Anno 18, numero 1 – gennaio-marzo 2013 CORP-1066312-0000-EMD-NL-12/2014 Poste italiane S.p.a. Sped. abb. postale - 70% - DCB - Roma Col oquia 1/13 Le patologie osteoarticolari 19 Lorem ipsum dolor sit amet 31 Un consistente dolore di massa 3 Focus Colloquia Anno 18 | N. 1 | gennaio-marzo 2013 Indice Via Vitorchiano 151 – 00189 Roma Tel 06 36 19 11 – Fax 06 36 380 311 www.univadis.it Numero verde 800 23 99 89 FOCUS LE PATOLOGIE OSTEOARTICOLARI Le malattie osteoarticolari: 3 uno sguardo al futuro Silvano Adami Osteoporosi: sotto-diagnosi e rischi di una mancata terapia Nicola Napoli Interruzione della terapia 7 in osteoporosi Sandro Giannini La gestione del dolore 9 muscolo-scheletrico Davide Gatti Il sistema scheletrico: 12 anche una questione di gravità Felice Strollo, Joan Vernikos Dalla parte del paziente: 16 la presa in carico globale Intervista a Gabriella Voltan a cura di Monica Ricci Osteoporosi e malattie dello scheletro. 19 Le principali associazioni italiane dei pazienti LA MEDICINA E LE ARTI Pazienti illustri 25 Introduzione di Francesco Fiorista SONDIAMO... IL TERRENO Servizi MSD 28 A cura di Fabrizio Caranci, Marco Miccinilli LA MSD SI RACCONTA Settimana dei disturbi osteoarticolari A cura di Simonetta Alunni 29 LE RUBRICHE SALUTE ED ECONOMIA di Federico Spandonaro I costi economici e sociali 22 delle malattie osteoarticolari A cura di Daniela d’Angela, Barbara Polistena SECONDO ME... di Giacomo Milillo La gestione del dolore osteoarticolare 20 in medicina generale A cura di Giacomo Milillo, Arrigo Lombardi A DIRE IL VERO di Tullio De Mauro 00000000000000 30 L’ULTIMA PAROLA di Giuseppe De Rita Un consistente dolore di massa 31 Periodico trimestrale riservato alla classe medica edito in collaborazione con 5 Ogni farmaco menzionato deve essere usato in accordo con il relativo riassunto delle caratteristiche del prodotto fornito dalla ditta produttrice. Anno 18 N. 1 – gennaio-marzo 2013 ISSN 1124-3805 Registrazione del Tribunale di Roma n. 244 del 16.05.1996 Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8 – 00138 Roma Tel 06 862 821 – Fax 06 862 82 250 Internet: www.pensiero.it Stampa: Arti Grafiche Tris, Roma – aprile 2013 Direttore responsabile: Giovanni Luca De Fiore Redazione: Manuela Baroncini Progetto grafico: Antonella Mion Prezzo: Fascicolo singolo €15,00 I contenuti pubblicati dalla rivista rispecchiano le opinioni degli Autori e non necessariamente quelle dell’Editore o della MSD Italia S.r.l. Contattando la redazione, è possibile richiedere le bibliografie relative ai singoli articoli. Le immagini: Jean Tinguely (1925-1991) In copertina: Kyoto X, 1987 Pag. 3 Clé du soleil, 1979 Pag. 5 Eos III, 1965 Pag. 7 Elément Détaché I, 1954 Pag. 9 Meta-Matic No. 6, 1959 Pag. 15 Méta-mécanique automobile, 1954 Antony Gormley (1950) Pag. 19 The Building VI sculpture, 2011 Pag. 20 Capacitor, 2001 Georg Baselitz (1938) Pag. 31 Untitled, 1982-3 L’Editore rimane a disposizione di quanti avessero a vantare ragioni sulla riproduzione delle immagini pubblicate. focus Le patologie osteoarticolari Le malattie osteoarticolari: uno sguardo al futuro La epidemiologia delle MOA non si riflette in un proporzionato sforzo nella ricerca medica e nelle risorse dedicate per la prevenzione e la terapia. Questa mancanza di attenzione da parte dei professionisti della salute e delle autorità sanitarie è probabilmente legata al fatto che nella loro larga maggioranza le MOA non condizionano in maniera importante l’attesa di vita e sono considerate una ineludibile conseguenza dell’invecchiamento. SILVANO ADAMI* Introduzione Le malattie osteoarticolari (MOA) includono una varietà di condizioni morbose di cui si occupa dal punto di vista della patologia e semantico la Reumatologia, ma che prevedono un ruolo cruciale dal punto di vista terapeutico di molti altri specialisti, ed in particolare di fisiatri e ortopedici. Le MOA sono la causa più comune di disabilità e deterioramento della qualità di vita. Sono quasi sempre associate a dolore e hanno un andamento cronico per cui la gestione di queste condizioni vede in realtà coinvolto in primo luogo il medico di medicina generale. Le MOA sono la causa più comune di dolore cronico e disabilità. Colpiscono centinaia di milioni di persone nel mondo di tutte le categorie sociali1. L’artrosi è la MOA più comune: è responsabile di dolore, rigidità, instabilità articolare e riduzione della mobilità articolare. Le sedi più colpite sono mani, anche e ginocchia. I trattamenti medici attuali hanno lo scopo di controllare i sintomi sino al ricorso ad interventi chirurgici di artroplastica ove è possibile intervenire con un ragionevole rapporto costoefficacia Il mal di schiena è la seconda causa di perdita di giornate lavorative con metà dei lavoratori che soffrono di almeno un episodio di dolore all’anno. Più dell’80% della popolazione dei paesi industrializzati soffrirà nell’arco della sua vita di mal di schiena. In quasi la metà dei sofferenti di mal di schiena la causa va ricercata in fattori occupazionali facilmente prevenibili!2 L’osteoporosi è una malattia legata ad una riduzione della massa ossea e ad un deterioramento della sua micro-struttura3 responsabile di aumento del rischio di frattura anche per traumi lievi. Le fratture osteoporotiche più comuni sono a carico dei corpi vertebrali, anche e polsi. La loro incidenza aumenta con l’avanzare dell’età. L’aumento progressivo dell’età media ha determinato un aumento esponenziale delle fratture e si stima oggi che più del 40% delle donne con una età oggi superiore a 50 anni andranno incontro ad una frattura osteoporotica severa nella loro vita4. L’artrite reumatoide ha una prevalenza di circa il 1%. È caratterizzata da infiammazione articolare ma anche di altri tessuti. L’evoluzione cronica specie se la malattia non è trattata adeguatamente, conduce spesso a severe deformità articolari che possono compromettere del tutto le capacità lavorative anche in soggetti giovani. Altre MOA infiammatorie comuni sono le artriti siero-negative con una prevalenza complessiva approssimativamente pari a quella della artrite reumatoide. In tutte queste condizioni l’attesa di vita è ridotta di parecchi anni, in relazione soprattutto all’aumentato rischio cardiovascolare. La epidemiologia delle MOA non si riflette in un proporzionato sforzo nella ricerca medica e nelle risorse dedicate per la prevenzione e la terapia. Questa mancanza di attenzione da parte dei professionisti della salute e delle autorità sanitarie è probabilmente legata al fatto che nella loro larga maggioranza le MOA non condizionano in maniera COLLOQUIA 3 Focus Le patologie osteoarticolari | Le malattie osteoarticolari: uno sguardo al futuro importante l’attesa di vita e sono considerate una ineludibile conseguenza dell’invecchiamento. I costi sanitari e sociali di queste condizioni sono tuttavia enormi. La sola artrosi costa circa il 3% del prodotto nazionale lordo di paesi sviluppati5 con un trend in crescita per l’aumento degli anziani e del sovrappeso o obesità, una delle cause più importanti di accelerazione della malattia. I progressi nella terapia medica delle malattie osteoarticolari Le risorse in genere dedicate dalle autorità sanitarie per la prevenzione e terapia delle MOA sono sproporzionatamente inferiori rispetto al loro impatto epidemiologico. Malgrado ciò i progressi fatti soprattutto nel campo terapeutico in questi ultimi anni sono stati enormi ed hanno condotto o stanno conducendo allo sviluppo di un gran numero di nuovi farmaci, in grado di modificare in maniera importante la gestione di molte MOA. I COXIBs La scoperta negli anni ‘90 della esistenza di due cicloossigenasi (COX), responsabili della sintesi in loco di prostaglandine, ha aperto la via allo sviluppo di farmaci in grado di bloccare solo l’enzima espresso prevalentemente nei siti di flogosi (la COX2) ma non la COX1 responsabile anche della sintesi delle prostaglandine protettive dell’apparato gastro-intestinale. Lo sviluppo di questi farmaci ha avuto uno stop inatteso quando fu scoperto che potevano aumentare il rischio di eventi cardio-vascolari. Ricerche successive particolarmente opportune, hanno documentato che ciò può accadere con qualsiasi altro FANS. Tutto ciò ha condotto ad una utile rivisitazione delle regole d’uso di questi farmaci (sia FANS che Coxib) con un impatto sulla salute probabilmente molto superiore a quanto si tenda a pensare. Va anche sottolineato che oggi, grazie ai Coxibs, è possibile trattare dolore ed infiammazione anche in soggetti con un rischio di malattie gastro-intestinali severo. I “Biologici”: mab e inib La scoperta del ruolo svolto da singole citochine nei processi infiammatori specie per le MOA ha consentito lo sviluppo di farmaci in grado di bloccare queste citochine. I più comuni di questi inibitori sono anticorpi monoclonali neutralizzanti, per cui il loro nome termina invariabilmente con il suffisso “mab”. Questi nuovi farmaci si caratterizzano per l’impressionante accuratezza del loro target d’azione e rappresentano probabilmente la più grande novità terapeutica terapeutica (anche in altri settori come l’oncologia) della prima decade del XXI secolo. La seconda decade del secolo rimarrà probabilmente legata allo sviluppo di specifici inibitori “downstreem” dell’effetto delle citochine. Ogni citochina interagendo col suo recettore di membrana attiva a cascata una serie di enzimi citoplasmatici molto specifici, responsabili di specifiche attivazioni genomiche. La conoscenza di questi attivatori enzimatici sta conducendo allo sviluppo di specifici inibitori in grado di fornire una selettività d’azione pari ai vari “mabs”. Il nome di questi inibitori terminerà sempre con “inib”. 4 COLLOQUIA Nuovi e vecchi farmaci per l’osteoporosi Lo sviluppo dei bisfosfonati ha rappresentato negli anni ‘90 la prima possibilità concreta di trattamento dell’osteoporosi e di una serie di altre malattie dello scheletro. A distanza di 20 anni dalla loro introduzione, questi farmaci rimangono quelli di prima scelta con il profilo di rapporto vantaggi/svantaggi e di costi/benefici più favorevoli. Sorprendentemente le ricerche su questi farmaci non si sono mai arrestate e ciò ha condotto alla scoperta di nuove attività farmacologiche ed alla identificazione e quantificazione di avventi avversi ma anche di nuove indicazioni come ad esempio l’algodistrofia o la osteogenesi imperfetta. Due nuovi farmaci sono stati sviluppati negli ultimi 10 anni: il denosumab e teriparatide. Il prima rientra nella categoria dei biologici (termina infatti con “mab”) ed è il più potente inibitore del riassorbimento osseo oggi disponibile. Teriparatide ha un effetto anabolizzante sull’osso. Bisfosfonati con denosumab da un lato e teriparatide dall’altro determinano un effetto sul tessuto osseo inevitabilmente limitato, per cui, ad esempio, la riduzione del riassorbimento osseo si associa dopo poco a inibizione anche della neoformazione e vice-versa. Questo limite sarà sicuramente superato dall’arrivo di odanacatib, un inibitore specifico della catepsina K in grado di inibire la distruzione ossea senza nel contempo bloccarne la neofronmazione. Conclusioni Le MOA rappresentano la causa più comune di morbilità, disabilità e deterioramento della qualità di vita tra adultianziani nel mondo sviluppato. Una attenta politica di prevenzione potrebbe avere un positivo impatto anche in termini di costi sociali ed economici. Malgrado le limitate risorse economiche dedicate a queste patologie, gli ultimi anni hanno visto svilupparsi e nascere una seri di farmaci in grado di modificare il decorso e la prognosi di alcune di queste malattie. Bibliografia 1. Murray JL, Lopez AD, eds. The global burden of disease: a comprehensive assessment of mortality and disability from diseases, injuries and risk factor in 1990 and projected to 2020. Geneva: WHO, 1996. 2. The consensus document. The Bone and Joint Decade 2000-2010. Inaugural Meeting 17 and 18 April 1998, Lund, Sweden. Acta Orthop Scand 1998; 69 (Suppl 281): 67-86. 3. Consensus Development Conference. Diagnosis, prophylaxis and treatment of osteoporosis. Am J Med 1993; 94: 64650. 4. World Health Organization. Assessment of osteoporosis at the primary health care level. Summary Report of a WHO Scientific Group. Geneva: WHO, 2007. 5. United States Bone and Joint Decade: The Burden of Musculoskeletal Diseases in the United States. Rosemont, IL: American Academy of Orthopaedic Surgeons, 2008. *Facoltà di Medicina e Chirurgia, Sezione di Reumatologia, Università degli Studi di Verona. focus Le patologie osteoarticolari Osteoporosi: sotto-diagnosi e rischi di una mancata terapia Una diagnosi precoce delle deformità vertebrali può essere importante per prevenire un’ulteriore progressione della malattia onde evitare, previo trattamento del paziente, l’estensione del processo patologico ad altri corpi vertebrali. NICOLA NAPOLI* L’ osteoporosi rappresenta un disordine scheletrico caratterizzato da una compromissione della resistenza ossea che predispone un individuo ad un aumentato rischio di fratture. La perdita di massa ossea inizia gradualmente già nella terza decade di età in entrambi i sessi, per subire una drastica riduzione al momento della menopausa nelle donne. Negli uomini tale processo è più graduale seppur presente per poi subire una riduzione significativa alla VII decade di età. Tale processo, contrariamente a quanto ritenuto è determinato dalla perdita di estrogeni, condividendo con il sesso femminile lo stesso meccanismo fisiopatologico seppur ad una età e con una gravità diversa. All’età di 80 anni, l’ammontare della perdita ossea è all’incirca del 40% sia a livello dell’osso corticale che di quello trabecolare. Nell’uomo, la perdita ossea è di minore entità (20%-30%) ma in VIII decade la perdita di osso tra i due sessi è simile. Una frattura vertebrale consiste in un’alterazione nella forma e nelle dimensioni del corpo vertebrale. Una deformazione viene definita frattura se il soma vertebrale presenta una riduzione d’altezza superiore al 20% escludendo in tale classificazione le deformità congenite e quelle degenerative. Le fratture vertebrali rappresentano uno stadio avanzato di osteoporosi e spesso la diagnosi coincide con l’instaurazione di un trattamento medico chirurgico. In Europa, nel 2000, il numero delle fratture osteoporotiche venne stimato a 3,79 milioni. Tale numero, proporzionalmente aumentato negli ultimi anni per via dell’invecchiamento dell’età e al momento la International Osteoporosis Foundation stima che oltre il 40% delle donne europee dopo i 60 anni soffre o soffrirà di fratture vertebrali. Le fratture vertebrali sono le più comuni tra le fratture e la loro incidenza è circa 3 volte più alta di quella delle fratture di femore. La storia personale di fratture è uno dei principali fattori di rischio per successive fratture, infatti la comparsa di una frattura vertebrale aumenta il rischio di nuove fratture vertebrali di 5 volte e aumenta significativamente il rischio di fratture di femore, coste e omero. In particolare il valore predittivo di una frattura vertebrale su un adi femore è di gran lunga maggiore al valore di Tscore >2,5. Mentre la diagnosi di osteoporosi mediante DEXA risulta spesso dirimente, captare fratture vertebrali non diagnosticate gioca un ruolo ancora più importante. Infatti Le fratture vertebrali sono spesso asintomatiche e solo il 30% vengono diagnosticate. La sintomatologia cronica e non sempre specifica, come detto, le rende spesso misconosciute e solo in un 1/3 dei casi i pazienti affetti si recano dal medico per una sintomatologia attribuibile a tale evento patologico. Tuttavia, ancora più grave, la diagnosi è spesso misconosciuta anche quando il paziente esegue una RX della colonna o una laterale del torace che rappresentano comunque, un valido strumento di diagnosi, spesso trascurato. Al momento non esistono linee guida che raccomandino lo screening nella popolazione di età avanzata anche mediante una semplice radiografia della colonna vertebrale (costi elevati, considerazioni legate al rischio da esposizione alle radiazioni) e COLLOQUIA 5 Focus Le patologie osteoarticolari | Osteoporosi: sotto-diagnosi e rischi di una mancata terapia molte fratture rimangono non diagnosticate. Una strategia potenzialmente utile potrebbe essere quella di analizzare esami radiografici eseguiti per altri motivi, come ad esempio la RM o la radiografia del torace e valutare l’eventuale presenza di lesioni vertebrali da osteoporosi. La proiezione latero-laterale della radiografia del torace permette di individuare le deformazioni vertebrali da osteoporosi, quali deformazioni a cuneo, a lente biconcava e crolli vertebrali nel tratto dorsale del rachide. Due studi in particolare hanno dimostrato questo primato: Majumdar ha valutato su 500 pazienti ultrasessantenni screenati in pronto soccorso la frattura vertebrale era riportata solo nel 43% dei casi mentre solo nel 25% dei quali il paziente aveva ricevuto una corretta diagnosi ed era stato adeguatamente trattato. Un altro studio, sempre basato su una seconda valutazione di RX torace dimostrava che su un campione di 1000 pazienti circa, il 14% presentava una diagnosi di fratture vertebrali che però erano state indicate nel referto solo in circa la metà dei casi. Uno studio italiano ha invece preso in considerazione le radiografie della colonna regolarmente richieste dai centri specialistici per la diagnosi e cura dell’osteoporosi e hanno studiato attraverso una ri-valutazione dei radiogrammi da parte di un radiologo esperto la reale prevalenza delle fratture vertebrali. Tale studio dimostrava che il 55,5% delle fratture vertebrali riscontrate dopo una seconda analisi non erano state indicate nel primo referto. Sono state dunque studiate varie tecniche di screening sia qualitative che quantitative per far diagnosi di fratture vertebrali ma ad oggi non è disponibile un approccio ideale. La tecnica semiquantitativa di Genant rimane ancora la più usata ma le tecniche quantitative, per quanto di più difficile esecuzione tecnica garantiscono una migliore sensibilità con un livello di concordanza in studi italiani pari a un K di 0,83. Altre tecniche, tra cui il WOD r AHD basati su criteri antropometrici sono stati proposti ma al momento sono meno usati. Bisogna ricordare che le fratture vertebrali sono causa di dolore cronico, riducendo la qualità della vita e limitando le attività della vita quotidiana. 