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EVANGELIARIO
«La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture
come ha fatto per il corpo stesso del Signore» (DEI VERBUM 21)
2011
• Testo integrale dei quattro
Vangeli e non solo le pericopi
destinate alla lettura
quindicinale di attualità e documenti
• Massima chiarezza grafica
per la proclamazione liturgica
• Pagina solenne arricchita
3
da fregi e grafismi
• Utili indici finali per un agile
reperimento dei brani
Documenti
69 Dialogo: un’utopia, una risorsa
Il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, card. Tauran,
riceve all’Institut catholique di Parigi il dottorato honoris causa.
74 Contro il riciclaggio finanziario
La Santa Sede si allinea agli standard internazionali in materia di prevenzione
e contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario.
112 Il Giappone e i neocatecumenali
L’incontro col papa e i dicasteri della Santa Sede non ha modificato la linea
dei vescovi di Takamatsu e di Tokyo verso il Cammino neocatecumenale.
• Preziose tavole tratte dai mosaici
•
117 Nostra Signora di Walsingham
di Marko Ivan Rupnik
È il nome del primo ordinariato personale eretto in Inghilterra per i gruppi
di anglicani «che desiderano entrare in piena comunione» con Roma.
pp. 352 - € 290,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
www.dehoniane.it
Anno LVI - N. 1094 - 1 febbraio 2011 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
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EVANGELIARIO
«La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture
come ha fatto per il corpo stesso del Signore» (DEI VERBUM 21)
2011
• Testo integrale dei quattro
Vangeli e non solo le pericopi
destinate alla lettura
quindicinale di attualità e documenti
• Massima chiarezza grafica
per la proclamazione liturgica
• Pagina solenne arricchita
3
da fregi e grafismi
• Utili indici finali per un agile
reperimento dei brani
Documenti
69 Dialogo: un’utopia, una risorsa
Il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, card. Tauran,
riceve all’Institut catholique di Parigi il dottorato honoris causa.
74 Contro il riciclaggio finanziario
La Santa Sede si allinea agli standard internazionali in materia di prevenzione
e contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario.
112 Il Giappone e i neocatecumenali
L’incontro col papa e i dicasteri della Santa Sede non ha modificato la linea
dei vescovi di Takamatsu e di Tokyo verso il Cammino neocatecumenale.
• Preziose tavole tratte dai mosaici
•
117 Nostra Signora di Walsingham
di Marko Ivan Rupnik
È il nome del primo ordinariato personale eretto in Inghilterra per i gruppi
di anglicani «che desiderano entrare in piena comunione» con Roma.
pp. 352 - € 290,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
www.dehoniane.it
Anno LVI - N. 1094 - 1 febbraio 2011 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
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quindicinale di attualità e documenti
D
ocumenti
1.2.2011 - n. 3 (1094)
Caro lettore,
l’anno 2011, appena iniziato, è il
45° nella vita della sezione di
«Documenti» di questa rivista: in
origine si chiamava «Documentazione
cattolica», e nel suo secondo numero,
del 15 febbraio 1967 (36 pagine)
segnalava in copertina il motu proprio
istitutivo del Consilium dei laici e
della Commissione «Iustitia et Pax»,
una riflessione del card. Léger sul
celibato sacerdotale, una relazione del
prof. Pedrazzi ai laureati di Azione
cattolica sull’impegno del laicato in
Italia e un’intervista all’allora direttore
del Centro anglicano di Roma
sull’avvio di lavori della Commissione
mista per il dialogo tra anglicani e
cattolici. Come ogni anno si rinnova il
nostro impegno, che consiste prima di
tutto nello scegliere che cosa pubblicare,
cioè che cosa, tra tanti altri materiali,
proporre alla sua attenzione come
meritevole di essere letto e conservato;
poi nel presentare tali materiali in
forma affidabile, corredandoli in
particolare dei necessari riferimenti
testuali e contestuali, infine nell’offrire,
attraverso la newsletter e il sito web,
gli strumenti (anticipazioni, indici) per
godere di tutti i pregi della carta
stampata senza patirne i limiti. Certi
che anche per il 2011 vorrà
continuare ad apprezzare questo
servizio, insieme a quello della sezione
di «Attualità», la invitiamo pertanto a
rinnovare quanto prima il suo
abbonamento e a proporlo a quanti a
suo parere potrebbero essere interessati.
R
Benedetto XVI
65
Il diritto alla libertà religiosa
{ Discorso al corpo diplomatico
accreditato presso la Santa Sede }
Studi e commenti
69
Credenti in dialogo. Utopia
o risorsa?
{ Lezione dottorale
del card. Jean-Louis Tauran
all’Institut Catholique di Parigi }
Santa Sede
74
Contro le attività illegali
in campo finanziario
{ Nuova normativa per lo Stato
della città del Vaticano e per la
Santa Sede }
L’Autorità di informazione
finanziaria (Motu proprio
di Benedetto XVI e Statuto)
Quattro nuove leggi (Comunicato
della Segreteria di stato)
Legge n. CXXVII
(La prevenzione e il contrasto
del riciclaggio dei proventi
di attività criminose e
del finanziamento del terrorismo)
Chiesa in Italia
92
Santi per vocazione
{ Card. Dionigi Tettamanzi,
arcivescovo di Milano }
Chiese nel mondo
112
I neocatecumenali e il Giappone
{ Mizombe Osamu, vescovo di
Takamatsu, Peter Takeo Okada,
arcivescovo di Tokyo }
È mio compito di vescovo
(Lettera del vescovo
di Takamatsu)
Con nostro grande disappunto
(Lettera dell’arcivescovo di Tokyo)
Benedetto XVI al Cammino
(Benedetto XVI)
Approvate le catechesi (Stanislaw
card. Rylko, Josef Clemens)
Ecumenismo
117
Il primo ordinariato personale
per gli ex anglicani
{ Congregazione per la dottrina
della fede, vescovi cattolici,
Chiesa d’Inghilterra }
Decreto di erezione
dell’ordinariato (Congregazione
per la dottrina della fede)
L’arcivescovo di Westminster:
in piena comunione
(Vincent Nichols)
Domande e risposte
(Conferenza dei vescovi cattolici
d’Inghilterra e Galles)
I vescovi dell’Essex: nulla ostacoli
la nostra amicizia (Stephen
Cottrell, Thomas McMahon)
Questioni legali
(Chiesa d’Inghilterra)
Dalla nuova traduzione
della Bibbia
a cura di A go st in o Mer k e Gi us epp e Ba r bag li o
NUOVO
TESTAMENTO
greco e italiano
pp. 1800 - € 48,00
NUOVO
VERBUM
la Bibbia
di Gerusalemme
101
Chiarezza morale,
impegno educativo
{ CEI - Consiglio permanente,
Sessione invernale (24-27.1.2011) }
L’Italia a disagio
(Prolusione del card. Bagnasco)
La Chiesa ha parlato al Paese
(Comunicato finale)
DVD con libretto - € 19,80
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Dehoniane
Bologna
www.dehoniane.it - www.labibbiadigerusalemme.it
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Pagina 65
B
enedetto XVI
Il diritto alla
libertà religiosa
E
ccellenze, signore e signori,
Discorso al corpo diplomatico
accreditato presso la Santa Sede
Nel mondo vi sono luoghi dove «ancora oggi si registrano persecuzioni, discriminazioni, atti di violenza e di intolleranza basati sulla religione», aveva scritto il papa nel Messaggio per la
Giornata mondiale della pace 2011
(Regno-doc. 1,2011,5). Il 10 gennaio
scorso, al cospetto del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede,
è entrato nel dettaglio, stigmatizzando quei paesi, perlopiù a maggioranza musulmana, in cui i cristiani sono
una minoranza religiosa non tutelata
ed esposta anche a violenze; quelli,
come la Cina, che pur riconoscendo
«una certa libertà religiosa» rendono
la vita difficile alle comunità religiose; quelli «nei quali si accorda una
grande importanza al pluralismo e
alla tolleranza, ma dove la religione
subisce una crescente emarginazione», come in Europa, e quelli in cui si
tende a «creare una sorta di monopolio statale in materia scolastica»,
come in America Latina e nella stessa
Europa. Si colloca qui il riferimento
esplicito a quei «corsi di educazione
sessuale o civile … che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla
fede e alla retta ragione», che ha catalizzato l’attenzione dei mass media
nei giorni successivi.
Stampa (12.1.2011) da sito web www.vatican.va. Sottotitoli redazionali.
IL REGNO -
DOCUMENTI
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sono lieto di accogliervi per questo incontro
che, ogni anno, vi riunisce intorno al successore
di Pietro, illustri rappresentanti di così numerosi
paesi. Esso riveste un alto significato, poiché offre
un’immagine e al tempo stesso un esempio del ruolo della
Chiesa e della Santa Sede nella comunità internazionale.
Rivolgo a ciascuno di voi saluti e voti cordiali, in particolare a quanti sono qui per la prima volta. Vi sono riconoscente per l’impegno e l’attenzione con i quali, nell’esercizio delle vostre delicate funzioni, seguite le mie attività,
quelle della curia romana e, così, in un certo modo, la vita
della Chiesa cattolica in ogni parte del mondo. Il vostro
decano, l’ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, si è
fatto interprete dei vostri sentimenti, e lo ringrazio per gli
auguri che mi ha espresso a nome di tutti. Sapendo quanto la vostra comunità è unita, sono certo che è presente
oggi nel vostro pensiero l’ambasciatrice del regno dei Paesi Bassi, la baronessa van Lynden-Leijten, ritornata qualche settimana fa alla casa del Padre. Mi associo nella preghiera ai vostri sentimenti di commozione.
Quando inizia un nuovo anno, nei nostri cuori e nel
mondo intero risuona ancora l’eco del gioioso annuncio
che è brillato venti secoli or sono nella notte di Betlemme,
notte che simboleggia la condizione dell’umanità, nel suo
bisogno di luce, d’amore e di pace. Agli uomini di allora
come a quelli di oggi, le schiere celesti hanno recato la
buona notizia dell’avvento del Salvatore: «Il popolo che
camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su
coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse»
(Is 9,1). Il mistero del Figlio di Dio che diventa figlio d’uomo supera sicuramente ogni attesa umana. Nella sua gratuità assoluta, questo avvenimento di salvezza è la risposta autentica e completa al desiderio profondo del cuore.
La verità, il bene, la felicità, la vita in pienezza, che ogni
uomo ricerca consapevolmente o inconsapevolmente, gli
sono donati da Dio. Aspirando a questi benefici, ogni
persona è alla ricerca del suo Creatore, perché «solo Dio
risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo» (esort.
ap. postsinodale Verbum Domini, n. 23; Regno-doc.
21,2010,659). L’umanità, in tutta la sua storia, attraverso
le sue credenze e i suoi riti, manifesta un’incessante ricerca di Dio e «tali forme d’espressione sono così universali
65
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B
enedetto XVI
che l’uomo può essere definito un essere religioso»
(Catechismo della Chiesa cattolica, n. 28). La dimensione
religiosa è una caratteristica innegabile e incoercibile dell’essere e dell’agire dell’uomo, la misura della realizzazione del suo destino e della costruzione della comunità a
cui appartiene. Pertanto, quando l’individuo stesso o
coloro che lo circondano trascurano o negano questo
aspetto fondamentale, si creano squilibri e conflitti a tutti
i livelli, tanto sul piano personale quanto su quello interpersonale.
È in questa verità primaria e fondamentale che si
trova la ragione per cui ho indicato la libertà religiosa
come la via fondamentale per la costruzione della pace,
nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno. La pace, infatti, si costruisce e si conserva solamente quando l’uomo può liberamente cercare e servire
Dio nel suo cuore, nella sua vita e nelle sue relazioni con
gli altri.
Guardando a Oriente:
proteggere le minoranze religiose
Signore e signori ambasciatori, la vostra presenza in
questa circostanza solenne è un invito a compiere un giro
di orizzonte su tutti i paesi che voi rappresentate e sul
mondo intero. In questo panorama, non vi sono forse
numerose situazioni nelle quali, purtroppo, il diritto alla
libertà religiosa è leso o negato? Questo diritto dell’uomo,
La vita come offerta
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C
ontemplando il mistero della
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Bologna
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Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
66
che in realtà è il primo dei diritti, perché, storicamente, è
stato affermato per primo, e, d’altra parte, ha come oggetto la dimensione costitutiva dell’uomo, cioè la sua relazione con il Creatore, non è forse troppo spesso messo in
discussione o violato? Mi sembra che la società, i suoi
responsabili e l’opinione pubblica si rendano oggi maggiormente conto, anche se non sempre in modo esatto, di
tale grave ferita inferta contro la dignità e la libertà
dell’homo religiosus, sulla quale ho tenuto, a più riprese,
ad attirare l’attenzione di tutti.
L’ho fatto durante i miei viaggi apostolici dell’anno
scorso, a Malta e in Portogallo, a Cipro, nel Regno Unito
e in Spagna. Al di là delle caratteristiche di questi paesi,
conservo di tutti un ricordo pieno di gratitudine per l’accoglienza che mi hanno riservato. L’Assemblea speciale
per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi, che si è svolta in Vaticano nel corso del mese di ottobre, è stata un
momento di preghiera e di riflessione, durante il quale il
pensiero si è rivolto con insistenza verso le comunità cristiane di quelle regioni del mondo, così provate a causa
della loro adesione a Cristo e alla Chiesa.
Sì, guardando verso l’Oriente, gli attentati che hanno
seminato morte, dolore e smarrimento tra i cristiani
dell’Iraq, al punto da spingerli a lasciare la terra dove i
loro padri hanno vissuto lungo i secoli, ci hanno profondamente addolorato. Rinnovo alle autorità di quel paese
e ai capi religiosi musulmani il mio preoccupato appello a
operare affinché i loro concittadini cristiani possano vivere in sicurezza e continuare ad apportare il loro contributo alla società di cui sono membri a pieno titolo. Anche in
Egitto, ad Alessandria, il terrorismo ha colpito brutalmente dei fedeli in preghiera in una chiesa. Questa successione di attacchi è un segno ulteriore dell’urgente
necessità per i governi della regione di adottare, malgrado le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose. Bisogna dirlo ancora una
volta? In Medio Oriente «i cristiani sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro
doveri nazionali. È naturale che essi possano godere di
tutti i diritti di cittadinanza, di libertà di coscienza e di
culto, di libertà nel campo dell’insegnamento e dell’educazione e nell’uso dei mezzi di comunicazione»
(ASSEMBLEA SPECIALE PER IL MEDIO ORIENTE DEL
SINODO DEI VESCOVI, Messaggio al popolo di Dio, n. 10;
Regno-doc. 19,2010,641). A tale riguardo, apprezzo l’attenzione per i diritti dei più deboli e la lungimiranza politica di cui hanno dato prova alcuni paesi d’Europa negli
ultimi giorni, domandando una risposta concertata
dell’Unione Europea affinché i cristiani siano difesi nel
Medio Oriente. Vorrei ricordare infine che la libertà religiosa non è pienamente applicata là dove è garantita solamente la libertà di culto, per di più con delle limitazioni.
Incoraggio, inoltre, ad accompagnare la piena tutela della
libertà religiosa e degli altri diritti umani con programmi
che, fin dalla scuola primaria e nel quadro dell’insegnamento religioso, educhino al rispetto di tutti i fratelli nell’umanità. Per quanto riguarda poi gli stati della Penisola
Arabica, dove vivono numerosi lavoratori immigrati cristiani, auspico che la Chiesa cattolica possa disporre di
adeguate strutture pastorali.
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Tra le norme che ledono il diritto delle persone alla
libertà religiosa, una menzione particolare dev’essere
fatta della legge contro la blasfemia in Pakistan: incoraggio di nuovo le autorità di quel paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che
essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze
contro le minoranze religiose. Il tragico assassinio del
governatore del Punjab mostra quanto sia urgente procedere in tal senso: la venerazione nei riguardi di Dio promuove la fraternità e l’amore, non l’odio e la divisione.
Altre situazioni preoccupanti, talvolta con atti di violenza,
possono essere menzionate nel Sud e nel Sud-est del continente asiatico, in paesi che hanno peraltro una tradizione di rapporti sociali pacifici. Il peso particolare di una
determinata religione in una nazione non dovrebbe mai
implicare che i cittadini appartenenti a un’altra confessione siano discriminati nella vita sociale o, peggio ancora,
che sia tollerata la violenza contro di essi. A questo proposito, è importante che il dialogo interreligioso favorisca
un impegno comune a riconoscere e promuovere la libertà religiosa di ogni persona e di ogni comunità. Infine,
come ho già ricordato, la violenza contro i cristiani non
risparmia l’Africa. Gli attacchi contro luoghi di culto in
Nigeria, proprio mentre si celebrava la nascita di Cristo,
ne sono un’altra triste testimonianza.
In diversi paesi, d’altronde, la Costituzione riconosce
una certa libertà religiosa, ma, di fatto, la vita delle
comunità religiose è resa difficile e talvolta anche precaria (cf. VATICANO II, Dignitatis humanae, n. 15), perché
l’ordinamento giuridico o sociale si ispira a sistemi filosofici e politici che postulano uno stretto controllo, per non
dire un monopolio, dello stato sulla società. Bisogna che
cessino tali ambiguità, in modo che i credenti non si trovino dibattuti tra la fedeltà a Dio e la lealtà alla loro
patria. Domando in particolare che sia garantita dovunque alle comunità cattoliche la piena autonomia di organizzazione e la libertà di compiere la loro missione, in
conformità alle norme e agli standard internazionali in
questo campo.
In questo momento, il mio pensiero si volge di nuovo
verso la comunità cattolica della Cina continentale e i
suoi pastori, che vivono un momento di difficoltà e di
prova. D’altro canto, vorrei indirizzare una parola di
incoraggiamento alle autorità di Cuba, paese che ha celebrato nel 2010 settantacinque anni di relazioni diplomatiche ininterrotte con la Santa Sede, affinché il dialogo
che si è felicemente instaurato con la Chiesa si rafforzi
ulteriormente e si allarghi.
Guardando a Occidente:
la religione emarginata
Spostando il nostro sguardo dall’Oriente all’Occidente, ci troviamo di fronte ad altri tipi di minacce contro il pieno esercizio della libertà religiosa. Penso, in
primo luogo, a paesi nei quali si accorda una grande
importanza al pluralismo e alla tolleranza, ma dove la
religione subisce una crescente emarginazione. Si tende a
considerare la religione, ogni religione, come un fattore
senza importanza, estraneo alla società moderna o addirittura destabilizzante, e si cerca con diversi mezzi di
impedirne ogni influenza nella vita sociale. Si arriva così
a pretendere che i cristiani agiscano nell’esercizio della
loro professione senza riferimento alle loro convinzioni
religiose e morali, e persino in contraddizione con esse,
come, per esempio, là dove sono in vigore leggi che limitano il diritto all’obiezione di coscienza degli operatori
sanitari o di certi operatori del diritto.
In tale contesto, non si può che rallegrarsi dell’adozione da parte del Consiglio d’Europa, nello scorso mese
di ottobre, di una Risoluzione che protegge il diritto del
personale medico all’obiezione di coscienza di fronte a
certi atti che ledono gravemente il diritto alla vita, come
l’aborto.
Un’altra manifestazione dell’emarginazione della
religione e, in particolare, del cristianesimo, consiste nel
bandire dalla vita pubblica feste e simboli religiosi, in
nome del rispetto nei confronti di quanti appartengono
ad altre religioni o di coloro che non credono. Agendo
così, non soltanto si limita il diritto dei credenti all’espressione pubblica della loro fede, ma si tagliano anche
radici culturali che alimentano l’identità profonda e la
coesione sociale di numerose nazioni. L’anno scorso,
alcuni paesi europei si sono associati al ricorso del governo italiano nella ben nota causa concernente l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici. Desidero esprimere
la mia gratitudine alle autorità di queste nazioni, come
pure a tutti coloro che si sono impegnati in tal senso, episcopati, organizzazioni e associazioni civili o religiose, in
particolare il Patriarcato di Mosca e gli altri rappresentanti della gerarchia ortodossa, come tutte le persone –
credenti ma anche non credenti – che hanno tenuto a
manifestare il loro attaccamento a questo simbolo portatore di valori universali.
Riconoscere la libertà religiosa significa, inoltre,
garantire che le comunità religiose possano operare liberamente nella società, con iniziative nei settori sociale,
caritativo o educativo. In ogni parte del mondo, d’altronde, si può constatare la fecondità delle opere della
Chiesa cattolica in questi campi. È preoccupante che
questo servizio che le comunità religiose offrono a tutta
la società, in particolare per l’educazione delle giovani
generazioni, sia compromesso od ostacolato da progetti
di legge che rischiano di creare una sorta di monopolio
statale in materia scolastica, come si constata ad esempio
in certi paesi dell’America Latina. Mentre parecchi di
essi celebrano il secondo centenario della loro indipendenza, occasione propizia per ricordarsi del contributo
della Chiesa cattolica alla formazione dell’identità nazionale, esorto tutti i governi a promuovere sistemi educativi che rispettino il diritto primordiale delle famiglie a
decidere circa l’educazione dei figli e che si ispirino al
principio di sussidiarietà, fondamentale per organizzare
una società giusta.
Proseguendo la mia riflessione, non posso passare
sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle
famiglie in alcuni paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte
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enedetto XVI
neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione.
A servizio della liber tà religiosa
nelle organizzazioni internazionali
Signore e signori ambasciatori, in questa circostanza
solenne, permettetemi di esplicitare alcuni principi a cui
la Santa Sede, con tutta la Chiesa cattolica, si ispira nella
sua attività presso le organizzazioni internazionali intergovernative, al fine di promuovere il pieno rispetto della
libertà religiosa per tutti. In primo luogo, la convinzione
che non si può creare una sorta di scala nella gravità dell’intolleranza verso le religioni. Purtroppo, un tale atteggiamento è frequente, e sono precisamente gli atti discriminatori contro i cristiani che sono considerati meno
gravi, meno degni di attenzione da parte dei governi e
dell’opinione pubblica. Al tempo stesso, si deve pure rifiutare il contrasto pericoloso che alcuni vogliono instaurare
tra il diritto alla libertà religiosa e gli altri diritti dell’uomo, dimenticando o negando così il ruolo centrale del
rispetto della libertà religiosa nella difesa e protezione dell’alta dignità dell’uomo. Meno giustificabili ancora sono i
tentativi di opporre al diritto alla libertà religiosa dei pretesi nuovi diritti, attivamente promossi da certi settori
della società e inseriti nelle legislazioni nazionali o nelle
direttive internazionali, ma che non sono, in realtà, che
l’espressione di desideri egoistici e non trovano il loro fondamento nell’autentica natura umana. Infine, occorre
affermare che una proclamazione astratta della libertà
religiosa non è sufficiente: questa norma fondamentale
della vita sociale deve trovare applicazione e rispetto a
tutti i livelli e in tutti i campi; altrimenti, malgrado giuste
affermazioni di principio, si rischia di commettere profonde ingiustizie verso i cittadini che desiderano professare e praticare liberamente la loro fede.
La promozione di una piena libertà religiosa delle
comunità cattoliche è anche lo scopo che persegue la
Santa Sede quando conclude concordati o altri accordi.
Mi rallegro che stati di diverse regioni del mondo e di
diverse tradizioni religiose, culturali e giuridiche scelgano
il mezzo delle convenzioni internazionali per organizzare
i rapporti tra la comunità politica e la Chiesa cattolica,
stabilendo attraverso il dialogo il quadro di una collaborazione nel rispetto delle reciproche competenze. L’anno
scorso è stato concluso ed è entrato in vigore un Accordo
per l’assistenza religiosa dei fedeli cattolici delle forze armate in Bosnia-Erzegovina, e negoziati sono attualmente in
corso in diversi paesi. Speriamo in un esito positivo, capace di assicurare soluzioni rispettose della natura e della
libertà della Chiesa per il bene di tutta la società.
L’attività dei rappresentanti pontifici presso stati e organizzazioni internazionali è ugualmente al servizio della
libertà religiosa. Vorrei rilevare con soddisfazione che le
autorità vietnamite hanno accettato che io designi un rappresentante, che esprimerà con le sue visite alla cara comunità cattolica di quel paese la sollecitudine del successore di
Pietro. Vorrei ugualmente ricordare che, durante l’anno
passato, la rete diplomatica della Santa Sede si è ulterior-
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IL REGNO -
DOCUMENTI
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mente consolidata in Africa, una presenza stabile è ormai
assicurata in tre paesi dove il nunzio non è residente. A Dio
piacendo, mi recherò ancora in quel continente, in Benin,
nel novembre prossimo, per consegnare l’esortazione apostolica che raccoglierà i frutti dei lavori della II Assemblea
speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi.
Dinanzi a questo illustre uditorio, vorrei infine ribadire
con forza che la religione non costituisce per la società un
problema, non è un fattore di turbamento o di conflitto.
Vorrei ripetere che la Chiesa non cerca privilegi, né vuole
intervenire in ambiti estranei alla sua missione, ma semplicemente esercitare questa missione con libertà. Invito ciascuno a riconoscere la grande lezione della storia: «Come
negare il contributo delle grandi religioni del mondo allo
sviluppo della civiltà? La sincera ricerca di Dio ha portato
a un maggiore rispetto della dignità dell’uomo. Le comunità cristiane, con il loro patrimonio di valori e principi,
hanno fortemente contribuito alla presa di coscienza delle
persone e dei popoli circa la propria identità e dignità, nonché alla conquista di istituzioni democratiche e all’affermazione dei diritti dell’uomo e dei suoi corrispettivi doveri.
Anche oggi i cristiani, in una società sempre più globalizzata, sono chiamati, non solo con un responsabile impegno
civile, economico e politico, ma anche con la testimonianza della propria carità e fede, a offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per
lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento
delle realtà umane» (Messaggio per la XLIV Giornata mondiale della pace, n. 7; Regno-doc. 1,2011,4).
Emblematica, a questo proposito, è la figura della
beata madre Teresa di Calcutta: il centenario della sua
nascita è stato celebrato a Tirana, a Skopje e a Pristina
come in India; un vibrante omaggio le è stato reso non
soltanto dalla Chiesa, ma anche da autorità civili e capi
religiosi, senza contare le persone di tutte le confessioni.
Esempi come il suo mostrano al mondo quanto l’impegno
che nasce dalla fede sia benefico per tutta la società.
Che nessuna società umana si privi volontariamente
dell’apporto fondamentale che costituiscono le persone e le
comunità religiose! Come ricordava il concilio Vaticano II,
assicurando pienamente e a tutti la giusta libertà religiosa,
la società potrà «godere dei beni di giustizia e di pace che
provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e la sua
santa volontà» (Dignitatis humanae, n. 6; EV 1/1059).
Ecco perché, mentre formulo voti affinché questo
nuovo anno sia ricco di concordia e di reale progresso,
esorto tutti, responsabili politici, capi religiosi e persone di
ogni categoria, a intraprendere con determinazione la via
verso una pace autentica e duratura, che passa attraverso
il rispetto del diritto alla libertà religiosa in tutta la sua
estensione.
Su questo impegno, per la cui attuazione è necessario
lo sforzo dell’intera famiglia umana, invoco la benedizione di Dio onnipotente, che ha operato la nostra riconciliazione con lui e tra di noi, per mezzo del suo Figlio Gesù
Cristo, nostra pace (cf. Ef 2,14).
Buon anno a tutti!
Vaticano, Sala regia, 10 gennaio 2011.
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Credenti in dialogo.
Utopia o risorsa?
Lezione dottorale
del card. Jean-Louis Tauran
all’Institut Catholique di Parigi
Vedere il volto di Dio nell’altro
Nella sua dissertazione per il dottorato honoris causa ricevuto a Parigi
(23.11.2010), il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso si è soffermato sulla necessità
del confronto tra credenti delle diverse religioni nel momento storico
attuale. I rischi, le potenzialità e le
esigenze di una ricerca comune nel
dialogo in una stagione culturale
segnata a un tempo dal ritorno del
religioso, ma anche dall’indebolimento delle identità e da una razionalità chiusa al divino che «respinge
la religione nell’ambito delle sottoculture», sono tra i temi affrontati da un
testo aperto al positivo contributo
delle religioni alla costruzione delle
società nella giustizia e nella pace.
Fedeltà alla propria tradizione, apertura coraggiosa alla diversità e rigetto di ogni forma di violenza in nome
della religione, che significa l’esigenza «di coniugare la fede con la ragione», vengono indicate da Tauran
come le basi di un dialogo autentico
nel quale i cristiani sono chiamati a
offrire «in maniera credibile la loro
collaborazione a tutti coloro che si
sforzano di fare di questa terra un
luogo dove vivere insieme è un bene».
Opuscolo, Parigi 2010. Nostra traduzione dal
francese. Sottotitoli redazionali.
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Alla data di oggi, trentuno dei miei quarantun anni
di sacerdozio sono stati consacrati al dialogo: ventotto
nel servizio diplomatico della Santa Sede e un po’ più
di tre nell’ambito del dialogo interreligioso. A dire il
vero, lo stesso giorno della mia ordinazione sacerdotale, il 20 settembre 1969, avevo scelto di scrivere dietro
l’immaginetta a ricordo questa convinzione di Paolo:
«Cristo ha affidato a noi il ministero della riconciliazione (…) In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta» (2Cor
5,18.20).
Ben presto ho scoperto che a dialogare non sono
delle strategie o delle religioni, ma degli uomini e delle
donne concrete, capaci del meglio come del peggio,
perché loro stessi divisi tra il bene e il male. Queste persone, che amano e che tradiscono, che creano e che
distruggono, capaci di prodezze tecniche imprevedibili
come di atti tra i più barbari, sono miei fratelli. Io non
li ho scelti. Dio mi chiede di amarli e di servirli: «Il
ricorso alla religione – afferma il messaggio dei partecipanti alla recente Assemblea speciale del Sinodo dei
vescovi per il Medio Oriente – deve portare ogni persona a vedere il volto di Dio nell’altro» (Regno-doc.
19,2010,641) e a trattarlo come Dio lo tratta: con
bontà, giustizia, amore.
Nel mondo complesso che abbiamo costruito tutto
si coniuga al plurale, comprese la cultura e la religione.
Dopo la fine dell’unanimità culturale, la messa in quarantena del religioso, l’indebolimento dei modelli, ecco
che la religione è divenuta in pochi anni un elemento
imprescindibile della vita politica, economica e sociale.
Ci si domanda perfino se non sia conveniente insegnare «il fatto religioso» a scuola.
Certo, la pratica religiosa nella società occidentale
è diminuita. Viviamo l’epoca del believing without
belonging (credere senza appartenere; ndr ). Si registra
una ridefinizione del paesaggio religioso su un modello più individualista che potrebbe esser dovuto a quattro fattori:
– le sette;
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– le nuove comunità sorte dai movimenti carismatici cattolici;
– il successo incontrato dalle religioni asiatiche
(buddismo);
– la presenza ormai stabile di musulmani di tutte le
provenienze e obbedienze (3-5% della popolazione
europea).
Eppure la filosofia dei Lumi ci aveva assicurato che
soltanto la ragione poteva accedere alla verità. Lo
scientismo ci aveva insegnato che tutto ciò che la ragione non può giustificare semplicemente non esiste. Il
programma della rivoluzione francese era chiaro: organizzare la società senza Dio. L’uomo, messo al centro
del mondo, nella sua autosufficienza, capace di prodezze scientifiche innegabili, non aveva bisogno della
religione per vivere e per sopravvivere.
Homo homini deus?
Ci sono coincidenze nella storia che sono in realtà
degli appuntamenti. Il 25 agosto 1900, a Weimar, uno
scrittore moriva nella follia, Friedrich Nietzsche.
Qualche tempo prima aveva steso una sorta di biografia, Ecce homo, rivelatrice dell’angoscia che lo attanagliava: «Dov’è Dio?» si domandava. «Ve lo dirò io: lo
abbiamo ucciso, voi ed io. Dio è morto; siamo noi ad
averlo ucciso».
Nello stesso momento, a Roma, un vecchio papa,
Anna Maria Cànopi
Ha salvato
ogni uomo
Via Crucis
C
on sapienza ed esperienza l’autrice
accompagna il credente a riconoscere in Cristo l’ultimo tra gli ultimi, il
più povero tra i poveri, contemplando
il Salvatore del mondo che si fa carico della debolezza di tutti gli uomini.
La struttura classica della Via Crucis,
unita alla semplicità e alla profondità
delle meditazioni, favorisce la partecipazione dei fedeli.
«Sussidi per i tempi liturgici»
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Leone XIII (che aveva allora novant’anni), redigeva
quella che sarebbe stata l’enciclica Tametsi futura, resa
pubblica il 1° novembre 1900: «Bisogna reintegrare nel
suo dominio Cristo signore. (…) Molti sono lontani da
Gesù Cristo per ignoranza, più che per cattiva volontà;
molti sono infatti coloro che si dedicano a studiare l’uomo, a studiare il mondo, ma pochissimi sono coloro
che cercano di conoscere il Figlio di Dio. (…) Noi scongiuriamo tutti i cristiani, quanti e dovunque sono, di
fare tutto il possibile per conoscere il loro Redentore,
quale veramente egli è» (EE 3/1518-1519).
L’accostamento dei due testi è rivelatore del dramma spirituale che vivono ancora gli uomini e le donne
di questo tempo. Da un lato, la ribellione dell’intelligenza e, dall’altro, l’adesione a un Dio che esercita la
sua sovranità sullo spirito di ognuno nella concretezza
del quotidiano. Abbiamo sperimentato cos’è il mondo
senza Dio: l’inferno. L’umanità ha conosciuto nel secolo scorso la notte di due totalitarismi che hanno generato gli eccessi che conosciamo fin troppo bene. Essi
avevano annunciato la morte di Dio, programmato la
persecuzione dei credenti ed escluso definitivamente la
religione dallo spazio pubblico.
Ma Dio, che era stato congedato, era in realtà sempre là. Come avrebbe potuto essere altrimenti?
L’ateismo insegnato e praticato non è mai riuscito a
sopprimere Dio dall’orizzonte dell’uomo. La ricerca di
Dio che sorge più forte che mai, il sacro che interroga,
la presenza di un islam europeo che va affermandosi, il
successo delle sette, l’attrazione esercitata dalle saggezze venute dall’Asia, il lungo pontificato di Giovanni
Paolo II che ha ridato alla Chiesa la sua visibilità e l’insegnamento di papa Benedetto XVI che le dà la sua
interiorità, hanno contribuito a ricordarci che l’uomo è
prima di tutto la creatura che si interroga sul «senso del
senso» (Paul Ricoeur).
È la coscienza – la facoltà di riflettere sul proprio
destino, sul senso della vita e della morte – che distingue l’uomo dai vegetali e dagli animali. Egli è il solo a
considerare la possibilità di un aldilà. Le tombe e i riti
funerari della preistoria testimoniano di un tale rapporto dell’uomo col divino. Da 100.000 anni, il fatto
religioso s’impone. La religione non rappresenta una
stagione particolare della storia, essa appartiene alla
natura dell’uomo. Nelle nostre società multiculturali e
plurireligiose, tutti, credenti e non credenti, ci poniamo
le tre domande fondamentali di Immanuel Kant: che
cosa posso conoscere? Che cosa devo fare? Che cosa
posso sperare?
Credenti o non credenti, tutti attendiamo qualcosa
che dia senso alla nostra esistenza, che salvi la nostra
vita dall’inutilità e dall’abisso. Alcuni lo trovano nella
politica, altri nell’apparire, altri ancora nell’edonismo.
Come ha ben colto Dostoevskij, «l’uomo non può
vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se l’uomo rifiuta Dio, si inginocchierà davanti a un idolo. Noi
siamo tutti idolatri, non atei». Il desiderio di credere è
così forte nell’uomo che, dopo aver espulso Dio dalla
propria vita, un’altra fede vi s’insedierà: la fede in un
altro assoluto che non è altro che l’uomo stesso: «Homo
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homini deus», per dirla con Feuerbach. Ieri Dio era
assente; oggi ci sono troppi dei!
Conoscersi per arricchirsi
È in questo contesto che si situa il dialogo interreligioso. Ma che cos’è il dialogo? «La ricerca di un’intesa
motivata tra due individui o sistemi di pensiero in vista
di un’interpretazione comune del loro accordo o del
loro disaccordo». Osserviamo: intesa motivata, ciò
significa che si utilizza la ragione e non la violenza.
Interpretazione comune: si è alla ricerca di uno stesso
linguaggio. Accordo o disaccordo: onestà nel presentare il proprio punto di vista o quello della propria comunità. Tutto questo presuppone evidentemente che ciascuno dei partner sia abitato da un desiderio profondo
di fare tutto quanto è nelle sue possibilità per comprendere il punto di vista dell’altro.
Quando i credenti dialogano, cercano di conoscersi e di arricchirsi gli uni gli altri con il rispettivo patrimonio spirituale, nel rispetto della libertà di ciascuno,
al fine di considerare ciò che essi possono fare insieme
per il bene della società. Il dialogo interreligioso non ha
come scopo la conversione dell’altro, benché sovente la
favorisca. Siamo di fronte al mistero di due libertà,
quella di Dio e quella dell’uomo, sulle quali non abbiamo nessuna presa. Non si tratta di rinunciare alle proprie convinzioni. Si tratta di accettare e prendere in
considerazione argomenti differenti dai miei o da quelli della mia comunità. Dia-logos, lasciarsi attraversare
dalla parola dell’altro.
Attenzione, noi non diciamo che tutte le religioni si
equivalgono; noi diciamo: tutti i cercatori di Dio hanno
la stessa dignità, o, per riprendere le parole di papa
Benedetto XVI, tutti siamo invitati a «scrutare il mistero di Dio alla luce delle nostre tradizioni religiose e
delle nostre rispettive saggezze, per discernerne i valori atti a illuminare gli uomini e le donne di tutti i popoli della terra, qualunque sia la loro cultura e la loro religione» (BENEDETTO XVI, Discorso ai membri fondatori
della Fondazione per la ricerca e il dialogo interreligiosi e
interculturali; 1.2.2007).
Le nostre rispettive tradizioni religiose insistono
tutte sul carattere sacro della vita e sulla dignità della
persona umana. Con gli uomini di buona volontà aspiriamo alla pace e per questo, lo ripeto con insistenza, la
ricerca e il dialogo interreligioso non sono un’opzione,
ma una necessità del nostro tempo.
Riconosciamo che Dio è all’opera in ciascun uomo
(il Verbo è «la luce vera, quella che illumina ogni
uomo»; Gv 1,9). Nelle altre religioni si possono dunque trovare dei segni della verità rivelata da Cristo,
come in un’opera in attesa di compimento: «La
Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo
in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non
raramente riflettono un raggio di quella Verità che
illumina tutti gli uomini» (VATICANO II, Nostra aetate,
n. 2; EV 1/857).
Il dialogo interreligioso non sarà però autentico se
ciascuno non resta fedele alla sua fede. Non la si mette
affatto tra parentesi: al contrario, la si approfondisce
per poterne meglio dare ragione.
Direi che tre atteggiamenti s’impongono:
– il dovere dell’identità: avere un’identità spirituale
(problema dell’ignoranza in materia religiosa);
– il coraggio dell’alterità: gli altri credenti possono
arricchirmi;
– la franchezza delle nostre intenzioni: testimoniamo, proponiamo, evitando gli eccessi del proselitismo.
Le religioni tra opportunità e rischio
Il paradosso sta nel fatto che le religioni vengono
spesso percepite come un pericolo: fanatismo, fondamentalismo, derive settarie sono sovente associate alla
religione, e questo soprattutto a causa di azioni terroristiche ispirate da motivazioni religiose, perpetrate da
adepti deviati e minoritari di una religione.
«Nessuna circostanza vale a giustificare tale attività
criminosa, che copre di infamia chi la compie, e che è
tanto più deprecabile quando si fa scudo di una religione, abbassando così la pura verità di Dio alla misura della propria cecità e perversione morale». Non
conosco una condanna più forte e incisiva di quella
pronunciata da Benedetto XVI davanti al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede all’inizio dell’anno 2006 (Regno-doc. 3,2006,82). In effetti le religioni – o meglio, alcuni credenti – sono capaci del meglio
come del peggio. Le religioni possono mettersi al servizio di un progetto di santità o di alienazione; esse possono predicare la pace o la guerra. Da ciò scaturisce la
necessità per i loro responsabili di coniugare la fede
con la ragione.
Benedetto XVI lo ha richiamato nella sua celebre
lezione all’Università di Regensburg il 12 settembre
2006: «“In principio era il logos” (…) Logos significa
insieme ragione e parola, una ragione che è creatrice e
capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione (…)
Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge
la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di
inserirsi nel dialogo delle culture» (Regno-doc.
17,2006,542.544).
Cosa possono apportare le religioni alla società,
sono esse una risorsa?
La mia risposta è evidentemente affermativa. Se esiste un umanesimo, esso affonda le sue radici nell’humus cristiano: la persona umana come valore supremo,
la sua dignità, i suoi diritti fondamentali, il principio di
solidarietà e sussidiarietà, la giustizia e la pace sono
valori cristiani. La prima scuola sul continente europeo
verrà fondata da un monaco, Alcuino, alla corte di
Carlo Magno. Sarà la Chiesa cattolica a fondare le
prime università. Le élites dei continenti d’Africa e di
Asia si sono formate dentro istituzioni educative cristiane. Vi sono pensatori e teologi all’origine del diritto
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delle genti. È il papato ad aver realizzato le prime
mediazioni di pace.
Infine, va ricordato che è stato il cristianesimo a
render possibile l’inscrizione nelle società moderne
della distinzione tra il fatto politico e quello religioso,
principio che ha stravolto le relazioni internazionali.
Poiché siamo a Parigi, in Europa, io dirò che le religioni hanno una missione di dialogo e d’unità in ordine
alla costruzione dell’Europa di oggi e di domani. Louis
Massignon sosteneva che, a suo giudizio, ciascuna delle
tre religioni monoteiste illustrasse più particolarmente
una delle virtù teologali: Israele, la speranza; il cristianesimo, la carità; l’islam, la fede. Al di là di queste formule, è chiaro che i credenti hanno una responsabilità
personale e comunitaria nella costruzione delle società.
Tutte le religioni considerano:
– la famiglia come ambito nel quale si apprende a
vivere insieme: generazioni e scelte differenti;
– che la terra, quella in cui sono nato e che ha una
storia, plasma la mia identità;
– che l’educazione non è soltanto conoscenza, ma
trasmissione di valori e che la politica e l’economia non
sono il tutto dell’uomo;
– infine, la necessità della vita interiore.
La grandezza dell’ebraismo, come anche quella dell’islam, si trova senza dubbio nella denuncia dell’idolatria. La grandezza del cristianesimo è ricordare che
Dio si è fatto uomo affinché noi diventassimo suoi figli.
Insieme dobbiamo denunciare ogni pretesa dell’uomo
di farsi Dio. Non dimentichiamo mai che la tentazione
del paganesimo è quella di divinizzare tutto!
Ma se noi cristiani, in particolare:
– esprimiamo il sentimento di essere abitati da qualcuno;
– sappiamo accogliere l’altro nella sua diversità;
– cerchiamo di apprezzare le qualità degli altri;
– proviamo a metterci dalla parte di coloro che non
hanno nessuna ricchezza, nessuna cultura, piuttosto
che dalla parte di coloro che contano;
allora ciò vorrà dire che un mondo migliore è possibile e potremo offrire in maniera credibile la nostra
collaborazione a tutti coloro che si sforzano di fare di
questa terra un luogo dove vivere insieme è un bene.
Tutti i credenti dovrebbero poter unire la loro buona
volontà quando si tratta di servire, di prendersi cura, di
educare.
