ITALCEMENTI Dalla leadership nazionale all’internazionalizzazione Pag. iii Introduzione Parte I. Il filo della storia Cap. 1. La conquista della leadership nazionale fra le due guerre Pag. 6 1.1. La creazione dell’Italcementi negli anni Venti 1.2. Quota 90, grande crisi e consorzi 1.3. Tra autarchia ed economia di guerra 1.4. La cementeria di Dire Daua Cap. 2. I travagliati anni della seconda guerra mondiale Pag. 38 2.1. Guerra e distruzioni 2.2. Cambiamenti organizzativi tra tensioni e arresti 2.3. L’immediato dopoguerra e l’esito dei procedimenti di epurazione Cap. 3. La grande espansione postbellica Pag. 60 3.1. La ricostruzione 3.2. L’Italcementi e la campagna antimonopolistica di sinistra e radicali 3.3. Nuove cementerie ed eccellenza tecnologica 3.4. La figura di Carlo Pesenti e l’Italmobiliare. Pag. 84 Cap. 4. Da Bergamo al mondo 4.1. L’era di Giampiero Pesenti 4.2. Riorganizzazione aziendale e primi tentativi di espansione all’estero 4.3. L’avventura di Ciments Français Parte II. Analisi sistematica i Pag. 96 Cap. 5. Produzione e mercati 5.1. L’industria del cemento in Italia nel XX secolo e la posizione di Italcementi 5.2. Il sistema dei prezzi 5.3. L’organizzazione commerciale dell’Italcementi 5.3. Il mercato italiano del cemento nel contesto internazionale Cap. 6. Tecnologia di prodotto e ricerca Pag. 115 6.1. Il prodotto cemento e le innovazioni di prodotto 6.2. Il Laboratorio Chimico Centrale e le sue funzioni 6.3. Centri di studi e ricerche sull’applicazione del cemento. Cap. 7. Geografia degli impianti e tecnologia di processo Pag. 131 7.1. Un quadro d’insieme delle cementerie del gruppo 7.2. Le cementerie storiche 7.3. Le cementerie del miracolo economico 7.4. Le cementerie acquisite nel secondo dopoguerra 7.5. Energia e ambiente Appendice. Cementerie attive 1919-1992, per anno Cap. 8. Organizzazione e risorse umane Pag. 166 8.1. Evoluzione dell’organizzazione aziendale 8.2. Le risorse umane 8.3. Relazioni industriali Cap. 9. Composizione e redditività dell’azienda e del gruppo Pag. 187 9.1. L’Italcementi attraverso i bilanci 9.2. Composizione e performance del gruppo Pag. 199 Cap. 10. Impresa e società 10.1. Le provvidenze per i dipendenti 10.2. L’azienda e il territorio INTRODUZIONE Questo volume nasce da un’occasione eccezionale: la celebrazione di 140 anni di vita dell’Italcementi. Nel 2004, infatti, si sono contati 140 anni dalla fondazione ii dell’impresa capostipite delle numerose che nel corso del tempo si sono aggregate a formare l’Italcementi. In linea di principio, una grande impresa può avere un’esistenza illimitata, tuttavia non sono molte le imprese longeve. Il tempo profila le più diverse sfide e per durare occorre coglierle e sapervi rispondere. Per riuscire in questo difficile esercizio, ben note sono le condizioni, che potremmo sintetizzare nell’antica massima: estote parati. Ma di “vergini stolte” che non preparano in tempo l’olio per le lampade delle nozze non c’è scarsità e questo spiega l’alto tasso di mortalità tra le imprese. Ecco perché celebrare 140 anni di vita per un’azienda è già di per sé un risultato eccezionale. Ma ancora più eccezionale diventa se questa celebrazione vede l’azienda proiettata verso il futuro. 140 anni Italcementi, 143 anni Italia. L’Italcementi ha solo tre anni meno dell’Italia unificata, una nazione giovane, formatasi solo recentemente su quei territori tra Mediterraneo e Alpi, che avevano già visto molte civiltà - fra cui di particolare splendore l’Impero Romano e il Rinascimento cittadino -, una nazione che ha dovuto affrontare gravi prove, tali da richiedere ai suoi cittadini, alle sue imprese e alle sue amministrazioni capacità di scelta non comuni. In questa introduzione proporrò un contrappunto tra storia dell’Italia e storia dell’Italcementi, da cui emergeranno le peculiarità di quest’azienda, che è stata una delle interpreti di successo del travagliato, ma largamente positivo sul lungo periodo, processo di sviluppo economico realizzato. Articolerò la mia esposizione in quattro periodi. Il primo è quello delle origini. Come sappiamo, l’Italia appena unificata si mise alla ricerca delle precondizioni per il decollo: nella finanza, con la complessa vicenda che ha portato alla fondazione della Banca d’Italia nel 1893 e all’introduzione della banca universale; nell’istruzione, e qui va ricordata la legge Casati, che ha fra l’altro rafforzato l’istruzione tecnica portando alla fondazione del Politecnico di Milano nel 1863; nel campo delle relazioni internazionali, con l’introduzione di un liberismo troppo radicale, che si dovette addolcire; nella finanza pubblica, con l’impostazione di un bilancio solido da paese avanzato. Fu così che, dopo un periodo di crescita lenta, fu possibile il decollo del triangolo industriale tra fine secolo e prima guerra mondiale, che inserì il paese nel piccolo numero di nazioni che si industrializzavano. Nel campo del cemento, il decollo produsse segni evidenti: se nel 1900 il cemento era poca cosa - 200 mila t prodotte - già alla vigilia della prima guerra mondiale si era arrivati ad una produzione di 1,4 milioni di t. Che cosa c’è di notevole in questo lungo periodo nella storia dell’Italcementi? Le origini della storia dell’Italcementi sono state narrate con dovizia di particolari da Camillo Fumagalli1 in un volume preparato in occasione del centenario dell’azienda. Come molte altre imprese lombarde, anche i due rami dell’Italcementi – la Società bergamasca per la fabbricazione del cemento e della calce idraulica di Giuseppe Piccinelli (1864) e la Ditta Fratelli Pesenti fu Antonio (1878) – nacquero per l’impegno di alcuni imprenditori che seppero utilizzare meglio di altri la diffusa cultura tecnica presente in Lombardia. Fino alla fusione delle due società nel 1906, la storia narrata dal Fumagalli segue le realizzazioni tecniche degli stabilimenti e le vicende personali dei protagonisti. Ciò che si staglia in tutta evidenza è una peculiarità della famiglia Pesenti, che prese in mano l’azienda dopo la fusione: la dovizia di talenti presenti nel gruppo coeso dei 9 fratelli2, di cui sei maschi, rimasti in vita fra i 12 figli nati a Carlo Antonio, morto a soli 1 C. Fumagalli, La Italcementi. Origine e vicende storiche, Bergamo, Pizzi, 1964. 2 I profili dei membri della famiglia ed il quadro di come si viveva nell’Italia dell’epoca si possono trovare nel libro autobiografico di Cesare, molto ben scritto e di gradevole lettura. Si veda Cesare Pesenti, Memorie di famiglia. Lotte travagli e fortune nella vita, Bergamo, Istituto d’Arti Grafiche, 1931. iii 42 anni, e a sua moglie Elisabetta Bonometti (si veda nella tab. 1 l’albero genealogico della famiglia Pesenti). Alla vigilia della prima guerra mondiale, la Società Italiana dei cementi e delle calci idrauliche (come allora si chiamava) era arrivata a coprire il 15% del mercato italiano del cemento. Il secondo periodo attraversa gli anni travagliati tra prima guerra mondiale, dittatura fascista e seconda guerra mondiale. Furono anni difficili per l’economia e la società italiane, che riuscirono a reggere la guerra, ma non il dopoguerra: grandi agitazioni sociali, fallimenti bancari e industriali, congiunture politiche sfavorevoli finirono per spianare la strada all’ascesa di Mussolini. Quello che va ricordato sul ventennio di dittatura fascista è che esso non segnò, come una vecchia letteratura aveva accreditato, un periodo di stagnazione dell’economia italiana; la crescita economica in realtà continuò, particolarmente nel settore industriale, ma, attraversata dalla crisi del ’29, generò una reazione da parte del governo dittatoriale dell’epoca che andò nella iv Tab. 1. Albero genealogico della famiglia Pesenti Pietro (PierAntonio) PESENTI sposa Margherita Branzi Carlo Antonio Maria (1771) Maddalena Maria Antonia (1779) (1775) Laura Pietro (1816) Carlo (1817) Carlo Luigi Vincenzo (1782) sposa Maddalena Giovanetti Margherita Domenico Pietro (1852) (1853-1911) (1854-1920) Antonio (1880-1967) (1819) (1820-27) Severa Luigi (1857-1911) Gilia sposa Amalia Mioni Margherita Bartolomeo Gaetano Bice Orsola (1822-25) Cesare (1785) Carlo Antonio Lorenzo Martino (1826-68) (1825-25) sposa Elisabetta Bonometti Daniele (1860-1933) (1861-1911) Marietta Silvia AnnaLuisa (1903-39) Giampiero (1931…) (1865-1918) Camilla Elisabetta Carlo sposa Rosalia Radici Paola Laura (1963…) Fonte: elaborazioni da materiali contenuti in un manoscritto di C. Fumagalli, As Italcementi 5 (1866-67) Carlo (1907-84) sposa Franca Natta Giulia Silvio Aristide sposa Camilla Donadoni Mario Giuseppina Ettore Cesarita (1900-40) Augusto direzione di un forte intervento pubblico. Infatti le banche universali che vennero salvate, invece di essere lasciate in esistenza come in Germania, furono interamente riformate, con la nascita di due grandi enti pubblici, l’IMI nel 1931 e l’IRI nel 1933. A ciò fece seguito l’espansionismo coloniale e poi la fatale alleanza con Hitler. Per l’Italcementi, gli anni tra prima guerra e dopoguerra furono di tumultuosa crescita. Il presente volume inizia ripercorrendo il lungo processo di fusioni e di costruzione di nuovi impianti che fece balzare l’azienda al 40% del mercato nazionale nella seconda metà degli anni ’20, con ciò proiettandola a leader nazionale. A suggello e riconoscimento di questo balzo dimensionale, nel 1927 l’azienda, che aveva assunto vari nomi seguendo le fusioni che andava man mano realizzando, prese il nome che poi la renderà famosa, cioè quello di Italcementi. Il governo di questa crescita era stato affidato alle mani di Cesare, l’ultimo rappresentante della terza generazione dei Pesenti3, e ad un giovane rappresentante della quarta generazione: Antonio, figlio di Luigi. Fu Antonio a capire ben presto che, per sostenere la leadership acquisita, occorreva coprirsi le spalle giocando un ruolo di leader all’interno degli industriali del cemento, e non solo. Egli ricoprì dunque ininterrottamente per tutti gli anni ’20 e ’30 la carica di Presidente della Federazione Nazionale Produttori Cemento, istituzione da lui stesso promossa già fin dal 1918, e da quella posizione potè trattare col regime fascista gli interventi necessari a fronteggiare le difficoltà e i problemi che insorgevano, con un’investitura inattaccabile in quanto rappresentante di tutto il settore. Nemmeno le tragiche vicende belliche trovarono Antonio impreparato a far fronte alla situazione, e quando, come si vedrà nel cap. 2, nell’estate del 1944 si arrivò al commissariamento dell’Italcementi, fece in modo che questo commissariamento fosse a lui stesso affidato. Non ci fu così discontinuità o vuoto di potere e, a guerra finita, l’azienda poté essere consegnata nelle mani del cugino Carlo, che già vi aveva assunto delle responsabilità nella seconda metà degli anni ’30. Arriviamo così al terzo periodo, quello della grande espansione postbellica. E’ noto che nel corso del “miracolo economico” l’imprenditoria italiana fiorì, soprattutto nella media dimensione; tuttavia la presenza dello stato non diminuì, anzi tese addirittura ad allargarsi con la costituzione dell’Eni nel 1953 e dell’Enel nel 1963. La quarta generazione dei Pesenti, che aveva con Antonio realizzato la leadership nazionale ed il governo dell’azienda durante la dittatura, espresse con Carlo un’altra figura cruciale per lo sviluppo dell’azienda. La strategia messa in opera da Carlo fu duplice: da un lato il consolidamento tecnico e produttivo nel cemento, con una vasta operazione di accumulazione di conoscenze tecnologiche attraverso la costruzione di numerosi impianti ex-novo, che permisero all’azienda non solo di mantenere la sua leadership nazionale, ma anche di collocarsi sulla frontiera tecnologica e quindi di potersi proporre come venditrice di tecnologia. Dall’altro lato, Carlo perseguì la diversificazione, con l’acquisizione di aziende industriali, principalmente la Franco Tosi, con la quale iniziò la creazione di un gruppo, e con l’espansione nel settore finanziario - banche e assicurazioni (RAS) - ponendosi al centro di un vasto reticolo di relazioni societarie, che 3 Le prime due generazioni di Pesenti imprenditori si erano occupati di cartiere. La tradizione della carta non venne abbandonata dalla terza generazione, quella che si dedicò in prevalenza al cemento, con Daniele (1861-1911), che acquisì anche le cartiere Pigna attraverso la moglie che era della famiglia Pigna. Per non perdere questo cognome, il figlio Carillo assunse il cognome Pesenti Pigna. Si veda Fumagalli, op.cit. e G. Subbrero, “L’industria cartaria e poligrafica”, in Storia Economica e Sociale di Bergamo. Fra Ottocento e Novecento. Il decollo industriale, a cura di Vera Zamagni e Sergio Zaninelli, Bergamo, 1997. vi comprendevano Falk, Bastogi e Montedison, e dando all’Italcementi una posizione centrale all’interno del mondo imprenditoriale italiano. Il quarto e ultimo periodo tra gli anni ’70 e la fine del secolo è stato caratterizzato da instabilità e crisi. Questo è stato il periodo dell’affermazione dei distretti, indubbiamente una carta vincente per i destini dell’economia italiana; ma è anche stato il periodo dei gravi problemi di governo macroeconomico, con l’esplodere della conflittualità sindacale, dell’inflazione e del debito pubblico. In esso si è consolidato un ambiente sfavorevole alla grande impresa, che ha lasciato in eredità all’Italia un nanismo imprenditoriale e una frammentazione produttiva poco adatti ad affrontare le sfide del XXI secolo. L’Italcementi degli ultimi anni di Carlo fu travagliata dai contraccolpi dell’instabilità, particolarmente a causa dell’inflazione, ma nel 1984 si affermò la nuova leadership di Giampiero, della quinta generazione dei Pesenti. Come era già riuscito ad Antonio, anche Giampiero agì in controtendenza rispetto al trend dell’economia italiana, prima ricostituendo condizioni interne ed esterne che garantissero la solidità all’azienda e la sua liquidità, e poi intraprendendo quel balzo dimensionale, stavolta a livello internazionale, che ha immesso l’Italcementi nel circuito delle maggiori imprese mondiali attraverso l’acquisizione di Ciments Français. Non solo, dunque, Giampiero riuscì a consolidare la sua grande impresa a livello nazionale, quando la tendenza era invece verso la piccola dimensione, ma riuscì anche a creare una grande impresa europea, un obiettivo non facile da raggiungere. Altri imprenditori italiani hanno provato a costruire imprese europee, cercando di amalgamare culture e tradizioni diverse, ma a pochi è riuscito. Il presente volume si ferma proprio al 1992, con l’entrata dell’Italcementi nell’arena mondiale, lasciando gli anni successivi, ancora troppo vicini, ad uno storico del futuro. Mantenere una leadership per oltre sei decenni del travagliato XX secolo, attraversando la grande crisi del ’29, il regime fascista e la seconda guerra mondiale, la ricostruzione, il miracolo economico, i difficili anni settanta, il passaggio generazionale degli anni ottanta e l’internazionalizzazione non è cosa ovvia. Compito di questo volume è mostrare chi sono stati i protagonisti di questa avventura imprenditoriale, con quali strumenti tecnologici ed organizzativi sia stato possibile il successo dell’Italcementi, ma soprattutto quale sia stata l’origine dello spirito di gruppo che ha motivato l’orgoglio che i dipendenti dell’Italcementi hanno sempre mostrato nel voler utilizzare il meglio delle proprie competenze per l’azienda. L’Italcementi appartiene al novero di quelle poche imprese italiane che hanno saputo ingrandirsi ed internazionalizzarsi senza perdere le proprie radici, né ambientali né familiari, per merito di una inusuale (per l’ Italia) capacità di governare la crescita. Ci sono due aspetti di questa capacità di governo che emergono dalle pagine del volume e che ritengo utile qui enucleare. Il primo aspetto riguarda la dimensione. L’Italcementi non ha mai avuto paura della dimensione, nemmeno nei tempi duri in cui questo la mise a rischio di nazionalizzazione. Si è quotata in borsa già fin dal 1925, ma si è protetta dall’instabilità che ne poteva conseguire facendo affidamento su di un nucleo di azionisti “fedeli”. Ha compreso presto la validità della struttura di gruppo, per aumentare le sinergie e controllare il cambiamento tecnologico e dei mercati. Si è inserita nella finanza, con qualche rovescio, ma alla fine con innegabili benefici. La grande occasione dell’internazionalizzazione potè essere colta, certamente perché era stata cercata, ma anche perché c’erano tutte le premesse per poterla realizzare. Il secondo aspetto riguarda le caratteristiche della sua struttura manageriale. Una grande impresa non può che essere un’impresa manageriale, anche se al vertice ci sono membri di una famiglia. Scorrendo gli organigrammi dell’Italcementi (si veda il vii cap. 8) sono due le dimensioni della dirigenza che si stagliano in modo assolutamente evidente: la predominanza fra i dirigenti degli ingegneri e la durata del rapporto dei dirigenti con l’azienda. Se c’è un’area di eccellenza nell’imprenditoria lombarda, questa va sicuramente rinvenuta nella grande tradizione del Politecnico milanese, che non solo ha preparato generazioni di tecnici all’avanguardia, ma, molto prima dell’introduzione di ingegneria gestionale, ha praticato un forte legame fra teoria e pratica. Ebbene, l’Italcementi ha interpretato al meglio questa tradizione, contribuendo, fin dagli anni 1920, ad approfondirla e ravvivarla attraverso donazioni mirate agli sviluppi degli studi sul cemento ed investendo di questa tradizione gli stessi membri della famiglia al vertice dell’azienda. L’Italcementi è stata inoltre un’azienda che, molto prima della fidelizzazione del cliente, ha perseguito la fidelizzazione dei dirigenti. Alcuni di questi hanno trascorso in azienda anche più di 40 anni. Questo modello dell’azienda come famiglia e dell’impiego a vita, che produce identificazione e forti legami di fiducia, è oggi noto particolarmente nella sua versione giapponese. Ma in Italcementi derivava da un humus di coesione sociale fondato sulla condivisione di valori comuni e sulla disposizione alla collaborazione reciprocante. La distanza fra questo modello e i rapporti “mordi e fuggi” che sembrano caratterizzare il mercato del lavoro attuale è grande. Si parla oggi tanto di Responsabilità Sociale dell’Impresa (RSI), ma questo avviene perché l’allentamento dei rapporti dell’impresa col territorio è diventato insostenibile e per molti versi inaccettabile. Sarà interessante per lo storico del futuro vedere come un’impresa con il DNA dell’Italcementi, che contiene un forte senso di responsabilità verso il territorio d’origine, saprà amministrare l’internazionalizzazione alle cui soglie questa storia si arresta. Il volume è organizzato in due parti: nella prima che comprende quattro capitoli si segue il filo cronologico degli eventi dalla prima guerra mondiale ai primi anni ‘90, con particolare riguardo alla definizione degli “stili” imprenditoriali dei membri della famiglia Pesenti; nella seconda parte, che consta di sei capitoli, si tracciano approfondimenti per filoni tematici, esplorando le molteplici sfaccettature di una grande impresa come l’Italcementi: in primo luogo gli aspetti produttivi e tecnologici, con speciale riguardo agli impianti; quindi gli aspetti organizzativi e reddituali, in cui si dà conto dell’evoluzione degli organigrammi manageriali e dell’andamento della redditività dell’azienda; il capitolo finale traccia sinteticamente i rapporti tra impresa e società circostante, con particolare attenzione ai dipendenti. Un lavoro imponente come questo non avrebbe mai potuto essere portato a termine senza la collaborazione dell’azienda, che non solo lo ha voluto, ma ha accettato di aprire archivi e di rintracciare memorie. Poiché non è diffusa la sensibilità da parte delle aziende italiane né a mantenere i propri archivi né a permetterne una consultazione, desidero qui dare atto di questa disponibilità della famiglia Pesenti. Un ringraziamento collettivo va ai tanti dirigenti ed ex dirigenti dell’Italcementi che hanno ripercorso con me la loro carriera, mi hanno fornito materiali utili, hanno risposto alle mie domande e chiarito o rettificato alcuni passaggi del testo. Ho però un particolare debito di riconoscenza nei confronti di due di questi: il dott. Riccardo Malusardi, per avermi aperto con tanta cordialità i contatti con gli archivi e i dirigenti, e l’ing. Gaetano Briolini, senza la cui insostituibile expertise non mi sarebbe stato possibile entrare nelle pieghe dell’evoluzione degli impianti che l’Italcementi ha gestito. Al mio assistente di ricerca dott. Emanuele Felice va il merito di avere proceduto con intelligenza e solerzia alla schedatura del voluminoso materiale raccolto e alle prime elaborazioni dello stesso. Ricostruire questa storia è stata per me un’avventura intellettuale affascinante, per la novità del settore, che non avevo mai affrontato prima, e per le complessità viii organizzative di una grande impresa, che hanno richiesto un’articolazione dell’analisi a tutto campo. Ciò che mi ha facilitato il compito è stato l’avere sempre a disposizione un filo conduttore, offerto dalle strategie perseguite dalle forti personalità della famiglia Pesenti che hanno governato l’azienda nel XX secolo. Il lettore troverà in questo volume il profilo di una grande impresa capace di combinare la migliore tradizione italiana della famiglia imprenditoriale con i principi di una organizzazione manageriale avanzata, in un mix virtuoso che, quando si realizza, come in questo caso, dà ottimi risultati. Solo in una prospettiva comparativa sarà possibile formulare ipotesi sulle condizioni che rendono attuabile tale mix virtuoso. Vera Zamagni, Università di Bologna CAPITOLO I LA CONQUISTA DELLA LEADERSHIP NAZIONALE TRA LE DUE GUERRE 1.1. La creazione dell’Italcementi negli anni Venti L’industria italiana del cemento aveva dato prova di grande dinamismo nel primo quindicennio del secolo XX, a partire però da livelli di produzione ottocenteschi assai bassi: nel 1900 si producevano in Italia 200.000 t circa di cemento in tutto. I due poli produttivi principali si localizzavano nel bergamasco e nel casalese. Nel primo, dopo la fusione nel 1906 delle due imprese principali – la Società Italiana dei Cementi e delle Calci Idrauliche fondata da Giuseppe Piccinelli nel 1864 e la Fratelli Pesenti4 (1878) – si era formata una grande impresa che disponeva di capitali e di uomini capaci e dedicati. Attraverso un rinnovo degli impianti, la costruzione di nuovi stabilimenti (Cividale del Friuli, interamente progettato dall’Ufficio Tecnico della società, 1909), l’acquisizione di altre società (la Radici e Previtali nel 1911, lo stabilimento di Vittorio Veneto dei Croze, già gestito dal 1883 dall’Italiana Cementi, nel 1913), la Società Italiana dei Cementi e delle Calci Idrauliche. Società Riunite: Italiana- Fratelli Pesenti- Radici e Previtali – come allora si chiamava l’Italcementi – venne a coprire il 15% circa del mercato prebellico del cemento. Il suo Consiglio era formato da rappresentanti delle società incorporate; contava una quindicina di stabilimenti5, 4 La famiglia Pesenti alla prematura scomparsa del padre Carlo Antonio nel 1867 si era tenuta strettamente legata attraverso un istituto giuridico particolare, la Fraterna, secondo il quale il patrimonio restava comune. Tale istituto venne mantenuto in vita per ben 41 anni, fino al 1908, e servì a tenere unita l’attività dei sei maschi della famiglia, tre dei quali (Carlo, Cesare e Augusto) si dedicarono interamente al cemento. 5 Se ne veda l’elenco in G. Subbrero, “La grande avventura del cemento (1864-1964)”, in Storia Economica e Sociale di Bergamo. Fra Ottocento e Novecento. Il decollo industriale, a cura di Vera Zamagni e Sergio Zaninelli, Bergamo, 1997, p. 268. Italia, ma i tempi non erano ancora maturi. ix Nel decennio 1880 vi erano stati dei tentativi di espansione nel centro concentrati per la maggior parte in Lombardia, con qualche propaggine nel Veneto e un singolo impianto nel casalese, ad Ozzano Monferrato6. Con il grave conflitto bellico che seguì ci fu una stasi produttiva, ma la società bergamasca, sotto il saldo controllo di Antonio Pesenti7 già dal 1911, prese in mano le redini della situazione e preparò la costituzione di un Consorzio di vendita con i maggiori produttori dell’Alta Italia, consorzio che venne formalizzato il 7 gennaio 19158. La circostanza è doppiamente rilevante: da un lato perché la grande maggioranza dei nove partecipanti al consorzio finì con l’essere in seguito acquisita dai Pesenti e dall’altro lato perché le norme che disciplinavano il funzionamento dell’agenzia di vendita servirono da modello per successivi consorzi, di cui si parlerà nel par.1.2. Fra le società consorziate, la più importante era certamente la Società Anonima Fabbrica Calce e Cementi di Casale, proprio quella con cui erano fallite le trattative di accordo intavolate dal Piccinelli alcuni decenni prima. Questa società, oltre ai suoi impianti locali, aveva costruito uno stabilimento a Civitavecchia nel 1896 e un altro a Venezia nel 1902, che segnarono una tappa importante nella produzione del cemento in Italia, in quanto che vi vennero per la prima volta installati dei forni rotanti, di modello danese modificato9 su consiglio dell’ingegner Carlo Vigliani, dirigente della società casalese. Nel 1917 fu raggiunto l’accordo per la fusione fra la società bergamasca e quella casalese, accordo che fece nominare nella nuova compagine societaria, denominata Società italiana e Società Anonima Fabbriche Riunite Cemento e Calce10, consiglieri delle due società. Presidente fu nominato l’ingegner Cesare Pesenti, vicepresidenti l’ingegner Giusto Masino (ex presidente della società casalese) e l’ingegner Ausonio Caio, mentre Antonio Pesenti restava al suo posto come consigliere delegato e l’ingegner Carlo Vigliani diventava segretario del Consiglio. Nella tradizione dell’azienda, in Consiglio sedevano i rappresentanti dei rami di azienda incorporati, con particolare spazio per i casalesi, di cui si riconosceva l’eccellenza tecnica. La nuova società si allargava sul Nord Italia, ma aveva incominciato con lo stabilimento di Civitavecchia a mettere un piede anche nel centro Italia. A guerra terminata, Antonio e Cesare Pesenti, il primo come consigliere delegato, il secondo come presidente della società, proseguirono nell’incorporazione di stabilimenti ed aziende che non erano in grado di fronteggiare da sole i travagliati anni post-bellici. Nel 1919 vennero acquisiti il piccolo stabilimento di Nembro della ditta Rusca e Bonorandi e quello di Trento della Società Domenico Frizzera in liquidazione; nel 1920 in un colpo solo si incorporarono la Società Cementi Gnecchi (stabilimento di Olgiate Molgora), la Anonima Cementi Portland e Calci di Calusco d’Adda e la Fabbrica lombarda di Cementi Portland e calci idrauliche di Bergamo; sempre nel 1920 venne acquisita la Società Anonima Industria Cementi Portland e Calci Idrauliche in liquidazione (stabilimento di Gemonio e area su cui nel 1923 venne avviato il nuovo stabilimento di Tregnago, in Veneto); nel 1921 fu la volta dell’Anonima Giacinto 6 Questo impianto era stato costruito a seguito di un tentativo fallito di accordo con una delle principali aziende del casalese, la Società Anonima di Casale Monferrato nei primi anni del decennio 1880. , 7 Antonio Pesenti era della seconda generazione dei Pesenti cementieri (figlio di Luigi, che di cemento non si era mai occupato) ed soli che da amministratore della ditta dei Pesenti dopo la fusione del 1906 . Dallo zio Carlo era diventato consigliere delegato della Italiana Cementi , Antonio aveva imparato i principi di controllo dei conti della società, mentre di suo aveva sviluppato notevoli talenti relazionali e di governo imprenditoriale. dinamicità era entrato nella Società Fratelli Pesenti a 18 anni come segretario dello zio Carlo, 8 Tutti i dettagli della vicenda si trovano in C. Fumagalli, La Italcementi. Origini e vicende storiche, 9 Il forno rotante originariamente fornito dall metri, con ottimi risultati. a società cit. Smidth aveva una lunghezza di circa 20 metri; venne portato per lo stabilimento di Civitavecchia a 46 10 Con sede a Milano, mantenuta solo dal 22 agosto 1917 al 29 marzo 1920. x Guffanti (cementeria di Albino). Nel verbale della riunione del 2 febbraio 1921 del Comitato Esecutivo, il consigliere delegato Antonio Pesenti riferì che l’avvocato Riccardo Gualino aveva proposto alla Italiana Cementi l’acquisto dell’Unione Italiana Cementi. Dopo lunga discussione, il Comitato concluse che “non si possa nel momento attuale assumere la gestione di una azienda come l’Unione Italiana Cementi, perché i molti lavori che abbiamo in corso assorbono la completa attività dei dirigenti”11. Evidentemente, si ritenne l’acquisizione pregiudizievole degli equilibri finanziari e di governo dell’azienda bergamasca, che procedeva sempre con oculatezza nei suoi progetti di espansione, ma l’episodio è significativo della “corsa” delle aziende ad aggregarsi alla Italiana Cementi. Gli accordi con società minori invece continuarono: nel 1922 venne acquisito lo stabilimento di Lisso a Sedrina in Val Brembana della Società Industria Ceramica Nazionale dei conti Piccinelli di Scanzo, diretto dall’ingegner Cesare Catani che aveva maturato interessanti esperienze con le mansioni ricoperte presso la cementeria di Salona, nei dintorni di Spalato in Dalmazia; nel 1923 lo stabilimento di Oneglia, della SA Industria Cementi Portland; nel 1924 lo stabilimento di Gorlago della Società Cementi Gorlago e quello di Rapallo della Società Giovanni Rusca, che produceva calce. Tutti gli impianti venivano affidati alle cure del Presidente ingegner Cesare e dei suoi collaboratori, che li ammodernavano quando ciò era conveniente o li chiudevano, quando si rivelava impossibile una gestione efficiente. Se queste operazioni consolidavano ulteriormente la società nell’Alta Italia, chiaro era ormai il programma di non restarvi confinati. La prima mossa in questa direzione fu l’acquisto nel 1919 dalla ditta Giovanni Falorni di una piccola fabbrica ad Incisa Valdarno, che venne rimodernata e fu la prima in Toscana. Lo sbarco in Sicilia avvenne in provincia di Messina (nel comune di Bauso, oggi Villafranca Tirrena) con un accordo raggiunto a guerra ancora in corso con l’Unione Edilizia Nazionale12 per la costruzione di una nuova cementeria, che a causa di vari intoppi venne avviata solo nel 1924, con un forno rotante. L’analogo sbarco in Sardegna fu realizzato con l’acquisizione nel 1925 di una cementeria costruita dalla SA Industria Cementi Portland a Cagliari nel 1921, tecnicamente valida, ma mal condotta dal punto di vista organizzativo. Seguì nel 1927 l’acquisizione della cementeria di Salerno, già in amministrazione della Italiana Cementi dal 192313, e l’assunzione in gestione della fabbrica di cemento d’alto forno di Piombino14. Un altro grosso risultato venne raggiunto con l’affare dell’Adriaportland. La Società Anonima Cementi Portland dell’Adriatico, comunemente nota come Adriaportland, fu fondata nel 1902, con altro nome, da un gruppo di imprenditori bergamaschi assieme alla ditta Stock di Spalato per la costruzione a Salona (vicino a 11 A rchivio storico Italcementi, Verbali del Comitato Esecutivo, riunione del 2 febbraio 1921. Nella riunione del 29 maggio 1928 ritorna la questione dell’Unione Italiana Cementi in vendita. Stavolta il presidente Cesare Pesenti dichiara che l’Unione è un’azienda male organizzata, con stabilimenti che lavorano materia prima cara e propone di limitarsi ad un accordo commerciale. Dopo ampia discussione, in cui si registrano anche voci dissenzienti, si decide di seguire la linea raccomandata dal presidente. As Italcementi, Verbali del Comitato 12 Ente parastatale che doveva curare la ricostruzione di Messina Esecutivo, riunione del 29 maggio 1928. dopo il terremoto. 