Mercoledì 3 marzo 1993
Commissione
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XII COMMISSIONE
XII
PERMANENTE
(Affari sociali)
Mercoledì 3 marzo 1993, ore 15,30. —
Presidenza del Presidente Lino Armellin.
Esame ai sensi dell'articolo 124 del regolamento del documento presentato dal Ministro della sanità concernente « Relazione
sull'attuazione della legge contenente
norme per la tutela sociale della maternità
e sulla interruzione volontaria della gravidanza (anno 1991) » (doc. LI, n. 1).
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame della
relazione.
Il Presidente Lino ARMELLIN avverte
che il Ministro della sanità non potrà
essere presente alla seduta per una lieve
indisposizione, il Sottosegretario di Stato
per la sanità Luciano Azzolini si è dovuto
recare al Senato essendo la Commissione
igiene e sanità convocata in sede deliberante.
Il relatore Lucia FRONZA CREPAZ
(gruppo della DC) osserva che ritorna,
anche nella relazione di quest'anno, la
conferma di alcune tendenze già riscontrate: il decremento del numero degli
aborti, tendenza che è costante ormai dal
1982 (anche se su questo dato va fatta una
precisazione importante e su cui spenderà
qualche parola in più al termine di questa
lettura: c'è una cifra di aborti che sfugge
non sola alla relazione ma compresi - a
suo parere - nella legge n. 194, sono gli
aborti che sempre più numerosi avvengono
con il metodo della « pillola del giorno
dopo » e con 1'« aspirazione mestruale » o
con l'introduzione della spirale dopo un
rapporto a rischio.
Il decremento del tasso di abortività
(n. ivg/1000 donne in età feconda) che si
riduce a livello nazionale rispetto al 1990
del 3,5 per cento.
Ma andiamo più in profondità nell'analisi. Se guardiamo alla scomposizione del
dato per regione, si nota che vi sono delle
difformità da regione a regione, per esempio vi sono delle regioni che hanno un
andamento crescente quali il Piemonte, il
Trentino, l'Umbria, il Molise, la Calabria,
la Sardegna. Bisogna correggere questo
dato con l'annotazione — che giustamente
le relazioni del Ministro ci danno - sulla
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differenza fra ivg riferite alla residenza
delle donne o riferite al luogo dell'intervento : ma, nonostante questo, persiste la
realtà di una serie di regioni in cui il tasso
di abortività è crescente, e qui - sommessamente — non può fare a meno di notare
(come del resto è possibile notare rispetto
ai tassi di abortività delle nazioni europee)
che laddove esiste sicuramente una maggiore offerta di servizi e una più diffusa
informazione sessuale e contraccettiva, non
si riscontra automaticamente una diminuzione dell'aborto, anzi !
Con ciò, evidentemente non vuole certo
affermare che non si debba percorrere
decisamente la strada di una assunzione
sempre più cosciente e responsabile della
genitorialità, ma la precenzione passa anche per altri canali. È necessario fare
attenzione a non attribuire semplicisticamente unicamente a qusti presìdi la speranza di rispondere efficacemente. Si deve
scavare più a fondo per capire l'aborto, le
sue cause e cercarvi rimedio.
Decremento del rapporto di abortività
(n ivg/1.000 nati vivi) - pur sempre spaventosamente alto: 287,3 - con un meno
2,5 per cento a livello nazionale.
E anche qui è possibile notare le differenze da regione a regione: vi sono regioni
(Piemonte, Trentino, Umbria, Molise, Basilicata, Calabria, Sardegna) in cui la tendenza è crescente: nuovamente il dato
andrebbe corretto con il dato delle ivg per
regione di residenza al posto di quello
delle ivg per regione di intervento e, ulteriormente, con il dato dell'incidenza del
decremento demografico che la relazione
non ci fornisce.
Risultano costanti, con notazioni interessanti, anche i dati relativi alle caratteristiche delle donne che ricorrono ali'ivg:
Età: in tutte le classi di età si riscontra
una diminuzione del tasso di abortività,
con decrementi maggiori per quelle classi
di età (20-35) che risultano essere le più
coinvolte nel fenomeno abortivo;
Stato civile: hanno la netta prevalenza
le donne coniugate, con una accentuazione
del dato per le regioni meridionali e insulari.
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Interessante è parso il confronto con
questi due dati rilevati in altre nazioni
europee, dati che la relazione ci fornisce: a
differenza dei paesi del nord Europa in cui
l'aborto riguarda prevalentemente ragazze
nubili e giovani, in Italia l'aborto è praticato in prevalenza da donne sposate di età
matura.
A riguardo, ha riscontrato invece una
certa analogia fra l'Italia e i paesi dell'est
Europa. È questa, a suo modo di vedere,
una realtà preoccupante. L'aborto dunque,
in una gran parte di casi non appare come
Yextrema ratio per situazioni insostenibili.
Non può, a questo punto non chiedersi
se non vi sia da invocare come spiegazione
di questo fatto la realtà di una diversa
incidenza delle politiche familiari: laddove
è ridotto lo spazio per i diritti della
famiglia rispetto ai diritti del lavoro e
della produzione, il generare figli costituisce una oggettiva difficoltà;
Numero di figli: ricorrono all'ivg soprattutto donne senza figli (33 per cento) e
donne con due figli (30 per cento);
scomponendo poi questo dato per
regione si vede anche qui un'Italia a doppia tendenza: al nord e al centro fa problema il primo e il secondo figlio, al sud e
nelle isole fa problema il terzo e il quarto
figlio.
Torna anche rispetto a questo dato
l'osservazione del confronto con le altre
nazioni europee: il problema del primo
figlio ci accomuna ai paesi del nord Europa, il problema del terzo figlio ci accomuna ai paesi dell'est Europa.
Ne viene confermata, da una parte, la
gravità della tendenza alla denatalità e,
dall'altra, la gravità degli effetti della
carenza di una politica familiare adeguata,
questo tanto al nord che al sud.
Ricorda, solo come accenno, che il
problema del terzo figlio è ben noto e
presente alle autorità francesi se già da
tempo in quel paese si è affrontato il
problema con cospicue misure di sostegno
alle coppie all'arrivo del terzo figlio (drastico aumento degli assegni familiari, allungamento del tempo di aspettativa lavo-
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rativa per il genitore - questo per la
semplice constatazione che il 3° figlio
viene dopo il 1° e il 2°).
La relazione ci riferisce anche le percentuali di assenso dai genitori o dal
giudice tutelare per le minorenni: i dati
però appaiono carenti come già nota lo
stesso Ministro.
Inoltre, crede sarebbe importante, per
una corretta valutazione di queste cifre,
avere un confronto fra il numero dei
ricorsi al giudice tutelare e il numero di
esiti di ivg dopo tale ricorso: come per
altri momenti (consultori) cala il silenzio
sulle occasioni di solidarietà che la donna
potrebbe trovare fra l'inizio di una maternità difficile e l'ivg.
Titolo di studio: come per gli anni
precedenti, prevalgono le donne con licenza media (46 per cento) e con licenza
superiore (28 per cento).
IVG precedenti: riguardo a questo dato,
che la relazione commenta come in calo,
mi pare invece si debba affermare che
sostanzialmente si tratta di un dato stabile, anzi dell'unico (o quasi) dato stabile:
precisamente risulta che un terzo delle
donne che ricorrono all'aborto (se non di
più, nelle regioni meridionali) hanno avuto
già in precedenza almeno un aborto.
È un dato grave, un dato che non può
non farci riflettere.
Ancora una notazione sulla metodologia
adottata nella predisposizione della relazione: si introduce un modello matematico
di stima degli aborti ripetuti « attesi » che
poggia sull'assunzione dell'attitudine all'aborto ripetuto assiomaticamente in aumento. Quindi si raffronta tale trend
astratto crescente con il trend reale, praticamente stabile negli anni, per affermare
un positivo effetto della diffusione dei
metodi contraccettivi.
1) Cosa significa « attitudine abortiva
costante » ?.
Assumere questo presupposto è una
operazione non « neutra ».