Oscar Cullmann
Il mistero
della Redenzione
nella storia
P
ubblicato per la prima volta nel 1965, lo
studio offre una trattazione sistematica della
storia della salvezza neotestamentaria: come
se ne è formata la concezione, quale ne è la
fenomenologia, quali le principali posizioni neotestamentarie. Le risultanze dell’analisi esegetica
vengono poi applicate a problemi dogmatici
fondamentali. Un ‘classico’ della teologia, ora
riproposto in versione economica.
Due grandi ostacoli
«Economica EDB»
pp. 540 - € 25,00
Purtroppo, però, due grandi ostacoli condizionano
la testimonianza dei credenti: la crisi dell’intelligenza e
la difficoltà nella trasmissione dei valori.
La crisi dell’intelligenza: siamo uomini e donne
super-informati, ma abbiamo grandi difficoltà a pensare, a mettere in ordine le nostre idee, a gustare il silenzio. Ciò che maggiormente manca all’uomo di oggi è
una vita interiore. Pascal diceva: «La grande disgrazia
degli uomini è che non sanno trovar pace nella loro
stanza».
Dello stesso autore:
Cristo e il tempo
La concezione del tempo e della storia
nel Cristianesimo primitivo
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La crisi della trasmissione dei valori: siamo assicurati contro tutti gli infortuni, eccetto la malattia e la
morte; ciò che importa è sentirsi bene senza vincoli,
perfino se questo significa sacrificare l’amico, il parente, il collega. Si pratica un umanesimo sociale che si
riduce a dire: non facciamo il male, ma non abbiamo
bisogno di Dio per fare il bene. È un mondo chiuso a
Dio! L’uomo è in sé capace di autentiche grandezze;
egli non ha nulla da attendere da Dio!
Ora, noi cristiani faremo sempre resistenza di fronte a questo mondo. Per dirlo con Pascal: «Senza Gesù
Cristo noi non sappiamo che cosa sia la nostra vita, né
la nostra morte, né chi sia Dio, né chi siamo noi stessi».
Ma è a questo mondo, al nostro mondo, che noi dobbiamo annunziare Gesù Cristo e il suo Vangelo «con
dolcezza e rispetto», secondo la raccomandazione di
Pietro.
Di fatto il solo problema esistente, che è il valore
fondamentale da trasmettere e proporre, è quello di
sapere se c’è stato il caso unico di un uomo in diritto di
dire che egli era Dio; e non perché quest’uomo si è
fatto Dio, ma perché Dio si è fatto uomo. È tutto qui!
Non si tratta di un’utopia!
Ecco ciò che siamo chiamati a proporre; ecco ciò
che noi celebriamo. Se proviamo a volte qualche dubbio, qualche fatica e sconforto, ricordiamoci dei due
doni magnifici coi quali Dio ci ha gratificati: un’intelligenza per comprendere e un cuore per amare.
Non dobbiamo essere complessati. Si dice che
siamo minoritari. Diciamo che siamo una minoranza
che conta! A due passi da qui, al Collège des
Bernardins, Benedetto XVI ha magistralmente ricordato che l’annuncio cristiano porta una novità. Tale
novità altro non è che la possibilità di annunciare ora a
tutti i popoli: «Dio si è mostrato. Egli personalmente
(…) La novità dell’annuncio cristiano non consiste in
un pensiero ma in un fatto: Egli si è rivelato» (Regnodoc. 17,2008,526). Il papa proseguiva dicendo che, a
dispetto delle apparenze, gli uomini del nostro tempo
sono alla ricerca di Dio e devono esser messi in condizione di poterlo «cercare e di lasciarsi trovare da lui:
questo oggi non è meno necessario che in tempi passati». E concludeva: «Una cultura meramente positivista
che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione
della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e
quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze
non potrebbero essere che gravi» (Regno-doc.
17,2008,527). La ricerca di Dio e la disponibilità ad
ascoltarlo restano ancora oggi il fondamento di ogni
vera cultura.
Quando il cristianesimo inizierà a esistere?
Per concludere, vorrei dire che il dialogo interreligioso non può fondarsi su una base di ignoranza globale. Noi abbiamo delle radici; dobbiamo conservare il
patrimonio umano e spirituale che ci ha modellati.
Abbiamo un ruolo da svolgere dal momento che tanti
giovani sono eredi senza eredità e costruttori senza
modello.
Nel 1905, Ferdinand Buisson non esitò a scrivere:
«Per l’educazione di un bambino che deve diventare
uomo è bene che sia, di volta in volta, messo a contatto coi versetti appassionati dei profeti d’Israele e coi
filosofi greci, che abbia conosciuto e sentito qualcosa
della Città antica. Sarà bene che gli si facciano conoscere e sentire le più belle pagine del Vangelo, come
pure quelle di Marco Aurelio; che abbia sfogliato,
come Michelet, tutte le Bibbie dell’umanità; che gli si
faccia attraversare, non con pregiudizi e spirito di critica, ma con calorosa simpatia, tutte le forme di civiltà
che si sono succedute. Ciò che risulterà da questo studio non sarà il disprezzo, l’odio, l’intolleranza, sarà al
contrario una profonda simpatia, un’ammirazione
rispettosa per tutte le manifestazioni del pensiero incessantemente in cammino verso un ideale incessantemente in crescita».
Il secolo che inizia eredita da quello che l’ha preceduto: come lo scorso secolo anche questo è dominato
dall’economia, dalle guerre e dalle disuguaglianze. Ma
è anche arricchito dai progressi delle scienze e della
tecnica. I nostri contemporanei sono più consapevoli
delle loro responsabilità nella gestione delle risorse
naturali e nell’utilizzo dei risultati della ricerca scientifica. Dopo aver dominato le realtà fisiche, ci si avventura ora nel dominio del vivente. Sorgono domande:
andiamo verso uno scontro o verso un dialogo fra culture e religioni?
Come cristiani quale sarà il nostro contributo?
Saremo ispiratori o accompagnatori? È certamente difficile rispondere, ma sono convinto che il cristianesimo,
che non è mai stato tanto universale quanto oggi,
saprà, come ha saputo fare nel corso della sua lunga
storia, approfittare della globalizzazione - che è un
dato di fatto - per offrire il suo contributo a due necessità che quest’ultima non è in grado di assicurare: la
giustizia e la pace. Lo faremo nella Chiesa, questa
Chiesa talvolta col volto segnato, ma sempre nascente,
che genera apostoli capaci di osare affinché questa
terra non manchi mai di speranza e di amore.
Si pone spesso la domanda: il cristianesimo morirà?
Personalmente mi pongo un’altra domanda: quando il
cristianesimo inizierà a esistere?
Ciò che è allo stesso tempo magnifico e terrificante è che Dio ci lascia liberi. Noi possiamo dire «no» a
Dio! Abbiamo il potere di salvarci o di perderci. Il
problema non è né la morte, né l’assurdo, è la libertà.
Tale è Dio, tale è l’uomo. Il che faceva dire al grande
poeta tedesco, contemporaneo di Goethe, Friedrich
Hölderlin (da cui prendo in prestito la mia conclusione): «Dio ha creato l’uomo come il mare fa i continenti, ritirandosi».
Parigi, 23 novembre 2010.
JEAN-LOUIS card. TAURAN,
presidente del Pontificio consiglio
per il dialogo interreligioso
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anta Sede
Contro le
attività illegali
in campo finanziario
Nuova normativa
per lo Stato della Città del Vaticano
e per la Santa Sede
«Oggi, 30 dicembre 2010, il papa ha
firmato un documento… di grande coraggio e di grande significato spirituale» (p. Lombardi alla Radio vaticana). Si tratta di una lettera apostolica
motu proprio sulla «prevenzione e
contrasto delle attività illegali in
campo finanziario e monetario», che
estende alla Santa Sede la vigenza di
una legge (la n. CXXVII) in materia
di «riciclaggio dei proventi di attività
criminose e del finanziamento del terrorismo» contestualmente emanata
per lo Stato della Città del Vaticano.
In tal modo gli enti di governo centrale della Chiesa vanno ad allinearsi
agli standard richiesti dalle autorità
e organismi internazionali di vigilanza. Con il medesimo documento
il papa costituisce anche l’Autorità
di informazione finanziaria (AIF):
presieduta dal card. Attilio Nicora (nominato il 19 gennnaio), dovrà
«emanare complesse e delicate disposizioni di attuazione» che riguardano
tra gli altri, specifica la Segreteria di
stato, «l’Istituto per le opere di religione (IOR), riconfermando l’impegno del medesimo a operare secondo i
principi e i criteri internazionalmente
riconosciuti».
Stampa (28.1.2011) da sito web www.vatican.va.
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L’Autorità
di informazione
finanziaria
Motu proprio di Benedetto XVI e Statuto
M
otu proprio
La sede apostolica ha sempre levato la sua voce per
esortare tutti gli uomini di buona volontà, e soprattutto i
responsabili delle nazioni, all’impegno nell’edificazione,
anche attraverso una pace giusta e duratura in ogni parte
del mondo, della universale città di Dio verso cui avanza
la storia della comunità dei popoli e delle nazioni (cf.
BENEDETTO XVI, lett. enc. Caritas in veritate sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, 29.6.2009, n.
7: AAS 101/2009, 645). La pace purtroppo, ai nostri
tempi, in una società sempre più globalizzata, è minacciata da diverse cause, fra le quali quella di un uso improprio del mercato e dell’economia e quella, terribile e
distruttrice, della violenza che il terrorismo perpetra, causando morte, sofferenze, odio e instabilità sociale.
Molto opportunamente la comunità internazionale si
sta sempre più dotando di princìpi e strumenti giuridici
che permettano di prevenire e contrastare il fenomeno
del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
La Santa Sede approva questo impegno e intende far
proprie queste regole nell’utilizzo delle risorse materiali
che servono allo svolgimento della propria missione e
dei compiti dello Stato della Città del Vaticano.
In tale quadro, anche in esecuzione della Convenzione monetaria fra lo Stato della Città del Vaticano e l’Unione Europea del 17 dicembre 2009, ho
approvato per lo stato medesimo l’emanazione della
Legge concernente la prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo del 30 dicembre 2010, che viene
oggi promulgata.
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Con la presente lettera apostolica in forma di motu
proprio:
a) stabilisco che la suddetta legge dello Stato della
Città del Vaticano e le sue future modificazioni abbiano
vigenza anche per i dicasteri della curia romana e per
tutti gli organismi ed enti dipendenti dalla Santa Sede
ove essi svolgano le attività di cui all’articolo 2 della
medesima legge;
b) costituisco l’Autorità di informazione finanziaria
(AIF) indicata nell’articolo 33 della Legge concernente la
prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di
attività criminose e del finanziamento del terrorismo,
quale istituzione collegata alla Santa Sede, a norma
degli articoli 186 e 190-191 della costituzione apostolica
Pastor bonus, conferendo a essa la personalità giuridica
canonica pubblica e la personalità civile vaticana e
approvandone lo statuto, che è unito al presente motu
proprio;
c) stabilisco che l’Autorità di informazione finanziaria (AIF) eserciti i suoi compiti nei confronti dei dicasteri della curia romana e di tutti gli organismi ed enti di
cui alla lettera a);
d) delego, limitatamente alle ipotesi delittuose di cui
alla suddetta legge, i competenti organi giudiziari dello
Stato della Città del Vaticano a esercitare la giurisdizione penale nei confronti dei dicasteri della curia romana
e di tutti gli organismi ed enti di cui alla lettera a).
Dispongo che quanto stabilito abbia pieno e stabile
valore a partire dalla data odierna, nonostante qualsiasi
disposizione contraria, pur meritevole di speciale menzione.
La presente lettera apostolica in forma di motu proprio stabilisco che sia pubblicata in Acta apostolicae
sedis.
Dato a Roma, dal Palazzo apostolico, il 30 dicembre
dell’anno 2010, sesto del pontificato.
BENEDETTO XVI
S
tatuto
Capo I
Articolo 1
Istituzione, finalità e sede
§ 1. È eretta con motu proprio del sommo pontefice
Benedetto XVI del 30 dicembre 2010 l’Autorità di informazione finanziaria (AIF) avente compiti in materia di
prevenzione e contrasto del riciclaggio dei proventi di
attività criminose e del finanziamento del terrorismo.
§ 2. L’Autorità di informazione finanziaria è un’istituzione collegata con la Santa Sede a norma degli articoli 186 e 190-191 della costituzione apostolica Pastor
bonus.
§ 3. L’Autorità gode di personalità giuridica canonica pubblica e di personalità giuridica civile vaticana.
§ 4. Essa ha sede legale nello Stato della Città del
Vaticano.
Articolo 2
Funzioni
§ 1. L’Autorità di informazione finanziaria svolge le
funzioni, i compiti e le attività indicati nella Legge dello
Stato della Città del Vaticano concernente la prevenzione
e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo 30 dicembre
2010, n. CXXVII.
§ 2. L’Autorità di informazione finanziaria, a norma
del diritto e dei principi internazionali in materia di lotta
al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, esercita
le funzioni, i compiti e le attività richiamati nel paragrafo che precede e nel presente statuto in piena autonomia
e indipendenza.
§ 3. L’Autorità svolge il suo servizio nei riguardi dei
soggetti di cui all’articolo 2 della Legge dello Stato della
Città del Vaticano concernente la prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del
finanziamento del terrorismo 30 dicembre 2010, n.
CXXVII operanti sul territorio dello Stato della Città del
Vaticano oltre che dei dicasteri della curia romana e di
tutti gli organismi ed enti dipendenti dalla Santa Sede.
Capo II
Articolo 3
Organi e personale dell’Autorità
§ 1. Sono organi dell’Autorità di informazione finanziaria.
a) Il presidente;
b) Il Consiglio direttivo.
§ 2. Fanno parte dell’Autorità il direttore e il personale addetto.
Articolo 4
Presidente
§ 1. Il presidente è nominato dal sommo pontefice;
dura in carica cinque anni e può essere confermato.
§ 2. Il presidente sorveglia l’andamento dell’Autorità promuovendone il regolare ed efficace funzionamento.
§ 3. Egli presiede il Consiglio direttivo. In caso di sua
assenza o impedimento, è sostituito da un membro del
Consiglio direttivo a ciò designato. Di fronte ai terzi la
firma di chi sostituisce il presidente fa prova dell’assenza
o impedimento del medesimo.
§ 4. Al presidente spetta la rappresentanza legale
dell’Autorità e l’uso della firma. Il presidente o chi ne fa
le veci può delegare di volta in volta o per determinati
atti o attività la facoltà di rappresentare l’Autorità di
fronte ai terzi e in giudizio.
Articolo 5
Consiglio direttivo
§ 1. Il Consiglio direttivo è presieduto dal presidente
dell’Autorità ed è composto da altri quattro membri
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nominati dal sommo pontefice tra persone di provata
affidabilità, competenza e professionalità.
§ 2. Il Consiglio direttivo, cui spettano tutti i poteri
di ordinaria e straordinaria amministrazione, è responsabile dell’organizzazione e del funzionamento della
struttura dell’Autorità, della quale programma, dirige e
controlla l’attività. In tale ambito e a titolo esemplificativo: a) formula, in armonia con i fini istituzionali, le
strategie fondamentali e i relativi programmi per l’attività dell’Autorità e vigila sulla loro attuazione; b) emana
regolamenti di natura organizzativa aventi anche rilevanza esterna; c) partecipa, anche attraverso propri rappresentanti, agli organismi internazionali impegnati
nella prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del
terrorismo internazionale e alle attività di studio e di
ricerca da questi organizzate; d) sovrintende al personale dell’Autorità promuovendone la formazione professionale specifica; e) delega al direttore o ad altri soggetti
addetti all’Autorità, con apposite comunicazioni di servizio indicanti principi e criteri direttivi, determinate
tipologie di atti aventi natura ricorrente.
§ 3. Il Consiglio direttivo può attribuire a singoli
membri poteri per il compimento di determinati atti o
per la supervisione di determinate attività o aree di attività, stabilendone poteri, modalità di svolgimento e di
informativa al Consiglio.
§ 4. Il Consiglio direttivo è convocato dal presidente, in via ordinaria, di norma ogni trimestre e, in via
straordinaria, ogni volta che se ne manifesti la necessità.
Il presidente fissa l’ordine del giorno della seduta, ne
coordina i lavori e provvede affinché adeguate informazioni sulle materie indicate nell’ordine del giorno vengano fornite a tutti i componenti.
§ 5. L’avviso di convocazione contenente l’ordine
del giorno deve pervenire ai singoli componenti almeno
cinque giorni prima di quello fissato per la riunione con
mezzi che ne garantiscano il ricevimento; nei casi di
urgenza la convocazione è effettuata con avviso da trasmettere con telefax, posta elettronica o altro mezzo di
comunicazione urgente almeno un giorno prima della
seduta.
§ 6. Le riunioni del Consiglio, che possono essere
tenute anche in videoconferenza, sono prese a maggioranza assoluta dei voti dei membri presenti e all’unanimità qualora siano presenti tre membri; in caso di parità prevale il voto di chi presiede. Per la validità delle
adunanze del Consiglio è necessaria la presenza di almeno tre membri.
§ 7. Delle adunanze e delle deliberazioni del
Consiglio deve redigersi verbale da iscriversi nel relativo
libro da firmarsi a cura del presidente e del segretario. Il
libro e gli estratti del medesimo, certificati conformi dal
presidente e dal segretario, fanno prova delle adunanze
e delle deliberazioni del Consiglio.
Articolo 6
Direttore e personale dell’Autorità
§ 1. Il direttore, in possesso di adeguata e comprovata
competenza e professionalità in campo giuridico-finanziario e informatico maturata nelle materie istituzionali
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dell’Autorità, è nominato dal presidente con il nulla osta
del segretario di stato.
§ 2. Il direttore:
a) è responsabile dell’attività operativa dell’Autorità;
b) coordina l’attività del personale addetto ai fini dell’esecuzione dei programmi e dei compiti dell’Autorità;
c) sottopone al Consiglio direttivo ogni atto che non
rientri nelle sue competenze;
d) è normalmente invitato a partecipare alle adunanze
del Consiglio direttivo;
e) cura l’amministrazione dell’Autorità.
§ 3. Il personale dell’Autorità, di norma in possesso di
un’adeguata esperienza professionale nelle materie istituzionali della medesima, viene assunto dal presidente
dell’Autorità con il nulla osta del segretario di stato.
Articolo 7
Segreto
§ 1. I soggetti menzionati negli articoli di cui al presente capo sono obbligati al più rigoroso segreto per tutto ciò
che riguarda l’Autorità e i suoi rapporti con i terzi.
§ 2. L’obbligo di segreto non è di ostacolo all’adempimento degli obblighi in materia di cooperazione internazionale e nei confronti dell’Autorità giudiziaria, inquirente
e giudicante, quando le informazioni richieste siano necessarie per le indagini o per i procedimenti relativi a violazioni sanzionate penalmente.
Capo III
Articolo 8
Risorse, contabilità e bilancio
§ 1. All’Autorità di informazione finanziaria sono attribuiti mezzi finanziari e risorse idonei ad assicurare l’efficace perseguimento dei suoi fini istituzionali.
§ 2. Il Consiglio direttivo, entro il 31 marzo di ogni
anno, deve approvare il bilancio di esercizio relativo all’anno precedente.
§ 3. L’esercizio si chiude il 31 dicembre di ogni anno.
§ 4. Il presidente, dopo l’approvazione, trasmette il bilancio di esercizio al cardinale segretario di stato.
Capo IV
Articolo 9
Relazione sull’attività
§ 1. L’Autorità di informazione finanziaria trasmette al
segretario di stato una relazione sulla propria attività nei
termini previsti dalla legge.
Capo V
Articolo 10
Approvazione e pubblicazione
§ 1. Il presente statuto è approvato e sarà pubblicato in
Acta apostolicae sedis.
§ 2. Per quanto non disposto da questo statuto si applicano le vigenti disposizioni canoniche e civili vaticane.
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Quattro nuove leggi
Comunicato della Segreteria di stato
1. In data odierna, in esecuzione della Convenzione
monetaria tra lo Stato della Città del Vaticano e
l’Unione Europea del 17 dicembre 2009 (2010/C
28/05), sono state emanate le seguenti quattro nuove
leggi:
– la Legge concernente la prevenzione e il contrasto del
riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo;
– la Legge sulla frode e contraffazione di banconote e
monete in euro ;
– la Legge relativa a tagli, specifiche, riproduzione,
sostituzione e ritiro delle banconote in euro e sull’applicazione dei provvedimenti diretti a contrastare le riproduzioni irregolari di banconote in euro e alla sostituzione e al
ritiro di banconote in euro e
– la Legge riguardante la faccia, i valori unitari e le
specificazioni tecniche, nonché la titolarità dei diritti d’autore sulle facce nazionali delle monete in euro destinate
alla circolazione.
Il processo di elaborazione delle citate leggi è stato
condotto con l’assistenza del Comitato misto, previsto
dall’articolo 11 della Convenzione monetaria, composto da rappresentanti dello Stato della Città del
Vaticano e dell’Unione Europea. La delegazione dell’Unione Europea è costituita, a sua volta, da rappresentanti della Commissione e della Repubblica Italiana, nonché da rappresentanti della Banca centrale
europea.
La Legge in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo è pubblicata
contestualmente a questo comunicato, mentre le altre
saranno pubblicate sul sito web dello Stato della Città
del Vaticano www.vaticanstate.va.
2. La legge relativa alla prevenzione del riciclaggio e
del finanziamento del terrorismo contiene, in un corpo
unitario:
– le fattispecie delittuose, che ricomprendono il riciclaggio, l’autoriciclaggio e i reati cc.dd. presupposto
(cioè i comportamenti delittuosi che generano i proventi, poi «ripuliti» dal riciclatore), per le quali sono previste sanzioni penali;
– le fattispecie che hanno contenuto più specificamente amministrativo, riguardanti la cooperazione
internazionale, ma anche la prevenzione, per la violazione della quale sono previste sanzioni amministrative
pecuniarie.
La medesima legge è basata sui seguenti principali
obblighi:
– di «adeguata verifica» della controparte;
– di registrazione e conservazione dei dati relativi ai
rapporti continuativi e alle operazioni;
– di segnalazione delle operazioni sospette.
L’impianto normativo, pur tenendo conto delle
peculiarità dell’ordinamento vaticano in cui si inserisce,
è conforme ai principi e alle regole vigenti nell’Unione
Europea, risultando così allineato a quello di paesi che,
in questo ambito, dispongono di normative avanzate.
Ciò è testimoniato dalle previsioni, tra l’altro, in materia
di autoriciclaggio (fattispecie non ancora contemplata in
paesi a stringente legislazione), dai controlli sul denaro
contante in entrata o in uscita dallo Stato della Città del
Vaticano, dagli obblighi sul trasferimento di fondi e,
infine, dai presìdi sanzionatori amministrativi, alquanto
rigorosi e applicabili, non solo agli enti e alle persone
giuridiche, ma anche alle persone fisiche che agiscono in
esse, per via della prevista obbligatorietà dell’azione di
regresso.
3. La Legge sulla frode e contraffazione risponde all’esigenza di adottare – conformemente a quanto prevede
la più avanzata normativa dell’Unione Europea – una
solida rete di protezione legale delle banconote e delle
monete in euro contro la falsificazione. Ciò comporta
procedure di ritiro dalla circolazione di banconote e
monete false, il rafforzamento delle misure sanzionatorie penali, nonché forme di cooperazione in sede europea e internazionale.
4. Le leggi in materia di banconote e monete in euro
contengono, per le stesse banconote e monete:
– disposizioni relative alla protezione del diritto d’autore sui disegni,
– regole in ordine ai tagli, alle caratteristiche tecniche, alla circolazione e alla sostituzione;
– la previsione dell’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie in caso di violazione di talune regole
in esse previste.
5. Il processo di normazione non ha riguardato tuttavia meramente lo Stato della Città del Vaticano. La
Santa Sede – ordinamento distinto da quello dello Stato
della Città del Vaticano – alla quale fanno capo enti e
organismi operanti in vari campi, ha recepito come propria normativa la Legge concernente la prevenzione e il
contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose
e del finanziamento del terrorismo. Ciò è avvenuto tramite la Lettera apostolica in forma di motu proprio per la prevenzione e il contrasto delle attività illegali in campo
finanziario e monetario.
Con la suddetta lettera, anch’essa emanata in data
odierna a firma del sommo pontefice Benedetto XVI:
– si stabilisce che la legge dello Stato della Città del
Vaticano e le sue future modificazioni abbiano vigenza
anche per i «dicasteri della curia romana e per tutti gli
organismi ed enti dipendenti dalla Santa Sede» (qui a p.
75), tra i quali l’Istituto per le opere di religione (IOR),
riconfermando l’impegno del medesimo a operare
secondo i principi e i criteri internazionalmente riconosciuti;
– si costituisce l’Autorità di informazione finanziaria
(AIF), organismo autonomo e indipendente con incisivi
compiti di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del
finanziamento del terrorismo nei confronti di ogni soggetto, persona fisica o giuridica, ente e organismo di
qualsivoglia natura dello Stato della Città del Vaticano,
dei dicasteri della curia romana e di tutti gli organismi
ed enti dipendenti dalla Santa Sede;
– si delegano i competenti organi giudiziari dello
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Stato della Città del Vaticano a esercitare, per i reati in
materia di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo,
la giurisdizione penale nei confronti dei soggetti appena
richiamati.
La lettera apostolica è pubblicata sul sito web della
Santa Sede www.vatican.va.
6. L’Autorità di informazione finanziaria (AIF), il cui
presidente con i membri del Consiglio direttivo sono
nominati dal santo padre, è chiamata a emanare complesse e delicate disposizioni di attuazione, indispensabili per assicurare che i soggetti della Santa Sede e dello
Stato della Città del Vaticano rispettino i nuovi e importanti obblighi di antiriciclaggio e di antiterrorismo a partire dal 1° aprile 2011, data di entrata in vigore della
legge.
7. L’esperienza segnalerà le eventuali esigenze di
affinamento e integrazione dell’assetto normativo in
materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del
finanziamento del terrorismo ai principi e agli standard
vigenti nella comunità internazionale; tali esigenze
potrebbero prospettarsi in ragione della disponibilità già
manifestata da parte della Santa Sede e dello Stato della
Città del Vaticano a confrontarsi con i competenti organismi internazionali attivi sul fronte del contrasto del
riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
8. La presente nuova normativa si iscrive nell’impegno della sede apostolica per l’edificazione di una convivenza civile giusta e onesta. In nessun momento si possono perciò trascurare o attenuare i grandi «principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità» (BENEDETTO XVI, lett. enc. Caritas in Veritate
sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità,
29.6.2009, n.36; Regno-doc.15,2009,472).
30 dicembre 2010.
Legge n. CXXVII
La prevenzione e il contrasto del riciclaggio
dei proventi di attività criminose
e del finanziamento del terrorismo
La Pontificia commissione per lo Stato della Città del
Vaticano
– visto il Trattato del Laterano, sottoscritto in Roma,
fra la Santa Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929;
– vista la Legge fondamentale dello Stato della Città
del Vaticano 26 novembre 2000;
– vista la Legge sulle fonti del diritto 1° ottobre 2008,
n. LXXI;
considerando:
– che il riciclaggio dei proventi di attività illecite e,
altresì, lo sfruttamento del sistema finanziario per trasferire fondi di provenienza criminosa o anche denaro di
provenienza lecita a scopo di finanziamento del terrorismo minano alla base le fondamenta delle società civili
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costituendo una minaccia per l’integrità, il funzionamento regolare, la reputazione e la stabilità dei sistemi
finanziari;
– che il riciclaggio dei proventi di attività criminose e
il finanziamento del terrorismo avvengono sovente a
livello internazionale e che, pertanto, le misure adottate
esclusivamente a livello di singola giurisdizione, senza
coordinamento né cooperazione internazionali, finirebbero per avere effetti limitati;
– che ogni stato e giurisdizione, in ragione delle
peculiarità transnazionali dei fenomeni del riciclaggio e
del finanziamento del terrorismo, devono fornire il proprio contributo introducendo nella legislazione interna
regole e presidi coerenti con i principi e gli standard
concordati a livello internazionale e comunitario contro
il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo;
– che la Convenzione monetaria tra lo Stato della
Città del Vaticano e l’Unione Europea del 17 dicembre
2009 (2010/C 28/05) prevede, tra l’altro, l’introduzione
di presìdi in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo;
– ha ordinato e ordina quanto appresso da osservarsi come legge dello stato:
Capo I
Definizioni e ambito di applicazione
Articolo 1
Definizioni
Ai fini della presente legge si intende per:
1. «beni»: i beni di qualsiasi tipo, materiali o immateriali, mobili o immobili, tangibili o intangibili, e i
documenti o gli strumenti legali, in qualsiasi forma compresa quella elettronica o digitale, che attestano il diritto
di proprietà o altri diritti sui beni medesimi;
2. «titolare effettivo»: la persona o le persone fisiche
per conto delle quali è realizzata un’operazione o un’attività, ovvero, nel caso di entità giuridica, la persona o le
persone fisiche che, in ultima istanza, possiedono o controllano tale entità, ovvero ne risultano beneficiari
secondo i criteri di cui all’allegato alla presente legge;
3. «dati identificativi»: il nome e il cognome, il luogo
e la data di nascita, l’indirizzo e gli estremi del documento di identificazione o, nel caso di soggetti diversi
dalle persone fisiche, la denominazione e la sede legale;
avuto riguardo alle persone fisiche e ai soggetti da queste diversi appartenenti a stati esteri costituiscono dati
identificativi, secondo le leggi di quelle giurisdizioni,
anche gli estremi relativi alla posizione fiscale;
4. «prestatori di servizi relativi a società e trust»: ogni
persona fisica o giuridica che fornisca, a titolo professionale, uno dei servizi seguenti a terzi: a) costituire società
o altre persone giuridiche; b) occupare la funzione di
dirigente o di amministratore di una società, di socio di
un’associazione o una funzione analoga nei confronti di
altre persone giuridiche; c) fornire una sede legale, un
indirizzo commerciale, amministrativo o postale e altri
servizi connessi a una società, un’associazione o qualsiasi altra entità giuridica; d) occupare la funzione di fidu-
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ciario in un trust espresso o in un soggetto giuridico analogo; e) esercitare il ruolo d’azionista per conto di un’altra persona;
5. «persone politicamente esposte»: le persone fisiche che occupano o hanno occupato importanti cariche
pubbliche come pure i loro familiari diretti o coloro con
i quali tali persone intrattengono notoriamente stretti
legami, individuate sulla base dei criteri di cui all’allegato alla presente legge;
6. «reato grave»: i reati contenuti nel capo III della
presente legge e nel Codice penale agli articoli 145-154
(delitti contro la libertà individuale); 171-174 (corruzione); 248 (associazione per delinquere); 256 (falsità in
monete e carte di pubblico credito); 295-297 (frodi nei
commerci, nelle industrie e negli incanti); 331-339 (delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie); 402404 (furto); 406-412 (rapina, estorsione e ricatto); 413
(truffa); 421 (ricettazione); 460-470 (contravvenzioni
concernenti le armi e le materie esplodenti) e comunque
ogni fattispecie delittuosa punita nel minimo con la
reclusione o l’arresto pari o superiore a sei mesi o nel
massimo con la reclusione o l’arresto pari o superiore a
un anno;
7. «stupefacenti e sostanze psicotrope»: ogni pianta i
cui principi attivi possono provocare allucinazioni o gravi
distorsioni sensoriali e tutte le sostanze ottenute per estrazione o per sintesi chimica che provocano la stessa tipologia di effetti a carico del sistema nervoso centrale;
8. «finanziamento del terrorismo»: qualsiasi attività
diretta, con qualsiasi mezzo, alla raccolta, alla provvista,
all’intermediazione, al deposito, alla custodia e alla erogazione di fondi o di risorse economiche, in qualunque
modo realizzati, destinati a essere, in tutto o in parte, utilizzati al fine di compiere uno o più delitti con finalità di
terrorismo o in ogni caso diretti a favorire il compimento
di uno o più delitti con finalità di terrorismo previsti dalla
presente legge; e ciò indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi e delle risorse economiche per la commissione dei delitti anzidetti;
9. «condotte con finalità di terrorismo»: le condotte
che, per loro natura o contesto, possono arrecare grave
danno a un paese o a un’organizzazione internazionale e
sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o
costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi
atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche
fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un
paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le
altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto
internazionale vincolanti per lo stato;
10. «dispositivi esplosivi o comunque micidiali»: armi
da sparo e tutte le altre, la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, tutti gli strumenti atti a offendere, i gas
asfissianti o accecanti, le sostanze corrosive;
11. «banca di comodo»: un ente creditizio, o un ente
che svolge attività equivalenti, costituito in uno stato in cui
non ha alcuna presenza fisica, che consenta di esercitare
una direzione e una gestione reale e che non sia collegato
ad alcun gruppo finanziario regolamentato;
12. «conti correnti di corrispondenza»: conti tenuti
dalle banche, tradizionalmente su base bilaterale, per il
regolamento dei servizi interbancari (rimesse di effetti,
assegni circolari e bancari, ordini di versamento, giri di
fondi, rimesse documentate e altre operazioni);
13. «servizi di pagamento»: servizi che permettono l’esecuzione di depositi, prelievi, ordini e operazioni di pagamento, incluso il trasferimento di fondi, relativamente a
un conto di pagamento, ovvero l’emissione e/o l’acquisizione di strumenti di pagamento e le rimesse di denaro;
14. «operazione»: la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento; per i soggetti indicati nell’articolo 2, lettere p) e q), un’attività determinata o determinabile, finalizzata a un obiettivo di natura finanziaria o patrimoniale modificativo della situazione giuridica esistente,
da realizzare tramite una prestazione professionale;
15. «operazione collegata»: un’operazione, ancorché
autonoma, che unitamente ad altra o ad altre costituisca
un’operazione unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o superiore a euro 15.000, effettuate in momenti
diversi e in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette
giorni;
16. «conti di passaggio»: rapporti bancari di corrispondenza transfrontalieri, intrattenuti dai soggetti obbligati alla presente legge, utilizzati per effettuare operazioni
in nome proprio o per conto della clientela;
17. «mezzi di pagamento»: il denaro contante, gli assegni bancari e postali, gli assegni circolari e gli altri assegni
a essi assimilabili o equiparabili, gli ordini di accreditamento o di pagamento, le carte di credito e le altre carte
di pagamento, ogni altro strumento a disposizione che
permetta di trasferire, movimentare o acquisire, anche per
via telematica, fondi, valori o disponibilità finanziarie;
18. «moneta elettronica»: un valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che
sia memorizzato su un dispositivo elettronico, emesso previa ricezione di fondi di valore non inferiore al valore
monetario emesso e accettato come mezzo di pagamento
da soggetti diversi dall’emittente;
19. «prestatore di servizi di pagamento»: la persona
fisica o giuridica le cui attività comprendono la prestazione di servizi di trasferimento di fondi;
20. «trasferimento di fondi»: una transazione effettuata per conto di un ordinante, per via elettronica, da un
prestatore di servizi di pagamento, allo scopo di mettere i
fondi a disposizione del beneficiario del pagamento presso
un prestatore di servizi di pagamento; l’ordinante e il
beneficiario del pagamento possono essere la medesima
persona;
21. «denaro contante»: a) strumenti negoziabili al portatore, compresi gli strumenti monetari emessi al portatore quali travellers cheque, strumenti negoziabili (compresi
assegni, effetti all’ordine e mandati di pagamento) emessi
al portatore, girati senza restrizioni, a favore di un beneficiario fittizio o emessi altrimenti in forma tale che il relativo titolo passi alla consegna, e strumenti incompleti (compresi assegni, effetti all’ordine e mandati di pagamento) firmati ma privi del nome del beneficiario; b) denaro contante (banconote e monete in circolazione come mezzo di
scambio);
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22. «servizi e attività di investimento»: qualsiasi servizio o attività (ricezione e trasmissione di ordini; esecuzione di ordini per conto dei clienti; negoziazione per conto
proprio; gestione di portafogli; consulenza in materia di
investimenti, assunzione e collocamento di strumenti
finanziari) avente a oggetto strumenti finanziari (valori
mobiliari; strumenti del mercato monetario; quote di
organismi di investimento collettivo; contratti di opzione;
strumenti finanziari derivati);
23. «strumenti finanziari»: valori mobiliari; strumenti
del mercato monetario; quote di organismi di investimento collettivo; contratti di opzione; strumenti finanziari
derivati;
24. «emittenti»: i soggetti dello stato o esteri che emettono strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati dello stato;
25. «informazione privilegiata»: un’informazione di
carattere preciso, che non è stata resa pubblica, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti
strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che,
se resa pubblica, potrebbe influire in modo sensibile sui
prezzi di tali strumenti finanziari;
26. «intermediazione assicurativa»: le attività consistenti nel presentare o proporre contratti di assicurazione
o compiere atti preparatori o relativi alla conclusione di
tali contratti ovvero nel collaborare, segnatamente in caso
di sinistri, alla loro gestione ed esecuzione; sono escluse le
attività esercitate dalle imprese di assicurazione nonché
dagli impiegati di un’impresa di assicurazione che agiscono sotto la responsabilità di tale impresa e, altresì, le attività di informazione fornite a titolo accessorio nel contesto
di un’attività professionale, sempre che l’obiettivo di questa attività non sia quello di assistere il cliente nella conclusione o nell’esecuzione di un contratto di assicurazione
o nella gestione di sinistri per un’impresa di assicurazione
su base professionale o nelle attività di liquidazione sinistri
e di consulenza in materia di sinistri;
27. «prestazione professionale»: prestazione professionale o commerciale correlata con le attività svolte dai soggetti di cui all’articolo 2 dalla quale si presuma, nel
momento in cui ha inizio, che avrà una certa durata;
28. «rapporto continuativo»: rapporto di durata che
dia luogo a più operazioni di versamento, prelievo o trasferimento di mezzi di pagamento e che non si esaurisca in
una sola operazione;
29. «rapporto d’affari»: un rapporto, professionale o
commerciale, che sia correlato con le attività professionali
svolte dai soggetti di cui all’articolo 2 e che, nel momento
della sua instaurazione, si presuma possa avere una certa
durata;
30. «terzi»: ogni soggetto (persona fisica o giuridica,
ente e organismo di qualsivoglia natura) situato in uno
stato estero, che, conformemente a quanto stabilito nella
presente legge, sia soggetto a registrazione professionale
obbligatoria legale e a sorveglianza, applichi misure di
adeguata verifica della clientela e obblighi di conservazione dei documenti;
31. «fondi»: le attività e utilità finanziarie, disponibili
anche tramite soggetto interposto, di qualsiasi natura,
compresi anche: a) i contanti, gli assegni, i crediti pecu-
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niari, le cambiali, gli ordini di pagamento e altri strumenti di pagamento; b) i depositi presso qualunque soggetto, i saldi sui conti, i crediti e le obbligazioni di qualsiasi natura; c) gli interessi, i dividendi o altri redditi e
incrementi di valore generati dalle attività; d) il credito, il
diritto di compensazione, le garanzie di qualsiasi tipo, le
cauzioni e gli altri impegni finanziari; e) le lettere di credito, le polizze di carico e gli altri titoli rappresentativi di
merci; f) i documenti da cui risulti una partecipazione in
fondi o risorse finanziarie; g) tutti gli strumenti di finanziamento delle esportazioni;
32. «risorse economiche»: le attività di qualsiasi tipo,
materiali o immateriali, mobili o immobili, ivi compresi gli
accessori, le pertinenze e i frutti, che non sono fondi ma
che possono essere utilizzate per ottenere fondi, beni o servizi;
33. «congelamento di fondi»: il divieto di movimentazione, trasferimento, modifica, utilizzo o gestione dei fondi
o di accesso a essi, così da modificarne il volume, l’importo, la collocazione, la proprietà, il possesso, la natura, la
destinazione o qualsiasi altro cambiamento che consente
l’uso dei fondi, compresa la gestione di portafoglio;
34. «congelamento di risorse economiche»: il divieto
di movimentazione, trasferimento, disposizione o, al fine
di ottenere in qualsiasi modo fondi, beni o servizi, utilizzo
delle risorse economiche, compresi anche la vendita, la
locazione, l’affitto o la costituzione di diritti reali di garanzia;
35. «soggetti designati»: le persone fisiche, le persone
giuridiche, i gruppi e le entità designati come destinatari
del congelamento;
36. «suolo»: il territorio, il suolo, il sottosuolo, gli abitati e le opere infrastrutturali;
37. «acque»: le acque meteoriche e le acque superficiali e sotterranee;
38. «acque superficiali»: le acque interne, a eccezione
delle acque sotterranee, le acque di transizione;
39. «acque sotterranee»: tutte le acque che si trovano
sotto la superficie del suolo nella zona di saturazione e a
contatto diretto con il suolo o il sottosuolo;
40. «inquinamento atmosferico»: ogni modificazione
dell’aria atmosferica, dovuta all’emissione e alla conseguente introduzione nella stessa di una o più sostanze in
quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire
un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente;
41. «emissione»: qualsiasi sostanza solida, liquida o
gassosa introdotta nell’atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico;
42. «rifiuti»: prodotti fuori norma; prodotti scaduti;
sostanze contaminate o insudiciate in seguito ad attività
volontarie; elementi inutilizzabili; sostanze divenute inadatte all’impiego (ad esempio acidi contaminati, solventi
contaminati); residui di processi industriali; residui di procedimenti antinquinamento; residui di lavorazione/sagomatura; residui provenienti dall’estrazione e dalla
preparazione delle materie prime; sostanze contaminate;
qualunque materia, sostanza o prodotto la cui utilizzazione è giuridicamente vietata.
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Articolo 2
Soggetti tenuti al rispetto degli obblighi
di prevenzione in materia di riciclaggio
e di finanziamento del terrorismo
1. Ogni soggetto, persona fisica o giuridica, ente e
organismo di qualsivoglia natura, incluse le filiali e le
succursali di soggetti esteri, che svolge professionalmente un’attività consistente:
a. nel ricevere depositi o altri fondi rimborsabili dal
pubblico e nel concedere crediti per proprio conto;
b. nell’intermediazione assicurativa;
c. nell’assunzione di partecipazioni;
d. nella raccolta di depositi o di altri fondi rimborsabili;
e. nel compimento di operazioni di prestito;
f. nello svolgimento di servizi di pagamento;
g. nell’emissione e gestione di mezzi di pagamento;
h. nel rilascio di garanzie e di impegni di firma;
i. nella locazione di cassette di sicurezza;
j. nello svolgimento di operazioni in cambi per proprio conto o per conto della clientela;
k. nell’acquisto e nella vendita o anche nella mediazione di beni immobili o imprese;
l. nella gestione di denaro e di strumenti finanziari;
m. nell’apertura o nella gestione di conti o depositi
bancari, libretti di risparmio o depositi di titoli;
n. nella costituzione, gestione o amministrazione di
trust, società o strutture analoghe nonché nella prestazione di servizi relativi a società o trust;
o. nello svolgimento di servizi di investimento aventi
a oggetto strumenti finanziari;
p. nell’esercizio, in via principale, strumentale o sussidiaria, della professione di revisore dei conti, contabile
esterno e consulente tributario;
q. nell’esercizio, in via principale, strumentale o sussidiaria, della professione di notaio e di legale, quando
prestano la loro opera o partecipando in nome e per
conto del cliente a una qualsiasi operazione finanziaria
o immobiliare o assistendo i loro clienti nella progettazione o nella realizzazione di specifiche operazioni
(acquisto e vendita di beni immobili o imprese; la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni dei clienti; l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di
risparmio o conti titoli; l’organizzazione degli apporti
necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società; la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società; la costituzione, la gestione o
l’amministrazione di trust, società o strutture analoghe);
r. nella negoziazione di beni (soltanto quando il
pagamento è effettuato in contanti per un importo pari
o superiore a euro 15.000) è tenuto a osservare gli obblighi di adeguata verifica, di registrazione dei rapporti e
delle operazioni, di conservazione delle informazioni a
essi inerenti e di segnalazione delle operazioni sospette;
a tali fini deve predisporre adeguati assetti organizzativi
e procedure, nonché assicurare un’adeguata formazione
del personale.