13 In realtà, già nel 1918 si era aperta una trattativa per l’acquisizione della cementeria di Salerno, trattativa naufragata “per l’ostilità preconcetta fra Nord e Sud. Noi eravamo spinti a rilevare l’officina di Salerno non da antagonismi regionali, ma da necessità di creare nella zona di Napoli un nuovo stabilimento”. As Italcementi, Verbali del Comitato Esecutivo, riunione del 21 settembre 1918, relazione di Luigi Radici. Gli acquisti di azioni però continuarono, finchè venne raggiunta la maggioranza nel 1923. 14 L’Italcementi la gestiva in compartecipazione con la Società Industria del Cemento di Casale, di cui aveva acquisito metà delle azioni nel 1927. Cfr. As Italcementi, Verbali del Consiglio di Amministrazione, v. 18, riunione del 25 giugno 1927, p.22. L’ILVA era entrata in trattative per cedere in gestione anche le fabbriche di Portoferraio e Bagnoli, ma l’accordo non venne concluso. xi Spalato) di una grossa cementeria, effettivamente aperta nel 1906. Nel medesimo anno venne acquisito uno stabilimento a Senigallia, poi ingrandito. In seguito, per porre rimedio alla concorrenza di altri stabilimenti sorti sulla costa dalmata, l’Adriaportland ritenne di consolidarsi diversificandosi; nel 1919 acquistò dall’Unione Italiana Cementi le officine di S.Giovanni a Teduccio, Bari e Torre del Greco che cuocevano marna proveniente da Spalato; decise poi di costruire una nuova cementeria a Trebisacce (Calabria). Le scelte non furono sempre felici e non produssero i risultati attesi; così l’Adriaportland, non trovandosi in buone acque, concluse già nel 1924 con la Italiana Ditta Tab. 1.1. Principali ditte produttrici di cemento in Italia nel 1927-28 Sede legale n. stab. 33 Italcementi Bergamo Milanese e Azzi Casale Monferrato Torino 3 Casale Monferrato Genova 3 SA Unione Italiana Cementi Marchino & C SA Cementerie Litoranee 3 2 stabilimenti Alzano, Riva di Solto, Pilzone, Palazzolo sull’Oglio, Comenduno, Villa d’Almè, Vittorio Veneto, Cividale del Friuli, Ozzano Monferrato, Casale Monferrato, Piombino (in gestione), Civitavecchia, Trento, Incisa Val d’Arno, Albino, Calusco d’Adda, Bergamo, Olgiate Molgora, Gemonio, Nembro, Lisso di Sedrina, Villafranca Tirrena, Tregnago, Oneglia, Salerno, Cagliari, Gorlago, Rapallo, Senigallia, S. Giovanni a Teduccio, Bari, Trebisacce, Spalato Casale Monferrato, Ozzano Monferrato, Borgotaro Ozzano Monferrato, Morano Po, Casale Monferrato Casale Monferrato, Ghiare di Berceto, Prato Portoferraio, Bagnoli Fonte: Federazione Nazionale Fascista dell’Industria del Cemento, Calce e Gesso, Monografia sulle industrie italiane del cemento, della calce e del gesso, dattiloscritto s.d. (ma fine 1927) in As Italcementi, Federazione, f. 9. Cementi un accordo di vendita, che si perfezionò nel 1928: tutti i suoi stabilimenti venivano direttamente ceduti, tranne quello di Salona, che restava l’unico in carico all’Adriaportland la quale diventava una consociata. Dopo questa vera e propria corsa alle acquisizioni, fedelmente riportata nei documenti ufficiali dell’azienda e descritta nella parte finale del volume del Fumagalli, l’originaria azienda di Bergamo aveva ormai raggiunto una dimensione nazionale; da ricordare che già alla fine del 1924 era stato deliberata la quotazione in borsa, avvenuta poi all’inizio del 192515. Per suggellare questo risultato, a ragion veduta l’assemblea straordinaria dei soci del 24 marzo 1927 decise di tramutarne il nome troppo lungo e farraginoso in Italcementi. Fabbriche Riunite di Cemento – Bergamo. La distanza dell’Italcementi dalle altre imprese del settore viene evidenziata senza ombra di dubbio 15 Verbale del Consiglio di Amministrazione, riunione del 24 novembre 1924. Precedentemente era stato costituito un sindacato al quale aveva aderito la grande maggioranza degli azionisti (Verbale del Consiglio di Amministrazione, riunione del 20 settembre 1924). xii dai dati riportati nella tab. 1.1. Tra le 104 ditte produttrici di cemento esistenti all’epoca con 148 stabilimenti e 20.000 operai circa, solo 5 risultavano possedere più di uno stabilimento, ma l’Italcementi da sola ne contava ben 33, con 451 forni, 6000 operai e 350 impiegati. Nel 1928 la produzione totale di cemento in Italia era pari a circa 3 milioni di tonnellate16 e la quota detenuta dall’Italcementi si attestava al 40%17, come si può vedere nella tab. 1.2. Anche la composizione del suo Consiglio di Amministrazione, che è riportato nella tab. 1.3, dà l’idea della dimensione e dell’importanza raggiunta dall’azienda. L’Italcementi perseguì sulla strada del progresso tecnico orientando la ricerca in due direzioni: nuovi prodotti e nuovi processi. L’azienda cercò di sviluppare rapporti di collaborazione con laboratori esteri di ricerca scientifica e con le grandi industrie straniere, per acquisire nuovi sistemi di lavorazione e miglioramenti qualitativi della produzione. Le ricerche applicate all’impiego dei leganti furono indirizzate all’approfondimento delle problematiche inerenti i cementi per dighe (cementi ferricopozzolanici), i calcestruzzi stradali, i cementi per pozzi petroliferi, i cementi per applicazioni architettoniche (cementi bianchi), che assumevano le caratteristiche di prodotti speciali destinati ad impieghi specifici. Di particolare rilevanza fu la creazione di un cemento speciale brevettato, il Cemento Granito, attraverso il quale la società raggiunse eccellenti risultati che costituirono un vanto nazionale, per aver superato tutte le altre nazioni nel perfezionamento dell’industria del cemento. Il Cemento Granito fu utilizzato dai maggiori costruttori per applicazioni in arditi lavori, quali condotte per impianti elettrici, acquedotti e autostrade. Anche in campo commerciale, l’azienda si diede un’organizzazione di avanguardia. Vicinanza alla clientela, assistenza e consulenza tecnica, controllo e costanza della qualità, logistica, anticipazione della domanda, furono i concetti chiave – del tutto avveniristici per quei tempi – per il successo della politica commerciale di Italcementi. L’organizzazione di vendita fu sviluppata secondo un modello che vedeva la piena integrazione tra funzionari tecnici e commerciali. In tal modo l’offerta commerciale vide un costante allargamento e miglioramento della gamma di prodotti e servizi. Furono, per esempio, sperimentate tecniche di trasporto meccanizzato ed installazioni per la consegna di cemento sfuso, che incontrarono ampio favore dal mercato. Non ultima la rivoluzione logistica, dovuta all’avvento del trasporto ferroviario, che consentì una presenza capillare anche nelle zone più periferiche. Contemporaneamente all’espansione aziendale, Antonio Pesenti si curò di assicurare all’industria del cemento una rappresentanza istituzionale e fondò alla fine del 1918 la Federazione Nazionale Produttori Cemento, di cui divenne presidente. Questa Federazione, con sede a Roma e aderente alla Confindustria, si adoperò attivamente per tutelare gli interessi degli industriali del cemento. Il primo intervento fu rivolto alle Ferrovie dello Stato perché tenessero basse le tariffe merci; molto più intenso e vibrato fu tra 1921 e 1924 l’intervento presso il governo perché non abolisse il 16 L’Italia in un confronto internazionale si collocava in Europa alle spalle della Germania, che contava una produzione quasi tripla, di Francia e Gran Bretagna, con una produzione doppia, e alla pari del Belgio. Si veda Istituto Nazionale per l’Esportazione, Produzione e commercio mondiale del cemento, opuscolo stampato s.d. (ma 1928), in As Italcementi, Federazione, f. 9. 17 Questa stima viene confermata da varie fonti, fra cui il verbale n. 37 della riunione della Federazione Nazionale Fascista dell’industria del cemento, calce e gesso, che alla p. 4 parla dell’adesione dell’Italcementi “che da sola rappresenta circa il 40% della produzione”. As Italcementi, Federazione, f. 7-8. xiii dazio sull’importazione del cemento, particolarmente nei confronti della Jugoslavia18. A questo proposito, i documenti della Federazione esibivano calcoli catastrofici, in base ai quali l’abolizione del dazio avrebbe fatto cadere la produzione di 2/3, con danno non solo per gli industriali, ma anche per i lavoratori licenziati e per lo stato che non avrebbe Tab. 1.2. Confronto fra produzione nazionale di cemento e produzione Italcementi 1913-1940 (000t) Produzione Produzione Italcementi Quota nazionale ITC di Cemento, calci Cemento di cemento cemento ed altri prodotti 1913 1360 375 190 14 1920 1050 370 200 19 1921 1300 235 18 1922 1500 660 260 17 1923 1800 850 450 25 1924 2260 1100 707 31 1925 2785 1350 870 31 1926 2833 1355 890 31 1927 2787 1430 1080 39 1928 3077 1550 1240 40 1929 3497 1490 1160 33 1930 3426 1510 1240 36 1931 3018 1387 1170 39 1932 3125 1345 1150 37 1933 3534 1530 1370 39 1934 4092 1835 1660 41 1935 4196 1800 1643 39 1936 3859 1512 39 1937 4258 1648 39 1938 4608 1732 38 1939 5024 1952 39 1940 4500 2145 1757 39 Fonti e Note: Per i dati relativi alla produzione nazionale, la fonte è AITEC. Le informazioni statistiche relative al gruppo Italcementi sono state elaborate a partire dai dati sulle vendite totali (che includevano cemento e altri leganti) e sulle vendite di cemento; queste ultime sono state infatti assimilate alla produzione in quanto le differenze sono state ritenute minime. Le vendite del gruppo sono state interpolate manualmente sulla base delle Relazioni del CdA che davano gli incrementi/decrementi rispetto all’anno precedente. Per il 1914 e 1924 la relazione del 1924 offre i valori totali delle vendite e la possibilità di scindere i totali in cemento e altri leganti, mentre la relazione del 1934 offre gli indici in base 1928=100 delle vendite di cemento 1929-1934. Infine, il documento Vendite delle Officine Italcementi nel 1935-36-37, in As Italcementi, Miscellanea, offre dati dettagliati sulle vendite negli anni citati. Si noti che nel 1939-40 è stata inclusa anche una stima della produzione delle nuove società acquisite, ma restano escluse le società non controllate, con gli stabilimenti di Livorno e del Corsalone, anche se l’impianto di Livorno veniva gestito da Italcementi. più incassato non solo i dazi, ma nemmeno le imposte sulla produzione19. Attraverso la Federazione, Antonio Pesenti provvedeva anche a rettificare opinioni disinformate sullo stato dell’industria nazionale del cemento e a rintuzzare attacchi contro la predominanza dell’Italcementi. 18 As Italcementi, Federazione, f. 1-2. In Dalmazia erano sorte oltre allo stabilimento dell’Adriaportland, poi acquisito dall’Italcementi, altre cementerie, di cui le quattro principali avevano capitale per la maggior parte straniero. 19 As Italcementi, Federazione, f. 3-4. Il dazio non venne abolito. xiv Vale la pena di ricordare uno di questi attacchi, apparso nel fascicolo di gennaio 1923 della rivista La Società per Azioni dal titolo “Le società per l’industria dei cementi in Italia”. L’articolo, non firmato, riportava le opinioni di Edoardo Giretti, noto economista liberista, che scriveva a favore dell’abolizione del dazio sul cemento, come di altri dazi. Per sostanziare il suo appoggio all’abolizione del dazio sul cemento, Giretti sosteneva che l’Italiana Cementi di Bergamo, in alleanza con l’Unione Italiana Cementi di Torino, controllava i ¾ della produzione italiana di cemento, traendone lauti guadagni. Già l’articolista notava che i bilanci dell’Unione Cementi di Torino non erano in realtà affatto floridi, ma si affrettava a dire che di ciò era responsabile non la scarsa redditività dell’industria, bensì la conduzione finanziaria della Unione Cementi che, essendo collegata alla SNIA di Gualino, era sottoposta alle esigenze di questa grandiosa società. Degna di nota è la risposta preparata da Antonio Pesenti. In essa si nega, correttamente, che vi fosse un’alleanza tra l’Italiana Cementi e l’Unione di Gualino20, si puntualizza tutta una serie di errate informazioni, compresa la grossolana sopravvalutazione delle quote produttive delle due aziende, e si conclude con un passaggio sintomatico della filosofia aziendale dei Pesenti, che riporto integralmente: “Quando un’industria deve vivere e sopravvivere in condizioni di crisi come l’attuale, il parlare di “lauti guadagni”, di “regali d’azioni”, di “pochi fortunati capitalisti” è per lo meno un anacronismo. E se l’Onor. Giretti ha voluto con ciò riferirsi alle Fabbriche Riunite, ebbene ricordi che esse hanno al proprio attivo più di un sessantennio di consolidamento conseguito attraverso sane iniziative e salutari astinenze; che hanno la rara fortuna di essere state sempre dirette ed amministrate da persone nate nell’industria, che hanno fatto sempre e soltanto “l’industriale”. E questo forma naturalmente la soddisfazione di numerosi azionisti delle fabbriche Riunite e dovrebbe costituire un vanto per l’economia nazionale, la quale per risorgere ha bisogno di aziende sane e soprattutto di uomini capaci di governarle. Ma quando noi Italiani finiremo di calpestarci da noi stessi?”21 In Federazione si parlava ovviamente molto di questioni sindacali, come si evince dal verbale n. 29 della riunione del 27 ottobre 1925, dove si prendeva atto del patto sindacale siglato dalla Confindustria il 2 ottobre 1925, che sanciva il riconoscimento della Confederazione delle Corporazioni Fasciste come l’unico organo rappresentativo delle classi operaie, denunciando però “le intemperanze giovanili delle Organizzazioni fasciste, specialmente alla periferia, [che] creano spesse volte inconvenienti, che tutti conosciamo”. Nel corso della riunione, emerge una notazione assai significativa, ossia che l’Unione Cementi di Torino era sempre assente alle riunioni della Federazione, con grave nocumento per le decisioni da prendere in area casalese. Antonio Pesenti afferma che aveva più volte insistito con il cavalier Tancredi Gurgo Salice perché recedesse dalla sua posizione, offrendogli anche la presidenza della Federazione, ma senza risultati22. 20 Abbiamo visto sopra che l’Italiana Cementi rifiutò a Gualino l’acquisizione dell’azienda. 21 As Italcementi, Federazione, f. 1-2. 22 As Italcementi, Federazione, f. 3-4. Non doveva certo essere estranea all’assenza dell’Unione Cementi una certa tensione con l’Italcementi, che più volte si era rifiutata di entrare in accordi con la società torinese. xv La Federazione curava anche gli aspetti tecnici, relativi al combustibile, ai requisiti di resistenza23, alle prove di laboratorio (avanzò la proposta di un Laboratorio federale per la prova dei cementi), ai prezzi (soprattutto nel delicato passaggio deflazionistico del 192724); si faceva carico di indagini sullo stato dell’industria e anche di proposte per contenere i costi (problemi di saccheria) e per diffondere l’uso del cemento (proposta di costituzione di un Istituto di propaganda per l’impiego del cemento). Nel decennale di fondazione, il suo presidente Antonio Pesenti presentò il 28 aprile 1928 un bilancio delle attività della Federazione assai lusinghiero, anche se nessuna delle proposte qualificanti avanzate (laboratorio e istituto di propaganda) risultava ancora realizzata. In realtà, il laboratorio non venne mai aperto e l’Italcementi pensò allora di rafforzare il suo, mentre l’istituto trovò una sua prima realizzazione nel 1929. Per ambedue, si rinvia alla trattazione dettagliata del cap. 6. La Federazione divenne infine anche il luogo deputato alla promozione di “accordi commerciali”, altrimenti detti consorzi o cartelli, un tema di vasta portata per il periodo storico che stiamo trattando e che necessita di una trattazione approfondita. 1.2. Quota 90, grande crisi e consorzi Dopo l’espansione dell’economia italiana nei primi anni successivi all’ascesa al potere di Mussolini, si registrò una battuta d’arresto in concomitanza con la decisione di rientrare nel gold standard presa nel corso del 1926 ed annunziata nell’agosto di tale anno da Mussolini con una fissazione del cambio della lira nei confronti di dollaro e sterlina che sopravvalutava decisamente la moneta italiana. Si tratta della manovra conosciuta nella letteratura storica come “quota 90”25, con riferimento, appunto, al cambio fra lira e sterlina (90 lire per £, quando le quotazioni correnti della £ superavano le 150 lire). Come è noto, gli effetti della sopravvalutazione di una moneta sono una caduta delle esportazioni, con conseguente crisi economica che, se accompagnata anche da sforzi di abbattimento dei prezzi interni per riallinearli a quelli esterni in modo da annullare la sopravvalutazione del cambio, costringe gli industriali a forti ristrutturazioni del processo produttivo per contenere i costi. Anche nel settore cementiero si registrò nel 1927 una contrazione delle vendite26, un calo dei prezzi, un appesantimento dei debiti dovuto alla rivalutazione della moneta, in presenza di forti difficoltà del sistema bancario ad allargare il credito, quando era ancora convalescente dai disastri postbellici e veniva anch’esso riorganizzato dalla nuova legge bancaria del 1926. E’ in questo contesto di sovrapproduzione, aggravata dall’avviamento di nuove fabbriche progettate quando la 23 Si addivenne al decreto 4 settembre 1927, n. 1981, che superava quello del 1907 (dove si prevedeva un tipo unico di cemento con resistenza minima a 28 giorni di 220 kg/cmq), classificando i cementi in due qualità e fissandone i requisiti chimico-fisici e meccanici (resistenza minima a compressione a 28 giorni di 400kg/cmq per la prima qualità e 250 kg/cmq per la seconda). 24 In un documento inviato ad Antonio Pesenti dal segretario della Federazione Conte Piero Fogaccia il 2 febbraio 1928 si dice che l’Italcementi “modera i prezzi in tutta Italia”. As Italcementi, Federazione, f. 11. 25 Si veda la trattazione sistematica di questa vicenda nel cap. VIII del volume di V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dell’Italia, Bologna, Il Mulino, 1993. 26 In una relazione sull’andamento dell’industria dei cementi nell’anno 1927, preparata dalla Federazione nel gennaio 1928 si parla di un “minore consumo nel 1927, in confronto al 1926, di circa il 15% sulla media della produzione italiana” (p.1). Ma “i prezzi del cemento sono scesi di circa il 50%” (p.5). As Italcementi, Federazione, f. 7-8. xvi fame di cemento era grande, che si levarono voci a favore della formazione di consorzi volontari. Nel corso del 1927 era stata nominata presso la Federazione una apposita commissione per studiare le possibili combinazioni per la creazione di consorzi, mentre l’Italcementi aveva inviato (30 settembre-12 ottobre 1927) il suo ispettore amministrativo, il ragionier Lorenzo Zaccarelli, in Germania, patria dei cartelli, dove funzionavano quattro consorzi, che coprivano il 95% della produzione di cemento27. Zaccarelli produsse una dettagliata relazione, dove spiegava che il cartello era organizzato come società anonima per la vendita di cemento, con le carature divise in base all’importanza delle società partecipanti, il prezzo era unico per tutta la Germania (con differenze determinate solo dai costi di trasporto) e le quote di produzione, stabilite di anno in anno, venivano monitorate e compensate mensilmente. Naturalmente, il cartello non si occupava né delle modalità tecniche né di quelle amministrative della produzione, che restavano in capo alle singole aziende28. Il modello di consorzio raccomandato in data 7 novembre 1927 dalla Commissione per lo studio del contratto tipo della Federazione era quello di un Ufficio vendite totalitario29, che ricordava l’Agenzia generale di vendita sorta durante la I guerra mondiale, anch’essa modellata sull’esperienza tedesca; fu ben presto chiaro, tuttavia, che non si riusciva a raggiungere un simile obiettivo e si doveva procedere alla costruzione di accordi per zone. Mentre si tessevano tali accordi, l’economia italiana aveva avuto una breve ripresa, ben presto rovesciata dagli effetti della grande crisi che si abbatterono anche sull’Italia a partire dalla fine del 1929 e che perdurarono fino almeno al 1933. Per reagire a tale crisi, la disciplina dei consorzi si diffuse in molti settori. Nel caso del cemento, produzione e vendite diminuirono, tutto sommato, abbastanza marginalmente, come si vedrà meglio nel cap. 9, ma i problemi principali da affrontare furono legati all’eccesso di capacità produttiva venutasi a creare a seguito dei programmi di espansione impostati negli anni precedenti e alla forte caduta dei prezzi (tra 1929 e 1933 i prezzi del cemento dimezzarono). I consorzi, dunque, dovevano essere utilizzati anche per disciplinare la chiusura degli impianti obsoleti. All’Italcementi stavano particolarmente a cuore, perché era l’azienda che soffriva maggiormente della concorrenza di prezzo, come si può vedere dalla perdita di quote di mercato dopo il 1928 evidenziata dalla tab. 1.2. Il primo consorzio ad essere costituito fu il Consorzio Tirreno Produttori Cemento (2 gennaio 1929), con sede a Roma e giurisdizione sulle province di La Spezia, Toscana, Umbria, Lazio, prov. dell’Aquila, Campania, prov. di Potenza, Calabria, Sicilia, Sardegna, altre isole minori. Direttore venne nominato l’ingegner Bruschetti dell’Italcementi. I cinque partecipanti originari, riportati nella tab. 1.4, gestivano 11 fabbriche, che coprivano poco meno della metà (47%) della produzione destinata a 27 Si trattava del Norddeutscher Zement Verband, del Westdeutscher Zement Verband, del Suddeutscher Zement Verband e dell’Hutten Zement Verband (che vendeva solo cemento di loppa). 28 La relazione di Zaccarelli si lanciava anche in una giustificazione del cartello del seguente tenore: “In linea generale, il pubblico crede che la costituzione e la formazione di “cartelli di vendita” (Sindacati – Trust – Consorzi – etc) vadano a tutto favore degli Industriali e a detrimento degli interessi dei consumatori; inoltre che i piccoli industriali del prodotto “cartellato” siano sacrificati ai maggiori; da ultimo che la libertà di ognuno sia inceppata e ne soffra lo sviluppo ed il progredire tecnico dell’Industria. Tutti questi non sono che pregiudizi; quanto avviene nei Paesi industrialmente più progrediti sta a dimostrare precisamente il contrario…taluni dei progressi più importanti mai sarebbero stati affrontati e risolti in regime di acerba concorrenza, ma soltanto furono vinti dall’insieme delle forze di tutti i singoli, tese verso un unico scopo”. As Italcementi, Accordi commerciali e mercati regionali, f. 1, 1928, p. 1. Sui consorzi e in generale sui rapporti tra industriali e fascismo, si veda G. Gualerni, Industria e fascismo, Milano, Vita e Pensiero, 1976. 29 L’Industria lombarda, Milano, 5 luglio 1930. xvii quella zona. Nel 1932-33 si aggiunsero altre sei società, portando la quota al 57%; nel 1934 se ne aggiunsero altre dieci, che fecero arrivare il consorzio al 78%; fra 1935 e 37 altre cinque società, così che il consorzio (ora denominato Cementirreno) raggiunse l’88% di copertura (solo 9 piccoli produttori ne restavano estranei). Al 28 febbraio 1937, la ripartizione delle quote vedeva Italcementi in testa, con il 32,2%, seguita dall’Unione Marchino, con l’11,6, dalla Calci e Cementi di Segni, con il 10,9, dall’ILVA con il 9,7, dall’Italia, con il 6,5, dalla Cementeria di Livorno, con il 4,2, dalla Terni con il 3,3 e dalla Calci e Cementi Monsavano con il 3,2. Tutti gli altri partecipanti stavano sotto al 3%. Anche questo consorzio, che fu uno di quelli che meglio funzionarono, ebbe difficoltà a raggruppare i produttori minori e a realizzare accordi con società che erano localizzate fuori dall’area del consorzio, ma usavano mandarvi parte della loro ILVA Italcementi Ditta Cementi Segni F.lli Cerrano SA Cementeria Italiana Tab. 1.4 Partecipanti al Consorzio Tirreno Stabilimenti Portoferraio, Bagnoli Civitavecchia, Cagliari, Salerno, Villafranca Tirrena, S. Giovanni a Teduccio, Piombino* Colleferro Santa Marinella Livorno Fonte: As Italcementi, Relazioni attività consorzi per il Ministero delle Corporazioni, Consorzio Tirreno, s.d. (ma seconda metà del 1937) Note: * si trattava di una fabbrica di cemento d’alto forno (loppa), che l’Italcementi gestiva dopo averla acquistata nel 1927 a metà con la Società Industria del Cemento di Casale produzione30. Un fattore destabilizzante era poi dato dalla Società Italia Cementi Portland Artificiali, con il suo stabilimento di Genova. Tale società, progettata nel 1924, dopo alterne vicende e l’intervento di capitali svizzeri (la società venne costituita a Zurigo nel gennaio 1926, con il coinvolgimento della Allgemeine Finanz Gesellschaft) costruì con grande dispendio di danari31 uno stabilimento, raddoppiato in corso d’opera per abbattere i costi e avviato nel 1928 (potenzialità 150.000 t). Per assicurarsi un mercato, il grosso (per l’epoca) stabilimento di Genova faceva concorrenza a prezzi sottocosto non solo ai cementifici dell’Italia Settentrionale, ma anche a quelli raggruppati nel consorzio Tirreno, di cui inizialmente non faceva parte. Poiché questo comportamento non mancava di generare bilanci gravemente passivi32, 30 Si veda in As Italcementi tutto il materiale relativo ai tentativi di accordo con i produttori toscani estremamente frammentati, che generavano una sovrapproduzione difficile da controllare. 31 In una lettera di Antonio Pesenti a Paride Formentini del 6 dicembre 1931 si legge: “ Secondo il mio modo di vedere, i signori Svizzeri devono convincersi che, qualunque abbiano ad essere le circostanze avvenire – e purtroppo saranno più numerose quelle sfavorevoli – lo Stabilimento di Genova, nato in un momento di inflazione e con criteri sproporzionati alle reali possibilità di sfruttamento, non potrà mai rendere loro in relazione al denaro speso”. Nella memoria allegata, si parla di 40-45 milioni di lire di investimento, che a valori correnti dovrebbero essere dimezzati. Si dice anche: “L’Officina di Genova era sorta sotto buoni auspici ed avrebbe potuto prosperare se non fosse capitata la crisi gravissima e qualora non avesse raddoppiato la potenzialità di produzione. Questo aumento – fatto certamente per avere una riduzione nei costi – è stato un errore grave perché ha obbligato l’Italia ad espandere la propria zona d’azione commerciale in località influenzate da altre fabbriche con ricavi quindi non certamente redditizi”. As Italcementi, Miscellanea. 32 Nella Relazione del Consiglio di Amministrazione all’assemblea generale straordinaria dell’Italcementi dell’11 settembre 1933 si scrive: “Protrattasi per circa un quadriennio ed inaspritasi negli ultimi tempi, questa lotta se ha portato a noi il danno di minori ricavi, ha però colpito ancor più fortemente chi l’ha provocata, tanto che la Società xviii veniva interpretato come il segnale di una situazione instabile, se non addirittura di un disegno di farsi assorbire. Non ci poteva essere che l’Italcementi, che già dominava il consorzio Tirreno, a prendere in considerazione l’opportunità di una acquisizione. Alla metà del 1933, nel corso delle trattative per il rinnovo del consorzio Tirreno, infatti, Antonio Pesenti fece un’offerta per l’“Italia”, che presentava in una lettera a Beneduce sottolineando che “è nostra convinzione che quando sia possibile rinnovare i Consorzi di Vendita e renderli totalitari per tutto il Mezzogiorno, l’affare ‘Italia’ assuma un aspetto favorevole perché oltre a darci un utile industriale diretto, ci consentirà di migliorare i ricavi per la produzione delle nostre Officine Meridionali”33. La Società Italia venne infine acquisita dall’Italcementi e fece da tramite alla presenza svizzera nel Consiglio di Amministrazione dell’azienda34; se si tiene conto del fatto che a partire dal 1934 venne gestita dalla società bergamasca anche la cementeria di Livorno, acquistata in compartecipazione con l’ILVA e la Segni, il gruppo Italcementi raggiungeva nel 1937 una quota del consorzio Tirreno pari al 48 %35. Fu con questa acquisizione (e con l’avviamento di una nuova cementeria in Puglia, di cui si parlerà fra poco) che l’Italcementi fu in grado di ritornare nella seconda metà degli anni trenta attorno alla quota del 40% del mercato nazionale già raggiunta nel 1928 (si veda ancora la tab. 1.2). Il secondo consorzio, che venne costituito a Milano, fu il “Consorzio Produttori Alta Italia” il 12 gennaio 1929, sotto forma di Ufficio Controllo e Rimborsi (le vendite restavano in capo alle aziende). Esso raggruppava la gran parte dei produttori lombardi e piemontesi. Ma già alla fine dell’anno venne sciolto per contrasti su controlli di dubbia attendibilità e sul comportamento scorretto di alcune aziende consorziate. Nel gennaio 1930 gli industriali casalesi formarono il “Consorzio Cementi Casalesi”, cui l’Italcementi non partecipava36. I contatti per organizzare un analogo accordo in Lombardia e per coordinare le due zone continuarono. Dalla copiosa corrispondenza esistente in merito risulta quanto mai chiaro che alcuni dei più grossi produttori casalesi e lombardi cercavano di approfittare dell’occasione per “scrollarsi di dosso” la predominanza dell’Italcementi e per questo motivo ostacolavano gli accordi. In una lettera dell’8 marzo 1930 di Guido Prato (SA Cementi Brianza, stabilimento a Missaglia, Como) all’avvocato Francesco Milanese (SA Milanese e Azzi, con stabilimenti a Casale Monferrato, Ozzano Monferrato, Borgotaro) si notava: “Per quanto riguarda la preoccupazione di tutti noi produttori Piemontesi e Lombardi che in questa organizzazione di vendita la Italcementi possa avere una parte così preponderante da poter sopraffare gli interessi dei singoli, io ho esposto con tutta sincerità tale nostra preoccupazione all’On. Pesenti il quale, “Italia” non ha mai potuto distribuire dividendi ed ha anzi dovuto svalutare e reintegrare il proprio capitale e accendere un forte debito obbligazionario per procurarsi i fondi necessari alla gestione” (p.12). 33 Lettera di Antonio Pesenti ad Alberto Beneduce, 23 giugno 1933 in As Italcementi, Miscellanea. Il prezzo offerto era di 5 milioni di lire in contanti e 50.866 azioni Italcementi (valore nominale 10,2 milioni di lire), con un posto nel Consiglio di Amministrazione Italcementi per il gruppo svizzero. Il consigliere delegato della società Giuseppe Angeli veniva liquidato con 1,1 milioni di lire, di cui 220.000 a carico del gruppo svizzero, con un recupero da parte dell’Italcementi di 5.820 azioni dell’Italia da lui possedute. 34 La società Italia non finì di dare problemi all’Italcementi. Nel Verbale del Comitato Esecutivo, riunione del 15 maggio 1936 si annota che a Genova era stato fatto circolare un memoriale contro l’Italcementi da parte di tutti coloro che non avevano gradito l’acquisto della società Italia da parte dell’impresa bergamasca. 