CONVEGNO NAZIONALE SNOP BARI, 27-28 aprile 2006 La prevenzione tra evidenza, devolution, leggi delega e direttive comunitarie Rivista trimestrale della Società nazionale degli operatori della prevenzione Editore: Snop Società nazionale operatori della prevenzione - Via Prospero Finzi, 15 - 20126 Milano www.snop.it Supplemento al numero 67 maggio 2006 Direttore responsabile: Claudio Venturelli Direttore: Alberto Baldasseroni Direttore editoriale: Eva Benelli Comitato scientifico di redazione: Alberto Baldasseroni, Maria Elisa Damiani, Sara Franchi, Paolo Lauriola, Gianpiero Mancini, Luca Pietrantoni, Luigi Salizzato, Domenico Taddeo, Claudio Venturelli, Luciano Venturi Redazione: Paolo Gangemi, Stefano Menna, Anna Maria Zaccheddu Grafica e impaginazione: Corinna Guercini Copertina: Bruno Antonini Zadigroma, via Monte Cristallo, 6 - 00141 Roma tel. 068175644 e-mail: [email protected] Stampa: Tipografia Graffiti srl - Pavona (Roma) Abbonamento annuale per 4 numeri: 26,00 euro c/c postale n. 36886208 intestato a Snop Indicare la causale del versamento e l’indirizzo a cui spedire la rivista Singolo numero: 10,00 euro Autoriz. Tribunale di Milano n. 416 del 25/7/86 Tariffa regime libero: Poste Italiane SpA sped. in abbonamento postale 70% DRCB Roma. L’editore Snop, titolare del trattamento ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. 196/2003, dichiara che i dati personali degli abbonati non saranno oggetto di comunicazione o diffusione e ricorda che gli interressati possono far valere i propri diritti ai sensi dell’articolo 7 del suddetto decreto. Ai sensi dell’art. 2 comma 2 del Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, si rende nota l’esistenza di una banca dati personali di uso redazionale presso Zadigroma, via Monte Cristallo 6. Responsabile trattamento dati: Angelo Todone. I dati necessari per l’invio della rivista sono trattati elettronicamente e utilizzati dall’editore Snop per la spedizione della presente pubblicazione e di altro materiale medico-scientifico. 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Si ringraziano: Regione Puglia Provincia di Bari Comune di Bari indice 27 aprile Prima sessione La prevenzione nel terzo millennio tra contesto locale e contesto globale 7 Domenico Taddeo La normativa italiana di sicurezza: prospettive di attuazione e di coordinamento, nel contesto istituzionale italiano ed europeo Carlo Smuraglia La prevenzione nelle politiche regionali: tra i piani sanitari regionali e il Piano nazionale della prevenzione 9 12 Paolo D’Argenio Costi e risultati della prevenzione nella pianificazione regionale: l’esperienza della Regione Veneto Luciano Marchiori 14 Il Progetto mattoni: per un linguaggio comune dei sistemi informativi sanitari Giuliano Tagliavento 17 Le risorse delle Regioni per i piani della prevenzione degli infortuni sul lavoro Fulvio Longo, Susanna Cantoni 21 La semplificazione è cominciata: i risultati della prevenzione basata sull’evidenza scientifica Massimo Valsecchi 25 27 aprile Seconda sessione La prevenzione, la multidisciplinarietà e le nuove professioni tecnico sanitarie: modelli organizzativi a confronto Andrea Dotti Tavola rotonda 29 30 Interventi di: Luigi Ambrosi, Mauro Antonio Buzzoni e Giuseppe Nano 28 aprile Terza sessione Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione L’acqua: il diritto alla vita per tutti 33 Riccardo Petrella Impatto della globalizzazione sulla salute: il ruolo chiave della Wto Angelo Stefanini 35 Le produzioni animali, la fame e la povertà nel mondo Adriano Mantovani Prevenire le malattie croniche: un investimento di importanza vitale sia per i Paesi ricchi che per quelli poveri 37 41 Paolo D’Argenio Influenza aviaria: perché la globalizzazione ci ha reso più vulnerabili Edoardo Altomare 43 Lavoro, precarietà, salute Pietro Curzio 45 I riflessi della globalizzazione sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori Fabio Capacci, Francesco Carnevale 48 Gli infortuni lavorativi e le malattie professionali degli stranieri immigrati in Italia Claudio Calabresi 51 Un mondo organizzato può fare a meno dell’organizzazione nel lavoro? Cinzia Frascheri 59 28 aprile Quarta sessione La sicurezza in campo alimentare Gli aspetti qualitativi del dossier Apicius per la valutazione del controllo e della sicurezza alimentare Claudia Dellisanti, Alberto Baldasseroni 62 Valutazione e gestione integrata del rischio nell’agroindustria Maria Francesca Pandolfini, Marina Fridel, Oscar Tani 65 Cinque enti riuniti in un progetto sulle intolleranze alimentari a Benevento Ersilia Palombi 66 Le aflatossine: dall’alimentazione animale alla salute del consumatore Cinzia Pieroni 67 Indagine sulle abitudini e sui consumi alimentari in un gruppo di addetti alle industrie Vincenzo Calvaresi, Marilena Capecci, Manuela Nicolucci, Paola Puliti, Benedetta Rosetti, Susanna Speca 68 Contaminazione da protozoi nelle vongole del mare Adriatico: quale rischio per il consumatore? Annunziata Giangaspero, Umberto Molino 69 Libro bianco Ue 2000: regolamento CE 178/2002 – sicurezza alimentare Cosimo Nicola Pagliarone, Francesco Latorre 70 Relatori e moderatori del convegno 71 27 aprile prima sessione 27 aprile La prevenzione nel terzo millennio tra contesto locale e contesto globale plesso e trasversale, anche grazie ai tanti e rinnovati contatti e alle nuove collaborazioni intraprese. Domenico Taddeo Dieci o quindici? quattro anni dal precedente congresso nazionale Snop di Caserta (“La prevenzione che cambia, la prevenzione che cresce: riforma federale del sistema sanitario pubblico”) abbiamo deciso che quello del 2006 avrebbe dovuto intitolarsi “La Prevenzione del terzo millennio tra contesto locale e globale”. Una scelta che nasce dall’evolversi del contesto e delle necessità per chi si occupa di prevenzione e di salute pubblica. E lo dimostra anche il lavoro della nostra associazione degli ultimi anni, sia per quanto riguarda le attività di formazione che per quelle di divulgazione: convegni, seminari, rivista e sito web. I temi sono stati A i più svariati: sicurezza alimentare e stradale, aspetti di programmazione sanitaria locale, prevenzione basata sull’evidenza, programmazione per obiettivi e utilizzo appropriato delle risorse disponibili, influenza aviaria (molto prima di quella “mediatica”), cancerogeni professionali e normazione europea e nazionale, sicurezza in edilizia, ergonomia e rischi professionali emergenti, politiche regolatorie in termini di prevenzione e salute, rapporti tra figure professionali della prevenzione. Il programma del convegno Snop del 2006 ha l’ambizione di offrire un contenitore privilegiato per affrontare questo panorama così com- L’impegno che cerchiamo di sviluppare e sollecitare deriva dalla definizione di sanità pubblica proposta dall’Oms nel 1996: «l’insieme degli sforzi organizzati dalla società per sviluppare politiche per la salute pubblica, la prevenzione delle malattie, la promozione della salute e per favorire l’equità sociale nell’ambito di uno sviluppo sostenibile». Da questo impianto deriva la necessità di realizzare un controllo dei determinanti di salute con il miglioramento sia degli stili di vita, sia delle condizioni di vita rilevanti ai fini della salute. La promozione della salute non considera soltanto quegli interventi mirati a rafforzare le conoscenze e le capacità individuali, ma anche quelle misure in grado di modificare le condizioni economiche e ambientali (fattori determinanti) e di incidere positivamente sulla salute dell’individuo e della popolazione. La riforma costituzionale varata dal Governo e approvata dal Parlamento nella legislatura 2001-2006 costringe a misurarsi con il rapporto tra federalismo e centralismo e livelli di tutela da garantire. La sensazione generale è che questa produzione legislativa desti preoccupazioni per il futuro di un diritto alla salute egualitario. Nel nostro Paese la politica della salute è caratterizzata da un evidente egoismo regionalistico e da uno scarso interesse nazionale. Un orientamento che non è estraneo alla discussione in sede di Commissione europea sui nuovi criteri di produzione legisla7 tiva. L’Europa discute sempre più di competizione globale e adeguamento della normativa europea, che deve essere sempre più soft e non indebolire l’economia. La discussione sulla direttiva Bolkestein ne è una dimostrazione lampante: far diventare le asimmetrie economiche e le asimmetrie delle tutele un fattore di produzione. L’Europa delle statistiche, anche di salute, tende a confondere l’Europa dei 15 con l’Europa dei 15 più 10. La politica del governo europeo dovrebbe invece indulgere ad aumentare diffusamente le tutele. Questo è un quadro che ci preoccupa, per l’evidente effetto devastante della globalizzazione, che in sé non è una condizione negativa. La globalizzazione può essere positiva per la diffusione delle informazioni e delle buone pratiche tra i vari Paesi, ma anche per la cooperazione che potrebbe mettere le popolazioni in grado di «sviluppare politiche per la salute pubblica, la prevenzione delle malattie, la promozione della salute e per favorire l’equità sociale nell’ambito di uno sviluppo sostenibile». Come 8 sostiene l’Oms, il diritto a una sana alimentazione, all’acqua e a un lavoro garantito e sicuro sta diventando invece un’altra cosa. L’alimentazione è a rischio per quantità (sia per gli eccessi che per i difetti) e qualità: il controllo pubblico tende a essere surrogato solo a forme di autocontrollo. Per quanto riguarda il diritto all’occupazione, cresce la quota delle forme di lavoro precario, mentre le condizioni di salute e sicurezza, per quanto siano migliorate, non hanno raggiunto i livelli auspicati. Le asimmetrie tra l’Europa dei 15 e l’Europa dei 15 più 10 sono ancora evidenti. Globalizzazione distorta Fuori dal quadro europeo, gli studi dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) confermano la progressiva concentrazione dei danni alla salute nei Paesi più poveri ma ad alto tasso di accoglienza di attività produttive (leggasi trasferimento dei rischi) dai Paesi più sviluppati. Recenti studi sulla distribu- zione e commercializzazione dell’acqua per uso alimentare hanno evidenziato le assurdità ambientali di una commercializzazione a distanza: dalla Finlandia, una bottiglietta d’acqua per l’Arabia Saudita percorre 4300 Km prima di giungere a destinazione. Gli esperti hanno cercato di calcolare il consumo di energia fossile per produrre il contenitore di quella bottiglietta di plastica e per trasportarla e hanno individuato una notevole diseconomia di ciclo e una diseconomia ambientale ancora più forte. Ecco perché il ciclo dell’acqua sarà uno dei protagonisti del congresso di Bari. L’operatore medio dei servizi pubblici e l’operatore che agisce in termini di prevenzione in ambito privato subiscono direttamente gli effetti di questa globalizzazione distorta: la progressiva riduzione delle risorse nelle Regioni tradizionalmente più forti e la mancanza assoluta in quelle più deboli, ad alto tasso di spese per la sanità. Chi fornisce servizi alle imprese, e il mondo della produzione in genere, spes- so si autocensura: anche se non apertamente condizionato dal produttore, fa meno del dovuto per i condizionamenti indiretti. In questo congresso vogliamo affrontare tutti questi temi insieme a quelli delle risorse impegnate per la prevenzione, per ribadire i termini dell’appropriatezza sia nelle scelte di programmazione sia nell’uso adeguato delle risorse. Questo punto di vista non è promosso in una visione economicistica dello spendere meno per attività di salute pubblica e prevenzione, ma di spendere in maniera adeguata, potenziando quelle attività che tendono oggi a restare periferiche e poco praticate. Nel nostro quadro nazionale riteniamo che il punto di vista degli osservatori di campo, gli operatori della prevenzione, debba essere tenuto in debito conto nelle scelte di regolazione insieme a quello degli utenti. Le esperienze sviluppate a livello regionale, riproposte dai momenti di coordinamento delle Regioni, devono poter contare nel contesto dei passaggi di normazione legislativa. La prevenzione tra evidenza, devolution, leggi delega e direttive comunitarie La normativa italiana di sicurezza: prospettive di attuazione e di coordinamento, nel contesto istituzionale italiano ed europeo Carlo Smuraglia n tema di sicurezza e igiene sul lavoro, il nostro Paese dispone di un quadro normativo tra i più completi d’Europa. Si parte dall’articolo 2087 del Codice civile (1942), disposizione di valore fondamentale perché impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie per tutelare l’integrità fisica dei lavoratori. Successivamente, sono stati emanati i decreti del 1955 e del 1956 in tema di prevenzione e igiene, estremamente particolareggiati e certamente dotati di una reale validità se hanno potuto svolgere per tanti anni la loro funzione e mantenerla anche dopo l’entrata in vigore di importanti provvedimenti di derivazione comunitaria. Con il Decreto legislativo 626 del 1994 sono state attuate, in ritardo, ben otto direttive comunitarie, fra cui quella cosiddetta quadro. L’importanza di questo decreto è stata enorme, così come l’impatto sul sistema, anche sotto il profilo cultu- I rale, per la sua filosofia del tutto innovativa. Ci sono state numerose integrazioni successive sulla base delle direttive comunitarie che sono state introdotte, generalmente con un certo ritardo, anche nel nostro sistema (cantieri, attrezzature, segnaletica, dispositivi di protezione individuale, industria estrattiva, lavoro marittimo e portuale, radiazioni, agenti cancerogeni, lavoro notturno, protezione dei giovani nel lavoro, agenti chimici). In aggiunta, sul finire della precedente legislatura, c’è stato un fiorire di provvedimenti legislativi, tra cui quelli relativi agli incentivi per le imprese. Le difficoltà del Testo unico Un sistema, dunque, assai complesso ed esauriente, contrassegnato peraltro da una certa incoerenza, trattandosi della fusione, e talvolta della sovrapposizione, di regole e principi emanati in epoche diverse e spesso ispirati a filosofie di fondo tutt’altro che coincidenti. È questa la ragione per cui nella tredicesima legislatura si è tentato di realizzare un Testo unico, non solo compilativo, ma anche innovativo. Un tentativo fallito per le difficoltà e le opposizioni assai consistenti di varie parti in gioco. Stesso scenario per la legislatura che si sta concludendo, in cui il Governo ha predisposto un nuovo progetto di Testo unico, ritirato a seguito delle numerose critiche subite. Ma non è questo l’unico problema. A fronte di un sistema normativo così ampio e complesso, ci si potrebbero logicamente attendere risultati di particolare rilievo. Purtroppo, non è così. In concreto, il sistema non riesce a dimostrare un’efficacia veramente decisiva sul piano dell’abbattimento sostanziale di fenomeni gravi e drammatici come gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Certo ci sono alcuni sintomi di miglioramento, ricavabili dai dati disponibili, per non scadere nello scoramento o in un altrettanto pericoloso fatalismo, dopo i tanti sforzi compiuti nel secolo scorso proprio per combattere la teoria della fatalità che tanto successo aveva riscosso sul finire dell’Ottocento. Tuttavia, non è il con- 1 a sessione 27 aprile teggio aritmetico dei dati che può convincerci dell’efficienza del sistema, se non è possibile constatare che ci si trova di fronte a una vera e propria svolta. È certamente in errore chi continua ad attribuire tutte le colpe al decreto 626/94, che invece ha grandissimi meriti. Il monitoraggio effettuato dalle Regioni, la cui relazione è stata presentata nel novembre 2003, indica invece motivi ben diversi e assai concreti. Non è in discussione la validità della norma e del percorso metodologico e culturale che le è sotteso, ma occorre invece agire per favorire il raggiungimento di una sua concreta ed efficace applicazione in tutte le aziende italiane. E questo non basta, perché il rapporto segnala ancora il mancato decollo di quella “filosofia partecipativa” che è tra i fondamenti del sistema delineato nelle direttive comunitarie. Inoltre, sottolinea la necessità di rafforzare tutto il sistema della prevenzione, oltre a quello dei controlli, che hanno bisogno di una seria e valida programmazione e che non debbono avere solo carattere repressivo, indicando l’informazione e la formazione come veri punti deboli e infine segnala la difficoltà di fare entrare i programmi e le misure di 9 sicurezza in un vero siste- del lavoro», per ottenere ma complessivo di gestione «un consolidamento della cultura della prevenzione», delle aziende. per realizzare la finalità di una completa ed efficace tutela, non solo e non tanto Ripartire della salute quanto del «bedall’esperienza nessere nel luogo di lavoro». È dunque giusto porre ma- Peraltro, occorre ribadire la no, con la nuova legislatu- priorità di definire i rapporra, a un nuovo e diverso ti tra gli organi centrali delprogetto di Testo unico, ma lo Stato e le Regioni. Ci trooccorrono anche interventi viamo infatti in una situadi carattere amministrativo zione piuttosto singolare. e finanziario. È necessario Vige tuttora la riforma delinserire ogni tipo di inter- l’articolo 117 della Costituvento nel contesto comples- zione, approvata nel nosivo degli orientamenti e vembre 2001, secondo la delle indicazioni strategi- quale la sicurezza del lavoche dell’Unione europea. ro è attribuita alla potestà Per quanto riguarda il Te- legislativa concorrente delsto unico, è indubbio che bi- le Regioni. Intanto, però, il sognerà partire dalle espe- Parlamento ha approvato rienze compiute nel corso una legge di riforma della della tredicesima legislatu- Costituzione che riconduce ra e tenere conto anche di questa materia nell’ambito quella (negativa) compiuta della legislazione esclusiva nel corso della quattordice- dello Stato. Questa legge sarà sottoposta a referensima. Un Testo unico deve mirare dum e dunque solo quando all’unitarietà della filosofia ne sarà noto l’esito si potrà e degli intenti, a un coordi- porre mano al Testo unico, namento delle norme esi- per non incorrere in rilievi stenti che rappresenti un analoghi a quelli che la Corpasso avanti sulla via di te dei conti ha formulato sul una prevenzione più effica- progetto governativo, elace e non una battuta di arre- borato nella quattordicesisto. Deve semplificare gli ma legislatura e poi ritirato. aspetti burocratici e ammi- Ritengo che debba essere nistrativi, ma senza abbas- seriamente valutato il lavosamenti dei livelli di tutela e ro che le Regioni possono ribadire con chiarezza che il compiere in questo settore, fondamento del sistema sta nella direzione del miglioranella norma dell’articolo mento del sistema e dell’a2087. Deve affrontare con deguamento, in positivo, forza il problema dell’orga- alle specifiche realtà econonizzazione del lavoro come miche e sociali. Ma sono fattore primario di rischio e altrettanto convinto che i tener conto delle indicazioni fondamenti del sistema più recenti che provengono debbano essere delineati a dall’Ue, per «individuare livello centrale, non solo per una nuova strategia unita- l’estrema delicatezza della ria, per la salute e la sicu- materia, ma anche per la rezza», per «accompagnare necessità di far fronte adele trasformazioni del mon- guatamente agli impegni do produttivo e del mondo comunitari e per evitare 10 ogni pericoloso fenomeno guarda queste, la frammentazione operata con la legge di dumping sociale. 30 e il decreto 276 del 2003 deve essere razionalizzata, perché non è affatto detto Testo nuovo, che la flessibilità debba neproblemi nuovi cessariamente condurre alComunque, il problema do- la precarietà. In ogni caso, vrà essere affrontato in mo- bisogna rendersi conto che do più approfondito quando le misure previste per il lasarà risolta la questione isti- voro “tradizionale” non postuzionale. Intanto, c’è l’esi- sono essere estese tout genza di mettere mano ad court ai lavori cosiddetti atialtri interventi (amministra- pici, per i quali invece vantivi, finanziari, normativi), no “inventate” misure adeper combattere meglio un guate e specifiche, ben al di fenomeno che continua a es- là delle scarsissime e ineffisere gravissimo. Occorrono cienti previsioni contenute innanzitutto misure e stan- nel citato Decreto 276. ziamenti adeguati per Per quanto riguarda poi i rafforzare tutti gli organi- nuovi rischi collegati all’atsmi della prevenzione, non- tività produttiva, l’accento ché quelli della vigilanza, posto dalla Commissione ma anche interventi e stan- dell’Ue sulle nuove strateziamenti per sostenere pro- gie da adottare conduce negrammi di adeguamento al- cessariamente a rafforzare la normativa di sicurezza l’attenzione sull’organizzapredisposti da piccole im- zione del lavoro e non solo prese che dimostrino serietà per ciò che attiene ai rischi di intenti, ma abbiano an- già noti (monotonia, ripetiche difficoltà economiche. tività, eccessività dei ritmi Bisogna attuare e rendere di lavoro), ma anche per praticabili le misure neces- quanto attiene a quelle “cosarie per ottenere una pro- strittività” collegate anche fessionalizzazione piena di alle relazioni interpersonali tutti coloro che hanno a che all’interno delle aziende, fare con la sicurezza e l’igie- sulle quali si è aperta, più di ne sul lavoro. Ma occorre recente, un’ampia discusanche riprendere i provvedi- sione, collegata ai fenomeni menti che erano stati esami- del mobbing e delle molestie nati, ma non condotti a ter- sessuali sul lavoro. Non mine, nel corso della tredi- sarà facile, anche perché socesima legislatura per una no intuibili le resistenze che migliore tutela dei rappre- verranno fatte a ogni iniziasentanti dei lavoratori per tiva. Ma non è possibile rila sicurezza e per uno svi- nunciare a intervenire su un luppo ulteriore degli organi- settore così delicato e tanto smi paritetici, già previsti meno a lasciarlo soltanto dalla legge 626. Soprattutto, agli interventi giurispruperò, è necessario garantire denziali, necessariamente prevenzione e sicurezza sui limitati ai casi specifici. due fronti più rilevanti: da Va segnalata, comunque, un lato le nuove tecnologie e l’attenzione che anche l’Al’organizzazione del lavoro, genzia europea per la sicudall’altro le nuove tipologie rezza e la salute sul lavoro di lavoro. Per quanto ri- sta concentrando su questi La prevenzione tra evidenza, devolution, leggi delega e direttive comunitarie problemi. Nel più recente documento programmatico, l’Agenzia inserisce tra le priorità gli «interventi organizzativi per migliorare l’ambiente psicosociale del lavoro», con i quali ci si propone di affrontare le tematiche dello stress legato al lavoro e quelle della violenza fisica e psicologica. E non va dimenticata l’attenzione che l’Agenzia dedica all’equilibrio tra il lavoro e il tempo libero, soprattutto nel nostro Paese, che ha lasciato cadere in questi anni il riferimento agli ambienti di vita e di lavoro, che era uno dei cardi- ni della legge di riforma sanitaria del 1978. Infine, credo nella necessità di riprendere il discorso sulla responsabilità amministrativa delle imprese, che potrebbe davvero rappresentare un grande salto di qualità per tutta la nostra materia. La legge 300 del 2000 aveva conferito una delega al Governo, che comprendeva anche la sicurezza e l’igiene sul lavoro, che è stata lasciata incomprensibilmente cadere, almeno per questa parte. Bisognerà tornare al primo intento, tenendo conto anche delle importanti esperienze che si sono realizzate nei settori in cui la delega è stata utilizzata. Per concludere, c’è davvero molto lavoro da fare, anche per ricollocare i problemi della sicurezza e dell’igiene del lavoro tra le priorità dell’agenda politica. Certo, non tutto può essere rimesso agli organi istituzionali. Se è vero che occorre rafforzare soprattutto la cultura della prevenzione, sarà determinante il contributo delle organizzazioni sindacali, delle associazioni che si occupano di questa materia, degli operatori e degli studiosi. Solo da una strategia unitaria e dalla mobilitazione di tutte le forze disponibili può derivare un impegno collettivo per affrontare e avviare verso la soluzione un problema rilevante prima di tutto sul piano umano e sociale. Impegno che però deve essere collocato correttamente anche nella dimensione economica, tenendo conto del fatto che ormai si riconoscono comunemente, in Europa, gli effetti che la qualità del lavoro e la “non qualità sociale” possono avere sulla stessa competitività a livello mondiale. 1 a sessione 27 aprile 11 La prevenzione nelle politiche regionali: tra i piani sanitari regionali e il Piano nazionale della prevenzione Paolo D’Argenio revenzione delle malattie cardiovascolari e delle complicanze del diabete, screening oncologici, vaccinazioni e prevenzione degli incidenti: un vero poker d’assi per la sanità pubblica. Sono questi infatti gli ambiti d’azione del Piano nazionale della prevenzione 2005-2007, che è parte integrante dell’intesa tra Stato, Regioni e Province autonome del 23 marzo 2005. Oltre a delineare le finalità generali per ciascuno di questi ambiti, l’Intesa affida al Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) non solo le funzioni di indirizzo, ma anche il coordinamento e la verifica delle attività. P Una sfida nuova Per il Sistema sanitario nazionale si tratta di una sfida senza precedenti. Non c’è dubbio che malattie cardiovascolari e diabete, una malattia in considerevole aumento e con complicanze spesso devastanti, siano problemi di salute prioritari. 12 Lo stesso vale per gli incidenti, le vaccinazioni e gli screening oncologici, la cui offerta è fortemente squilibrata nel Paese. Finora, però, non era stato mai stato affermato così chiaramente, e a un livello istituzionale tanto impegnativo, che la prevenzione è un’arma essenziale per affrontare sul lungo periodo questi problemi diffusi, gravi e costosi. D’altro canto, il Piano propone una metodologia che tiene conto in modo esplicito della riforma del Titolo V della Costituzione: l’Intesa Stato-Regioni individua le priorità, prendendo atto che ciascuna Regione, pur tenendo conto delle realtà locali, dovrà seguire le linee operative definite dal Ccm, che funziona così come un elemento di integrazione e coordinamento. Istituito da poco più di un anno, il Ccm ha proprio come caratteristica fondamentale quella di lavorare per costruire reti di collaborazione in tutto il Paese, tra centri regionali e istituti centrali. Ha così predisposto strategie e progetti per prevenire le malattie croniche, esten- dere la copertura vaccinale e attuare sistemi di sorveglianza e risposta rapida contro le principali minacce per la salute dei cittadini, dalle emergenze ambientali alla minaccia di una nuova pandemia influenzale. Il Piano nazionale della prevenzione adotta quella che si può definire una logica di sviluppo. Innanzitutto è necessaria una certa elasticità: gli interventi attuati dovranno essere capaci di evolversi e migliorare attraverso il ciclo della pianificazione e della valutazione. Inoltre, si dovranno coinvolgere non soltanto le Aziende sanitarie di punta del Sistema sanitario nazionale, ma tutte le aree del Paese, in particolare quelle più disagiate, per migliorare l’offerta locale nei servizi di prevenzione. Infine, la messa a regime degli interventi richiederà, ovviamente, una certa gradualità. L’Intesa chiama dunque a uno sforzo di sistema, che potrà realizzarsi grazie all’attivazione di due linee di collaborazione convergenti: da una parte le istituzioni regionali dovranno pianificare e mettere in campo delle risorse, oltre alla capacità di confrontarsi e coordinarsi, dall’altro il mondo professionale e scientifico dovrà cogliere il Piano come una grande opportunità di migliorare la qualità degli interventi. Il ruolo del Ccm Oltre a fare da bussola nell’orientamento degli indirizzi, il Ccm deve fornire assistenza tecnica e valutare l’attuazione dei Piani regionali. Per farlo deve attrezzare una sorta di retrovia organizzativa e scientifica, acquisendo la collaborazione dei centri di competenza esistenti nel Paese. Per esempio, nel campo degli screening oncologici, i centri screening delle Regioni più avanzate hanno costituito un network chiamato Osservatorio nazionale screening. Il Ccm ha avviato un’intensa collaborazione con questo organismo, che rappresenta uno dei pilastri su cui si regge il Piano nazionale screening. D’altro canto, per gli screening è necessario che siano disponibili delle linee guida organizzative, per cui è stato necessario avvalersi di comitati di esperti composti da rappresentanti del mondo scientifico e delle categorie professionali interessate. Infine, gli screening costituiscono un tipo di intervento in cui diverse discipline si confrontano: già da molti anni sono sorti gruppi La prevenzione tra evidenza, devolution, leggi delega e direttive comunitarie scientifici interdisciplinari molto validi come il Gisci (Gruppo italiano per lo screening citologico cervicale), a cui partecipano patologi, ginecologi ed epidemiologi, il Giscor (Gruppo italiano per lo screening colorettale) e il Gisma (Gruppo italiano per lo screening mammografico). Grazie a questo insieme di competenze organizzate, i pianificatori regionali sono in grado di muoversi e di ottenere eventualmente l’appoggio necessario. Inoltre, queste competenze consentono la valutazione dei Piani regionali tenendo conto di diversi parametri fondamentali: la coerenza del progetto al suo interno e rispetto alle linee operative fornite dal Ccm; la coerenza delle azioni presenti all’interno dei progetti e l’eventuale mancanza di attività indispensabili; la modalità di monitoraggio e valutazione del progetto durante il suo corso; l’attuazione dei Piani regionali. Lungo il percorso pianifica- to vengono individuate delle tappe intermedie, il cui raggiungimento viene verificato ogni sei mesi. In questo modo la riuscita del Piano è misurata in base alla specifica realtà regionale, utilizzando standard diversi a seconda delle caratteristiche dei singoli progetti e del contesto locale. 