Anno 18, numero 1 – gennaio-marzo 2013
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Col oquia
1/13
Le patologie
osteoarticolari
19 Lorem ipsum
dolor sit amet
31 Un consistente
dolore di massa
3 Focus
Colloquia
Anno 18
|
N. 1
|
gennaio-marzo 2013
Indice
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FOCUS LE PATOLOGIE OSTEOARTICOLARI
Le malattie osteoarticolari: 3
uno sguardo al futuro
Silvano Adami
Osteoporosi: sotto-diagnosi e rischi
di una mancata terapia
Nicola Napoli
Interruzione della terapia 7
in osteoporosi
Sandro Giannini
La gestione del dolore 9
muscolo-scheletrico
Davide Gatti
Il sistema scheletrico: 12
anche una questione di gravità
Felice Strollo, Joan Vernikos
Dalla parte del paziente: 16
la presa in carico globale
Intervista a Gabriella Voltan
a cura di Monica Ricci
Osteoporosi e malattie dello scheletro. 19
Le principali associazioni italiane dei pazienti
LA MEDICINA E LE ARTI
Pazienti illustri 25
Introduzione di Francesco Fiorista
SONDIAMO... IL TERRENO
Servizi MSD 28
A cura di Fabrizio Caranci, Marco Miccinilli
LA MSD SI RACCONTA
Settimana dei disturbi osteoarticolari
A cura di Simonetta Alunni
29
LE RUBRICHE
SALUTE ED ECONOMIA
di Federico Spandonaro
I costi economici e sociali 22
delle malattie osteoarticolari
A cura di Daniela d’Angela, Barbara Polistena
SECONDO ME...
di Giacomo Milillo
La gestione del dolore osteoarticolare 20
in medicina generale
A cura di Giacomo Milillo, Arrigo Lombardi
A DIRE IL VERO
di Tullio De Mauro
00000000000000 30
L’ULTIMA PAROLA
di Giuseppe De Rita
Un consistente dolore di massa 31
Periodico trimestrale riservato alla classe
medica edito in collaborazione con
5
Ogni farmaco menzionato deve essere
usato in accordo con il relativo riassunto
delle caratteristiche del prodotto fornito
dalla ditta produttrice.
Anno 18 N. 1 – gennaio-marzo 2013
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Arti Grafiche Tris, Roma – aprile 2013
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Jean Tinguely (1925-1991)
In copertina: Kyoto X, 1987
Pag. 3 Clé du soleil, 1979
Pag. 5 Eos III, 1965
Pag. 7 Elément Détaché I, 1954
Pag. 9 Meta-Matic No. 6, 1959
Pag. 15 Méta-mécanique automobile, 1954
Antony Gormley (1950)
Pag. 19 The Building VI sculpture, 2011
Pag. 20 Capacitor, 2001
Georg Baselitz (1938)
Pag. 31 Untitled, 1982-3
L’Editore rimane a disposizione
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sulla riproduzione delle immagini
pubblicate.
focus
Le patologie osteoarticolari
Le malattie
osteoarticolari:
uno sguardo
al futuro
La epidemiologia delle MOA non si riflette in un
proporzionato sforzo nella ricerca medica e nelle
risorse dedicate per la prevenzione e la terapia.
Questa mancanza di attenzione da parte dei
professionisti della salute e delle autorità sanitarie
è probabilmente legata al fatto che nella loro larga
maggioranza le MOA non condizionano in maniera
importante l’attesa di vita e sono considerate una
ineludibile conseguenza dell’invecchiamento.
SILVANO ADAMI*
Introduzione
Le malattie osteoarticolari (MOA) includono una varietà di
condizioni morbose di cui si occupa dal punto di vista della
patologia e semantico la Reumatologia, ma che prevedono un
ruolo cruciale dal punto di vista terapeutico di molti altri
specialisti, ed in particolare di fisiatri e ortopedici. Le MOA sono
la causa più comune di disabilità e deterioramento della qualità
di vita. Sono quasi sempre associate a dolore e hanno un
andamento cronico per cui la gestione di queste condizioni
vede in realtà coinvolto in primo luogo il medico di medicina
generale.
Le MOA sono la causa più comune di dolore cronico e
disabilità. Colpiscono centinaia di milioni di persone nel mondo
di tutte le categorie sociali1.
L’artrosi è la MOA più comune: è responsabile di dolore,
rigidità, instabilità articolare e riduzione della mobilità
articolare. Le sedi più colpite sono mani, anche e ginocchia.
I trattamenti medici attuali hanno lo scopo di controllare i
sintomi sino al ricorso ad interventi chirurgici di artroplastica
ove è possibile intervenire con un ragionevole rapporto costoefficacia
Il mal di schiena è la seconda causa di perdita di giornate
lavorative con metà dei lavoratori che soffrono di almeno un
episodio di dolore all’anno. Più dell’80% della popolazione dei
paesi industrializzati soffrirà nell’arco della sua vita di mal di
schiena. In quasi la metà dei sofferenti di mal di schiena la
causa va ricercata in fattori
occupazionali facilmente prevenibili!2
L’osteoporosi è una malattia legata
ad una riduzione della massa ossea e ad un
deterioramento della sua micro-struttura3
responsabile di aumento del rischio di
frattura anche per traumi lievi. Le
fratture osteoporotiche più comuni
sono a carico dei corpi vertebrali,
anche e polsi. La loro
incidenza aumenta
con l’avanzare dell’età.
L’aumento progressivo
dell’età media ha
determinato un aumento
esponenziale delle fratture
e si stima oggi
che più
del 40%
delle
donne
con una età
oggi superiore a 50
anni andranno incontro ad una frattura osteoporotica severa
nella loro vita4.
L’artrite reumatoide ha una prevalenza di circa il 1%.
È caratterizzata da infiammazione articolare ma anche di altri
tessuti. L’evoluzione cronica specie se la malattia non è trattata
adeguatamente, conduce spesso a severe deformità articolari
che possono compromettere del tutto le capacità lavorative
anche in soggetti giovani. Altre MOA infiammatorie comuni
sono le artriti siero-negative con una prevalenza complessiva
approssimativamente pari a quella della artrite reumatoide.
In tutte queste condizioni l’attesa di vita è ridotta di parecchi
anni, in relazione soprattutto all’aumentato rischio cardiovascolare.
La epidemiologia delle MOA non si riflette in un
proporzionato sforzo nella ricerca medica e nelle risorse
dedicate per la prevenzione e la terapia. Questa mancanza di
attenzione da parte dei professionisti della salute e delle
autorità sanitarie è probabilmente legata al fatto che nella loro
larga maggioranza le MOA non condizionano in maniera
COLLOQUIA 3
Focus Le patologie osteoarticolari
|
Le malattie osteoarticolari: uno sguardo al futuro
importante l’attesa di vita e sono considerate una ineludibile
conseguenza dell’invecchiamento.
I costi sanitari e sociali di queste condizioni sono tuttavia
enormi. La sola artrosi costa circa il 3% del prodotto nazionale
lordo di paesi sviluppati5 con un trend in crescita per l’aumento
degli anziani e del sovrappeso o obesità, una delle cause più
importanti di accelerazione della malattia.
I progressi nella terapia medica
delle malattie osteoarticolari
Le risorse in genere dedicate dalle autorità sanitarie per la
prevenzione e terapia delle MOA sono sproporzionatamente
inferiori rispetto al loro impatto epidemiologico. Malgrado ciò i
progressi fatti soprattutto nel campo terapeutico in questi
ultimi anni sono stati enormi ed hanno condotto o stanno
conducendo allo sviluppo di un gran numero di nuovi farmaci,
in grado di modificare in maniera importante la gestione di
molte MOA.
I COXIBs
La scoperta negli anni ‘90 della esistenza di due cicloossigenasi (COX), responsabili della sintesi in loco di
prostaglandine, ha aperto la via allo sviluppo di farmaci in
grado di bloccare solo l’enzima espresso prevalentemente nei
siti di flogosi (la COX2) ma non la COX1 responsabile anche
della sintesi delle prostaglandine protettive dell’apparato
gastro-intestinale. Lo sviluppo di questi farmaci ha avuto uno
stop inatteso quando fu scoperto che potevano aumentare il
rischio di eventi cardio-vascolari. Ricerche successive
particolarmente opportune, hanno documentato che ciò può
accadere con qualsiasi altro FANS. Tutto ciò ha condotto ad
una utile rivisitazione delle regole d’uso di questi farmaci (sia
FANS che Coxib) con un impatto sulla salute probabilmente
molto superiore a quanto si tenda a pensare. Va anche
sottolineato che oggi, grazie ai Coxibs, è possibile trattare
dolore ed infiammazione anche in soggetti con un rischio di
malattie gastro-intestinali severo.
I “Biologici”: mab e inib
La scoperta del ruolo svolto da singole citochine nei processi
infiammatori specie per le MOA ha consentito lo sviluppo di
farmaci in grado di bloccare queste citochine. I più comuni di
questi inibitori sono anticorpi monoclonali neutralizzanti, per
cui il loro nome termina invariabilmente con il suffisso “mab”.
Questi nuovi farmaci si caratterizzano per l’impressionante
accuratezza del loro target d’azione e rappresentano
probabilmente la più grande novità terapeutica terapeutica
(anche in altri settori come l’oncologia) della prima decade del
XXI secolo. La seconda decade del secolo rimarrà
probabilmente legata allo sviluppo di specifici inibitori “downstreem” dell’effetto delle citochine. Ogni citochina interagendo
col suo recettore di membrana attiva a cascata una serie di
enzimi citoplasmatici molto specifici, responsabili di specifiche
attivazioni genomiche. La conoscenza di questi attivatori
enzimatici sta conducendo allo sviluppo di specifici inibitori in
grado di fornire una selettività d’azione pari ai vari “mabs”.
Il nome di questi inibitori terminerà sempre con “inib”.
4 COLLOQUIA
Nuovi e vecchi farmaci per l’osteoporosi
Lo sviluppo dei bisfosfonati ha rappresentato negli anni ‘90
la prima possibilità concreta di trattamento dell’osteoporosi e
di una serie di altre malattie dello scheletro. A distanza di 20
anni dalla loro introduzione, questi farmaci rimangono quelli
di prima scelta con il profilo di rapporto vantaggi/svantaggi e
di costi/benefici più favorevoli. Sorprendentemente le ricerche
su questi farmaci non si sono mai arrestate e ciò ha condotto
alla scoperta di nuove attività farmacologiche ed alla
identificazione e quantificazione di avventi avversi ma anche di
nuove indicazioni come ad esempio l’algodistrofia o la
osteogenesi imperfetta.
Due nuovi farmaci sono stati sviluppati negli ultimi 10 anni:
il denosumab e teriparatide. Il prima rientra nella categoria dei
biologici (termina infatti con “mab”) ed è il più potente
inibitore del riassorbimento osseo oggi disponibile.
Teriparatide ha un effetto anabolizzante sull’osso. Bisfosfonati
con denosumab da un lato e teriparatide dall’altro
determinano un effetto sul tessuto osseo inevitabilmente
limitato, per cui, ad esempio, la riduzione del riassorbimento
osseo si associa dopo poco a inibizione anche della
neoformazione e vice-versa. Questo limite sarà sicuramente
superato dall’arrivo di odanacatib, un inibitore specifico della
catepsina K in grado di inibire la distruzione ossea senza nel
contempo bloccarne la neofronmazione.
Conclusioni
Le MOA rappresentano la causa più comune di morbilità,
disabilità e deterioramento della qualità di vita tra adultianziani nel mondo sviluppato. Una attenta politica di
prevenzione potrebbe avere un positivo impatto anche in
termini di costi sociali ed economici. Malgrado le limitate
risorse economiche dedicate a queste patologie, gli ultimi anni
hanno visto svilupparsi e nascere una seri di farmaci in grado
di modificare il decorso e la prognosi di alcune di queste
malattie.
Bibliografia
1. Murray JL, Lopez AD, eds. The global burden of disease: a
comprehensive assessment of mortality and disability from
diseases, injuries and risk factor in 1990 and projected to
2020. Geneva: WHO, 1996.
2. The consensus document. The Bone and Joint Decade
2000-2010. Inaugural Meeting 17 and 18 April 1998, Lund,
Sweden. Acta Orthop Scand 1998; 69 (Suppl 281): 67-86.
3. Consensus Development Conference. Diagnosis, prophylaxis
and treatment of osteoporosis. Am J Med 1993; 94: 64650.
4. World Health Organization. Assessment of osteoporosis at
the primary health care level. Summary Report of a WHO
Scientific Group. Geneva: WHO, 2007.
5. United States Bone and Joint Decade: The Burden of
Musculoskeletal Diseases in the United States. Rosemont, IL:
American Academy of Orthopaedic Surgeons, 2008.
*Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Sezione di Reumatologia,
Università degli Studi di Verona.
focus
Le patologie osteoarticolari
Osteoporosi: sotto-diagnosi e rischi
di una mancata terapia
Una diagnosi precoce delle deformità vertebrali
può essere importante per prevenire un’ulteriore
progressione della malattia onde evitare,
previo trattamento del paziente, l’estensione
del processo patologico ad altri corpi vertebrali.
NICOLA NAPOLI*
L’
osteoporosi rappresenta un disordine scheletrico
caratterizzato da una compromissione della resistenza
ossea che predispone un individuo ad un aumentato rischio di
fratture. La perdita di massa ossea inizia gradualmente già nella
terza decade di età in entrambi i sessi, per subire una drastica
riduzione al momento della menopausa nelle donne.
Negli uomini tale processo è più graduale seppur presente per
poi subire una riduzione significativa alla VII decade di età.
Tale processo, contrariamente a quanto ritenuto è determinato
dalla perdita di estrogeni, condividendo con il sesso femminile
lo stesso meccanismo fisiopatologico seppur ad una età e con
una gravità diversa. All’età di 80 anni, l’ammontare della
perdita ossea è all’incirca del 40% sia a livello dell’osso corticale
che di quello trabecolare. Nell’uomo, la perdita ossea è di
minore entità (20%-30%) ma in VIII decade la perdita di osso
tra i due sessi è simile.
Una frattura vertebrale consiste in un’alterazione nella forma
e nelle dimensioni del corpo vertebrale. Una deformazione
viene definita frattura se il soma vertebrale presenta una
riduzione d’altezza superiore al 20% escludendo in tale
classificazione le deformità congenite e quelle degenerative.
Le fratture vertebrali rappresentano uno stadio avanzato di
osteoporosi e spesso la diagnosi coincide con l’instaurazione di
un trattamento medico chirurgico. In Europa, nel 2000, il
numero delle fratture osteoporotiche venne stimato a 3,79
milioni. Tale numero, proporzionalmente aumentato negli ultimi
anni per via dell’invecchiamento dell’età e al momento la
International Osteoporosis Foundation stima che oltre il 40%
delle donne europee dopo i 60 anni soffre o soffrirà di fratture
vertebrali.
Le fratture vertebrali sono le più comuni tra le fratture e la
loro incidenza è circa 3 volte più alta di quella delle fratture di
femore. La storia personale di fratture è uno dei principali
fattori di rischio per successive fratture, infatti la comparsa di
una frattura vertebrale aumenta il rischio di nuove fratture
vertebrali di 5 volte e aumenta significativamente il rischio di
fratture di femore, coste e omero. In particolare il valore
predittivo di una frattura vertebrale su un adi femore è di gran
lunga maggiore al valore di Tscore >2,5. Mentre la diagnosi di
osteoporosi mediante DEXA risulta spesso dirimente, captare
fratture vertebrali non diagnosticate gioca un ruolo ancora più
importante. Infatti Le fratture vertebrali sono spesso
asintomatiche e solo il 30% vengono diagnosticate.
La sintomatologia cronica e non sempre specifica, come detto,
le rende spesso misconosciute e solo in un 1/3 dei casi i pazienti
affetti si recano dal medico per una sintomatologia attribuibile
a tale evento patologico. Tuttavia, ancora più grave, la diagnosi
è spesso misconosciuta anche quando il paziente esegue una
RX della colonna o una laterale del torace che rappresentano
comunque, un valido strumento di diagnosi, spesso trascurato.
