ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
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21 Aprile 2005
Responsabile :
Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected])
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
SOMMARIO
Pag.3 IV CONFERENZA: Legali, spinta verso l'autogoverno (italia oggi)
Pag.5 IV CONFERENZA: Scuole forensi in pista (italia oggi)
Pag.6 IV CONFERENZA: Flessibilità in società (italia oggi)
Pag.7 IV CONFERENZA: Difesa degli ordini (italia oggi)
Pag.8 SCUOLE FORENSI: La scuola di formazione di Pisa ha ottenuto il bollino blu
(italia oggi)
Pag.9 COMPETITIVITA’: Riforma delle professioni blindata
Pag.10 COMPETITIVITA’: Processo civile: la miniriforma si intreccia con il Dl
competitività (diritto e giustizia)
Pag.11 COMPETITIVITA’: Sviluppo, sciolto il nodo professioni (il sole 24 ore)
Pag.12 COMPETITIVITA’: Professioni: l'Associazione contro il "colpo di mano" del
maxiemendamento (diritto e giustizia)
Pag.14 COMPETITIVITA’: Istituzione del « certificato professionale controllato » e
delega al Governo per la disciplina delle professioni non regolamentate
(diritto e giustizia)
Pag.16 ORDINI: Cresce l'onda dei senz'Albo (il sole 24 ore)
Pag.17 ORDINI: "Orfani" un milione e mezzo di professionisti (italia oggi)
Pag.18 COMPETITIVITA’: Per le esecuzioni più titoli in pista
di Davide Amadei - università di Pisa (italia oggi)
Pag.20 SOCIETARIO:Cognizione, processo istruito sin dalla prima udienza
(italia oggi)
Pag.22 CONTUMACIA:Ora piace agli avvocati ma il tempo è scaduto (quasi)
(diritto e giustizia)
Pag.23 CONTUMACIA:Notifiche semplici (italia oggi)
Pag.24 CONTUMACIA: «Disposizioni urgenti in materia di impugnazione delle
sentenze contumaciali e dei decreti di condanna»
Ddl 5650-B/C di conversione del Dl 21 febbraio 2005, n. 17 - Con le
modifiche, in neretto, approvate dall’Aula il 20 aprile 2005 (diritto e giustizia)
Pag.25 PREVIDENZA FORENSE: Pensioni e investimenti le priorità (italia oggi)
Pag.27 MAGISTRATURA ONORARIA: Una riforma è sempre più urgente
di Francesco Mollo - presidente dell'Angdp e co-presidente Federazione
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unitaria (italia oggi)
Pag.29 MAGISTRATURA ONORARIA: Ancora molte le risposte che mancano
di Gabriele Longo presidente Federazione unitaria giudici di pace (italia oggi)
Pag.30 EUROPA: Giustizia, l'Europa si scopre debole (il sole 24 ore)
Pag.32 EUROPA: Zagrebelsky: « Premesse per uno sgretolamento » (il sole 24 ore)
Pag.34 CONCILIAZIONE: Obbligo di informazione per i legali (italia oggi)
Pag.36 STUDI LEGALI: Comunicare l'immagine vale anche per i piccoli studi
(italia oggi)
Pag.38 PROCEDIMENTO CAUTELARE: Il procedimento cautelare si spoglia del
rito di merito (italia oggi)
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ITALIA OGGI
La IV Conferenza di Napoli si è chiusa con 3 mozioni su accesso, esercizio della professione e
ordini
Legali, spinta verso l'autogoverno
L'avvocatura rivendica la titolarità di formazione e controllo
Avvocatura titolare esclusiva della formazione dei legali. Flessibilità dei modelli per l'esercizio della
professione dando spazio anche a intese interprofessionali. Autonomia degli ordini e rafforzamento
del loro controllo sulla qualità degli iscritti. Passa tutto dal riconoscimento di un'autonomia a 360
gradi il percorso per l'ammodernamento della professione forense, così come emerso dalla IV
Conferenza nazionale dell'avvocatura, organizzata dall'Oua a Napoli dal 15 al 17 aprile. Una
conferenza della quale si deve segnalare la partecipazione ai lavori di tutte le componenti
istituzionali e associative della categoria e che ha visto la partecipazione di ordini che sono fuori
dall'Oua (come Roma, Genova e Torino) così come di associazioni (Aiga). Lavori che si sono chiusi
con la messa a punto di tre documenti a sintesi dei lavori delle tre sessioni in cui la conferenza era
organizzata (l'accesso alla professione, l'esercizio della professione, l'autogoverno dell'avvocatura)
che indicano alcuni cardini per la future riforme (più o meno vicine) che ruotano tutti intorno al dato
centrale emerso a Napoli: una ferma rivendicazione dell'autonomia della categoria che si candida a
gestire il proprio cambiamento senza paura delle nuove sfide, ha sintetizzato a chiusura dei lavori il
presidente Oua Michelina Grillo. E se in alcuni passaggi le rivendicazioni dei legali sono richieste
ormai annose (riforma accesso), per un verso si sono chiarire i paletti per ogni intervento, per altro
verso alcuni spunti ( come nel caso dell'esercizio della professione) non negano alcune novità, ne
accettano i presupposti e rilanciano. Rimane da vedere se l'avvocatura, compatta nei propositi, li
saprà tramutare in decisioni condivise.
In estrema sintesi, questi gli approdi di Napoli: centralità delle scuole forensi e titolarità della
formazione all'avvocatura, pratica effettiva e compensata, criteri rigorosi per la specializzazione.
Ricerca di nuovi modelli per l'esercizio della professione, anche forme temporanee come Ati oppure
stabili come le cooperative sociali professionali. Riserva della consulenza stragiudiziale quando è
costituita da un'attività interpretativa, sistema transitorio nella riforma pensionistica degli avvocati.
Difesa degli ordini, certificazione di qualità ammessa solo se rilasciata sotto il controllo ordinistico,
via libera alle unioni regionali degli ordini ma non istituzionalizzate, aumento dei componenti dei
consigli per gestire le nuove sfide, ammodernamento del procedimento disciplinare e impostazione
di rapporti tra avvocatura ed enti locali. Vediamo in dettaglio le mozioni. (riproduzione riservata)
C.Morelli
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ITALIA OGGI
Scuole forensi in pista
Il documento non lo cita, ma il lavoro interno alla commissione Siliquini, nato per riformare le
scuole di specializzazione Bassanini e poi esteso a percorso post-lauream, sottende a tutti i passaggi
e ha rappresentato, nel corso dei lavori, un nodo irrisolto nella dialettica Cnf- Aiga e Oua. La
conferenza ha comunque chiarito alcuni punti di cui non si potrà non tener conto. La conferenza si è
espressa per una pratica effettiva e verificata passo passo, con uno statuto del praticante che renda
incompatibile la pratica non solo con qualsiasi attività lavorativa ma anche con altri corsi
contemporanei abilitanti all'esercizio di altre professioni giuridiche. Il numero dei praticanti per
studio dovrebbe essere limitato al massimo a due per ogni titolare, mentre il dominus deve avere
alle spalle almeno 8 anni di attività professionale e può essere sostituito dal praticante solo se al
secondo anno di pratica e sotto la sua responsabilità. Previsto un equo compenso ma anche la
limitazione della validità temporale del certificato di compiuta pratica ai fini dell'esame di
abilitazione. Quanto all'esame, conclude il documento, sarà un passaggio naturale a conclusione di
un percorso professionalizzante. Sulle scuole di formazione post-universitarie, due i presupposti
fondamentali: la necessaria complementarità con la pratica e la centralità delle scuole forensi nel
senso della prevalenza nella formazione del futuro avvocato. La richiesta della conferenza va nel
senso di prevedere una preselezione per l'accesso alle scuole forensi e Bassanini, verifiche
periodiche, rivendicazione all'avvocatura della titolarità delle scelte didattiche e dei programmi di
formazione anche nella interazione con le istituzioni universitarie, diffusioni delle scuole forensi su
tutto il territorio tramite anche di reperimento di risorse ad hoc. Infine la conferenza ha aperto alle
specializzazioni, chiedendo criteri rigorosi per il loro conseguimento ma dito verso sulla istituzione
di albi separati, vecchia richiesta dell'Ucpi.
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ITALIA OGGI
Flessibilità in società
Via libera a forme di esercizio della professione le più varie, dalle società di capitali, ma solo di
professionisti, alle cooperative sociali professionali, alle Ati (associazione temporanee di impresa)
per rispondere adeguatamente alle diverse tipologie di attività legale. Una apertura convinta anche
alle associazioni interdisciplinari. Questo documento è quello che forse presenta gli aspetti di
maggiore innovazione per la categoria, chiamata a fare i conti con tanti mercati professionali dai
quali il rischio è di essere emarginati. Il documento apre per esempio a forme temporanee
interdisciplinari come le Ati o le associazioni in partecipazione, quando lo richieda un mandato
complesso con valenza interdisciplinare.
Tramonta la esclusività delle stp come modello esclusivo di esercizio collettivo della professione:
via libera alle società di capitali con soci professionisti, capitale minimo adeguato e obbligo di
assicurazione contro la responsabilità civile verso terzi.
La conferenza ha sferrato anche un attacco all'avvocatura cosiddetta convenzionata, quella che offre
la propria attività nell'ambito dei patronati. Per i legali è indispensabile che le convenzioni vengano
sottoposte al vaglio dei consigli dell'ordine, mentre per corrispondere positivamente a questo nuovo
modo di svolgere l'attività professionale viene proposta anche la costituzione di cooperative sociali
professionali. Sul fronte della consulenza legale, la richiesta netta è quella di una riserva secondo il
modello portoghese, nella convinzione che già i principi comunitari debbano essere letti in questa
direzione. La conferenza ha ribadito la necessità di condividere con tutta l'avvocatura la riforma
della previdenza (si veda anche altro articolo a pagina 2), basandola su autonomia della cassa,
solidarietà tra gli iscritti e prevedendo una norma transitoria oppure criteri correttivi per evitare
ingiustificate penalizzazioni.
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Difesa degli ordini
Senza ordini la professione non può esistere. E vanno ricondotte agli ordini tutte le attività a tutela e
per il controllo degli iscritti. Apertura alla collaborazione con gli enti locali. In sintesi è questo il
succo del terzo documento approvato a Napoli che, emblematicamente, è intitolato all'autogoverno
dell'avvocatura. Un documento che considera violazione deontologica e atto di concorrenza sleale
anche la certificazione di qualità quando svolta da soggetti terzi estranei al controllo ordinistico. Ma
se è vero che l'ordine come istituzione non si tocca è tuttavia necessario un ripensamento sulle
modalità di strutturazione, pur rigettando il progetto Castelli che introduce l'assemblea nazionale.
Così come non piace la prospettiva di una creazione di un ordine unico del quale siano articolazioni
il Cnf e gli ordini territoriali e le ventilate ingerenze ministeriali su materia di autodisciplina, come
la deontologia. Positiva è stata la valutazione per le unioni regionali, distrettuali o interdistrettuali,
che tuttavia non si vogliono istituzionalizzate. Disco verde anche alla creazione di organi distrettuali
di esercizio della funzione disciplinare, anche per pervenire a una separazione tra organo inquirente
e organo giudicante. Dovrebbe essere rilanciata l'efficienza dei consigli, con l'adeguamento del
numero dei componenti, l'allungamento della durata dei mandati e la limitazione della rieleggibilità.
Condivisa la necessità di modificare il procedimento disciplinare per adeguarlo ai principi del giusto
processo. In attesa che si chiarisca il quadro costituzionale sul federalismo, l'avvocatura non esclude
proficue collaborazioni con gli enti locali soprattutto in ambiti necessitati come quello della
organizzazione giudiziaria. Sul tema delicato della legislazione concorrente in tema di formazione si
attende invece la decisione della Consulta sul conflitto stato-regione Toscana.
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La scuola di formazione di Pisa ha ottenuto il bollino blu
Offerta formativa a prova di bollino blu. È quella garantita dalla scuola forense di Pisa che nel
febbraio scorso ha ottenuto da parte del Bvqi ( organo di certificazione del gruppo Bureau Veritas
operante in più di 100 paesi) il rilascio della certificazione Iso 9000 che attesta la conformità
dell'offerta didattica degli enti di formazione ai criteri standard proposti dai protocolli Iso
(International organization for standardization).
Il riconoscimento della qualità dell'offerta formativa da parte del Bvqi, in realtà, ha spiegato Stefano
Borsacchi, presidente del consiglio direttivo della scuola forense, non è che l'ultimo anello di un iter
di accreditamento iniziato due anni fa presso la regione Toscana e che ha portato la scuola di Pisa ad
essere la prima (e per il momento l'unica) scuola forense - agenzia di formazione nel settore della
formazione legale a livello regionale.