1 a sessione 27 aprile 13 Costi e risultati della prevenzione nella pianificazione regionale: l’esperienza della Regione Veneto Luciano Marchiori partire dal 1999, la pianificazione della Regione Veneto in materia di salute e sicurezza del lavoro si è basata, all’interno di uno scenario generale di contrazione delle risorse, sui principi dell’evidenza della prevenzione, del miglioramento della qualità del lavoro e del coinvolgimento degli stakeholder. Alla base della riflessione e della progettazione ci sono stati diversi elementi: i vincoli e le criticità evidenziati dalla Commissione d’indagine del Senato, in particolare la disomogeneità dell’azione di vigilanza delle Ulss e la mancanza di politiche nazionali e regionali in materia di sicurezza del lavoro; il quadro epidemiologico regionale relativo agli infortuni, alle malattie e ai tumori professionali; la necessità di incrementare efficacia ed efficienza del sistema regionale pubblico di prevenzione negli ambienti di lavoro e di ricercare una maggiore omogeneità delle pratiche di lavoro dei Servizi. In questo quadro, la pianificazione regionale ha previsto diverse linee di inter- A 14 vento. Innanzitutto l’incremento dei livelli di sicurezza e protezione della salute attraverso la vigilanza per il rispetto delle normative sulla sicurezza negli ambienti lavorativi, soprattutto in quelle che si possono definire le priorità epidemiologiche (edilizia, metalmeccanica, agricoltura, trasporti, amianto). In secondo luogo, la promozione degli stili di vita salubri finalizzati alla riduzione del rischio di malattia e compromissione della salute in senso lato attraverso programmi per il miglioramento dell’attività fisica e della nutrizione, il controllo del peso, la riduzione dello stress e l’abolizione del fumo. In terzo luogo, la promozione di politiche sociali di controllo dei determinanti di salute attraverso la comunicazione sociale del rischio, la condivisione e il coinvolgimento attivo di parti sociali, enti e istituzioni. L’obiettivo è promuovere e facilitare la formazione di reti attive e indipendenti nel campo della prevenzione sul lavoro. Questa politica si basa sulla consapevolezza che le condizioni di sicurezza del lavoro dipendono principalmente da determinanti di natura politica, culturale, economica e sociale, solo in parte modificabili con interventi di prevenzione sanitaria. Infine, un’impostazione globale del benessere sul luogo di lavoro, considerando sia le trasformazioni del mondo del lavoro, sia l’insorgenza di nuovi rischi, nell’ottica del miglioramento della qualità e del benessere sul lavoro quali fattori di competitività economica e sviluppo sociale. Progetti a confronto Sono stati così avviati progetti finalizzati al miglioramento delle principali attività di lavoro degli Spisal orientate verso i principali problemi di sicurezza e salute. Gli interventi di prevenzione sono stati pensati per i comparti produttivi a maggior rischio (metalmeccanica, edilizia, agricoltura, trasporti, legno). A conclusione del monitoraggio sullo stato di attuazione della legge 626, sono stati sviluppati dei sistemi di gestione della sicurezza aziendale, cercando di sviluppare un modello di vigilanza che comprendesse non solo il controllo degli aspetti tecnici della sicurezza sul la- voro e sulla loro rispondenza stretta a specifici articoli di legge, ma anche un audit analitico sui sistemi organizzativi e gestionali, verificandone la capacità di assicurare, monitorare, valutare, migliorare e mantenere nel tempo la sicurezza e l’igiene dell’ambiente di lavoro. Nello sviluppo del benessere organizzativo, il moderno concetto di salute cerca di superare la dicotomia tra individuo e organizzazione, evidenziando come entrambi siano attori e responsabili della salute. Allo studio dei “classici” rischi fisici, chimici, biomeccanici e biologici si è quindi affiancato quello dei cosiddetti rischi psicosociali, che riguardano variabili legate al clima organizzativo e agli stili di convivenza sociale. Inoltre, sono stati creati il Centro di riferimento regionale per l’ergonomia occupazionale, che ha sperimentato interventi di ergonomia in aziende di diversi comparti (macellazione delle carni avicole, abbigliamento, assemblaggio lampadari, legatoria, servizi di lavanderia, assemblaggio dei ferri da stiro, occhialeria), e il Centro regionale di epidemiologia occupazionale, finalizzato alla gestione dei flussi informativi Inail, al loro utilizzo a fini preven- La prevenzione tra evidenza, devolution, leggi delega e direttive comunitarie regionale e Servizi territo- edilizia è aumentato di oltre I numeri riali è irrinunciabile. il 100%, passando da 1308 del successo Accorciare le distanze tra cantieri a 2998. strategia e “linea di produ- Un altro beneficio interno è In termini di salute, la valuzione” ha comportato una stato il sistema del project tazione dei benefici della struttura organizzativa più management quale stru- pianificazione regionale snella e flessibile, capace di mento operativo per la pro- può essere effettuata solo reagire ai cambiamenti gettazione, la pianificazio- considerando l’andamento esterni dal punto di vista ne, la realizzazione e il degli indici infortunistici o non solo legislativo, ma an- monitoraggio delle attività di malattia, in un contesto che da quello delle esigenze di prevenzione degli Spisal. generale di ordine macrodel mondo del lavoro, in Questo percorso ha richie- economico all’interno del continua evoluzione. L’or- sto un forte investimento quale è inserita l’azione del ganizzazione funzionale, culturale sulle persone, per piano e delle reti sociali di che ha costituito uno dei sviluppare il project mana- supporto implementate. I punti di forza (ma anche gement come strumento per benefici sono quindi di ordiuna delle maggiori diffi- il miglioramento gestionale. ne generale per la colletticoltà iniziali) della pianifi- La pianificazione triennale vità, non ripartibili in quote cazione, rappresenta un’e- ha trovato uno dei propri percentuali di merito, ma sperienza di organizzazione punti di forza nel consolida- importanti in termini di sapiatta, in cui il potere deci- mento di “reti di lavoro” lute e di riduzione dei costi. sionale è stato spalmato, allargate a tutti i soggetti In quest’ottica, è significatinelle sue componenti opera- che a vario titolo contribui- vo il calo dell’11,1% degli tive, sulla “periferia”. Il pro- scono alla promozione della infortuni denunciati in Veblema è stato così avvicina- salute negli ambienti di neto tra il 1999 e il 2004. Dato alla soluzione, a vantag- lavoro, in particolare asso- to ancor più importante se gio della riduzione dei tem- ciazioni datoriali, organiz- si considera che la base di pi di reazione del sistema zazioni sindacali, univer- lavoratori assicurati all’Icomplessivo. sità, Servizi delle Aziende nail è aumentata di oltre A parità di risorse, il siste- Ulss, Ispesl, Inail. Questo l’1% all’anno, compresi gli ma Spisal è stato orientato ha permesso la sperimenta- infortuni in itinere, come inverso interventi di maggior zione di progetti di ricerca dicato nella tabella. efficacia (riduzione delle vi- del ministero della Salute e In questo periodo, il tasso site ai minori, aumento del dell’Ispesl di pratiche di di incidenza nei comparti numero di inchieste infor- lavoro innovative, come per oggetto della pianificazione mative con verbale di pre- esempio la sorveglianza dei regionale (edilizia e metalscrizione) ed efficienza (au- lavoratori in passato espo- meccanica) è passato rimento degli interventi di sti a cancerogeni, la promo- spettivamente da 9 a 7,5 e prevenzione in aziende e zione di un’indagine sullo da 7,6 a 6,1 infortuni ogni cantieri, numero di verbali stato di salute dei lavorato- 100 occupati. Gli infortuni ex art. 20 D. Lgs 759/94 au- ri del Veneto con il questio- mortali denunciati all’Inail mentato di oltre il 50%). nario della Fondazione in Veneto tra il 1999 e il Particolarmente significati- europea di Dublino, un’in- 2003 si sono ridotti dell’8%; Accorciare vo è l’incremento della vigi- dagine sui casi di mobbing escludendo quelli in itinere, le distanze lanza in azienda e nei can- e sui costi correlati, la defi- la riduzione è addirittura La pianificazione ha rap- tieri: a parità di risorse, dal nizione di buone pratiche del 19,4%. In termini di costi, alla prepresentato un momento di 1995 al 2004 il controllo in per la strutture sanitarie. confronto degli indirizzi politici e strategici regionali Infortuni denunciati all’Inail nel periodo 1999 - 2004 con l’operatività e i vincoli dei Servizi sul territorio e 1999 2000 2001 2002 2003 2004 % con le esigenze dei vari sog- Italia 1.010.777 1.022.693 1.023.389 992.840 977.803 getti, enti e istituzioni che si Veneto 135.784 134.794 133.067 126.504 123.328 120.793 -11,1 occupano di prevenzione Occupati in Veneto 1.488.597 1.571.055 1.620.009 nei luoghi di lavoro. Un conIncidenza % 9.05 8.46 7.6 tatto stretto tra Direzione tivi e alla gestione del Registro regionale mesoteliomi. In Veneto, il budget dei Dipartimenti di prevenzione si aggira intorno al 2-3% del finanziamento complessivo destinato alla sanità. Il budget dei servizi Spisal è circa il 10-15% di quello del Dipartimento di prevenzione. Della quota restante, oltre il 50% è destinato ai Servizi veterinari, il 25-30% ai Servizi di igiene e sanità pubblica e il resto ai Servizi di igiene degli alimenti e della nutrizione. L’organico degli Spisal in Veneto è costituito da 314 operatori, di cui 70 medici del lavoro, 21 tecnici dirigenti, 142 tecnici della prevenzione, 48 aiuti veterinari e 33 amministrativi. Il monitoraggio delle attività svolte dagli Spisal tra il 1999 e il 2004 indica come, a parità di risorse, il sistema si sia orientato sul raggiungimento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea): inchieste infortuni, ispezioni in azienda o in cantiere, indagini per malattia professionale, verbali di ispezione e sopralluoghi in ambienti di lavoro, visite mediche, incontri di informazione e formazione. 1 a sessione 27 aprile 15 venzione regionale negli ambienti di lavoro può essere applicata la seguente stima: per la progettazione, il mantenimento nel tempo e il miglioramento è stato stanziato un finanziamento regionale di 350.000 euro all’anno, più una quota a carico delle aziende sanitarie (circa 600.000 euro all’anno per la formazione del personale dei servizi e del personale dedicato al piano triennale); per la realizzazione del miglioramento, 12.000.000 euro all’anno. Il costo del processo di miglioramento attivato dalla pianificazione regionale ri- 16 sulta pari al 3% del costo complessivo annuo del sistema di prevenzione regionale negli ambienti di lavoro. Questo investimento è stato rivolto all’acquisizione di competenze professionali mancanti, alla formazione del personale dei servizi e all’avvio delle linee di lavoro innovative. Dopo sette anni, l’esperienza di apprendimento organizzativo e di miglioramento della qualità ha evidenziato i limiti e le criticità del sistema regionale di prevenzione. La parcellizzazione del territorio con livelli decisionali autonomi inde- bolisce il governo regionale dei processi e complica ogni processo decisionale di livello macroscopico: ne consegue una riduzione dell’efficacia e dell’efficienza del sistema. L’organizzazione decentrata non permette di liberare risorse da dedicare all’innovazione. Questo, aggiunto all’impossibilità di investire in personale con professionalità mancanti (psicologi del lavoro, esperti in comunicazione e in sociologia), può compromettere a lungo andare la capacità del servizio pubblico di essere di supporto e sostegno al mondo del lavoro sul terreno della sicurezza e della salute. In particolare, a differenza di quanto è avvenuto con l’istituzione delle agenzie regionali per l’ambiente, risulta difficoltoso il passaggio da una visione eminentemente tecnica, a una concezione della salute e della sicurezza sul lavoro come risultato di politiche della società in materia di lavoro, educazione e formazione permanente, di miglioramento della qualità e più in generale di bilancio sociale, di certificazione etica, di tutela dell’ambiente e dei consumatori. La prevenzione tra evidenza, devolution, leggi delega e direttive comunitarie Il Progetto mattoni: per un linguaggio comune dei sistemi informativi sanitari Giuliano Tagliavento l Progetto mattoni trae origine dall’accordo Stato-Regioni del 10 dicembre 2003 e ha per obiettivo la progettazione e costruzione di un sistema informativo sanitario che misuri il bilanciamento tra qualità e costi nel sistema sanitario. Gli strumenti sono rappresentati da un sistema di I Tabella 1 Capofila Veneto Lombardia Emilia Romagna ministero della Salute Piemonte, associata Sardegna Agenzia per i servizi sanitari regionali (Assr) Umbria Istituto superiore di sanità Toscana Friuli Venezia Giulia Lazio Marche Puglia Agenzia per i servizi sanitari regionali (Assr) Campania, associata Emilia Romagna* indicatori omogeneo per tutto il territorio nazionale e dal relativo supporto informatico. Nasce un programma organizzato in 15 linee progettuali, denominate “mattoni” in quanto considerate fondamentali per il Servizio sanitario nazionale e legate da un “mattone zero” trasver- sale, il Nuovo sistema informativo sanitario (Nsis), che deve curare la creazione del linguaggio comune per garantire la confrontabilità delle informazioni a tutti i livelli. Data la particolare rilevanza tecnica e politica, è governato da una cabina di regia insediata direttamente dalla conferenza Stato-Regioni. Gli altri mattoni, per i quali sono stati individuati un capofila, una Regione associata e altre partecipanti al gruppo di progetto, sono elencati nella tabella 1. 1 a sessione 27 aprile A ognuno il suo nome L’obiettivo iniziale era la definizione e sperimentazione di una nomenclatura delle prestazioni e delle funzioni dell’Assistenza sanitaria collettiva negli ambienti di vita e di lavoro, a partire dai Livelli essenziali di assistenza (Lea, Dpcm 29. 11. 2001). Sinora è stato prodotto un documento che definisce l’approccio per la classificazione e la rilevazione delle funzioni e delle prestazioni, nonché un set di indi- Mattone Classificazione delle strutture erogatrici delle prestazioni sanitarie Classificazione delle prestazioni specialistiche ambulatoriali Evoluzione del sistema Drg nazionale Metodologia per l’identificazione degli ospedali di riferimento Definizione della metodologia per l’individuazione di misure di riferimento per i Lea Metodologia per la rilevazione dei tempi di attesa Metodologia per la misurazione dell’appropriatezza Individuazione e sperimentazione di metodologie per la misura dell’outcome Realizzazione del patient file (verso il fascicolo sanitario informatizzato) Rilevazione dei consumi farmaceutici Rilevazione delle prestazioni di pronto soccorso e 118 Classificazione delle prestazioni residenziali e semiresidenziali Definizione della base informativa per le prestazioni di assistenza primaria e domiciliare Rilevazione dei costi del Sistema sanitario nazionale Classificazione e rilevazione delle prestazioni afferenti al livello “Assistenza sanitaria collettiva” * Oltre a Campania ed Emilia Romagna, partecipano a questo mattone Puglia, Marche, Veneto e Toscana, il ministero della Salute e l’Assr. Il gruppo ha chiesto la collaborazione di tutte le Regioni e alcune, in particolare Lombardia e Friuli Venezia Giulia, hanno poi collaborato stabilmente 17 catori per analizzare le funzioni di prevenzione. Nel marzo 2006, questo documento è stato presentato al Coordinamento tecnico delle Regioni per la prevenzione, prima di procedere alla prima sperimentazione sul campo, che avrà inizio e termine entro il 2006. Nel corso dell’attività, è stato concordato e approvato il progetto del ministero della Salute e delle Regioni di definizione e sperimentazione di un sistema di sorveglianza nazionale dello stato di salute e dei fattori di rischio comportamentali, noto come “progetto Passi”. Si tratta di un’indagine campionaria trasversale sugli stili di vita, svolta nel corso del 2005 in quasi tutte le Regioni e Province autonome, che ha visto impegnati i Dipartimenti di prevenzione. Inoltre, in collaborazione con il sottogruppo “malattie infettive e vaccinazioni” del Coordinamento delle Regioni è stato svolto un lavoro di raccordo con il ministero della Salute e il ministero per l’Innovazione tecnologica che ha portato alla definizione di un tracciato record con minimum data set da inserire nei flussi informativi per i programmi vaccinali. Infine, è in corso una collaborazione con il mattone “prestazioni ambulatoriali” per valutare la possibilità di integrare i flussi informativi relativi alle prestazioni erogate, sia in regime di diagnostica sia in programmi di prevenzione secondaria (screening oncologici). Trovare un linguaggio comune I principi generali ispiratori del gruppo di lavoro sono stati tre. Innanzitutto, individuare alcune regole per la definizione dei contenuti informativi dei Sistemi informativi sanitari regionali e locali, per il superamento delle disomogeneità attuali e quindi per garantire la confrontabilità informativa tra le Regioni. In secondo luogo, tarare questa omogeneizzazione su livelli essenziali, vale a dire su livelli informativi minimi, per assicurarne la realizzabilità in qualunque realtà regionale. Infine, privilegiare l’ottica di valutazione dell’efficacia, finalizzando la definizione dei contenuti informativi alla costruzione di indicatori di “copertura” (anagrafi). Si è concordato che in più casi un’approssimazione accettabile di misura dell’outcome possa essere la misura della copertura di popolazione a seguito di uno specifico programma di azione. Dal punto di vista metodologico si è proceduto preliminarmente con una ricognizione formale delle esperienze nazionali sulla classificazione e la modalità di rilevazione e codifica delle prestazioni. Da questa attività sono derivati: il “Documento di catalogazione delle diverse esperienze nazionali” e il “Documento di rilevazione delle best practice”. Contemporaneamente, il gruppo ha svolto una ri- Nomenclatore delle attività ricomprese nel livello essenziale di assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro – LEA1 – LEA 1A: Profilassi delle malattie infettive e parassitarie 1A1 Controllo delle malattie infettive e bonifica dei focolai; interventi di profilassi ed educazione per prevenire il diffondersi delle malattie infettive Cod. LEA Output Descrizione Dati e variabili da misurare Registrazione di segnalazione di malattia infet- Numero di notifiche tiva, anche sospetta, e/o per casi singoli e focolai epidemici delle didi focolaio epidemico Notifica di caso di verse malattie infettimalattia infettiva e/o di ve, tra cui: 1A1 01 • Meningiti batteriche focolaio epidemico; Sorveglianza clinico-epidemiologica Eventuale comunicazio- • Tbc • Tetano delle malattie ne ad altri Enti; • Legionellosi infettive diffusive Produzione di report • Epatiti periodici e studi per la sorveglianza epidemio- Esistenza archivio logica delle malattie informatizzato delle infettive; notifiche di malattie Gestione archivio infor- infettive matizzato delle notifiche 18 Indicatori Numero notifiche/numero ricoveri ospedalieri per: • • • • • Meningiti batteriche Tbc Tetano Legionellosi Epatiti Numero report e studi periodici/anno. Data di trasmissione chiusura ultimo semestre e corrispondente invio al Ministero e all’Iss La prevenzione tra evidenza, devolution, leggi delega e direttive comunitarie flessione sui Lea dell’Assistenza sanitaria collettiva, condividendo tre punti fondamentali di valutazione delle caratteristiche generali. Il primo è che la maggior parte delle funzioni e prestazioni incluse derivano da dettati normativi su materie di sanità pubblica, mentre non ci sono descrittori di funzioni che, già presenti al momento di emanazione dei Lea, certamente sono divenute ancor più importanti nel corso dell’ultimo quinquennio (funzioni epidemiologiche, funzioni di comunicazione, funzioni di informazione e formazione). Il secondo è che alcune pratiche preventive previste dal- le attuali normative, e riportate nei Lea, non hanno un’efficacia dimostrabile; in alcuni casi oggi disponiamo di informazioni che tendono a indicare l’assenza di efficacia (Ebp). Infine, i sottolivelli che compongono il Lea “Assistenza sanitaria collettiva” non sono integrati tra loro e questo comporta la ri- petizione della descrizione di attività che definiscono una funzione unitaria nei vari sottolivelli (pareri sugli insediamenti produttivi, controllo della sicurezza alimentare, controllo del rischio amianto). Pur con diversità notevoli tra le varie Regioni, esiste oggi un livello di integrazione all’inter- 1 a sessione 27 aprile LEA 1C: Tutela della collettività e dei singoli dai rischi infortunistici e sanitari connessi con gli ambienti di lavoro 1C1 Sorveglianza epidemiologica e costruzione del sistema informativo su rischi e danni da lavoro Cod. LEA Output Descrizione Dati e variabili da misurare Indicatori Acquisizione dei dati relativi a infortuni sul lavoro e a denunce di malattie professionali (Inail, Ispesl Regioni o altre fonti) Sorveglianza epidemiologica 1C1 02 su infortuni e malattie professionali Esistenza di un archivio Tasso grezzo e infortuni e malattie standardizzato infortuni professionali aggiornato indennizzati Eventuale integrazione della e informatizzato registrazione di infortuni • Numero nuovi casi o ree malattie professionali • Numero integrazioni ferti di malattie profesMonitoraggio, analisi ed elabora- • Numero elaborazioni sionali/totale addetti statistiche zione dei dati • Numero relazioni/anno Elaborazione dei profili di rischio, • Numero relazioni relazioni periodiche e comunicazione dei dati 1C7 Informazione e formazione dell’utenza in materia di igiene, sicurezza e salute nei luoghi di lavoro Cod. LEA Output Descrizione Dati e variabili da misurare Indicatori 1C 7 01 Interventi di informazione a grupComunicazione pi di lavoratori esposti a specifici del rischio ai Numero interventi di rischi lavoratori espoinformazione Attivazione di iniziative di comusti e interventi di Numero iniziative di nicazione per la promozione della informazione comunicazione sicurezza e la prevenzione delle specifica malattie professionali Numero sportelli attivi Numero richieste di informazione/anno Numero ore dedicate 1C 7 02 Attività di formazione e/o assistenza al sistema di prevenzione delle aziende e nei confronti dei lavoratori Numero corsi di formazione/anno Numero soggetti formati/anno Numero ore di docenza/anno Progettazione ed esecuzione di corsi di formazione e/o di assistenza al sistema di prevenzione delle aziende (Dl, Spp, Mc, Rls, ecc) e nei confronti dei lavoratori Attivazione di iniziative di assistenza su temi specifici Numero corsi Numero soggetti formati Numero ore docenza 19 no dei Dipartimenti di pre- Sanità pubblica veterinaria venzione ancora assente nei Lea, che deve essere sosteTutela igienico-sanitaria nuto e ampliato. degli alimenti; sorveglianza e prevenzione nutrizionale Il nuovo documento Il gruppo ha quindi elabora- Attività di prevenzione rivolte alla persona; vacto un documento strutturacinazioni obbligatorie e to in sezioni che rispecchiaraccomandate; programno fedelmente quelle del mi di diagnosi precoce Dpcm del 29/11/01 sui Lea: Profilassi delle malattie Servizio medico legale. infettive e parassitarie In ogni sezione non sono Tutela della collettività e riportate tutte le attività dei singoli dai rischi con- indicate nella corrispondennessi con gli ambienti di te sezione del Dpcm, perché vita, anche con riferimen- sono state eliminate quelle to agli effetti sanitari de- ritenute prive di significato gli inquinanti ambientali preventivo. Nelle singole sezioni sono state aggiunte Tutela della collettività e le attività di informazione e dei singoli dai rischi formazione che, al contrainfortunistici e sanitari rio, sono state considerate connessi con gli ambienti funzioni essenziali per il raggiungimento di obiettivi di lavoro 20 di prevenzione. Alle sezioni indicate nel Dpcm ne sono state aggiunte due ritenute fondamentali per definire meglio funzioni già esistenti e orientare in modo chiaro il loro sviluppo: attività epidemiologica e di comunicazione e attività integrate (dove sono confluite le otto attività che in modo più evidente e condiviso comportano necessità di azioni integrate tra le varie strutture dei Dipartimenti di prevenzione). Ogni sezione è strutturata in righe, che riportano l’attività prevista, e in colonne, che descrivono rispettivamente: il codice dell’indicatore, la funzione che si intende misurare, la descrizione delle attività che compongono la funzione, i dati e le variabili da misurare (valori numerici che cercano di misurare l’attività svolta), l’indicatore o gli indicatori che, per quanto possibile, cercano di introdurre indicatori più vicini al risultato. Questo è stato possibile solamente per parte delle funzioni considerate. Per alcune si è cercato di introdurre, attraverso il sistema degli indicatori, una valutazione del rapporto tra le attività svolte su programma, e quelle svolte su richiesta, con l’obiettivo di aggiungere elementi utili a capire il livello di capacità di controllo complessivo del territorio da parte delle strutture operative territoriali. A scopo dimostrativo, si allegano di seguito alcuni esempi tratti dai 124 indicatori presenti nella bozza licenziata dal gruppo tecnico e sottoposta all’esame del Coordinamento tecnico delle Regioni in data 8 marzo 2006. La prevenzione tra evidenza, devolution, leggi delega e direttive comunitarie Le risorse delle Regioni per i piani della prevenzione degli infortuni sul lavoro Fulvio Longo, Susanna Cantoni intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 trova la sua origine nella legge finanziaria del 2005. Con questa legge l’accesso al finanziamento integrativo a carico dello Stato viene subordinato alla stipulazione di specifiche intese. L’obiettivo è favorire l’armonizzazione delle legislazioni, il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni, nel tentativo di contenere i costi. Non si tratta di risorse ulteriori che lo Stato eroga alle Regioni, ma di risorse delle Regioni che si vincolano al raggiungimento degli obiettivi definiti dal Piano nazionale della prevenzione. Risorse che, in molti casi, potranno risultare comunque aggiuntive rispetto alla spesa e agli investimenti messi a disposizione per la prevenzione da ogni Regione negli anni precedenti. Uno degli ambiti di intervento previsti riguarda gli incidenti, compresi quelli stradali e domestici. Le linee operative elaborate dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo L’ delle malattie (Ccm), a cui è affidato il coordinamento del Piano, hanno fugato ogni dubbio sul fatto che fossero qui compresi anche gli infortuni sul lavoro. Le linee operative del Ccm Le linee operative del Ccm, oltre a indicare aspetti di metodo per l’elaborazione dei progetti, sottolineano due esigenze: da una parte, lavorare per obiettivi definendo priorità degli interventi in relazione alle risorse disponibili; dall’altra, evitare duplicazioni e sovrapposizioni di competenze, ricercando il massimo delle sinergie tra i soggetti istituzionali per un sistema integrato della prevenzione. Inoltre, sono indicati i due cardini su cui poggiare la pianificazione regionale: il potenziamento del sistema informativo per l’individuazione dei bisogni; e la pianificazione di azioni atte ad aumentare i livelli di sicurezza nei luoghi di lavoro, mediante interventi di vigilanza, informazione e assistenza. Sul piano metodologico sono richiesti: una sintesi del contesto regionale su rischi e danni da lavoro, compresi i livelli di applicazione della norma nel territorio; la descrizione delle fonti utilizzate; la descrizione delle esperienze di prevenzione già svolte, concluse e attivate; la definizione degli obiettivi, partendo dal potenziamento o dalla creazione del sistema informativo regionale (basato almeno sullo sviluppo dei Progetti nuovi flussi e analisi delle cause degli infortuni mortali); l’articolazione dei piani operativi, definendo le risorse necessarie e tenendo conto dei vincoli economici del contesto generale e specifico, dell’appropriatezza degli interventi e della loro efficacia (Evidence based prevention); ricerca delle sinergie e del lavoro in rete; sviluppo di una efficace comunicazione istituzionale, attenta ai temi della promozione della salute. Le indicazioni del Ccm, in sostanza, tengono conto delle più importanti novità introdotte dal sistema integrato per la prevenzione che si è andato sviluppando nel corso di questi ultimi anni e che proprio di recente (dicembre 2005) ha visto l’importante allargamento anche al ministero della 1 a sessione 27 aprile Salute e al ministero del Welfare, per quanto concerne il sistema informativo (progetto nuovi flussi). I piani regionali Sono stati presi in esame i primi 12 piani della prevenzione delle Regioni per l’ambito incidenti sul lavoro, confrontandoli con gli indirizzi dati dalle linee operative del Ccm. Nella tabella sono riportati i parametri osservati: gli indicatori di salute e il contesto regionale, l’obiettivo della creazione o del miglioramento del sistema informativo, l’obiettivo degli interventi di prevenzione (piani mirati, informazione, assistenza). È opportuno ricordare che quanto riportato nei piani non è esaustivo degli interventi che ogni Regione effettua nell’ambito della propria programmazione. È utile ricordare l’esperienza del primo monitoraggio effettuato dalle Regioni attraverso il Coordinamento tecnico interregionale prevenzione nei luoghi di lavoro nel 2005, per una rilevazione dei dati di attività e delle risorse di personale messe in