Al momento non esistono linee guida che raccomandino lo
screening nella popolazione di età avanzata anche mediante
una semplice radiografia della colonna vertebrale (costi elevati,
considerazioni legate al rischio da esposizione alle radiazioni) e
COLLOQUIA 5
Focus Le patologie osteoarticolari
|
Osteoporosi: sotto-diagnosi e rischi di una mancata terapia
molte fratture rimangono non
diagnosticate. Una strategia
potenzialmente utile potrebbe essere
quella di analizzare esami radiografici
eseguiti per altri motivi, come ad
esempio la RM o la radiografia del torace
e valutare l’eventuale presenza di lesioni
vertebrali da osteoporosi. La proiezione
latero-laterale della radiografia del torace
permette di individuare le deformazioni
vertebrali da osteoporosi, quali
deformazioni a cuneo, a lente biconcava
e crolli vertebrali nel tratto dorsale del
rachide. Due studi in particolare hanno
dimostrato questo primato: Majumdar
ha valutato su 500 pazienti
ultrasessantenni screenati in pronto
soccorso la frattura vertebrale era
riportata solo nel 43% dei casi mentre
solo nel 25% dei quali il paziente aveva
ricevuto una corretta diagnosi ed era
stato adeguatamente trattato. Un altro
studio, sempre basato su una seconda
valutazione di RX torace dimostrava che
su un campione di 1000 pazienti circa, il
14% presentava una diagnosi di fratture
vertebrali che però erano state indicate
nel referto solo in circa la metà dei casi.
Uno studio italiano ha invece preso in
considerazione le radiografie della
colonna regolarmente richieste dai centri
specialistici per la diagnosi e cura
dell’osteoporosi e hanno studiato
attraverso una ri-valutazione dei
radiogrammi da parte di un radiologo
esperto la reale prevalenza delle fratture
vertebrali. Tale studio dimostrava che il
55,5% delle fratture vertebrali riscontrate
dopo una seconda analisi non erano
state indicate nel primo referto. Sono
state dunque studiate varie tecniche di
screening sia qualitative che quantitative
per far diagnosi di fratture vertebrali ma
ad oggi non è disponibile un approccio
ideale. La tecnica semiquantitativa di
Genant rimane ancora la più usata ma le
tecniche quantitative, per quanto di più
difficile esecuzione tecnica garantiscono
una migliore sensibilità con un livello di
concordanza in studi italiani pari a un K
di 0,83. Altre tecniche, tra cui il WOD r
AHD basati su criteri antropometrici
sono stati proposti ma al momento sono
meno usati. Bisogna ricordare che le
fratture vertebrali sono causa di dolore
cronico, riducendo la qualità della vita e
limitando le attività della vita quotidiana.
6 COLLOQUIA
Di fatto, specie in età geriatria sono una
delle cause principali di disabilità,
incremento del numero di visite mediche
perdita della propria autonomia e
dunque di aumentata fragilità.
In particolare, è stata osservata un forte
deterioramento della qualità di vita, con
una notevole associazione (OR=4,1) tra
deformità e deterioramento fisico.
Dolore lombare, cifoscoliosi, debolezza
della muscolatura paravertebrale e
limitata flessibilità del rachide sono alla
base della suddetta inabilità. Tutto ciò in
soggetti che soffrono di una ridotta
riserva funzionale determina un
aumentato rischio anche di mortalità ad
un anno del 23%. il rischio relativo di
decesso secondario a frattura di femore
è stato stimato essere 6-7 volte maggiore
dopo una frattura vertebrale. Cauley et
al. hanno dimostrato un aumento del
tasso di mortalità dopo una frattura di
femore successiva ad una frattura
vertebrale in un gruppo di pazienti di età
avanzata supportando l’evidenza di un
eccesso di mortalità successivo a tali
fratture.
Perciò, una diagnosi precoce delle
deformità vertebrali può essere
importante per prevenire un’ulteriore
progressione della malattia onde evitare,
previo trattamento del paziente,
l’estensione del processo patologico ad
altri corpi vertebrali.
Sebbene da ormai venti anni siano
disponibili terapie efficaci in grado di
ridurre drasticamente la comparsa di
nuove fratture e varie campagne di
screening e di sensibilizzazione al
problema siano state portate avanti sia
da società scientifiche che dai singoli
ministeri della salute, al momento attuale
l’ osteoporosi e le fratture vertebrali
rimangono di fatto delle patologie poco
diagnosticate e poco trattate, o seguite
da un trattamento inadeguato successivo
al loro occasionale riscontro.
Ne è prova uno studio italiano che ha
dimostrato che tra le donne con diagnosi
di deformazioni vertebrali, solo il 35% ha
ricevuto la prescrizione di un trattamento
medico adeguato per l’osteoporosi,
suggerendo una bassa considerazione
della patologia nell’ambito medico. Solo
il 9% delle pazienti ha iniziato terapia
con bifosfonati dopo la diagnosi di
fratture vertebrali. Inoltre, per quanto
riguarda la compliance al trattamento,
tutte le pazienti hanno riferito
un’incostante assunzione alla terapia.
Tali risultati hanno portato a dubitare
sulla validità dell’adesione alla terapia
medica e le relative linee guida. Inoltre
tale studio ha evinto una scarsa
chiarezza offerta dai medici ai pazienti
sui rischi delle fratture e degli obiettivi
del trattamento per l’osteoporosi
Le linee guida internazionali
sull’osteoporosi indicano che dopo la
diagnosi di fratture vertebrali correlate
all’osteoporosi, deve essere intrapreso il
trattamento farmacologico con
bisfosfonati, prediligendo quelli come
l’alendronato che hanno dimostrato
una chiara efficacia, superiore al 50%,
nel ridurre il rischio di fratture vertebrali
e non vertebrali. Gli eventi avversi con
tale terapia, studiata fino a 10 anni,
sono rari e diversi position papers stilati
da varie società scientifiche ne hanno
documentato la sicurezza ma,
soprattutto, la necessità da parte dei
pazienti a rischio, di utilizzare tali
farmaci anche per molto tempo. Come
dimostrato da vari studi, le visite di
follow up, anche telefoniche,
andrebbero incoraggiate, contribuendo
ad aumentare la aderenza del paziente
alla terapia, rispondere ad eventuali
dubbi e, in definitiva, a d assicurare un
corretto trattamento terapeutico.
In conclusione, Le fratture su base
osteoporotica hanno importanti
ripercussioni sulla salute pubblica, ed
aumentano significativamente la
mortalità dei pazienti affetti. Evidenze
cliniche dimostrano una scarsa
considerazione da parte del personale
sanitario per la diagnosi di osteoporosi
e delle fratture ed un inadeguato
trattamento medico rispetto alle linee
guida stabilite in ambito internazionale.
Per queste ragioni è decisivo il ruolo
svolto dai clinici e dai radiologi, nel
riconoscere e trattare i pazienti affetti
da fratture, per evitare l’ulteriore
progressione di malattia. Un corretto
approccio medico ai pazienti con
diagnosi di osteoporosi è mandatorio
nell’obiettivo di migliorare la qualità di
vita delle pazienti e di ridurre i costi
della malattia.
*Università Campus Biomedico, Roma.
focus
Le patologie osteoarticolari
Interruzione della
terapia in osteoporosi
Una opportuna conoscenza dei dati di efficacia a lungo termine
e delle condizioni che rendono necessario continuare il trattamento
o, al contrario, rendono sicura una sua momentanea interruzione,
sono aspetto di grande importanza nel processo decisionale che
riguarda il paziente a rischio di frattura
SANDRO GIANNINI*
L’
osteoporosi è una condizione dello
scheletro, associata ad alterazioni
quantitative e qualitative del tessuto
osseo, in grado di indurre un significativo
aumento del rischio di fratture da trauma
non efficiente e, quindi, associate alla
fragilità ossea. Come molte altre rilevanti
patologie del soggetto anziano, nel
quale è nettamente prevalente, questa
malattia ha i caratteri della cronicità e,
nella maggioranza dei casi, della
progressiva ingravescenza. È noto,
infatti, che il rischio di frattura aumenta
in modo esponenziale al crescere dell’età
e che, dopo una prima frattura da
fragilità, l’insorgenza di nuovi episodi
fratturativi è più rapida e si associa ad un
ulteriore drammatico aumento della
morbilità sistemica e della mortalità.
È, quindi, del tutto evidente come questa
condizione richieda una terapia cronica e
continuativa. Tuttavia, è del tutto
frequente che si assista ad interruzioni
del trattamento, talora estremamente
precoci, le cui ragioni hanno origini
diverse.
pazienti che hanno già lamentato
fratture da fragilità e che sono, quindi, a
rischio assai elevato di rifrattura. Una
inadeguata aderenza alla terapia da
parte del paziente sembra essere tra le
più frequenti cause dell’interruzione.
Senza una appropriata motivazione, i
pazienti tendono a non percepire in
modo corretto la severità della malattia
osteoporotica ed i problemi derivanti
dalle fratture ad essa correlate. Il
compito di informazione del medico è,
quindi, di grande importanza,
soprattutto se si considera che
l’osteoporosi è una malattia poco
sintomatica in assenza di fratture e che i
tempi di verifica del beneficio della cura,
apprezzabili dal paziente, possono essere
anche molti lunghi. La sospensione della
terapia a causa di effetti collaterali è
decisamente meno frequente. I farmaci
che si adoperano nel trattamento
dell’osteoporosi sono in genere molto
ben tollerati. L’osteonecrosi della
mandibola, la cui prevalenza non supera
oggi il 3-4% in pazienti oncologici con
metastasi ossee, che adoperano i
bisfosfonati a dosaggi estremamente
elevati, è un’evenienza del tutto
trascurabile nell’osteoporosi ed il cui
timore è del tutto ingiustificato. La
precoce interruzione della terapia è
invece gravata da un robusto aumento
del rischio di frattura. È stato stimato che
la sospensione del trattamento dopo i
primi due anni, anche in pazienti con
aderenza molto elevata, comporti un
rischio successivo di frattura di femore
almeno doppio rispetto ad una durata di
cura di almeno tre anni. A questo si
aggiunge che, anche nel breve-medio
termine, l’aderenza alla terapia non è
ottimale e che solo i soggetti con
compliance superiore al 70-80%
dimostrano, anche in studi “real life”, un
L’interruzione della terapia:
cause e conseguenze
Stime basate su dati italiani, come
anche provenienti da molti Paesi europei
e di oltre oceano, evidenziano una
percentuale di pazienti assai elevata ed
approssimativamente pari al 50% che
sospende la terapia anti-osteoporotica
già dopo i primi 6-12 mesi dal suo inizio.
Purtroppo, percentuali simili di
interruzione riguardano anche quei
COLLOQUIA 7
Focus Le patologie osteoarticolari
|
Interruzione della terapia in osteoporosi
I farmaci che si adoperano nel trattamento dell’osteoporosi sono in genere
molto ben tollerati. L’osteonecrosi della mandibola, la cui prevalenza non
supera oggi il 3-4% in pazienti oncologici con metastasi ossee, che
adoperano i bisfosfonati a dosaggi estremamente elevati, è un’evenienza
del tutto trascurabile nell’osteoporosi ed il cui timore è del tutto ingiustificato.
beneficio clinico simile a quello
osservabile negli studi randomizzati e
controllati in doppio cieco. Una
opportuna conoscenza dei dati di
efficacia a lungo termine e delle
condizioni che rendono necessario
continuare il trattamento o, al contrario,
rendono sicura una sua momentanea
interruzione, sono aspetto di grande
importanza nel processo decisionale che
riguarda il paziente a rischio di frattura.
Efficacia del trattamento
a lungo termine
Una possibile causa di interruzione di
terapia è la solo parziale conoscenza dei
dati di capacità anti-fratturativa nel
medio-lungo termine. Tuttavia, molti dei
farmaci oggi comunemente adoperati
possiedono robuste documentazioni di
efficacia di riduzione del rischio di
fratture vertebrali e non vertebrali
durante i primi 5 anni di terapia. Tali
evidenze sono particolarmente probanti
per alendronato, risedronato, acido
zoledronico per via parenterale,
denosumab e stronzio ranelato, poiché
originate da studi randomizzati e
controllati di ottima qualità. Il loro
impiego, quindi, può essere protratto per
tale periodo con indiscutibili vantaggi.
Documentazioni altrettanto probanti nel
più lungo periodo, tuttavia, sono
disponibili solo per alendronato ed acido
zoledronico. Lo studio FLEX (Fracture
Intervention Trial Long-term Extension)
ha dimostrato che un trattamento fino a
10 anni di durata con alendronato
continua ad aumentare in modo
progressivo la densità ossea ed a ridurre
significativamente il rischio di nuove
fratture vertebrali sintomatiche di circa il
50%1. L’estensione fino al sesto anno
dello studio Horizon sull’efficacia antifratturativa di acido zoledronico
nell’osteoporosi ha documentato un
aumento progressivo della densità ossea
ed una significativa ulteriore riduzione
del rischio di fratture vertebrali
radiologiche di circa il 50%2. Stanti
8 COLLOQUIA
questi risultati, anche il trattamento a
lungo termine si fonda su dati di
adeguata evidence-based medicine.
Come scegliere il paziente da
trattare anche a lungo termine?
È, tuttavia, evidente che il
trattamento oltre il 5° anno di terapia
può non essere indispensabile per tutti i
pazienti con osteoporosi. Allora, come
identificare i soggetti che continueranno
a beneficiare della terapia nel più lungo
termine? Una recente revisione dei dati
dello studio FLEX fornisce valide
indicazioni. Le pazienti che dopo 5 anni
di terapia con alendronato rimanevano a
rischio elevato di frattura, identificato
come un T-score del femore ≤ 2,0, in
particolare se associato a storia
pregressa di frattura vertebrale, avevano
un rischio di relativo di frattura nei
successivi 5 anni di terapia, inferiore di
circa il 50% rispetto alle pazienti che
dopo i primi cinque anni l’avevano
sospesa. Il relativo NNT, pari a 17, era
particolarmente favorevole per le donne
Tabella. Number Needed to Treat (NNT)
per prevenire una Fx vertebrale tra il 5°
ed il 10° anno di terapia con alendronato
(studio FLEX). I valori di densità ossea si
riferiscono al T-score del collo femorale
all’inizio dello studio di estensione
(5° anno).
NNT
Tutte le pazienti (T-score)
≤ -2,5
21
> -2,5 - ≤ -2,0
33
> -2,0
81
Donne senza Fx vertebrali (T-score)
≤ -2,5
> -2,5 - ≤ -2,0
> -2,0
24
63
102
Donne con Fx vertebrali (T-score)
≤ -2,5
17
> -2,5 - ≤ -2,0
17
> -2,.0
51
che dopo i primi 5 anni presentavano
sia una storia di frattura vertebrale che
un T-score femorale ≤ 2,0 (tabella). Al
contrario, le pazienti che dopo i primi
cinque anni di terapia con alendronato
avevano un T-score femorale più vicino
ai valori di normalità (≥ 2,0) non
sembravano beneficiare di un
trattamento ulteriormente prolungato.
Da questi dati sembra emergere con
chiarezza la necessità di una
rivalutazione del rischio di frattura dopo
i primi 3-5 anni dall’inizio della terapia:
se i pazienti rimangono a rischio medioelevato (T-score femorale ≤ 2,0 e/o
presenza di pregresse fratture da
fragilità) il trattamento può e deve
essere ulteriormente prolungato, con
una solida aspettativa di efficacia. Nei
pazienti che, in ragione della terapia,
hanno visto ridursi in modo adeguato il
rischio di frattura, il trattamento può
essere sospeso momentaneamente.
Una ulteriore rivalutazione del rischio
nei successivi 2 anni potrà permettere di
identificare quei pazienti in cui la terapia
dovrà essere comunque ripresa.
Conclusioni
Il trattamento dell’osteoporosi deve
essere protratto, come per ogni
malattia cronica, per tutto il tempo per
cui insiste un significativo rischio di
eventi clinici ad essa correlato. Precoci
interruzioni della terapia sono associate
ad una aumentata incidenza di fratture
e non appaiono giustificate alla luce dei
dati di efficacia e sicurezza a lungo
termine.
Bibliografia
1. Black DM, Schwartz AV, et al.; FLEX
Research Group. Effects of continuing
or stopping alendronate after 5 years of
treatment: the Fracture Intervention
Trial Long-term Extension (FLEX): a
randomized trial. JAMA 2006; 296:
2927-38.
2. Black DM, Reid IR, Boonen S, et al. The
effect of 3 versus 6 years of zoledronic
acid treatment of osteoporosis: a
randomized extension to the HORIZONPivotal Fracture Trial (PFT). J Bone Miner
Res 2012; 27: 243-54.
*Dipartimento di Medicina –
DIMED, Azienda OspedalieraUniversità di Padova.
focus
Le patologie osteoarticolari
La gestione del dolore
muscolo-scheletrico
Nella maggior parte dei casi il medico di medicina generale può
gestire la patologia in prima persona ricercando l’equilibrio ideale
tra l’efficacia assicurata da una determinata scelta terapeutica
e il rischio di eventi avversi associato alla stessa.