L'accreditamento è stato un risultato importante, in quanto con esso la regione Toscana ha
riconosciuto la validità dell'offerta didattica per praticanti e avvocati fornita dalla scuola ritenendola
conforme ai propri standard in materia di formazione professionale.
Il rilascio della certificazione Iso da parte del Bvqi, invece, ha rappresentato un passo ulteriore
anche se necessario (in quanto conditio sine qua non per mantenere la qualità di soggetto accreditato
presso la regione) che ha consentito alla scuola di consolidare il riconoscimento regionale e
migliorare la propria offerta formativa, adeguandola ai criteri di efficienza e trasparenza proposti dai
protocolli Iso.
Per ottenere il sospirato bollino blu, infatti, la scuola ha dovuto redigere un manuale contenente una
serie di criteri organizzativi e gestionali standard, mutuati dal sistema Iso 9000, in base ai quali
orientare l'attività della scuola.
Secondo Borsacchi, in un'ottica di maggior qualità e certezza dell'offerta formativa nel settore
legale, sarebbe auspicabile, sempre nel rispetto dell'autonomia degli ordini, la creazione di un
manuale unico che regolasse in maniera uniforme la gestione e l'organizzazione di tutte le scuole
forensi (circa 70) dislocate sul territorio nazionale.
La legge che regola il funzionamento delle scuole, infatti, consiste in un unico articolo e non
fornisce nessuna indicazione in materia di gestione e organizzazione.
Quanto all'accreditamento, ha concluso Borsacchi, questo dovrebbe diventare un processo
spontaneo per tutte le scuole attive nel settore legale, anche per quelle Bassanini per le quali,
peraltro, l'iter sarebbe anche più facile.
Inoltre, la qualifica di soggetto accreditato, ha spiegato Giovanni Vaglio, coordinatore e
responsabile della qualità della scuola, offre molti vantaggi oltre a quello di garantire agli utenti la
genuinità dell'offerta formativa. Tali soggetti, infatti, possono accedere a risorse finanziarie
alternative rispetto a quelle tradizionali come ad esempio i fondi della Comunità europea e i
contributi regionali. Simona Andreazza
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ITALIA OGGI
Al senato la maggioranza fa quadrato intorno al maxi-emendamento Castelli al dl competitività
Riforma delle professioni blindata
La maggioranza fa quadrato intorno alla riforma delle professioni e propone nuovi ordini per 24 professioni
sanitarie. Il maxiemendamento Castelli è sostenuto da tutti i partiti di maggioranza che sono decisi a non
lasciar cadere l'opportunità di riordinare il settore. Prima di essere approvato, però, il testo (sul quale il
governo si appresta a porre la fiducia) sarà nuovamente modificato attraverso una serie di subemendamenti
che il relatore Cosimo Izzo (Fi) ha deciso di fare propri. Le nuove norme erano già sul tavolo della
commissione bilancio del senato che ieri ha fatto gli straordinari nel tentativo di rispettare la tabella di marcia
e di portare in aula il decreto competitività entro martedì. Si tratta di specificazioni che vanno incontro ad
alcune richieste avanzate soprattutto dagli ordini. In particolare compare una nuova norma che rende
´facoltative' le assemblee nazionali previste dal maxiemendamento del guardasigilli, Roberto Castelli, con il
compito di eleggere i Consigli nazionali. Un'altra piccola modifica, invece, intende garantire una
consultazione frequente e continua con i vertici degli ordini nazionali in fase di attuazione della delega. Izzo,
inoltre, ha presentato un subemendamento sulle professioni sanitarie. Prevede la delega al governo per la
costituzione di uno o più ordini per alcune professioni mediche e paramediche (24 specialità tra le quali,
infermiere, ostetrico, podologo, fisioterapista) che attendono da tempo una regolamentazione del settore. Si
tratta di una norma che era già stata inserita in un ddl ad hoc e altamente caldeggiata dal sottosegretario al
Miur, Maria Grazia Siliquini (An). Ma le associazioni non regolamentate non ci stanno e chiedono alla
maggioranza di tenere fede agli impegni presi non solo in campagna elettorale, ma anche più recentemente
nell'ambito di un incontro avuto con una delegazione di An capitanata da Ignazio La Russa. Il presidente di
Assoprofessioni, Giorgio Berloffa, nel corso di un incontro promosso ieri a Roma dall'Associazione con le
forze politiche, ha spiegato al responsabile professioni di An, Nino Lo Presti che l'effetto incrociato della
lettera l) ed m) del maxiemendamento sarebbe quello di fatto di impedire a ogni professione non
regolamentata di essere riconosciuta. Secondo le associazioni, infatti, i due commi chiariscono che con il
termine di "attività riservate" si intendono praticamente tutte le attività svolte dagli ordini che quindi
verrebbero inibite ai senza albo.
E dello stesso parere sono anche numerosi esponenti dell'opposizione che ieri sono intervenuti al dibattito.
Secondo Giovanni Battafarano, componente Ds della commissione bilancio del senato, la maggioranza ´non
è in grado di affrontare questo nodo'. La riforma, infatti, doveva essere improntata alla massima
liberalizzazione, secondo anche gli obiettivi del decreto competitività, e invece, fa notare Battafarano, non è
stato così. Di tutt'altro parere è Lo Presti che difende la bontà della riforma che ´al pari di quella delle
pensioni viene prima molto contestata, ma poi sarà apprezzata da tutti'. Inoltre secondo il responsabile An
delle professioni le perplessità delle associazioni potranno essere superate in sede di attuazione della delega
con norme che salvaguardino le professioni esistenti. Il margine di manovra in commissione bilancio, infatti,
ormai è estremamente ridotto e in aula è quasi certo che il governo porrà la fiducia. Ma per l'opposizione non
è comunque detta l'ultima. Secondo, Sergio Gambini (Ds) si potrebbero comunque sollevare dubbi di
legittimità sulla natura del maxiemendamento che non si limita ad approfondire la materia del decreto, ma
introduce numerosi nuovi aspetti. ´Informeremo della questione il presidente Casini perché si faccia garante
delle regole e impedisca che passi una norma così sbilanciata', dice Gambini. E Pierluigi Mantini della
Margherita incalza: ´Il maxiemendamento rappresenta quattro passi indietro rispetto al decreto'. A questo
punto si pone un dubbio: meglio comunque fare la riforma anche se ci sono molti punti da correggere (come
sembrano dire Assoprofessioni e una parte degli ordini professionali) oppure è preferibile lasciar perdere se
non si hanno le idee chiare (come auspica il Colap di Giuseppe Lupoi e come dicono gli avvocati e una parte
del Cup?). Ginevra Sotirovic
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Processo civile: la miniriforma si intreccia con il Dl competitività
Che ne sarà della riformetta civile in discussione alla commissione Giustizia del Senato dopo
l’approvazione del maxi-emendamento al Dl competitività? I commissari di Palazzo Madama hanno
stabilito di continuare l’esame del provvedimento, stralciando ovviamente le parti contenute
dall’emendamento 2.500 a firma della quasi totalità dei componenti della II commissione.
L’emendamento, come già espresso al momento dell’approvazione dallo stesso presidente Antonino
Caruso (An), incide sulla riforma di alcuni istituti del processo civile, in particolare sul rito delle
esecuzioni, sulla materia della separazione e del divorzio, sui procedimenti cautelari, contenendo
anche disposizioni finalizzate ad assicurare maggiore concentrazione del processo civile, con
particolare riferimento agli articoli 180, 183 e 184 del Codice di procedura civile (vedi in arretrati
del 15 aprile 2005). Il maxi-emendamento contiene anche delega al Governo per la riforma
dell’arbitrato e del giudizio di Cassazione, nonché altri interventi in materia di notificazione e
pubblicità degli avvisi e delle comunicazioni. Tutte materie contenute anche nella cosiddetta miniriforma all’esame della commissione, che fino a questo momento era giunta ad emendare 40 articoli
del testo unificato predisposto dal comitato ristretto (vedi tra gli arretrati del 9 luglio 2004). Alla
luce dell’approvazione del maxi-emendamento in commissione Bilancio, i “colleghi” della Giustizia
hanno preso la decisione di proseguire comunque l’esame del Ddl 2430/S ed abbinati per le parti
che non sono state fatte confluire o che comunque non appaiono interessate dall’esame del Dl
competitività.
Ma l’approvazione del maxi-emendamento «che introduce rilevanti modifiche al processo civile»
non trova d’accordo l’Associazione nazionale magistrati che ieri ha diffuso un comunicato piuttosto
critico sulla decisione dell’esecutivo. «Presso la commissione Giustizia del Senato – dice la giunta
esecutiva centrale – pende da oltre un anno e mezzo la proposta di legge sulla cosiddetta
miniriforma del processo civile, approvata dalla Camera a larga maggioranza, sulla quale l’Anm
aveva espresso un consenso di massima, con riserve su specifici punti, auspicando una sollecita
approvazione». La giunta esecutiva centrale dell’Anm, infatti lo scorso 16 luglio, dopo
l’approvazione del testo unificato da parte della commissione di Palazzo Madama, aveva votato un
lungo e dettagliato documento sulla mini-riforma sulla quale, pur essendo molto distante dal testo
votato alla Camera, si esprimeva un consenso di massima, «con riserve su specifici punti». Con lo
stesso documento il sindacato auspicava una sollecita approvazione. Ora, però, pur riservandosi una
valutazione tecnica più approfondita sul merito, portano il sindacato delle toghe ad esprimere «il più
fermo dissenso per il metodo adottato con il maxi-emendamento». «Sui temi della riforma della
procedura civile – dice ancora l’Anm – serve un confronto ampio, per quanto rapido, che possa
portare in breve tempo all’approvazione delle modifiche necessarie, basate anche sulle prassi
virtuose che in tanti uffici hanno dimostrato di riuscire a ridurre significativamente i tempi di
definizione delle cause».
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IL SOLE 24 ORE
Oggi via libera al Dl in commissione Bilancio
Sviluppo, sciolto il nodo professioni
ROMA • Un via libera in piena notte per la riforma delle professioni. E secondo Cosimo Izzo ( Fi),
relatore al Dl sviluppo in commissione Bilancio al Senato, l'approvazione definitiva dell'intero testo,
compresa la delega sulle attività professionali, al più tardi arriverà nella mattinata di oggi.
L'accordo sul testo da votare in Commissione è stato raggiunto nel pomeriggio di ieri e, a garantire
l'impegno che il Governo vuole assumersi nel riscrivere le regole per il mondo dei professionisti, va
registrata la presenza nel corso dei lavori del ministro della Giustizia, Roberto Castelli.
L'intesa tra le aspettative delle rappresentanze di categoria e le posizioni del Governo è stata tradotta
in un subemendamento firmato dallo stesso Izzo. In particolare, l'attuazione della riforma delle
professioni dovrà comunque garantire le attività attualmente svolte. Infatti, nell'adeguare gli
ordinamenti delle professioni sono comunque fatte salve le disposizioni relative alle competenze,
anche riservate, nonché le regole che disciplinano il rapporto di lavoro autonomo o subordinato, così
come le forme individuali, associative o societarie con cui sono eserciate le professioni.
Scongiurato anche il pericolo di veder decadere, con l'arrivo dei decreti delegati, gli attuali organi,
nazionali e territoriali. Questi saranno comunque rinnovati alla scadenza naturale del mandato « in
essere all'entrata in vigore del provvedimento, normativo, statutario che completa la riforma del
settore prevista dalla legge » .
Inoltre, nell'adozione dei decreti delegati, che dovrà avvenire nei prossimi sei mesi, il Governo è
comunque tenuto a sentire i Consigli nazionali.
Sempre sul fronte delle professioni un'altra novità dell'ultima ora è l'ulteriore delega al Governo per
riformare le professioni sanitarie. Il sub emendamento, presentato sempre da Izzo, prevede, in
particolare, la costituzione di uno o più ordini per le professioni sanitarie in corrispondenza delle
diverse aree di attività, mantenendo sempre distinte l'organizzazione professionale degli infermieri,
quella delle ostetriche e prevedendo l'istituzione della funzione del coordinamento per le professioni
infermieristiche.