35 Nel 1934 la Italcementi, l’ILVA, la Terni e la Segni avevano costituito una SA Centrale Cementerie Italiane (S.A.C.C.I.), con sede a Roma, per l’acquisizione della fabbrica di Corsalone (Arezzo), naturalmente anch’essa consorziata. 36 Se ne veda l’Atto costitutivo in As Italcementi, Miscellanea. xix pur facendo notare che sopra una produzione totale di questi Gruppi di fabbriche – valutata in grosso modo di 30/32 milioni di q – l’Italcementi rappresenterebbe all’incirca il 40/45%, ha tuttavia tenuto a riconfermare il largo spirito di collaborazione e il riconoscimento dei diritti dei minori, di cui già venne data prova nella costituzione dei Consorzi del Tirreno e delle Tre Venezie…Io ho l’impressione che l’Italcementi sia seriamente disposta a collaborare a questa organizzazione di vendita che, fatta su basi serie ed eque, realizzerebbe il massimo beneficio per tutta l’industria del Cemento”37. Alla fine del 1930, l’Italcementi raggiunse un accordo commerciale con la ditta Montandon (Italmont, attivo dal 1° febbraio 1931). Dalle informazioni raccolte successivamente dal direttore della fabbrica Italcementi di Casale Monferrato si identificavano proprio nell’avvocato Milanese e in Marchino, che ora dirigeva la nuova società Unione Cementi Marchino38, i due avversari più accaniti. In una informativa del 5 aprile 1931 inviata ad Antonio Pesenti si dice che: “Lo scopo della lotta che viene fatta da questi due esponenti dell’industria casalese del cemento…non appare né chiaro né logico ed anche difficilmente raggiungibile. Sembra che la lotta sia fatta proprio contro la Italcementi che viene accusata pubblicamente da tempo…di voler distruggere i concorrenti di Casale …[provocando uno] stato di disagio… [nella] maggioranza degli industriali cementieri del casalese costretta a subire la volontà delle Ditte maggiori in una lotta che da molti non viene compresa”39. Il medesimo direttore con lettera 1° marzo 1932 rileva che i casalesi, non potendosi disfare dell’Italcementi con una lotta sui prezzi, avevano lanciato una campagna denigratoria. La situazione peggiorò a tal punto da far intraprendere trattative dirette fra Antonio Pesenti e Giovanni Agnelli, il quale in primo luogo ripropose la costituzione di un contingentamento di tutta l’industria italiana del cemento, suscitando commenti negativi da parte di Antonio Pesenti, che ben sapeva come questo fosse all’epoca impossibile e forse nemmeno desiderabile. Alla fine del 1932, si raggiunse l’intesa di lavorare per un accordo totalitario fra le fabbriche di Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia e Toscana. Le trattative andarono ancora a rilento, ma nel corso del 1933 l’accordo tra Italcementi e Unione Cementi Marchino fu cosa fatta, senonchè non venne sottoscritto dall’avvocato Milanese. E’ solo alla fine del 1934 che si costituì la SA Commissionaria Nordcementi, con sede a Milano, che copriva Piemonte, Liguria (esclusa La Spezia), Lombardia (esclusa Mantova), e le province di Piacenza40, Parma, Reggio Emilia, Modena. Nel 1935, la Italcementi aveva una quota del 46,6% di questo consorzio. Il terzo consorzio, costituito il 19 gennaio 1929 fra i produttori di Marche, Umbria e Abruzzo (Consorzio MUA), con sede a Roma, non ebbe successo e fu presto 37 As Italcementi, Federazione. Accordi Alta Italia-Casalese 38 La Unione Italiana Cementi col fallimento della SNIA di Gualino, cui era collegata, passò alla famglia Agnelli e si fuse nel 1933 con la ditta Marchino. Possedeva stabilimenti a Casale Monferrato (2), Ghiare di Berceto, Morano Po, Ozzano Monferrato, Prato, Settimello. 39 As Italcementi, Federazione. Accordi Alta Italia-Casalese. 40 In questa provincia due fabbriche resistettero accanitamente, presentando nell’estate del 1934 un ricorso al Ministero delle Corporazioni con l’accusa alle ditte consorziate di “vendere sottocosto allo scopo di togliere di mezzo le piccole fabbrice dissidenti per arrivare al monopolio che rendesse le grandi fabbriche arbitre del mercato!” As Italcementi, Relazioni attività consorzi cemento per il Ministero delle Corporazioni, 1937, p. 34. Ci volle un anno per persuadere anche queste fabbriche ad entrare nel consorzio. xx sciolto. Solo verso la fine del 1932 (15 novembre) fu possibile costituire la S.A.C.I.S. (SA Commerciale Italcementi Scarfiotti), con sede amministrativa ad Ancona e i due stabilimenti di Senigallia e Portorecanati, per il territorio delle province di Ancona, Macerata, Ascoli Piceno, Teramo, Pescara, Chieti e zona costiera di Campobasso. Altre società aderirono successivamente, portando la copertura del consorzio nel 1937 all’85% circa41. A tale data, l’Italcementi vi partecipava con una quota del 65%. Seguì il 27 dicembre 1929 il “Consorzio Produttori Agglomerati Idraulici delle Tre Venezie” 42, con sede a Padova, che includeva le tre Venezie e le province di Mantova, Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna. Già prima della guerra funzionavano intese fra i produttori del Veneto basate su un prezzo di vendita concordato; negli anni venti tali intese vennero rafforzate, fino alla costituzione del consorzio, che trovò dunque la strada spianata. Inizialmente, su otto produttori consorziati, l’Italcementi aveva una quota del 54%, quota che diminuì man mano che arrivavano nuove adesioni (si arrivò a 16 membri – di cui solo 10 con stabilimenti attivi –, con una quota Italcementi più consociata di Schio, nel 1937, pari al 53% nominale e 47% reale)43. Fu un consorzio molto attivo e partecipato, tanto che si poteva leggere nella citata relazione: “tutte le quote iniziali…tutte quelle successive…tutte le modifiche…furono scrupolosamente vagliate, contrattate e definite in perfetto buon accordo”44. Un quinto consorzio va menzionato: il 24 marzo 1932 venne costituita la SA Pugliese Cementi, con sede a Bari, che copriva l’area delle Puglie e della provincia di Matera. L’Italcementi vi era presente con la sua consociata Cementeria delle Puglie, costituita per gestire lo stabilimento di Modugno. Tale stabilimento era stato costruito a tempo di record, per le cure di Cesare Pesenti, tra il maggio 1931 e il febbraio 193245, Tab. 1.5 Andamento dei consorzi negli anni 1935-37 Consorzi Nordcementi Tre Venezie SACIS Cementi Tirreno SA Pugliese Cementi Totale % Italcementi 46,6 45,6 60,0 44,3 52,5 n. ditte 9 10 2 15 4 1935 % produzione consorziata … 63 70 89 80 40* 83 46,4 n. ditte % Italcementi 40,0 45,3 58,3 43,1 55,7 n. ditte 13 10 4 15 4 1936 % produzione consorziata 83§ 55 75 89 80 20 10 4 15 5 1937 % produzione consorziata … 64 85 89 80 % Italcementi 34,0 47,0 38,4 48,0 50,5 46* 82 43,6 54* 87 41,8 Fonte: Vendite effettuate attraverso i consorzi e vendite delle officine Italcementi nel 41 As Italcementi, Ibidem. 42 Nell’ottobre 1929 si gettarono le basi anche per la costituzione di un consorzio fra le fabbriche dalmate di cemento per la vendita all’interno della Jugoslavia. As Italcementi, Verbali del Consiglio di Amministrazione, riunione del 31 ottobre 1929, v. 19, p. 73. In realtà, la Italcementi aveva aperto fin dal 1928 una trattativa con lo svizzero Ernest Schmidheiny, proprietario di numerose cementerie, per la vendita della cementeria di Salona, ma non si pervenne al risultato desiderato se non alla fine del 1937 con acquirenti jugoslavi (si veda la Relazione del Consiglio di Amministrazione all’assemblea, 1937, p. 11). 43 As Italcementi, Relazioni attività consorzi cemento per Ministero delle Corporazioni. Il consorzio Tre Venezie. 44 Ibidem. 45 Nella seduta del CdA del 6 luglio 1931 Cesare Pesenti annunciava che i lavori per la costruzione della cementeria erano iniziati da due mesi, mentre nella seduta del 29 febbraio 1932 comunicava che il macchinario era già stato messo in moto. Nella seduta del 29 luglio 1932 si dà notizia che il costo totale è stato pari a 25 milioni di lire. La cementeria venne ufficialmente inaugurata il 16 settembre 1932 con l’intervento dell’allora ministro dei lavori pubblici Di Crollalanza. xxi 1935-36-37, in As Italcementi, Miscellanea Note: * al lordo delle duplicazioni dovute alla presenza di qualche impresa (per esempio l’Italcementi) a più di un consorzio; § stima effettuata sulla base di informazioni contenute in Federazione Nazionale Fascista Industriali del cemento, Produzione e distribuzione del cemento, in Ibidem dopo che erano stati trovati in zona notevoli giacimenti di calcare e argilla per la produzione di Portland artificiale, ed era uno dei più grossi impianti esistenti in Italia all’epoca (100.000 t). La novità tecnologica era costituita dal forno tipo Lepol, il primo installato in Italia e forse anche il primo, in assoluto, che realizzava un forte risparmio di combustibile. Inizialmente al consorzio partecipava solo un altro produttore (la SA Cementi e Affini con stabilimento a Monopoli); in seguito i membri diventarono cinque e la quota di Italcementi si aggirava sul 50-55%46. L’andamento dei consorzi sopra citati nel 1935-36-37 è riportato nella tab. 1.5. Le vendite totali consorziate erano passate47 da 3,4 mil t nel 1935 a 3 nel 1936 e a 3,5 nel 1937, pari rispettivamente all’81, 77 e 82% delle vendite totali nazionali48. Se si aggiungono le esportazioni, si arriva all’83-87% delle vendite. Un 15% circa delle vendite restavano dunque non consorziate. Gli sforzi per allargare l’ambito di copertura dei consorzi continuarono con sempre maggiore successo, così che nel gennaio del 1939 Tab. 1.6. Importanza relativa dei cinque consorzi Consorzi Nordcementi Tre Venezie SACIS Cementi Tirreno SA Pugliese Cementi Totale Fonte: v. tab. 1.4. 1935 40 19 3 33 5 100 1936 37 19 3 35 6 100 1937 42 17 3 33 5 100 Tab. 1.7. Ripartizione per regioni delle ditte e degli stabilimenti di cemento nel 1935 46 As Italcementi, Relazioni attività consorzi cemento. SA Pugliese Cementi. 47 Esportazioni escluse. 48 Nel 1938 si arrivò all’89%, che diventava 95% se si considerano le esportazioni. Si veda la lettera di Antonio Pesenti a Balella del 17 agosto 1939. As Italcementi, Miscellanea. xxii Fonte: Federazione Nazionale Fascista Industriali del cemento etc, Produzione e distribuzione del cemento, s.d. (ma 1936), in As Italcementi, Miscellanea Note: § 111 ditte; * di cui 618 statici e 56 rotanti in un documento di Antonio Pesenti al Ministro delle Corporazioni Lantini si diceva che i cinque consorzi vendevano il 95% della produzione49. Notevoli furono anche le energie spese per rintuzzare gli attacchi che ai consorzi provenivano non solo dalle fabbriche dissidenti, ma da varie altre parti, fra cui i costruttori e i commercianti all’ingrosso. Poiché queste diatribe si inscrivono nel nuovo corso autarchico, risultano più opportunamente trattate nel prossimo paragrafo. Quanto all’importanza relativa dei cinque consorzi, si veda la tab. 1.6. Non sorprende di vedere che Nordcementi mantiene il primato, seguito da Cementi Tirreno (che serviva Roma); anche il consorzio Tre Venezie aveva una qualche importanza, mentre gli altri due erano del tutto marginali. Terminiamo questo paragrafo con un quadro della situazione delle imprese italiane produttrici di cemento nel 1935, suddiviso per regioni, e nel 1937, così come Piemonte Lombardia Veneto Venezia Tridentina Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Marche Umbria Abruzzi Lazio Campania Puglie Lucania Calabria Sicilia Sardegna Totale Stabilimenti Operai Impiegati Forni 23 29 11 4 3 3 8 20 7 9 3 4 3 11 2 8 1 149§ 1982 2653 1058 201 841 500 594 1358 340 296 184 656 278 653 70 302 92 11992 104 274 51 8 64 43 24 68 23 12 3 47 13 23 16 7 770 147 163 63 6 27 4 34 84 26 21 7 12 10 41 3 25 2 674* venne fornito dal censimento industriale del 1937-193950 (si vedano le tab. 1.7 e 1.8). Tab. 1.8. Censimento delle ditte cementiere italiane al 31 dic. 1937 (esclusa calce) Totale ditte Stabilimenti Forni Operai Impiegati Capacità produttiva (000t) Italcementi 85a 129 641 15912 839 6223 1 19b 186 4058 267 2270c Unione Cementi Marchino 1 7 66 1605 47 340 49 Situazione generale dell’industria del cemento in Italia, relazione datata 4 gennaio 1939 e indirizzata a Lantini. As Italcementi, Miscellanea. 50 Si trattò di un particolare censimento che per la prima volta riuniva, oltre ai dati tradizionali su numero di imprese, stabilimenti, forza lavoro e CV installati, dati relativi anche a valore della produzione, monte salari, utilizzo di materie prime, ma che si realizzò per settori sull’arco di due anni dal 1937 al 1939. xxiii Produzione nel 1937 (000t) 1343d 4258 362 Fonte: As. Italcementi, Federazione Cemento, f. 27-28. Si noti che i dati riportati dalla Federazione non concordano del tutto con quelli ufficiali del censimento, che assegnarono ad Italcementi 20 stabilimenti, si cui uno risultava inattivo; così all’Unione Marchino furono assegnati 9 stabilimenti, ma ben 4 risultavano inattivi. Note: a di cui 9 con più di uno stabilimento (quattro con 2, una con 3, due con 4, una - l’Unione Marchino - con 7, l’Italcementi con 19); non tutte erano attive b più quattro stabilimenti di consociate (Schio, Livorno, Modugno, Genova) c più 488 t delle consociate d più 352 t delle consociate. Nel 1935 le imprese risultavano in un numero un po’ maggiore rispetto alla situazione illustrata nella tab. 1.1 per il 1928 (erano passate da 104 a 111) e gli stabilimenti erano rimasti press’a poco invariati (da 148 a 149), ma gli occupati erano molti di meno (da 20000 circa a 12.000, solo operai). Nel 1937, imprese e stabilimenti si erano contratti, ma l’occupazione era un po’ ripresa51 rispetto al 1935, in presenza di una produzione aumentata del 50% rispetto al 1928 e del 10% rispetto al 1935. Tutto ciò testimonia di un progresso tecnico accompagnato da una certa concentrazione della produzione, che tuttavia lasciava ancora ampi spazi alle piccole ditte, sia pur all’interno della rete consorziale. La quota del gruppo Italcementi risulta del 40% e quella del gruppo Unione Marchino si attesta a 655.000 t, ossia al 15%. 1.3. Tra autarchia ed economia di guerra. Il 2 ottobre 1935 Mussolini dichiarò guerra all’Etiopia ed il giorno dopo iniziò la campagna che si concluse nel maggio del 1936 con la proclamazione dell’“Impero”. Nel novembre del 1935 vennero decise dalla Lega delle Nazioni le sanzioni52 contro lo Stato italiano colpevole di aver violato l’accordo internazionale che proibiva ulteriori invasioni coloniali. Queste vicende, il conseguente avvicinamento alla Germania nazista e poi la seconda guerra mondiale portarono alla politica di autarchia che caratterizzò gli ultimi anni del regime fascista. Su tale politica le opinioni sono contrastanti. Pochi dubbi vi sono, infatti, sul fatto che essa generò intoppi nella produzione e calo di produttività dovuti alla perdita di efficienza degli impianti, i cui processi produttivi – malgrado le modifiche apportate – soffrivano per l’utilizzazione di materiali autarchici, spesso inadatti. D’altro lato, tuttavia, incentivò – così come su più vasta scala l’analoga politica tedesca – l’innovazione, specie nell’industria chimica chiamata a creare materiali artificiali sostitutivi di quelli da importare53. All’industria del cemento l’autarchia creò problemi riguardanti il combustibile (il carbone), i refrattari e i macchinari, per lo più importati dall’estero. Le materie prime, invece, erano facilmente reperibili in loco. La sostituzione del carbone importato con quello nazionale, di qualità poco adatta all’utilizzazione nei forni da cemento, rendeva difficile l’esercizio di questi ultimi, con frequenti arresti e con produzione inferiore per qualità e quantità. Così, d’altra parte, avveniva per molti processi di produzione con combustibili “autarchici”. Un’altra questione che rese la vita difficile ai cementieri fu 51 Rispetto alla tabella diffusa dalla Federazione e riportata in tab. 1.8 i dati ufficiali del censimento riportarono per l’aggregato solo 84 imprese con 124 stabilimenti. Si veda anche Camera dei Deputati, Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sui limiti posti alla concorrenza nel campo economico, v. I, parte II. Settore del cemento, Roma, Poligrafico dello Stato, 1965, p. 405. 52 Sugli effetti di queste sanzioni, si veda C. A. Ristuccia, “The 1935 sanctions against Italy: would coal and oil have made a difference?”, in European Review of Economic History, v.4, 2000, n. 1, pp. 85-110. 53 Di ciò si è ampiamente occupato R. Petri, alle cui ricerche rinviamo. Si veda il suo volume Storia economica d’Italia. Dalla grande guerra al miracolo economico 1918-1963, Bologna, Il Mulino, 2002. xxiv l’utilizzo del cemento armato, per incentivare il quale la Federazione dei cementieri si era tanto battuta. Esso fu messo in discussione, non solo a causa del combustibile necessario a produrre il cemento, ma anche per l’impiego del ferro. Fu così che la Federazione si trovò costretta a pubblicare un opuscolo agli inizi del 1936, dove spiegava che l’incidenza del costo del carbone importato sul valore della produzione di cemento (400 milioni di lire a prezzi correnti) era meno del 10% (37 milioni di lire)54, mentre il ritorno a metodi antiquati di costruzione (laterizi e/o pietra), oltre ad essere peggiorativo per la solidità degli edifici, portava a uno scarso o nullo risparmio nell’uso del carbone55. Ma i fronti da presidiare nel difficile e travagliato periodo in cui entrarono in vigore il controllo dei prezzi e il controllo degli investimenti erano molti. Non c’erano solo i costruttori che insistevano nel proporre forti limitazioni nell’uso del cemento armato56: si era levata anche una lamentela generale sui supposti effetti della generalizzazione dei consorzi sul rialzo dei prezzi del cemento, che si ebbe a partire dal 193457 (dopo quattro anni di continua discesa in cui il prezzo si era dimezzato) e persino sulla validità del forno rotante58. Tali denunce provenivano dalla Federazione dei lavoratori dell’edilizia, dalla Federazione degli industriali edili, dalla Corporazione dell’edilizia e persino dalla Confederazione fascista dei commercianti. Questi ultimi lamentavano che i consorzi avevano aperto uffici di vendita, che tendevano a sostituire la funzione dei commercianti all’ingrosso. A tutti venne risposto con molta precisione e competenza tecnica dalla Federazione Nazionale Fascista degli Industriali del Cemento presieduta da Antonio Pesenti, che, nonostante le condizioni generali sfavorevoli, non smetteva di mantenere alta l’attenzione sulle condizioni di validità tecnica e redditività del settore cementiero, di cui Italcementi era magna pars. In particolare, chiaro era l’obiettivo che si voleva raggiungere nella fissazione dei prezzi, come possiamo ricavare dalla seguente “filosofia” del prezzo esposta nella dettagliata relazione del Consorzio Tre Venezie: “Il “Consorzio Tre Venezie”…non è mai incorso nella esosità dei prezzi di vendita. Esso si è costantemente orientato verso il “giusto prezzo” che rispondesse rigorosamente alla nota legge del “Limite economico”. Il “giusto prezzo” per il Consorzio e pe’ suoi aderenti era ed è quello che tenendo conto di tutti i più svariati fattori del costo consente una equa remunerazione del capitale con l’adeguato margine necessario e sufficiente per la conservazione e manutenzione del patrimonio delle aziende stesse e pel continuo e razionale sviluppo della relativa tecnica industriale e commerciale. All’infuori del “limite economico” non vi è più “giusto prezzo” mentre sotto il “limite economico” vi sono: la concorrenza rovinosa; la disoccupazione; l’indebolimento degli 54 L’incidenza totale delle materie importate veniva calcolata sul 15-20%, rispetto ad un 30-35% del 1922. Si veda Federazione nazionale fascista industriali cemento, Produzione e distribuzione del cemento, p.30, in As Italcementi, Miscellanea. 55 Federazione Nazionale Fascista industriali del cemento, Appunti. A) circa le materie prime…; B) circa la incidenza di materiali provenienti dall’estero nei diversi sistemi di costruzione. As Italcementi, Miscellanea 56 Si vedano i numerosi documenti della Federazione Nazionale Fascista dei costruttori edili conservati in As Italcementi, Miscellanea 57 Un’analisi più dettagliata sull’andamento dei prezzi verrà effettuata nel cap. 5. 58 Si veda il cap. 7 sulle caratteristiche tecniche del forno rotante. Il documento che metteva in dubbio l’effettiva superiorità del forno rotante era della Federazione nazionale dei lavoratori dell’edilizia e venne inviato ad Antonio Pesenti il 26 agosto 1939. Si veda As Italcementi, Miscellanea. xxv organismi produttivi; il depauperamento dell’industria; la crisi e – persistendo il disordine e il disagio – il fallimento fatale, finale!”59 L’accordo in materia di prezzi venne siglato con i costruttori edili dalle rispettive Federazioni il 4 ottobre 1935, mentre un primo accordo con i commercianti è del gennaio 193660. Il 5 ottobre 1936, tuttavia, con il d.l. 1746 intervenne il blocco dei prezzi e la disciplina di controllo generalizzato degli eventuali aumenti61. Ma i dissensi nei confronti del funzionamento dei consorzi da parte della corporazione delle costruzioni edili continuarono, fino a portare alla proposta di costituzione di un consorzio unico e totalitario, da realizzarsi nel 1939, sotto la tutela di un comitato tecnico corporativo, a cui spettavano tutte le principali decisioni62. Al documento che portava questa proposta seguì una dettagliatissima relazione di 39 pagine della Federazione nazionale fascista dei cementieri, che rintuzzava tutte le critiche e Tab. 1.9 Partecipazioni dell’Italcementi al 5 ottobre 1936 (superiori ad un valore di L. 50.000) S. Cementi Portland dell’Adriatico Banca Industriale di Bergamo S. Ferrovia Val Seriana BG S. complementare ferroviaria lombarda BG S. Natro Cellulosa MI Consorzio leganti idraulici Tre Venezie PD Consorzio Tirreno Produttori Cemento Roma Ceramiche Piccinelli s.a. BG Sicementi MI S. Italiana acquedotti e fognature MI S. bresciana costr. esercizio autovie BS S. Fornace De Meo NA S. edilizia Sempione BG S. Cementeria delle Puglie BG Consorzio Produttori Cemento Alta Italia MI Italcementi s.a. (eredi Boschi) S. tipografica ed. commerciale BG S. G. Verzocchi MI Cementerie d’Etiopia S. A. Cementi Schio S. lombarda costruzioni E. Peduzzi, Olgiate Molgora Azienda Nazionale Consumatori Carbone, MI S.A. centrale cementerie italiane (SACCI), Roma n. azioni 44748 18567 11900 12200 2400 8474 4447 8000 190000 3500 5250 370 1400 100000 1793 350 1885 50 6200 88480 1000 500 13562 Valore (000 lire) 4474 1485 357 146 1200 254 445 800 7050 171 262 185 140 10000 90 87 57 50 1860 5899 80 500 1356 59 As Italcementi, Relazioni attività consorzi cemento per Ministero delle Corporazioni. Il consorzio Tre Venezie, p. 52. 60 Seguirono altri accordi con i fabbricanti di manufatti di cemento e con le aziende idroelettriche. 61 Su questo tema, si veda V. Zamagni, La distribuzione commerciale in Italia fra le due guerre, Milano, Angeli, 1981, cap.4. La disciplina dei prezzi suscitò l’entusiastica adesione di un giovane studente universitario dell’epoca, destinato a grande notorietà. Si tratta di Franco Modigliani, premio Nobel dell’economia, che pubblicò nel 1937 un saggio spiegando le ragioni del suo entusiasmo per il provvedimento, saggio da me richiamato alla p. 110 del volume sopra citato e reso noto al grande pubblico in occasione della morte dell’autore nell’articolo di S. Gerbi, Il duce controlli i prezzi, in “Il Sole 24 Ore”, 9 novembre 2003. 62 Corporazione delle costruzioni edili, Controllo sui consorzi dei leganti idraulici, documento molto tecnico di 19 pagine s.d., ma 1938 in As Italcementi, Miscellanea. xxvi Nordcementi s.a. commissionaria MI S. commerciale Italcementi-Montandon MI S. commerciale Italcementi-Scarfiotti AN* S. Cementeria di Livorno GE S. Cementi Italia BG Impresa Sebina di navigazione Lovere S.A. cementerie delle Calabrie MI Totale 1236 75 200 1770 196825# 832 10000 124 75 20 1769 10484 83 1000 50503§ Fonte As Italcementi, Miscellanea Note: * questa partecipazione è stata inclusa anche se inferiore a L. 50000 perché si tratta di Consorzio § il totale delle partecipazioni, comprensive di quelle minori e delle partecipazioni in capo alla S. Italia e alla S. Cementeria delle Puglie era di 67,1 milioni di lire # oltre a 18.000 obbligazioni suggeriva prudenza nella costituzione di un consorzio nazionale63, un argomento, tuttavia, che restò all’ordine del giorno. Oltre all’importante ruolo di capofila della Federazione nazionale dei cementieri, e di anima dei consorzi, l’Italcementi portava avanti sia la sua strategia di acquisizioni sia quella di costruzione di qualche nuovo impianto (talora come ampliamento di un piccolo impianto acquisito). E’ possibile ricostruire in dettaglio la situazione del gruppo alla fine del 1936 grazie ad un documento da cui abbiamo tratto la tab. 1.9. Ne esce il quadro di una società fortemente concentrata sul suo core business, con qualche interesse nei trasporti e una partecipazione nella Banca Industriale di Bergamo. Nel prospetto compare la Società Cementerie delle Calabrie, costituita nel 1930 a Milano, ma che presentò domanda per la costruzione di una cementeria a Catanzaro solo nel 193964 e la società Cementerie di Etiopia, di cui parleremo diffusamente nel prossimo paragrafo. Non vi compare invece la S.A.C.E.L. (SA Cemento Legno) costituita nel 1936 da Ettore Pesenti, fratello dell’ingegner Mario che era allora direttore generale dell’Italcementi, perché è una società che verrà assorbita tra 1941 e 1942, alla morte dei due fratelli Ettore (1939) e Mario (1940) che l’avevano sostenuta. Si trattava di una fabbrica, posta ad Alzano, di cui all’epoca Ettore Pesenti era podestà, che produceva impasti di cemento e trucioli di legno, impasti utilizzati fino ad allora dai paesi nordici ed orientali ricchi di foreste. A seguito dei venti di guerra e di un forte attivismo dispiegato dall’Unione Marchino65, nel 1939 l’Italcementi ritenne opportuno fare un altro passo in avanti rispetto alle mete raggiunte nel 1936, potenziando i suoi impianti esistenti e lanciandosi nell’acquisizione di azioni di molte società, in seguito incorporate: la Società Bergamasca Cementi Portland e calci idrauliche, con un altro stabilimento ad Albino (che divennero due); la Società Cementi e Affini di Monopoli; la società cementi Etna, con uno stabilimento a Catania, molto piccolo66, che l’Italcementi si propose di 63 Federazione Nazionale Fascista degli industriali del cemento, Al ministero delle Corporazioni, As Italcementi, Ibidem. 64 Per questa società nel corso del 1939 si tentò un accordo generale con la BPD del gruppo Parodi-Delfino per gli stabilimenti nel Mezzogiorno, accordo che andò per le lunghe e alla fine del 1940 venne lasciato cadere. Si vedano i Verbali del Comitato Esecutivo, 1939-40. 65 Di questa espansione della Marchino, si discute più volte nelle riunione del Consiglio di Amministrazione del 1938 e 1939. 66 L’acquisto di una vecchia cementeria serviva ad aggirare le difficoltà che ostacolavano l’accoglimento di domande per la costruzione di cementerie ex-novo. xxvii sostituire con uno più grande (ma che verrà costruito solo nel dopoguerra); la Società Calci e Cementi Bisenzio, con un piccolo stabilimento a Vaiano; la Società Cementi di Tab. 1.10. Capacità produttiva degli stabilimenti dell’Italcementi alla fine del 1939 (000t) Alzano (Lombardia) Palazzolo sull' Oglio (Lombardia) Cividale del Friuli (FVG) Villa D' Almè (Lombardia) Vittorio Veneto (Veneto) Ozzano Monferrato (Piemonte) Casale Monferrato (Piemonte) Civitavecchia (Lazio) Incisa Valdarno (Toscana) Trento (TAA) Albino (Lombardia) Calusco D' Adda (Lombardia) Olgiate Molgora (Lombardia) Tregnago (Veneto) 60 200 Cagliari (Sardegna) Villafranca Tirrena (Sicilia) 160 160 90 70 60 50 Senigallia (Marche) Schio (Veneto) Modugno (Puglia) Genova (Liguria) 110 80 180 220 140 Livorno (Toscana) 120 300 26 125 167 340 Dire Daua (Etiopia) Monopoli (Puglia) Pontremoli (Toscana) Pontassieve (Toscana) 130 Borgo S. Dalmazzo (Piemonte) Imperia (Liguria) Salerno (Campania) 160 180 Catanzaro (Calabria) Catania (Sicilia) 60 Totale Apuania (Toscana) 40 65 45 90 3428 In costr. 130 In costr. 140 In costr. 90 In costr. 90 Fonte: Capacità di produzione delle officine Italcementi all’1.1.1940, in As Italcementi, Miscellanea Nota: a) il piccolo stabilimento di Vaiano, che verrà ben presto chiuso, non viene riportato Pontremoli; la Società Calci e Cementi Monsavano, con stabilimento a Pontassieve67. Ancora, nel 1940 l’Italcementi partecipò con il gruppo Milanese-Azzi e Benini-Bassoli ad una società per la costruzione di una cementeria ad Apuania, società che, in seguito ad un accordo con il Benini, venne in possesso dell’Italcementi per 2/368. La capacità produttiva delle cementerie dell’Italcementi alla fine del 1939 è stata ricostruita nella tab. 1.10. Risulta che l’Italcementi deteneva oltre il 50% di tutta la capacità produttiva installata69, arrivando attorno al 60% di quella attiva, mentre aveva in costruzione altri quattro stabilimenti molto ben dislocati70, per 450000 t . Dei quattro 67 Queste tre società appartenevano al sig. Gustavo Benini, che il 29 marzo 1941 venne chiamato a far parte del Consiglio di Amministrazione Italcementi, secondo la ormai consolidata tradizione. 68 Il gruppo casalese Milanese-Azzi reagì negativamente a questo accordo, ma venne rassicurato con l’offerta di un patto di sindacato. La società venne incorporata solo nel 1988. 69 Questa è la cifra che viene fatta anche nella conversazione tra Antonio Pesenti e Benito Mussolini nell’udienza del 12 maggio 1940. Mussolini fu pure curioso di sapere chi era il secondo produttore e Pesenti rispose: MarchinoAgnelli, con il 20%. Di quella conversazione val la pena di ricordare anche che Mussolini disse a Pesenti: “Voi siete uno dei migliori e veri industriali italiani, un vero lavoratore. Vorrei che in Italia ce ne fossero molti come Voi”. Udienza dal Duce 12 maggio 1940, ore 13, in As Italcementi, Miscellanea. 70 La preoccupazione della dislocazione degli impianti era sempre stata forte ai vertici dell’Italcementi. Nella Relazione sull’industria del cemento predisposta per Mussolini da Antonio Pesenti il 28/01/1939, si legge (p. 2): “…in qualche regione si deve riconoscere che la distribuzione della produzione non risponde alle richieste del consumo. Si rileva infatti che esistono regioni deficitarie, come ad esempio la Lucania, la Calabria, la Sicilia, nelle quali è insufficiente la potenzialità produttiva dei cementifici; in alcune regioni, anzi, mancano del tutto le fabbriche. xxviii stabilimenti in costruzione, solo quello di Apuania venne avviato nel 194271, mentre gli altri dovettero aspettare il dopoguerra. Lo stabilimento di Borgo S. Dalmazzo, progettato già a partire dal 192672, entrerà in produzione solo nel 1947, quello di Catanzaro73 della Società cementerie delle Calabrie nel 1951 e quello di Catania nel 1954. Fu la stessa Italcementi a spingere perché a questo punto non si concedessero più altri permessi di costruzione. Scriveva Antonio Pesenti nell’agosto 1939: “Io mi domando ora se per l’economia italiana…per la possibilità di costituzione ed esistenza del Consorzio Unico [cui si stava pensando] non si debba piuttosto considerare l’opportunità di proporre alla Corporazione di soprassedere, almeno per un periodo di un paio d’anni alla concessione di nuove autorizzazioni…”74. La guerra non portava alcuna alterazione della situazione. Da un documento relativo al 1941, risulta che l’Italcementi era a quota 56% di capacità, su 17 stabilimenti con 36 forni rotanti, mentre la società di Marchino poteva contare su 11 stabilimenti attivi, con 9 forni rotanti e tre a griglia, per 580.000 t, pari al 18% circa del totale75. 