthasar stava elaborando nelle sue opere maggiori, proprio l’analogia con la produzione artistica, con l’opera d’arte, con la fruizione di essa da parte dell’interprete. Sulla base di questi accenni sparsi, raccolti nelle nostre letture, abbiamo tentato di ordinare il tutto per chiarire il ruolo dell’arte nella vita dell’uomo. Non sarà possibile, naturalmente, supplire a ciò che metodicamente von Balthasar non ha inteso fare (appunto una teoria estetica): ciò falserebbe completamente la comprensione del suo pensiero. Ci è sembrato però che semplici suoi accenni rivelassero intuizioni feconde, frutto probabilmente più delle esperienze personali che di un’elaborazione scientifica. A questi vorremmo fare riferimento. Prima però di passare direttamente alla tematica artistica, sarà opportuno richiamare brevemente alcuni dei fondamenti filosofici del pensiero di von Balthasar: il tema dei trascendentali nella particolare interpretazione che il nostro ne dà; il concetto di Gestalt e di ciò che Goethe ha chiamato la «misura dell’elevato (erhaben)» e, legata a ciò, la polarità di fondamento e irradiazione, propria di ogni esistente. I TRASCENDENTALI Nella Trilogia 3 i punti di vista dai quali “il centro” – Cristo come centro – è osservato sono scelti in base a quelli che la tradi3 Si tratta dell’opera fondamentale di von Balthasar: l’opera è divisa in tre grandi sezioni: Herrlichkeit (Gloria), Theodramatik (Teodrammatica), Thelogik (Teologica). Citeremo nel corso del presente lavoro solo alcuni volumi: Herrlichkeit. Eine theologische Ästhetik, Bd. I, Schau der Gestalt, Johannes Verlag, Einsiedeln 1961; Gloria. Un’estetica teologica, vol. I, La percezione della forma, Milano 1971, 19942, trad. it. di G. Ruggieri (d’ora in avanti citato con Gloria I); Herrlichkeit. Eine theologische Ästhetik, Bd. III, I, Teil I, Im Raum der Metaphysik, Alter- Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 395 zione scolastica ha chiamato trascendentali. Nulla può venir aggiunto al concetto di essere, ma in tale concetto non è esplicitato il modo di presentarsi dell’essere stesso. Ora, esistono proprietà che esprimo in maniera parziale tale modo di essere dell’essere e queste sono dette categorie 4: esse consentono di definire esattamente gli enti in quanto li riconducono alla loro essenza più generale. Accanto a queste vi sono poi determinazioni dell’essere che appartengono ad ogni ente. Queste particolari determinazioni dell’essere sono dette dalla tradizione trascendentali, o proprietà trascendentali dell’essere. Essi non aggiungono nulla all’essere, né gli sottraggono nulla, ma sono coestensivi all’essere stesso: costituiscono insomma come differenti angoli visuali sotto i quali l’essere può essere messo a fuoco. Sulla questione riguardo a quali siano tali determinazioni trascendentali dell’essere, non possiamo soffermarci nel presente lavoro. Von Balthasar la affronta molto brevemente nel quarto volume di Gloria (Nello spazio della metafisica. L’antichità 5), dove, seguendo un filone che parte da Dionigi Areopagita, e passa attraverso Alberto Magno e Ulrico di Strasburgo, elenca tre proprietà trascendentali: il vero, il buono e il bello 6. A questi tre, quale fondamento per la loro realizzazione reciproca, aggiunge il tratum, Johannes Verlag, Einsiedeln 1965; Gloria. Una estetica teologica, vol. IV, Nello spazio della metafisica, L’antichità, Milano 1977, 19982, trad. it. di G. Sommavilla (d’ora in avanti citato con Gloria IV); Herrlichkeit. Eine theologische Ästhetik, Bd. III, I, Teil II, Im Raum der Metaphysik, Neuzeit, Johannes Verlag, Einsiedeln 1965; Gloria. Una estetica teologica, vol. V, Nello spazio della metafisica, L’antichità, Jaca Book, Milano 1978, 19912, trad. it. di G. Sommavilla (d’ora in avanti citato con Gloria V); Wahrheit, Bd. I. Wahrheit der Welt, Benzinger, Einsiedeln 1947. Il volume è stato nuovamente pubblicato, aggiungendo un Inserimento nell’opera complessiva (Zu Gesamtwerk), quale primo volume della Theologik, Bd. I, Wahrheit der Welt, Johannes Verlag, Einsiedeln 1985; su questa seconda edizione è basata la trad. it.: Teologica, vol. I, Verità del mondo, Jaca Book, Milano 1989, 19972, trad. it. di G. Sommavilla (d’ora in avanti citato con Teologica I). 4 Sono tradizionalmente dieci: sostanza, qualità, quantità, relazione, luogo, tempo, posizione, condizione, azione, passione. 5 Gloria IV, pp. 337-354. 6 In realtà la questione che von Balthasar affronta non riguarda la trascendentalità del vero o del buono, ma esclusivamente del bello. Tuttavia accostando al bello gli altri due, li elenca nella loro completezza. 396 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... scendentale unum: poiché essi «circolano per tutto l’essere» è chiara «non solo la loro inseparabilità (...), la loro reciproca compenetrazione e presupposizione, ma (...) anche il trascendentale fondante dell’unità» 7. Per brevità accenniamo solo ad alcune espressioni di von Balthasar sui trascendentali, in particolare sulla bellezza. Si chiariranno meglio nel corso del nostro lavoro. Verità. Verità è svelamento dell’essere, a;lhvqeia/ 8. Essa è immanente all’oggetto che si svela. Mediante l’apparizione, lo svelamento, l’essenza diviene manifesta e così misurabile: è il fondamento che si apre. Questo rapporto di fondamento e apparizione è «un’azione, un’espressione, un’illuminazione». Questa comprensibilità del fondo dell’essere è la sua intima luce. Mediante la propria manifestazione luminosa, l’essere propriamente esiste ed è misurato. «Luce e misura. In esse si radica originariamente la verità» 9. Luce che allo spirito umano è manifesta e misurabile in una proposizione, in un giudizio che la esprime. Luce e misura sono al tempo stesso intimità e contorno dell’essere, garanzia dell’esistenza non dissolta nel puro divenire e garanzia di mobile conoscibilità. Essere in sé, essenza, ed essere fuori di sé, svelamento, contemporaneamente costituiscono l’unità polare dell’essere. 7 8 Teologica I, p. 14. Wahrheit der Welt venne scritto nel 1947. Pochi anni prima (nell’inverno del 1932-1933) Martin Heidegger tenne un corso all’Università di Friburgo dal titolo L’essenza della verità. L’influsso di Heidegger nel pensiero di von Balthasar è evidente in più passaggi. Parlare della verità come del “dis-velato” (M. Heidegger, Vom Wesen der Wahrheit, Frankfurt 1943; 19512, con nota conclusiva ampliata; L’essenza della verità, Milano 1997, a cura di Hermann Mörchen, ed. it. a cura di F. Volpi, p. 33) accomuna i due pensatori. Heidegger parla della verità negli stessi termini: come svelatezza dell’essere. Nella prima parte de L’essenza della verità, commentando il mito della caverna di Platone, al terzo stadio in cui il prigioniero lentamente e con sforzo si abitua al chiarore del giorno, alle stelle, e per ultimo al sole stesso quale sorgente di luce, Heidegger nota che Platone dice essere autenticamente vere le idee, in quanto massimamente svelate: l’eijdoı «nella misura in cui si tratta di ciò che è massimamente svelato, (...) dev’essere anche ciò che è massimamente ente. (...) Quell’ente che è così essente come solo un ente in assoluto può essere essente: l’essere» (ibid., p. 92). Le idee sono «l’originariamente svelato, la svelatezza nel senso originario, nel senso cioè di ciò che-fa-scaturire» (ibid., p. 95). 9 Teologica I, p. 216. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 397 Bontà. Sempre nella polarità di fondamento e apparizione, l’essere acquista valore. L’essere, nel momento in cui appare, comunica di se stesso tutto il proprio contenuto. Così, nel momento in cui l’essenza esiste, il fondamento appare, essenza e fondamento ricevono la loro verità e il loro valore (bontà): «nell’unico ed identico movimento» della manifestazione «l’essere rinuncia all’avarizia dell’essere-solo-per-sé, per aprirsi e comunicare, e riceve mediante questa originaria rinuncia il suo peso come un bene, il suo valore irripetibile» 10. Bellezza. Come è possibile che, data una corrispondenza formalmente corretta tra fondamento e apparizione – dato cioè un contenuto di verità –, si scopra in essa un valore tale da interessarsi ad essa, ci attragga a sé e non si considerino l’essere e la verità come pure realtà di fatto illuminate semplicemente da «una luce fredda, che non rende felice nessuno» 11? L’indagine filosofica ha inizio non da un’originale domanda, posta non si sa come nell’alveo dell’essere che ci troviamo di fronte. Ogni indagine filosofica nasce dalla meraviglia. Lo stupore è l’inizio della filosofia: prima ancora di qualsiasi dato riflesso, la semplice apparizione inizia lo spirito alla ricerca. Il luogo della meraviglia, nell’indagine filosofica, è il luogo della bellezza. Essa, anteriore al fondamento, è radice ulteriore: «essa è la sorgente stessa dell’essere che sta dietro (...) e che semplicemente zampilla, sorgente a partire dalla cui pienezza si riesce finalmente a comprendere ogni atto, come ogni misura posta, come ogni azione ponente. Qui il fondo dell’essere diventa abissale, perché il fondo della comunicazione altro non è che la stessa comunicazione, e questa si fonda sul senza fondo (Grundlosen)». In definitiva questa mancanza di fondamento è pura grazia, da considerarsi come «giacente “dietro” la verità stessa» 12 e dalla quale la stessa verità irradia. Lì il mistero domina il campo e lo spirito può solo attendere nuova acqua dalla sorgente delle rivelazioni. La bellezza è questa «emersione immediata di ogni essere fondato dal suo fondo senza fondo». 10 11 12 Ibid., p. 218. Ibid., p. 219. Ibid., p. 220. 398 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... È «sopra ciò che può essere appreso in concetti» e non si può cogliere «fuori dall’immediato rapporto con essa e che rende ogni nuovo incontro con essa un’esperienza nuova». Essa, quale «eterno “più” che è proprio di ogni essere» 13, è la «trasparenza, attraverso tutti i fenomeni, dell’arcano sfondo dell’essere» 14. Essa è «l’inspiegabile irradiazione attiva del centro dell’essere dentro i piani d’espressione dell’immagine, un’irradiazione che si delinea nell’immagine medesima e che gli comunica una unità, profondità e pienezza che è più di quanto l’immagine come tale contiene». «Essa propaga il mistero dell’essere ad ogni angolo di strada, ma (...) comprende [questo mistero] solo colui che ha nell’animo un sentimento a tanto». Essa, in quanto inspiegabile, è «grazia» 15. Verità, bontà e bellezza formano una unità: ciascuna è comprensibile solo mediante le altre due. La loro unità dinamica svela, in controluce, il mistero dell’essere, il quale sta sullo sfondo come «sovrapienezza di luce» 16. IL CONCETTO DI GESTALT E LA MISURA DELL’ELEVATO. LA POLARITÀ DI FONDAMENTO E IRRADIAZIONE Negli anni 1937-1939 von Balthasar pubblica un’imponente opera, frutto dei suoi studi giovanili, Apokalypse der deutschen Seele. Studien zu einer Lehre von letzen Haltungen 17. Si tratta della rielaborazione della sua tesi di laurea in germanistica, dal titolo Geschichte des eschatologischen Problems in der modernen deutschen 13 14 15 16 17 Ibid., pp. 145-146. Ibid., p. 221. Ibid., p. 146. Ibid., p. 222. L’opera è divisa in tre volumi: il primo, dal titolo Der deutsche Idealismus, Salzburg 1937 (in seguito pubblicato in seconda edizione con il titolo Prometheus. Studien zur Geschichte des deutschen Idealismus, Heidelberg 1947); il secondo, dal titolo Im Zeichen Nietzsches, Salzburg 1939; il terzo, dal titolo Die Vergöttlichung des Todes, Salzburg 1939. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 399 Literatur 18, che egli aveva già pubblicato a sue spese nel 1930. Lo studio della letteratura tedesca, che egli svolse dal 1923 a Vienna e poi, dal 1925, a Berlino sotto la guida del famoso germanista Helmut von Glesenapp, fu di capitale importanza per la prima formazione del nostro autore. A Berlino von Balthasar ricevette la conferma dell’intuizione fondamentale del suo pensiero (già avuta a Vienna) che poi l’accompagnò per tutta la sua opera: «quanto vi appresi è ciò che più tardi posi al centro della mia opera teologica: la possibilità di vedere, valutare e interpretare una Gestalt 19. (...) Di questa attenzione alla Gestalt io sono debitore a Goethe che, emergendo dal caos dello Sturm und Drang, non smise di vedere, creare e valorizzare figure viventi. A lui io devo questo strumento decisivo per tutto quanto da me prodotto» 20. La prima parte della Trilogia, Gloria, ruota tutta intorno al concetto di Gestalt che all’inizio del quarto volume 21 è brevemente spiegato. Ogni metafisica dell’essere comincia dall’esperienza concreta, dal sensibile. Ogni trascendentale in genere è intuibile dall’esperienza concreta delle proprietà di ciascun ente. Da una verità determinata noi intuiamo cosa è verità in genere. Ciò vale anche per il bene e per il bello. A quest’ultimo in particolare von Balthasar lega il concetto di Gestalt. Si rinnova così a livello dei tre trascendentali il mistero di velatezza e svelatezza. Ciò che si svela (la cosa bella, ad esempio) annuncia la bellezza dell’essere 22, la 18 H.U. von Balthasar, Geschichte des eschatologischen Problems in der modernen deutschen Literatur, Zurigo 1930. 