A pesare sul futuro della delega e, più in generale, sull'intero decreto legge competitività è
comunque il fattore tempo. Il provvedimento, una volta licenziato dalla commissione Bilancio del
Senato, approderà secondo l'attuale calendario all'esame dell'aula di Palazzo Madama soltanto
martedì prossimo, ovvero a meno di 20 giorni dal termine del 15 maggio, data entro cui dovrà essere
convertito in legge. Una volta approvato dal Senato, il decreto dovrà affrontare l'esame della
Camera dove, peraltro, il Governo ha presentato il secondo pacchetto di misure sullo sviluppo e che
nelle intenzioni iniziali sarebbero dovute confluire, almeno in parte nel decreto legge. Ma ogni
modifica apportata obbligherà il Senato a una seconda lettura del decreto. Marco Mobili
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Professioni: l'Associazione contro il "colpo di mano" del maxiemendamento
Mentre il premier si dimetteva, la maggioranza e l’opposizione si confrontavano a Piazza
Montecitorio, sulla riforma delle professioni. A permettere questo è stata Assoprofessioni che ieri a
Roma, presso l’hotel Nazionale ha organizzato un dibattito sul decreto competitività.
A presiedere la tavola rotonda è stato il presidente della confederazione nazionale delle associazioni
non riconosciute, Giorgio Berloffa, che ha ribadito la propria delusione e il proprio rammarico per
un maxi-emendamento che oggi taglia fuori tutti. Anche quelle associazioni, che come
Assoprofessioni erano favorevoli, all’action plan.
Nel mirino della discussione è finito proprio quell’articolo 2bis che il ministro della Giustizia ha
introdotto nel maxi-emendamento. Le lettere l) ed m), ha chiarito Berloffa, se prese da sole non
dicono nulla, ma insieme possono diventare una miscela esplosiva. Nello stabilire, infatti, il diritto
dei professionisti ad ottenere il riconoscimento pubblico delle professioni non disciplinate da
disposizioni normative e da ordinamenti professionali, non fanno che interpretare in modo autentico
il concetto di attività regolamentate o tipiche, espresso nella successiva lettera m) dello stesso
articolo.
E se il Governo, con un colpo di mano ha negato di fatto l’esistenza non di tutte le professioni, ma
del 90 per cento, a difenderle hanno promesso ieri alcuni esponenti dei Ds ci penserà l’opposizione.
Intanto, come ha affermato il senatore Giovanni Vittorio Battafarano, l’iter del decreto legge è
legato a doppio filo all’esistenza del Governo. Tuttavia, la riforma delle professioni, ha continuato
Battafarano, può rilanciare la competitività solo se è tesa a liberalizzare. E l’espressione attività
tipiche non realizza certo lo spirito dell’action plan. Del resto, ha suggerito il senatore, si potrebbe
sostituire con riservate.
Sulla stessa lunghezza d’onda è il deputato Pierluigi Mantini, che ha sostenuto che non ci sono le
condizioni politiche per fare nulla, la maggioranza continua ad essere divisa. E sul maxiemendamento non ha dubbi: è figlio di una forzatura del Guardasigilli che non solo non riconosce le
professioni non regolamentate ma addirittura le nega. Quanto alla posizione degli Ordini
professionali, Mantini ha rassicurato la confederazione, è contraria ad una delega in bianco. Inoltre,
il maxi-emendamento è una materia completamente nuova che nulla a che vedere con il decreto
competitività. Aggiungere temi ex novo in sede di conversione non è consentito almeno nel
regolamento della Camera.
Ma quello su cui insiste Assoprofessioni e il suo segretario generale, Roberto Falcone, è che si abbia
almeno un gancio, un rampino a cui poi agganciare la vera e proprio riforma. Altrimenti si dovrà
ricominciare da capo nella prossima legislatura. A spaventare i milioni di professionisti, è ancora
una volta, il vuoto normativo. Pertanto, avere un principio sarà almeno un inizio.
Se il Battafarano e Mantini rassicurano Assoprofessioni, Nino Lo Presti, responsabile delle
professioni di Alleanza Nazionale prospetta scenari diversi per i professionisti non riconosciuti.
L’iniziativa del maxi-emendamento, ha dichiarato, infatti, è sposata dai partiti che sostengono
l’Esecutivo. Pertanto, nessuna marcia indietro, al limite alcune modifiche che non stravolgano in
alcun modo l’impianto. In fin dei conti, ha continuato ancora Lo Presti, l’emendamento è solo la
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riproposizione della Vietti bis che aveva messo tutti d’accordo. Non solo, ma per la prima volta
vengono separate le associazioni dagli Ordini. Nonostante, tutto, spazi di manovra non ci sono. E
comunque viene garantito un percorso chiaro e trasparente, e anche la possibilità di trattare
liberamente i propri onorari.
Giorgio Berloffa, però, ha precisato che la lettera l), così come è formulata nell’emendamento, nella
Vietti bis non c’era mentre la lettera g) che prevedeva la cosiddetta clausola di salvaguardia si è
invece volatilizzata. E neanche era previsto l’obbligo di iscrivere l’associazione alla banca
volontaria del Cnel. Perché allora non introdurre un sub-emendamento anche per le associazioni che
già operano, sulla falsariga di quello che protegge lo status quo degli Ordini professionali, si chiede
Falcone? È solo una questione di interpretazione, ha replicato Lo Presti.
Di diverso avviso, il deputato dei Ds Sergio Gambini. Sarebbe bene, invece, che continuasse il suo
iter il Ddl sull’istituzione del «certificato professionale controllato» e sulla delega al Governo per la
disciplina delle professioni, licenziato dal Comitato ristretto della commissione Attività produttive
della Camera (qui leggibile nei documenti correlati). Il futuro, infatti, è nella creazione di un sistema
duale che legittimi, accanto agli Ordini professionali riformati, anche il mondo delle “nuove
professioni”.
Comunque quel maxi-emendamento alla Camera non entrerebbe proprio, il regolamento vieta che
vengano presentate modifiche al decreto legge, ma sono ammessi solo emendamenti alla legge di
conversione. Gambini dubita anche che possa essere sostenuto. L’approvazione determinerebbe,
infatti, un contenzioso interminabile.
Quell’emendamento ha concluso, il deputato dei Ds Piero Ruzzante, è una pagina ingiallita, un
ritardo culturale di impostazione. Comunque andrà, ha concluso Ruzzante, non ci sarà e non c’è mai
stato, del resto, da parte dell’opposizione un atteggiamento tanto peggio tanto meglio.
Cristina Cappuccini
21/04/2005
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Camera dei deputati
Istituzione del « certificato professionale controllato » e delega al Governo per la disciplina delle professioni
non regolamentate
Articolo 1
(Definizione).
1. Sono oggetto della presente legge, tutte le attività professionali, intellettuali e non intellettuali, che non
sono ricompresse nelle professioni di cui all’articolo 2229 Cc.
Articolo 2.
(Certificazione di qualità).
1. È istituito il « certificato professionale controllato », con il quale si attestano l’esercizio abituale della
professione, il costante aggiornamento del professionista ed un comportamento conforme alle
norme di corretto svolgimento della professione.
2. Il certificato di cui al comma 1 non è requisito vincolante per l’esercizio delle attività professionali di cui
alla presente legge ed è rilasciato a tutti i prestatori, iscritti alle associazioni professionali, che ne facciano
richiesta e che dimostrino di essere in possesso dei requisiti di cui al medesimo comma 1. Il mancato rinnovo
dell’adesione alle associazioni professionali comporta la perdita della certificazione.
Articolo 3.
(Delega legislativa).
1. Il Governo è delegato ad emanare, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, volti a disciplinare:
a) l’individuazione ed il riconoscimento di forme aggregative delle associazioni professionali, quali soggetti
diversi ed autonomi dalle associazioni costituenti, volte alla promozione e qualificazione tecnico-scientifica
delle professioni in esse rappresentate ed alla massima divulgazione presso gli utenti delle disposizioni della
presente legge e delle misure adottate ai fini dell’esercizio delle funzioni loro
attribuite e degli effetti da esse derivanti, nonchè i limiti e le forme di verifica e controllo da esse esercitate
sull’operato delle singole associazioni alle stesse aderenti;
b) il ruolo e i connotati delle associazioni professionali, espressione della libera adesione degli esercenti
ciascuna attività professionale;
c) gli ambiti e le forme di esercizio dei poteri dello Stato in materia di verifica sull’operato delle forme
aggregative di cui alla lettera a) e le eventuali sanzioni in caso di gravi irregolarità o prolungata
inattività.
2. Ai fini dell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene alle disposizioni della presente
legge ed in particolare ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) le forme aggregative delle associazioni professionali:
1) sono organismi privati e devono essere costituite da almeno dieci associazioni, in rappresentanza di
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diverse attività professionali, ciascuna con pari rappresentanza negli organi assembleari delle rispettive
strutture aggregative, e ad esse possono partecipare le associazioni dei consumatori riconosciute ai sensi della
legge 281/98. Qualora a seguito della deliberazione di una o più delle citate associazioni, la forma aggregativi
annoveri un minore numero di adesioni, è concessa la proroga di un anno delle sue funzioni al fine di
provvedere al conseguimento del quorum necessario al suo ordinario funzionamento. Decorso inutilmente
tale termine, la forma aggregativa perde la possibilità di rilasciare la certificazione di qualità di cui
all’articolo 2;
2) devono garantire indipendenza ed imparzialità di azione, assenza di conflitti di interesse, pari
rappresentatività negli organi preposti alla vigilanza e al controllo di tutte le componenti costituenti
nonchè il libero accesso alla certificazione per tutti coloro che esercitano la professione
certificata. Al fine di garantire il conseguimento di tali finalità:
1) le associazioni aderenti accettano i poteri di verifica e controllo da parte delle forme aggregative cui
aderiscono e l’esclusione dalle stesse in caso di inadempienze gravi;
2) le associazioni aderenti si impegnano a versare regolarmente i contributi annui per l’anno in corso e per
quello successivo;
3) gli eletti negli organi statutari delle forme aggregative non possono ricoprire incarichi all’interno delle
singole associazioni;
3) devono adottare uno statuto nel quale sono, altresì, indicati gli ambiti e le modalità di controllo sulle
associazioni aderenti. Tale statuto costituisce parte integrante degli statuti delle singole associazioni
aderenti;
4) devono esercitare la funzione di controllo sull’operato delle associazioni aderenti ai fini della verifica del
rispetto e della congruità degli standard professionali e qualitativi dell’esercizio dell’attività e dei codici
deontologici definiti dalle stesse associazioni.
Qualora riscontrino gravi inadempienze o irregolarità nell’esercizio delle funzioni proprie delle associazioni,
possono provvedere con un richiamo e, in caso di persistenza dei medesimi motivi,
procedono all’espulsione dell’associazione inadempiente;
5) devono rilasciare, verificata la sussistenza delle condizioni di cui al numero
4), la certificazione di qualità ai prestatori di attività professionale che ne facciano richiesta e che dimostrino
di essere in possesso dei requisiti definiti dalle associazioni professionali;
b) le associazioni professionali sono titolari della definizione dei criteri qualitativi necessari ai fini del
rilascio della certificazione di qualità delle attività , tra i quali:
1) l’individuazione di eventuali livelli di preparazione didattica, dimostrabili tramite il conseguimento di
titoli di studio o di percorsi formativi;
2) la definizione dell’oggetto dell’attività professionale e dei relativi profili professionali;
3) la determinazione di standard qualitativi da rispettare nell’esercizio delle attività;
4) l’elaborazione di un codice deontologico e la definizione di eventuali interventi sanzionatori nei confronti
degli associati;
c) il Ministro della giustizia, anche avvalendosi del ruolo consultivo del Consiglio nazionale dell’economia e
del lavoro, verifica l’operato delle forme aggregative in conformità alle disposizioni della presente legge.
3. Gli schemi di decreto legislativo di cui al comma 1, a seguito della deliberazione preliminare del Consiglio
dei ministri, sono trasmessi alle Camere ai fini dell’espressione del parere parlamentare.
21/04/2005
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IL SOLE 24 ORE
ORDINI & MERCATO • Presentato il Rapporto del Cnel che monitora le associazioni non
riconosciute
Cresce l'onda dei senz'Albo
Stimati in 1,5 mln i « non regolamentati » Aumentano le attività socio sanitarie di servizi alla
persona
ROMA • Sempre meno segmenti specialistici di professioni tradizionali e sempre più profili che rispondono
alla forte domanda di mercato dei servizi alla persona.
In questa chiave si può leggere l'istantanea che emerge dal quinto Rapporto di monitoraggio sulle professioni
non regolamentate del Cnel, presentato ufficialmente ieri nella sede romana di Villa Lubin. Un quadro che
fotografa non solo le informazioni tratte dalla tradizionale banca dati, ma che, per la prima volta, si avvale
dell'elenco, aggiornato al 31 dicembre 2004, delle associazioni non regolamentate, la cui iscrizione è stata "
filtrata" sulla base di requisiti minimi ( si veda « Il Sole 24Ore » del 7 marzo).