2. I soggetti di cui al comma che precede adottano,
entro trenta giorni dall’entrata in vigore della presente
legge, ogni provvedimento necessario per assicurare il
puntuale e immediato adempimento degli obblighi previsti. Dei provvedimenti assunti dovrà essere data comunicazione, entro i successivi dieci giorni dalla loro adozione, all’Autorità di informazione finanziaria.
Capo II
Disposizioni penali in materia di riciclaggio
Articolo 3
Riciclaggio
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo X «Dei delitti
contro la proprietà» capo V alla rubrica «Della ricettazione» è aggiunto «, del riciclaggio e dell’autoriciclaggio».
Nello stesso capo dopo l’articolo 421 è aggiunto l’articolo
421 bis del seguente tenore:
421 bis. Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo
421, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da un reato grave, ovvero compie in relazione a
essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, ovvero impiega in
attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da un reato grave, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro
1.000 a euro 15.000.
Nei casi previsti dal comma che precede si applica la
reclusione da due a sei anni e la multa da euro 1.000 a
euro 10.000 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da reato grave per il quale è stabilita la pena della
reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Nei confronti della persona che ha commesso il reato
grave si applica la reclusione da due a sei anni e la multa
da euro 1.000 a euro 10.000.
Nei casi previsti dal comma uno la pena è aumentata
quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività
professionale.
La fattispecie delittuosa sussiste anche se le attività che
hanno generato il denaro, i beni o le altre utilità da riciclare si sono svolte nel territorio di un altro stato.
Nei casi di condanna è obbligatoria la confisca dei beni
che costituiscono il prodotto o il profitto dell’attività delittuosa, tranne che essi appartengano a persone estranee al
reato. Il giudice, nel caso in cui non sia possibile procedere alla confisca, ordina la confisca delle somme di denaro,
dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato.
Capo III
Altre fattispecie delittuose
Articolo 4
Associazioni con finalità di terrorismo
anche internazionale o di eversione
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo I «Dei delitti contro la sicurezza dello stato» dopo il capo IV
«Disposizioni comuni ai capi precedenti» è aggiunto il
capo V «Altre misure per prevenire e contrastare il finanziamento del terrorismo» nel cui ambito è inserito
l’articolo 138 bis del seguente tenore:
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138 bis. Chiunque promuove, costituisce, organizza,
dirige o finanzia persone o associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.
Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo
ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti
contro uno stato estero, un’istituzione o un organismo
internazionale.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria
la confisca delle cose che servirono o furono destinate a
commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il
prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego.
Articolo 5
Arruolamento con finalità di terrorismo
anche internazionale
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo I «Dei delitti contro la sicurezza dello stato» dopo il capo IV
«Disposizioni comuni ai capi precedenti» è aggiunto il
capo V «Altre misure per prevenire e contrastare il
finanziamento del terrorismo» nel cui ambito è inserito
l’articolo 138 ter del seguente tenore:
138 ter. Chiunque, fuori dai casi di cui all’articolo
138 bis, arruola una o più persone per il compimento di
atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici
essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti
contro uno stato estero, un’istituzione o un organismo
internazionale, è punito con la reclusione da sette a
quindici anni.
Articolo 6
Addestramento ad attività con finalità
di terrorismo anche internazionale
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo I «Dei delitti contro la sicurezza dello stato» dopo il capo IV
«Disposizioni comuni ai capi precedenti» è aggiunto il
capo V «Altre misure per prevenire e contrastare il
finanziamento del terrorismo» nel cui ambito è inserito
l’articolo 138 quater del seguente tenore:
138 quater. Chiunque, fuori dai casi di cui all’articolo 138 bis, addestra o comunque fornisce istruzioni sulla
preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, di armi da
fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonché di ogni altra tecnica o
metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di
sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di
terrorismo, anche se rivolti contro uno stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale, è punito con la
reclusione da cinque a dieci anni. La stessa pena si applica nei confronti della persona addestrata.
Articolo 7
Attentato per finalità terroristiche o di eversione
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo I «Dei delitti contro la sicurezza dello stato» dopo il capo IV
«Disposizioni comuni ai capi precedenti» è aggiunto il
capo V «Altre misure per prevenire e contrastare il
finanziamento del terrorismo» nel cui ambito è inserito
l’articolo 138 quinquies del seguente tenore:
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138 quinquies. Chiunque, per finalità di terrorismo
o di eversione, attenta alla vita o all’incolumità di una
persona, è punito, nel primo caso, con la reclusione non
inferiore ad anni venti e, nel secondo caso, con la reclusione non inferiore ad anni sei.
Articolo 8
Atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo I «Dei delitti contro la sicurezza dello stato» dopo il capo IV
«Disposizioni comuni ai capi precedenti» è aggiunto il
capo V «Altre misure per prevenire e contrastare il
finanziamento del terrorismo» nel cui ambito è inserito
l’articolo 138 sexies del seguente tenore:
138 sexies. Salvo che non costituisca più grave reato,
chiunque per finalità di terrorismo compie qualsiasi atto
diretto a danneggiare cose mobili o immobili altrui,
mediante l’uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali, è punito con la reclusione da due a cinque anni.
Articolo 9
Malversazione a danno dello stato
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo X «Dei delitti contro la proprietà» capo III «Truffa e altre frodi»
dopo l’articolo 416 è aggiunto l’articolo 416 bis del
seguente tenore:
416 bis. Chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo stato o da altro ente
pubblico o istituzione contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico
interesse, non li destina alle predette finalità, è punito
con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
Se i fatti previsti sono di particolare tenuità le pene
sono diminuite.
Articolo 10
Truffa aggravata per il conseguimento
di erogazioni pubbliche
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo X «Dei delitti contro la proprietà» capo III «Truffa e altre frodi»
dopo l’articolo 416 bis è aggiunto l’articolo 416 ter del
seguente tenore:
416 ter. La pena è della reclusione da uno a sei anni
e si procede d’ufficio se il fatto di cui all’articolo 413
riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati
ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque
denominate, concessi o erogati da parte dello stato, di
altri enti pubblici o istituzioni.
Articolo 11
Indebita percezione di erogazioni
a danno dello stato
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo X «Dei delitti contro la proprietà» capo III «Truffa e altre frodi»
dopo l’articolo 416 ter è aggiunto l’articolo 416 quater
del seguente tenore:
416 quater. Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 413, chiunque mediante l’utilizzo o la
presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o atte-
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stanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di
informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o
per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre
erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo stato, da altri enti pubblici o istituzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se i fatti previsti sono di particolare tenuità le pene
sono diminuite.
Articolo 12
Abuso di informazioni privilegiate
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo VI «Dei
delitti contro la fede pubblica» dopo il capo V «Delle
frodi nei commerci, nelle industrie e negli incanti» è
aggiunto il capo V bis «Abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato» nel cui ambito è collocato l’articolo 299 bis del seguente tenore:
299 bis. È punito con la reclusione da uno a sei anni
e con la multa da euro 20.000 a euro 3 milioni chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in
ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, della
partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione o di
una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:
a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto
di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime;
b) comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del
normale esercizio del lavoro, della professione, della
funzione o dell’ufficio;
c) raccomanda o induce altri, sulla base di esse, al
compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a).
La stessa pena di cui al comma uno si applica a
chiunque essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività
delittuose compie taluna delle azioni di cui al medesimo
comma 1.
Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino
al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per
l’entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato,
essa appare inadeguata anche se applicata al massimo.
Articolo 13
Manipolazione del mercato
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo VI «Dei
delitti contro la fede pubblica» dopo il capo V «Delle
frodi nei commerci, nelle industrie e negli incanti» è
aggiunto il capo V bis «Abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato» nel cui ambito è collocato l’articolo 299 ter del seguente tenore:
299 ter. Chiunque diffonde notizie false o pone in
essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente
idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di
strumenti finanziari, è punito con la reclusione da uno a
sei anni e con la multa da euro 20.000 a euro 5 milioni.
Il giudice può aumentare la multa fino al triplo o fino
al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per
l’entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato,
essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo.
Articolo 14
Tratta di persone
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo II «Dei delitti contro la libertà» capo III «Dei delitti contro la libertà individuale» è aggiunto l’articolo 145 bis del seguente
tenore:
145 bis. Chiunque commette tratta di persona che si
trova nelle condizioni di cui all’articolo 145 ovvero, al
fine di commettere i delitti di cui al medesimo articolo,
la induce mediante inganno o la costringe mediante violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di
una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una
situazione di necessità, o mediante promessa o dazione
di somme di denaro o di altri vantaggi alla persona che
su di essa ha autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a
uscire dal territorio dello stato o a trasferirsi al suo interno, è punito con la reclusione da otto a vent’anni.
La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti
di cui al primo comma sono commessi in danno di
minore degli anni diciotto o sono diretti alla sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona
offesa al prelievo di organi.
Articolo 15
Vendita di prodotti industriali con segni mendaci
All’articolo 295, commi 1 e 2, la sanzione è rispettivamente così modificata «con la reclusione fino a un
anno o con la multa fino a euro 10.000» e «con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 20.000».
Articolo 16
Fabbricazione, introduzione, vendita
e detenzione di armi nello stato
1. All’articolo 460 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
2. All’articolo 461 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
3. All’articolo 462 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
4. All’articolo 463 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
5. All’articolo 464 la sanzione è così modificata, nel
comma primo, «con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a euro 2.000», nel comma secondo,
«con l’arresto fino a due anni e sei mesi e con l’ammenda da euro 1.000 a euro 3.000», nel comma terzo, «con
l’arresto fino a tre anni e con l’ammenda da euro 3.000
a euro 5.000».
6. All’articolo 466 la sanzione è così modificata «con
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l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
7. All’articolo 467 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000» e «nei casi più gravi con l’arresto fino a due
anni e sei mesi e con l’ammenda da euro 1.000 a euro
3.000».
8. All’articolo 468 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
9. All’articolo 469 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
Articolo 17
Contrabbando
Nel libro III «Delle contravvenzioni in ispecie» titolo I «Delle contravvenzioni concernenti l’ordine pubblico» è aggiunto il capo X «Contrabbando» nel cui ambito è collocato l’art. 459 bis del seguente tenore:
459 bis. È punito con l’arresto fino a due anni o, in
alternativa, con la multa non minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti dovuti chiunque:
a) introduce merci estere attraverso il confine di terra
in violazione delle prescrizioni, divieti e limitazioni stabiliti nel comma 2;
b) è sorpreso con merci nascoste sulla persona o nei
bagagli o nei colli o nelle suppellettili o fra merci di altro
genere o in qualunque mezzo di trasporto, per sottrarle
alla visita doganale;
c) asporta merci dagli spazi doganali senza aver
pagato i diritti dovuti o senza averne garantito il pagamento;
d) porta merci fuori del territorio doganale, nelle
condizioni previste nelle lettere precedenti, merci nazionali o nazionalizzate soggette ai diritti di confine.
Le merci possono attraversare la linea doganale soltanto nei punti stabiliti.
Il confine con lo stato italiano costituisce la linea
doganale.
Il territorio circoscritto dalla linea doganale costituisce il territorio doganale.
Sono spazi doganali i locali in cui funziona un servizio di dogana, nonché le aree sulle quali la dogana esercita la vigilanza e il controllo a mezzo dei suoi organi. La
delimitazione degli spazi doganali è stabilita, tenendo
conto della peculiare situazione di ciascuna località,
dall’Autorità doganale.
Si considerano diritti tutti quei diritti che la dogana
è tenuta a riscuotere in forza di una legge dello stato.
Gli organi doganali, per assicurare l’osservanza delle
disposizioni stabilite nel presente articolo, possono:
a) procedere alla visita dei mezzi di trasporto di qualsiasi genere che attraversano la linea doganale in corrispondenza degli spazi doganali o che circolano negli
spazi stessi;
b) procedere alla visita dei bagagli e degli altri oggetti in possesso delle persone che attraversano la linea
doganale in corrispondenza degli spazi doganali o che
circolano negli spazi stessi;
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c) invitare coloro che per qualsiasi motivo circolano
nell’ambito degli spazi doganali a esibire gli oggetti e i valori portati sulla persona; in caso di rifiuto e ove sussistano
fondati motivi di sospetto l’Autorità doganale può disporre, con provvedimento scritto dettagliatamente motivato,
che le persone suddette vengano sottoposte a perquisizione
personale; della perquisizione è redatto processo verbale
che, insieme al provvedimento anzidetto, deve essere trasmesso entro 48 ore al promotore di giustizia presso il tribunale; questi, se riconosce legittimo il provvedimento, lo
convalida entro le 48 ore successive.
Articolo 18
Tutela dell’ambiente
Nel libro III «Delle contravvenzioni in ispecie» titolo II «Delle contravvenzioni concernenti l’incolumità
pubblica» dopo il capo II «Della rovina e delle omesse
riparazioni di edifizii» è aggiunto il capo II bis «Della
tutela dell’ambiente» nel cui ambito è collocato l’articolo 472 bis del seguente tenore:
472 bis. È punito con la pena dell’arresto da sei mesi
a un anno o con l’ammenda da euro 2.600 a euro
26.000 chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del
sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee.
Alla stessa pena prevista dal comma uno soggiace
chiunque cagiona l’inquinamento atmosferico.
Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni
e la pena dell’ammenda da euro 5.200 a euro 52.000 se
l’inquinamento è provocato da sostanze pericolose.
Articolo 19
Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti
Nel libro III «Delle contravvenzioni in ispecie» titolo II «Delle contravvenzioni concernenti l’incolumità
pubblica» dopo il capo II «Della rovina e delle omesse
riparazioni di edifizii» è aggiunto il capo II bis «Della
tutela dell’ambiente» nel cui ambito è collocato l’articolo 472 ter del seguente tenore:
472 ter. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto
profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di
mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve,
trasporta, importa, o comunque gestisce abusivamente
ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione
da uno a sei anni.
Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la
pena della reclusione da tre a otto anni.
Articolo 20
Produzione, traffico e detenzione illeciti
di sostanze stupefacenti o psicotrope
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo VII «Dei
delitti contro l’incolumità pubblica» dopo il capo III
«Dei delitti contro la sanità e l’alimentazione pubblica»
è aggiunto il capo III bis «Disciplina degli stupefacenti
e sostanze psicotrope» nel cui ambito è collocato l’articolo 326 bis del seguente tenore:
326 bis. Chiunque, senza esservi autorizzato, coltiva,
produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in
vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procu-
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ra ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna
per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope
è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la
multa da euro 26.000 a euro 260.000.
Con le medesime pene di cui al comma uno è punito chiunque, senza esservi autorizzato, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene sostanze stupefacenti o psicotrope che
per quantità appaiono destinate a un uso non esclusivamente personale. In questa ultima ipotesi, le pene
suddette sono diminuite da un terzo alla metà.
Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle
sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di
lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno
a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.
La pena è aumentata se il fatto è commesso da tre
o più persone in concorso tra loro.
Le pene previste dal presente articolo sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze
ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.
Articolo 21
Associazione finalizzata al traffico illecito
di sostanze stupefacenti o psicotrope
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo VII «Dei
delitti contro l’incolumità pubblica» dopo il capo III
«Dei delitti contro la sanità e l’alimentazione pubblica»
è aggiunto il capo III bis «Disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope» nel cui ambito è collocato l’articolo 326 ter del seguente tenore:
326 ter. Quando tre o più persone si associano allo
scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 326 bis, chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l’associazione è punito per ciò solo con
la reclusione non inferiore a vent’ anni.
Chi partecipa all’associazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.
La pena è aumentata se il numero degli associati è di
dieci o più o se tra i partecipanti vi sono persone dedite
all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Se l’associazione è armata la pena, nei casi indicati
dal comma uno, non può essere inferiore a ventiquattro
anni di reclusione. L’associazione si considera armata
quando i partecipanti hanno la disponibilità di armi o
materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo
di deposito.
Le pene previste dal presente articolo sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre
all’associazione risorse decisive per la commissione dei
delitti.
Articolo 22
Aggravanti specifiche e confisca
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo VII «Dei
delitti contro l’incolumità pubblica» dopo il capo III
«Dei delitti contro la sanità e l’alimentazione pubblica»
è aggiunto il capo III bis «Disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope» nel cui ambito è collocato l’articolo 326 quater del seguente tenore:
326 quater. Le pene previste per i delitti di cui all’articolo 326 bis sono aumentate da un terzo alla metà:
a) nei casi in cui le sostanze stupefacenti e psicotrope
sono consegnate o comunque destinate a persona di età
minore;
b) per chi ha indotto a commettere il reato, o a
cooperare nella commissione del reato, persona dedita
all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope;
c) se il fatto è stato commesso da persona armata o
travisata;
d) se le sostanze stupefacenti o psicotrope sono adulterate o commiste ad altre in modo che ne risulti accentuata la potenzialità lesiva.
Se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope, le pene sono aumentate dalla
metà a due terzi.
L’autorità giudiziaria con la condanna dispone la
confisca delle sostanze stupefacenti e psicotrope e ne
ordina la distruzione.
Articolo 23
Prescrizioni abusive
Nel libro II «Dei delitti in ispecie» titolo VII «Dei
delitti contro l’incolumità pubblica» dopo il capo III
«Dei delitti contro la sanità e l’alimentazione pubblica»
è aggiunto il capo III bis «Disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope» nel cui ambito è collocato l’articolo 326 quinquies del seguente tenore:
326 quinquies. Le pene previste dall’articolo 326 bis
si applicano altresì a carico del medico chirurgo che rilascia prescrizioni delle sostanze stupefacenti o psicotrope
ivi indicate per uso non terapeutico.
Le pene previste dall’articolo 326 bis non si applicano alle farmacie per quanto riguarda l’acquisto di
sostanze stupefacenti o psicotrope e, sulla base di prescrizioni mediche, per l’acquisto, la vendita o la cessione
di dette sostanze in dose e forma di medicamenti.
Capo IV
Misure per prevenire il finanziamento
del terrorismo e per attuare il congelamento
dei fondi e delle risorse economiche
Articolo 24
Misure per il contrasto del finanziamento
del terrorismo e nei confronti dell’attività
dei paesi che minacciano la pace e la sicurezza
internazionale
1. Al fine di dare esecuzione alle misure di congelamento di fondi e risorse economiche volte a contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività di paesi che minacciano la pace e la sicurezza
internazionale, l’Autorità di informazione finanziaria,
fatti salvi i provvedimenti adottati dall’Autorità giudiziaria in sede penale, dispone con proprio provvedi-
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mento il congelamento dei fondi e delle risorse economiche detenuti da persone fisiche, giuridiche, gruppi o
entità, designati secondo i princìpi e le regole vigenti
nell’ordinamento europeo. Con il medesimo provvedimento sono individuate, sulla base dei princìpi e delle
regole vigenti nell’ordinamento europeo, le esenzioni
dal congelamento.
2. L’Autorità di informazione finanziaria:
a) acquisisce dalle autorità competenti ogni informazione utile allo svolgimento dei compiti di cui al comma 1;
b) stabilisce collegamenti con gli organismi che svolgono funzioni similari negli altri paesi al fine di contribuire al necessario coordinamento internazionale;
c) formula alle competenti autorità internazionali
proposte di designazione di soggetti o enti ai fini dell’adozione delle misure di cui al comma 1;
d) valuta le istanze di esenzione dal congelamento di
fondi e risorse economiche presentate dai soggetti interessati;
e) formula alle competenti autorità internazionali
proposte di cancellazione dalle liste dei soggetti designati, anche sulla base delle istanze presentate dai soggetti
interessati.
Articolo 25
Effetti del congelamento di fondi e di risorse
economiche
1. I fondi sottoposti a congelamento non possono
costituire oggetto di alcun atto di trasferimento, disposizione o utilizzo.
2. Le risorse economiche sottoposte a congelamento
non possono costituire oggetto di alcun atto di trasferimento, disposizione o, al fine di ottenere in qualsiasi
modo fondi, beni o servizi, utilizzo.
3. Sono nulli gli atti posti in essere in violazione dei
divieti di cui ai commi 1 e 2.
4. È vietato mettere direttamente o indirettamente
fondi o risorse economiche a disposizione dei soggetti
designati o stanziarli a loro vantaggio.
5. La partecipazione consapevole ad attività aventi
l’obiettivo o il risultato, diretto o indiretto, di aggirare le
misure di congelamento è vietata.
6. Il congelamento non pregiudica gli effetti di
eventuali provvedimenti di sequestro o confisca, adottati nell’ambito di procedimenti penali o amministrativi, aventi a oggetto i medesimi fondi o le stesse risorse
economiche.
7. Il congelamento dei fondi e delle risorse economiche o l’omissione o il rifiuto della prestazione di servizi
finanziari ritenuti in buona fede conformi alla presente
legge non comportano alcun genere di responsabilità
per la persona fisica o giuridica, il gruppo o l’entità che
lo applica, né per i suoi direttori o dipendenti.
Articolo 26
Obblighi di comunicazione
I soggetti indicati nell’articolo 2 devono comunicare,
entro trenta giorni dalla data di emanazione del provvedimento di cui all’articolo 24, comma 1, all’Autorità di
informazione finanziaria:
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a) le misure applicate ai sensi del presente capo, indicando i soggetti coinvolti, l’ammontare e la natura dei
fondi o delle risorse economiche;
b) le operazioni, i rapporti nonché ogni altra informazione disponibile riconducibile ai soggetti designati;
c) sulla base di informazioni dalla stessa fornite, le
operazioni e i rapporti, nonché ogni altra informazione disponibile riconducibile a soggetti in via di designazione.
Articolo 27
Custodia, amministrazione e gestione delle risorse
economiche oggetto di congelamento
1. L’Autorità di informazione finanziaria provvede
alla custodia, all’amministrazione e alla gestione delle
risorse economiche oggetto di congelamento, anche
quando quest’ultimo sia stato disposto con provvedimento dell’Autorità giudiziaria.
2. L’Autorità di informazione finanziaria provvede,
in via diretta ovvero mediante la nomina di un custode
o di un amministratore, allo svolgimento delle attività di
cui al comma che precede. Essa può impartire direttive,
richiedere informazioni e revocare o sostituire il custode
e l’amministratore.
3. L’amministratore e il custode operano sotto la sorveglianza dell’Autorità di informazione finanziaria.
Capo V
Obblighi di adeguata verifica
Articolo 28
Casi di applicazione
I soggetti di cui all’articolo 2 eseguono gli obblighi di
adeguata verifica:
a) quando instaurano un rapporto continuativo o
d’affari;
b) quando eseguono operazioni occasionali il cui
importo sia pari o superiore a euro 15.000, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con un’operazione
unica o con diverse operazioni collegate;
c) per le prestazioni professionali di valore indeterminato o non determinabile e nei casi di costituzione,
gestione o amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi;
d) quando vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, a prescindere da deroghe, soglie o
esenzioni applicabili;
e) quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati relativi alla identificazione del soggetto con cui instaurano il rapporto.
Articolo 29
Contenuto degli obblighi di adeguata verifica
e di astensione
1. Gli obblighi di adeguata verifica consistono:
a) nell’identificazione del soggetto che instaura il rapporto continuativo o d’affari o esegue un’operazione,
sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da
una fonte affidabile e indipendente;
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b) nell’individuazione e nell’identificazione dell’eventuale titolare effettivo;
c) nell’acquisizione di informazioni sullo scopo e sulla
natura del rapporto continuativo o d’affari o dell’operazione;
d) nel controllo costante del rapporto continuativo o
della relazione d’affari.
2. La verifica dell’identità di cui al comma che precede deve avvenire prima dell’instaurazione del rapporto
continuativo o d’affari o dell’esecuzione della transazione.
Il soggetto con cui si instaura il rapporto è tenuto a comunicare, sotto la propria responsabilità, ai soggetti di cui
all’articolo 2 ogni dato da questi richiesto ai fini dell’adempimento degli obblighi di adeguata verifica.
3. I notai, i legali, i revisori dei conti, i contabili esterni e i consulenti tributari adempiono gli obblighi di adeguata verifica nel corso dell’esame della posizione del
loro cliente.
4. Gli obblighi di adeguata verifica sono calibrati in
funzione del rischio associato al tipo di rapporto continuativo o d’affari, di operazione, di cliente o di prodotto.
5. I soggetti di cui all’articolo 2, quando non sono in
grado di rispettare gli obblighi di adeguata verifica, non
possono instaurare il rapporto continuativo o d’affari né
eseguire operazioni; qualora il rapporto sia già in essere
i soggetti chiudono il rapporto medesimo e valutano se
effettuare la segnalazione di operazione sospetta
all’Autorità di informazione finanziaria.
6. Gli obblighi di adeguata verifica si estendono a
eventuali succursali dei soggetti indicati nell’articolo 2
situati in altri stati.
7. Gli obblighi di adeguata verifica si applicano sulla
base della valutazione del rischio esistente.
Articolo 30
Obblighi semplificati ed esenzioni
1. Gli obblighi di adeguata verifica non si applicano se
il soggetto con cui si instaura il rapporto è un ente creditizio o finanziario situato in un paese estero che imponga
obblighi equivalenti a quelli dello stato. L’Autorità di informazione finanziaria individua gli stati il cui regime è ritenuto equivalente.
2. I soggetti di cui all’articolo 2 possono essere autorizzati dall’Autorità di informazione finanziaria a non
applicare gli obblighi di adeguata verifica della clientela
in relazione a particolari tipologie contrattuali e a soggetti, diversi da quelli indicati nel comma 1, caratterizzati,
secondo i criteri indicati nell’allegato alla presente legge,
da un basso rischio di riciclaggio o di finanziamento del
terrorismo.
3. I soggetti di cui all’articolo 2 sono tenuti a raccogliere adeguate informazioni al fine di stabilire se possa adottarsi o mantenersi il regime obbligatorio semplificato.
4. Gli obblighi semplificati di adeguata verifica della
clientela non si applicano qualora vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o si abbia motivo di
ritenere che l’identificazione effettuata non sia attendibile
ovvero qualora essa non consenta l’acquisizione delle informazioni necessarie.
Articolo 31
Obblighi rafforzati
1. I soggetti indicati nell’articolo 2 debbono rafforzare
gli obblighi di adeguata verifica, sulla base della valutazione
del rischio esistente, nelle situazioni che, per loro natura,
possono presentare un rischio più elevato di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo.
2. Essi, quando il soggetto con cui si instaura il rapporto
non è fisicamente presente ai fini della identificazione, debbono applicare una o più fra le misure di seguito indicate:
a) accertare l’identità del soggetto con cui si instaura il rapporto tramite documenti, dati o informazioni supplementari;
b) adottare misure supplementari per la verifica o la certificazione dei documenti forniti o richiedere una certificazione di conferma da parte di un ente creditizio o finanziario soggetto, nella materia del contrasto del riciclaggio e del
finanziamento del terrorismo, a misure equivalenti a quelle
adottate dallo stato;
c) assicurarsi che il primo pagamento relativo all’operazione sia effettuato tramite un conto intestato al soggetto con
cui si instaura il rapporto presso un ente creditizio.
3. Gli obblighi di identificazione, anche quando il soggetto non è fisicamente presente, si considerano comunque
assolti quando:
a) l’identificazione sia già avvenuta in relazione a un rapporto in essere, purché le informazioni esistenti risultino
aggiornate;
b) si tratti di operazioni effettuate con sistemi di cassa
continua o di sportelli automatici, per corrispondenza o
attraverso soggetti che svolgono attività di trasporto di valori o mediante carte di pagamento; tali operazioni sono imputate al soggetto titolare del rapporto al quale ineriscono;
c) i dati identificativi del soggetto con cui si instaura il
rapporto e le altre informazioni da acquisire risultino da atti
idonei a fornire certezza legale.
4. I soggetti indicati nell’articolo 2, in caso di conti di
corrispondenza con enti corrispondenti di stati esteri, debbono:
a) raccogliere sull’ente corrispondente informazioni sufficienti per comprendere pienamente la natura delle sue attività e per determinare, sulla base delle informazioni disponibili al pubblico, la sua reputazione e la qualità della vigilanza cui è soggetto;
b) valutare la qualità della normativa ivi vigente in materia di controlli relativi al contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo;
c) ottenere, prima di aprire il conto, l’autorizzazione del
direttore generale ovvero del soggetto che svolga una funzione equivalente;
d) definire per iscritto i termini delle rispettive obbligazioni;
e) assicurarsi che l’ente corrispondente abbia verificato
l’identità dei clienti aventi un accesso diretto ai conti di passaggio, abbia costantemente assolto gli obblighi di adeguata
verifica della clientela e che, su richiesta, possa fornire i dati
ottenuti a seguito dell’assolvimento di tali obblighi.
5. Con riguardo alle operazioni, ai rapporti continuativi
e ai rapporti d’affari con persone politicamente esposte residenti in uno stato estero, i soggetti indicati nell’articolo 2
debbono:
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a) disporre, in presenza di situazioni di rischiosità, di adeguate procedure per determinare se il soggetto con cui si
instaura il rapporto sia una persona politicamente esposta;
b) ottenere, prima di eseguire un’operazione o di avviare un rapporto continuativo o d’affari con tali soggetti, l’autorizzazione del direttore generale ovvero di colui che svolga una funzione equivalente;
c) adottare ogni misura adeguata per stabilire l’origine
del patrimonio o dei fondi impiegati nell’operazione o nel
rapporto continuativo o d’affari;
d) assicurare un controllo continuo e rafforzato nel rapporto continuativo o nel rapporto d’affari.
6. È vietato aprire o mantenere conti di corrispondenza
con una banca di comodo ovvero aprire o mantenere conti
di corrispondenza con un ente creditizio che consenta notoriamente a una banca di comodo di utilizzare i propri conti.
7. È vietata l’apertura o la tenuta di conti, depositi o
libretti di risparmio anonimi o cifrati o intestati a nomi fittizi o di fantasia.
Capo VI
Obblighi di registrazione e conservazione
Articolo 32
Contenuto degli obblighi
1. I soggetti di cui all’articolo 2, avuto riguardo ai rapporti continuativi o d’affari instaurati e alle operazioni eseguite, conservano, per un periodo di cinque anni dalla cessazione del rapporto o dall’esecuzione dell’operazione, la
copia dei documenti richiesti, le informazioni acquisite, le
scritture e le registrazioni eseguite nell’adempimento degli
obblighi di adeguata verifica, affinché possano essere utilizzati per qualsiasi indagine o analisi su eventuali operazioni
di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
2. I soggetti di cui all’articolo 2 dispongono di sistemi
che consentano loro di rispondere pienamente e rapidamente a qualsiasi richiesta di informazioni proveniente
dall’Autorità di informazione finanziaria relativamente alle
operazioni e ai rapporti continuativi o d’affari da essi intrattenuti nel corso degli ultimi cinque anni.
3. Gli obblighi di registrazione e di conservazione si
estendono a eventuali succursali dei soggetti indicati nell’articolo 2 situati in altri stati.
Capo VII
Autorità e obblighi di segnalazione
Articolo 33
Autorità di informazione finanziaria (AIF)
1. L’Autorità di informazione finanziaria (AIF), istituita
dal sommo pontefice al fine di prevenire e contrastare efficacemente il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo,
esercita le proprie funzioni in piena autonomia e indipendenza. A essa sono attribuiti mezzi finanziari e risorse idonei
ad assicurare l’efficace perseguimento dei suoi fini istituzionali.
2. L’Autorità ha accesso, anche direttamente, alle informazioni finanziarie, amministrative, investigative e giudiziarie necessarie per assolvere i propri compiti di contrasto del
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riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. Essa ha il
potere di effettuare verifiche presso i soggetti di cui all’articolo 2 e di irrogare ai soggetti responsabili, nei casi previsti
dalla presente legge, sanzioni amministrative pecuniarie.
3. L’Autorità esegue l’analisi finanziaria delle segnalazioni esaminando e approfondendo le modalità di svolgimento e gli elementi costitutivi delle operazioni sospette,
anche avvalendosi di informazioni comunque in proprio
possesso o eventualmente acquisite da altri soggetti e organi
dello stato, che sono tenuti a fornirle, e comunica al promotore di giustizia presso il tribunale i fatti che, in base alle
caratteristiche, entità, natura e a qualsivoglia altra circostanza conosciuta, integrino possibili fattispecie di riciclaggio,
autoriciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
4. L’Autorità archivia le segnalazioni che ritiene infondate mantenendone evidenza per dieci anni decorrenti dalla
data di archiviazione. Mantiene altresì evidenza, per dieci
anni, delle segnalazioni di operazioni sospette inviate al promotore di giustizia.
5. L’Autorità di informazione finanziaria:
a) sovraintende al rispetto degli obblighi stabiliti in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo ed emana disposizioni di attuazione
delle norme contenute nella presente legge, con esclusione di
quelle contenute nei capi II e III; essa ha il potere, altresì, di
emanare istruzioni e provvedimenti di carattere particolare
nei confronti dei soggetti sottoposti agli obblighi previsti
dalla presente legge;
b) emana e aggiorna periodicamente indicatori di anomalia al fine di agevolare l’individuazione delle operazioni
sospette;
c) riceve le segnalazioni di operazioni sospette e provvede a effettuarne i necessari approfondimenti ai fini dell’eventuale denuncia al promotore di giustizia presso il tribunale;
d) autorizza i soggetti di cui all’articolo 2 nei casi previsti
dalla presente legge;
e) valuta l’efficacia dei sistemi adottati dai soggetti obbligati per combattere il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo e, ove del caso, suggerisce le modifiche o integrazioni da apportare ai sistemi medesimi;
f) propone le eventuali integrazioni e modificazioni della
legislazione in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo;
g) predispone, sentiti i soggetti obbligati, programmi di
formazione del personale al fine di far conoscere la normativa vigente e le attività che potrebbero essere connesse al
riciclaggio o al finanziamento del terrorismo;
h) compila statistiche in ordine all’applicazione e all’efficacia delle misure amministrative e organizzative di prevenzione e repressione del riciclaggio e del finanziamento del
terrorismo;
i) compie studi in materia di prevenzione e contrasto del
riciclaggio e del finanziamento del terrorismo ed elabora e
diffonde modelli e schemi rappresentativi di comportamenti anomali sul piano economico e finanziario riferibili a possibili attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo;
j) trasmette al segretario di stato, entro il 30 settembre di
ogni anno, un rapporto sull’attività svolta;
k) può sospendere, per un massimo di cinque giorni lavo-
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rativi, sempre che ciò non pregiudichi il corso delle indagini, operazioni sospette di riciclaggio, autoriciclaggio o di
finanziamento del terrorismo, dandone immediata notizia al
promotore di giustizia presso il tribunale;
l) cura i rapporti con gli organismi internazionali e
comunitari incaricati di definire politiche e standard in
materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del
finanziamento del terrorismo.
Articolo 34
Segnalazione di operazioni sospette
1. I soggetti obbligati, anche attraverso la predisposizione di adeguati assetti organizzativi, prestano attenzione
a ogni attività particolarmente atta, per sua natura, ad
avere una connessione con il riciclaggio, l’autoriciclaggio o
con il finanziamento del terrorismo e sono tenuti a rispondere con tempestività alle richieste su tali materie provenienti dall’Autorità di informazione finanziaria.
2. I soggetti indicati nell’articolo 2 sono tenuti a informare prontamente l’Autorità di informazione finanziaria,
su richiesta di quest’ultima o di propria iniziativa, quando
siano a conoscenza, sospettino o abbiano motivi ragionevoli di sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio, di autoriciclaggio
o di finanziamento del terrorismo. Il sospetto è desunto,
avendo a base la capacità economica e l’attività svolta dal
soggetto, dalle caratteristiche, entità e natura dell’operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in
ragione delle funzioni esercitate.
3. Il contenuto, le modalità di individuazione, anche
attraverso l’indicazione di indici di anomalia, e di invio
delle segnalazioni sospette è definito dall’Autorità di informazione finanziaria.
Articolo 35
Obbligo di astensione
1. I soggetti di cui all’articolo 2 si astengono dall’eseguire le operazioni per le quali sospettino vi sia una relazione con il riciclaggio, l’autoriciclaggio o con il finanziamento del terrorismo e inviano immediatamente all’Autorità di informazione finanziaria una segnalazione di operazione sospetta.
2. Qualora l’astensione non sia possibile o possa ostacolare le indagini i soggetti obbligati informano l’Autorità
immediatamente dopo aver eseguito l’operazione.
Articolo 36
Divieto di comunicazione
1. La segnalazione in buona fede all’Autorità di informazione finanziaria delle operazioni sospette e delle informazioni a esse correlate non comporta alcuna forma di
responsabilità per i soggetti obbligati ovvero per i loro dipendenti o amministratori, per qualsivoglia titolo, né costituisce
violazione degli obblighi di segretezza inerenti a restrizioni
alla comunicazione di informazioni imposte in sede contrattuale o da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative.
2. I soggetti obbligati, nonché i loro amministratori,
dipendenti, consulenti e collaboratori legati da qualsivoglia
rapporto non possono comunicare al soggetto interessato o
a terzi la segnalazione di operazioni sospette o anche notizie
inerenti le segnalazioni medesime o l’esistenza di procedimenti amministrativi o penali in materia di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo.
3. Dal divieto di cui al comma che precede sono escluse
le comunicazioni all’Autorità di informazione finanziaria e
all’Autorità giudiziaria, inquirente o giudicante, ai fini dello
svolgimento dei compiti istituzionali di relativa pertinenza.
4. L’avvenuta archiviazione della segnalazione è comunicata dall’Autorità di informazione finanziaria al segnalante.
5. Il promotore di giustizia dà comunicazione
all’Autorità di informazione finanziaria delle segnalazioni di
operazioni sospette non aventi ulteriore corso investigativo.
Articolo 37
Misure di protezione
L’Autorità di informazione finanziaria adotta, anche
sulla base di protocolli d’intesa con l’Autorità giudiziaria,
inquirente o giudicante, e con qualsivoglia altra Autorità,
adeguate misure per assicurare la massima riservatezza
dell’identità dei soggetti che effettuano le segnalazioni di
operazioni sospette.
Capo VIII
Dati informativi
in materia di trasferimento di fondi
Articolo 38
Obblighi in materia di trasferimento di fondi
1. Le norme del presente capo, emanate tenendo conto
dei princìpi e delle regole vigenti nell’ordinamento europeo, si applicano ai trasferimenti di fondi in qualsiasi valuta, inviati o ricevuti, da un prestatore di servizi di pagamento. Esse sono volte a prevenire, investigare e individuare casi di riciclaggio di denaro e di finanziamento del
terrorismo.
2. Sono stabilite norme riguardanti gli obblighi del prestatore dei servizi di pagamento dell’ordinante e del beneficiario e, altresì, gli obblighi dei prestatori intermediari di servizi di pagamento.
3. Per i trasferimenti di fondi restano fermi gli obblighi
di verifica della completezza dei dati informativi relativi
all’ordinante nonché quelli relativi alla loro registrazione e
conservazione.
4. L’Autorità di informazione finanziaria, conformemente ai princìpi contenuti nel Regolamento (CE) 15
novembre 2006, n. 1781/2006, emana disposizioni di attuazione delle disposizioni contenute nel presente capo.
Capo IX
Controlli sul denaro contante in entrata
o in uscita dallo stato
Articolo 39
Obbligo di dichiarazione, registrazione
e conservazione
1. Ogni persona fisica che entra o esce dallo stato tra-
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sportando denaro contante di importo pari a quello stabilito dalla disciplina vigente nell’ordinamento europeo
deve dichiarare tale somma in forma scritta all’Autorità
di informazione finanziaria.
2. La dichiarazione di cui al comma 1 contiene:
a) i dati identificativi del dichiarante, del proprietario
e del destinatario del denaro contante;
b) l’importo del denaro contante e la sua origine;
c) l’itinerario seguito.
3. Le informazioni contenute nella predetta dichiarazione debbono essere registrate e conservate per un
periodo di cinque anni.
4. L’Autorità di informazione finanziaria effettua
controlli sul rispetto degli obblighi previsti dal presente
capo e irroga, in caso di loro violazione, sanzioni amministrative pecuniarie.
Capo X
Tutela della riservatezza
Articolo 40
Segreto d’ufficio
Tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso, in
ragione della loro attività, dei soggetti indicati nell’articolo 2, dei loro amministratori, dipendenti, consulenti e collaboratori legati da qualsivoglia rapporto sono coperti da
segreto d’ufficio nei confronti di chiunque a eccezione
dell’Autorità di informazione finanziaria e dell’Autorità
giudiziaria, inquirente e giudicante, quando, per quest’ultima, le informazioni richieste siano necessarie per le
indagini o per i procedimenti relativi a violazioni sanzionate penalmente.
Capo XI
Cooperazione internazionale
Capo XII
Sanzioni
Articolo 42
Sanzioni amministrative pecuniarie
1. Nei casi di violazione degli obblighi di cui agli
articoli 2, comma 2, 25, commi 1, 2, 4 e 5, 26, 27, 28,
29, 30, 31, 32, 34, 35, 36, 38, 39, 40 e di quelli contenuti nei provvedimenti e nelle disposizioni di attuazione generali o particolari, l’Autorità di informazione finanziaria applica la sanzione amministrativa
pecuniaria da euro 10.000 a euro 250.000.
2. La sanzione, secondo la procedura prevista
dalla Legge 14 dicembre 1994, n. CCXVII, è irrogata
ai soggetti sottoposti agli obblighi di cui alla presente
legge, siano essi persona fisica o giuridica, ente e organismo di qualsivoglia natura.
3. Il soggetto sanzionato, diverso dalla persona
fisica, è tenuto a esercitare il regresso nei confronti
degli autori della violazione.
Capo XIII
Pubblicazione ed entrata in vigore
Articolo 43
Entrata in vigore
La presente legge entra in vigore il 1° aprile 2011.
Il testo della presente legge è stato sottoposto alla considerazione del sommo pontefice il 20 dicembre 2010.
L’originale della legge medesima, munito del sigillo
dello stato, sarà depositato nell’Archivio delle leggi dello
Stato della Città del Vaticano e il testo corrispondente
sarà pubblicato nel Supplemento degli Acta apostolicae
sedis, mandandosi a chiunque spetti di osservarla e di
farla osservare.
Città del Vaticano, 30 dicembre 2010.
Articolo 41
Cooperazione in materia di prevenzione
e repressione del riciclaggio e del finanziamento
del terrorismo
1. L’Autorità di informazione finanziaria scambia a
condizioni di reciprocità e, di norma, sulla base di memorandum di intesa, informazioni in materia di operazioni
sospette e collabora con autorità di altri stati che perseguono le medesime finalità di prevenzione e contrasto del
riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
2. Il segreto d’ufficio e le eventuali restrizioni alla
comunicazione di informazioni rivenienti da obblighi
contrattuali o da disposizioni legislative, regolamentari o
amministrative non sono di ostacolo all’adempimento
degli obblighi di cui al comma che precede.
3. L’Autorità di informazione finanziaria, conformemente a quanto stabilito dalla Decisione 2000/ 642/GAI
e da altre fonti internazionali, disciplina gli ambiti di utilizzo delle informazioni ricevute dalle Unità di informazione finanziaria (FIU) di altri stati.