19 Il termine tedesco Gestalt, in gran parte delle traduzioni italiane delle opere di von Balthasar, viene reso con forma o con figura. In italiano, tuttavia, il concetto di Gestalt, così come inteso dal nostro autore, non si può rendere con un solo termine. Per questo manterremo per lo più la parola tedesca. 20 H.U. von Balthasar, Quel che devo a Goethe. Discorso per il conferimento del premio Mozart, Discorso tenuto a Innsbruck il 22 maggio 1987, in occasione del conferimento del Premio Mozart da parte della Goethestiftung, riportato da E. Guerriero, Hans Urs von Balthasar, Milano 1991, 19922, p. 395, corsivi nostri. 21 Gloria IV. 22 La bellezza, in quanto trascendentale, è considerata da von Balthasar coestensiva all’essere. L’esistente mostrandosi (in ciò, come abbiamo detto, sta l’azione del bello) mostra l’essere stesso nella sua bellezza. È utile un breve confronto con Kant. Se per Kant il giudizio estetico si riferisce alla «rappresentazione dell’oggetto (...) non in vista della conoscenza, (...) ma» alla rappresentazione del- 400 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... quale però in sé resta velata. La percezione sensibile, il bello, allo stesso tempo «ce lo presenta e poi sottrae (...) a diversi livelli di profondità (...) in una incomprensibile oscillazione» 23. Qui, dove in diversi gradi di distinzione brilla ad ogni singolo essere ogni volta il tutto dell’essere, si offre il concetto di Gestalt. Esso intende una delimitata totalità, come tale concepita, di parti e di elementi, e riposante in se stessa, che però per la sua consistenza ha bisogno non soltanto di un “ambiente” (Umwelt) ma dell’essere nel suo insieme e in questo bisogno essa è una (…) “contratta” rappresentazione dell’“assoluto” in quanto anch’essa nel suo piccolo campo trascende e domina le parti in cui si articola 24. Quando si parla di Gestalt, non si parla di un’idea che tiene insieme diversi aspetti dell’unica realtà (un tutto riferito alle parti). Non si tratta di una somma quantitativa. Lo stesso Goethe più volte ha precisato questa discriminante nel suo concetto di Gestalt: «misura, numero e segno non hanno mai rappresentato nesl’oggetto riferita, «mediante l’immaginazione (forse congiunta con l’intelletto), (...) al soggetto, e al sentimento di piacere o dispiacere» (I. Kant, Critica del giudizio, Bari 1997, trad. it. di A. Gargiulo, p. 35), allora il trascendentale pulchrum perde la sua oggettività e la sua aderenza all’essere, per divenire «giuoco libero» delle «facoltà conoscitive» (ibid., p. 48). «Il giudizio di gusto è puramente contemplativo, è un giudizio, cioè, che, indifferente riguardo all’esistenza dell’oggetto, ne mette solo a riscontro i caratteri con il sentimento di piacere e di dispiacere» (ibid., p. 41, corsivo nostro). Tale giudizio dunque si riferisce a «nient’altro che [a] fenomeni» (Gloria V, p. 442). Non all’essere. «La bellezza [vale] solo per gli uomini» (I. Kant, Critica del giudizio, cit., p. 41). 23 Gloria IV, p. 33, corsivi nostri. Ciò è in piena consonanza con il pensiero dell’aquinate, così sintetizzato da S. V. Rovighi alla quale facciamo riferimento vista l’ampiezza dell’argomento nella gnoseologia tomista: «l’oggetto proprio dell’intelletto umano è (...) l’essenza delle cose corporee: quidditas sive natura in materia corporalis existens (Summa Theologiae, I, q. 84, art. 7), (...) la cosa corporea considerata nella sua essenza. Affermazione che non contraddice affatto quella della prima questione De veritate secondo la quale il primo oggetto dell’intelletto è l’essere, poiché la quidditas rei materialis è ciò in cui l’intelletto scopre per la prima volta l’essere» (S.V. Rovighi, Introduzione a Tommaso D’Aquino, Bari 1999, p. 100). 24 Gloria IV, p. 34. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 401 sun fenomeno» 25. «“Le formule meccaniche hanno un che di rozzo. Tramutano un vivo in morto”, anche quando si possono “in molti casi applicare in modi assai comodi e felici”» 26. Nel concetto di Gestalt è insito un «plus qualitativo» 27 che nella misura e somma delle parti non può essere espresso. L’oggetto è a disposizione del soggetto, il quale con sguardo avvolgente lo accoglie in sé portando alla luce un più che l’oggetto di per sé non possedeva. L’oggetto da par suo offre se stesso al soggetto, il quale è egli stesso arricchito dallo sguardo significante del soggetto, il quale oggettivando l’esistente lo pone nella propria costellazione di significati. «Tutto ciò che è nel soggetto è nell’oggetto e ancora qualcosa di più. Tutto ciò che è nell’oggetto è nel soggetto e ancora qualcosa di più» 28. Il soggetto nell’oggetto percepisce una Gestalt. Ogni cosa che esiste ha «il proprio essere in sé [Dasein in sich] e così ha in sé anche l’accordo [Übereinstimmung, armonia] secondo cui esiste» 29. Un oggetto, secondo Goethe, può essere misurato solo da un criterio spirituale. La Gestalt così misurata, nell’essere, deve partecipare dell’essere in generale (l’actus essendi illimitatus della tradizione tomista), della sua stessa perfezione, la quale non è circoscrivibile in un concetto. Se l’anima arriva a percepire un rapporto come in germe, la cui armonia, se interamente sviluppata, essa non potrebbe d’un tratto sentire e dominare del tutto con lo sguardo, noi chiamiamo elevata (erhaben 30) questa impressione ed è l’im25 Von Balthasar cita alcuni frammenti scientifici di Goethe raccolti da G. Ipsen, pubblicati dall’editrice Insel-Dünndrück, vol. II, p. 678, riportati in Gloria V, p. 336. 26 J.W. Goethe, Farbenlehre, in Opere complete secondo l’Artemis-Gedenkausgabe in 24 volumi e 2 volumi integrativi, § 732, vol. XVI, pp. 203-204, riportato in Gloria V, p. 336. 27 Ibid. 28 J.W. Goethe, in Opere complete, cit., vol. XVII, p. 774, riportato in Gloria V, p. 334. 29 J.W. Goethe, Studie nach Spinoza, in Opere complete, cit., vol. XVI, p. 841, riportato in Gloria IV, p. 35. 30 È utile chiarire ancora alcune differenze tra Kant e von Balthasar riguardo al termine Erhaben, «elevato», «sublime». La differenza fondamentale sta, co- 402 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... pressione più magnifica (herrlichste) di cui possa aver parte un’anima umana 31. Questa magnificenza è la percezione immediata della bellezza trascendentale che sta alle spalle, per così dire, o che giace nell’intimo, della bellezza determinata dell’oggetto finito. L’oggetto finito è inteso così come penetrato e avvolto dal “doppio sguardo” dello spirito finito e infinito. «Il mondo dell’uomo si stende davanti allo sguardo» della divinità. «L’uomo vede in qualche modo» ed è, dalla divinità, visto. «Il suo sapere-vedere [anschauendes Wissen, il suo saper-contemplare] (eijdevnai) va alle forme delle cose [Dinggestalten] (eijdoı viene dalla stessa radice), le quali in questo doppio sguardo, finito e infinito, restano già ogni volta penetrate e illuminate portando il sigillo della verità» 32. Quanto più una Gestalt ha il potere, in base alla sua unità, di raccogliere elementi molteplici, tanto più può essere considerata “elevata”. Quanto più una Gestalt si mostra ed è percepita nella me già messo in evidenza, nel luogo della trascendentalità della bellezza. Mentre von Balthasar la concepisce come proprietà dell’essere, Kant la confina nel soggetto percipiente. In questo modo se il bello è per Kant “controllabile” – «attinge qualcosa della struttura trascendentale del soggetto» (Gloria V, p. 452) – il sublime dà luogo ad una primaria «disproporzione» (ibid., p. 457). È «al di là di ogni comparazione» (I. Kant, Critica del giudizio, cit., p. 77): «è come un abisso in cui [l’immaginazione] teme di perdere se stessa» (ibid., p. 86). Anche nella definizione di Goethe citata, che von Balthasar fa sua, si descrive un’“impressione” per cui il soggetto non possiede più controllo. Ma il discorso di Kant non volge mai l’attenzione oltre il soggetto, in direzione dell’essere: ciò che conduce il discorso è sempre la facoltà di giudicare in quanto è riferita al soggetto. Il sublime si riferisce così solo a ciò che il soggetto non può controllare. In von Balthasar al contrario il sublime, l’elevato, accompagna la percezione di ogni esistente, indipendentemente dalla magnificenza dell’esistente stesso, proprio perché è l’essere che tiene le redini della manifestazione. Il bello non è semplicemente il controllabile, ma anche la forma, l’involucro, meglio, il luogo dell’irradiazione della profondità, la quale mostra la sua elevatezza. Il bello ha come fondamento il sublime e ne è l’irradiazione. Dunque, quando von Balthasar parla di elevato intende dire che in qualsiasi oggetto, in quanto esistente, si dà l’essere nella sua totalità: chi la percepisce questa totalità sperimenta l’impressione dell’elevatezza, ma questa stessa elevatezza sta nell’oggetto, e non è il segno, come in Kant, di «una facoltà dell’animo» (ibid., p. 79), per quanto soggettivamente universale. 31 J.W. Goethe, Studie nach Spinoza, in Opere complete, cit., vol. XVI, p. 841, riportato in Gloria IV, p. 35, corsivi nostri. 32 Gloria IV, p. 28. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 403 sua elevata perfezione, tanto più rimanda oltre se stessa: «quanto più alta e pura è una Gestalt, tanto più irradia la luce dalla sua profondità e tanto più essa rinvia al mistero luminoso dell’essere nel suo insieme» 33. Questa doppia dimensione di una totalità definita (Gestalt) che si mostra in un ambiente (Umwelt), nella totalità in genere, è espressa, da Goethe, con un unico concetto che von Balthasar fa proprio e sviluppa: Erscheinung, manifestazione, epifania. È un concetto (da quanto detto sopra si capisce) polare, che tiene ferme le due dimensioni della comunicazione dell’essere: da una parte il fondamento che in ogni ente si comunica; dall’altra l’irradiazione del fondamento, la manifestazione dell’essere in quel particolare esistente 34. Ogni ente è epifanico, si mostra nella sua bellezza; ogni ente però, mostrando se stesso, mostra l’essere che in esso esiste e che rimanda così ad un oltre, in direzione della divinità. La capacità 35 di vedere una Gestalt è la possibilità di scorgere dietro l’affermazione una «eccedenza (...) inafferrabile, (...) una sorgente di meraviglia e di ammirazione, di stupefazione, di rapimento, di gioia e di gratitudine, in breve di tutti quei sentimenti che si assommano nella parola qaumavzein» 36. Nella Gestalt, l’uno 33 34 Ibid., p. 36. Von Balthasar, nel suo volume Verità del mondo (Teologica I), fa notare come ogni esistente ha un “essere proprio” (Eigensein), una propria intimità, che lo preserva nella propria alterità e una capacità di espressione che lo comunica fuori di sé proporzionata alla profondità dell’essenza. Si tratta di diversi “gradi di intimità”. Così espressione del mondo puramente materiale sono le leggi della natura; del mondo vegetale, le dinamiche di nascita, morte, generazione della vita al suo primo stadio; del mondo animale le prime forme di comunicazione simbolica; e finalmente nell’uomo, la parola spirituale, la capacità di comunicarsi nella libertà. Questa capacità della libertà apre lo spazio alla creazione, in ogni uomo, di un personale modo di esprimersi e di comunicarsi che ha nell’arte la sua più alta manifestazione naturale. 35 Non stupisca l’utilizzo di un termine come «capacità», che denota ancora una volta una dimensione soggettiva, laddove la filosofia esigerebbe oggettività. È chiaro che ogni spirito è “capace” (cioè ha la possibilità) di vedere – e in ciò è salvaguardata la dimensione scientifica della filosofica –, ma non tutti sanno farlo. «L’uomo positivistico-ateo, fattosi cieco non solo per la teologia, ma perfino per la filosofia, dovrebbe (...) di nuovo imparare a “vedere”: a sperimentare e vivere nella realtà non inquadrabile» (Teologica I, p. 24). 