Il quadro. Secondo il rapporto Cnel sono in tutto 1,5 milioni i professionisti non regolamentati. Il loro
numero, infatti, in base alle stime delle associazioni che ne rappresentano i settori di competenza, è compreso
fra 1.455.000 e 1.610.000, arrivando quindi a eguagliare quello dei professionisti iscritti ad Albi ed Ordini.
Un universo in continua espansione, dai gemmologi ai restauratori, dagli amministratori di condomini e
consulenti finanziari fino ai musicoterapeuti e ai riflessologi.
Su 1,5 milioni di " nuovi" professionisti, però, solo il 30% aderisce alle 196 associazioni professionali non
riconosciute ( 155 delle quali sono inserite nell'elenco ad hoc del Cnel, sulla base dei criteri di
rappresentatività democratica, organigramma, codice deontologico, copertura assicurativa e accesso in base a
requisiti definiti). Tra gli iscritti, le donne rappresentano appena il 25%, ma si stima che la loro effettiva
presenza sul mercato superi il 40 per cento. La maggior parte delle associazioni, poi, ha un numero di iscritti
compreso tra i 100 e i 500 aderenti, mentre oltre i due terzi di queste per l'iscrizione richiedono il possesso di
un preciso titolo di studio. Meno della metà sottopone, invece, gli aspiranti a un esame di ammissione. L'area
di competenza più rappresentate ( si veda il grafico a fianco) è quella dei servizi all'impresa ( dai risk
manager all'ampio spettro della consulenza) con il 26% delle associazioni. Seguono le associazioni delle
medicine non convenzionali, naturali o di origine orientale ( 21%); arti, scienze e tecniche ( 13%), mentre
comunicazione d'impresa e settore sanitario si attestano, entrambi, al 10 per cento. Infine, l'area della cura
psichica, all' 8 per cento.
Quanto alla distribuzione geografica delle associazioni, il Nord assorbe il 50% del totale, il Centro circa il
40%, mentre appena l' 11% si trova al Sud.
La regione con più associazioni è la Lombardia ( 51), seguita dal Lazio ( 49).
Le opinioni. Secondo Angelo Deiana, responsabile del comitato scientifico del Colap ( il coordinamento che
riunisce gran parte delle associazioni non riconosciute), « l'evoluzione delle professioni fa emergere un forte
domanda di mercato dei servizi alla persona. Lo evidenzia la crescita delle associazioni che erogano
prestazioni socio sanitarie e assistenziali. E proprio perché gli utenti, in misura crescente, non sono più solo
imprese ma individui, spesso vulnerabili, è necessario dotare il mercato di una regolamentazione chiara. Che
sia garante del cliente senza " strozzare" il libero mercato » .
Il vice coordinatore del Colap, Riccardo Alemanno, rilancia la necessità che la riforma delle professioni in
discussione nel " pacchetto competitività" disegni un quadro giuridico certo per le associazioni che hanno i
requisiti per il riconoscimento. Riforma che — per Deiana — continua a ignorare un'importante realtà: « I
professionisti, oggi, sono sempre più lavoratori dipendenti e sempre meno titolari di studi. Perché le imprese
di servizi sono sempre più centri di aggregazione di specialisti della conoscenza » . Dall'information
technology all'area tecnico ingegneristica sino alle figure sanitarie, iscritti ad Ordini o associazioni,
l'evoluzione del mondo professionale rischia di sfuggire ai tempi della politica. Laura Cavestri
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DIRITTO E GIUSTIZIA
"Orfani" un milione e mezzo di professionisti
Professioni non riconosciute: serve una riforma organica del settore. A sostenerlo è il quinto
rapporto di monitoraggio sulle professioni non regolamentate messo a punto dal Consiglio nazionale
dell’economia e del lavoro (Cnel) e presentato ieri a Roma, a Villa Lubin. Lo studio oltre ad
aggiornare la banca dati curata dal Cnel, contiene, per la prima volta, l’elenco delle associazioni
delle professioni non regolamentate. Ma non solo. Traccia anche un quadro del modello italiano e
delle possibili soluzioni normative. L’obiettivo, infatti, è quello di fornire a tutte le istituzioni, ai
professionisti e agli utenti le informazioni raccolte attraverso un attento esame dell’attività delle
associazioni censite.
In Italia, i professionisti non riconosciuti superano il milione e mezzo, arrivando addirittura ad
eguagliare quello dei colleghi iscritti ad Albi o Ordini. Tuttavia, solo il 30 per cento aderisce alle
196 associazioni professionali non riconosciute, delle quali 155 sono iscritte nell’apposito elenco,
sulla base dei criteri previsti dal regolamento dello stesso Cnel.
La maggior parte delle confederazioni hanno un numero di soci che oscilla tra i 100 e i 500, il 25
per cento sono donne. Alcune associazioni richiedono anche, per l’iscrizione, il possesso di un
particolare titolo di studio e meno della metà sottopongono gli aspiranti a un esame di ammissione.
La categoria più rappresentata è sicuramente quella dei servizi all’impresa con il 26 per cento delle
associazioni, seguite dalle medicine non convenzionali (21 per cento) arti scienze e tecniche (13 per
cento), comunicazione d’impresa e settore sanitario (entrambi con il 10 per cento) e, infine, cura
psichica (8 per cento). Quanto alla distribuzione geografica delle associazioni, il Nord assorbe il 50
per cento del totale, il Centro circa il 40, mentre appena l’11 per cento si trova al Sud. La Lombardia
si classifica al primo posto tra le Regioni in cui sono presenti più associazioni (51), seguita dal
Lazio (49). Tra le città, invece, è in testa Roma (47) seguita a ruota Milano (44).
«La forza economica e competitiva di questo nuovo mercato professionale – ha osservato Villa
Lubin nel rapporto – è data anche dalla volontà e dalla capacità delle stesse professioni di svolgere
una costante e visibile manutenzione dei saperi professionali, aggiornandoli in base all’evoluzione
stessa dell’economia e del mercato». Tuttavia, per assicurare una tutela agli stessi professionisti e
agli utenti, il Cnel è certo che sia necessaria una regolamentazione organica della materia e, per
questo, ha elaborato un proprio disegno di legge, depositato in Parlamento. Progetto che si pone
come obiettivo ultimo quello di determinare le condizioni che permettano alle associazioni delle
professioni non riconosciute di rilasciare ai propri iscritti un attestato in ordine alla capacità
professionale. Inoltre, grazie anche all’Elenco delle associazioni di professionisti non regolamentati,
si è avviata un’attività di monitoraggio periodico che, nell’ottica di una futura disciplina, dovrebbe
essere stabilita dalla legge. Via Lubin, del resto, è disposta anche a porsi come soggetto istituzionale
investito della prima fase di selezione delle associazioni che richiedono l’iscrizione a un loro
registro.
Cristina Cappuccini
21/04/2005
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
ITALIA OGGI
Tutte le novità della riforma del codice di procedura civile approvate giovedì nel dl competitività.
Per le esecuzioni più titoli in pista
Scritture private e titoli stragiudiziali per far valere il credito
di Davide Amadei università di Pisa
Aumento dei titoli esecutivi e vendite forzate a prova di mercato. Concentrazione delle udienze e
processo cautelare definitivo. La riforma del codice di procedura civile disegnata dall'emendamento
approvato giovedì scorso al dl competitività, in corso di conversione al senato e sul quale il governo
in queste ore sta valutando di mettere la fiducia, introduce diverse novità negli snodi principali del
rito (cognizione, esecuzione e cautelare) senza modificare l'impianto attuale. Si tratta di qualcosa di
più della mini-riforma varata durante il primo anno di legislatura dal governo, ma certo non
rappresenta quella ´rivoluzione' disegnata dal ddl Vaccarella, sponsorizzato agli avvocati. Dal canto
loro i magistrati dell'Associazione nazionale ieri hanno manifestato ´il più fermo dissenso' per il
metodo adottato con il maxi-emendamento, che ha introdotto la riforma senza alcun confronto con
gli operatori. Scorriamo le principali novità a partire dal processo esecutivo.
Innanzitutto, si espande la categoria dei titoli esecutivi (art. 474, n. 3 cpc): accanto agli atti pubblici,
anche le scritture private autenticate divengono idonee all'esecuzione forzata di obblighi di
pagamento di somme di denaro; ma soprattutto si aggiunge un ultimo comma dal quale si può
intendere che i titoli esecutivi stragiudiziali di cui al n. 3 possono fondare anche l'esecuzione forzata
per consegna o rilascio, contro la tradizionale limitazione ai titoli giudiziali.
Nella disciplina generale del pignoramento, si modifica e si integra l'art. 492, con notevole
estensione dei poteri dell'ufficiale giudiziario; soprattutto, da segnalare la possibilità di utilizzo della
anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche per venire a conoscenza di beni e diritti utilmente
aggredibili nella sfera patrimoniale del debitore.
Incisivamente, si consente l'intervento nell'espropriazione soltanto ai creditori muniti di titolo
esecutivo, ovvero titolari di un sequestro o di un diritto di pegno o ipoteca sul bene pignorato: si
impedisce così l'intervento di creditori chirografari privi di titolo esecutivo, evitando potenziali
appesantimenti della procedura e soprattutto la partecipazione alla distribuzione del ricavato di
soggetti che soltanto si affermino titolari del credito nei confronti del debitore esecutato,
esponendosi dunque a contestazioni e necessità di accertamenti dilatori in sede di distribuzione della
somma ricavata dalla liquidazione forzata del bene pignorato.
In stretta connessione con quanto appena rilevato in punto di legittimazione all'intervento, poiché i
crediti da soddisfare sono più difficilmente contestabili, sta la modifica dell'art. 512 c.p.c.: eventuali
contestazioni al piano di riparto sono decise subito dal giudice dell'esecuzione con ordinanza,
opponibile con lo strumento dell'art. 617 c.p.c. Ne esce una disciplina delle controversie in sede di
distribuzione radicalmente diversa da quella attuale, per la quale ultima la contestazione apre
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ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA
immediatamente un processo a cognizione piena con sospensione del procedimento esecutivo: con
la nuova disposizione, intanto, il giudice decide, e un giudizio ordinario definito con sentenza si
instaura soltanto a seguito di opposizione agli atti esecutivi, con sospensione discrezionale (non più
necessaria) della distribuzione.
Centrale, anche per quantità delle disposizioni del codice interessate alla novella, è la nuova
disciplina della liquidazione dei diritti pignorati, nella espropriazione mobiliare (artt. 529 ss.) e,
soprattutto, in quella immobiliare (artt. 567 ss.): si segnala una incisiva nuova regolamentazione
della vendita forzata senza incanto (artt. 571, 572, 573) e con incanto (artt. 576, 580), delle offerte
dopo l'incanto (artt. 584, 585), e dell'assegnazione (artt. 588 ss.) tutta tesa a ottenere il miglior
risultato possibile in funzione di un esito del processo esecutivo più vantaggioso per i creditori che
hanno diritto a partecipare alla distribuzione del ricavato.
In questo ambito, e agli stessi fini, è di assoluto rilievo la possibilità della delega delle operazioni di
vendita mobiliare (art. 534-bis) o immobiliare (art. 591-bis) non solo a notai (come oggi è per le
vendite immobiliari) ma anche ad avvocati, dottori commercialisti o esperti contabili. In funzione di
tale delega si istituiscono appositi elenchi di professionisti disponibili, con un nuovo art. 179-ter
delle disposizioni di attuazione.
La stessa ratio, di miglior esito della liquidazione forzata, è sottesa anche alle modifiche in tema di
custodia dei beni pignorati: in particolare, nell'espropriazione immobiliare con l'ordinanza di vendita
la custodia si toglie al debitore e si affida al soggetto delegato alle operazioni di vendita o all'istituto
vendite giudiziarie.
La norma, così divergente dal sistema attuale in cui il debitore non viene privato della disponibilità
materiale del bene sino all'esecuzione per rilascio sulla base del decreto di trasferimento, ha lo
scopo di far sì che ´gli interessati a presentare offerta di acquisto esaminino i beni in vendita' (art.
560), per rendere più appetibile il bene e per raggiungere un miglior prezzo di vendita e realizzare
un maggior introito da distribuire, poi, ai creditori.