campo per la tutela della salute nei luoghi di lavoro. Monitoraggio che ritroviamo ampiamente uti21 lizzato nelle premesse dei piani regionali, e che si basa su un sistema di raccolta dati non semplice, se teniamo conto della variabilità dei modelli organizzativi di ciascuna Regione (non sempre omogenei e confrontabili), a fronte dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) che ogni ente deve comunque garantire. Punti di forza e criticità ziale omogeneità di una pianificazione regionale basata sulla conoscenza del fenoDa un primo esame dei meno infortunistico, che piani sugli infortuni sul mette al centro del proprio lavoro, emerge una sostan- sistema la sorveglianza e Confronto con le raccomandazioni delle linee operative del Ccm per la pianificazione regionale Regioni Piemonte Creazione e/o miglioramento del sistema informativo rete regionale dei servizi di epidemiologia centro di documentazione regionale nuovi flussi Valle d’Aosta migliorare il sistema dedicato (nuovi flussi e infortuni mortali) sorveglianza epidemiologica tumori professionali e registrazioLombardia ne tumori naso-sinusali attivare registro dei lavoratori ex esposti amianto registro campionario infortuni in agricoltura Liguria Veneto Trento e Bolzano Emilia Romagna progetto edilizia progetto grandi opere pubbliche progetto sicurezza strutture sanitarie piani di comparto: • infortuni mortali • informazione e assistenza • formazione gruppo di lavoro condivisione con le parti sociali formazione piani di prevenzione rischio chimico mappe di rischio costruzioni agricoltura alta velocità e grandi opere lavori temporanei in quota edilizia pesca strutture sanitarie agricoltura esperienze pilota formazione (operatori Asl e Rls) vigilanza miglioramento del Centro operativo regionale per l’epidemiolo- edilizia metalmeccanica gia occupazionale: agricoltura • banca dati infortuni e mp legno • nuovi flussi e infortuni mortali trasporti e movimento merci • registro casi mesotelioma valutazione Sgs aziendali • atlanti attività di sostegno alle Pmi • comunicazione istituzionale formazione e comunicazione Rafforzamento e riqualificazione delle osservatorio provinciale degli infortuni e delle mp: attività di controllo (efficacia) • nuovi flussi • scuola e cultura della sicurezza • infortuni mortali • formazione dei lavoratori (qualità) • comunicazione istituzionale • comunicazione e informazione • incentivi alla sicurezza rafforzamento sistema informativo: • gruppo di lavoro regionale • intesa Inail-Regione • prosecuzione progetto infortuni mortali • migliorare l’uso dei nuovi flussi osservatorio regionale epidemiologico infortuni sul lavoro: • nuovi flussi e infortuni mortali • assetto organizzativo • definizione degli indicatori • comunicazione istituzionale formazione operatori osservatorio sicurezza grandi opere: • potenziarne l’attività 22 Obiettivo: interventi di prevenzione edilizia metalmeccanica, legno e agricoltura sicurezza sanità informazione e assistenza Pmi sostegno Rls qualità della formazione - sicurezza nella scuola La prevenzione tra evidenza, devolution, leggi delega e direttive comunitarie l’osservazione. Attività rese possibili dall’uso di strumenti preesistenti (servizi di epidemiologia, osservatori dedicati, centri di documentazione, gruppi di lavoro) o di nuova costituzione: 10 Regioni su 12 hanno attinto dal sistema dei nuovi flussi, espressione dell’intesa del 2002 tra le Regioni, l’Inail e l’Ispesl per il trasferimento quali-quantitativo dei dati ai servizi regionali e territoriali. Un altro aspetto ampiamente rappresentato è l’indicazione della pratica delle sinergie e del sistema di rete, che vede il coinvolgimento delle parti sociali datoriali e dei lavoratori, oltre che dell’Inail e dell’Ispesl. Per la parte degli obiettivi di prevenzione, troviamo la conferma della centralità degli interventi nel comparto dell’edilizia. Questo dato è coerente con l’aumento progressivo del numero di cantieri edili controllati nel corso degli ultimi anni: un dato che è quasi raddoppiato nel 2004 rispetto all’anno precedente. Oltre al comparto delle costruzioni, sono ampiamente rappresentati anche i comparti della metalmeccanica, dell’agricoltura, del legno e dei trasporti, mentre per la pubblica amministrazione abbiamo piani di sicurezza per il settore della sanità e della scuola (in sei Regioni). È presente il tema della sicurezza nelle grandi opere, sia per quanto concerne il controllo che per i compiti di osservazione e monitoraggio degli infortuni (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana). Accanto ai tradizionali interventi di prevenzione per comparti vi è una discreta rappresentazione dei temi legati all’informazione, all’assistenza e alla comunicazione, coerentemente con il 1 a sessione 27 aprile Confronto con le raccomandazioni delle linee operative del Ccm per la pianificazione regionale Regioni Creazione e/o miglioramento del sistema informativo Obiettivo: interventi di prevenzione Toscana miglioramento del sistema informativo: • costituzione del Centro di riferimento regionale per l’analisi dei flussi e delle malattie professionali (Cerimp) patto di sviluppo piani mirati: • selvicoltura • floro-vivaistico • agricoltura • formazione in agricoltura • edilizia • protezione delle cadute dall’alto • lavoratori migranti • settore estrattivo • patologie muscolo-scheletriche • controllo del rischio psicosociale • sicurezza e rifiuti • sicurezza e lavoratori diversamente abili Marche miglioramento del sistema informativo: • progetto nuovi flussi (potenziamento) • progetto infortuni mortali (messa a regime) • comunicazione istituzionale edilizia informazione e assistenza alle Pmi sostegno agli Rls Lazio costruzioni agricoltura consolidare e migliorare il sistema di sorveglianza dei fenome- industria metalli legno ni infortunistici e delle patologie professionali: trasporti • nuovi flussi e infortuni mortali metalmeccanica • comunicazione istituzionale industria della trasformazione industria conciaria Sardegna Puglia piano edilizia piano amianto piano agricoltura costruzioni attività di supporto alle microimprese: Creazione del sistema informativo regionale: gruppo di lavoro • formazione lavoratori in quota integrato nuovi flussi e infortuni mortali • sostegno agli Rls • sicurezza nella scuola 23 modello metodologico di intervento della promozione della salute. Abbiamo una omogenea diffusione su tutto il territorio nazionale delle attività di informazione, assistenza e formazione attivate da parte dei servizi di prevenzione nei luoghi di lavoro delle Asl. Nella quasi totalità delle Asl (93%), infatti, le attività di informazione e assistenza all’utenza 24 fanno parte integrante dei programmi di attività dei servizi, rivolgendosi ai soggetti aziendali deputati a funzioni di prevenzione (responsabili e addetti ai servizi di prevenzione e protezione, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza ecc). Meno rappresentate, o rappresentate in maniera ancora insufficiente, sono le tematiche della qualità della formazione e degli incentivi alle imprese. Appaiono poi ancora evidenti le difformità esistenti tra le diverse Regioni nel dispiegare mezzi e risorse per la prevenzione nei luoghi di lavoro. Tuttavia, l’iniziativa partita nel corso di questi anni attraverso il Coordinamento tecnico interregionale prevenzione nei luoghi di lavo- ro mostra alcuni interessanti risultati. Un linguaggio comune, metodologie di lavoro condivise, buone pratiche e strumenti elaborati congiuntamente e/o in collaborazione con gli altri soggetti pubblici della prevenzione sono ormai patrimonio di quello che a buon ragione chiamiamo sistema integrato della prevenzione. La prevenzione tra evidenza, devolution, leggi delega e direttive comunitarie La semplificazione è cominciata: i risultati della prevenzione basata sull’evidenza scientifica Massimo Valsecchi enso che il titolo della mia relazione sia stato scelto dagli organizzatori con intento beneaugurate, di fronte a una situazione caratterizzata dal fatto che tuttora molto di quello che facciamo in medicina preventiva non serve e molto di quello che serve non lo facciamo. Tenterò in ogni caso di riassumere quali sono i risultati concreti che sono stati ottenuti nel tentativo di introdurre razionalità nei nostri interventi di sanità pubblica. Qualcosa di buono siamo in realtà riusciti a ottenere, ma con tempi e sforzi incompatibili con un Paese normale. La corsa, in altri termini, è tutta in salita. E quelli che “remano contro” sono più numerosi e tenaci di quanto non potessimo sospettare quando abbiamo cominciato. Voglio qui ricordare fra coloro che hanno “remato a favore” il continuo contributo dato dalla Snop, e in particolare da Luigi Salizzato. Credo si possa dividere questa cronistoria in una “preistoria” e in una “storia”, P collocando arbitrariamente il confine fra queste due ere nel 2000, quando è stata formalizzata per la prima volta, nel convegno nazionale di Firenze, la costituzione del gruppo nazionale dell’Evidence based prevention (Ebp). Agli albori dell’Ebp Colloco nella preistoria l’articolo del 1981 in cui mettevo in dubbio che visitare gli operai esposti ai fattori di rischio previsti dalla norma potesse servire a migliorare l’ambiente di lavoro. È una valutazione che sostengo tuttora ma che, in circa venticinque anni, ha trovato pochi spazi di modifica normativa. Il primo, timido, provvedimento di abolizione delle visite mediche degli apprendisti è diventato operativo in Veneto solo nel 2004, ma temo che il resto del Paese non sia ancora a questo punto. Nel 1990 ho esteso questo tipo di critica ai libretti sanitari per gli alimentaristi (Lisa), all’effettuazione delle visite periodiche radiogra- fiche, agli insegnanti e ad alcune modalità di vaccinazione. È stato necessario attendere il 2001 perché fossero aboliti i controlli agli insegnanti e modificate le modalità di vaccinazione contro il tetano. E il 2004 perché, solo in alcune Regioni italiane, fosse sospeso il libretto sanitario per gli alimentaristi. Nel 1991 il Veneto e la Lombardia hanno aperto una lunga trattativa congiunta con il ministero della Sanità per ottenere l’abolizione di una circolare che imponeva la vaccinazione antitifica ai bambini che frequentavano le colonie. Un fatto che ha comportato ripetuti incontri e audizioni addirittura al Consiglio superiore di sanità, fino a concludersi positivamente nel 1992. Molto più complicato il secondo tentativo di abolire la vaccinazione antitifica per gli alimentaristi: iniziato nel 1994, avversato dal ministero (che ha fatto ricorso e ha ottenuto la sospensiva contro una decisione autonoma della Regione Veneto), è stato infine risolto ricorrendo, al solito, alla Legge finanziaria per l’anno 1998. Nel 1999, disperando di riuscire ad aprire con il ministero dei normali canali di critica scientifica, abbiamo scritto una lettera 1 a sessione 27 aprile aperta al ministro della sanità su otto norme da abolire con urgenza. La risposta dello Stato è stata affidata, in mancanza di meglio, ancora una volta alla Legge finanziaria per l’anno 2001, che ha abolito alcune delle norme di cui era stata segnalata l’inutilità: l’obbligo di controllo biennale per il personale della scuola, di ricerca dei casi di sifilide ignorata, di controllo sanitario per barbieri, parrucchieri e affini, l’obbligo di controllo sanitario per addetti alla preparazione, manipolazione e vendita di sostanze alimentari per personale con impiego saltuario, l’obbligo di vaccinazione contro la tubercolosi e contro il tifo e delle modalità di richiamo della vaccinazione contro il tetano. Una sentenza emozionante Il primo sforzo organizzato dell’era storica (che ha incluso la componente toscana con Eva Buiatti e Alberto Baldasseroni) è stato il convegno di Firenze del 2000 che ha sancito la nascita formale del gruppo Ebp. Il progetto più complesso realizzato da questo gruppo (oltre a diversi convegni e momenti di formazione) è 25 stato Salem (Sorveglianza apprendisti al lavoro e minori), attivato nel 2000 e concluso nel 2002. Nel giugno 2002 un decreto ministeriale modificava infine il programma vaccinale antipoliomielitico, disattivando il rischio di indurre casi di paralisi flaccide da vaccino nei bambini che volevamo tutelare. Un forte giro di boa a tutta questa partita si era avuta, nel frattempo, grazie a un dichiarato interesse delle Regioni, determinate a sperimentare anche in quest’ambito le nuove possibilità di autonomia dallo Stato centrale. Nel corso del 2003 Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, disperando ormai di poter giungere a un accordo con il Governo, hanno assunto autonoma- mente l’iniziativa di deliberare la sospensione o l’abolizione di diverse norme inutili. In realtà, la maggior parte delle regioni “ribelli” si sono concentrate sui libretti sanitari per gli alimentaristi. La Regione Veneto ha poi attivato una ricerca di verifica sui risultati ottenuti con la sua Legge 41/2003 di semplificazione. I primi risultati di questa indagine, non ancora conclusa, evidenziano che sono stati evitati in un anno, solo su questo provvedimento, più di 250 mila accertamenti inutili (vedi box). Contro ogni previsione, il Governo si è appellato alla Corte costituzionale per far annullare questi provvedimenti. Il primo giugno 2004 la Corte costituzionale, presieduta da Gustavo Zagre- LE PROCEDURE ABOLITE IN VENETO La Legge 41/2003 della Regione Veneto ha disposto l’abolizione di queste sei procedure di prevenzione: accertamenti sanitari e la relativa certificazione del personale addetto alla produzione e vendita delle sostanze alimentari visita sanitaria precedente all’assunzione dell’apprendista accertamenti medici per i lavoratori a rischio di silicosi e asbestosi isolamento di animali per il controllo dell’infezione rabbica controllo del latte crudo destinato all’utilizzazione per la produzione di latte fresco pastorizzato lotta e profilassi della mixomatosi dei conigli. È stata nel contempo attivata un’indagine valutativa sui risultati di queste modifiche. L’analisi che segue riporta alcuni dei risultati di questa indagine ancora in corso, relativa all’abolizione degli “Accertamenti sanitari e la relativa certificazione del personale addetto alla produzione e vendita delle sostanze alimentari”: nelle 19 Ulss (su 21) che hanno aderito all’indagine i libretti sanitari per alimentaristi rilasciati nel 2003 sono stati 305.879 contro i 48.597 del 2004 il numero di accertamenti sanitari sugli alimentaristi e delle conseguenti certificazioni che la Legge 41/2003 ha consentito di abolire nel 2004 è impressionante: 257.282 il vantaggio per gli utenti è evidente. Per valutare l’entità del risparmio per le aziende sanitarie, è stato utilizzato il dato medio di utilizzo del personale rilevato nel 2004 sulla base di questi dati, la riduzione di 257.282 Lisa 26 ha portato a un risparmio di: •21.965 ore/lavoro di personale medico pari a 2.890 giornate lavorative •19.496 ore/lavoro di assistenti sanitari pari a 2.708 giornate lavorative •6.168 ore/lavoro di personale amministrativo pari a 857 giornate lavorative il numero di certificati che vengono tuttora rilasciati è, per altro, ancora imponente: 48.597 gran parte di questi certificati non sono stati rilasciati su precise motivazioni (per esempio, la richiesta di lavorare in una Regione ove il libretto sanitario non sia ancora stato abolito), ma per marcata resistenza culturale al cambiamento dei nostri operatori che non hanno informato correttamente gli utenti della presenza della nuova legge estrema variabilità delle diminuzioni di queste certificazioni nelle diverse Ulss: si va da un comprensibile 100% di diminuzione a un inspiegabile 40% il confronto fra l’andamento delle tossinfezioni alimentari registrate nei locali pubblici durante l’anno 2003 precedente l’emanazione della Legge 41 (23 focolai accertati con 248.064 libretti rilasciati in 15 aziende) contro quelli del primo anno (2004) di applicazione della legge (24 focolai accertati con 39.858 libretti rilasciati) consente di confermare il giudizio di sostanziale inutilità sanitaria della procedura abrogata. La Regione Veneto ha sostituito i Lisa con una formazione permanente degli operatori che, per modalità di esecuzione e per frequenza di ripetizione, sembra rispondere più a esigenze di mercato dei nuovi formatori che a criteri di efficacia preventiva delle tossinfezioni alimentari. È un ennesimo, macroscopico, esempio di come la guerra per l’evidence sia tutt’altro che vinta. La prevenzione tra evidenza, devolution, leggi delega e direttive comunitarie belsky, ha rigettato l’istanza di incostituzionalità avanzata dal Governo. È strano definire “emozionante” una sentenza della Corte costituzionale, ma questa lo è. La Corte, infatti, argomenta che un’imposizione in campo preventivo che non si fonda su un valido supporto scientifico è destituita di valore. Viene così ribaltato il principio, caro al filosofo Hegel, se- condo cui una legge deve essere osservata in ogni caso, dato che il fatto stesso che sia una legge garantisce la sapienza dei suoi contenuti. lute, Girolamo Sirchia, a istituire, il 13 ottobre 2004, una commissione ministeriale, presieduta da Paolo D’Argenio, con il compito di rivedere in sei mesi tutta la normativa del Paese, indicando quali erano i provveLa lenta dimenti da abolire. Il 9 febrazionalizzazione braio 2006 la Conferenza delle Regioni e delle ProvinL’impatto dell’imbarazzan- ce autonome ha approvato il te sentenza della Corte ha “Documento sulla semplifiindotto il ministro della sa- cazione delle procedure rela- tivamente alle autorizzazioni, certificazioni e idoneità sanitarie”, redatto dal nostro gruppo (vedi tabella). Da quel momento, non abbiamo saputo più nulla del destino ministeriale del nostro elaborato. In definitiva si può osservare che la quantità di norme inutili tuttora in uso nel nostro Paese è enorme. Il tasso di razionalizzazione è tanto lento e al di fuori della 1 a sessione 27 aprile Proposta di semplificazione delle procedure relative a certificazioni, autorizzazioni e idoneità sanitarie Certificato di idoneità Certificato di idoneità Certificato di idoneità Certificato di sana fisica per l’assunzione di fisica per l’assunzione fisica al servizio civile e robusta costituzione insegnanti e altro personanel pubblico impiego volontario le di servizio nelle scuole Certificato per vendita dei generi di monopolio Certificato di idoneità fisica per l’assunzione di apprendisti non a rischio Certificato per l’esonero Scheda sanitaria per dalle lezioni di educazione colonie e centri estivi fisica Certificato per abilitazione Certificato sanitario per alla conduzione di general’impiego dei gas tossici tori di vapore (caldaie) Certificato di vaccinazione per l’ammissione alle scuole pubbliche Certificato di idoneità psicofisica per la frequenza di istituti professionali o corsi di formazione professionale Libretto di idoneità sanitaria per i parrucchieri Certificato di idoneità Certificato di idoneità all’esercizio dell’attività di a svolgere la mansione di autoriparazione fochino Certificato di idoneità alla conduzione di impianti di risalita Certificato per maestro di sci Certificato di idoneità Certificato di idoneità per i fisica a fare il giudice onolavoratori extracomunitari rario e il giudice di pace dello spettacolo Certificato per ottenere sovvenzioni contro la cessione del quinto della retribuzione Abolizione degli obblighi in materia di medicina scolastica • Obbligo della presenza del medico scolastico Partecipazione delle Asl Abolizione dell’obbligo • Obbligo della tenuta di registri di medicina scolastica alla Commissione comudella radiografia toracica • Obbligo della presentazione di certificato medico oltre i nale “Parrucchieri, per silicosi e asbestosi cinque giorni di assenza barbieri ed estetisti” • Obbligo di periodiche disinfezioni e disinfestazioni degli ambienti scolastici Polizia mortuaria (regolamento 26 marzo 1980, n. 327) • Trattamenti antiputrefattivi • Certificazione dello stato delle condizioni igieniche dei carri funebri e dell’autorimessa Procedure in ambito veterinario • Certificato di trasporto da Comune a Comune • Isolamento di animali per il controllo dell’infezione • Assistenza alle operazioni di esumazione ed estumularabbica zione • Sospensione, in via temporanea e sperimentale, della • Rilascio dei pareri per la costruzione di edicole funerarie visita veterinaria prima del carico, con relativa e di sepolcri privati attestazione sanitaria, dei suini domestici da trasporta• Disposizioni in materia di cremazione. Obbligo di re fuori Comune verifica della firma del certificatore • Delega ai medici di medicina generale della visita e del certificato necroscopico • Certificato di conformità del feretro 27 consuetudine scientifica e giuridica del Paese, che sono più le nuove norme non evidence che vengono introdotte rispetto a quelle che riusciamo a disattivare. L’esperienza di questi anni, inoltre, ci insegna che la resistenza dei nostri operatori a qualsiasi cambiamento che modifichi il loro modo di lavorare sulla base di evidenze di efficacia è robustissima e, finora, solo superficialmente scalfita. Dobbiamo impegnarci per 28 far capire agli operatori dei dipartimenti di prevenzione che proporre e condurre interventi privi di efficacia è incompatibile con i nostri obiettivi di prevenzione e con la nostra dignità tecnica e personale. Va quindi chiesto al nuovo ministro della salute e al neocostituito Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm) di assumere una linea strategica forte e organica su questi temi. Resta da vedere come il documento verrà tradotto in provvedimenti normativi e quali possano essere gli ulteriori passi per dare continuità e sistematicità agli sforzi, finora disordinati, di introdurre razionalità nei provvedimenti di prevenzione. re, ottobre/novembre 1981. • M. Valsecchi, “Considerazioni sul rapporto costi/benefici degli screening obbligatori per la ricerca dei casi di tubercolosi polmonare”. In: L’Igiene Moderna, vol. 94, n. 5, novembre 1990. • M. Valsecchi, S. Cinguetti, “Otto norme da abrogare: lettera aperta al ministro Bibliografia della sanità”. In: Dialogo sui • M. Valsecchi, “Prevenire: Farmaci, n. 2, 1999. cosa, dove, come?”. In: Sape- La prevenzione tra evidenza, devolution, leggi delega e direttive comunitarie 27 aprile seconda sessione 27 aprile La prevenzione, la multidisciplinarietà e le nuove professioni tecnico sanitarie: modelli organizzativi a confronto Andrea Dotti eregulation e Bolkestein non si coniugano con equità e salute. Viceversa, tutela e professionalità si declinano assieme con grande equilibrio. Da sempre andiamo ripetendo che la prevenzione è un problema complesso e che come tale non va semplificato, ma affrontato con strumenti complessi. E in questa attività complessa, la sinergia delle professionalità e delle professioni è lo strumento più potente che questi trent’anni di esperienza italiana hanno consolidato nel modello di intervento che Snop propugna da sempre: risalgono infatti al 1972 le prime esperienza di prevenzione sul territorio degli Smal D lombardi, predecessori della Riforma del 1978 e di quello che siamo oggi, compresa molta della produzione comunitaria. Questa ricchezza non solo va condivisa, ma anche difesa, sia contro chi vede strani monopoli nei propri “futuri” lobbystici (vedi certi atteggiamenti sulla pur positiva Legge 43/2006 sui nuovi ordini delle professioni sanitarie), sia contro i nostalgici del monopolio medico e igienistico. La prevenzione a tutto tondo (occupazionale, alimentare, stradale, sportiva, veterinaria, oncologica, delle dipendenze, cardiologica, dei comportamenti) vede coinvolti non solo tutto il sapere e la profes- sionalità sanitaria, ma anche altri mondi del sapere e del fare: comunicatori, sociologi, ambientali e tecnici di tutti i tipi e le passioni. Questo perché cambiare comportamenti, abitudini ed egoismi è molto difficile. Sulla base della mia esperienza nei luoghi di lavoro, penso che fin dal 1978 è stata stabilita la necessità di integrazione nei Servizi a tutti i livelli tra le diverse professionalità implicate nella complessa opera della prevenzione sanitaria, tecnica e comportamentale. Fin dall’inizio medici, ingegneri, chimici, tecnici della prevenzione, magistrati e legulei si sono misurati con le reciproche discipline e con le competenze giuridiche, per cercare di fare sintesi e programmi per la prevenzione occupazionale. Altrettanto vale per i settori “cugini” delle altre prevenzioni, soprattutto quelle dedite alla prevenzione primaria. Diverso, invece, è il discorso per quanto riguarda l’ambito della diagnosi precoce, spesso più lucroso e quindi più difeso dall’interesse. Negli ultimi vent’anni si sono sviluppate delle professioni nuove, come l’ergonomo, lo psicologo del lavoro, il sociologo della prevenzione, il coordinatore della sicurezza in edilizia o il responsabile dei servizi di prevenzione e protezione, con l’aggiunta della definizione giuridica e universitaria del tecnico della prevenzione. Al di là della collocazione funzionale nei servizi territoriali o multizonali, nell’attività di vigilanza e controllo o nell’attività di formazione ed educazione alla salute, sui piani per la salute o nei progetti di comparto, questa collaborazione trentennale ha prodotto idee, professionalità, problemi. 29 Con la Legge 626, e soprattutto con la 758 del 1994, questa integrazione si è ulteriormente misurata anche con la componente giuridica della Procedura e della Giustizia penale, facendo piazza pulita di divisioni ipocrite tra vigilanza e prevenzione. E anche qui l’integrazione professionale è stata fonte di risorse, sinergie, idee e innovazione. Il rischio delle derive corporative e “straprofessionali” è sempre presente e l’armonizzazione degli interessi professionali va preservata nell’obiettivo comune della tutela della salute. È proprio la contrapposizione tra i medici che vogliono il monopolio della dirigenza, i tecnici l’esclusività della vigilanza, gli ingegneri quella dell’impiantistica, i fisici del rumore, che la prevenzione può affondare nell’insipienza e nel corporativismo fine a se stesso. Non dobbiamo permetterlo. della medicina del lavoro, distribuiti in varie sedi, generalmente universitarie. Inoltre, la Società pubblica le linee guida relative agli argomenti trattati nei corsi e, di volta in volta, i rispettivi aggiornamenti. Alla luce della mia esperienza di medico del lavoro vorrei sollecitare l’acculturamento trasversale degli operatori dei vari settori della prevenzione, perché possano avere una visione il più ampia possibile. In quest’ottica la nostra Società può avere un ruolo determinante, avviando corsi periodici a carattere pluridisciplinare. Se riusciremo ad avere nel nostro Paese un corpus di operatori della prevenzione sempre più colto e aggiornato, miglioreremo sempre di più le condizioni di vita e di lavoro dei nostri lavoratori. 