36 Teologica I, p. 206. 404 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... dell’essere si manifesta e nella polarità di essenza ed esistenza, le tre sorelle inseparabili – verità, bontà e bellezza dell’essere – danzano, svelando, ognuna attraverso se stessa, le altre allo sguardo rapito dello spirito. Verità, bontà e bellezza sono l’unità dell’essere, la rendono possibile e intuibile allo sguardo attento dello spirito. PROLOGO IN CIELO 37 I gradi di intimità nella gerarchia degli esseri materiali, vegetali, animali, trovano il loro livello più alto finalmente nell’uomo: con l’autocoscienza si è dispiegato, nella verità del mondo, il dominio della libertà. Un’intimità profonda si è chiusa attorno alla conoscibilità dello spirito umano e, proporzionalmente, si è raffinata la capacità di espressione. Oltre lo spirito umano, concedendosi in Verità del mondo un excursus teologico, von Balthasar accenna ad un’analisi di come dovrebbero configurarsi un’intimità e una capacità di espressione di uno spirito angelico creato: «Ne sappiamo qualcosa solo mediante divina rivelazione» 38. E tuttavia ciò che von Balthasar dice di questi esseri, dei quali non abbiamo nessuna esperienza e riguardo ai quali «siamo assegnati ad illazioni aprioriche», offre spunti affascinanti per l’argomento che stiamo trattando. Innanzitutto il passaggio al grado di intimità degli angeli, così come è per ciascun passaggio nel mondo naturale, è il passaggio qualitativo ad un grado d’intimità superiore non riconducibile 37 «La vista tua dà forza agli angeli / se anche è impossibile fissarti a fondo. / E tutte le immense tue opere / splendono come il primo giorno» (J.W. Goethe, Faust, Milano 1970, trad. it. di F. Fortini, vv. 267-270, p. 23). Così acclamano i tre arcangeli, Raffaele, Gabriele e Michele, rivolti al Signore. Dopo il «Prologo in teatro» (ibid., p. 7), Goethe descrive, nel «Prologo in cielo» (ibid., p. 21), il dialogo tra il Signore e Mefistofele. Quest’ultimo chiede la possibilità di tentare il Dottor Faust, servo di Dio. Il Signore lo concede: «Finché colui vivrà nel mondo, / fino allora non ti sia vietato nulla. / Erra l’uomo finché cerca» (ibid., vv. 315317, p. 27.); «un uomo buono nel suo oscuro intimo impulso / sa bene qual è la via retta» (ibid., vv. 328-329). 38 Teologica I, p. 101. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 405 a quello precedente. Il nuovo passaggio, per noi assolutamente non sperimentabile, innanzitutto deve escludere dalla facoltà percettiva e dalla facoltà d’espressione ogni elemento di materialità (visto che stiamo parlando di spiriti angelici incorporei). Questa mancanza di materialità fa in modo che «l’essere spirituale [sia] in se stesso luce» e che possegga «la possibilità della riflessione in cui diviene a se stesso trasparente e oggettuale» 39. In questa trasparenza la libertà stessa è inondata di una potenzialità creatrice inedita e impensabile. Questa libertà, questa trasparenza a se stesso, se è vero che da un lato concede all’angelo un grado di conoscenza della verità maggiore rispetto a quello dello spirito umano, dall’altro aumenta la sua intimità, in modo da renderlo agli altri angeli ancora più impenetrabile. Se non fosse così «non ci sarebbe nel regno di questi spiriti nessun mistero, nessuna spontanea apertura vicendevole, che fosse realmente un evento personale» 40. Ogni comunicazione sarebbe superflua se ognuno conoscesse l’altro completamente e immediatamente. Con la comunicazione si estinguerebbe anche la libertà 41. Con Tommaso, von Balthasar sottolinea «con forza la loro (...) singolarità e irripetibilità» 42. La differenza che intercorre, anche tra angelo e angelo, è di tipo qualitativo: in ciascuno di essi la libertà (intimità) nella ve39 40 41 Ibid., p. 102. Ibid., p. 103. «È stata una buona idea quella di Tommaso d’Aquino che distinse gli essere solo spirituali in modo puramente qualitativo (come «species») l’uno dall’altro» (ibid.). Tommaso tratta l’argomento principalmente nella Summa contra Gentiles (II, cap. 50), nelle Quaestiones disputatae de spiritualibus creaturis e De anima e nell’opuscolo De substantiis separatis. La tematica è molto ampia e per questo, visto che si tratta solo di un argomento introduttivo al pensiero di von Balthasar, ci rifacciamo alla buona sintesi che ne ha fatto S.V. Rovighi nella sua Introduzione a Tommaso d’Aquino, Bari 1973, 1999, pp. 45-51. Von Balthasar qui fa riferimento al modo in cui Tommaso applica il principio di individuazione agli esseri angelici. Egli sostiene che per quanto riguarda gli angeli non può essere la materia il principio di individuazione. Esso deve risiedere altrove, in quella che Tommaso ha chiamato materia signata: essa è ciò che definisce l’ente fin nella sua individualità, oltre il genere e la differenza specifica. In questo modo gli angeli sono distinti l’uno dall’altro esclusivamente da un principio qualitativo: «poiché il principio di individuazione è la materia signata, in tali sostanze non potranno esserci molti individui di una medesima specie, ma ognuna di esse fa specie a sé» (ibid., p. 51). 42 Teologica I, p. 103. 406 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... rità e nell’espressione ha un carattere di singolarità tale da renderli l’uno all’altro imparagonabili. Se un angelo parla, la sua parola, ben più di quella umana, è un evento creativo. Avviene qualcosa di elementare, che sconvolge non solo l’uomo, ma anche il fratello di egual livello nel suo più profondo essere. Un principio viene posto che non esisteva prima affatto nel sapere apriorico di altri spiriti. Molto meno ancora di quanto un uomo può indovinare i pensieri di un altro uomo, un angelo può penetrare nello spazio interno di un altro angelo, se questo spazio non gli viene dischiuso nella libertà. (...) Se parlano, la loro parola è un’azione libera, libera non solo nella decisione di aprirsi, ma anche nella forma in cui si attua questa azione. La parola di un angelo deve somigliare all’opera d’arte di un artista della terra: che si eleva al di sopra di tutte le convenzioni della lingua espressiva umana. Egli porta in fronte il segno dell’originalità creatrice. (...) La parola di un angelo può essere pronunciata solo da quest’angelo. La verità (...) è definitivamente sottratta all’indifferenza media impersonale in cui vive per lo più tra gli uomini, per innalzarsi interamente nello spazio della libertà e della personalità 43. LA PAROLA DELL’ARTISTA La parola umana, la capacità di espressione di uno spirito, ha sempre la latente possibilità d’essere affidata alla convenzione, consegnata alla materialità del «si dice», della «chiacchiera indegna» 44. Lo spirito può prendere il contenuto del suo parlare dal linguaggio comune: ogni fatica nella ricerca della propria lingua 43 44 Ibid., pp. 103-104, il primo corsivo è nostro, il secondo dell’autore. Il termine usato da von Balthasar impone un confronto con Heidegger che espresse con gli stessi termini una problematica molto simile. Nel § 27 di Essere e tempo, Heidegger affronta uno dei modi di essere nel mondo dell’Esserci: Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 407 spirituale è affidata fuori di lui. L’intimità, la libertà, non gioca in ciò ruolo alcuno. Se l’espressione è forma che irraggia dall’intimo, l’uomo può esprimersi propriamente solo nella dedizione a questa intimità precisamente quello del si. Nel «essere-con» gli altri, è necessario analizzare il «“carattere di soggetto” del proprio e dell’altrui Esserci» (M. Heidegger, Essere e tempo, Milano 1976, trad. it. di P. Chiodi, § 8, p. 162), è necessario analizzare il modo dell’essere-con. Gli altri non sono «determinati altri» (ibid., p. 163), poiché essi sono «interscambiabili». Il “Chi”, mediante cui io cerco un’identificazione degli altri, non può essere inteso come un chi determinato, né come la somma di tutti: «il “Chi” è il neutro, il Si» (ibid.). «L’essere-assieme (...) è sempre preoccupato» di commisurarsi «agli altri» (ibid., p. 162) e «l’essere-assieme come tale si prende cura della medietà. La medietà è un carattere esistenziale del Si. (...) Esso si mantiene (...) nella medietà di ciò che si conviene, di ciò che si accoglie e di ciò che si rifiuta, di ciò a cui si concede credito e di ciò a cui lo si nega. (...) La medietà sorveglia ogni eccezione. Ogni primato è silenziosamente livellato. Ogni originalità è dissolta nel risaputo. (...) La cura della medietà rivela una nuova ed essenziale tendenza dell’Esserci: il livellamento di tutte le possibilità di essere» (ibid., pp. 163164). Nella medietà ogni interpretazione del mondo e dell’Esserci è regolata e tende ad avere «sempre ragione». Nella medietà, poi, il Si stesso assume l’atteggiamento del disimpegno: «Il Si c’è dappertutto, ma è tale da essersela già da sempre squagliata quando per l’Esserci arriva il momento della decisione. (...) Il Si non ha nulla in contrario a che “si” faccia sempre appello ad esso. Può rispondere a cuor leggero di tutto perché non è “qualcuno” che possa esser chiamato a rispondere. Il Si “c’era” sempre e tuttavia si può dire di esso che non sia mai stato “nessuno”. Nella quotidianità dell’Esserci la maggior parte delle cose è fatta da qualcuno di cui si è costretti a dire che non era nessuno» (ibid., p. 164). Il luogo del Si, è il luogo in cui tutto è compreso univocamente, giacché «ciò che è detto è compreso da tutti nella medesima medietà» (ibid., p. 212). Nel Si, ciò che Heidegger chiama «chiacchiera» (§ 35) trova il suo luogo. «La totale infondatezza della chiacchiera non è un impedimento per la sua diffusione, ma un fattore determinante. La chiacchiera è la possibilità di comprendere tutto senza alcuna appropriazione preliminare della cosa da comprendere. (...) È alla portata di tutti» e «non solo esime da una comprensione autentica, ma diffonde una comprensione indifferente, per la quale non esiste più nulla di incerto» (ibid., p. 213, corsivi nostri). Anche se il discorso di Heidegger ha come presupposto il fatto che «il termine “chiacchiera” (...) non ha alcun significato “spregiativo”» (ibid., p. 211) – in quanto tende a descrivere solo il modo di essere della comprensione e dell’interpretazione dell’Esserci quotidiano –, mentre in von Balthasar l’implicazione morale è implicita e messa in evidenza (“chiacchiera indegna”), ciò che l’uno a l’altro descrivono è la medesima spersonalizzazione, non appropriazione da parte dell’Esserci, del linguaggio, l’esprimere se stessi fuori di sé senza possedersi. Un confronto analitico tra i due pensatori è in questa sede impossibile: le analogie tra i due sono moltissime e un confronto analitico potrebbe mettere in evidenza consonanze inaspettate, come lo stesso von Balthasar fa notare nel saggio che dedicherà al filosofo di Messkirch nel quinto volume di Gloria (Gloria V, pp. 386-403). 408 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... profonda, che gli è propria in quanto spirito. Nell’intimità, la libertà umana ha la capacità di generare (o rigenerare) il linguaggio o le espressioni in generale del corpo, per comunicare qualcosa di realmente personale, comunicare se stesso, la propria spiritualità. Ciò lo fa esistere nell’essere come uomo, spirito. La sua parola spirituale è la sua propria esistenza, il modo cioè in cui egli si manifesta fuori di sé, la quale attinge dalla sua impenetrabile unica intimità. Questa intimità può essere vista anche come la particolare prospettiva dalla quale il soggetto “guarda” l’essere; in essa la totalità è tutta presente, raccolta nella sua immensità come mistero. La parola spirituale rende non solo una formulazione “esatta” (concettuale) dell’intimo: essa allo stesso tempo esprime una Gestalt completa, densa e più o meno traboccante di luce. In ciò che lo spirito percepisce, l’essere si mostra: la Gestalt presenta, all’occhio attento di chi sa vedere, una rappresentazione “contratta” del tutto, nella quale è contenuto un rimando oltre la rappresentazione stessa. Per questo «la prima cosa (...) è il “lasciar essere” ciò che si mostra» 45: non il dominio, ma il servizio. «All’inizio della comprensione del mondo non sta il costruire, ma il contemplare» 46: così si esprime von Balthasar facendo ancora una volta proprio il pensiero di Goethe. Nella parola in generale, il tutto dell’essere non deve essere ridotto a solo ciò che si è compreso (come avviene per una visione solo quantitativa della realtà), ma il mistero in qualche modo si manifesta. «Perciò ogni lingua, anche la lingua concettuale filosofica, è “propriamente solo simbolica”» 47. Nella parola, il contemplato, in qualche modo rigenerato (intellectus agens) dalla spontaneità dello spirito, è restituito (espresso) in una Gestalt, la quale vorrebbe essere assoluta, ma lo può solo per ciò che riesce a penetrare dell’oggetto e per 45 H.U. von Balthasar, Mein Werk, Johannes Verlag, Einsiedeln 1990; La mia opera, in La mia opera ed Epilogo, Milano 1994, trad. it. di G. Sommavilla, p. 67. Contiene scritti redatti in diversi anni dal 1945 al 1988. Essi sono: Si presenta (1945); Piccola pianta dei miei libri (1955); Resoconto (1965), dal quale è tratta la citazione riportata; Ancora un decennio (1975); Ultimo rendiconto (1988). 