1.4. La cementeria di Dire Daua La Italiana Cementi aveva già dalla fine dell’Ottocento una base per lo smercio del cemento a Massaua e nel 1935 aveva avviato delle ricerche per la costruzione di uno stabilimento in Eritrea, mandandovi due dei suoi migliori tecnici, l’ingegner Carlo Vigliani e l’ingegner Antonio Benigno76. Questi ritornarono denunciando intralci burocratici, che in effetti emersero anche attraverso contatti romani: in sostanza, il Ministro delle Colonie voleva un impianto subito, mentre l’Italcementi si offriva di costruirlo in tre anni. Fu così che la concessione venne accordata ad altra ditta di industriale non cementiero, l’ingegner Novaro, con cui l’Italcementi fu chiamata a collaborare, ma non venne raggiunto un accordo77. Nel corso del 1936 l’annessione dell’Etiopia apriva nuove prospettive, per la lontananza di Addis Abeba dalla costa. Antonio Pesenti si era messo in contatto con l’ingegner Rappel di Zurigo, che conosceva l’Etiopia e sosteneva di avere identificato buoni giacimenti di calcare in più di una località. I suoi studi vennero acquisiti e venne preparato dall’ingegner Benigno il 3 luglio 1936 un progetto di impianto molto Si rileva, inoltre, che in altre regioni la dislocazione delle fabbriche, concentrate in zone limitate, non consente una economica distribuzione dei prodotti. Tale, ad esempio, il Piemonte, che presenta la sola fortissima concentrazione produttiva nel Monferrato”. As Italcementi, Miscellanea. 71 Ma ben presto reso inattivo dalla mancanza di combustibili. 72 Verbale del Consiglio di Amministrazione, riunione del 10 gennaio 1926. 73 Questo impianto dovette essere inizialmente concordato con la Società Segni, che aveva fatto domanda per un impianto a Vibo Valenza. Si veda il verbale del Consiglio di Amministrazione del 29 febb. 1940, p. 90. 74 Lettera di Antonio Pesenti a Balella del 17 agosto 1939, cit., p. 4. 75 Si veda Elenco stabilimenti per la produzione del cemento, 1941, in As Italcementi, Miscellanea. 76 Nel corso del 1937 si studiò anche l’impianto di un cementificio ad Ain Zara in Libia (l’allora Tripolitania), a 10 km da Tripoli, ma il progetto non fu realizzato perché i costi erano troppo elevati a fronte del cemento importato da Tunisi. I Verbali del Comitato Esecutivo, 1932-40 riportano gli studi e i contatti per questo progetto. 77 La fabbrica non fu un successo, perché potè iniziare a produrre solo dopo tre anni, come si evince da una lettera di Carlo Pesenti a Leopoldo Piccone del 17 luglio 1940. As Italcementi, Miscellanea. xxix dettagliato, con tutta la distinta del macchinario necessario, della sua reperibilità e dei costi, sia di impianto, sia di produzione78. Fu così che l’Italcementi l’8 agosto 1936 costituì insieme ad altre società con partecipazioni minoritarie la SA cementerie dell’Etiopia, che compare nella tab. 1.9, con lo scopo di esercire stabilimenti per la produzione di cemento nell’Africa Orientale Italiana; il 12 agosto 1936 partiva per l’AOI la missione tecnica dell’Italcementi, costituita da quattro persone, con strumenti tecnici, viveri per tre mesi e una casetta smontabile al seguito79. Le ricerche esplorative e i relativi studi ebbero una durata di nove mesi, ma già dopo sei mesi, in cui si erano avuti molti assaggi deludenti, si erano concentrati nella località di Dire Daua, nei pressi della ferrovia Addis Abeba-Gibuti, che dava sufficienti garanzie quanto a localizzazione e abbondanza di materie prime; in seguito, si verificò un unico altro ritrovamento di materie prime abbondanti ad Ambò, a 120 km. da Addis Abeba, sulla via di Lekemti, dove si decise che sarebbe sorta in seguito una seconda cementeria. I lavori di sbancamento iniziarono subito, sorsero le prime baracche, venne effettuato il collegamento del cantiere con le cave mediante la costruzione di 1800 metri di ferrovia a scartamento ridotto, allacciata mediante raccordo con la ferrovia Addis Abeba-Gibuti. Si ordinarono i macchinari alla società Breda e alla Franco Tosi, si diede inizio alla costruzione dell’edificio, mentre le ricerche d’acqua portarono in pochi mesi non solo all’autosufficienza del cantiere, ma anche all’erogazione di acqua agli indigeni che vivevano nei pressi. Il ritmo dei rifornimenti di materiali era intralciato dalla incredibile congestione del porto di Gibuti. Anche la ferrovia entrava in crisi per l’enorme traffico, costringendo l’Italcementi a ricorrere a 24 autocarri, che fecero la spola dall’agosto del 1937 tra Gibuti e Dire Daua, in un clima torrido e lungo una pista del tutto sconnessa. In tale situazione, è ovvio che i costi dell’impianto si moltiplicassero, così che dall’iniziale previsione di 18-20 milioni di lire si arrivò ad un raddoppio a 40 milioni. Questo portò ad abbandonare il progetto di una seconda cementeria ad Ambò, preferendo se mai il raddoppio di Dire Daua, che aveva una potenzialità di 40/50.000 t. Come combustibile veniva usato carbon fossile che arrivava da Gibuti per ferrovia; la forza motrice era fornita da quattro generatori Diesel che azionavano oltre cento motori elettrici; il forno era rotante della lunghezza di 63 metri; la cementeria aveva due ciminiere di cemento armato, una di 40 e l’altra di 70 metri. Ai primi di ottobre del 1938 la cementeria entrò in funzione e venne ufficialmente inaugurata il giorno 27 con l’intervento del viceré Graziani. Pochi giorni dopo l’inaugurazione arrivò in visita anche l’ingegner Mario Pesenti. Va ricordato che ai quattro inviati iniziali da parte dell’Italcementi (l’ingegner Benigno, il perito chimico Gandini, il capo officina Fortini e l’analista Antonelli) si era aggiunto nell’agosto 1938 l’autista Manzoni, cosicché tutto il lavoro venne effettuato da personale locale e questi cinque dipendenti Italcementi bastarono ad organizzare una mole di attività come quella che abbiamo descritto. Solo in seguito, per il funzionamento della cementeria, l’Italcementi fu costretta ad inviare altro personale. Purtroppo quando l’Italia entrò in guerra, il funzionamento dello stabilimento risultò subito impossibile, perché i rifornimenti venivano intralciati e perché il fumo dei camini attirava gli aerei nemici. Ma il peggio doveva ancora venire, come si vedrà nel prossimo capitolo. 78 Officina nei pressi di Addis Abeba, in As Italcementi, Miscellanea. 79 Queste e le successive notizie provengono dal grosso album pieno di fotografie Cementeria dell’Etiopia. Indagini, ricerche, realizzazioni settembre 1936-settembre 1938, Bergamo, Officine Arti Grafiche, 1938 in As Italcementi. xxx Una notazione di colore: gli operai italiani, impressionati positivamente dall’ubertosità della terra e del clima, che permetteva due raccolti all’anno se si irrigava, impiantarono degli orti, da cui non riuscirono mai a ricavare niente, perché quando il raccolto era maturo, venivano regolarmente visitati da folti branchi di scimmie che non si potevano nemmeno scacciare, perché rispondevano con fitte sassaiole. Da ciò si era tratta la convinzione che l’agricoltura in quelle terre non si sarebbe mai potuta migliorare se prima non si provvedeva all’irrigazione e all’eliminazione del “flagello” delle scimmie. xxxi CAPITOLO II I TRAVAGLIATI ANNI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 2.1. Guerra e distruzioni Con l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, iniziò un periodo molto burrascoso per la vita dell’azienda, alla quale non vennero risparmiate distruzioni fisiche, perdite di personale, sconvolgimenti organizzativi. Ma la solidità del suo impianto era tale che anche le difficoltà più estreme vennero superate, riuscendo a mantenere integra la compagine aziendale. I primi provvedimenti che vennero presi furono quelli di fermare le nuove costruzioni e gli ampliamenti di impianti i cui lavori non fossero già iniziati80, con l’eccezione del progettato cementificio in Albania, che tuttavia non si riuscì nemmeno ad iniziare. Della continuazione del programma di acquisizioni e fusioni già si è detto nel precedente capitolo, mentre una trattazione più dettagliata merita l’episodio della costituzione di un consorzio unico fra tutti i produttori di cemento nazionali. Già nel 1939 si era giunti alla determinazione di costituire un consorzio unico nazionale. Il 21 luglio di tale anno ci fu una riunione a Roma della Federazione dei cementieri, che si accordarono sui termini: le quote sarebbero state determinate in base alla media delle vendite degli ultimi 5 anni, aumentate dei quantitativi esportati nelle colonie; 100.000 t sarebbero state accantonate per perequare le diverse posizioni. Ma si decise di prender tempo, per essere ben sicuri che le autorità appoggiassero l’iniziativa, dato che la Corporazione edile preferiva che il consorzio fosse alle sue dirette dipendenze81. Furono solo le urgenze della guerra a far rompere gli indugi. Il 10 dicembre 1940 venne costituita a Roma, sotto gli auspici della Confederazione dell’Industria, la Società Anonima Commissionaria Consorzio Italiano Leganti Idraulici (CILI). A questa decisione si era addivenuti per porre fine ai contenziosi fra consorzi e per rendere omogenee le procedure su tutto il territorio nazionale. Nel corso del 1940, infatti, la produzione si era mantenuta in linea con quella del 1938-39 e le prospettive erano positive. Presidente del CILI venne nominato naturalmente Antonio Pesenti, con due vicepresidenti, Ottavio Marchino e Secondo Bazzocchi; direttore generale diventò l’ingegner Luigi Bruschetti, con tre condirettori82; 38 furono gli uffici attivati. Ma se la decisione di creare il CILI era coerente con la situazione di eccesso di capacità produttiva esistente prima della guerra, essa si dimostrò improvvida nella nuova condizione venutasi a creare durante il 1941. La cronica mancanza di materie prime, soprattutto di combustibili, determinò un crollo della produzione (di oltre il 40%) tale da impedire il corretto funzionamento del Consorzio, che si trovò a scontentare un po’ tutti. Queste difficoltà accreditarono presso i consumatori di cemento, particolarmente gli Enti pubblici, la convinzione che la penuria di cemento fosse da imputarsi alla cattiva volontà degli industriali, rappresentati nel CILI, e non ai gravi problemi logistici insorti. Considerare il CILI il capro espiatorio della situazione era 80 Questo non significa che l’attività costruttiva venisse abbandonata nemmeno nel 1944, anche per occupare gli operai, come i corposi rapporti sui lavori in corso esistenti negli archivi Italcementi testimoniano. 81 Verbale del Consiglio di Amministrazione, riunione dell’11 luglio 1939. 82 Verbale del Consiglio di Amministrazione del CILI, riunione del 17 dicembre 1940. In As Italcementi, CILI, v. 3536, 1941-44. xxxii anche un modo per alleviare le tensioni fra il Ministero dei Lavori Pubblici e i Ministeri militari, che si contendevano il poco cemento prodotto. Antonio Pesenti aveva tentato di varare una Commissione che studiasse una radicale riforma organizzativa del Consorzio, ma il problema era accentuato dall’imposizione di prezzi ufficiali troppo bassi, che incentivava il mercato nero del cemento. Pur conscio dei problemi esistenti, il presidente del CILI ancora scriveva l’11 giugno 1942 a Carlo Pesenti, relazionando sulla situazione di tensione venutasi a creare: “In un incontro avuto il 5 corrente con l’Ecc.za il Ministro dei LL.PP. ho dovuto con rincrescimento constatare che il Ministro non è ancora soddisfatto della collaborazione della nostra industria, anzi è fortemente prevenuto contro di essa…Non è ancora rimosso il sospetto che le fabbriche consegnino del cemento senza assegnazione, che rispettino i prezzi stabiliti, che forniscano del cemento dichiarato invece calce idraulica, che le Consociate siano soprattutto preoccupate del proprio tornaconto, trascurando l’interesse generale della Nazione in guerra…Occorre vigilare, anche a scanso di gravi provvedimenti individuali e collettivi, quali il Ministro ha chiaramente ed esplicitamente dichiarato di essere pronto ad attuare a carico dei produttori inadempienti, perché non vengano commessi abusi od infrazioni alle norme stabilite per la distribuzione del cemento, e venga soprattutto data la più efficace collaborazione agli sforzi che il Ministro sta compiendo per potenziare la nostra economia di guerra.”83 Il 13 giugno, inaspettatamente, con provvedimento del Ministro delle Corporazioni, su proposta del Ministro dei LL.PP., il CILI venne commissariato con l’ingegner Pasquale Prezioso. Il commento di Antonio Pesenti a questo provvedimento fu molto duro e articolato e venne esposto nella riunione del Consiglio di Amministrazione dell’Italcementi il 2 luglio 1942. Fra l’altro, si legge: “Per quanto fossimo a conoscenza delle lagnanze che esclusivamente da parte del Ministro dei LL.PP. venivano mosse alla gestione del CILI, pure non ci attendevamo un provvedimento così gravido di conseguenze per i principi che esso involge nei confronti delle Aziende private anche se costituite in un Consorzio volontario di vendita. Non che possano gli interessi della nostra Società…essere turbati dal provvedimento…[Esso] ci è spiaciuto innanzitutto per la immeritata motivazione che lo ha accompagnato, come se il Consorzio avesse comunque turbato ed offeso gli interessi della Nazione in armi; ed inoltre per il grave precedente che esso instaura nei riguardi delle aziende industriali”84. Antonio Pesenti ripercorreva poi i motivi già sopra denunciati, che avevano prodotto un cattivo funzionamento del CILI, non senza ammettere che i suoi organi amministrativi non avevano compreso appieno la necessità di essere più energici e tempestivi nei confronti delle richieste degli Enti pubblici85. Denunciava anche il 83 Ibidem. 84 Verbale del Consiglio di Amministrazione, riunione del 2 luglio 1942. Alla frase riportata nel testo ne seguiva un’altra ancora più dura, che abbiamo ritrovato in una bozza dattiloscritta, corretta a mano da Antonio Pesenti, frase poi non riportata nel Verbale del CdA. Tale frase diceva: “Con esso provvedimento si è dimostrato che basta la volontà di un Ministro per annullare, anche senza fondati motivi, ogni diritto dei singoli; e se l’esempio dovesse fare scuola, sarebbe cosa grave nei riguardi dell’industria italiana!” 85 Ancora una volta Antonio Pesenti rivolgeva stizzite parole nei confronti del Ministro dei LL.PP., che veniva ritenuto “ingiustamente severo e poco ragionevole”, parole non riportate nel Verbale del Consiglio di Amministrazione. Ibidem. xxxiii dissidio fra il Ministero dei LL.PP. e i Ministeri militari (ritenuto una delle cause determinanti del provvedimento) e la malevola interpretazione che della Commissione per la riforma organizzativa del CILI avevano formulato i produttori più piccoli, come “un proposito dei maggiori industriali per svuotare del suo contenuto il Consorzio e ridare agli industriali piena libertà di fare e strafare”, avanzando l’ipotesi che fu questa interpretazione ad affrettare il provvedimento del Ministro delle Corporazioni. In conclusione, Pesenti anticipava decisioni che verranno prese solo un paio di anni dopo, in circostanze ben più agitate: “Starà al commissario di attuare il programma da noi ideato, e ciò nell’interesse di tutte le consociate. Rimane, intanto, il provvedimento che non è certo piacevole dal lato – diciamo – sentimentale. Dal lato economico esso non ha, per il momento, alcuna influenza salvo che – cosa che per il momento riteniamo improbabile, anche perché non ve ne sono i motivi – l’azione Governativa debba avere un ulteriore sviluppo e passare dal Consorzio alle singole Aziende”86. Il CILI venne poi liquidato nel corso del 1943 dall’avvocato Patrizi, ex federale di Terni87. Intanto la situazione produttiva nazionale continuava a peggiorare. Nel corso del 1942 ci fu una diminuzione della produzione di cemento di oltre il 20% sul livello del 1941; nel 1943 si verificò un’altra caduta del 40% sul 1942 e nel 1944 un ulteriore taglio del 30% sul 1943, arrivando ad un ammontare di produzione che era meno del 20% rispetto ai valori di fine anni ’30. Possiamo seguire questa debacle attraverso la panoramica degli impianti dell’Italcementi riportata nella tab. 2.1. Raffrontando il 1941 con il 1939, si vede che la capacità produttiva nel 1941 era poco più del 50%, mentre verso la fine del 1944 quella relativa alla Repubblica Sociale era del tutto marginale (5% della capacità del 1939). Nulla di ufficiale veniva comunicato in merito agli impianti localizzati nell’Italia liberata, anche se da testimonianze orali si sa che alcuni avevano ripreso una qualche limitata produzione, dopo le riparazioni più urgenti dei danni da bombardamenti. Il primo grave episodio legato alle incursioni aeree alleate avvenne a Civitavecchia, che iniziò il suo calvario il 14 maggio 1943 con un bombardamento che lasciò praticamente intatta la cementeria, ma paralizzò del tutto la vita della città. Dei novantadue successivi bombardamenti, il più letale per la cementeria fu quello del 30 agosto 1943, che tuttavia non la mise interamente fuori uso, ma ne determinò la fermata. I tedeschi in ritirata la minarono, ma Fortini, capo meccanico, con altri coraggiosi dipendenti provvide a disinnescare le mine poste sotto le basi dei forni. Contemporaneamente, tra giugno e agosto 1943, venne a più riprese bombardata la Tab. 2.1. Capacità produttiva degli stabilimenti dell’Italcementi 1941-44 (000t) Alzano (Lombardia) Palazzolo sull' Oglio (Lombardia) Cividale del Friuli (FVG) Villa D' Almè (Lombardia) Vittorio Veneto (Veneto) 86 1941 X 120 1944 X 16 50 X X X X X Salerno (Campania) Cagliari (Sardegna) Villafranca Tirrena (Sicilia) Senigallia (Marche) Schio (Veneto) 1941 140 80 1944 # # 100 70 60 # # X Ibidem. 87 Sul CILI si veda anche Ministero per la Costituente, Rapporto della Commissione economica, II Industria. I Relazione, v. 2, Roma, Poligrafico dello Stato, 1947, pp. 273-277. xxxiv Ozzano Monferrato (Piemonte) Casale Monferrato (Piemonte) Civitavecchia (Lazio) Incisa Valdarno (Toscana) Trento (TAA) Albino (Lombardia) Calusco D' Adda (Lombardia) Olgiate Molgora (Lombardia) Tregnago (Veneto) Imperia (Liguria) X X Modugno (Puglia) 100 # 60 7,5 Genova (Liguria) 180 28 140 X 130 100 180 # X 23 40 58 Livorno (Toscana) Dire Daua (Etiopia) Monopoli (Puglia) Pontremoli (Toscana) Pontassieve (Toscana) X X X X 70 X X # X # X X Apuania (Toscana) 100 X 80 100 X X 1810 172,5 Totale Fonti: Elenco stabilimenti per la produzione del cemento con forni rotanti ed a griglia divisi per azienda e colla indicazione della potenzialità, 1941; Elenco delle officine per la produzione del cemento e dell’agglomerante cementizio esistenti nel territorio dell’Italia repubblicana, 28 novembre 1944 (l’elenco include anche il numero degli addetti). As Italcementi, Miscellanea. Nota: il segno X indica cementeria inattiva; il segno # indica cementeria non più controllata direttamente da Bergamo dopo la divisione del paese. cementeria di Salerno, che si trovava in prossimità della stazione, in vista del mare. Da una testimonianza88 rilasciata dall’allora direttore della cementeria ingegner Domenico Zanutti, si conoscono alcuni particolari delle vicende di quei mesi. Per mandato del direttore generale e consigliere delegato Carlo Pesenti, che aveva incontrato a Roma alla fine di agosto 1943, Zanutti era ritornato avventurosamente a Salerno per liquidare gli operai e predisporre una semplice custodia di quello che restava in piedi della cementeria. L’8 settembre doveva rientrare a Roma, ma si scatenò una violenta battaglia tra le forze alleate ed i tedeschi che durò una decina di giorni e l’ingegner Zanutti si trattenne per organizzare il ricovero di numerosi civili fuggiti dalle loro case nelle gallerie delle cave della cementeria. La gente radunata nelle cave fu molto grata del ricovero ottenuto e, prima di ritornare alle loro case, decise di erigere nel piazzale davanti alle gallerie una cappelletta nella quale anni dopo venne collocata una statua in legno della Madonna inviata da Bergamo ed offerta dalla Italcementi. L’ingegner Zanutti tornò in seguito alla cementeria e, presi contatti con le autorità inglesi e americane, si adoperò per il parziale ripristino sia delle cave sia della cementeria, nella quale il 29 gennaio 1944 fu riacceso uno dei due forni. Anche l’altro fu in seguito riparato, così come gli altri impianti della cementeria, che potè così essere riconsegnata funzionante alla casa madre dopo la liberazione di Bergamo. Essendo l’attacco alleato partito dal Centro Italia, le cementerie della Sicilia, della Calabria e della Puglia non subirono che pochi danni. Tutte quelle del Centro Italia vennero, invece, martoriate. Dopo Civitavecchia e Salerno, toccò a Pontassieve. I massicci bombardamenti della zona iniziarono il 12-13 novembre 1943, ma la cementeria iniziò a subirne le conseguenze a partire dal 1° dicembre; quindi nel luglio 1944 i tedeschi in ritirata passarono a far saltare le macchine che non si erano potute nascondere in luoghi sicuri. Incisa, Apuania, Pontremoli subirono un destino analogo, mentre la cementeria di Livorno, in cui l’Italcementi aveva una partecipazione di 1/3, 88 Si veda il cap. XIX del manoscritto di C. Fumagalli, in As Italcementi. xxxv venne completamente annientata. A Senigallia, i dipendenti nascosero in cava i principali motori e riduttori di forni e molini e lo stabilimento, appena allontananto il fronte, potè ripartire, sia pur fortunosamente per i danni subiti. Seguirono quindi i bombardamenti delle cementerie dell’Italia settentrionale, il più imponente dei quali riguardò quella di Palazzolo. Quest’ultima era un grande complesso adiacente al ponte ferroviario sull’Oglio con due forni rotanti per il cemento artificiale, undici forni verticali per il cemento naturale, trentatrè forni verticali a tino per la calce idraulica e altri impianti per il gesso, oltre a due centrali elettriche e ad una teleferica per il trasporto del materiale dalle cave. Il primo bombardamento del ponte avvenne il 23 luglio 1944, con effettivi distruttivi sugli impianti Italcementi ma non sul ponte. Ne seguirono molti altri a distanza ravvicinata, quindi ci fu una tregua di un mese e poi i bombardamenti ripresero in settembre, essendosi gli alleati accorti che i tedeschi erano riusciti a riattivare in qualche modo la circolazione ferroviaria. Con intervalli più o meno lunghi, i bombardamenti non cessarono fino al 27 aprile 1945, ritardando di molto la ripresa della cementeria e la ricostruzione del ponte, che avvennero ancora una volta in concomitanza e che terminarono nel 1946. Resta da dire dell’impianto di Dire Daua che, con la dichiarazione di guerra dell’Italia, aveva smesso di funzionare perché le autorità della Somalia francese avevano impedito qualunque rifornimento via Gibuti. Inizialmente si era cercato di sostituire il carbone con carbone di legna ricavato dai boschi limitrofi. Si pensò anche a cercare ligniti, che in effetti si trovarono, però ad una distanza che rendeva il trasporto assai complicato. Si pensi che per il primo miglio le ligniti estratte erano trasportate a dorso di mulo. Quindi si doveva percorre una distanza di circa 150 km in camion fino ad Addis Abeba; da qui 500 km per ferrovia fino a Dire Daua. Questa nuova soluzione fu sperimentata per poco, perché a partire dall’aprile 1941 avvenne l’occupazione inglese e la cementeria fu disattivata, restando in funzione solo la centrale elettrica per usi pubblici. Ma nel giugno 1942, quando la situazione era ormai saldamente sotto il controllo inglese, al direttore della cementeria Giuseppe Oggionni venne intimato di rimetterla in funzione, poichè non era danneggiata, per produrre leganti utili alle attività belliche degli alleati. Al rifiuto dell’Oggionni, questi veniva arrestato e messo nel campo di concentramento per i politici dove venne successivamente raggiunto dall’ingegner Benigno, mentre gli impiegati e gli operai vennero messi nel campo di concentramento per civili. La sorella dell’ingegner Benigno, la moglie e i figli di Oggionni vennero rimpatriati nel luglio del 1942, mentre gli internati vennero in seguito tutti trasportati in altri campi in Kenia e in Uganda, da dove rientrarono chi nell’estate 1945 chi nel corso del 1946. Nel dopoguerra l’Italcementi avviò una pratica di indennizzo per i fabbricati civili ed industriali andati persi a Dire Daua, pratica che si trascinò per molti anni, dando luogo ad un anticipo di 130 milioni di lire nel 195989 e al conferimento di 626,6 milioni di titoli del debito pubblico redimibili al 5% nel 196490. L’Archivio Italcementi contiene una voluminosissima documentazione sulla questione 2.2. Cambiamenti organizzativi tra tensioni e arresti A causa della morte prematura del consigliere direttore generale Mario Pesenti l’8 febbraio 1940 (quando aveva solo 40 anni), dal 1° marzo 1940 Antonio Pesenti aveva riassunto su di sé le funzioni di consigliere delegato dell’Italcementi, che gli 89 Verbale del Consiglio di Amministrazione, riunione del 29 luglio 1959. 90 Verbale del Consiglio di Amministrazione, riunione del 5 dicembre 1964. xxxvi erano state proprie fino a quando nel corso del 1933 le aveva delegate al cugino Mario (che aveva assunto il ruolo di direttore generale) passando alla carica di presidente dell’Italcementi, in sostituzione dello zio Cesare91. Con l’ods (ordine di servizio) 1244 Antonio nomina direttori centrali l’ingegner Carlo Pesenti e l’ingegner Paolo Radici, già nominati condirettori tecnici da Mario Pesenti il 13 febbraio 1939 con l’ods 1183. La professionalità di Carlo Pesenti, cugino di Antonio92, era cresciuta da quando il fratello Mario l’aveva inserito appena laureato ingegnere negli uffici dell’azienda93, in modo che si facesse un’esperienza a tutto campo. Il 20 marzo 1940 Carlo fu nominato membro del Consiglio di Amministrazione e l’anno dopo nella seduta del 29 marzo entrò nel Comitato Esecutivo, subentrando al posto del fratello. Non era passato un anno che all’assemblea della Società del 23 marzo 1942 Antonio Pesenti propose di nominare Carlo direttore generale, prefigurando una sua successiva nomina a consigliere delegato. L’assemblea prese allora l’iniziativa di proporre contestualmente anche la nomina di Carlo a consigliere delegato, carica che suo fratello Mario non aveva mai avuto (ricoprendo solo il ruolo di direttore generale) e che era rimasta vacante fino alla sua riassunzione da parte di Antonio Pesenti nella seconda metà del 1939. Tale nomina venne ufficializzata dal Consiglio di Amministrazione nella seduta del 2 luglio 1942, mettendo al comando dell’Italcementi un giovane di 35 anni dalla forte personalità, che si sarebbe rivelato determinante per i destini dell’azienda nel dopoguerra almeno tanto quanto lo era stato per gli anni fra le due guerre il cugino Antonio. Ma i primi anni di Carlo furono molto travagliati, come ci accingiamo ad illustrare con un certo dettaglio, data la rilevanza storica degli eventi. A sollevare il velo sulla difficile situazione attraversata dalla dirigenza dell’Italcementi dopo il 25 luglio 1943 provvede, in primo luogo, un lungo e dettagliato verbale della riunione del 28 giugno 1944 del Consiglio di Amministrazione, verbale che non venne mai ratificato perché, come vedremo, questa riunione fu l’ultima del Consiglio di Amministrazione in carica, che venne sostituito da un commissario94. La riunione iniziò con una relazione del presidente Antonio Pesenti che dichiarò di voler informare il consiglio su “una spiacevole situazione d’indole politica” che si era venuta a creare. Antonio fa sapere che, solo due mesi prima, era venuto a conoscenza di un’inchiesta promossa già da qualche mese dalla Federazione politica di Bergamo, riguardante presunti comportamenti discriminatori contro squadristi dipendenti dell’Italcementi attuati dalla direzione (cioè da Carlo Pesenti) dopo il 25 luglio 1943. Non avendo i tentativi esperiti per mettere a tacere la cosa sortito che effetti temporanei, nei giorni precedenti erano stati emessi dei mandati di comparizione da parte del Tribunale Speciale Provinciale nei confronti di alcuni dipendenti dell’Italcementi e dello stesso presidente, mentre veniva messa in giro la voce che si stava pensando ad un commissariamento dell’azienda. Queste voci assicuravano bensì che il commissario sarebbe stato lo stesso Antonio Pesenti, ma l’intera faccenda non poteva che procurare apprensione. Antonio proseguì riferendo che, per accertare il grado di affidabilità delle voci, si era premurato di interrogare direttamente il capo della 91 Poi deceduto il 24 novembre 1933 (si veda la composizione del Consiglio di Amministrazione nella tab. 2.2). 92 Dal quale lo separavano 27 anni di età. 93 Il primo incarico di cui si ha notizia fu quello di Segretario dell’Ispettorato tecnico e del Laboratorio chimico centrale, posizione istituita con l’ods 1043 del 14 gennaio 1935. 