6 COLLOQUIA Di fatto, specie in età geriatria sono una delle cause principali di disabilità, incremento del numero di visite mediche perdita della propria autonomia e dunque di aumentata fragilità. In particolare, è stata osservata un forte deterioramento della qualità di vita, con una notevole associazione (OR=4,1) tra deformità e deterioramento fisico. Dolore lombare, cifoscoliosi, debolezza della muscolatura paravertebrale e limitata flessibilità del rachide sono alla base della suddetta inabilità. Tutto ciò in soggetti che soffrono di una ridotta riserva funzionale determina un aumentato rischio anche di mortalità ad un anno del 23%. il rischio relativo di decesso secondario a frattura di femore è stato stimato essere 6-7 volte maggiore dopo una frattura vertebrale. Cauley et al. hanno dimostrato un aumento del tasso di mortalità dopo una frattura di femore successiva ad una frattura vertebrale in un gruppo di pazienti di età avanzata supportando l’evidenza di un eccesso di mortalità successivo a tali fratture. Perciò, una diagnosi precoce delle deformità vertebrali può essere importante per prevenire un’ulteriore progressione della malattia onde evitare, previo trattamento del paziente, l’estensione del processo patologico ad altri corpi vertebrali. Sebbene da ormai venti anni siano disponibili terapie efficaci in grado di ridurre drasticamente la comparsa di nuove fratture e varie campagne di screening e di sensibilizzazione al problema siano state portate avanti sia da società scientifiche che dai singoli ministeri della salute, al momento attuale l’ osteoporosi e le fratture vertebrali rimangono di fatto delle patologie poco diagnosticate e poco trattate, o seguite da un trattamento inadeguato successivo al loro occasionale riscontro. Ne è prova uno studio italiano che ha dimostrato che tra le donne con diagnosi di deformazioni vertebrali, solo il 35% ha ricevuto la prescrizione di un trattamento medico adeguato per l’osteoporosi, suggerendo una bassa considerazione della patologia nell’ambito medico. Solo il 9% delle pazienti ha iniziato terapia con bifosfonati dopo la diagnosi di fratture vertebrali. Inoltre, per quanto riguarda la compliance al trattamento, tutte le pazienti hanno riferito un’incostante assunzione alla terapia. Tali risultati hanno portato a dubitare sulla validità dell’adesione alla terapia medica e le relative linee guida. Inoltre tale studio ha evinto una scarsa chiarezza offerta dai medici ai pazienti sui rischi delle fratture e degli obiettivi del trattamento per l’osteoporosi Le linee guida internazionali sull’osteoporosi indicano che dopo la diagnosi di fratture vertebrali correlate all’osteoporosi, deve essere intrapreso il trattamento farmacologico con bisfosfonati, prediligendo quelli come l’alendronato che hanno dimostrato una chiara efficacia, superiore al 50%, nel ridurre il rischio di fratture vertebrali e non vertebrali. Gli eventi avversi con tale terapia, studiata fino a 10 anni, sono rari e diversi position papers stilati da varie società scientifiche ne hanno documentato la sicurezza ma, soprattutto, la necessità da parte dei pazienti a rischio, di utilizzare tali farmaci anche per molto tempo. Come dimostrato da vari studi, le visite di follow up, anche telefoniche, andrebbero incoraggiate, contribuendo ad aumentare la aderenza del paziente alla terapia, rispondere ad eventuali dubbi e, in definitiva, a d assicurare un corretto trattamento terapeutico. In conclusione, Le fratture su base osteoporotica hanno importanti ripercussioni sulla salute pubblica, ed aumentano significativamente la mortalità dei pazienti affetti. Evidenze cliniche dimostrano una scarsa considerazione da parte del personale sanitario per la diagnosi di osteoporosi e delle fratture ed un inadeguato trattamento medico rispetto alle linee guida stabilite in ambito internazionale. Per queste ragioni è decisivo il ruolo svolto dai clinici e dai radiologi, nel riconoscere e trattare i pazienti affetti da fratture, per evitare l’ulteriore progressione di malattia. Un corretto approccio medico ai pazienti con diagnosi di osteoporosi è mandatorio nell’obiettivo di migliorare la qualità di vita delle pazienti e di ridurre i costi della malattia. *Università Campus Biomedico, Roma. focus Le patologie osteoarticolari Interruzione della terapia in osteoporosi Una opportuna conoscenza dei dati di efficacia a lungo termine e delle condizioni che rendono necessario continuare il trattamento o, al contrario, rendono sicura una sua momentanea interruzione, sono aspetto di grande importanza nel processo decisionale che riguarda il paziente a rischio di frattura SANDRO GIANNINI* L’ osteoporosi è una condizione dello scheletro, associata ad alterazioni quantitative e qualitative del tessuto osseo, in grado di indurre un significativo aumento del rischio di fratture da trauma non efficiente e, quindi, associate alla fragilità ossea. Come molte altre rilevanti patologie del soggetto anziano, nel quale è nettamente prevalente, questa malattia ha i caratteri della cronicità e, nella maggioranza dei casi, della progressiva ingravescenza. È noto, infatti, che il rischio di frattura aumenta in modo esponenziale al crescere dell’età e che, dopo una prima frattura da fragilità, l’insorgenza di nuovi episodi fratturativi è più rapida e si associa ad un ulteriore drammatico aumento della morbilità sistemica e della mortalità. È, quindi, del tutto evidente come questa condizione richieda una terapia cronica e continuativa. Tuttavia, è del tutto frequente che si assista ad interruzioni del trattamento, talora estremamente precoci, le cui ragioni hanno origini diverse. pazienti che hanno già lamentato fratture da fragilità e che sono, quindi, a rischio assai elevato di rifrattura. Una inadeguata aderenza alla terapia da parte del paziente sembra essere tra le più frequenti cause dell’interruzione. Senza una appropriata motivazione, i pazienti tendono a non percepire in modo corretto la severità della malattia osteoporotica ed i problemi derivanti dalle fratture ad essa correlate. Il compito di informazione del medico è, quindi, di grande importanza, soprattutto se si considera che l’osteoporosi è una malattia poco sintomatica in assenza di fratture e che i tempi di verifica del beneficio della cura, apprezzabili dal paziente, possono essere anche molti lunghi. La sospensione della terapia a causa di effetti collaterali è decisamente meno frequente. I farmaci che si adoperano nel trattamento dell’osteoporosi sono in genere molto ben tollerati. L’osteonecrosi della mandibola, la cui prevalenza non supera oggi il 3-4% in pazienti oncologici con metastasi ossee, che adoperano i bisfosfonati a dosaggi estremamente elevati, è un’evenienza del tutto trascurabile nell’osteoporosi ed il cui timore è del tutto ingiustificato. La precoce interruzione della terapia è invece gravata da un robusto aumento del rischio di frattura. È stato stimato che la sospensione del trattamento dopo i primi due anni, anche in pazienti con aderenza molto elevata, comporti un rischio successivo di frattura di femore almeno doppio rispetto ad una durata di cura di almeno tre anni. A questo si aggiunge che, anche nel breve-medio termine, l’aderenza alla terapia non è ottimale e che solo i soggetti con compliance superiore al 70-80% dimostrano, anche in studi “real life”, un L’interruzione della terapia: cause e conseguenze Stime basate su dati italiani, come anche provenienti da molti Paesi europei e di oltre oceano, evidenziano una percentuale di pazienti assai elevata ed approssimativamente pari al 50% che sospende la terapia anti-osteoporotica già dopo i primi 6-12 mesi dal suo inizio. Purtroppo, percentuali simili di interruzione riguardano anche quei COLLOQUIA 7 Focus Le patologie osteoarticolari | Interruzione della terapia in osteoporosi I farmaci che si adoperano nel trattamento dell’osteoporosi sono in genere molto ben tollerati. L’osteonecrosi della mandibola, la cui prevalenza non supera oggi il 3-4% in pazienti oncologici con metastasi ossee, che adoperano i bisfosfonati a dosaggi estremamente elevati, è un’evenienza del tutto trascurabile nell’osteoporosi ed il cui timore è del tutto ingiustificato. beneficio clinico simile a quello osservabile negli studi randomizzati e controllati in doppio cieco. Una opportuna conoscenza dei dati di efficacia a lungo termine e delle condizioni che rendono necessario continuare il trattamento o, al contrario, rendono sicura una sua momentanea interruzione, sono aspetto di grande importanza nel processo decisionale che riguarda il paziente a rischio di frattura. Efficacia del trattamento a lungo termine Una possibile causa di interruzione di terapia è la solo parziale conoscenza dei dati di capacità anti-fratturativa nel medio-lungo termine. Tuttavia, molti dei farmaci oggi comunemente adoperati possiedono robuste documentazioni di efficacia di riduzione del rischio di fratture vertebrali e non vertebrali durante i primi 5 anni di terapia. Tali evidenze sono particolarmente probanti per alendronato, risedronato, acido zoledronico per via parenterale, denosumab e stronzio ranelato, poiché originate da studi randomizzati e controllati di ottima qualità. Il loro impiego, quindi, può essere protratto per tale periodo con indiscutibili vantaggi. Documentazioni altrettanto probanti nel più lungo periodo, tuttavia, sono disponibili solo per alendronato ed acido zoledronico. Lo studio FLEX (Fracture Intervention Trial Long-term Extension) ha dimostrato che un trattamento fino a 10 anni di durata con alendronato continua ad aumentare in modo progressivo la densità ossea ed a ridurre significativamente il rischio di nuove fratture vertebrali sintomatiche di circa il 50%1. L’estensione fino al sesto anno dello studio Horizon sull’efficacia antifratturativa di acido zoledronico nell’osteoporosi ha documentato un aumento progressivo della densità ossea ed una significativa ulteriore riduzione del rischio di fratture vertebrali radiologiche di circa il 50%2. Stanti 8 COLLOQUIA questi risultati, anche il trattamento a lungo termine si fonda su dati di adeguata evidence-based medicine. Come scegliere il paziente da trattare anche a lungo termine? È, tuttavia, evidente che il trattamento oltre il 5° anno di terapia può non essere indispensabile per tutti i pazienti con osteoporosi. Allora, come identificare i soggetti che continueranno a beneficiare della terapia nel più lungo termine? Una recente revisione dei dati dello studio FLEX fornisce valide indicazioni. Le pazienti che dopo 5 anni di terapia con alendronato rimanevano a rischio elevato di frattura, identificato come un T-score del femore ≤ 2,0, in particolare se associato a storia pregressa di frattura vertebrale, avevano un rischio di relativo di frattura nei successivi 5 anni di terapia, inferiore di circa il 50% rispetto alle pazienti che dopo i primi cinque anni l’avevano sospesa. Il relativo NNT, pari a 17, era particolarmente favorevole per le donne Tabella. Number Needed to Treat (NNT) per prevenire una Fx vertebrale tra il 5° ed il 10° anno di terapia con alendronato (studio FLEX). I valori di densità ossea si riferiscono al T-score del collo femorale all’inizio dello studio di estensione (5° anno). NNT Tutte le pazienti (T-score) ≤ -2,5 21 > -2,5 - ≤ -2,0 33 > -2,0 81 Donne senza Fx vertebrali (T-score) ≤ -2,5 > -2,5 - ≤ -2,0 > -2,0 24 63 102 Donne con Fx vertebrali (T-score) ≤ -2,5 17 > -2,5 - ≤ -2,0 17 > -2,.0 51 che dopo i primi 5 anni presentavano sia una storia di frattura vertebrale che un T-score femorale ≤ 2,0 (tabella). Al contrario, le pazienti che dopo i primi cinque anni di terapia con alendronato avevano un T-score femorale più vicino ai valori di normalità (≥ 2,0) non sembravano beneficiare di un trattamento ulteriormente prolungato. Da questi dati sembra emergere con chiarezza la necessità di una rivalutazione del rischio di frattura dopo i primi 3-5 anni dall’inizio della terapia: se i pazienti rimangono a rischio medioelevato (T-score femorale ≤ 2,0 e/o presenza di pregresse fratture da fragilità) il trattamento può e deve essere ulteriormente prolungato, con una solida aspettativa di efficacia. Nei pazienti che, in ragione della terapia, hanno visto ridursi in modo adeguato il rischio di frattura, il trattamento può essere sospeso momentaneamente. Una ulteriore rivalutazione del rischio nei successivi 2 anni potrà permettere di identificare quei pazienti in cui la terapia dovrà essere comunque ripresa. Conclusioni Il trattamento dell’osteoporosi deve essere protratto, come per ogni malattia cronica, per tutto il tempo per cui insiste un significativo rischio di eventi clinici ad essa correlato. Precoci interruzioni della terapia sono associate ad una aumentata incidenza di fratture e non appaiono giustificate alla luce dei dati di efficacia e sicurezza a lungo termine. Bibliografia 1. Black DM, Schwartz AV, et al.; FLEX Research Group. Effects of continuing or stopping alendronate after 5 years of treatment: the Fracture Intervention Trial Long-term Extension (FLEX): a randomized trial. JAMA 2006; 296: 2927-38. 