46 Gloria V, p. 337. 47 Ibid. Von Balthasar cita Goethe, Epochen der Wissenschaften (Progetto a Farbenlehre), in Opere complete, cit., vol. XVII, p. 762. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 409 quanto riesce a penetrare nell’intimità della propria sorgente. In ogni Gestalt (parola spirituale), accoglienza obbediente e restituzione libera dell’essere, contemplazione e spontaneità, si articolano polarmente mostrando, della Gestalt, la sua oggettività, ovvero la sua coerenza interna come totalità. Questa oggettività è la misura dell’elevato nella Gestalt. Nel generare l’opera, l’artista 48 fa appello in sé alla sua propria capacità creativa. Egli possiede questa capacità, nell’atto artistico, come nessun altro: una differenza qualitativa intercorre tra le innumerevoli profondità dell’intimità di tutti gli artisti che hanno percorso i tempi. Nella conoscenza, il soggetto è primariamente passivo: ha il dovere di accogliere ciò che egli riceve attraverso le immagini che i sensi trasmettono, e in ciò sta l’oggettività della conoscenza. Negli artisti la materialità (passività) nell’evento della contemplazione della verità si inscrive tutta nell’intimo. Anche ciò che è ricevuto da fuori (impressioni, messaggi, luoghi, paesaggi, eventi sociali...), nell’intimo dell’artista sono, diciamo così, trasfigurati: in ciò che è fuori di sé egli ha saputo cogliere «grandi connessioni oggettive del mondo che rimangono nascoste ai piccoli spiriti» 49. Nell’intimo egli principalmente accoglie. Egli nell’opera d’arte infonde l’oggettività che ha contemplato. La totalità gli s’è mostrata propriamente come Gestalt. Il bello «promana dalla profondità dell’essere. Esso è sempre un respiro che dispone in una libertà che respira» 50 (nella libertà dell’artista). Accordo misterioso tra l’essere e l’artista! In lui la facoltà di scorgere il mistero dell’essere oltre il puro esserci è particolarmente acuita. Tutti gli uomini a loro modo sono “iniziati” al mistero dell’essere, poiché gli uomini stessi – «come un tempo compresero profondamente i romantici e molti idealisti tedeschi» – sono «spirito della natura ed 48 Naturalmente noi ora parliamo dell’artista, del genio artistico, non come di uno stato permanente. L’artista è spirito umano, così come qualsiasi altro spirito. Ciò che noi ora analizziamo è l’artista nell’atto dell’elaborazione artistica e in quella sua particolare espressione (ciò che non è affatto comune) che è l’opera d’arte. 49 Gloria I, pp. 522-523. 50 Ibid., p. 368, corsivo nostro. 410 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... in [loro] regnano tutte le leggi espressive del microcosmo» 51. L’intelletto invece, «con la sua chiarezza non è iniziato a penetrare la profonda notte del grembo dell’anima del mondo» 52. Qualsiasi spirito «deve rinunziare alla sua luce e affidarsi ai presentimenti amorosi che, a loro volta, solo allora sono una guida sicura, quando l’intelletto rinuncia per un certo tempo alle sue pretese» 53. Nell’artista questo “presentimento amoroso” (l’elevato) che coinvolge e rapisce, prende, per così dire, il sopravvento. Gli artisti, «questi entusiasti della bellezza (...) necessariamente sembreranno dei pazzi per il mondo che tenterà di spiegare il loro stato ricorrendo alle leggi della psicologia se non addirittura della fisiologia» 54. Ma essi sanno cosa hanno visto. L’elevato chiede un luogo nel quale essere accolto e portato ad espressione in una nuova elementare Gestalt. E lo spirito dell’artista ha non solo la possibilità, ma anche le capacità tecniche per rendere fuori di sé questa oggettività, irradiarla nell’opera d’arte. Egli rende in una Gestalt (dà forma a) ciò che ha visto, «la sua visione» 55. Questa sua «visione del mondo (Welt-Anschauung)» egli la consegna «come oggettiva e valida per tutti» 56. In essa l’artista svela completamente se stesso, dando una Gestalt alla sua più profonda intimità. E tuttavia resta velato 57, poiché ciò che conta dopo la creazione, non è l’artista, ma l’opera ormai autonoma. L’artista sembra configurarsi come puro medium. Egli «vuole dare forma e (...) rendere credibile» la sua visione e «non se stes51 Ibid., p. 414. È evidente qui il richiamo al Faust di Goethe e, attraverso di lui, alla tradizione orfica e pitagorica («Sfoglia con dispetto il libro e vede il segno dello Spirito della Terra. Come opera diverso, su di me, questo segno! / Spirito della Terra, tu mi sei più vicino. / Già mi sono cresciute, lo sento, le forze, / già ardo, come per vino nuovo», J.W. Goethe, Faust, cit., vv. 460-463, p. 39). Il rinascimento l’aveva rivitalizzata. Goethe intende quella concezione per cui l’uomo è il Piccolo Mondo (o Microcosmo), l’universo è il Grande Mondo (o Macrocosmo). I concetti erano spesso composti in simboli geometrici che stavano a significare la connessione indissolubile fra il Piccolo e il Grande mondo. 52 Gloria I, p. 414. 53 Ibid., corsivi nostri. 54 Ibid., p. 24. 55 Ibid., p. 413, corsivo dell’autore. 56 Ibid. 57 «L’artista, nella sua opera, si svela e vela al tempo stesso» (ibid.). Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 411 so» 58. Egli si fa così, in qualche modo, solo annunciatore di ciò che ha contemplato: sta tra la concezione e la realizzazione, tra l’ispirazione e l’opera. Nell’estetica un’obbedienza misteriosa sta alla radice del processo creativo artistico (...): l’artista ispirato (...) non segue un’idea propria, ma lascia penetrarsi da qualcosa di inafferrabile. All’arte appartiene non solo la capacità del maestro, la trasposizione dell’intuizione nella Gestalt sensibile, ma anche il non impedire che l’idea si irraggi e, per così dire, si ingeneri e incarni nello spirito dell’artista. Questi può incedere orgogliosamente verso l’esterno, ma all’interno deve essere grembo umilmente accogliente della “concezione”. Solo se egli impara a vivere sommessamente, l’anima canterà in lui 59. L’OPERA D’ARTE L’opera d’arte è realmente il frutto di un atto creativo. Essa è qualcosa di «elementare» 60, cioè novità assoluta che s’impone da sé. Essa è grazia, perché assolutamente non necessaria. La libertà la forma nel contenuto dell’espressione; la libertà la forma nel modo dell’espressione. Nell’opera d’arte, l’artista esprime in una nuova Gestalt ciò che ha contemplato oltre la Gestalt stessa: egli dà forma a ciò che in definitiva al suo sguardo non aveva forma, contorno. Il valore dell’opera è dato da quanto quest’opera sa rendere dell’infinito informe che la sovrasta e dal quale ha avuto origine. In ciò consiste la sua «forza divinatoria (divinatorische Kraft)» 61. L’elevato, nell’animo dell’artista che sa leggerlo, offre continue 58 59 60 61 Ibid. Ibid., p. 232, corsivi nostri. Teologica I, p. 103. Gloria I, p. 522. 412 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... ispirazioni. L’artista, ad ogni accenno “dall’alto”, ascolta e sa accogliere. In ciò sta la sua grandezza: nel fatto «che le sue opere denunciano il carattere superiore con cui sono state eseguite e che la sua forza è ben lontana dall’essersi impegnata e consumata fino al limite» 62. L’eccedenza trova nell’intimo dell’artista il luogo dell’accoglienza per potersi esprimere, per farsi vedere fuori di sé, ma allo stesso tempo restare, nel suo mostrarsi, protetta. Nell’opera d’arte, ciò che è determinato – propriamente la sua forma definita, ciò che appare nell’immagine – è ridotto al minimo. In essa la sua materialità quasi si dissolve: ciò che vale è ciò che è oltre. Abbiamo detto che, nell’intimità dell’artista, l’elevato trova il calice in cui forgiarsi una forma da cui irradiare: una nuova Gestalt. Si direbbe che in ciò l’oltre si limiti esprimendosi in contorni, armonie, leggi metriche. Di più: si limiti nel tempo acquistando, addirittura, lo stile e la sensibilità dell’uomo in un’epoca. Si direbbe, con ciò, che l’essere rinunci alla propria infinità, finitizzandosi in una determinata forma. Si direbbe che l’artista, dopo averlo accolto, divenga padrone dell’essere, oggettivandolo e limitandolo. Si direbbe, in definitiva, che «la visione della forma (Gestaltsehen) (...) [presupponga] la possibilità di dominare con lo sguardo la Gestalt stessa. Il suo contorno, il suo rilievo, il rapporto dei pesi e delle misure, dei suoni e dei colori, tutto ciò deve essere ugualmente dispiegato davanti alla presa dell’organo sensibile e della facoltà spirituale» 63. Tuttavia proprio qui, nella percezione dell’elevato nell’opera d’arte, il concetto di Gestalt mostra una delle sue implicazioni più paradossali. «Quanto meglio noi conosciamo e penetriamo una grande opera d’arte, tanto più concretamente ci appare la sua “inintelligibile” genialità. Noi non ci innalziamo mai al di sopra 62 Teologica I, pp. 91-92. Così von Balthasar può fare suoi i versi di Hofmannsthal: «Cherubino e supremo sovrano è il nostro spirito. / Se non abita in noi e nelle stelle altissime / pone il suo trono, lasciandoci spesso orfani, / tuttavia è fuoco nel più profondo di noi stessi / – Così presentivo quando sognavo – / e parla con i fuochi di quelle lontananze / e vive in me come io nella mia mano» (cit. in Gloria I, p. 169). 63 Ibid., p. 171. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 413 di ciò che riconosciamo posto essenzialmente al di sopra di noi» 64. L’opera d’arte si mostra, di fronte a chi la guarda, come «datità (...) compiuta» 65. In essa è possibile esperire (o rinvenire mediante l’analisi) una coerenza di fondo talvolta inaspettata: ciò accade anche per le opere le quali sembrano generate nel trasporto più genuino dell’atto creativo. Eppure, alla lettura analitica che scompone una Gestalt, le connessioni (il nucleo genetico dell’opera, del tutto) appaiono come l’esatto contrario della pura spontaneità. Si costata di fronte all’opera d’arte – costatazione che è ammirazione e che genera ammirazione – «la necessità dell’estetica, il dover-essere-così-e-non-altrimenti (So-und-nicht-anderes-sein-müssen)» 66 dell’opera. L’arte è, in questo senso, il contrario di una «libertà vagabonda» 67. La legge che chiede forma è realmente legge («individuale» 68): «essa esige a se stessa la sua necessità e le assoggetta ognuna delle sue parti» 69. È legge, anche se si genera e articola nell’intimo, in una spontaneità che sembra assoluta. È una forma di ciò che von Balthasar chiama universale concreto. Può essere colto nella sua costituzione necessaria unicamente soddisfacendo le esigenze che ne permettono la manifestazione 70. Proprio questa legge rivela che nella natura «non si può constatare nessuna autonomia assoluta; anche nel regno della creazione libera si esercita la legge, per gradi di ideale e realtà, di libertà e obbligo» 71. «Bach non avrebbe potuto in una triplice fuga scegliere un terzo tema diverso e intrecciarlo con altrettanta necessità agli altri 64 65 66 67 68 69 70 Ibid. Ibid., p. 150. Ibid. Ibid., p. 205. Ibid.. Ibid. Al riguardo von Balthasar scrive: l’universale concreto, «in opposizione all’universalità astratta delle leggi e delle strutture» (Teologica I, p. 182), possiede una sua razionalità e questa «possiede egualmente validità universale», ma «la conoscenza di questa validità è vincolata a certe esigenze che non chiunque è in grado di adempiere» (ibid., p. 181). Si tratta, cioè, di quella preparazione necessaria per saper comprendere ad esempio l’opera d’arte e di una capacità di vedere la Gestalt, la profondità che in essa si manifesta. 