94 Verbale n. 136, in calce al quale ci sono due note una di Antonio Pesenti e l’altra di Carlo Pesenti, che denunciano la mancata approvazione del verbale stesso. xxxvii Provincia e il Ministro delle Corporazioni Tarchi, i quali gli avevano confermato tutto, promettendo comunque di provvedere prima all’accertamento dei fatti. Nella parte finale della sua esposizione, Antonio si permise di rivolgere una critica alla direzione, rimproverandole di non aver trattato “con quel solito spirito di benevolenza e di larghezza” un dipendente rimpatriato dalla Germania, evidentemente quello che aveva iniziato il procedimento che aveva portato ad “una così decisa posizione verso la nostra Società”. Il consigliere delegato Carlo Pesenti rispose di essere stato richiesto nel marzo precedente dalla Federazione politica di comparire a deporre, perché chiamato in causa da un dipendente. Gli furono rivolte domande fra cui: se l’Italcementi, o lui personalmente, avesse finanziato il gruppo partigiano Mai e se avesse allontanato per alcuni mesi uno squadrista. A quest’ultima accusa gli era stato facile rispondere che si trattava di una vera e propria invenzione, perché la persona in questione era, nel periodo segnalato, a casa in malattia. Alla fine della deposizione gli fu chiesto di inviare un memoriale e di dimenticare l’accusa del suo dipendente, che sappiamo da altre fonti essere stato Gianni Favettini. Carlo Pesenti continuò dicendo che, invece, qualche settimana dopo venne a sapere che non solo il Favettini, ma anche un altro accusatore (si trattava dell’ingegner Antonio Santarelli) avevano portato le loro accuse addirittura davanti al Tribunale Provinciale Straordinario. A questo punto la cosa si era fatta più seria, prendendo gli sviluppi già sopra riferiti da Antonio. Carlo aggiunse solo che i contatti da lui avuti col Ministro Tarchi gli avevano assicurato che il Ministro era personalmente convinto che non ci fosse nulla di eccepibile nei comportamenti della direzione nei confronti del Santarelli, ma eventuali provvedimenti politici non erano di competenza del ministro, bensì del capo della Provincia. Alle due relazioni seguì una lunga discussione, che ruotò attorno a tutti i dettagli della vicenda del mancato reinserimento dell’ingegner Santarelli, ritornato dalla Germania, nella sua posizione come capo dell’Ufficio Acquisti, posizione nella quale Carlo aveva insediato altra persona. Antonio lamentava di non essere stato adeguatamente informato sugli sviluppi di quella vicenda, arrivando alla fine a dire che: “egli non intendeva ingerirsi nella normale gestione, ma desidera[va] essere informato dell’andamento dell’Azienda e non esserne edotto soltanto in occasione delle riunioni consigliari, perché, qualora si continuasse in queste condizioni, egli si vedrebbe costretto a riflettere sulla sua posizione e prendere una decisione”. Veniva così ad evidenziarsi una divergenza di vedute fra presidente e consigliere delegato, percepita anche al di fuori del Consiglio di Amministrazione, che si può meglio comprendere utilizzando altre fonti. La prima di queste fonti è una lunga e dettagliata relazione inviata il 5 giugno 1945 alla Commissione provinciale di epurazione di Bergamo da parte del CLN dell’Italcementi95. La relazione inizia rivelando le manovre di copertura politica effettuate da Antonio Pesenti a partire dal 1936, per “tutelare la posizione dell’Italcementi in sede politica e se necessario anche presso l’ex-Duce”96. Il 16 agosto 1936 venne assunto da Antonio Pesenti l’avvocato Tommaso Frediani, che era stato direttore del Consiglio Provinciale dell’Economia di Bergamo (così si erano chiamate le Camere di Commercio a partire dal 1926) e che 95 La relazione venne firmata da Carlo Vigliani, Attilio Rossi, Camillo Michelato, Francesco Spiga, Guglielmo Forcella, Angelo Zanon e dall’ingegner Vincenzo Indaco. Essa venne poi ripresentata in data 28 agosto 1945. Si veda As Italcementi, Miscellanea. 96 Ibidem, p.3. xxxviii aveva ottime relazioni con la classe politica dell’epoca, come segretario della Direzione Generale e in seguito come Segretario generale e Capo del personale97. Poco dopo, il 1° ottobre 1936, venne assunto Gianni Favettini, squadrista dal passato politico molto attivo, che divenne l’uomo di fiducia di Frediani, il quale gli affidò pratiche relative a contatti con la Federazione fascista. Nel maggio 1938 due dipendenti della Società, Gino Mioni e Anania Cesareni, vennero arrestati per motivi politici e in quella occasione si ricorse ai servigi dell’avvocato Leopoldo Piccone di Roma, ben introdotto in ambienti del regime, per appianare la questione, a seguito della quale il Frediani prese in Italcementi vari provvedimenti disciplinari. L’avvocato Piccone divenne consulente fisso dell’Italcementi. Un altro paio di squadristi vennero in seguito assunti: l’11 settembre 1939 l’ingegner Antonio Santarelli, amico di famiglia dell’avvocato Frediani e il 1° gennaio 1940 Luigi Rosino Massone. La relazione continua, poi, mettendo in evidenza la determinazione da parte di Carlo Pesenti nel limitare l’influenza di Frediani sulla Società. Il 1° gennaio 1943 Carlo tolse al Frediani le funzioni di Capo del personale, riducendogli anche le altre98. Dopo il 25 luglio, Carlo decise l’allontanamento del Frediani, che veniva indotto a lasciare la società il 15 agosto 194399. Ma restava in azienda il Favettini, che si rivelò molto attivo nel continuare con le sue denunce contro Carlo, come già sopra illustrato, e contro altri dipendenti della Società. Subentrò poi la vicenda dell’ingegner Santarelli. Secondo la relazione del CLN, la diversità di comportamento fra Antonio e Carlo trovava riscontro anche nel Consiglio di Amministrazione, dove si sarebbero formate una corrente favorevole al presidente ed una favorevole al Consigliere delegato. Ma la cosa non è accertabile. Ciò che invece si può chiaramente ricostruire sono le vicende successive. La voce della nomina di un Commissario all’Italcementi nella persona di Antonio Pesenti divenne di dominio comune, ma venne fatta circolare dal Favettini insieme alla notizia che vice commissario sarebbe stato l’avvocato Frediani, con l’ingegner Santarelli e lui stesso a capo del personale. Molti dipendenti dell’Italcementi decisero allora di rivolgere un esposto al capo della provincia per chiedere che tali provvedimenti non venissero presi. L’esposto fu corredato da 188 firme su 217 impiegati della Sede Centrale e venne consegnato il 4 luglio 1944. Intanto si era diffusa anche la notizia che il Tribunale Provinciale Straordinario stava concludendo la sua istruttoria con un non luogo a procedere nei confronti di Carlo e degli altri dipendenti incriminati, per mancanza di fondamento delle accuse. In questa congiuntura, nella notte fra il 19 e il 20 luglio 1944, poche ore prima dell’attentato a Berlino nel quale Hitler rimase ferito, venne assassinato il Favettini. Non fu mai accertato chi fu a commettere il delitto, che poteva anche esulare da motivazioni politiche. Ma l’occasione fu velocemente colta dalla Federazione Fascista per entrare in azione contro quegli elementi dell’Italcementi considerati antifascisti, a cominciare dall’ingegner Carlo. Abbiamo testimonianze dirette100 degli avvenimenti convulsi che iniziarono alle 8 di mattina del 20 luglio con l’arresto, da parte di militi OP 97 Ods 1244 del 1° marzo 1940. 98 Per maggiori dettagli, si veda il cap. VIII. 99 Anche l’avvocato Piccone venne liquidato. 100 Raccolte nel cap. XXIII del già citato manoscritto di C. Fumagalli. xxxix delle brigate nere, di 19101 dei 22 dipendenti Italcementi che erano entrati nella lista nera102. Gli arrestati vennero portati al Palazzo del Littorio, fatti sfilare davanti alla camera ardente del Favettini, dove vennero ricoperti di insulti e ceffoni, e poi portati nei sotterranei e allineati in piedi e con le braccia alzate contro i muri, insieme ad altri arrestati. Dopo varie ore in quella posizione, vennero caricati su una corriera e portati in Questura, davanti alla quale stettero fermi per un po’103. Dopo un’ora e mezzo vennero diretti al carcere giudiziario di Sant’Agata, dove arrivarono ancora altre persone arrestate104 e, verso le ore 21, anche Carlo Pesenti, cui era stato riservato un trattamento “speciale”. Il proposito esplicito dei gerarchi fascisti, venuti anche da fuori territorio, era quello di fucilare Carlo Pesenti e una parte degli altri arrestati. Per rendere credibile questa minaccia alle ore 5 del 21 luglio prelevarono dal carcere di Sant’Agata tre antifascisti già lì detenuti105 e li portarono alla fucilazione. Quel 21 luglio si sviluppò un’intensa attività di contatti ed incontri, tesa a far rientrare la presa di posizione dei gerarchi fascisti. Il Comando militare Tedesco si dichiarò contrario a continuare l’azione di rappresaglia, e il capo della provincia ingegner R. Vecchini si adoperò per far rientrare tutto su binari di “legalità” (!). Il 22 luglio si svolsero i funerali del Favettini, senza incidenti, e nelle giornate del 24-25 luglio tutti gli arrestati dell’Italcementi vennero portati alla caserma Muti, interrogati e poi rilasciati. A Carlo Pesenti venne riservato un doppio interrogatorio, protrattosi anche nella giornata del 26 luglio, in cui venne informato del commissariamento dell’Italcementi e venne invitato a trasferirsi fuori Bergamo106. Il medesimo 26 luglio, infatti, era stato firmato dal prefetto Vecchini il decreto di commissariamento dell’Italcementi, notificato ufficialmente ad Antonio Pesenti il 1° agosto 1944. Antonio delegò parte dei suoi poteri a Paolo Radici e a Silvio Benigni, che diventarono di fatto vicecommissari, mentre il Santarelli riprese il suo ruolo di “commissario politico”107, come indicato nella testimonianza rilasciata il 16 agosto 101 Carlo Pesenti, Carlo Vigliani, Vincenzo Indaco, Rinaldo Pavoni, Lorenzo Zaccarelli, Alessandro Gaido, Fabrizio Pelliccioli, Alberto Rota, Arnaldo Perlini, Attilio Rossi, Guglielmo Forcella, Nino Agazzi, Giannino Bosis, Carlo Brolis, Camillo Mangili, Alessandro Questi, Antonio Zambetti, Gino Tibaldi, Palmira Questi. 102 I tre sfuggiti all’arresto furono Camillo Michelato, Piero Micheletti, Angelo Zanon. 103 La testimonianza racconta che nelle more dell’attesa vari parenti degli arrestati vennero per portare dei viveri e alla fine un pacchetto di uova salì sulla corriera! 104 Una persecuzione continuata fu esercitata dai fascisti nei confronti della famiglia Battagion, come riferito da R. Ravanelli in Come eravamo. La tragica stagione delle rappresaglie, in “L’Eco di Bergamo”, 26 febbraio 1986, dove si dà notizia anche dell’uccisione del Favettini e dell’arresto dei dipendenti Italcementi. Sulla vicenda, si vedano anche A. Vajana, Bergamo nel “ventennio” e nella resistenza, v. II, Bergamo, Ed. Orobiche, 1957, pp. 167-77 e T. Francesconi, Repubblica Sociale Italiana e guerra civile nella bergamasca, 1943-1945, Milano, Cavallotti Ed., 1984, pp. 104-07. 105 Dante Paci, Mario Aldeni, Silvio Belotti. Poche scarne notizie dell’intera vicenda apparvero su L’Eco di Bergamo. 106 Carlo Pesenti andò a vivere a Milano, come risulta da una lettera autografa ad Antonio datata 27/3/45, in cui Carlo suggerisce che la soluzione da adottare “nei rapporti che intercorrono tra la Italcementi e me…[è quella di] trattarmi come un qualsiasi altro suo dipendente che, per motivi di salute, debba temporaneamente restare assente dal lavoro”. As Italcementi, Miscellanea. La circostanza è confermata ancora dallo stesso Carlo nella deposizione rilasciata in data 16 agosto 1945 al processo di epurazione contro l’ingegner Santarelli, quando dice che Antonio Pesenti si incontrava con lui a Milano “dove io risiedevo avendo la proibizione tacita di farmi vedere a Bergamo” (foglio 9 della trascrizione degli interrogatori, in As Italcementi, Miscellanea). 107 Con l’ods 1381 del 7 agosto 1944 il Santarelli venne rimesso a capo dell’Ufficio Acquisti, che venne posto alle dipendenze della Direzione tecnica centrale. xl 1945 da Palmira Questi, segretaria di Antonio Pesenti108, e anche in quella già citata di Carlo Pesenti109. Quali furono le principali attività di Antonio Pesenti come commissario ce lo racconta Antonio stesso nel suo memoriale presentato alla Commissione Epurazione Imprese Private, di cui si dirà nel prossimo paragrafo. 2.3. L’immediato dopoguerra e l’esito dei procedimenti di epurazione. Appena terminata la guerra iniziarono i procedimenti di “epurazione”, in generale condotti in modo moderato. Per quanto riguarda l’Italcementi, la relazione presentata alla Commissione Provinciale di epurazione, già sopra citata, terminava chiedendo l’epurazione dell’ingegner Antonio Santarelli, di Luigi Rosino Massone, di Antonio Pesenti e di Luigi Radici (che peraltro si era già allontanato dalla Società a favore di suo figlio Paolo), segnalando Paolo Radici e Silvio Benigni per eventuali provvedimenti interni. Un solo vero e proprio processo venne in realtà celebrato: quello contro il Santarelli, sul quale possiamo dire che tutte le testimonianze raccolte presso i dipendenti della Società e presso Carlo Pesenti concordavano nell’indicarlo, dopo la morte del Favettini, come il vero ispiratore dei provvedimenti politici assunti contro dipendenti dell’Italcementi e contro lo stesso Carlo Pesenti. Come riferisce il foglio n. 2 del CLN aziendale Italcementi, l’ingegner Santarelli venne condannato a 4 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione110. Molte furono invece le sanzioni amministrative comminate a dipendenti, in generale sospensioni di qualche mese (ma nel caso di Santarelli, Massone, Monticelli e Rigamonti scattò il licenziamento). Ad Antonio Pesenti, invece, si applicava d’ufficio il divieto di ricoprire cariche in società per azioni, in base all’art. 1 del DLL 4 agosto 1945, n. 472, essendo stato dichiarato decaduto da senatore dall’Alta Corte di Giustizia. Tale divieto non gli era stato mai notificato perché Antonio nell’aprile 1945 aveva dato le dimissioni da qualunque carica111, ma era una cosa che evidentemente gli pesava. Presentò dunque ricorso contro questa sanzione il 13 marzo 1947, invocando l’art. 3 del medesimo DLL che riconosceva la sua non applicabilità se fossero state rispettate tre condizioni: a) scarsa attività politica; b) comprovata capacità tecnica ed amministrativa; c) effettiva opposizione ai fascisti e ai tedeschi durante l’occupazione. Il dettagliato memoriale presentato da Antonio insieme a 24 documenti allegati, parlando di se stesso in terza persona, ci permette di riassumere con le sue proprie parole la sua lunga attività all’Italcementi. La prima condizione che Antonio doveva dimostrare era quella di “scarsa attività politica”, un compito che non gli riuscì difficile, a partire dall’affermazione iniziale: 108 “Il Santarelli veniva…tutti i momenti dal Commissario e troppo spesso sono stati adottati da questi dei provvedimenti di indole politica subito dopo i colloqui avuti col Santarelli, perché non se ne potesse attribuire il suggerimento o l’iniziativa a questo elemento politico”. Ibidem, foglio 5. 109 “Dopo i fatti riguardanti il Favettini, che il Santarelli fosse un vero e proprio commissario politico lo si desume dai provvedimenti di natura politica concernenti allontanamenti o sospensione di dipendenti da parte del commissario governativo Antonio Pesenti. Ed infatti fu proprio questi più volte a ripetermi che il Santarelli gli imponeva questo o quel provvedimento” Ibidem, foglio 9. 110 Circolare di informazione, n. 2, 18 marzo 1946, p. 2 “Procedimento penale contro l’ingegner Santarelli”. 111 Come vedremo nel successivo paragrafo, Antonio continuò ad interessarsi attivamente dei destini dell’azienda fin che questa non ritornò definitivamente nelle mani di Carlo. xli “Il sottoscritto ha fatto sempre e soltanto l’industriale, non esercitando attività politica se non come riflesso o, per meglio dire, in dipendenza della sua attività di capo d’industria e di tecnico del cemento”112. Antonio ricorda che nel 1919 aveva fondato la Federazione nazionale fra produttori di cemento, di cui aveva tenuto la presidenza fino al 1942, anno in cui il Ministro delle Corporazioni Renato Ricci lo sostituì con un commissario straordinario di provata fede fascista (l’ex-federale di Terni avvocato Patrizi). Reinsediato come commissario dal governo Badoglio, Antonio provvide poi a riorganizzare la Federazione, di cui venne rieletto presidente il 2 maggio 1944. Ma nel gennaio 1945 dovette nuovamente dimettersi per ordine del partito fascista repubblicano, al quale non aveva mai aderito. Sempre nel 1919 era stato eletto presidente della Camera di Commercio di Bergamo, carica che aveva mantenuto fino al 1945. La nomina a Cavaliere del lavoro nel 1925 fu richiesta dall’Associazione stessa, su proposta della categoria economica cui apparteneva, così come la nomina a deputato nel 1929 avvenne per designazione della Confederazione degli industriali allo scopo di rappresentare la categoria dei cementieri. La nomina a senatore nel febbraio 1943 fu un “riconoscimento dell’opera svolta durante ormai 45 anni di attività industriale e commerciale, e particolarmente in considerazione dello sviluppo e dell’impulso dato a tutta la industria del cemento in Italia…Nel 1911, quando egli assunse la direzione dell’Italcementi, la società eserciva nove stabilimenti aventi una potenzialità produttiva di circa tre milioni e mezzo di quintali l’anno; nel 1945, quando cioè egli ne lasciò la direzione, gli stabilimenti erano saliti a 34 e la potenzalità di produzione a trentaquattro milioni di quintali annui. Ciò vuol dire aver portato l’Italcementi ad essere la più importante industria italiana del cemento, rappresentando essa da sola quasi il 50% della produzione totale italiana di leganti idraulici”113. Ma Antonio non partecipò mai alla vita politica del regime, “né ebbe alcun mandato di qualsiasi specie per incarico e per influenza degli organi politici fascisti”114. L’unica attività non legata al cemento e all’Italcementi che necessitava di una giustificazione era il suo coinvolgimento nelle vicende del Banco di Roma. Su questo punto, ci viene rivelato che: “nessuna influenza di carattere politico determinò la sua nomina a Consigliere di amministrazione prima (1925) e a Presidente poi (1935) del Banco di Roma. La nomina a Consigliere, infatti, …fu dovuta unicamente al fatto che nelle nuova sistemazione data nel 1925 all’importante Istituto di Credito il sottoscritto venne chiamato a farne parte quale amministratore in rappresentanza degli interessi dell’Italcementi115 e della propria famiglia, che avevano apportato al rinato Banco cospicui capitali. La successiva nomina a Presidente fu determinata dal 112 Memoriale di Antonio Pesenti alla Commissione per l’epurazione degli amministratori, sindaci e liquidatori delle imprese private, in Archivio di Stato, Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, Commissione epurazione imprese private, Titolo VIII, busta 61, Pesenti Antonio, p. 2. 113 Ibidem, p. 7. 114 Ibidem, p. 5. 115 Nei verbali del Consiglio di Amministrazione del 3 agosto 1925 viene infatti menzionato l’acquisto di azioni del Banco di Roma. Il coinvolgimento dei Pesenti nel Banco di Roma, notoriamente legato al Vaticano, dovette con ogni probabilità passare per gli ambienti cattolici bergamaschi. xlii fatto di essere il sottoscritto il più anziano fra i Consiglieri e, come sopra detto, il rappresentante di uno dei più forti gruppi finanziatori. Ciò è tanto vero che, quando si pensò di chiamare come Presidente il prof. Guarneri116, il sottoscritto assunse la carica di Vice Presidente: il che non sarebbe certo avvenuto se la precedente sua nomina a Presidente fosse stata dovuta non a ragioni di ordine finanziario di interesse del Banco, ma a motivi e a titoli politici. Il successivo intervento dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale, che portò alla liquidazione forzata della precedente gestione a carattere privato, si risolse poi in definitiva, anche per il sottoscritto e per il suo gruppo nella notevole perdita di un terzo dei capitali investiti nel banco: capitali che, d’altra parte, erano stati fino ad allora remunerati con modesti dividendi, nemmeno sempre percepiti”117. Se la prima condizione di “scarsa attività politica” non era stata difficile da dimostrare, la seconda di “comprovata capacità tecnica ed amministrativa” non metterebbe nemmeno conto di citarla, tanto è ovvia. Ma il memoriale è così ricco di particolari che solo Antonio poteva fornire, che vale la pena di ripercorrerne i passaggi salienti. Antonio passa in rivista la sua carriera all’Italcementi, da quando all’età di 18 anni nel 1898 era entrato nell’azienda paterna (definita “una modesta fabbrica di cemento”), dove “disimpegnò le più varie mansioni, dalle più umili a quelle di maggiore fiducia”, al grandioso complesso con 34 stabilimenti e 7250 addetti da lui lasciato nel 1945. Si sofferma particolarmente sulla sua nomina a commissario, in merito alla quale dice: “Si è voluto da taluni fare apparire questa nomina a Commissario come una designazione di natura politica…[ma] piuttosto che permettere, dopo averle dato tutta la sua vita, che la Società andasse a finire nelle mani di qualche incompetente e intollerante gerarca…col danno sicuro dell’impresa, degli operai e dell’opera di sabotaggio antinazista in corso di sviluppo, il sottoscritto dovette fare buon viso a cattivo giuoco e accettò la nomina per mantenere la Società sulla via sicura per la quale l’aveva guidata per 35 anni”118. Antonio ricorda poi tutto il lavoro fatto all’Italcementi e alla Federazione del cemento per attrezzare tecnologicamente l’industria cementiera italiana, considerata fra le più avanzate del mondo; tale lavoro aveva ricevuto un riconoscimento con la sua nomina a membro del Comitato nazionale per l’ingegneria del Consiglio Nazionale 116 Guarneri venne nominato Presidente del Banco dopo le sue dimissioni da Ministro degli scambi e delle valute nel 1938; nel 1944 diede le dimissioni. Nel 1942-43 e nel 1948-55 fu consigliere dell’Italcementi. 117 Ibidem, pp. 5-6. Sulle vicende del Banco di Roma in questo periodo, si veda G. De Rosa, Storia del Banco di Roma, v. III, Roma, Corograf, 1984. In tale volume si chiarisce che la direzione del Banco era nelle mani dell’amministratore delegato Giuseppe Pietro Veroi, e presidenti e vicepresidenti vi svolgevano un ruolo di “garanzia”. Si veda anche S. Licini, Luigi Ciocca. Un secolo a Bergamo tra banca e industria, Bergamo, Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo, 2000, p. 26 e ss. per l’incorporazione nel 1939 nel Banco di Roma della Banca Industriale di Bergamo, certamente per i buoni uffici di Antonio Pesenti che del Banco era all’epoca vicepresidente. 118 Memoriale, cit, p. 16. La cosa viene confermata da molti dei documenti allegati, fra cui la testimonianza rilasciata dal prefetto Alberto Rodano l’11 giugno 1947, che scrive: “I suoi [di Antonio Pesenti] rapporti col partito fascista repubblichino non furono mai cordiali; egli non volle mai (malgrado le forti pressioni esercitate su di lui col pretesto che egli era stato deputato e consigliere nazionale, nonché senatore) iscriversi, non condividendo né le idee né i metodi di tale partito. Infatti ebbe prove delle ostilità nei suoi riguardi dalle manovre suscitate per creare perturbamenti nella società Italcementi da lui diretta, manovra che fallì solo per l’intervento autorevole di un forte gruppo di azionisti e ciò malgrado le pressioni contrarie della federazione fascista repubblichina”, p. 2 del documento conservato in Archivio di Stato. xliii delle Ricerche. Inoltre, egli menziona la sua attività in campo sociale, che copriva tutte le forme di previdenza previste dalle leggi vigenti (pensioni, malattia, disoccupazione, cure climatiche, sostegno a orfani e vedove), oltre alle colonie marine, alle mense119 e alle case per i dipendenti. La più difficile da dimostrare era la terza condizione “effettiva opposizione ai fascisti e ai tedeschi durante l’occupazione”. Ma lo soccorse qui l’attaccamento di Antonio alla “sua” industria del cemento, sia in relazione alla sua impresa sia a livello nazionale attraverso la Federazione, che lo aveva condotto a “salvare il più possibile gli impianti, le materie prime e i prodotti, …tutelare la numerosa mano d’opera dal minaccioso pericolo delle deportazioni, …far trovare pronta per i compiti della ricostruzione quasi tutta l’imponente attrezzatura tecnica e amministrativa del ramo”120. Nessun dipendente dell’Italcementi venne deportato in Germania e vennero anche tutelati gli azionisti ebrei dell’Italcementi. A seguito di un decreto del 4 gennaio 1944 tutte le Società dovevano denunciare alle prefetture le azioni intestate a soci ebrei, che sarebbero naturalmente state confiscate. L’Italcementi usò una tattica dilatoria, continuando a chiedere proroghe, l’ultima delle quali venne accordata il 15 aprile 1945. Riuscì così a salvare il patrimonio dei soci ebrei consistente in 17.000 azioni. Infine, Antonio rivela alla Commissione di avere finanziato il CLN di Bergamo, versando personalmente 2,030 milioni di lire e per conto della Società 1,2 milioni, e anche il CLN centrale di Milano, facendo versare con fondi Italcementi quando era commissario 4 milioni di lire. Si era inoltre adoperato per far liberare alcuni esponenti partigiani. Il 17 giugno 1947 la Commissione formata da Gaetano Russo, Battista Bardanzellu, Enrico Vinci accoglie il ricorso di Antonio Pesenti e gli restituisce il diritto di ricoprire cariche in società per azioni121. Questa completa riabilitazione rende giustizia ad una personalità come quella di Antonio Pesenti, che aveva ben compreso che le fortune di un’azienda si basano sì sull’eccellenza tecnica ed amministrativa, ma non possono essere disgiunte dal panorama settoriale e generale del paese in cui si trova ad operare. Questa consapevolezza l’aveva portato ad assumere ruoli organizzativi degli interessi del suo ramo industriale sia a livello locale (Camera di Commercio 1919-45, Unione industriali per una decina d’anni) sia a livello nazionale (Federazione del cemento), non disdegnando anche altri consessi in cui far sentire la sua voce, in un periodo storico che fu particolarmente difficile sia dal punto di vista economico (guerre, crisi del ’29) sia da quello politico (dittatura). La sua tempra di lottatore, il suo equilibrio e il suo indiscusso talento lo portarono a saper navigare al meglio in acque 119 Nella Relazione di bilancio relativa al 1944, presentata dal commissario governativo all’assemblea degli azionisti il 26 marzo 1945, si dice a questo proposito: “Oltre ad avere mantenuto in efficienza tutte le Mense Aziendali, migliorando nel limite del possibile qualità e quantità delle somministrazioni, si è dato largo impulso agli Spacci specialmente di generi per l’alimentazione; altre provvidenze vennero attuate per venire incontro ai bisogni dei nostri dipendenti, impiegati ed operai. Ciò ha comportato, nell’esercizio in rassegna un onere notevolissimo che la Società ha affrontato con senso di compassione e umana solidarietà” (p. 41-42). Per esempio, nella Relazione tecnica relativa alla cementeria di Schio per il 1944, si legge: “Ad onta delle difficoltà nel secondo periodo dell’anno vennero distribuiti a ciascun operaio 1 taglio di abito (2 se con più figli), 10 litri di vino, 24 kg di granoturco, 2,5 kg di marmellata, 1 paio di scarpe, 650 gr di cuoio, 3 kg di riso. La mensa ha distribuito giornalmente un’ottima minestra. Abbastanza regolare il rifornimento dei copertoni per biciclette, mentre ha lasciato a desiderare il rifornimento della legna”. 120 Memoriale, cit., p. 27. In allegato si trova una dichiarazione di Paolo Radici che riporta nei particolari gli interventi di occultamento dei materiali e degli impianti e le operazioni di rallentamento della produzione effettuate all’Italcementi per volere di Antonio Pesenti. 121 Antonio non riassunse più cariche ufficiali in Italcementi, pur avendo lunga vita fino al 1967. xliv tanto tempestose, con risultati brillanti per la sua azienda e assai positivi per l’intera industria cementiera italiana, i due obiettivi per cui Antonio aveva speso tutta la sua operosa vita. Prima di chiudere con queste vicende legate alla guerra e al fascismo, occorre tuttavia ancora registrare una coda che riguarda l’astro nascente dell’Italcementi, l’ingegner Carlo. All’atto delle dimissioni di Antonio da commissario governativo, venne nominato dal nuovo prefetto di Bergamo Ezio Zambianchi, in data 30 aprile 1945, un commissario prefettizio nella persona di Francesco Perolari, che era stato consigliere dell’Italcementi dal 1943. Questi ritenne naturale richiamare subito Carlo Pesenti “esiliato” a Milano, perché riassumesse le redini dell’azienda. Nulla sembrava ostare a questa decisione, data la chiara persecuzione perpetrata contro Carlo da parte di elementi del regime fascista ormai caduto. E in effetti, l’ordine di servizio 1392 dell’11 maggio 1945 recita: “Su mia richiesta [del commissario prefettizio Francesco Perolari] in data odierna l’ingegner Carlo Pesenti riprende la piena sua attività inerente la sua carica di Direttore Generale con tutti i poteri e le attribuzioni esercitati fino al 19 luglio 1944”. Il successivo ordine di servizio 1393 è ancora più esplicito: “Dopo quasi dieci mesi di forzata assenza, riprendo le funzioni di Direttore Generale. Sono lieto che con ciò mi sia consentito di collaborare con i dipendenti tutti, affinchè il contributo che la “Italcementi” deve apportare alla ricostruzione del Paese possa essere efficace e degno delle tradizioni della Società! Le forze del lavoro devono avere la loro giusta parte nella vita della azienda ed io sono certo di poter fare assegnamento sulla loro cooperazione nel difficile momento che la Patria attraversa, pure nella riconquistata unità. Il Direttore Generale. F.o Ing. Carlo Pesenti”122. Il primo progetto realizzato da Carlo fu quello di visitare la filiale di Roma123. Il 19 maggio Carlo Pesenti con il ragionier Zaccarelli e l’ingegner Indaco partivano per Roma, dove arrivavano l’indomani. Dopo aver preso atto della situazione, avere avuto contatti con dirigenti di alcune cementerie e averne visitata direttamente qualcuna, l’ingegner Carlo rientrò a Bergamo il 28 maggio. Ma ebbe la sorpresa di essere fatto oggetto di nuove denunce – questa volta lo si accusava di collaborazionismo –, di essere sottoposto a giudizio, tenuto in carcere per 31 giorni e poi assolto in istruttoria. Non è emerso dalle carte chi fossero gli accusatori, ma il portavoce del CLN della Sede scrive il 28 gennaio 1946: “Ispiratori delle nuove denunce erano sempre i defenestrati di prima”124, che non mollarono nemmeno dopo il primo proscioglimento e continuarono a denunciare Carlo ad altre Commissioni di epurazione. Un nuovo proscioglimento in istruttoria venne decretato nel dicembre 1945. Stante questa nuova situazione, il commissario Perolari aveva deciso l’11 giugno 1945 di nominare un Comitato Consultivo di otto membri: Carlo Vigliani (che assumeva anche l’incarico di Direttore Generale in assenza dell’ingegner Carlo Pesenti), Silvio Benigni, Camillo Michelato, Paolo Radici, Vincenzo Indaco, Pietro Cella, Lorenzo Zaccarelli, Angelo Zanon (con funzioni di Segretario). La principale decisione presa fu quella di chiudere la filiale di Roma, decretando così ufficialmente la 122 A seguito di questa presa di responsabilità di Carlo, il 22 maggio 1945 Silvio Benigni e Paolo Radici rimettono il loro mandato operativo ricevuto a suo tempo dal commissario governativo Antonio Pesenti. 123 Questa filiale era stata costituita con atto del 7 ottobre 1943 per dirigere e sorvegliare le cementerie che non potevano più rispondere alla direzione di Bergamo. 