27 aprile tavola rotonda Intervento di Luigi Ambrosi egli ultimi vent’anni la prevenzione per la tutela della salute dei lavoratori è certamente cresciuta in importanza, grazie soprattutto all’emanazione di normative adeguate e all’impegno degli operatori della prevenzione per la tutela della salute dei lavoratori, pubblici e privati. Basti pensare alla scomparsa di malattie professionali tradizionali quali il saturnismo, la silicosi, l’asma professionale o le stesse broncopatie. Uno scenario che ha visto il nostro Paese all’avanguardia, in alcuni casi capace addirittura di sollecitare nuove normative N 30 europee. Certamente, la possibilità di raggiungere migliori livelli di prevenzione rispetto al passato dipende anche dalla presenza su tutto il territorio nazionale di presidi tecnici con personale specializzato. Accanto a questa organizzazione si è affiancato un altro settore, quello della formazione continua, indispensabile per l’aggiornamento periodico degli operatori della prevenzione. La Società italiana di medicina del lavoro e di igiene industriale ha da tempo avviato un corposo programma di aggiornamento dei suoi iscritti (circa 2500), con corsi sui vari temi Tavola rotonda 2 a sessione 27 aprile Intervento di Mauro Antonio Buzzoni er le attività tecniche di prevenzione il 2000 è stato senz’altro l’anno della svolta. Sempre da più parti, e non solo all’interno della nostra categoria, è cresciuta la necessità di un modello moderno di controllo sanitario e di un nuovo sistema di vigilanza. Quale ruolo deve avere il controllo pubblico, se da un lato è richiesta una maggiore responsabilità al produttore e dall’altro si rende necessaria una nuova cultura del consumatore? Certamente si attende una sua evoluzione qualitativa in termini di efficienza ed efficacia, in grado di garantire sicurezza e lealtà nel rapporto tra produttore e consumatore. Analogamente, nel campo della prevenzione degli infortuni e della tutela dell’ambiente, il controllo pubblico ha un ruolo attivo di osservatore e di garante P del rispetto delle regole tra l’imprenditoria e consumatori, utenti, lavoratori. Questo spirito innovativo si scontra spesso con una pubblica amministrazione appesantita, in grado di erogare soltanto servizi di bassa qualità. Nella maggior parte dei casi la lentezza e l’inefficienza del sistema dipende dall’insufficienza, soprattutto qualitativa, delle risorse umane e strumentali. I regolamenti comunitari recenti e le emergenze sanitarie più rilevanti evidenziano che occorre un coordinamento più efficace del personale ispettivo sanitario, grazie a nuove strategie di comunicazione e di informazione diretta al cittadino, impedendo così allarmismi inutili e deleteri per l’economia nazionale. È un caso che il legislatore abbia voluto assicurare una maggiore efficienza del sistema ponendo le pre- messe per ottenere una nuova sanità integrata da “altri” professionisti, che hanno l’obbligo di aggiornamento continuo, in spazi e settori sempre più ampi? Se abbiamo il coraggio di rispondere sinceramente, appare chiaro che questo legislatore vuole assegnare al tecnico della prevenzione un ruolo particolarmente concreto e pregnante nella prevenzione primaria. Nel Servizio sanitario nazionale, la figura del tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro è oggi l’unica figura multidisciplinare, che si occupa dei settori più disparati: tutela del patrimonio zootecnico, sicurezza delle produzioni alimentari, micologia, tutela dell’igiene e dell’ambiente, sicurezza dei luoghi di lavoro. Al tecnico della prevenzione si richiede quindi la capacità di agire e di decidere con flessibilità, adot- tando provvedimenti corretti e immediatamente operativi a tutela della comunità. Parlando di economia delle risorse, molte Aziende sanitarie hanno certamente una distribuzione disomogenea delle forze in campo, con un eccesso di dirigenti medici rispetto al personale di vigilanza e ispezione. Occorre ricostituire un equilibrio e individuare un modello organizzativo coordinato e calibrato sulle diverse problematiche e realtà territoriali. La speranza di ieri è diventata una realtà molto vicina. Ogni tecnico della prevenzione sente forte lo stimolo per il lavoro di gruppo, non solo per rafforzare l’orgoglio legato al servizio svolto (troppo spesso) nell’ombra, ma soprattutto con la consapevolezza e l’obiettivo di migliorare il servizio pubblico, a beneficio della collettività. salute e sicurezza, si è impegnata a definire nel dettaglio le figure professionali della prevenzione. Il gruppo di lavoro ha scelto di intervenire su figure e compiti, lasciando invece aperta la definizione dei percorsi formativi e dei requisiti dei formatori. Nel sistema di prevenzione articolato in due sottoaree (impresa e pubblico), gli operatori, pur avendo compiti complementari, dovranno avere le stesse conoscenze: è infatti inconcepibile un’azione di controllo efficace che non sia in grado di seguire il percorso metodologico e progettuale che ha portato ai miglioramenti degli ambienti di lavoro. Se si analizzano nel dettaglio i profili degli operatori, appare evidente lo sbilanciamento, almeno sulla carta, a favore del sistema d’impresa, che appare più articolato e dotato di un gran numero di professionalità. Il sistema pubblico, Intervento di Giuseppe Nano lla fine degli anni Novanta, la Consulta interassociativa italiana per la prevenzione (Ciip), consapevole che la preparazione di chi opera nel sistema di prevenzione era (ed è tuttora) uno dei punti centrali per un miglioramento radicale delle condizioni di A 31 invece, avrebbe bisogno di una migliore definizione delle professionalità e di una razionalizzazione dei rapporti tra strutture diverse. Mentre le figure professio- 32 nali del sistema d’impresa dovranno operare per realizzare gli interventi di miglioramento, quelle del sistema pubblico dovranno seguire gli stessi percorsi progettuali per valu- tare l’idoneità delle scelte attuate. È evidente che per poter agire in modo efficace è necessario intervenire oltre che su figure e compiti anche sulle competenze, sui percorsi formativi e sulle qualifiche dei formatori. Disporre di percorsi formativi e di formatori qualificati permette infatti di perseguire l’obiettivo di una migliore prevenzione. Tavola rotonda aprile 2827 aprile Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione terza sessione L’acqua: il diritto alla vita per tutti Riccardo Petrella el 1977, i dirigenti dei Paesi più ricchi stimarono che entro il 2000 sarebbe stato possibile l’accesso all’acqua potabile in quantità sufficiente per la vita a tutti gli abitanti della Terra. Le Nazioni Unite lanciarono il “Decennio internazionale dell’acqua” (1981-1990), per raggiungere l’obiettivo anche prima del 2000. L’obiettivo non è stato raggiunto. Peggio, il numero delle persone senza accesso all’acqua potabile e di quelle senza accesso ai servizi sanitari è salito rispettivamente, nel 2000, a 1,4 e 2,4 miliardi. Nel settembre 2000 i gruppi dominanti hanno abbandonato l’obiettivo dell’accesso all’acqua per tutti. Infatti, secondo la Dichiarazione degli obiettivi del millennio per lo sviluppo, approvata N da tutti i capi di Stato del mondo al vertice di New York, l’obiettivo mondiale è ora quello della riduzione della metà del numero delle persone senza accesso all’acqua potabile e ai servizi sanitari per il 2015 (poi si vedrà). Il dimezzamento è stato confermato come l’obiettivo principale del “Secondo decennio internazionale per l’acqua”, lanciato nel 2005 dalle Nazioni Unite. Si tratta di una vera abdicazione da parte della comunità internazionale. Perché si è giunti a questo? Perché si accetta di restare nelle logiche dell’emergenza idrica, delle crisi ricorrenti di siccità, carestia e alluvioni che affliggono, per esempio, il continente africano? Perché l’Unione Europea, che aveva lanciato in grande pompa al vertice di Johannesburg del 2002 la Water Initiative: un miliardo di euro in favore dell’Africa, ha poi deciso di ridurre lo stanziamento della metà? Una possibile spiegazione sta nelle scelte e negli obiettivi adottati da gruppi dirigenti dei Paesi ricchi e imposti al resto del mondo, in linea con quattro grandi principi che formano “il quadrato dei dominanti”. Questo, nel campo dell’acqua, si traduce per miliardi di persone nel “quadrato dell’inaccettabile”. Il quadrato dell’inaccettabile Il primo lato del quadrato è stato costruito alla fine degli anni Settanta, con l’imposizione ai Paesi del Terzo mondo di rispettare le politiche dette di “aggiustamento strutturale”, per l’ottenimento di prestiti da parte del Fondo monetario internazionale (a breve termine) e della Banca mondiale (a medio e lungo termine). Da allora, l’ottenimento di crediti è stato condizionato allo smantellamento degli enti pubblici, alla deregolamentazione statale, all’apertura dei servizi idrici alla concorrenza anche internazionale, all’adozione di tariffe più elevate. I potenti del Nord sono riusciti a far credere che la soluzione ai problemi dell’acqua, specie nei Paesi del Sud, passasse dai capitali e dalle tecnologie del Nord e da una gestione dell’acqua condotta dalle grandi imprese multinazionali private del Nord. Nel giro di trent’anni, malgrado i movimenti di opposizione, le multinazionali private dell’acqua (soprattutto francesi, inglesi e spagnole) si sono impadronite del controllo economico dell’acqua in Africa, in Asia e in America Latina. Il secondo lato è stato edificato nel corso degli anni Ottanta e consacrato ufficialmente alla conferenza internazionale sull’acqua di Dublino del 1992, organizzata in preparazione del primo 33 vertice mondiale sull’ambiente di Rio de Janeiro. A Dublino, per la prima volta, i dirigenti del mondo sviluppato hanno dichiarato che l’acqua non doveva essere considerata principalmente come un bene sociale, un bene comune, una res publica, ma come un bene economico il cui valore va determinato dai mercati e dallo scambio commerciale. In un’economia capitalista di mercato come quella dei Paesi occidentali, affermare che l’acqua deve essere trattata principalmente come un bene economico significa operare una rottura radicale sul piano culturale e politico. L’acqua si riduce così a una risorsa naturale vitale che, nella logica capitalista, deve tendere a diventare sempre più rara e preziosa affinché i costi per il capitale possano essere recuperati a un tasso di ritorno sugli investimenti più elevato possibile. Nel 1993 la Banca mondiale ha pubblicato un rapporto sulla gestione integrata delle risorse idriche (Integrated Water Resources Management), che codifica le linee fondamentali della politica dell’acqua a livello nazionale e mondiale, sulla base del principio dell’acqua come bene economico. Il documento della Banca mondiale è diventato il manuale di riferimento per quanto riguarda le concessioni di prestito ai Paesi che ne fanno richiesta. Anche il terzo lato del quadrato è stato costruito negli anni Ottanta, e ha trovato la sua legittimità politica e teorica nel 1994, con la creazione dell’Organizzazione mondiale del commercio (in sostituzione dell’Accordo 34 generale sulle tariffe doganali e il commercio) e l’adozione del General Agreement on Trade in Services (Gats), il cui obiettivo è quello di far approvare la più larga liberalizzazione possibile su scala mondiale di tutti i servizi, esclusi quelli effettuati dalle autorità statali nell’esercizio delle loro funzioni e in assenza di corrispettivi pagamenti. L’Unione Europea ha rinnovato nel dicembre 2005 a Hong Kong la sua domanda di liberalizzazione dei servizi idrici, rivolta in particolare a 72 Paesi poveri. Fortunatamente, in occasione dell’adozione (il 14 febbraio 2006) da parte del Parlamento europeo della “direttiva Bolkestein” sui servizi, le forze progressiste sono riuscite a impedire l’inclusione dell’acqua e della salute nella lista dei servizi liberalizzati dalla direttiva. Un altro esempio recente, importante, di resistenza al quadrato è rappresentato dall’accordo, molto sofferto, raggiunto in Italia dai partiti dell’Unione, i quali nel loro programma elettorale si sono impegnati a non privatizzare l’acqua, affermando che la proprietà delle reti e la gestione dei servizi idrici devono restare pubbliche. Infine, il quarto lato del quadrato è stato imposto con un processo che ha interessato l’insieme delle società occidentali: il passaggio da una società fondata sulla cultura dei diritti a quella fondata sulla cultura dei bisogni. Nel 2000, al secondo Forum organizzato dal Consiglio mondiale dell’acqua, i principali responsabili della politica dell’acqua hanno rifiutato di riconoscere che l’accesso all’acqua potabile sia da considerare un diritto umano, dunque universale, imprescrittibile, indivisibile. Hanno affermato invece che deve essere trattato come un bisogno vitale di ciascun individuo e comunità, in funzione delle necessità e delle possibilità. Non facendo più parte del campo dei diritti, l’acqua cessa di essere un patrimonio comune inalienabile dell’umanità per diventare un bene economico appropriabile a titolo privato. Quindi vendibile, come una qualunque mercanzia. L’accesso all’acqua non è più uguale per tutti, ma è oggetto di rivalità tra persone, collettività locali e Stati per usi alternativi concorrenti. E il risultato è l’esclusione dei meno forti, dei meno dotati, dei meno competitivi. Uscire dal quadrato Il quadrato è diventato la norma e ha definito sempre più nei nostri Paesi lo spazio del possibile in materia di politica dell’acqua. Tutto ciò che va fuori dai limiti fissati dal quadrato è accusato di esprimere concezioni dell’acqua infondate e di condurre a politiche inadeguate, inefficaci, antieconomiche. Il quadrato della mercificazione ha condotto le classi dirigenti del mondo occidentale a chiudere lo spazio del possibile all’interno dei processi di liberalizzazione, deregolamentazione, privatizzazione e mercificazione. Nella logica del quadrato non è più possibile una cultura del governo pubblico dell’acqua. Oggi però si comincia a uscire, anche in Italia, da questa logica. In varie parti del Paese, infatti, ultima la Campania, i catenacci imposti dalla cultura dell’acqua come bisogno e merce iniziano a saltare, e certe collettività locali riscoprono la libertà dalla prigione mercificante nella quale erano state e si erano rinchiuse. L’opzione a favore della ripubblicizzazione dell’acqua, se in Europa riprende fiato timidamente, lo fa invece con forza in America Latina dopo la vittoria del referendum contro la privatizzazione in Uruguay nell’ottobre 2004, la salita al governo di Chavez in Venezuela, di Kirchner in Argentina, di Morales in Colombia, e la vittoria contro Bechtel in Bolivia. Un altro segno timido di uscita dal quadrato è la scelta del programma delle Nazioni Unite di dedicare il rapporto sullo sviluppo umano annuale per il 2006 al tema dell’acqua, partendo dall’assunto che questo problema nel mondo è meno una questione di disponibilità (l’acqua c’è), che una questione di governo (il problema del diritto). La partita resta aperta. Alla fine di ottobre del 2005 le principali multinazionali dell’acqua hanno creato AquaFed, la Federazione degli operatori privati dell’acqua, cui hanno già aderito circa 200 compagnie in tutto il mondo. Lo scopo di AquaFed è costituire un forte gruppo di pressione verso Wto, Oms, Fao, Banca mondiale e Unione Europea, in difesa degli interessi delle imprese private. C’è da sperare che il mondo delle imprese pubbliche dell’acqua non resti frammentato e disperso come è attualmente. Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione Impatto della globalizzazione sulla salute: il ruolo chiave della Wto Angelo Stefanini razie al processo di globalizzazione in atto, i mercati mondiali stanno crescendo in modo consistente. Questa crescita si prevede continuerà anche grazie alla costituzione, nel 1995, dell’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization, Wto), un organismo internazionale che ha lo scopo di rimuovere gli ostacoli al libero mercato di beni e servizi. Nonostante alcuni analisti sostengano che la Wto rappresenta una delle agenzie internazionali con il maggiore impatto sulla salute, l’entità degli effetti che questa organizzazione e le politiche che promuove potrebbero provocare è stata probabilmente sottovalutata. Gli accordi commerciali che si svolgono sotto l’egida della Wto rappresentano una componente importante del processo di globalizzazione, in quanto definiscono a livello globale regole e comportamenti nelle attività commerciali con possibili implicazioni, dirette e indirette, sulle politiche sanitarie e sociali e, in ultima G analisi, sulla salute pubblica. Molti di questi effetti derivano da quanto contenuto nei diversi accordi e dal loro impatto su questioni come povertà, distribuzione delle risorse e sicurezza alimentare sulla scena mondiale. Tuttavia, va anche considerato il grado in cui questi accordi commerciali interferiscono con i contenuti e la rilevanza delle politiche sanitarie e sociali interne ai singoli Paesi. Soltanto recentemente, in modo assai ambiguo e non chiaro a tutti (per esempio, attraverso la risoluzione di dispute commerciali tra Paesi), ci si è accorti di come queste connessioni possano rivelarsi nella pratica vere e proprie intromissioni nel processo decisionale democratico che ha luogo all’interno di nazioni indipendenti e sovrane. Dietro queste problematiche si nascondono realtà che riguardano la salute e la vita di ognuno (vedi il sito w w w. a p h a . o rg / w f p h a / trade.htm), a partire dal tasso di insetticidi accettabili nelle verdure alla presenza di ogm negli alimenti, dalla libera circolazione di carne agli ormoni e alla diossina a disastri come quello della Bse. Per arrivare ai temi più recenti come la possibilità di accesso ai farmaci essenziali e ai servizi sanitari e sociali di base. La Wto viene vista come la sede fondante per la definizione dei diritti e dei doveri delle nazioni e dei vari attori commerciali su scala mondiale. La filosofia sottostante alla Wto è che mercati aperti, assenza di discriminazione tra i diversi attori e concorrenza nel commercio internazionale conducono necessariamente al benessere nazionale di tutti i Paesi. Da questa filosofia dipenderebbe in ultima analisi il futuro di occupazione, sviluppo, benessere sociale, istruzione, salute e protezione ambientale. L’apparato concettuale su cui si fondano gli accordi commerciali della Wto dà per scontato il loro inevitabile e automatico impatto favorevole sulla salute. In pratica, si parte dal presupposto che non ci sia bisogno di particolari misure aggiuntive agli accordi commerciali, in quanto le politiche sociali troveranno il migliore supporto e la maggiore facilitazione nell’aumento della liberalizzazione economica e nella protezione dei diritti di proprietà in- 3 a sessione 28 aprile tellettuale collegati al commercio. Problematiche specifiche È quindi essenziale esaminare il processo per cui sono le regole del commercio a governare l’ambito delle politiche sanitarie e sociali e, in pratica, a sostituirsi a loro. Le problematiche di particolare rilevanza collegate a specifici accordi generali promossi dalla Wto sono: le regole che riguardano il commercio, la disponibilità e l’accesso a farmaci e a tecnologie sanitarie (accordo su Trade Related Intellectual Property Rights, Trips) la salute e le norme di sicurezza a protezione del consumatore (accordo su Sanitary and Phytosanitary Measures, Sps) l’offerta di servizi sanitari e sociali e le politiche atte ad assicurarne un equo accesso (General Agreement on Trade and Services, Gats). L’accordo Trips stabilisce regole mondiali per brevetti, copyright e marchi registrati. Questo accordo ri35 chiede, per esempio, che alcune nazioni come India, Brasile e Argentina abbandonino la propria produzione farmaceutica nazionale, lasciando questa parte di mercato alle grosse multinazionali. Il cambiamento più significativo sui farmaci consiste nell’obbligo di concedere la protezione del brevetto ai nuovi prodotti e processi farmaceutici. Nel 2000 la Sottocommissione per la protezione e la promozione dei diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità una risoluzione senza precedenti che denuncia l’impatto negativo che avrebbe l’attuazione dell’accordo Trips nella sua forma attuale sui diritti umani a proposito di cibo, salute e autodeterminazione. Rammentando ai governi «la priorità che essi devono accordare ai diritti umani rispetto alle politiche economiche», la risoluzione mette in luce gli «evidenti conflitti tra il regime dei diritti di proprietà intellettuale contenuto nell’accordo Trips e la legislazione internazionale sui diritti umani». Sottolineando come «i diritti di proprietà intellettuale devono servire il bene pubblico», la risoluzione si appella ai governi affinché «integrino le proprie leggi e le proprie politiche locali e nazionali, in conformità agli strumenti e ai principi dei diritti umani internazionali, allo scopo di proteggere la funzione sociale della proprietà intellettuale». Diverse campagne internazionali denunciano l’avidità di alcune multinazionali farmaceutiche che, mantenendo troppo elevato il prezzo di medicine di cui possiedono il brevetto, im36 pediscono a milioni di ammalati di potersi curare (vedi il sito www.accessmedmsf.org). L’accordo Sps riguarda gli standard sanitari e fitosanitari e stabilisce le regole per la sicurezza alimentare umana, animale e vegetale (contaminazioni batteriche, pesticidi, etichettature) che un Paese può richiedere sui prodotti importati. Questo accordo elimina il cosiddetto “principio di precauzione”, introducendo invece la regola secondo cui non è possibile bandire alcun prodotto sospettato di nuocere alla salute se non esiste una dimostrazione scientifica di questo pericolo. In pratica bisogna dimostrare che qualcosa fa male prima di poterlo vietare. E l’onere di questa prova ricade sul governo nazionale che obietta all’importazione del prodotto sospetto. Tra gli accordi che meno stanno cogliendo l’attenzione dei media e del pubblico in genere, nonostante l’impatto potenzialmente devastante che potrà avere su salute e politiche sanitarie future, c’è il Gats. Le regole che contiene riguardano tutti i servizi, compresi quelli sociali e sanitari e la scuola: il loro scopo è ricondurli sotto l’ala del libero mercato, con l’esplicito intento di arrivare a una privatizzazione generalizzata che superi le discipline e i principi fissati dal processo democratico all’interno dei confini nazionali. La preoccupazione che questo accordo sta suscitando è ben espressa da una serie di articoli apparsi anche su riviste prestigiose come Lancet: «È essenziale che i politici, i funzionari pubbli- ci e tutti coloro a cui sta a cuore la sanità pubblica aprano al pubblico scrutinio le trattative che la Wto sta conducendo. (…) In gioco c’è non soltanto la democrazia locale, ma il futuro dei servizi pubblici e con essi i diritti e le attese che stanno alla base della tradizione del welfare sociale europeo». Raccomandazioni per i governi e l’Onu dei lavoratori e la sostenibilità ambientale vanno trasferite a organi più appropriati, come agenzie specializzate delle Nazioni Unite, anziché essere trattati esclusivamente all’interno della Wto gli accordi promossi dalla Wto devono contenere clausole per assicurare un giusto trattamento ai Paesi poveri nonché considerazioni sulle implicazioni etiche, sociali, distributive e sanitarie di questi accordi. L’influenza di potenti soggetti transnazionali e di gruppi di lobby a favore delle industrie private dovrebbe essere controbilanciata da reali sforzi per rendere più efficace la rappresentanza dei soggetti più deboli e senza voce. I poteri della Wto spaziano in molte aree fondamentali per la formulazione di efficaci politiche sanitarie, compresi la normativa in sanità pubblica, l’accesso ai farmaci essenziali, la capacità di regolamentare la promozione commerciale dei prodotti e lo sviluppo di sistemi sanitari equi, di qualità e con un buon rapporto costo-efficacia. Partendo da Bibliografia questa considerazione si • D.T. Jamison, J. Frenk, F. possono formulare le se- Knaul “International collecguenti raccomandazioni: tive action in health: objectives, functions, and ratio esiste il bisogno di una nale”. In: Lancet 351: 514completa revisione dello 517 (1998). stato attuale degli accordi Wto e delle loro implicazio- • A.M. Pollock, D. Price ni sulle politiche sociali e “Rewriting the regulations: sanitarie how the World Trade Organization could accelerate i ministeri nazionali re- privatization in health-care sponsabili delle politiche systems”. In: Lancet 356: sociali e sanitarie devono 1995-2000. essere informati su queste implicazioni e avere la ca- • G. Velasquez., P. Boulet pacità di analizzare le poli- Globalization and Access to tiche, facendo presenti i Drugs - Implications of the propri punti di vista come Wto/Trips Agreement. Gecomponente essenziale di neva, Who, 1997. un governo democratico a livello internazionale, le dispute su problematiche riguardanti la salute e la sicurezza pubblica, i diritti Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione Le produzioni animali, la fame e la povertà nel mondo Adriano Mantovani econdo Gandhi, una vedova poteva sopravvivere se possedeva una vacca, altrimenti era condannata a morire. Un ricordo che aiuta a introdurre i tanti aspetti del rapporto tra le persone e gli animali (e le loro malattie), in una varietà di habitat che vanno dall’ambiente rurale a quello silvo-pastorale, dalla città al suo hinterland, e che hanno in comune condizioni di povertà, più o meno marcate. Le malattie degli animali sono in grado non solo di provocare la povertà, ma anche di mantenerla stabile o di impedirne il superamento. Si tratta di quelle specie animali che consentono la sopravvivenza umana in condizioni difficili, o comunque al di sotto degli standard di vita definiti normali o accettabili dalla nostra cultura. A volte lo stato di povertà è talmente endemico da essere percepito come anormale solo da osservatori esterni, con altri parametri di riferimento. Chi si occupa di povertà non sempre tiene conto dei limiti locali e ipotizza soluzioni velleitarie e avul- S se dal contesto. La definizione di “povero che possiede animali” cambia a seconda delle culture. In Italia, un povero può possedere pochi polli, pochi conigli, un maiale, un asino, poche pecore o capre. La valutazione cambia con il luogo e le specie animali. Ci sono lavoratori, come braccianti, mandriani o pastori, che sono addetti alla cura degli animali senza tuttavia possederne. A volte, come per esempio i “servi pasto- ri”, appartengono a livelli molto bassi della scala sociale. Il recente comitato di esperti della Fao cita in proposito “proprietari di bestiame, lavoratori impegnati con bestiame o in attività agricole, commercianti di prodotti animali, produttori di bestiame che consumano prodotti dei propri animali o non proprietari che consumano prodotti di origine animale dei propri vicini o di altre comunità povere”. Le tabelle che seguono elencano i prodotti di origine animale utilizzati nel mondo (tabella 1), le risorse condivise da persone e animali che possono anche essere causa di competizione per la sopravvivenza (tabella 2) • Tabella 1 • Prodotti di origine animale Da animali vivi Da animali morti Latte Carne e visceri Sangue Pelli Letame (concime, combustibile, ecc) Ossa, unghie, corna Lavoro Uova Miele Lana Penne Seta Compagnia Sport Prestigio Oli e grassi Farmaci Prodotti artigianali Prodotti industriali Attività emergenti (educazione, riabilitazione, ecc) 3 a sessione 28 aprile e i fattori che possono causare povertà in economie fondate sulle produzioni animali (tabella 3). Situazioni critiche Ci sono zone, come quelle desertiche o semidesertiche, in cui l’allevamento è praticato in situazioni estreme. Le popolazioni sono fortemente legate a tradizioni che permettono di superare le durezze ambientali: allevano animali adatti all’ambiente e ne accettano i limiti produttivi, praticando quasi sempre il nomadismo. Una consuetudine secolare, che porta a chiedersi se si possa parlare realmente di • Tabella 2 • Risorse condivise da persone e animali possibili cause di competizione Alimenti Acqua Spazio (rurale, urbano, acquatico) Cure sanitarie e farmaci Tecnologie e conoscenze Disponibilità economiche 37 “povertà”, oppure se si tratti del solo modo di sopravvivere in questi luoghi. Molte difficoltà derivano dai frequenti conflitti, che possono portare a sottrazione di pascoli o a furto di animali, oppure dall’importazione di malattie animali e conseguenti blocchi sanitari. Infatti, quando arrivano malattie animali come la peste bovina, l’afta epizootica o il vaiolo ovino, gli allevamenti vengono decimati o, quantomeno, diminuiscono le possibilità di spostamento e di commercio. In pratica, queste malattie distruggono l’economia per un lungo periodo, a volte senza possibilità di recupero. In alcune zone dell’Africa l’allevamento è reso particolarmente difficile, se non impossibile, dalle mosche tse-tse e dai tripanosomi. La selezione delle specie e razze allevate e le tecnologie di allevamento sono condizionate non dalle capacità produttive, ma dalla possibilità di sopravvivenza. In questi ambienti, alle malattie degli animali fanno riscontro analoghe malattie dell’uomo come malaria o tripanosomiasi, per cui la povertà non solo è causata e sostenuta dalle malattie, ma è di per sé un fattore scatenante. Danni gravi sono causati dagli emoprotozoi trasmessi da zecche, che riducono le produzioni animali e impongono forti spese per il loro controllo. A questi “campi maledetti”1 di natura infettiva se ne vanno progressivamente aggiungendo altri per cause chimico-indu- striali (una su tutte, la diossina) e nucleari, che rendono impossibile agricoltura, allevamento e sviluppo umano in zone prima caratterizzate da insediamenti umani e tecnologie agrozootecniche di buon livello. Zoonosi dei poveri e dei ricchi Con la Bse abbiamo conosciuto un modello di “zoonosi dei ricchi” legata al consumo di carne prodotta da bovini alimentati a loro volta con carne, che colpisce popolazioni che possono prendersi il lusso di allarmarsi per infezioni che colpiscono una persona su un milione. Popolazioni per le quali la carne e il cibo in genere scarseggiano accetterebbero volentieri quei bovini che nei Paesi ricchi vengono distrutti perché appartengono ad allevamenti dove è stato trovato un caso di Bse. Il comportamento nei riguardi delle zoonosi costituisce infatti una linea di demarcazione tra chi può permettersi il lusso di investire grosse somme per evitare rischi anche minimi e chi invece deve subire la presenza di zoonosi anche frequenti. Per quanto riguarda la rabbia, ci sono Paesi come l’Italia dove con grossi investimenti in termini di tempo, servizi e finanziamenti la malattia è stata eradicata non solo nei cani, ma anche nelle volpi. In molti Paesi a basso reddito, invece, la rabbia continua a uccidere persone e animali, senza che il problema venga ritenuto degno di attenzione. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, ogni anno muoiono di rabbia dalle 1000 alle 1500 persone, tra cui anche qualche turista. Certamente sono molte di più, in zone dove mancano i servizi sanitari e non si ritiene quest’ambito degno di investimenti. La promiscuità uomo-suino che osserviamo nelle favelas dell’America latina e quella tra uomo e bovini tipica di molte baraccopoli possono rendere endemici i cicli delle tenie. Troviamo così le tenie nelle persone e i cisticerchi negli animali, il tutto accettato come normale: suini e bovini sono infatti spazzini abituali, insieme ai cani che diffondono l’echinococcosi cistica. Nei Paesi dove il latte viene pastorizzato e dove sono stati organizzati piani di profilassi, la brucellosi è fortemente diminuita o addirittura eliminata. Dove invece latte e latticini vengono consumati crudi e c’è stretta promiscuità tra persone e animali (bovini, bufali, ovini, capre) la malattia è piuttosto frequente. Peccato che non venga quasi mai diagnosticata e rientri così in quel “complesso malarico” che accumula febbri di lunga durata in diversi Paesi poveri. Negli ultimi anni, poi, l’Aids è diventata la malattia per eccellenza, indicatore e cimitero delle speranze delle zone più povere, nonché causa di abbandono delle attività agricole. Infine, pur non essendo una zoonosi, l’Aids può essere complicata da coinfezioni di origine animale. La povertà dalle malattie animali Ci sono malattie animali che possono letteralmente sconvolgere l’economia di un Paese, portando miseria e fame. Basti pensare a quello che potrebbe succedere in Europa se si diffondesse su vasta scala il virus dell’afta epizootica, capace di infettare bovini, ovini, caprini, suini e ungulati selvatici. Oppure, facendo un salto nel passato, alla pandemia di peste bovina che impoverì l’Europa nel diciottesimo secolo. L’Etiopia ha una storia millenaria e per molti anni ha goduto di un relativo benessere. Nel 1889 il Paese è stato aggredito dall’esercito italiano che, per rifornirsi di carne, ha importato dall’Asia bovini infetti di peste bovina, malattia da cui l’Africa era rimasta indenne fino ad allora. L’infezione si è diffusa rapidamente in una popolazione bovina fortemente recettiva, uccidendo il 90% degli animali. Con la caduta della resistenza etiope è arrivata la fame e la forza lavoro si è decimata. Un popolo di pastori e mercanti è stato così costretto ad adattarsi a un’agricoltura di sopravvivenza e a far fronte all’aumento dei prezzi di 100-200 volte, alla morte di un terzo della popolazione e all’invasione coloniale. Ancora oggi la peste bovina è un 1 Si usa lo stesso termine “campi maledetti” che un tempo veniva usato per le zone contaminate da spore carbonchiose, in cui non era possibile l’allevamento. 