2) Se l'aborto è ripetuto da una donna
su tre ed è ripetuto per la seconda volta da
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una donna su 5, viene spontanea la domanda sul ruolo avuto dal colloquio previsto dall'articolo 5.
Una così frequente ripetizione fa sorgere il dubbio che 1'« occasione-colloquio »
non è stata sfruttata per andare alle cause
della difficoltà a portare avanti una maternità e per attivare una strategia preventiva.
Puntare seriamente sul colloquio, non
vuol dire solo occuparsi della richiesta di
aborto presente, ma rispondere ad una
domanda più complessa con un metodo
che « lascia traccia » anche successivamente.
Il colloquio, e in particolare vede qui
un ruolo del consultorio, può e deve essere
un volano che riesca a bloccare, o almeno
si faccia carico di evitare la seconda richiesta di ivg.
E invece proprio questo momento cruciale il colloquio è e rimane « invisibile ».
Del colloquio non si trova traccia nella
relazione, mentre è forse questo un indicatore decisivo da far emergere per fare in
modo che la relazione diventi ciò che deve
essere.
3) Attenzione poi alle facili conclusioni
sul rapporto contraccezione-aborto: basta
osservare che fra le regioni con più alta
percentuale di ripetizioni c'è proprio l'Emilia Romagna dove non si può certo
lamentare una carenza in questo campo.
Ripete che non disconosce un valore ad
una adeguata educazione ai metodi di
regolazione della fecondità, ma non può
una efficace prevenzione dell'aborto essere
affidata a questo solo fattore.
Anzi, se non accompagnata da un lavoro culturale e sociale di accoglienza alla
vita, essa coincide con la diffusione di una
mentalità contraccettiva che va di pari
passo con la diffusione di una mentalità
contraccettiva che va di pari passo con la
diffusione dell'aborto, se non altro perché
tutti i bambini che sfuggono alla contraccezione (cosa realisticamente presente con
tutti i metodi, anche se bene applicati)
sono, senza una base di accoglienza, candidati all'aborto.
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Passando alle modalità di intervento
dell'ivg, si nota una persistente prevalenza
della certificazione rilasciata dal medico di
fiducia o dal servizio che effettua l'ivg:
permane dunque una attitudine alla « medicalizzazione » automatica di ogni fase
precedente all'ivg; il consultorio rimane
solo marginalmente coinvolto (21,8 per
cento).
È interessante anche il dato che evidenzia come il maggior numero delle certificazioni per l'ivg rilasciate dal consultorio
non è correlato con la maggior presenza
del consultorio in una data regione.
È chiaro che il ricorso al consultorio
deve essere aiutato con una adeguata politica sanitaria e dei servizi (informazione,
pluralità di accesso, e c c . ) .
Per l'epoca gestazionale in cui avviene
l'ivg, la relazione evidenzia una nettissima
prevalenza delle ivg entro il 90° giorno ed
una caduta netta oltre le 13 settimane.
Una novità nella relazione di quest'anno riguarda il dato sulla « mobilità »
delle donne che richiedono una ivg, perché
sono stati evidenziati i dati per regione di
intervento e per regione di residenza: si
scopre così l'esistenza di una immigrazione
verso regioni che presentano una migliore
offerta di servizi, come l'Umbria, le Marche, il Friuli, l'Emilia e il Trentino.
Rispetto alla scelta per le strutture
pubbliche o per le case di cura private, c'è
uno stabilizzarsi della percentuale delle
prime (87,1 per cento) rispetto alle seconde
(11,8 per cento).
Il tempo di attesa fra certificazione ed
intervento - indicatore dell'efficienza dei
servizi - evidenzia un 7,8 per cento di
interventi che hanno avuto luogo a distanza di più di 3 settimane dalla certificazione.
Esiste in questi spazi una qualche
forma di « accompagnamento » dell'attesa
della donna ?
È una domanda che la relazione lascia
senza risposta.
I dati che si riferiscono alle tecniche di
intervento, si fa notare la tendenza a
preferire l'isterosuzione (e in particolare il
Karman) rispetto al raschiamento, con
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una riduzione della durata della degenza e
con un altissimo ricorso alla anestesia
generale.
Quest'ultimo è un dato che apre ad una
riflessione:
il persistere di questo tipo di anestesia — in contraddizione, secondo le parole
del Ministro con la tendenza all'uso di
tecniche che non la esigerebbero direttamente - può essere forse legata ad una
precisa esigenza, anche in parte inconsapevole, delle donne, che, in questo modo,
affrontano meno drammaticamente un
evento di grosso impatto emotivo ?
L'auspicio del Ministro a che si arrivi
ad una diminuzione del ricorso all'anestesia generale - apprezzabile nell'intento di
ridurre il rischio connesso a questa tecnica
- potrebbe essere controproducente nell'ottica di mettersi dalla parte della donna e
quindi di ridurle la sofferenza collegata al
vivere coscientemente un atto di tale gravità.
OSSERVAZIONI
COMPLESSIVE
La relazione si muove in un'unica prospettiva, quella della donna.
È carente la prospettiva del bambino.
Il Governo non può farsene carico.
Non va mai dimenticato che la legge
n. 194 ha due protagonisti: la donna e il
bambino.
È un dato legislativo, che si evince
dall'articolo 1 « Lo stato riconosce il valore sociale della maternità (la donna) e
tutela la vita umana dal suo inizio (bambino) ».
Volendo provare qui a porci da questa
prospettiva, una prima riflessione da compiere riguarda la vera entità del fenomeno
aborto - quindi le eventuali spiegazioni
della flessione del tasso di abortività - e le
carenze su questo punto nell'applicazione
della n. 194.
La 194, infatti, va applicata a tutti i
metodi di ivg, anche quando vi è il ricorso
alla cosiddetta « pillola del giorno dopo »,
alla « aspirazione mestruale » o alla spi-
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rale inserita subito dopo un rapporto a
rischio, metodi che, tra l'altro, se non
monitorati e tenuti sotto controllo, rischiano di essere lasciati all'iniziativa sperimentale del medico.
Anche in questi casi, comunque, dovrebbero essere rispettate le condizioni
previste dall'articolo 4 per far richiesta di
interruzione volontaria di gravidanza e le
procedure disciplinate dall'articolo 8 (certificato, 7 giorni, ecc.). Ne conseguirebbe,
oltre che un quadro più realistico dell'entità degli aborti, almeno il rispetto dei
limiti posti dalla 194 a tutela del diritto
alla vita.
Vuole fare una parentesi: riguardo al
calo degli aborti, riportando qui una osservazione dell'onorevole Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita: « perché non tener conto anche dei bambini
salvati dall'intervento attivo di tutti i
movimenti in tutte le loro forme e proposte e dal dibattito intorno al valore della
vita tenuto vivo dagli stessi ? ».
Al termine della lettura, rimane aperta
una domanda: qual e il senso dell'impegno
che il Governo ha nei confronti del Parlamento, visto l'articolo 16 della 194 ?
Non può essere solo quello di produrre
una fotografia asettica di un fenomeno
fatta da un operatore, imparziale senz'altro, ma addirittura privo di responsabilità.
Il Governo non è l'ISTAT, non può
rinunciare ad una prospettiva e ad una
progettualità nel porsi di fronte ad una
tale questione sociale.
L'articolo 16 della 194 chiede che l'oggetto della relazione che il Ministro della
sanità presenta annualmente al Parlamento siano l'attuazione della legge stessa
e i suoi effetti, anche in riferimento al
problema della prevenzione.
Ora, è innanzitutto sui profili dell'attuazione che la relazione appare insoddisfacente. L'impressione è che non si cammini più entro i binari della 194, ma li si
travalica, al punto che l'interruzione volontaria di gravidanza che emerge dalla
relazione è un fenomeno del tutto diverso
da quello disciplinato dalla legge.
La regola generale, per la 194 è il
riconoscimento del valore sociale della
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maternità e la tutela della vita del bambino, l'aborto è un'eccezione, ogni aborto è
una drammatica eccezione: questa logica
nella relazione scompare.
Si nota la perdita progressiva della
dimensione di profonda problematicità sociale dell'aborto, per approdare all'analisi
di un fenomeno sociale, al pari di altri.