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GIOVANNI card. LAJOLO,
presidente
visto
il segretario generale del Governatorato
✠ CARLO MARIA VIGANÒ
A
llegato
Articolo 1
Titolare effettivo
1. Per titolare effettivo s’intende:
a) in caso di società:
1) la persona fisica o le persone fisiche che, in ultima
istanza, possiedano o controllino un’entità giuridica
attraverso il possesso o il controllo diretto o indiretto di
una percentuale superiore al 25% delle partecipazioni al
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capitale sociale o dei diritti di voto in seno a tale entità
giuridica, anche tramite azioni al portatore;
2) la persona fisica o le persone fisiche che esercitano
in altro modo il controllo sulla direzione di un’entità giuridica;
b) in caso di entità giuridiche, quali le fondazioni, e
di istituti giuridici, quali i trust, che amministrano e distribuiscono fondi:
1) se i futuri beneficiari sono già stati determinati, la
persona fisica o le persone fisiche beneficiarie del 25% o
più del patrimonio di un istituto giuridico o di un’entità
giuridica;
2) se le persone che beneficiano dell’entità giuridica
non sono state ancora determinate, la categoria di persone nel cui interesse principale è istituita o agisce l’entità giuridica;
3) la persona fisica o le persone fisiche che esercitano
un controllo sul 25% o più del patrimonio di un’entità
giuridica.
Articolo 2
Persone politicamente esposte
1. Per persone fisiche che occupano o hanno occupato
importanti cariche pubbliche s’intendono:
a) i capi di stato, i capi di governo, i ministri, i viceministri e i sottosegretari:
b) i parlamentari;
c) i membri delle corti supreme, delle corti costituzionali e di altri organi giudiziari di alto livello le cui decisioni
non sono generalmente soggette a ulteriore appello;
d) i membri delle corti dei conti e dei consigli di amministrazione delle banche centrali;
e) gli ambasciatori, gli incaricati d’affari e gli ufficiali di
alto livello delle forze armate;
f) i membri degli organi di amministrazione, direzione
o vigilanza delle imprese possedute dallo stato.
In nessuna delle categorie sopra specificate rientrano i
funzionari di livello medio o inferiore. Le categorie di cui
alle lettere da a) a e) comprendono, laddove applicabili, le
posizioni a livello europeo e internazionale.
2. Per familiari diretti s’intendono:
a) il coniuge;
b) i figli e i loro coniugi;
c) coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con i soggetti di cui alle precedenti lettere;
d) i genitori.
3. Ai fini della individuazione dei soggetti con i quali le
persone di cui al comma 1 intrattengono notoriamente
stretti legami si fa riferimento a:
a) qualsiasi persona fisica che ha notoriamente la titolarità effettiva congiunta di entità giuridiche o qualsiasi
altra stretta relazione d’affari con una persona di cui al
comma 1;
b) qualsiasi persona fisica che sia unica titolare effettiva di entità giuridiche o soggetti giuridici notoriamente creati di fatto a beneficio della persona di cui al comma 1.
4. Senza pregiudizio dell’applicazione, in funzione
del rischio, degli obblighi rafforzati di adeguata verifica
della clientela, quando una persona ha cessato di occu-
pare importanti cariche pubbliche da un periodo di
almeno un anno i soggetti destinatari della presente legge
non sono tenuti a considerare tale persona come politicamente esposta.
Articolo 3
Procedure semplificate di adeguata verifica
della controparte
1. I soggetti di cui all’articolo 2 della presente legge non
sono soggetti agli obblighi di adeguata verifica se il soggetto con cui si instaura il rapporto è un ente creditizio o
finanziario situato in un stato estero, che imponga obblighi
equivalenti a quelli previsti dalla presente legge e preveda
il controllo del rispetto di tali obblighi.
2. L’Autorità di informazione finanziaria può autorizzare i soggetti di cui all’articolo 2 tenuti al rispetto della
presente legge a non applicare gli obblighi di adeguata
verifica della clientela, in relazione:
a) alle società quotate aventi sede in stati esteri i cui
valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato ai sensi della direttiva 2004/39/CE
ovvero sono soggette a obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitaria;
b) ai titolari effettivi di conti collettivi gestiti da notai o
altri liberi professionisti legali di uno stato estero, purché
siano soggetti a obblighi in materia di lotta al riciclaggio e
al finanziamento del terrorismo conformi agli standard
internazionali e al controllo del rispetto di tali obblighi e
purché le informazioni sull’identità del titolare effettivo
siano accessibili, a richiesta, agli enti che operano quali enti
di deposito dei conti collettivi;
c) alle autorità pubbliche nazionali;
o a qualunque altra controparte caratterizzata da uno
scarso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo che soddisfi i criteri tecnici stabiliti a norma dell’articolo 40, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2005/60/
CE.
3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, i soggetti di cui all’articolo 2 raccolgono comunque informazioni sufficienti a
stabilire se il soggetto con cui si instaura il rapporto possa
beneficiare di un’esenzione menzionata in tali commi.
4. L’Autorità di informazione finanziaria può autorizzare i soggetti di cui all’articolo 2 della legge a non applicare gli obblighi di adeguata verifica in relazione:
a) ai contratti di assicurazione vita il cui premio annuale non ecceda i 1.000 euro o il cui premio unico sia di
importo non superiore ai 2.500 euro;
b) alla moneta elettronica, nel caso in cui, se il dispositivo non è ricaricabile, l’importo massimo memorizzato sul
dispositivo non ecceda 150 euro, oppure nel caso in cui, se
il dispositivo è ricaricabile, sia imposto un limite di 2.500
euro sull’importo totale trattato in un anno civile, fatta
eccezione per il caso in cui un importo pari o superiore a
1.000 euro sia rimborsato al detentore nello stesso anno
civile ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2000/46/CE; o
a qualunque altro prodotto o transazione caratterizzati da
uno scarso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo che soddisfi i criteri tecnici stabiliti a norma dell’articolo 40, paragrafo 1, lettera b), della direttiva
2005/60/CE.
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Santi
per vocazione
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Card. Dionigi Tettamanzi,
arcivescovo di Milano
Il IV centenario della canonizzazione di san Carlo Borromeo (1610) è
l’occasione per l’arcivescovo di
Milano di proporre per l’anno 20102011 una lettera pastorale dedicata
al tema della santità. «San Carlo ha
portato dedizione, amore e speranza
non solo nella comunità cristiana
ma in tutta la città di Milano (…). Si
è rivolto a tutti e ha saputo andare
anche fuori le mura». È questo un
tratto del santo – l’attenzione alla
città – che il card. Tettamanzi sente
più vicino e più caratterizzante il
proprio ministero pastorale di
quasi un decennio, ora che si avvia
alla conclusione: «Una delle esperienze più belle che vivo come arcivescovo di Milano è proprio la possibilità d’incontrare da vicino le
persone: tanti volti, tante mani,
tante vicende raccontate all’arcivescovo, nella ricerca di rapporti personali che troppo spesso non ci sono
più. Quante cose ho imparato ascoltando in questi anni la gente delle
nostre parrocchie e delle nostre
città!».
Opuscolo: Santi per vocazione sull’esempio
di san Carlo Borromeo. Lettera a tutti i fedeli della Chiesa ambrosiana. Anno pastorale
2010-2011, Centro ambrosiano, Milano
2010.
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arissimi,
con una certa audacia, che sembra quasi
inattuale, oso proporre a tutti voi una riscoperta
del cristianesimo e del suo «segreto».
Vorrei quest’anno entrare con voi nella luminosa cattedrale della fede che il Signore ci ha donato, entrarvi con passi decisi ed essenziali, accompagnato da san Carlo,
il quale ebbe la forza di cambiare radicalmente la propria
vita, si dedicò alla vera ricerca di Dio e si prese cura con
coraggio del suo popolo. San Carlo e, dopo di lui, molti
arcivescovi miei predecessori hanno amato la nostra diocesi e la sua gente facendosi prossimi, perché non accadesse
mai che il prossimo conoscesse la morte.
La ricorrenza del quarto centenario della canonizzazione di san Carlo Borromeo (1610-2010), anche in continuità con la tradizione dei diversi anniversari del nostro
patrono, mi ha convinto a proporre la santità, che è l’espressione matura del cristianesimo, come prospettiva centrale e unificante del percorso pastorale per l’anno 20102011: Santi per vocazione!
Da Gerusalemme a Gerico
Il cammino della santità
La santità, per la grazia dello Spirito Santo, è l’ingresso
nella vita di Dio. Questa è la verità stupenda e commovente che siamo chiamati a vivere con timore e gioia.
La santità di Dio è il suo amore per l’umanità e per la
sua storia, un amore che nulla e nessuno possono mai stancare. È la luce in cui non ci sono tenebre; è la comunione in
cui tutti troviamo salvezza, riposo, conforto; è la vita, quella eterna e felice. «Siate santi perché io sono santo», dice il
Signore (Lv 11,44).
La sintesi della vita di un cristiano, dunque, si dà in un’esistenza santa.
Di conseguenza la santità è un segno distintivo del popolo di Dio ed è un tratto della vera natura e del volto autentico della Chiesa. Infatti professiamo la nostra fede dicendo:
«Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». Tutti i
figli di Dio sono chiamati a diventare pietre vive di questa
cattedrale spirituale: «Siete costruiti anche voi come edificio
spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo» (1Pt 2,5).
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Mettere al centro la santità come il filo conduttore di un
percorso pastorale esprime la necessità di ritornare alla sorgente e di appoggiarsi sul fondamento solido e incrollabile,
cioè su Cristo Gesù, «pietra viva, rifiutata dagli uomini, ma
scelta e preziosa davanti a Dio» (1Pt 2,4).
L’esempio di san Carlo si rivela convincente e attraente.
L’esemplarità della sua vita e l’incisività della sua opera di
pastore e di riformatore sono il frutto dell’intensità del suo
amore per Cristo crocifisso. La sua grandezza nasce dalla
profondità della sua fede e dalla totalità della sua dedizione
alla missione ricevuta: in una parola, dalla sua santità.
La strada che vogliamo percorrere, sulle orme di san
Carlo, si disegna tra le righe di una pagina biblica molto
attuale – quella del buon Samaritano – e si snoda in tre
tappe: la contemplazione del Crocifisso, l’urgenza di una rinnovata dedizione per la santità della Chiesa e la conversione
del cuore per riscoprire la bellezza e la serietà della vocazione che Dio ci dona.
Sulla strada del buon Samaritano
In questi anni, mentre anch’io percorrevo la strada
della mia vita e del mio ministero di vescovo, ho imparato
molte cose e ho constatato da vicino che il Signore non mi
ha mai abbandonato, così come non ha mai abbandonato
la sua Chiesa. Più volte mi sono reso conto che la parabola
evangelica del buon Samaritano deve essere riscritta da ogni
cristiano, lungo la storia: dalle pagine del Vangelo deve
entrare nel libro della vita, della vita di ciascuno e di ogni
giorno. Ancora oggi molti scendono da Gerusalemme a
Gerico.
È come se la vita di un cristiano, e anche la mia, fosse
paragonabile a un viaggio – la metafora della strada è particolarmente cara all’evangelista Luca – lungo il quale, progressivamente, vieni introdotto nel mistero di Dio e impari
ad amare ogni uomo e ogni donna, soprattutto chi è più
piccolo e più povero.
C’è innanzitutto una strada che da Gerico conduce a
Gerusalemme: è il cammino del cristiano verso la pasqua di
Gesù. È su questa strada che mi sono ritrovato, fin da quando, ragazzo, ho intuito quale poteva essere la mia vocazione.
Poi, a mano a mano che negli anni percorri la strada
che va verso la pasqua di Gesù, ti si aprono gli occhi sulla
verità di Dio e sul dramma della storia (cf. Mc 10,32-52).
La misericordia ti invade il cuore e il Signore ti conquista e ti conduce decisamente verso Gerusalemme (cf. Lc
9,51). Rimani con lui, ascolti la sua parola, partecipi alla
sua mensa, conosci la gioia e il pentimento e sei chiamato
a confermare i tuoi fratelli (cf. Lc 22,32). Questa strada è
lunga e si snoda tra le montagne del deserto: attraversa il
silenzio, nell’intimità con Dio e nella confidenza con Gesù,
e passa anche per i sentieri della prova e della fatica, ma,
alla fine, porta nella città in cui il Signore ha posto la sua
dimora. Questa è la meta che vale la pena cercare e raggiungere.
Ma c’è anche la strada che da Gerusalemme riconduce a
Gerico (cf. Lc 10,25-37), lungo la quale, con vera compassione, impari a riconoscere l’umanità e la porzione di Chiesa
che ti è affidata. Non si può restare nella città, anche se
sarebbe bello. Occorre scendere per lo stesso deserto e pas-
sare vicino a chi è incappato nei briganti. Lo trovi fermo,
sul ciglio della strada, incapace di muoversi verso la sua
meta e la sua salvezza, e nei suoi occhi scorgi il dolore e
l’angoscia.
Allo stesso modo vedi l’uomo malato e ferito; vedi il
povero abbandonato, l’orfano e lo straniero; vedi chi è solo
e disperato. Non puoi distogliere lo sguardo. Riconosci il
dramma e la complessità, ma sai che nessun cristiano, tanto
meno un vescovo, può non vedere. Al contrario, si deve fermare con tutta la comunità, anche se alla fine dovrà pagare di persona.
San Carlo ha dato un grandissimo esempio di estrema
dedizione di sé di fronte alla peste che nel 1576 aveva colpito Milano.
Cari fratelli, mentre percorro con voi queste due strade,
salendo e scendendo da Gerusalemme, insieme a tutti gli
uomini di buona volontà cerco di contemplare il Crocifisso
e di fermarmi sulle cadute dell’uomo di oggi, sul suo bisogno di aiuto, di giustizia, di onestà. Ci sono molte energie
nella nostra città e nelle nostre comunità, ma ci sono anche
ferite profonde che non possiamo ignorare né trascurare.
Leggendo il Vangelo del buon Samaritano guardo con
realismo all’esempio di san Carlo, perché guidi tutti noi nel
cammino della santità.
La parabola della carità che si dona
Nel Vangelo di Luca la parabola del buon Samaritano
è la parabola della carità, il frutto della pasqua di Cristo.
«Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla
prova e chiese: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare
la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella
legge? Come leggi?”. Costui rispose: “Amerai il Signore
tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con
tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo
come te stesso”. Gli disse: “Hai risposto bene; fa’ questo e
vivrai”. Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E
chi è mio prossimo?”.
Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a
Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono
via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per
quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre.
Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre.
Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli
accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli
fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua
cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui.
Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: ‘Abbi cura di lui; ciò che spenderai in
più, te lo pagherò al mio ritorno’. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei
briganti?”. Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di
lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così”» (Lc 10,25-37).
La tradizione spirituale ha sempre riconosciuto in quel
viandante, percosso e abbandonato sul ciglio della strada,
semplicemente l’uomo, l’Adamo di ogni tempo, che nella
vita terrena attraversa la sofferenza, la solitudine, ogni
genere di difficoltà e di abbandono.
Il buon Samaritano che gli si fa vicino è innanzitutto
icona di Cristo, il Salvatore, che si china sulle piaghe del-
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l’uomo di ogni tempo, di ogni razza e di ogni condizione.
Gesù crocifisso rivela così la più alta espressione dell’amore del Padre, che san Carlo ha contemplato nella preghiera e sperimentato nella penitenza, e che ha amato concretamente, dando slancio e forza alla sua straordinaria opera
di carità e di riforma della Chiesa.
Ma il buon Samaritano è anche figura della Chiesa che,
testimone della santità di Cristo, ancora oggi desidera ed è
capace di chinarsi sulla sofferenza umana. La Chiesa,
senza chiusure e senza egoismi, imita e ricerca la santità del
suo Signore, in un continuo esercizio di carità pastorale
dentro la comunità e in una appassionata vicinanza a ogni
necessità umana. C’è troppo individualismo ed egoismo
anche in noi e nelle nostre comunità ed è forte la tentazione di non voler vedere i poveri, i nuovi poveri di oggi e le
nuove necessità della crisi e del tempo presente.
San Carlo ci sproni a questa santità, lui che è stato capace di una fortissima conversione, uscendo dal suo mondo e
dalla cultura della sua famiglia, facendosi «debole per i
deboli, per guadagnare i deboli» e facendosi «tutto per tutti,
per salvare a ogni costo qualcuno» (1Cor 9,22.23).
Il buon Samaritano, infine, esprime la biografia di ogni
cristiano, il quale imita la santità di Cristo, unico Salvatore,
e raccoglie tutta la propria vita in un’unica grande vocazione, che si esprime nell’imparare ad amare come Gesù.
Infatti, mediante la carità, la vita del discepolo raggiunge
un fine eterno e va oltre la tentazione di vivere un’esistenza estremamente frammentata e rivolta all’immediata soddisfazione di sé. Sperimenta così il coraggio di gesti di
autentica libertà e di amore pieno e definitivo per il bene
degli altri.
San Carlo e la croce di Cristo
Il «paradosso» della croce di Cristo
L’incontro con il Vangelo, che costruisce la santità della
vita, oggi più che mai conserva e manifesta il suo carattere
paradossale. Infatti, da un lato esprime la gioia dell’esistenza, dall’altro mostra la necessità del dono di sé fino a morire. La croce di Cristo, cioè il suo amore speso fino alla
morte (cf. Gv 13,1), rappresenta il punto più alto e più critico del cristianesimo.
È proprio di fronte al discorso duro della croce che Gesù
ha coraggiosamente detto ai suoi discepoli: «Volete andarvene anche voi?». Il Vangelo ricorda che «da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,67.66). La critica più forte e più
acuta che il mito di un naturale e progressivo benessere,
ricercato per se stesso all’infinito, pone al cristianesimo
verte proprio sull’affermazione della morte e sulla certezza
della risurrezione. Una morte a cui non si vuole pensare e
una risurrezione in cui non si riesce a credere.
«Credi questo?» (Gv 11,26), dice Gesù a Marta, sorella
di Lazzaro, dopo averle rivelato: «Io sono la risurrezione e
la vita» (Gv 11,25). Questa domanda interpella, ancora
oggi, la coscienza di ogni cristiano e, sotto aspetti diversi,
anche quella di ogni uomo.
Dai tempi di san Paolo a Corinto fino alla cultura contemporanea delle nostre città, la croce esprime il punto più
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provocante della fede cristiana e ne mette in luce l’apparente stoltezza e l’inevitabile scandalo: noi «annunciamo Cristo
crocifisso: scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani; ma
per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, Cristo è
potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,23-24).
Oggi il rischio che corriamo, anche nelle nostre comunità, è quello di svuotare il cristianesimo dall’interno. Infatti,
talvolta, da un lato lo affermiamo formalmente con le
nostre parole e le nostre liturgie, dall’altro non vogliamo
accettare che il benessere individuale o di parte, cioè lo star
bene da soli, non sia secondo il cuore di Cristo.
La parola della croce deve scandalizzare di nuovo le
nostre comunità, perché non possiamo pensare all’esistenza
umana, ferita dal peccato e dalla morte, semplicemente
come a un vitalismo di sensazioni immediate e gratificanti.
Non possiamo coltivare uno stile di vita che eviti ogni disciplina personale contro l’orgoglio e l’egoismo, o che sia
volto a eliminare qualunque genere di sacrificio necessario
in ogni amore cristiano.
Il fascino e il paradosso del Vangelo possono essere
ancora ritrovati, soprattutto dalle giovani generazioni, solo
attraverso l’esercizio di una nuova povertà, molta preghiera, una vera ricerca del significato delle cose, una grande
onestà personale e politica e l’affermazione del bisogno di
una nuova eternità.
Carlo Borromeo e l’amore al Crocifisso
San Carlo, nella preghiera, rivolge con insistenza lo
sguardo al Crocifisso, ne è ferito in profondità e, spesso, le
persone più vicine lo sentono gemere e lo vedono piangere.
Chiediamo la grazia di essere introdotti a condividere i
sentimenti di san Carlo in preghiera, la sua concentrazione,
l’intensità della sua partecipazione al mistero della morte di
Gesù in croce, sorgente della vera carità.
Per me, per noi sarebbe una grazia grande che segna
una vera e propria svolta nella vita: una preghiera che non
sia solo adempimento di un dovere, continuazione di una
buona abitudine, ripetizione di formule – anche belle –,
pratica di riti celebrati con dignità e attenzione.
Ci vuole una preghiera come quella di san Carlo, una
preghiera che conosce «gemiti e lacrime», una vera relazione personale con il Signore Gesù, il Crocifisso: una preghiera che si fa intensa, appassionata, penetrante come una
ferita feconda di amore.
San Carlo ha condiviso i sentimenti di Gesù, soprattutto quello di rimanere nella volontà del Padre fino al compimento, cioè al dono della vita per i suoi amici.
Contemplando il Crocifisso, il Borromeo si è fatto buon
samaritano nella sua Chiesa e nel suo tempo.
Ma noi viviamo un’esperienza di preghiera autentica
quando diciamo le nostre preghiere in fretta e distratti, con
il risultato di rimanere estranei ai sentimenti di Cristo? Se
non siamo capaci di pregare, che cosa dobbiamo dire della
nostra fede in Cristo?
Il segreto del Crocifisso
In un’epoca di consumismo e di nuova miseria, Gesù ci
invita a uno stile di vita semplice, sobrio, ordinato ed essenziale. La centralità del Crocifisso nella vita di san Carlo
aiuta a riflettere sulla qualità dell’amore cristiano. Se il chic-
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co di grano non muore, come può portare frutto? (cf. Gv
12,24).
A quale qualità di sacrificio sono chiamati i cristiani
oggi? Ci sono troppi ricchi e ci sono troppi poveri: sta
diventando drammaticamente più grande il divario che li
separa. Contemplare il Crocifisso significa imparare una
nuova qualità dell’amore, una nuova forma etica tra tutti
gli uomini di buona volontà.
Ci vuole un nuovo volto della speranza.
Per salvare la vita dalla desolazione e dall’assenza di
Dio è necessario, a partire dal Crocifisso, imparare e insegnare a pregare.
La cura per la qualità celebrativa delle nostre comunità non è più soltanto una questione di giusto decoro, ma
molto di più: si tratta di convertire i cuori per fermarsi sui
bisogni del prossimo, nella comunità e nel mondo. Non si
può pretendere tutto e non pagare niente: in tempo, soldi,
responsabilità e lavoro. La Chiesa e il mondo hanno bisogno di nuove forze e di nuove responsabilità. San Carlo ha
dato un grande esempio su come la liturgia e la carità debbano stare insieme.
L’assimilazione del mistero della croce dà una risposta
al senso più vero e definitivo della vita. Nelle nostre città ci
sono molte paure. I giovani hanno bisogno di nuovi e più
ampi orizzonti di senso, di fronte al vuoto che provano e
davanti alle incertezze del lavoro e del futuro. La vera speranza passa attraverso questa porta stretta. La vera gioia
cristiana va oltre il sentimento del momento, non è solo un
benessere temporaneo, ma nasce dal coraggio di vivere la
vera carità e di cercare davvero il bene comune.
San Carlo e la santità della Chiesa
Il buon Samaritano è figura della Chiesa che con la presenza dei suoi santi passa accanto all’uomo d’oggi, vede
concretamente i reali bisogni dell’umanità, prova intensa
commozione, si ferma accanto al povero, prendendosene
cura: «Passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione»
(Lc 10,33).
Il santo è colui che in maniera esemplare, umile e
coraggiosa, superando infinite difficoltà, si compromette di
persona e sa vivere la carità di Cristo, vedendone il volto in
quello del povero (cf. Mt 25,34ss).
La santità della Chiesa
Nella comunione dei santi viviamo il mistero della
Chiesa. La nostra vita ha orizzonti più vasti di quelli che possiamo misurare e descrivere a partire soltanto dalle notizie e
dalle impressioni immediate. Le presenze che rendono vive
e splendide le nostre comunità sono più numerose, attente e
affettuose di quelle che possiamo contare con la nostra ossessione per i numeri. La gioia e le pene che abitano i nostri
giorni sono condivise in una fraternità più ampia e più intensa di quella che si esprime con una vicinanza fisica.
«Credo la comunione dei santi»: i santi nostri amici, i
santi della nostra terra, i santi di ogni tempo e di ogni luogo
si uniscono alle nostre preghiere e accompagnano i nostri
giorni. La certezza della presenza e della partecipazione
dei santi alla nostra vicenda di uomini e donne di oggi è
motivo di stupore e di incoraggiamento: non siamo mai
soli, il mondo e la Chiesa non cominciano con noi e il peso
della storia non è tutto sulle nostre spalle.
La Chiesa è comunione di santi. Noi li invochiamo per
riconoscere il mistero e la gloria di Dio e li invochiamo con
un cuore umile e pentito per riconoscere le nostre responsabilità e i nostri peccati. «Credo la comunione dei santi»:
credo perciò che ci siano le condizioni per un dialogo personale, una riflessione condivisa, una possibilità d’entrare
in quella intimità in cui si svela il segreto della loro santità.
La comunione, infatti, ci fa partecipi del mistero più inaccessibile di ogni persona, che è il suo rapporto con Dio.
È con questa certezza di fede che vi invito a ricercare,
nel quarto centenario della canonizzazione di san Carlo,
una santità ecclesiale: una santità, dunque, che tutti tocca,
coinvolge e arricchisce.
Questo anniversario, allora, è un’occasione perché la
memoria di san Carlo non si riduca alla commemorazione
di un vescovo, certo eccezionale e significativo per la storia
della nostra diocesi e di tutta la Chiesa, ma irrimediabilmente rinchiuso in un altro tempo e in un’altra cultura.
Con spirito di fede noi crediamo alla presenza viva
nella Chiesa d’oggi di san Carlo, di sant’Ambrogio e di
tutti i santi e beati che ci hanno preceduto. La santità cristiana non è mai un tratto individualistico, un titolo che
distingue e isola dagli altri; è piuttosto la carità vissuta nell’imitazione della carità di Cristo. La santità è sempre santità ecclesiale.
La continua riforma della Chiesa è l’opera dello Spirito
Va’ e anche tu fa’ così
I
l dottore della legge che, dopo la narrazione della parabola
del buon Samaritano aveva risposto bene a Gesù, si sente
dire: «Va’ e anche tu fa’ così» (Lc 10,37). Vorrei riprendere queste parole di Gesù per invitarti a seguire, singolarmente e con
gli altri, alcuni cammini di vita cristiana.
Così per «rendere ragione della speranza» (cf. 1Pt 3,15),
seminata in te dall’amore di Gesù crocifisso e risorto – cuore
della fede cristiana –, fa’ tesoro delle iniziative parrocchiali
e diocesane per la formazione, come gli esercizi e ritiri spirituali, i corsi biblici, i gruppi di ascolto della Parola, le scuole
teologiche, i momenti particolari dedicati agli operatori pastorali.
Chiedo al Signore che ti doni di condividere in profondità
l’amore appassionato di san Carlo al Crocifisso: ti invito a viverlo anche con l’antica e sempre attuale pratica della Via crucis, in particolare partecipando alla sua solenne e corale
celebrazione nella tua zona pastorale.
Sollecita la tua comunità perché, in un’occasione particolare, sappia vivere un momento d’incontro con una categoria di
poveri, come segno di giustizia e fraternità con gli ultimi.
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che, attraverso i santi e le vicende storiche, rinnova i gesti
fondamentali della trasmissione della fede (traditio fidei) e
le relazioni ordinarie, dentro il vissuto della comunità cristiana e della società (traditio amoris). In questo senso la
santità educa la Chiesa, ne costituisce la prima e permanente forza educante.
Sono oggi necessarie forme nuove di santità più adatte
al cambiamento dei tempi nella consapevolezza di vivere
in una cultura che progressivamente ha perso un suo naturale tessuto cristiano. Le varie strade percorse in questi
anni ci hanno condotti alla persuasione condivisa che,
soprattutto in campo educativo, siamo chiamati ad affrontare sfide formidabili.
Ci vuole, da parte di tutti i battezzati, una vera esperienza d’intelligenza lungimirante e di santità eroica che,
per amore di Gesù e della sua Chiesa, trovi la forza di superare le difficoltà e le abitudini consolidate nel tempo, così
da riformare decisamente la vita delle persone e delle
comunità.
I santi sanno parlare alla gente e suscitano una santità
popolare. Dove passa un santo, la gente accorre. E persino
una società secolarizzata e indifferente può raccogliere dal
santo un richiamo e un invito.
Oggi, in un contesto culturale post-secolarizzato e neoreligioso, è particolarmente necessario ricondurre le devozioni, e il nuovo bisogno di sacralità, alla forza e alla radicalità del Vangelo. Le forme di preghiera diffuse nel popolo cristiano sono un’immensa ricchezza, ma talvolta sono
anche esposte al rischio di degenerare in una pratica separata dalla vita, in una semplice esigenza di rassicurazione
spesso più vicina alla superstizione che alla fede.
L’esempio dei santi, e di san Carlo in particolare, può
offrire indicazioni preziose perché impariamo a vivere le
manifestazioni popolari della fede con sapienza evangelica,
con partecipazione affettiva intensa, con docilità allo
Spirito che suscita in noi gli stessi sentimenti di Gesù.
L’amore ricevuto ha in se stesso la forza di essere donato. L’amore di Dio nel cuore del credente si esprime in una
santità missionaria.
La responsabilità che si fa carico degli altri nel nome
del Signore mette in una condizione scomoda, in un disagio complesso. Come san Carlo, che era vescovo, così
anche oggi i cristiani che esercitano un ministero, o ricoprono un ruolo di responsabilità nella comunità, sentono il
tormento della comunicazione del Vangelo.
Se ho il fuoco dentro, perché non riesco a incendiare il
mondo? Se mi appassiono alla missione di condividere la
gioia, perché chi mi ascolta si annoia? Se metto in guardia
dalla perdizione e indico la via della salvezza, perché sono
considerato come un disturbo fastidioso che amareggia la
vita? Se propongo percorsi verso la santità, perché succede
che siano fraintesi, come cose in più da fare, come una
serie di adempimenti inutili o fastidiosi?
Se richiamo a scelte evangeliche perché non sono credibile? Il cammino di conversione personale e la dedizione
alla riforma della Chiesa hanno la loro origine in questa
specie di tormento. Noi tutti ne siamo toccati e sentiamo di
vivere la responsabilità di presentare una Chiesa più evangelica e di trovare un linguaggio di prossimità alla gente
più comprensibile e incisivo.
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Carlo Borromeo e la sorgente della carità
San Carlo, sull’esempio di Gesù, fu il buon Samaritano
sulla strada della storia, che si dedicò interamente alla
Chiesa di Milano, ritrovando nel mistero del Crocifisso
risorto la forza della fede e il coraggio di una straordinaria
opera di riforma pastorale. La storia ci insegna che ogni
discernimento sul senso della vita e ogni rinnovamento
nella Chiesa partono sempre da una grande esperienza spirituale.
Il Borromeo è diventato santo nell’esercizio del suo
ministero episcopale. E, seguendo il suo esempio, tutto il
presbiterio e tutti i fedeli sono stati attratti a diventare santi
proprio nel servizio all’edificazione della Chiesa.
Certo della sua presenza e della sua benevolenza,
anche io oggi invoco la grazia d’essere introdotto nello spirito che lo ha animato, nella sua preghiera che sta all’origine dei suoi pensieri, dei suoi progetti e delle sue decisioni.
Prego perché sia dato a me, a tutti i fedeli di questa nostra
Chiesa diocesana, di vivere questo anno pastorale come un
tempo per camminare, certi dell’intercessione di san Carlo,
verso una vita più santa, verso una Chiesa più giovane e
coraggiosa, più povera e libera, più dedita alla missione che
il Signore le affida per questo tempo.
Diventerò più santo? Diventeremo più santi? Le domande possono suonare retoriche. Ma in realtà significano: la
mia vita, la nostra vita di Chiesa, diventerà segno più comprensibile dell’amore di Dio per tutti gli uomini e le donne
che vivono su questa nostra terra? La mia vita, la nostra
vita, rivelerà in modo più trasparente e persuasivo che, se
siamo dimora dello Spirito di santità, saremo riconciliati
tra noi e pieni di fiducia?
San Carlo ci parla ancora con quella insistenza analitica e prescrittiva, ispirata a una passione pastorale che lo
impegnava fino a tormentarlo; ancora ci incoraggia con
quella sua austerità esagerata, motivata da una tensione
alla santità sempre insoddisfatta; ancora ci ispira con quella lungimiranza organizzativa suscitata da un acuto senso
di responsabilità e da una vibrante passione di riformatore,
che sono il suo canto d’amore per la santa Chiesa di Dio.
Due sono i criteri dell’azione pastorale di san Carlo: il
riferimento al Vangelo e il grido dei poveri.
La bussola della sua azione pastorale non è il calcolo
dei risultati conseguiti, non è il compiacimento e il plauso
degli uomini, ma la verifica della coerenza con l’ispirazione
evangelica del suo operato e la ferma applicazione delle
indicazioni ecclesiali, specie quelle formulate dal concilio di
Trento.
La sua operosità instancabile e la determinazione dei
suoi interventi rivelano un’incrollabile fiducia nella possibilità di incidere nella vita della Chiesa. Ma sempre più si
riconosce anche, nell’evoluzione della sua storia di santità,
che l’anima di tutto è la conformazione al Signore e ai suoi
sentimenti.
Inoltre, Carlo Borromeo ascolta il grido dei poveri, sente
compassione per la sua gente e se ne prende cura con una
dedizione senza risparmio: non ha mai sentito quella sorta
di alternativa, di cui noi spesso ci lamentiamo, tra la cura
pastorale e la burocrazia ecclesiastica, perché ha vissuto
ogni impegno come un servizio d’amore offerto per una
Chiesa più santa.
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Dalla presidenza dei concili provinciali e dei sinodi alla
visita pastorale, dalla normativa per i seminari e per i chierici alla cura per l’arte sacra, dalla predicazione alla creazione di istituzioni ecclesiastiche laicali, dalle relazioni con
le autorità civili alle relazioni con gli ordini religiosi, tutto
ha saputo unificare e vivificare per un unico scopo, per una
forma di amorevole premura, seria, esigente, disinteressata: si potrebbe dire che la sua è una vita che interamente
diventa culto spirituale.
Ma quando il grido dei poveri è troppo straziante,
quando il gemito dei malati di peste si alza da ogni casa di
una città sconvolta e desolata, quando la fuga dei furbi e
dei privilegiati è troppo insopportabile, allora la compassione spinge a una prossimità fino all’imprudenza, a uno
sperpero di sé che ignora la misura, ma che esprime la
forma eroica della carità.
Che cosa può fare il vescovo nella città ferita dall’ignoranza, dalla povertà e dalla peste? Che cosa può fare il
vescovo quando sembra che il mondo sia così sconvolto
dall’ingiustizia e dalla superficialità, da rendere inefficace
ogni rimedio? Che cosa può fare il vescovo quando sembra
che della povera gente non interessi niente a nessuno?
Il vescovo non può dare che Gesù! (cf. At 3,6).
Il vescovo continua a professare la sua fede con un atto
di presenza, con un’amorevole sollecitudine. Sa di non
poter salvare nessuno, ma professa la sua fede: «In nessun
altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome
dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,12).
Per questo san Carlo porta ai malati l’eucaristia, per
questo percorre la città con la croce. Forse la gente non
ricordava nulla delle sue prediche, non aveva simpatia per
le sue prescrizioni, non riusciva ad apprezzare le istituzioni da lui create, ma aveva capito di aver incontrato un
santo: l’indiscutibile pratica della carità fino al sacrificio di
sé portava i segni inequivocabili di quell’unico amore fino
alla fine in cui tutti trovano salvezza.
San Carlo, nella storia della Chiesa di Milano, mette in
luce la necessità di riscoprire il mistero della Chiesa, prima
ancora delle sue istituzioni: come la vivacità dello Spirito
accompagna oggi le nuove generazioni? Come eventi e istituzioni sono al servizio di una rinnovata presenza della
misericordia e della fedeltà di Dio nella storia?
La cura pastorale e la città ferita
San Carlo ha portato dedizione, amore e speranza non
solo nella comunità cristiana ma in tutta la città di Milano,
in modo particolare quando fu colpita dalla peste. Si è rivolto a tutti e ha saputo andare anche fuori le mura. Questo
saper allargare gli orizzonti, questo prestarsi ad andare fuori
le mura nelle mille relazioni quotidiane è una sfida per i cristiani di oggi e per la cura pastorale delle nostre comunità.
Una delle esperienze più belle che vivo come arcivescovo di Milano è proprio la possibilità d’incontrare da vicino
le persone: tanti volti, tante mani, tante vicende raccontate
all’arcivescovo, nella ricerca di rapporti personali che troppo spesso non ci sono più. Quante cose ho imparato ascoltando in questi anni la gente delle nostre parrocchie e delle
nostre città! Le persone chiedono ascolto per le proprie sofferenze, vogliono comprensione per le proprie difficoltà,
amano gli uomini e le donne di Dio per affidare a loro
segreti e speranze, chiedono buon esempio e preghiere d’intercessione.
Alla scuola di san Carlo, dobbiamo imparare ancora di
più a mostrare la consolazione che deriva dalla fede, l’amore per Gesù e il gusto per la preghiera. Allora, e solo allora,
sapremo raccogliere il grido dei poveri, di tutti i poveri, di
ogni nazione, lingua, razza e religione. Il Vangelo ci invita
a stare dalla parte di coloro che hanno fame e sete di giustizia, di coloro che lavorano per una città più accogliente e
più fraterna, di coloro che sperano in una solidarietà che sia
profezia di un mondo in cui «amore e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno; verità germoglierà dalla
terra e giustizia si affaccerà dal cielo» (Sal 85,11-12).
La carità pastorale non deve esaurirsi solo nel programmare le nostre iniziative, ma dovrà esprimere sempre di più
la capacità di raccogliere e interpretare il senso profondo
della crisi esistenziale contemporanea, che passa nel vissuto
dei singoli e in tutta la società. Ci sono domande di senso che
vanno ritrovate. Ci sono vuoti interiori che vanno riempiti.
Innanzitutto c’è un grande bisogno di Dio: se siamo credenti e praticanti, non dobbiamo mai dare troppo per scontate la ricerca di Dio, la conoscenza del suo mistero, la grandezza dell’incarnazione e della passione di Cristo, la forza
della sua risurrezione. Dobbiamo riscoprire il dono della
fede e la bellezza della grazia che il Vangelo offre alla nostra
intelligenza e al nostro cuore. Dobbiamo riscoprire il rapporto vivo con il Signore, che è conoscenza e amore, perché è «la fede che si rende operosa per mezzo della carità»
(Gal 5,6).
La carità, che san Carlo ha saputo esprimere, proveniva direttamente dalla sua fede e dal suo rapporto intenso
d’amicizia con Gesù. Era frutto della sua preghiera, era partecipazione all’amore di Cristo per la storia degli uomini.
Era compassione (cf. Lc 10,37): una compassione che lo
scuoteva fino alle lacrime.
Anche se viviamo in mezzo alla superficialità, alla stanchezza e talvolta alla delusione, io sento che è vivo e cresce il
bisogno di Gesù e del suo Vangelo. Incontro molte persone
che, anche se sono lontane dalla Chiesa, vivono a volte con
sofferenza la loro ricerca di Dio. Vorrei dire che comprendo e che rispetto questa ricerca; vorrei dire loro che amo
questo anelito alla verità; vorrei manifestare loro la mia
stima e porre con loro la domanda sulla divinità di Gesù e
sulla grandezza del cristianesimo, non solo per la Chiesa,
ma per il mondo.
Viviamo, infatti, un tempo in cui si stanno affacciando
all’orizzonte grandi domande sul senso della vita, sulla verità
dell’amore e sulla possibilità di relazioni profonde e definitive tra le persone. Ci s’interroga sulla qualità del vivere
sociale, sul costo umano del lavoro, sul valore del benessere
a tutti i costi, sul bisogno di nuove solidarietà.
Con le sue scelte di vita personale san Carlo ha messo in
crisi i costumi dominanti della Chiesa del suo tempo indicando una via straordinariamente feconda.
Fermandoci, su questa nuova strada che da Gerusalemme conduce a Gerico, dobbiamo interrogarci di fronte
alle esasperate divisioni che ci sono tra noi, all’arroganza e
all’aggressività di molti atteggiamenti privati e pubblici contemporanei, per riscoprire il valore profetico e civile delle bea-
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titudini evangeliche, quali la povertà, la misericordia, la
purezza del cuore, la promozione della pace e la mitezza
che erediterà la terra (cf. Mt 5,3-12).
Anche in mezzo ai giovani ci sono ferite che vanno curate. Per loro la Chiesa è insieme un dono e un problema: i
giovani hanno molte domande, molte distanze, molte attese. Sono esuberanti, ma spesso sono tristi perché non vedono il futuro. Affinché possano trovare una solida identità e
uno spazio nella vita ecclesiale, sociale, culturale e politica è
anche necessario che gli adulti facciano dei sacrifici e siano
disponibili a rinunciare a qualche propria egoistica affermazione.
San Carlo e la vocazione del cristiano
La vocazione del cristiano alla santità
Se non avviene l’incontro con colui che chiama, come
si potrà parlare di vocazione? Nella cultura del nostro
tempo la persuasione che la vita sia una vocazione sembra
dimenticata: è la conseguenza inevitabile dell’estraniarsi da
Dio.
Solo in una visione unitaria dell’esistenza, permeata
dalla grazia, si può pensare che la vita sia una vocazione.
Oggi però la frammentarietà del vivere, la paura di fronte
a ogni scelta definitiva, la debolissima coscienza di pensare
a Dio come al proprio inizio e la mancanza del desiderio
della vita eterna, rendono fragile ed estranea l’idea stessa
della vita come vocazione. Così non trova più una motivazione valida l’impegno necessario per mettere a frutto le
capacità e le qualità delle persone al servizio del regno di
Dio e della società.
Solo una forte riscoperta di Dio, che dà inizio alla vita di
ogni uomo, che lo accompagna nell’esistenza e lo aspetta al
di là della morte, è in grado di restituire alla vita il fascino
di una vocazione. Perciò essa va coltivata nella fede; per
questo è necessario introdurre alla persona viva e concreta
di Gesù, aiutare a sostenere un intimo e personale rapporto con lui. Chi incontrava san Carlo, si accorgeva di questo straordinario legame che lo univa a Cristo.
La vocazione del cristiano alla santità va coltivata nei
bambini e nei ragazzi fin dai primi anni di vita, innanzitutto da parte dei genitori, che in questo hanno una preziosa e grande responsabilità. Il paziente e rasserenante
esercizio della preghiera del mattino e della sera, un’adeguata e progressiva meditazione delle sante Scritture, la
pratica frequente dell’esame di coscienza, la frequentazione di racconti e di uomini ispirati dallo Spirito di Dio possono rendere sempre più viva e certa la percezione della
praticabilità della via della santificazione.
I giovani e gli adulti tengono viva la loro vocazione se
imparano a stare vicini a Gesù, se diventano sempre più
misericordiosi nel giudicare gli altri e sempre più esigenti
nel mettere in discussione sé stessi. A ogni età, soprattutto
nei momenti di discernimento, la grazia è luce che illumina e forza che trasfigura la vita. Solo così maturano scelte
che hanno il sapore dello stile cristiano del vivere, pubblico e privato, in quanti sono docili agli inviti persuasivi del
Signore.
Anche se si è circondati da stima e ammirazione, da
salute e da ricchezza, non si può mettere a tacere una cristiana inquietudine circa l’altezza della propria vocazione
e la modestia della propria risposta.
Bisogna restare più vicini a Gesù per essere sempre più
coscienti del groviglio di esitazioni e di slanci, di amore e di
paure che oggi s’incontrano nel rispondere alla propria
specifica vocazione. È necessario invocare dal Signore una
libertà più lieta, una dedizione più totale, una consacrazione più tipica e definitiva.