38 Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione fattore limitante in Africa e interessa animali sia domestici, sia selvatici. Le malattie animali che incidono pesantemente sulla povertà sono state divise in tre categorie: malattie epidemiche (peste bovina, afta epizootica, pleuropolmonite contagiosa bovina, peste dei piccoli ruminanti, pesti suine classica e africana, pseudopeste aviare), malattie endemiche (mastiti, polmoniti, malattie da emoprotozoi, infezioni da elminti) e zoonosi (febbre della valle del Rift, brucellosi, echinococcosi cistica, rabbia, tubercolosi bovina, malattia da virus Nipah, teniosi/cisticercosi) e altre trasmesse con gli alimenti, come fascicolosi, trichinellosi e gastroenteriti quali salmonellosi e colibacillosi. Mentre le malattie endemiche incidono sui singoli allevatori, quelle epidemiche hanno un impatto globale. Negli anni Ottanta, la peste bovina ha provocato in Africa la perdita di più di 40 milioni di capi. Nel 1995 la pleuropolmonite contagiosa è stata reintrodotta in Botswana dopo 46 anni e ha causato la perdita di 320 mila bovini solo nel nord del Paese, con un costo diretto di 100 milioni di dollari e perdite indirette per più di 400 milioni di dollari. Nel 1994 la peste suina africana ha decimato l’80% della popolazione suina del Nord Maputo, in Mozambico, e nel 1996 ha portato alla perdita di un quarto dei suini della Costa d’Avorio, causando da 12 a 32 milioni di dollari di danni diretti e indiretti. In India nel 1971 si è calcolato che la lotta contro le malattie dei polli (soprattutto la vaccinazione contro la pseudopeste) ha permesso di passare da 2 a 12 uova disponibili annualmente per ogni abitante. E infine una testimonianza dei “tempi moderni”, la pandemia di influenza aviaria in corso nel Sudest asiatico. La Thailandia ambiva a diventare la “cucina del mondo”, permettendo così a migliaia di piccoli allevatori di uscire da uno stato di relativa povertà. L’epidemia di influenza aviaria ha distrutto centinaia di milioni di polli e ha portato all’embargo della Thailandia da parte dei Paesi industrializzati, alcuni dei quali (con avicoltura sviluppata) temono la concorrenza thailandese. Circa 670 mila famiglie di piccoli allevatori sono state colpite dall’epidemia: la loro speranza di benessere è stata demolita, così come l’ambizione del Paese di allinearsi con le altre nazioni modello. Si è ribadito che il ruolo dei Paesi poveri è quello di “mercato”: quando cercano di uscirne, soprattutto invadendo aree già occupate, trovano forti opposizioni. E le malattie degli animali forniscono un valido e frequente motivo per proteggere i mercati importanti da invasioni esterne. Tasse per tutti (ma non uguali) Le malattie degli animali e delle piante hanno sempre accompagnato la storia umana come determinanti di carestie, sconvolgimenti sociali, migrazioni, eventi politici, ma sono state sempre ignorate. Forse più nota è la loro influenza su eventi militari. Pure trascurata è • Tabella 3 • Cause di povertà in economie fondate sulle produzioni animali Scarsa produzione/mortalità Infezioni croniche o endemie Carenze alimentari, carestie, siccità Cataclismi (alluvioni, desertificazioni, terremoti, guerre, ecc) Invasioni di predatori (locuste,topi, ecc) Cambiamenti di clima Inquinamento delle acque Scadimento ambientale (contaminazione chimica o nucleare) Malattia/inquinamento di piante foraggiere Blocco di pascoli o rifornimento di mangimi Mancato accesso mercati nazionali e/o internazionali Malattie infettive (zoonosi incluse) Contaminazione (farmaci, disinfettanti, ecc) Carenze igieniche Carenze tecniche di commercializzazione Difficoltà di trasporto e comunicazione Inadeguatezza del prodotto Influenza di prodotti importati (concorrenza) Conflitti politici o etnici Deficienze tecniche Metodi di allevamento Selezione genetica Sovraccarico del pascolo Abuso di farmaci Tecnologie insufficienti Uso o prelievo irrazionale delle risorse (pesca, ecc) Concorrenza di prodotti importati Mancanza di assistenza, strumenti e strutture Scarso credito Problemi legislativi/consuetudinari Regolamentazione del pascolo Disponibilità acque Regolamentazioni forestali Regolamentazione di pesca e caccia Ostilità verso zootecnia urbana Deficit di preparazione e conservazione Foraggi e mangimi Prodotto finito (carne, latticini, pesce, pelli, ecc) Abuso di prodotti chimici Carenti metodi di conservazione Deterioramento o sottrazione da infestanti (insetti, topi, ecc) Problemi sanitari del personale addetto Aids, malaria, ecc Malattie varie Zoonosi Carenze alimentari Insufficiente reddito Inadeguata qualità della vita 3 a sessione 28 aprile 39 la loro rilevanza in una paventata guerra batteriologica che, se rivolta verso gli animali, potrebbe sconvolgere economie e resistenze. Oggi le malattie degli animali continuano ad esserci e a condizionare la vita dell’uomo. La capacità di adattamento degli agenti di malattia animale continua a dimostrarsi efficiente e non sempre siamo in grado di contrastarli. I successi si sono avuti soprattutto nei confronti di malattie economicamente importanti, che colpiscono gli interessi delle nazioni che possono disporre di risorse adeguate, mentre gli agenti annidati in zone povere di mezzi e tecnologie possono contare su 40 una lunga sopravvivenza. In pratica, la povertà costituisce una nicchia che protegge e perpetua gli agenti patogeni animali (e umani). Nell’economia attuale, le malattie animali costituiscono uno strumento e una giustificazione per stabilizzare il ruolo delle varie nazioni nel commercio dei prodotti di origine animale e il loro “rango” nella scala delle economie nazionali. I Paesi ad alta tecnologia subiscono una “tassa da malattie degli animali” inizialmente bassa (fino al 10% del reddito della zootecnia) e possono quindi permettersi di aumentarla con continui inserimenti di nuove esigenze e campagne di lotta per migliorare la sanità del bestiame, ma anche per proteggere il proprio mercato. Se nei Paesi che cercano di emergere nel settore delle produzioni zootecniche sono presenti o compaiono infezioni ritenute importanti dai Paesi avanzati, le speranze del Paese emergente vengono accantonate. Ci sono infine popoli in cui questa tassa si porta via una grossa fetta: la metà del reddito dell’allevamento, se non di più. Piccole economie zootecniche sono cronicamente limitate dalle malattie endemiche e, a volte, vengono distrutte da epidemie. Le zoonosi possono contribuire a peggiorare uno stato di salute già precario delle persone. Il tutto viene quasi sempre subito come “normale”, con la rassegnazione dei poveri. La maggior parte dei tentativi di superamento della situazione sono rivolti all’abbandono delle attività agricole. Le malattie degli animali contribuiscono alla povertà di molte parti del mondo sottraendo alimenti e altri beni di consumo, riducendo lo scarso reddito e portando malattie all’uomo. Come ha raccomandato la Fao nel 2004, quindi, «le zoonosi e gli altri problemi di sanità pubblica veterinaria debbono essere presi in considerazione nel contesto della lotta contro la povertà». Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione Prevenire le malattie croniche: un investimento di importanza vitale sia per i Paesi ricchi che per quelli poveri Paolo D’Argenio idurre drasticamente le malattie croniche. È questa, oggi, la principale sfida per la sanità pubblica dell’Europa. Le malattie croniche costituiscono un gruppo piuttosto ristretto di patologie (malattie cardiovascolari, cancro, diabete, disturbi mentali, malattie respiratorie croniche), che però nell’insieme sono responsabili dell’86% di tutte le morti in Europa e del 77% del carico totale di malattia. Attualmente, circa un terzo della società del Vecchio continente convive con una malattia cronica e questo avrà un notevole impatto sui sistemi sanitari e assistenziali: si prevede che l’assistenza e la cura dei malati assorbirà circa il 70-80% dell’intero budget sanitario. Sono numeri che fanno riflettere, soprattutto considerando che alla base di queste malattie ci sono alcuni fattori di rischio ben noti. Alcuni non sono modificabili, come per esempio l’età, il genere, la predisposizione genetica o la provenienza geografica. Su altri, però, si può decisamente R intervenire: è il caso dell’ipertensione, del consumo di tabacco e di alcol, dell’obesità e dell’inattività fisica, dell’eccesso di colesterolo e di una dieta povera di frutta e verdura. Evitando o riducendo questi fattori di rischio si potrà prevenire non solo l’insorgenza delle malattie croniche, ma anche le complicanze a lungo termine, le disabilità e sofferenze associate e, in ultima analisi, la morte. Ma non basta ancora. Non ci si può affidare soltanto alla buona volontà dei singoli individui. Le malattie croniche sono malattie multifattoriali, risultato non solo di una serie di fattori di rischio, ma anche di determinanti sociali come il livello di scolarizzazione, gli ambienti di vita e di lavoro e il reddito. Questa sorta di “cause delle cause” influenzano notevolmente l’accesso all’assistenza sanitaria, ma anche comportamenti e stili di vita: pensiamo alla sedentarietà sostenuta dall’organizzazione delle città, dei trasporti, all’automazione. Alcuni luoghi comuni ostacolano la presa di coscienza che siamo di fronte a una sfida fondamentale. Per esempio, un luogo comune piuttosto diffuso è che le malattie croniche siano essenzialmente un problema dei ricchi oppure dei paesi ricchi. In realtà, sono le classi sociali disagiate a essere più vulnerabili, non solo per motivi puramente economici, ma anche per la scarsa possibilità di accedere ai servizi sanitari, per deficit di conoscenze, lontananza, difficoltà di trasporto. Passare all’azione Per affrontare il problema nella sua globalità e in maniera efficace occorre che siano innanzitutto i governi a impegnarsi su questo fronte, tramite politiche e strategie intersettoriali mirate. È in quest’ottica che l’Ufficio regionale europeo dell’Oms sta sviluppando una strategia per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche, su richiesta diretta degli Stati membri. La strategia è il risultato del contributo dei diversi Paesi, esperti, organizzazioni non governative e altri portatori di interesse coinvolti. L’obiettivo è ridurre l’impatto delle malattie croniche, portando qualità e aspettative di vita a livelli accettabili in tutti i 3 a sessione 28 aprile Paesi europei, grazie a una combinazione di interventi sia sul piano individuale che sociale. Ai ministri della Salute spetta la responsabilità di coordinare le politiche di sanità pubblica mirate a rimuovere quei determinanti sociali che favoriscono lo sviluppo delle malattie croniche. La strategia propone quindi ai governi un percorso ben preciso per raggiungere questo obiettivo. Gli obiettivi riguardano due elementi fondamentali: da una parte la prevenzione lungo tutta la vita, considerata un’arma fondamentale per ridurre il carico di malattie croniche e i rischi di aggravamento e recidive, di disabilità, di un’agonia lunga e dolorosa e di morte prematura; dall’altra il consolidamento dei sistemi sanitari, grazie a un modello assistenziale progettato per le malattie croniche. La prima tappa ha come parola chiave la conoscenza: per pianificare un intervento efficace è infatti essenziale basarsi su dati accurati, che forniscano informazioni sulla salute generale della popolazione, sulla diffusione dei fattori di rischio e sull’entità dei determinanti sociali. I governi sono incoraggiati sempre di più a prendere le proprie decisioni alla luce di evidenze 41 mente tre: quelle umane (gli operatori sanitari e gli specialisti in salute pubblica), il capitale materiale (strutture e servizi) e infine i beni di consumo (farmaci, tecnologie, strumentazioni ecc). È fondamentale investire in questo tipo di risorse, per produrre interventi sanitari di alta qualità e ottenere buoni risultati. Rispetto alle malattie infettive, le malattie croniche pongono problemi e richieste differenti a chi lavora nell’ambiente sanitario e impongono un vero e proprio rimodellamento delle competenze, verso un modello di assistenza più incentrato sul paziente. Un problema delicato che l’Europa in particolare deve Parola d’ordine: affrontare è quello della cooperazione fuga all’estero dei ricercatoLe risorse principali da ri, spesso poco motivati e impiegare sono essenzial- scarsamente retribuiti. scientifiche ottenute da studi rigorosi, che tengano conto anche del contesto politico e sociale in cui le decisioni verranno prese. Il secondo punto è di carattere normativo: è fondamentale che le politiche di sanità pubblica siano regolate da una legislazione specifica, che definisca i ruoli del governo e dei suoi partner, così come l’impiego e la distribuzione delle risorse destinate alla prevenzione e al controllo delle malattie croniche. I finanziamenti sono infatti l’elemento chiave per tradurre in azione politiche e piani attuativi la strategia d’intervento. 42 Un altro punto fondamentale riguarda il sostegno alla comunità e la creazione di una maggiore coesione sociale fra gli individui, specialmente quelli più vulnerabili. La qualità della vita cresce anche grazie al miglioramento dei contesti in cui si svolgono le attività quotidiane, come le scuole o i luoghi di lavoro, ma anche degli ospedali, delle prigioni o dell’ambiente in generale. Questi luoghi sono anche quelli dove si creano o si risolvono i loro problemi di salute. La strategia incoraggia quindi lo sviluppo di associazioni e collaborazioni tra i settori pubblico, civile e privato per raggiungere gli obiettivi di salute prefissati. Infine, l’ultimo, ma non per questo meno importante, punto è l’accessibilità dei servizi prodotti. Una delle chiavi del successo di una politica sanitaria per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche è assicurarsi che l’intera popolazione abbia accesso ai servizi di assistenza primaria e che questi rispondano effettivamente alle necessità di coloro a cui sono rivolti. Qualità, sicurezza e adeguatezza dei servizi vanno costantemente monitorati e, se necessario, adeguati alle richieste e migliorati, anche con il supporto di un sistema informativo adeguato. Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione Influenza aviaria: perché la globalizzazione ci ha reso più vulnerabili Edoardo Altomare egli ultimi decenni improvvisi focolai di malattie come l’influenza aviaria, la Sars, il morbo della mucca pazza, la febbre di Ebola hanno seminato timori incontrollati e danneggiato gravemente gli scambi commerciali, causando ovunque ingenti perdite economiche. Queste patologie hanno una caratteristica in comune: hanno superato la barriera di specie esistente tra animali e uomini, abbandonando il proprio ospite naturale per trasmettersi all’uomo. Secondo stime recenti, più del 60% delle 1.415 malattie infettive attualmente riconosciute in medicina sono capaci di colpire sia l’uomo che gli animali. La consapevolezza che le barriere tra specie diverse ostacolano sempre meno gli agenti infettivi suscita quindi particolare allarme. Sono una trentina le patologie infettive prima sconosciute che sono state identificate a partire dalla metà degli anni Settanta. La più nota è l’Aids, ma nell’elenco figurano, oltre a quelle già indicate, anche il morbo del N legionario, il morbo di Lyme, la sindrome polmonare da hantavirus, l’epatite C, le infezioni causate dai rotavirus, dal virus Guanarito, dall’Escherichia coli 0157. Quella di individuazione più recente è la chikungunya, malattia virale presumibilmente originatasi in Tanzania e trasmessa dalla zanzara Aedes aegypti, che nel febbraio 2006 ha colpito duramente gli abitanti dell’isola di Réunion (nell’Oceano Indiano), causando la morte di un centinaio di persone. Sono diverse le ragioni di questa vulnerabilità dell’uomo alle malattie che provengono dal mondo animale. Una storia emblematica è quella delle origini dell’attuale pandemia da Hiv/Aids. Il caso dell’Aids Si discute ancora aspramente sulle origini del virus dell’immunodeficienza umana (Hiv). Sembra esserci unanimità di vedute solo su un punto: che il virus sia stato trasmesso all’uomo dalle scimmie antropomorfe attraverso un salto di specie. Il cuore del dibattito sta proprio nelle ipotesi sulle modalità che hanno consentito questo passaggio e che devono tenere in considerazione un punto fermo: se è vero che le prime manifestazioni cliniche dell’Aids risalgono al 1981, le prime tracce documentate di infezioni da Hiv in esseri umani sono conservate in campioni di siero prelevati a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, già nel 1959. Il parente più prossimo del principale ceppo virale umano (Hiv-1) sembra un virus dell’immunodeficienza delle scimmie (Siv), il cui serbatoio naturale è lo scimpanzé Pan troglodytes. Lo scimpanzé è anche il vettore del virus, e confrontando i ceppi virali delle scimmie con quelli umani si è appurato che gli eventi di trasmissione tra scimmie antropomorfe africane e uomini sono stati molteplici e tra loro indipendenti. La teoria più accreditata è quella del “cacciatore ferito”: la caccia e la macellazione delle scimmie nelle regioni dell’Africa centrale avrebbero esposto l’uomo al contatto con il sangue e i liquidi biologici di animali infettati dal Siv. La comparsa dei virus Hiv-1 e Hiv-2 3 a sessione 28 aprile nella seconda metà del Novecento andrebbe dunque attribuita a fenomeni di urbanizzazione e al commercio di una carne ritenuta pregiata. Si sarebbero così create le condizioni ideali per la diffusione di un agente patogeno che avrebbe poi iniziato a trasmettersi per via sessuale. Gorilla e scimpanzé vengono tuttora uccisi per la loro carne, e la possibilità che questa pratica sia in qualche modo responsabile del salto dell’Hiv dai primati all’uomo è stata recentemente convalidata da alcuni studiosi. Direttamente dallo scimpanzé all’uomo porta anche l’assai più contrastata teoria del “vaccino contaminato”, una congettura avanzata prima dal giornalista Tom Curtis nel 1991 e poi dallo scrittore Edward Hooper nel 1999, che ipotizza che il passaggio del Siv dalle scimmie all’uomo sia stato determinato da una campagna di vaccinazione di massa condotta tra il 1957 e il 1960 nell’allora Congo belga. Per la produzione di quel vaccino antipolio sperimentale erano state utilizzate cellule renali di scimmia. Che si sia trattato di un incidente di caccia o dell’effetto di un’incauta sperimentazione, quel che è 43 certo è che dopo il suo salto nell’uomo l’Hiv è passato dal sangue agli emoderivati, come per esempio il fattore VIII della coagulazione, necessario agli emofilici per evitare le emorragie, e ha così trasmesso l’infezione a questi malati. Un altro formidabile veicolo di diffusione del virus dell’Aids è stata l’abitudine dei tossicodipendenti di condividere aghi e siringhe non sterili per le droghe iniettabili. Globalizzazione e salute L’uomo ha inventato numerose modalità che favoriscono la diffusione di malattie infettive e l’attraversamento delle barriere di specie: per esempio gli interventi chirurgici, le iniezioni e i sistemi di condizionamento dell’aria. È un fenomeno che non poteva sfuggire all’occhio attento di un grande storico della medicina come Mirko Drazen Grmek: «Questo passaggio dall’animale all’uomo è senz’altro inquietante in quanto è innegabile che, 44 se l’agente patogeno entra in contatto con una specie che non ha sviluppato difese, la malattia diventa fatalmente molto aggressiva». La causa del recente incremento di nuove infezioni virali starebbe nel grave squilibrio che l’uomo ha prodotto nel rapporto con l’ambiente che lo circonda. Gli osservatori più autorevoli puntano il dito sulla globalizzazione, sulla crescente urbanizzazione, sull’intensificazione delle attività tecnologiche in campo sanitario e della produzione alimentare. A proposito dei rapporti tra quest’ultimo fattore e la comparsa e la diffusione dell’influenza aviaria nei Paesi del Sudest asiatico, i veterinari americani William Karesh e Robert Cook sottolineano come oggi «la grande maggioranza degli individui sul pianeta uccida e macelli animali per cibarsene, oppure li acquisti freschi, salati o affumicati in mercati all’aria aperta». Un elenco esauriente dei cambiamenti sociali e ambientali indotti dall’uomo su vasta scala, che offrono ai microrganismi sempre nuove opportunità, è stato approntato dall’epidemiologo Tony McMichael. È facile prevedere che nuove e vecchie patologie infettive continueranno a emergere a causa di questo complesso intreccio tra condizioni biologiche e mutamenti ambientali e socioculturali. Cosa si può fare? Meglio farsi trovare vigili e preparati. La sorveglianza e la comunicazione, per esempio, sono fattori determinanti: identificando con tempestività nuovi focolai, dovunque facciano la loro comparsa, e lavorando a network globali per lo scambio rapido di informazioni, si può sperare di ridurre l’impatto delle malattie infettive. Si impongono oggi una nuova coscienza sanitaria e un rinnovato impegno da parte della comunità internazionale. 17 febbraio 2005. • E. Altomare, M. De Bac, Virus all’attacco. Cosa ci aspetta dopo la Sars. Avverbi, Roma, 2003. • G. Cowlishaw, “A dish to die for”. In: Nature, 10 luglio 2003. • D. Crawford, Il nemico invisibile. Storia naturale dei virus. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002. • M.D. Grmek, La vita, le malattie e la storia. Di Renzo Editore, Roma, 1998. • W.B. Karesh, R.A. Cook, “The Human-Animal Link”. In: Foreign Affairs, luglio/agosto 2005. • T. McMichael, Malattia, uomo, ambiente. La storia e il futuro. Edizioni Ambiente, Milano, 2002. • ProMed-mail (International Society for Infectious Diseases), 7 marzo 2006. Bibliografia • A. Ronchey, “Le inesauri• E. Altomare, “Aids, sulle bili guerre dei virus”. In: tracce del vaccino contami- Corriere della Sera, 14 marnato”. In: Il Sole-24ore @lfa, zo 2006. Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione Lavoro, precarietà, salute Pietro Curzio è un’equazione evidente sottesa al rapporto tra lavoro e salute: quanto più il rapporto di lavoro è tutelato da garanzie di stabilità, tanto più sono garantite la salute e la sicurezza del lavoratore. Il lavoro precario incrementa i rischi di danni fisici e psichici per il lavoratore. Una delle chiavi di riflessione sul grado di tutela della salute di chi lavora è sicuramente quella delle garanzie più generali che connotano il rapporto di lavoro. I soggetti più a rischio sono coloro che lavorano in nero, al di fuori di qualsiasi garanzia, e coloro che lavorano in chiaro (o in grigio), ma con rapporti caratterizzati da instabilità e precarietà. Dare ragionevoli elementi di stabilità al rapporto di lavoro è l’esigenza che ha portato a introdurre una serie di limiti al potere di licenziare del datore di lavoro. La normativa consegnata alla Repubblica fondata sul lavoro prevista dalla nostra Costituzione dal periodo corporativo era quella del Codice civile, che preve- C’ deva la possibilità per il datore di lavoro di recedere dal rapporto, cioè di licenziare il lavoratore, ad nutum: in qualsiasi momento e anche senza motivo. Questa possibilità rendeva evidentemente il lavoratore esposto non solo a quello specifico potere privo di limiti del datore, ma a un più generale stato di soggezione. Consapevole di poter perdere il lavoro in qualsiasi momento anche in via del tutto arbitraria, ben difficilmente il lavoratore avrebbe osato chiedere il rispetto dei suoi diritti nella concreta dinamica del rapporto. La soggezione al potere di licenziamento ad nutum comportava in concreto l’indebolimento, se non la negazione, di tutta una serie di altri diritti riconosciuti da leggi e contratti collettivi in materia di retribuzione, orario, riposi, mansioni, garanzie per la salute, attività sindacale e così via. Anni ’60, ecco le prime regole Nel corso degli anni Sessan- ta questo potere cruciale era stato regolamentato. Il datore di lavoro poteva sì licenziare il lavoratore, ma solo in presenza di una ragione che giustificasse il licenziamento. Per giustificato motivo la legge n. 604 del 15 luglio 1966 intendeva “un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”, ovvero “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro, e al regolare funzionamento di esso”. Un licenziamento senza giustificato motivo era inefficace e il datore era tenuto, a sua scelta, o a riassumere il lavoratore o a risarcirgli il danno da licenziamento illegittimo (l’articolo 8 della legge quantifica l’indennizzo per il licenziamento illegittimo in un importo variabile da minimo due mensilità e mezzo a massimo sei mensilità). Lo Statuto dei lavoratori (1970) aveva aggiunto un’ulteriore garanzia per i dipendenti di imprese o unità produttive con più di quindici dipendenti: la reintegrazione nel posto di lavoro o, in caso di inadempimento, il risarcimento del danno costituito dal pagamento delle retribuzioni dal momento del licenziamento illegittimo. Sempre in quegli anni il legislatore aveva posto un altro filtro al potere del 3 a sessione 28 aprile datore di lavoro di recedere dal rapporto, fissando un limite alla possibilità di stipulare contratti di lavoro a termine. Con la legge n. 230 del 18 aprile 1962 il legislatore aveva stabilito che il rapporto di lavoro era di regola a tempo indeterminato e che il lavoro a termine era consentito solo in presenza di situazioni idonee a giustificarlo, specificamente catalogate dalla legge. Un lavoratore che contava su di un lavoro tendenzialmente sicuro, salvo sue inadempienze o ragioni oggettive dell’impresa che ne giustificassero la risoluzione o consentissero l’apposizione sin dall’inizio di un termine, si trovava in una situazione che gli permetteva di far valere i suoi diritti, primi fra tutti quelli a tutela della salute sua e dei suoi compagni di lavoro. L’ultima legislatura: un’inversione di tendenza Questo quadro di riferimento è venuto meno nel corso degli ultimi anni e in particolar modo nell’ultima legislatura. Uno dei primi provvedimenti è stato infatti il Decreto legislativo n. 368 del 6 settembre 2001 in materia di lavoro a tempo de45 terminato, che ha sostituito le specifiche situazioni delineate dalla normativa previgente con una formula molto ampia e generica, prevedendo la possibilità di lavoro a termine “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo o sostitutivo”. Si era poi deciso di modificare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, con una scelta che non è però passata a causa di un imponente movimento di opinione in senso contrario, culminato con la manifestazione a Roma alla quale parteciparono milioni di persone. È stata invece approvata la Legge n. 30 del 14 febbraio 2003, che non ha toccato l’articolo 18, ma ha introdotto una serie di rapporti di lavoro “atipici”, quasi tutti a tempo determinato e connotati da forti dosi di flessibilità. Questa legge per scelta del Governo viene denominata Legge Biagi, in memoria del docente di diritto del lavoro barbaramente ucciso nell’attentato terroristico del 19 marzo 2002. In realtà nella legge è stata trasfusa solo una parte delle proposte di Biagi: quella che rende il lavoro in Italia tra i più flessibili in Europa. Non è stata invece inclusa la parte che prevedeva, a compensazione di questa drastica riduzione di garanzie, la predisposizione di tutele sul mercato del lavoro, a cominciare dalla riforma degli ammortizzatori sociali e degli incentivi all’occupazione, che Biagi considerava fondamentale per la modernizzazione del Paese. Dal 2003 in avanti, pertanto, l’Italia, per espressa dichiarazione del Governo, è diventata uno dei Paesi europei a maggiore tasso di 46 flessibilità del lavoro. Con la Legge 30, e soprattutto con il Decreto governativo attuativo n. 276 del 2003, sono stati resi molto meno garantiti che in passato lavori atipici già previsti dall’ordinamento italiano, come il lavoro part time o l’apprendistato, e sono stati introdotti contratti atipici nuovi, tutti caratterizzati da temporaneità e flessibilità accentuata: il lavoro somministrato, che ha dilatato le caute e circoscritte ipotesi di lavoro interinale introdotte dal pacchetto Treu nel 1997; il contratto di inserimento; il lavoro intermittente; il lavoro ripartito; il lavoro a progetto; il lavoro accessorio. Sono state poi ridotte le garanzie dei lavoratori in materia di orario di lavoro, di lavoro nelle cooperative e in caso di trasferimento di azienda; sono stati del tutto liberalizzati gli appalti di manodopera con l’abrogazione della Legge 1369 del 1960 che li consentiva solo in determinati casi, prevedendo peraltro garanzie di trattamento paritario per i lavoratori dell’impresa che assumeva l’appalto rispetto a quelli dell’impresa appaltante. È evidente che tutto ciò è stato fatto senza operare quella compensazione di garanzie sul mercato del lavoro che Biagi considerava fondamentale: queste contropartite si sono perse per strada. Contrariamente a quanto viene comunemente sostenuto, tutto ciò non ha determinato neanche una crescita dell’occupazione. Infatti, dai dati sull’occupazione forniti dall’Istat, si evince che l’occupazione è in crescita da nove anni, e cioè do, come tende ad accadere sempre più spesso, la precarietà non connota solo una fase transitoria dell’esperienza lavorativa, ma tende a cronicizzarsi, si estende per molti anni, diventa una dimensione stabile della vita di coloro che Pietro Ichino ha definito i “precari permanenti”. Alcune forme di contratti atipici aggiungono alla precarietà temporale ulteriori elementi negativi ai fini delle condizioni di lavoro. Basti pensare al lavoratore che viene inviato in somministrazione presso aziende che non sono il suo datore di lavoro: il cambio continuo di ambienti di lavoro, di colleghi, di mansioni, ineluttabilmente lo espone a un maggiore pericolo di incidenti, di infortuni, di mobbing da parte dei molteplici utilizzatori e dei loro dipendenti. Parimenti, la liberalizzazione degli appalti, strumento utile in quanto permette di ridurre i costi di produzione, inevitabilmente si rifletterà sulle condizioni di sicurezza del lavoro. E non si tratta di situazioni marginali. Sebbene la nuova normativa sia entrata in vigore da poco, cominciano a essere disponibili alcuni dati. L’Inail ha calcolato che “nel 2004 i contratti di lavoro somministrato sono stati 760.000, e che i contratti si risolvono tendenzialmente in periodi brevi: il 22,6% dura un solo giorno, l’85% non supera i tre mesi. Nell’insieme la durata media di un contratto si assesterebbe sui 40 giorni”. Peraltro la frammentazione Nascono i “precari dei rapporti di lavoro, un turnover serrato, la scissiopermanenti” ne tra datore di lavoro e Tutto ciò si amplifica quan- aziende utilizzatrici del dal 1996 in poi, e che questa crescita, dopo l’entrata in vigore della Legge 30 (ottobre 2003), non si è accentuata, ma si è ridotta, ed è anzi venuta meno nel corso del 2005. Se i benefici occupazionali di questa forte trasformazione normativa sono stati nulli o relativi, qual è stato l’impatto sulle condizioni di vita dei lavoratori e specificamente sulle garanzie per la tutela della salute e della sicurezza? La risposta è nelle cose. È difficile ritenere che il rapporto tra garanzie sul lavoro e tutela della salute possa operare in senso diverso dall’equazione indicata all’inizio. Le ragioni sono molteplici, ma assolutamente convergenti. Un lavoratore con un contratto a tempo indeterminato e ragionevoli garanzie di stabilità tende a difendere i suoi diritti. Un lavoratore assunto per pochi mesi o addirittura per pochi giorni si troverà in una situazione ben diversa. Questa diversa condizione giuridica determina un diverso atteggiamento del lavoratore (e del datore), e incide profondamente sull’equilibrio del rapporto di lavoro. Ma non è solo questo. C’è un’altra declinazione di quella stessa equazione: la garanzia della salute cresce se crescono la continuità del lavoro, l’esperienza del lavoratore, la sua conoscenza dell’ambiente e degli strumenti di lavoro. Lavori brevi e frammentati accentuano i rischi. Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione lavoro rendono più difficile e complicato per gli organi istituzionalmente preposti alla vigilanza effettuare ispezioni e controlli con la sistematicità e la cura che la materia richiede. Tanto più se, come sta accadendo, a ciò si accompagna la pretesa di realizzare queste attività con riforme a costo zero o addirittura con drastici tagli dei fondi. Con questo tipo di scelte, tutte convergenti per attenuare sempre di più le garanzie sul lavoro, verranno probabilmente vanificate o addirittura invertite alcune tendenze positive che si erano manifestate negli ultimi anni grazie a un forte impegno e ad alcuni provvedimenti legislativi adottati nel corso degli anni Novanta, a cominciare dal decreto legislativo 626 del ’94. Il rapporto Inail 2005 evidenzia che per gli infortuni sul lavoro c’è stata un’inversione di tendenza nel 2000, quando hanno cominciato a decrescere, con una linea di tendenza che è stata poi sempre la stessa negli anni successivi sino al 2004. La regolamentazione giuridica a tutela del lavoro e della salute deve tenere conto delle esigenze del mercato e della produzione, ma non può farlo prescin- dendo da un sistema attento e aggiornato di garanzie a tutela dei diritti di chi lavora, primi fra tutti quelli relativi alla sua sicurezza e alla sua salute. Occorre ritornare all’attenzione e alle scelte che hanno reso possibili quei risultati positivi e rinnovare e aggiornare l’impegno per rendere il lavoro, nei limiti del possibile, sempre meno precario e più sicuro. 3 a sessione 28 aprile 47 I riflessi della globalizzazione sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori Fabio Capacci, Francesco Carnevale O rg a n i z z a z i o n e mondiale del lavoro (Ilo), al Congresso mondiale di Madrid su “Sicurezza e salute nel lavoro” del 1996, ha definito la globalizzazione come la crescente integrazione delle economie nazionali in un mercato globale attraverso il commercio, gli investimenti e altri flussi finanziari. E cioè il complesso, intenso e continuamente crescente interscambio attraverso il mondo intero di beni, servizi e produttività. Ma anche di mano d’opera, come ha ritenuto doveroso aggiungere il relatore di allora, Ali Taqi, vicedirettore generale dell’Ilo. Questa definizione descrive gli scopi della globalizzazione, ma non i meccanismi con i quali l’organizzazione capitalista globale, con le sue politiche macroeconomiche, porta alla crescita di disuguaglianze globali. Gli interscambi mondiali non sono una novità contemporanea, e la globalizzazione è solo la più recente espressione economica e macroscopica del fatto che i benefici del commercio in- L’ 48 ternazionale sono ben lontani dall’essere distribuiti equamente: mentre avvantaggiano le corporazioni con interessi sovranazionali, infatti, possono portare a conseguenze negative sulla vita di molti lavoratori, anche in termini di salute. Per i lavoratori è difficile organizzarsi per ottenere miglioramenti, a causa della minaccia di chiusura delle fabbriche non appena si renda disponibile manodopera più a buon mercato. È difficile prevedere le evoluzioni future: potrebbero, per esempio, crearsi in Africa condizioni di lavoro ancor più a buon mercato rispetto alla Cina. Oppure potrebbero svilupparsi ulteriori stratificazioni economiche e di condizioni di lavoro a favore dei lavoratori altamente specializzati o di quelli che lavorano nel privato. La globalizzazione nuoce alla salute? Le prime stime globali elaborate dall’Ilo relative agli anni Novanta hanno mo- strato un aumento progressivo degli infortuni sul lavoro nel mondo, fino a raggiungere il numero di 250 milioni di infortuni non mortali stimati nel 1999 e un numero di patologie professionali pari a 160 milioni l’anno. Il numero di morti a causa del lavoro ogni anno nel mondo è di 1,2 milioni, ma è un dato ritenuto ampiamente sottostimato. Possiamo ritenere questi dati effetto della globalizzazione? Forse, almeno nel senso che sono effetto della crescita tumultuosa del lavoro in molti Paesi, proprio grazie alla globalizzazione. Senza però quelle tutele che non c’erano prima e che nessuno sembra avere interesse a introdurre ora, forse neppure gli stessi lavoratori. La disponibilità di manodopera a basso costo sembra così rappresentare l’unica moneta in grado di comprare il diritto al lavoro. Chi sostiene i vantaggi della globalizzazione ritiene che la ricchezza creata dall’aumento del commercio globale non possa che portare a un miglioramento dei servizi sanitari, dell’educazione e, quindi, della salute. Altri analisti, più critici, affermano che non c’è alcun serio sostegno alla tesi che associa commercio, crescita e ricchezza. Almeno nel senso dell’equa distribuzione di questi vantaggi, e che in Paesi a basso reddito la crescita economica ha spesso portato all’aumento delle disparità e a maggiori rischi per la salute. La preponderanza di manodopera nei Paesi meno industrializzati e la liberalizzazione del commercio hanno portato al trasferimento verso quei Paesi di tecnologie spesso rischiose, prodotti chimici e rifiuti pericolosi da trattare, all’aumento del lavoro in catene di montaggio, alla ridotta qualità del lavoro con minime opportunità di miglioramento e all’aumento di impieghi casuali e precari. Gli effetti sulla salute dei lavoratori nei Paesi ricchi e in quelli poveri avverranno in misura e con meccanismi molto differenti, visto che il gap tra i redditi medi dei Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo è passato da 1:50 negli anni Sessanta a 1:120 di oggi. Tra le variabili responsabili dei differenti effetti negativi sulla salute dei lavoratori tra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo, ricordiamo: molti processi produttivi impegnano maggiore forza lavoro nei Paesi in via di sviluppo rispetto a quelli industrializzati le condizioni climatiche sono spesso più impegnati- Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione ve nei Paesi in via di svi- gono la necessità di prolungare la vita lavorativa per luppo ridurre il peso economico la conoscenza e la consa- sulla previdenza. Ciò avviepevolezza dei pericoli, e di ne però in un sistema di conseguenza delle modalità flessibilità del lavoro in cui per gestire il rischio, sono l’età non aiuta: si assiste coinferiori nei Paesi con red- sì all’aggravarsi tra i lavoratori di patologie croniche diti più bassi e degenerative in cui si in i macchinari, gli impian- trecciano il contributo delti e le attrezzature sono più l’età e quello del lavoro. obsoleti nei Paesi in via di È paradossale il diverso effetto della globalizzazione sviluppo nei Paesi poveri, dove il il trasferimento nei Pae- problema cruciale è comsi in via di sviluppo avviene battere lo sfruttamento del spesso senza appropriate lavoro minorile, spesso conmisure per il controllo di la- siderato un dono per bambini e adolescenti che non vorazioni pericolose hanno alcuna aspettativa l’aumento delle malattie scolastica. dell’apparato cardiocircola- La grande massa di nuove torio è legato all’aumento generazioni di lavoratori è dei turni di lavoro, anche esposta a rischi ben noti nei notturno, nei Paesi indu- Paesi sviluppati, ma meno noti altrove: tecnologie svistrializzati luppate in Paesi industria sono presenti malattie lizzati con accettabili stantrasmissibili correlabili al dard di sicurezza vengono lavoro nei Paesi a basso esportate senza alcun know how rispetto alla gestione reddito dei rischi. Spesso, poi, le c’è la possibilità che la masse di lavoratori provenminor aspettativa di vita gono da aree rurali e non nei Paesi in via di sviluppo hanno nessuna esperienza impedisca il manifestarsi di di processi industriali, eletpatologie a lunga latenza, tricità, macchine e sostanze come i tumori e i disturbi chimiche. circolatori. Lo scivolare del mondo del lavoro verso la precarietà, l’insicurezza, la riduzione del supporto sociale al lavoro e dell’accesso a benefici e l’aumentare dell’insicurezza economica hanno ripercussioni negative sulla salute. In Occidente, la riduzione della natalità e l’aumentata longevità contribuiscono a rendere le risorse da destinare alla sicurezza sociale insufficienti a mantenere i livelli già raggiunti, e pon- La necessità di regole comuni La feroce competizione nella riduzione dei costi di produzione e il marcato declino nel rafforzare le normative nazionali di protezione del lavoro sono i principali elementi in gioco nel condizionare la sicurezza del lavoro nei Paesi in via di sviluppo. Nei Paesi sviluppati interviene invece la precarietà dell’impiego, che con la sicurezza del lavoro ha indirette ma forti connessioni. In Italia sta rallentando il miracolo economico e produttivo del Nordest, si è conclusa l’avventura del distretto tessile pratese e stanno anche rientrando in Cina le produzioni che gli stessi imprenditori cinesi avevano creato negli anni Novanta. I tentativi di accordo sulle garanzie per i diritti del lavoro e per la sicurezza, come quelli presi nell’ambito del North American Free Trade Agreement (Nafta), hanno fallito in quanto troppo deboli per contrastare gli interessi commerciali immediati delle imprese. Tuttavia alcuni principi generali per la salvaguardia della salute dei lavoratori dovrebbero essere alla base di qualsiasi futuro accordo di commercio e investimento: una base minima di regolamenti su salute e sicurezza del lavoro sia a livello di normative nazionali, sia di standard internazionali da ratificare e rafforzare nel tempo. La tendenza verso l’armonizzazione degli attuali standard. Una chiara ed esplicita definizione delle responsabilità degli imprenditori nel caso di violazione degli standard. Il riconoscimento delle diverse condizioni economiche fra partner commerciali e la previsione di assistenza tecnica e finanziaria per superare disincentivi economici e mancanza di risorse. La Commissione internazionale di medicina del lavoro e l’Associazione internazionale di sicurezza sociale, con l’Ilo e il National Safety Council americano, hanno organizzato nel 2005 a Orlando, in Florida, il XVII Congresso mondiale per la prevenzione dei rischi professionali. La dichiarazione finale, dal titolo “La prevenzione: un valore di attualità per un mondo di domani”, afferma che «la sicurezza e la salute al lavoro devono essere considerati una parte integrante dell’attività commerciale sia nelle grandi che nelle piccole aziende, e così anche nel settore dell’economia informale. La sicurezza e la salute al lavoro dovranno essere presenti assieme agli altri obiettivi organizzativi perché portano vantaggi considerevoli sul piano sociale e su quello economico». L’economia globale non può evitare di affrontare gli squilibri su cui si fonda e che si esprimono anche in paradossi come il doppio senso della migrazione che interessa attualmente l’Europa: la mano d’opera preme per entrare, mentre il lavoro tende a emigrare. 3 a sessione 28 aprile L’espansione produttiva in Cina La situazione cinese rappresenta un esempio sul campo degli effetti della globalizzazione, sia interni al Paese sia sull’economia mondiale. I cambiamenti economici e sociali intervenuti nel corso degli ultimi venti anni in Cina non hanno precedenti nella storia. Nessuna nazione è mai andata incontro a un processo di industrializzazione tanto rapido. Ma si tratta veramente di industrie cinesi? Con la liberalizzazione economica e l’apertura di aree dove gli 49 investitori internazionali possono operare senza vincoli burocratici, le imprese transnazionali hanno localizzato la loro produzione in Cina, attirate dalla presenza di una vasta sacca di potenziale manodopera a basso costo. Le paghe degli operai cinesi affluiti in massa dalle campagne direttamente nelle industrie non sono sufficienti a sostenere una famiglia. Non esiste copertura sanitaria. Non vi è certezza del lavoro e nessuna garanzia che lo stipendio venga pagato con regolarità. Il lavoro minorile è diffuso e combatterlo è arduo, dati i precari equilibri economici che condizionano le famiglie povere di vaste aree della Cina. Tutto ciò ha portato a una serie di tragedie sul lavoro: fabbriche in fiamme, disastri minerari, un’impressionante frequenza di infortuni, intossicazioni acute e patologie croniche attribuibili al lavoro. L’Ilo stima in 11 per 100.000 gli infortuni mortali (contro il 4,4 negli Usa), e le stesse statistiche del governo cinese, per quanto ampiamente sottostimate, riportano una crescita degli eventi infortunistici del 27% fra il 2000 e il 2001, e un aumento delle patologie professionali attorno al 13%. La disoccupazione rimane alta, la libertà sindacale è molto compressa e i problemi dei lavoratori sono enormi: salari bassi, orari di lavoro pesanti, abusi sessuali. In queste condizioni la sicurezza del lavoro pesa, nell’immediato, meno degli altri. Il governo cinese ha promulgato leggi e regolamenti che codificano i diritti dei lavoratori e la loro salute e 50 sicurezza riguardo all’uso di sostanze chimiche e radioattive. La Cina è membro dell’Ilo fin dal 1919, e ha firmato le convenzioni fondamentali sull’abolizione del lavoro minorile e l’accordo internazionale sui diritti economici, sociali e culturali che richiede il rispetto del diritto di costituire sindacati e di proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori. Nonostante ciò, l’applicazione di principi e leggi per la tutela dei lavoratori rimane problematico, a causa del numero degli ispettori del lavoro molto basso, delle loro capacità tecniche limitate, degli strumenti impositivi deboli, della corruzione e della mancanza di azione sindacale. Tra le possibili iniziative per cambiare questo stato di cose, oltre all’auspicabile partecipazione delle masse dei lavoratori al processo di conquista e gestione della propria sicurezza, c’è quella di creare incentivi per spingere le multinazionali a migliorare le condizioni di lavoro nelle proprie filiere di produzione, anche attraverso un’operazione di trasparenza che apra le fabbriche al controllo esterno. Nel 2004 una petizione in questo senso è stata presentata dall’American Federation of Labor and Congress of Industrial Organizations. Petizione che è stata recentemente respinta dall’amministrazione Bush, per questo accusata dal sindacato di essere pronta a scendere in campo quando sono i gioco i profitti delle corporazioni, ma non in difesa dei diritti dei lavoratori. Oggi gli obiettivi principali sono: riconoscere vantaggi, sia di natura economica sia indiretti come immagine, ai gruppi finanziari e industriali che esportano in Paesi con manodopera a basso costo anche misure di prevenzione; l’armonizzazione internazionale di standard del lavoro; l’inclusione di una clausola sociale nei contratti di mercato e negli accordi tra Paesi; la definizione di regole sicure sul costo del lavoro, la dignità e la sicurezza dei lavoratori; infine, non bisogna accettare passivamente l’estremismo ideologico che tende a presentare il mercato globale come il solo e immodificabile strumento capace di rispondere alle esigenze della maggioranza degli uomini. Il processo, se non può essere bloccato, è suscettibile comunque di condizionamenti “dal basso”, tanto da aggiornarne sia la strategia generale sia molti obiettivi intermedi. demographic change-facts, trends, policy response and actual need for preventive occupational health services in Europe”. In: Sjweh Supplement, 2005. • G.D. Brown, D. O’Rourke, “The race to China and Implications for Global Labor Standards”. In: Int J Occup Environ Health, 2003. • G.D. Brown, “Protecting Workers’ Health and Safety in the Globalizing Economy Through International Trade Treaties”. In: Int J Occup Environ Health, 2005. • R. Loewenson, “Globalization and occupational health: a perspective from southern Africa”. In: Bulletin of the World Health Organization, 2001. • M. Mongalvy, E. Draiss, “Congrès compte rendu. XVII Congrès Mondial sur la securité et la santé au travail”. In: Inrs - Cahiers de notes documentaires, 2005. Bibliografia • J.M. Spiegel et al, “Under- • S. Frost, “Rules and Regustanding ‘Globalization’ as lations in Chinese Factoa determinant of health de- ries”. In: Int J Occup Enviterminants: a critical per- ron Health, 2003. spective”. In: Int J Occup Environ Health, 2004. • T. Pringle, S. 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In particolare, la diffusione sempre maggiore delle micro e piccole imprese (da tempo tra il 90 e il 95% del tessuto produttivo nazionale), il decentramento e la delocalizzazione dei rischi, l’irrompere della flessibilità e della precarietà, la persistenza e la diffusione di classi di lavoratori più deboli (per età, sesso e, appunto, provenienza). Si tratta di aspetti non tutti completamente nuovi, che comunque si sono progressivamente affermati alla fine del secolo scorso e che in questi primi anni del nuovo millennio vanno assumendo un peso sempre maggiore. Un peso che evi- T dentemente implica l’adozione di comportamenti e strategie mirate e più attente anche dal punto di vista della prevenzione dei rischi. I flussi migratori verso l’Italia si sono intensificati significativamente già a partire dagli anni Ottanta, ma ancor di più nel decennio successivo, rendendo l’Italia un punto d’arrivo significativo per i cittadini di altri Paesi. Il motivo è da ricercare forse nel potere di attrazione nei confronti dei Paesi più poveri, ma anche nella parziale disponibilità del nostro mercato, soprattutto in occupazioni di basso livello che non sono del tutto coperte dalla forza lavoro italiana (per quanto il mercato sia sempre più caratterizzato da lavori flessibili, precari e a costo ridotto). Gli immigrati trovano lavoro prevalentemen- te in ambiti produttivi che implicano bassi livelli di specializzazione e nello svolgimento di mansioni manuali, inevitabilmente caratterizzate da maggiori rischi, oltre che da minori retribuzioni. A questo scenario sono ovviamente legati nuovi problemi occupazionali e sociali, ai quali il sistema politico e istituzionale del nostro Paese sta cercando di rispondere. I risultati sono ancora insufficienti, soprattutto in questo periodo storico di crisi della solidarietà e dello stato sociale. D’altro canto, il lavoro degli immigrati costituisce una risorsa insostituibile per la nostra economia, per quanto una parte resti sommersa. Immigrati e infortuni È chiaro che l’introduzione di lavoratori spesso giovani, con esperienza e formazione professionale specifica scarse, provenienti da Paesi in cui abitudini e 3 a sessione 28 aprile “stili” lavorativi sono evidentemente differenti e dove l’attenzione alla sicurezza sul lavoro è inferiore alla nostra, si potrebbe riflettere negativamente anche sul piano infortunistico. Attualmente non ci sono molti dati sull’incidenza di infortuni e malattie professionali tra i lavoratori immigrati, nonostante il loro numero sia decisamente in crescita nel nostro Paese. Gli studi degli ultimi anni non stanno dando sempre risultati univoci. Non è ancora chiaro se i lavoratori stranieri, in particolare quelli extracomunitari, si infortunino e si ammalino sul lavoro sistematicamente più dei lavoratori italiani e, in tal caso, perché e come. Naturalmente si possono tentare risposte di buon senso. Diversa è la questione se ci si basa anche su un approccio scientifico ed epidemiologico. Per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori, la descrizione dell’andamento spazio temporale degli • Tabella 1 • Lavoratori extracomunitari assicurati all’Inail distinti per sesso Sesso uomini donne Totale % donne 2001 714.613 327.360 1.041.973 31,42 2002 1.021.187 450.960 1.472.147 30,63 2003 1.090.181 625.686 1.715.867 36,46 2004 1.172.245 705.522 1.877.767 37,57 51 • Tabella 2.1 • Denunce pervenute dal 16/3/2000 al 7/4/2006, desumibili dall’Osservatorio occupazionale che l’Inail ha attivato dal marzo 2000 grazie alla novità normativa dell’obbligo di denuncia nominativa di ogni assicurato Totali (tutti i lavoratori) Totali (lavoratori extracomunitari) lavoro a tempo indeterminato lavoro a tempo indeterminato assunzioni 27.737.431 4.480.630 cessazioni 22.919.707 3.087.480 lavoro a tempo determinato lavoro a tempo determinato assunzioni 13.952.971 1.577.928 cessazioni 12.655.658 1.406.861 cambi d’azienda 35.164.649 5.143.524 I lavoratori extracomunitari rappresentano il 13% del saldo attivo del lavoro a tempo determinato e il 29% di quello a tempo indeterminato. • Tabella 2.2 • Quota parte di inserimenti relativi rispettivamente a lavoratori extra comunitari e comunitari, rispetto al periodo di 6 anni considerato Italiani 35.076.886 Comunitari 554.958 Extracomunitari 6.058.558 infortuni sul lavoro è indubbiamente un indicatore importante del funzionamento del mondo produttivo. Nonostante la maggiore disponibilità di flussi informativi e conoscenze rispetto anche a pochi anni fa, mancano dati sicuri sull’occupazione dei lavoratori stranieri, soprattutto di quelli irregolari. In Italia i lavoratori regolari sono circa 22 milioni, a cui va aggiunta una quota di lavoratori irregolari che, secondo le stime, dovrebbe essere di circa 5 milioni. I dati sulla situazione infortunistica più vicini alla realtà derivano dall’attività dell’Inail, che “conosce” circa l’80-85% dei lavoratori regolari. Sulla quota di irregolari si sa ben poco e consiste soprattutto in ciò che emerge sporadicamente in caso di eventi particolarmente gravi o mortali, che 52 in varie occasioni vengono alla luce trascinando anche la conoscenza della condizione del lavoratore coinvolto. Queste criticità costituiscono evidentemente solo un punto di partenza per motivare l’acquisizione di ulteriori conoscenze sul fenomeno, notoriamente destinato ad aumentare in futuro, dato il prevedibile incremento nel nostro Paese della manodopera non italiana. Una valutazione dell’incidenza del fenomeno infortunistico tra i lavoratori migranti è certamente possibile, pur con le approssimazioni citate relative al denominatore, cioè alla popolazione specifica. Ancor più difficoltoso, per non dire improbabile, è lo studio dell’incidenza di malattie professionali, che ovviamente risente della relativa “novità” dell’avvio al lavoro, dato che la gran parte della popolazione in oggetto lavora in Italia solo da alcuni anni. Il fenomeno delle malattie professionali fra i lavoratori migranti è certamente molto complesso e di difficile interpretazione: pertanto non verrà esaminato in questa sede, dove ci si limiterà alla presentazione di alcuni dati sull’andamento infortunistico. Secondo le stime dell’Inail, basate soprattutto sui dati della denuncia nominativa degli assicurati, la popolazione lavorativa extracomunitaria è pari a circa il 10% di quella complessivamente assicurata all’Istituto e sembra in continuo aumento negli ultimi anni. Per quanto riguarda la situazione infortunistica della popolazione in oggetto, rispetto alla totalità delle denunce per l’intera popola- zione lavorativa assicurata, la tabella 4 evidenzia una diversa tendenza: il trend in diminuzione per la totalità dei lavoratori assicurati appare in progressivo e significativo incremento per la popolazione extracomunitaria, che del resto corrisponde all’aumento della popolazione assicurata (e in effetti l’indice di incidenza appare sostanzialmente stabile negli ultimi tre anni). È interessante anche il dato degli infortuni mortali, che presumibilmente sono assai più corrispondenti alla realtà rispetto al complesso delle denunce, sulle quali notoriamente può incidere in misura largamente maggiore il fenomeno della sottodenuncia. Rispetto al complesso delle denunce d’infortunio mortale (circa 1300 casi negli ultimi anni, con una lieve tendenza al decremento), i la- Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione • Tabella 3 • Distribuzione per Regione degli extracomunitari inseriti nell’Osservatorio nello stesso periodo degli ultimi 6 anni (Fonte: dati Inail elaborati il 23/3/2006) Regione Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trentino Alto Adige Veneto Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Non attribuiti Totali Assunzioni 309.933 16.052 1.122.165 366.514 643.995 124.985 104.383 579.537 386.574 98.352 154.179 431.283 98.627 10.115 127.485 121.189 15.185 39.715 113.348 20.896 865.125 5.749.637 Cessazioni 244.733 13.286 873.035 278.702 531.875 103.867 82.364 472.062 320.985 83.974 126.184 354.970 83.481 8.615 99.908 106.863 13.230 32.196 97.128 17.932 449.244 4.394.634 3 a sessione 28 aprile Cambi d’azienda 291.933 18.153 1.016.701 255.735 593.389 124.477 99.638 575.436 356.322 91.876 145.118 319.058 90.723 8.753 90.829 101.818 12.867 28.576 87.314 17.948 586.432 4.913.096 Dei circa 960 mila saldi attivi tra assunzioni e cessazioni attribuiti ai singoli territori regionali, approssimativamente il 70% riguarda le regioni del Nord, il 21% quelle del Centro, il 9% quelle di Sud e Isole. Dati che in qualche modo confermano in parte quelli forniti dal ministero degli Interni, secondo cui la pressione migratoria risulta ripartita approssimativamente per più del 50% al Nord, per quasi il 30% al Centro e per poco meno del 20% nel Sud e nelle Isole. • Tabella 4 • Infortuni occorsi a lavoratori extracomunitari denunciati all’Inail, in base al sesso Sesso 2001 2002 2003 2004 uomini 63.388 78.609 92.739 97.531 donne 10.389 14.137 17.108 19.374 Totale 73.777 92.746 109.847 116.905 % donne 14,08 15,24 15,57 16,57 • Tabella 5 • Infortuni denunciati all’Inail in tutti i settori Totale 2001 2002 2003 2004 industria e servizi 920.649 894.664 880.242 869.522 agricoltura 80.532 73.515 71.379 69.214 conto Stato 22.198 24.476 25.573 27.988 • Tabella 6 • Infortuni mortali in lavoratori extracomunitari Sesso 2001 2002 uomini 111 113 donne 10 7 Totale 121 120 % donne 8,26 5,83 denunciati all’Inail, in base al sesso 2003 2004 157 156 9 18 166 174 5,42 10,34 53 • Tabella 7 • Extracomunitari in tutti i settori per Regione Regione Anno Casi denunciati Temporanea 2003 8.176 5.116 Piemonte 2004 9.393 5.828 2003 289 174 Valle d’Aosta 2004 342 198 2003 22.923 15.423 Lombardia 2004 24.340 16.457 2003 3.737 2.462 Trentino Alto Adige 2004 4.206 2.681 2003 21.518 12.591 Veneto 2004 1.983 12.510 2003 5.062 3.182 Friuli Venezia Giulia 2004 5.042 3.102 2003 2.323 1.395 Liguria 2004 2.584 1.532 2003 21.267 12.373 Emilia Romagna 2004 23.533 13.422 2003 7.857 5.144 Toscana 2004 8.146 5.349 2003 2.694 1.845 Umbria 2004 2.808 1.922 2003 5.283 3.423 Marche 2004 5.244 3.435 2003 3.588 2.187 Lazio 2004 3.825 2.259 2003 1.696 1.171 Abruzzo 2004 1.860 1.239 2003 162 95 Molise 2004 157 118 2003 772 473 Campania 2004 830 510 2003 964 605 Puglia 2004 1.053 650 2003 184 131 Basilicata 2004 196 129 2003 421 277 Calabria 2004 379 253 2003 805 541 Sicilia 2004 846 587 2003 184 128 Sardegna 2004 205 148 2003 109.905 68.736 Italia 2004 116.972 72.329 Permanente 223 227 10 10 683 756 87 112 469 486 159 129 82 81 413 515 270 288 61 82 133 120 187 177 38 62 12 5 53 62 31 33 5 9 21 29 50 37 13 12 3.000 3.232 Morte 18 23 37 36 2 30 19 6 6 3 9 13 22 11 11 3 6 5 6 10 11 4 1 3 2 3 1 1 1 1 2 4 2 1 2 155 160 Totale 5.357 6.078 184 208 16.143 17.249 2.551 2.793 13.090 13.015 3.347 3.237 1.480 1.622 12.799 13.959 5.425 5.648 1.909 2.010 3.561 3.561 2.384 2.447 1.213 1.302 107 123 529 574 639 684 137 139 299 284 595 626 142 162 71.891 75.721 Tra il 2003 e il 2004 le denunce di infortunio sono aumentate quasi ovunque, in proporzione agli indennizzi nella gran parte delle Regioni, salvo che nel Nordest, nelle Marche e in Calabria. Questi dati sono naturalmente in sintonia con l’aumento della popolazione interessata. L’indice di incidenza degli infortuni totali, calcolato sulla base della stima di addetti riportata nella tabella 1, appare stabile in questi anni e comunque è costantemente superiore, in misura significativa e in tutti gli anni, al corrispondente indice relativo al complesso della popolazione lavorativa. 