Un esempio: l'articolo 4 della legge, che
elenca i casi in cui è consentito il ricorso
all'interruzione volontaria di gravidazna,
non è mai preso in considerazione il dato
- e quindi non è possibile un'indagine sulle cause che conducono alla richiesta di
aborto.
Un altro esempio: non esiste una traccia sul come sono stati utilizzati i fondi
previsti e gli incrementi degli stanziamenti
per i consultori, sulle cifre andate a residuo o comunque non utilizzate, ...
Il Parlamento quindi si trova di fatto
privo degli elementi necessari:
a) per verificare l'azione del Governo;
b) per indirizzare le politiche legislative come risposte alle cause.
Come interpretare ciò ?
Probabilmente si tratta di una carenza
della relazione, dovuta anche alla mancanza di dati che provengono dagli operatori sul territorio.
Ma non è una carenza da poco.
Quindi, la prima proposta che fa è
quella di inserire nella risoluzione che
andremo a votare un passaggio in cui si
chiede che il medico lascia traccia dei
motivi che hanno condotto airinterruzione
volontaria di gravidanza, di modo che
possano poi essere rappresentati nella relazione.
Il Parlamento ha il diritto-dovere di
esigere dal Governo una parte attiva, che
renda sostanziale e non solo formale il
rispetto della legge. D'altra parte, in precedenza, qualche segnale in questo senso si
è già avuto: la relazione per l'anno 1989,
per esempio, che riportava una ipotesi di
lavoro sulla riorganizzazione dei consultori.
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È giunto il momento di uscire dalle
discussioni teoriche, che troppo spesso ormai diventano sterile contrapposizione di
opposte vedute.
Il terreno sul quale cominciare a muoversi è quello di affrontare e risolvere un
dramma sociale.
È certa che sugli interventi concreti non
si potrà non trovare concordanza, come è
certa che ci sono « chilometri » di politica
da percorrere insieme.
Crede infatti che siano qui in tante a
credere nell'esistenza del bambino e a
concepire l'aborto come dramma e non
còme diritto.
Proposte concrete.
Potremmo articolarle su due direttrici:
1) interventi prima del concepimento;
2) interventi dopo il concepimento.
1) Questo è l'unico punto messo in
rilievo dalla relazione.
Nelle considerazioni finali, si ribadisce
la necessità di investire maggiormente sui
consultori, potenziandone il numero sul
territorio e riqualificandoli secondo le proposte elaborate dal Comitato operativo
materno infantile che ha operato presso il
Ministero della sanità dal 1987 al 1989.
In realtà, le conclusioni cui era pervenuto questo comitato erano già riportate
nella parte prepositiva della relazione per
l'anno 1989, ma non siu constatano miglioramenti effettivi del servizio.
Comunque, al di là dell'accenno ai
consultori, la prospettiva entro cui si
muove la relazione punta prevalentemente
al miglioramento dell'uso dei metodi di
regolazione della fertilità.
In sostanza, nella relazione, non si
pensa ad una rete di cui la contraccezione
sia uno dei modi per affrontare il problema: essa rimane la soluzione.
È visibilmente semplificativo ridurre la
prevenzione dell'aborto al miglioramento
dell'uso dei metodi contraccettivi.
È convinta che essa passi da quel
contesto più ampio, che può essere costi-
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tuito da una rete con molteplici nodi: dal
Dipartimento materno infantile (ipotizzato
dal P.S.N.), alle politiche familiari, dall'educazione sessuale nelle scuole ad una più
coraggiosa cultura della vita.
Nel dipartimento materno infantile trovano risposta varie esigenze: dalla ricerca
genetica all'informazione della coppia che
si accinge al matrimonio, dal raccordo con
le scuole ai servizi per le gestanti in
rapporto con i consultori.
In questo contesto, anche il consultorio
prende la sua fisionomia di nodo di una
rete di servizi, punto di osservazione e
punto attivo di prevenzione, non solo per
la donna, ma rivolto anche alla coppia e
alla famiglia.
Le politiche familiari (politiche economiche, fiscali, previdenziali, di lavoro, di
servizi, abitative, scolastiche...) diventano
indispensabili di fronte ad un quadro
com'è quello che ci presenta la relazione:
nel caso italiano, le donne che abortiscono
sono coniugate, di età superiore ai 25 anni,
con uno o due figli, con istruzione media.
Ci troviamo di fronte a situazioni concrete di famiglie per le quali - data la
rigidità del mercato e dei ritmi del lavoro,
dati i vincoli delle abitazioni, la mancanza
di servizi... - l'arrivo di un terzo figlio
diventa un peso difficilmente sostenibile.
Secondo studi acreditati esiste in Italia
un desiderio di genitorialità insoddisfatto:
le politiche familiari, lungi dall'essere un
incentivo alla natalità, colmerebbero questo scarto e rimuoverebbero ostacoli all'accoglienza di un altro figlio.
Sull'educazione sessuale nelle scuole
non occorre spendere ulteriori parole, poiché è una linea su cui già si sono trovate
ampie convergenze e che aspettiamo di
vedere messa in opera.
2) Dopo il concepimento.
Il bambino c'è: questa verità sta scritta
nella legge ed è nella coscienza della gente,
come ha dimostrato il referendum popolare che ha bocciato la proposta di una
disciplina che non teneva conto del bambino.
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Di questo bambino il maggiore alleato tato in maniera che non condivide, i dati
è e resta la madre, occorre mettere la della relazione del Ministro.
donna nelle migliori condizioni per poter
Il deputato Giuseppe SARETTA (gruppo
esprimere la sua connaturale solidarietà
della
DC) dissente dall'interpretazione del
con il figlio.
Regolamento
data nei precedenti interCosa significa questo in concreto ?
venti
ed
auspica
un impegno di tutti sui
Non sta parlando della modifica dell'impianto della 194, che le attuali condi- contenuti.
zioni parlamentari non permettono, anche
Il Presidente Lino ARMELLIN ricorse non c'è bisogno di ripetere come io non
dando
che la nomina del relatore rientra
la condivida.
nell'apprezzamento del Presidente, sottoliCrede però che, dentro la 194, ci può
nea che la relazione dell'onorevole Fronza
essere lo spazio per agire sulle potenzialità
Crepaz è solo un punto di partenza della
della madre spezzando l'automatismo fra discussione, che ciascun deputato può svimaternità difficile e aborto.
luppare senza limitazioni alle iscrizioni a
A questo proposito non sono evidente- parlare.
mente abbastanza chiare le lettere a), b),
c), d), dell'articolo 2.
Il deputato Lalla TRUPIA ABATE (grupIn questo senso si muovono, proprio per po del PDS) dopo aver sottolineato l'oprendere più chiara la parte positiva della portunità che la scelta del relatore fosse
legge, alcune proposte presentate al parla- decisa collegialmente, entrando nel merito
mento, in cui si riconosce.
ricorda di aver chiesto la discussione sui
Va ricostruita attorno alla maternità la dati della legge n. 194 per un motivo forte,
solidarietà la corresponsabilità del partner che è questo: si riaccende con una cadenza
ormai prevedibile la discussione, più che
e della società.
Nella legge si parla di un intervallo di legittima sulla legge 194, discussione che
7 giorni fra la certificazione e l'intervento: fa emergere differenze di valutazione sul
è un tempo in cui ancora è aperta la sfida piano etico (cosa anche questa legittima e
di tentare ciò che ancora si può tentare per scontata), ma con una ripetitività di argomenti pressoché uguali dal 1978, anno di
la vita di quel bambino.
approvazione
della legge, e nel 1981 anno
Riempiamolo, questo tempo, di occadel
Referendum,
con riferimenti spesso
sioni di solidarietà.
A cominciare da una più seria conside- inesatti o che ritengono superfluo partire
razione del momento del colloquio, fino al dai dati della ricerca scientificamente provata da studi autorevoli e accreditati.
coinvilgimento del volontariato.