Alcune modifiche incidono sulla disciplina della sospensione del processo esecutivo. In particolare,
si prevede la possibilità della sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo in caso di opposizione a
precetto; si eliminano così i problemi e le disparità di trattamento emergenti sulla base dei vigenti
artt. 623-624 c.p.c., per i quali il giudice investito dell'opposizione di cui all'art. 615, 1° comma non
può sospendere o inibire la prossima esecuzione, essendo ciò possibile solo in caso di titolo
esecutivo costituito da cambiale o assegno. Inoltre, il provvedimento che decide sull'istanza di
sospensione dell'esecuzione è dichiarato impugnabile con il reclamo al collegio di cui all'art. 669terdecies c.p.c.; si evita così che, con la necessità di proporre l'opposizione ai sensi dell'art. 617,
attualmente prevista, decida lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento contestato.
(riproduzione riservata)
21/04/2005
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ITALIA OGGI
Cognizione, processo istruito sin dalla prima udienza
Un'unica udienza nella fase introduttiva e via libera alla scelta del rito societario. Con un primo
gruppo di norme inserite nel dl competitività si modifica incisivamente la fase introduttiva del
processo ordinario di cognizione di cui agli artt. 163 ss. c.p.c., con riguardo alla scansione delle
udienze e alla formazione delle preclusioni.
Si intende superare la disciplina introdotta dalla Riforma del 1990, e in particolare con le modifiche
apportate a essa con i decreti legge del 1995, e la prassi per cui all'inizio del processo si realizza una
scansione di udienze per determinare l'oggetto del giudizio e della cognizione del giudice.
L'emendamento pare prendere atto dello svuotamento creato dalla prassi per cui alle udienze di
prima comparizione (art. 180), di prima trattazione (art. 183 c.p.c.) e per le richieste istruttorie (art.
184 c.p.c.) non viene compiuta alcuna attività significativa, se non quella della assegnazione alle
parti di termini per memorie.
Con la novella, si immagina lo svolgimento di un'unica udienza dedicata alla verifica della corretta
instaurazione del processo (integrità del contradditorio, vizi dell'atto di citazione, contumacia), alla
definizione dell'oggetto del processo (thema decidendum: domande) e della cognizione del giudice
(thema probandum: allegazione dei fatti; eccezioni), nonché alla precisazione delle richieste
istruttorie.
Sono peraltro previste delle aperture, con rinvii dell'udienza per esigenze specifiche.
In particolare, innanzitutto deve essere fissata nuova prima udienza nel caso in cui il giudice rilevi
un vizio di regolarità del contraddittorio o comunque provveda ai sensi delle disposizioni richiamate
nel primo comma del nuovo art. 183 (che riproduce l'attuale art. 180, 1° comma).
Inoltre, deve essere disposto rinvio a una seconda udienza quando le parti, congiuntamente,
richiedano la comparizione personale. Diviene così eventuale, e pienamente disponibile dalle parti,
l'interrogatorio libero e l'esperimento del tentativo di conciliazione. Peraltro, poiché la fissazione di
una udienza apposita per tale attività consegue alla richiesta dei procuratori delle parti, si può
ipotizzare che ciò avverrà nel caso in cui si immagini una seria possibilità di conciliazione.
Le attività di trattazione da compiere all'udienza sono essenzialmente quelle previste nel vigente art.
183, ma si impedisce, all'esito dell'udienza, la fissazione di una ulteriore udienza per le attività oggi
disciplinate dall'art. 184.
In altri termini: se richiesto, il giudice concede alle parti un termine perentorio non superiore a 30
giorni per una memoria con precisazioni e modificazioni delle domande, delle eccezioni e
conclusioni già proposte, e per produrre documenti e indicare nuovi mezzi di prova, nonché altro
termine per replicare e per indicare prova contraria. In tal caso, il giudice, dopo la scadenza del
secondo termine, pronuncerà fuori udienza un'ordinanza relativa all'ammissione o meno dei mezzi
di prova, fissando per l'assunzione di quelli ammessi l'udienza di cui al (nuovo) art. 184.
Se le parti all'udienza non richiedono i termini per memorie, il giudice alla stessa udienza ammette o
non ammette i mezzi di prova richiesti, fissando nuova udienza soltanto per la loro assunzione.
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Ne esce un sistema che ruota attorno a un'unica udienza rispetto alla quale si producono tutte le
preclusioni di domande, allegazioni e richieste di mezzi istruttori; in caso di assegnazione dei
termini per memorie e repliche, le preclusioni matureranno alla scadenza di tali termini.
Occorre osservare che si evita così che prima si alleghino i fatti e poi si richiedano i mezzi di prova,
inducendo le parti alla maggiore completezza possibile fin dagli atti introduttivi del processo.
Grandissima importanza assume anche l'inserimento di un nuovo art. 70-ter nelle disposizioni di
attuazione del codice di procedura civile.
La norma intende consentire l'adozione generalizzata del nuovo processo per le controversie
societarie disciplinato dal dlgs 5/2003 (e successive modifiche), in alternativa al rito ordinario di
cognizione di cui agli artt. 163 ss. c.p.c.
Si prevede che l'attore, nel redigere la citazione, possa inserirvi, oltre e accanto all'elemento di cui al
n. 7 dell'art. 163 (invito a comparire all'udienza fissata; avvertimento delle decadenze), l'invito al
convenuto a notificare la propria comparsa ai sensi dell'art. 4 del dlgs 5/2003.
Nel caso in cui il convenuto (o tutti i convenuti, nel caso di loro pluralità) aderisca a questo secondo
alternativo invito, il processo prosegue secondo le regole del processo societario.
Si tratta dell'originale previsione della possibilità per le parti di scegliersi il rito per la propria
controversia. Possono certo ipotizzarsi rilevanti problemi di coordinamento (per es.: che ne è
dell'udienza fissata dall'attore se poi il convenuto aderisce all'alternativa via del rito societario?), ma
la disposizione può essere dirompente in funzione della risoluzione delle contoversie civili con un
rito radicalmente diverso da quello vigente o novellato dalla stessa legge di conversione del decretocompetitività.
21/04/2005
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DIRITTO E GIUSTIZIA
Decreto contumacia: ora piace agli avvocati ma il tempo è scaduto (quasi)
Una corsa contro il tempo per convertire il decreto contenente disposizioni in materia di sentenze
contumaciali. Ieri l’Aula di Montecitorio ha chiuso l’esame del provvedimento, riportando il testo
all’originaria stesura e cancellando le modifiche apportate dal Senato (vedi tra gli arretrati del 20
aprile). Cancellata la norma sullo specifico mandato per il difensore che vuole proporre
impugnazione contro una sentenza contumaciale, cancellata pure la restituzione in termini per
proporre impugnazione od opposizione nel caso in cui essa sia stata già proposta dal difensore (il Dl
è leggibile tra i documenti correlati). La commissione Giustizia del Senato si è subito convocata, gia
in seduta notturna ieri sera per poter procedere alla discussione del decreto. Resta adesso da vedere
se i senatori, seppure ob torto collo, decideranno di sigillare le decisioni di Montecitorio oppure
procedere nuovamente con le loro modifiche. Se così fosse, però, il tempo per la conversione del
decreto non ci sarebbe più, dal momento che il termine scade sabato 23 aprile.
Ma con la decadenza non si vestirebbero certo a lutto gli avvocati penalisti, come spiegava martedì
il presidente dell’Unione camere penali, Ettore Randazzo. E anche da via Arenula – dove in questo
momento si vive il fermento del nuovo esecutivo e il possibile cambio del Guardasigilli – nessuno
griderebbe allo scandalo. Lo stesso Guardasigilli, Roberto Castelli, al momento dell’approvazione in
Consiglio dei ministri non aveva nascosto l’obiettivo primario del provvedimento: riportare in Italia
Cesare Battisti.
21/04/2005
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ITALIA OGGI
Il parlamento ha approvato ieri il dl sulla contumacia
Notifiche semplici
Andranno effettuate al difensore
In caso di contumacia le notifiche successiva, alla prima andranno fatte al difensore. Ma se egli
dichiara all'autorità giudiziaria che procede di non accettarla, si applicano le regole generali. Punta a
una maggiore semplificazione la legge di conversione del decreto legge che reca ´Disposizioni
urgenti in materia di impugnazione delle sentenze adottate in contumacia dell'imputato'.
Ieri il provvedimento è stato approvato alla camera con questa ulteriore modifica, suggerita da
Giuseppe Fanfani (Margherita), ed è stato tempestivamente mandato in senato che lo ha approvato
in serata a tamburo battente per evitare che decadesse, sabato prossimo.
Secondo quanto ha confermato il presidente della commissione giustizia della camera, i contrasti
con il senato sul testo sono stati superati e palazzo Madama ha approvato il testo di Montecitorio.
Anche sul punto di maggior attrito, cioè la soppressione della norma che imponeva la procura
speciale al difensore per impugnare la sentenza in contumacia. Una norma che Montecitorio
riteneva penalizzante per gli imputati meno abbienti. Con l'approvazione definitiva in zona Cesarini,
l'Italia si è messa in regola con l'Europa che con la Corte di Strasburgo l'aveva condannata proprio
per la mancata previsione della possibilità al contumace di impugnare la sentenza di condanna.
Circostanza che tra l'altro consentirà di ottenere l'estradizione di molti latitanti, finora negata proprio
a causa della mancanza di questa garanzia.
Il provvedimento agisce su due fronti. Da una parte disciplina per la prima volta la rimessione in
termini per proporre impugnazione, nel senso che la richiesta da parte di chi è stato condannato in
contumacia deve essere presentata a pena di decadenza entro 30 giorni da quello nel quale è cessato
il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore.
Contrariamente a quanto accade oggi, sarà il giudice a dover compiere ogni necessaria verifica del
fatto che l'imputato non ha avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e che
vi abbia volontariamente rinunciato. Il secondo fronte di intervento è quello delle notifiche
successive alla prima, rispetto al quale l'aula della camera è intervenuta stabilendo che debbano
esser fatte comunque al difensore.
Il testo uscito dalla camera, comunque, ha soppresso tutte le integrazioni approvate dal senato.
Ilaria Cortesi
21/04/2005
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Camera dei Deputati
«Disposizioni urgenti in materia di impugnazione delle sentenze contumaciali
e dei decreti di condanna»
Ddl 5650-B/C di conversione del Dl 21 febbraio 2005, n. 17
Con le modifiche, in neretto, approvate dall’Aula il 20 aprile 2005
Articolo 1
((Modifiche all’articolo 175 del codice di procedura penale)
1. All’articolo 175 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La richiesta per la restituzione nel termine è
presentata, a pena di decadenza, entro dieci giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso
fortuito o forza maggiore.»;
b) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l’imputato è restituito, a sua
richiesta, nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva
conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire, ovvero a
proporre impugnazione o opposizione. A tale fine l’autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica»;
c) dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2bis. La richiesta indicata al comma 2 è presentata, a pena di decadenza, nel termine di trenta giorni da
quello in cui l’imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento. In caso di estradizione dall’estero,
il termine per la presentazione della richiesta decorre dalla consegna del condannato.»;
d) al comma 3 il periodo: «La richiesta per la restituzione nel termine è presentata, a pena di decadenza, entro
dieci giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore ovvero, nei casi
previsti dal comma 2, da quello in cui l’imputato ha avuto effettiva conoscenza dell’atto.» è soppresso.
Articolo 2
(Modifica all’articolo 157 del codice di procedura penale)
1. All’articolo 157 del codice di procedura penale dopo il comma 8 è aggiunto, in fine, il seguente:
«8bis. Le notificazioni successive sono eseguite, in caso di nomina di difensore di fiducia ai sensi
dell’articolo 96, mediante consegna ai difensori. Il difensore può dichiarare immediatamente all'autorità
che procede di non accettare la notificazione. Per le modalità della notificazione si applicano le disposizioni
previste dall’articolo 148, comma 2bis».
Articolo 3
(Entrata in vigore)
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.
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ITALIA OGGI
Cassa forense: il presidente De Tilla ha esposto le linee strategiche nella prima riunione del cda
Pensioni e investimenti le priorità
Allo studio la riforma e il piano di impiego della liquidità
La Cassa forense rilancia la riforma della previdenza, da realizzare con il contributo di tutte le
componenti dell'avvocatura. Sul tappeto sostanzialmente due ipotesi: le riforme parametriche e
l'opzione sul contributivo. Entrambe da completare con l'introduzione della previdenza
complementare. E non solo. Con il comitato dei delegati rinnovato e con il board quasi al completo,
l'istituto di previdenza forense mette in campo 60 obiettivi per razionalizzare tutta l'attività di
gestione, l'organizzazione interna e rilanciare le riforme: un nuovo assetto organizzativo per la
gestione del patrimonio, l'istituzione di un fondo immobiliare, un piano di contenimento delle spese,
la introduzione di un sistema di auditing interno, rilancio di investimenti per uscire dalla liquidità,
promozione di istituti eccellenti.