54 Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione voratori extracomunitari contribuiscono con numeri in progressivo aumento negli ultimi anni, con una percentuale che nei primi anni 2000 era inferiore al 10% e che si assesta ormai intorno al 14-15% del totale. Non sorprende che gli infortuni mortali riguardino prevalentemente il sesso maschile, considerando soprattutto le rispettive quote di presenza al lavoro dei due sessi e le diverse tipologie di inserimento lavorativo tra uomini e donne. Le tabelle 7, 8, 9 e 10 focalizzano l’attenzione su singoli aspetti, dalla distribuzione regionale a quella relativa alla nazionalità di provenienza. 3 a sessione 28 aprile • Tabella 8 • Extracomunitari: tutti i settori per Paese di nascita (2004) Paese di nascita Casi denunciati Temporanea Permanente Morte Totale Marocco 23.499 14.220 460 21 14.701 Albania 14.803 9.181 480 24 9.685 Romania 10.479 6.276 327 29 6.632 Tunisia 6.522 3.953 157 7 4.117 Jugoslavia 5.435 3.272 190 7 3.469 Senegal 4.661 3.245 137 5 3.387 India 2.687 1.700 93 5 1.798 Pakistan 2.603 1.589 66 - 1.655 Egitto 2.531 1.614 87 3 1.704 Macedonia 2.469 1.558 80 6 1.644 Argentina 2.329 1.501 65 4 1.570 Bangladesh 2.213 1.379 54 1 1.434 Ghana 2.061 1.323 49 1 1.373 Perù 1.807 1.149 51 2 1.202 Algeria 1.691 1.000 42 1 1.043 Nigeria 1.624 1.043 26 1 1.070 Polonia 1.595 940 54 1 995 Altri Paesi 27.963 17.386 814 42 18.242 Totale 116.972 72.329 3.232 160 75.721 Alcuni Paesi rimangono nella stessa posizione “in testa” negli ultimi due anni considerati. È comunque molto interessante notare quanto sia articolata la presenza di nazionalità straniere. Questi dati sono ulteriormente confermati da quelli acquisiti nell’ambito dell’Indagine sugli infortuni mortali e di elevata gravità che Inail, Ispesl e Regioni-Province autonome hanno recentemente portato a termine. Sono state raccolte molteplici informazioni e analisi su circa 2500 casi (per i due terzi mortali e per un terzo gravi) occorsi nel nostro Paese tra il 2002 e il 2004. 55 • Tabella 9 • Distribuzione degli infortuni per nazionalità, dal Progetto d’indagine sugli infortuni mortali (Inail, Ispesl, Regioni e Province autonome) Mortale Grave Totale Nazionalità N % N % N % Italia 1.307 88,13 713 81,39 2.020 85,63 Romania 36 2,43 36 4,11 72 3,05 Albania 37 2,49 33 3,77 70 2,97 Marocco 21 1,42 18 2,05 39 1,65 Macedonia 8 0,54 6 0,68 14 0,59 Egitto 2 0,13 10 1,14 12 0,51 Tunisia 6 0,40 5 0,57 11 0,47 Serbia-Montenegro 5 0,34 5 0,57 10 0,42 Ucraina 7 0,47 2 0,23 9 0,38 India 5 0,34 4 0,46 9 0,38 Bosnia-Erzegovina 5 0,34 1 0,11 6 0,25 Croazia 3 0,20 3 0,34 6 0,25 Senegal 3 0,20 3 0,34 6 0,25 Ghana 2 0,13 3 0,34 5 0,21 Perù 3 0,20 2 0,23 5 0,21 Ecuador 2 0,13 3 0,34 5 0,21 Moldova 2 0,13 3 0,34 5 0,21 Algeria 3 0,20 1 0,11 4 0,17 Pakistan 2 0,13 2 0,23 4 0,17 Polonia 2 0,13 2 0,23 4 0,17 Argentina 1 0,07 3 0,34 4 0,17 Germania 1 0,07 3 0,34 4 0,17 Filippine 2 0,13 . 2 0,08 Nigeria 1 0,07 1 0,11 2 0,08 Turchia 1 0,07 1 0,11 2 0,08 Bulgaria 1 0,07 1 0,11 2 0,08 Svizzera 1 0,07 1 0,11 2 0,08 Cile 2 0,13 . 2 0,08 altre cittadinanze con un solo caso 12 0,81 11 1,26 23 0,97 Totale valido 1.483 100 876 100 2.359 100 missing 28 11 39 Totale 1.511 887 2.398 La tabella fornisce un ventaglio evidentemente molto ampio di nazionalità (39, oltre a quella italiana) che conferma una delle più rilevanti trasformazioni del mondo del lavoro intervenuta negli ultimi due decenni. Conferma inoltre che la gran parte degli stranieri pervenuti nella casistica sono extracomunitari e che la provenienza largamente più diffusa è dai Paesi dell’Est europeo. Queste informazioni possono contribuire alla raccolta di elementi utili per individuare il target preferenziale di possibili iniziative di sostegno e integrazione, fondati sulle specificità dei diversi gruppi etnici coinvolti, che in ultima analisi dovrebbero essere finalizzati alla prevenzione e alla riduzione degli infortuni più gravi tra i lavoratori stranieri. 56 Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione • Tabella 10 • Extracomunitari - Tutti gli ambiti per settore di attività economica Settore di attività agrindustria pesca estrazione mineraria industria alimentare industria tessile industria conciaria industria del legno industria della carta industria del petrolio industria chimica industria della gomma industria delle trasformazioni industria metallifera industria meccanica industria elettrica industria dei mezzi di trasporto altre industrie Totale industrie manifatturiere elettricità, gas e acqua costruzioni Totale industria commercio Anno Casi denunciati Temporanea Permanente Morte Totale 2003 374 288 20 1 309 2004 344 277 6 - 283 2003 4 3 - - 3 2004 3 2 1 - 3 2003 157 120 11 3 134 2004 170 141 8 1 150 2003 2.234 1.837 55 4 1.896 2004 2.286 1.882 55 3 1.940 2003 1.648 1.322 58 2 1.382 2004 1.469 1.179 39 1 1.219 2003 1.146 904 28 - 932 2004 962 776 29 3 808 2003 1.556 1.298 65 - 1.363 2004 1.623 1.289 69 7 1.365 2003 759 615 23 2 640 2004 736 597 28 - 625 2003 12 10 - - 10 2004 16 12 1 1 14 2003 454 375 10 1 386 2004 518 416 14 2 432 2003 1.945 1.648 56 1 1.705 2004 1.974 1.614 60 1 1.675 2003 2.739 2.246 88 5 2.339 2004 2.747 2.282 86 3 2.371 2003 11.171 9.157 319 19 9.495 2004 11.384 9.274 345 14 9.633 2003 3.543 2.872 71 5 2.948 2004 3.659 2.953 81 3 3.037 2003 990 831 18 3 852 2004 1.018 809 20 5 834 2003 1.522 1.243 35 - 1.278 2004 1.658 1.328 30 - 1.358 2003 2.208 1.783 76 3 1.862 2004 2.225 1.806 60 2 1.868 2003 31.927 26.141 902 45 27.088 2004 32.275 26.217 917 45 27.179 2003 73 60 3 - 63 2004 68 50 4 - 54 2003 17.766 13.829 847 43 14.719 2004 19.159 14.940 887 47 15.874 2003 50.301 40.441 1.783 92 42.316 2004 52.019 41.627 1.823 93 43.543 2003 4.221 3.370 117 9 3.496 2004 4.690 3.670 177 1 3.848 3 a sessione 28 aprile 57 • Tabella 10 • Extracomunitari - Tutti gli ambiti per settore di attività economica alberghi e ristoranti trasporti intermediazione finanziaria attività immobiliari pubblica amministrazione istruzione sanità servizi pubblici Totale servizi Totale industria e servizi Non determinato Totale Totale agricoltura Totale complessivo 2003 4.486 3.486 97 1 3.584 2004 4.947 3.836 114 3 3.953 2003 7.522 5.790 288 21 6.099 2004 8.626 6.747 356 22 7.125 2003 108 77 5 - 82 2004 121 89 6 - 95 2003 9.183 7.161 247 13 7.421 2004 9.787 7.646 276 13 7.935 2003 428 291 11 - 302 2004 500 351 11 - 362 2003 311 129 1 - 130 2004 375 151 5 - 156 2003 2.006 1.472 40 2 1.514 2004 2.374 1.746 43 2 1.791 2003 1.557 1.207 49 2 1.258 2004 1.661 1.303 63 3 1.369 2003 29.822 22.983 855 48 23.886 2004 33.081 25.539 1.051 44 26.634 2003 80.123 63.424 2.638 140 66.202 2004 85.100 67.166 2.874 137 70.177 2003 24.734 1.586 172 6 1.764 2004 26.763 1.418 160 9 1.587 2003 104.857 65.010 2.810 146 67.966 2004 111.863 68.584 3.034 146 71.764 5.048 3.726 190 9 3.925 5.109 3.745 198 14 3.957 109.905 68.736 3.000 155 71.891 116.972 72.329 3.232 160 75.721 Non sorprende che nella tabella spicchino alcuni settori come le costruzioni (comprese le attività immobiliari), l’industria dei metalli e, in complesso, le industrie manifatturiere e i trasporti. I dati infortunistici sono in sintonia con quanto è noto sull’inserimento lavorativo degli extracomunitari, che prevale nell’industria, in particolare nei settori meccanico ed edile, pur non trascurando vari altri settori, come quello dei servizi (che comprende le attività di assistenza alla persona). Buona parte dei dati presentati non introduce novità particolarmente originali e in parte conferma altre osservazioni. La speranza è che si possa comunque contribuire da un lato a motivare l’esigenza di maggiori approfondimenti (sarebbe del tutto opportuno raccordare 58 gli studi e le indagini che in molte parti d’Italia sono in corso sull’argomento, magari con uno studio multicentrico), dall’altro ad assumere sempre più iniziative che favoriscano un inserimento lavorativo civile e sicuro di questi lavoratori, tenendo conto della loro storia, delle loro esigenze e peculiarità etniche e culturali e della necessità conseguente di adottare azioni “dedicate” sul piano informativo e formativo. Tutto ciò a maggior ragione nell’attuale condizione del mercato del lavoro, che con la progressiva diffusio- ne del lavoro flessibile e di forme di precariato, già problematiche per il complesso dei lavoratori, potrebbe prevedibilmente ripercuotersi ancor più negativamente sulle fasce più deboli, a cui certamente appartengono i lavoratori stranieri immigrati. Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione Un mondo organizzato può fare a meno dell’organizzazione nel lavoro? Cinzia Frascheri l cambio in una bicicletta non serve per far avanzare il mezzo, per farlo andare più o meno veloce, o per dirigerlo verso la meta prefissata: ha il compito di adattare e armonizzare quella che è la pedalata con la rotazione delle ruote. Analogo è il compito di una buona organizzazione e gestione del lavoro: armonizzare il potenziale rappresentato dalla popolazione lavorativa con le esigenze e le regole aziendali, le criticità del mercato, le disposizioni contrattuali e le istanze della committenza. Come una bicicletta senza un buon cambio non consente a nessuno di poter affrontare agevolmente una salita o una discesa, così un contesto lavorativo senza un’adeguata organizzazione del lavoro mirata a tutelare e a valorizzare il capitale umano non è in grado di rendere il lavoro competitivo, di tenere il passo con lo sviluppo e il progresso, ma soprattutto con la concorrenza, a maggior ragione se rappresentata a livello mondiale, anziché sul I piano locale. È lunga la tradizione di ricerche in ambito organizzativo e manageriale, a partire dagli studi sulle dinamiche relazionali in ambiente di lavoro, fino a giungere a quelli più recenti centrati sul concetto di clima organizzativo. Il mondo del lavoro e delle aziende italiane però non ha mai dimostrato in modo diffuso interesse o convenienza nell’adoperarsi a conoscere, e quindi adottare, alcun modello. Oggi, volendo riconoscere una definizione equilibrata e condivisibile di clima organizzativo, lo si dovrebbe considerare, secondo Gianni Marocci ed Euro Pozzi, come «un costrutto psicologico che si riferisce a percezioni sviluppate dalle persone nei riguardi del proprio ambiente di lavoro. Il gruppo è la sede privilegiata del clima. Il clima è contemporaneamente il risultato e il determinante del comportamento degli individui e dei gruppi all’interno di una struttura». Come osserva Giuseppe Varchetta, «sempre più frequentemente i capi respon- sabili hanno ridotto l’azione manageriale alla definizione degli obiettivi e al controllo dei risultati, trascurando quasi totalmente, attraverso una sorta di delega non richiesta, le differenti operazioni del processo esecutivo. Cresce nella gerarchia un disinteresse per le modalità elaborate nel conseguire i risultati, con la creazione di uno iato esperienziale tra chi definisce cosa si debba fare e ne controlla i risultati conclusivi e tutti coloro che quotidianamente operano lungo le tracce di un’invenzione che non entra in un’esperienza collettiva di successo capace come tale di creare cultura». Con la focalizzazione di tutti gli interventi e di tutte le azioni sulla sola produzione avulsa dal contesto lavorativo, l’individuo lavoratore ha sempre ricoperto all’interno dell’azienda (e oggi, per alcuni aspetti, più che mai) un ruolo puramente strumentale. Ma se la forza lavoro non aveva dignità nei confronti della direzione aziendale, la comunità lavorativa viveva una sua dimensione collettiva forte e coesa. La solidarietà tra i lavoratori era un valore che permeava, a prescindere, ogni realtà e contesto lavorativo. Il “fare” lo si apprendeva sul campo, i rapporti 3 a sessione 28 aprile si costruivano nel quotidiano secondo regole dettate dalla spontaneità e dall’onore, e l’esperienza e la stima da parte del gruppo si raggiungevano negli anni. Il lavoro rappresentava comunque una mera necessità per vivere e non, come oggi, una parte significativa e consistente della propria vita, della propria realizzazione personale, un ambito nel quale promuovere l’affermazione di sé, il proprio sviluppo, la propria personalità, le proprie ambizioni. Efficienza ed efficacia Con i cambiamenti del tessuto sociale e culturale, delle regole di base di un’economia tradizionale e del sistema mercato, sono venuti meno i valori profondi sul piano sociale, e quello che prima era rappresentato da un modello a rete di origine spontanea non ha più trovato le leve di fondo sulle quali per molti secoli aveva poggiato le basi. Orfana quindi di un qualsiasi sistema organizzativo, la gestione del lavoro ha mostrato la sua più ampia vulnerabilità, colpendo al cuore la comunità lavorativa nel suo insieme, nel suo vivere collettivo, e mettendo quindi in crisi la produttività. 59 Se l’organizzazione del lavoro in un contesto lavorativo potesse basarsi e riferirsi solo alla gestione degli aspetti strutturali e tecnici, potrebbe essere certa, una volta portati tutti i processi a eccellenza, di poter raggiungere la soglia di uno stato nel quale un atto produce effetti voluti: una piena efficienza che, monitorata e perseguita, potrebbe mantenersi tale nel tempo. L’organizzazione del lavoro però non può trascurare il fatto che all’interno del processo lavorativo non c’è solo la componente tecnica, ma anche l’elemento pulsante: la componente umana, rappresentata dalla popolazione lavorativa nel suo complesso. Lo stato di efficienza raggiungibile portando i processi tecnici a eccellenza, dovendo necessariamente comprendere anche il fattore umano, muta le sue caratteristiche, perdendo da un lato la certezza di una meccanica riproducibilità degli effetti voluti, ma acquistando dall’altro la possibilità di poter giungere a un livello ben più complesso: l’efficacia, non uno stato nel quale un atto produce effetti voluti, bensì la capacità di produrli. Si può affermare quindi che il manager è responsabile dell’efficienza, mentre è corresponsabile dell’efficacia: i processi influenzati dalla componente umana sono molto più variabili, dinamici, ma senz’altro potenzialmente più significativi, in quanto portatori di evoluzione e progresso, crescita e mutamento, a confronto di quelli tecnici, privi di capacità autonoma di cambiamento. La corre60 sponsabilità della figura di vertice prevede pertanto non un campo di intervento più ridotto nei confronti di una gestione tesa all’efficienza, ma una necessaria valutazione delle risorse umane presenti e tipiche del contesto lavorativo di riferimento, e una piena consapevolezza di non poter determinare in maniera autoritaria e vincolante i processi e il raggiungimento degli effetti preventivati come sul piano tecnico. In questo modo la corresponsabilità può agevolare e favorire le dinamiche di sviluppo con azioni mirate a rendere l’organizzazione del lavoro un terreno per alcuni aspetti di fondamentale concretezza, per altri di più virtuale consistenza, adeguatamente fertile per il radicamento di percorsi, di processi e per il consolidamento di pratiche atte a produrre effetti efficaci a durata costante. La potenzialità data dal fattore umano all’interno dei processi lavorativi rappresenta un dato oggettivo innegabile ma, per la complessità intrinseca della sua gestione, ha bisogno, per poter esprimere il suo valore, di regole, interventi e gestioni particolari, rispondenti alle esigenze e alle caratteristiche di uno specifico contesto lavorativo. Per giungere a un mero risultato di efficienza, le leve sulle quali potere e dovere agire non potranno che essere regole, formule, standard, documenti. In caso di necessità, dovendo ricondurre l’agire entro limiti previsti o imposti, si potranno adottare delibere, disposizioni, norme, fino alle sanzioni. Ma a fronte del raggiungimento di un esempio, quando alcuni anni fa per motivi tecnici si è dovuto cambiare il numero dei telefoni cellulari eliminando lo zero, il cambiamento è stato radicale, ma ha comportato un periodo di adattamento piuttosto limitato: a contribuire in modo sostanziale sono state sia la spinta individuale (la necessità di utilizzare lo strumento), sia il blocco strutturale che, dopo un certo tempo, ha impedito di telefonare a chiunque non rispettasse le nuove regole previste. È stato un cambiamento radicale e complessivo, visto il significativo numero di persone coinvolte, che però non si può annoverare tra i cambiamenti sociali profondi: possiamo ipotizzare che se domani le regole dovessero ancora cambiare, in breve tempo ci si riadatterebbe senza particolari traumi o resistenze. La necessità e pertanto la scelta cosciente e autonoma dell’utilizzo di uno strumento può risultare determinante nell’accorciare i tempi di cambiamento. Di natura diversa, invece, è il cambiamento rappresentato dall’obbligo di mettersi le cinture di sicurezza in macchina. Questo cambiamento, anch’esso radicale e coinvolgente un numero ampio di persone, non ha però sortito lo stesso risultato in termini di rispetto e di tempo come il precedente: le due spinte che hanno agito nel caso del cellulare non hanno rappresentato per la popolazione un’uguale motivazione al cambiaLe spinte per il cambiamento mento. Solo chi ha colto e ha fatto proprio il valore Ogni cambiamento necessi- profondo della disposizione ta di una o più spinte che lo volta alla tutela della persoportino a determinarsi. Per na ha modificato il suo livello di efficacia, tenendo conto prioritariamente del fattore umano quale componente centrale e determinante dei processi, le leve di riferimento potranno ritenersi non solo quelle rispondenti in senso stretto alla condizione di causa ed effetto, azione e reazione, ma soprattutto quelle rispondenti a logiche, criteri, e modalità basati su condizioni variabili: la motivazione, l’appartenenza, il senso del dovere, la competenza, la mission, lo spirito di gruppo, la solidarietà, ma anche il conflitto, la concorrenza, la paura, l’ansia, la tensione, la fatica mentale e fisica, l’interesse, il rapporto con la gerarchia e infine l’emozione. Enzo Spaltro infatti sostiene che negli ultimi tempi si sta assistendo a un lento ma significativo passaggio dal predominio della ragione al rapporto fra emozione e ragione all’interno dei sistemi organizzativi aziendali. Nei suoi testi recenti evidenzia come sia in atto una trasformazione da un modello cognitivo razionale verso una nuova concezione di natura specificamente emotiva del lavoro e della formazione organizzativa, e ritiene che la supremazia della ragione come modalità privilegiata di comprensione della realtà organizzativa sia la risposta a livello diffuso dell’attuale malessere nelle organizzazioni aziendali. Effetti sulla salute dell’attuale modello di globalizzazione comportamento, mentre chi lo ha accolto solo come obbligo lo ha gestito in maniera occasionale o strumentale. Si coglie in questo senso come, al di là delle caratteristiche più o meno significative e determinanti delle spinte per il cambiamento, il fattore umano, la variabile soggettiva e la discrezionalità personale contino in maniera assoluta in qualsiasi processo di cambiamento culturale. L’organizzazione del lavoro, pur essendo costituita da una struttura basata su aspetti di natura formale, da una sua oggettività di procedimenti e di procedure, ha d’altra parte il suo cuore pulsante in un’ampia dimensione basata su aspetti di natura informale, frutto di processi, consuetudini e atteggiamenti caratteristici della collettività a cui il singolo appartiene. Per Karl Weick gli aspetti di natura informale «si trovano concretizzati nella prassi routinaria quotidiana e definiscono lo scenario di azione degli attori. Sono essi che determinano le modalità operative spontanee di un’organizzazione. Ogni aspetto dell’organizzazione risulta carico di significati simbolici che fanno riferimento diretta- mente al mondo dei valori profondi, personali, ma soprattutto collettivi». Nessun cambiamento culturale dunque può trovare concreta cittadinanza in una collettività che non ha vissuto, partecipato, condiviso, accettato e compreso la creazione delle spinte e delle leve del cambiamento. Gli interventi di cambiamento organizzativo in ambito lavorativo sono uno dei motivi di maggiore malessere diffuso nelle popolazioni lavorative, anche perché sul piano fisico e biologico rappresenta un impiego di energie sovradimensionato al normale svolgimento delle proprie attività. Ma le ragioni profonde di questo stato, al di là delle singole variabili e accentuazioni personali, non si collocano tanto nella difficoltà di dover affrontare il nuovo, ma principalmente nella resistenza che viene a crearsi in chi non ha partecipato al processo di scelta del cambiamento, non ne ha condiviso le ragioni e non ha potuto vivere emotivamente le fasi di avvicinamento alla decisione di cambiamento. Le fusioni aziendali, i ridimensionamenti, gli accorpamenti, oggi purtroppo realtà costanti di una dimensione economica di forte crisi iniziata sul finire degli anni Novanta, hanno comportato un livello di malessere diffuso nelle realtà aziendali. È un malessere che ha significativamente oltrepassato il livello del disagio dovuto al passaggio di molte situazioni aziendali, un tempo floride e in crescita, a una dimensione di crisi e di regresso: oggi è figlio molto più di un’inadeguata capacità di gestione dei processi di cambiamento che di un’oggettiva condizione di crisi sul livello produttivo (che comunque non può essere ignorata). Ancora oggi nelle nostre realtà lavorative il principale motivo per cui l’applicazione delle regole in materia di salute e sicurezza tende a mancare non è lo scarso rispetto degli obblighi di legge previsti in primis a carico del datore di lavoro, ma la mancanza del salto culturale e del cambiamento sociale nella popolazione lavorativa: spesso non si avverte l’importanza della salvaguardia della propria salute, e sembra persa la capacità di scandalizzarsi, di reagire di fronte ai dati drammatici degli infortuni e delle morti sul lavoro. Manca un radicamento profondo della cultura della prevenzione e della protezione dei lavoratori in ambiente di lavoro e dell’importanza della valutazione di tutti i rischi a cui soggetti attivi in azienda sono esposti. Non va infatti dimenticato o sottovalutato l’insegnamento di Michael Polanyi: «La prima regola dell’apprendimento prevede che le persone apprendono quello che ritengono aver bisogno di apprendere, non quello che qualcun altro pensa debbono apprendere». 3 a sessione 28 aprile Bibliografia • G. Marocci, E. Pozzi, “Il clima organizzativo e la sua evoluzione”. In: V.Majer e G.Barocci (a cura di), Il clima organizzativo, Carocci, Roma, 2003. • E. Spaltro, P. De Vito Piscicelli, Psicologia per le organizzazioni, Carocci, Roma, 2002. • G. Varchetta, “Soddisfazione per il lavoro e climi organizzativi”. In: Sviluppo & Organizzazione n. 206, nov. dic. 2004. • K. Weick, Senso e significato nell’organizzazione, tr. it. Cortina, Milano, 1997. 61 27 28 aprile aprile La sicurezza in campo alimentare quarta sessione Gli aspetti qualitativi del dossier Apicius per la valutazione del controllo e della sicurezza alimentare ro), sia i danni alle aziende e il conseguente impatto sul mercato. Per quanto riguarda l’implemetazione dei sistemi per la sicurezza alimentare, questi influiscono sostanzialmente sulla riduzione monwealth Department of degli episodi tossinfettivi, Health and Ageing sull’in- determinando un risparmio troduzione di nuovi pro- sulle prestazioni mediche. grammi per la sicurezza alimentare in Australia, e una pubblicazione dell’Oms del Cosa pensano 2003 (Foodborne disease in i consumatori? Oecd countries. Present state and economic cost) relati- In una recente indagine va al quadro epidemiologi- commissionata dalla Euroco e all’impatto economico pean Food Safety Authority delle tossinfezioni alimenta- (Efsa) e dalla Direzione generale della salute e tutela ri nei Paesi Ocse. Anche se le stime riportate dei consumatori della Comsono di difficile confronto, missione europea , risulta in generale i costi delle tos- che i consumatori europei sinfezioni sono dell’ordine ritengono che gli alimenti non siano un pericolo per la di miliardi di euro. A questi valori si devono salute: è opinione comune, poi aggiungere sia i costi infatti, che vi sia un generaindiretti (dolore, sofferenza, le rispetto delle normative e perdita di fiducia da parte che queste siano in grado di del consumatore verso le garantire la salubrità degli industrie coinvolte, che alimenti. Solo pochi intervisono più difficilmente quan- stati (meno di 1 su 5) indivitificabili in termini di dena- duano spontaneamente te- Claudia Dellisanti, Alberto Baldasseroni n questo contributo analizziamo gli aspetti relativi all’analisi costi-benefici e l’opinione dei soggetti interessati, avendo già trattato le prove di efficacia del programma di sanità pubblica relativo alla sicurezza alimentare. I quesiti analizzati nel dossier sono quelli riportati nelle figure. Il dossier Apicius riporta i risultati del programma a livello nazionale, raccolti dal ministero della Salute, delle attività di vigilanza e controllo degli alimenti e delle bevande nel 2002. I dati forniscono una visione completa del lavoro svolto dai servizi delle singole realtà regionali. L’analisi costi-efficacia è invece trattata a partire dai risultati di due documenti: uno studio del 2001 proposto dal Com- I 62 mi legati alla sicurezza alimentare. In particolar modo, vengono maggiormente citate le intossicazioni alimentari (16%), seguite da agenti chimici, pesticidi e sostanze tossiche presenti negli alimenti (14%). Per il 7%, comunque, il cibo non rappresenta né un rischio né un problema per la salute. Circa il 30% dei consumatori individua nelle associazioni di categoria, nei medici e nei ricercatori le fonti più attendibili in materia di rischio alimentare, preferendoli alle autorità pubbliche di controllo (22%) e ai media (17%). A loro volta, gli operatori preposti al controllo, come emerge da uno studio relativo all’opinione sul sistema Haccp (Hazard Analysis Critical Control Points) dei veterinari delle Asl di Umbria, Marche, Toscana e Lazio, riconoscono invece che non basta che vi sia il rispetto dell’applicazione delle leggi, ma sono concordi che l’informazione/formazione adeguata sia la strate- La sicurezza in campo alimentare gia vincente per l’adozione di buone pratiche di igiene. Inoltre, il 60% definisce l’Haccp utile per la tutela della salute umana per migliorare la qualità degli alimenti, per il vantaggio economico delle aziende, anche se credono che ci sia ancora bisogno di una migliore preparazione tecnica e di una maggiore collaborazione fra le strutture pubbliche e private affinché si abbia un miglioramento del sistema. Sembra dunque che anche nell’opinione della maggior parte dei soggetti interessati l’informazione/formazio- ne adeguata sia la strategia vincente per garantire la salubrità degli alimenti, purché però vengano coinvolti sia i consumatori che gli operatori del settore, facendo sì che la sicurezza degli alimenti venga percepita come una responsabilità da condividere. Non-solo-scienza La metodologia adottata, che prevede di aggregare sia informazioni di tipo scientifico (le prove di efficacia propriamente dette) sia informazioni di conno- Formulazione del quesito oggetto di valutazione di efficacia tazione qualitativa del programma, offre lo spunto per una considerazione di carattere più generale. In sanità pubblica, le decisioni sulle azioni da intraprendere per garantire la miglior tutela della salute non possono essere basate solo su dati derivanti dalla letteratura scientifica. Se, per esempio, il problema è percepito dall’opinione pubblica in maniera particolarmente acuta, inevitabilmente sale nella scala delle priorità d’intervento, scavalcando la gerarchia disegnata da misure d’impatto in termini di cause di morte o di malattia. L’analisi condotta sugli aspetti non propriamente scientifici, ma di contesto, economici, d’opinione, acquista quindi un’importanza cruciale, indirizzando le scelte di sanità pubblica che devono essere comunque adottate, non meno della completa disamina delle evidenze della letteratura. La possibilità di attingere sia da banche dati di tipo medico, sia da banche dati di altro genere è essenziale. Noi non siamo riusciti ad avere accesso libero a tutto quanto avrebbe potuto aiutarci. Nel panorama italiano quello dell’accesso a banche dati multidisciplinari rimane un nodo non risolto, certamente pregiudizievole per chi voglia cimentarsi con il tema dell’efficacia degli interventi di sanità pubblica. 