DAVIDE GATTI*
Epidemiologia del dolore
muscolo-scheletrico
Il dolore è la principale motivazione per
cui i pazienti ricorrono al medico e nella
popolazione adulta le patologie muscoloscheletriche sono la più frequente causa di
dolore. Una indagine epidemiologica
canadese ha evidenziato come almeno un
quarto dei pazienti visitati dal medico di
medicina generale (MMG) abbia
problematiche muscolo-scheletriche1. La
realtà italiana non è differente. Uno studio
svolto grazie alla collaborazione di 16
MMG che ha coinvolto oltre 2100
soggetti di entrambi i sessi e di età
compresa tra i 18 e i 75 anni2 ha
permesso di documentare che il dolore
muscolo-scheletrico:
• è presente in oltre ¼ della popolazione
italiana adulta (26,7%)
• colpisce maggiormente il sesso
femminile: circa 1 donna su 3 (31%)
e 1 maschio su 5 (22%)
• il rischio di soffrirne aumenta con
l’aumentare dell’età e del peso
corporeo.
La patologia più frequente è quella
artrosica periferica (prevalenza dell’8,95%
nella popolazione generale ma superiore
al 35% nei soggetti ultrasessantacinquenni con dolore) seguita da
quella dei tessuti molli – fibromialgia,
periartriti, sindrome del tunnel carpale,
ecc. – (prevalenza dell’8,81% nella
popolazione generale e intorno al 25% nei
soggetti ultra-quarantacinquenni con
dolore).
La patologia artritica interessava circa il
infiammatoria, segni di artrite in atto, ecc.)
che rendono consigliabile (in una piccola
percentuale di soggetti) una consulenza
specialistica nel sospetto di patologie
specifiche (artrite reumatoide, spondilite
anchilosante, artrite psoriasica,
connettiviti, ecc). Nella maggior parte dei
casi può invece gestire la patologia in
prima persona ricercando l’equilibrio
ideale tra l’efficacia assicurata da una
determinata scelta terapeutica e il rischio
di eventi avversi associato alla stessa.
Gestione terapeutica: paracetamolo
o antinfiammatori?
3% della popolazione generale (con una
prevalenza superiore al 30% nei soggetti
ultra-quarantacinquenni con dolore)
mentre la lombalgia coinvolgeva il 5,91%
della popolazione generale (ma con
prevalenza superiore al 25% nei soggetti
ultra-quarantacinquenni con dolore).
In pratica se prendiamo i soggetti con
Gli antinfiammatori non steroidei,
anche se scoperti da circa 50 anni, restano
tra i farmaci più utilizzati nel mondo grazie
alla loro capacità di controllare dolore e
flogosi sia acuti che cronici. La terapia
antinfiammatoria trova naturale
indicazione nelle patologie flogistiche
dove spesso rappresenta la prima scelta
(come ad es. nelle artriti da microcristalli o
nella spondilite anchilosante) ma ha un
ruolo fondamentale anche nella gestione
dolore muscolo-scheletrico la patologia
degenerativa artrosica è nettamente la più
frequente solo nei soggetti anziani (circa il
40% dei soggetti ultra-settantacinquenni
con dolore), ma se consideriamo una
popolazione più giovane (gli ultraquarantacinquenni ) non vi è un reale
predominio di una classe di patologie
rispetto alle altre2 (figura 1). Per questo
motivo specie nei soggetti più giovani con
dolore muscolo-scheletrico l’aspetto
diagnostico è fondamentale. Il MMG deve
identificare i segni e sintomi sentinella
(rigidità mattutina prolungata, lombalgia
della ben più diffusa patologia
degenerativa e meccanica. In queste
patologie, tuttavia, viene spesso preferito
il paracetamolo malgrado la evidente
minore efficacia (solo per la sua supposta
maggiore tollerabilità, convinzione che
recentemente è stata messa fortemente in
dubbio da nuove evidenze scientifiche.
In pazienti con coronaropatia (primo
studio eseguito in questa tipologia di
pazienti con questa molecola malgrado
essa sia in commercio da più di 60 anni!)
l’utilizzo cronico a elevato dosaggio (3
g/die) del paracetamolo si è
COLLOQUIA 9
Focus Le patologie osteoarticolari
|
La gestione del dolore muscoloscheletrico
Figura 1. Prevalenza percentuale nella
popolazione generale e nella popolazione
con dolore.
NELLA POPOLAZIONE GENERALE
Artrosi periferica
Patologie tessuti molli
Low Back Pain
Artiti acute e croniche
Le patologie muscolo-scheletriche
coinvolgono circa ¼ della popolazione
generale. Se consideriamo chi ha dolore,
l’artrosi è certamente la patologia più
frequente nei soggetti anziani.
Se consideriamo una popolazione più
allargata (ultra-quarantacinquenni) non vi è
nessuna netta prevalenza di un tipo di
patologia e ciò renda ancora più rilevante
l’aspetto diagnostico.
NELLA POPOLAZIONE CON DOLORE
Età >45 anni
00%
OA
Molli
00%
00%
LBP
00%
AR
Età >75 anni
00%
OA
Molli
LBP
AR
00%
00%
00%
Modificato da Salaffi et al 2005.
10 COLLOQUIA
accompagnato a un significativo aumento
della pressione arteriosa del tutto simile a
quello indotto dagli antinfiammatori3.
Un altro vasto trial clinico ha voluto
invece confrontare efficacia e tollerabilità
del paracetamolo da solo od associato ad
un antinfiammatorio (ibuprofene 600 o
1200 mg/die) rispetto l’antinfiammatorio
da solo (ibuprofene 1200 mg/die) in
pazienti con gonartrosi4. Lo studio ha dato
le seguenti (sorprendenti) risposte:
• efficacia: il paracetamolo è inferiore
all’antinfiammatorio anche al massimo
dosaggio;
• efficacia: la combinazione
paracetamolo + antinfiammatorio non
produce alcun vantaggio rispetto
l’antinfiammatorio da solo;
• tollerabilità: il paracetamolo da solo o
in combinazione è meno tollerato
rispetto l’antinfiammatorio da solo dal
momento che produce:
– maggiori eventi avversi a livello
epatico
– (se associato all’antinfiammatorio)
perdite ematiche superiori rispetto
all’antinfiammatorio da solo.
In pratica non solo è inutile aumentare
la dose del paracetamolo ma anche
utilizzarlo per “risparmiare”
l’antinfiammatorio dal momento che non
emerge nessun effetto additivo in termini
di efficacia ma addirittura solo un peggiore
profilo di tollerabilità.
Gestione terapeutica: gli
antinfiammatori sono tutti uguali?
Se la tollerabilità del paracetamolo è
stata recentemente messa in discussione,
la sicurezza degli antinfiammatori è da
sempre il problema principale del loro uso
cronico.
La tossicità gastrointestinale dei FANS è
dovuta principalmente all’inibizione della
COX1: l’isoforma costitutiva coinvolta nella
biosintesi di prostanoidi citoprotettivi per
la mucosa gastrica e del trombossanoA2
(TXA2) pro-aggregante le piastrine. I coxib
sono invece inibitori selettivi della cicloossigenasi COX-2 che vanno ad agire solo
sulla isoforma inducibile tipica
dell’infiammazione e si associano pertanto
ad una minore tossicità gastroduodenale
che è stata documentata anche da una
revisione della Cochrane Collaboration.
L’utilizzo dei coxib si accompagna ad un
rischio di lesioni gastroduodenali che è
sovrapponibile a quella ottenibile
associando ad un FANS tradizionale un
inibitore di pompa protonica e questo si
conferma anche nei pazienti che stanno
assumendo basse dosi di aspirina come
antiaggregante.
La notorietà dei coxib è però legata
soprattutto al problema cardiovascolare
che è sfociato nel clamoroso ritiro dal
mercato del rofecoxib dovuto alla
documentazione, nel corso di studi clinici
in cui il farmaco veniva assunto a dosi
massimali per periodi prolungati, di un
significativo incremento del rischio
cardiovascolare (CV) (rispetto al placebo).
In seguito diversi studi osservazionali o
caso controllo hanno sollevato il dubbio
che anche i FANS tradizionali potessero
condividere con i coxib l’aumento del
rischio CV ma era comunque necessaria
una conferma sperimentale che è arrivata
con lo studio MEDAL. Questo studio ha
coinvolto quasi 35.000 pazienti di età
superiore o uguale a 50 anni affetti da
artrosi e artrite reumatoide e ha
confrontato la sicurezza CV di un
trattamento a lungo termine con un FANS
tradizionale (diclofenac) e un coxib
(etoricoxib). Nessuna differenza
significativa è emersa riguardo l’incidenza
di eventi cardiovascolari trombotici tra le
due strategie terapeutiche che per questo
specifico aspetto appaiono quindi essere
del tutto sovrapponibili cioè espongono il
soggetto trattato allo stesso livello di
rischio! Ma perché questo rischio CV
associato anche all’uso dei FANS
tradizionali non è emerso prima visto che
questi farmaci sono ormai nella pratica
clinica da quasi mezzo secolo? Purtroppo
in passato la qualità degli studi richiesti
per la registrazione di un farmaco era
molto inferiore e quindi del tutto
inadeguata ad evidenziare un aumento del
rischio CV che rimane comunque un
evento avverso raro (dell’ordine di 4 casi
per 1000 pazienti trattati per 1 anno).
Nella pratica clinica il problema di
safety dei FANS è fortemente accentuato
dal fatto che molte molecole sono ormai
“star” della pubblicità televisiva, vengono
vendute come prodotti da banco e spesso
utilizzate come automedicazione senza
nessun tipo di controllo medico. Questo,
almeno in parte, spiega perché spesso le
valutazioni cliniche e farmaco economiche
tendano a considerare gli antinfiammatori
Focus Le patologie osteoarticolari
solo come produttori di spesa in relazione
agli effetti collaterali. In realtà quando un
medico prescrive un antinfiammatorio, lo
fa per risolvere una problematica algica ed
il suo giudizio sulla bontà del trattamento,
dipenderà principalmente dalla successiva
risoluzione o meno del quadro clinico.
Nella scelta di un trattamento
antinfiammatorio sarebbe necessario
confrontare le diverse molecole in termini
di dosaggi equivalenti e una recente
pubblicazione ha finalmente fornito una
interessante tabella di equivalenza
derivata dagli studi sulla spondilite
anchilosante5 (tabella I).
La grande novità introdotta con i coxib
è quindi quella di avere a disposizione
trattamenti che grazie al loro miglior
profilo di sicurezza gastrointestinale
assicurano un massimale effetto
antinfiammatorio. Inoltre nel caso
dell’etoricoxib a ciò va aggiunto anche la
rapidità d’azione e l’evidente effetto
antidolorifico verosimilmente legato alla
grande capacità di diffusione nei tessuti
molli e nel sistema nervoso centrale
(figura 2). Questo effetto antidolorifico è
stato documentato in numerosi modelli di
dolore acuto quali l’artrite gottosa; il
dolore post-chirurgico e quello da
estrazione dentaria per il trattamento del
quale è stata di recente approvata
un’estensione delle indicazioni
terapeutiche.
antinfiammatori anche in termini di “dosi
equivalenti”, numero di somministrazioni,
entità dell’effetto antidolorifico.
Bibliografia
1. Power JD, Perruccio AV, Desmeules M,
Lagacé C, Badley EM. Ambulatory
physician care for musculoskeletal
disorders in Canada. J Rheumatol 2006;
33: 133-9.
2. Salaffi F, De Angelis R, Stancati A, Grassi
W; MArche Pain; Prevalence INvestigation
Group (MAPPING) Study. Health-related
quality of life in multiple musculoskeletal
conditions: a cross-sectional population
based epidemiological study. II. The
MAPPING study. Clin Exp Rheumatol
2005; 23: 829-39.
3. Sudano I, Flammer AJ, Périat D, et al.
Acetaminophen increases blood pressure
in patients with coronary artery disease.
Circulation 2010; 122: 1789-96.
4. Doherty M, Hawkey C, Goulder M, et al.
A randomised controlled trial of
ibuprofen, paracetamol or a combination
tablet of ibuprofen/paracetamol in
community-derived people with knee
pain. Ann Rheum Dis 2011; 70: 1534-41.
5. Dougados M, Simon P, Braun J, et al.
ASAS recommendations for collecting,
analysing and reporting NSAID intake in
clinical trials/epidemiological studies in
axial spondyloarthritis. Ann Rheum Dis
2011; 70: 249-51.
*Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Sezione di Reumatologia,
Università degli Studi di Verona.
|
La gestione del dolore muscoloscheletrico
Tabella I. Dosi equivalenti (emersa da
studi sulla spondilite anchilosante) dei
diversi antinfiammatori.
Molecola
Dosi
equivalenti
(nella spondilite
anchilosante)
Dose
massima
Diclofenac
150 mg
150 mg
Naprossene
1000 mg
1000 mg
Aceclofenac
200 mg
200 mg
Celecoxib
400 mg
400 mg
Etodolac
600 mg
600 mg
Etoricoxib
90 mg
120 mg
2400 mg
2400 mg
Indometacina
150 mg
150 mg
Ketoprofene
200 mg
200 mg
Meloxicam
15 mg
15 mg
Nimesulide
200 mg
200 mg
Piroxicam
20 mg
20 mg
Ibuprofene
Appare evidente che con l’etoricoxib proprio per
la sua maggiore tollerabilità, la dose utilizzata non
è quella massimale a differenza di quanto avviene
con gli altre molecole. In pratica con l’etoricoxib è
possibile arrivare a dosi ed effetti antinfiammatori
che nessun altro farmaco può assicurare
(da Dougados et al. 2010, mod.).
Figura 2. Diffusione dell’etoricoxib nei diversi tessuti.
Conclusioni
Il dolore muscolo scheletrico è
frequente e rappresenta una sfida
quotidiana sia per lo specialista che per il
MMG sia dal punto di vista diagnostico
che della gestione terapeutica. Diverse
sono le opzioni terapeutiche a
disposizione e la scelta deve essere
orientata da:
• tipo di malattia presente:
infiammatoria, non infiammatoria,
ecc.;
• tipo di paziente: motivi di fragilità,
patologie concomitanti, terapie
concomitanti, rischio di effetti
collaterali (rischio gastrointestinale,
rischio cardiovascolare, rischio di
caduta, uso di ASA, ecc.).
Non si può tuttavia non tener conto
anche della necessità di instaurare un
trattamento efficace e per far questo è
fondamentale abituarsi a valutare gli
Concentrazione
Etoricoxib
(ng/ml)
10000
Plasma
1000
Essudato ferita chirurgica
100
Sistema nervoso centrale
10
1
0.1
0
5
10
15
Ore
20
25
Fonte: Renner et al, 2010.
L’etoricoxib ha una elevata capacità di diffondere nei diversi tessuti come dimostra questo lavoro in
cui dopo la somministrazione del farmaco si rileva un rapido aumento delle concentrazioni non solo a
livello sierico ma anche a livello dell’essudato periferico e del sistema nervoso centrale. Da questo
probabilmente deriva l’effetto antidolorifico.
COLLOQUIA 11
focus
Le patologie osteoarticolari
Il sistema scheletrico: anche una
questione di gravità
“Si e tanto giovani quanto
è flessibile la nostra colonna
vertebrale”
JOSEPH H . PILATES
FELICE STROLLO*,
JOAN VERNIKOS**
O
ssa, muscoli e articolazioni
contribuiscono a farci muovere
nell’ambiente grazie alla loro funzione di
supporto e di contenimento. Ciò è
possibile grazie alla presenza del
collagene, un tessuto composto di fibre
proteiche incrociate e in grado di slittare
fra di loro che conferiscono la necessaria
elasticità e robustezza all’intero sistema
connettivo. A mano a mano, continui
traumi, infezioni, errori alimentari e lo
stesso trascorrere degli anni danneggiano
tale struttura incrociata, ed elasticità e
robustezza si riducono. Conseguenza
diretta di tutto ciò sono la sensazione di
irrigidimento delle articolazioni e il
riscontro di una pelle più sottile e meno
elastica. Se poi la costante distruzione
delle fibre di collagene non viene
controbilanciata da un’adeguata
produzione di nuove fibre per carenze
nutrizionali o altre cause, il fenomeno
peggiora ed accelera.