Ora non nega il valore di una riflessioA questo punto vuole fermarsi e mettersi in atteggiamento di ascolto rispetto a ner culturale, e morale attorno al tema
chi interverrà, poi solo alla fine presentare della procreazione, della vita e della sua
origine non appannaggio di una sola culuna risoluzione.
tura, quella cattolica, su dove i confini
della libertà (che giustamente la legge
Il deputato Roberto CALDEROLI (gruppo della lega nord) fa presente che la affida alla donna) si incontrano con la
Commissione avrebbe dovuto procedere responsabilità (anch'essa affidata esclusivaalla nomina del relatore, ai sensi dell'ar- mente alla donna), come libertà e responsabilità debbano trovare un equilibrio tale
ticolo 124 del Regolamento.
da configurare la esistenza di individui di
soggetti pienamente abilitati ad esercitare
Il deputato Sergio CASTELLANETA appunto la propria responsabilità e libertà.
(gruppo della lega nord) ritiene che sia
Resta convinta che questo soggetto esistato incauto assegnare la relazione all'o- sta già e pensa sia la donna e la sua
norevole Fronza Crepaz, che ha reinterpre- autodeterminazione.
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Ritiene che il confronto culturale ed
etico possa essere fecondo e importante e
persino auspicabile in una società e in
uomini e donne che hanno il dovere di non
smettere di interrogarsi e di interrogare.
Ritiene tuttavia con altrettanta forza
che non sia qui il compito nostro: del
Parlamento, che ha l'obbligo, fatto salve le
differenti opzioni culturali e di valore, di
partire dalla resiltà, dai dati oggettivi per
proporre soluzioni positive e fondate.
La razionalità aiuta il dialogo e la
costruzione, le crociate hanno quasi sempre prodotto guai e distorsioni, la politica
e lo Stato non devono proporre modelli
etici (qui ha prodotto grandi tragedie e
mostruosità) ma fare le leggi, sorvegliare il
buon funzionamento.
Allora ha razionalità - la forza delle
cose.
Ritiene più utile per questo discutere la
relazione, cosa che non sempre è stata
fatta.
Anzi il Parlamento non ha fatto in
questo senso sempre il suo dovere. Ricorda
che il 5 luglio 1988 fu approvata una
risoluzione dalla Camera per svolgere
un'indagine conoscitiva in congiunta Commissione Affari sociali e Giustizia sul funzionamento delle leggi n. 194 e n. 405.
In seguito a ciò le due Commissioni nel
luglio 1989 deliberarono di acquisire preliminarmente (tramite il Servizio Studi)
informazioni dall'Istituto superiore della
Sanità dal CENSIS, dall'ISTAT, chiedendo
loro di predisporre per il 1990 relazioni
apposite.
L'Istituto superiore della Sanità, non sa
gli altri, ha presentato il rapporto: mai
discusso e bisognerà farlo.
Quali dati oggettivi emergono ?
1) Decremento costante del ricorso dall'I.V.G. negli ultimi anni n. 160.532 I.V.G.;
1991= —
3,3 per cento sul 1990;
1991= — 31,4 per cento sul 1993;
2) il tasso di abortività (n. I.V.G./1000
donnefeconde); = 1 1 per cento e cioè — 3,5
per cento sul 1990 e — 34,9 per cento sul
1983;
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3) è in flessione l'aborto legale, ma
anche l'aborto clandestino; ragionevoli
stime fatte con 3 modelli matematici tra
loro indipendenti osservano: circa 350.000
prima del 1978, n. 60.000 nel 1991, pari al
— 17 per cento sul 1990, — 40 per cento
sul 1983 e il 70 per cento degli aborti
clandestini sono al Sud);
4) le donne che ricorrono all'I.V.G. sono
donne coniugate con 1 o più figli mentre
nei paesi europei la percentuale più alta
riguarda donne senza figli (sono circa il 70
per cento delle donne che abortiscono).
Ma la diminuzione di I.V.G. riguarda
soprattutto queste fasce di donne.
5) l'I.V.G. modalità: avviene nel pubblico per 1*87,1 per cento dei casi, nella
maggioranza dei casi con il metodo Karman o isterosuzione, il 98,9 per cento entro
la 12° settimana, il 73,5 per cento con un
solo giorno di degenza, il 78,6 per cento
con anestesia generale.
Prime considerazioni su questi dati che
smentiscono clamorosamente le tesi che
circolano:
1) La legalizzazione
1978:
dell'aborto
dal
a) non induce un uso progressivo
dell'I.V.G. come strumento fondamentale
di regolazione delle nascite;
b) ha favorito, dove è stata applicata,
una maggiore diffusione e un più corretto
uso dei metodi per la procreazione responsabile rispetto ai comportamenti precedenti (diminuzione tra le donne coniugate
con figli). Comunque il ricorso all'aborto,
per una quota preponderante, non costituisce una scelta di elezione, ma l'ultima
ratio, conseguenza della incapacità concreta, a fronte di un'attitudine positiva, di
regolare la fecondità con metodi alternativi
perché o poco conosciuti o perché usati
quelli a più alto rischio di fallimento o
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perché impiegati male, a fronte di una
scadente conoscenza della fisiologia della
riproduzione. Gli studi rilevano che: oltre
il 70 per cento delle donne al momento del
concepimento aveva usato un metodo contraccettivo fallito e nell'ultimo anno il 90
per cento. Dunque: il contrario dell'aborto
leggero o facile. Quindi la centralità e
l'efficacia dell'informazione e della prevenzione.
c) ha ridotto drasticamente il fenomeno della clandestinità: ma il 70 per
cento è al sud dove è spesso male applicata
la legge n. 194. È evidente che se la
Campania e la Sicilia che hanno uguale
tasso di fecondità hanno metà del tasso di
abortività ad esempio della Puglia dove la
legge è applicata è chiaro che l'aborto è
clandestino. Nell'arco di 10 anni sono stati
evitati 500-600.000 aborti clandestini. Le
conseguenze:
1) nessuna donna è morta in seguito
a pratica abortiva negli anni della legalizzazione;
2) dove funziona la legge n. 194 e la
prevenzione, diminuisce l'abortività globale.
Allora la considerazione per noi più
rilevante è questa: la prevenzione dell'aborto è la strategia che va perseguita con
coerenza e con forza perché dove c'è dà
risultati.
Questo non si è pienamente fatto, nonostante sia stata la volontà ispiratrice
della legge n. 194 e poi della legge n. 405:
qui misuriamoci davvero.
I dati del 1991 sulla previsione dimostrano che il fenomeno abortivo può essere
drasticamente ridotto in breve tempo se la
prevenzione e la tutela della maternità
verranno realizzate: il ruolo dei consultori
familiari è centrale.
A conforto di questa tesi osserva:
1) la certificazione dell'ivg solo per il
29,3 per cento dei casi viene rilasciata nel
consultorio. I consultori non sono i centri
di abortività, dove più alta è la presenza
dei consultori e dove i consultori maggior-
Commissione
XII
mente rilasciano la certificazione, c'è una
tendenza a ridurre di più l'aborto: quindi
la certificazione nei consultori è il passo
più importante per la prevenzione.
Allora:
1) incrementare il ricorso ali'ivg per
la certificazione;
2) necessaria integrazione tra servizi
ospedalieri e territoriali perché la donna
trovi conveniente rivolgersi al consultorio.
Lo studio dell'ISS su un consultorio
romano che funziona anche come prenotazione dell'interruzione volontaria di gravidanza ci dice che in 3 anni, l'85 per cento
delle donne ha chiesto la certificazione in
consultorio e di queste il 5 per cento ha
proseguito la gravidanza dopo il colloquio
e il 70-80 per cento è tornata al consultorio
per una delle scelte contraccettive diverse
e più efficaci;
3) prevedere un rapporto tra il consultorio se le altre istituzioni: la scuola ad
esempio per l'informazione.
Lo studio dice che il 50-60 per cento
cento delle donne sa e conosce la fisiologia
riproduttiva, le altre non conoscono neanche il periodo fertile.
Per esempio la scuola: la legge sull'informazione sessuale e i programmi scolastici sono falliti. Ma i consultori visto che
l'informazione di massa penetra poco, non
aspettano l'utenza, allora si attivino programmi mirati sulla popolazione a bersaglio, sul territorio e sulle persone.