4 a sessione 28 aprile Bibliografia • C. Dellisanti, A. Baldasseroni, “Controllo e sicurezza alimentare. Interventi per il controllo e la sicurezza degli alimenti per la prevenzione delle tossinfezioni alimentari: prove di efficacia”. Bollettino Snop, 2005, 65: 34-36. • Ministero della Salute, Vigilanza e controllo degli alimenti e delle bevande in Italia, 2002 www.ministerosalute.it/alimenti • Final Report to the Commonwealth Department of Health and Ageing, Food Safety management Systems. Costs, Benefits and Alternatives. May 2002 www.health.gov.au/internet/wcms/publishing.nsf/co 63 ntent/health-pubhlth-stra- • Risk Issues. Special Euroteg-foodpolicy-pdf-alternati- barometer 238, febbraio ves.htm/$FILE/alternati- 2006 www.efsa.eu.int/about ves.pdf _efsa/communicating_risk/risk_perception/1339/co • Foodborne Disease in Oecd mm_report_eurobaromeCountries: present state and ter_en2.pdf economic cost. Who 2003 http://213.253. • M. Mari et al, “Indagine 134.29/oecd/pdfs/brow- sull’applicazione dei sisteseit/5103151E.PDF mi di autocontrollo basati 64 sull’Haccp da parte dei veterinari Asl che effettuano il controllo ufficiale sul sistema e da parte dei titolari degli stabilimenti a bollo Cee”. In: Webzine Sanità Pubblica Veterinaria, n. 27, dicembre 2004 www.pg.izs.it/arretrati/numero_27/haccp1.html by), Evidence-based Health Policy: problems and possibilities. Oxford University Press, Victoria, Au, 2003. • V. Lin, B. Gibson (edited La sicurezza in campo alimentare Valutazione e gestione integrata del rischio nell’agroindustria Maria Francesca Pandolfini, Marina Fridel, Oscar Tani a sicurezza degli alimenti deve essere garantita attraverso azioni di prevenzione, eliminazione e mitigazione del rischio. Nel comparto agroalimentare la valutazione del rischio, insieme alla tutela della salute dei lavoratori e dell’ambiente, è una condizione irrinunciabile, soprattutto in presenza di consumatori sempre più informati ed esigenti. Il territorio cesenate è caratterizzato da un’intensa produzione primaria nel settore agricolo, dove coesistono piccole aziende di tipo familiare, cooperative di soci e magazzini ortofrutticoli. Presso il Dipartimento di sanità pubblica di Cesena, i Servizi di igiene degli alimenti e nutrizione e di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro hanno sperimentato un modello operativo per la valutazione e la gestione del rischio nella filiera dell’ortofrutta. Sulla base di una buona conoscenza del sistema produttivo locale (152 aziende in totale), sono stati valuta- L 65 ti i rischi chimici, fisici e biologici, ma anche i requisiti strutturali, igienici e funzionali dell’intero processo produttivo, quindi le singole fasi di lavoro. È stata poi realizzata una check list da fornire a tutte le aziende come strumento di lavoro per l’autovalutazione del piano di controllo alimentare e le misure di sicurezza adottate per i lavoratori. Il progetto ha permesso di conoscere più a fondo la complessa organizzazione di questo settore e di definirne il profilo di rischio tramite diversi criteri: entità produttiva e dimensione del mercato servito; caratteristiche strutturali e di manutenzione dell’azienda; caratteristiche dei processi e delle tecnologie produttive; piano di autocontrollo; dimensione del fenomeno infortunistico. Le criticità strutturali rilevate dipendono soprattutto dall’arretratezza di alcuni stabilimenti, che non si sono adeguati pur trovandosi nei pressi del centro abitato. Alcuni di questi hanno ces- sato la propria attività, altri si sono trasferiti in strutture più adeguate. In proposito, un importante strumento di prevenzione si è dimostrato il controllo preventivo esercitato dalle rispettive commissioni durante la fase di valutazione degli strumenti urbanistici e dei nuovi insediamenti produttivi, che ha consentito una prima valutazione dell’insediamento in termini di compatibilità ambientale. Infine si è realizzato un controllo riguardo all’autorizzazione all’utilizzo di ammoniaca negli impianti refrigeranti. In generale, si sono riscontrate carenze nelle procedure di pulizia, sanificazione, disinfestazione e rintracciabilità dei prodotti, ma anche nella valutazione dei rischi per i lavoratori e nella loro formazione in proposito. Anche l’andamento degli infortuni conferma di fatto inadeguate misure organizzative e tecniche, legate anche alla viabilità interna per la circolazione di carrelli elevatori. Alla fase di controllo è stata anteposta un’assistenza continua e personalizzata per ogni unità produttiva, tramite un contatto diretto in fase di distribuzione della check list prodotta. Sinora, il bilancio è decisamente positivo: la combinazione di strumenti diversi 4 a sessione 28 aprile come l’assistenza, il controllo e la vigilanza ha prodotto risultati incoraggianti laddove il processo di informazione ha coinvolto tutti i soggetti responsabili della produzione. In particolare, le realtà più piccole hanno dimostrato una buona disponibilità all’adeguamento senza ricorrere allo strumento sanzionatorio. Le prescrizioni eseguite in fase di sopralluogo e verifica dei piani di autocontrollo sono state tutte rispettate. Va precisato che proprio nelle piccole realtà produttive si riscontrano le criticità maggiori, per cui, a nostro parere, questo aspetto rappresenta un buon indicatore di efficacia dello strumento adottato, che tuttavia dovrà essere ulteriormente sostenuto nel proseguimento del percorso di valutazione. L’integrazione fra servizi diversi del Dipartimento di sanità pubblica ha permesso di raggiungere anche importanti risultati in termini di semplificazioni di procedure, autorizzazioni, pareri, tali da costituire un percorso unico per il cittadino, favorendone l’accessibilità al servizio. 65 Cinque enti riuniti in un progetto sulle intolleranze alimentari a Benevento Ersilia Palombi ella provincia di Benevento, tra il 2001 e il 2003, la consapevolezza della necessità di aumentare l’informazione ha portato a realizzare il progetto “Intolleranze alimentari”. Scopo del progetto, che ha visto coinvolti diversi enti (Asl, ospedale Fatebenefratelli, Istituto alberghiero “Le streghe”, Provveditorato agli studi e Associazione italiana celiachia), è stato raggiungere le fasce di popolazione che possono venire a contatto più facilmente con il soggetto con problemi di intolleranza alimentare, specialmente se in età infantile: insegnanti, ristoratori, allievi della scuola alberghiera. Il soggetto affetto da questi disturbi non è difficile da gestire, purché siano ricordate alcune norme basilari. Gli insegnanti, infatti, sono spesso spaventati dalla necessità di assistere il bambino nel corso di merende o festicciole. Inoltre sono molto confuse le voci fra gli adulti che si sottopongono a test più o meno seri e che poi si ritrovano intolleranti ai cibi più strani e vari. N 66 Il coinvolgimento della scuola alberghiera è stato fondamentale. In questo istituto, infatti, studiano ragazzi che saranno inseriti nel mondo del lavoro come cuochi, camerieri e barman. È fondamentale che essi sappiano cosa fare se un cliente con intolleranza alimentare si presenta loro con richieste particolari. In una prima fase (anno scolastico 2001-2002), la Asl ha collaborato con l’istituto alberghiero per incontrare gli allievi del terzo anno, informarli sui motivi che determinano l’insorgere delle intolleranze e fornire loro indicazioni utili alla pratica in cucina. L’istituto alberghiero, inoltre, ha svolto indagini per saggiare le conoscenze delle famiglie e dei ristoratori, somministrando appositi questionari. Il 30 maggio 2002 si è svolta anche una manifestazione, durante la quale gli allievi del progetto hanno preparato un pranzo esclusivamente per celiaci. Alla manifestazione hanno partecipato circa 300 persone, fra celiaci e operatori sanitari della Asl BN1. Poi, nell’anno scolastico 2002-2003, nel territorio della Asl BN1 sono state raggiunte le scuole: i medici hanno incontrato 1600 insegnanti, recandosi in 40 scuole materne ed elementari, nell’ambito di un seminario informativo. Quando possibile, sono stati coinvolti anche gli addetti alle cucine delle varie refezioni scolastiche (per un totale di circa 30 cuochi). A supporto della campagna di educazione sanitaria, sono stati preparati dalla Asl BN1 e dal Centro servizi amministrativi volantini e opuscoli informativi, da distribuire agli insegnanti e agli allievi della scuola alberghiera. È stata organizzata anche una conferenza stampa per pubblicizzare il progetto e l’opuscolo. Alla fine di questo secondo anno scolastico si è svolto il II convegno sannita sulla celiachia, a cui ha partecipato anche l’Università di Napoli. Di nuovo, gli studenti dell’istituto alberghiero hanno preparato un menù senza glutine. Questo secondo incontro, che si è tenuto il 22 maggio 2003, ha avuto lo stesso successo del primo e ha riunito celiaci e diversi operatori sanitari, della scuola e della ristorazione collettiva. Molto buoni i risultati: abbiamo avuto notizie sulla conoscenza del problema nella popolazione, sono state raggiunte tutte le scuole della provincia, è stata migliorata la preparazione dei cuochi, è stato fornito materiale utile per gli insegnanti. Poco sensibili sembrano, purtroppo, i ristoratori e gli addetti alle cucine. Per migliorare l’informazione in ambito professionale, l’istituto alberghiero di Benevento ha inserito, per l’anno scolastico 20032004, 20 ore di insegnamento specifiche sulle intolleranze. Per trattare in modo diffuso l’argomento, queste ore sono state tenute dagli stessi medici che hanno curato il progetto. Si tratta di una novità importante, un segnale della buona riuscita del programma, raggiunto grazie alla sensibilità dell’Istituto alberghiero e di tutti gli insegnanti coinvolti. Al momento il programma continua con le lezioni agli studenti dell’Istituto alberghiero, tenute dagli insegnanti di scienza dell’alimentazione, e con la festa annuale per i celiaci, durante la quale vengono sempre comunicate le ultime novità sui progressi nella ricerca sulla celiachia. La sicurezza in campo alimentare Le aflatossine: dall’alimentazione animale alla salute del consumatore Cinzia Pieroni e aflatossine (AF) sono le micotossine che in assoluto rivestono maggiore interesse per la salute umana e animale. Le muffe aflatossigene possono svilupparsi e sintetizzare la tossina in particolari condizioni climatiche nella gran parte delle derrate impiegate nell’alimentazione animale. Gli alimenti a maggior rischio sono: arachidi, cotone, girasole, soia e mais. Le AF più spesso riscontrate negli alimenti di origine vegetale sono le B1, B2, G1, G2. Quella di maggior interesse per frequenza, entità di rinvenimento e tossicità è certamente la B1. L’AFB1 viene introdotta con la dieta nell’organismo animale, dove è trasformata in aflatossina M1 (AFM1) ed eliminata con la bile, le urine e il latte. L’esposizione umana avviene pertanto con il consumo di latte e prodotti caseari. Anche se meno pericolosa dell’AFB1, la presenza di AFM1 nel latte desta preoccupazione perché riguarda un alimento di largo consumo e indispensabile per l’in- L fanzia, fase della vita in cui le difese immunitarie non hanno raggiunto la massima espressione. Definite dall’Ue come sostanze indesiderabili, la correlazione tra consumo di cibi contaminati da AF e frequenza di epatocarcinoma ha indotto la Iarc a classificarle nella classe di massimo rischio. Da alcuni anni il Servizio veterinario della Zona territoriale 7 di Ancona effettua prelievi sugli alimenti destinati agli animali e su prodotti di origine animale, per la ricerca di sostanze vietate e/o indesiderate. L’obiettivo è aumentare la salubrità degli alimenti destinati agli animali produttori di derrate alimentari. I piani di controllo prevedono anche la ricerca di AFM1 nel latte crudo e di AFB1 negli alimenti per animali. Dopo l’aumento delle contaminazioni nel 2003, inoltre, si è resa necessaria l’emanazione nelle Marche del “Piano regionale per il controllo delle aflatossine nei mangimi e nel latte”, che ha previsto l’intensificazione dei controlli su tutta la filiera lattiero-casearia. Sono stati eseguiti prelievi di latte crudo e mangimi. Il campionamento rappresenta la prima verifica dei criteri di salubrità, igiene e qualità di un prodotto alimentare. Per quanto riguarda le AF, la normativa ha regolamentato le procedure di campionamento, le tecniche di analisi, e ha istituito i limiti di tolleranza. Le analisi mostrano che in Regione l’aumento delle positività di AF si è riscontrato nel periodo settembre 2003-marzo 2004 e, nella Zona 7, si è avuto soprattutto nella granella di mais e nel latte prodotto da bovine alimentate con mais nazionale contaminato. L’andamento climatico del 2003 ha confermato che lo sviluppo del fungo produttore di AFB1 sulle piante è favorito da alti valori di temperatura e umidità. Una condizione che però non doveva esentare gli agricoltori dal praticare comunque l’essiccamento immediato della granella, portando l’umidità a livelli di sicurezza. Sembra infatti che la causa che ha favorito l’insorgenza delle muffe e la sintesi delle AF sia stata il mancato o ridotto essiccamento praticato sul prodotto. La presenza delle AF è un problema di filiera: non solo 4 a sessione 28 aprile i controlli dovrebbero essere sempre rivolti verso tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione sia dell’alimento zootecnico che della matrice latte, ma è fondamentale anche informare e formare tutti gli operatori coinvolti. Le AF oggi continuano a essere monitorate: da una prima valutazione dei dati 2005 risulta che gli esiti della Zona 7 di Ancona rientrano nei limiti di legge. Informazione e formazione hanno sensibilizzato sempre più gli addetti ai lavori sulla possibile contaminazione da AFB1 delle partite di alimenti per animali. Le aziende di produzione del latte hanno implementato il loro sistema di autocontrollo e hanno eseguito una corretta gestione preventiva del rischio AF. L’attuazione dei regolamenti comunitari del “pacchetto igiene” in vigore dal primo gennaio 2006 porterà, se correttamente applicata, un elevato contributo sulla sicurezza in campo alimentare. In particolare il Regolamento (CE) 183/2005, che stabilisce requisiti per l’igiene dei mangimi, prevede l’obbligo della registrazione delle imprese di produzione primaria e l’estensione alle stesse di procedure di autocontrollo e rintracciabilità. 67 Indagine sulle abitudini e sui consumi alimentari in un gruppo di addetti alle industrie Vincenzo Calvaresi li studi epidemiologici dimostrano che l’incremento di molte malattie croniche è correlato agli stili di vita, e in particolare all’alimentazione. Nell’ambito del progetto “Nutrizione e lavoro”, il Dipartimento di prevenzione dell’Asur Zona territoriale 13 di Ascoli Piceno ha condotto un’indagine sulle abitudini alimentari di un campione di lavoratori di aziende provviste di mensa e sulla qualità nutrizionale dei relativi menù. Tra ottobre 2003 e marzo 2004 sono stati distribuiti, durante la pausa pranzo, 832 questionari a risposte multiple, per raccogliere informazioni generali riguardo al contesto sociodemografico, attività fisica e abitudini alimentari, pasto consumato in mensa. Il campione esaminato riflette, nella distribuzione dei sessi, le percentuali di maschi e femmine presenti nelle aziende di riferimento, con una netta prevalenza maschile (81,5%). Il 57% degli intervistati risulta essere normopeso, mentre il 35% in uno stato di sovrap- G 68 peso. Gli obesi sono il 6% e sono soprattutto uomini, mentre le persone in sottopeso sono solo il 2%, soprattutto donne. Poco più della metà degli intervistati pratica uno sport o attività fisica. Per quanto riguarda le abitudini alimentari, ben il 93% degli intervistati consuma la prima colazione, mentre il 45,5% degli addetti fa spuntini diurni. I ritmi lavorativi favoriscono il consumo di snack veloci, associati a caffè, bevande zuccherine ed energizzanti. Acqua a parte, le bevande più consumate dagli addetti alle industrie sono a base di caffeina o teina, soprattutto fra i maschi. Il consumo di bibite dolci gassate, ma anche di alcolici, cresce all’aumentare del peso. Inoltre, il 59% del campione intervistato consuma 1-2 porzioni di frutta e verdura al giorno, ma solo l’8% ne consuma almeno cinque. Passando invece ai pasti in mensa, il 74% del campione intervistato mangia in mensa 5 volte alla settimana e il 47% sceglie un pasto completo (primo, secondo, contorno e frutta). Il 43% non consuma a mensa la frutta. Le scelte alimentari sono guidate soprattutto dai gusti personali e dagli effetti sulla salute, ma anche dai messaggi pubblicitari. Il pranzo dovrebbe apportare circa il 35-40% delle calorie giornaliere. Nel campione analizzato si osserva un’ampia variabilità tra le diverse aziende (da 825,1 Kcal a 1230,45 Kcal per pasto) e, in generale, uno squilibrio nell’apporto di proteine rispetto a quello di zuccheri: in media vengono forniti con il solo pranzo 50,3 g di proteine, quando la quota giornaliera dovrebbe essere, in base ai Larn, di 62 g per gli uomini e di 53 g per le donne. La quota lipidica del pasto consumato nelle diverse aziende varia dal 17,54% al 35,52%, mentre quella consigliata è intorno al 25%. È stata analizzata anche la tipologia di grassi e i risultati mostrano che gli acidi grassi saturi presenti nel pasto variano dal 5,13 al 13,53% (la quota di acidi grassi saturi consigliata non deve superare il 7-10% delle calorie totali giornaliere). I risultati dimostrano la presenza di situazioni di malnutrizione nella popolazione attiva del nostro cam- pione, soprattutto legate all’apporto eccessivo di proteine e grassi saturi, a discapito delle componenti protettive di frutta e verdura. L’analisi dei dati mette in risalto la necessità di un’efficace comunicazione sul rischio nutrizionale rivolta ai lavoratori delle industrie, sostenuta da azioni correttive e di rinforzo motivazionale. Tra le attività che vorremmo avviare a breve all’interno delle mense aziendali ci sono l’incentivazione del consumo di frutta e verdura, attraverso interventi di educazione alimentare ed eventuale modifica del sistema di pagamento del pasto e la proposta alle aziende di un menù alternativo ispirato alla dieta mediterranea, con un apporto proteico e lipidico più contenuto e rispondente ai livelli di nutrienti raccomandati, attraverso anche una attenzione particolare alle modalità di cottura e all’utilizzo esclusivo di olio extravergine di oliva. Gli altri autori di questo studio sono: Marilena Capecci, Manuela Nicolucci, Paola Puliti, Benedetta Rosetti, Susanna Speca La sicurezza in campo alimentare Contaminazione da protozoi nelle vongole del mare Adriatico: quale rischio per il consumatore? Annunziata Giangaspero, Umberto Molino ra i diversi progetti di ricerca condotti dalla sezione di microbiologia, malattie infettive e parassitarie della facoltà di Medicina veterinaria di Teramo, assai recente e interessante sia dal punto di vista sanitario che ambientale è lo studio, condotto in collaborazione con l’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo e del Molise, sulla presenza di Giardia e Cryptosporidium in campioni di vongole (Chamelea gallina) raccolte in prossimità delle foci dei fiumi più importanti della provincia di Teramo. Giardia e Cryptosporidium sono tra i più comuni protozoi enterici di numerosi animali domestici, selvatici e dell’uomo. Trasmessi per via oro-fecale e frequentemente attraverso le acque contaminate da reflui agricoli e industriali, questi microrganismi colonizzano l’epitelio gastrointestinale causando, soprattutto nei soggetti giovani o immunocompromessi, forme diarroiche gravi. Entrambi i parassiti sono oggetto di notevole interesse nel mondo scientifi- T co, in considerazione del loro ruolo zoonosico legato alla capacità di alcuni genotipi di essere condivisi dagli animali e dall’uomo. I molluschi bivalvi, in grado di filtrare elevati volumi di acqua, possono concentrare un numero elevato di agenti patogeni per l’uomo e per gli animali e, tra questi, Giardia e Cryptosporidium. Forme infettanti di questi protozoi sono state segnalate in diverse zone del mondo, oltre che in acque potabili, in fiumi, in laghi, in acque reflue, anche in diverse specie di molluschi bivalvi (di acqua dolce e salata). La ricerca condotta lungo la costa abruzzese ha permesso non soltanto di evidenziare per la prima volta in Italia la presenza di Giardia e di Crypstoporidium nelle acque del mar Adriatico, ma anche di rilevare, dal punto di vista molecolare, la natura zoonosica dei protozoi isolati. La presenza di questi parassiti è attribuibile sia all’inquinamento dei fiumi con reflui urbani, agricoli e zootecnici (dovuta spesso all’inefficienza degli impianti di depurazione), sia alla documentata presenza lungo le aree costiere di scarichi abusivi. Le caratteristiche fisiche e la dose infettante minima di entrambi i protozoi rappresentano i punti cardine del rischio sanitario. Infatti, oltre a resistere in ambiente marino diversi mesi, sono sufficienti una decina di oocisti di Cryptosporidium e di Giardia per determinare un’infezione in un soggetto immunocompromesso. Inoltre non bisogna dimenticare che in alcune regioni italiane è radicata l’usanza di consumare i molluschi bivalvi crudi. Il processo di depurazione non sempre è in grado di ridurre la presenza dei parassiti, così come non è possibile stabilire una sicurezza alimentare solo andando a valutare la carica microbica degli enterobatteri, così come previsto dal Decreto legislativo 530/92, proprio perché si è visto che nelle aree classificate come A (in cui i molluschi pescati possono essere direttamente immessi sul mercato senza essere depurati) sono state registrate concentrazioni elevate di Cryptosporidium. Da tutto questo, emerge anche la necessità di correggere l’attuale normativa in materia e inserire tra l’e- 4 a sessione 28 aprile lenco degli organismi da ricercare anche Giardia e Cryptosporidium. Dal punto di vista ambientale, la ricerca condotta in Abruzzo ha consentito di confermare la capacità dei molluschi bivalvi in generale, e di Chamelea gallina in particolare, quali indicatori biologici per la valutazione dello stato sanitario delle acque (contaminazione, oltre che da metalli, batteri e virus, anche da parassiti), grazie alle loro capacità filtranti e alla loro distribuzione in prossimità di aree a elevato impatto ambientale, quali estuari e foci di fiumi. 69 Libro bianco Ue 2000: regolamento CE 178/2002 sicurezza alimentare Cosimo Nicola Pagliarone, Francesco Latorre l Libro bianco 2000 sulla sicurezza alimentare è un documento programmatico che la Ue ha approntato dopo il calo della fiducia nel consumatore, a causa delle emergenze sanitarie degli ultimi dieci anni (mucca pazza, diossina, ogm ecc). Principio ispiratore è la realizzazione di una politica della sicurezza alimentare coerente e dinamica. Una politica, cioè, che si basa su un approccio il più possibile completo, trasparente e integrato da parte di tutti gli attori della filiera: dai politici alle istituzioni scientifiche, dai produttori agli operatori. Per l’attuazione e lo sviluppo di questa politica, la Ue deve utilizzare, potenziandole, tutte le strutture a sua disposizione: dalle reti di monitoraggio e sorveglianza ai laboratori e al sistema rapido di allerta per alimenti e mangimi. È necessario approfondire gli studi sulla sicurezza degli alimenti, tenendo aggiornata la lista degli ingredienti consentiti nei mangimi e quella dei residui (antibiotici, ormoni, I 70 ogm e fitosanitari). Occorre poi prevedere l’autorizzazione agli stabilimenti mangimifici, un’etichettatura completa dei mangimi e un efficiente sistema rapido di allerta specifico per i mangimi. Particolare cura va riservata alla salute e al benessere degli animali, con il risanamento degli allevamenti e la prevenzione di zoonosi ed epizoozie. Elemento essenziale per la sicurezza alimentare è l’igiene dei prodotti alimentari. Occorre perciò fissare e verificare i limiti massimi di contaminanti in tutta la filiera alimentare, i criteri di purezza di varie sostanze (additivi, aromi, coloranti, coadiuvanti, edulcoranti) e la lista delle quantità di sostanze consentite. La politica nutrizionale della Ue deve assicurare la protezione della salute non solo attraverso la sicurezza alimentare chimica, fisica e biologica, ma anche attraverso l’assunzione di sostanze nutritive essenziali, con diete adeguate ed equilibrate, sviluppando studi sugli alimenti dietetici, sugli integratori alimentari e sugli alimenti arricchiti. Importanza notevole assumono anche gli studi sui materiali destinati al contatto con gli alimenti (strumenti, recipienti, imballaggi). Per realizzare questa nuova politica, la Ue ha istituito la European Food Safety Authority (Efsa), a cui è stata attribuita la responsabilità dei pareri scientifici. In caso di emergenza alimentare, il primum movens (Ministero, Regione, Asl) attiva l’autorità nazionale per la sicurezza alimentare, poi la Commissione Ue, infine l’Efsa. Se non si riesce a eliminare o ridurre il rischio, la Commissione istituisce un’unità di crisi a cui partecipa l’Efsa e lo Stato interessato. Questa authority possiede caratteri di “indipendenza” da condizionamenti politici e industriali, “trasparenza” di azione ed “eccellenza scientifica”, cioè dotazione delle migliori risorse possibili. I pareri dell’Authority sono trasmessi alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento europeo e pubblicati in tempo reale a operatori e consumatori sul sito web. Nel Libro bianco 2000 della Ue vengono presentati importanti principi metodologici, ripresi poi nel Regolamento CE 178/2002, il primo provvedimento legislativo nato dal Libro bianco, se- guito nel 2004 dal cosiddetto “pacchetto igiene”. Questi principi sono: analisi e valutazione del rischio (l’Efsa raccoglie e analizza i dati, per caratterizzare e quantificare il rischio), gestione del rischio (funzioni di legislazione, attuazione e controllo da parte della Commissione), comunicazione del rischio (scambio reciproco di informazioni tra consumatori, scienziati, organi di controllo, associazioni di categorie ecc), rintracciabilità (passaggi che interessano l’alimento lungo tutto il percorso produttivo, fino al consumatore; decisiva l’etichettatura), precauzione (possibilità per uno Stato di limitare o vietare la commercializzazione di un prodotto, solo per la difesa di un interesse legittimo, come la protezione della salute), sussidiarietà (scambio di buone prassi, assistenza, condivisioni di informazioni, cooperazione tra organismi e istituzioni per assicurare validi supporti ai pareri dell’Efsa) ed equivalenza (alimenti e mangimi importati devono soddisfare i requisiti igienico-sanitari almeno equivalenti a quelli degli alimenti e mangimi di propria produzione esportati). La sicurezza in campo alimentare Relatori e moderatori del convegno Edoardo ALTOMARE ne e sicurezza nei luoghi di lavoro “G. Pieraccini”, Azienda sanitaria di Firenze Fulvio LONGO Unità di crisi della Regione Puglia per l’influenza aviaria Luigi AMBROSI Pietro CURZIO Adriano MANTOVANI Professore emerito di Medicina del lavoro, Presidente nazionale Simlii magistrato, componente del “comitato scientifico” del Consiglio superiore della magistratura Who/Fao Collaborating Centre for Veterinary Public Health, Dipartimento di sanità alimentare e animale, Istituto superiore di sanità Giorgio ASSENNATO Professore ordinario di Igiene industriale, Dipartimento di Medicina interna e Medicina pubblica, Università di Bari, Direttore generale Arpa Puglia Alberto BALDASSERONI U.O. di Epidemiologia, Azienda sanitaria di Firenze Mauro Antonio BUZZONI Presidente nazionale Unpisi Claudio CALABRESI Direzione regionale Inail, Liguria Vincenzo CALVARESI Direttore Sian, Asur Zona territoriale 13, Ascoli Piceno Susanna CANTONI Direttore servizio Psal, Asl città di Milano, Coordinamento tecnico delle Regioni Fabio CAPACCI Unità funzionale prevenzione igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro “G. Pieraccini”, Azienda sanitaria di Firenze Francesco CARNEVALE Direttore della Unità funzionale prevenzione, igie- Paolo D’ARGENIO Direttore dell’ufficio IX, Prevenzione attiva, della Direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute Giorgio DI LEONE Direttore Spesal Ausl BA 5, Coordinamento tecnico delle Regioni Luciano MARCHIORI Direttore Spisal Usl 20, Verona Marco MASI Spesal Ausl BA 3, Segretario Snop Regione Puglia Coordinamento interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro, Regione Toscana Andrea DOTTI Giuseppe NANO versità svizzera italiana, Accademia di architettura, Mendrisio (CH) Cinzia PIERONI Servizio veterinario, Asur Zona 7, Marche Benedetta ROSETTI U.O. Igiene della nutrizione, Sian Dipartimento di prevenzione Asur Zona 13, Ascoli Piceno Luigi SALIZZATO Direttore Dipartimento di prevenzione Asl Cesena Carlo SMURAGLIA Professore ordinario di Diritto del lavoro, Università di Milano Dipartimento di sanità pubblica, Ausl Cesena Domenico SPINAZZOLA Professore associato di Spesal Ausl BAT 1, Ingegneria, Politecnico di vicepresidente Snop Milano, Presidente nazionale Aidii, Presidente Ciip Angelo STEFANINI Ricercatore al Dipartimento di Medicina e saManuela NICOLUCCI nità pubblica, Università U.O. Igiene della di Bologna, vicepresidennutrizione, Sian, Asur te dell’Osservatorio itaZona territoriale 13, liano sulla salute globale Ascoli Piceno Annunziata GIANGASPERO Cosimo PAGLIARONE Domenico TADDEO Professore ordinario di Parassitologia e malattie parassitarie, Facoltà di Agraria, Università degli studi di Foggia Direttore Sian Ausl TA 1 Ersilia PALOMBI Presidente nazionale Snop, Direttore U.O. Pissl, Az Asl, Pisa Valdera Responsabile U.O.S. Nutrizione, Sian Asl BN 1 Giuliano TAGLIAVENTO Aldo GRASSELLI Francesca PANDOLFINI Segretario nazionale Sivemp, Direttore del Servizio di sanità animale, Asl Ligure 4 Dipartimento di sanità pubblica, responsabile U.O. Prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro, Ausl Cesena Direttore Spresal Asl 7 Chivasso Cinzia FRASCHERI Responsabile nazionale salute e sicurezza, Cisl Marina FRIDEL Domenico LAGRAVINESE Direttore Dipartimento di prevenzione Ausl BA 3, Presidente nazionale Siti Riccardo PETRELLA Presidente acquedotto pugliese, professore di Ecologia umana all’Uni- Dirigente sanità pubblica, Servizio salute, Regione Marche Massimo VALSECCHI Direttore del Dipartimento di prevenzione dell’Ulss 20 di Verona Alfredo VIOLANTE Direttore regionale Inail Puglia 71 Finito di stampare nel mese di aprile 2006 presso la tipografia Graffiti, Pavona (Roma)