124 Circolare di informazione, n. 1, 28 gennaio 1946, p. 1. xlv riunificazione dell’azienda. Dopo l’ultimo proscioglimento di Carlo, diventava poi urgente la riorganizzazione di una gestione “normale” dell’azienda. Da alcune lettere di Antonio Pesenti e da altre scarne notizie, risulta che la composizione del nuovo Consiglio di Amministrazione non fu operazione indolore. Da un lato c’era Antonio Pesenti, che privilegiava una composizione che: “non vuol creare delle novità né provocare riforme sostanziali, ma intende soltanto dare alla società un’amministrazione di uomini tratti per la maggior parte dall’amministrazione del passato, i quali abbiano di mira solo l’interesse della Società e decidano con serenità e giustizia l’ordinamento amministrativo futuro e scelgano le persone, a loro giudizio, più idonee cui affidare l’amministrazione della Società”125. Dall’altro lato stava un gruppo, che comprendeva l’ingegner Paolo Radici, per appoggiare il quale si erano adoperate le commissioni interne degli stabilimenti Italcementi. L’assemblea indetta per il 12 febbraio 1946 vide la conferma di 7 consiglieri (Micheletti, Vigliani, Carlo Pesenti, Perolari, Fiorini, Previtali, Badini Confalonieri); la famiglia Pellegrini, storicamente presente nel Consiglio di Amministrazione Italcementi, ebbe un avvicendamento, con la sostituzione di Fernando al cugino Massimo; i nuovi entrati furono: Gaspare Luchsinger, Giovanni (Gino) Rota126, Franco Pesenti (del ramo cartario della famiglia), Alessandro Donadoni e Rodolfo Bongianni (che era un funzionario della Bastogi, dimessosi il giorno dopo la nomina), sostituito ben presto da Felice Guarneri (vicepresidente della Bastogi, che rientrò in Consiglio di Amministrazione a partire dal maggio 1947127). In una lettera all’avvocato Gino Rota datata 14 marzo 1946, data in cui si era riunito per la prima volta il nuovo Consiglio di Amministrazione che aveva eletto Rota presidente, Antonio Pesenti si dice lieto dell’accordo raggiunto per la sua nomina e aggiunge: “Io sono certo che questa soluzione – sia pure raggiunta attraverso contrasti – può evitare nuove scissioni che sarebbero riuscite ancor più pregiudizievoli alla Società e mette le basi – sempre quando, come si dovrebbe ragionevolmente sperare, vi sia in tutti la buona volontà di curare soltanto gli interessi della Società – per la ripresa di quel cammino ascensionale interrotto e sconvolto dalle passate vicende. Lei saprà certo, col suo equilibrio e colla sua vigilanza, evitare il riaccendersi di nuovi dissidi ed il manifestarsi di atti di rappresaglia. Quello che soprattutto mi permetto di raccomandarle vivamente, anche nell’interesse sociale, è la situazione dell’ingegner Paolo Radici che va sistemata con dignità e prestigio essendo stato tenuto fino ad ora troppo in disparte e troppo poco considerato in rapporto al suo valore tecnico”128. 125 Lettera di Antonio Pesenti a Gino Rota, 16 gennaio 1946, in As Italcementi, Miscellanea. 126 L’avvocato Giovanni Rota era professor di Ragioneria e in tale veste nel 1923 risultava dirigere la “Biblioteca di ragioneria applicata” della Casa Ed. UTET, in cui venne pubblicato il corposo trattato di C. Marchiaro, Le fabbriche di calci e cementi, Torino, Utet, 1923, pp. 402, dove erano esposti tutti i più dettagliati modelli di rilevazione dei costi delle aziende del ramo, completi di modulari ed esempi, tratti da letteratura tedesca e americana. Venne nominato sindaco dell’Italcementi il 25 marzo 1933 e presidente del Collegio Sindacale nel 1940. 127 Antonio Pesenti aveva a lungo collaborato con Guarneri al Banco di Roma quando Guarneri ne era diventato presidente e Antonio vicepresidente. 128 Ibidem. L’ingegner Paolo Radici rientrò nel Consiglio di Amministrazione Italcementi come vicepresidente nel 1951-52, ma diede le dimissioni nel 1954 per incompatibilità, dopo che i suoi famigliari avevano deciso di fondare una propria cementeria indipendente a Monselice. Si veda il Verbale del CdA del 16 febbraio 1954, pp. 26-27. xlvi Nella riunione del nuovo Consiglio di Amministrazione del 14 marzo 1946 in cui Gino Rota era stato eletto Presidente, vennero eletti vicepresidenti Carlo Vigliani e Piero Micheletti, mentre Carlo Pesenti venne nuovamente nominato, e questa volta senza più intoppi, direttore generale. Venne anche nominato il Comitato Esecutivo (di sei membri, uno in più di quelli previsti in statuto), nelle persone di Rota, Vigliani e Micheletti, Carlo Pesenti, Previtali e Fiorini129. Incominciava così la nuova stagione dell’azienda nell’Italia della ricostruzione e del miracolo economico. CAPITOLO III LA GRANDE ESPANSIONE POST-BELLICA 3.1. La ricostruzione Come risultato delle misure messe in campo da Antonio Pesenti, che sono state illustrate nel precedente capitolo, l’Italcementi fu pronta a rimettere in funzione una parte delle sue cementerie, a riparare rapidamente quelle danneggiate ed a riprendere le attività di costruzione di quelle non ancora terminate, grazie alla continuità del suo apparato dirigente, che sapeva esattamente cosa fare. Quali furono le cementerie che necessitarono di maggiori interventi si deduce dall’elenco delle riparazioni e dei loro costi predisposto nel 1947 per ottenere contributi governativi per i danni di guerra (si Tab. 3.1. Spese per il rispristino degli impianti danneggiati dalla guerra al 31/12/1946 Albino Borgo San Dalmazzo Civitavecchia Incisa Valdarno (mil. lire) 0,3 1,8 25,4 3,9 Palazzolo sull’Oglio 26,3 Pontassieve 30,5 Pontremoli Salerno Schio Senigallia 0,7 0,03 0,07 40,8 Vaiano 0,9 Totale 129 130,9 Capannnone ed impianto di insaccamento Officina meccanica, magazzino, cabina elettrica, forni calce, impianto frantumazione e linee elettriche Forno rotante, capannone clinker, impianto produzione cemento bianco, laboratorio chimico, teleferica, officina meccanica, magazzini, abitazioni sociale Uffici, laboratorio chimico centrale, officina meccanica, reparto macinazione Cementeria; stazione teleferica, officina meccanica, magazzino, silos, uffici, centrali elettriche Macinazione crudo, macinazione cotto, compressori, teleferica, macinazione carbone, insaccamento, forni, cabina elettrica, uffici Capannone deposito clinker, magazzino, reparto forni Dietsch Muri di cinta Piloni teleferica Fabbricato forni verticali, capannone depositi cotto, magazzini attrezzi, tettoie, cabina elettrica, portineria, fabbricati vari, raccordo ferroviario Stazione d’arrivo teleferica, capannone clinker, reparto macinazione, reparto insaccamento All’entrata di Guarneri, Fiorini volle farsi sostituire in Comitato Esecutivo. xlvii Fonte: Archivio Fondazione Legler, Direzione generale, Segreteria, Danni di guerra, busta 61, fasc. 2, p. 37. veda la tab. 3.1). Si può vedere che i maggiori sforzi si fecero per Civitavecchia, Senigallia e Palazzolo sull’Oglio; la cementeria di Salerno era tanto compromessa che si ricostruì per il momento solo il muro di cinta, per proteggere i materiali. Già così si era recuperata una buona capacità produttiva e se i risultati non furono migliori e i livelli produttivi prebellici furono raggiunti solo nel 1950 (si veda il cap. 5), questo fu dovuto principalmente alla mancanza di energia elettrica e di combustibile. L’Italcementi, comunque, si manteneva attorno alla quota pari al 40% della capacità produttiva detenuta prima della guerra. Scorriamo in qualche dettaglio questa attività di ricostruzione. Partiamo da Borgo San Dalmazzo. Avendo già da tempo compreso che le marne del casalese, che avevano dato tanto impulso all’industria del cemento in quell’area, si stavano esaurendo e che occorreva ormai andarle a coltivare in galleria, con conseguenti notevoli aumenti di costi, i tecnici dell’Italcementi si erano messi già negli anni ‘30 alla ricerca di una nuova localizzazione dove si potesse costruire una cementeria a via secca per servire l’importante mercato piemontese. Tale ricerca si era soffermata su Borgo San Dalmazzo (in provincia di Cuneo) e, come detto nei precedenti capitoli, la costruzione dello stabilimento fu iniziata nel 1941, ma subì bombardamenti e rallentamenti negli anni di guerra. Solo un paio di anni furono però sufficienti, a guerra finita, per completarne la costruzione e fra il luglio e il dicembre 1947 vennero messi in esercizio i due forni rotanti previsti per una capacità di 150.000 t130. La seconda cementeria progettata già negli anni ’30, e i cui lavori erano in corso durante la guerra, era quella di Catanzaro. Alcune macchine ad essa destinate vennero danneggiate durante i bombardamenti di altre cementerie presso cui giacevano, così che il suo completamento postbellico fu lento e un po’ eterogeneo e l’unico forno rotante venne avviato nel 1951. Ben presto, tuttavia, la sua capacità venne raddoppiata e raggiunse le 200.000 t annue. Ancora più per le lunghe andò il completamento della cementeria di Catania, la cui costruzione, quasi ex-novo, dovette attendere la costituzione della Cementi Portland, con sede a Palermo131, che avvenne nel 1947 e il rinvenimento di adeguati finanziamenti. A questo scopo, come per la cementeria di Trieste, era stata avanzata una richiesta di finanziamenti ERP all’IMI per un ammontare massimo di 2 milioni di $, cui non si diede poi corso132. La prima pietra venne posta il 4 maggio 1952 e la cementeria venne avviata nel 1954133, con una capacità di 130.000 t. Grandi cure vennero dedicate per la rimessa in funzione della cementeria di Salerno, di cui si sono seguite le disavventure belliche nel precedente capitolo. La ripresa fu lenta perché venne ostacolata dalla mancanza di parti di ricambio, dalle continue interruzioni di energia elettrica, dall’esubero del personale e da problemi sindacali. Fino al 1949, si cercò comunque di ripristinare l’esistente, quindi iniziarono lavori di sistemazione generale e di potenziamento che si protrassero per tutta la prima 130 Ad essi se ne aggiunse un terzo nel 1955 e un quarto nel 1956 per una capacità produttiva totale di 450.000 t di clinker. 131 Questa società rilevò nel 1952 anche gli impianti di Villafranca. 132 Verbale del Consiglio di Amministrazione, 29 settembre 1951. Fu aperta tuttavia con l’IMI un’altra linea di finanziamento. 133 Si veda Cementi Portland Spa, Sede di Palermo, La nuova cementeria di Catania, Bergamo, Industrie Graf. Cattaneo, s.d. xlviii metà degli anni ’50. Un’attenzione analoga ricevettero la cementeria di Civitavecchia, con ampliamenti e realizzazione di nuovi impianti, quella di Trento, anch’essa molto danneggiata dai bombardamenti e con forti necessità di aggiornamento degli impianti e quella di Senigallia, come abbiamo sopra visto. A Cagliari, nel periodo 1945-1947, vennero allungati i due forni rotanti, raggiungendo una capacità produttiva di 130.000 t di clinker; altri due forni rotanti vennero installati, l’ultimo avviato il 26 luglio 1953134, che portarono la capacità a 220.000 t di clinker. La cementeria di Livorno, acquisita per un terzo ciascuno da Italcementi, Ilva e Calci e Cementi di Segni negli anni ‘30, era stata, come s’è detto, interamente distrutta. Nel dopoguerra, la Segni mise a disposizione la sua quota, rilevata a metà da Ilva e Italcementi, che ebbe la responsabilità della parte tecnica, seguendo tutta la fase della ricostruzione. Ma poi l’Ilva chiese all’Italcementi di diventare partner di maggioranza, cosicchè l’Italcementi scese al 45% e il 55% andò a Cementir, che gestì la cementeria, pur diventando Carlo Pesenti presidente della società. Questa fu l’origine della partecipazione che Italcementi mantenne a lungo in Cementir. Molto peculiari furono le vicende della cementeria di Pontremoli, che, malgrado i danni di guerra e gli smantellamenti, potè rientrare in funzione nel settembre 1945 e consentire i lavori di ricostruzione della cementeria di Apuania. Ma la sua capacità produttiva era molto limitata, arrivando nel 1947 a 20.000 t annue. Nei verbali del Consiglio di Amministrazione del 1949 si dà notizia di agitazioni da parte degli operai che volevano costituire una cooperativa per gestire direttamente la cementeria; nei primi mesi del 1951 tale cementeria venne espropriata con decreto prefettizio, cui l’Italcementi si oppose ricorrendo al Consiglio di Stato. Nel 1953 si ha notizia, sempre dai Verbali del Consiglio di Amministrazione, che l’Italcementi era disponibile ad una definizione amichevole della vertenza con la locale cooperativa, ma la cementeria finì per chiudere. L’ultima cementeria, già pensata negli anni ’30, che occorre ricordare è quella di Trieste. Già nel 1938 c’era stata un’intesa fra l’Italcementi e l’ILVA per la costruzione di una cementeria che avrebbe utilizzato la loppa dell’acciaieria di Servola, e che avrebbe impiegato calcare e marna argillosa di giacimenti non troppo lontani. Con la guerra non se n’era più fatto di niente. Nel dopoguerra l’Italcementi riprese in mano l’idea, che si concretizzò quando il 12 maggio 1949 venne costituito l’Ente del Porto Industriale di Zaule, per dare corpo ad una nuova zona industriale costiera della città. Il Presidente dell’Ente aveva lanciato un richiamo patriottico agli industriali italiani perché andassero ad investire in quest’area per compensare le industrie perse con i nuovi confini nazionali. L’Italcementi colse la palla al balzo e fu tra le prime società a rispondere al richiamo. Invitò a Bergamo una folta rappresentanza della Comunità triestina e del Governo Militare Alleato il 28 aprile 1950 per concludere l’accordo per la costruzione della nuova cementeria135. La prima pietra fu solennemente posta il 21 gennaio 1951, con una cerimonia memorabile, immortalata nel Notiziario dell’Ente Porto Industriale di Zaule136. Tre anni dopo circa, il 4 novembre 1954 si ebbe la Tab. 3.2. Capacità produttiva della Società Italcementi agli inizi del 1951 Potenzialità 134 Addetti Prodotti In As Italcementi è conservato il discorso inaugurale del Presidente Gino Rota. 135 Nell’archivio Italcementi si trova il discorso del presidente Gino Rota, l’elenco degli invitati (oltre una quarantina, fra cui il sindaco e il presidente della provincia) e persino il menu della colazione offerta al Grand Hotel Moderno. 136 Serie I, n. 4, febbraio 1951, Numero speciale dedicato all’Italcementi. xlix Albino 000t annue 55 250 60 140 Borgo San Dalmazzo 170 220 Cagliari Calusco d’Adda Cividale del Friuli 155 300 120 234 440 224 Civitavecchia 250 463 Genova Imperia 190 85 241 159 Modugno 140 194 Monopoli 75 181 Palazzolo sull’Oglio 165 278 Pontassieve Salerno 90 150 180 242 Schio Senigallia 110 115 168 172 Tregnago Trento Villafranca Tirrena Vittorio Veneto 145 130 145 140 209 211 198 209 2790 4613 Alzano Lombardo TOTALE Cemento Portland 500 e 680; cemento ferrico pozzolanico 500; cemento pozzolanico Mare 550 Agglomerante 425 chiaro; cemento super raffinato; calce eminentemente idraulica (e.i.) Cemento Portland 680, 500, esportazione; calce idrata fiore e edilizia; calce in zolle Cemento Portland 680 e 500; calce e.i. Cemento Portland 500 normale e di alto forno Cemento Portland 680 e 500 normale e di alto forno Cemento Portland 680, 500 e 500 chiaro, esportazione. Pozzolanico 500 modificato; Ultracem, Aquila bianca, Italbianco Cemento Portland 680, 500 e esportazione Cemento Portland 680, 500, esportazione; calce e.i. Cemento Portland 680, 500, pozzolanico Mare 500 Cemento Portland 500, esportazione; agglomerante 350 Cemento Portland 680, 500; calce e.i., gesso superventilato Cemento Portland 680, 500; calce e.i. Cemento Portland 680, 500, 500 chiaro, 500 pozzolanico Cemento Portland 680, 500 Cemento Portland 680, 500, pozzolanico Mare 550; calce e.i. Cemento Portland 680, 500; calce e.i. Cemento Portland 680, 500 Cemento Portland 680, 500, 500 pozzolanico Cemento Portland 680, 500, pozzolanico Mare 550, ferrico pozzolanico 500, esportazione, 500 speciale per iniezioni; calce e.i. Fonte: Rapporto per finanziamento IMI per Catania e Trieste, marzo 1951, in As Italcementi, IMI. Note: per quanto riguarda la capacità produttiva di cemento, manca solo la controllata Apuania (100 mila t) e Livorno, comunque passata in gestione alla Cementir nel corso del 1951; per quanto riguarda invece l’occupazione, mancano anche le controllate Sacelit e Cidi e i servizi generali, per circa 1200 addetti, che porterebbero il totale a 5800 occupati (il che concorda con quanto riportato nei par. 8.2 e 8.3) cerimonia di inaugurazione137. La cementeria aveva originariamente un solo forno rotante, ma nel 1962 ne venne avviato un altro, per una capacità produttiva globale di 400.000 t. Un quadro dettagliato della capacità produttiva della Società agli inizi del 1951 emerge dal rapporto predisposto per quella richiesta di finanziamento all’IMI sopra citata (si veda la tab. 3.2): Catanzaro non è ancora inclusa e naturalmente nemmeno Catania e Trieste avviate nel 1954. La capacità totale, compresa Catanzaro, era pari a circa il 45% di quella italiana. Alla fine del 1951 si presentò l’opportunità di acquisizione della Società Fabbriche Riunite di Cementi del Friuli e Val di Setta, che 137 Si veda Italcementi, La nuova cementeria di Trieste, Bergamo, Ind. Grafiche Cattaneo, s.d. l eserciva le cementerie di Udine, Padova e Cividale. La fusione avvenne con atto 23 giugno 1952, a decorrere dal 1° gennaio 1952. Si trattava di piccoli impianti; quelli di Udine e Padova vennero chiusi nel 1959-60 e quello di Cividale venne compattato con lo storico impianto Italcementi con l’installazione di un forno rotante Polysius e di nuovi reparti per il deposito e la consegna del cemento. Il vasto programma di investimenti comprendeva anche alcune centrali elettriche: l’impianto di Mezzoldo Olmo, costruito fra 1946 e 1953 su un ramo del Brembo (11.000 kW); la ricostruzione con nuovo progetto dell’impianto di Palazzolo, entrato in funzione nel 1958; l’impianto di Vaprio d’Adda, originariamente costruito dalla Società Linificio e Canapificio Nazionale e ceduto all’Italcementi nel 1956 (16.000 kW); la turbina a gas da 6.000 kW di Villa di Serio, che andava a potenziare i turbo generatori a vapore di potenza 60.000 kW. Villa di Serio era anche il centro della complessa rete che univa le centrali con le cementerie di Albino, Alzano Lombardo, Calusco, Palazzolo. Dal punto di vista organizzativo, con grande rapidità Carlo Pesenti decise di articolare l’azienda in quattro rami: la capogruppo Italcementi avrebbe continuato ad occuparsi, insieme alle sue consociate, del “core business”; il settore dei manufatti in legno-cemento e cemento-amianto sarebbe stato concentrato nella Sacelit Spa (con stabilimenti ad Alzano Lombardo, Calusco d’Adda e Senigallia), quello della calce idrata nella CIDI (Calci Idrate d’Italia) Spa (con stabilimenti a Marcellina e Bergamo) e le partecipazioni finanziarie nell’Italmobiliare. Il 13 settembre 1946 questa nuova configurazione del gruppo venne formalizzata con atti notarili e sarebbe rimasta intatta fino alla fine degli anni ’70. Nel corso del 1948 Carlo Pesenti assunse di nuovo la carica anche di Consigliere delegato. Il primo importante avvicendamento nel Consiglio di Amministrazione avvenne nel 1950, quando fu nominato consigliere Massimo Spada138, al posto dell’ingegner Previtali che si ritirava per motivi di età. Guarneri e Fiorini vennero sostituiti nel 1955 con Tullio Torchiani (futuro presidente della Bastogi) e con Giovanni Falck. Ricorderemo, en passant, che tra il 1950 e il 1958 la chiusura dell’anno amministrativo fu portata al 30 giugno139 (si veda nella tab. 3.3 la composizione del Consiglio di Amministrazione 1946-1961). [tab. 3.3] 3.2. L’Italcementi e la campagna antimonopolistica di sinistra e radicali Tra la fine della guerra e i primi anni ’60 si instaurò un’alleanza peculiare fra la sinistra italiana e i laico-radicali, raggruppati attorno a riviste come Il Mondo e L’Espresso, nella conduzione di una forte campagna “anti-monopolistica”. Le motivazioni non potevano essere più opposte: la sinistra partiva da una radicale avversione per il mercato, cui voleva sostituire lo Stato; i laico-radicali, invece, avevano del mercato una visione “pura”, vicina a quella di perfetta concorrenza, che non ammetteva la presenza di grandi imprese private oligopolistiche, arrivando a preferire la gestione pubblica delle grandi imprese quando fosse impossibile ricondurle ad una pluralità di soggetti concorrenziali. Non vi è dubbio che il fascismo aveva lasciato in eredità agli imprenditori una mentalità da mercato chiuso e regolato, giustificata tuttavia 138 Massimo Spada era il segretario amministrativo dello IOR (Istituto delle Opere di Religione) di proprietà del Vaticano, dove ricopriva altri importanti incarichi. 139 Originariamente, questo era stato fatto per adeguarsi alla prassi di molte altre aziende, ma nel 1958 si dovette ritornare all’antico per una nuova regolamentazione emanata in relazione alle imprese che producevano energia elettrica. li anche dalle dimensioni piccole dell’economia italiana e dall’isolamento prodotto dall’elevato protezionismo degli anni ‘30, ma la forte espansione dell’economia postbellica e l’apertura dei mercati internazionali si sarebbero incaricati di scardinare questo contesto. Una campagna che accompagnasse questo processo con una forte richiesta di liberalizzazione era certamente opportuna, ma l’accanimento con cui essa venne condotta richiama a precise responsabilità nell’aver allargato la sfera dell’impresa pubblica ben al di là delle dimensioni già notevoli ereditate dal fascismo con l’IRI, e nell’aver reso la vita difficile alle poche grandi imprese italiane. Si tratta di responsabilità che non sono state ancora sufficientemente indagate dagli storici. Il bersaglio preferito da sinistra e radicali erano i grandi gruppi elettrici, dalla Edison alla Sade, dalla Centrale alla SME, che infine furono nazionalizzati nel 1962. Ma qualsiasi settore dove vi fossero grandi imprese con consistenti quote di mercato veniva preso di mira. La storia della Montecatini è a questo proposito paradossale. Attaccata alla fine degli anni ’40 come una “piovra” dell’economia italiana140, finì con il fondersi con la Edison dopo la nazionalizzazione, formando una Montedison ancora più grande, ma assai bisognosa di razionalizzarsi. Invece gli attacchi non cessarono, nemmeno quando si abbattè il ciclone delle crisi petrolifere; si preferì alla fine rafforzare il suo competitore pubblico (Anic, poi Enichem), fino ad arrivare all’avventura di Gardini nella seconda metà degli anni ‘80, che fu l’ultimo tentativo di mantenere una grande impresa privata nella chimica italiana, terminato a favore dell’ENI141, con la successiva dissoluzione di Montedison142. Ma anche lo zucchero, le assicurazioni, la Federconsorzi, i giacimenti di idrocarburi, qualsiasi settore dove ci fossero grandi imprese o che non si prestasse all’entrata di numerosi soggetti imprenditoriali era buono per gridare al “monopolio”143. In questo contesto, non sorprende che l’Italcementi diventasse anch’essa un bersaglio, a partire dall’inchiesta di Critica Economica, pubblicata nell’aprile del 1948144. In tale inchiesta, per la verità di notevole rigore documentario e senza commenti di sorta, Italcementi compariva accanto alle società elettriche, ad alcune finanziarie dell’IRI, al gruppo Falck, IFI-Fiat, Italgas, BPD, Burgo, Pirelli, Snia Viscosa. Meraviglia che non ci fosse la Montecatini, ma il progetto era di far seguire il volume da altri. Gli attacchi all’Italcementi arrivarono ad un picco nel 1953, quando contemporaneamente sull’Unità e sul Mondo apparvero lunghi e dettagliati articoli che non si peritavano di accumulare esagerazioni e notizie la cui veridicità non era stata controllata per dimostrare le loro tesi. Per farci un’idea dello spirito dei tempi, seguiamo nella tab. 3.4 le principali argomentazioni dell’articolo dell’Unità firmato da Carlo De Cugis145, con la puntuale risposta preparata in contrappunto dagli uffici dell’Italcementi 140 Una piovra dell’economia italiana. Il monopolio Montecatini, a cura della CGIL, con prefazione di Giuseppe Di Vittorio, Roma, 1950. 141 Si veda V. Zamagni, “L’ENI e la chimica”, in Energia, 2003 (XXIV), n. 2, pp. 16-24 (ripubblicato in A. Clô (a cura di), ENI. 1953-2003, Bologna, Ed. Compositori, 2004, pp. 95-113. 142 Sull’evoluzione postbellica della chimica italiana, si veda V. Zamagni, The rise and fall of the Italian chemical industry, 1950s-1990s, in The global chemical industry in the age of the petrochemical revolution, a cura di V. Zamagni e T. Hikino, in corso di pubblicazione presso CUP. 143 Si veda L. Piccardi, T. Ascarelli, U. La Malfa, E. Rossi, La lotta contro i monopoli, Bari, Laterza, 1955. 144 Radar, Organizzazione del capitale finanziario italiano, Prefazione di Antonio Pesenti, Casa ed. Edizioni Italiane, 6 aprile 1948. Se ne utilizzeranno alcuni dati nel cap. 9. 145 “Un milione all’ora il record dell’Italcementi”, in L’Unità, 15 novembre 1953. lii e conservata in dattiloscritto, da cui si imparano molte cose sull’Italcementi nel 1953, per esempio che la sua quota produttiva (che non si era potuto accertare da altre fonti) era attorno al 45%. Se gli attacchi della sinistra comunista non sorprendono, l’acrimonia con cui Ernesto Rossi146 continuò per anni a screditare l’Italcementi, in buona compagnia con Tab. 3.4. Le accuse dell’Unità e le risposte di Italcementi novembre 1953 Unità “Chi sia il signor Italcementi è presto detto, e va detto perché per la sua modestia e per il suo odio per certo tipo di popolarità, è sempre rimasto nell’ombra. L’Italcementi è un grosso organismo a carattere monopolistico che controlla circa l’80%, poco più poco meno, della produzione nazionale del cemento “…con il suo cemento a caro prezzo si costruiscono quasi tutte le case, le scuole, gli ospedali d’Italia…” “L’ing. Pesenti…lo troverete nell’empireo della Confindustria, in veste di suo vicepresidente, seduto alla destra di Costa…” “…il prezzo di vendita (del cemento) è fissato in anticipo; è fissato dal CIP, meglio conosciuto come quel Comitato formato dai vari grossi industriali monopolisti per fissare al limite a loro più favorevole il prezzo del loro prodotto…” “…la produzione annua controllata dalla Italcementi [è] di circa 30 milioni di quintali…” La produzione dell’Italcementi è “suddivisa nei suoi 30 e più stabilimenti” L’articolista accenna agli investimenti dell’ing. Pesenti nella RAS, Lancia, Tosi, Condor, BPL Italcementi “L’accusa, se così si può chiamare, che viene fatta alla Italcementi di essere un monopolio è uno dei motivi o argomenti polemici a carattere politico cari a certa stampa”. La nota dell’Italcementi prosegue spiegando che cos’è un monopolio e concludendo che sono “condizioni tutte che non si verificano per la Italcementi. Infatti: a) la produzione totale del gruppo Italcementi non raggiunge il 45% di tutta la produzione nazionale…; b) non esiste nessun accordo fra l’Italcementi e le altre imprese cementifere; c) non esiste alcun divieto in Italia di produrre cemento…; d) i prezzi di vendita non sono liberi… L’Italcementi ribadisce che il CIP “segue criteri rigorosi e non del tutto ortodossi (trascura quasi completamente la voce “ammortamenti”…)” e poi offre un paragone con altri paesi industriali da cui risulta che il prezzo del cemento italiano è allineato, a dispetto degli elevati costi del combustibile e della “esuberanza di personale rispetto alle necessità derivanti dalla forte disoccupazione esistente in Italia…Si constata così che in Inghilterra per t. 11 milioni di produzione gli addetti sono circa 15.000; in Francia per t. 9 mil circa 14.000; in Svizzera per t. 1,4 mil 1.700; in Germania per t. 14,5 mil 18.000…., mentre in Italia per t. 7,5 mil gli addetti sono circa 17.500”. Più sotto si ribadisce che gli industriali non amano il prezzo controllato e hanno più volte cercato di tornare al mercato libero “L’ing. Pesenti non è, e non è mai stato, Vicepresidente della Confindustria” L’Italcementi riporta la composizione del CIP, fatto di rappresentanti di 8 ministeri, vari organi tecnici e dai rappresentanti dei datori d’opera e dei prestatori d’opera di Agricoltuta, Industria e Commercio L’Italcementi ha buon gioco nel mostrare che questo dato, leggermente sopravvalutato rispetto a quello reale, ma vicino, è in palese contraddizione con la prima affermazione relativa alla quota dell’80% “Le cementerie attualmente in attività ….non sono “più” di trenta, ma ventiquattro (esclusa Apuania, dove la partecipazione è di due terzi)” “Il rilievo che può essere fatto…è che non si deve parlare di partecipazioni dell’ing. Pesenti, ma della Società Italcementi. L’ing. Pesenti non è proprietario dell’Italcementi e nemmeno 146 Su questo personaggio, si veda A. Carparelli, “Ernesto Rossi”, in A. Mortara (a cura di), I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, Milano, Angeli, 1984. liii L’articolista passa ad accennare alla catena di giornali che sarebbe posseduta dall’ing. Pesenti: la Notte, il Giornale d’Italia, il Resto del Carlino, la Nazione, il Mattino di Napoli “…e siccome il problema dell’abitazione è un po’ come il problema del pane che bisogna risolvere ad ogni costo, perché senza casa non si sta, come non si può vivere senza pane…” possiede la maggioranza delle azioni; ma ha solo una piccolissima percentuale di azioni che si aggira sull’1%. Utile ricordare che gli azionisti dell’Italcementi raggiungono il numero di 10.000. Queste considerazioni dovrebbero far cadere la montatura che è stata fatta sul suo nome come grande capitalista e dargli atto, invece, della sua elevata capacità di amministratore e di tecnico…” L’Italcementi ribadisce infondate le notizie salvo che per la Notte e per una partecipazione di minoranza nel Giornale d’Italia147 La nota dell’Italcementi ha buon gioco nel ricordare che al più il cemento incide per un 5% sulla spesa complessiva di costruzione delle case e ricorda che attraverso l’ISMES, Istituto di cui Italcementi è stata promotrice, si promuove il risparmio e l’efficienza nell’uso del cemento tantissime altre società, risulta meno comprensibile, se non nel contesto generale sopra richiamato di liberalizzazione dell’economia, un processo che attraverso l’abolizione di tutte le “bardature” avrebbe dovuto portare ad un utopistico mercato libero e perfettamente concorrenziale e approdò invece ad un allargamento dell’impresa pubblica e ad un indebolimento della grande impresa privata. Del resto, era quello che Ernesto Rossi preferiva esplicitamente148. Nella foga della polemica, nemmeno Ernesto Rossi rifuggiva talora da grossolane interpretazioni dei fatti, come l’ascrivere la lievitazione del capitale e dei profitti dell’Italcementi dopo la guerra ad una “eccezionale prosperità della Italcementi”149, senza dar adeguato conto del processo inflazionistico intervenuto. L’Italcementi restò nel mirino di Ernesto Rossi anche negli anni successivi, paradossalmente perché era un’azienda che andava troppo bene e perché il suo capo Carlo Pesenti diventava sempre più importante nel mondo dell’imprenditoria italiana150. 147 In seguito il gruppo arrivò a controllare Il Tempo (1974, acquistato da Angiolillo, direttore Gianni Letta) e ad avere partecipazioni minoritarie nel Giornale di Bergamo e nella Gazzetta del Sud. 148 Si leggano le parole di un suo articolo: “Per conto nostro, dobbiamo confessare che non nutriamo alcuna simpatia per questa libertà dei lupi e dei pescecani. Se vogliamo ridurre lo sfruttamento dei consumatori da parte dei gruppi monopolistici e difendere sul serio contro di loro le istituzioni democratiche, dobbiamo porre dei limiti alla “autonomia” delle grandi società industriali, qual è l’Italcementi, imbrigliandole in argini giuridici sufficientemente robusti per costringerle a muoversi nella direzione meglio rispondente ai veri interessi collettivi. Altrimenti non resta che la nazionalizzazione” Zucchero sul Cemento, pubblicato su “Il Mondo”, 24 novembre 1953 e ripubblicato in E. Rossi, Il Malgoverno, Bari, Laterza, 1955, p. 367. 149 E. Rossi, Il barone di Bergamo, in “Il Mondo”, 18 dicembre 1953, ripubblicato in Il Malgoverno, cit., p.373, dove Rossi polemizza con l’articolo de Il Sole che rintuzzava i suoi ragionamenti. Si veda Gin, Cemento sul “Mondo”, in “Il Sole”, 9 dicembre 1953. 