Dobbiamo ammettere che ancora non
conosciamo con precisione come fanno
le nostre strutture di supporto a “sentire”
la forza di gravità, ma sappiamo che esse
rispondono al carico gravitazionale (che
nel nostro caso corrisponde al peso
corporeo). Ad esempio, le persone obese
hanno ossa più spesse e più forti, mentre
coloro che non esercitano più alcune
strutture ne vedono progressivamente
atrofizzare le componenti muscolare,
ossea e collagenica.
A gravità prossima allo zero, come
nello spazio, il corpo non ha peso, quindi
ossa, muscoli e articolazioni (in cui il
12 COLLOQUIA
collagene è molto rappresentato) non
devono sostenere l’abituale carico e
pertanto non sono sottoposte al
continuo stimolo ad accrescersi per fare
da struttura portante all’intero
organismo. Se tale situazione si protrae,
questi sistemi giungono alla conclusione
che è del tutto inutile lavorare per
rispondere a stimoli inesistenti e quindi
interviene l’atrofia: la progressiva
riduzione di volume e funzione delle
strutture. Lo stesso fenomeno si ha anche
nei soggetti costretti a una lunga
permanenza a letto da una malattia
cronica degenerativa o da un incidente
che ha leso il midollo spinale o il cervello.
Anche se durano più di altre parti del
corpo, le ossa si modificano con
l’invecchiamento fino a diventare molto
fragili. Esiste, pero, la possibilità di
rallentare il processo di deterioramento
dell’osso sfruttando gli effetti che la forza
di gravita esercita sul nostro sistema
scheletrico.
Il “ruolo” del sovrappeso
La densità e la forza di un osso adulto
sono determinate anche dalla storia
individuale. La pressione esercitata dal
corpo sulla Terra dipende dalla forza di
gravità, senza la quale avremmo
certamente la massa ma non il peso: sulla
Luna, infatti, un astronauta pesa un sesto
di quanto peserebbe sulla Terra a causa
della ridotta forza di gravità. Sulla Terra,
raddoppiando la massa, si raddoppiano il
peso e la pressione esercitata sullo
scheletro.
Proprio per l’aumento del carico, gli
individui di grossa corporatura, come gli
obesi, hanno un’elevata densità ossea
rispetto alle persone più basse o più
magre ed hanno quindi una minore
probabilità di frattura con una caduta, se
quest’ultima non è particolarmente
rovinosa. La bella notizia, però, viene
immediatamente controbilanciata da una
cattiva: il maggior peso comprime e
deteriora le articolazioni del ginocchio e
delle anche, oltre a comportare altri
“inconvenienti” seri come aumento della
Quando i nostri antenati cominciarono ad assumere la posizione eretta si sottoposero ad
un sovraccarico di forza di gravità: ossa, muscoli, articolazioni, legamenti e tendini collegati
fra di loro dovevano svilupparsi in modo nuovo per sostenere il corpo sui piedi. In questa
condizione, la gravità comprime talmente tanto la colonna vertebrale, il bacino, le
articolazioni degli arti inferiori e i talloni che la sera andiamo a letto più bassi di almeno
mezzo centimetro rispetto a quando ci siamo alzati al mattino. Per meglio valutare questo
fenomeno può essere interessante sapere che, al contrario, per la protratta assenza degli
effetti della forza di gravità l’altezza di un astronauta può aumentare da 2 a 5 cm nel corso
di un volo spaziale di soli 5 giorni.
Focus Le patologie osteoarticolari
|
Il sistema scheletrico: anche una questione di gravità
pressione arteriosa, malattie
cardiovascolari e diabete.
Non è necessario, tuttavia, essere
sovrappeso per aumentare la pressione
esercitata sulle ossa: per quanto riguarda
gli arti inferiori basta imprimere una
maggior pressione sui malleoli facendo
attività fisica e quindi per chi è già avanti
con l’età può bastare una semplice attività
all’aria aperta (anche solo camminare).
Quali sono i nemici delle ossa?
Quando si sta seduti o distesi o
immersi in acqua a lungo, le ossa non
sopportano alcun peso, vengono di fatto
“scaricate” e si adattano rapidamente a
questa condizione. Se gli uomini vivessero
senza mai appoggiare il peso del corpo sui
piedi, le ossa non avrebbero più bisogno
di sostenerli e si ridurrebbero di densità e
di forza fino a scomparire. Nonostante il
fatto che non dover sostenere il peso
provochi perdita di densità ossea in tutto
lo scheletro, gli effetti più evidenti si
realizzano nelle ossa che in genere
sostengono maggiormente il peso
corporeo. Studi su pazienti che
rimangono attivi nonostante un arto
immobilizzato (sul quale quindi il peso
corporeo non si appoggia) mostrano che
la massa ossea si riduce proprio nell’arto
inattivo; allo stesso modo, durante il volo
spaziale la perdita di densità ossea non
interessa gli arti superiori ma quelli
inferiori, che di fatto vengono scaricati dal
peso abituale. E come se le ossa “avessero
memoria” del lavoro sostenuto nel tempo,
dell’età, del tipo di alimentazione e della
produzione di ormoni nel singolo
individuo e tendessero a riprendere
gradualmente la struttura iniziale una
volta riabituate allo sforzo fisico. Più l’osso
rimane inattivo, però, più scarse sono le
probabilità che la “memoria” dell’osso sia
recuperata.
Perdita di calcio
Se l’osso non sostiene il peso, come
avviene regolarmente nel riposo protratto
a letto o in poltrona, la perdita di minerali
(“demineralizzazione”) si rivela anche
attraverso un equilibrio di calcio negativo.
Questo significa che si perde molto più
calcio – soprattutto per mobilizzazione
dall’osso – attraverso le urine, le feci e il
sudore di quanto se ne riesca ad assumere
con la dieta.
La nostra ossatura è fatta per sopportare la forza di gravità, in sua assenza
si verificano danni importanti come l’osteoporosi. Quali stili di vita potremmo
cominciare a fare nostri per non soffrire di questa patologia in futuro?
Innanzitutto sappiamo tutti che se si fa uno sport estremo si può finire addirittura
per avere l’osteoporosi; pertanto prima di tutto bisogna cercare di essere moderati
(il famoso sit modus in rebus dei latini è sempre vivo e è sempre valido).
Stimolando le nostre ossa con la stessa forza di gravità le aiutiamo molto, ma è pure
vero che se mangiamo male non le aiutiamo per nulla. È vero infatti che le persone
obese hanno un peso maggiore sulle ossa per cui magari nella parte bassa del corpo
non soffrono di osteoporosi – fino a quando non esagerano – ma è altrettanto vero che
l’obesità infiamma, e genera una infiammazione cronica in tutto il corpo, che guarda
caso dà fastidio alle ossa.
E poi l’alimentazione, per esempio il calcio. Quanti di noi ormai hanno abbandonato il
latte per motivi vari? Tra cui anche il cercare di non ingrassare o di non incorrere in
un’allergia topica. Fatto sta che senza una bella tazza di latte già perdiamo quei 350-400
milligrammi di calcio, e che basterebbe ricominciare con quello, con un po’ di formaggio
e un po’ di verdura per arrivare al fabbisogno di 1000, 1500 milligrammi se si inserisce
anche un po’ di parmigiano.
(Dalla videointervista a Felice Strollo pubblicata su va’ pensiero,
www.pensiero.it/catalogo/recensioni.asp?page=video_539_strollo)
COLLOQUIA 13
Focus Le patologie osteoarticolari
|
Il sistema scheletrico: anche una questione di gravità
Artrite
Non c’e bisogno di essere anziani o di
essere stati costretti a letto per un lungo
periodo per provare dolori articolari
diffusi. Dolore, tensione e rigidità a livello
di articolazioni, muscoli, ossa e altri tessuti
ricchi di collagene, come tendini e
legamenti, sono sintomi o avvisaglie di
un’artrite in evoluzione, patologia che
comporta una degenerazione della
cartilagine con conseguente attrito diretto
delle ossa fra di loro. La forma più
comune, l’osteoartrite, colpisce in Italia
oltre 5 milioni di persone di ogni età.
Altre 400.000 persone soffrono invece
di artrite reumatoide, malattia in cui il
sistema immunitario attacca ossa e
cartilagini interpretandole come
“estranee” e provocando in tal modo
dolore e infiammazione.
Non sostenendo carichi, si indeboliscono anche i muscoli da cui le ossa sono servite.
Nello spazio, ad esempio, la perdita di massa muscolare precede la perdita di densità ossea
di circa 11 giorni e quest’ultima si realizza soprattutto nei punti di inserzione dei tendini;
in questo modo, nel tempo si modificano la forza e la forma stessa dell’osso. Fare in questo
caso esercizio fisico mirato riesce solo a rallentare ma non ad impedire la perdita di massa
ossea, che poi richiede a volte fino 2 anni per tornare ai livelli di partenza.
Effetti della menopausa
I cambiamenti ormonali tipici della
menopausa possono accelerare il
processo di perdita di massa ossea, che è
molto simile tra uomini e donne, eccetto
nei 5 anni intorno alla menopausa
quando viene meno la normale
produzione ormonale. In realtà, alcune
donne in menopausa mantengono una
massa ossea quasi costante, mentre altre
ne perdono fino al 5% all’anno. Dopo il
periodo critico, però, la perdita ritorna sui
bassi valori precedenti; le donne che
entrano in menopausa più tardi,
comunque, perdono relativamente meno
in densità minerale ossea.
Dopo la menopausa, poi, per
l’indebolimento progressivo della
muscolatura dell’addome, del dorso e del
collo, la postura cambia tanto che in
alcune donne può svilupparsi un
incurvamento della schiena (noto come
“gobba da invecchiamento”), dovuto al
fatto che la spina dorsale si modella
diversamente mentre perde la capacità di
apposizione ossea molto più rapidamente
di qualunque altra parte dello scheletro.
del collo del femore). Al di sopra dei 50
anni, circa il 17,6% delle donne contro il
6% degli uomini subisce una frattura del
femore e il 15,6% delle donne contro il
5% degli uomini ne subisce una
vertebrale. All’incirca il 50% delle donne
ultraottantenni ha subito una frattura del
collo del femore o di una vertebra e in
tale fascia di età il rapporto uomo/donna
per la patologia passa da 1:3 a 1:6. Solo
in Italia si verificano oltre 80.000 fratture
dell’anca all’anno, che richiedono molti
giorni di ospedalizzazione e di cure
riabilitative, oltre a costi enormi diretti e
indiretti, compresi quelli per il
trattamento del dolore locale persistente.
ne soffrono oltre 200 milioni di persone e
si calcola che dopo i 75 anni la
probabilità di esserne affetti sia del 50%.
L’osteoporosi aumenta il rischio di
frattura della spina dorsale più che
dell’anca o del polso e lo raddoppia per
ogni 10% di perdita di massa ossea. Dato
che nei prossimi 20 anni la popolazione
invecchierà progressivamente, se non si
troveranno rimedi efficaci ci si dovrà
rassegnare ad affrontare un raddoppio
dell’incidenza dell’osteoporosi. Tra l’altro,
negli anziani la frattura dell’anca
aumenta il rischio di morte del 24% nel
primo anno dopo l’evento: per
comprendere il perche del fenomeno
basta pensare che lo choc psicologico
legato alla frattura – per l’impatto
emotivo della perdita di indipendenza
dovuta all’immobilità forzata – comporta
anche un rapido declino generale e che
stress e depressione stimolano
cronicamente la produzione di cortisolo
aggravando la perdita di calcio.
Un fenomeno meno grave
dell’osteoporosi e noto come
“osteopenia” (ossia, bassa densità
minerale ossea). Le donne che a 25-30
anni hanno ossa sottili mostrano
osteopenia prima di quelle
strutturalmente più robuste; gli uomini, al
contrario, mostrano pochi problemi in tal
senso perche hanno ossa per natura più
grandi e una più graduale e più tardiva
diminuzione della produzione ormonale.
Osteoporosi
Se si osservano le immagini di ossa
fragili, deboli e “bucherellate” si pensa
subito al groviera: in tal caso siamo di
fronte all’ultimo stadio dell’osteoporosi.
Secondo i dati OMS, in tutto il mondo
Come “ricostruire” l’osso
È molto difficile ripristinare la massa
ossea. Dopo un periodo di immobilità
forzata il recupero è molto lento, anche
se in persone sane la ricostruzione
Fratture
Una donna che ha superato la
menopausa corre un rischio di frattura tre
volte maggiore rispetto a un uomo della
stessa età. La perdita di massa ossea è
molto diversa tra i due sessi e nelle donne
si concentra in particolare nella spina
dorsale e nelle anche (soprattutto a carico
14 COLLOQUIA
Non tutti sanno che molti fattori contribuiscono all’osteoporosi; tra questi la
predisposizione genetica, l’assunzione di oltre due caffè o due bicchieri di vino al giorno
e il fumo, che è tossico per gli osteoblasti e riduce anche gli effetti della terapia ormonale
sostitutiva (le fumatrici accanite, per esempio, hanno ossa più sottili e spesso arrivano
precocemente alla menopausa).
Focus Le patologie osteoarticolari
dell’osso inizia non appena queste
riprendono una vita normalmente attiva.
La ricostruzione della massa ossea
rappresenta tuttora una grossa sfida,
motivo per cui – al momento – la
prevenzione rimane la cura migliore.
Con l’invecchiamento la perdita di
massa nelle ossa lunghe è compensata da
un certo grado di rimodellamento delle
ossa, che continuano ad accrescersi nel
senso del diametro grazie all’apposizione
di nuovi strati sulla superficie esterna e
diventano in tal modo più forti, sebbene
abbiano globalmente perso massa. Ciò
contribuisce a mantenere la resistenza alle
torsioni e ai piegamenti delle strutture
portanti degli anziani, soprattutto nel
sesso maschile che ha una capacita di
apposizione e stratificazione tre volte
superiore rispetto a quello femminile,
|
Il sistema scheletrico: anche una questione di gravità
mette troppo sotto stress le articolazioni
degli arti inferiori e aumenta i fattori di
infiammazione, fortissimi antagonisti
dell’apposizione ossea: non culliamoci in
sogni impossibili, quindi, e cerchiamo di
non indulgere in estremismi
comportamentali.
Attività fisica
Occorre buon senso in tutto: fare
jogging può migliorare l’efficienza
cardiovascolare e rinforzare le ossa, ma
può altrettanto facilmente danneggiare le
ginocchia. Tutto dipende in realtà da
come si pratica la corsa: è necessario
prestare la dovuta cura a particolari quali
la preparazione con l’allenamento di
potenza e di flessibilità e lo stretching
pre-esercizio, la ricerca del fondo meno
rigido possibile, la cura delle calzature,
Negli anziani il rischio di frattura si
riduce anche con la sola abitudine a stare
in piedi almeno per un po’ o, in chi è
impossibilitato ad alzarsi, con il
sollevamento del letto fino a consentire
l’appoggio degli arti inferiori sulla sponda
anteriore (o con sistemi di trazione
razionalmente impostati).
Un particolare che occorre ricordare è
che ogni volta che si vuole ottenere un
risultato (rinforzo o riparazione) occorre
applicare all’osso una forza maggiore
rispetto a quella abituale. Le ricerche
eseguite finora hanno dimostrato che
sono più efficaci brevi periodi di esercizio
intenso a carico pesante che non lunghi
Molti fattori concorrono allo stato di salute dello scheletro ma ancora non
conosciamo con precisione le modalità utilizzate dall’osso per percepire il carico e innescare
lo stimolo alla ricostruzione di quanto perduto. A questo proposito è interessante il fatto
che le arterie che irrorano il tessuto osseo sono meno efficienti negli astronauti in volo
spaziale e nei volontari sani che partecipano agli esperimenti di allettamento forzato ma
non nelle persone con lesioni della spina dorsale, mentre l’osteoporosi interviene in tutti
e tre i casi: perché? Perché in tutti si perde la percezione (e il conseguente trasferimento
al cervello) dello stimolo rappresentato dal carico.
rendendo cosi ragione del fatto che le
ossa degli uomini anziani si rafforzano
proprio in corso di invecchiamento.
Come per ogni altro organo e
apparato corporeo, ossa sane dipendono
anche da una buona irrorazione
sanguigna e da un’innervazione efficace e
ben collegata alla “stazione di comando”
cerebrale.
Il valore della nutrizione
Una buona nutrizione e una vita attiva
aiutano a proteggere le ossa dagli effetti
del tempo. Gli anziani, però, riescono a
seguire una dieta bilanciata ed equilibrata
solo se non vanno incontro alla tipica
riduzione dell’appetito, spesso
accompagnata da problemi di
assorbimento dei nutrienti, alterazioni del
gusto e difficoltà di masticazione.