71 Ibid. 414 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... due?» 72. La domanda, è chiaro, non ha senso. E ciò semplicemente perché Bach – in ciò sta la datità dell’opera – non l’ha fatto. L’artista, in definitiva, non deve dare conto a nessuno della propria scelta: egli, proprio perché attinge nell’intimità profonda del proprio spirito, è libero. Egli, in quanto unico responsabile dell’ispirazione, è l’unico che deve operare la scelta. La bellezza dell’opera da lui creata è l’apparizione della sua libertà. Ciò che ci si fa sempre incontro di grande, bello, importante non deve essere come da fuori ri-cordato (er-innert), per così dire ri-cacciato (er-jagt), si deve invece ritessere subito da principio nel nostro intimo, dobbiamo diventare una cosa sola con esso (...) e così eternamente plasmando in noi vivere ulteriormente [fortleben, continuare a vivere] e creare. Non esiste nessun passato che sia lecito ridesiderare; esiste solo un eternamente nuovo 73. Ma, a guardar bene, proprio in ciò sta il paradosso: la coincidenza, nell’opera, dell’assoluta libertà dell’artista e dell’assoluta necessità dell’opera stessa. In questo paradosso l’opera stessa «si giustifica»: «nella sua unicità casuale (zufälligen Einmaligkeit)» e nella «sua necessità estetica (ästhetische Notwendigkeit)» 74: il paradosso è l’unità di casualità e necessità. 72 Ibid., p. 150. «Per quanto negli anni maturi mi siano divenuti cari Bach e Schubert, Mozart è rimasta l’immobile stella polare intorno alla quale ruotavano le altre due (la grande e la piccola orsa)» (H.U. von Balthasar, Quel che devo a Goethe, cit., trad. it. di E. Guerriero, p. 396). La passione per Bach non è l’unico motivo della scelta di tale esempio esplicativo della necessità dell’opera. Il genio di Bach ha sempre stupito gli analisti della musica per la sua capacità di rendere, in opere singolarmente belle, una capacità speculativa notevole. Per quanto riguarda l’esempio concreto proposto da von Balthasar (una triplice fuga), non è questo il luogo per un’esposizione di quella particolare forma musicale che è la fuga. Basti dire che Beethoven la considerava il vertice delle forme compositive e che proprio Bach è il musicista che l’ha portata a tanto splendore. In essa tutto è sviluppato a partire da un unico tema (soggetto) il quale, variato secondo precise regole, genera tutto lo svolgimento del brano. 73 J.W. Goethe, Lettera al cancelliere von Müller del 4.11.1823, in Opere complete, cit., vol. XXIII, p. 315, riportato in Gloria V, p. 326. 74 Gloria I, p. 525, corsivi nostri. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 415 Von Balthasar cita Goethe del Viaggio in Italia: le «grandi opere d’arte allo stesso tempo che le grandissime opere della natura sono state generate da uomini secondo leggi vere e naturali. Ogni elemento arbitrario e fantastico va in rovina, là c’è la necessità, là c’è Dio» 75. E allo stesso tempo: «io ero arrivato a considerare del tutto come natura il talento poetico che abita in me» 76. Certamente nella lingua artistica (in ogni forma di espressione artistica) si hanno anche convenzioni: le epoche le dettano, gli stili (stile classico, stile romantico, ecc.), le forme (ad esempio quelle musicali, fuga, sonata, preludio, ecc.). Eppure questo linguaggio comune artistico è quanto di più libero esista nella parola umana. Esistono sì convenzioni, ma si tratta di «convenzioni libere» 77. E in ciò sta l’attrattiva di un tale linguaggio: che in libertà comunicano realmente. «Una relazione necessaria tra essenza e apparizione, dunque una forma naturalmente data di verità, viene qui ogni volta maggiorata da relazioni di libera creatività, così che la necessità stessa può diventare espressione di libertà» 78. Alla bellezza non appartengono, così, solo «misura, numero e peso» – ogni elemento teso a definire proporzione o correttezza formale – «della materia organizzata, ma anche la “forza” del principio organizzatore che si esprime nella Gestalt senza perdersi nell’espressione esterna» 79. Proprio la Gestalt è ciò che esprime questa forza, questo centro propulsore, e lo preserva al tempo stesso (elevato). La casualità (libertà) sta nel fatto che «l’artista ha la sua idea» 80, nata nella sua intimità senza alcuna spiegazione che in qualche modo le dia elementi di necessità. La necessità sta nel fatto che proprio quest’idea «deve essere realizzata e non ammette scuse» 81 (obbedienza misteriosa). 75 J.W. Goethe, Italienische Reise, 3, 6.9.1787, in Opere complete, cit., vol. XI, p. 434, riportato in Gloria V, p. 325. 76 J.W. Goethe, Dichtung und Wahrheit, 4, 16, in Opere complete, cit., vol. X, p. 735, riportato in Gloria V, p. 325. 77 Teologica I, p. 162. 78 Ibid. 79 Gloria I, p. 412. 80 Ibid., p. 205. 81 Ibid. 416 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... Il servizio del bello può trasformarsi nell’ascesi più dura e così è sempre di fatto nei maggiori artisti. Ma tutte le rinunce vitali che la musa inesorabile imponeva, erano animate dallo slancio esaltante, teso con tutte le energie fisiche e psichiche a farle acquistare visibilità 82. [I] poeti sanno (...) come spiare l’anima e condurla al canto. E con un’astuzia stranamente contraddittoria essi sono in grado di essere al tempo stesso sia colui che è divenuto, senza volontà propria, permeabile e ricettivo al senso profondo delle cose, sia colui che sa calcolare e che con la sua arte dei versi e dei suoni e dei colori tende alla selvaggina paurosa la trappola dove questa rimane impigliata, palpitante e intatta. L’artista è così colui che sa e non sa al tempo stesso. Egli conosce ciò che è più profondo, perché di fronte ad esso si comporta come colui che non sa e non vuole; egli domina tecnicamente la superficie dell’espressione artistica, perché riesce a renderla espressione del sacro e dello sconosciuto 83. IL CIRCOLO DEL BELLO E L’INTERPRETAZIONE L’opera d’arte è «legge che viene all’espressione (Erscheinung) nella più grande libertà» 84. Come sarà possibile parlare di un’opera d’arte? Come sarà possibile ridurre in concetto ciò che nell’opera si è mostrato e che il soggetto ha contemplato? Come già accennato, il primum nel processo conoscitivo è l’oggettività, la passività di fronte alla manifestazione dell’essere. «La lingua dell’espressione» – vale a dire tutto ciò che di fronte al soggetto si dice, in senso lato – «non si rivolge primariamente al pensiero concettuale, ma al pensiero intuitivo che legge la Gestalt. Il primo entra nei suoi diritti quando il secondo ha compiuto la 82 83 84 Ibid. Gloria I, pp. 414-415. J.W. Goethe, in Opere complete, cit., vol. XVII, pp. 703-704. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 417 sua funzione» 85. Se questa affermazione ha valore ad ogni livello espressivo (dall’oggetto inanimato che si mostra, alla lingua spirituale dell’uomo che si dice), tanto più avrà valore per l’incontro con l’opera d’arte, la parola di un angelo, la parola dell’artista. Penetrare nell’intimo esige obbedienza totale, capacità di accogliere il nuovo inaspettato che l’altro porta in sé. «Che cosa significa una sinfonia di Mozart?» 86. Si potrà parlare di essa solo dopo aver contemplato lo sfavillio meraviglioso del tutto che Mozart ha tratto dall’intimo. E a chi non l’ha mai ascoltata, «una traduzione definitiva in concetti rimane essenzialmente impossibile». A chi l’ha fatto, invece, ogni descrizione apparirà insufficiente, banale. E l’Ouverture del Don Giovanni? «Neppure mille aggettivi potranno mai comunicare di essa il più pallido concetto. Essa è carica di spirito fino all’ultimo sedicesimo 87, sfavilla di senso e di significato, e non li nasconde dietro i suoni, esprime tutto ciò che poteva essere espresso» 88. Nell’opera d’arte veramente tale, tutto è compiuto: la legge presentita nell’attrattiva amorosa ha generato il nuovo e ha dispiegato di sé ogni più piccola fibra. Come poterla ridire in parole: «lo si potrebbe forse (...) con più facilità se non fosse così perfetta» 89, così completamente dispiegata e significante. Ma proprio in ciò si ripresenta il paradosso dell’arte: quanto più senso ed espressione «si identificano, quanto più chiaro e univoco il dentro appare nel fuori» – la libertà appare nella necessità – «quanto più cioè l’opera è perfetta, tanto più indecifrabile diventa il suo contenuto» 90. Essa diventa, nel momento che le due grandezze finite di significato e di immagine si identificano, per così dire infinita. 85 86 87 Teologica I, p. 144. Ibid., corsivo nostro. «Sedicesimo» è termine musicale e sta ad indicare il valore di un segno della scrittura musicale (la semicroma). Essendo generalmente – e così è di fatto nell’Ouverture del Don Giovanni di Mozart – una figura minima nell’economia dell’opera intera, sta a significare per von Balthasar, emblematicamente, la pienezza di significato che ogni piccola scelta dell’autore porta con sé. 88 Ibid., p. 145, corsivi nostri. 89 Ibid. 90 Ibid. 418 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... Diventa un simbolo che trascende la somma delle sue parti. Niente del senso dell’opera è rimasto dietro l’espressione, tutto ciò che poteva essere espresso ha trovato la sua forma [Form, la sua determinazione, il suo contorno]. Il risultato è che proprio la perfezione dell’espressione è un mistero perfetto. È un mistero essenziale, non illuminabile piano piano da nessuna interpretazione di progressivo accostamento. Ad ogni nuovo incontro con questo mistero, esso è intatto e salvo, e resiste ad ogni analisi. (...) Il mistero è una proprietà perenne della stessa verità 91. L’accostamento analitico all’opera non va scartato: esso decifra realmente qualcosa del contenuto espresso. Ma allo stesso tempo non va assolutizzato. «Chi legge e stende solo degli studi storicocritici sul Faust di Goethe, non l’ha ancora visto com’è in verità o, nel migliore dei casi, l’ha già visto prima o lo vedrà dopo» 92. Si può discutere sul fatto che la conoscenza di contesti storici, vicende biografiche, stili linguistici, fonti letterarie, siano utili alla penetrazione di un’opera d’arte: potrebbe tuttavia anche accadere che facciano deviare ciò che è percezione artistica «verso altri domini, come quello della sociologia o della dottrina delle culture» 93. Se i singoli elementi vengono scomposti e separati dal tutto, se l’analisi diviene con ciò l’approccio primario all’opera, «la Gestalt è già scomparsa e, per quanto gli aspetti possano guadagnare così in visibilità per la elaborazione “scientifica”, viene a mancare tuttavia ad essi il nesso spirituale» 94. Nell’analisi non vi è più nulla da contemplare, la Gestalt ha perso la propria carica di infinità spirituale, essa è ormai una Gestalt morta («opere d’arte possono perire se vengono confuse da troppi sguardi senza spirito» 95). Ciò che conta, invece, è il ritorno «all’unica cosa necessaria, a quella contemplazione centrale di ciò che è stato realmente detto, realmente presentato, realmente inteso», cioè il ritorno continuo 91 92 93 94 95 Ibid. Gloria I, p. 232. Ibid., p. 413. Ibid., p. 480. Ibid., p. 15. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 419 alla «contemplazione estetica» 96 attraverso la percezione della Gestalt che si è presentata al nostro sguardo. Ogni filologia, analisi scientifica, deve così partire dalla Gestalt e tornare ad essa, se vuole essere realmente feconda. La forma del rapporto tra l’opera d’arte e l’interprete acquista la forma di una percezione della verità dell’altro (l’opera d’arte, espressione dello spirito dell’artista), come contemplazione di ciò che, però, non è più legato al soggetto. L’opera d’arte non può essere considerata come l’interlocutrice di una rapporto dialogico. Essa, in quanto formata, diviene definitivamente indipendente dall’artista da cui ha avuto origine. «L’opera, proprio quando è riuscita, ha una forma oggettiva propria (objektive Eigengestalt), un senso separabile dall’agente». E poiché nell’artista abbiamo visto un’unità di sapere e non sapere, di coscienza e incoscienza (egli, nell’atto estetico, si è abbandonato ad un “presentimento amoroso”, ma allo stesso tempo ha saputo rendere la sua “selvaggina” con i propri mezzi espressivi artistici), questa separabilità dell’opera vale anche per le opere «più personali, come una poesia, una sinfonia, la cui armonia intima è qualcosa di totalmente diverso dall’“accordo” soggettivo, dal sapere e dalla capacità del suo autore» 97. L’opera d’arte non è spirito che si dice. Essa è simbolo, parola, che rimanda oltre e che è, ormai, definitivamente espressa. Ma in questa sua perenne espressione, per la datità che la caratterizza, essa è anche allo stesso tempo perennemente velata, chiusa. Essa continuamente irradia la propria magnificenza, ma può non dir nulla allo spirito che non sa vederla. «Per chi è cieco per il bello, saranno tre asterischi sulla guida turistica a dire che lì c’è qualcosa da vedere. Per chi è sordo alla bellezza sarà l’autenticazione di un affermato direttore d’orchestra a provare che Così fan tutte 98 è un’opera meravigliosa» 99. Ma evidentemente qui si pone una difficoltà. «Chi è autorizzato ad accreditare “autenticamente” un’opera di Mantegna o di 96 97 98 Ibid., p. 23, corsivo nell’autore. Ibid., p. 522. Si tratta, come è noto, della terza Opera che Mozart scrisse, su libretto in lingua italiana, nel 1790. 