150 Famoso e abbondantemente ripreso dalla pubblicistica fu il titolo di un altro articolo di Ernesto Rossi contro Carlo Pesenti, Carletto pigliatutto, in “Il Mondo”, 23 dicembre 1958, ripubblicato in E. Rossi, Borse e borsaioli, Bari, Laterza, 1961, in cui l’A. elencava le società che vedevano la presenza di Carlo Pesenti nel CdA, particolarmente meravigliandosi della Cementeria di Livorno, del cui CdA Carlo era Presidente, benchè l’azionista di maggioranza fosse l’IRI. Ancora sul “pericoloso centro di potere economico” rappresentato dall’Italcementi batteva l’ultimo articolo di Ernesto Rossi I feudi dell’ing. Pesenti, in “L’Astrolabio”, 10 giugno 1963, ripubblicato in E. Rossi, I nostri quattrini, Bari, Laterza, 1964, p. 206, suggerendo allo Stato di “far cessare ogni forma di ‘collaborazione’ della Cementir e delle altre società cementiere controllate dallo Stato con i gruppi capitalistici privati, imponendo a queste società di sganciarsi dalle organizzazioni private di categoria (AITEC e assocemento); e [mettendo] alla testa di queste società uomini non addomesticabili dai Grandi Baroni” (p. 214). liv Nel corso del 1962 su forti pressioni della sinistra e del gruppo dei radicali venne insediata la Commissione Parlamentare di inchiesta sui limiti posti alla concorrenza nel campo economico, che si occupò anche dell’industria del cemento e tenne varie audizioni, compresa quella di Carlo Pesenti151, terminando con una Relazione tecnica dettagliatissima redatta dal professor Pietro Battara, di cui ci avvarremo in seguito. I lavori terminavano con una relazione di maggioranza nella quale si concludeva che: “1) risulta accertata in tutto il periodo preso in esame un’ampia libertà di accesso e di esodo delle imprese produttrici; 2) risulta accertato un grado di concentrazione della produzione inferiore a quello di molti altri paesi….3) risulta accertato che i prezzi praticati in Italia sono i più bassi d’Europa e fra i più bassi del mondo;…5) si ritiene che la regolamentazione da parte dello Stato dei prezzi del cemento debba essere conservata…; 7) premesso quanto sopra, si ritiene che nel settore del cemento non si verifichino effettive limitazioni alla libera concorrenza”152. Ma ci furono anche due relazioni di minoranza, una del deputato Roberti, ancor più favorevole agli industriali del cemento, e una del deputato Leonardi, dove invece si concludeva che: “in questa industria esistono limitazioni alla concorrenza, rilevando queste dai margini di profitto eccezionalmente favorevoli e dalla protezione statale ai medesimi e non dal movimento di entrata e di uscita delle imprese nel settore, che non è rilevante a questo effetto…Il modo in cui è stato effettuato l’intervento statale ha praticamente creato situazioni di rendita per i produttori in grado di utilizzare in forte misura economie di scala. Ne sono derivati utili particolarmente alti per i gruppi più forti…con conseguenti larghe possibilità di remunerazione non solo del capitale azionario ma soprattutto con conseguente accumulo di disponibilità interne utilizzate per autofinanziamento di ulteriori impianti nel settore o per espansioni di vario genere fuori dal settore stesso…si ritiene [quindi] opportuno ricordare i particolari caratteri dell’industria del cemento…che la indicano come una delle possibili industrie da nazionalizzare, tenuto anche conto delle caratteristiche del prodotto certamente di “base”153. Furono gli ultimi colpi di coda di questa campagna antimonopolistica generalizzata. Ben presto altri più pressanti problemi attrassero l’arena politica: l’autunno caldo, le crisi petrolifere con i loro strascichi di difficoltà per le imprese e la necessità di politiche di salvataggio. Qualche grande impresa restò nell’occhio del ciclone, come Montedison, ma un’azienda come l’Italcementi che non ebbe mai a 151 Dei cui esiti egli diede conto nella seduta del 15 febbraio 1963 del Consiglio di Amministrazione, in cui riferì che l’interrogatorio era durato oltre quattro ore, spaziando anche su temi non correlati con l’industria del cemento. La testimonianza di Carlo Pesenti non venne pubblicata. 152 Camera dei Deputati, Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sui limiti posti alla concorrenza nel campo economico. Parte II. Settore del Cemento. Relazione di maggioranza, Roma, Poligrafico dello Stato, 1965, pp. 55758. Va notato che un’indagine commissionata circa un quindicennio dopo dall’Unione Europea giungeva alla medesima conclusione: “…Possiamo affermare senza tema di essere smentiti che in Italia il fenomeno della concentrazione finanziaria – fenomeno naturale per le industrie del cemento, come abbiamo detto – si pone su livelli decisamente inferiori a quelli oggi esistenti negli altri Paesi della Comunità Europea e dell’Europa in genere” p. 103 di Commissione delle Comunità Europee, Studio sull’evoluzione della concentrazione nel settore del cemento in Italia. Aprile 1979, Bruxelles, 1979. 153 Ibidem, pp. 566-67. lv mendicare aiuti e puntelli dall’esterno, non poteva più fare notizia. Queste vicende avevano comunque segnato indelebilmente la strategia intrapresa da Carlo Pesenti fin dagli anni della ricostruzione. C’erano due cose di lui che i commentatori non riuscivano proprio a spiegarsi: la riservatezza e la “passione” per la diversificazione. In realtà, ambedue sono caratteristiche del tutto comprensibili alla luce di quanto detto. Sulla prima contava certo il carattere personale, ma anche la necessità di proteggere l’azienda da attacchi ancora più pesanti, con la riservatezza che la legge all’epoca permetteva154, fino a quando ciò non fu più né possibile né necessario. La seconda caratteristica, invece, fu propria di tutte le imprese che vennero attaccate dalla campagna antimonopolistica. Con la diversificazione si coglievano, infatti, due obiettivi ad un tempo. In primo luogo, si riusciva a far crescere l’azienda al di fuori del campo proprio, dove non solo ciò era impensabile, ma poteva essere opportuno addirittura diminuire la presenza: infatti l’Italcementi lasciò scivolare la sua quota dal 45% che ancora aveva nel 1952-53 al 35% nel 1959 (primo anno dopo il 1953 in cui si ha un dato certo). Proprio per la riservatezza sopra richiamata, si hanno pochi documenti diretti di Carlo. Ma uno trasmette questa chiarezza di idee sulla necessità della diversificazione. Si tratta di una delle pochissime interviste rilasciate da Carlo Pesenti, sorprendentemente ad una rivista femminile. In essa Carlo Pesenti venne fra l’altro richiesto di spiegare il suo attivismo imprenditoriale in settori tanto diversi dal cemento ed ecco la risposta: “La mancanza d’immaginazione, in politica come in economia, gli riesce inspiegabile ed è una convinzione fondata sul cemento. Nel dopoguerra il prezzo del cemento, fissato a sua discrezione dal Comitato Interministeriale dei prezzi, gli parve arbitrario e soprattutto insufficiente a ‘consentire un margine per giustificare l’attività delle imprese’. Lo disse nel 1948 al Ministro dell’Industria: ‘Se non ascolterete le nostre buone ragioni, voi mi obbligherete a fare una cosa che è contro la mia volontà e contro le mie stesse aspirazioni: dovrò evadere dal settore dei cementi ed occuparmi di tutte – non so quante siano – di tutte quelle cose dove non vi è più il blocco dei prezzi stabilito dal comitato interministeriale. Potrò così trarre quei benefici e quei vantaggi che mi mancano nel settore cementiero e cercherò di aiutare la mia società. Non voglio esserne l’affossatore’. Fu allora155 che fondò l’Italmobiliare e divenne una presenza dinamica, agile, temuta, quasi mitica, nei settori più diversi, sempre informato, sempre curioso in chiave tecnologica”156. Il secondo obiettivo che si voleva cogliere attraverso la diversificazione era quello di preparare qualche alternativa nella malaugurata ipotesi in cui si fosse verificata effettivamente la nazionalizzazione. Questo fu vero per la Edison, che investì nel settore chimico e si fuse dopo la nazionalizzazione con la più grande impresa chimica dell’epoca; se alla fine la cosa non ebbe successo, fu per eventi successivi non prevedibili, ma la strategia aveva seguito una logica corretta. Nel par. 3.4 di questo capitolo cercheremo di capire a grandi linee quale fu la strategia di diversificazione seguita da Carlo Pesenti. 154 Questo spiega certe genericità delle Relazioni di bilancio degli anni ’50 che, come notava Ernesto Rossi, si occupavano dello scenario mondiale, ma quando arrivavano alle informazioni su Italcementi non fornivano nemmeno il dato sulla produzione. 155 In realtà, l’Italmobiliare era già stata fondata. 156 Articolo di cinque pagine di G. Torelli, “L’ingegner con l’impero privato”, in Grazia, 16 marzo 1969, p. 44. lvi Oltre a riservatezza e diversificazione, va menzionata un’altra linea strategica cui Carlo Pesenti non venne mai meno nella conduzione dell’Italcementi: l’eccellenza tecnica. Dedicheremo appositi capitoli nella seconda parte di questo lavoro ad approfondire questo aspetto. Per portare avanti il filo della storia dell’Italcementi oltre la ricostruzione, forniamo però nel successivo paragrafo un quadro per sommi capi dell’evoluzione impiantistica e tecnologica dell’azienda. 3.3. Nuove cementerie ed eccellenza tecnologica Tra 1947 e 1974 furono dodici le cementerie interamente progettate e costruite dall’Italcementi ex-novo (se ne veda l’elenco nella tab. 3.5). Si può notare che quattro erano nell’Italia settentrionale, tre delle quali andavano a coprire aree che erano sempre state considerate strategiche (Piemonte, Veneto, Friuli), ma erano rimaste prive di valide cementerie, mentre le altre si collocavano nel mezzogiorno ed entravano a far parte della strategia di sviluppo economico di quell’area. Per le cementerie siciliane, venne costituita nel 1952 la Società Cementi Portland, poi tramutata in Cementerie Siciliane nel 1967, quotata in borsa nel 1987 e incorporata nel 1996; per le cementerie di Sardegna venne costituita la Società Cementerie di Sardegna, anche questa quotata in borsa nel 1987 e incorporata nel 1996; per le altre venne costituita la Cementerie Calabro Lucane nel 1980, in compartecipazione con Insud, poi tramutata in Cemensud nel 1980 e incorporata nel 1996. I dati tecnici su queste cementerie verranno esposti nel cap. 7. Tab. 3.5. Cementerie costruite dall’Italcementi 1947-1974 Borgo San Dalmazzo Catanzaro Catania Trieste Isola delle Femmine Monselice Scala di Giocca Rezzato Porto Empedocle Samatzai Matera Castrovillari Anno di avvio dei forni 1947 1951 1954 1954 1958 1959 1960 1964 1967 1973 1974 1974 Attivi nel 2004 X X X X X X X X X Fonte: tab. 7.3. Va qui ricordato che Carlo Pesenti, diventato nel 1963 Vicepresidente di Italcementi e nel 1967 Presidente (si veda la tab. 3.6 che riporta la composizione del CdA negli anni 1962-1982), non mancava di andare a vedere direttamente i migliori modelli stranieri di cementeria. Nel 1952 fece un viaggio negli Stati Uniti, di cui diede conto nella seduta del CdA del 13 febbraio, notando che dal punto di vista tecnico i maggiori progressi erano stati realizzati nella fase della macinazione. Anche lui, come tutti coloro che si recavano allora negli Stati Uniti, non potè non essere colpito dalla elevata capacità organizzativa degli americani. Ecco le sue parole riportate nel verbale: “macchine a circuito chiuso ad alti rendimenti, tendenza a far lavorare gli impianti al massimo delle potenzialità, dimensioni aziendali superiori a quelle europee (media di lvii 300.000 t all’anno)157, un più alto grado di preparazione generale delle maestranze ed un maggior impegno nel lavoro”158. Molto più tardi, quando il Giappone iniziò a stupire gli occidentali per la sua mirabolante capacità di crescita e originale organizzazione del lavoro, Carlo Pesenti si recò in Giappone e ne trasse “utili ammaestramenti in tema di organizzazione industriale”159, ma le principali sue cure furono sempre rivolte all’aspetto tecnico. Con la Franco Tosi, di cui l’Italcementi diventò azionista di maggioranza, e con l’Ufficio Progetti della Direzione Tecnica Centrale, ufficialmente attivo dal 1965, ma informalmente operante già negli anni precedenti, vennero progettati impianti e macchine, poi fatti costruire a varie ditte, sotto il controllo dell’Italcementi, cosicchè si può veramente dire che la Società era divenuta proprietaria di capacità progettuali di intere cementerie da poter essere vendute chiavi in mano. Un esempio interessante è il seguente. La Direzione Nuovi Impianti e la Direzione Servizi Specializzati vennero incaricate nel 1967 del progetto di una cementeria in Qatar per conto della Franco Tosi che aveva vinto la gara d’appalto. La costruzione della cementeria e delle macchine principali venne seguita dalla Franco Tosi sulla base dell’intero progetto effettuato da Italcementi e consegnata chiavi in mano alla Qatar National Cement Company nell’estate del 1969. Un francobollo con l’immagine della cementeria venne emesso dal Governo del Qatar. 3.4. La figura di Carlo Pesenti e l’Italmobiliare L’appellativo con cui Carlo Pesenti era solito essere chiamato dai media era quello di “Re del cemento”; eppure, al di fuori della polemica antimonopolistica che coinvolse l’Italcementi, l’opinione pubblica si occupava di lui più per le attività fuori dal settore del cemento che per i risultati ottenuti nel suo “core business”. Non è compito di questo volume, che ricostruisce la storia dell’Italcementi e non quella della famiglia Pesenti, anche se ovviamente la famiglia ne è magna pars, seguire nei dettagli le vicende dell’Italmobiliare160. Ci sono però due buoni motivi per dedicarle almeno un paragrafo: il fatto che fino al 1979 l’Italmobiliare era una partecipata dell’Italcementi e il fatto che senza un’idea della sfera di influenza dell’Italmobiliare non si comprende la figura di Carlo Pesenti e la sua eredità. Si può dire che, come il cugino Antonio eccelse nel suo coinvolgimento totalizzante nel settore cementiero in anni in cui questo era permesso, così Carlo eccelse nella sua presenza a tutto campo nell’economia italiana, in particolare nel mondo della finanza. Del cugino condivideva anche l’etica del lavoro. Di Carlo si diceva infatti che si alzasse alle 5.30 del mattino; chi poi passava vicino alla sede dell’Italcementi a Bergamo in Via Camozzi a tarda sera poteva spesso vedere la finestra del suo studio ancora illuminata. Nemmeno i numerosi infarti di cui fu vittima a partire dal 1963 l’avevano fiaccato e ogni volta tornava al lavoro con il medesimo spirito; solo negli ultimissimi anni si era dovuto stabilire per ragioni di salute a Monaco, ma da lì 157 Come si vedrà nella tab. 7.2, la dimensione media degli stabilimenti italiani nel 1952 non raggiungeva le 100.000 t all’anno. 158 Verbali del Consiglio di Amministrazione, riunione del 13 febbraio 1952. 159 Verbali del Consiglio di Amministrazione, riunione del 27 novembre 1968. 160 L’archivio dell’Italmobiliare non è stato quindi da me consultato. lviii continuava a tenere i suoi affari sotto controllo. Conservava uno stile di vita morigerato e riservato, non lesinando spese solo per strumenti di lavoro, particolarmente i trasporti (automobili, elicotteri, aerei). La ricerca sopra citata di Critica Economica, che ci dà la situazione delle partecipazioni dell’Italcementi-Italmobiliare nel 1947, e un documento conservato nell’archivio Italcementi che riguarda il 1948 ci forniscono il punto d’inizio della quasi quarantennale (1946-1984) attività di Carlo con l’Italmobiliare, di cui aveva stabilito l’ufficio nel centro di Milano, in Via Borgonuovo 20. Non infarciremo questo paragrafo di lunghi prospetti con l’elenco di tutte le partecipate che via via vennero incluse nell’Italmobiliare, ma ci soffermeremo solo sulle principali, così come daremo conto solo delle principali vicende. Dunque, nel 1947, l’unica significativa partecipazione di minoranza al di fuori del settore cementiero risultava essere quella nella Banca Provinciale Lombarda, attorno al 26%161. Esisteva anche una minima partecipazione nella Società per le Strade Ferrate Meridionali, più nota come Bastogi, dal nome di chi la fondò nel lontano 1862162. Questa finanziaria aveva acquisito la più importante singola partecipazione in Italcementi (pari nel 1947 al 13%), nel cui Consiglio di Amministrazione aveva un rappresentante. L’interesse di Italmobiliare per la Bastogi si rafforzò, come vedremo, con l’andar del tempo. Nel 1948 aveva già fatto il suo ingresso in Italmobiliare un’altra partecipazione importante, quella nella Falck, di cui venne acquistato in più riprese un pacchetto press’a poco pari ad un quarto del capitale163 configurando un’alleanza con la famiglia Falck durata a lungo. Per tre date (1952, 1960, 1972) successive ci soccorre una ricerca sulla composizione dei Consigli di Amministrazione delle Spa italiane condotta da un gruppo di ricercatori universitari di cui chi scrive ha fatto parte164, oltre a notizie raccolte da varie altre fonti pubblicate. Nel 1952 venne acquisito il pacchetto di controllo della RAS e, insieme a Falck, una partecipazione nella Franco Tosi. Ancora nel 1952, Carlo Pesenti era già presente nel Consiglio d’Amministrazione del Credito Commerciale di Cremona165. Nel 1960 Carlo Pesenti sedeva in ben 38 Consigli d’Amministrazione. Fra quelli che si erano aggiunti, ce ne sono due di peso. Il primo era quello di Efibanca, sorta come EFI (Ente Finanziamenti Industriali) nel 1939 per lo sconto dei crediti 161 Radar, op .cit., p. 295. Si trattava di una banca sorta nel 1932 come fusione di alcune piccole banche cattoliche. Il pacchetto di maggioranza era detenuto dall’Istituto Centrale di Credito. Nel corso degli anni ’50 l’Italmobiliare arrivò a controllare la Banca e già nel 1952 vi aveva posto come direttore quel Luigi Ciocca noto come “il banchiere di Pesenti”. Si veda S. Licini, op. cit. e M. Comana, Dalle AM lire all’euro: le banche e la finanza, in Dalla ricostruzione all’euro, t. II. Cultura, economia e welfare, a cura di V. Zamagni, Bergamo, Fondazione per la storia economica e sociale di Bergamo, 2002. 162 Si tratta di una finanziaria molto studiata, che deriva dalla nazionalizzazione delle ferrovie del 1905 e che svolse un cruciale ruolo per l’industria elettrica e meccanica negli anni fino alla grande crisi, riprendendo un suo ruolo importante nel dopoguerra, fino alla sua definitiva crisi nella seconda metà degli anni ’70. Si veda G. Piluso, “Lo speculatore, i banchieri e lo Stato. La Bastogi da Max Bondi ad Alberto Beneduce (1918-1933)”, in Annali di storia dell’impresa, v. VII (1991), pp.319-373 e dello stesso autore, “Finanza ed economia di guerra: la Bastogi (19351947)”, in Storia in Lombardia, XII (1993), pp. 19-47. 163 Distinta delle partecipazioni azionarie al 31 ottobre 1948, in As Italcementi, Miscellanea. 164 E’ stata costituita presso l’Università di Firenze la banca dati Imita che raccoglie i dati quali-quantitativi sulle Spa italiane contenuti nei volumi Notizie Statistiche sulle principali società italiane per azioni (inizialmente pubblicati dal Credito Italiano e poi dal 1928 dall’Assonime) per alcune date benchmark, di cui quelle che interessano Carlo Pesenti sono appunto il 1952, il 1960 e il 1972. La banca dati è ora in rete al www.essetiweb.it/imitadb/. 165 Risultavano a tale data 28 in totale i Consigli d’Amministrazione in cui Carlo era presente, in varie funzioni. Si veda a questo proposito R. Giannetti e M. Vasta, L’impresa italiana nel Novecento, Bologna, Il Mulino, 2003. Nel saggio di A. Rinaldi Imprenditori e manager (1913-1972) contenuto in tale volume si parla di Carlo Pesenti come uno dei big linkers della sua epoca. lix vantati nei confronti dello Stato dalle imprese che lavoravano per la guerra ed entrata nel dopoguerra nell’orbita della BNL166. La Franco Tosi era un’azionista storico di Efibanca, ma Pesenti appoggiò i suoi pacchetti azionari prima nella Banca Provinciale Lombarda, poi anche nella RAS, nell’IBI, fino ad arrivare al 19%, seconda quota dopo quella della BNL167. Il secondo Consiglio d’Amministrazione importante era quello della Lancia, dove Carlo Pesenti non sedeva per conto dell’Italmobiliare, ma per un investimento effettuato in prima persona. La storia della Lancia è stata ricostruita su documentazione d’archivio da Franco Amatori168. Nel suo volume si rivela che a fare da ponte tra Gianni Lancia, che voleva liberarsi dell’azienda di famiglia, e Carlo Pesenti fu l’amministratore delegato della Lancia avvocato Aldo Panigadi (che era in quella posizione dal 1951), il quale aveva ricoperto varie funzioni in Italcementi e in altre aziende collegate fin dal 1945 e riuscì a far leva sulla passione che Pesenti aveva per automobili ed aerei. Il passaggio del pacchetto di maggioranza avvenne nel giugno 1956, ma fu solo nel 1958 che Carlo Pesenti, visti i cattivi risultati di gestione, cercò di prendere in mano la situazione, accedendo alla carica di vicepresidente e chiamando Eraldo Fidanza alla presidenza. Fu una soluzione non felice, nonostante l’intuizione di Pesenti che per la Lancia occorreva definire una posizione di nicchia nel segmento alto del mercato e la sua documentata disponibilità ad investire, fra l’altro nella costruzione di un nuovo stabilimento a Chivasso. Ci furono delle congiunture sfortunate: la recessione del 1964 colpì il processo di riorganizzazione in una fase cruciale; l’accordo con la Fiat per non invadere spazi reciproci non venne onorato (dalla Fiat). Fu così che tra l’ottobre e il novembre 1969 l’intero pacchetto azionario della Lancia non potè che essere ceduto ad Agnelli169. Ciò causò un raffreddamento dei rapporti di Carlo Pesenti con Agnelli. Nel corso degli anni ’60 l’Italmobiliare acquisì otto istituti di credito170 che vennero fusi nel 1967 assumendo la denominazione di IBI (Istituto Bancario Italiano)171. Nel 1967-68 venne acquisito il Credito Legnanese e nel 1971-72 la Banca Alto-Milanese; venne acquisita poi anche la maggioranza della Banca di Alessandria. Nel 1969 accadde un episodio che lasciò pesanti strascichi. Il noto finanziere Michele Sindona, a caccia di occasioni per acquisire banche, si era accorto che l’Italcementi era controllata da un patto di sindacato inferiore al 50% e che era quotata in borsa al di sotto del valore reale dell’Italcementi stessa e delle sue partecipate, particolarmente l’Italmobiliare. Si rese dunque artefice a partire dal 1968 di una vera e propria scalata all’Italcementi, rastrellando in borsa un consistente pacchetto azionario (la stampa parlò del 37%). Per i buoni uffici della Banca d’Italia, Sindona fu persuaso a rivendere le 166 Si veda M. Bagella (a cura di), Efibanca e l’industria italiana, Firenze, BNL ed. Giunti, 1999. 167 Ibidem, p. 28. 168 F. Amatori, Impresa e mercato. Lancia 1906-1969, Bologna, Il Mulino, 1996. 169 Ecco cosa conclude Amatori: “Non si può dire che l’imprenditore bergamasco non si sia impegnato nell’ormai improcrastinabile ristrutturazione aziendale…Pesenti non ha molta fortuna; la congiuntura negativa del 1964 interrompe bruscamente una fase nella quale lo sforzo sostenuto per gli investimenti sembrava dare qualche risultato sul piano produttivo ed economico”. Ibidem, p. 220. 170 Il primo istituto ad essere comperato fu il Credito di Venezia e del Rio de la Plata; successivamente quattro banche in difficoltà vennero acquisite dall’ex senatore democristiano Teresio Guglielmone: Banca di credito e risparmio, Banca di credito genovese, Banca torinese Balbio e Guglielmone, Credito mobiliare fiorentino; altre tre banche vennero acquistate da azionisti vari: Istituto bancario romano, Banca Naef Ferrazzi Longhi, Banca romana. 171 Per sollevare le banche acquisite da immobiliari con andamento negativo, Italmobiliare ne acquistò alcune, fra cui Punta Ala. lx azioni possedute172. Carlo Pesenti con i suoi famigliari ed amici decise allora di costituire una finanziaria – Efiparind sa (Etablissement des financements et des partecipations industrielles), con sede in Lussemburgo – per ricapitalizzare le due finanziarie della famiglia Cemital e Privital (esistenti dal 1965) in modo che potessero rilevare le azioni di Sindona, facendosi fare un prestito per una parte della cifra necessaria dalla Banca Provinciale Lombarda, con l’approvazione della Banca d’Italia. Questa vicenda lasciò in eredità una struttura proprietaria più solida e meno attaccabile da scalate di borsa173. Nel 1972 Carlo Pesenti risulta presente in 33 Consigli d’Amministrazione, con una configurazione ormai consolidata: banche, assicurazioni (acquisito il controllo anche dell’Assicuratrice Italiana), la finanziaria Bastogi, la Franco Tosi, la Società per l’aereoporto di Bergamo Orio al Serio. Si parla ormai sulla stampa di un “impero”, che, come tutti gli imperi, ha necessità finanziarie e manageriali sempre crescenti. Nello stesso anno, infatti, l’Italmobiliare si fece dare un prestito dallo IOR, agganciato al franco svizzero, utilizzato per sistemare alcuni debiti a breve e consolidare alcuni pacchetti azionari. Gli anni successivi di grande inflazione e quindi di altissimi tassi di interesse sul debito in presenza di una temporanea scarsa redditività dell’Italcementi, che soffriva per il prezzo del cemento bloccato (si veda il cap. 9), e per le difficoltà di mercato di tutte le aziende del gruppo, imposero a Carlo Pesenti di razionalizzare l’organizzazione finanziaria del suo gruppo. Nel 1974-75 vennero cedute al Banco Lariano le partecipazioni di maggioranza nel Credito Legnanese e nella Banca AltoMilanese, mentre l’anno dopo venne rilevata la maggioranza relativa della Bastogi dalla Montedison174, del cui sindacato di controllo per un certo tempo fece parte anche Carlo Pesenti in rappresentanza dell’Italcementi175. Nel 1979, per poter sistemare parte dell’indebitamento crescente, venne ceduto il Credito Commerciale al Monte dei Paschi di Siena. In quel medesimo anno, su pressione della Banca d’Italia e del Ministero del Tesoro (guidato all’epoca dal bergamasco Filippo Maria Pandolfi), Carlo Pesenti dovette porre fine all’anomalia di una finanziaria come l’Italmobiliare che possedeva delle banche ed era controllata da una società industriale, l’Italcementi. Lo fece cedendo azioni Italmobiliare in portafoglio agli azionisti Italcementi pro quota (una azione Italmobiliare ogni due azioni Italcementi)176, al prezzo di 10.000 lire cadauna. L’Italmobiliare rilevò successivamente il pacchetto di controllo della stessa Italcementi, ribaltando in tal modo l’originario 172 Altri tentativi analoghi fece Sindona, in seguito, come l’Opa sulla Bastogi nel 1971, essa pure fallita. 173 In seguito a Cemital e Privital si aggiunse anche la Finanziaria Aureliana. 174 R&S, 1980, p. 1571. In relazione alla Bastogi, va ricordato che esistevano fino a tale data partecipazioni incrociate, essendo la Bastogi un grosso azionista dell’Italcementi. Quando la legge 216 del giugno 1974 impose il divieto di incrocio, le azioni Italcementi della Bastogi vennero vendute alla SAI, che diede in cambio alla Bastogi azioni dell’Unicem. A seguito di ciò, Tullio Torchiani si dimise dal Consiglio d’Amministrazione dell’Italcementi. In sua sostituzione venne nominato l’ingegner Giacomo Demonte. Si veda Verbale del Consiglio d’Amministrazione, riunione del 29 settembre 1977. 175 Notizia tratta dall’archivio IMI, che conserva i documenti del sindacato di controllo di Montedison, quando questo fu presieduto dal direttore generale dell’IMI Giorgio Cappon (1973- primi mesi del 1975). Le azioni Montedison di proprietà dell’Italcementi furono in seguito alienate al Gruppo Ferruzzi con delibera del Comitato Esecutivo del 17 dicembre 1986, in cambio del 26,66% del capitale della Calcestruzzi Spa e del 21,4% del capitale della Cementi Ravenna Spa. 176 Si veda il Verbale del Consiglio d’Amministrazione, riunione del 19 febbraio 1979. Da notare che, per varie ragioni formali di conflitto d’interessi, la proposta potè essere votata in consiglio solo dai due consiglieri Franco Pesenti e Massimo Spada. lxi rapporto tra le due società. Ma l’Italmobiliare, posseduta prima dell’inversione al 100% dall’Italcementi e quindi sotto il controllo diretto di Carlo Pesenti, venne ad avere un azionariato molto vasto ed essendo stata quotata in borsa ebbe l’obbligo di adeguare i suoi bilanci alla normativa vigente per le società finanziarie quotate. Emerse così la necessità, fra l’altro, di saldare il conto allo IOR contratto nel 1972, che si presentò salato, per la grossa svalutazione della lira nei confronti di tutte le monete forti, particolarmente il franco svizzero. Era un’operazione che conveniva fare al più presto, perché il trend svalutativo della lira nei confronti del franco svizzero non accennava ad invertirsi. A partire dal 1976, Mediobanca attraverso la sua controllata R&S ha pubblicato annualmente la ricostruzione contabile e societaria dei principali gruppi italiani, risalendo per taluni di questi al 1971. Con questo strumento è possibile seguire le vicende dell’Italmobiliare con maggiore precisione a partire dal 1975, ma anche la stampa quotidiana e settimanale diventa ricca di particolari. Infatti, un po’ per il riordino del gruppo, un po’ per l’impennarsi dell’inflazione che fece sballare i conti di molte imprese, l’Italmobiliare si ritrovò con un indebitamento crescente (quasi 600 mld lire nel 1980 e 773 mld nel 1981). Ma prima che si potesse porvi rimedio, ci fu un colpo di scena, che vide Carlo Pesenti ai primi di marzo 1982 entrare nel Banco Ambrosiano, rilevando la partecipazione che Carlo De Benedetti aveva rimesso un mese prima177. I rapporti tra Roberto Calvi e l’Ambrosiano risalivano almeno al 1979. Dopo l’uscita di Carlo De Benedetti dal Banco, Calvi convinse Carlo Pesenti che il Banco Ambrosiano aveva una solida posizione e prospettive di buon rendimento e che era prossima la sua quotazione in borsa. Ma i nuovi rapporti tra Pesenti e Calvi, ormai avviluppato in un nodo drammatico178, vennero presto interrotti: Carlo Pesenti ebbe un ennesimo attacco di cuore ai primi di maggio del 1982 e il 17 giugno successivo Roberto Calvi venne assassinato e ritrovato la mattina dopo a Londra sotto il ponte dei Blackfriars. Fu così che nel luglio 1982 l’Italmobiliare dovette alienare l’IBI alla Cariplo, mentre anche la Bastogi necessitava di interventi urgenti179. La cessione dell’IBI non fu sufficiente per sistemare l’indebitamento dell’Italmobiliare (giunto alla fine del 1982 poco oltre i 1000 mld), anche a causa dei procedimenti giudiziari avviati a seguito del crack Banco Ambrosiano che avevano bloccato il recupero della partecipazione; alla fine del 1983 i debiti erano ancora a 821 mld lire. Con l’aggravarsi delle condizioni di Carlo, il figlio Giampiero venne nominato direttore generale dell’Italcementi (ordine di servizio 1595) il 26 luglio del 1983, mentre la carica di Consigliere Delegato gli verrà conferita solo il 29 settembre 1984 (ods 1602). Ancora, venne rimesso in funzione il Comitato Esecutivo – inizialmente formato da Carlo Pesenti, Giampiero Pesenti, Antonio Catani (vicepresidente), Franz Schmitz, il presidente del Collegio Sindacale e due sindaci – che da allora in poi rimase un organo assai attivo. Dell’Italmobiliare Carlo Pesenti continuò a rimanere presidente e consigliere delegato, mentre alla fine del 1982 direttore generale divenne Franco Barlassina. A questo punto, non restava che alienare la Banca Provinciale Lombarda180, operazione che si trascinò per molti mesi e si concluse solo nel maggio del 1984 con la 177 Secondo R&S, 1982, p. 1736, questa partecipazione era pari al 3,61% del capitale del Banco Ambrosiano. In una successiva edizione di R&S, risulta invece pari al 4,08%. 