Mangiare poco può essere un problema,
quindi, ma altrettanto negativo può
rivelarsi mangiare troppo, visto che
l’eccesso di peso, pur potenziando il
carico e con questo la massa ossea,
l’attenzione al peso corporeo e cosi via.
Ci sono anche esercizi semplici da
realizzare, ma che si rivelano molto validi:
è il caso ad esempio del salire le scale,
attività che stimola i muscoli antigravitari,
le articolazioni e il cuore. Scendere le
scale, poi, offre il necessario carico alle
ossa ad ogni scalino e allena la
coordinazione.
Un buon metodo per rinforzare le ossa
è anche quello di aggiungere pesi
(realizzabili con il “fai da te” o acquistabili
presso negozi di articoli sportivi) in
quantità via via crescente quando si esce
a fare una passeggiata: ci si pone così in
condizioni simili agli obesi, che hanno
ossa forti e spesse.
periodi a carico costante, anche se la
costanza delle attività è di per sé garanzia
di risultato nel tempo. Cosa conviene
fare, quindi? La soluzione migliore è
variare l’esercizio mantenendo
l’attenzione sulla necessità di aumentare
progressivamente il carico allenante.
L’osso risponde come il muscolo: se si
interrompe l’allenamento la massa ritorna
alla fase pre-esercizio.
Molto importante è “sorprendere”
l’osso con l’alternanza di esercizi di
impatto (fra i quali anche uno sport di
squadra come la pallavolo) con altri di
sollevamento pesi e non smettere mai di
esercitarsi, anzi possibilmente aumentare
il carico per migliorare l’allenamento.
*Specialista in Endocrinologia e Medicina Aeronautica e Spaziale; coordinatore del
Dipartimento Malattie Metaboliche, Alimentazione e Benessere Fisico, Istituto Nazionale
di Ricovero e Cura per Anziani (INRCA); **Esperta di problematica dell’invecchiamento
e gestione delle stress, già direttore del settore Life Sciences della NASA e professore di
Farmacologia presso l’Ohio State University Medical School; presidente di Third Age Health.
Questo testo è un estratto da Strollo F, Vernikos J. Ritardare l’invecchiamento è possibile. Roma: Il Pensiero
Scientifico Editore, 2012. In particolare da “Come preservare le strutture di supporto”, Parte Prima, pp. 3-27.
COLLOQUIA 15
focus
ANMAR è ormai una realtà
associativa consolidata.
Vuole ricordarci brevemente
come nasce e quali obiettivi
principali si prefigge?
L’ANMAR Onlus, Associazione
Nazionale Malati Reumatici, nasce a Roma
nel 1985 da un gruppo di pazienti e di
medici, con l’intento di diffondere e
favorire la conoscenza delle “Malattie
Reumatiche” presso la Società, le
Istituzioni Sanitarie e le Autorità Nazionali.
Nata con questa primaria esigenza,
l’ANMAR oggi, fedele ai propri principi,
crede che ogni persona con patologie
reumatiche abbia il diritto di essere
tempestivamente e adeguatamente curata
e che la tutela del lavoro ed ad una vita
quotidiana positiva siano diritti
imprescindibili.
Le malattie reumatiche rappresentano
in Italia una delle prime cause di inabilità
temporanea e disabilità permanente e
sono la causa più frequente di assenza dal
lavoro. In Italia sono oltre 5 milioni le
persone che ne soffrono, e di queste circa
734.000 sono colpite da forme croniche
quali: artrite reumatoide, spondilo
artropatie, vasculiti e connettiviti, malattie
particolarmente temibili per il
coinvolgimento, oltre che osteoarticolare,
di organi interni quali cuore, rene,
polmoni, nervi, vasi, cervello ed altri
ancora. A soffrire di malattie reumatiche
sono persone di tutte le età e di ogni
fascia sociale, con una maggiore
prevalenza tra le donne.
ANMAR è attiva da quasi
trent’anni. Com’è cambiato il
ruolo delle associazioni di
pazienti in questi anni?
Oggi l’approccio alle malattie
reumatiche è radicalmente cambiato;
nuovi farmaci, nuovi protocolli diagnostico
terapeutici rendono migliore la vita ma
rimangono tuttavia forti criticità. In primo
luogo la disparità di trattamento che i
malati reumatici ricevono sul territorio
nazionale. Diagnosi e terapie sono un
diritto per chi abita in alcune zone d’Italia,
in particolare al centro-nord, mentre sono
una incognita per chi abita in alcune zone
del sud. Liste d’attesa interminabili sono
una costante ben distribuita su tutto il
territorio nazionale.
Altra grave criticità è la
16 COLLOQUIA
Le patologie osteoarticolari
Dalla parte del paziente:
la presa in carico globale
Mancano quasi completamente i percorsi di cura integrati,
e un paziente per problemi correlati alla patologia principale
deve rivolgersi a innumerevoli specialisti spesso poco coordinati…
Intervista a GABRIELLA VOLTAN*
A cura di Monica Ricci, Specialist, Global Communications, MSD Italy
Focus Le patologie osteoarticolari
sottovalutazione delle malattie reumatiche
e dei loro esiti sia da parte
dell’organizzazione sanitaria nazionale che
dalle strutture socio politiche sanitarie
regionali, nonché dall’opinione pubblica.
A tutt’oggi, nonostante il grande
impegno profuso da ANMAR, anche in
collaborazione con altre associazioni, con
la Sir (Società Italiana di Reumatologia),
con il Croi (Collegio Reumatologi
Ospedalieri Italiani), non siamo ancora
riusciti a cambiare radicalmente
l’approccio e la programmazione sanitaria
nei confronti di queste malattie.
Mancano quasi completamente i
percorsi di cura integrati, e un paziente
per problemi correlati alla patologia
principale deve rivolgersi a innumerevoli
specialisti spesso poco coordinati.
Lei, oltre ad essere Presidente
dell’Associazione, è prima di tutto
una paziente. Può dirci quali sono
le principali problematiche che,
ancora oggi, nonostante i vostri
sforzi e il vostro impegno, il
paziente con patologie reumatiche
continua a incontrare nel proprio
percorso di cura?
Oltre ai danni causati dalla malattia la
persona si trova a dover fare i conti con il
dolore. Il dolore che deve sopportare la
persona colpita da una malattia
osteoarticolare è paragonabile a una
gabbia che ti obbliga a fare i conti con la
tua vita, con la quotidianità, con quello
che puoi o non puoi fare più. Purtroppo il
sintomo dolore nelle malattie
osteoarticolari, sia autoimmuni che
degenerative, è sempre presente, è una
costante, a volte può essere meno acuto
più lieve, ma non scompare mai e nel
tempo rende davvero difficile la vita
perché limita, talvolta in modo pesante,
tutte le attività: da quella lavorativa e
familiare, a quella personale e sociale.
In un’indagine condotta da ANMAR nel
2011, in media l’80% dei pazienti
dichiarava di “convivere con il dolore
cronico” (il 65% dei pazienti con meno di
40 anni, l’84% di quelli tra i 40 e i 60 anni
e l’82% degli over 60). A questo
aggiungiamo il sottotrattamento del
dolore, infatti il 40% dei pazienti non usa
farmaci specifici sebbene la media del
dolore dichiarato secondo una scala
numerica da 0 a 10 si posizioni a “6,2”. Di
|
solito il dolore cronicizza con picchi di
riacutizzazione ricorrenti. Naturalmente
con il dolore acuto che diventa cronico e
non ti lascia mai non si vive bene. Il punto
è che mentre in anni recenti la malattia
osteoarticolare è curata con ottimi farmaci,
nella maggior parte dei casi il dolore che
l’accompagna non viene considerato e
nemmeno trattato. I farmaci che agiscono
sull’infiammazione non sempre funzionano
sul dolore, a volte perché non sono adatti
o non sufficienti come dosaggio.
Nonostante la qualità di vita dei pazienti
con malattie reumatiche sia molto
cambiata, il dolore è radicato con i suoi
picchi e la sua cronicizzazione e, a quanto
pare, il solo modo per difendersi è mettere
Dalla parte del paziente: la presa in carico globale
con particolare riferimento a quelle ad
insorgenza in età lavorativa e ad alto
potenziale invalidante;
2. progettare e implementare le reti
reumatologiche in tutte le Regioni,
reperendo le risorse necessarie
nell’ambito della ripartizione annuale
delle quote del Fondo Sanitario
Nazionale vincolate agli obiettivi di
Piano Sanitario Nazionale;
3. garantire un’offerta di assistenza
ospedaliera reumatologica adeguata e
integrata con il territorio, in grado di
rispondere tempestivamente e in modo
efficiente, efficace e appropriato al
bisogno di salute delle persone con
patologie reumatiche;
A tutt’oggi, nonostante il grande impegno profuso da ANMAR, anche in
collaborazione con altre associazioni, con la Sir (Società Italiana di
Reumatologia), con il Croi (Collegio Reumatologi Ospedalieri Italiani),
non siamo ancora riusciti a cambiare radicalmente l’approccio e la
programmazione sanitaria nei confronti di queste malattie.
in atto qualche banale strategia salva-vita.
Anche in questo ambito è quindi
necessario un confronto e una presa in
carico della persona davvero globale, una
sfida sicuramente difficile.
4. programmare e formare un numero
adeguato di medici specializzati
investendo maggiormente nelle scuole
di specializzazione universitarie in
Reumatologia.
In questo momento di stretta
economica, qual è – se c’è stato –
l’impatto sui malati di queste
patologie? Quali sono gli obiettivi
a breve termine che vi proponete
di raggiungere?
Vista la situazione attuale è inevitabile
ricordare gli obiettivi che stiamo
perseguendo. Di seguito la richiesta che
ANMAR (Associazione Nazionale Malati
Reumatici), CITTADINANZATTIVA, SIR
(Società Italiana di Reumatologia) e CROI
(Collegio dei Reumatologi Ospedalieri
Italiani) hanno rivolto a tutti i
rappresentanti dei partiti politici e a coloro
che si occuperanno di sanità e tematiche
sociali nella prossima legislatura: assumere
un impegno concreto per sostenere le
esigenze delle persone colpite da
malattie reumatiche.
La richiesta si articola in quattro punti
specifici:
1. realizzare un Piano nazionale, da
approvare in sede di Conferenza-Stato
Regioni, sulle patologie reumatiche,
Alla base di queste proposte la
considerazione che un efficace piano di
programmazione sociosanitaria debba
prevedere gli effetti delle scelte sul lungo
termine: negare o limitare prestazioni
appropriate e innovative, per abbattere
oggi la spesa sanitaria, significa generare
effetti disastrosi nel medio lungo termine,
sia da un punto di vista di qualità della vita
che in termini di capacità produttiva dei
pazienti/cittadini, con conseguente
impoverimento generale del SistemaPaese.
Ma occuparsi di programmazione
nazionale non è sufficiente. ANMAR con le
sue 17 regioni aderenti sta coordinando e
sostenendo l’operato locale. Infatti non
possiamo ignorare che il federalismo
sanitario ha portato alla creazione di
sistemi sanitari diversificati e regionalizzati
molto diversi l’uno dall’altro, e in ogni
regione bisogna ripensare
all’organizzazione sanitaria magari
ripetendo battaglie già vinte a livello
nazionale.
COLLOQUIA 17
Focus Le patologie osteoarticolari
|
Dalla parte del paziente: la presa in carico globale
Solo un banale esempio: a livello
nazionale l’AIFA autorizza l’uso di un
farmaco, ma le commissioni regionali ne
tardano in modo assolutamente
incomprensibile la messa a disposizione a
livello locale, e naturalmente ne
conseguono battaglie locali.
Cosa pensate di fare per vedere
realizzate nel prossimo futuro le
richieste espresse
precedentemente?
Stiamo organizzando per fine maggio
un evento che si propone di mettere a
confronto tutte le associazioni che si
occupano di malattie reumatiche e di
programmare azioni strategiche per
raggiungere un semplice obiettivo:
garantire diagnosi precoce e terapie
appropriate a tutte le persone che
soffrono di patologie reumatiche.
Figura. Tempo di attesa per l’inserimento nel PTOR del farmaco che ha concluso
l’iter nazionale di “ammissione al rimborso” (espresso in giorni).
Umbria
145
170
Basilicatae
Veneto
190
Valle d’Aosta
194
Campania
210
213
Emilia Romagna
Trento
219
Sardegna
219
Toscana
278
Lazio
284
*Presidente ANMAR,
Associazione Nazionale
Malati Reumatici.
ANMAR-ONLUS esercita le
seguenti attività dirette ad arrecare
in generale benefici
esclusivamente a soggetti
svantaggiati a causa di condizioni
fisiche, psichiche, economiche,
sociali o familiari:
• promuove iniziative dirette alla
tutela dei diritti dei malati
reumatici, nonché all’impiego
dei mezzi atti a migliorare la
loro qualità di vita;
• informa la pubblica opinione
sulla natura delle malattie
reumatiche, sui danni causati
dalle stesse e sui mezzi e le
modalità che possono
contribuire a prevenire,
accertare precocemente e
curare efficacemente:
a. SINERGIA pubblicazione
Fonte: Quaderno CERM 2009.
periodica nazionale
(http://www.anmaritalia.it/news):
b. Social networks: Facebook
(http://www.facebook.com/g
roups/69336178485/)
YouTube
(http://www.youtube.com/us
er/anmarassociazione?feature
=results_mai)
c. Brochures monotematiche
(http://www.anmaritalia.it/pubblicazioni;
• promuove ogni azione presso i
responsabili della Sanità
Nazionale, Regioni e dei vari
livelli amministrativi, per
migliorare le strutture sanitarie e
per garantire ai malati reumatici
condizioni ottimali per la cura
delle patologie e delle
complicanze ad esse correlate.
Le collaborazioni attualmente
attive sono con: AIFA; Ministero
della Salute e del Welfare;
Ministero dell’Istruzione;
Ministero della Pubblica
Amministrazione e
l’Innovazione; Istituzioni
regionali;
• collabora con le Università, con
le strutture ospedaliere, i centri
di ricerca, le istituzioni
scientifiche al fine di migliorare
la prevenzione delle
complicanze, in particolare
dell’handicap, la cura e lo studio
delle malattie reumatiche;
• collabora con le autorità
politico-amministrative
all’’esecuzione di indagini
epidemiologiche atte ad
evidenziare la rilevanza sociale
delle affezioni reumatiche, sia
per la loro elevata frequenza
che per i costi che tali patologie
croniche comportano;
• sollecita le forze politiche in
merito all’emanazione di norme
legislative e di provvedimenti
amministrativi in tema di
prevenzione, cura e
riabilitazione dei malati
reumatici e per favorire
•
•
•
•
l’inserimento e il reinserimento
dei malati stessi nel contesto
operativo della vita socioeconomica del paese;
promuove ogni iniziativa che
valga a potenziare l’attività
dell’ANMAR ONLUS: Numero
VERDE per l’assistenza alle
persone; Sostegno psicologico
gratuito a copertura nazionale;
svolge i compiti istituzionali in
stretta collaborazione con altre
istituzioni e/o organismi similari;
istituisce a livello nazionale e
regionale gruppi di studio per la
promozione della lotta alle
diverse patologie reumatiche,
supporta le attività delle
associazioni regionali ove
necessario: Questionari diretti
alle persone con patologie
reumatiche, Indagini on-line,
Campagne informative;
lavora in sinergia con EULAR
European League Against
Rheumatism di cui
è membro. •
Per ulteriori informazioni: www.anmar-italia.it; e-mail: [email protected]; Numero Verde 800 910 625
18 COLLOQUIA
focus
Le patologie osteoarticolari
Osteoporosi e malattie dello scheletro
Le principali associazioni italiane dei pazienti
F.I.R.M.O. Fondazione Raffaella Becagli
F.I.R.M.O. Fondazione Raffaella Becagli è
un esempio unico di ente privato non profit
che riconosce come obiettivo prioritario la
prevenzione e la cura delle malattie dello
scheletro. Sebbene milioni di persone siano
affette da patologie delle ossa, la
sensibilizzazione verso queste malattie è
scarsa, spesso i medici non riescono a
riconoscerle e i fondi per la ricerca sono
esigui. Bisognava assolutamente fare
qualcosa. È in questo scenario che il 20
Febbraio 2006 nasce F.I.R.M.O. Fondazione
Raffaella Becagli. La Fondazione, ente non
profit, ha come scopo la sostenibilità di
ricerche innovative per la diagnosi delle
malattie dello scheletro, valorizzando a pieno
il potenziale di competenze e di istituzioni,
presenti nel nostro Paese, sui versanti
universitario, industriale, clinico e finanziario.