Ad esempio negli USA il tasso di abortività è tra le più giovani e in alcune contee
hanno fatto uno sforzo combinato verso le
scuole con l'informazione.
In due anni vi è stata una riduzione del
50 per cento del ricorso all'aborto tra le
ragazze. Osserva che in Italia non partiamo da zero. Proposte di riqualificazione
dei consultori elaborate già dal Comitato
operativo materno infantile (c/o centro
studi Ministero della sanità dal 1987 fino
al 1989): nei quali si proponeva di completare i consultori, completare gli orga-
Mercoledì 3 marzo 1993
— 94 —
nici, prevedere corsi di aggiornamento in
relazione ai programmi prevenzione, sviluppare il ruolo delle regioni.
Invece oggi c e una rottura delle convenzioni SUMAI dal 1° gennaio 1994 che
comporterà l'uscita e l'abbandono dei consultori da parte di molti ginecologi.
Le proposte del Comitato materno infantile sono 14 fatte proprie dall'ultimo
Piano sanitario nazionale dentro il Progetto obiettivo materno infantile. È rimasta lettera morta, tranne un finanziamento
per la riqualificazione dei consultori familiari (con deliberazione CIPE del 16 febbraio 1990, in parziale attuazione del
Piano sanitario nazionale con un fondo
residuo del 1988).
La somma stanziata per il Progetto
materno infantile è di 40 miliardi di cui
ben 25 per i consultori specie nel Sud.
Le risulta che solo la Campania ha
ottenuto il finanziamento, e le altre regioni ?
Allora cosa fare noi qui ?
Cambiare la legge n. 194 o farla applicare, producendo atti che facciano davvero
della prevenzione dell'aborto, della tutela
della maternità e dei minori la scelta
strategica del Parlamento ?
Il PDS lavorerà in questa seconda direzione.
E allora visto che giustamente si parla
di prevenzione e tutela della maternità e
dei minori riconosciamogli l'urgenza, e
dopo AIDS e gli anziani, si stralci e si
finanzi il Progetto materno infantile.
Vedremo se è la prevenzione, la salute
della donna che ci stanno a cuore o se
invece ripetiamo un film già visto in cui gli
attori sono divisi in due specie: gli abortisti e i non abortisti.
Vorrebbe che queste due specie « fasulle » non le riproducessimo visto che forse
non esistono: (chi sono gli amanti dell'aborto ?) e riuscissimo, nel confronto, a
mettere insieme le ragioni positive della
tutela, della prevenzione, del rispetto della
libertà delle donne e dei minori facendo il
nostro mestiere: che non è quello di lanciare anatemi ma di fare buone leggi.
Commissione
XII
Il Presidente Lino ARMELLIN rinvia il
seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 17.
IN SEDE REFERENTE
Mercoledì 3 marzo 1993, ore 17. —
Presidenza del Presidente Lino ARMELLIN.
Proposte di legge:
RENZULLI ed altri: Riforma delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche e di riabilitazione
(287).
(Parere della I, della II, della V, della VII e della XI
Commissione).
PIRO: Riforma dell'ordinamento delle scuole di
formazione degli esercenti le professioni sanitarie
non mediche e del relativo esercizio professionale
(612).
(Parere della I, della V e della XI Commissione,
nonché della II e della VII Commissione ex articolo
73, comma 1-bis, del regolamento).
PERINEI ed altri: Riforma delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche e di riabilitazione (829).
(Parere della I, della V e della XI Commissione,
nonché della II e della VII Commissione ex articolo
73, comma 1-bis, del regolamento).
ARMELLIN ed altri: Riforma delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche e di riabilitazione
(2173).
(Parere della I, della II, della V, della VII, della XI
Commissione e della Commissione speciale per le
politiche comunitarie).
(Seguito dell'esame con costituzione di un
Comitato ristretto).
Il deputato Mariapia GARAVAGLIA
(gruppo della DC) ringraziando il relatore
per l'ampia e dettagliata relazione svolta e
ricordando come già nella scorsa legislatura il Parlamento non riuscì ad approvare
la riforma delle professioni sanitarie non
mediche, ritiene più utile costituire un
Comitato ristretto all'interno del quale
potranno essere approfondite le questioni
più rilevanti.
Mercoledì 3 marzo 1993
— 95 —
I deputati Augusto BATTAGLIA (gruppo
del PDS), Danilo POGGIOLINI (gruppo
repubblicano), Roberto CALDEROLI (gruppo della lega nord), Maria Grazia SESTERO GIANOTTI (gruppo di rifondazione
comunista), Alessandra MUSSOLINI (gruppo del MSI-destra nazionale) e il relatore
Gabriele RENZULLI (gruppo del PSI), condividono la proposta di costituire un Comitato ristretto.
Nessunn altro chiedendo di parlare, il
Presidente Lino ARMELLIN dichiara
chiuso Tesarne preliminare e si riserva la
nomina del Comitato ristretto sulla base
delle indicazioni dei gruppi.
Proposta di legge:
ARMELLIN ed altri: Nuove norme per la lotta
contro il doping e per la tutela sanitaria delle attività
sportive (1767).
(Parere della I, della II e della V Commissione,
nonché della VII Commissione ex articolo 73, comma
1-bis del regolamento).
(Seguito delVesame e rinvio).
II deputato Francesco CURCI (gruppo
del PSI) osserva che il doping per la sua
entità e per la sua diffusione pone alla
responsabilità del Paese e del Parlamento
alcuni inquietanti interrogativi. In primo
luogo: l'uomo o l'atleta ? Certamente
l'uomo. Lo sport è al servizio dell'uomo e
non il contrario.
Complessa è sicuramente la definizione
di doping. Si intende l'uso di qualsivoglia
sostanza o preparazione chimica o farmacologica al di fuori di eventi patologici o di
comprovate alterazioni
fisiopatologiche
tendenti a migliorare la prestazine atletica.
Il doping non è solamente la positività
di un esame di laboratorio ma anche e
soprattutto un reato, contro l'etica sportiva
e contro la salute umana.
I fenomeni di danno alla salute si
caratterizzano nel tempo con lesioni di
tipo mutagenetico, cancerogenetico, teratogenetico, soprattutto per le donne in un
primo stato di gravidanza. Occore poi far
menzione della pratica di emotrasfusione,
spesso portatrice di setticimie e trombosi.
Commissione
XII
Il doping non è fenomeno di oggi, è
presente in citazioni omeriche, e compare
all'inizio del secolo con l'uso della stricnina e più compiutamente nella olimpiade
del 1990 con la pratica di supplementazione di ossigeno messa in atto dalla
squadra di nuoto del Giappone per aumentare le prestazioni fisiche. Nella guerra di
Corea fu fatto poi ampio uso degli steroidi
per facilitare il recupero della stanchezza e
aumentare l'aggressività dei combattenti.
Nelle gare sportive la prima applicazione di doping si verificò nell'Europa
dell'Est e successivamente in Occidente.
L'uso dei farmaci bioenergetici e stimolanti si è poi diffuso in maniera esponenziale, agevolato dalla mistica della vittoria,
dal carrierismo esasperato e dalla esagerata possibilità di guadagno, tanto che
l'olimpionico Silvester ebbe a dichiarare
che il 101 per cento degli atleti fa uso di
sostanze stimolanti. Di qui la necessità di
adeguare la normativa e di un coordinamento legislativo a livello internazionale.