99 Ibid., p. 577. 420 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... Mozart?» 100. Nel rapporto dialogico tra spiriti, l’“autenticazione” dell’altro avviene già nel dominio della verità (volendo lasciar da parte considerazioni morali): l’altro non solo si mostra al soggetto come uomo, ma il soggetto stesso, per astrazione, ha la possibilità di attribuire all’altro una spiritualità per la comune umanità che sperimenta. Ora, però, nella fruizione dell’opera d’arte, questo non è possibile, poiché intercorre fra le varie opere d’arte una differenza qualitativa (specifica, da species) radicale, per la radicale novità che le caratterizza. Per questo dal dominio dell’arte non è possibile passare al dominio della verità concettuale. In che cosa consiste, dunque, il criterio del bello, per cui posso parlare di bello oggettivo, visto che non tutti sanno vederlo? E, visto che il criterio non può essere soggettivo – ogni opera d’arte con ciò morirebbe, sotto i colpi del cattivo gusto tanto spesso dilagante –, che atteggiamento deve avere l’interprete di fronte al capolavoro? Le risposte alle domande che abbiamo posto sono contenute già in quanto abbiamo detto finora: si tratta di esplicitarle. L’esperienza del bello artistico, per chi l’ha provato almeno una volta, porta con sé il carattere permanente di una novità. L’inaspettato accade. L’opera d’arte vive tutta nella meraviglia. È indubbio che si tratti di un’esperienza individuale. È possibile costatare ciò continuamente: di fronte ai più grandi capolavori, in una sala da concerto, c’è chi, rapito, “sobbalza” nell’intimo e chi ascolta annoiato. Vogliamo dire che ciò che vale per l’artista, vale anche per l’interprete. La dimensione infinita in cui l’artista è stato attratto e dalla quale l’opera ha avuto il suo sorgere, chiama anche l’interprete. Ciò che l’artista era riuscito a catturare dell’infinito rimane nell’opera “palpitante e intatto”: l’emozione della nuova generazione dell’opera può rivivere nell’interprete. Nel cerchio sovrarazionale dell’ispirazione vive anche l’interpretazione. L’interprete è chiamato a fare anche lui l’esperienza del bello in prima persona. In lui “espressione” vuol dire rigenerare (rinnovare, portare a nuova espressione) e sostenere nell’inti100 Ibid. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 421 mo. Anche l’interprete è chiamato in qualche modo a non essere compreso e a non poter giustificare il suo stato. Per penetrare la Gestalt dell’opera è necessario contemplare ciò che l’artista stesso ha contemplato: qui «inizia il dominio dell’esoterico e le dimostrazioni per la verità di esso (...) ubbidiscono alle norme dell’iniziazione» 101; «è necessaria l’arte della visione della totalità» 102 che rapisce e sovrasta l’animo del contemplante. «Il contenuto non gioca dietro la Gestalt, ma in essa. Chi non riesce a vedere e a leggere la forma, non può cogliere nemmeno il contenuto» 103. Se l’opera d’arte è articolata secondo la doppia dimensione di una proporzionalità manifesta – misura, numero e peso, correttezza formale – e di una forza che irraggia dall’intimo, e proprio così essa riceve il contrassegno del bello e il suo «carattere estasiante e soggiogante» 104; «se tutto ciò che è bello sta oggettivamente alla confluenza di due momenti che Tommaso chiama species e lumen, Gestalt e splendore, allora il loro incontro può essere caratterizzato dai due momenti del percepire e dell’essere rapiti» 105. Percezione ed estasi. Il valore accordato alla sensibilità è enorme. Se l’artista attinge da un’intimità angelica, tuttavia non ha la forma di espressione dell’angelo. Egli si serve dei mezzi dello spirito umano così profondamente legato alla materialità: per questo la percezione ha bisogno dei sensi. E proprio perché il primo atto nella percezione è un’immagine irriflessa (e per questo incomunicabile), anche la facoltà percettiva è profondamente, intimamente personale: «Sembra a tutta prima una piccolezza il percepire colori o suoni» in modo diverso tra spirito e spirito; «ma sulle sfumature delle percezioni si possono basare quelle del gusto artistico» 106. L’arte, insomma, ha bisogno di una prospettiva e di una personalità; l’arte ha bisogno di un luogo nel quale vivere, del tempo giusto per essere accolta e, dal punto di vista del soggetto, di una prospettiva 101 102 103 104 105 106 Ibid., p. 24. Ibid., p. 480. Ibid., p. 137. Ibid., p. 412. Ibid., p. 4. Teologica I, p. 94. 422 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... da cui essere guardata (cioè di un patrimonio di conoscenze acquisite, di una facoltà della visione, in qualche modo, “educata” – «chi contempla un’opera d’arte deve possedere una dote innata od acquisita attraverso l’esercizio per intenderne i valori» 107). Così il primo momento è quello della percezione. Il secondo è quello dell’estasi. E se la percezione era tutta dedicata alla manifestazione immediata dell’opera, al contatto con la perfetta espressione, con la necessità dell’opera, l’estasi vive tutta nel cerchio della libertà, nel fondo che attrae dell’intimità, nel quale (“presentimento amoroso”) vale più il lasciarsi condurre che l’analizzare: «nell’eros si annuncia una promessa» 108. Per percepire la Gestalt del Faust «occorre interiorizzarsi in esso, entrare nel suo cerchio incantato e nella sua zona di irraggiamento, pervenire allo stato nel quale soltanto esso diventa evidente nel suo essere-in-sé» 109. Per ben comprendere in che senso von Balthasar intende il termine «eros» è utile citare lo stesso Dionigi Areopagita, il quale ne parla nella sua opera De divinis nominibus e alla quale von Balthasar si rifà: «L’eros è estatico, in quanto non permette che gli amanti appartengano a se stessi, ma solo all’amato». Il vero amante è colui che «è uscito estaticamente da sé per entrare» nell’amato «e non vive più di vita propria, ma di quella dell’amato infinitamente amabile» 110. Così l’eros, appartenente al bello in quanto attrae, è nell’opera che chiama l’amante del bello a spogliarsi di sé per vivere nel suo cerchio incantato. In qualche modo la frequentazione dell’opera serve ad “accordarsi” con essa: «un’opera d’arte non può (...) essere compresa che all’interno di una determinata soggettività, accordata con l’opera, e l’analisi della sua struttura oggettiva presuppone per lo meno una prima realizzazione siffatta» 111. “Accordarsi” vuol dire prendere parte all’intimità espressa, dirigere lo sguardo dove l’opera indica. 107 H.U. von Balthasar, Glaubhaft ist nur Liebe, Johannes Verlag, Einsiedeln 1963; Solo l’amore è credibile, Roma 1991, trad. it. di M. Rettori, p. 77. 108 Gloria I, p. 295. 109 Ibid., p. 580. 110 Dionigi Areopagita, De divinis nominibus, 4, 13, in Tutte le opere, Milano 1981, trad. it. di P. Scazzoso, pp. 310-311. 111 Gloria I, p. 502. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 423 E così, per entrare nel cerchio incantato del Faust, è necessario accostarsi al modo in cui Goethe ha voluto sfruttare «ogni tremore dell’anima, ogni risonanza della sua interiore profondità per dare forma giusta e valida all’inno di lode dell’essere» 112. Accordarsi vuol dire vibrare e tremare con l’opera stessa. In ogni bellezza «si dà un momento di paura» 113: è l’inizio. «Una pura quiete del gusto del contemplante nel contemplato (...) significa (...) uno stare al di sotto della soglia della vera bellezza» 114. La promessa ingiustificabile dell’oltre non offre alcun appiglio a chi guarda. L’elevato chiede di elevarsi e di raggiungere il luogo della contemplazione della totalità nella totalità stessa. «Di fronte al bello – anzi propriamente non davanti ad esso, ma in esso – è l’uomo tutto che vibra. Egli “trova” la bellezza non solo afferrandola» (percezione), «ma sperimentando piuttosto se stesso come afferrato e preso in possesso da essa» 115 (estasi). Il bello esige la relazione con tutto l’uomo, il quale è coinvolto a partire dalle sue facoltà sensitive fino alle più intime facoltà spirituali. L’uomo così diventa «“cassa di risonanza” del bello che appare in lui» 116. Quanto avvolgente è questo primo momento! È il momento soggettivo della bellezza «sottomesso a oscillazioni estreme» 117. I giovani, i quali non si sono appropriati che di pochi criteri oggettivi di bellezza, «tendono a generalizzarlo» 118 e per la valutazione dell’opera «si aiutano con l’entusiasmo» 119. «Coloro i quali rimangono fermi a questo apprezzamento della soggettività del giudizio del gusto, sono rimasti bloccati in una fase di sottosviluppo giovanile». Il processo di formazione della personalità offre il passaggio ad una fase matura nella valutazione in cui, sempre più, l’opera d’arte è valutata nella sua oggettività, attraverso la perce112 H.U. von Balthasar, La mia opera…, cit., p. 43 (la cit. è tratta da Piccola pianta dei miei libri, del 1955). 113 Gloria I, p. 295. 114 Ibid. 115 Ibid., p. 229. 116 Ibid., p. 204. 117 Ibid., p. 163. 118 Ibid., p. 164. 119 Ibid. 424 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... zione del “bello in sé”. Così «le capacità percettive» – indispensabili in ogni fase –, come «la disposizione dell’animo e la fantasia, nel processo del loro sviluppo, entrano sempre al servizio della percezione oggettiva» 120. Una raffinata capacità percettiva rivela allo stesso tempo una raffinata personalità, nel senso di una costellazione concettuale e valutativa ampia e variegata, e per questo «il contemplatore d’arte maturo è in grado di fondare senza difficoltà anche il suo giudizio su di un capolavoro, in maniera oggettiva ed estesamente concettuale» 121. In ogni fase della percezione dell’opera d’arte la Gestalt è il centro. Solo ciò che ha Gestalt può trasportare e rapire nell’estasi; solo attraverso la Gestalt può guizzare il lampo della bellezza eterna. Si dà il momento in cui la luce prorompente, lo spirito zampillante, irradiano la forma esteriore – e dalla maniera e dalla misura in cui ciò avviene, dipende se è bellezza “sensibile” o “spirituale”, grazia o dignità –, ma senza la Gestalt l’uomo non può essere afferrato e rapito 122. L’autenticazione dell’opera d’arte è la “testimonianza interna” della Gestalt stessa, la quale fa ricorso ad ogni facoltà sensibile (elemento soggettivo) solo per richiamare l’uomo oltre il sensibile, in direzione dello spirituale, del bello in sé, il bello oggettivo. «Il circolo infrangibile del bello» si articola così «tra ispirazione dall’alto (e dal di dentro) e obbligo alla Gestalt, dalla quale deve irrompere la luce del bello perché noi possiamo riconoscere 120 121 Ibid., corsivo nostro. Ibid. Von Balthasar sintetizza in modo simile la struttura dell’evoluzione della facoltà percettiva nella verità filosofica: «Anche lo sguardo filosofico sulle cose, che sembra essere penetrantissimo nell’atteggiamento totalizzante della gioventù, in quanto si svela per la prima volta all’occhio il miracolo dell’essere nella sua freschezza, deve essere lentamente iniziato – conservando il giovanile qaumavzein –, da un sentimento globale alla visione dell’essere dell’ente raggiunto nell’abbandono di sé» (ibid.), cioè nell’abbandono della propria soggettività in direzione di una oggettività sempre maggiore. 122 Ibid., p. 23. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 425 come tale l’oggetto contemplato» 123. In ciò che si manifesta, la profondità velata si crea una «cavità, una cella» 124 dalla quale irraggiare. L’opera d’arte così è sempre un «aprirsi della signoria dell’essere» 125. L’oggettività è data da quanto perfettamente la forma (come determinazione, come necessità) è riuscita a rendere del fondamento (l’intimità, la libertà) unendo necessità e libertà in una nuova Gestalt. «Splendore fluente e forma segnata, si completano a vicenda per indicare il mistero del bello» 126. In ciò sta la sua «evidenza che s’impone immediatamente» 127: che il fondamento «unifica tutte le parti nel loro centro e domina e gioca disponendo della molteplicità degli elementi» 128. Questa oggettività che irraggia ha la capacità paradossale di permettere all’animo del contemplante di guardarla infinitamente per la sua velatezza. Permette all’interprete di cogliere dall’infinitezza del fondamento, attraverso la finitezza della manifestazione, infinite interpretazioni. Così la fruizione dell’arte è, al tempo stesso, un’esperienza realmente personale (fra le più personali) e realmente valida per tutti e a cui tutti possono attingere. Un lampo di grazia si trova in ogni cosa bella: vi si mostra a me più di quanto avevo il diritto di aspettarmi (...). L’assoluto si illumina e si modula nel finito 129. IL DOMINIO DELL’ARTE E IL CONFINE VERSO L’ASSOLUTO La bellezza non è tutta nel dominio dell’arte. In quanto trascendentale, essa diffonde la sua carica di meraviglia ovunque 123 124 125 126 127 128 129 Ibid., p. 232. Ibid., p. 412. Ibid., p. 368. Ibid., p. 406. Ibid., p. 28. Ibid., p, 368. H.U. von Balthasar, Epilog, Johannes Verlag, Einsiedeln 1987; Epilogo, in La mia opera ed Epilogo, cit., p. 129. 426 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... l’essere ha il potere di trarre qualcosa dal nulla. Essa prende parte disinteressatamente «all’abissale gioia dell’irradiazione dell’essere» 130. Per questo suo assoluto disinteresse essa si distribuisce ovunque, anche là dove sembrerebbe oltraggiata: la bellezza trascendentale coincide con il mistero miracoloso dell’essere. Essa semplicemente appare. Essa, in quanto qualcosa esiste, è, dell’essere, l’apparizione (Erscheinung), la realtà. Come abbiamo accennato, il termine Erscheinung è denso di significato nel pensiero di von Balthasar (che lo riprende da Goethe, il quale è principalmente un poeta, un artista). Erscheinung (apparizione, epifania) è riferito prevalentemente ad una Gestalt la quale, oltre la misura scientifica dell’oggetto, si lascia cogliere dal soggetto come “totalità contratta”, in un ambiente e nell’essere in generale, fino a lasciarsi percepire come un tutto mai completamente dominabile con lo sguardo. In essa, questa impressione di magnificenza esprime il concetto di elevato (Erhaben) ed è «l’impressione più magnifica di cui possa avere parte un’anima umana» 131. Questa impressione è rintracciabile in ogni oggetto, in quanto ogni oggetto ha in sé un accordo, un’armonia, e in ciò possiede una Gestalt. «L’evidenza che qui emerge a manifestazione, mi appare». Questa “profondità dell’essere” manifesta, il soggetto non può dominarla teoreticamente, perché è prima di ogni valutazione veritativa la quale, perché misura, già dissolve l’eccedenza. Né può «prenderla in uso mediante la [sua] tendenza», poiché il valore attribuito nella comunicazione al comunicato presuppone già l’apparizione dell’oggetto stesso. «Perciò ogni conoscenza o tendenza spirituale deve essere accompagnata da un momento estetico» 132. L’“elevatezza” di ciascuna Gestalt è valutabile in base a quanti elementi molteplici ha il potere di raccogliere nella sua unità. Quanto più questo potere di unificazione sarà manifesto, 130 131 Teologica I, p. 221. J.W. Goethe, Studie nach Spinoza, in Opere complete, cit., vol. XVI, p. 841, riportato in Gloria IV, p. 35, corsivo nostro. 132 Gloria I, pp. 138-139. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 427 tanto più, oltre se stessa, la Gestalt manifesterà la luce dell’essere. «La luce che irradia dalla Gestalt e che si apre alla comprensione è in tal modo indivisibilmente luce della forma (Form) stessa (...) e luce dell’essere in generale in cui la forma è immersa per poter avere in genere reale Gestalt» 133. In qualche modo, tra l’essere e la Gestalt esiste una polarità, poiché l’essere si esprime nella Gestalt e questa si esprime nell’essere, mostrando oltre se stessa l’essere stesso. Questa eccedenza dell’essere, manifesta attraverso una Gestalt, è il dominio dell’elevato. Questa eccedenza è bellezza trascendentale. La bellezza irradia dall’elevato. E «quanto più alta è una Gestalt, tanto più irradia la luce dalla sua profondità e tanto più essa rinvia al mistero luminoso dell’essere nel suo insieme» 134. L’osservazione fenomenologica dei modi di manifestazione e percezione dell’arte, ha mostrato come ogni opera d’arte sia fra le più alte Gestalten. Nel quarto volume di Gloria, dedicato alla bellezza nello spazio della metafisica, seguendo l’affascinante percorso 135 che conduce dal mito alla filosofia secondo il terzo trascendentale, è possibile rintracciare quali siano le componenti del bello secondo von Balthasar. I fondamenti del pensiero occidentale sono, secondo von Balthasar, tutti racchiusi ed espressi nelle epopee di Omero 136. Lì è contenuta una dimensione ordinata del cosmo in cui si articolano elementi di causalità e finalità non presenti in altri poemi delle stesse epoche. Lì, dimensione religiosa e sapere, il dover essere dell’uomo, della società... si articolavano in unità indistinta, componendo una totalità ricca. Tanto ricca da offrire lo spunto per la stessa nascita della filosofia. Le epopee di Omero, la lirica e la tragedia degli autori greci prima dell’avvento della filosofia sono opere d’arte. Es133 134 135 136 Gloria IV, p. 35. Ibid., pp. 35-36. Gloria IV, pp. 47-155. Naturalmente anche la tradizione biblica deve essere considerata tra le fonti del pensiero occidentale, poiché alcuni libri sono contemporanei alle epopee di Omero. Tuttavia questi libri influenzarono il pensiero filosofico solo nei primi secoli dopo Cristo, quando la Patristica iniziò il confronto con la filosofia greca, dunque circa otto secoli più tardi rispetto ad Omero. 428 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... se erano realmente simboli dell’assoluto. L’uomo, l’eroe, realizzava se stesso oltre la pura natura in una tensione alle volte tragica: il fine era comunque oltrepassare il limite della finitezza. Poi il passaggio alla filosofia. Il pensiero, problematizzando il mito e l’arte greca, chiede autonomia. L’oltre mitologico deve incardinarsi nel sapere filosofico. Il movimento che dall’alto irradiava dalla trascendenza – il movimento che poneva la divinità positivamente oltre e alla quale ci si doveva rivolgere – si fa movimento dal basso in direzione della trascendenza mediante l’illuminazione dell’essere. Ma «la luce del trascendere è identica con l’irradiazione della trascendenza? In altri termini: la luce della ragione può comprendere in sé lo splendore e la gloria 137 del mito?» 138. Già Senofane prende posizione in modo netto e in direzione negativa: occorre fare «piazza pulita con le “invenzioni del tempo passato”» 139. Il rapporto dialogico con l’assoluto mitico è spezzato. La ragione compone la totalità in un atto monologico, mediante il concetto di essere (Parmenide). «Questa frattura segna la linea di demarcazione. Al posto del cuore» – presentimento amoroso – «che osa oltre se stesso interviene il sapere che si attiene a se stesso. Questa precisamente è la linea che nella storia dello spirito discrimina» tra il concetto di gloria – il quale vuole significare l’espressione dell’Infinito in direzione del finito – «e ciò che (...) nell’età della filosofia (...) sarà chiamato il bello» – il movimento contrario dal finito verso l’Infinito. Il bello così «possiede per così dire un confine superiore dalla parte del “glorioso”, che però essenzialmente non raggiunge, né potrebbe raggiungere: è l’“elevato”» 140. 137 Il termine gloria indica proprio l’azione di Dio che sceglie di rivelarsi anticipando ogni aspettativa dell’uomo. 138 Gloria IV, p. 148. 139 Ibid., p. 149. Von Balthasar cita i testi dei frammenti di Parmenide secondo l’edizione Diels-Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, 1956. Per quest’ultimo frammento di Senofane, cf. 21 B 1. 140 Ibid., p. 148, il primo corsivo è nostro, gli altri dell’autore. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 429 L’arte, così, vive in un delicato equilibrio, tra il dominio dell’estetica filosofica sulla forma (Form) e l’oltre dell’elevato nella Gestalt. Le due dimensioni già da noi affrontate, quella della struttura formale dell’opera e quella della “forza divinatoria” che irraggia dall’intimo, vivono insieme e si congiungono polarmente nel bello. Questo sta come confine tra l’evento dell’opera che si mostra e la gloria dell’oltre a cui quest’opera rimanda. L’opera d’arte, in quanto parola spirituale, è questo confine nella sua Gestalt intramondanamente più elevata. In essa ogni relazione che non sia estetica è ridotta al minimo: essa non dice principalmente, alcuna verità; essa non comunica, principalmente, alcun valore. Essa vive tutta nel dominio della pura manifestazione. Stile, materia, rappresentazione, tecnica espressiva, gusto artistico; l’espressione, la parola poetica stessa, l’intera costellazione di significati e definizioni di un’opera propriamente “parlata” (teatro, poesia, canto ad esempio); tutto ciò, nell’opera d’arte è puro medium. Meglio: è un nulla funzionale all’oltre dell’elevato. L’oltre è il tutto che deve manifestarsi. E proprio perché il dominio è la manifestazione, rinunciando ad ogni significato, l’opera d’arte di per sé non comunica nulla. Non è manifestazione di una verità: essa non deve convincere. Non è manifestazione di un valore: essa non deve edificare. Essa è manifestazione disinteressata: essa è semplicemente bella. Per questo ciò che è percepito rapisce. Di fronte all’opera d’arte «è l’uomo tutto che vibra» nell’estasi del bello. Egli “trova” la bellezza non solo afferrandola, ma sperimenta piuttosto se stesso come afferrato e preso in possesso di essa. Quanto più quest’esperienza è globale, tanto meno l’uomo cerca solo il piacere sensibile ed esaurientesi nell’atto, e tanto meno egli riflette sui propri atti o sul proprio stato, ma è globalmente rapito nella realtà del bello, consegnato ad essa, da essa determinato ed animato 141. 141 Gloria I, p. 229, corsivo nostro. 430 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... Nel bello la dimensione riflessiva e quella pratica, la dimensione del vero e del bene vengono meno in proporzione alla capacità attrattiva del bello. E l’opera d’arte, in quanto accentuazione disinteressata del dominio della bellezza, esercita il suo potere attraente in modo «totalizzante» 142: l’«irradiazione (...) invade le profondità del cuore del contemplante» 143. Giudizio e tensione, verità e bontà sono come avvolti dalla manifestazione e solo attraverso di essa essi possono dirsi e darsi. In questo senso la bellezza sta come «compimento nell’edificio delle proprietà trascendentali dell’essere» 144. Per questo la «bellezza è (...) l’estrema onniriassuntiva proprietà dell’essere universale, la sua forza irradiante» 145. Nella manifestazione, l’opera d’arte chiama tutto l’uomo a respirare con l’essere che respira, a partecipare del respiro dell’essere. Tutto l’uomo vibra: e proprio perché verità e bontà principalmente si mostrano, si tratta di una vibrazione non solo spirituale, «ma essenzialmente anche organica e corporale» 146, per l’indissolubile unità di spirito e corpo. Così il rapporto tra apparizione dell’opera nella sua materialità e perfezione formale e irradiazione della profondità dell’essere si ripete a livello del contemplante. Non solo dal lato dell’oggetto, ma anche dal lato del soggetto, il mistero della bellezza è fondato nel paradosso dell’unità di corpo e spirito: di fronte alla manifestazione, sono indissolubilmente uniti. ESTETICA COME SCIENZA Da quanto detto sin qui è chiaro che interrogarsi sui criteri del gusto in modo da costruire un’estetica come scienza rigorosa, mediante cui misurare infallibilmente il bello, è impossibile. In 142 143 144 145 146 Ibid. Ibid., p. 15. Ibid., p. 229. H.U. von Balthasar, La mia opera…, Resoconto, cit., p. 67. Gloria I, p. 229. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 431 un’indagine del genere ogni profondità svanirebbe, poiché il bello sarebbe visto non più come polarità indissolubile di irraggiamento dell’essere e dominio formale da parte dell’artista. La bellezza, non più appartenente all’essere in quanto tale, verrebbe bandita dall’ordine dei trascendentali e si ridurrebbe a mero dominio di «tensioni e contraddizioni incluse nell’univocità» della superficie 147. L’esperienza dell’artista aveva rivelato il suo atteggiamento al tempo stesso cosciente e incosciente: atteggiamento per cui l’essere, l’ispirazione, veniva sì ingabbiata nella forma (piena coscienza della tecnica espressiva), ma “palpitante e intatta” e, soprattutto, ancora capace di farsi percepire e ancora pronta a rapire nell’estasi (presentimento amoroso, forza divinatoria, dominio del sovrarazionale). Un’estetica come scienza, per l’artista, vuol dire ridurre la sua esperienza artistica a pura tecnica, bravura fine a se stessa. Similmente per l’interprete: egli si troverebbe di fronte all’opera d’arte non per partecipare dell’esperienza dell’essere, ma solo per dominare la superficie con mezzi concettuali. Ogni novità, ogni infinità, in definitiva ogni attrazione, sarebbe impossibile. «Il bello non è mai pura superficie, esso possiede altezza e profondità» 148. Se il rimando all’oltre dell’opera non è rivolto in direzione dell’essere, in quanto fonte d’ispirazione di ogni bellezza, allora il dominio dell’arte sarà il nulla. E di fatto al «nulla» la forma (Form) rimanda «tutte le volte che l’uomo mira a padroneggiar[la] con i mezzi della sua ragione trascendentale» 149: allora i cieli narrano l’onore dell’uomo, e la gloria che essi parevano narrare si estingue 150 (...). Come ultimo [trascen147 Una bellezza così intesa è allora puramente formale nel senso che «astrae» (nel senso in cui Kant intende la «bellezza libera» la quale «non presuppone alcun concetto di ciò che l’oggetto deve essere», I. Kant, Critica del giudizio, cit., p. 59) «da ogni oggettività e da ogni etico interesse, per godere la forma irrelazionata, solo in se stessa significante, disinteressatamente con la pura armonia formale della potenza conoscitiva» (Gloria V, p. 453). 148 Gloria I, p. 564. 149 Gloria IV, p. 41. 150 Von Balthasar fa riferimento al Salmo 18 (19), 1: «I cieli narrano la gloria di Dio». 432 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... dentale] (dopo l’uno, il vero e il buono) il bello è solo uno splendore insufflato sulla realtà transitoria: chi sa se splendore di Dio o vana apparenza del nulla? Quando l’essere è concepito in senso scientifico-neutrale (...), la decisione è, nel fondo, già presa: in direzione del nulla. Come ultimo trascendentale il bello custodisce e sigilla gli altri: nulla di vero e di buono alla lunga senza la graziosa luce di quello che viene donato senza uno scopo 151. In questo smarrimento della trascendentalità della bellezza, è possibile solo una «simulazione d’illuminazione» che vive tutta nell’esistenza senza profondità, giacché al di fuori della «stanza dell’esistenza» da lungo tempo c’è solo «il buio» 152. Il nichilismo spruzzato di profumi salottieri da Schopenhauer, portato avanti da Wagner, Eduard von Hartmann e Thomas Mann, emana un odore sempre più forte di decomposizione ed ha perciò bisogno delle forti essenze che vengono accese da Nietzsche, dall’ultimo Scheler, dal giovane Heidegger, da Sartre e dai suoi. Lealmente una “estetica come scienza rigorosa” si può sviluppare soltanto da sottofondi simili 153. In questa prospettiva, von Balthasar formula il suo giudizio sull’arte del suo tempo. Nell’epoca dello smarrimento metafisico, «mentre la scienza estetica (...) si affatica con profondo acume circa i criteri del buon gusto, l’arte (...) quasi generale europea (...) sprofonda in una inconcepibile mancanza di gusto» 154. 151 152 153 154 Gloria IV, pp. 41-42. Gloria V, p. 531. Ibid., p. 532. Ibid. Nel chiudere il suo lungo percorso nel quale ha analizzato il ruolo della bellezza nello spazio della metafisica, von Balthasar ha toccato moltissimi autori. Il giudizio negativo da noi appena riportato sull’arte del suo tempo (von Balthasar scrive nel 1965) li tiene in considerazione. Non è questo il luogo per presentare nei dettagli le analisi che il nostro propone, anche se questa condanna senza appello per certi aspetti stupisce. Certamente non tutta la produzione del ’900 rientra in questo giudizio: La scarpina di raso di P. Claudel, una delle opere teatrali che von Balthasar più amava, è del 1929, così come pure le opere di Ber- Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 433 I “MOTIVI” DELLA BELLEZZA: MANIFESTAZIONE, GENERAZIONE, GRAZIA Il percorso che abbiamo presentato a questo punto può essere brevemente sintetizzato, esplicitando «i motivi» 155 che propriamente competono alla bellezza. Lo stesso von Balthasar li mette in evidenza, non per demarcarli «esattamente» (il che lo porterebbe proprio lì dove egli non vuole, cioè ad una scienza), ma per distinguerli e renderli così espliciti. Il richiamo sintetico ai motivi della bellezza richiede ora di riportare il discorso oltre la tematica artistica, in direzione del bello trascendentale. Innanzitutto «il bello è senza dubbio “apparizione” (Erscheinung), eJpifavneia» 156. Di ciò abbiamo già qualcosa accennato. È utile ancora mettere in evidenza il fatto che la bellezza è apparizione di una profondità la quale, di per sé, è velata. Così vuole salvaguardarla von Balthasar: il «bello» deve essere inteso «come epifania dell’invisibile Uno che manifesta la sua trascendenza nell’ordine ontologico dei molti» 157. Qualora si volessero avvolgere (come di fatto è avvenuto nella storia del pensiero 158) fondamennanos, di Péguy furono apprezzate. In un’intervista del 1986, rilasciata a R. Farina e pubblicata nella rivista «Il Sabato», dichiara di conoscere poco l’arte contemporanea, anche se poi abbozza dei commenti favorevoli ad autori quali il pittore Rouault (1871-1958), agli scrittori C.S. Lewis (1898-1963), T.S. Eliot (18881965), Thornton Wilder (1897-1975), addirittura lo scrittore italiano Testori e il pittore americano Congdon, entrambi ancora in vita (R. Farina, Un saggio cristiano, la morte e l’amore. Un giorno a Roma con Balthasar, Dialogo sulla fede e sul destino del mondo, intervista pubblicata sulla rivista «Il Sabato», n. 24, anno IX, 14-20 giugno 1986, p. 17). Non è questo il luogo per un’analisi che richiederebbe una ricerca nel mondo artistico frequentato da von Balthasar. Ciò che conta comunque è l’aver messo in evidenza quali sono le dimensioni dell’arte secondo von Balthasar e a quali condizioni se ne possa parlare. 155 Gloria V, p. 533. 156 Ibid. 157 Ibid. 158 Von Balthasar propone alcuni esempi: innanzitutto l’idealismo, il quale antropologizza ogni epifania, antropologizzando l’Assoluto; ma anche, indietro nella storia, Keplero «che espone il mistero del mondo in numeri» (ibid., p. 535) o Pitagora mediante una «radicale identità tra legge di quantità (...) e legge psichica di qualità» (ibid.). 434 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... to e manifestazione con la ragione umana, il risultato sarebbe «una prigionia della libertà dell’apparire entro le leggi dell’apparire stesso» 159. È necessario così salvaguardare l’epifania come «metà di se stessa» 160 in quanto apparizione di una profondità in una Gestalt. Il tema allora che la riguarda non è tanto «cosa lo spirito dell’uomo possa progettare e incarnare semplicemente quanto a idee (...), ma che cosa l’essere nel suo insieme epifanicamente annunci e faccia vedere» 161. E proprio perché queste due prospettive – trascendenza della ragione umana e manifestazione come iniziativa dell’essere – non coincidono, è impossibile una sistematizzazione scientifica dell’apparizione. Altro elemento fondamentale è il tema della spontaneità o della libertà dello spirito. Si dà nell’opera d’arte una «generazione radicale» 162 (poivhsiı) e nell’artista si attua una reale nuova «nascita nello spirito» 163 (poihthvı). Si tratta di un atto al di sopra del pensiero razionale-discorsivo, un atto che ha il carattere di un’«intuizione originaria» che vive tutta nel momento dell’ispirazione (maniva, furore poetico, ispirazione, come la intende Platone nel Fedro 164). Essa giunge e si realizza d’improvviso «in un attimo che viene esperito come “regalato”» 165. Nella storia del pensiero è visto, questo attimo, come «“scoperto” e “inventato”, “visto” (secondo Ficino), “rapito” (secondo Shaftesbury e Goethe), “posto” (secondo Fichte e Schelling) nell’incoscienza o subcoscienza del “genio”, che Herder, Kant, Schiller hanno descritto o nel fenomeno dell’“ispirazione” pure descritto da Nietzsche e da Dostoevskij» 166. Von Balthasar tuttavia prende le distanze da quelle impostazioni che vedono questa spontaneità dello spirito come 159 160 161 162 163 164 Ibid., p. 535. Ibid., p. 534. Ibid., p. 536. Ibid. Ibid. Platone, Fedro, 245a 2, in Dialoghi filosofici di Platone, vol. II, Torino 1981, p. 176. 165 Gloria V, p. 536. 166 Ibid., p. 537. Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... 435 «actus purus» 167. L’ispirazione, in quanto istante regalato, ha un primum di passività, anche se l’opera appare come radicalmente (qualitativamente) nuova. La «zona originaria dell’essere» 168 in cui si alimenta la bellezza ha il suo inizio sempre nella contemplazione della natura così come essa si mostra e solo secondariamente si muove in direzione del fondo dell’essere: questo processo al quale il genio artistico partecipa ha il timbro di un «librarsi e penetrare nell’operare di Dio» 169. In questa «vicinanza» il genio è «rapito» e condotto a concepire nella propria anima «santamente aperta l’intima vita dell’universo» 170 – macrocosmo –, e a dare forma esterna, dalla propria interiorità, alla totalità, in una sorta di «finito applicato all’infinito» 171. Il terzo e ultimo motivo dell’estetica, sulla scia della manifestazione del fondo, per sé luminoso, dell’essere, è il motivo della cavriı. Essa è il nome della bellezza trascendentale. Von Balthasar la rintraccia lungo tutto il percorso della storia del pensiero occidentale. Essa è apparsa in Pindaro nello splendore della gioventù vincente 172 e nel corso della storia ha acquistato una sempre maggiore ricchezza semantica: è divenuta «benevolenza degli dèi», «leggiadria, dignità, splendore, favore, grazia, ringraziamento tutto insieme». Essa biblicamente si «tenderà dall’erotismo del Cantico dei cantici e dai salmi di nozze (...) fino alla giustificazione del peccatore, per pura charis, non più comprensibile da punti di vista umani» 173. La charis come miracolo della grazia che ci viene incontro resta a tal punto mistero che la “scienza esatta” difficilmente vi 167 168 169 170 171 172 Von Balthasar cita l’estetica idealistica di Croce (ibid.). Ibid., p. 538. Ibid., p. 537. Ibid., p. 538. Ibid., p. 539. Gloria IV, pp. 87-95. «Il grande momento della vincita, che è riuscita come una grazia unitamente all’eroe e, con lui, alla sua origine, la polis, la nobile sua schiatta, e indietro fino alle sue origini semidivine-divine, tutta intera la Grecia (anzi tutta intera l’esistenza), viene innalzato nello splendore scintillante della vittoria» (ibid., pp. 87-88). 173 Gloria V, p. 541. 436 Arte ed esperienza artistica nel pensiero di Hans Urs von Balthasar... si cimenta. (...) È più memoria e promessa che presenza reale, più avvertimento che dono, qualcosa che si lascia afferrare e che subito si sottrae (...), non dunque afferrabile e comprensibile nella sua natura particolare e cioè in modo “esattamente scientifico”, ma interpretabile unicamente a partire dall’essere che come dall’alto l’avvolge. Se il momento della bellezza è sempre frammento, allora lo è di certo anche la charis che brilla solo all’interno dell’irrisolvibile differenza dell’essere ed è più che tutto ciò che sorgivamente trapela attraverso quest’apertura. Dove non c’è più reminiscenza del mistero dell’essere, essa immerge chi la guarda nella malinconia 174. Epifavneia, poivhsiı e cavriı sono i tre motivi della bellezza trascendentale. In essi vive non solo l’arte, ma ogni manifestazione, la quale irradia per grazia la luce dell’essere e dal fondo di questa illuminazione chiede partecipazione, dello spirito, al respiro dell’Assoluto. Ma se verità e bontà si sono spesso dimenticate di questo senza fondo che le fonda, dà loro profondità e le garantisce nella loro luminosità, l’arte non può farne a meno: la Gestalt esprime l’intenzione infinita della sua grazia. Le interpretazioni (...) vanno e vengono, la Gestalt resta. L’arte consiste nel saper restare assieme alla Gestalt 175. GIANLUCA FALCONI 174 175 Ibid., pp. 541-542. Gloria I, p. 581.