Nello specifico, l’iniziativa persegue in via
prioritaria i seguenti obiettivi: attrarre
investimenti, risorse e talenti, concorrendo
alla crescita della ricerca innovativa in Italia;
promuovere il trasferimento tecnologico dalle
strutture di ricerca alle imprese; educare i
medici e gli operatori sanitari utilizzando
corsi, master, letture e pubblicazioni;
sensibilizzare l’ opinione pubblica, attraverso
campagne nazionali; sviluppare programmi
mirati a promuovere la conoscenza nei
pazienti di ogni età, per poter ridurre la
distanza tra scienza e società. •
La Lega Italiana Osteoporosi onlus per la
ricerca, la prevenzione e la cura delle
malattie demineralizzanti delle ossa è
un’associazione senza scopo di lucro
fondata con lo scopo di promuovere la
conoscenza di queste malattie, fornendo
informazioni ai pazienti, ai medici e al
pubblico in generale, e di sostenere la ricerca
scientifica in questo settore della medicina.
www.lios.it
http://fondazionefirmo.f5lab.com
FEDIOS
Federazione Italiana Osteoporosi e malattie dello Scheletro
Nell’ottobre 2005 è nata la Federazione
Italiana Osteoporosi e malattie dello Scheletro
(FEDIOS) allo scopo di riunire in una
Federazione Nazionale tutte le associazioni di
pazienti affetti da osteoporosi presenti in
diverse regioni d’Italia. La FEDIOS è una
associazione senza scopo di lucro che opera in
piena autonomia al solo scopo di divulgare la
conoscenza dell’osteoporosi.
L’osteoporosi è una malattia che colpisce in
Italia quasi cinque milioni di soggetti. In alcune
regioni operano con grande impegno alcune
associazioni di pazienti affetti da osteoporosi,
ma senza una vera coordinazione nazionale.
Per questo motivo, si è sentita la necessità di
creare una federazione che potesse
rappresentare queste realtà locali presso le
istituzioni sanitarie a livello nazionale (Ministero
della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco,
LIOS
Lega Italiana Osteoporosi
ecc.), le Società Scientifiche (SIOMMMS, SIR,
ecc.) e le associazioni internazionali (IOF, ecc.).
Con la FEDIOS le associazioni di pazienti affetti
da osteoporosi si sono Federate sotto un unico
organismo che rappresenta tutto il territorio
nazionale per avere più forza, e quindi più
voce, non solo a livello nazionale ma anche a
livello internazionale. •
www.fedios.it
Grazie alla generosità dei sostenitori e al
lavoro dei volontari, la LIOS ha svolto fin
dalla sua nascita importanti attività
informative e per il sostegno della ricerca
scientifica. In particolare, ha fornito a
pazienti e a medici un accesso diretto alle
informazioni più aggiornate; ha offerto
borse di studio per giovani ricercatori nel
campo del metabolismo minerale e osseo;
ha pubblicato e distribuito opuscoli, libri e
video informativi sull’osteoporosi; ha fornito
materiale informativo a quotidiani e periodici
e ha partecipato a programmi radiofonici e
televisivi; ha organizzato numerosi incontri e
dibattiti con il pubblico, con la
partecipazione di esperti qualificati; ha
sponsorizzato incontri scientifici
sull’osteoporosi e corsi di formazione per
medici sull’utilizzo delle tecniche
mineralometriche; ha sostenuto due studi
epidemiologici sull’osteoporosi a livello
nazionale
Tra le varie iniziative, particolare
importanza riveste l’annuale campagna di
informazione legata alla Giornata Mondiale
contro l’Osteoporosi, indetta dalle
associazioni di pazienti e società scientifiche
di molti paesi, e dal 1996 ufficialmente
riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale
della Sanità.
La Giornata Mondiale si celebra in tutto il
mondo il 20 ottobre di ogni anno. •
COLLOQUIA 19
SECONDO ME...
di Giacomo Milillo*
La gestione del dolore osteoarticolare
in medicina generale
Il grande problema del futuro della sanità, da più parti segnalato,
è la prevenzione e la gestione della cronicità: in tale filone si inserisce
la corretta gestione del dolore cronico, vera e propria emergenza sociale.
A cura di GIACOMO MILILLO*, ARRIGO LOMBARDI**
I
problemi osteoarticolari e muscolari,
caratterizzati da dolore,
accompagnato o meno da rigidità e
difficoltà di movimento, costituiscono, in
ordine di frequenza, la prima causa di
ricorso al medico di medicina generale.
Circa il 30-40% dei disturbi riferiti dai
pazienti, è caratterizzato da sintomi
dolorosi, localizzati a livello del rachide e
dei cingoli scapolo-omerale e pelvico.
Tali affezioni possono essere la
conseguenza di un trauma o di un
affaticamento muscolare, spesso
secondario ad attività sportiva o
lavorativa e a posture scorrette e, pur
potendo ripresentarsi più volte nell’arco
della vita, hanno solitamente una durata
temporale circoscritta.
Per contro, si stima che in Italia oltre
5,5 milioni di individui siano affetti da
patologie osteo-mio-articolari di tipo
cronico-evolutivo. Appartiene a questo
raggruppamento quasi la totalità delle
malattie reumatiche (tabella).
Queste ultime, secondo
l’Organizzazione Mondiale della Sanità,
rappresentano la prima causa di dolore e
di disabilità in Europa, e da sole,
costituiscono la metà delle patologie
croniche che interessano la popolazione
al di sopra dei 65 anni.
Ne consegue che la comprensione
della natura del dolore rappresenta
un’esigenza primaria.
Dal punto di vista temporale il dolore
può essere distinto in acuto (finalizzato
ad allertare l’organismo sulla presenza di
stimoli potenzialmente pericolosi) e
cronico (con caratteristiche
qualitativamente diverse), mentre, dal
20 COLLOQUIA
punto di vista fisiopatologico, si
riconoscono un dolore nocicettivo
(somatico e viscerale legato a processi
infiammatori o ad alterazioni
meccaniche strutturali) e un dolore
neuropatico (centrale o periferico, che
origina come diretta conseguenza di
una lesione o di una malattia che
interessa il sistema somato-sensoriale).
A livello osteoarticolare, il processo
infiammatorio determina un
abbassamento della soglia di
eccitabilità dei nocicettori, sia
attraverso la liberazione di
prostaglandine e altri mediatori della
flogosi (istamina, serotonina,
bradichina, ecc.), che in seguito alla
risposta immunitaria dell’organismo.
Oltre al dolore infiammatorio, esiste
il dolore meccanico strutturale, dovuto a
uno stimolo ad alta soglia (coxalgia,
frattura vertebrale) che stimola un
nocicettore a soglia normale.
Il dolore neuropatico è invece indotto
dalla lesione di una fibra nervosa
nocicettiva (sindromi da
intrappolamento); la lesione determina
un aumento dell’eccitabilità della fibra
con conseguente generazione di
un’attività elettrica spontanea.
Un aspetto preponderante è
rappresentato dalle condizioni
caratterizzate da dolore cronico che si
sviluppano in un contesto di crescente
età della popolazione, e che sono
rappresentate essenzialmente da artrosi
(38%), mal di schiena (36%) e cervicalgia
(21%).
Il medico di medicina generale
(MMG), spesso la prima figura cui il
Tabella. Distribuzione stimata delle
malattie reumatiche (%) e numero dei
casi di malattia (ISTAT, 1994).
Artrosi
72,6 4.000.000
Reumatismi extrarticolari
12,7
700.000
Artrite reumatoide
7,5
410.000
Gotta
2,0
112.000
Spondilite anchilosante
2,7
151.000
Connettiviti
0,6
33.600
Reumatismo articolare acuto
0,01
Altre
1,8
Totale
500
100.000
100 5.507.100
Secondo me...
|
La gestione del dolore osteoarticolare in medicina generale
Il grande problema del futuro della sanità, da più parti segnalato, è la prevenzione e la gestione della cronicità:
in tale filone si inserisce la corretta gestione del dolore cronico, vera e propria emergenza sociale. La terza età,
spesso penalizzata per ragioni non tanto economiche, ma spesso anche di tipo culturale/ideologico, è più esposta
agli effetti di trattamenti poco accurati, meno incisivi e non raramente pericolosi: basti pensare all’utilizzo
di antinfiammatori non steroidei, molecole che in tale classe di età sono sovente causa di gravi complicanze,
non soltanto a carico dell’apparato digerente.
cittadino si rivolge, normalmente attua
un complesso lavoro, imperniato
inizialmente su un processo di decodifica
della domanda e di comprensione della
necessità del paziente, che si continua
nella corretta definizione del problema e
infine nell’avvio del percorso
assistenziale che può esaurirsi
nell’ambito della prima visita o attraverso
controlli successivi, con o senza l’ausilio
di indagini strumentali e di laboratorio, o
di consulenze specialistiche.
Per quanto riguarda la terapia, hanno
recentemente ricevuto credito due
modelli fondamentali: la scelta del
trattamento in base al meccanismo
patogenetico e l’associazione di diverse
molecole (paracetamolo-tramadolo,
ossicodone-paracetamolo) per ottenere
un effetto sinergico.
Oggi sono disponibili farmaci ad
azione nocicettoriale (steroidi, FANS,
COX-2), farmaci ad azione sinaptica (tra
questi, quelli in grado di modulare
l’impulso – paracetamolo, oppiacei –
quelli capaci di inibirlo – amitriptilina,
clonazepam, duloxetina –) e quelli ad
azione presinaptica (gabapentin,
pregabalin), e farmaci ad azione sulla
fibra, cioè sul dolore neuropatico
periferico (amitriptilina, carbamazepina,
oxcarbazepina).
Anche nel caso del trattamento di
associazione, la scelta della strategia
terapeutica deve ovviamente tenere
conto delle eventuali comorbilità, delle
terapie concomitanti, dell’età del
soggetto da trattare, oltre che delle
preferenze personali del medico.
Ovviamente, la scelta ideale prevede
un’associazione di farmaci che agiscano
con meccanismi complementari.
Qual è il panorama socio-sanitario
attuale?
Attualmente siamo di fronte ad una
profonda trasformazione sia della
domanda di salute, che dell’offerta
assistenziale/terapeutica, che comunque
non può prescindere da valutazioni di
sostenibilità economica.
Il grande problema del futuro della
sanità, da più parti segnalato, è la
prevenzione e la gestione della cronicità:
in tale filone si inserisce la corretta
gestione del dolore cronico, vera e
propria emergenza sociale. La terza età,
spesso penalizzata per ragioni non tanto
economiche, ma spesso anche di tipo
culturale/ideologico, è più esposta agli
effetti di trattamenti poco accurati,
meno incisivi e non raramente pericolosi:
basti pensare all’utilizzo di
antinfiammatori non steroidei, molecole
che in tale classe di età sono sovente
causa di gravi complicanze, non soltanto
a carico dell’apparato digerente.
È necessario ampliare la cultura della
terapia del dolore sia a livello di
popolazione che della classe medica per
dare concretezza, in ambito clinico, alla
Legge 38/2010 al fine di evitare l’errata
convinzione che la sofferenza sia un
processo inevitabile dell’invecchiamento,
al quale rassegnarsi. L’articolo 1 della
normativa, che prevede la tutela del
diritto di ogni cittadino a ricevere la
terapia del dolore, di fatto rende
obbligatorio il trattamento della
condizione dolorosa anche nell’età
avanzata. Allora assicurare a questi
pazienti un’adeguata assistenza non è
soltanto un dovere morale del medico
ma anche un obbligo legislativo. Una
gestione più appropriata del problema,
possibile solo attraverso un costante
monitoraggio del dolore, attraverso scale
validate di valutazione, consente di
migliorare la qualità di vita degli anziani
ma anche di ridurre i costi a carico del
Sistema Sanitario.
In questa ottica alla medicina
generale spetta un ruolo centrale tanto
che è di fatto indispensabile che la
capacità di gestire e risolvere questo tipo
di problematiche sia parte fondamentale
del bagaglio culturale e professionale del
medico di famiglia.
*Segretario Generale Nazionale
della Federazione Nazionale Medici
di medicina generale (Fimmg);
**medico di medicina generale, Fimmg,
Firenze e reumatologo.
È necessario ampliare la cultura della terapia del dolore sia a livello di popolazione che della classe medica per dare
concretezza, in ambito clinico, alla Legge 38/2010 al fine di evitare l’errata convinzione che la sofferenza sia un
processo inevitabile dell’invecchiamento, al quale rassegnarsi. L’articolo 1 della normativa, che prevede la tutela del
diritto di ogni cittadino a ricevere la terapia del dolore, di fatto rende obbligatorio il trattamento della condizione
dolorosa anche nell’età avanzata.
COLLOQUIA 21
SALUTE ED ECONOMIA
di Federico Spandonaro*
I costi economici e sociali
delle malattie osteoarticolari
L’impatto economico delle patologie osteoarticolari somma
significativi costi sanitari diretti, per farmaci, ricoveri, riabilitazione,
diagnostica, laboratorio, e costi indiretti, associati alla perdita
di produttività da parte del paziente.
A cura di DANIELA D’ANGELA**, BARBARA POLISTENA**
L
e patologie dell’apparato muscolo
scheletrico (osteoarticolari) sono la
causa più nota e più comune di malattie
croniche ad alto potenziale di disabilità ed
handicap: nel mondo sono centinaia di
milioni le persone che ne soffrono.
In Italia si stima che ne siano affetti
oltre 5 milioni di individui.
Si consideri che, in termini di morbilità,
ossia di riduzione della qualità della vita e
dell’autosufficienza, sono seconde
soltanto alle patologie cardiorespiratorie
(infarto miocardico, ictus, bronchite
cronica).
Esistono molte forme diverse di
malattie osteoarticolari, ma tutte associate
a dolore. L’Organizzazione Mondiale della
Sanità ha definito le malattie
osteoarticolari come la prima causa di
dolore e disabilità.
Si tratta di malattie molto differenti tra
loro, ma tutte caratterizzate dalla
presenza di danni o di disturbi a carico
dell’apparato locomotore e dei tessuti
connettivi dell’organismo.
Si tratta di patologie, quindi, con un
elevato impatto sociale, che condizionano
fortemente le capacità di partecipazione
sociale, comportando oltre a danni
progressivi con conseguente disabilità, e
al dolore, anche depressione, e, in
generale, riduzione della qualità della vita.
Colpendo soggetti di ogni età, e quindi
anche in età lavorativa, la progressiva
disabilità si ripercuote sulla capacità
lavorativa dei pazienti con assenze, ridotta
produttività e, talvolta, perdita del lavoro
con conseguenti costi a carico della
Società.
Tra le patologie osteoarticolari di
maggiore rilievo qualiquantitativo, citiamo
l’artrite reumatoide e l’osteoporosi, che
colpiscono soprattutto la popolazione
anziana: non si possono però non
considerare anche i quadri degenerativi
derivanti dall’artrosi, che interessano
anche la popolazione giovanile, e che
vedono un sempre maggior ricorso alle
terapie chirurgiche.
L’artrite reumatoide è una malattia
reumatica infiammatoria autoimmune che
colpisce il tessuto sinoviale, una
membrana connettiva che copre il lato
interno delle articolazioni, soprattutto di
mani, i piedi e i polsi.
L’osteoporosi rappresenta una
condizione clinica che rimane spesso
silente per anni, per poi manifestarsi
d’improvviso e in modo drammatico,
esitando in fratture prevalentemente di
femore ed anca: fratture che rivestono un
forte impatto sociale, in quanto generano
perdita di autosufficienza, oltre ad essere
anche causa di mortalità.
Prevalenza
Le malattie osteoarticolari e
reumatiche si stima che colpiscano il 10%
della popolazione italiana (circa 6 milioni
di abitanti) rappresentando la condizione
cronica più diffusa: secondo l’Indagine
Multiscopo dell’ISTAT (anno 2010)1 artrite
e artrosi colpiscono il 17,3% della
popolazione e l’osteoporosi il 7,3%.
Si tratta di patologie che colpiscono
prevalentemente le donne (tabella I): dai
dati ISTAT risulta che il 22,1% delle donne
soffre di artrite/artrosi ed il 12,0% di
osteoporosi vs rispettivamente il 12,1% ed
l’1,7% degli uomini. In particolare per
22 COLLOQUIA
Salute ed Economia
|
I costi economici e sociali delle malattie osteoarticolari
Tabella I. Popolazione residente per malattia cronica dichiarata, classe di età e
genere per 100 persone della stessa classe di età e genere. Anno 2010.