Carlo Borromeo e la conversione della vita
In san Carlo vocazione e santità crescono insieme.
Fissando lo sguardo su Gesù e meditando la sua passione,
il Borromeo si lascia toccare dall’insistenza del Signore nel
chiamare i suoi amici a stare con lui, a seguirlo, e avverte
un bisogno di forte imitazione. Perché è così solo il
Signore, lui che è morto per tutti? E perché i figli di Dio
continuano a lasciarlo in questa solitudine? San Carlo, di
fronte ad alcune scelte della propria vita e davanti alle
necessità pastorali della Chiesa, ha provato una profonda
Va’ e anche tu fa’ così
L
a parola di Gesù sia una grazia e un impegno per te nel vivere
il tuo servizio d’amore anche verso la Chiesa: la comunità
nuova cui appartieni in forza del battesimo.
Partecipa con gioia e generosità alla sua vita e alla sua missione.
Per questo coltiva sempre uno spirito di sincera e operosa comunione con tutti e lasciati trasportare dallo slancio missionario di
annunciare il Vangelo con la parola e con la vita: dappertutto, in
chiesa e in ogni ambiente sociale.
Chiedi ai tuoi sacerdoti: che cosa è «La carta di comunione per
la missione»? Dovrebbe coinvolgere tutti: tutti «siano una sola cosa»
perché «il mondo conosca che tu mi hai mandato» (Gv 17,22.23).
La comunità cristiana, ossia dei figli di Dio, è chiamata
ad assumere sempre più il volto di «famiglia di famiglie». Per questo tutti i fratelli e le sorelle nella fede e nella carità devono essere
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aperti e accoglienti, capaci di ascolto e comprensione, pronti alla
condivisione. La visita alle famiglie è un’espressione semplice ma
preziosa di vita ecclesiale missionaria: sia nella forma quotidiana,
sia in quella legata al Natale (o alla Pasqua). Per quest’ultima ti
chiedo di portare il tuo importante contributo perché sia compresa, desiderata, accolta e promossa (anche con la partecipazione
dei fedeli laici).
La Chiesa in tutti i suoi membri è chiamata a rivivere ogni
giorno, con i sentimenti della compassione e i gesti della carità, la
vicenda di Gesù, il buon Samaritano.
Ascolta anche tu «il grido del povero», qualunque sia il suo
volto e la sua indigenza o ferita. Potrai così assicurare autenticità e
vivacità alla tua fede, perché «si renda operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6).
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tristezza che lo ha portato a considerare con serietà l’intera esistenza.
Che cosa devo fare? La vera conversione del suo cuore
verso l’amore per Gesù è coincisa con la scoperta della sua
vocazione.
San Carlo invita anche noi a entrare in questo sentire
spirituale. Consideriamo le attenzioni che il Signore ha
avuto per noi, la pazienza con cui ci ha istruito, le molte
grazie che ci hanno custodito nel corso degli anni. Allora,
in qualche momento di sincerità, ci può capitare di avvertire il sospiro di Gesù: ma «non comprendete ancora?»
(Mc 8,21). Ci può nascere nel cuore un anelito a superare
ogni forma di paura o di mediocrità e avvertire quanto sia
esigente la parola che ci chiama a essere «perfetti come è
perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).
La vocazione, che innanzitutto è vocazione alla santità,
va intuita, compresa, accolta e coltivata. San Carlo pregava a lungo nella notte, digiunava spesso, si confessava con
molta frequenza, non si risparmiava nel lavoro. Le sue
modalità sembrano a volte addirittura esagerate. Quando
si ama, si esagera sempre. E a me sembra che nella ricerca
della santità sia sempre necessaria una qualche esagerazione da cui non dobbiamo difenderci.
L’esempio di san Carlo è affascinante: egli vorrebbe
essere tutto luce e invece quante ombre! Vorrebbe essere
tutto fuoco e invece quanta tiepidezza! Pur avendo molti
beni, si decide a venderli e a darli ai poveri: sente insostenibile la ricchezza, una zavorra indifendibile. Anche se
potrebbe avere molti servitori ed evitare fastidi, si fa servo
degli altri e non si sottrae a fatiche e pericoli: come accostarsi alla mensa del Signore senza provare imbarazzo di
fronte all’esempio di Cristo e al suo sguardo penetrante?
Anche se è molto stanco, non si concede un riposo troppo comodo: come, altrimenti, rispondere al Signore:
«Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola
ora?» (Mt 26,40)! Anche se incontra molte contrarietà, critiche ingiuste, incomprensioni, non se ne stupisce: come,
altrimenti, potrebbe presumere di partecipare alla stessa
passione di Gesù?
L’impegno profuso da san Carlo per l’impostazione del
seminario diocesano secondo le direttive del concilio di
Trento, l’attenzione costante alla vita dei preti, i numerosi
interventi per incoraggiare nuove forme di vita consacrata
e per la riforma degli ordini religiosi tradizionali, non sono
tanto l’espressione di una strategia organizzativa, quanto
un’irradiazione della sua santità, che contagia gente di
buona volontà e suscita vocazioni e santità per la riforma
della Chiesa.
La vocazione e le vocazioni
La vocazione universale alla santità dà inizio, mediante il battesimo, a un singolare cammino di fede che dura
tutta la vita. Ogni persona che accoglie il dono della comunione con Dio è chiamata a coltivarlo con discernimento e
impegno, secondo la propria libertà.
Questa vocazione universale alla santità impegna ogni
cristiano a trasmettere la fede. La fede, vissuta nella Chiesa,
toglie l’uomo dalla più assoluta solitudine, dà un senso alle
varie esperienze quotidiane, indica la misura alta dell’amore, conduce a una meta di pace. Trasmettere la fede
significa far conoscere questo straordinario rapporto con
Dio, in un legame singolare con Gesù morto e risorto per
noi. Significa vivere nel suo santo Spirito, che è fortezza,
consolazione, gioia e affidamento.
La trasmissione della fede (traditio fidei) è la comunicazione della vita di Dio, è la comunione gioiosa di un nuovo
stile di vita, è l’offerta di un dono gratuito, prima ancora
che la richiesta di adempimenti e di regole. Di conseguenza l’accoglienza del dono si esprime in riconoscenza e la
riconoscenza in responsabilità.
Perché l’etica nasce dalla grazia. Il modo più bello per
esprimere la riconoscenza per il dono della fede è l’offerta
del battesimo a ogni uomo e a ogni donna che vengono
sulla terra. Con la nuova nascita «dall’acqua e dallo
Spirito» viene data la grazia di Dio e proposto un cammino di santità. L’annuncio del Vangelo conduce alla celebrazione del battesimo.
Sarebbe una vera riforma della nostra Chiesa il rinnovato impegno di tutti a valorizzare il battesimo dei bambini e degli adulti come autentico germoglio di missione evangelizzatrice nelle nostre comunità.
La preparazione cordiale e accogliente dei genitori alla
celebrazione del rito sacramentale, l’accompagnamento
dei primi anni delle coppie che hanno accolto il dono della
vita, non solo fisica ma anche spirituale, dei loro figli, il far
nascere un vero fermento di comunione attraverso le scuole
dell’infanzia e i primi inserimenti nella comunità cristiana
costituiscono un vero impulso di santità, una vera – piccola e grande – riforma della Chiesa.
Ci sono anche molti adulti nelle nostre città che, nella
vita ordinaria, si rivolgono ai cristiani con domande sulla
fede e sulla verità di Dio. Dobbiamo imparare a mostrare
loro la bellezza della santità e la ricchezza umana della
vocazione cristiana. Dobbiamo ritrovare il linguaggio
spontaneo, quotidiano e amichevole di chi gioisce nel raccontare il cristianesimo con essenzialità e letizia.
A voi, carissimi giovani
La vocazione di tutti alla santità si esprime poi concretamente nelle specifiche vocazioni di ciascuno. Queste
vocazioni esprimono la bellezza spirituale di ogni persona
e sono un dono per tutta la Chiesa. Vorrei ricordare tre
vocazioni particolari: il matrimonio cristiano, il presbiterato e la consacrazione nella verginità per il regno di Dio.
Mi rivolgo soprattutto a voi, carissimi giovani: abbiate
il coraggio di sfidare la precarietà dolorosa del tempo presente, non abbandonatevi all’attimo fuggente, amate la
progettualità della vostra vita, la durata delle vostre esperienze, il sacrificio nel vostro amore. Anche se dovete consumare qualche attesa o affrontare qualche difficoltà, fidatevi di Dio.
Giovani, il vostro amore di coppia abbia come meta la
vocazione del matrimonio cristiano. Non lasciatevi ingannare dal costume del tempo presente, non pensate a convivenze deboli, puntate in alto, puntate a un amore che duri
per sempre, come quello di Gesù per la sua Chiesa: non
sarete delusi!
Lo so che ci vuole coraggio, fede e preghiera. Dico
anche agli adulti e alle comunità, a chi decide del lavoro e
della casa: aiutate i vostri figli a sposarsi nel Signore.
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on la sua carità compassionevole e operosa il buon Samaritano vive la sua vocazione e compie la sua missione.
L’amore, in definitiva, è la fondamentale e nativa vocazione di
ogni essere umano. Come ha scritto Giovanni Paolo II nella sua
prima enciclica: «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane
per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso,
se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se
non lo esperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» (Redemptor hominis, n. 10, 4.3.1979; EV 6/1194).
Da genitore, insegnante, catechista, animatore, educatore nello
sport, adulto… hai una responsabilità educativa grande: devi, con i
tuoi ideali e i tuoi gesti concreti, dare soprattutto ai ragazzi e ai giovani la gioiosa consapevolezza che la vita è bella e seria proprio perché è dono e compito, chiamata e risposta, vocazione e missione.
Vorrei dire una parola accorata e sincera a molti altri
giovani perché pensino seriamente, per amore di Gesù e
della sua Chiesa, alla possibilità per loro della vocazione
sacerdotale. La Chiesa ha bisogno di loro. È possibile, in un
profondo rapporto con Gesù, essere felici nella vita da
prete. Però, ci vuole un amore vero per il Signore, il distacco da sé stessi, la libertà rispetto a ciò che non è la forza
del Vangelo. Ci vuole amore per la gente, gioia nel sacrificio, larghezza d’animo e umanità matura. Uomini sobri,
equilibrati, senza illusioni di false affermazioni o carriere,
umili e ubbidienti, disposti a lasciare molte cose per non
perdere l’essenziale. Eppure, nonostante tutto, oso sperare
e intravedere che Gesù chiamerà ancora preti secondo il
suo cuore.
Ma voglio parlare anche di un’altra vocazione alla santità: la consacrazione nella verginità per il regno di Dio.
Il Signore parla ancora ed è ancora capace, talvolta in
maniera inaspettata, di entrare nella vita dei ragazzi e delle
ragazze di oggi, per mostrare loro la pienezza e l’esclusività di un rapporto con lui.
Ci vuole molta preghiera tra i giovani e una comunità
adulta più santa, soprattutto quando si tratta di lasciar partire i propri figli che abbandonano tutto per il Signore.
La verginità consacrata non potrà esistere nella mediocrità. Se davvero sarà una profezia del regno dei Cieli, certamente sarà una provocazione sulla terra.
San Carlo ha cambiato radicalmente la sua vita, ha
stravolto i progetti della sua famiglia e ha abbandonato le
mode del suo tempo per seguire la sua vocazione. Giovani,
riscoprite l’amore, come quello del Cristo crocifisso e risorto!
Carissimi, vi ho parlato della santità che è il «segreto»,
ossia il cuore e la vita del cristiano. Anch’io in questi anni
mi sono ancor più persuaso che la vita è un viaggio da
compiere con Gesù.
Con lui, solo con lui, si può ridiscendere sulla strada
della carità che da Gerusalemme conduce a Gerico, per
chinarsi, senza alcuna distinzione di persone, sulle ferite
dell’uomo di oggi e di sempre.
Si riesce a restare fedeli al «vangelo della carità» solo se
prima si è seguito Gesù, che ha aperto gli occhi a chi non
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C’è un vangelo della vocazione che risuona in chi ha ricevuto la grazia del battesimo e della fede cristiana. È la «buona
notizia» che tu sei personalmente chiamato da Gesù alla sua sequela e alla sua missione: donare l’amore del Crocifisso risorto
percorrendo la strada che Dio ha scelto per te: il matrimonio, il
presbiterato, la vita consacrata, il servizio alla Chiesa e l’impegno
per la società.
Sono strade diverse, ma tra loro intrecciate: tutte insieme per
l’edificazione dell’unica Chiesa. Il Signore ti doni di fare quotidiana
«memoria» del battesimo ricevuto e così vivere con fedeltà e generosità la tua vocazione cristiana: la testimonianza umile e coraggiosa della tua fede sarà l’annuncio più forte e credibile della
bellezza e della necessità di seguire Cristo, salvatore del mondo e
di ogni cuore.
vedeva e ha fatto camminare chi era stanco e scoraggiato,
conducendoli con lui sulla strada che da Gerico sale decisamente verso Gerusalemme.
Gesù è salito fino al suo sacrificio d’amore consumato
sulla croce e, innalzato da terra, ha attirato tutti a sé (cf. Gv
12,32).
La fede in questo straordinario mistero di Dio che si è
rivelato in Gesù e nella sua pasqua è il dono più grande che
possiamo trasmettere al mondo. Solo così, guardando il
Crocifisso, si è colpiti dalla stessa compassione del buon
Samaritano. La santità di san Carlo ci ha accompagnato,
perché anche noi impariamo a fare come lui: «Va’ e anche
tu fa’ così» (Lc 10,37).
Con affetto nel Signore,
DIONIGI card. TETTAMANZI,
arcivescovo di Milano
Preghiera
Signore Gesù, per l’intercessione di san Carlo guarda
dal cielo e visita questa vigna.
Signore Gesù, ti contempliamo sulla croce, il gesto supremo del tuo amore per noi. Donaci il tuo santo Spirito perché, sull’esempio di san Carlo, possiamo soffrire e gioire
con te. Infondi nel nostro cuore uno spirito di preghiera,
un sentimento di pietà e di misericordia e uno sguardo di
amore su di noi e sul mondo.
Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Chiesa, vigna
feconda che cresce nella storia, luogo di santità e di speranza. Insegnaci ad amarla, donaci compassione per curare le sue ferite, rendici umili per capire la sua grandezza,
infondi in noi il desiderio della santità per lavorare in essa
con amore.
Signore Gesù, sorgente di ogni vocazione, dona ai tuoi
figli la gioia di conoscerti e la grazia di seguirti. I giovani
sentano la tua chiamata, gli adulti siano perseveranti e
fedeli. San Carlo guidi i nostri passi, e tu, maestro buono,
per sua intercessione rinnova nella fede la tua santa
Chiesa.
Amen
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hiesa in Italia
Chiarezza morale,
impegno educativo
L’Italia a disagio
CEI - Consiglio permanente
Sessione invernale (24-27.1.2011)
Prolusione del card. Bagnasco
«Bagnasco chiede sobrietà: il disagio
morale si respira» (Corriere della sera
25.1.2011). Dei 300 e più titoli che i
quotidiani italiani hanno dedicato,
nella seconda metà di gennaio, alla
comunità ecclesiale italiana di fronte
all’ultima inchiesta giudiziaria che ha
coinvolto il premier Berlusconi – il cosiddetto «Rubygate» – una buona parte (tra attese, resoconti e reazioni) ha
ruotato intorno alla prolusione che il
card. Bagnasco ha pronunciato in
apertura del Consiglio permanente
della CEI svoltosi ad Ancona (cf. ampiamente Regno-att. 2,2011,1ss). Nel
Comunicato finale diffuso il giorno dopo la fine dell’incontro, oltre a sottolineare la «forte unità di giudizio» e la
«profonda condivisione», tra i vescovi
del Consiglio, «del tono e ancor prima
dei contenuti» dell’intervento del loro
presidente, si fa riferimento agli altri
importanti impegni che la CEI ha davanti a sé nei prossimi mesi: la pubblicazione del documento conclusivo dell’ultima Settimana sociale e del Messaggio d’invito al XXV Congresso
eucaristico nazionale che si terrà appunto ad Ancona a settembre e la prossima Assemblea generale, dedicata ai
«soggetti e metodi dell’educazione alla
fede» nella comunità ecclesiale.
Stampa da file in nostro possesso. Sottotitoli
redazionali.
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Venerati e cari Confratelli,
ci ritroviamo insieme, all’inizio del nuovo anno 2011,
per la sessione invernale del nostro Consiglio Permanente,
mentre nubi ancora una volta preoccupanti si addensano
sul nostro Paese. Già la convocazione nella sede di una
delle nostre Diocesi dice i propositi che ci muovono, l’attendere cioè all’attività della Conferenza, compresi gli
appuntamenti che interessano comunitariamente le
Chiese particolari che sono in Italia. Salutiamo, quindi,
con grande cordialità l’Arcivescovo di Ancona-Osimo,
Sua Eccellenza Monsignor Edoardo Menichelli, e lo ringraziamo per l’ospitalità che unitamente alla sua comunità diocesana ci offre, assicurandolo fin d’ora della nostra
corale partecipazione al Congresso Eucaristico Nazionale
che qui avrà luogo dal 3 all’11 settembre 2011. Sappiamo
che da tempo, e d’intesa con il Comitato per i Congressi
Eucaristici Nazionali, è in atto un’accurata preparazione
all’evento che – non fatichiamo a immaginarlo – si rivelerà non solo impegnativo, ma anche prezioso e corroborante per la vita di questa Diocesi, nonché di tutte le
Diocesi marchigiane.
Al Santo Padre Benedetto XVI vogliamo subito esprimere il nostro filiale pensiero e la cordiale gratitudine per
l’imminente beatificazione del Servo di Dio Giovanni Paolo II: l’annuncio di questo evento ha colmato di gioia non
solo l’animo dei credenti, ma il mondo intero che con
ammirazione e riconoscenza custodisce il ricordo di questo
straordinario pastore del nostro tempo. Contemporaneamente, autorizzando la pubblicazione di altri nove decreti, il Papa ha aperto la strada della beatificazione per il
professor Giuseppe Toniolo, fondatore delle Settimane
Sociali, laico caro all’Azione Cattolica Italiana e all’Università Cattolica del Sacro Cuore, e per suor Antonia Maria Verna, fondatrice delle Suore della Carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea. Ci rallegriamo per la compagnia di questi nuovi modelli che la Chiesa ci propone
sulla strada della santità.
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hiesa in Italia
Nel mistero del Natale
1. Conserviamo come preziosa in noi l’eco delle celebrazioni natalizie, con il loro corredo di tradizioni e di
clima intensamente familiare, in coincidenza delle quali
s’è potuto ancora una volta constatare il fascino benefico
che la tradizione cristiana continua a far sentire ovunque
nel nostro Paese. E ciò sembra muoversi in un quadro
interpretativo nel quale una de-cristianizzazione progressiva apparirebbe ad alcuni ineluttabile. In realtà, sugli
esiti possono influire una serie non interamente ponderabile di cause, che determinano situazioni in continua evoluzione. La fede religiosa può far fronte alle intemperie, e
ciascuno di noi è testimone di esperienze positive, capaci
di rinvigorire e proporre una concezione della vita tipicamente cristiana. C’è, d’altra parte, un legame personale
con lo spazio e il tempo che solo la religione riesce ad assicurare. Conosciamo il fascino che esercita il mistero di un
Dio mai stanco degli uomini, che si fa loro incontro nella
forma scandalosamente più dimessa, fino a permettere
alla nostra presuntuosa libertà di ignorarlo o addirittura
sentirlo come rivale (cf. BENEDETTO XVI, Omelia nella
Solennità dell’Epifania, 6.1.2011). Dio supera il nostro
metro di misura e lo sorprende, non in astratto però,
bensì nel Bimbo deposto in una grotta. Pur inerme, è la
Verità per contemplare la quale è indispensabile «invertire la rotta» e «uscire dall’autonomia del pensiero arbitrario verso la disposizione all’ascolto, che accoglie ciò che
è» (BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al convegno
sull’Eredità spirituale e intellettuale di Romano Guardini,
29.10.2010). Certo, nel mistero del Natale riusciamo ad
avvertire nitidissimo anche lo strazio per chi si tiene lontano, e non vuol essere raggiunto neppure da un Dio
Bambino; ma anche per chi è talmente compreso di sé e
della sua propria intelligenza, da non lasciarsi insidiare
dallo stupore né ghermire dal sorriso, gratuito e totale
che, dalla grotta di Betlemme, si spande sul mondo.
Nell’umiltà di quella carne, troviamo le parole più preziose, le verità più decisive per l’uomo peccatore e il destino eterno del tempo e del cosmo. Il mistero colà annunciato si svilupperà nel corso dell’anno liturgico, dispiegando le profondità della fede. Verità e parole che sono il
corpo del Vangelo, quale risuona costantemente sulle labbra dei Pastori ed è alla base di ogni gesto che appartiene
alla missione della Chiesa amica dell’uomo, ma non solo,
amica della società e del mondo.
Nel periodo natalizio, ad esempio, com’è consuetudine siamo stati, noi e i nostri Confratelli Vescovi, in
visita alle carceri presenti nei rispettivi territori. Ed insieme alla calorosa accoglienza del gesto e del messaggio, si
è riscontrato il persistere amaro dei problemi legati principalmente al sovraffollamento, di cui già dicemmo nella
prolusione dello scorso settembre.
Il papa e la libertà religiosa nel mondo
2. La strage avvenuta ad Alessandria d’Egitto il
primo giorno del 2011, che ha causato la morte di 23
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cristiani copti e il ferimento di altri 90, è stato probabilmente l’episodio oltre il quale l’opinione pubblica non
poteva più far finta di non vedere, ossia lo stillicidio di
situazioni persecutorie, che nell’ultimo periodo si erano
verificate in diverse zone del mondo, e avevano avuto i
cristiani come vittime designate. Questi da tempo sono
diventati il gruppo religioso che deve affrontare il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede.
Un crescendo di episodi sanguinosi che nel corso dei
mesi aveva interessato India, Pakistan e Filippine, Sudan
e Nigeria, Eritrea e Somalia. Ma i fatti più gravi sono
avvenuti in Iraq e infine in Egitto; in entrambe le situazioni, a precedenti episodi di sangue trascurati o non
chiariti, ne sono seguiti altri sempre più gravi.
Impressiona che il momento di preferenza scelto per
condurre gli agguati contro i cristiani sia il giorno di
festa, durante la celebrazione liturgica o all’uscita di
chiesa. E ciò non fa che aggiungere orrore a orrore. Naturalmente ciascun episodio fa caso a sé, così come ciascuna Nazione ha uno scenario proprio. Il Medio
Oriente è di sicuro la regione a più alta tensione; lì la cristianofobìa, che è la versione più corrente dell’intolleranza religiosa, non è lontana dal porsi ormai nelle
forme della pulizia etnica o religiosa, benché i cristiani
siano colà una componente certo non aggiuntiva né
importata, e per secoli quella terra sia stata laboratorio
di convivenza tra fedi ed etnie diverse.
Per i cattolici, e probabilmente non solo per loro, la
coincidenza della strage di Alessandria d’Egitto con la
XLIV Giornata mondiale della Pace ha gettato una luce
ulteriore sul tema che quest’anno è stato scelto dal Papa,
ossia «Libertà religiosa, via per la pace». Un’indicazione
questa – si ricorderà – che aveva avuto un’ampia trattazione negli anni Ottanta del secolo scorso, allorché si
trattava di far maturare oltre-cortina la situazione interna ai Paesi dell’Est europeo, dove i regimi comunisti non
potevano tollerare la libertà religiosa. Come non ricordare Giovanni Paolo II e la sua penetrante azione, volta
a iscrivere – dinnanzi al mondo – il principio della libertà religiosa tra i diritti fondamentali dell’uomo, e a farne
anzi il coronamento oltre che il criterio veritativo? Il suo
Successore, Benedetto XVI, ha inteso riprendere esplicitamente quel magistero e nel Messaggio pubblicato per
la Giornata del 1° gennaio 2011 ne offre la trattazione –
a oggi – più consequenziale e organica. «Nella libertà
religiosa, infatti – scrive il Papa – trova espressione la
specificità della persona umana, che per essa può ordinare la propria vita personale e sociale a Dio, alla cui
luce si comprendono pienamente l’identità, il senso e il
fine della persona» (n. 1; Regno-doc. 1,2011,2). E continua: «Negare o limitare in maniera arbitraria tale libertà significa coltivare una visione riduttiva della persona
umana; oscurare il ruolo pubblico della religione significa generare una società ingiusta, poiché non proporzionata alla vera natura della persona» (n. 1; Regno-doc.
1,2011,2). E se il diritto alla libertà religiosa è radicato
nella dignità umana (cf. n. 2), e sta all’origine della libertà morale (cf. n. 3), significa anche che la stessa libertà
religiosa gode di uno statuto speciale giacché quando
essa «è riconosciuta, la dignità della persona è rispettata
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nella sua radice, e si rafforzano l’ethos e le istituzioni dei
popoli» (n. 5 Regno-doc. 1,2011,3). La libertà religiosa –
ancora – «è un bene essenziale: ogni persona deve poter
esercitare liberamente il diritto di professare e di manifestare, individualmente o comunitariamente, la propria
religione o la propria fede, sia in pubblico sia in privato,
nell’insegnamento, nelle pratiche, nelle pubblicazioni,
nel culto e nell’osservanza dei riti. Non dovrebbe incontrare ostacoli se volesse eventualmente aderire a un’altra
religione o non professarne alcuna» (n. 5; Regno-doc.
1,2011,3). Per questo motivo ai diritti di natura religiosa, l’ordinamento internazionale assegna «lo stesso status del diritto alla vita e alla libertà personale, a riprova
della loro appartenenza al nucleo essenziale dei diritti
dell’uomo, a quei diritti universali e naturali che la legge
umana non può mai negare (…). È elemento imprescindibile di uno Stato di diritto» (n. 5; Regno-doc. 1,2011,3).
La mia, qui, è un’evocazione solo per rapidissimi cenni,
desiderando piuttosto incoraggiare i credenti a una lettura approfondita del testo, notevole davvero per compattezza e ispirazione, e che va meditato unitamente
all’Omelia tenuta nella solennità di Maria Madre di Dio,
e al Discorso pronunciato dinanzi al Corpo Diplomatico
il 10 gennaio 2011. Anche per gli osservatori e opinionisti laici si va, per fortuna, diffondendo la consapevolezza che la religione, elemento personale e interiore più di
ogni altro, non va intesa in senso privato, e dunque isolabile, rispetto al quale assumere atteggiamenti apparentemente neutri, seppur in realtà indifferenti, quando
non scettici.
In Europa, un male sottile
3. Nessuno Stato accetta oggi tranquillamente condizioni di disuguaglianza nei rapporti economici, politici e culturali: se questo è vero, ed è fatto valere nelle sedi
internazionali, occorre che il problema delle più elementari garanzie negate alle minoranze religiose – in
non poche situazioni nazionali – venga posto con la lucidità e l’energia necessarie. Si apre qui, è noto, un problema drammatico di reciprocità, che non si risolve
minacciando ritorsioni o attenuando, in Italia e in
Occidente, le garanzie dei cittadini provenienti dagli
Stati che non assicurano parità di trattamento. Anziché
procedere con mezzo passo in avanti, se ne farebbe uno
indietro. Questo però non può essere un alibi per incrementare colpevoli acquiescenze o finti pragmatismi. Si
può e si deve urgentemente porre la questione della
libertà religiosa nelle sedi internazionali – Unione
Europea, ONU… – al fine di aprire gli occhi e mantenerli aperti, insistendo affinché nei singoli Stati vi sia un
sistema minimo di garanzie reali per la libertà di tutte le
fedi. Esiste la possibilità di istituire degli osservatori
internazionali in grado di controllare quello che concretamente avviene nei singoli territori. È ragionevole presumere ci siano, in ogni Paese, settori di opinione pubblica sufficientemente maturi da comprendere che l’estinguersi delle minoranze interne non può non segnare
un’involuzione massimalista, quando non totalitaria.
Ciò spiega il dibattito magari sottotraccia che esiste
anche nelle situazioni più blindate, come pure gli appoggi che i cristiani ricevono sempre di più anche da esponenti di religione diversa. La questione, tuttavia, di una
fondamentale libertà religiosa, è da sollevarsi opportunamente nelle sedi multilaterali, come nelle relazioni
bilaterali, e nei rapporti informali tra rappresentanti di
Paesi diversi, avendo cura che l’interessamento puntuale non abbia a scatenare ritorsioni sulle spalle già oberate di chi soffre. Passi molto importanti in questo senso
sono stati compiuti dall’Italia, e di ciò noi Vescovi non
possiamo non essere grati.
Saremmo – per così dire – ancora più soddisfatti se
tutti i nostri stimati interlocutori prendessero atto che
subdole minacce a un’effettiva libertà religiosa esistono
anche nei Paesi di tradizione democratica, a partire da
quelli europei. Dovremmo guardarci infatti dai sottili
tranelli dell’ipocrisia, che induce a cercare lontano ciò
che invece è riscontrabile anche vicino. Il Papa nel suo
Messaggio non manca di rilevarlo (cf. n. 13; e anche il
Saluto all’Angelus, 1.1.2011, e il Discorso citato al Corpo
Diplomatico), e dal canto nostro, al pari di Confratelli di
altri Paesi, non manchiamo di ripeterlo quando serve,
ad esempio nella vicenda del Crocifisso esposto nelle
scuole o in ambito pubblico. Convinti come siamo che
la libertà religiosa è un perno essenziale e delicatissimo,
compromesso il quale è l’intero meccanismo sociale a
risentirne, solitamente anche oltre le previsioni. C’è talora un argomentare infastidito sulla neutralità dello Stato
che si rivela non poco capzioso. E c’è un’aggressività laicista dalle singolari analogie con certe ossessioni ideologiche che ci eravamo lasciati alle spalle senza rimpianti.
Colpisce, in questo senso, la denuncia che nel mese scorso è stata diffusa durante un convegno viennese
dell’OSCE secondo la quale un’astratta applicazione del
principio di non discriminazione finisce paradossalmente per comportare un’oggettiva limitazione al diritto dei
credenti a manifestare pubblicamente la propria fede.
Un male sottile insomma sta affliggendo l’Europa, provocando una lenta, sotterranea emarginazione del cristianesimo, con discriminazioni talora evidenti ma
anche con un soffocamento silente di libertà fondamentali. Il caso su cui ci si sofferma è quello dell’obiezione di
coscienza sui temi di alta rilevanza etica che, in più
nazioni, si tenta ormai di ridimensionare. Ciò segnerebbe un regresso sul crinale della libertà. Emarginare simboli, isolare contenuti, denigrare persone è arma con cui
si induce al conformismo, si smorzano le posizioni scomode, si mortificano i soggetti portatori di una loro testimonianza in favore di valori cui liberamente credono.
Osiamo con ciò chiedere, come Vescovi, un esame di
coscienza per tutti impegnativo. C’è infatti qualcosa che
ciascuno può fare per determinare miglioramenti concreti. Chi non comprende come l’invito rivolto dal Papa alle
popolazioni bersagliate a «non cedere allo sconforto e alla
rassegnazione» (Saluto all’Angelus, 1.1.2011) suoni più
efficace se quanti vivono in situazioni di libertà mettono
in campo gesti concretamente volti alla solidarietà e alla
condivisione? Intanto, poiché cittadini di altre religioni
sono già in mezzo a noi, dobbiamo imparare a vivere con
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la diversità prossima a noi stessi, dando all’altro considerazione, facendolo esistere nell’attenzione e nel rispetto.
In questo modo si può diventare quasi degli ambasciatori informali che, nelle forme della ferialità, danno un
apporto significativo per modellare positivamente le relazioni tra gruppi etnici e contribuiscono a determinare
l’inflessione dei rapporti tra i popoli. Nel contempo, dobbiamo interpretare a tutto tondo i dettami della nostra
religione, senza subire inibizioni striscianti, e ritenendo a
nostra volta che vivere fino in fondo la fede, oltre a non
essere uno stato di minorità, è un modo eccellente per
rendere migliore il mondo. È il momento, come cristiani,
di vincolarci di più alla Parola di Dio, in un approccio
orante, personale e comunitario: è quanto ci chiede l’esortazione apostolica Verbum Domini (cf. ad esempio i nn.
86 e 87), firmata il 30 settembre scorso, e proposta alla
coscienza ecclesiale come un’eredità condivisa dell’ultimo
Sinodo mondiale dei Vescovi. In occasione del viaggio
papale in Gran Bretagna ci furono osservatori, solitamente non proprio favorevoli alla Chiesa cattolica, che
riservarono a Benedetto XVI apprezzamenti non formali a proposito del suo modo di porsi, di essere convincente, di indurre negli interlocutori interrogativi non scontati. Proprio questo stile, mite ma anche coraggioso e insieme persuasivo, vorremmo raccomandare a noi stessi e
alle nostre Chiese.
È noto, inoltre, che su invito di Papa Benedetto nell’ottobre prossimo avrà luogo ad Assisi un Incontro
interreligioso tra i rappresentanti delle Religioni mondiali, a 25 anni da quello promosso da Giovanni Paolo
II. Gesto tuttavia che nel contesto odierno rivelerà non
solo la pertinenza della religione nel mondo di oggi ma
il potenziale di pace e di sviluppo connesso alle relazioni interreligiose. E qui verrebbe spontanea una considerazione sul profilo del nostro Paese, chiamato ancora
una volta a vivere da testimone privilegiato eventi di
grande e universale significato simbolico. Ebbene, in
vista di questo appuntamento, ci piacerebbe che i nostri
fedeli mettessero fin d’ora in moto il cuore e l’anima così
da preparare spiritualmente e culturalmente l’Italia ad
accoglierlo come conviene. Per questa convocazione del
Santo Padre, le comunità parrocchiali e quelle religiose
sono chiamate infatti a pregare in modo speciale, sulla
scia della giornata di preghiera indetta per domenica 21
novembre, affinché il Dio di ogni misericordia voglia far
scendere da essa frutti copiosi di concordia e di pace.
Domani, nella festa della Conversione di San Paolo, si
conclude la Settimana dedicata all’unità dei cristiani: è
stata l’occasione per interiorizzare ancora meglio che il
cammino verso l’unità «abita nella preghiera» e che, dispiegandosi nella «comune responsabilità verso il mondo,
dobbiamo rendere un servizio comune» (Benedetto
XVI, Discorso all’Udienza Generale, 19.1.2011).
Italia: ethos, religione civile, fede, coscienza
4. Accennavo un attimo fa al profilo interiore dell’Italia. Più precisamente, vorrei riferirmi a ciò che ancora
oggi la fa essere qualcosa di più della somma di tanti sin-
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goli individui, ossia un popolo, e tale in forza non dello
Stato, il quale viene dopo, ma di una comunità di destino che cammina con gli altri popoli, e tra gli altri ha una
sua indole, un suo carattere, una sua vocazione, potremmo dire una sua anima. Quando, ad esempio, san
Francesco e santa Caterina evocavano nei loro scritti
l’Italia – molti secoli prima dell’unità raggiunta nel
1861, di cui si sta felicemente celebrando il 150° anniversario – si riferivano con ogni evidenza a un’entità
geografica che con quel nome era già identificabile, tant’è che sul territorio circolava, oltre alle parlate locali,
anche una lingua comune, c’erano scambi e commerci,
c’erano letterati, giuristi e artisti che lavoravano per le
diverse corti, e in qualche modo anzi le accomunavano.
E potevano farlo in ragione di una predicazione cristiana che, toccando le varie città e contrade, aveva dato
forma agli archetipi fondamentali di base.
Intendo dire che il vincolo religioso è stato realmente
l’incunabolo da cui è scaturita la prima coscienza di un’identità italiana. E ciò non per rimarcare diritti o primati, ma per ricordare che nella storia dei popoli vi sono
caratteristiche «che non possono essere negate, dimenticate o emarginate», e che quando è accaduto «si sono
causati squilibri e dolorose fratture» (BENEDETTO XVI,
Discorso al nuovo Ambasciatore d’Italia presso la Santa
Sede, 17.12.2010). Va da sé che la fede, nella misura in
cui punta all’interiorità, non possa ridursi al fenomeno di
«religione civile»; nello stesso tempo non si può negare
che abbia una ricaduta nella vita comunitaria e pubblica.
La religione è certo apprezzabile nella società civile per
le sue attività caritative e assistenziali, dunque per la sua
dimensione orizzontale. Essa però prospera nella misura
dell’intensità della dimensione verticale. L’apertura al
trascendente, che pure è indisponibile allo Stato, non
può essergli tuttavia indifferente, in quanto struttura la
persona, la mette in grado di interpretare ciò che la circonda, le dona quell’idealità e quella forza morale che la
materialità non garantisce. Soprattutto, la rende capace
di scegliere il bene anziché il male. Che per una società è
la direzione primordiale e insostituibile.
Vale anche nella nostra attualità, in cui non è difficile riscontrare – osserva il Papa – «una perversione di
fondo del concetto di ethos» (Discorso per gli auguri alla
Curia romana, 20.12.2010; Regno-doc. 1,2011,10). In
una situazione in cui «esisterebbe soltanto un “meglio
di” e un “peggio di” (…) tutto dipenderebbe dalle circostanze e dal fine inteso. A seconda degli scopi e delle circostanze, tutto potrebbe essere bene o anche male»
(Discorso alla Curia romana; Regno-doc. 1,2011,10). In
una situazione del genere, quando in certi momenti
sembra che a vacillare siano i fondamenti stessi di una
civiltà, si comprende forse meglio quale sia «il patrimonio di principi e di valori espressi da una religiosità
autentica (…). Essa parla direttamente alla coscienza e
alla ragione degli uomini e delle donne, rammenta l’imperativo della conversione morale, motiva a coltivare
delle virtù e ad avvicinarsi l’un l’altro con amore, nel
segno della fraternità, come membri della grande famiglia umana» (Messaggio per la XLIV Giornata mondiale
della pace, n. 9; Regno-doc. 1,2011,4). È la religione ad
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aiutare la persona a distinguere tra l’assenza di costrizioni e il comportarsi secondo i doveri della coscienza.
Non è un caso che la cultura moderna abbia indotto
a sovrapporre i due concetti. Scriveva Newman: «Al
giorno d’oggi, per una buona parte della gente, il diritto
e la libertà di coscienza consistono proprio nello sbarazzarsi della coscienza, nell’ignorare il Legislatore e
Giudice, nell’essere indipendenti da obblighi che non si
vedono. (…) La coscienza è una severa consigliera, ma
in questo secolo è stata rimpiazzata da una sua contraffazione, di cui i diciotto secoli passati non avevano mai
sentito parlare o dalla quale, se ne avessero sentito, non
si sarebbero mai lasciati ingannare: è il diritto ad agire a
proprio piacimento» (Lettera al Duca di Norfolk, Paoline,
Milano 1999). Ora, a parte il rilievo che il secolo in cui
viveva Newman sembra essersi d’incanto prolungato
fino ad oggi, com’è possibile non farsi aiutare dal nuovo
Beato a identificare proprio nello stravolgimento del
concetto di coscienza la causa di tanti equivoci? Forse
non è vero che l’origine di troppe scelte sbagliate sta
nello scambiare l’opzione di coscienza con la pretesa di
essere padroni di agire come ci pare? Oppure com’è, sul
momento, più conveniente e redditizio? Troppe volte,
nella cultura come nella vita, si confonde il concetto di
coscienza, ossia la capacità della persona di riconoscere
la verità e decidere di incamminarsi in essa, con l’ultima
perentorietà dell’istanza soggettiva (cf. anche
BENEDETTO XVI, Discorso ai Dirigenti e Agenti della
Questura di Roma, 21.1.2011). In pratica, è lo stordimento attorno al falso concetto di autonomia ciò che
incrina la cultura odierna, quella secondo cui la persona
si pensa tanto più felice quanto si sente prossima a fare
ciò che vuole. Peccato, tuttavia, che da lì in poi scoprirà
che la felicità è altrove, e la si conquista in ben altro
modo. Si può cogliere da qui il senso degli Orientamenti
pastorali che l’Episcopato ha deciso, per questo decennio (2011-2020), in ordine all’emergenza educativa, «il
cui punto cruciale sta nel superamento di quella falsa
idea di autonomia che induce l’uomo a concepirsi come
un “io” completo in se stesso, laddove invece egli diventa “io” nella relazione con il “tu” e il “noi”» (n. 9; Regnodoc. 19,2010,605). Più di quanto non si pensi oggi è
avvertito – seppur non ammesso – il bisogno di un’educazione coerente e duratura, che dia cioè gli ormeggi
oggettivi, essendo in se stessa anche morale (cf.
BENEDETTO XVI, Messaggio alla LXII Assemblea
Generale della CEI, 4.11.2010).
a cura di Marco Elefanti
Non profit:
dalla buona volontà
alla responsabilità
economica
I
n questi ultimi decenni la crescita delle
organizzazioni della società civile è stata
notevole, sia in termini quantitativi, sia per il
ruolo fondamentale che esse ricoprono nei
processi di governance. Anche le realtà non
profit sono tenute all’accountability, ovvero a
rendere conto delle proprie scelte agli stakeholder interni ed esterni. I contributi raccolti nel
volume offrono spunti pratici per il governo
degli enti non profit, al fine di valorizzare trasparenza e responsabilità dell’azione.
I giovani: la generazione della decrescita
5. La crisi economica e finanziaria che, a partire dal
2009, ha investito in pratica il mondo intero non è finita. E che non sia esaurita lo dicono studiosi ed economisti, ma del fatto abbiamo conferma anche nella concreta vicinanza alla gente, nostra e dei nostri cari sacerdoti, ai quali indirizziamo il pensiero grato e fraterno.
Non mancano germi di nuovo, segnali di ripresa e di
innovazione, con esperimenti rilevanti nelle relazioni
lavorative, ma persistono varie situazioni impaludate. E
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«Volontari perché»
pp. 272 - € 18,00
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EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
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Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
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dentro ciascuna di esse ci sono persone e, di conseguenza, famiglie in grande allarme e in comprensibile sofferenza. Noi siamo anzitutto con loro. Contribuisce poi a
impensierirci ulteriormente il senso di spaesamento che
perdura, non come un’atmosfera evidentemente artificiosa e momentanea, ma come stato d’animo concreto,
affatto passeggero. Per questo resta sempre necessario
ascoltare per meglio comprendere e opportunamente
decidere. Ad esempio, la contestazione studentesca, sviluppatasi nelle settimane precedenti il Natale, è un fatto
che merita una riflessione non scontata. Non si è trattato di un evento ripetitivo del passato; troppo diverse le
situazioni e le condizioni. Certo, hanno inquietato gli
innesti di violenza e di grave devastazione che si sono
registrati. Si è parlato di infiltrazioni improprie, e non
tutti né ovunque sono stati pronti a dissociarsi dalla violenza. Ma in ogni campo bisogna dare ascolto alle
preoccupazioni reali e ai dubbi sinceri per meglio capirsi e per poter procedere con l’apporto più ampio e onesto possibile. Riconoscendo anche, come è accaduto non
di rado, che l’esperienza diretta e concreta del nuovo ha
riservato sorprese positive, magari non subito colte nella
concitazione degli animi e degli eventi. Resta l’esigenza
evidente, comunque, che ogni riforma richiede risorse
indispensabili.