Ricorda la risoluzione votata all'unanimità
in prossimità dei giochi olimpici di Seul in
cui venivano indicate le linee di orientamento nella lotta al doping. La nuova
legislazione deve procedere alla ridefinizione del doping come reato, in quanto è
stata insufficiente la liena repressiva fin
qui seguita. La lotta al doping deve essere
uno degli obiettivi del Servizio sanitario
nazionale, deve essere coinvolto il Ministero della sanità, va promossa una campagna di prevenzione sanitaria rispetto
alla salute dei cittadini, va istituito un
osservatorio epidemiologico del fenomeno
doping, va coinvolto il Ministero della
Pubblica istruzione per una campagna di
educazione nelle scuole, anche in relazione
al corretto uso dei farmaci, va sollecitato il
Ministro per l'Università e la Ricerca
scientifica per l'introduzione della disciplina « tossicologia delle sostanze dopanti » nei corsi di specializzazione in medicina dello sport e presso l'ISEF, vanno
coinvolte le associazioni dei medici dello
sport, la Federazione nazionale degli ordini
dei medici e l'Ordine dei farmacisti nel
controllo dei propri iscritti, vanno appro-
Mercoledì 3 marzo 1993
— 96 —
vate norme sanzionatorie per atleti e tecnici, medici e farmacisti in relazione alle
loro responsabilità. L'atleta ha senza dubbio responsabilità di primo piano, ma,
tuttavia, spesso non ha conoscenze biomediche tali da comprendere il significato
degli effetti secondari della pratica del
doping ed è oltretutto fortemente condizionato dalla mistica della vittoria. Occorre quindi procedere ad una attività di
prevenzione e di educazione e ribadire che
10 sport è al servizio dell'uomo.
In conclusione, ritiene che il lavoro
compiuto nella precedente legislatura e la
relazione puntuale del relatore siano un
buon punto di partenza per arrivare ad
una conclusione positiva in tempi molto
brevi.
Il deputato Fiorello PROVERA (gruppo
della lega nord) osserva che per l'atleta
agonista, con buona pace per il barone De
Coubertin, l'importante non è partecipare
ma vincere; e per ottenere questo risultato
qualcuno è disposto anche a barare e a
giocare pesante, ricorrendo all'uso di sostanze più o meno lecite pensando di poter
migliorare la sua prestazione fisica.
L'uso di farmaci nell'atletica è antico;
già nel III secolo a.C. in Grecia gli atleti
erano soliti ricorrere alla massiccia assunzione di funghi o altri « super alimenti »
(in particolar modo l'idromele). Ma è solo
dall'inizio del nostro secolo che questa
pratica è diventata dilagante e preoccupante: clamoroso fu il caso di Dorando
Pietri che alle Olimpiadi di Londra del
1908 si « bombò » con una miscela di
stricnina e brandy con il risultato che tutti
ricordiamo (stramazzò esausto a terra pochi metri prima di poter tagliare vittorioso
11 traguardo della maratona !).
Le principali sostanze doping sono:
Commissione
XII
assuefazione con aumenti progressivi delle
dosi. Il più noto di questi farmaci è la
simpamina; agiscono a livello del cervello
con effetto stimolante; vengono impiegate
soprattutto per il loro effetto anti fatica.
Discussi e contrastanti sono invece gli
effetti diretti sulla prestazione fisica (anche
se la maggior parte dei fisiologi è d'accordo nell 'affermare che possano dare miglioramento). I primi a « bombarsi » con
la simpamina (allora veniva chiamata pastiglia Goering) furono i piloti della Luftwaffe che, durante la seconda guerra
mondiale, erano costretti a turni di servizio massacranti e senza possibilità di adeguato riposo. Tra gli atleti le amfetamine
sono state (e forse lo sono ancora) utilizzate doprattutto dai calciatori e dai ciclisti; noto è il caso di Simpson che durante
il Tour de France del 1967 cadde a terra
morto mentre scalava il Mont Ventoux; la
simpamina (come avrebbe poi in seguito
confermato l'autopsia) non gli aveva permesso di rendersi conto che la fatica e
l'abbondante perdita di liquidi (39-39
gradi all'ombra !) avevano portato il suo
organismo ben al di là dei suoi limiti;
andrelina efedrina agiscono sul sistema nervoso autonomo innalzaldo la
pressione sanguigna e aumentando la forza
di contrazione del cuore; aumentano il
calibro delle vie respiratorie. Sono farmaci
che possono indurre gravi aritmie cardiache e crisi ipertensive;
caffeina viene considerata doping se
supera concentrazione urinaria di 12 microgrammi per mi (corrispondente ad un
numero elevato di tazzine di caffé): a
queste dosi ha un effetto abbastanza simile
all'efedrina;
stimolanti il sistema nervoso centrale
(anfetamine, cocaina, efedrina, andrenalina, caffeina):
morfina e codeina (metabolita della
morfina) hanno effetto analgesico, euforizzante ed anti fatica; i danni sono noti e
consistono soprattutto nella assuefazione;
in alcuni casi possono poi anche dare
depressione dei centri respiratori;
anfetamine, cocaina caretteristica comune è quella di innalzare la soglia di
percezione dello stato di fatica. Riducono
il bisogno di sonno, aumentano l'aggressività e la competitività. Per la cocaina
steroidi anabolizzanti: si tratta di
ormoni (prodotti anche dal nostro organismo) in grado di accrescere le masse e la
forza muscolare; fanno inoltre aumentare
il volume dei globuli rossi e la quantità di
Mercoledì 3 marzo 1993
— 97 —
emoglobina. Vengono anche utilizzati perché danno maggiore resistenza alla fatica e
senso di benessere; ne fanno frequentemente uso gli atleti delle specialità di
potenza. Sono stati impiegati per anni a
dosi generose specie dagli atleti dell'Est (in
particolare nuotatori, velocisti, sollevatori
di peso, lanciatori). Da quando l'antidoping viene impiegato sistematicamente le
possibilità di « farla franca » si sono ridotte notevolmente; sono così scomparsi
dalla scena molti atleti (in particolare le
possenti nuotatrici dell'Est !) che, privati
degli effetti di questi ormoni, sono scaduti
a livelli di assoluta mediocrità. Emblematico è anche il caso di Ben Johnson, che
dopo aver scontato la squalifica perché
« pescato » positivo alle Olimpiadi di Seul
(dopo aver vinto a tempo di record i 100
metri piani) è rientrato sulla scena « dimagrito » e con tempi di gran lunga superiori ai 10". A fronte di certi risultati
non vanno però dimenticati i rischi dell'impiego di questi ormoni che vanno dall'atrofia testicolare ad effetto virilizzante
nella donna, da disturbi epatici alle malattie delle coronarie; e non si può escludere anche un effetto cancerogeno come
sembrerebbe suggerire il recente caso dei
due sollevatori di pesi di Bolzano morti
per neoplasia dello stomaco;
somatotropina (ormone della crescita): è prodotta da una ghiandola del cervello ed è ora disponibile anche in commercio; è il doping attualmente più di
moda negli atleti delle discipline di potenza; ha un effetto per certi versi analogo
a quella degli anabolizzanti, ma, al contrario di questi, è difficilmente rintracciabile nei liquidi organici. Il suo impiego
può dare gigantismo (nell'età prepubere) e
aspetto acromegaloide e possibile insorgenza di diabete (nell'adulto);
cortisone: anche questo è un ormone
normalmente prodotto dal nostro organismo; viene impiegato, al pari delle anfetamine, perché fa innalzare la soglia della
fatica. Attualmente è scarsamente impiegato: in passato ebbe un momento di
« celebrità » quando Merckx fu scoperto
positivo al controllo antidoping al giro di
Commissione
XII
Lombardia. Ad alte dosi (specie se protratte) può causare ulcera gastrica, osteoporosi e, una volta sospeso, grave deficit
surrenalico;
eritropoietina ed autoemotrasfusione:
da qualche anno, anche se negata ufficialmente, è invalsa la prassi di sottoporre
atleti impegnati in competizioni aerobiche,
per lo più di lunga durata, a terapia con
eritropoietina o con autoemotrasfusione.