Intanto il comitato dei delegati, che si è riunito venerdì scorso, ha deliberato di dare corso alle
elezioni per il rinnovo dei componenti del consiglio di amministrazione in scadenza a maggio. Si
tratta di cinque componenti: Carlo Dolci, Ignazio Li Gotti, Salvatore Di Cristofalo, Edoardo
Vinciguerra e Marcello Colloca di cui tre fanno parte della nuova giunta esecutiva, che scadono il 6
maggio e per i quali ci si chiedeva quale norma dello statuto prevalesse tra quella che stabilisce che
la durata dei consiglieri non può essere superiore a quattro anni oppure quella che stabilisce che il
rinnovo del cda debba avvenire ogni due anni per la metà dei componenti. È prevalsa la prima per
cui a maggio il comitato dei delegati sarà chiamato a sostituire i cinque consiglieri (si
ripresenteranno in tre: Colloca, Dolci e Di Cristofalo) che si andranno ad aggiungere agli altri
cinque eletti l'11 marzo scorso.
De Tilla, dal canto suo, ha già stilato l'elenco delle priorità per il prossimo biennio e lo ha sottoposto
all'attenzione del primo consiglio di amministrazione dopo le elezioni che si è tenuto dieci giorni fa
distribuendo i compiti tra i consiglieri. Tre le linee strategiche: la riforma della previdenza,
l'impiego della liquidità, l'organizzazione interna, per il contenimenti dei costi da una parte e il
recupero di efficienza dall'altra.
Sul fronte pensioni, si contendono il campo l'ipotesi di intervento parametrico (mantenendo il
retributivo gli interventi sono diversi: dall'aumento dei contributi, a quello dell'età pensionabile
all'aumento del periodo di riferimento a tutta la vita lavorativa) e l'introduzione del sistema
contributivo, come richiesto dai giovani dell'Associazione italiana giovani avvocati. ´Discuteremo il
da farsi, ma rimango dell'avviso che il sistema migliore sia quello attuale integrato con la
previdenza complementare, che consente anche di lasciare inalterato il livello delle pensioni',
sottolinea De Tilla, che annuncia anche di voler spostare in avanti le proiezioni.
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In stato di avanzata progettazione è anche la costituzione di un fondo immobiliare, di cui si sta
valutando la convenienza, per la gestione di un patrimonio che si aggira sui 500 milioni di euro. In
alternativa c'è la costituzione di una sgr, magari aperta anche alle altre professioni. Obiettivo le
dismissioni, gli acquisti, la gestione più in generale. Sotto il profilo gestionale obiettivo tra i
prioritari è quello di uscire dalla liquidità, che arriva alla discreta somma di 600 milioni di euro.
´Occorrono investimenti prudenti. Bisogna studiare un piano di investimenti prudenziali a medio
termine.
Con il ministero dell'economia stiamo verificando anche l'emissione di titoli di stato riservati a
investitori istituzionali a lungo termine ma con tassi di rendimento adeguati, tipo il 4% ', rilancia
una vecchia idea il presidente della Cassa. Intanto però con l'Adepp questo weekend si partirà alla
volta di Marrakech sempre allo scopo di studiare piani di investimento mobiliare.
Nei piani del presidente c'è anche la costituzione di una sgr, società di gestione del risparmio per
razionalizzare l'assetto patrimoniale dell'ente anche per abbassare i costi delle consulenze esterne.
De Tilla avvierà anche un piano di contenimento delle spese a partire dai discussi gettoni di
presenza: sarà fissato un tetto a 15 gettoni l'anno (l'ammontare è di circa 300 euro ciascuno) per le
presenze nelle commissioni del comitato dei delegati e limitati quelli degli amministratori per le
attività uti singuli.
´Ulteriore iniziativa della Cassa sarà quella di gemmare istituti eccellenti per la formazione dei
legali, in collaborazione con tutte le istituzioni dell'avvocatura e con le regioni sulla scia di quanto
realizzato a Collesalvetti, una residenza d'epoca ristrutturata per ospitare un centro di formazione già
inserito nel Piano di sviluppo della regione Toscana', dice De Tilla.
Le regioni che saranno interessate in prima battuta da questo progetto saranno la Lombardia, il
Triveneto, la Campania e la Sicilia.
In fase avanzata è anche lo studio di un sistema di auditing interno per garantire i controlli sulla
gestione dell'ente di previdenza, mentre il comitato dovrà studiare più in generale un riassetto
dell'ente per rendere più efficiente la Cassa. (riproduzione riservata) Claudia Morelli
21/04/2005
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Si apre la nona assemblea generale dell'Angdp. Necessario definire un quadro delle competenze
Una riforma è sempre più urgente
I magistrati onorari fanno pressing per un intervento organico
di Francesco Mollo presidente dell'Angdp e co-presidente Federazione unitaria
La nona assemblea generale dell'Associazione nazionale giudici di pace quest'anno coincide con il
decennale dell'entrata in funzione del giudice di pace. Un soggetto nuovo dell'amministrazione della
giustizia che per un unanime riconoscimento ha saputo per qualità e quantità rispondere alla
domanda di giustizia dei cittadini e che con il suo determinante contributo ha evitato il collasso della
giustizia.
Tutti i giudici di pace che, nel tempo, dal 1995 a oggi, hanno lavorato nel settore devono sentirsi
fieri di aver dato questo determinante contributo.
Purtroppo i disorganici provvedimenti intervenuti nel tempo non hanno contribuito a farlo diventare
un corpus omogeneo, ma un contenitore di disparate competenze per sopperire all'inefficienza del
complessivo sistema.
Ogni pretesa di ampliamento delle sue competenze e della sua professionalità non si è mai
accompagnata a un progetto di rivisitazione del suo ruolo e del suo trattamento.
Politica e operatori del diritto pretendono risultati e professionalità da licenziare periodicamente con
il sistema dell'usa e getta e con lo sfruttamento delle prestazioni professionali, sottocosto e senza
alcuna garanzia. La sua efficienza e la capacità di rispondere in tempi brevi rispetto alla normale
intollerabile lunghezza dei processi sembra quasi disturbare i vari manovratori.
Ogni tentativo di riforma del settore, vero o annunciato, si è infranto, al momento, contro muri di
gomma respingenti e impenetrabili, quasi a voler comunicare che ciò che funziona non è gradito a
chi per compiti politici e funzioni gestionali dovrebbe dirigere e amministrare questo delicato
servizio. Non vi è dubbio che il successo sia dovuto anche al fatto che il giudice di pace è partito
senza sedimentazioni consolidate e senza pretese corporative e conservatrici, facendo apprezzare un
nuovo modo di amministrare la giustizia.
Al punto in cui si è arrivati ormai occorre lottare per una riforma organica del settore e per interventi
sull'organizzazione del servizio, per evitare che lo stesso piombi nella normale inefficienza
generale. L'Associazione e più in generale la Federazione unitaria della categoria non risparmiano
nessuna energia per convincere tutte le parti interessate ad attivarsi e contribuire all'assunzione di
provvedimenti riformatori e organizzativi al fine di consolidare e migliorare questo servizio, ma
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purtroppo devono registrare resistenze di vario ordine e grado, se non opposizioni, che non fanno
avanzare il miglioramento del servizio.
Il clima politico generale e lo scontro istituzionale in atto certamente non agevolano né la
discussione né le decisioni. Ci si batte contro dei muri di gomma respingenti e impenetrabili, a volte
identificati, a volte operosi ma silenziosi. Anche l'assenza di interventi puramente amministrativi
rimane incomprensibile.
Come rimane incomprensibile l'accanimento della struttura ministeriale con le mille circolari
contraddittorie e punitive.
Ma in fondo cosa chiedono i giudici di pace? Sul piano generale chiedono di far funzionare meglio
il servizio, la definizione di un quadro di competenze congeniali alla loro specifica funzione, una
razionalizzazione delle risorse di mezzi e di persone, un sistema che tuteli il lavoro svolto, garanzie
della propria indipendenza, una razionalizzazione della retribuzione, l'assicurazione di poter
lavorare nel tempo con la ricchezza della professionalità acquisita.
Una volontà modernizzatrice senza i condizionamenti corporativi avrebbe risolto tutti questi
problemi senza nessuna sollecitazione.
La rappresentanza associativa ha sollecitato incessantemente, utilizzando tutte le occasioni e i propri
rappresentanti in sede nazionale e in sede locale, per spiegare come intervenire per la soluzione dei
vari problemi rappresentati e come gli interventi avrebbero potuto definire competenze, soggetti e
garanzie per fare continuare a fiorire questo albero, come diceva il prof. Conso, al fine di garantire,
per la parte di competenza, un servizio ai cittadini all'altezza di un paese moderno. Se i giudici di
pace sono considerati efficienti, i provvedimenti presentati all'approvazione del parlamento sulla
competitività, in attesa di una possibile riforma della magistratura onoraria, pur essa all'ordine del
giorno, sono una buona occasione per introdurre alcuni degli elementi suggeriti.
Se la strada del dialogo, la strada del contributo non darà apprezzabili risultati a questo scopo, i
giudici di pace sentiranno l'esigenza di perseguire altre strade che non avrebbero voluto percorrere.
Il comportamento responsabile della categoria non può durare senza risposte adeguate sia per
garantire ai cittadini il miglior servizio possibile, sia per le tutele dei giudici di pace, che non
possono essere ulteriormente rinviate. (riproduzione riservata)
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ITALIA OGGI
Ancora molte le risposte che mancano
di Gabriele Longo presidente Federazione unitaria giudici di pace
L'Anm e Magistratura democratica hanno organizzato recentemente a Genova e a Catania due
convegni sulla magistratura onoraria e di pace con la partecipazione di studiosi, politici, sindacati,
associazioni dei consumatori, rappresentanti dei giudici di pace, Got, viceprocuratori, e
dell'avvocatura.
I convegni hanno confermato un giudizio largamente positivo dell'attività e delle prospettive della
magistratura di pace e hanno fornito indicazioni interessanti sulla revisione delle competenze, in
materia di organizzazione, omogeneizzazione degli organici, direzioni degli uffici.
Autorevoli rappresentanti della magistratura e del Csm hanno convenuto sul coinvolgimento diretto
dei giudici di pace nella gestione e controllo dell'attività sia a livello di distretto sia di Csm.
Senza risposta è invece rimasta l'esigenza manifestata dai giudici di pace di individuare i nodi della
riforma e il modello del nuovo giudice. (riproduzione riservata)
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IL SOLE 24 ORE
NUOVE FRONTIERE DEL DIRITTO Per Gustavo Zagrebelsky l'assenza di una giustizia
costituzionale a livello europeo è destinata a indebolire la costruzione di un soggetto politico
unitario e a produrre conflitti devastanti tra le Corti
Giustizia, l'Europa si scopre debole
I l 3 maggio la Corte di giustizia dell'Unione europea emetterà una delle sentenze più attese e
scottanti degli ultimi anni, quella sul falso in bilancio così come riscritto nel 2001 dal Governo.
Una riforma che ha consentito al presidente del Consiglio Berlusconi di " salvarsi" in quasi tutti i
processi che lo vedevano imputato per questo reato, tranne in quelli rimasti sospesi in attesa della
decisione della Corte di giustizia sulla compatibilità delle nuove norme italiane con le direttive
comunitarie in materia.
Il 14 ottobre scorso l'Avvocato generale della Corte ha bocciato la riforma, ritenendola non
conforme al diritto comunitario, e la Commissione Ue si è associata a queste conclusioni. La Corte
di giustizia ha impiegato sei mesi per prendere una decisione, evidentemente non facile. Ma, al di là
delle ricadute dirette sui processi al premier, questa decisione avrà conseguenze non meno rilevanti
nei rapporti con i giudici nazionali, in particolare con la Corte costituzionale. E riporterà alla ribalta
il problema della necessità o meno di un coordinamento tra Corti nazionali ed europee ( Corte di
giustizia e Corte dei diritti dell'uomo) per evitare conflitti giurisdizionali devastanti per l'effettiva
tutela dei diritti. Un problema che non nasce oggi, ma che va riconsiderato alla luce dell'espandersi
del diritto comunitario ( si veda l'articolo a fianco).