2. Black DM, Reid IR, Boonen S, et al. The effect of 3 versus 6 years of zoledronic acid treatment of osteoporosis: a randomized extension to the HORIZONPivotal Fracture Trial (PFT). J Bone Miner Res 2012; 27: 243-54. *Dipartimento di Medicina – DIMED, Azienda OspedalieraUniversità di Padova. focus Le patologie osteoarticolari La gestione del dolore muscolo-scheletrico Nella maggior parte dei casi il medico di medicina generale può gestire la patologia in prima persona ricercando l’equilibrio ideale tra l’efficacia assicurata da una determinata scelta terapeutica e il rischio di eventi avversi associato alla stessa. DAVIDE GATTI* Epidemiologia del dolore muscolo-scheletrico Il dolore è la principale motivazione per cui i pazienti ricorrono al medico e nella popolazione adulta le patologie muscoloscheletriche sono la più frequente causa di dolore. Una indagine epidemiologica canadese ha evidenziato come almeno un quarto dei pazienti visitati dal medico di medicina generale (MMG) abbia problematiche muscolo-scheletriche1. La realtà italiana non è differente. Uno studio svolto grazie alla collaborazione di 16 MMG che ha coinvolto oltre 2100 soggetti di entrambi i sessi e di età compresa tra i 18 e i 75 anni2 ha permesso di documentare che il dolore muscolo-scheletrico: • è presente in oltre ¼ della popolazione italiana adulta (26,7%) • colpisce maggiormente il sesso femminile: circa 1 donna su 3 (31%) e 1 maschio su 5 (22%) • il rischio di soffrirne aumenta con l’aumentare dell’età e del peso corporeo. La patologia più frequente è quella artrosica periferica (prevalenza dell’8,95% nella popolazione generale ma superiore al 35% nei soggetti ultrasessantacinquenni con dolore) seguita da quella dei tessuti molli – fibromialgia, periartriti, sindrome del tunnel carpale, ecc. – (prevalenza dell’8,81% nella popolazione generale e intorno al 25% nei soggetti ultra-quarantacinquenni con dolore). La patologia artritica interessava circa il infiammatoria, segni di artrite in atto, ecc.) che rendono consigliabile (in una piccola percentuale di soggetti) una consulenza specialistica nel sospetto di patologie specifiche (artrite reumatoide, spondilite anchilosante, artrite psoriasica, connettiviti, ecc). Nella maggior parte dei casi può invece gestire la patologia in prima persona ricercando l’equilibrio ideale tra l’efficacia assicurata da una determinata scelta terapeutica e il rischio di eventi avversi associato alla stessa. Gestione terapeutica: paracetamolo o antinfiammatori? 3% della popolazione generale (con una prevalenza superiore al 30% nei soggetti ultra-quarantacinquenni con dolore) mentre la lombalgia coinvolgeva il 5,91% della popolazione generale (ma con prevalenza superiore al 25% nei soggetti ultra-quarantacinquenni con dolore). In pratica se prendiamo i soggetti con Gli antinfiammatori non steroidei, anche se scoperti da circa 50 anni, restano tra i farmaci più utilizzati nel mondo grazie alla loro capacità di controllare dolore e flogosi sia acuti che cronici. La terapia antinfiammatoria trova naturale indicazione nelle patologie flogistiche dove spesso rappresenta la prima scelta (come ad es. nelle artriti da microcristalli o nella spondilite anchilosante) ma ha un ruolo fondamentale anche nella gestione dolore muscolo-scheletrico la patologia degenerativa artrosica è nettamente la più frequente solo nei soggetti anziani (circa il 40% dei soggetti ultra-settantacinquenni con dolore), ma se consideriamo una popolazione più giovane (gli ultraquarantacinquenni ) non vi è un reale predominio di una classe di patologie rispetto alle altre2 (figura 1). Per questo motivo specie nei soggetti più giovani con dolore muscolo-scheletrico l’aspetto diagnostico è fondamentale. Il MMG deve identificare i segni e sintomi sentinella (rigidità mattutina prolungata, lombalgia della ben più diffusa patologia degenerativa e meccanica. In queste patologie, tuttavia, viene spesso preferito il paracetamolo malgrado la evidente minore efficacia (solo per la sua supposta maggiore tollerabilità, convinzione che recentemente è stata messa fortemente in dubbio da nuove evidenze scientifiche. In pazienti con coronaropatia (primo studio eseguito in questa tipologia di pazienti con questa molecola malgrado essa sia in commercio da più di 60 anni!) l’utilizzo cronico a elevato dosaggio (3 g/die) del paracetamolo si è COLLOQUIA 9 Focus Le patologie osteoarticolari | La gestione del dolore muscoloscheletrico Figura 1. Prevalenza percentuale nella popolazione generale e nella popolazione con dolore. NELLA POPOLAZIONE GENERALE Artrosi periferica Patologie tessuti molli Low Back Pain Artiti acute e croniche Le patologie muscolo-scheletriche coinvolgono circa ¼ della popolazione generale. Se consideriamo chi ha dolore, l’artrosi è certamente la patologia più frequente nei soggetti anziani. Se consideriamo una popolazione più allargata (ultra-quarantacinquenni) non vi è nessuna netta prevalenza di un tipo di patologia e ciò renda ancora più rilevante l’aspetto diagnostico. NELLA POPOLAZIONE CON DOLORE Età >45 anni 00% OA Molli 00% 00% LBP 00% AR Età >75 anni 00% OA Molli LBP AR 00% 00% 00% Modificato da Salaffi et al 2005. 10 COLLOQUIA accompagnato a un significativo aumento della pressione arteriosa del tutto simile a quello indotto dagli antinfiammatori3. Un altro vasto trial clinico ha voluto invece confrontare efficacia e tollerabilità del paracetamolo da solo od associato ad un antinfiammatorio (ibuprofene 600 o 1200 mg/die) rispetto l’antinfiammatorio da solo (ibuprofene 1200 mg/die) in pazienti con gonartrosi4. Lo studio ha dato le seguenti (sorprendenti) risposte: • efficacia: il paracetamolo è inferiore all’antinfiammatorio anche al massimo dosaggio; • efficacia: la combinazione paracetamolo + antinfiammatorio non produce alcun vantaggio rispetto l’antinfiammatorio da solo; • tollerabilità: il paracetamolo da solo o in combinazione è meno tollerato rispetto l’antinfiammatorio da solo dal momento che produce: – maggiori eventi avversi a livello epatico – (se associato all’antinfiammatorio) perdite ematiche superiori rispetto all’antinfiammatorio da solo. In pratica non solo è inutile aumentare la dose del paracetamolo ma anche utilizzarlo per “risparmiare” l’antinfiammatorio dal momento che non emerge nessun effetto additivo in termini di efficacia ma addirittura solo un peggiore profilo di tollerabilità. Gestione terapeutica: gli antinfiammatori sono tutti uguali? Se la tollerabilità del paracetamolo è stata recentemente messa in discussione, la sicurezza degli antinfiammatori è da sempre il problema principale del loro uso cronico. La tossicità gastrointestinale dei FANS è dovuta principalmente all’inibizione della COX1: l’isoforma costitutiva coinvolta nella biosintesi di prostanoidi citoprotettivi per la mucosa gastrica e del trombossanoA2 (TXA2) pro-aggregante le piastrine. I coxib sono invece inibitori selettivi della cicloossigenasi COX-2 che vanno ad agire solo sulla isoforma inducibile tipica dell’infiammazione e si associano pertanto ad una minore tossicità gastroduodenale che è stata documentata anche da una revisione della Cochrane Collaboration. L’utilizzo dei coxib si accompagna ad un rischio di lesioni gastroduodenali che è sovrapponibile a quella ottenibile associando ad un FANS tradizionale un inibitore di pompa protonica e questo si conferma anche nei pazienti che stanno assumendo basse dosi di aspirina come antiaggregante. La notorietà dei coxib è però legata soprattutto al problema cardiovascolare che è sfociato nel clamoroso ritiro dal mercato del rofecoxib dovuto alla documentazione, nel corso di studi clinici in cui il farmaco veniva assunto a dosi massimali per periodi prolungati, di un significativo incremento del rischio cardiovascolare (CV) (rispetto al placebo). In seguito diversi studi osservazionali o caso controllo hanno sollevato il dubbio che anche i FANS tradizionali potessero condividere con i coxib l’aumento del rischio CV ma era comunque necessaria una conferma sperimentale che è arrivata con lo studio MEDAL. Questo studio ha coinvolto quasi 35.000 pazienti di età superiore o uguale a 50 anni affetti da artrosi e artrite reumatoide e ha confrontato la sicurezza CV di un trattamento a lungo termine con un FANS tradizionale (diclofenac) e un coxib (etoricoxib). Nessuna differenza significativa è emersa riguardo l’incidenza di eventi cardiovascolari trombotici tra le due strategie terapeutiche che per questo specifico aspetto appaiono quindi essere del tutto sovrapponibili cioè espongono il soggetto trattato allo stesso livello di rischio! Ma perché questo rischio CV associato anche all’uso dei FANS tradizionali non è emerso prima visto che questi farmaci sono ormai nella pratica clinica da quasi mezzo secolo? Purtroppo in passato la qualità degli studi richiesti per la registrazione di un farmaco era molto inferiore e quindi del tutto inadeguata ad evidenziare un aumento del rischio CV che rimane comunque un evento avverso raro (dell’ordine di 4 casi per 1000 pazienti trattati per 1 anno). Nella pratica clinica il problema di safety dei FANS è fortemente accentuato dal fatto che molte molecole sono ormai “star” della pubblicità televisiva, vengono vendute come prodotti da banco e spesso utilizzate come automedicazione senza nessun tipo di controllo medico. Questo, almeno in parte, spiega perché spesso le valutazioni cliniche e farmaco economiche tendano a considerare gli antinfiammatori Focus Le patologie osteoarticolari solo come produttori di spesa in relazione agli effetti collaterali. In realtà quando un medico prescrive un antinfiammatorio, lo fa per risolvere una problematica algica ed il suo giudizio sulla bontà del trattamento, dipenderà principalmente dalla successiva risoluzione o meno del quadro clinico. Nella scelta di un trattamento antinfiammatorio sarebbe necessario confrontare le diverse molecole in termini di dosaggi equivalenti e una recente pubblicazione ha finalmente fornito una interessante tabella di equivalenza derivata dagli studi sulla spondilite anchilosante5 (tabella I). La grande novità introdotta con i coxib è quindi quella di avere a disposizione trattamenti che grazie al loro miglior profilo di sicurezza gastrointestinale assicurano un massimale effetto antinfiammatorio. Inoltre nel caso dell’etoricoxib a ciò va aggiunto anche la rapidità d’azione e l’evidente effetto antidolorifico verosimilmente legato alla grande capacità di diffusione nei tessuti molli e nel sistema nervoso centrale (figura 2). Questo effetto antidolorifico è stato documentato in numerosi modelli di dolore acuto quali l’artrite gottosa; il dolore post-chirurgico e quello da estrazione dentaria per il trattamento del quale è stata di recente approvata un’estensione delle indicazioni terapeutiche. antinfiammatori anche in termini di “dosi equivalenti”, numero di somministrazioni, entità dell’effetto antidolorifico. Bibliografia 1. Power JD, Perruccio AV, Desmeules M, Lagacé C, Badley EM. Ambulatory physician care for musculoskeletal disorders in Canada. J Rheumatol 2006; 33: 133-9. 2. Salaffi F, De Angelis R, Stancati A, Grassi W; MArche Pain; Prevalence INvestigation Group (MAPPING) Study. Health-related quality of life in multiple musculoskeletal conditions: a cross-sectional population based epidemiological study. II. The MAPPING study. Clin Exp Rheumatol 2005; 23: 829-39. 3. Sudano I, Flammer AJ, Périat D, et al. Acetaminophen increases blood pressure in patients with coronary artery disease. Circulation 2010; 122: 1789-96. 4. Doherty M, Hawkey C, Goulder M, et al. A randomised controlled trial of ibuprofen, paracetamol or a combination tablet of ibuprofen/paracetamol in community-derived people with knee pain. Ann Rheum Dis 2011; 70: 1534-41. 5. Dougados M, Simon P, Braun J, et al. ASAS recommendations for collecting, analysing and reporting NSAID intake in clinical trials/epidemiological studies in axial spondyloarthritis. Ann Rheum Dis 2011; 70: 249-51. *Facoltà di Medicina e Chirurgia, Sezione di Reumatologia, Università degli Studi di Verona. | La gestione del dolore muscoloscheletrico Tabella I. Dosi equivalenti (emersa da studi sulla spondilite anchilosante) dei diversi antinfiammatori. Molecola Dosi equivalenti (nella spondilite anchilosante) Dose massima Diclofenac 150 mg 150 mg Naprossene 1000 mg 1000 mg Aceclofenac 200 mg 200 mg Celecoxib 400 mg 400 mg Etodolac 600 mg 600 mg Etoricoxib 90 mg 120 mg 2400 mg 2400 mg Indometacina 150 mg 150 mg Ketoprofene 200 mg 200 mg Meloxicam 15 mg 15 mg Nimesulide 200 mg 200 mg Piroxicam 20 mg 20 mg Ibuprofene Appare evidente che con l’etoricoxib proprio per la sua maggiore tollerabilità, la dose utilizzata non è quella massimale a differenza di quanto avviene con gli altre molecole. In pratica con l’etoricoxib è possibile arrivare a dosi ed effetti antinfiammatori che nessun altro farmaco può assicurare (da Dougados et al. 2010, mod.). Figura 2. Diffusione dell’etoricoxib nei diversi tessuti. Conclusioni Il dolore muscolo scheletrico è frequente e rappresenta una sfida quotidiana sia per lo specialista che per il MMG sia dal punto di vista diagnostico che della gestione terapeutica. Diverse sono le opzioni terapeutiche a disposizione e la scelta deve essere orientata da: • tipo di malattia presente: infiammatoria, non infiammatoria, ecc.; • tipo di paziente: motivi di fragilità, patologie concomitanti, terapie concomitanti, rischio di effetti collaterali (rischio gastrointestinale, rischio cardiovascolare, rischio di caduta, uso di ASA, ecc.). Non si può tuttavia non tener conto anche della necessità di instaurare un trattamento efficace e per far questo è fondamentale abituarsi a valutare gli Concentrazione Etoricoxib (ng/ml) 10000 Plasma 1000 Essudato ferita chirurgica 100 Sistema nervoso centrale 10 1 0.1 0 5 10 15 Ore 20 25 Fonte: Renner et al, 2010. L’etoricoxib ha una elevata capacità di diffondere nei diversi tessuti come dimostra questo lavoro in cui dopo la somministrazione del farmaco si rileva un rapido aumento delle concentrazioni non solo a livello sierico ma anche a livello dell’essudato periferico e del sistema nervoso centrale. Da questo probabilmente deriva l’effetto antidolorifico. COLLOQUIA 11 focus Le patologie osteoarticolari Il sistema scheletrico: anche una questione di gravità “Si e tanto giovani quanto è flessibile la nostra colonna vertebrale” JOSEPH H . PILATES FELICE STROLLO*, JOAN VERNIKOS** O ssa, muscoli e articolazioni contribuiscono a farci muovere nell’ambiente grazie alla loro funzione di supporto e di contenimento. Ciò è possibile grazie alla presenza del collagene, un tessuto composto di fibre proteiche incrociate e in grado di slittare fra di loro che conferiscono la necessaria elasticità e robustezza all’intero sistema connettivo. A mano a mano, continui traumi, infezioni, errori alimentari e lo stesso trascorrere degli anni danneggiano tale struttura incrociata, ed elasticità e robustezza si riducono. Conseguenza diretta di tutto ciò sono la sensazione di irrigidimento delle articolazioni e il riscontro di una pelle più sottile e meno elastica. Se poi la costante distruzione delle fibre di collagene non viene controbilanciata da un’adeguata produzione di nuove fibre per carenze nutrizionali o altre cause, il fenomeno peggiora ed accelera. Dobbiamo ammettere che ancora non conosciamo con precisione come fanno le nostre strutture di supporto a “sentire” la forza di gravità, ma sappiamo che esse rispondono al carico gravitazionale (che nel nostro caso corrisponde al peso corporeo). Ad esempio, le persone obese hanno ossa più spesse e più forti, mentre coloro che non esercitano più alcune strutture ne vedono progressivamente atrofizzare le componenti muscolare, ossea e collagenica. A gravità prossima allo zero, come nello spazio, il corpo non ha peso, quindi ossa, muscoli e articolazioni (in cui il 12 COLLOQUIA collagene è molto rappresentato) non devono sostenere l’abituale carico e pertanto non sono sottoposte al continuo stimolo ad accrescersi per fare da struttura portante all’intero organismo. Se tale situazione si protrae, questi sistemi giungono alla conclusione che è del tutto inutile lavorare per rispondere a stimoli inesistenti e quindi interviene l’atrofia: la progressiva riduzione di volume e funzione delle strutture. Lo stesso fenomeno si ha anche nei soggetti costretti a una lunga permanenza a letto da una malattia cronica degenerativa o da un incidente che ha leso il midollo spinale o il cervello. Anche se durano più di altre parti del corpo, le ossa si modificano con l’invecchiamento fino a diventare molto fragili. Esiste, pero, la possibilità di rallentare il processo di deterioramento dell’osso sfruttando gli effetti che la forza di gravita esercita sul nostro sistema scheletrico. Il “ruolo” del sovrappeso La densità e la forza di un osso adulto sono determinate anche dalla storia individuale. La pressione esercitata dal corpo sulla Terra dipende dalla forza di gravità, senza la quale avremmo certamente la massa ma non il peso: sulla Luna, infatti, un astronauta pesa un sesto di quanto peserebbe sulla Terra a causa della ridotta forza di gravità. Sulla Terra, raddoppiando la