Entrambe hanno come scopo finale l'aumento del numero dei globuli rossi e
quindi della quantità di ossigeno che può
essere trasportata e ceduta dal sangue ai
muscoli. L'eritropoietina è un ormone fisiologico (da qualche tempo è disponibile
anche la forma sintetica) che stimola il
midollo osseo a produrre un maggior numero di globuli rossi. Con l'autoemotrasfusione si iniettano invece dei globuli rossi
che sono stati precedentemete sottratti allo
stesso individuo e che vengono restituiti
quando l'organismo ha ormai provveduto a
rimpiazzare la quantià di sangue prelevata
(tre quattro settimane più tardi). Nell'uno
e nell'altro caso non si deve eccedere con
le dosi per non andare incontro ad un
aumento della massa ematica (con un
maggior carico del cuore) e della viscosità
del sangue (con possibilità di fenomeni
trombotici). Inoltre la distruzione di un
maggior numero di globuli rossi a livello
del sistema reticolo-entoteliale può provocare una eccessiva precipitazione di ferro
nel fegato, nella milza, nel rene e nel
polmone provocando gravi alterazioni
(emosiderosi).
diuretici: non possono essere considerati doping in senso stretto, anche se
vengono utilizzati, oltre che per cercare di
rientrare nel peso (prima degli incontri di
pugilato, lotta ecc.), per allontanare più
velocemente le sostanze proibite;
betabloccanti: questi farmaci, impiegati anche nella cura della ipertensione
arteriosa e dell'angina pectoris, vengono
utilizzati soprattutto degli atleti degli
sport di destrezza per sfruttare il loro
Mercoledì 3 marzo 1993
— 98 —
effetto ansiolitico e anti tremore (per lo
stesso motivo sono di sostegno a molti
oratori quando devono parlare in pubblico).
Si può pertanto affermare che l'uso di
farmaci nello sport, se non giustificato
dalla presenza di evidente patologia, deve
essere bandito sia perché immorale sia
perché spesso si associa ad effetti nocivi
immediati o tardivi. L'uso irrazionale di
farmaci e di particolari procedure è mortificante per l'atleta, per i tecnici e per i
medici, per tutto il mondo sportivo; l'era
degli stregoni deve finire: solo allenamenti
adeguati, l'attuazione di appropriate misure igieniche e alimentari devono permettere di migliorare i record senza spersonalizzare l'uomo-atleta.
Dopo aver accennato alle sostanze ed ai
metodi doping è legittimo chiedersi:
quali le cause ? le proporzioni del
fenomeno ? cosa fare ?
Cause.
Successo a tutti i costi. Grossi interessi
economici nello sport. Scarsa conoscenza
del problema. Facile reperibilità dei farmaci. Possibilità di usare doping in allenamento senza essere scoperto in gara (l'atleta arriva pulito). Non facile codificazione del doping.
Proporzione del fenomeno.
Non è assolutamente possibile fornire
dei numeri perché: solo alcuni sport e di
questi solo alcune gare hanno controlli
anti-doping; in particolare i controlli vengono effettuati solo in coincidenza di manifestazioni sportive ad alto livello e mai a
« sorpresa »; non tutte le sostanze doping
sono evidenziate dalle seppure sofisticate
metodiche oggi a disposizione.
Cosa fare.
a) prevenzione: informazione medicofarmacologica massiccia, costante e capillare mirante a rendere noti tutti i rischi
delle sostanze doping: scuola, istruttori
(corsi anti-doping),
pubblicità-progresso;
Commissione
XII
informazione corretta delle corrette metodiche di allenamento: istruttori, opuscoli
« CONI »;
b) repressione: intensificare i controlli
anti-doping; controlli random a qualsiasi
livello: sorteggiare; settimanalmente alcune gare da controllare; controllare non
solo i primi classificati ma anche 3-5 atleti
a sorteggio; per gli atleti « professionisti »
estendere i controlli anche agli allenamenti; aggiornare ed uniformare le liste
delle sostanze vietate (ogni nazione ed ogni
federazione ha ancora oggi le « sue » sostanze proibite; permettere, per le sostanze
più pericolose (anabolizzanti, amfetamine,
narcotici) l'analisi in laboratori periferici
(attualmente tutti i campioni vengono analizzati presso il laboratorio anti-doping
della FMSI di Roma); comminare pesanti
sanzioni disciplinari agli atleti « positivi »
(specie per i farmaci più pericolosi) ed ai
medici e ai farmacisti colpevoli di avere
fornito le sostanze vietate.
Il Presidente Lino ARMELLIN rinvia il
seguito dell'esame ad altra seduta.
Proposte di legge:
RENZULLI ed altri: Norme per l'attivazione degli
interventi per la tutela della salute mentale (292).
(Parere della I, della II, della V, della VII, della Vili
e della XI Commissione).
GARAVAGLIA ed altri: Nuove norme sulla tutela
della salute mentale (1528).
(Parere della I, della V, della VII e della XI Commissione).
(Seguito dell'esame e rinvio).
La Commissione prosegue l'esame dei
provvedimenti.
Il Presidente Lino ARMELLIN avverte
che anche questa mattina ha ribadito la
richiesta al Governo di conoscere quando
intenda presentare il disegno di legge in
materia già approvato in Consiglio dei
ministri.
Mercoledì 3 marzo 1993
— 99 —
Il relatore Mariapia GARAVAGLIA
(gruppo della DC) ricorda che la discussione è iniziata alla fine dello scorso anno
ed è rimasta aperta per consentire ad
alcuni Gruppi di presentare le loro proposte di legge. Non essendo queste ancora
presentate, ritiene utile la chiusura della
discussione generale e la costituzione di un
Comitato ristretto per l'elaborazione di un
testo unificato.
Il deputato Francesco CURCI (gruppo
del PSI) pur concordando sulla necessità di
una accelerazione dei tempi, dissente sull'ipotesi di chiudere la discussione generale, avendo anticipato la sua volontà di
intervenire e ritenendo utile la presentazione di tutti i progetti di legge al fine del
migliore approfondimento della materia.
Il deputato Carole BEEBE TARANTELLI (gruppo del PDS) ribadisce che il
suo Gruppo ha presentato una proposta di
legge, che pertanto sarà assegnata al più
presto. Si augura che tale proposta possa
essere oggetto di riflessione e ritiene opportuno che la discussione generale rimanga aperta.
Il deputato Danilo POGGIOLINI (gruppo repubblicano) ritiene che di fronte alla
richiesta di alcuni Gruppi di intervenire
nella discussione sia interesse di tutti non
procedere alla chiusura della stessa. Ricorda però che è dalla IX legislstura che
tale problema viene affrontato ed ora la
relazione dell'on. Gara vaglia si può considerare un punto di arrivo, per questo
ritiene auspicabile una rapida chiusura
della discussione, generale e la costituzione
di un Comitato ristretto per elaborare il
testo unificato.
Il deputato Giuseppe SARETTA (gruppo
della DC) ricorda che in realtà la Commissione sta discutendo di un testo elaborato
nella IX legislatura, per questo di fronte
alla drammaticità della situazione raccomanda l'impegno di tutti i Gruppi.
Il deputato Vasco GIANNOTTI (gruppo
del PDS) ritiene utile che la materia sia
Commissione
XII
affrontata in tempi rapidi, anche tenuto
conto che le tabelle di ripartizione degli 82
mila miliardi previsti dal Fondo sanitario
nazionale assegnano scarsi stanziamenti
per la psichiatria, soprattutto per i servizi
territoriali e la prevenzione.
Il deputato Pierluigi PETRINI (gruppo
della lega nord) dissente da una dilatazione di tempi, che a suo avviso, deriva da
una deviazione ideologica dei gruppi parlamentari. La materia ha gravi risvolti
pratici sia per la parte relativa di finanziamenti che per esigenze di ordine sanitario.
Il Presidente Lino ARMELLIN ricorda
che il Ministro della sanità ha dato assicurazione che 135 miliardi del Fondo sanitario nazionale sono vincolati per la
psichiatria. Concorda sull'esigenza di accelerare i lavori, ma anche sull'opportunità
di ascoltare i deputati che hanno chiesto di
intervenire. Per questo ritiene utile che
non si chiuda la discussione generale, che
potrà proseguire la prossima settimana per
consentire la presentazione di tutti i progetti di legge. Subito dopo il comitato
ristretto potrà elaborare il testo unificato.
Rinvia pertanto il dibattito ad altra
seduta.
Proposta di legge:
SARETTA ed altri: Disposizioni per la prevenzione e
la cura della fibrosi cistica (1899).
(Parere della I, della IV, della V, della VII e della XI
Commissione).
(Esame e rinvio).
La Commissione
provvedimento.
inizia
l'esame
del
Il relatore Giuseppe SARETTA (gruppo
della DC) osserva che la fibrosi cistica è la
più diffusa malattia genetica a prognosi
sfavorevole nella razza bianca.