Artrosi, artrite
Femmine
Totale
Età
Maschi
0-14
0,2
0,4
15-17
0,2
18-19
20-24
25-34
1,4
35-44
3,9
6,8
45-54
9,9
18,6
55-59
19,4
34,6
27,2
Osteoporosi
Femmine
Totale
Var.
2010/2008
Maschi
Var.
2010/2008
0,3
0,1
0,0
0,0
0,0
0,0
0,3
0,3
0,1
0,2
0,5
0,3
0,3
Nd
0,7
0,3
-3,0
0,0
0,0
0,0
-0,3
0,3
0,5
0,4
-0,2
0,1
0,1
0,1
0,1
2,1
1,8
0,0
Nd
0,2
0,1
-0,2
5,4
-1,2
0,1
1,0
0,6
0,0
14,3
-2,5
0,8
5,0
3,0
-0,3
-0,5
2,2
18,0
10,3
1,2
60-64
24,4
40,4
32,5
-0,6
1,6
21,2
11,5
-3,5
65-74
33,3
52,2
43,7
-2,5
4,5
31,9
19,5
-1,6
75+
49,6
67,9
60,6
-0,9
10,8
45,3
31,7
-1,1
Totale
12,1
22,1
17,3
-0,6
1,7
12,0
7,0
-0,3
Nd=non disponibile. Fonte: Annuario Statistico 2010 ISTAT3.
l’osteoporosi la prevalenza supera il 40%
nella popolazione femminile al di sopra
dei 60 anni2.
In Italia tali patologie rappresentano la
più frequente causa di assenze lavorative
e la ragione di circa il 27% delle pensioni
di invalidità erogate.
La distribuzione regionale della
prevalenza risulta essere piuttosto
difforme passando da più del 20% di
Umbria, Basilicata, Sardegna e Abruzzo, a
valori inferiori al 12,5% nelle Province
Autonome di Trento e Bolzano: differenze
che non stupiscono troppo, essendo
fortemente condizionate dai diversi stili di
vita (tabella II).
L’impatto economico
delle malattie osteoarticolari
L’impatto economico delle patologie
osteoarticolari somma significativi costi
sanitari diretti, per farmaci, ricoveri,
riabilitazione, diagnostica, laboratorio, e
costi indiretti, associati alla perdita di
produttività da parte del paziente.
Ad esempio, si consideri che il 7,2%
del totale dei ricoveri per acuti,
lungodegenza, riabilitazione in regime
ordinario e in day hospital hanno avuto
come diagnosi principale una malattia
reumatica. La quota di ricoveri per
malattia reumatica è variabile in funzione
del regime di ricovero: 6,9% dei ricoveri
per acuti, 13,1% nella riabilitazione,
10,0% nella lungodegenza.
Tale dato appare, tra l’altro,
sottostimato in quanto sono stati
considerati solo i ricoveri in cui le malattie
reumatiche rappresentano la diagnosi
principale.
Si consideri ancora che, per le
patologie considerate (basti pensare alle
citate fratture osteoporotiche), è spesso
necessario il ricorso ad interventi
ortopedici di sostituzione protesica.
In Italia sono stati effettuati, nel 2009,
circa 159.000 interventi di sostituzione
protesica (di cui 58% interventi di protesi
di anca, il 39% di ginocchio, il 2% di
spalla, 1% su articolazioni minori)
(tabella III).
Tra il 2001 e il 2009 il numero di
interventi protesici è aumentato con un
incremento medio annuo del 4% per
l’anca e dell’11% per il ginocchio.
Sono le donne che si sottopongono
maggiormente ad un intervento di
sostituzione protesica per tutte le tipologie
di intervento (67% donne, 33% uomini) e
presentano un’età media superiore (73
anni le donne, 69 anni gli uomini).
Nel 2009 l’impatto economico degli
interventi di artroplastica ha rappresentato
circa l’1,5% del Fondo Sanitario Nazionale.
La valutazione dei costi diretti dei
pazienti osteoporotici si concentra per lo
più sulle fratture osteoporotiche: nel
rapporto dell’International Osteoporosis
Foundation del 2008 risulta che i costi
diretti ospedalieri totali per la frattura
dell’anca sono risultati pari a € 546,2 mil.
e di € 361,3 mln. per la riabilitazione
nell’80% delle fratture, per un costo
complessivo di € 907,5 mil.
In particolare, i costi maggiori sono
dovuti, principalmente, alle fratture del
femore e si stimano essere circa € 13 mil.
Dallo studio di Sferrazza et al.4 è emerso
che il costo medio annuo ospedaliero per
una donna con una frattura
osteoporotica è pari a € 2.241,96.
In Italia, nel 2009, si è registrato un
tasso di dimissioni ospedaliere, in regime
Tabella II. Popolazione residente per
malattia cronica dichiarata, classe di età e
genere per 100 persone della stessa classe
di età e genere. Anno 2010 Valori %.
Regioni
Artrosi, artrite Osteoporosi
Italia
17,3
7,0
Nord
16,3
5,9
Centro
18,5
7,5
Sud
17,8
8,1
Piemonte
15,3
6,6
Valle d’Aosta
16,1
6,0
Lombardia
16,2
5,9
Pr. Aut. di Bolzano
8,0
3,7
Pr. Aut. di Trento
12,4
3,9
Veneto
15,5
5,2
Friuli Venezia Giulia
16,9
5,4
Liguria
19,2
8,7
Emilia Romagna
18,9
5,6
Toscana
19,6
7,8
Umbria
21,6
7,5
Marche
16,2
6,6
Lazio
18,0
7,5
Abruzzo
21,1
9,2
Molise
19,4
8,5
Campania
15,8
7,4
Puglia
17,3
7,9
Basilicata
21,3
8,7
Calabria
19,5
8,6
Sicilia
17,5
7,4
Sardegna
21,2
10,9
Fonte: Annuario Statistico 2010 ISTAT3.
COLLOQUIA 23
Salute ed Economia
|
I costi economici e sociali delle malattie osteoarticolari
Tabella III. Interventi di sostituzione protesica articolare per tipo di intervento.
Anno 2009.
Intervento
Anca
Ginocchio
Spalla
Altre articolazioni
Totale
Numero interventi
92.902
61.100
3796
1666
159.464
Composizione %
58,26
38,32
2,38
1,04
100,00
Fonte: SDO 2009 Ministero della Salute.
di ricovero ordinario, per una frattura
osteoporotica pari a 35,6 per 100.000
donne over 45. Il tasso aumenta con il
crescere dell’età sia nel totale sia per tutte
le tipologie di frattura considerate.
Per quanto riguarda la spesa
farmaceutica, dal Rapporto OSMED del
20095, si osserva come quella associata
all’apparato muscolo-scheletrico ammonti
a € 1.378 mil. (OsMed, 2009), con un
trend di crescita attribuibile alle modifiche
della Nota 79 che dal 2007 hanno
determinato un allargamento della
prescrizione a carico SSN.
A livello territoriale, la quota più
consistente della spesa per questo gruppo
terapeutico è rappresentata proprio dai
farmaci per l’osteoporosi.
Il costo sociale medio annuo per i
pazienti affetti artrite reumatoide di età
maggiore di 18 anni, stimato da Turchetti
et al.6 è pari a € 3,4 mld., rappresentando
circa il 2,9% della spesa sanitaria pubblica,
ovvero lo 0,2% del PIL del Paese; i costi
diretti sanitari sono circa € 700
mln.(20,1% dei costi totali per artrite
reumatoide) e gli indiretti pari a € 1,1 mld.
(32,4% dei costi totali per l’artrite
reumatoide).
Anche da uno studio dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore del 2009 è stato
stimato che i costi nella prospettiva della
Società, inclusi quindi i costi del SSN, per i
pazienti affetti da artrite reumatoide sono
pari a € 3,2 mld., e si ritiene possano
arrivare a € 4,0 miliardi nei prossimi 20
anni.
Il costo medio annuo nella prospettiva
della Società per un paziente con artrite
reumatoide risulta, quindi, pari a € 8.000.
Negli ultimi anni le opportunità
terapeutiche per questa patologia si sono
fortunatamente di molto accresciute in
particolare con l’avvento dei farmaci
biologici, il cui successo risiede nella
grande selettività d’azione, che consente
di ottenere, nella maggior parte dei casi,
una notevole efficacia terapeutica in
tempi brevi. I farmaci biologici, a cui si
24 COLLOQUIA
stima siano eleggibili poco più del 20%
dei pazienti, sono però significativamente
costosi.
Secondo il Rapporto OSMED 20117 la
spesa per tutti i farmaci biologici
rappresenta il 20,9% della spesa
farmaceutica ospedaliera in Italia (€ 26,2
vs € 125,2) e l’8,0% della spesa dei
farmaci di classe A+pubblica.
In un contesto di risorse scarse, come
quello che caratterizza allo stato attuale il
nostro SSN, l’avvento dei biologici
rappresenta quindi una importante e
efficace opportunità terapeutica,
contrastata però da problematiche di
ordine finanziario.
La letteratura è comunque concorde
nel ritenere che la spesa per le innovazioni
terapeutiche in questo campo sia costo
efficace, e che l’utilizzo dei farmaci
biologici se, da un lato, incrementa i costi
diretti sanitari, dall’altro porta a una
contrazione della spesa relativa ai costi
diretti non sanitari (l’assistenza informale)
e ai costi indiretti (perdita di produttività),
oltre che un significativo miglioramento
della qualità della vita dei pazienti. Questo
è ancora più vero se tali terapie vengono
somministrate ai pazienti nella fase di
esordio della malattia.
L’innovazione, quindi, è da considerarsi
socialmente un buon investimento, purché
erogata in un contesto di appropriatezza
clinica e organizzativa, peraltro
adeguatamente garantito dal
monitoraggio attento che viene effettuato
sui consumi dei farmaci innovativi e sui
Centri prescrittori.
Conclusioni
Per effetto del progressivo
invecchiamento della popolazione, in
particolare di quella italiana, che è tra le
più anziane d’Europa, è da attendersi un
incremento esponenziale delle patologie
osteoarticolari e quindi dei conseguenti
impatti economici: ad esempio, Rossini et
al. hanno stimano che i cambiamenti
demografici dei prossimi anni
comporteranno un aumento del numero
di fratture del femore nel mondo dai 1,66
milioni del 1990 ai 6,26 milioni del 2050.
Le malattie osteoarticolari sono
patologie ad alta prevalenza e con un
elevato impatto economico sanitario e
sociale, e con una possibile crescita di
spesa nei prossimi anni, soprattutto a
carico del SSN, dovuta da una parte allo
stimato aumento di prevalenza e dall’altra
all’utilizzo delle nuove soluzioni
terapeutiche (biologici); anche se non si
può prescindere dalla considerazione, che
trova conforto nella letteratura, che
queste ultime pur generando un aumento
dei costi diretti sanitari, portano
contestualmente ad una contrazione di
quelli indiretti migliorando la qualità della
vita dei pazienti.
Le differenze di prevalenza riscontrate a
livello geografico suggeriscono quindi,
trovando accordo anche nel Piano
Nazionale della Prevenzione 2010 2012, di
attivare percorsi finalizzati alla diagnosi
precoce e di adottare programmi di
prevenzione specifici per i diversi contesti,
finalizzati alla educazione a corretti stili di
vita nelle diverse fasce d’età e, in
particolare, alla diffusione di azioni di
contrasto alla sedentarietà.
Bibliografia
1. ISTAT, Indagine Statistica Multiscopo,
2010.
2. Rossini M, Piscitelli P, Fitto F, et al.
Incidenza e costi delle fratture di femore in
Italia. Reumatismo 2005; 57: 97-102.
3. ISTAT, Annuario statistico 2010.
4. Sferrazza A, Nicolotti N, Di Thiene D, et al.
L’osteoporosi in Italia: risorse utilizzate dal
SSN e relativi costi. It J Public Health 2011;
8 (Suppl. 2).
5. OsMed. L’uso dei farmaci in Italia.
Rapporto nazionale anno 2009. Roma: Il
Pensiero Scientifico Editore, 2010.
6. Turchetti G, Smolen JS, Kavanaugh A,
Braun J, Pincus T, Bombardieri S. Treat-totarget in rheumatoid arthritis: clinical and
pharmacoeconomic considerations.
Introduction. Clin Exp Rheumatol 2012; 30
(4 Suppl 73): S1. Epub 2012 Nov 20.
7. OsMed. L’uso dei farmaci in Italia.
Rapporto nazionale anno 2011. Roma: Il
Pensiero Scientifico Editore, 2012.
*Università degli Studi di Roma
Tor Vergata; **CEIS Sanità, Facoltà
di Economia, Università degli Studi
di Roma Tor Vergata e 4 Health
Innovation.
La Medicina e le Arti
Pazienti illustri
Casi di malattie osteoarticolari
in biografie di artisti e religiosi noti
al suo primo manifestarsi, l’arte ha
avuto tre principali interessi: quello
per l’uomo, rappresentato nel suo
faticoso cammino su quell’incerto crinale
tra commedia e tragedia che è la vita. La
Divinità, dall’Olimpo greco fino alla
sommità del Gòlgota cristiano; e infine la
Natura, dalle pitture rupestri delle grotte
di Altamira in Spagna fino al cesto di
frutta del Caravaggio e alle bottiglie di
Morandi del secolo scorso.
Per quanto riguarda questo tema
introduttivo, Letteratura e Pittura sono le
due manifestazioni artistiche che, avendo
a che fare con l’uomo descritto in tutte le
sue gioie e miserie e paure,
inevitabilmente hanno narrato di una
delle componenti fondamentali della vita
di ogni uomo da sempre: come l’amore,
anche la sofferenza, il dolore e la malattia
fanno parte integrante del vivere
quotidiano, ed era dunque impossibile e
impensabile che l’Arte non li prendesse a
tema.
L’excursus letterario va dalla
descrizione della peste di Atene di
Tucidide a quella di Milano del Manzoni,
dal colera delle pagine di Verga a quello
di Thomas Mann in Morte a Venezia,
dalla tubercolosi sempre di Thomas Mann
nella Montagna incantata fino al più
recente Diceria dell’untore di Gesualdo
Bufalino, senza dimenticare il
pirandelliano atto unico L’uomo dal fiore
in bocca o la descrizione della malattia
mentale nei romanzi di Mario Tobino.
Ma è soprattutto la pittura che ha
raffigurato l’uomo nella malattia: dai vasi
dell’antica Grecia con le immagini dei
guerrieri curati nelle loro ferite da
battaglia, a gran parte della pittura a
tema sacro dal 1200 al 1600 nelle
raffigurazioni delle guarigioni di Gesù
D
“medico”, alla pittura profana che ha
trattato, soprattutto dal Seicento in poi, di
sale anatomiche e scoperte scientifiche,
vaccinazioni e prime anestesie, ecc.
L’Ottocento è stato certamente il secolo
dove maggiormente Pittura e Malattia
sono andate a braccetto, e non a caso il
Novecento si apre col famoso Fanciullo
ammalato del ventenne Picasso (1903).
Consigliamo ai lettori interessati ai
rapporti tra Pittura e Medicina il bel
volume Curare e guarire. Occhio artistico
e Occhio clinico ovvero La malattia e la
cura nell’arte pittorica occidentale (autori
Giorgio Bordin e Laura Polo D’Ambrosio,
2005).
FRANCESCO FIORISTA,
cardiologo, Milano.
La Medicina e le Arti
|
Pazienti illustri
clown e prostitute cogliendo
intensamente – dietro i lustrini ed i velluti
della Belle Époque – la solitudine e la
struggente malinconia di quel mondo
superficiale ed evanescente. Morirà nel
1901, a 37 anni, alcolizzato e distrutto
dalla sifilide.
Frida Kahlo
(Coyoacán, 6 luglio 1907 –
Coyoacán, 13 luglio 1954)
Henri de ToulouseLautrec
(Albi, 24 novembre 1864 –
Saint-André-du-Bois, 9 settembre 1901)
È stato un pittore francese,
appartenente ad una delle più nobili e
ricche famiglie di Francia e tra le figure
più significative dell’arte del tardo
Ottocento. Divenne un importante
artista post-impressionista, illustratore e
litografo e registrò nelle sue opere molti
dettagli dello stile di vita bohémien della
Parigi di fine Ottocento. ToulouseLautrec contribuì anche con un certo
numero di illustrazioni per la rivista Le
Rire, durante la metà degli anni novanta.
Una rara malattia ereditaria
determinò una fragilità ossea che gli
bloccò la crescita delle gambe. La
26 COLLOQUIA
tristezza per la deformità fisica lo
allontanò dall’alta società cui
apparteneva per nascita e – a Parigi –
prese a frequentare teatri, caffè-concerto
e, soprattutto, i bordelli di Montmartre.