massa, si raddoppiano il peso e la pressione esercitata sullo scheletro. Proprio per l’aumento del carico, gli individui di grossa corporatura, come gli obesi, hanno un’elevata densità ossea rispetto alle persone più basse o più magre ed hanno quindi una minore probabilità di frattura con una caduta, se quest’ultima non è particolarmente rovinosa. La bella notizia, però, viene immediatamente controbilanciata da una cattiva: il maggior peso comprime e deteriora le articolazioni del ginocchio e delle anche, oltre a comportare altri “inconvenienti” seri come aumento della Quando i nostri antenati cominciarono ad assumere la posizione eretta si sottoposero ad un sovraccarico di forza di gravità: ossa, muscoli, articolazioni, legamenti e tendini collegati fra di loro dovevano svilupparsi in modo nuovo per sostenere il corpo sui piedi. In questa condizione, la gravità comprime talmente tanto la colonna vertebrale, il bacino, le articolazioni degli arti inferiori e i talloni che la sera andiamo a letto più bassi di almeno mezzo centimetro rispetto a quando ci siamo alzati al mattino. Per meglio valutare questo fenomeno può essere interessante sapere che, al contrario, per la protratta assenza degli effetti della forza di gravità l’altezza di un astronauta può aumentare da 2 a 5 cm nel corso di un volo spaziale di soli 5 giorni. Focus Le patologie osteoarticolari | Il sistema scheletrico: anche una questione di gravità pressione arteriosa, malattie cardiovascolari e diabete. Non è necessario, tuttavia, essere sovrappeso per aumentare la pressione esercitata sulle ossa: per quanto riguarda gli arti inferiori basta imprimere una maggior pressione sui malleoli facendo attività fisica e quindi per chi è già avanti con l’età può bastare una semplice attività all’aria aperta (anche solo camminare). Quali sono i nemici delle ossa? Quando si sta seduti o distesi o immersi in acqua a lungo, le ossa non sopportano alcun peso, vengono di fatto “scaricate” e si adattano rapidamente a questa condizione. Se gli uomini vivessero senza mai appoggiare il peso del corpo sui piedi, le ossa non avrebbero più bisogno di sostenerli e si ridurrebbero di densità e di forza fino a scomparire. Nonostante il fatto che non dover sostenere il peso provochi perdita di densità ossea in tutto lo scheletro, gli effetti più evidenti si realizzano nelle ossa che in genere sostengono maggiormente il peso corporeo. Studi su pazienti che rimangono attivi nonostante un arto immobilizzato (sul quale quindi il peso corporeo non si appoggia) mostrano che la massa ossea si riduce proprio nell’arto inattivo; allo stesso modo, durante il volo spaziale la perdita di densità ossea non interessa gli arti superiori ma quelli inferiori, che di fatto vengono scaricati dal peso abituale. E come se le ossa “avessero memoria” del lavoro sostenuto nel tempo, dell’età, del tipo di alimentazione e della produzione di ormoni nel singolo individuo e tendessero a riprendere gradualmente la struttura iniziale una volta riabituate allo sforzo fisico. Più l’osso rimane inattivo, però, più scarse sono le probabilità che la “memoria” dell’osso sia recuperata. Perdita di calcio Se l’osso non sostiene il peso, come avviene regolarmente nel riposo protratto a letto o in poltrona, la perdita di minerali (“demineralizzazione”) si rivela anche attraverso un equilibrio di calcio negativo. Questo significa che si perde molto più calcio – soprattutto per mobilizzazione dall’osso – attraverso le urine, le feci e il sudore di quanto se ne riesca ad assumere con la dieta. La nostra ossatura è fatta per sopportare la forza di gravità, in sua assenza si verificano danni importanti come l’osteoporosi. Quali stili di vita potremmo cominciare a fare nostri per non soffrire di questa patologia in futuro? Innanzitutto sappiamo tutti che se si fa uno sport estremo si può finire addirittura per avere l’osteoporosi; pertanto prima di tutto bisogna cercare di essere moderati (il famoso sit modus in rebus dei latini è sempre vivo e è sempre valido). Stimolando le nostre ossa con la stessa forza di gravità le aiutiamo molto, ma è pure vero che se mangiamo male non le aiutiamo per nulla. È vero infatti che le persone obese hanno un peso maggiore sulle ossa per cui magari nella parte bassa del corpo non soffrono di osteoporosi – fino a quando non esagerano – ma è altrettanto vero che l’obesità infiamma, e genera una infiammazione cronica in tutto il corpo, che guarda caso dà fastidio alle ossa. E poi l’alimentazione, per esempio il calcio. Quanti di noi ormai hanno abbandonato il latte per motivi vari? Tra cui anche il cercare di non ingrassare o di non incorrere in un’allergia topica. Fatto sta che senza una bella tazza di latte già perdiamo quei 350-400 milligrammi di calcio, e che basterebbe ricominciare con quello, con un po’ di formaggio e un po’ di verdura per arrivare al fabbisogno di 1000, 1500 milligrammi se si inserisce anche un po’ di parmigiano. (Dalla videointervista a Felice Strollo pubblicata su va’ pensiero, www.pensiero.it/catalogo/recensioni.asp?page=video_539_strollo) COLLOQUIA 13 Focus Le patologie osteoarticolari | Il sistema scheletrico: anche una questione di gravità Artrite Non c’e bisogno di essere anziani o di essere stati costretti a letto per un lungo periodo per provare dolori articolari diffusi. Dolore, tensione e rigidità a livello di articolazioni, muscoli, ossa e altri tessuti ricchi di collagene, come tendini e legamenti, sono sintomi o avvisaglie di un’artrite in evoluzione, patologia che comporta una degenerazione della cartilagine con conseguente attrito diretto delle ossa fra di loro. La forma più comune, l’osteoartrite, colpisce in Italia oltre 5 milioni di persone di ogni età. Altre 400.000 persone soffrono invece di artrite reumatoide, malattia in cui il sistema immunitario attacca ossa e cartilagini interpretandole come “estranee” e provocando in tal modo dolore e infiammazione. Non sostenendo carichi, si indeboliscono anche i muscoli da cui le ossa sono servite. Nello spazio, ad esempio, la perdita di massa muscolare precede la perdita di densità ossea di circa 11 giorni e quest’ultima si realizza soprattutto nei punti di inserzione dei tendini; in questo modo, nel tempo si modificano la forza e la forma stessa dell’osso. Fare in questo caso esercizio fisico mirato riesce solo a rallentare ma non ad impedire la perdita di massa ossea, che poi richiede a volte fino 2 anni per tornare ai livelli di partenza. Effetti della menopausa I cambiamenti ormonali tipici della menopausa possono accelerare il processo di perdita di massa ossea, che è molto simile tra uomini e donne, eccetto nei 5 anni intorno alla menopausa quando viene meno la normale produzione ormonale. In realtà, alcune donne in menopausa mantengono una massa ossea quasi costante, mentre altre ne perdono fino al 5% all’anno. Dopo il periodo critico, però, la perdita ritorna sui bassi valori precedenti; le donne che entrano in menopausa più tardi, comunque, perdono relativamente meno in densità minerale ossea. Dopo la menopausa, poi, per l’indebolimento progressivo della muscolatura dell’addome, del dorso e del collo, la postura cambia tanto che in alcune donne può svilupparsi un incurvamento della schiena (noto come “gobba da invecchiamento”), dovuto al fatto che la spina dorsale si modella diversamente mentre perde la capacità di apposizione ossea molto più rapidamente di qualunque altra parte dello scheletro. del collo del femore). Al di sopra dei 50 anni, circa il 17,6% delle donne contro il 6% degli uomini subisce una frattura del femore e il 15,6% delle donne contro il 5% degli uomini ne subisce una vertebrale. All’incirca il 50% delle donne ultraottantenni ha subito una frattura del collo del femore o di una vertebra e in tale fascia di età il rapporto uomo/donna per la patologia passa da 1:3 a 1:6. Solo in Italia si verificano oltre 80.000 fratture dell’anca all’anno, che richiedono molti giorni di ospedalizzazione e di cure riabilitative, oltre a costi enormi diretti e indiretti, compresi quelli per il trattamento del dolore locale persistente. ne soffrono oltre 200 milioni di persone e si calcola che dopo i 75 anni la probabilità di esserne affetti sia del 50%. L’osteoporosi aumenta il rischio di frattura della spina dorsale più che dell’anca o del polso e lo raddoppia per ogni 10% di perdita di massa ossea. Dato che nei prossimi 20 anni la popolazione invecchierà progressivamente, se non si troveranno rimedi efficaci ci si dovrà rassegnare ad affrontare un raddoppio dell’incidenza dell’osteoporosi. Tra l’altro, negli anziani la frattura dell’anca aumenta il rischio di morte del 24% nel primo anno dopo l’evento: per comprendere il perche del fenomeno basta pensare che lo choc psicologico legato alla frattura – per l’impatto emotivo della perdita di indipendenza dovuta all’immobilità forzata – comporta anche un rapido declino generale e che stress e depressione stimolano cronicamente la produzione di cortisolo aggravando la perdita di calcio. Un fenomeno meno grave dell’osteoporosi e noto come “osteopenia” (ossia, bassa densità minerale ossea). Le donne che a 25-30 anni hanno ossa sottili mostrano osteopenia prima di quelle strutturalmente più robuste; gli uomini, al contrario, mostrano pochi problemi in tal senso perche hanno ossa per natura più grandi e una più graduale e più tardiva diminuzione della produzione ormonale. Osteoporosi Se si osservano le immagini di ossa fragili, deboli e “bucherellate” si pensa subito al groviera: in tal caso siamo di fronte all’ultimo stadio dell’osteoporosi. Secondo i dati OMS, in tutto il mondo Come “ricostruire” l’osso È molto difficile ripristinare la massa ossea. Dopo un periodo di immobilità forzata il recupero è molto lento, anche se in persone sane la ricostruzione Fratture Una donna che ha superato la menopausa corre un rischio di frattura tre volte maggiore rispetto a un uomo della stessa età. La perdita di massa ossea è molto diversa tra i due sessi e nelle donne si concentra in particolare nella spina dorsale e nelle anche (soprattutto a carico 14 COLLOQUIA Non tutti sanno che molti fattori contribuiscono all’osteoporosi; tra questi la predisposizione genetica, l’assunzione di oltre due caffè o due bicchieri di vino al giorno e il fumo, che è tossico per gli osteoblasti e riduce anche gli effetti della terapia ormonale sostitutiva (le fumatrici accanite, per esempio, hanno ossa più sottili e spesso arrivano precocemente alla menopausa). Focus Le patologie osteoarticolari dell’osso inizia non appena queste riprendono una vita normalmente attiva. La ricostruzione della massa ossea rappresenta tuttora una grossa sfida, motivo per cui – al momento – la prevenzione rimane la cura migliore. Con l’invecchiamento la perdita di massa nelle ossa lunghe è compensata da un certo grado di rimodellamento delle ossa, che continuano ad accrescersi nel senso del diametro grazie all’apposizione di nuovi strati sulla superficie esterna e diventano in tal modo più forti, sebbene abbiano globalmente perso massa. Ciò contribuisce a mantenere la resistenza alle torsioni e ai piegamenti delle strutture portanti degli anziani, soprattutto nel sesso maschile che ha una capacita di apposizione e stratificazione tre volte superiore rispetto a quello femminile, | Il sistema scheletrico: anche una questione di gravità mette troppo sotto stress le articolazioni degli arti inferiori e aumenta i fattori di infiammazione, fortissimi antagonisti dell’apposizione ossea: non culliamoci in sogni impossibili, quindi, e cerchiamo di non indulgere in estremismi comportamentali. Attività fisica Occorre buon senso in tutto: fare jogging può migliorare l’efficienza cardiovascolare e rinforzare le ossa, ma può altrettanto facilmente danneggiare le ginocchia. Tutto dipende in realtà da come si pratica la corsa: è necessario prestare la dovuta cura a particolari quali la preparazione con l’allenamento di potenza e di flessibilità e lo stretching pre-esercizio, la ricerca del fondo meno rigido possibile, la cura delle calzature, Negli anziani il rischio di frattura si riduce anche con la sola abitudine a stare in piedi almeno per un po’ o, in chi è impossibilitato ad alzarsi, con il sollevamento del letto fino a consentire l’appoggio degli arti inferiori sulla sponda anteriore (o con sistemi di trazione razionalmente impostati). Un particolare che occorre ricordare è che ogni volta che si vuole ottenere un risultato (rinforzo o riparazione) occorre applicare all’osso una forza maggiore rispetto a quella abituale. Le ricerche eseguite finora hanno dimostrato che sono più efficaci brevi periodi di esercizio intenso a carico pesante che non lunghi Molti fattori concorrono allo stato di salute dello scheletro ma ancora non conosciamo con precisione le modalità utilizzate dall’osso per percepire il carico e innescare lo stimolo alla ricostruzione di quanto perduto. A questo proposito è interessante il fatto che le arterie che irrorano il tessuto osseo sono meno efficienti negli astronauti in volo spaziale e nei volontari sani che partecipano agli esperimenti di allettamento forzato ma non nelle persone con lesioni della spina dorsale, mentre l’osteoporosi interviene in tutti e tre i casi: perché? Perché in tutti si perde la percezione (e il conseguente trasferimento al cervello) dello stimolo rappresentato dal carico. rendendo cosi ragione del fatto che le ossa degli uomini anziani si rafforzano proprio in corso di invecchiamento. Come per ogni altro organo e apparato corporeo, ossa sane dipendono anche da una buona irrorazione sanguigna e da un’innervazione efficace e ben collegata alla “stazione di comando” cerebrale. Il valore della nutrizione Una buona nutrizione e una vita attiva aiutano a proteggere le ossa dagli effetti del tempo. Gli anziani, però, riescono a seguire una dieta bilanciata ed equilibrata solo se non vanno incontro alla tipica riduzione dell’appetito, spesso accompagnata da problemi di assorbimento dei nutrienti, alterazioni del gusto e difficoltà di masticazione. Mangiare poco può essere un problema, quindi, ma altrettanto negativo può rivelarsi mangiare troppo, visto che l’eccesso di peso, pur potenziando il carico e con questo la massa ossea, l’attenzione al peso corporeo e cosi via. Ci sono anche esercizi semplici da realizzare, ma che si rivelano molto validi: è il caso ad esempio del salire le scale, attività che stimola i muscoli antigravitari, le articolazioni e il cuore. Scendere le scale, poi, offre il necessario carico alle ossa ad ogni scalino e allena la coordinazione. Un buon metodo per rinforzare le ossa è anche quello di aggiungere pesi (realizzabili con il “fai da te” o acquistabili presso negozi di articoli sportivi) in quantità via via crescente quando si esce a fare una passeggiata: ci si pone così in condizioni simili agli obesi, che hanno ossa forti e spesse. periodi a carico costante, anche se la costanza delle attività è di per sé garanzia di risultato nel tempo. Cosa conviene fare, quindi? La soluzione migliore è variare l’esercizio mantenendo l’attenzione sulla necessità di aumentare progressivamente il carico allenante. L’osso risponde come il muscolo: se si interrompe l’allenamento la massa ritorna alla fase pre-esercizio. Molto importante è “sorprendere” l’osso con l’alternanza di esercizi di impatto (fra i quali anche uno sport di squadra come la pallavolo) con altri di sollevamento pesi e non smettere mai di esercitarsi, anzi possibilmente aumentare il carico per migliorare l’allenamento. *Specialista in Endocrinologia e Medicina Aeronautica e Spaziale; coordinatore del Dipartimento Malattie Metaboliche, Alimentazione e Benessere Fisico, Istituto Nazionale di Ricovero e Cura per Anziani (INRCA); **Esperta di problematica dell’invecchiamento e gestione delle stress, già direttore del settore Life Sciences della NASA e professore di Farmacologia presso l’Ohio State University Medical School; presidente di Third Age Health. Questo testo è un estratto da Strollo F, Vernikos J. Ritardare l’invecchiamento è possibile. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2012. In particolare da “Come preservare le strutture di supporto”, Parte Prima, pp. 3-27. COLLOQUIA 15 focus ANMAR è ormai una realtà associativa consolidata. Vuole ricordarci brevemente come nasce e quali obiettivi principali si prefigge? L’ANMAR Onlus, Associazione Nazionale Malati Reumatici, nasce a Roma nel 1985 da un gruppo di pazienti e di medici, con l’intento di diffondere e favorire la conoscenza delle “Malattie Reumatiche” presso la Società, le Istituzioni Sanitarie e le Autorità Nazionali. Nata con questa primaria esigenza, l’ANMAR oggi, fedele ai propri principi, crede che ogni persona con patologie reumatiche abbia il diritto di essere tempestivamente e adeguatamente curata e che la tutela del lavoro ed ad una vita quotidiana positiva siano diritti imprescindibili. Le malattie reumatiche rappresentano in Italia una delle prime cause di inabilità temporanea e disabilità permanente e sono la causa più frequente di assenza dal lavoro. In Italia sono oltre 5 milioni le persone che ne soffrono, e di queste circa 734.000 sono colpite da forme croniche quali: artrite reumatoide, spondilo artropatie, vasculiti e connettiviti, malattie particolarmente temibili per il coinvolgimento, oltre che osteoarticolare, di organi interni quali cuore, rene, polmoni, nervi, vasi, cervello ed altri ancora. A soffrire di malattie reumatiche sono persone di tutte le età e di ogni fascia sociale, con una maggiore prevalenza tra le donne. ANMAR è attiva da quasi trent’anni. Com’è cambiato il ruolo delle associazioni di pazienti in questi anni? Oggi l’approccio alle malattie reumatiche è radicalmente cambiato; nuovi farmaci, nuovi protocolli diagnostico terapeutici rendono migliore la vita ma rimangono tuttavia forti criticità. In primo luogo la disparità di trattamento che i malati reumatici ricevono sul territorio nazionale. Diagnosi e terapie sono un diritto per chi abita in alcune zone d’Italia, in particolare al centro-nord, mentre sono una incognita per chi abita in alcune zone del sud. Liste d’attesa interminabili sono una costante ben distribuita su tutto il territorio nazionale. Altra grave criticità è la 16 COLLOQUIA Le patologie osteoarticolari Dalla parte del paziente: la presa in carico globale Mancano quasi completamente i percorsi di cura integrati, e un paziente per problemi correlati alla patologia principale deve rivolgersi a innumerevoli specialisti spesso poco coordinati… Intervista a GABRIELLA VOLTAN* A cura di Monica Ricci, Specialist, Global Communications, MSD Italy Focus Le patologie osteoarticolari sottovalutazione delle malattie reumatiche e dei loro esiti sia da parte dell’organizzazione sanitaria nazionale che dalle strutture socio politiche sanitarie regionali, nonché dall’opinione pubblica. A tutt’oggi, nonostante il grande impegno profuso da ANMAR, anche in collaborazione con altre associazioni, con la Sir (Società Italiana di Reumatologia), con il Croi (Collegio Reumatologi Ospedalieri Italiani), non siamo ancora riusciti a cambiare radicalmente l’approccio e la programmazione sanitaria nei confronti di queste malattie. Mancano quasi completamente i percorsi di cura integrati, e un paziente per problemi correlati alla patologia principale deve rivolgersi a innumerevoli specialisti spesso poco coordinati. Lei, oltre ad essere Presidente dell’Associazione, è prima di tutto una paziente. Può dirci quali sono le principali problematiche che, ancora oggi, nonostante i vostri sforzi e il vostro impegno, il paziente con patologie reumatiche continua a incontrare nel proprio percorso di cura? Oltre ai danni causati dalla malattia la persona si trova a dover fare i conti con il dolore. Il dolore che deve sopportare la persona colpita da una malattia osteoarticolare è paragonabile a una gabbia che ti obbliga a fare i conti con la tua vita, con la quotidianità, con quello che puoi o non puoi fare più. Purtroppo il sintomo dolore nelle malattie osteoarticolari, sia autoimmuni che degenerative, è sempre presente, è una costante, a volte può essere meno acuto più lieve, ma non scompare mai e nel tempo rende davvero difficile la vita perché limita, talvolta in modo pesante, tutte le attività: da quella lavorativa e familiare, a quella personale e sociale. In un’indagine condotta da ANMAR nel 2011, in media l’80% dei pazienti dichiarava di “convivere con il dolore cronico” (il 65% dei pazienti con meno di 40 anni, l’84% di quelli tra i 40 e i 60 anni e l’82% degli over 60). A questo aggiungiamo il sottotrattamento del dolore, infatti il 40% dei pazienti non usa farmaci specifici sebbene la media del dolore dichiarato secondo una scala numerica da 0 a 10 si posizioni a “6,2”. Di | solito il dolore cronicizza con picchi di riacutizzazione ricorrenti. Naturalmente con il dolore acuto che diventa cronico e non ti lascia mai non si vive bene. Il punto è che mentre in anni recenti la malattia osteoarticolare è curata con ottimi farmaci, nella maggior parte dei casi il dolore che l’accompagna non viene considerato e nemmeno trattato. I farmaci che agiscono sull’infiammazione non sempre funzionano sul dolore, a volte perché non sono adatti o non sufficienti come dosaggio. Nonostante la qualità di vita dei pazienti con malattie reumatiche sia molto cambiata, il dolore è radicato con i suoi picchi e la sua cronicizzazione e, a quanto pare, il solo modo per difendersi è mettere Dalla parte del paziente: la presa in carico globale con particolare riferimento a quelle ad insorgenza in età lavorativa e ad alto potenziale invalidante; 2. progettare e implementare le reti reumatologiche in tutte le Regioni, reperendo le risorse necessarie nell’ambito della ripartizione annuale delle quote del Fondo Sanitario Nazionale vincolate agli obiettivi di Piano Sanitario Nazionale; 3. garantire un’offerta di assistenza ospedaliera reumatologica adeguata e integrata con il territorio, in grado di rispondere tempestivamente e in modo efficiente, efficace e appropriato al bisogno di salute delle persone con patologie reumatiche; A tutt’oggi, nonostante il grande impegno profuso da ANMAR, anche in collaborazione con altre associazioni, con la Sir (Società Italiana di Reumatologia), con il Croi (Collegio Reumatologi Ospedalieri Italiani), non siamo ancora riusciti a cambiare radicalmente l’approccio e la programmazione sanitaria nei confronti di queste malattie. in atto qualche banale strategia salva-vita. Anche in questo ambito è quindi necessario un confronto e una presa in carico della persona davvero globale, una sfida sicuramente difficile. 4. programmare e formare un numero adeguato di medici specializzati investendo maggiormente nelle scuole di specializzazione universitarie in Reumatologia. In questo momento di stretta economica, qual è – se c’è stato – l’impatto sui malati di queste patologie? Quali sono gli obiettivi a breve termine che vi proponete di raggiungere? Vista la situazione attuale è inevitabile ricordare gli obiettivi che stiamo perseguendo. Di seguito la richiesta che ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici), CITTADINANZATTIVA, SIR (Società Italiana di Reumatologia) e CROI (Collegio dei Reumatologi Ospedalieri Italiani) hanno rivolto a tutti i rappresentanti dei partiti politici e a coloro che si occuperanno di sanità e tematiche sociali nella prossima legislatura: assumere un impegno concreto per sostenere le esigenze delle persone colpite da malattie reumatiche. La richiesta si articola in quattro punti specifici: 1. realizzare un Piano nazionale, da approvare in sede di Conferenza-Stato Regioni, sulle patologie reumatiche, Alla base di queste proposte la considerazione che un efficace piano di programmazione sociosanitaria debba prevedere gli effetti delle scelte sul lungo termine: negare o limitare prestazioni appropriate e innovative, per abbattere oggi la spesa sanitaria, significa generare effetti disastrosi nel medio lungo termine, sia da un punto di vista di qualità della vita che in termini di capacità produttiva dei pazienti/cittadini, con conseguente impoverimento generale del SistemaPaese. Ma occuparsi di programmazione nazionale non è sufficiente. ANMAR con le sue 17 regioni aderenti sta coordinando e sostenendo l’operato locale. Infatti non possiamo ignorare che il federalismo sanitario ha portato alla creazione di sistemi sanitari diversificati e regionalizzati molto diversi l’uno dall’altro, e in ogni regione bisogna ripensare all’organizzazione sanitaria magari ripetendo battaglie già vinte a livello nazionale. COLLOQUIA 17 Focus Le patologie osteoarticolari | Dalla parte del paziente: la presa in carico globale Solo un banale esempio: a livello nazionale l’AIFA autorizza l’uso di un farmaco, ma le commissioni regionali ne tardano in modo assolutamente incomprensibile la messa a disposizione a livello locale, e naturalmente ne conseguono battaglie locali. Cosa pensate di fare per vedere realizzate nel prossimo futuro le richieste espresse precedentemente? Stiamo organizzando per fine maggio un evento che si propone di mettere a confronto tutte le associazioni che si occupano di malattie reumatiche e di programmare azioni strategiche per raggiungere un semplice obiettivo: garantire diagnosi precoce e terapie appropriate a tutte le persone che soffrono di patologie reumatiche. Figura. Tempo di attesa per l’inserimento nel PTOR del farmaco che ha concluso l’iter nazionale di “ammissione al rimborso” (espresso in giorni). Umbria 145 170 Basilicatae Veneto 190 Valle d’Aosta 194 Campania 210 213 Emilia Romagna Trento 219 Sardegna 219 Toscana 278 Lazio 284 *Presidente ANMAR, Associazione Nazionale Malati Reumatici. ANMAR-ONLUS esercita le seguenti attività dirette ad arrecare in generale benefici esclusivamente a soggetti svantaggiati a causa di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari: • promuove iniziative dirette alla tutela dei diritti dei malati reumatici, nonché all’impiego dei mezzi atti a migliorare la loro qualità di vita; • informa la pubblica opinione sulla natura delle malattie reumatiche, sui danni causati dalle stesse e sui mezzi e le modalità che possono contribuire a prevenire, accertare precocemente e curare efficacemente: a. SINERGIA pubblicazione Fonte: Quaderno CERM 2009. periodica nazionale (http://www.anmaritalia.it/news): b. Social networks: Facebook (http://www.facebook.com/g roups/69336178485/) YouTube (http://www.youtube.com/us er/anmarassociazione?feature =results_mai) c. Brochures monotematiche (http://www.anmaritalia.it/pubblicazioni; • promuove ogni azione presso i responsabili della Sanità Nazionale, Regioni e dei vari livelli amministrativi, per migliorare le strutture sanitarie e per garantire ai malati reumatici condizioni ottimali per la cura delle patologie e delle complicanze ad esse correlate. Le collaborazioni attualmente attive sono con: AIFA; Ministero della Salute e del Welfare; Ministero dell’Istruzione; Ministero della Pubblica Amministrazione e l’Innovazione; Istituzioni regionali; • collabora con le Università, con le strutture ospedaliere, i centri di ricerca, le istituzioni scientifiche al fine di migliorare la prevenzione delle complicanze, in particolare dell’handicap, la cura e lo studio delle malattie reumatiche; • collabora con le autorità politico-amministrative all’’esecuzione di indagini epidemiologiche atte ad evidenziare la rilevanza sociale delle affezioni reumatiche, sia per la loro elevata frequenza che per i costi che tali patologie croniche comportano; • sollecita le forze politiche in merito all’emanazione di norme legislative e di provvedimenti amministrativi in tema di prevenzione, cura e riabilitazione dei malati reumatici e per favorire • • • • l’inserimento e il reinserimento dei malati stessi nel contesto operativo della vita socioeconomica del paese; promuove ogni iniziativa che valga a potenziare l’attività dell’ANMAR ONLUS: Numero VERDE per l’assistenza alle persone; Sostegno psicologico gratuito a copertura nazionale; svolge i compiti istituzionali in stretta collaborazione con altre istituzioni e/o organismi similari; istituisce a livello nazionale e regionale gruppi di studio per la promozione della lotta alle diverse patologie reumatiche, supporta le attività delle associazioni regionali ove necessario: Questionari diretti alle persone con patologie reumatiche, Indagini on-line, Campagne informative; lavora in sinergia con EULAR European League Against Rheumatism di cui è membro. • Per ulteriori informazioni: www.anmar-italia.it; e-mail: [email protected]; Numero Verde 800 910 625 18 COLLOQUIA focus Le patologie osteoarticolari Osteoporosi e malattie dello scheletro Le principali associazioni italiane dei pazienti F.I.R.M.O. Fondazione Raffaella Becagli F.I.R.M.O. Fondazione Raffaella Becagli è un esempio unico di ente privato non profit che riconosce come obiettivo prioritario la prevenzione e la cura delle malattie dello scheletro. Sebbene milioni di persone siano affette da patologie delle ossa, la sensibilizzazione verso queste malattie è scarsa, spesso i medici non riescono a riconoscerle e i fondi per la ricerca sono esigui. Bisognava assolutamente fare qualcosa. È in questo scenario che il 20 Febbraio 2006 nasce F.I.R.M.O. Fondazione Raffaella Becagli. La Fondazione, ente non profit, ha come scopo la sostenibilità di ricerche innovative per la diagnosi delle malattie dello scheletro, valorizzando a pieno il potenziale di competenze e di istituzioni, presenti nel nostro Paese, sui versanti universitario, industriale, clinico e finanziario. Nello specifico, l’iniziativa persegue in via prioritaria i seguenti obiettivi: attrarre investimenti, risorse e talenti, concorrendo alla crescita della ricerca innovativa in Italia; promuovere il trasferimento tecnologico dalle strutture di ricerca alle imprese; educare i medici e gli operatori sanitari utilizzando corsi, master, letture e pubblicazioni; sensibilizzare l’ opinione pubblica, attraverso campagne nazionali; sviluppare programmi mirati a promuovere la conoscenza nei pazienti di ogni età, per poter ridurre la distanza tra scienza e società. • La Lega Italiana Osteoporosi onlus per la ricerca, la prevenzione e la cura delle malattie demineralizzanti delle ossa è un’associazione senza scopo di lucro fondata con lo scopo di promuovere la conoscenza di queste malattie, fornendo informazioni ai pazienti, ai medici e al pubblico in generale, e di sostenere la ricerca scientifica in questo settore della medicina. www.lios.it http://fondazionefirmo.f5lab.com FEDIOS Federazione Italiana Osteoporosi e malattie dello Scheletro Nell’ottobre 2005 è nata la Federazione Italiana Osteoporosi e malattie dello Scheletro (FEDIOS) allo scopo di riunire in una Federazione Nazionale tutte le associazioni di pazienti affetti da osteoporosi presenti in diverse regioni d’Italia. La FEDIOS è una associazione senza scopo di lucro che opera in piena autonomia al solo scopo di divulgare la conoscenza dell’osteoporosi. L’osteoporosi è una malattia che colpisce in Italia quasi cinque milioni di soggetti. In alcune regioni operano con grande impegno alcune associazioni di pazienti affetti da osteoporosi, ma senza una vera coordinazione nazionale. Per questo motivo, si è sentita la necessità di creare una federazione che potesse rappresentare queste realtà locali presso le istituzioni sanitarie a livello nazionale (Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco, LIOS Lega Italiana Osteoporosi ecc.), le Società Scientifiche (SIOMMMS, SIR, ecc.) e le associazioni internazionali (IOF, ecc.). Con la FEDIOS le associazioni di pazienti affetti da osteoporosi si sono Federate sotto un unico organismo che rappresenta tutto il territorio nazionale per avere più forza, e quindi più voce, non solo a livello nazionale ma anche a livello internazionale. • www.fedios.it Grazie alla generosità dei sostenitori e al lavoro dei volontari, la LIOS ha svolto fin dalla sua nascita importanti attività informative e per il sostegno della ricerca scientifica. In particolare, ha fornito a pazienti e a medici un accesso diretto alle informazioni più aggiornate; ha offerto borse di studio per giovani ricercatori nel campo del metabolismo minerale e osseo; ha pubblicato e distribuito opuscoli, libri e video informativi sull’osteoporosi; ha fornito materiale informativo a quotidiani e periodici e ha partecipato a programmi radiofonici e televisivi; ha organizzato numerosi incontri