In Italia vi sono stime di circa un
malato ogni 2.000 nati vivi, mentre i
portatori sani del gene, che possono quindi
trasmettere la malattia, sono mediamente
Mercoledì 3 marzo 1993
—
100 —
uno su 22-25 nella popolazione generale. Si
stima quindi che, con l'aspettativa di vita
raggiunta negli ultimi anni, i malati di
fibrosi cistica siano in Italia tra 7.000 e
10.000, mentre i portatori sani del gene si
avvicinano ad una quota complessiva di
2.500.000. Vi è tuttavia una forte carenza
di diagnosi e particolarmente di diagnosi
pracoce: i malati attualmente censiti non
superano i 3.000.
Le ricerche degli ultimi anni hanno
consentito di conoscere, almeno in parte, il
difetto di base (anomalie del trasporto di
cloro nelle membrane delle cellule epiteliali) e soprattutto (settembre 1989) hanno
portato ad identificare il gene della fibrosi
cistica e le sue principali mutazioni. Questa scoperta ha aperto da un lato nuove
possibilità per una migliore conoscenza del
difetto di base e quindi per ricerche su
eventuali terapie causali; dall'altro ha
aperto la strada a criteri più avanzati di
diagnosi genetica, ed in particolare di
diagnosi del portatore, ciò che consentirà,
si spera, in un prossimo futuro, di attuare
strategie di screening degli eterozigoti, analogamente a quanto avvenuto per la thalassemia in Sardegna e in provincia di
Ferrara con successo.
La ricerca ha altresì consentito di mettere a punto criteri terapeutici più razionali, anche se ancora non causali ma che
hanno portato l'aspettativa media di vita
dai 2-3 anni di trenta anni fa agli attuali
28-30 (almeno nelle regioni in cui si attua
un'intensa attività diagnostica e terapeutica). A tali risultati ha contribuito in misura determinante l'istituzione di centri e
servizi specializzati di cura su base regionale: in Italia si annoverano attualmente
17 centri di cura ed una decina di servizi
di supporto specializzati.
Attualmente, la cura della malattia si
basa essenzialmente su un trattamento
nutrizionale intensivo, opoterapia pancreatica, fisioterapia respiratoria intensiva
quotidiana, antibiotici mirati a cicli o in
continuazione, aerosol e nebulizzazione
fluidificante. La terapia si fa più complessa
nei casi con complicanze legate alla malattia: in particolare ileo da meconio, equivalenti meconiali, cirrosi epatica e iperten-
Commissione
XII
sione portale, diabete mellito, pneumotorace, emottisi, eccetera. La prognosi risulta
migliore nei pazienti diagnosticati precocemente, specie per screening neonatale.
Il trattamento è comunque fondato su
una assistenza con frequenza e intensità di
controlli da parte di centri specializzati e
su un forte coinvolgimento delle famiglie
che, addestrate presso centri specializzati,
continuano a casa terapie che sono quotidiane, talora sofisticate, e che occupano
parecchie ore della giornata. A domicilio,
vi è tuttavia carenza di supporto dell'assistenza sanitaria pubblica: i medici di
base tendono a non farsi carico del malato,
manca quasi assolutamente la presenza
anche saltuaria di personale infermieristico e riabilitativo. Molti pazienti sono
costretti a ripetuti ricoveri ospedalieri, che
sono limitanti per la loro attività, creano
scompensi sociali e disagi psicologici.
Buona parte di tali ricoveri sono evitabili
laddove si è realizzato, episodicamente, un
buon supporto del medico di base e di
qualche servizio di territorio.
Le famiglie, in realtà, soffrono il peso di
una malattia difficile da curare, e comunque curabile, più di quanto sia ragionevolmente accettabile in una società moderna
ben organizzata sotto il profilo sanitario.
La partecipazione alla spesa per le cure da
parte delle famiglie si è resa sempre più
onerosa, superando in gran parte dei casi
le possibilità effettive di farvi fronte con i
propri mezzi, anche perché l'impegno di
cura dei familiari impedisce sempre che
uno dei due genitori possa svolgere attività
lavorativa. Le leggi in materia finanziaria
approvate nel corso del 1992 prospettano
rischi gravi per le famiglie e minacciano di
rendere praticamente impossibile per loro
ogni trattamento farmacologico o nutrizionale se non in regime ospedaliero.
Manca quasi completamente, anche
sotto il profilo della fornitura dei farmaci
e di materiale o apparecchiature sanitarie,
una facilitazione al trattamento domiciliare.
Vi è inoltre in Italia un forte difetto di
conoscenza della popolazione in generale,
anche nell'ambito degli operatori sanitari,
sulla malattia, sulle modalità di diagnosi,
Mercoledì 3 marzo 1993
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sulle possibilità attuali di prevenzione e di
cura dei malati. Vi sono poi non piccoli
problemi per l'inserimento dei malati nel
lavoro e nelle attività comuni, pur avendo
tali pazienti normali facoltà intellettive e,
nella maggior parte dei casi, normali o
quasi normali attitudini fisiche.
Vi è un difetto di organizzazione delle
cure e di indirizzi e piani omogenei di
diagnosi e di trattamento a livello regionale e sovraregionale, e ciò crea un consistente difetto di diagnosi, specie in alcune
aree, un disorientamento nei pazienti, una
precarietà di risultati e uno spreco di
risorse. È ormai chiaramente dimostrato
che la cura di questa malattia risulta più
efficace in un centro specializzato, laddove
si sono concentrate le risorse e le competenze, e quindi gli indirizzi assistenziali ed
i protocolli terapeutici, le competenze per
un largo territorio, essendo tale centro il
coordinatore delle diverse risorse sociosanitarie territoriali, anche per una efficace assistenza e cura domiciliare. Questo
è oggi un problema grave di salute sul
quale l'improvvisazione e la parcellizzazione degli interventi, pur sostenuta da
una buona volontà, non è più accettabile.
Vi è oggi bisogno più che mai di
investimenti per la ricerca in questo
campo e l'Italia ha non poche possibilità di
contribuire in maniera sostanziale alle
nuove conoscenze, purché mezzi e risorse
non vengano parcellizzati indiscriminatamente anziché concentrati laddove esistano serie opportunità di investimento
produttivo.
È per l'insieme di queste carenze e di
questi bisogni, per il diffuso difetto di
sensibilità al problema e per le grosse
difformità di comportamento esistenti tra
regione e regione verso un problema sanitario che interessa larga parte della popolazione italiana, che si rende necessario un
intervento legislativo ad hoc.
Commissione
XII
Esso dovrebbe mirare a:
sensibilizzare ed obbligare le regioni
a farsi carico più attivo del problema;
promuovere interventi di prevenzione
più avanzati e più diffusi;
sollevare le famiglie, almeno in parte,
dal grosso onere assistenziale, attivando
servizi socio-sanitari a domicilio, ciò che
consentirebbe di contenere il peso delle
ospedalizzazioni frequenti;
assicurare ai pazienti, senza alcun
carico finanziario per loro, farmaci che
dovrebbero essere erogati dalle farmacie
ospedaliere in regime di ospedalizzazione
diurna, alimenti speciali, strumenti e presìdi sanitari necessari per il trattamento a
domicilio;
facilitare l'inserimento dei pazienti
nelle attività lavorative;
promuovere la ricerca scientifica;
omogeneizzare i comportamenti nelle
diverse regioni italiane;
razionalizzare nell'ambito nazionale e
regionale l'impiego mirato delle risorse
tecniche, finanziarie ed umane.
L'erogazione dei farmaci, alimenti speciali e presìdi sanitari da parte delle farmacie ospedaliere realizzerebbe un risparmio complessivo di circa il 50 per cento
sulla quota attualmente spesa dal servizio
sanitario per il trattamento a domicilio di
questi pazienti. Auspica, quindi, che al più
presto si approvi la proposta in esame,
perché le ragioni sono evidenti e propone
infine la costituzione di un comitato ristretto.
Il Presidente Lino ARMELLIN rinvia il
seguito dell'esame alla seduta di domani 4
marzo.
La seduta termina alle 18.
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