La prospettiva infatti del ridimensionamento di quello che ai giovani appare come il più consistente cespite
di spesa che lo Stato stanzia in loro favore, deve essere
apparsa incomprensibile. Ma oltre a queste motivazioni
psicologiche – di impellenza immediata – ci sono quelle
lunghe, ossia la consapevolezza che essi hanno di arrivare alla ribalta in cui dovrebbe cominciare la vita adulta e autonoma, quando una serie di condizioni sono
diventate sfavorevoli. Si dice che questa sia la prima
generazione della decrescita, e la si chiama generazione
inascoltata o non garantita. La disoccupazione giovanile è un dramma per l’intera società, e non solo per i giovani direttamente interessati. Stando alle statistiche, ci
sono oltre due milioni di giovani tra i 15 e 34 anni che
non studiano, non lavorano, né ormai cercano più un
impiego. Dicono di saper già di non trovarne uno stabile e sono poco disponibili ad abbracciarne uno qualsiasi. La svalutazione del lavoro manuale, anche specializzato, è evidente. E questo non è un bene. Il mondo degli
adulti, secondo le diverse responsabilità, è in debito nei
confronti delle nuove generazioni, «in debito di futuro».
I giovani non vogliono certo essere accarezzati come
degli eterni adolescenti, desiderano essere considerati
responsabili e quindi trattati con serietà, ma chiedono di
non sentirsi soli, gettati nella vita e privi di possibilità.
Un’idea balzana della vita
6. In un documento del nostro Episcopato pubblicato trent’anni or sono e che ebbe a suo tempo una notevole accoglienza (La Chiesa italiana e le prospettive del
Paese, 1981), si diceva icasticamente: «Il consumismo ha
fiaccato tutti» (n. 11; ECEI 3/763). Ed eravamo appena
agli inizi di quel processo di trasformazione che interes-
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serà l’Italia e l’Occidente nei decenni a seguire, e troverà rappresentazione nella cosiddetta «modernità liquida» dominata da quella che alcuni hanno definito «ideologia del mercato». Colpisce l’efficacia di quella predizione, dove ad apparire centrato è in particolare il verbo
usato: «fiaccare». La desertificazione valoriale ha prosciugato l’aria e rarefatto il respiro. La cultura della
seduzione ha indubbiamente raffinato le aspettative ma
ha soprattutto adulterato le proposte. Ha così potuto
affermarsi un’idea balzana della vita, secondo cui tutto è
a portata di mano, basta pretenderlo. Una sorta di
ubriacatura, alle cui lusinghe ha – in realtà – ceduto una
parte soltanto della società. Però il calco di quel pensiero è entrato sgomitando nella testa di molti, come un
pensiero molesto che pretende ascolto. Un ascolto peraltro che diventava sempre più improbabile, considerato il
nuovo clima sociale, determinato da un volano economico che senza tanti complimenti si era messo a girare
all’incontrario. Noi siamo testimoni della dignità con cui
la nostra gente sta normalmente reagendo alle difficoltà
che si sono presentate, arrivando a configurare un andamento diverso nel passo del mondo. Sembrava che il
trend della crescita dovesse tutto sommato aumentare
sempre, in un movimento espansivo che avrebbe via via
incluso sempre nuove fette di popolazione. Invece la
crisi si è presentata come una sorta di drenaggio generale, obbligando un po’ tutti a rivedere le proprie ambizioni. C’è una verità, forse non troppo detta, ma che la
gente ha intuito abbastanza presto: si stava vivendo al di
sopra delle proprie possibilità. Bisogna allora imprimere
una moderazione complessiva dell’andamento di vita,
senza dimenticare – anzi! – tutti coloro che già prima
vivevano sul filo e oggi si trovano sotto. Con bilanci
meno ambiziosi, occorre far fronte a tutte le necessità di
una società moderna, per di più senza poter più contare
sullo sfogo del debito pubblico che invece dovrà rientrare. Ma che fare se ognuno difende a spada tratta il livello di vita già acquisito? Questo è il punto in cui i problemi dei giovani vengono a coincidere con le questioni
di ordine generale: bisogna infrangere l’involucro individualista e tornare a pensare con la categoria comunitaria del «noi», perché tutto va ricalibrato secondo un
diverso soggetto. Anziché una somma di tanti «io», sicuramente legittimi e forse un po’ pretenziosi, occorre
insediare il plurale che abita in ogni famiglia, il plurale
di cui si compone ogni società. Non sarà un’operazione
facile, ma occorrerà convertire una parte di ciò che eravamo abituati a considerare nella nostra esclusiva disponibilità, e metterlo nella disponibilità di tutti. E naturalmente chi nel frattempo aveva accumulato di più, qualcosa di più ora deve mettere a disposizione. Quando un
anno e mezzo fa cercavamo di trovare il senso di ciò che
la crisi poteva richiedere, si parlò a un certo punto di
una necessaria conversione degli stili di vita. Ora ci
siamo arrivati. C’è un’alfabetizzazione etica su questa
nuova stagione che occorre saper alimentare anche al
livello dei nostri gruppi, delle nostre associazioni, dei
nostri movimenti. Se una parte di reddito va ridistribuita per poter corrispondere alle essenziali attese delle ultime generazioni, che diversamente rimarrebbero sul
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lastrico, ecco che c’è un lavoro di rimotivazione da compiere per dare un orizzonte convincente alla dose di
sacrifici che bisogna affrontare. Si torna qui alla sfida
educativa che ci siamo prefissi. Nella mentalità più diffusa, la sofferenza è l’ambito oscuro della vita che è
meglio mettere tra parentesi, e da cui in ogni caso è
necessario preservare i più giovani. Ma questo, pur scaturito dalle migliori intenzioni, è l’autoinganno più fatale che si sia indotto nei figli, nei nipoti, nei discepoli.
Tentando di preservarli dalle difficoltà e dalle durezze
dell’esistenza, si rischia di far crescere persone fragili,
poco realiste e poco generose. Se a questo si aggiunge
una rappresentazione fasulla dell’esistenza, volta a perseguire un successo basato sull’artificiosità, la scalata
furba, il guadagno facile, l’ostentazione e il mercimonio
di sé, ecco che il disastro antropologico in qualche modo
si compie a danno soprattutto di chi è in formazione.
«Non esiste una vita senza sacrificio», ammoniva il Papa
parlando proprio ai giovani, non si può diventare liberi
da sé «senza osare il grande Sì». E poi spiegava: «Se
getto uno sguardo retrospettivo sulla mia vita personale,
devo dire che proprio i momenti in cui ho detto «sì» a
una rinuncia sono stati momenti grandi e importanti
della mia vita» (Omelia nella Domenica delle Palme,
5.4.2010).
Anche la crescente allergia che si registra nei confronti dell’evasione fiscale è un segnale positivo, che va
assecondato. Adesso più che mai è il momento di pagare tutti nella giusta misura le tasse che la comunità impone, a fronte dei servizi che si ricevono. Bisogna snellire e
semplificare, ma nessuno è moralmente autorizzato ad
autodecretarsi il livello fiscale. Chi fa il furbo non va
ammirato né emulato. Il settimo comandamento, «Non
rubare», resiste con tutta la sua intrinseca perentorietà
anche in una prospettiva sociale.
Fibrillazione politica e istituzionale
7. L’intelligenza collettiva ha il dovere di riscattare l’istituto familiare dalle visioni ristrette e impacciate in cui è
stato relegato. I riconoscimenti che nell’ultimo periodo
sono giunti da istituzioni insospettabili alla famiglia italiana quale soggetto-baluardo della finanza nazionale e salvadanaio in grado di riequilibrare la finanza pubblica agli
occhi delle autorità europee, acquistano oggi il valore di
una riabilitazione culturale della famiglia stessa dinanzi a
quei grandi poteri da cui è stata spesso ignorata. Conviene
appena ricordare che tale esito non nasce accidentalmente, ma è il risultato paziente dell’antropologia di riferimento della nostra cultura, per la quale da sempre noi
viviamo anzitutto in una società di famiglie. Questa è la
campata sotto la quale l’Italia vive, avendo − sotto il profilo sociologico − una connotazione sua propria, la quale
ha ripercussioni decisive a livello educativo, nel contenimento dei disagi giovanili, nella resa scolastica, nelle strategie di prevenzione sociale, nel recupero dalle dipendenze, nella comunicazione intergenerazionale. Va da sé che
una ricognizione lucida della condizione nazionale deve
portare il Paese a darsi una politica familiare preveggente,
che mantenga la famiglia fondata sul matrimonio tra
uomo e donna, e aperta alla vita, quale base per rilanciare il Paese, e rilanciarlo sul proprio caratteristico equilibrio
esistenziale, dunque senza ossessivi cedimenti alla struttura del «soggetto singolare». Le risultanze della Conferenza
nazionale sulla Famiglia, svoltasi di recente a Milano,
vanno indubbiamente in questa direzione e meritano – sia
per il versante culturale sia per il versante politico-fiscale –
la pronta considerazione delle forze politiche. L’individuazione del «fattore famiglia» come criterio a oggi più evoluto, in quanto più equilibrato rispetto a ipotesi precedenti, suggerisce che l’auspicata, urgente riforma del fisco dispone già di un elemento centrale di grande convergenza.
Diremo anche noi con Benedetto XVI che tutto ciò che si
fa per sostenere il matrimonio e la famiglia accresce la
grandezza dell’uomo, rafforzando nel contempo la società
(cf. BENEDETTO XVI, Discorso all’Udienza Generale, 10.11.2010; e anche Discorso agli Amministratori della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma,
14.1.2011).
Come ho già più volte auspicato, bisogna che il nostro
Paese superi, in modo rapido e definitivo, la convulsa fase
che vede miscelarsi in modo sempre più minaccioso la
debolezza etica con la fibrillazione politica e istituzionale,
per la quale i poteri non solo si guardano con diffidenza
ma si tendono tranelli, in una logica conflittuale che perdura ormai da troppi anni. Si moltiplicano notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro e si
esibiscono squarci – veri o presunti – di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza, mentre qualcuno si
chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di
indagine. In tale modo, passando da una situazione
abnorme all’altra, è l’equilibrio generale che ne risente in
maniera progressiva, nonché l’immagine generale del
Paese. La collettività, infatti, guarda sgomenta gli attori
della scena pubblica, e respira un evidente disagio morale.
La vita di una democrazia – sappiamo – si compone di
delicati e necessari equilibri, poggia sulla capacità da parte
di ciascuno di auto-limitarsi, di mantenersi cioè con
sapienza entro i confini invalicabili delle proprie prerogative. «Muoversi secondo una prospettiva di responsabilità
− ammoniva il Papa in occasione dell’ultima Settimana
Sociale − comporta la disponibilità a uscire dalla ricerca
del proprio interesse esclusivo per perseguire insieme il
bene del Paese» (BENEDETTO XVI, Messaggio alla XLVI
Settimana Sociale dei cattolici italiani, 12.10.2010). Come
ho già avuto modo di dire, «chiunque accetta di assumere
un mandato politico deve essere consapevole della misura
e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda (cf. art.
54)» (Prolusione al Consiglio Permanente, 21-24.9.2009, n.
8; Regno-doc. 17,2009,565). Dalla situazione presente –
comunque si chiariranno le cose – nessuno ricaverà realmente motivo per rallegrarsi, né per ritenersi vincitore.
Troppi oggi – seppur ciascuno a modo suo – contribuiscono al turbamento generale, a una certa confusione, a
un clima di reciproca delegittimazione. E questo − facile a
prevedersi − potrebbe lasciare nell’animo collettivo segni
anche profondi, se non vere e proprie ferite. La comunità
nazionale ha indubbiamente una propria robustezza e
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non si lascia facilmente incantare né distrarre dai propri
compiti quotidiani. Tuttavia, è possibile che taluni sottili
veleni si insinuino nelle psicologie come nelle relazioni, e
in tal modo – Dio non voglia! – si affermino modelli mentali e di comportamento radicalmente faziosi. Forse che
questo non sarebbe un attentato grave alla coesione sociale? E quale futuro comune potrà risultare, se il terreno in
cui il Paese vive rimanesse inquinato? È necessario fermarsi − tutti − in tempo, fare chiarezza in modo sollecito
e pacato, e nelle sedi appropriate, dando ascolto alla voce
del Paese che chiede di essere accompagnato con lungimiranza ed efficacia senza avventurismi, a cominciare dal
fronte dell’etica della vita, della famiglia, della solidarietà e
del lavoro. Come Pastori che amano la comunità cristiana, e come cittadini di questo caro Paese, diciamo a tutti e
a ciascuno di non cedere al pessimismo, ma di guardare
avanti con fiducia. È questo l’atteggiamento interiore che
permetterà di avere quello scatto di coscienza e di responsabilità necessario per camminare e costruire insieme.
Così, non possiamo non porre mente particolare alle
giovani generazioni e al dovere educativo che investe in
primissimo luogo la famiglia, e irrinunciabilmente i genitori, sostenuti dai parenti, in particolare dai nonni. La
Chiesa è consapevole di questo diritto, primordiale perché
naturale, dei genitori quali essenziali educatori dei loro
figli, e si concepisce anzitutto al loro servizio, e questo fa
con profondo rispetto e la premura che viene da un patrimonio umano e religioso a tutti noto. A sua volta, la
Chiesa stessa ha un irrinunciabile mandato educativo, che
intende assolvere con dedizione assoluta e santità di vita.
Certamente l’istituzione scolastica fa tutto quello che può,
specialmente attraverso l’impegno serrato di una moltitudine di docenti e operatori, competenti e generosi.
Eppure, questo dispiegamento di disponibilità pare non
bastare, tanto è grande e delicata oggi «la sfida educativa».
Per questo deve entrare in campo la società nel suo insieme, e dunque con ciascuna delle sue componenti e articolazioni. Se la scuola – come oggi si intende – dev’essere
«comunità educante», bisogna convincersi con una maggiore risolutezza che la società nel suo complesso è chiamata a essere «comunità educante». Affermare ciò, a fronte di determinati «spettacoli», potrebbe apparire patetico
o ingenuo, eppure come Vescovi dobbiamo caricarci sulle
spalle anche, e soprattutto, questo onere di richiamare ai
doveri di fondo, di evidenziare le connessioni, di scoprire i
pilastri portanti di una comunità di vita e di destino. Se si
ingannano i giovani, se si trasmettono ideali bacati cioè
guasti dal di dentro, se li si induce a rincorrere miraggi
scintillanti quanto illusori, si finisce per trasmettere un
senso distorcente della realtà, si oscura la dignità delle persone, si manipolano le mentalità, si depotenziano le energie del rinnovamento generazionale. È la speranza, pane
irrinunciabile sul tavolo dei popoli, a piegarsi e venire
meno. Il cuore dei giovani tende − per natura − alla grandezza e alla bellezza, per questo cerca ideali alti: bisogna
che essi sappiano che nulla di umanamente valevole si raggiunge senza il senso del dovere, del sacrificio, dell’onestà
verso sé stessi, della fiducia illuminata verso gli altri, della
sincerità che soppesa ogni proposta, scartando insidie e
complicità. In una parola, di valori perenni. Gesù è il
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modello affascinante, l’amico che non tradisce e viene
sempre incontro, che prende per mano e riaccende ogni
volta la forza sorgiva che sostiene la fiducia verso la realizzazione di sé e la vera felicità. Questo – come adulti e
come giovani − abbiamo bisogno di vedere e di sentire
sempre, oltre ogni moralismo ma anche oltre ogni libertarismo, l’uno e l’altro spesso dosati secondo le stagioni.
Bisogna che nel suo complesso il Paese ringiovanisca,
torni a crescere dal punto di vista culturale e quindi anche
sociale ed economico, battendo i catastrofismi. Cambiare
in meglio si può e si deve. Le cortine fumogene svaniscono, arroganze e supponenze portano a poco. I sacrifici che
i cittadini stanno affrontando acquistano un senso se vengono prospettati obiettivi credibili e affidabili. Tra questi,
c’è l’orizzonte di una maggiore giustizia sociale e di una
modernizzazione effettiva in ogni articolazione pubblica,
anche quella a beneficio dell’utenza più larga, specialmente se perseguita nel rispetto delle regole, e respingendo il malaffare e le intimidazioni di ogni mafia. Come è
obiettivo inderogabile l’avvio delle riforme annunciate,
applicandosi in un’ottica puntigliosamente coinvolgente
tutte le forze politiche, ciascuna secondo la misura intera
nella parte assegnata dai cittadini. Bisogna avere fiducia
nelle nostre qualità e potenziare la capacità elaborativa di
ogni sede responsabile, affinando l’attitudine a captare
umori e orientamenti per poterli comporre in vista di una
mediazione d’insieme la più alta possibile. Un Paese complesso richiede saggezza e virtù.
Vi ringrazio, Confratelli cari, per il Vostro paziente
ascolto e per l’accoglienza ragionata che vorrete riservare
a queste considerazioni. Con la discussione, entriamo già
nel vivo dell’ordine del giorno, mentre ci attendono argomenti importanti in merito alla vita cristiana del nostro
popolo e all’efficacia della nostra Conferenza. Ci assista
Maria, che il popolo anconetano venera come Regina di
tutti Santi, e che dalla sacra Casa di Loreto ci segue e ci
protegge. E ci assistano i Santi Patroni, san Ciriaco e san
Leopardo, san Giuseppe da Copertino e san Francesco di
Sales: la loro compagnia ci incoraggia e ci sostiene.
Grazie.
Ancona, 24 gennaio 2011.
ANGELO card. BAGNASCO,
presidente della CEI
La Chiesa ha parlato
al Paese
Comunicato finale
Per bocca del Consiglio Episcopale Permanente – riunito ad Ancona dal 24 al 27 gennaio 2011, sotto la presidenza del Card. Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova
– la Chiesa che vive in Italia ha parlato al Paese con riconosciuta autorevolezza e credibilità. Ha saputo farlo dimo-
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strando unità di giudizio, anche nella disamina delle delicate problematiche che ne stanno segnando la vita politica
e sociale.
I Vescovi sono intervenuti in quanto pastori, animati da una chiarezza morale lontana da ogni faziosità,
capaci di una parola di fiducia e d’incoraggiamento,
sostenuti dal desiderio dei credenti e di tutti i cittadini di
superare le difficoltà del momento presente. I giovani
hanno rappresentato la lente, attraverso la quale leggere
la realtà: di qui l’attenzione alle loro attese, prima fra
tutte quella dell’accesso al mondo del lavoro. I Vescovi,
consapevoli del fatto che il vincolo religioso è stato la
radice da cui è scaturita la prima coscienza dell’identità
nazionale, hanno riaffermato con convinzione l’impegno
educativo della Chiesa, orizzonte che abbraccia i suoi
diversi ambiti di azione nel Paese.
In tale prospettiva, alla luce degli Orientamenti
pastorali per il decennio, hanno individuato il tema
principale della prossima Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, che si terrà a Roma dal 23
al 27 maggio 2011: «Introdurre e accompagnare all’incontro con Cristo nella comunità ecclesiale: soggetti e
metodi dell’educazione alla fede», e hanno tratteggiato le
linee di approfondimento della tematica educativa nel
corso del decennio.
È stato presentata e discussa la bozza del documento
conclusivo della XLVI Settimana Sociale dei Cattolici
Italiani, celebrata a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre
scorso. Il testo sarà pubblicato nelle prossime settimane a
firma del Comitato scientifico e organizzatore delle
Settimane Sociali. Nel medesimo contesto, i Vescovi si sono
confrontati sulle scuole e le esperienze di formazione sociopolitica di ispirazione cattolica e sulle prospettive di un
loro sviluppo.
Ampio spazio è stato dedicato al confronto sulla formazione umana, spirituale e teologica offerta nei circa
cento seminari maggiori esistenti in Italia: è stata una preziosa occasione di condivisione su un tema cruciale per la
vita e il futuro delle comunità ecclesiali.
Il Consiglio Permanente ha approvato i nuovi parametri per l’edilizia di culto per il 2011 e il Messaggio d’invito al XXV Congresso Eucaristico Nazionale, che si terrà
proprio ad Ancona dal 3 all’11 settembre prossimi, per
accompagnare il cammino di preparazione delle diocesi italiane a tale importante appuntamento.
Simone Paganini
Qumran
le rovine
della luna
Il monastero e gli esseni,
una certezza o un’ipotesi?
D
al 1947, quando si rivelò la scoperta di
antichi rotoli nella località di Qumran, in
arabo “le rovine della luna”, il sito venne identificato come centro della comunità religiosa degli esseni. Ma oggi molti studiosi sostengono
un’ipotesi diversa. Con rigore scientifico, l’autore
1. Una prolusione condivisa
fornisce la propria lettura, rivolgendosi non so-
Una forte unità di giudizio da parte dei membri del
Consiglio Permanente è emersa nell’articolato dibattito
seguito alla prolusione del Cardinale Presidente. Si è
registrata in tutti gli interventi una profonda condivisione del tono e ancor prima dei contenuti del suo intervento.
I Vescovi hanno apprezzato la pacatezza, la profondità e l’equilibrio di una lettura della realtà né reticente
né aggressiva, e nel contempo capace di dar conto del
disagio morale che serpeggia nel nostro Paese. In particolare – è stato rilevato – la posizione espressa dal Car-
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lo agli specialisti ma ai molti interessati all’argomento, ancora circondato da teorie di intrighi
misteriosi.
«Studi biblici»
pp. 224 - € 21,00
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Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
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dinale Presidente ha saputo tener conto della complessità dei fattori in gioco, senza prestarsi a interpretazioni di
parte e riconducendo la questione a un livello culturale
ed etico che chiama in causa la responsabilità di tutti, in
particolare di quanti hanno maggiori responsabilità in
vista del bene comune.
I Vescovi hanno anche condiviso l’apertura al futuro
che ha connotato l’intervento del Cardinale Presidente,
soprattutto laddove egli ha rilanciato come un’opportunità la sfida educativa, rappresentata in primo luogo dal
mondo giovanile. Proprio questa dimensione – è stato
ribadito – necessita di venir assecondata e orientata
dalla società intera, che dovrà essere sempre più «comunità educante», e dalla comunità cristiana nel suo sforzo
evangelizzatore, per superare quel cinismo e quel disincanto che sempre più si fanno strada nelle pieghe del
sentire comune.
2. Il decennio sull’educazione:
obiettivi e priorità
In vista della programmazione del decennio alla luce
degli Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano,
Educare alla vita buona del Vangelo, i Vescovi hanno
fatto tesoro delle indicazioni emerse dai gruppi di studio
dell’Assemblea Generale tenuta ad Assisi nel novembre
scorso, circa gli obiettivi e le priorità su cui investire. Il
confronto ha permesso di rivisitare i momenti salienti
dell’azione educativa delle comunità ecclesiali, in vista
di un nuovo slancio della loro missione evangelizzatrice.
Si tratta, è stato sottolineato, di adattare l’ideale al reale,
senza rinunciare a far tendere quest’ultimo all’ideale.
Concentrandosi sulle attività direttamente indirizzate
all’educazione della persona, i Vescovi hanno portato
l’attenzione sull’iniziazione cristiana, la catechesi, la
pastorale giovanile, l’insegnamento della religione cattolica, la formazione iniziale e permanente dei presbiteri e
degli operatori pastorali, la preparazione al matrimonio,
la formazione permanente degli adulti e quella all’impegno sociale e politico.
È emersa la consapevolezza che l’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi costituisce una chiave di
accesso a una realtà pastorale più ampia, che abbraccia
in primo luogo i genitori e le famiglie.
Alla luce di queste considerazioni, è stato definito il
tema principale della prossima Assemblea Generale, che
si svolgerà a Roma dal 23 al 27 maggio: «Introdurre e
accompagnare all’incontro con Cristo nella comunità
ecclesiale: soggetti e metodi dell’educazione alla fede».
Guardando al decennio nel suo insieme, si è deciso di
dedicarne la prima metà l’approfondimento tematico
intorno al tema «Comunità cristiana ed educazione alla
fede», mentre la seconda parte sarà dedicata al tema
«Comunità cristiana e città». A fare da spartiacque
quasi tra le due fasi, si porrà il Convegno ecclesiale
nazionale di metà decennio. Sin da ora si è deciso di
demandare alla Presidenza la costituzione di un gruppo
di lavoro con il compito di avviare la riflessione sul
Convegno nazionale.
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3. Sale e luce: il documento conclusivo
della XLVI Settimana Sociale
Nelle prossime settimane sarà pubblicato, a cura del
Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane
Sociali dei Cattolici Italiani, il documento conclusivo
della XLVI Settimana Sociale, celebrata a Reggio
Calabria dal 14 al 17 ottobre scorso.
La bozza del documento è stata esaminata dal
Consiglio Permanente, che ne ha autorizzato la pubblicazione. Tra i motivi di speranza evidenziati in esso, vi
è anzitutto l’esperienza di quanti hanno condiviso la
volontà e l’impegno di adoperarsi per il conseguimento
del bene comune, ponendo l’amore cristiano a fondamento del loro essere e del loro agire. Sono persone
attente a promuovere una cultura dell’uomo, della vita e
della famiglia, quale fonte di autentico sviluppo. Per loro
la fede cristiana è chiave di lettura della storia e via di
conoscenza sapienziale e costruttiva.
Il documento riconduce la questione sociale alla questione antropologica nella sua integralità e la declina
riprendendo le sessioni tematiche della Settimana
Sociale: intraprendere (ambito nel quale la crisi economica è stata analizzata e ricondotta alle sue cause più
profonde); educare (dove si ribadisce la centralità del
ruolo dell’adulto e l’importanza di strumenti con cui
sostenere famiglia e scuola e dove non manca una lettura della realtà giovanile, colta quale risorsa che chiede di
trovare uno sbocco); includere (con attenzione al fenomeno migratorio, ai percorsi di cittadinanza e alle condizioni dei rifugiati); slegare (valorizzando le opportunità
che ciascuno può offrire, come anche le opportunità del
mercato, all’interno di un nuovo patto sociale); completare la transizione istituzionale (evitando di escludere i
giovani, i poveri e i non qualificati, come pure di snaturare l’impianto della Costituzione).
I Vescovi, in particolare, hanno sottolineato l’importanza di promuovere il volontariato in tutte le sue forme;
la necessità di declinare il tema del federalismo alla luce
dei principi di sussidiarietà e di solidarietà; l’importanza
di additare figure emblematiche nell’impegno impegno
sociale, quali Giuseppe Toniolo e don Pino Puglisi.
In questa prospettiva, i Vescovi hanno condotto
anche un’articolata riflessione sulle scuole e le esperienze di formazione all’impegno sociale e politico presenti
sul territorio. Le motivazioni che le hanno originate e la
loro ampia diffusione negli anni Ottanta hanno contribuito a far conoscere e apprezzare la dottrina sociale
della Chiesa e a sensibilizzare alla partecipazione democratica alla vita del Paese. Nel contesto della prospettiva
educativa e in sintonia con il costante richiamo del
Santo Padre Benedetto XVI all’impegno dei cattolici a
essere ovunque luce e sale, è stata riaffermata l’importanza dell’azione di formazione delle coscienze, attraverso il veicolo di una cultura politica che, nel mutare
dei tempi, aspiri alla ricerca del bene comune. Si intendono, perciò, sostenere le diocesi che hanno avviato tali
luoghi formativi e incoraggiare chi è disponibile a suscitarne di nuovi.
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4. La formazione dei futuri presbiteri
Il Consiglio Episcopale Permanente si è ampiamente soffermato sulla situazione dei circa cento
seminari maggiori presenti in Italia e destinati alla
formazione dei futuri presbiteri. Si tratta di soggetti
spesso diversi fra loro per età, percorsi di studio, provenienze ed esperienze pregresse. Come è naturale,
essi condividono le risorse e le fragilità che caratterizzano i loro coetanei. Curarne la formazione significa
anzitutto evitare un approccio meramente funzionale
al ministero, riconducendo la figura del sacerdote alla
sua radice sacramentale e combinando opportunamente la crescita umana, spirituale e intellettuale dei
candidati.
Affinché l’essere prete non si riduca a un atteggiamento esteriore, ma sia una forma mentis in grado di
caratterizzare tutta l’esistenza, i Vescovi avvertono la
necessità di un cammino di fede adeguato al profilo
sacerdotale, unito a un’affettività matura ed equilibrata. Sono queste le condizioni irrinunciabili per
vivere con serenità l’appartenenza alla communio presbiterale, per un’obbedienza non formale alla Chiesa
nella persona del proprio Vescovo, per impostare relazioni adulte con i laici e per non soccombere di fronte
alle inevitabili difficoltà dell’esperienza pastorale. La
responsabilità primaria di assicurare la qualità dei
preti di domani richiede a ogni diocesi l’investimento
di adeguate risorse nella formazione dei formatori dei
seminari, perché siano all’altezza del compito che la
Chiesa affida loro.
5. Nuovi parametri per l’edilizia di culto
Come ogni anno, il Consiglio Permanente ha approvato le tabelle parametriche dei costi per la costruzione
di nuovi edifici di culto. Rispetto al 2010, esse sono state
aggiornate applicando alle singole voci di costo unitario
l’incremento del 2%, secondo la variazione dell’indice
ISTAT.
6. Il Messaggio d’invito
al Congresso Eucaristico Nazionale
L’ormai imminente celebrazione del Congresso
Eucaristico Nazionale, che si terrà ad Ancona e nelle
diocesi limitrofe dal 3 all’11 settembre e che culminerà
con l’incontro con il Santo Padre, è la ragione che ha
giustificato il fatto che, in via eccezionale, il Consiglio
Permanente si sia riunito in quella città. Grati della calorosa accoglienza a loro riservata dall’Arcivescovo di
Ancona – Osimo e dalle autorità locali, i Vescovi hanno
approvato il Messaggio d’invito al Congresso Eucaristico Nazionale, rivolto a tutte le diocesi per sostenerle
e accompagnarle nel cammino di preparazione di questo importante evento di fede e di preghiera, che intende ribadire il ruolo dell’Eucaristia quale faro di luce per
la vita quotidiana. Il testo del Messaggio sarà diffuso a
breve.
7. Nomine
Nel corso dei lavori, il Consiglio Permanente ha
provveduto alla seguenti nomine: presidente del
Comitato per l’edilizia di culto: S.E. Mons. Filippo
Iannone, Vescovo di Sora – Aquino – Pontecorvo;
coordinatore nazionale della pastorale per gli immigrati ucraini: don Yaroslav Semehen (Ternpopil-Zboriv
degli Ucraini); coordinatore nazionale della pastorale
degli immigrati africani francofoni: don Denis
Kibangu Malonda (Tivoli); consulente ecclesiastico
nazionale della Federazione Italiana Unioni Diocesane
Addetti al culto/Sacristi: mons. Alessandro Gandini
(Milano); consigliere spirituale nazionale dell’Associazione Rinnovamento nello Spirito Santo: don Guido
Pietrogrande sdb.
La Presidenza della CEI, riunitasi il 24 gennaio
2011, ha proceduto a rinnovare la Commissione Mista
Vescovi – Religiosi – Istituti secolari, che risulta ora
così composta: S.E. Mons. Francesco Lambiasi,
Vescovo di Rimini, Presidente della Commissione
Episcopale per il clero e la vita consacrata, Presidente;
S.E. Mons. Domenico Cancian, Vescovo di Città di
Castello; S.E. Mons. Oscar Cantoni, Vescovo di
Crema; S.E. Mons. Gianfranco Agostino Gardin,
Arcivescovo – Vescovo di Treviso; don Alberto
Lorenzelli sdb; padre Pier Luigi Nava smm; padre
Fidenzio Volpi ofmcap; suor Viviana Ballarin op; suor
Regina Cesarato pddm; suor Amalia Coluccia sfalc;
prof.ssa Piera Grignolo.
La Presidenza ha inoltre nominato:
– membri del Comitato per l’edilizia di culto: don
Vincenzo Barbante (Milano), per l’area Nord; dott.
Stefano Mori, per l’area Centro; mons. Giovanni
Accolla (Siracusa), per l’area Sud; ing. Andrea Zappacosta, Segretario; mons. Giuseppe Russo, Responsabile del Servizio Nazionale per l’edilizia di culto; don
Franco Magnani, Direttore dell’Ufficio Liturgico
Nazionale;
– membro del Comitato per la valutazione dei progetti di intervento a favore dei beni culturali ecclesiastici: don Francesco Valentini (Orvieto – Todi);
– membri della Commissione Nazionale Valutazione Film: mons. Dario Edoardo Viganò,
Presidente; dott. Massimo Giraldi, Segretario; prof.ssa
Giuliana Arcidiacono; suor Teresa Braccio, FSP;
dott.ssa Elisa Copponi; dott. Mario Dal Bello; prof.
Nicola Di Marcoberardino; dott. Francesco Giraldo;
dott. Vittorio Giusti; prof.ssa Daniella Iannotta;
prof.ssa Marina Mataloni; sig.ra Graziella Milano; dott. Raffaele Napoli; dott. Lorenzo Natta;
dott. Beowulf Paesler-Luschkowko; mons. Domenico
Pompili; dott. Renato Tarantelli; dott. Giancarlo
Taré.
Roma, 28 gennaio 2011.
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I neocatecumenali
e il Giappone
Mizombe Osamu, vescovo
di Takamatsu, Peter Takeo
Okada, arcivescovo di Tokyo
È mio compito
di vescovo
Lettera del vescovo di Takamatsu
Al clero, ai religiosi e ai fedeli della diocesi di Takamatsu.
Il 13 dicembre 4 vescovi diocesani
giapponesi, il papa, alcuni cardinali e
un arcivescovo di curia (cf. Regno-att.
2,2011,24s) si sono riuniti a Roma. E,
nonostante non vi sia stato nessun
comunicato ufficiale, sin da subito si
è saputo che la decisione presa collegialmente dalla Conferenza dei
vescovi cattolici del Giappone di
sospendere per cinque anni le attività
in loco del Cammino neocatecumenale non era stata approvata da Roma.
A partire da questo momento, però, i
percorsi si sono divaricati. Alcuni
vescovi hanno ribadito in lettere
pastorali immediatamente successive all’incontro l’intenzione di sospendere le attività del Cammino nella
propria diocesi (cf. sotto i testi di
mons. Osamu, vescovo di Takamatsu
e mons. Okada, arcivescovo di Tokyo); la Santa Sede invierà un visitatore in Giappone; infine i neocatecumenali, a cui nell’udienza loro concessa il 17 gennaio scorso, Benedetto
XVI ha presentato ufficialmente l’approvazione del Direttorio catechetico,
datata 26.12.2010 (cf. qui a p. 116).
Stampa (2.2.2011) da sito web www.ucanews.com; nostra traduzione dall’inglese; titoli e note redazionali.
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All’inizio di quest’anno vi rivolgo i miei migliori auguri. Prego che quest’anno possiate camminare con me,
vostro vescovo, per portare «Rinascita e unità» nella
nostra diocesi.
Il 13 dicembre scorso, dopo aver ricevuto una comunicazione da parte della Segreteria di stato vaticana nella
quale si esprimeva l’auspicio di discutere con noi sul
Cammino neocatecumenale, sono andato a Roma con
altri tre vescovi del Giappone. Ci aspettavamo d’incontrare attorno a un tavolo il papa, assieme al segretario di
stato, card. Bertone, e al prefetto della Congregazione per
l’evangelizzazione dei popoli, card. Dias.
Arrivati al nostro hotel, abbiamo invece imparato che
sia il luogo sia l’orario del nostro incontro erano cambiati
e che cinque cardinali assieme anche a un arcivescovo (il
sottosegretario alla Segreteria di stato) avrebbero presenziato all’incontro.1A nostra sorpresa era stato previsto che
anche mons. Hirayama assistesse all’incontro,2 svoltosi
grazie a una traduzione simultanea. Non entrerò nei dettagli sul contenuto dell’incontro. Nelle edizioni del 2 e del
6 gennaio 2011 della rivista cattolica del Giappone è
apparso un articolo sul nostro incontro a Roma e in alcuni media cattolici su Internet si trovano alcuni dettagli del
contenuto dell’incontro.
Alla fine dello scorso anno e all’inizio di questo sono
stati in molti, sia tra il clero sia tra i fedeli della diocesi, a
domandarci un resoconto dell’incontro a Roma. Mi è
stato chiesto di precisare quale linea la diocesi di
Takamatsu terrà nei confronti del Cammino neocatecumenale. Mi è stato fatto capire in termini piuttosto perentori che sarebbe stato inammissibile mantenere la posizione «non so, non mi è stato detto nulla».
Sia in Giappone sia all’estero, Internet ha ampiamente diffuso la notizia che i vescovi giapponesi erano stati
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convocati a Roma. Ugualmente su Internet si può leggere
che l’arcidiocesi di Clifton, in Inghilterra, ha vietato tutte
le attività del Cammino neocatecumenale o anche che la
Conferenza dei vescovi della Palestina ha pubblicato un
documento che chiede al Cammino neocatecumenale di
dar prova d’autocontrollo nelle proprie attività.
È di poco tempo fa la notizia che l’arcivescovo di
Lingayen-Dagupan, nelle Filippine, ha annunciato che
sarebbe stata condotta un’ispezione sulle attività del
Cammino neocatecumenale nell’arcidiocesi. In Internet
sono ampiamente disponibili in italiano, in spagnolo e in
inglese commenti su articoli che mettono a tema il
Cammino neocatecumenale. Ciò che ci dicono tutti
questi articoli con chiarezza è che i problemi con il
Cammino neocatecumenale non avvengono esclusivamente nella diocesi di Takamatsu e nella Chiesa del
Giappone.
Oggi tuttavia l’attenzione è concentrata sulla Chiesa
del Giappone. È per questo che, anche stante la gravità
del problema, ho preso la decisione di riferirvi con chiarezza ciò che è successo e di spiegarvi la linea della nostra
diocesi.
Al nostro ritorno da Roma, il nunzio apostolico ci ha
chiesto di poterci incontrare il 23 dicembre. Mons. Okada,
arcivescovo di Tokyo, e tre vescovi hanno partecipato a questo incontro. Ci è stato detto che molto probabilmente il
santo padre avrebbe mandato un inviato speciale in
Giappone. Comunque, fino a quel momento, venne concordato che, per quanto riguardava le attività del Cammino,
ciascun vescovo sarebbe stato libero di procedere nel modo
secondo lui più opportuno per la propria diocesi.
Durante l’incontro a Roma, i quattro vescovi del
Giappone avevano sottolineato che il problema atteneva
alle regole riguardanti la disciplina all’interno della diocesi e che, per questo, ogni decisione in materia rientrava
nella giurisdizione dell’ordinario del luogo.
Noi abbiamo sottolineato che il fatto che il Cammino
neocatecumenale sia stato approvato a Roma non implicava automaticamente che una diocesi dovesse accettarne
la presenza sul proprio territorio. Abbiamo anche sottolineato il fatto che la persona più adatta a comprendere al
meglio la situazione della Chiesa locale è il vescovo e che
ogni decisione presa a Roma deve iniziare con una discussione con gli ordinari locali.
I cardinali che hanno preso parte al nostro incontro a
Roma hanno espresso punti di vista diversi, e l’incontro è
stato semplicemente l’espressione delle opinioni di ciascuna delle persone presenti più che una vera discussione. È
emerso chiaramente, tuttavia, che la decisione della
Conferenza dei vescovi del Giappone di sospendere le attività del Cammino neocatecumenale fosse un problema
consistente per il Vaticano.
Di conseguenza, era necessario mettere a punto un
piano d’azione. È in questo quadro che il santo padre ha
dichiarato che avrebbe preso in seria considerazione il
mandare un inviato speciale della Santa Sede in
Giappone.
Si può star sicuri sul fatto che l’inviato speciale del
Vaticano verrà nella nostra diocesi. Se guardiamo il rovescio della medaglia della decisione di mandare un inviato
speciale della Santa Sede, comprendiamo, se ve ne fosse
bisogno, quanto profonda sia la frattura in seno alla nostra
diocesi.
Inoltre è la seconda volta che un inviato di questo tipo
viene mandato. Nel 2003 il card. Kim, della Corea, è
giunto nella nostra diocesi in quanto inviato speciale e ha
redatto al termine di quella visita un rapporto dettagliato.
In quel rapporto egli analizzava la situazione nella diocesi
e proponeva dei mezzi per porre rimedio alla situazione.
Il card. Dias, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, ha detto che l’inviato verrà mandato per ascoltare il parere dei cristiani della diocesi. Fino
a oggi ho tentato d’affrontare il problema del Cammino
neocatecumenale nel modo più discreto possibile, senza
rilasciare dichiarazioni pubbliche.
Mi aspettavo che i membri del Cammino neocatecumenale comprendessero da soli l’opportunità di dare
prova d’autodisciplina nelle loro attività. Ma visto che
ormai il problema ha preso una dimensione internazionale non posso più aspettare.
Ritornato da Roma, ho preso coscienza del fatto che
avevo l’obbligo di rivolgermi ai fedeli della mia diocesi.
Se essi non sono informati sulla situazione, quando arriverà l’inviato potrebbero rifiutarsi di parlare o fare come
se non sapessero perché non sono stati informati. Di conseguenza potrebbe quindi avvenire che l’inviato lasci la
diocesi senza aver potuto cogliere il cuore reale della
situazione.
In quanto vescovo di Takamatsu sono giunto alla
seguente conclusione per quanto riguarda la questione del
Cammino neocatecumenale. È un problema che riguarda
la Chiesa locale, in particolare la diocesi di Takamatsu. È
una questione che non può trovare una soluzione che qui
in diocesi. Il santo padre e i prefetti delle congregazioni
romane sono d’accordo con il fatto che è un problema che
riguarda la Chiesa locale e che dev’essere il vescovo a trovare una soluzione.
Non è ammissibile che un’organizzazione o un movimento facciano ricorso a ogni mezzo che è in loro potere
per impedire al vescovo d’agire nella propria diocesi. È
1 L’agenzia Églises d’Asie (n. 544 del 21.1.2011) annota: La delegazione dei vescovi giapponesi era formata da mons. Ikenaga Jun,
presidente della Conferenza episcopale, da mons. Mizobe Osamu,
vescovo di Takamatsu, da mons. Miyahara Ryoji, vescovo di
Fukuoka, e da mons. Kikuchi Isao, vescovo di Niigata. Attorno a
papa Benedetto XVI hanno preso posto il card. Tarcisio Bertone,
segretario di stato, il card. Ivan Dias, prefetto della Congregazione
per l’evangelizzazione dei popoli, il card. William Levada, prefetto
della Congregazione per la dottrina della fede, il card. Antonio
Cañizares, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacrementi, e il card. Stanislaw Rylko, presidente del
Pontificio consiglio per i laici. Il sottosegretario di stato menzionato
da mons. Mizobe era mons. Ettore Balestrero.
2 Mons. Peter Hirayama Takaaki, 86 anni, è stato vescovo della
diocesi di Oita dal 1970 al 2000. Vicino al Cammino neocatecumenale, vive attualmente a Roma.
In attesa dell’inviato da Roma
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importante che ciascuno di noi analizzi sinceramente e
seriamente ciò che è successo nella nostra diocesi negli
ultimi vent’anni e ciò che sta ancora succedendo. La situazione non consente a nessuno di privilegiare gli interessi di
un gruppo ma piuttosto chiede che si rifletta su come ciascuno può mettersi a servizio della diocesi. Nella nostra
diocesi, riunita attorno al vescovo, ci ritroviamo a una
svolta importante sulla strada verso una vera «Rinascita e
unità».
La conclusione a cui sono giunto è la seguente: fin tanto
che non avremo ricevuto i risultati della visita dell’inviato
speciale del santo padre, vi domando di sospendere tutte le
attività del Cammino neocatecumenale nella diocesi.
Questa decisione è stata approvata sia dal Consiglio presbiterale sia dal Consiglio pastorale della diocesi.
Essa non significa affatto che il dialogo è interrotto, ma
dev’essere considerata come un’opportunità data a ciascuno di noi per riflettere.