Anche la Corte costituzionale italiana è stata investita, a suo tempo, della questione relativa alla
conformità della riforma del falso in bilancio alle norme comunitarie. La risolse, a giugno del 2004,
con un'ordinanza ( n. 165) con cui diede la precedenza alla Corte di giustizia, data la « sostanziale
coincidenza » dei due giudizi; perciò rinviò la causa « a nuovo ruolo » . « Una decisione inedita » ,
commenta Ignazio Juan Patrone, sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione, dove
collabora al " gruppo internazionale". « In casi come questo, la Corte o dichiarava la questione
inammissibile oppure restituiva gli atti al giudice — aggiunge —.
Stavolta, invece, anche se non ha detto " dobbiamo aspettare la Corte di giustizia" ma " è
opportuno" aspettarla, ha implicitamente riconosciuto che il monopolio della Corte di Lussemburgo
sull'interpretazione delle fonti comunitarie può avere una ricaduta diretta sul giudizio di legittimità
costituzionale delle leggi nazionali » .
Il punto è: che cosa accadrà se la Corte di giustizia dovesse confermare in tutto l'impostazione
dell'Avvocato generale? Il giudice italiano dovrà disapplicare la nuova norma, anche se è più
favorevole all'imputato? « Potrebbe nascere una delicata questione interpretativa— risponde
Patrone—. I giudici italiani saranno in una situazione di grave difficoltà perché saranno loro a dover
stabilire se si applica comunque il principio costituzionale del trattamento penale più favorevole (
ma in tal caso la sentenza della Corte Ue resterebbe inattuata) o se la sentenza va applicata alla
lettera in attesa che la Cassazione o la Corte costituzionale dicano l'ultima parola » .
Le sentenze della Corte di giustizia sono obbligatorie per tutte le autorità nazionali — politiche,
giurisdizionali, amministrative —; quindi il legislatore, sia pure con un certo margine di
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apprezzamento, dovrebbe reintrodurre una disciplina analoga a quella precedente la riforma del
2001. In caso contrario, la Commissione Ue potrebbe rivolgersi alla stessa Corte di giustizia per
l'inadempimento dell'Italia sia alla sentenza sia alla direttiva Ue.
Da qualche tempo ci si interroga su come evitare conflitti tra le giurisdizioni nazionali e quelle
europee. A palazzo della Consulta si sono susseguiti vari seminari, l'ultimo dei quali il 14 gennaio,
sotto la presidenza di Valerio Onida. E l'Associazione italiana dei costituzionalisti ha in programma
un incontro su questo tema. C'è chi mette l'accento sulla fecondità di un « pluralismo dialogante » e
chi teme, invece, un « dualismo europeo » , alimentato dalla concorrenzialità tra le due Corti
europee e quelle nazionali. Prima di lasciare la Consulta, Onida ha proposto di istituire una sorta di
« Rete » tra le Corti nazionali, sull'esempio di quelle già sperimentate con successo dall'Unione
europea, riguardanti i Csm e le Corti di cassazione. Una risposta potrebbe arrivare a maggio da
Cipro, dove si terrà la riunione triennale della Conferenza europea delle Corti costituzionali. D.St.
21/04/2005
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IL SOLE 24 ORE
« Premesse per uno sgretolamento »
DAL NOSTRO INVIATO TORINO • « Una costruzione politica unitaria che non si preoccupa
dell'unità della giurisdizione è una costruzione debole. Possiamo costruire tutti i poteri politici che
vogliamo, ma se sulle grandi questioni costituzionali c'è un giudice che può dire bianco e un altro
che può dire nero e non c'è nessuno che possa dire in ultima istanza come stanno le cose, questa è la
premessa per uno sgretolamento » .
Nell'aula della facoltà di Giurisprudenza di Torino, l'ex presidente della Corte costituzionale
Gustavo Zagrebelsky conclude la sua lezione con parole preoccupate per il futuro politico
dell'Europa.
La prospettiva di uno « sgretolamento » per la mancanza di una giurisdizione costituzionale unitaria
è più cupa del cielo sopra la città, che da ore fa cadere una pioggia insistente. Forse a breve l'Europa
avrà una Costituzione che prevede dei poteri, subordinati al rispetto di diritti fondamentali; ma
poiché manca un coordinamento tra i diversi strati della giustizia costituzionale ( nazionali e
sovranazionali europei), le parti di una medesima controversia potrebbero andare a cercare tutela là
dove ciascuna ritenga di avere maggiori chance di successo: Strasburgo, Lussemburgo piuttosto che
casa propria. Con il rischio, concreto, di sentenze confliggenti su questioni delicatissime — famiglie
di fatto, matrimoni omosessuali, eutanasia, sperimentazione medica sull'embrione — che possono
toccare interessi materiali, investimenti finanziari rilevantissimi.
« Sarebbe una crisi drammatica...», riflette il professore.
Zagrebelsky ha svestito la toga di giudice costituzionale a settembre del 2004 e da metà febbraio
2005 ha reindossato gli abiti del professore universitario. Ogni lunedì e martedì affronta temi
connessi alla giustizia costituzionale, con l'occhio attento all'attualità politico istituzionale, non solo
italiana. L'argomento odierno è particolarmente spinoso: i rapporti tra le Corti costituzionali
nazionali e « le giustizie costituzionali sovranazionali europee » , ovvero la Corte dei diritti
dell'uomo ( Strasburgo) e la Corte di giustizia della Ue ( Lussemburgo). Un argomento su cui « lo
stato confusionale è un dato istituzionale » esordisce il professore, ammettendo che questa
confusione lo preoccupa perché la Corte costituzionale italiana rischia di perdere una delle sue
competenze specifiche, la tutela dei diritti fondamentali, che potrebbe prendere la strada di
Strasburgo o di Lussemburgo. A differenza della Corte Ue, la Corte di Strasburgo non ha dietro di
sé un'organizzazione politica che esercita poteri potenz i a l mente lesivi di diritti: dietro la Corte di
giustizia c'è un potere europeo; dietro la Corte di Strasburgo ci sono 46 Stati, quelli che hanno
sottoscritto la Convenzione dei diritti dell'uomo del 1950, una sorta di codificazione dei princìpi
giuridici esistenti in Europa. La tutela della Corte di Strasburgo consiste nel dichiarare la violazione
di un diritto, proclamato nella Convenzione, derivante da qualunque atto di uno Stato ( leggi, norme
costituzionali, atti amministrativi, sentenze). La tutela della Corte del Lussemburgo si esplica invece
nel quadro di un ordinamento che prevede poteri politici e, correlativamente, diritti che ne limitano
l'esercizio. Poiché fino agli anni 90 non esisteva un vero e proprio catalogo dei diritti, la Corte
s'ispirò « alle tradizioni costituzionali comuni » dei Paesi della Comunità, oltre che alla
Convenzione dei diritti dell'uomo; solo con i Trattati di Maastricht e di Amsterdam compare una
prima proclamazione dei diritti, che diventa esplicita e dettagliata nel 2000, con la Carta di Nizza, la
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più moderna Dichiarazione dei diritti, sebbene non sia ancora vigente ( lo sarà, con effetti vincolanti
per gli Stati, quando sarà approvata la Costituzione europea).
Tornando a Strasburgo, una volta accertata la violazione, lo Stato deve rimuoverne le cause. La
Corte dei diritti, infatti, non ha poteri di annullamento; le sue pronunce stanno « ai margini delle
sovranità nazionali » perché l'esecuzione delle sentenze spetta agli Stati, secondo le loro regole. Di
recente, però, la Corte ha emesso due pronunce in cui, per la prima volta, ha indicato il rimedio (
interno) da adottare, riducendo così la discrezionalità dei Paesi condannati. Zagrebelsky osserva: i
diritti ai quali fa riferimento la Corte di Strasburgo sono molto simili a quelli proclamati dalla nostra
e dalle altre Costituzioni. Le Carte dei diritti sono molto simili tra loro; non ci sono contraddizioni.
Per alcuni, ciò è un fatto positivo perché, anche senza un coordinamento tra i vari sistemi
giurisdizionali, tutti applicano gli stessi principi e, dunque, non dovrebbero sorgere problemi. Per
altri, invece, è motivo di preoccupazione: che succederà se le diverse giurisdizioni esistenti in
Europa dovessero applicare i medesimi principi in modo diverso? « La proclamazione della dignità
umana, ad esempio, è presente in tutti i sistemi: dalla Costituzione nazionale alla Convezione di
Strasburgo, fino alla Costituzione europea. Ma con l'eutanasia come la mettiamo? — chiede
Zagrebelsky —. In nome della dignità umana c'è chi dice che va vietata radicalmente, mentre altri
sostengono che, proprio in virtù di quel principio, l'eutanasia va riconosciuta. Ecco che la mancanza
di coordinamento diventa qualcosa di inquietante » .
Anche se la Carta di Nizza non è ancora diritto vigente, già esercita un'influenza culturale: se
bisogna interpretare norme costituzionali nazionali, tra due diverse interpretazioni si preferisce
quella ad essa più conforme. Così si sono regolati alcuni giudici italiani e anche la Consulta. E se
per la Corte di giustizia quella Carta, non essendo ancora vigente, è come se non esistesse, per la
Corte di Strasburgo esiste, eccome. Già ora, dunque, « si pongono gravi problemi di coordinamento
» . Ma che cosa accadrà con l'approvazione della Costituzione europea? Finora, i rapporti tra Corte
costituzionale e Corte Ue sono stati regolati dalla sentenza n. 170 del 1984, in cui si affermò il
principio dei « piani paralleli » : se c'è diritto costituzionale, è competente la Corte costituzionale; se
c'è diritto europeo, la Corte non è più competente e le controversie che coinvolgono l'interpretazione
del diritto europeo sono riservate alla Corte di giustizia, alla quale si rivolgono in via pregiudiziale i
giudici nazionali. Pertanto, se la Corte di giustizia ritiene che il diritto interno non sia compatibile
con quello europeo, i giudici italiani dovranno applicare quest'ultimo, mettendo da parte il diritto
interno. « Questa sentenza è riuscita a mantenere la pace sociale in Europa, mentre prima esisteva
una litigiosità molto accentuata tra le due Corti.
Il sistema, però, ha funzionato sulla duplice premessa che i campi di intervento della Ue fossero
limitati e che non esistesse una proclamazione generalista di diritti. Oggi queste due premesse sono
destinate ad essere superate perché la Ue ha ampliato enormemente la propria sfera d'azione e
perché a breve avremo un catalogo completissimo dei diritti » . In questo nuovo contesto, secondo
Zagrebelsky la sentenza 170 « può diventare un cappio al collo che rischia di strozzare la Corte
costituzionale proprio sui suoi compiti specifici, la tutela dei diritti fondamentali. La gran parte delle
controversie su questi diritti, dato il meccanismo del doppio binario, verrebbe assorbita dalla Corte
di giustizia e sottratta alla Corte costituzionale italiana » . Una prospettiva « su cui bisogna riflettere
attentamente ». DONATELLA STASIO
21/04/2005
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La commissione giustizia della camera ha approvato in sede referente un nuovo testo. Ora è ai
pareri delle altre commissioni
Conciliazione, obbligo di informazione per i legali
ItaliaOggi pubblica il testo della proposta di legge AC 5492 e abbinate recante Disposizioni per la
promozione della conciliazione stragiudiziale come risultante dagli emendamenti approvati nella seduta del
6 aprile 2005. Sul testo sono attesi i pareri delle commissioni
Art. 1. Finalità e ambito di applicazione
1. È promosso e incentivato il ricorso a organismi qualificati di conciliazione al fine di incoraggiare, anche
tramite procedure telematiche, la risoluzione stragiudiziale delle controversie civili e commerciali in materia
di diritti disponibili, incluse quelle aventi natura internazionale.
2. La presente legge si applica anche alle controversie nelle quali è parte una pubblica amministrazione di cui
all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. La
conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, se favorita da un conciliatore
che svolge la propria attività all'interno di uno degli organismi di conciliazione previsti dalla presente legge,
non dà luogo a responsabilità amministrativa.
3. Restano salve le disposizioni contenute in leggi speciali.
Art. 2. Definizioni
1. Ai fini della presente legge si intende per:
a) ´registro': il registro degli organismi costituiti da enti pubblici o privati, deputati a gestire i tentativi di
conciliazione ai sensi dell'articolo 38 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5;
b) ´conciliazione': il servizio reso da uno o più soggetti, diversi dal giudice o dall'arbitro, in condizioni di
imparzialità rispetto agli interessi in conflitto e avente lo scopo di dirimere una lite già insorta o che può
insorgere tra le parti, attraverso modalità che comunque ne favoriscono la composizione autonoma;
c) ´conciliatore': le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la prestazione del
servizio di conciliazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti
per i destinatari del servizio medesimo;
d) ´organismo': l'organizzazione di persone e di mezzi che, anche in via non esclusiva, è stabilmente destinata
all'erogazione del servizio di conciliazione.