178 Si veda per l’intera vicenda del Banco Ambrosiano C. Bellevite Pellegrini, Storia del Banco Ambrosiano. Fondazione, ascesa e dissesto 1896-1982, Bari, Laterza, 2002. 179 La partecipazione Italmobiliare risultava pari ancora al 19,22%; salì ulteriormente in seguito. 180 Questa banca aveva incorporato nel 1983 la Banca di Alessandria. lxii vendita all’Istituto San Paolo di Torino. Anche la partecipazione in Efibanca181 venne alienata alla BNL. Ma il perverso meccanismo degli interessi composti in periodo di inflazione non dava tregua E’ in questo contesto di progressivo e già ben avviato processo di ripianamento dell’indebitamento dell’Italmobiliare che la forte fibra di Carlo Pesenti cedette il 20 settembre 1984 al General Hospital di Montreal, dove avevano fatto un estremo tentativo di salvarlo dall’ennesima complicazione cardiaca. Di lui i giornali scrissero di tutto, sottolineando particolarmente i suoi insuccessi (la Lancia e l’ultima disgraziata vicenda del Banco Ambrosiano) e commettendo molte imprecisioni182. Quando sarà possibile fare una storia dell’Italmobiliare, si vedrà che le iniziative imprenditoriali di Carlo attraversarono le tormentate vicende dell’economia italiana degli anni ’70 - primi anni ’80, sempre restando legate a principi etici sostanziali, anche se non sempre formali. Dal nostro osservatorio dell’Italcementi, diremo che Carlo riuscì con la diversificazione perseguita con vigore a cogliere due obiettivi importanti: mettere al riparo l’Italcementi da qualsiasi tentativo di nazionalizzazione e assicurare una sfera di influenza alla famiglia che, andando ben al di là del cemento, la poneva al centro di alleanze e di reti di rapporti utili per non chiudersi in un troppo “quieto” vivere bergamasco e quindi in definitiva strategici per lo sviluppo nazionale ed internazionale dell’azienda. Chi si giovò massimamente di questa strategia fu l’erede Giampiero Pesenti. 181 Questa partecipazione era stata in portafoglio all’IBI fino al 1982, poi trasferita all’Italmobiliare. 182 Di imprecisioni non è scevro neanche il paragrafo dedicato ai Pesenti nel volume di S. Cingolani, Le grandi famiglie del capitalismo italiano, Bari, Laterza, 1990. lxiii CAPITOLO IV DA BERGAMO AL MONDO 4.1. L’era di Giampiero Pesenti Si può veramente dire che Giampiero Pesenti abbia ereditato dal padre la discrezione e la indefessa capacità lavorativa, anche se dovette rinviare a lungo l’impiego delle sue doti strategiche e di comando. Infatti suo padre Carlo era troppo abituato ad essere protagonista in prima persona per dividere con lui i posti di governo dell’azienda. L’ingegner Giampiero Pesenti, sposato a Franca Natta, figlia del famoso premio Nobel Giulio, tre figli, non mancò però di essere coinvolto nelle vicende dell’azienda paterna. Iniziò con un incarico nell’ambito della Direzione tecnica di Italcementi; fu nominato capo dell’Ufficio progetti del Settore nuovi impianti della Direzione tecnica centrale il 12 agosto 1965 (ods 1476, si veda il cap. 8) e nel 1967 venne inserito nel Consiglio di Amministrazione dell’azienda183, da cui potè seguire tutti gli sviluppi dei travagliati anni ’70- primi anni ’80 e farsi un’idea di quello che avrebbe voluto fare una volta salito al comando. Nel dicembre 1971 assunse la carica di condirettore tecnico centrale del Settore nuovi impianti. Fu attivo in altre società del gruppo, particolarmente la Franco Tosi, nel cui Consiglio di Amministrazione entrò nel 1968, diventandone vicepresidente nel 1973. Diventato Direttore generale di Italcementi alla fine di luglio del 1983, posizione dalla quale aveva contribuito alla dismissione che l’Italmobiliare, ancora sotto la presidenza del padre e sotto la direzione generale di Franco Barlassina, aveva fatto della Banca Provinciale Lombarda e della importante partecipazione in Efibanca, Giampiero assunse la carica di consigliere delegato di Italcementi pochi giorni dopo la scomparsa del padre il 29 settembre 1984 (mentre alla presidenza venne eletto Antonio Catani, già vicepresidente, si veda la tab. 4.1. per la composizione del Consiglio di Amministrazione 1983-1992). Ai primi di ottobre assunse anche la presidenza e il ruolo di consigliere delegato dell’Italmobiliare, completando così la sostituzione del padre Carlo sulla plancia di comando del gruppo. Dalla rapidità con cui agì nei giorni successivi si deriva la chiara convinzione che Giampiero Pesenti avesse ben in mente la sua strategia: ritornare al cemento, mantenendo ciò che valeva la pena di mantenere del resto, ma in posizioni di tranquillità finanziaria, con una prospettiva di rottura della posizione di stallo in cui l’Italcementi da tempo si trovava sul mercato italiano e di conquista di spazi all’estero (si veda il cap. 5). Rifiutò così una possibile alleanza, che Carlo De Benedetti gli prefigurava con l’acquisto di un pacchetto consistente184 dell’Italmobiliare e che avrebbe significato 183 Nel 1967 entrò anche nel Consiglio di Amministrazione delle Cementerie Siciliane, dell’Italmobiliare e della Natro Cellulosa. Nel 1972 fu la volta del Consiglio di Amministrazione della RAS e della Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck; nel 1976 di Cemensud; nel 1980 delle Cementerie di Sardegna. Fu presente anche nel Consiglio di Amministrazione di finanziarie e banche. 184 La stampa parlava di un 15% arrivato a De Benedetti attraverso il Banco Ambrosiano Overseas, che a sua volta l’aveva rilevato dall’IFI di Agnelli. lxiv rendersi disponibile per altre avventure finanziarie, e con la consulenza di Mediobanca, con cui riannodò immediatamente i fili, preferì stringere la trattativa per la cessione del pacchetto di controllo della RAS (38%), che venne acquistato da Allianz attraverso la Morgan Grenfell alla fine di ottobre185. Questo passo chiudeva definitivamente la partita dei grossi debiti dell’Italmobiliare e conquistava a Giampiero il rispetto e anche l’ammirazione del mondo degli affari italiano, che aveva apprezzato la sicurezza e la metodicità con cui il nuovo capo dell’Italcementi e dell’Italmobiliare si era presentato sulla scena. A questo punto, le mosse successive potevano essere studiate con calma e riguardarono prevalentemente l’Italcementi, ma anche la Franco Tosi. L’ovvio candidato per una successiva dismissione era la Bastogi, che era stata la principale finanziaria italiana fino agli anni ‘60186, ma poi era incappata in numerose difficoltà. Negli esercizi 1985/86 e 86/87 l’Italmobiliare cedette il 20,8% della Bastogi alla Società dell’Acqua Pia Antica Marcia. Più meditata e complessa fu la decisione riguardante la Franco Tosi, con la quale Giampiero Pesenti aveva un forte legame personale e che intendeva rafforzare, facendone la “seconda gamba” del suo gruppo insieme a Italcementi. Nel 1985 si procedette all’acquisto del ramo aziendale dell’Ercole Marelli; quindi all’acquisizione di una nuova quota della GIE, permettendo così alla Franco Tosi di essere fornitore di “isole di potenza”. Nell’agosto 1987, venne raggiunto un soddisfacente accordo con la Brown Boveri, con scambio di partecipazioni tra la Franco Tosi Industriale e le attività italiane della Brown Boveri, ma alla conclusione dell’acquisizione della Brown Boveri da parte della Asea si dovette a malincuore cambiare strategia, per i mutati rapporti di potere che si erano determinati. Si decise allora per la vendita delle attività operative della Franco Tosi nel settore elettromeccanico al gruppo Asea Brown Boveri187, assieme ad altre partecipazioni del gruppo connesse al settore - un’operazione complessa che si concluse nel 1990 - mentre il resto della Franco Tosi e della sua controllata Franco Tosi Industriale rimase sotto il controllo dell’Italmobiliare e portò avanti negli anni successivi una vivace politica di acquisizioni, nel settore ambiente, dei materiali per imballaggio e isolamento, delle macchine per l’edilizia (Loro & Parisini), bancario (con l’acquisto di una partecipazione in Credito Italiano) e della distribuzione acqua e gas (CREA). Nel campo editoriale, fonte di notevoli perdite, dopo la dismissione della Notte vi fu anche quella del Tempo di Roma con il contestuale acquisto del 20% della Generale Finanziaria Editoriale del gruppo Monti nel 1987/88188, seguito nel 1991 da una riorganizzazione del settore editoriale del gruppo Italmobiliare nella Partecipazioni ed Iniziative Editoriali. Da menzionare l’ingrandirsi della controllata SAB autoservizi di Bergamo, una società di trasporti su gomma già da tempo in portafoglio, che tra 1991 e 1992 acquisì il controllo della Società Autotrasporti Busti e della SIA (Società Italiana Autotrasporti), costituendo così uno dei maggiori gruppi privati di trasporto pubblico di persone dell’Italia settentrionale. L’Italmobiliare divenne in questo modo una 185 In quattro tranches, un 8% subito e il resto a scadenze successive. Anche il quotidiano la Notte venne ceduto a Edilio Rusconi nell’agosto 1984. Si veda R&S, vari anni. 186 S. Battilossi, Banche miste, grandi imprese e società finanziarie 1900-1933, in G. Conti e S. La Francesca (a cura di), Banche e sistemi di banche nell’Italia unita, Bologna, Il Mulino, 2000, v. I e G. Piluso, Un centauro metà pubblico e metà privato. La Bastogi da Alberto Beneduce a Mediobanca 1926-1969, in “Annali della Fondazione Einaudi”, 1992 (XXVI), pp. 347-392. 187 R&S, 1990. 188 Si veda il Verbale del Consiglio di Amministrazione, riunione dell’8 luglio 1987. lxv finanziaria dinamica e ricca, con un controllo societario stabile189, che poteva essere utilizzata per operazioni coerenti con le strategie dell’Italcementi, come vedremo nei prossimi paragrafi. Nei mesi precedenti la grande operazione di cui si dirà nel paragrafo 4.3 la sua liquidità si era particolarmente innalzata, come veniva notato da tutti gli osservatori finanziari (si veda il cap. 9). L’avvicinamento di Giampiero Pesenti a Mediobanca di Cuccia significò l’entrata in Mediobanca (attraverso Italmobiliare e Italcementi) e anche nella nuova finanziaria Gemina190, che per qualche tempo svolse sotto l’egida di Mediobanca il ruolo di raccordare alcuni fra i più grandi gruppi italiani in operazioni finanziarie di comune interesse. Nel dicembre 1988 Cuccia in persona chiese a Giampiero Pesenti di accettare la carica di presidente di Gemina (vicepresidente Francesco Paolo Mattioli), carica che venne mantenuta fino al 1996. Ma molte altre Società hanno visto la presenza di Giampiero Pesenti, fra cui Credito Italiano (94-99), Fiat (85-96), Gim (90-in essere), Mediobanca (92-99), Pirelli (90- in essere), Montedison (84-86, poi Compart 99-2001), Fincomind (70- in essere; vicepresidente dal 1985). In Confindustria, è membro della Giunta ed è stato vicepresidente 1992-96; ha assunto cariche in numerose associazioni di categoria, fra cui Assocemento, Aitec, Cembureau. Si fonde dunque in lui sia l’attaccamento al core business tipico di Antonio, sia la disponibilità alla diversificazione, con particolare attenzione alla finanza tipica di Carlo. 4.2. Riorganizzazione aziendale e primi tentativi di espansione all’estero. Le cure di Giampiero Pesenti furono, come si diceva, principalmente rivolte all’Italcementi, che tornò così al centro degli interessi del gruppo. In primo luogo, si procedette ad un’attenta riorganizzazione della compagine aziendale. Non ci fu settore dell’azienda che non fosse rivoltato da cima a fondo, per renderlo meglio adeguato ai tempi, efficiente, ma anche immaginativo. Era l’epoca dell’introduzione del marketing, della finanza d’impresa, della ricerca e sviluppo già svolta dal Laboratorio Chimico Centrale, dell’informatica, della valorizzazione delle risorse umane e tutto questo entrò in Italcementi, con una continua attenzione a testare le innovazioni organizzative e cambiarle se non davano risultati ritenuti soddisfacenti, come si vedrà nel cap. 8. Resa l’azienda più adeguata ai nuovi compiti e sistemato il gruppo dal punto di vista finanziario, Giampiero si dedicò ai progetti di espansione. Le avvisaglie della nutrita campagna acquisti all’estero, ma anche in Italia, si hanno nel 1987191. La prima concretizzazione delle trattative sull’estero si ha con l’acquisizione nel giugno 1987 dalla Gillingham Portland Cement Ltd del 33,3% della R C Cement Co inc. di Dover (Delaware, USA), una finanziaria che controllava tre cementerie: la River Cement Co, con stabilimento a Selma (Missouri), la Hercules Cement Co, con stabilimento a Stockertown (Pennsylvania) e la Signal Mountain Cement Co, con stabilimento a Chattanooga (Tennessee), con una capacità annua complessiva di 2,3 milioni di t. Il 189 Nel 1994, la maggioranza delle azioni erano così suddivise: 44,87% alla Compagnia Fiduciaria Nazionale, che amministrava i pacchetti delle finanziarie Cemital, Privital e Aureliana, controllate da Efiparind, a sua volta controllata da Rosalia Radici Pesenti; 5,69% SAI e 4,99% Mediobanca (totale 55,55). Si veda R&S, 1994. 190 I pacchetti azionari di proprietà del gruppo erano inizialmente appoggiati a Franco Tosi e Italcementi (che lo acquisì nel 1986). 191 Nel Verbale del Comitato Esecutivo, riunione del 22 maggio 1987, si legge: “l’ing. Pesenti informa il Comitato Esecutivo circa l’avvio di alcune trattative per l’acquisizione di quote, anche all’estero, di società operanti nel settore del cemento. Per quanto riguarda l’Italia, la possibile acquisizione di una quota della Cementir è tuttora in discussione” (pp. 5-6). lxvi restante 66,7% era già di proprietà di Unicem e IFINT. Questa operazione permetteva all’Italcementi di affacciarsi sul mercato americano. Nello stesso mese di giugno 1987, Giampiero diede notizia dell’acquisizione di una “scatola vuota”, la CIPE Sud (inattiva), subito trasformata in So.Fi.Cem, nella quale far confluire le partecipazioni cementiere minoritarie, come R.C. Cement. Inoltre, venne deliberata anche l’assunzione di una partecipazione nella società di ingegneria Italconsult (Generale per la Progettazione Consulenze e Partecipazioni) tramite la Finanziaria Italcementi192. Mentre la privatizzazione di Cementir, che poteva essere un’occasione interessante, andava per le lunghe, si presentò nel luglio 1987 la possibilità di acquisto della Fibronit Spa, una società con stabilimenti a Broni, Borgotaro e Casale Monferrato, con una capacità produttiva totale di 600.000 t. L’acquisizione del 70% della Società avvenne nel settembre 1987193. Da ricordare anche che nel corso del 1987 si perfezionò, come già ricordato nel precedente capitolo, l’acquisizione del 26,67% della Calcestruzzi e del 21,14% della Cementi Ravenna del gruppo Ferruzzi. Nel corso del 1989, la Nuova Sacelit194 acquisì, tramite la Finanziaria Sacelit (di nuova costituzione), il controllo della Società del Gres, operante nel settore del gres ceramico. Successivamente, si aprirono trattative per l’acquisizione di cementerie in Jugoslavia e nella Cecoslovacchia. Sulle trattative in Dalmazia – un “vecchio amore” per Italcementi, come si è visto nel capitolo 1, ma ridiventata zona di interesse per i consistenti flussi di esportazione attivati da quella zona in Italia fin dal 1983 – riferì il Comitato Esecutivo nella riunione del 29 ottobre 1990; si trattava della possibilità di costituire una o più società miste con la Dalmacija Cement, che controllava tre aziende cementiere con stabilimenti nella zona di Spalato, con una capacità produttiva di circa 2 milioni di t195. Alla fine dell’anno la trattativa si concluse negativamente per le inaccettabili condizioni imposte da parte jugoslava. A buon fine andarono invece i contatti con la Cecoslovacchia, nell’ambito del processo di privatizzazione delle aziende di Stato avviato in quel paese. Anche in questo caso le trattative andarono assai per le lunghe, ma nell’agosto del 1991 venne acquisito il 46,1% della Cement Hranice (elevato al 63,6% nel 1992), una società localizzata nel Nord della Moravia con una capacità produttiva di circa 600.000 t. Quasi subito si aprirono trattative per un’altra società cecoslovacca, la Cemos Ostrava, di cui venne acquisito il controllo (68%) nel febbraio 1992. Si trattava di un’azienda localizzata vicino all’altra già acquisita, con una capacità produttiva di circa 500.000 t. Insieme, le due aziende ceche coprivano il 15% circa del mercato interno. Ma non erano mancati contatti anche in altre direzioni: la Cimpor portoghese, un’azienda pubblica che controllava il 70% del mercato interno, ma che non fu mai approcciata formalmente perché la privatizzazione tardò molto a realizzarsi; la Vassiliko Cement Work Ltd di Cipro, di cui venne acquisito il 20% nel 1991. Ma fu la prima metà del 1992 il periodo veramente di fuoco. Vennero infatti contemporaneamente a chiudersi tre vicende di grande peso. La prima fu la 192 Questa finanziaria fu costituita nel 1987, mutando la denominazione sociale di una precedente finanziaria chiamata l’Approdo srl. 193 R&S, 1987. 194 Società costituita il 1° giugno 1987, con il conferimento del ramo aziendale della Sacelit comprendente gli impianti produttivi di Calusco d’Adda, Volla, S. Filippo del Mela, servizi e partecipazioni. Successivamente la Sacelit diventò una finanziaria. 195 Verbale del Comitato Esecutivo, 29 ottobre 1990, pp. 116-17. lxvii privatizzazione di Cementir. Alla fine del 1991 si erano strette le trattative; i candidati in lizza erano molti: oltre a Italcementi, Unicem, Calcestruzzi, ENI, ma poteva anche essere la volta di qualche straniero o di qualche altro gruppo meno noto. L’IRI il 19 febbraio 1992 decise a favore del gruppo Caltagirone196, lasciando così invariati gli equilibri all’interno del mercato del cemento italiano. Solo il gruppo Ferruzzi, in una fase in cui spingeva molto per acquisire posizioni di leadership nel settore, ebbe occasione di dolersi del risultato. Non si erano ancora placati i commenti sulla vicenda Cementir che si accesero i riflettori su un’altra “battaglia”, quella sul fronte greco. Come si vedrà meglio nel cap. 5, la Grecia aveva attivato negli anni ’80 enormi flussi di esportazione verso l’Italia, e il Mediterraneo in generale, anche con pratiche ritenute scorrette che vennero denunciate alla Commissione Europea. L’acquisizione di un’azienda greca si poneva come un obiettivo strategico ovvio, soprattutto in vista della privatizzazione dell’azienda pubblica Heracles, che era leader di mercato, con una capacità produttiva di 5,9 milioni di t. sufficienti a coprire il 40% del mercato interno e ad attivare flussi di esportazioni per 3 milioni di t circa197. Questa volta Italcementi si era veramente impegnata per arrivare ad un risultato e nel Comitato Esecutivo del 10 febbraio 1992 si annota che era stata fatta un’offerta “non impegnativa” per l’acquisizione del 70% della società198. Ma il 20 febbraio l’Italcementi si vide costretta a rilasciare un comunicato in cui rinunciava a fare un’offerta formale, prevista per il 21 febbraio, perché “è risultato certo che non le sarebbero stati assicurati rapporti di pari condizioni rispetto all’altra partecipante selezionata per la fase finale della gara, una joint venture tra la Calcestruzzi del gruppo Ferruzzi e la National Bank of Greece (Nbe)”. La presenza della Nbe “crea una situazione di anomalo squilibrio a danno dell’Italcementi e getta serie ombre sulla correttezza dell’intera procedura…La grave decisione è stata presa allorchè è risultato certo che le reiterate richieste di Italcementi sarebbero rimaste inascoltate”199. Il paradosso era che la Calcestruzzi era una società partecipata da Italcementi al 26,67%200. Pesenti sapeva che Calcestruzzi partecipava alla gara, ma solo poco tempo prima del giorno stabilito per l’offerta formale fu informato della joint venture con la Nbe. Nei giorni successivi erano ripresi i contatti fra l’Italcementi e il governo greco e l’Italcementi fu persuasa a fare la sua offerta, ma il destino della vicenda era ormai segnato e il 12 marzo 1992 la Heracles venne aggiudicata alla Calcestruzzi. Non mancarono gli strascichi polemici alla vicenda, sia in Italia sia in Grecia. Poche settimane passarono da questo smacco quando si profilò un affare ancora più risolutivo in ordine alla tanto ricercata internazionalizzazione dell’Italcementi: l’acquisizione della Ciments Français. Ma si tratta di operazione di tale spessore, che merita una trattazione separata. 4.3. L’avventura di Ciments Français 196 Italcementi non partecipò all’asta finale, cui erano stati ammessi solo tre concorrenti: Unicem, Calcestruzzi e la Vianini dei fratelli Caltagirone. 197 Si veda sulla situazione del settore greco del cemento il bel articolo di D. Deliolanes, “Parte da Atene la guerra del cemento”, Il Globo, 10 marzo 1992. 198 Verbale del Comitato Esecutivo, riunione del 10 febbraio 1992, p. 2. 199 Comunicato riportato da Il Sole, 21 febbraio 1992. 200 La Calcestruzzi verrà interamente acquisita da Italcementi nel 1997. lxviii Fu attraverso una banca d’affari che nel mese di febbraio 1992 Giampiero Pesenti venne a conoscenza che Paribas era forse disponibile alla vendita della maggioranza delle azioni dell’azienda francese Ciments Français (CF). CF era la seconda impresa cementiera francese dopo Lafarge, ma ampiamente multinazionalizzata con una campagna acquisti portata avanti a tambur battente dal suo presidente e direttore generale Pierre Conso negli anni precedenti, che l’aveva portata a diventare la terza società mondiale, ma anche ad accumulare un eccessivo indebitamento. La società era controllata all’86,2% dalla Poliet, a sua volta controllata all’80% da Paribas, la famosa banca d’affari francese201 che era sempre stata in ottimi rapporti con Mediobanca. Giampiero Pesenti aveva dunque in Mediobanca una sponda solida con cui consigliarsi sull’affare, che era ovviamente molto costoso. Mediobanca interpellò ai primi di marzo Paribas sulla questione e ricevette una conferma del suo interesse a cedere il controllo di CF. Paribas offriva a Italcementi un’esclusiva di un mese per concludere la trattativa, ma desiderava mantenere un’assoluta riservatezza. Il mese di marzo fu ricco di lavoro. Si esaminarono i bilanci, i piani poliennali di sviluppo, le prospettive dell’azienda sui mercati in cui operava. A favore della conclusione dell’affare c’erano le complementarietà produttive e commerciali di CF con Italcementi, che avrebbero consentito a quest’ultima quel balzo per dimensione e internazionalizzazione che si andava cercando. Vi erano però dei punti interrogativi sull’efficienza di alcuni impianti202, ma soprattutto preoccupava l’elevatissimo indebitamento di CF. Dopo lunghe discussioni interne all’Italcementi, si decise di comunicare a Mediobanca, che vedeva l’affare con occhi di favore, la non disponibilità a proseguire la trattativa. Fu allora che da Parigi arrivarono altre informazioni, insufficienti, però, a far cambiare idea. Si concordò, tuttavia, che Giampiero Pesenti si recasse a Parigi con il direttore generale di Mediobanca Vincenzo Maranghi per comunicare direttamente la decisione. Il sabato 25 aprile fu una lunga giornata di discussioni, che durò fino a notte inoltrata. I francesi offrirono un aumento di capitale e altre operazioni finanziarie che rendevano l’acquisizione meno pesante. Anche la discussione sul prezzo fu difficile e vide la promessa di Mediobanca di acquisire direttamente una partecipazione e di garantire insieme a Paribas l’aumento di capitale, di notevoli proporzioni. Per ulteriormente tranquillizzare l’acquirente sulla correttezza dell’operazione, venne garantita la possibilità da parte di Italcementi di verificare i dati ricevuti da CF e Paribas nel corso di un anno. Nella notte furono sentiti da Giampiero il direttore generale e il presidente dell’Italcementi. Alle 8 di mattina della domenica 26 aprile CF era stata acquisita. La notizia fu fatta circolare in Italia il mercoledì 29 e in Francia il giorno successivo ed attirò naturalmente una valanga di commenti. Si era infatti costituito un gruppo che all’epoca era il primo in Europa, con il 17% del mercato europeo. Nella riunione del Consiglio d’Amministrazione dell’Italcementi appositamente convocata il 29 aprile, si diede conto dell’operazione complessa, che prevedeva l’acquisto del 54,7% del capitale di CF per circa 1.300 mld lire da versare alla fine di dicembre 1992, più un esborso tra 220 e 260 mld per un “maintien de cours”, obbligatorio per Italcementi, sulle azioni CF quotate alla borsa di Parigi. Il restante capitale detenuto da Poliet veniva bloccato parte in una nuova società mista ItalcementiPoliet (CETAP) controllata per 2/3 da Italcementi e parte in carico a Poliet per due anni 201 Su Paribas, si vedano M’Hamed Sagou, Paribas. Anatomie d’une puissance, Parigi, Presses de la Fondation nationale des sciences politiques, 1981 e J. Baumier, La galaxie Paribas, Parigi, Plon, 1988. 202 Fu concesso a Italcementi di visitarne solo tre o quattro! lxix con una prelazione per Italcementi alla scadenza. A fronte di questi impegni, Italcementi avrebbe versato altri 150 mld lire. Nel mese di luglio CF avrebbe proceduto ad un aumento di capitale da 21,7 a 34,1 milioni di azioni, per un controvalore di 1.100 mld lire. I titoli sarebbero stati offerti al pubblico mediante un consorzio organizzato congiuntamente da Paribas e Mediobanca. Alla fine di queste operazioni, la struttura della proprietà sarebbe stata la seguente: Italcementi (direttamente o indirettamente) 45%; Paribas 15%; Mediobanca 5%203; azionisti terzi 35%. Seguiva una descrizione di CF: “CF, fondata nel 1881, opera nei settori del cemento, del calcestruzzo e dei materiali da costruzione. Il Gruppo è presente principalmente nei seguenti paesi: Francia e Belgio (60% del fatturato consolidato), Spagna (14% del fatturato consolidato), Turchia (6% del fatturato consolidato), Marocco, Portogallo, Grecia, Germania, Messico204. Nell’esercizio 1991 CF, che occupa oltre 18.000 dipendenti, ha realizzato i seguenti volumi di vendita: oltre 20 milioni di t di cemento, 60,4 milioni di t di inerti per calcestruzzo e 13,5 milioni di metri cubi di calcestruzzo…Le vendite in Francia rappresentano circa il 34% del mercato del cemento ed il 19% di quello degli inerti. Il bilancio consolidato 1991 evidenzia un fatturato pari a Lire 3.648 mld, un reddito operativo di Lire 503 mld circa, un cash-flow di Lire 357 mld ed un utile netto di Lire 89 mld….Per finanziare l’operazione verranno utilizzati la liquidità del Gruppo Italcementi (L. 854 mld al 31.12.1991) ed i fondi derivanti dall’aumento di capitale di Italcementi Spa che…sarà proposto al Consiglio nel prosieguo della odierna riunione”205. I giornali italiani rappresentarono tutta la soddisfazione dell’opinione pubblica italiana per avere visto un capitano d’industria italiano cogliere un successo internazionale di tale portata, rara avis in mezzo a tanti insuccessi, e proclamarono Giampiero Pesenti “Re del cemento in Europa”. I giornali francesi facevano invece fatica a mandar giù il boccone amaro che un cementiere italiano più piccolo di CF spalleggiato da una Mediobanca meno importante di Paribas avesse potuto dare la scalata a CF a causa dei problemi di management dell’azienda francese che erano diventati di dominio pubblico. Per indorare la pillola, sottolineavano che Pesenti era il primo cementiere italiano e che aveva condotto i suoi affari sempre in maniera esemplare. Ma il peggio per i francesi doveva ancora arrivare. A fine maggio giunse il via libera dalla autorità antitrust italiana ed europea; in luglio CF lanciò, come preventivato, il maxiaumento di capitale. Ma un colpo di scena era dietro l’angolo. Italcementi aveva voluto vederci chiaro nei conti di CF e aveva inviato nell’estate 1992 dei revisori della Kpmg Peat Marwick per fare un audit sui conti 1991 e verificare le garanzie incluse nel contratto d’acquisto stipulato il 26 aprile 1992 con Poliet e Paribas; questi scoprirono delle operazioni irregolari e la cosa trapelò ai primi di ottobre. Non erano stati annotati in bilancio dei “portage” (riporti), ossia delle operazioni a termine con le quali in 203 Mediobanca avrebbe rilevato il 5% da Italcementi, con un esborso di 150 mld lire. 204 Non viene menzionata l’America del Nord, che aveva una quota del fatturato del 15%. 205 Verbale del Consiglio d’Amministrazione, riunione del 29 aprile 1992, pp. 193-95. L’aumento di capitale era di 650 mld, e per 313 mld era coperto da obbligazioni Mediobanca 8% 1992-98 con warrant Italcementi. Si aggiunse poi anche un finanziamento in pool da parte di Banca di Roma, Banca Commerciale e Credito Italiano per 400 mld lire a 18 mesi. lxx sostanza, erano le banche che facevano per conto di CF le acquisizioni di società, i cui pacchetti azionari venivano poi parcheggiati nelle banche stesse, con l’impegno da parte di CF a rilevarli ad una data futura certa, pagando il prezzo d’acquisto più gli interessi e le commissioni. Paribas e l’intero Consiglio d’Amministrazione di CF proclamarono di non saperne nulla e fecero ricadere tutta la responsabilità sul presidente-direttore generale di CF Pierre Conso, che si dimise il 7 ottobre; al suo posto venne chiamato Bernard Laplace, che era stato presidente della società fino al 1988 ed era ancora presidente onorario; i bilanci vennero ripuliti, con emersione delle perdite206 per le quali Paribas firmò un accordo transattivo, riconoscendo a Italcementi un indennizzo di 340 milioni di FF ed impegnandosi a prendere in carico parte delle operazioni di “portage”, in particolare quella relativa all’azienda Guintoli di Arles, di cui CF aveva 1/3 del capitale e che doveva essere acquisita per la restante parte con un’OPA da parte di Paribas207. Le verifiche dei revisori proseguirono sino al giugno 1993, termine ultimo per presentarne i risultati a Paribas. Successivamente, in data 19 ottobre 1994, il gruppo Italcementi raggiunse un accordo con Paribas, che mise fine alla procedura arbitrale iniziata nel corso del 1993 sui risultati dell’audit, come previsto dal contratto di cessione del controllo di CF. Tale accordo, che fu l’ultimo atto della complessa vicenda risolvendo tutte le controversie fra le due parti, comportò la corresponsione da parte di Paribas al gruppo Italcementi di un ulteriore importo di 325 milioni di FF. Incominciava così la nuova vita della “modesta fabbrica di cemento”, come Antonio Pesenti aveva chiamato l’azienda paterna nella quale era entrato a lavorare nel 1898. Tre grandi figure della famiglia Pesenti, diverse per carattere e per contesto storico di riferimento, ma unite nella dedizione all’azienda, l’avevano guidata nelle acque agitate della storia del XX secolo: Antonio aveva dato all’Italcementi la leadership nazionale, su solide basi tecniche e con una prudente attività di copertura nei confronti del regime vigente; Carlo l’aveva collocata in un gruppo diversificato e ramificato in vari comparti dell’economia italiana; Giampiero l’ha razionalizzata e proiettata su scala mondiale. Nel 2004, 140° anniversario della fondazione, la carica di consigliere delegato è passata ad un altro Carlo, figlio di Giampiero (che è diventato presidente): sta ora a lui progettare le prossime mete. 206 Il bilancio 1992 del Gruppo CF chiuse con una perdita di 1.306 milioni di FF (350 mld lire) di cui 1.113 per eventi eccezionali e non ricorrenti. 207 Verbale del Comitato Esecutivo, riunione del 24 ottobre 1992 e Relazione del Consiglio d’Amministrazione, 1992. lxxi