Quando un procedimento va male si dice che si
debba sempre ritornare al punto di partenza. E io credo
che per noi oggi sia il tempo adatto per ritornare al punto
di partenza. Questa decisione non significa che i membri
del Cammino neocatecumenale sono esclusi dalla diocesi. Il mio augurio è che noi possiamo utilizzare questo
tempo di riflessione per rendere possibile un dialogo
nella verità.
Rispetto i membri del Cammino neocatecumenale e
spero che essi prendano una parte attiva nelle attività della
diocesi. Mi auguro inoltre che tutti i fedeli assumano un
Ermanno Genre
Riti e storie di vita
Liturgia protestante nella società secolare
I
l protestantesimo è da sempre poco
incline alla ritualità, ma ciò non significa che, anche nel tempo della
postmodernità, non ne resti viva la
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ruolo attivo nel processo triennale che abbiamo avviato
per rivitalizzare la nostra diocesi. Nessun fedele può esentarsi dal prendere parte a questo processo.
20 gennaio 2011.
✠ MIZOMBE OSAMU,
vescovo di Takamatsu
Con nostro grande
disappunto
Lettera dell’arcivescovo di Tokyo
Negli ultimi vent’anni, la Conferenza dei vescovi cattolici giapponesi ha speso molto tempo ed energia sui problemi che riguardano il Cammino neocatecumenale
(d’ora in poi, Cammino). Con nostro grande disappunto,
questi sforzi non hanno migliorato la situazione.
Sulla passione e le buone intenzioni degli appartenenti al Cammino, non ho il minimo dubbio. Tuttavia
le attività del Cammino negli ultimi trent’anni non possono in alcun modo essere chiamate un successo. Il
fatto è che le caratteristiche e la condotta del Cammino
non si sono bene adattate alla Chiesa e alla società del
Giappone.
È pertanto necessario che il Cammino sospenda le sue
attività in Giappone per un certo periodo al fine di considerare e riflettere su che cosa possa preparare il terreno
per un dialogo con la Chiesa in Giappone.
Non è mia intenzione decidere al posto della
Conferenza dei vescovi cattolici del Giappone, che ha
collegialmente preso una decisione vincolante in questo
senso. Piuttosto, come richiesto dalla diocesi di
Takamatsu, i 16 vescovi diocesani devono decidere individualmente e dare appropriato corso a risposte per le
proprie diocesi basate su giudizio di ciascuno in quanto
ordinari a livello locale.
La Chiesa in Giappone è una piccola minoranza,
che rappresenta appena lo 0,3% della popolazione e io
sono profondamente rattristato nel vedere le divisioni, i
conflitti e il caos che sono seguiti all’arrivo del Cammino
tra noi.
Sono ormai 13 anni che più di 30.000 persone annualmente si tolgono la vita con il suicidio in Giappone. Vorrei
che gli appartenenti al Cammino vedessero questa realtà.
Vorrei che si buttassero subito anima e corpo sulla
domanda su quello che essi potrebbero dare per queste
persone. Se agissero secondo modalità comprensibili e
simpatetiche per i membri della società giapponese, guadagnerebbero sicuramente la fiducia della società. Prego e
spero che essi si vogliano unire a noi nell’intraprendere
un’evangelizzazione tagliata sulla misura dei bisogni della
popolazione giapponese.
È stata data la precedenza alle direttive arrivate dal
quartier generale del Cammino a Roma rispetto alla lea-
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Benedetto XVI al Cammino
I
l 17 gennaio, nell’Aula Paolo VI, il papa ha ricevuto in udienza
i membri del Cammino neocatecumenale e, dopo una breve
introduzione del card. Rylko, ha rivolto il discorso che qui riportiamo, dove si dà notizia dell’approvazione del Direttorio catechetico del Cammino neocatecumenale (cf. Regno-att.
2,2011,25) da parte del Pontificio consiglio per i laici (cf. in questo numero a p. 116; www.vatican.va).
Cari amici!
Sono lieto di accogliervi e di darvi il mio cordiale benvenuto.
Saluto in particolare Kiko Argüello e Carmen Hernández, iniziatori
del Cammino neocatecumenale, e don Mario Pezzi, ringraziandoli
per le parole di saluto e di presentazione che mi hanno rivolto. Con
vivo affetto saluto tutti voi qui presenti: sacerdoti, seminaristi, famiglie e membri del Cammino.
Ringrazio il Signore perché ci offre l’opportunità di questo incontro, nel quale voi rinnovate il vostro legame con il successore di
Pietro, accogliendo nuovamente il mandato che Cristo risorto
diede ai discepoli: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15).
Da oltre quarant’anni il Cammino neocatecumenale contribuisce a ravvivare e consolidare nelle diocesi e nelle parrocchie l’iniziazione cristiana, favorendo una graduale e radicale riscoperta
delle ricchezze del battesimo, aiutando ad assaporare la vita divina, la vita celeste che il Signore ha inaugurato con la sua incarnazione, venendo in mezzo a noi, nascendo come uno di noi.
Questo dono di Dio per la sua Chiesa si pone «al servizio del vescovo come una delle modalità d’attuazione diocesana dell’iniziazione cristiana e dell’educazione permanente nella fede» (Statuto,
art. 1 § 2; Regno-doc. 13,2008,428). Tale servizio, come vi ricordava il
mio predecessore, il servo di Dio Paolo VI, nel primo incontro avuto
con voi nel 1974, «potrà rinnovare nelle odierne comunità cristiane
quegli effetti di maturità e di approfondimento, che nella Chiesa
primitiva erano realizzati dal periodo di preparazione al battesimo»
(8.5.1974: Insegnamenti di Paolo VI, XII [1974], 406).
Negli ultimi anni è stato percorso con profitto il processo di redazione dello Statuto del Cammino neocatecumenale che, dopo
un congruo periodo di validità ad experimentum, ha avuto la sua
approvazione definitiva nel giugno 2008.
Un altro passo significativo si è compiuto in questi giorni, con
l’approvazione, a opera dei competenti dicasteri della Santa Sede,
del Direttorio catechetico del Cammino neocatecumenale. Con
questi sigilli ecclesiali, il Signore conferma oggi e vi affida nuovamente questo strumento prezioso che è il Cammino, in modo che
possiate, in filiale obbedienza alla Santa Sede e ai pastori della
Chiesa, contribuire, con nuovo slancio e ardore, alla riscoperta radicale e gioiosa del dono del battesimo e offrire il vostro originale
contributo alla causa della nuova evangelizzazione.
La Chiesa ha riconosciuto nel Cammino neocatecumenale un
particolare dono suscitato dallo Spirito Santo: come tale, esso
tende naturalmente a inserirsi nella grande armonia del corpo ecclesiale. In questa luce, vi esorto a ricercare sempre una profonda
comunione con i pastori e con tutte le componenti delle Chiese
particolari e dei contesti ecclesiali, assai diversi, nei quali siete chiamati a operare. La comunione fraterna tra i discepoli di Gesù è, infatti, la prima e più grande testimonianza al nome di Gesù Cristo.
Sono particolarmente lieto di poter inviare oggi, in diverse
parti del mondo, più di 200 nuove famiglie, che si sono rese disponibili con grande generosità e partono per la missione, unendosi idealmente alle circa 600 che già operano nei cinque
continenti.
Care famiglie, la fede che avete ricevuto in dono sia quella luce
posta sul candelabro, capace d’indicare agli uomini la via del Cielo.
Con lo stesso sentimento, invierò 13 nuove missiones ad gentes,
che saranno chiamate a realizzare una nuova presenza ecclesiale in
ambienti molto secolarizzati di vari paesi, o in luoghi nei quali il
messaggio di Cristo non è ancora giunto.
Possiate sempre sentire accanto a voi la presenza viva del Signore risorto e l’accompagnamento di tanti fratelli, così come la
preghiera del papa, che è con voi!
Saluto con affetto i presbiteri, provenienti dai seminari diocesani Redemptoris mater d’Europa, e gli oltre 2.000 seminaristi qui
presenti. Carissimi, voi siete un segno speciale ed eloquente dei
frutti di bene che possono nascere dalla riscoperta della grazia del
proprio battesimo. A voi guardiamo con particolare speranza: siate
sacerdoti innamorati di Cristo e della sua Chiesa, capaci di trasmettere al mondo la gioia di avere incontrato il Signore e di poter
essere al suo servizio.
Saluto anche i catechisti itineranti e quelli delle comunità neocatecumenali di Roma e del Lazio e, con affetto speciale, le communitates in missionem. Avete abbandonato, per così dire, le
sicurezze delle vostre comunità d’origine per andare in luoghi più
lontani e scomodi, accettando di essere inviati per aiutare parrocchie in difficoltà e per ricercare la pecora perduta e riportarla all’ovile di Cristo.
Nelle sofferenze o aridità che potete sperimentare, sentitevi
uniti alla sofferenza di Cristo sulla croce, e al suo desiderio di raggiungere tanti fratelli lontani dalla fede e dalla verità, per riportarli
alla casa del Padre.
Come ho scritto nell’esortazione apostolica Verbum Domini,
«la missione della Chiesa non può essere considerata come realtà
facoltativa o aggiuntiva della vita ecclesiale. Si tratta di lasciare che
lo Spirito Santo ci assimili a Cristo stesso (…) in modo da comunicare la Parola con tutta la vita» (n. 93; Regno-doc. 21,2010,691s).
Tutto il popolo di Dio è un popolo «inviato» e l’annuncio del
Vangelo è un impegno di tutti i cristiani, come conseguenza del
battesimo (cf. ivi, n. 94). Vi invito a soffermarvi sull’esortazione Verbum Domini, riflettendo, in modo particolare, dove, nella terza
parte del documento, si parla de «La missione della Chiesa: annunciare la parola di Dio al mondo» (nn. 90-98).
Cari amici, sentiamoci partecipi dell’ansia di salvezza del Signore Gesù, della missione che egli affida a tutta la Chiesa. La beata
vergine Maria, che ha ispirato il vostro Cammino e che vi ha dato
la famiglia di Nazaret come modello delle vostre comunità, vi conceda di vivere la vostra fede in umiltà, semplicità e lode, interceda
per tutti voi e vi accompagni nella vostra missione.
Vi sostenga anche la mia benedizione, che di cuore imparto a
voi e a tutti i membri del Cammino neocatecumenale sparsi nel
mondo.
Aula Paolo VI, 17 gennaio 2011.
BENEDETTO XVI
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Approvate le catechesi
D
opo la conferma definitiva degli statuti del Cammino neocatecumenale, avvenuta nel giugno 2008 (cf. Regno-doc.
13,2008,427ss), il secondo e ultimo passo in vista della «conclusione del suo percorso istituzionale» è avvenuto nel 2010. Il 26
dicembre, infatti, è stato approvato per decreto del Pontificio
consiglio per i laici il Direttorio catechetico del Cammino neocatecumenale (cf. Regno-att. 2,2011,25), fatto reso noto durante
l’udienza concessa da Benedetto XVI al movimento lo scorso 17
gennaio (www.camminoneocatecumenale.it).
Decreto
Con decreto dell’11 maggio 2008, il Pontificio consiglio per i
laici ebbe ad approvare in modo definitivo lo statuto del Cammino
neocatecumenale.
Il Cammino neocatecumenale si attua secondo le linee proposte dagli iniziatori contenute nello Statuto e nei 13 volumi che
portano il titolo di Direttorio catechetico del Cammino neocatecumenale (cf. Statuto, art. 2 § 2). Essi sono:
volume 1: Fase di conversione o catechesi iniziali;
volume 2: Primo scrutinio;
volume 3: Convivenza: «Shemà»;
volume 4: Secondo scrutinio;
volume 5: Iniziazione alla preghiera;
volume 6: «Traditio»;
volume 7: «Re-traditio»;
volume 8: «Redditio»;
volume 9: «Padre nostro – 1a parte»;
volume 10: «Padre nostro – 2a parte»;
volume 11: «Padre nostro – conclusione»;
volume 12: «Elezione – 1a parte»;
volume 13: «Elezione – parte intermedia e finale».
dership dei vescovi e pertanto continuiamo a dover affrontare dei dilemmi e ad arrovellarci nelle difficoltà. Si suppone che la missione della Chiesa in Giappone sia affidata ai suoi vescovi locali. Ma noi oggi ci troviamo a dover
portare questo ulteriore giogo sul nostro collo mentre
siamo impegnati in uno dei più intensi sforzi per la missione e la cura pastorale.
Parlando unicamente dell’arcidiocesi di Tokyo, non
penso che il Cammino sinora abbia provocato problemi
particolarmente seri, anche se mi vengono in mente il
modo di comportarsi di chi raccoglie fondi senza il consenso del vescovo, ad esempio, e qualche confusione in
alcune parrocchie.
Tuttavia la situazione è diversa nella provincia ecclesiastica di Osaka e specialmente nella diocesi di Takamatsu
il problema è serio.
La Chiesa in Giappone ha avuto inizio nel 1549, con
le attività missionarie di s. Francesco Saverio. È una
Chiesa costruita su una moltitudine di santi ed eccellenti
missionari ed è diventata madre di una schiera di martiri.
È sopravvissuta ai divieti di religione e perché si potesse riprendere un’aperta promozione della fede sono dovuti passare 140 anni. Tra gli illustri missionari che hanno
lavorato in Giappone vi sono l’attuale superiore generale
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I suddetti volumi del Direttorio catechistico sono stati rivisti
dalla Congregazione per la dottrina della fede dal 1997 al 2003 e
opportunamente corredati con riferimenti al Catechismo della
Chiesa cattolica inerenti le tematiche affrontate in ogni catechesi.
Recentemente, la Congregazione per la dottrina della fede,
dopo aver ulteriormente esaminati i risultati del suddetto studio,
al fine di dare maggiore sicurezza all’attuazione del Cammino neocatecumenale, nonché di offrire garanzie dottrinali a tutti i pastori
della Chiesa, ha ritenuto opportuno consegnare al Pontificio consiglio per i laici – in quanto dicastero che segue questa realtà ecclesiale – l’incarico di dare un’apposita approvazione ai volumi del
Direttorio catechetico del Cammino neocatecumenale (cf. Lettera del 20.11.2010, prot. n. 36/75 – 33843).
Pertanto:
Visti gli articoli 131 e 133 § 1 e § 2 della costituzione apostolica
Pastor bonus sulla curia romana e l’art. 2 § 2 dello statuto del Cammino neocatecumenale, il Pontificio consiglio per i laici, dopo aver
debitamente consultato la Congregazione per la dottrina della
fede, approva la pubblicazione del Direttorio catechetico come
sussidio valido e vincolante per le catechesi del Cammino neocatecumenale. I volumi del Direttorio catechetico sono debitamente
autenticati dal Pontificio consiglio per i laici e depositati in copia
presso i suoi archivi.
Dato in Vaticano il 26 dicembre 2010, festa della santa famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe.
STANISLAW card. RYLKO,
presidente del Pontificio consiglio per i laici
✠ JOSEF CLEMENS,
segretario
della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolas e padre
Josep M. Abella, superiore generale dei missionari claretiani.
Nonostante tutto questo, rimane ancora la lunga la
strada verso l’evangelizzazione del Giappone. Imploro
Kiko Argüello e tutti i membri del Cammino di portare
questo nel cuore.
Comprendo le ragioni per le quali il Cammino è stato
fondato. Ma credo che hanno avuto un notevole successo
nella formazione alla fede delle persone che sono state battezzate ma che hanno abbandonato il proprio credo.
Tuttavia devo portare l’accento sul fatto che la situazione
in un territorio di missione è differente.
Sento dire che gli appartenenti al Cammino sono
molto bravi con i malati e con i disabili. Vorrei che si occupassero di questo qui in Giappone. Mi aspetto inoltre
buoni frutti dal loro lavoro pastorale con i residenti di origine straniera.
Ma chiedo che riflettano e preghino con noi per discernere che cosa è necessario per l’evangelizzazione del
Giappone così com’è oggi.
✠ PETER TAKEO OKADA,
arcivescovo di Tokyo
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Il primo ordinariato
personale
per gli ex anglicani
Congregazione per la dottrina
della fede, vescovi cattolici,
Chiesa d’Inghilterra
Decreto di erezione
dell’ordinariato
Congregazione per la dottrina della fede
L’ordinariato personale di Nostra
Signora di Walsingham, l’inedita istituzione pensata «per i gruppi di anglicani e il loro pastori che desiderano
entrare in piena comunione con la
Chiesa cattolica», è il «primo frutto
della costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, pubblicata da papa Benedetto XVI» nel 2009, secondo le parole
del card. William Levada, prefetto
della Congregazione per la dottrina
della fede (CDF). È stato eretto nel territorio della Conferenza dei vescovi
cattolici d’Inghilterra e Galles il 15
gennaio 2011 con decreto della CDF, il
dicastero vaticano al quale la nuova
struttura sarà soggetta. Lo stesso giorno a Londra sono stati ri-ordinati sacerdoti tre ex vescovi anglicani, usciti
dalla loro Chiesa d’Inghilterra, che
dovranno accompagnare la formazione di alcuni gruppi di fedeli verso la riconfermazione, a Pasqua; uno dei tre
ex vescovi, Keith Newton, è stato nominato da Benedetto XVI «ordinario»
dell’ordinariato. Le difficoltà pratiche
e le questioni legali che la nascita della
nuova istituzione in territorio britannico suscita, in ambito sia cattolico sia
anglicano, sono state negli stessi giorni chiarite dalle due Chiese nazionali.
Stampa (26.1.2011) da siti web www.catholicew.co.uk, www.indcatholicnews.com e www.churchofengland.org. Nostre traduzioni dall’inglese.
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M
essaggio per l’ordinazione
dei primi sacerdoti
Miei cari fratelli e sorelle in Cristo,
l’ordinazione al sacerdozio dei nostri tre fratelli
Andrew Burnham, John Broadhurst e Keith Newton è
un’occasione di grande gioia sia per loro sia per tutta la
Chiesa. Avrei desiderato essere presente insieme a voi
oggi nella cattedrale di Westminster per dimostrare loro
il mio personale sostegno nel momento in cui compiono
questo passo importante. Sfortunatamente tuttavia un
precedente impegno della Congregazione per la dottrina della fede con i vescovi e i teologi indiani a Bangalore
ha comportato per me l’impossibilità di essere presente
oggi a Londra. Sono perciò molto lieto di avere l’opportunità di inviare questo messaggio e sono grato all’arcivescovo Nichols per aver accettato di rappresentarmi e
per la sua disponibilità a porgervi i miei migliori auguri.
La Congregazione per la dottrina della fede ha pubblicato oggi un decreto che erige il primo ordinariato
personale per i gruppi di anglicani e i loro pastori che
desiderano entrare in piena comunione con la Chiesa
cattolica. Questo nuovo ordinariato, istituito nel territorio di Inghilterra e Galles, sarà noto come ordinariato
personale di Nostra Signora di Walsingham e sarà posto
sotto il patronato del beato John Henry Newman. La
sua istituzione, che segna un momento unico e storico
nella vita della comunità cattolica di questo paese, è il
primo frutto della costituzione apostolica Anglicanorum
coetibus, pubblicata da papa Benedetto XVI il 4 novembre 2009. Nutro la fervida speranza che, attuando quello che il santo padre chiama un «reciproco scambio di
doni dai nostri rispettivi patrimoni spirituali» (Regno-
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cumenismo
doc. 17,2010,536), l’ordinariato di Nostra Signora di
Walsingham sarà fonte di grandi benedizioni non solo
su quanti vi sono direttamente implicati, ma su tutta la
Chiesa.
In questo stesso giorno il santo padre ha nominato il
rev. Keith Newton primo ordinario di questo ordinariato personale. Insieme al rev. Burnham e al rev.
Broadhurst, Keith Newton supervisionerà la prepara-
zione catechetica dei primi gruppi di anglicani in
Inghilterra e Galles che saranno accolti nella Chiesa cattolica insieme ai loro pastori a Pasqua, e accompagnerà
il clero che si prepara per l’ordinazione al sacerdozio
cattolico intorno a Pentecoste. Prego voi tutti di assistere il nuovo ordinario nella missione unica che gli è stata
affidata, non solo con le vostre preghiere ma anche con
ogni sostegno pratico.
L’arcivescovo di Westminster: in piena comunione
S
ono stati ri-ordinati preti nella cattedrale cattolica di Westminster, il 15 gennaio, i primi tre ex vescovi anglicani che
hanno deciso di lasciare la Chiesa d’Inghilterra per aderire al nuovo
ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham, eretto con
decreto della Congregazione per la dottrina della fede lo stesso
giorno. Sono John Broadhurst, sposato, quattro figli, già vescovo di
Fulham e presidente dell’associazione anglo-cattolica Forward in
faith; Andrew Burnham, sposato, due figli, già vescovo di Ebbsfleet
e «vescovo volante» (incaricato cioè della cura pastorale dei fedeli
anglicani che non hanno accettato l’ordinazione sacerdotale delle
donne); e Keith Newton, sposato, tre figli, già vescovo di Richborough e «vescovo volante». Quest’ultimo lo stesso giorno dell’ordinazione sacerdotale è stato nominato da Benedetto XVI primo
ordinario dell’ordinariato personale. Pubblichiamo in una nostra
traduzione dall’inglese l’omelia tenuta nell’occasione da mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster (www.catholic-ew.org.uk).
Molte ordinazioni hanno avuto luogo in questa cattedrale nel
corso dei 100 anni della sua storia. Ma nessuna come questa. Oggi è
un’occasione unica che segna un nuovo passo nella vita e nella storia della Chiesa cattolica. Questa mattina abbiamo ascoltato l’annuncio dell’istituzione del primo ordinariato personale in base alla
costituzione apostolica Anglicanorum coetibus. Perciò saluto John
Broadhurst, Andrew Burnham e Keith Newton, che sono i primi presbiteri dell’ordinariato di Nostra Signora di Walsingham. Offro le mie
preghiere e faccio i migliori auguri, in particolare a Keith, che è stato
scelto dal santo padre come suo primo ordinario. È un momento veramente storico.
In queste parole di apertura vi do un cordiale benvenuto, Keith,
Andrew e John. Avete un passato brillante, pieno di grandi realizzazioni. Ora avete davanti un futuro importante ed esigente! Dandovi
il benvenuto, riconosco pienamente le domande del cammino che
avete fatto insieme con le vostre famiglie, con i suoi molti anni di riflessione e preghiera, i dolorosi malintesi, conflitti e incertezze. Voglio riconoscere, in particolare, la vostra grande dedizione come
presbiteri e vescovi della Chiesa d’Inghilterra e affermare la fecondità
del vostro ministero.
Ringrazio le numerose persone della Chiesa d’Inghilterra che
hanno riconosciuto la vostra sincerità e integrità in questo cammino,
vi hanno assicurato le loro preghiere e fatto i migliori auguri. Anzitutto e soprattutto Rowan, arcivescovo di Canterbury, con la sua caratteristica visione e generosità di cuore e di spirito.
Naturalmente questo cammino comporta un po’ anche una dolorosa separazione degli amici. Riconosco anche questo che rafforza
il calore del nostro benvenuto.
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Fu ovviamente John Henry Newman a parlare con commozione di
questa «dolorosa separazione degli amici». Ringraziamo il nostro santo
padre papa Benedetto non solo per aver posto questo ordinariato sotto
la protezione di Nostra Signora di Walsingham, ma anche per avergli dato
come patrono il beato John Newman.
A settembre, a Lambeth Palace, il papa Benedetto ha detto: «Nella
figura di John Henry Newman, che sarà beatificato domenica, celebriamo
un uomo di Chiesa la cui visione ecclesiale fu alimentata dal suo retroterra anglicano e maturò durante i suoi lunghi anni di ministero ordinato
nella Chiesa d’Inghilterra. Egli ci può insegnare le virtù che l’ecumenismo
esige: da una parte egli fu mosso dal seguire la propria coscienza, anche
con un pesante costo personale; dall’altra, il calore della continua amicizia con i suoi precedenti colleghi, lo portò a sondare insieme a loro, con
vero spirito irenico, le questioni sulle quali divergevano, mosso da una ricerca profonda dell’unità nella fede» (Regno-doc. 17,2010,528).
Poi, parlando a Roma il 20 dicembre, papa Benedetto è tornato a
riflettere sul card. Newman, dicendo fra l’altro queste parole, molto importanti per noi oggi: «Il cammino delle conversioni di Newman è un
cammino della coscienza – un cammino non della soggettività che si
afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la verità che
passo passo si apriva a lui. La sua terza conversione, quella al cattolicesimo, esigeva da lui di abbandonare quasi tutto ciò che gli era caro e
prezioso: i suoi averi e la sua professione, il suo grado accademico, i legami familiari e molti amici. La rinuncia che l’obbedienza verso la verità,
la sua coscienza, gli chiedeva, andava ancora oltre. Newman era stato
sempre consapevole di avere una missione per l’Inghilterra. Ma nella
teologia cattolica del suo tempo, la sua voce a stento poteva essere
udita…Nel gennaio del 1863 scrisse nel suo diario queste frasi sconvolgenti: “Come protestante, la mia religione mi sembrava misera, non però
la mia vita. E ora, da cattolico, la mia vita è misera, non però la mia religione”. Non era ancora arrivata l’ora della sua efficacia. Nell’umiltà e nel
buio dell’obbedienza, egli dovette aspettare fino a che il suo messaggio fosse utilizzato e compreso. Per poter asserire l’identità fra il concetto che Newman aveva della coscienza e la moderna comprensione
soggettiva di essa, si ama fare riferimento alla sua parola secondo cui
egli – nel caso in cui avesse dovuto fare un brindisi – avrebbe brindato
prima alla coscienza e poi al papa. Ma in quest’affermazione “coscienza”
non significa l’ultima obbligatorietà dell’intuizione soggettiva. È espressione dell’accessibilità e della forza vincolante della verità: in ciò si fonda
il suo primato. Al papa può essere dedicato il secondo brindisi, perché
è compito suo esigere l’obbedienza nei confronti della verità» (Regnodoc. 1,2011,11).
Oggi noi ringraziamo il santo padre per la coraggiosa guida che offre
all’istituzione del primo ordinariato personale. Le sue intenzioni sono
chiare. Si tratta, come ha affermato, di un «gesto profetico». Esso deve
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In conclusione porgo a questi tre preti cattolici i miei
personali e più sentiti auguri. Prego che Dio doni la sua
abbondante benedizione a loro e a tutti gli altri chierici
e fedeli che si stanno preparando a unirsi a loro nella
piena comunione con la Chiesa cattolica. Nel clima
d’incertezza che ogni periodo di transizione inevitabilmente comporta, desidero assicurare a tutti voi la nostra
ammirazione e la nostra solidarietà e preghiera.
contribuire allo scopo più ampio dell’unità visibile fra le nostre due
Chiese, aiutandoci a riconoscere in pratica quanto i nostri patrimoni
di fede e di vita possono rafforzarci nella nostra missione oggi. A
Oscott, il santo padre ha detto a noi vescovi: «Esso (l’ordinariato) ci
aiuta a volgere lo sguardo allo scopo ultimo di ogni attività ecumenica: la restaurazione della piena comunione ecclesiale, nel contesto della quale il reciproco scambio di doni dai nostri rispettivi
patrimoni spirituali serve da arricchimento per noi tutti» (Regno-doc.
17,2010,536).
Oggi l’unità visibile della Chiesa occupa un posto centrale nei
nostri pensieri. In realtà, essa non fu mai lontana dal cuore di san
Paolo, come scrive nella sua lettera agli Efesini e, un po’ prima, in
quella ai Filippesi. Il suo appello è deciso: credere in Cristo come Signore, condividere lo stesso Spirito, rendere culto all’unico Dio e
Padre crea un’unità che deve essere continuamente servita con la
pratica dell’umiltà, della gentilezza, della pazienza e dell’amore. Nella
lettera ai Filippesi è ancor più esplicito riguardo agli atteggiamenti e
ai comportamenti che minacciano questa unità: egoistica aspirazione
al potere; ricerca dell’approvazione o del prestigio personale; esaltazione dell’io in uno spirito di competizione, tutto questo ci allontana «dai sentimenti di Gesù Cristo» (cf. Fil 2,1-5).
La storia dimostra che Paolo ha ragione. Questi comportamenti
sbagliati segnano profondamente la nostra storia. E oggi trovano
espressione anche nella vita di ciascuno di noi. Chiediamo quindi
perdono per le nostre mancanze e cerchiamo di rinnovare in noi i
sentimenti di Gesù Cristo.
La ricerca dell’unità visibile della Chiesa rimane un imperativo.
In essa il ruolo del successore di Pietro è cruciale. Il papa Benedetto
così lo esprimeva nell’abbazia di Westminster: «La fedeltà alla parola
di Dio, proprio perché è una parola vera, richiede da noi un’obbedienza che ci conduce insieme a una comprensione più profonda
della volontà del Signore, un’obbedienza che deve essere libera da
conformismo intellettuale o facile adeguamento allo spirito del
tempo. È questa parola di incoraggiamento che io desidero lasciarvi
questa sera e lo faccio in fedeltà al mio ministero come vescovo di
Roma e successore di san Pietro, incaricato in modo particolare dell’unità del gregge di Cristo» (Abbazia di Westminster, 18 settembre
2010).
Il ministero del papa a favore dell’unità visibile della Chiesa è
centrale per la fede della Chiesa cattolica. È centrale per la fede di
coloro che entrano in piena comunione in questo ordinariato. È centrale per il benvenuto, l’incoraggiamento e il sostegno che la comunità cattolica in Inghilterra e Galles dà a questo processo e a tutti
coloro che vogliono farne parte.
Nella sua lettera agli Efesini, san Paolo parla della varietà dei doni
elargiti alla comunità dei credenti. Pur riconoscendo questa varietà,
in questa celebrazione eucaristica incentriamo la nostra attenzione,
in particolare, sul dono del sacerdozio ordinato nella Chiesa catto-
Nel corso di un’udienza concessami da papa
Benedetto XVI il 14 gennaio 2011, sua santità mi ha
chiesto di esprimervi che egli imparte di cuore la sua apostolica benedizione sugli ordinandi Andrew Burnham,
John Broadhurst e Keith Newton, insieme alle loro mogli
e familiari, e su tutti gli altri che hanno partecipato a questo rito solenne.
Affidandovi con fiducia all’intercessione di Nostra
lica. È un sacerdozio che deriva la sua forma, il suo scopo, la sua esperienza dalla croce di Cristo, la grande croce sopra di noi, alla quale si riferì con parole commoventi il papa Benedetto. Attraverso questo
sacerdozio ordinato, l’unico e medesimo sacrificio di Cristo si rende presente sull’altare e viene nuovamente offerto all’eterno Padre. Si rende
presente come il sacramento della nostra salvezza. Questa messa, ogni
messa, è al tempo stesso la preghiera di Cristo e la preghiera del corpo
di Cristo, del suo popolo. Attraverso di essa, Cristo costituisce nuovamente, ogni giorno, la Chiesa, in se stesso e nella sua unità visibile, nella
parola. Questa è l’opera del presbitero – la costituzione quotidiana della
Chiesa – ed è un dono e servizio inestimabile per il quale ringraziamo
continuamente Dio. A questo unico sacrificio noi portiamo i nostri piccoli sacrifici, le perdite e sofferenze derivanti dalla sconfitta e dal peccato, dalla ricerca della verità e dell’amore, dal trascorrere del tempo.
Tutto viene offerto al Padre nell’unico sacrificio di lode perché diventi
per noi un mezzo di salvezza.
Abbiamo appena ascoltato, dal Vangelo di Giovanni, il racconto dell’apparizione di Cristo risorto ai suoi discepoli. In quel momento egli
portò a loro i frutti della sua vittoria sulla morte: il perdono dei peccati
e il dono della pace. Anche qui veniamo rinviati al compito del presbitero: pronunciare con fiducia il perdono di Dio e riportare la pace in
un’anima turbata e in un mondo sconvolto.
Oggi diamo il benvenuto ai nostri tre presbiteri in questo ministero.
Ma dobbiamo prestare attenzione alle parole del Vangelo. Cristo risorto accompagna l’offerta di questi doni con un gesto eloquente: mostra ai suoi discepoli le mani e il costato. Mostra loro le sue ferite. La
missione che ricevono, la missione della riconciliazione, viene dalle ferite
di Cristo. È questa la missione che condividiamo e in ogni messa torniamo a fissare lo sguardo sul corpo ferito, lacerato del Signore risorto.
La nostra missione è caratterizzata da questa condizione ferita: missione
a un mondo ferito; missione affidata a una Chiesa ferita, svolta da discepoli feriti. Noi ci occupiamo delle ferite del peccato. Ma, pur essendo
stati noi a causarle, le ferite di Cristo sono anche la nostra consolazione
e la nostra forza.
La prima a testimoniare queste ferite, la prima, forse, a comprendere il loro vero significato, fu Maria, madre di Gesù. Ritta ai piedi della
croce, ella vide infliggerle. Accogliendo il suo corpo morto, il sangue che
sgorgava dalle stesse deve averne macchiato le vesti. Ora Maria volge il
suo sguardo a questi nuovi presbiteri dall’altro lato del crocifisso che è
sopra di me. Maria tiene sempre davanti a noi il suo Figlio, presentandocelo come la nostra speranza e salvezza. In nessun’altra immagine lo fa
con più grazia ed eleganza di quest’immagine di Nostra Signora di Walsingham. Mentre nasce questo ordinariato, il suo ordinariato, noi possiamo affidare a lei il compito di portarlo a compimento.
Nostra Signora di Walsingham, prega per noi. Beato John Henry
Newman, prega per noi. Amen.
✠ VINCENT NICHOLS
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Signora di Walsingham, e all’intercessione dei grandi
santi e martiri d’Inghilterra e Galles, rimango
vostro in Cristo
WILLIAM card. LEVADA,
prefetto della Congregazione per la dottrina della fede
D
ecreto
La legge suprema della Chiesa è la salvezza delle
anime. Per questo, nel corso della storia, la Chiesa ha
sempre trovato i mezzi pastorali e giuridici per prendersi cura del bene dei fedeli.
Con la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, promulgata il 4 novembre 2009, il santo padre,
papa Benedetto XVI, ha deciso l’istituzione di ordinariati personali grazie ai quali i fedeli anglicani possano
entrare, anche corporativamente, nella piena comunione con la Chiesa cattolica.1 Lo stesso giorno la
Congregazione per la dottrina della fede pubblicava
delle Norme complementari relative a tali ordinariati.2
In conformità con quanto tabilito nell’art. I § 1 e § 2
della costituzione apostolica Anglicanorum coetibus,
avendo ricevuto richieste da un numero considerevole di
fedeli anglicani e dopo essersi consultata con la Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles, la Congregazione per la dottrina della fede
erige
l’ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham
nel territorio della Conferenza episcopale d’Inghilterra e
Galles.
1. L’ordinariato personale di Nostra Signora di
Walsingham ipso iure possiede personalità giuridica ed è
giuridicamente equivalente a una diocesi.3 È formato
dai fedeli, di ogni categoria e stato di vita, che originariamente appartenenti alla Comunione anglicana sono
ora in piena comunione con la Chiesa cattolica, oppure
hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione nella giurisdizione dell’ordinariato stesso,4 o che sono stati accolti
in esso perché fanno parte di una famiglia che appartiene all’ordinariato.5
2. I fedeli dell’ordinariato personale di Nostra
Signora di Walsingham sono affidati alla cura pastorale
dell’ordinario personale che, una volta nominato dal
pontefice romano,6 possiede tutte le facoltà ed è tenuto
a tutti gli obblighi specificati nella costituzione apostolica Anglicanorum coetibus e nelle Norme complementari,7
così come nelle questioni determinate successivamente
dalla Congregazione per la dottrina della fede su richiesta sia dell’ordinario, sentito il Consiglio di governo dell’ordinariato, sia della Conferenza episcopale
d’Inghilterra e Galles.
3. I fedeli anglicani che desiderano essere accolti
nella piena comunione con la Chiesa cattolica attraverso l’ordinariato devono manifestare questa volontà per
iscritto.8 Per questi fedeli è previsto un programma di
formazione catechetica di una durata congrua e con un
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contenuto individuato dall’ordinario in accordo con la
Congergazione per la dottrina della fede, in modo tale
che i fedeli possano aderire pienamente al contenuto
dottrinale del Catechismo della Chiesa cattolica9 e quindi
pronunciare la professione di fede.
4. Per i candidati all’ordinazione, che in precedenza
erano ministri della Comunione anglicana, ci sarà uno
specifico programma di formazione teologica e di preparazione spirituale e pastorale prima dell’ordinazione
nella Chiesa cattolica, secondo quanto sarà stabilito dall’ordinario in accordo con la Congregazione per la dottrina della fede e in consultazione con la Conferenza
episcopale d’Inghilterra e Galles.
5. Perché un chierico non incardinato nell’ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham possa
assistere al matrimonio di fedeli appartenenti all’ordinariato dovrà riceverne la facoltà dall’ordinario o dal
pastore della parrocchia personale alla quale i fedeli
appartengono.10
6. L’ordinario è membro di diritto della Conferenza
episcopale d’Inghilterra e Galles, con voto deliberativo
nei casi in cui sia previsto dal diritto.11
7. Un chierico proveniente dalla Comunione anglicana e che sia già stato ordinato nella Chiesa cattolica e
incardinato in una diocesi può essere incardinato nell’ordinariato in accordo con la norma del can. 267 del
Codice di diritto canonico.
8. Finché l’ordinariato personale di Nostra Signora
di Walsingham non abbia costituito il proprio tribunale,
i casi giudiziali dei suoi fedeli sono rinviati al tribunale
della diocesi in cui una delle parti abbia domicilio,
tenendo comunque conto dei diversi titoli di competenza stabiliti nei cann. 1408-1414 e 1673 del Codice di
diritto canonico.12
9. I fedeli dell’ordinariato personale di Nostra
Signora di Walsingham che si trovano temporaneamente o permanentemente fuori del territorio della
Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles, pur rimanendo membri dell’ordinariato, sono obbligati alla legge
universale e alle leggi particolari del territorio nel quale
si trovano.13
10. Se un fedele si trasferisce stabilmente in un luogo
dove sia stato eretto un altro ordinariato personale può,
su propria richiesta, essere accolto in esso. Il nuovo ordinario è tenuto a informare l’ordinariato personale di
provenienza dell’avvenuta accettazione. Se un fedele
desidera lasciare l’ordinariato deve rendere nota tale
decisione al suo ordinario. In tal caso diventa automaticamente membro della diocesi nella quale risiede, e l’ordinario si assicurerà che il vescovo diocesano ne sia
informato.
11. L’ordinario, avendo presente la Ratio fundamentalis instutionis sacerdotalis e il Programma per la formazione sacerdotale della Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles, preparerà un Programma per la formazione sacerdotale per i seminaristi dell’ordinariato, che
dovrà essere approvato dalla sede apostolica.14
12. L’ordinario garantirà che siano stesi gli statuti
del Consiglio di governo e del consiglio pastorale, che
sono soggetti alla sua approvazione.15
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13. L’ubicazione della chiesa principale dell’ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham sarà
determinata dall’ordinario d’accordo con la
Congregazione per la dottrina della fede e in consultazione con la Conferenza episcopale d’Inghilterra e
Galles. Analogamente sarà determinata nello stesso
modo la sede dell’ordinariato, nella quale si conserverà
il registro cui si fa riferimento nell’art. 5 § 1 delle Norme
complementari.
14. L’ordinariato personale di Nostra Signora di
Walsingham ha come patrono il beato John Henry
Newman.
Nonostante ogni cosa contraria.
Roma, dagli uffici della Congregazione per la dottrina
della fede, 15 gennaio 2011.
WILLIAM card. LEVADA,
prefetto
✠ LUIS F. LADARIA,
segretario
Domande e risposte
Conferenza dei vescovi cattolici
d’Inghilterra e Galles
Introduzione
Il 15 gennaio 2011, se non prima, la Congregazione
per la dottrina della fede dovrebbe pubblicare un decreto con il quale si costituirà formalmente un «ordinariato
personale» in Inghilterra e Galles (in seguito, «l’ordinariato») per gruppi di fedeli anglicani e loro ministri ordinati che desiderano entrare in piena comunione con la
Chiesa cattolica.
La costituzione di questo ordinariato sarà il primo
frutto della costituzione apostolica Anglicanorum coetibus, emanata dal papa Benedetto XVI il 4 novembre
2009 (Regno-doc. 21,2009,705ss). La costituzione e le
Norme complementari pubblicate dalla Congregazione
per la dottrina della fede contengono le norme essenziali che permetteranno ai membri dell’ordinariato di preservare nella Chiesa cattolica quegli elementi della preghiera ecclesiale, della liturgia e della pratica pastorale
1 Cf. Acta apostolicae sedis (AAS) 101 (2009), 985-990; Regno-doc.
21,2009,705.
2 Cf. L’Osservatore romano 9-10.11.2009,7; edizione settimanale in
inglese 11.11.2009,4; Regno-doc. 21,2009,707.
3 Cf. Codice di diritto canonico (CIC) can. 372 § 2; BENEDETTO XVI,
cost. ap. Anglicanorum coetibus, 4.11.2009, art. I § 3; Regno-doc.
21,2009,706.
4 Cf. BENEDETTO XVI, Anglicanorum coetibus, art. I § 4; Regno-doc.
21,2009,706.
5 Cf. Norme complementari, art. 5 § 1; Regno-doc. 21,2009,708.
6 Cf. BENEDETTO XVI, Anglicanorum coetibus, art. IV; Regno-doc.
21,2009,706; Norme complementari, art. 4 § 1; Regno-doc. 21,2009,708.
7 Cf. BENEDETTO XVI, Anglicanorum coetibus, art. VI § 4; Regnodoc. 21,2009,706; Norme complementari, art. 5 § 2; Regno-doc.
21,2009,708.
anglicane (patrimonio) che concordano con l’insegnamento cattolico e che hanno formato e alimentato la
loro vita e fede cristiana.
Si prevede la costituzione di altri ordinariati in altre
parti del mondo, per rispondere al desiderio di quelle
comunità anglicane che intendono, in un modo analogo, entrare in comunione con il successore di Pietro.
Trattandosi di una nuova struttura in seno alla
Chiesa cattolica, si porranno certamente molte domande sull’ordinariato. Ecco alcune delle più frequenti.
Perché il papa Benedetto XVI ha emanato
la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus?
Quando ha pubblicato la Anglicanorum coetibus, il
santo padre ha affermato di rispondere alle richieste
ricevute «più volte e insistentemente» da gruppi di anglicani che desideravano «di essere ricevuti, anche corporativamente, nella piena comunione cattolica» (Regnodoc. 21,2009,705).
Perciò lo scorso settembre, durante il suo discorso ai
vescovi cattolici di Inghilterra e Galles a Oscott, papa
Benedetto si premurò di sottolineare che la costituzione
apostolica doveva essere considerata «un gesto profetico
che può contribuire positivamente allo sviluppo delle
relazioni fra anglicani e cattolici. Ci aiuta a volgere lo
sguardo allo scopo ultimo di ogni attività ecumenica: la
restaurazione della piena comunione ecclesiale, nel contesto della quale il reciproco scambio di doni dai nostri
rispettivi patrimoni spirituali serve da arricchimento per
tutti noi» (Regno-doc. 17,2010,536).
In questo modo, la costituzione dell’ordinariato mira
chiaramente a servire lo scopo più ampio e immutabile
della piena comunione visibile fra la Chiesa cattolica e i
membri della Comunione anglicana.
I membri dell’Ordinariato
continueranno a essere anglicani?
No. I membri dell’ordinariato saranno cattolici. Essi
decidono di lasciare la Comunione anglicana e di entrare
nella Chiesa cattolica, in piena comunione con il papa.