e dibattiti con il pubblico, con la partecipazione di esperti qualificati; ha sponsorizzato incontri scientifici sull’osteoporosi e corsi di formazione per medici sull’utilizzo delle tecniche mineralometriche; ha sostenuto due studi epidemiologici sull’osteoporosi a livello nazionale Tra le varie iniziative, particolare importanza riveste l’annuale campagna di informazione legata alla Giornata Mondiale contro l’Osteoporosi, indetta dalle associazioni di pazienti e società scientifiche di molti paesi, e dal 1996 ufficialmente riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La Giornata Mondiale si celebra in tutto il mondo il 20 ottobre di ogni anno. • COLLOQUIA 19 SECONDO ME... di Giacomo Milillo* La gestione del dolore osteoarticolare in medicina generale Il grande problema del futuro della sanità, da più parti segnalato, è la prevenzione e la gestione della cronicità: in tale filone si inserisce la corretta gestione del dolore cronico, vera e propria emergenza sociale. A cura di GIACOMO MILILLO*, ARRIGO LOMBARDI** I problemi osteoarticolari e muscolari, caratterizzati da dolore, accompagnato o meno da rigidità e difficoltà di movimento, costituiscono, in ordine di frequenza, la prima causa di ricorso al medico di medicina generale. Circa il 30-40% dei disturbi riferiti dai pazienti, è caratterizzato da sintomi dolorosi, localizzati a livello del rachide e dei cingoli scapolo-omerale e pelvico. Tali affezioni possono essere la conseguenza di un trauma o di un affaticamento muscolare, spesso secondario ad attività sportiva o lavorativa e a posture scorrette e, pur potendo ripresentarsi più volte nell’arco della vita, hanno solitamente una durata temporale circoscritta. Per contro, si stima che in Italia oltre 5,5 milioni di individui siano affetti da patologie osteo-mio-articolari di tipo cronico-evolutivo. Appartiene a questo raggruppamento quasi la totalità delle malattie reumatiche (tabella). Queste ultime, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, rappresentano la prima causa di dolore e di disabilità in Europa, e da sole, costituiscono la metà delle patologie croniche che interessano la popolazione al di sopra dei 65 anni. Ne consegue che la comprensione della natura del dolore rappresenta un’esigenza primaria. Dal punto di vista temporale il dolore può essere distinto in acuto (finalizzato ad allertare l’organismo sulla presenza di stimoli potenzialmente pericolosi) e cronico (con caratteristiche qualitativamente diverse), mentre, dal 20 COLLOQUIA punto di vista fisiopatologico, si riconoscono un dolore nocicettivo (somatico e viscerale legato a processi infiammatori o ad alterazioni meccaniche strutturali) e un dolore neuropatico (centrale o periferico, che origina come diretta conseguenza di una lesione o di una malattia che interessa il sistema somato-sensoriale). A livello osteoarticolare, il processo infiammatorio determina un abbassamento della soglia di eccitabilità dei nocicettori, sia attraverso la liberazione di prostaglandine e altri mediatori della flogosi (istamina, serotonina, bradichina, ecc.), che in seguito alla risposta immunitaria dell’organismo. Oltre al dolore infiammatorio, esiste il dolore meccanico strutturale, dovuto a uno stimolo ad alta soglia (coxalgia, frattura vertebrale) che stimola un nocicettore a soglia normale. Il dolore neuropatico è invece indotto dalla lesione di una fibra nervosa nocicettiva (sindromi da intrappolamento); la lesione determina un aumento dell’eccitabilità della fibra con conseguente generazione di un’attività elettrica spontanea. Un aspetto preponderante è rappresentato dalle condizioni caratterizzate da dolore cronico che si sviluppano in un contesto di crescente età della popolazione, e che sono rappresentate essenzialmente da artrosi (38%), mal di schiena (36%) e cervicalgia (21%). Il medico di medicina generale (MMG), spesso la prima figura cui il Tabella. Distribuzione stimata delle malattie reumatiche (%) e numero dei casi di malattia (ISTAT, 1994). Artrosi 72,6 4.000.000 Reumatismi extrarticolari 12,7 700.000 Artrite reumatoide 7,5 410.000 Gotta 2,0 112.000 Spondilite anchilosante 2,7 151.000 Connettiviti 0,6 33.600 Reumatismo articolare acuto 0,01 Altre 1,8 Totale 500 100.000 100 5.507.100 Secondo me... | La gestione del dolore osteoarticolare in medicina generale Il grande problema del futuro della sanità, da più parti segnalato, è la prevenzione e la gestione della cronicità: in tale filone si inserisce la corretta gestione del dolore cronico, vera e propria emergenza sociale. La terza età, spesso penalizzata per ragioni non tanto economiche, ma spesso anche di tipo culturale/ideologico, è più esposta agli effetti di trattamenti poco accurati, meno incisivi e non raramente pericolosi: basti pensare all’utilizzo di antinfiammatori non steroidei, molecole che in tale classe di età sono sovente causa di gravi complicanze, non soltanto a carico dell’apparato digerente. cittadino si rivolge, normalmente attua un complesso lavoro, imperniato inizialmente su un processo di decodifica della domanda e di comprensione della necessità del paziente, che si continua nella corretta definizione del problema e infine nell’avvio del percorso assistenziale che può esaurirsi nell’ambito della prima visita o attraverso controlli successivi, con o senza l’ausilio di indagini strumentali e di laboratorio, o di consulenze specialistiche. Per quanto riguarda la terapia, hanno recentemente ricevuto credito due modelli fondamentali: la scelta del trattamento in base al meccanismo patogenetico e l’associazione di diverse molecole (paracetamolo-tramadolo, ossicodone-paracetamolo) per ottenere un effetto sinergico. Oggi sono disponibili farmaci ad azione nocicettoriale (steroidi, FANS, COX-2), farmaci ad azione sinaptica (tra questi, quelli in grado di modulare l’impulso – paracetamolo, oppiacei – quelli capaci di inibirlo – amitriptilina, clonazepam, duloxetina –) e quelli ad azione presinaptica (gabapentin, pregabalin), e farmaci ad azione sulla fibra, cioè sul dolore neuropatico periferico (amitriptilina, carbamazepina, oxcarbazepina). Anche nel caso del trattamento di associazione, la scelta della strategia terapeutica deve ovviamente tenere conto delle eventuali comorbilità, delle terapie concomitanti, dell’età del soggetto da trattare, oltre che delle preferenze personali del medico. Ovviamente, la scelta ideale prevede un’associazione di farmaci che agiscano con meccanismi complementari. Qual è il panorama socio-sanitario attuale? Attualmente siamo di fronte ad una profonda trasformazione sia della domanda di salute, che dell’offerta assistenziale/terapeutica, che comunque non può prescindere da valutazioni di sostenibilità economica. Il grande problema del futuro della sanità, da più parti segnalato, è la prevenzione e la gestione della cronicità: in tale filone si inserisce la corretta gestione del dolore cronico, vera e propria emergenza sociale. La terza età, spesso penalizzata per ragioni non tanto economiche, ma spesso anche di tipo culturale/ideologico, è più esposta agli effetti di trattamenti poco accurati, meno incisivi e non raramente pericolosi: basti pensare all’utilizzo di antinfiammatori non steroidei, molecole che in tale classe di età sono sovente causa di gravi complicanze, non soltanto a carico dell’apparato digerente. È necessario ampliare la cultura della terapia del dolore sia a livello di popolazione che della classe medica per dare concretezza, in ambito clinico, alla Legge 38/2010 al fine di evitare l’errata convinzione che la sofferenza sia un processo inevitabile dell’invecchiamento, al quale rassegnarsi. L’articolo 1 della normativa, che prevede la tutela del diritto di ogni cittadino a ricevere la terapia del dolore, di fatto rende obbligatorio il trattamento della condizione dolorosa anche nell’età avanzata. Allora assicurare a questi pazienti un’adeguata assistenza non è soltanto un dovere morale del medico ma anche un obbligo legislativo. Una gestione più appropriata del problema, possibile solo attraverso un costante monitoraggio del dolore, attraverso scale validate di valutazione, consente di migliorare la qualità di vita degli anziani ma anche di ridurre i costi a carico del Sistema Sanitario. In questa ottica alla medicina generale spetta un ruolo centrale tanto che è di fatto indispensabile che la capacità di gestire e risolvere questo tipo di problematiche sia parte fondamentale del bagaglio culturale e professionale del medico di famiglia. *Segretario Generale Nazionale della Federazione Nazionale Medici di medicina generale (Fimmg); **medico di medicina generale, Fimmg, Firenze e reumatologo. È necessario ampliare la cultura della terapia del dolore sia a livello di popolazione che della classe medica per dare concretezza, in ambito clinico, alla Legge 38/2010 al fine di evitare l’errata convinzione che la sofferenza sia un processo inevitabile dell’invecchiamento, al quale rassegnarsi. L’articolo 1 della normativa, che prevede la tutela del diritto di ogni cittadino a ricevere la terapia del dolore, di fatto rende obbligatorio il trattamento della condizione dolorosa anche nell’età avanzata. COLLOQUIA 21 SALUTE ED ECONOMIA di Federico Spandonaro* I costi economici e sociali delle malattie osteoarticolari L’impatto economico delle patologie osteoarticolari somma significativi costi sanitari diretti, per farmaci, ricoveri, riabilitazione, diagnostica, laboratorio, e costi indiretti, associati alla perdita di produttività da parte del paziente. A cura di DANIELA D’ANGELA**, BARBARA POLISTENA** L e patologie dell’apparato muscolo scheletrico (osteoarticolari) sono la causa più nota e più comune di malattie croniche ad alto potenziale di disabilità ed handicap: nel mondo sono centinaia di milioni le persone che ne soffrono. In Italia si stima che ne siano affetti oltre 5 milioni di individui. Si consideri che, in termini di morbilità, ossia di riduzione della qualità della vita e dell’autosufficienza, sono seconde soltanto alle patologie cardiorespiratorie (infarto miocardico, ictus, bronchite cronica). Esistono molte forme diverse di malattie osteoarticolari, ma tutte associate a dolore. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito le malattie osteoarticolari come la prima causa di dolore e disabilità. Si tratta di malattie molto differenti tra loro, ma tutte caratterizzate dalla presenza di danni o di disturbi a carico dell’apparato locomotore e dei tessuti connettivi dell’organismo. Si tratta di patologie, quindi, con un elevato impatto sociale, che condizionano fortemente le capacità di partecipazione sociale, comportando oltre a danni progressivi con conseguente disabilità, e al dolore, anche depressione, e, in generale, riduzione della qualità della vita. Colpendo soggetti di ogni età, e quindi anche in età lavorativa, la progressiva disabilità si ripercuote sulla capacità lavorativa dei pazienti con assenze, ridotta produttività e, talvolta, perdita del lavoro con conseguenti costi a carico della Società. Tra le patologie osteoarticolari di maggiore rilievo qualiquantitativo, citiamo l’artrite reumatoide e l’osteoporosi, che colpiscono soprattutto la popolazione anziana: non si possono però non considerare anche i quadri degenerativi derivanti dall’artrosi, che interessano anche la popolazione giovanile, e che vedono un sempre maggior ricorso alle terapie chirurgiche. L’artrite reumatoide è una malattia reumatica infiammatoria autoimmune che colpisce il tessuto sinoviale, una membrana connettiva che copre il lato interno delle articolazioni, soprattutto di mani, i piedi e i polsi. L’osteoporosi rappresenta una condizione clinica che rimane spesso silente per anni, per poi manifestarsi d’improvviso e in modo drammatico, esitando in fratture prevalentemente di femore ed anca: fratture che rivestono un forte impatto sociale, in quanto generano perdita di autosufficienza, oltre ad essere anche causa di mortalità. Prevalenza Le malattie osteoarticolari e reumatiche si stima che colpiscano il 10% della popolazione italiana (circa 6 milioni di abitanti) rappresentando la condizione cronica più diffusa: secondo l’Indagine Multiscopo dell’ISTAT (anno 2010)1 artrite e artrosi colpiscono il 17,3% della popolazione e l’osteoporosi il 7,3%. Si tratta di patologie che colpiscono prevalentemente le donne (tabella I): dai dati ISTAT risulta che il 22,1% delle donne soffre di artrite/artrosi ed il 12,0% di osteoporosi vs rispettivamente il 12,1% ed l’1,7% degli uomini. In particolare per 22 COLLOQUIA Salute ed Economia | I costi economici e sociali delle malattie osteoarticolari Tabella I. Popolazione residente per malattia cronica dichiarata, classe di età e genere per 100 persone della stessa classe di età e genere. Anno 2010. Artrosi, artrite Femmine Totale Età Maschi 0-14 0,2 0,4 15-17 0,2 18-19 20-24 25-34 1,4 35-44 3,9 6,8 45-54 9,9 18,6 55-59 19,4 34,6 27,2 Osteoporosi Femmine Totale Var. 2010/2008 Maschi Var. 2010/2008 0,3 0,1 0,0 0,0 0,0 0,0 0,3 0,3 0,1 0,2 0,5 0,3 0,3 Nd 0,7 0,3 -3,0 0,0 0,0 0,0 -0,3 0,3 0,5 0,4 -0,2 0,1 0,1 0,1 0,1 2,1 1,8 0,0 Nd 0,2 0,1 -0,2 5,4 -1,2 0,1 1,0 0,6 0,0 14,3 -2,5 0,8 5,0 3,0 -0,3 -0,5 2,2 18,0 10,3 1,2 60-64 24,4 40,4 32,5 -0,6 1,6 21,2 11,5 -3,5 65-74 33,3 52,2 43,7 -2,5 4,5 31,9 19,5 -1,6 75+ 49,6 67,9 60,6 -0,9 10,8 45,3 31,7 -1,1 Totale 12,1 22,1 17,3 -0,6 1,7 12,0 7,0 -0,3 Nd=non disponibile. Fonte: Annuario Statistico 2010 ISTAT3. l’osteoporosi la prevalenza supera il 40% nella popolazione femminile al di sopra dei 60 anni2. In Italia tali patologie rappresentano la più frequente causa di assenze lavorative e la ragione di circa il 27% delle pensioni di invalidità erogate. La distribuzione regionale della prevalenza risulta essere piuttosto difforme passando da più del 20% di Umbria, Basilicata, Sardegna e Abruzzo, a valori inferiori al 12,5% nelle Province Autonome di Trento e Bolzano: differenze che non stupiscono troppo, essendo fortemente condizionate dai diversi stili di vita (tabella II). L’impatto economico delle malattie osteoarticolari L’impatto economico delle patologie osteoarticolari somma significativi costi sanitari diretti, per farmaci, ricoveri, riabilitazione, diagnostica, laboratorio, e costi indiretti, associati alla perdita di produttività da parte del paziente. Ad esempio, si consideri che il 7,2% del totale dei ricoveri per acuti, lungodegenza, riabilitazione in regime ordinario e in day hospital hanno avuto come diagnosi principale una malattia reumatica. La quota di ricoveri per malattia reumatica è variabile in funzione del regime di ricovero: 6,9% dei ricoveri per acuti, 13,1% nella riabilitazione, 10,0% nella lungodegenza. Tale dato appare, tra l’altro, sottostimato in quanto sono stati considerati solo i ricoveri in cui le malattie reumatiche rappresentano la diagnosi principale. Si consideri ancora che, per le patologie considerate (basti pensare alle citate fratture osteoporotiche), è spesso necessario il ricorso ad interventi ortopedici di sostituzione protesica. In Italia sono stati effettuati, nel 2009, circa 159.000 interventi di sostituzione protesica (di cui 58% interventi di protesi di anca, il 39% di ginocchio, il 2% di spalla, 1% su articolazioni minori) (tabella III). Tra il 2001 e il 2009 il numero di interventi protesici è aumentato con un incremento medio annuo del 4% per l’anca e dell’11% per il ginocchio. Sono le donne che si sottopongono maggiormente ad un intervento di sostituzione protesica per tutte le tipologie di intervento (67% donne, 33% uomini) e presentano un’età media superiore (73 anni le donne, 69 anni gli uomini). Nel 2009 l’impatto economico degli interventi di artroplastica ha rappresentato circa l’1,5% del Fondo Sanitario Nazionale. La valutazione dei costi diretti dei pazienti osteoporotici si concentra per lo più sulle fratture osteoporotiche: nel rapporto dell’International Osteoporosis Foundation del 2008 risulta che i costi diretti ospedalieri totali per la frattura dell’anca sono risultati pari a € 546,2 mil. e di € 361,3 mln. per la riabilitazione nell’80% delle fratture, per un costo complessivo di € 907,5 mil. In particolare, i costi maggiori sono dovuti, principalmente, alle fratture del femore e si stimano essere circa € 13 mil. Dallo studio di Sferrazza et al.4 è emerso che il costo medio annuo ospedaliero per una donna con una frattura osteoporotica è pari a € 2.241,96. In Italia, nel 2009, si è registrato un tasso di dimissioni ospedaliere, in regime Tabella II. Popolazione residente per malattia cronica dichiarata, classe di età e genere per 100 persone della stessa classe di età e genere. Anno 2010 Valori %. Regioni Artrosi, artrite Osteoporosi Italia 17,3 7,0 Nord 16,3 5,9 Centro 18,5 7,5 Sud 17,8 8,1 Piemonte 15,3 6,6 Valle d’Aosta 16,1 6,0 Lombardia 16,2 5,9 Pr. Aut. di Bolzano 8,0 3,7 Pr. Aut. di Trento 12,4 3,9 Veneto 15,5 5,2 Friuli Venezia Giulia 16,9 5,4 Liguria 19,2 8,7 Emilia Romagna 18,9 5,6 Toscana 19,6 7,8 Umbria 21,6 7,5 Marche 16,2 6,6 Lazio 18,0 7,5 Abruzzo 21,1 9,2 Molise 19,4 8,5 Campania 15,8 7,4 Puglia 17,3 7,9 Basilicata 21,3 8,7 Calabria 19,5 8,6 Sicilia 17,5 7,4 Sardegna 21,2 10,9 Fonte: Annuario Statistico 2010 ISTAT3. COLLOQUIA 23 Salute ed Economia | I costi economici e sociali delle malattie osteoarticolari Tabella III. Interventi di sostituzione protesica articolare per tipo di intervento. Anno 2009. Intervento Anca Ginocchio Spalla Altre articolazioni Totale Numero interventi 92.902 61.100 3796 1666 159.464 Composizione % 58,26 38,32 2,38 1,04 100,00 Fonte: SDO 2009 Ministero della Salute. di ricovero ordinario, per una frattura osteoporotica pari a 35,6 per 100.000 donne over 45. Il tasso aumenta con il crescere dell’età sia nel totale sia per tutte le tipologie di frattura considerate. Per quanto riguarda la spesa farmaceutica, dal Rapporto OSMED del 20095, si osserva come quella associata all’apparato muscolo-scheletrico ammonti a € 1.378 mil. (OsMed, 2009), con un trend di crescita attribuibile alle modifiche della Nota 79 che dal 2007 hanno determinato un allargamento della prescrizione a carico SSN. A livello territoriale, la quota più consistente della spesa per questo gruppo terapeutico è rappresentata proprio dai farmaci per l’osteoporosi. Il costo sociale medio annuo per i pazienti affetti artrite reumatoide di età maggiore di 18 anni, stimato da Turchetti et al.6 è pari a € 3,4 mld., rappresentando circa il 2,9% della spesa sanitaria pubblica, ovvero lo 0,2% del PIL del Paese; i costi diretti sanitari sono circa € 700 mln.