Art. 3. Estensione delle norme sulla conciliazione societaria.
1. Le disposizioni sulla conciliazione stragiudiziale previste dagli articoli 38, 39 e 40 del decreto legislativo
17 gennaio 2003 n. 5, e successive modificazioni, e nei regolamenti attuativi, si applicano a tutte le
controversie di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 1 della presente legge, in quanto compatibili, alle controversie
di cui all'articolo 6 della medesima legge.
Art. 4. Conciliazione stragiudiziale raccomandata dal giudice
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1. Il giudice, qualora ritenga che per la natura del giudizio o per lo stato della controversia, anche in relazione
al materiale probatorio acquisto o ai provvedimenti emessi o da emettere in relazione alle istanze istruttorie
formulate dalle parti, sia possibile esperire un tentativo di conciliazione stragiudiziale, invita le parti a
rivolgersi a uno degli organismi iscritti al registro. Al fine di consentire di esperire il tentativo di
conciliazione, il giudice sospende il processo fissando un termine non superiore a 120 giorni per la
riassunzione del processo. La disposizione di cui al presente comma si applica anche ai procedimenti
pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
2. Il comportamento della parte che, dopo aver accolto l'invito del giudice di cui al comma 1, non si presenta
per il tentativo di conciliazione stragiudiziale, senza giustificato motivo, è valutato ai fini della condanna alle
spese processuali del giudizio di merito.
Art. 5. Dovere informativo per gli avvocati
1. All'articolo 11 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla
legge 22 gennaio 1934, n. 36, è aggiunto, in fine, il seguente comma: ´È dovere dell'avvocato informare il
cliente di tutte le possibilità conciliative della controversia, inclusa quella di ricorrere a uno degli organismi
di conciliazione iscritti al registro del ministero della giustizia, prima di procedere alla proposizione del
giudizio o nel corso dello stesso'.
Art. 6. Obbligatorietà dell'esperimento di un tentativo di conciliazione
1. Sono sottoposte al tentativo obbligatorio di conciliazione davanti a uno degli organismi iscritti al registro,
a pena di improcedibilità della relativa domanda giudiziale:
a) le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e dei natanti, quando il valore non
supera 25 mila euro;
b) le cause tra professionisti, nonché tra professionisti e consumatori, quando il valore non supera 25 mila
euro;
c) le cause aventi a oggetto la responsabilità medica, quando il valore non supera 100 mila euro;
d) le cause relative a vizi e difetti nelle forniture di beni e servizi, quando il valore non supera i 25 mila euro.
2. L'esperimento del procedimento di conciliazione di cui al comma 1 non può avere durata complessiva
superiore a 45 giorni.
3. Quando il giudice, nell'udienza di cui all'articolo 180 del codice di procedura civile, rileva l'improcedibilità
della domanda per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, sospende il giudizio e
fissa un termine perentorio non superiore a un mese per la presentazione dell'istanza. In caso di esito negativo
del tentativo di conciliazione, il processo si estingue se non è riassunto entro sei mesi, che decorrono dalla
scadenza del termine di cui al comma 2.
Art. 7. Procedure di conciliazione in corso
1. Le disposizioni della presente legge non si applicano alle procedure di conciliazione stragiudiziale in
corso, realizzate sulla base di protocolli di intesa tra le imprese e le associazioni rappresentative degli
interessi dei consumatori.
Art. 8. Entrata in vigore
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale.
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A lezione di Marketing
Comunicare l'immagine vale anche per i piccoli studi
Negli articoli precedenti (31 marzo e 7 aprile) abbiamo visto che il marketing è applicabile anche
alle realtà degli studi legali di piccole e medie dimensioni. È importante che l'avvocato scelga bene
la sua nicchia, per essere in grado di differenziarsi dai concorrenti, e che conosca bene il gruppo di
clienti che desidera acquisire (´clienti desiderati'). La consapevolezza profonda di problemi, bisogni,
aspettative ed esigenze di questi ultimi permette anche all'avvocato singolo, con poco tempo e con
un budget limitato, di raggiungere realisticamente il livello necessario di visibilità e di contatto proattivo con i clienti.
Prescindendo dalle relazioni con la stampa, come si può ampliare la propria visibilità? Il codice
deontologico forense all'art. 17 B proibisce a chiare lettere la pubblicità, che è invece consentita in
altre giurisdizioni, anche europee. Sono vietati i mezzi televisivi e radiofonici, i giornali (quotidiani
e periodici), gli annunci pubblicitari in genere e i mezzi di divulgazione anomali e contrari al decoro
(come ´la distribuzione di opuscoli o carta da lettere o volantini a collettività o a soggetti
indeterminati, nelle cassette delle poste o attraverso depositi in luoghi pubblici o distribuzione in
locali, o sotto i parabrezza delle auto, o negli ospedali, nelle carceri e simili, attraverso cartelloni
pubblicitari, testimonial e così via'). Cosa rimane all'avvocato singolo per ottenere una visibilità più
alta? Un tipo di pubblicità possibile è rappresentato dalle Pagine Gialle (anche su internet), dove
però si ha poca possibilità di esprimere la propria speciale identità. Quando, in futuro, sarà possibile
anche per l'avvocato italiano come per i suoi colleghi europei, fare pubblicità per sé stesso, deve
sapere dove i suoi clienti target cercano le informazioni sugli avvocati e che cosa (dal punto di vista
del contenuto, ma anche grafico) attira il gruppo target. Sicuramente, un cliente che ha bisogno di
un avvocato per una causa penale cercherebbe il suo avvocato in un altro modo di un cliente che
cerca un avvocato per il suo divorzio o per la sua propria società.
Deve anche tenersi conto del fatto che la pubblicità ha lo svantaggio di non essere in realtà obiettiva
riguardo alle qualità dell'avvocato che la fa, in quanto ciascuno tenderà a descrivere in maniera più
soggettiva le proprie qualità. Invece, quando uno è quotato come esperta in un articolo giornalistico,
questo giudizio assume un valore più oggettivo. Inoltre, in generale si sostiene che per essere
efficace e per avere la probabilità di essere notata dal gruppo target, una pubblicità deve essere
ripetuta determinate volte, ciò che può far saltare il budget.
La visibilità di uno studio, anche di piccole dimensioni, dipende anche dal modo di comunicare la
propria immagine: gli studi professionali devono creare un'immagine nella mente dei clienti attuali e
desiderati. Perciò l'avvocato dev'essere consapevole di cosa è attraente per loro e assicurare che
quest'immagine sarà comunicata incessantemente in tutte le pubblicazioni, la modulistica (carta da
lettera, buste), i timbri, la segnaletica ecc.
È opportuno informare gli eventuali segretaria e praticante dell'intenzione di sviluppare attivamente
il business, comunicando le caratteristiche del cliente desiderato, le capacità dello studio e il tipo di
business desiderato. Ciascuno ha i propri contatti ed è possibile anche che la segretaria oppure il
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praticante portino clienti interessanti. In questo caso, dei ringraziamenti sinceri e un piccolo regalo
possono stimolare gli sforzi per il futuro.
Con un buon trattamento dei collaboratori aumentiamo la probabilità che loro forniscano il servizio
eccezionale con il quale vogliamo differenziarci. È ovvio che se noi trattiamo male i nostri
collaboratori, è molto probabile che loro non si impegnino troppo personalmente e non si interessino
al successo dello studio. Il servizio superiore però assurge sempre più a criterio distintivo tra uno
studio di successo e uno normale. Meglio un servizio eseguito in modo superiore anziché dieci
servizi mediocri. Un'altra fonte di business interessante potrebbe essere l'appoggio e il contatto con
altri professionisti capaci. A seconda dell'area di practice potrebbe essere un commercialista che ci
passa dei clienti oppure un avvocato con un altro focus o di un'altra regione. È possibile che abbia
senso non soltanto passarsi i clienti reciprocamente ma anche unire le attività di marketing e di
sviluppo del business per offrire i servizi ´a pacchetto', come per esempio un commercialista e un
avvocato che possono offrire i loro servizi alle piccole società della regione. In ogni caso, l'aspetto
di networking è molto importante per gli avvocati e conviene farlo nel modo più efficace per evitare
di perdere troppo tempo prezioso.
Per sapere quanto si spende per il marketing, conviene stabilire un budget realistico. Tanti studi,
anche di medio-grandi dimensioni, investono pochissimo nel marketing, ma si aspettano grandi
risultati. Tuttavia, poiché diverse attività di marketing non sono ancora consentite, la spesa
maggiore è rappresentata dagli introiti non realizzati a causa dell'investimento di tempo. Non
bisogna quindi dimenticare che il marketing è un investimento a lungo termine sul proprio futuro e,
come nello sport, gli effetti si fanno vedere dopo un po' di tempo. Nei prossimi articoli prepareremo
la bozza di un piano marketing ed esamineremo i metodi di networking più efficaci. Se avete dei
quesiti specifici, non esitate a inviarli all'indirizzo e-mail: [email protected] (riproduzione
riservata)
Silvia Hodges
21/04/2005
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Il provvedimento ex 700 cpc può diventare definitivo senza opposizione
Il procedimento cautelare si spoglia del rito di merito
Nell'ambito del procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669-bis ss. cpc, oltre ad alcune
precisazioni e chiarimenti (per esempio in tema di reclamo, con l'espressa previsione del dies a quo
di decorrenza del termine per proporlo, e la necessaria deduzione di circostanze sopravvenute in tale
sede), occorre segnalare l'introduzione generalizzata del cosiddetto cautelare senza merito (già in
vigore nel processo societario: art. 23, dlgs. 5/2003).
Il provvedimento d'urgenza di cui all'art. 700 cpc e ogni provvedimento cautelare idoneo ad
anticipare gli effetti della sentenza di merito, nonché quello di denuncia di nuova opera o danno
temuto, mantiene la sua efficacia in caso di mancata instaurazione o successiva estinzione del
processo di merito. In altri termini, con la disapplicazione a opera dell'art. 669-octies, 5° comma, dei
suoi primi quattro commi, si elimina l'onere, per colui che ottiene un provvedimento cautelare
anticipatorio, di instaurare il processo di merito entro un termine perentorio a pena di inefficacia.
Resta la necessità di rispettare il termine di cui all'art. 669-octies (tra l'altro elevato da 30 e 60
giorni) per le misure cautelari conservative (sequestri), per le quali non ha alcun senso il
mantenimento dell'efficacia a prescindere da un giudizio di merito.
Similmente si incide anche sulla disciplina dei procedimenti possessori, che tanto hanno affaticato
dottrina e giurisprudenza dopo la riforma del 1990: si applica il procedimento cautelare uniforme,
ma la prosecuzione del giudizio di merito (possessorio) si ha soltanto se richiesto da una delle parti
entro un termine perentorio di 60 giorni decorrente dal provvedimento che decide sull'istanza
cautelare ovvero sul reclamo contro di esso.
Altra rilevantissima integrazione in ambito di procedimenti cautelari è quella effettuata nell'art. 669quinquies, 1° comma: si consente espressamente che al giudice dello stato possa essere richiesta
l'emissione di un provvedimento cautelare anche quando la controversia è devoluta a un arbitrato
irrituale (´arbitri anche non rituali'), superando così la limitazione giurisprudenziale all'arbitrato
rituale della possibilità di ottenere misure cautelari funzionali alla tutela di situazioni sostanziali
oggetto di patto compromissorio.
Infine, si provvede a disciplinare la fase introduttiva del processo di separazione e divorzio, e in
particolare il passaggio dal rito speciale, con la comparizione dei coniugi davanti al presidente del
tribunale, al rito ordinario di cognizione.
Oltre a regolare più precisamente il ricorso quanto a competenza, contenuto e documenti da allegare
(art. 706), si dispone che l'ordinanza con cui il presidente fissa l'udienza di comparizione davanti al
giudice istruttore debba essere notificata al coniuge non comparso; che debbano essere rispettati i
termini di cui all'art 163-bis cpc, ridotti a metà, tra la notifica e l'udienza; che sia assegnato al
ricorrente un termine per il deposito di memoria integrativa con gli elementi di cui ai numeri 2), 3) e
4) dell'art. 163 (relativo al contenuto dell'atto di citazione), e al convenuto termine per costituirsi ai
sensi degli artt. 166 e 167 cpc, con l'avvertimento delle conseguenze della mancata o tardiva
costituzione; e che l'udienza davanti al giudice istruttore sia disciplinata dagli artt. 180, 183 e 184
cpc con il relativo regime di preclusioni. (riproduzione riservata) Davide Amadei
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21 - Ordine degli Avvocati di Trani