Lo scopo centrale della Anglicanorum coetibus è
quello di «mantenere vive all’interno della Chiesa cattolica le tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali della
Comunione anglicana, quale dono prezioso per alimentare la fede dei suoi membri e ricchezza da condividere»
(Regno-doc. 21,2009,706).
I membri dell’ordinariato porteranno con loro, nella
8 Cf. BENEDETTO XVI, Anglicanorum coetibus, art. IX; Regno-doc.
21,2009,706.
9 Cf. BENEDETTO XVI, Anglicanorum coetibus, art. I § 5; Regno-doc.
21,2009,706.
10 Cf. CIC cann. 1110-1111.
11 Cf. Norme complementari, art. 2 § 2; Regno-doc. 21,2009,707.
12 Cf. BENEDETTO XVI, Anglicanorum coetibus, art. XII; Regno-doc.
21,2009,707.
13 Cf. CIC can. 13 § 3.
14 Cf. Norme complementari, art. 10 § 3; Regno-doc. 21,2009,709s.
Cf. anche BENDETTO XVI, Anglicanorum coetibus, art. VI § 2; Regno-doc.
21,2009,708.
15 Cf. Norme complementari, art. 12 § 1; Regno-doc. 21,2009,711.
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piena comunione con la Chiesa cattolica in tutta la sua
diversità e ricchezza di riti liturgici e tradizioni, alcuni
aspetti del loro proprio patrimonio e cultura anglicani.
Si riconosce che l’espressione «patrimonio anglicano» è
difficile da definire, ma dovrebbe comprendere molti
degli scritti spirituali, preghiere, inni e pratiche pastorali specifici della tradizione anglicana che hanno sostenuto la fede e l’aspirazione di molti fedeli anglicani a quell’unità per la quale Cristo ha pregato.
Perciò l’ordinariato consentirà un reciproco arricchimento e scambio di doni, in una forma autentica e visibile di comunione piena, fra i battezzati e allevati nell’anglicanesimo e la Chiesa cattolica.
Ora tutti gli anglicani che desiderano diventare
cattolici devono essere membri dell’ordinariato?
No. Qualsiasi persona precedentemente anglicana
che desidera essere ricevuta nella piena comunione della
Chiesa cattolica può farlo senza diventare un membro
registrato dell’ordinariato.
Come già affermato, l’ordinariato è stato costituito
essenzialmente per gruppi di fedeli anglicani e loro ministri ordinati che desiderano conservare, come membri
della Chiesa cattolica, in seno alla vita ecclesiale canonicamente approvata e strutturata dell’ordinariato, quegli
aspetti della loro tradizione spirituale, liturgica e pastorale anglicana che sono riconosciuti autentici dalla
Chiesa cattolica.
Che cos’è allora l’ordinariato?
L’ordinariato sarà una specifica giurisdizione ecclesiastica, simile a una diocesi e guidata dal proprio «ordinario»
(cf. sotto), vescovo o presbitero. Tuttavia, diversamente
dalla diocesi, avrà una base «personale» piuttosto che «territoriale», per cui, ovunque si trovi in Inghilterra e Galles,
il membro dell’ordinariato sarà, in primo luogo, sotto la
giurisdizione ecclesiale dello stesso e non della diocesi in cui
risiede.
L’ordinariato sarà formato da laici, chierici e religiosi
che erano in precedenza membri della Comunione anglicana. In seguito alla ricezione nella piena comunione della
Chiesa cattolica, i laici e i religiosi diventeranno membri
I vescovi dell’Essex: nulla ostacoli la nostra amicizia
I
l 14 gennaio, cioè il giorno prima della ri-ordinazione dei tre
ex vescovi e della nascita del primo ordinariato personale
per gli ex anglicani, il vescovo cattolico e quello anglicano della
regione dell’Essex e dell’East London hanno inviato una lettera
congiunta al clero riguardo all’ordinariato. Eccola in una nostra
traduzione dall’inglese (www.dioceseofbrentwood.net).
Cari amici in Cristo,
come vescovi incaricati di mantenere l’unità della Chiesa di
Dio sulla terra, siamo dolorosamente consapevoli delle divisioni
che ancora ostacolano l’unità che Cristo desidera ardentemente
e per la quale ha sparso il suo sangue. Non si tratta solo di unità
in seno alla Chiesa – anche se noi desideriamo di tutto cuore
che si manifesti – ma di unità di tutto il popolo di Dio e fra tutte
le famiglie delle nazioni.
La Chiesa è chiamata in modo specifico a testimoniare quest’unità ed è sempre motivo di preoccupazione se essa è minacciata o danneggiata. Secondo alcuni, l’introduzione della
costituzione apostolica Anglicanorum coetibus (ordinariato personale in Inghilterra e Galles) può costituire una sfida del genere.
Noi non lo crediamo. Riconosciamo che in entrambe le nostre
comunità vi sono stati momenti nei quali individui e gruppi
hanno ritenuto giusto passare da una comunità all’altra.
Attualmente nella Chiesa d’Inghilterra vi sono alcuni preti e
fedeli che credono, per ragioni di coscienza, di poter proseguire
meglio il loro cammino cristiano nella comunità cattolica romana. Noi rendiamo grazie per il loro contributo alla vita della
Chiesa d’Inghilterra e preghiamo per la nuova vita che condurranno e per i doni che porteranno alla Chiesa cattolica. Ma l’introduzione dell’ordinariato non ci spaventa e distoglie in alcun
modo dal perseguimento del fine ultimo di quell’unità visibile
nella Chiesa per la quale Cristo ha pregato e che è condivisa da
tutto il popolo cristiano. E non pensiamo neppure che sia utile
se, nell’introduzione dell’ordinariato, c’è confusione fra le di-
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verse identità delle comunità che celebrano il culto. Perciò ci
aspettiamo che le parrocchie nell’ordinariato s’incontrino e celebrino nel contesto della loro chiesa cattolica romana locale e
formino una nuova parte distinta della testimonianza di quella
comunità. Così nella parrocchia che hanno lasciato continuerà la
celebrazione del culto e la testimonianza della Chiesa d’Inghilterra.
In definitiva, noi speriamo che questi sviluppi ci avvicinino
maggiormente. Durante la sua visita nel Regno Unito in settembre, sua santità il papa Benedetto XVI si è premurato di sottolineare che l’ordinariato «… dovrebbe essere considerato un gesto
profetico che può contribuire positivamente allo sviluppo delle
relazioni fra anglicani e cattolici. Ci aiuta a volgere lo sguardo
allo scopo ultimo di ogni attività ecumenica: la restaurazione
della piena comunione ecclesiale, nel contesto della quale il reciproco scambio di doni dei nostri rispettivi patrimoni spirituali
serve da arricchimento per tutti noi» (Discorso ai vescovi cattolici; Regno-doc. 17,2010,536).
Anche l’arcivescovo di Canterbury ha sottolineato il suo sostegno a una stretta collaborazione fra la Chiesa d’Inghilterra e
la Chiesa cattolica romana mentre nasce l’ordinariato.
Perciò anche noi cogliamo questa opportunità per rinnovare il nostro impegno a lavorare insieme per la causa del Vangelo nell’Essex e nell’East London e sollecitiamo i preti e le
persone in seno alla Chiesa d’Inghilterra che stanno considerando la loro adesione all’ordinariato – pensiamo che si tratti di
cinque o sei gruppi – di contattarci in modo che, durante questo periodo di transizione, nulla appaia anche lontanamente in
grado di ostacolare la nostra amicizia, unità e missione.
✠ STEPHEN COTTRELL,
vescovo (anglicano) di Chelmsford
✠ THOMAS MCMAHON,
vescovo (cattolico) di Brentwood
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dell’ordinariato mediante l’iscrizione in un registro;
mediante l’ordinazione come presbiteri e diaconi, i chierici verranno direttamente incardinati nell’ordinariato (cioè
sottoposti alla sua giurisdizione).
L’ordinario dell’ordinariato
sarà come un vescovo diocesano?
Ogni vescovo diocesano è l’ordinario della sua diocesi
(ordinario non nel significato comune o normale del termine, ma nel suo significato ecclesiastico, indicante una persona che esercita un potere e ha giurisdizione in forza dell’ufficio che detiene). Il potere che esercita il vescovo diocesano è ordinario (relativo al suo ufficio di vescovo diocesano), proprio (esercitato in nome proprio, non in forma
vicaria) e diretto (rivolto a tutti nel territorio della sua diocesi).
Il potere esercitato dall’ordinario dell’ordinariato sarà
ordinario (relativo all’ufficio specifico che gli è affidato),
vicario (esercitato in nome del romano pontefice) e personale (rivolto a tutti coloro che appartengono all’ordinariato).
Avendo in base al diritto canonico autorità e responsabilità simili a un vescovo diocesano, l’ordinario dell’ordinariato (in seguito semplicemente «l’ordinario») sarà quindi ex officio membro della Conferenza dei vescovi cattolici
d’Inghilterra e Galles. Come membro della Conferenza,
l’ordinario, al pari di un vescovo diocesano, parteciperà a
pieno titolo alle sue discussioni e decisioni. L’ordinario
eserciterà una responsabilità collegiale per la traduzione in
pratica delle risoluzioni votate dalla Conferenza in seno
alla vita dell’ordinariato, esattamente come il vescovo diocesano fa nella sua diocesi.
Come ai vescovi diocesani, anche all’ordinario sarà
chiesto di fare visita a Roma ogni cinque anni (visita tradizionalmente chiamata ad limina apostolorum – alla soglia
degli apostoli) e presentare una relazione sullo stato dell’ordinariato al papa attraverso la Congregazione per la
dottrina della fede, in consultazione con la Congregazione
per i vescovi.
Chi sarà l’ordinario dell’ordinariato?
L’ordinario dell’ordinariato deve essere un vescovo o
un presbitero, nominato direttamente dal papa Benedetto
XVI. Tutti i successivi ordinari saranno nominati dal
romano pontefice scegliendo da una terna (lista di tre
nomi) presentata dal Consiglio di governo dell’ordinariato
(cf. sotto).
Tuttavia un vescovo o presbitero anglicano sposato che
è stato in seguito ordinato presbitero cattolico non può
essere consacrato vescovo cattolico, quando la moglie è
ancora in vita.
Come sarà governato l’ordinariato?
L’ordinariato avrà un Consiglio di governo composto
da almeno sei presbiteri, presieduto dall’ordinario. La
metà dei membri è eletta dai presbiteri dell’ordinariato.
L’ordinariato deve avere anche un Consiglio pastorale per
la consultazione dei laici e un Consiglio per gli affari economici.
Secondo il diritto canonico il Consiglio di governo avrà
gli stessi diritti e doveri del Collegio dei consultori e del
Collegio presbiterale nel governo di una diocesi. Ma diversamente dal vescovo diocesano, e per rispetto per la tradizione sinodale dell’anglicanesimo, l’ordinario dovrà avere
il consenso del Consiglio di governo dell’ordinariato per:
ammettere un candidato agli ordini sacri; erigere o sopprimere una parrocchia personale; erigere o sopprimere una
casa di formazione; approvare un programma formativo.
L’ordinario deve consultare il Consiglio di governo
anche riguardo alle attività pastorali dell’ordinariato e ai
principi che presiedono alla formazione dei chierici.
Il Consiglio di governo avrà voto deliberativo: per formare la terna di nomi da inviare alla Santa Sede per la
nomina dell’ordinario; nell’elaborare le proposte di cambiamento delle Norme complementari dell’ordinariato da
presentare alla Santa Sede; nella redazione degli statuti del
Consiglio di governo, degli statuti del Consiglio pastorale e
del regolamento delle case di formazione.
L’ordinariato avrà parrocchie e decanati?
L’ordinariato avrà parrocchie nelle diocesi dove ha
gruppi di membri, ma saranno parrocchie «personali» e
non «territoriali» come una parrocchia diocesana.
L’appartenenza a una parrocchia diocesana deriva dal
fatto di vivere entro i confini territoriali definiti di quella
parrocchia; per essere membro di una parrocchia «personale» nell’ordinariato una persona deve essere membro del
gruppo per il quale è stata stabilita quella parrocchia, cioè
una persona già anglicana che è membro di, o è entrata a
far parte di, un gruppo specifico in seno all’ordinariato.
Dopo essersi consultato con la Conferenza dei vescovi
d’Inghilterra e Galles e aver ottenuto il consenso del
Consiglio di governo, l’ordinario può erigere decanati territoriali per una serie di parrocchie personali, sotto la
supervisione di un delegato dell’ordinario.
Chi si prenderà cura
delle parrocchie dell’ordinariato?
Le parrocchie dell’ordinariato saranno servite da presbiteri dell’ordinariato, nominati dall’ordinario. Possono
essere coadiuvati da un vicario parrocchiale (viceparroco)
e/o da un diacono. Nelle parrocchie saranno costituiti
anche il consiglio pastorale e il consiglio degli affari economici. Il clero diocesano e i religiosi, con il consenso del loro
vescovo diocesano o superiore religioso, possono collaborare alla cura pastorale dell’ordinariato sotto la supervisione dell’ordinario, se e quando si ritiene appropriato.
Similmente anche i chierici incardinati nell’ordinariato
dovrebbero essere disponibili a collaborare alla cura pastorale dei fedeli della diocesi del luogo.
Quale liturgia celebreranno
i membri dell’ordinariato?
L’ordinariato non sarà una Chiesa rituale, non sarà
cioè definito in primo luogo dai riti liturgici che usa. I
membri dell’ordinariato possono usare, oltre al Rito romano, alcuni dei riti liturgici della tradizione anglicana che
sono stati adattati e approvati dalla Santa Sede.
Si prevede che a tempo debito gli ordinariati sparsi nel
mondo promulgheranno riti adatti (Riti per la celebrazione dei sacramenti, Ufficio divino, ecc.). Tuttavia, facendo
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parte a pieno titolo della Chiesa cattolica latina (distinta
dalla Chiesa cattolica bizantina, maronita, caldea ecc.),
l’ordinariato sarà sempre in grado di usare il Rito romano.
Quali chiese userà l’ordinariato?
Poiché i precedenti luoghi di culto usati dai chierici e
dai gruppi che formeranno l’ordinariato sono di proprietà
della Chiesa d’Inghilterra, è improbabile che i membri
dell’Ordinariato possano continuare a usarli. Perciò in
molti casi le congregazioni dell’ordinariato useranno probabilmente la chiesa locale della diocesi cattolica per la
celebrazione dell’eucaristia e delle altre liturgie. In alcuni
luoghi può essere messa a disposizione una chiesa diocesana che non è più necessaria per soddisfare i bisogni della
comunità parrocchiale locale; queste chiese potrebbero
essere adatte al soddisfacimento dei bisogni dell’ordinariato. Essenzialmente le necessità di ogni gruppo appartenente all’ordinariato saranno attentamente valutate dall’ordinario, il quale troverà le soluzioni pastorali più adatte in
collaborazione con il vescovo diocesano del luogo.
Qualsiasi cattolico potrà partecipare
all’eucaristia celebrata in una parrocchia
dell’ordinariato o presieduta da un presbitero
dell’ordinariato?
Sì. Qualsiasi cattolico, membro dell’ordinariato o
membro di una diocesi, può partecipare all’eucaristia, alla
comunione e alle altre liturgie di una parrocchia dell’ordinariato o presiedute da un presbitero dell’ordinariato. Ma
non verrà registrato come membro dell’ordinariato e resterà sotto la giurisdizione ordinaria del vescovo diocesano
dove risiede.
Similmente i membri registrati dell’ordinariato possono
partecipare liberamente all’eucaristia, alla comunione e
alle altre liturgie di qualsiasi parrocchia diocesana, ma
restano sotto la giurisdizione ordinaria dell’ordinariato.
Come sarà finanziato l’ordinariato?
L’ordinariato, come ogni diocesi, deve sostenere finanziariamente i suoi presbiteri, sia quando sono attivamente
impegnati nel ministero sia quando escono dal ministero
pubblico. Come una diocesi, avrà bisogno di programmare per procurarsi una stabile base finanziaria e poter
rispondere alle necessità pastorali. Come ogni diocesi in
Inghilterra e Galles dipende dai contributi che ogni parrocchia riceve dalle collette domenicali per finanziare non
solo la gestione e manutenzione delle parrocchie, ma
anche i suoi servizi centrali, così sarà anche per l’ordinariato.
Come alcune diocesi hanno buone riserve finanziarie,
investimenti e dotazioni, così anche nel caso dell’ordinariato è già stato stabilito un fondo per permettergli di
cominciare a lavorare dal giorno della sua costituzione. I
vescovi cattolici di Inghilterra e Galles hanno già destinato
250.000 sterline al fondo e hanno chiesto ad altre istituzioni benefiche di dare un contributo.
Nelle aree in cui si costituiranno molto probabilmente
dei gruppi, le diocesi cattoliche locali stanno già cercando
alloggi per i presbiteri che presteranno servizio nell’ordinariato e si preparano a fornire ogni possibile aiuto concreto,
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ad esempio messa a disposizione di chiese, utilizzazione dei
servizi della curia diocesana, assistenza nel reperimento di
ruoli stipendiati nelle cappellanie ecc.
Quando avverrà tutto questo?
L’erezione formale dell’ordinariato avverrà con la pubblicazione di un decreto da parte della Congregazione per
la dottrina della fede e l’annuncio del nome del primo ordinario nominato dal santo padre. Il 1° gennaio 2011 sono
stati ricevuti nella piena comunione della Chiesa cattolica
tre vescovi già anglicani, insieme con alcuni membri delle
loro famiglie, e tre religiose già anglicane. Con il permesso
della Santa Sede, i tre vescovi saranno ordinati presbiteri
cattolici il 15 gennaio 2011. A tempo debito saranno ricevuti nella piena comunione della Chiesa cattolica, procedendo alla loro ordinazione come presbiteri cattolici, altri
due vescovi anglicani in pensione.
All’inizio della quaresima (nel 2011 il mercoledì delle
Ceneri cade il 9 marzo), verranno registrati come candidati all’ordinariato vari gruppi di fedeli già anglicani insieme
con i loro presbiteri. Allora, in una data da concordare fra
l’ordinario e il vescovo diocesano locale, essi saranno ricevuti nella Chiesa cattolica e cresimati. Questo avverrà probabilmente o durante la settimana santa, alla celebrazione
eucaristica dell’ultima cena, il Giovedì santo, o durante la
veglia pasquale. Il periodo di formazione per i fedeli e i loro
pastori continuerà fino a Pentecoste.
Attorno a Pentecoste, i presbiteri già anglicani le cui
domande di ordinazione saranno accettate dalla
Congregazione per la dottrina della fede a Roma saranno
ordinati al presbiterato cattolico. La loro ordinazione al
diaconato avverrà durante il tempo pasquale. La formazione di questi presbiteri nella teologia cattolica e nella pratica pastorale continuerà per un adeguato periodo di
tempo dopo la loro ordinazione.
Perché i presbiteri per l’ordinariato vengono
ordinati così in fretta e senza l’osservanza
del normale periodo di preparazione?
Un aspetto fondamentale dell’erezione dell’ordinariato
da parte del papa Benedetto XVI è il fatto che esso permette a gruppi di già anglicani e ai loro presbiteri di restare insieme. Questa è una novità, perché precedentemente
i presbiteri anglicani che chiedevano l’ordinazione nella
Chiesa cattolica venivano separati dalle loro comunità,
anche nel caso in cui alcuni membri di quelle comunità
diventassero cattolici. Per assicurare questo nuovo aspetto
occorre una diversa tabella di marcia. Per questo, le ordinazioni dei primi presbiteri per l’ordinariato avverranno
mentre la loro formazione è ancora in corso per permettere loro di servire le loro comunità in piena comunione con
la Chiesa cattolica. Le ordinazioni dei vescovi già anglicani avvengono in questo momento con l’espressa autorizzazione del santo padre in modo che essi possano giocare un
ruolo fin dalle prime fasi dello sviluppo dell’ordinariato.
Conclusione
Le decisioni prese da quei presbiteri e fedeli anglicani di
lasciare la Chiesa d’Inghilterra e cercare la piena comunione con la Chiesa cattolica sono state il frutto di molte
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preghiere e di una lunga riflessione sul loro cammino spirituale personale e comunitario. Soffriranno sia coloro che
lasciano la Comunione anglicana sia coloro con i quali essi
hanno condiviso la vita ecclesiale. Perciò non deve diminuire il nostro impegno a lavorare e pregare per l’unità dei
cristiani.
L’erezione dell’ordinariato è qualcosa di nuovo, non
solo nella Chiesa cattolica in Inghilterra e Galles, ma anche
nella Chiesa universale. Come tale solleverà indubbiamente molte domande e molte sfide man mano che gli ordinariati verranno costituiti e si diffonderanno. Perciò è importante, soprattutto per coloro che costituiranno i primi
gruppi nell’ordinariato in Inghilterra e Galles, che il nostro
benvenuto sia caloroso e il nostro sostegno forte.
Pregate per tutti coloro che cercano di discernere il
cammino che il Signore li chiama a seguire, per coloro che
si preparano a essere ricevuti nella Chiesa cattolica e per
coloro che si preparano a iniziare il loro ministero di servizio al Signore come presbiteri cattolici, diaconi e religiosi.
p. MARCUS STOCK,
segretario generale della
Conferenza dei vescovi cattolici d’Inghilterra e Galles
Questioni legali
Chiesa d’Inghilterra
Le presenti domande e risposte sono state preparate
dagli ufficiali di cancelleria provinciali e dall’ufficio legale delle istituzioni ecclesiastiche nazionali per orientare i
vescovi diocesani e i loro assistenti.
Che cos’è l’ordinariato
L’ordinariato è una relazione di piena comunione con
il papa da parte di ex anglicani – sia ordinati sia laici – che
desiderano conservare il loro «patrimonio» anglicano sotto
l’egida di un ordinario nominato dal papa. Uno o più ordinariati possono essere costituiti nel territorio di una particolare conferenza dei vescovi cattolici romani.
L’ordinariato per l’Inghilterra e il Galles (noto come
«ordinariato personale di Nostra Signora di Walsingham»)
è stato costituito con decreto papale del 15 gennaio 2011.
In seguito alla costituzione dell’ordinariato, il suo ordinario
(il rev. Keith Newton) potrà creare delle parrocchie personali per i fedeli dell’ordinariato e nominare dei pastori.
Il clero e le comunità
come si uniranno all’ordinariato?
Gli orientamenti pubblicati in riferimento all’ordinariato sembrano prevedere che «gruppi di fedeli con i loro
pastori» vengano «iscritti come candidati per l’ordinariato». Quanti vogliono entrarvi saranno posti sotto la cura
spirituale di un vescovo cattolico romano in servizio, in
attesa della confermazione nella Chiesa cattolica romana.
Durante il periodo precedente alla confermazione, dal
punto di vista sacramentale saranno sotto il ministero del
clero cattolico romano locale secondo le istruzioni del relativo vescovo diocesano. Ciascuno dovrà essere personalmente accolto nella piena comunione con la Chiesa cattolica romana e (ri)confermato, probabilmente durante la
settimana santa o a Pasqua. Il successivo periodo di formazione come membri della Chiesa cattolica romana è previsto che duri fino a Pentecoste.
Quando verrà ordinato il clero ex anglicano?
I tre ex vescovi suffraganei che si sono dimessi dalla loro
sede con effetto a partire dal 31 dicembre sono stati
(ri)ordinati come preti il 15 gennaio. Altri due vescovi
anglicani emeriti saranno accolti e passeranno alla
(ri)ordinazione come preti a tempo debito. Si prevede che
nessuno sia (ri)ordinato come vescovo.
I chierici la cui richiesta di ordinazione è stata accettata potranno essere (ri)ordinati come diaconi durante il
periodo di Pasqua, e come preti «intorno a Pentecoste».
Quanti sono sposati necessiteranno di una dispensa speciale dal requisito canonico del celibato. Per questo potrà servire qualche tempo. Quanti non sono sposati dovranno
osservare il normale requisito del celibato sacerdotale in
vigore nella Chiesa romana.
È desiderabile che i chierici che lasciano la Chiesa
d’Inghilterra rinuncino agli ordini ai sensi del Clerical disabilities act del 1870. Se non si avvalgono della procedura
prevista da esso continueranno, secondo la legge inglese, a
essere soggetti alla stessa giurisdizione di ogni altro chierico nei sacri ordini della Chiesa d’Inghilterra e dunque alla
disciplina della Chiesa d’Inghilterra (incluso il dovere dell’obbedienza, cf. canone C 1.4) come a quella della Chiesa
cattolica romana. Alcuni tuttavia potrebbero essere dissuasi dall’avvalersi del Clerical disabilities act dai costi che l’esecuzione e la registrazione dell’atto legale comportano.
Sta a ciascun vescovo, il quale ritenga di raccomandare al
sacerdote di rinunciare agli ordini, di valutare se offrirgli
assistenza a questo proposito (per esempio pagando il proprio ufficiale di cancelleria o quello di un’altra diocesi per
la stesura dell’atto di rinuncia).
Gli edifici ecclesiastici
saranno trasferiti all’ordinariato?
No. Gli edifici e i parchi ecclesiastici continueranno ad
appartenere alla corporazione costituita dal titolare del
beneficio ecclesiastico (corporation sole), per i fini che la
Chiesa d’Inghilterra attribuisce a quel determinato ufficio.
Di conseguenza essi sono efficacemente posseduti a beneficio dell’insieme dei parrocchiani residenti nell’area o di
coloro i cui nomi sono registrati nelle liste elettorali della
parrocchia interessata. La canonica, anch’essa conferita
alla corporazione, costituisce patrimonio del beneficio ed è
a sua volta detenuta in funzione dei fini della Chiesa
d’Inghilterra. Una volta che un titolare, in procinto di
lasciare la Chiesa d’Inghilterra, si dimetta da esso, la
Chiesa e il parco e la canonica automaticamente cessano di
essergli conferiti, e il beneficio verrà confiscato, come sempre nei casi di vacanza.
Dove gli edifici parrocchiali e altre dimore non siano
conferiti al titolare del beneficio in quanto corporazione
personale, saranno affidati a trust caritativi per gli scopi
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della Chiesa d’Inghilterra. In molti casi essi passano alla
rispettiva autorità diocesana della Chiesa d’Inghilterra a
favore del consiglio parrocchiale o dell’amministratore
parrocchiale laico ai sensi rispettivamente del Provvedimento per i poteri dei Consigli pastorali, del 1956, o del
Provvedimento per la proprietà fiduciaria degli amministratori parrocchiali laici, del 1964. La circostanza che il
clero di una parrocchia o i membri del suo consiglio o i
fedeli abbiano lasciato la Chiesa d’Inghilterra per unirsi
all’ordinariato non cambierà il fatto che la proprietà fiduciaria (trust) è finalizzata agli scopi della Chiesa
d’Inghilterra.
Di conseguenza coloro che ne escono perderanno ogni
diritto a usare questi edifici, di cui godono come clero o
ufficiali parrocchiali della Chiesa d’Inghilterra. La possibilità per loro di usarli nel futuro dipenderà quindi (come nel
caso di qualsiasi altro potenziale fruitore) dal fatto che tale
uso sia coerente con le loro finalità costitutive e sia autorizzato da coloro che hanno titolo per amministrarli.
Nella misura in cui sia implicata una responsabilità
nella gestione o nel controllo della proprietà, il titolare di
un beneficio che lasci la Chiesa d’Inghilterra per unirsi
all’ordinariato naturalmente cesserà di avere qualsiasi
ruolo in relazione a qualsivoglia proprietà di beneficio. Le
norme previste dalla legge autorizzano altri, compreso il
vescovo diocesano, a esercitare varie funzioni in relazione
alla proprietà della corporazione laddove il beneficio sia
vacante, in attesa dell’istituzione o individuazione di un
nuovo ministro.
Nel caso di proprietà fiduciaria, i fiduciari che siano tali
ex officio (per esempio in virtù dell’incarico di ministro o di
amministratore parrocchiale) naturalmente perderanno
tale qualifica contestualmente alla perdita dell’incarico.
Nel caso di altri tipi di amministrazione fiduciaria, è un
principio giuridico generale che – anche se non richiesto
espressamente – dove un’istituzione benefica è costituita
per le finalità della Chiesa d’Inghilterra solo membri di tale
Chiesa possano agire come suoi fiduciari. Quindi coloro
che lasciano la Chiesa d’Inghilterra per unirsi alla Chiesa
cattolica romana non hanno più diritto a rimanere fiduciari di alcuna di tali istituzioni. Le situazioni di vacanza, che
la loro uscita crea, vengono ricoperte secondo le modalità
consuete da nuovi fiduciari membri della Chiesa
d’Inghilterra.
È possibile per le parrocchie dell’ordinariato
usare gli edifici ecclesiastici esistenti?
La Chiesa cattolica romana ha riconosciuto che «poiché i precedenti luoghi di culto usati dai chierici e dai gruppi che formeranno l’ordinariato sono di proprietà della
Chiesa d’Inghilterra, è improbabile che i membri
dell’Ordinariato possano continuare a usarli», e prosegue
affermando che «in molti casi le congregazioni dell’ordinariato useranno probabilmente la chiesa locale della diocesi
cattolica» (cf. qui a p. 124).
La legge consente che alcuni «edifici ecclesiastici» (tra
cui inter alia le sale parrocchiali) siano usati da una parrocchia dell’ordinariato sulla base di un accordo come prevede l’Atto di condivisione degli edifici ecclesiastici del
1969, dal momento che la Chiesa d’Inghilterra e quella
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cattolica romana sono tra le Chiese alle quali tale legge si
applica. Tuttavia vi sono ancora questioni legali irrisolte
sulla precisa applicazione dell’Atto del 1969 in questo contesto.
Per quanto riguarda la Chiesa d’Inghilterra l’Atto
richiede che il ministro e il consiglio parrocchiale (insieme
ad altri) debbano essere coinvolti in ogni accordo di condivisione, e che l’accordo debba avere il consenso del vescovo e della Commissione per la missione e la pastorale. (Un
accordo condiviso non può avere luogo in relazione a un
edificio ecclesiastico di una parrocchia nella quale il beneficio sia vacante, a meno che non sia in corso un periodo di
sospensione e per il beneficio sia stato nominato un sacerdote incaricato).
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, le parti in
causa per un accordo di condivisione sembrerebbero dover
essere determinate dal vescovo della diocesi cattolica romana nella quale è fisicamente ubicato l’edificio ecclesiastico
(piuttosto che dall’ordinario dell’ordinariato), e che sia
necessario il consenso della persona od organismo che il
vescovo cattolico specifichi (che potrebbe includere anche
l’ordinario). Tuttavia non è ancora chiara la posizione che
la Chiesa cattolica romana prenderà su questo punto.
Disposizioni per l’uso regolare di un edificio ecclesiastico da parte di una parrocchia dell’ordinariato possono
essere date o per mezzo di un accordo di autorizzazione
oppure in alternativa, nell’esercizio del potere conferito dal
Provvedimento (emendamento) pastorale del 2006, tramite locazione. Tale autorizzazione o locazione può essere
concessa solo se autorizzata per privilegio. Questo in effetti richiederebbe a sua volta, per quanto concerne la Chiesa
d’Inghilterra, l’accordo del ministro e del consiglio parrocchiale, che dovrebbe chiedere il privilegio. Ai sensi del
Canone B 43.9, prima di concedere un privilegio il tribunale ecclesiastico vorrebbe sicuramente la certezza che la
proposta goda dell’approvazione del vescovo.
L’uso di una Chiesa da parte di una parrocchia dell’ordinariato, più raramente, potrebbe non richiedere la concessione di un privilegio, ma ai sensi del Canone B 43.9
richiederebbe nondimeno l’approvazione scritta del vescovo, del consiglio parrocchiale e del ministro o parroco che
ha la cura pastorale delle anime della parrocchia (o, in caso
di vacanza, il decano rurale e, dove è in vigore un periodo
di sospensione, il prete incaricato).
Di qualsiasi meccanismo legale si proponga l’adozione, una valutazione delle relative questioni pastorali
dovrebbe sempre far parte di ogni proposta per l’uso di
un edificio ecclesiastico da parte di una parrocchia dell’ordinariato, tanto a livello di individui come di gruppi
all’interno delle comunità, e anche con riferimento alle
attese che nutre il più ampio insieme dei fedeli, nei cui
confronti la Chiesa d’Inghilterra ha un dovere legale e
pastorale. Ci potrebbero essere delle questioni particolari da valutare dove si fossero verificate all’interno della
parrocchia delle divisioni tra quanti volevano restare
nella Chiesa d’Inghilterra e quelli che volevano entrare
nella piena comunione con la Chiesa cattolica romana.
Un’attenta considerazione andrebbe riservata anche agli
accordi pratici rispetto all’uso condiviso (per esempio in
relazione all’accesso e all’assicurazione), con un’attenzio-
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ne particolare a ridurre la possibilità di futuri contrasti e
incomprensioni.
L’edificio ecclesiastico può essere dichiarato
in esubero se il prete e la parrocchia se ne vanno?
Il concetto di «esubero» è stato abolito alcuni anni fa
e sostituito con quello di chiesa «chiusa al culto pubblico regolare». Non ne consegue che una chiesa, che
abbia cessato di essere utilizzata da un numero significativo degli attuali parrocchiani per il loro passaggio
all’ordinariato, sia necessariamente destinata alla chiusura al culto pubblico regolare: nella maggior parte dei
casi è probabile che l’edificio ecclesiastico sia ancora
richiesto per l’utilizzo come Chiesa parrocchiale, per
quei parrocchiani che rimangono nella Chiesa
d’Inghilterra, per altri che vorranno celebrare lì nel futuro e per i fedeli in generale.
Potranno esservi casi nei quali, in conseguenza ai
passaggi sotto l’ordinariato, le chiese vengano destinate
alla chiusura al culto pubblico regolare; sono stati avanzati dei progetti sulla base del Provvedimento pastorale
del 1983 o della legislazione successiva. Se ne dovrà trattare caso per caso e valutarli nel merito: il processo
potrebbe non essere avviato, sulla base dell’avere come
fine previsto la cessione alla Chiesa cattolica romana.
Chi avrà cura dei parrocchiani
se il clero lascia la Chiesa d’Inghilterra?
Tra i suoi aspetti costitutivi, la Chiesa d’Inghilterra si
relaziona con i suoi «parrocchiani» piuttosto che semplicemente con i suoi «membri». Il suo ministero è aperto a tutti
quelli che si avvicinano, a prescindere dal fatto che siano
iscritti nelle liste elettorali. I suoi parrocchiani hanno il
diritto legale di sposarsi nelle sue chiese (soggetti ad alcune
limitate eccezioni relative al divorzio e a certe altre questioni) e di essere seppelliti nei suoi cimiteri, a meno che
non siano stati ufficialmente chiusi. I canoni predispongono un dettagliato regime, che impone a quanti sono incaricati della «cura d’anime» di battezzare, condurre i giovani al vescovo per la confermazione, sfruttare ogni occasione di insegnare nella scuola parrocchiale, visitare i malati e
i morenti e garantire la sostituzione perché il ministero sia
assicurato anche nel caso di una loro impossibilità (Canone
C 24).
Fino al momento in cui un prete incaricato della cura
d’anime non cessa dal suo ufficio, egli continua a essere
soggetto al requisito canonico di esercitare questo ministero personalmente o di provvedere che sia esercitato in sua
vece da un altro prete autorizzato (per esempio un curato).
L’inosservanza di questo requisito lo espone a un procedimento disciplinare per negligenza. In ogni caso però un
prete che abbia intenzione di entrare nell’ordinariato
dovrà considerare quanto a lungo, una volta presa la decisione, possa in coscienza continuare a detenere incarichi
nella Chiesa d’Inghilterra, alla luce della necessità di agire
con integrità nei confronti di entrambe le Chiese e di assolvere adeguatamente le proprie responsabilità per la cura
d’anime. Su questo senza dubbio si confronterà privatamente con il suo vescovo diocesano e con l’ordinario dell’ordinariato prima di qualunque dichiarazione pubblica.
Dal momento in cui un prete in cura d’anime si dimette, il vescovo come «pastore capo e ministro principale»
nella diocesi avrà il dovere legale di provvedere alla continuazione di questo ministero. Ha dunque il ruolo di prendere provvedimenti a questo scopo insieme ai suoi arcidiaconi, in collaborazione con i decani rurali e zonali e con
tutto il clero locale, per garantire la continuazione del
ministero durante quello che altrimenti potrebbe essere un
periodo di grande incertezza.
Qual è il significato di una decisione del consiglio
parrocchiale per la valutazione di un’adesione
all’ordinariato?
Eccetto il caso in cui singoli fedeli del consiglio parrocchiale si dimettano, e fino a quel momento, essi rimangono soggetti alle responsabilità legali che competono loro in
quanto membri di un’istituzione incaricata di promuovere
la missione della Chiesa d’Inghilterra nella parrocchia.
Quindi non hanno potere di occuparsi come membri del consiglio parrocchiale di questioni connesse con l’appartenenza
o gli affari interni di un’altra Chiesa. Perciò qualsiasi decisione approvata dal consiglio parrocchiale, che affermi un
impegno a valutare l’adesione all’ordinariato, non può
essere intesa che come un’espressione d’intenti da parte dei
suoi membri come singoli.
In aggiunta, qualsiasi decisione presa da un consiglio
parrocchiale (comprese quelle che riguardino l’uso o la
richiesta di fondi e proprietà) deve avere come base il riferimento agli interessi del consiglio parrocchiale come istituzione anglicana: diversamente si tratterebbe di un atto
illegittimo in quanto incongruente con i doveri dei membri
di un consiglio parrocchiale (compreso quello, in quanto
«fiduciari di un’istituzione benefica», di agire nel miglior
interesse della loro istituzione), e potrebbe esporli, tra l’altro, a un’inchiesta o un’azione da parte della Commissione
governativa per gli enti benefici.
Se i membri di un consiglio parrocchiale si dimettono
individualmente o collettivamente, i rispettivi ruoli saranno
temporaneamente vacanti, e verranno ricoperti nel modo
consueto ai sensi della regola 48 del Regolamento per la
rappresentanza ecclesiale.
Poiché il consiglio parrocchiale è una corporazione
secondo il diritto, continua a esistere anche se per un determinato periodo di tempo può non avere membri. Si tratta
di una realtà giuridica, non semplicemente di una «finzione giuridica»; tutti gli attivi e passivi del consiglio parrocchiale rimangono in essere a suo nome in attesa della
nomina di nuovi membri, a prescindere dal tempo che
occorrerà.
In base alla scansione cronologica data dall’arcivescovo
cattolico romano di Westminster nella guida per l’attuazione, la misura più semplice sarebbe quella di anticipare
la data del prossimo meeting parrocchiale annuale, in quei
casi che vedano le dimissioni di un numero significativo di
membri, in modo tale che il lavoro dell’organismo possa
continuare con la minor interruzione possibile. (La regola
6.1 del Regolamento per la rappresentanza ecclesiale
richiede che il meeting parrocchiale annuale si debba tenere non oltre il 30 aprile di ogni anno. Poiché il Regolamento non prescrive una data dopo la quale il meeting
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si debba tenere, si può programmare in qualsiasi momento tra il 1° gennaio e il 30 aprile).
Che cosa succede agli amministratori laici
se una parrocchia aderisce all’ordinariato?
Come il consiglio parrocchiale, così l’ufficio di amministratore parrocchiale laico continua anche quando gli individui che lo ricoprono si dimettono. La sezione 7 del
Provvedimento per gli amministratori laici del 2001 prescrive la procedura per le dimissioni degli amministratori
laici. Per dare le dimissioni l’amministratore deve fornire
comunicazione scritta delle sue intenzioni al vescovo per
posta. Le dimissioni hanno effetto, e l’ufficio risulta vacante, due mesi dopo che la comunicazione sia stata inoltrata
o in una data precedente che il vescovo voglia fissare, dopo
la consultazione del ministro e di ogni altro amministratore della parrocchia. Il Provvedimento prevede espressamente che non vi possano essere procedure alternative a
questa.
Se un amministratore si dimette, l’ufficio diventa temporaneamente vacante. La regola generale è che qualsiasi
persona scelta per ricoprire una vacanza temporanea
debba essere scelta nello stesso modo dell’amministratore
che va a sostituire (Provvedimento per gli amministratori
laici del 2001, sezione 4.8). Tuttavia se l’amministratore in
oggetto era stato incaricato dal ministro (invece che eletto
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il n. 2 il 1.2.2011.
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Registrazione del Tribunale di
Bologna N. 2237 del 24.10.1957.
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Che cosa succede alla scuola parrocchiale
se i membri del consiglio parrocchiale
aderiscono all’ordinariato?
Il titolo legale per le sedi della maggior parte delle scuole della Chiesa d’Inghilterra è conferito o al titolare del
beneficio e agli amministratori o all’autorità diocesana. Le
proprietà fiduciarie in cui esse sono di solito configurate
richiedono generalmente che l’educazione sia data coerentemente con gli scopi della Chiesa d’Inghilterra, e vi è una
relazione legale tra le scuole e il Consiglio scolastico diocesano, articolata nel Provvedimento per i Consigli scolastici
diocesani del 1991.
Gli organismi amministrativi delle scuole parrocchiali
prevederanno un certo numero di «amministratori di
garanzia», nominati al fine di garantire che sia preservato
e sviluppato il carattere religioso della scuola. Essi sono di
solito nominati o dal ministro, dagli amministratori laici o
dal consiglio parrocchiale (o da una determinata combinazione di essi), oppure dal Consiglio scolastico diocesano. Le
nomine degli amministratori di garanzia non saranno toccate dalle dimissioni di un prete o di membri del consiglio
parrocchiale o di amministratori laici che decidano di aderire all’ordinariato. Poiché le varie strutture parrocchiali
della Chiesa di’Inghilterra rimarranno in essere, ogni futuro amministratore di garanzia sarà nominato nello stesso
modo dei suoi predecessori.
Se qualche singolo amministratore di garanzia decide
di aderire all’ordinariato, questo non comporterà automaticamente la fine del suo mandato. Benché in determinate
circostanze un amministratore di garanzia possa essere
rimosso dal suo incarico dalla persona o dall’organismo
che lo ha nominato, quest’ultimo può non avere interesse
a esercitare questo potere, supponendo che esso sia esercitabile nelle circostanze particolari del caso (materia su cui
sarà opportuna una consulenza legale). Ma il dovere di
promuovere l’educazione cristiana coerentemente con gli
scopi della Chiesa d’Inghilterra continuerà come prima, e
toccherà a ogni singolo amministratore di garanzia nelle
circostanze specifiche decidere se la sua coscienza gli consente di continuare a rendere il suo servizio fino alla fine
del mandato, o se in coscienza dimettersi.
SEGUONO LE FIRME*
STAMPA
italia tipolitografia
dai parrocchiani) e il ministro non è più in carica, il nuovo
amministratore dev’essere eletto da un’assemblea di parrocchiani. Ancora, sarebbe consigliabile che tale assemblea
fosse convocata il prima possibile. Gli amministratori eletti a ricoprire posti temporaneamente vacanti devono
entrare in carica entro tre mesi dall’elezione o dalla data
del primo meeting annuale dei parrocchiani se è prima
(sezione 6.4). Dove dei posti temporaneamente vacanti si
creino e vengano poi coperti può essere necessario che i
nuovi amministratori siano riconosciuti separatamente a
nome del vescovo prima della consueta visita dell’arcidiacono in maggio o giugno.
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La famiglia di Enrico VIII (part.),
artista sconosciuto, 1545 circa;
Hampton Court Palace,
Regno Unito.
* Can. JOHN REES, ufficiale del registro della Provincia di Canterbury;
LIONEL LENNOX, ufficiale del registro della Provincia di York; STEPHEN
SLACK, capo consulente legale del Consiglio arcivescovile; rev. ALEXANDER
MCGREGOR, vice consulente legale del Consiglio arcivescovile.
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