(20,1% dei costi totali per artrite reumatoide) e gli indiretti pari a € 1,1 mld. (32,4% dei costi totali per l’artrite reumatoide). Anche da uno studio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore del 2009 è stato stimato che i costi nella prospettiva della Società, inclusi quindi i costi del SSN, per i pazienti affetti da artrite reumatoide sono pari a € 3,2 mld., e si ritiene possano arrivare a € 4,0 miliardi nei prossimi 20 anni. Il costo medio annuo nella prospettiva della Società per un paziente con artrite reumatoide risulta, quindi, pari a € 8.000. Negli ultimi anni le opportunità terapeutiche per questa patologia si sono fortunatamente di molto accresciute in particolare con l’avvento dei farmaci biologici, il cui successo risiede nella grande selettività d’azione, che consente di ottenere, nella maggior parte dei casi, una notevole efficacia terapeutica in tempi brevi. I farmaci biologici, a cui si 24 COLLOQUIA stima siano eleggibili poco più del 20% dei pazienti, sono però significativamente costosi. Secondo il Rapporto OSMED 20117 la spesa per tutti i farmaci biologici rappresenta il 20,9% della spesa farmaceutica ospedaliera in Italia (€ 26,2 vs € 125,2) e l’8,0% della spesa dei farmaci di classe A+pubblica. In un contesto di risorse scarse, come quello che caratterizza allo stato attuale il nostro SSN, l’avvento dei biologici rappresenta quindi una importante e efficace opportunità terapeutica, contrastata però da problematiche di ordine finanziario. La letteratura è comunque concorde nel ritenere che la spesa per le innovazioni terapeutiche in questo campo sia costo efficace, e che l’utilizzo dei farmaci biologici se, da un lato, incrementa i costi diretti sanitari, dall’altro porta a una contrazione della spesa relativa ai costi diretti non sanitari (l’assistenza informale) e ai costi indiretti (perdita di produttività), oltre che un significativo miglioramento della qualità della vita dei pazienti. Questo è ancora più vero se tali terapie vengono somministrate ai pazienti nella fase di esordio della malattia. L’innovazione, quindi, è da considerarsi socialmente un buon investimento, purché erogata in un contesto di appropriatezza clinica e organizzativa, peraltro adeguatamente garantito dal monitoraggio attento che viene effettuato sui consumi dei farmaci innovativi e sui Centri prescrittori. Conclusioni Per effetto del progressivo invecchiamento della popolazione, in particolare di quella italiana, che è tra le più anziane d’Europa, è da attendersi un incremento esponenziale delle patologie osteoarticolari e quindi dei conseguenti impatti economici: ad esempio, Rossini et al. hanno stimano che i cambiamenti demografici dei prossimi anni comporteranno un aumento del numero di fratture del femore nel mondo dai 1,66 milioni del 1990 ai 6,26 milioni del 2050. Le malattie osteoarticolari sono patologie ad alta prevalenza e con un elevato impatto economico sanitario e sociale, e con una possibile crescita di spesa nei prossimi anni, soprattutto a carico del SSN, dovuta da una parte allo stimato aumento di prevalenza e dall’altra all’utilizzo delle nuove soluzioni terapeutiche (biologici); anche se non si può prescindere dalla considerazione, che trova conforto nella letteratura, che queste ultime pur generando un aumento dei costi diretti sanitari, portano contestualmente ad una contrazione di quelli indiretti migliorando la qualità della vita dei pazienti. Le differenze di prevalenza riscontrate a livello geografico suggeriscono quindi, trovando accordo anche nel Piano Nazionale della Prevenzione 2010 2012, di attivare percorsi finalizzati alla diagnosi precoce e di adottare programmi di prevenzione specifici per i diversi contesti, finalizzati alla educazione a corretti stili di vita nelle diverse fasce d’età e, in particolare, alla diffusione di azioni di contrasto alla sedentarietà. Bibliografia 1. ISTAT, Indagine Statistica Multiscopo, 2010. 2. Rossini M, Piscitelli P, Fitto F, et al. Incidenza e costi delle fratture di femore in Italia. Reumatismo 2005; 57: 97-102. 3. ISTAT, Annuario statistico 2010. 4. Sferrazza A, Nicolotti N, Di Thiene D, et al. L’osteoporosi in Italia: risorse utilizzate dal SSN e relativi costi. It J Public Health 2011; 8 (Suppl. 2). 5. OsMed. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto nazionale anno 2009. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2010. 6. Turchetti G, Smolen JS, Kavanaugh A, Braun J, Pincus T, Bombardieri S. Treat-totarget in rheumatoid arthritis: clinical and pharmacoeconomic considerations. Introduction. Clin Exp Rheumatol 2012; 30 (4 Suppl 73): S1. Epub 2012 Nov 20. 7. OsMed. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto nazionale anno 2011. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2012. *Università degli Studi di Roma Tor Vergata; **CEIS Sanità, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata e 4 Health Innovation. La Medicina e le Arti Pazienti illustri Casi di malattie osteoarticolari in biografie di artisti e religiosi noti al suo primo manifestarsi, l’arte ha avuto tre principali interessi: quello per l’uomo, rappresentato nel suo faticoso cammino su quell’incerto crinale tra commedia e tragedia che è la vita. La Divinità, dall’Olimpo greco fino alla sommità del Gòlgota cristiano; e infine la Natura, dalle pitture rupestri delle grotte di Altamira in Spagna fino al cesto di frutta del Caravaggio e alle bottiglie di Morandi del secolo scorso. Per quanto riguarda questo tema introduttivo, Letteratura e Pittura sono le due manifestazioni artistiche che, avendo a che fare con l’uomo descritto in tutte le sue gioie e miserie e paure, inevitabilmente hanno narrato di una delle componenti fondamentali della vita di ogni uomo da sempre: come l’amore, anche la sofferenza, il dolore e la malattia fanno parte integrante del vivere quotidiano, ed era dunque impossibile e impensabile che l’Arte non li prendesse a tema. L’excursus letterario va dalla descrizione della peste di Atene di Tucidide a quella di Milano del Manzoni, dal colera delle pagine di Verga a quello di Thomas Mann in Morte a Venezia, dalla tubercolosi sempre di Thomas Mann nella Montagna incantata fino al più recente Diceria dell’untore di Gesualdo Bufalino, senza dimenticare il pirandelliano atto unico L’uomo dal fiore in bocca o la descrizione della malattia mentale nei romanzi di Mario Tobino. Ma è soprattutto la pittura che ha raffigurato l’uomo nella malattia: dai vasi dell’antica Grecia con le immagini dei guerrieri curati nelle loro ferite da battaglia, a gran parte della pittura a tema sacro dal 1200 al 1600 nelle raffigurazioni delle guarigioni di Gesù D “medico”, alla pittura profana che ha trattato, soprattutto dal Seicento in poi, di sale anatomiche e scoperte scientifiche, vaccinazioni e prime anestesie, ecc. L’Ottocento è stato certamente il secolo dove maggiormente Pittura e Malattia sono andate a braccetto, e non a caso il Novecento si apre col famoso Fanciullo ammalato del ventenne Picasso (1903). Consigliamo ai lettori interessati ai rapporti tra Pittura e Medicina il bel volume Curare e guarire. Occhio artistico e Occhio clinico ovvero La malattia e la cura nell’arte pittorica occidentale (autori Giorgio Bordin e Laura Polo D’Ambrosio, 2005). FRANCESCO FIORISTA, cardiologo, Milano. La Medicina e le Arti | Pazienti illustri clown e prostitute cogliendo intensamente – dietro i lustrini ed i velluti della Belle Époque – la solitudine e la struggente malinconia di quel mondo superficiale ed evanescente. Morirà nel 1901, a 37 anni, alcolizzato e distrutto dalla sifilide. Frida Kahlo (Coyoacán, 6 luglio 1907 – Coyoacán, 13 luglio 1954) Henri de ToulouseLautrec (Albi, 24 novembre 1864 – Saint-André-du-Bois, 9 settembre 1901) È stato un pittore francese, appartenente ad una delle più nobili e ricche famiglie di Francia e tra le figure più significative dell’arte del tardo Ottocento. Divenne un importante artista post-impressionista, illustratore e litografo e registrò nelle sue opere molti dettagli dello stile di vita bohémien della Parigi di fine Ottocento. ToulouseLautrec contribuì anche con un certo numero di illustrazioni per la rivista Le Rire, durante la metà degli anni novanta. Una rara malattia ereditaria determinò una fragilità ossea che gli bloccò la crescita delle gambe. La 26 COLLOQUIA tristezza per la deformità fisica lo allontanò dall’alta società cui apparteneva per nascita e – a Parigi – prese a frequentare teatri, caffè-concerto e, soprattutto, i bordelli di Montmartre. Vi ritrasse la vita quotidiana di ballerine, Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón è stata una pittrice messicana. Si ammalò di poliomielite a cinque anni e fece di tutto per recuperare l’uso della gamba destra. A 17 anni rimase vittima di un incidente stradale tra un autobus su cui viaggiava e un tram, a causa del quale riportò gravi fratture tra cui 2 alle vertebre lombari, 5 al bacino, 11 al piede destro e la lussazione del gomito sinistro; inoltre un corrimano dell’autobus si staccò e le trapassò il fianco. Ciò la segnerà a vita costringendola a numerose operazioni chirurgiche. Dimessa dall’ospedale, fu costretta ad anni di riposo nel suo letto di casa col busto ingessato. Questa forzata situazione la spinse a leggere libri sul movimento comunista ed a dipingere. La sofferenza ed il dolore sono elementi sempre presenti nella sua arte, ma sono affrontati con grandissimo coraggio ed associati ad una Sotto: Frida Kahlo mentre dipinge, in trazione a letto. La Medicina e le Arti incontenibile “alegría”, creando una contraddizione che diventa punto di forza del fascino della Kahlo. La colonna spezzata, 1944. Del 1944, La colonna spezzata, testimone della dolorosa consapevolezza di un corpo ormai allo stremo. Lei e Diego si erano risposati quattro anni prima a patto che non avrebbero avuto più rapporti sessuali. Le erano state amputate alcune dita del piede destro e lo sguardo di Frida parla da solo. I chiodi che trafiggono tutto il corpo evidenziano il suo stato di sofferenza costante. Di lì a poco, sarà operata ancora: le vennero fuse quattro vertebre con delle scaglie d’osso prelevate dal bacino e alla colonna vertebrale venne inserita un’asta di metallo come rinforzo. fedeli, oggi si è generalmente d’accordo nel ritenere che le sue “due gobbe”, una anteriore , l’altra posteriore, siano comparse intorno ai quindici anni e non a causa di una prolungata, scorretta posizione dello scheletro (da ragazzo passava lunghe ore in Biblioteca curvo sui libri), ma più semplicemente di tubercolosi vertebrale già al tempo nota come “morbo di Pott”. Del presunto rachitismo, chiamato in causa da alcuni per spiegare le deformità delle vertebre toraciche, non fu invece riscontrato alcun segno. La deformità del torace creò da parte sua seri disturbi respiratori, dei quali si ha ampia notizia durante i soggiorni a Firenze e a Roma del 1830-1832. Della proverbiale malinconia di Leopardi si sono occupati medici, psicologi, psichiatri e psicanalisti che lo hanno variamente definito un abulico, un insicuro, un asociale, un disordinato, uno psicopatico combattuto dalla follia degli scrupoli, dalle allucinazioni, dall’idea fissa del suicidio. A seconda dei punti di vista, sono stati chiamati in causa la deformità scheletrica, i disturbi della vista, l’epilessia, la depressione, l’ipocondria, la tendenza al suicidio. | Pazienti illustri Nel 1957 una prima caduta con rottura del femore, durante le prove di spettacolo a Washington, la costrinse ad interrompere i suoi spettacoli (ma qualcuno invece parlò di una caduta nel bagno mentre era ubriaca). Nel 1975 fece il suo ultimo tour in Belgio, Olanda, Inghilterra, Canada, USA e Australia. Il 29 Settembre 1975, in un secondo incidente si ruppe una gamba durante uno spettacolo a Sydney in Australia. Non volendo apparire in pubblico in cattive condizioni, la Dietrich resterà in gran parte inattiva sino agli inizi degli anni ‘80. Marlene Dietrich trascorse l’ultimo decennio della sua vita in quasi totale isolamento nel suo appartamento di Parigi di Avenue Montaigne, dove per la maggior parte del tempo la malattia la costrinse immobilizzata al letto. Marlene Dietrich Giacomo Leopardi (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837) Al battesimo conte Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi è stato un poeta, filosofo, scrittore, filologo e glottologo italiano. È ritenuto il maggior poeta dell’Ottocento italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonché una delle principali del romanticismo letterario. Leopardi risultava non più alto di 1,40-1,45 e il tronco (con la testa) presentava una forte sproporzione rispetto al resto del corpo non superando il mezzo metro. A parte i ritratti che lo raffigurano da giovane, per lo più “ingentiliti” e quindi scarsamente (Berlino, 27 dicembre 1901 – Parigi, 6 maggio 1992) Marie Magdalene “Marlene” Dietrich è stata un’attrice e cantante tedesca naturalizzata statunitense. Fra le più note icone del mondo cinematografico della prima metà del Novecento, la Dietrich fu un vero e proprio mito, una diva, lasciando un’impronta duratura attraverso la sua recitazione, le sue immagini e l’interpretazione delle canzoni (arricchite da una ammaliante e sensuale voce). La Dietrich pare soffrisse di osteoporosi all’anca sopravvenuta con la menopausa, causa pare questa delle frequenti cadute e fratture che hanno funestato la vita della diva nei suoi ultimi anni. Proprio lei che aveva “le gambe più sexy del mondo”, assicurate ai Lloyd’s di Londra. COLLOQUIA 27 Sondiamo... il terreno Le vostre opinioni in un coupon U no degli argomenti trattati nei sondaggi effettuati tramite il coupon di Colloquia nel corso del 2012 ha avuto come oggetto i Servizi MSD. Come di consueto, desideriamo condividere con i lettori della rivista i risultati della ricerca, alla quale hanno partecipato 293 medici, di cui 217 Medici di Medicina Generale e 76 Specialisti. Servizi MSD A cura di FABRIZIO CARANCI*, MARCO MICCINILLI** Servizi online MSD (valutazione % 8+9+10 “estremamente utili e interessanti”) Servizi online (totale medici) GP (%8+9+10) Specialisti (%8+9+10) 80 74 70 68 65 60 64 63 62 58 61 59 63 62 54 59 56 50 55 55 52 50 49 49 50 50 45 47 46 40 39 43 42 42 41 30 20 10 0 Aggiornamenti Linee in ambito guida sanitario e scientifico tramite eMail (Quotivadis e Uniflash) FAD, con crediti e non Info Le novità medicodai legali per congressi la gestione del rischio professionale Atlanti di anatomia in 2D/3D Richiesta articolo Siti di patologia VDANet, DocVadis, Siti di la banca la prodotto dati piattaforma sanitaria per creare farmaceutica il proprio sito professionale Just published Web meeting con colleghi, forum e spazi condivisi App Web mediche cast/ per partecipazione iPhone a congressi ed iPad in remoto (ad es. rischio CV) Servizi MSD (valutazione % 8+9+10 “estremamente utili e interessanti”) Servizi online (totale medici) GP (%8+9+10) Specialisti (%8+9+10) 70 60 57 59 56 57 54 52 50 49 53 47 54 50 47 45 42 40 49 47 45 40 38 36 38 29 30 20 10 0 Corsi di gestione del paziente nella pratica clinica 28 COLLOQUIA Corsi di medicina basata sull’evidenza per una appropriata interpretazione degli studi clinici Corsi scientifici territoriali Corsi di comunicazione efficace alla comunità scientifica Incontri con esperti internazionali Riviste di approfondimento sui temi di Economia e Politica sanitaria (Care/Care Regioni) Corso di Farmacoeconomia DocVadis, la piattaforma per creare il proprio sito professionale Corsi su Risk Management Corsi di gestione del personale medico e paramedico Corso per scrivere articoli scientifici (Norme per autori) La MSD si racconta In soli due anni, l’utilizzo di Internet per attività scientifica di informazione/aggiornamento professionale è cresciuto del 12% (89% nel 2012 vs 77% nel 2010) e, anche nel 2012, Univadis si è riconfermato come il sito dedicato al medico più conosciuto e utilizzato in Italia, su cui MSD continua ad investire per offrire servizi sempre più utili e rilevanti per i suoi interlocutori. Dall’analisi di Colloquia si conferma che il 59% dei medici considera i servizi online di MSD molto rispondenti ai loro bisogni professionali. Quotivadis e Uniflash (l’aggiornamento quotidiano via email in ambito sanitario e scientifico) risulta essere il servizio più utile ed interessante (62%) insieme alle “Linee Guida” (62%), seguito dai “Corsi di aggiornamento online, con crediti e non” (61%) e dalle “Informazioni medico-legali per la gestione del rischio professionale” (58%). Differenze significative tra i target considerati si rilevano per la valutazione del servizio “Just Published: articoli in full-text da The Lancet e abstract da molteplici riviste internazionali” (+23% Specialista vs Medico di Medicina Generale) e “Richiesta Articolo” (+18% Specialista vs Medico di Medicina Generale). Parlando invece dei servizi MSD in generale, l’intero ventaglio di offerte è considerato per il 70% dei medici molto rispondente ai bisogni professionali. In particolare, l’area della formazione/corsi è stata valutata come estremamente interessante ed utile: come ad esempio i “Corsi di gestione paziente nella pratica clinica” (58%), i “Corsi di medicina basata sull’interpretazione studi clinici” (57%), i “Corsi scientifici territoriali” (52%) ed i “Corsi di Comunicazione Efficace alla Comunità Scientifica” (51%). Differenze significative tra i target considerati si rilevano per la valutazione dei “Corsi su Risk Management” (+11% Specialista vs Medico di Medicina Generale) e “Corsi di gestione del personale medico e paramedico” (+11% Specialista vs Medico di Medicina Generale). *Multichannel Communication Associate Director; **Market Research & Analytics Specialist. Settimana dei disturbi osteoarticolari Specialisti gratis per una settimana MSD promuove la Campagna AMICO, Alleati Contro le Malattie in Campo Osteoarticolare. A cura di SIMONETTA ALUNNI* S ensibilizzare la popolazione sulle malattie osteoarticolari e offrire un servizio per effettuare una prima valutazione gratuita dello stato di salute del apparato muscolo-scheletrico per gli oltre dieci milioni di cittadini italiani che soffrono di questi disturbi. Questi gli obiettivi della “Settimana dei Disturbi Osteoarticolari” promossa nell’ambito del programma AMICO, Alleati Contro le Malattie in Campo Osteoarticolare che si è svolta lo scorso ottobre su tutto il terriotorio italiano. 104 strutture specializzate distribuite su tutto il territorio nazionale hanno fornito la loro disponibilità a partecipare con l’obiettivo di garantire per la prima volta ai potenziali pazienti un’importante occasione di diagnosi precoce tempestiva e di un eventuale trattamento appropriato Un’iniziativa di grande successo che è riuscita ad incontrare l’interesse non solo dei media ma anche e soprattutto di medici e pazienti e i cui “ numeri” sono la diretta ed evidente testimonianza di questo successo: 104 centri coinvolti, circa 9.000 telefonate al numero verde e quasi 3.000 visite effettuate sul territorio. Tutto questo grazie anche alle grande eco mediatica generata dall’iniziativa con circa 100 “uscite” tra articoli, radio, televisioni e web e oltre 40 milioni di contatti raggiunti. La “Settimana del Disturbi Osteoarticolari” è stata promossa su iniziativa di SIOMMMS, Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro, presieduta dal professor Luigi Sinigaglia, SIOT, Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, presieduta dal professor Paolo Cherubino (alla realizzazione del progetto Amico presieduta dal prof. Marco D’Imporzano) e SIR, Società Italiana di Reumatologia, presieduta dal professor Marco Matucci Cerinic (alla realizzazione del progetto Amico Giovanni Minisola). Hanno concesso il Patrocinio al progetto le associazioni ANMAR, Associazione Nazionale Malati Reumatici, presieduta dalla dottoressa Gabriella Voltan e FEDIOS, Federazione Italiana Osteoporosi e Malattie dello Scheletro, presieduta dalla dottoressa Patrizia Ercoli. COLLOQUIA 29 La MSD si racconta | Settimana dei disturbi osteoarticolari L’iniziativa è stata realizzata grazie al supporto non condizionato di MSD Italia, da sempre impegnata nella ricerca, produzione e commercializzazione di farmaci innovativi nella gestione delle patologie osteoarticolari. MSD Italia ha recentemente rinnovato il proprio impegno nelle cure primarie, proponendosi come “alleato a 360 gradi” del medico specialista e di medicina generale, offrendo informazione scientifica altamente qualificata, un portafoglio prodotti tanto innovativo quanto diversificato e servizi all’avanguardia in grado di agevolare la formazione e l’aggiornamento del medico e di assisterlo nella pratica clinica. Da lunedì primo ottobre a venerdì dodici ottobre 2012, dalle ore 9.00 alle ore 18.00 dei giorni feriali, è stato attivo un numero verde per fornire ai cittadini informazioni e i numeri di telefono relativi alla struttura più vicina cui telefonare per prenotare una visita gratuita per la valutazione della situazione osteoarticolare. Tre indagini rivolte a specialisti, medici di medicina generale e pazienti Per individuare e affrontare correttamente tutte le problematiche connesse alla diagnosi e al trattamento di questi disturbi, sono state realizzate tre indagini presso cinquanta specialisti in Reumatologia, Ortopedia e Malattie Metaboliche dello Scheletro e cinquanta medici di Medicina Generale rappresentativi di tutto il territorio nazionale, oltre a settanta pazienti in cura presso alcuni centri specializzati del Nord, Centro e Sud Italia. I sondaggi, realizzati attraverso questionari ad hoc con risposte chiuse, hanno contribuito a delineare e a meglio definire alcune criticità assistenziali, quali il ritardo nella diagnosi e l’autoprescrizione, che comportano inevitabilmente un peggioramento della qualità di vita quotidiana del paziente esponendolo a rischi di natura farmacologica. Le indagini hanno preso in esame le diverse condizioni di salute in cui versano i cittadini quando si recano dallo specialista oppure dal medico di 30 COLLOQUIA medicina generale. In particolare, la tipologia e la gravità del disturbo di cui soffrono, la tempistica e le modalità relative alla comparsa dei sintomi, l’eventuale autodiagnosi, la tempestività della consultazione medica, la correttezza della diagnosi vera e propria e l’appropriatezza terapeutica. Queste analisi si propongono di verificare anche aspettative e obiettivi dei pazienti in termini di miglioramento nella gestione delle normali attività quotidiane a seguito delle terapie oggi disponibili, valutate anche in termini di efficacia e sicurezza. A DIRE IL VERO di Tullio De Mauro* .................... Dati epidemiologici In Italia circa 10.000.000 di persone soffrono di disturbi osteoarticolari, prevalentemente rappresentati da Artrosi, Osteoporosi, Artrite Reumatoide, Spondilite Anchilosante, Artrite Psorisiaca e Spondiloartriti in generale. Disponibili trattamenti mirati Per il trattamento dell’infiammazione e del dolore tipici di molte Malattie Reumatiche sono disponibili molecole ad attività antiinfiammatoria e antalgica di nuova generazione che, se utilizzate adeguatamente, possono ridurre i sintomi e migliorare la qualità di vita del paziente. L’osteoporosi, invece, non dà sintomi se non quando compaiono le complicanze rappresentate dalle fratture da fragilità che si possono verificare anche in assenza di traumi. La malattia progredisce in modo silenzioso e colpisce soprattutto le donne in età postmenopausale. La fragilità scheletrica richiede un approccio diagnostico accurato e approfondito che sia il presupposto per una efficace terapia. Attualmente sono disponibili numerosi presidi farmacologici che in studi clinici internazionali hanno dimostrato di ridurre significativamente il rischio di fratture da osteoporosi in tutte le sedi scheletriche valutate. Le evidenze maggiori sono state ottenute con i cosiddetti farmaci anti riassorbitivi, in grado di ridurre il riassorbimento osseo operato dagli osteoclasti. *Communication Manager MSD, Italy. *Già Ordinario di Linguistica generale, Università “La Sapienza”, Roma; autore di “Grande dizionario italiano dell’uso”. 2a ed. riveduta e ampliata, 8 voll. con docking station, Torino: UTET. “Grande dizionario italiano dei sinonimi e contrari”, 2 voll., Torino: UTET, 2010. L’ULTIMA PAROLA di Giuseppe De Rita* Un consistente dolore di massa La gente denuncia “un po’ di reumatismi”, con una semantica che nasconde la sottovalutazione. Solo quando si arriva al dolore più acuto, al ricovero, all’intervento chirurgico ci si rende conto di esser dentro una patologia che presenta difficili percorsi di cura. e malattie osteoarticolari sono in Italia L molto diffuse, quasi sempre sottovalutate, certo poco approfondite. Ed è difficile, per carenza di conoscenze adeguate, avere coscienza piena delle varie problematiche ad esse connesse; anche i ricercatori sociali, quorum ego, devono quindi accontentarsi di lavorare su spunti ed ipotesi. Sulla diffusione quantitativa non ci sono dubbi. Nelle sole patologie di tipo degenerativo (artrosi ed osteoporosi) abbiamo 8 milioni di malati, cui vanno aggiunti quelli delle malattie di tipo infiammatorio (artriti e connettiviti) e delle malattie dismetaboliche (gotta e diabete) con un totale che non dovrebbe essere lontano dai 10 milioni di cittadini. Un consistente dolore di massa, si può dire, tanto più che il numero è destinato fatalmente ad aumentare man mano che procederà l’invecchiamento della popolazione ed il carattere tendenzialmente endemico delle patologie in questione. Eppure si tratta di patologie chiaramente sottovalutate dall’opinione dei singoli, che di solito non si prendono cura dei primi sintomi (“il doloretto me lo tengo”, senza drammi); meno ancora sono attenti alla prevenzione, trascurando i più frequenti fattori di rischio (il fumo, l’obesità, la sedentarietà); e di conseguenza quasi mai arrivano ad avere una diagnosi precoce, condizione essenziale per l’efficacia di qualsiasi terapia. La gente denuncia “un po’ di reumatismi”, con una semantica che nasconde la sottovalutazione. Solo quando si arriva al dolore più acuto, al ricovero, all’intervento chirurgico ci si rende conto di esser dentro una patologia che presenta difficili percorsi di cura. L’invecchiamento cambierà il panorama di riferimento e indurrà una maggiore attenzione alle patologie osteoarticolari, ma per ora esse sono ancora sottovalutate, spesso un po’ neglette. Deriva forse da questa sottovalutazione di massa il loro limitato approfondimento sociosanitario. La reumatologia comprende un gran numero di malattie, per lo più “polimorfe e non sempre fra loro facilmente differenziabili”; esse non necessitano per la maggior parte dei casi di ricovero, il che riduce la possibilità di significative raccolte di dati sistematici e di adeguati studi epidemiologici; e la maggior parte delle conoscenze ci viene quindi da studi di tipo campionario o a dimensione locale, che non permettono grandi approfondimenti. Certo ci dicono alcune cose: – il parallelo andamento delle malattie con l’età; – la loro “esplosione nella piena vecchiaia” (per le artrosi e le artriti si passa dal 14% di malati all’età di 55 anni al 60% all’età di 75 ed oltre; mentre per l’osteoporosi nella stessa scansione si passa dal 3% al 32%); – il peso squilibrato in termini di genere, visto che ai 75 anni si ha il 68% di donne affette da artrosi e artriti contro il 50,6% di uomini; mentre per l’osteoporosi il rapporto peggiora con il 45% delle donne contro il 10% degli uomini; – e anche dal punto di vista territoriale, ci sono significative differenze, non tanto nel tradizionale divario fra Nord e Sud, quanto in articolazioni più specifiche (la situazione migliore è in Trentino ed Alto Adige, le peggiori sono in Umbria, Abruzzo, Basilicata e Sardegna) che sono però praticamente indecifrabili, per ora. Viene così un po’ da rimpiangere che non vi siano dati epidemiologici più ricchi, capaci di approfondire le varie componenti e le diverse prospettive di un insieme di malattie che incidono e incideranno moltissimo sulla realtà sociale italiana. Non ci sarà soltanto, infatti, nei prossimi anni un aumento dei costi (quelli diretti di cura e di ricovero e quelli indiretti di mancata partecipazione al lavoro ed alla produzione di reddito), ma una costante incertezza e un po’ di confusione nel fronteggiamento delle malattie in questione. Essendo infatti polimorfe e non facilmente differenziabili, esse restano sfuggenti alla coscienza e all’azione collettiva; e sono quindi lasciate a galleggiare senza una precisa presa di consapevolezza e di responsabilità, lasciando spazio prevalentemente a medicinali e a pratiche fisioterapiche, senza adeguata accumulazione di conoscenze scientifiche e di esperienze sanitarie. Storicamente fra l’altro non hanno finora avuto un preciso riferimento di medicina specialistica (hanno più vigenza e frequenza le visite ambulatoriali o quelle dei medici di medicina generale) che solo ora comincia a delinearsi nel ruolo del reumatologo, che però deve ancora battagliare per stabilire una sua primazia, anche di “mercato”. Viene da pensare, ripercorrendo le considerazioni fin qui svolte, che noi studiosi ed operatori della sanità dobbiamo molto lavorare per far fronte alla valanga di malattie osteoarticolari conseguente alla crescita dell’invecchiamento. Mi viene in mente sul piano culturale un incitamento biblico “legno storto, incedere dritti”; forse potremmo essere più vecchi e “sciancati”, nel prossimo futuro; ma imponiamoci almeno uno sforzo di giusto cammino. *Segretario Generale Fondazione Censis. COLLOQUIA 31 APPASSIONATI ALLA VITA CI SONO MOMENTI CHE VALGONO ANNI DI RICERCA. Ogni giorno portiamo la passione per la vita nei nostri laboratori, nei nostri uffici, negli ospedali, nelle vostre case. Lavoriamo per migliorare la salute attraverso la ricerca e lo sviluppo di farmaci e vaccini innovativi. Il nostro impegno raggiunge tutti, anche attraverso programmi umanitari di donazione e distribuzione di farmaci. Per assicurare ad ogni singola persona un futuro migliore. www.univadis.it www.contattamsd.it [email protected] www.msd-italia.it 09-13-MSD-2011-IT5849-J Be well.