Vi ritrasse la vita quotidiana di ballerine,
Magdalena Carmen Frida Kahlo y
Calderón è stata una pittrice messicana.
Si ammalò di poliomielite a cinque anni e
fece di tutto per recuperare l’uso della
gamba destra. A 17 anni rimase vittima
di un incidente stradale tra un autobus
su cui viaggiava e un tram, a causa del
quale riportò gravi fratture tra cui 2 alle
vertebre lombari, 5 al bacino, 11 al piede
destro e la lussazione del gomito sinistro;
inoltre un corrimano dell’autobus si
staccò e le trapassò il fianco. Ciò la
segnerà a vita costringendola a
numerose operazioni chirurgiche.
Dimessa dall’ospedale, fu costretta ad
anni di riposo nel suo letto di casa col
busto ingessato.
Questa forzata situazione la spinse a
leggere libri sul movimento comunista ed
a dipingere.
La sofferenza ed il dolore sono
elementi sempre presenti nella sua arte,
ma sono affrontati con grandissimo
coraggio ed associati ad una
Sotto: Frida Kahlo mentre dipinge,
in trazione a letto.
La Medicina e le Arti
incontenibile “alegría”, creando una
contraddizione che diventa punto di
forza del fascino della Kahlo.
La colonna spezzata, 1944.
Del 1944, La colonna spezzata,
testimone della dolorosa consapevolezza
di un corpo ormai allo stremo. Lei e
Diego si erano risposati quattro anni
prima a patto che non avrebbero avuto
più rapporti sessuali. Le erano state
amputate alcune dita del piede destro e
lo sguardo di Frida parla da solo. I chiodi
che trafiggono tutto il corpo evidenziano
il suo stato di sofferenza costante. Di lì a
poco, sarà operata ancora: le vennero
fuse quattro vertebre con delle scaglie
d’osso prelevate dal bacino e alla
colonna vertebrale venne inserita un’asta
di metallo come rinforzo.
fedeli, oggi si è generalmente d’accordo
nel ritenere che le sue “due gobbe”,
una anteriore , l’altra posteriore, siano
comparse intorno ai quindici anni e non
a causa di una prolungata, scorretta
posizione dello scheletro (da ragazzo
passava lunghe ore in Biblioteca curvo
sui libri), ma più semplicemente di
tubercolosi vertebrale già al tempo nota
come “morbo di Pott”.
Del presunto rachitismo, chiamato in
causa da alcuni per spiegare le
deformità delle vertebre toraciche, non
fu invece riscontrato alcun segno. La
deformità del torace creò da parte sua
seri disturbi respiratori, dei quali si ha
ampia notizia durante i soggiorni a
Firenze e a Roma del 1830-1832. Della
proverbiale malinconia di Leopardi si
sono occupati medici, psicologi,
psichiatri e psicanalisti che lo hanno
variamente definito un abulico, un
insicuro, un asociale, un disordinato,
uno psicopatico combattuto dalla follia
degli scrupoli, dalle allucinazioni,
dall’idea fissa del suicidio. A seconda
dei punti di vista, sono stati chiamati in
causa la deformità scheletrica, i disturbi
della vista, l’epilessia, la depressione,
l’ipocondria, la tendenza al suicidio.
|
Pazienti illustri
Nel 1957 una prima caduta con
rottura del femore, durante le prove di
spettacolo a Washington, la costrinse
ad interrompere i suoi spettacoli (ma
qualcuno invece parlò di una caduta nel
bagno mentre era ubriaca).
Nel 1975 fece il suo ultimo tour in
Belgio, Olanda, Inghilterra, Canada,
USA e Australia. Il 29 Settembre 1975,
in un secondo incidente si ruppe una
gamba durante uno spettacolo a
Sydney in Australia. Non volendo
apparire in pubblico in cattive
condizioni, la Dietrich resterà in gran
parte inattiva sino agli inizi degli anni
‘80. Marlene Dietrich trascorse l’ultimo
decennio della sua vita in quasi totale
isolamento nel suo appartamento di
Parigi di Avenue Montaigne, dove per la
maggior parte del tempo la malattia la
costrinse immobilizzata al letto.
Marlene Dietrich
Giacomo Leopardi
(Recanati, 29 giugno 1798 –
Napoli, 14 giugno 1837)
Al battesimo conte Giacomo
Taldegardo Francesco di Sales Saverio
Pietro Leopardi è stato un poeta,
filosofo, scrittore, filologo e glottologo
italiano.
È ritenuto il maggior poeta
dell’Ottocento italiano e una delle più
importanti figure della letteratura
mondiale, nonché una delle principali del
romanticismo letterario.
Leopardi risultava non più alto di
1,40-1,45 e il tronco (con la testa)
presentava una forte sproporzione
rispetto al resto del corpo non
superando il mezzo metro. A parte i
ritratti che lo raffigurano da giovane, per
lo più “ingentiliti” e quindi scarsamente
(Berlino, 27 dicembre 1901 –
Parigi, 6 maggio 1992)
Marie Magdalene “Marlene” Dietrich
è stata un’attrice e cantante tedesca
naturalizzata statunitense. Fra le più
note icone del mondo cinematografico
della prima metà del Novecento, la
Dietrich fu un vero e proprio mito, una
diva, lasciando un’impronta duratura
attraverso la sua recitazione, le sue
immagini e l’interpretazione delle
canzoni (arricchite da una ammaliante e
sensuale voce).
La Dietrich pare soffrisse di
osteoporosi all’anca sopravvenuta con
la menopausa, causa pare questa delle
frequenti cadute e fratture che hanno
funestato la vita della diva nei suoi
ultimi anni. Proprio lei che aveva “le
gambe più sexy del mondo”, assicurate
ai Lloyd’s di Londra.
COLLOQUIA 27
Sondiamo... il terreno
Le vostre opinioni in un coupon
U
no degli argomenti trattati nei
sondaggi effettuati tramite il coupon
di Colloquia nel corso del 2012 ha avuto
come oggetto i Servizi MSD.
Come di consueto, desideriamo
condividere con i lettori della rivista i
risultati della ricerca, alla quale hanno
partecipato 293 medici, di cui 217 Medici
di Medicina Generale e 76 Specialisti.
Servizi MSD
A cura di FABRIZIO CARANCI*, MARCO MICCINILLI**
Servizi online MSD
(valutazione % 8+9+10 “estremamente utili e interessanti”)
Servizi online (totale medici)
GP (%8+9+10)
Specialisti (%8+9+10)
80
74
70
68
65
60
64
63
62
58
61
59
63
62
54
59
56
50
55
55
52
50
49
49
50
50
45
47
46
40
39
43
42
42
41
30
20
10
0
Aggiornamenti Linee
in ambito
guida
sanitario e
scientifico
tramite eMail
(Quotivadis
e Uniflash)
FAD,
con crediti
e non
Info
Le novità
medicodai
legali per congressi
la gestione
del rischio
professionale
Atlanti di
anatomia
in 2D/3D
Richiesta
articolo
Siti di
patologia
VDANet, DocVadis,
Siti di
la banca
la
prodotto
dati
piattaforma
sanitaria per creare
farmaceutica il proprio
sito
professionale
Just
published
Web
meeting
con colleghi,
forum
e spazi
condivisi
App
Web
mediche
cast/
per partecipazione
iPhone a congressi
ed iPad
in remoto
(ad es.
rischio
CV)
Servizi MSD
(valutazione % 8+9+10 “estremamente utili e interessanti”)
Servizi online (totale medici)
GP (%8+9+10)
Specialisti (%8+9+10)
70
60
57
59
56
57
54
52
50
49
53
47
54
50
47
45
42
40
49
47
45
40
38
36
38
29
30
20
10
0
Corsi
di gestione
del paziente
nella
pratica
clinica
28 COLLOQUIA
Corsi di
medicina
basata
sull’evidenza
per una
appropriata
interpretazione
degli studi
clinici
Corsi
scientifici
territoriali
Corsi di
comunicazione
efficace
alla
comunità
scientifica
Incontri
con
esperti
internazionali
Riviste di
approfondimento
sui temi di
Economia e
Politica sanitaria
(Care/Care
Regioni)
Corso di
Farmacoeconomia
DocVadis,
la
piattaforma
per creare
il proprio
sito
professionale
Corsi
su
Risk
Management
Corsi di
gestione del
personale
medico
e
paramedico
Corso per
scrivere
articoli
scientifici
(Norme per
autori)
La MSD si racconta
In soli due anni, l’utilizzo di Internet
per attività scientifica di
informazione/aggiornamento
professionale è cresciuto del 12% (89%
nel 2012 vs 77% nel 2010) e, anche nel
2012, Univadis si è riconfermato come
il sito dedicato al medico più
conosciuto e utilizzato in Italia, su cui
MSD continua ad investire per offrire
servizi sempre più utili e rilevanti per i
suoi interlocutori.
Dall’analisi di Colloquia si conferma
che il 59% dei medici considera i servizi
online di MSD molto rispondenti ai loro
bisogni professionali. Quotivadis e
Uniflash (l’aggiornamento quotidiano
via email in ambito sanitario e
scientifico) risulta essere il servizio più
utile ed interessante (62%) insieme alle
“Linee Guida” (62%), seguito dai “Corsi
di aggiornamento online, con crediti e
non” (61%) e dalle “Informazioni
medico-legali per la gestione del rischio
professionale” (58%). Differenze
significative tra i target considerati si
rilevano per la valutazione del servizio
“Just Published: articoli in full-text da
The Lancet e abstract da molteplici
riviste internazionali” (+23% Specialista
vs Medico di Medicina Generale) e
“Richiesta Articolo” (+18% Specialista
vs Medico di Medicina Generale).
Parlando invece dei servizi MSD in
generale, l’intero ventaglio di offerte è
considerato per il 70% dei medici
molto rispondente ai bisogni
professionali. In particolare, l’area della
formazione/corsi è stata valutata come
estremamente interessante ed utile:
come ad esempio i “Corsi di gestione
paziente nella pratica clinica” (58%), i
“Corsi di medicina basata
sull’interpretazione studi clinici” (57%),
i “Corsi scientifici territoriali” (52%) ed i
“Corsi di Comunicazione Efficace alla
Comunità Scientifica” (51%).
Differenze significative tra i target
considerati si rilevano per la valutazione
dei “Corsi su Risk Management”
(+11% Specialista vs Medico di
Medicina Generale) e “Corsi di gestione
del personale medico e paramedico”
(+11% Specialista vs Medico di
Medicina Generale).
*Multichannel Communication
Associate Director; **Market Research
& Analytics Specialist.
Settimana dei disturbi
osteoarticolari
Specialisti gratis per una settimana
MSD promuove la Campagna AMICO, Alleati Contro le Malattie
in Campo Osteoarticolare.
A cura di SIMONETTA ALUNNI*
S
ensibilizzare la popolazione sulle
malattie osteoarticolari e offrire un
servizio per effettuare una prima
valutazione gratuita dello stato di salute
del apparato muscolo-scheletrico per gli
oltre dieci milioni di cittadini italiani che
soffrono di questi disturbi. Questi gli
obiettivi della “Settimana dei Disturbi
Osteoarticolari” promossa nell’ambito del
programma AMICO, Alleati Contro le
Malattie in Campo Osteoarticolare che si
è svolta lo scorso ottobre su tutto il
terriotorio italiano.
104 strutture specializzate distribuite
su tutto il territorio nazionale hanno
fornito la loro disponibilità a partecipare
con l’obiettivo di garantire per la prima
volta ai potenziali pazienti un’importante
occasione di diagnosi precoce tempestiva
e di un eventuale trattamento
appropriato
Un’iniziativa di grande successo che è
riuscita ad incontrare l’interesse non solo
dei media ma anche e soprattutto di
medici e pazienti e i cui “ numeri” sono la
diretta ed evidente testimonianza di
questo successo: 104 centri coinvolti,
circa 9.000 telefonate al numero verde e
quasi 3.000 visite effettuate sul territorio.
Tutto questo grazie anche alle grande
eco mediatica generata dall’iniziativa con
circa 100 “uscite” tra articoli, radio,
televisioni e web e oltre 40 milioni di
contatti raggiunti.
La “Settimana del Disturbi
Osteoarticolari” è stata promossa su
iniziativa di SIOMMMS, Società Italiana
dell’Osteoporosi, del Metabolismo
Minerale e delle Malattie dello Scheletro,
presieduta dal professor Luigi Sinigaglia,
SIOT, Società Italiana di Ortopedia e
Traumatologia, presieduta dal professor
Paolo Cherubino (alla realizzazione del
progetto Amico presieduta dal prof.
Marco D’Imporzano) e SIR, Società
Italiana di Reumatologia, presieduta dal
professor Marco Matucci Cerinic (alla
realizzazione del progetto Amico
Giovanni Minisola). Hanno concesso il
Patrocinio al progetto le associazioni
ANMAR, Associazione Nazionale Malati
Reumatici, presieduta dalla dottoressa
Gabriella Voltan e FEDIOS, Federazione
Italiana Osteoporosi e Malattie dello
Scheletro, presieduta dalla dottoressa
Patrizia Ercoli.
COLLOQUIA 29
La MSD si racconta
|
Settimana dei disturbi osteoarticolari
L’iniziativa è stata realizzata grazie al
supporto non condizionato di MSD
Italia, da sempre impegnata nella
ricerca, produzione e
commercializzazione di farmaci
innovativi nella gestione delle patologie
osteoarticolari. MSD Italia ha
recentemente rinnovato il proprio
impegno nelle cure primarie,
proponendosi come “alleato a 360
gradi” del medico specialista e di
medicina generale, offrendo
informazione scientifica altamente
qualificata, un portafoglio prodotti tanto
innovativo quanto diversificato e servizi
all’avanguardia in grado di agevolare la
formazione e l’aggiornamento del
medico e di assisterlo nella pratica
clinica.
Da lunedì primo ottobre a venerdì
dodici ottobre 2012, dalle ore 9.00 alle
ore 18.00 dei giorni feriali, è stato attivo
un numero verde per fornire ai cittadini
informazioni e i numeri di telefono
relativi alla struttura più vicina cui
telefonare per prenotare una visita
gratuita per la valutazione della
situazione osteoarticolare.
Tre indagini rivolte a specialisti,
medici di medicina generale e
pazienti
Per individuare e affrontare
correttamente tutte le problematiche
connesse alla diagnosi e al trattamento
di questi disturbi, sono state realizzate
tre indagini presso cinquanta specialisti
in Reumatologia, Ortopedia e Malattie
Metaboliche dello Scheletro e cinquanta
medici di Medicina Generale
rappresentativi di tutto il territorio
nazionale, oltre a settanta pazienti in
cura presso alcuni centri specializzati del
Nord, Centro e Sud Italia. I sondaggi,
realizzati attraverso questionari ad hoc
con risposte chiuse, hanno contribuito a
delineare e a meglio definire alcune
criticità assistenziali, quali il ritardo nella
diagnosi e l’autoprescrizione, che
comportano inevitabilmente un
peggioramento della qualità di vita
quotidiana del paziente esponendolo a
rischi di natura farmacologica.
Le indagini hanno preso in esame le
diverse condizioni di salute in cui
versano i cittadini quando si recano dallo
specialista oppure dal medico di
30 COLLOQUIA
medicina generale. In particolare, la
tipologia e la gravità del disturbo di cui
soffrono, la tempistica e le modalità
relative alla comparsa dei sintomi,
l’eventuale autodiagnosi, la tempestività
della consultazione medica, la
correttezza della diagnosi vera e propria
e l’appropriatezza terapeutica.
Queste analisi si propongono di
verificare anche aspettative e obiettivi
dei pazienti in termini di miglioramento
nella gestione delle normali attività
quotidiane a seguito delle terapie oggi
disponibili, valutate anche in termini di
efficacia e sicurezza.
A DIRE IL VERO
di Tullio De Mauro*
....................
Dati epidemiologici
In Italia circa 10.000.000 di persone
soffrono di disturbi osteoarticolari,
prevalentemente rappresentati da
Artrosi, Osteoporosi, Artrite
Reumatoide, Spondilite Anchilosante,
Artrite Psorisiaca e Spondiloartriti in
generale.
Disponibili trattamenti mirati
Per il trattamento dell’infiammazione
e del dolore tipici di molte Malattie
Reumatiche sono disponibili molecole
ad attività antiinfiammatoria e antalgica
di nuova generazione che, se utilizzate
adeguatamente, possono ridurre i
sintomi e migliorare la qualità di vita del
paziente.
L’osteoporosi, invece, non dà
sintomi se non quando compaiono le
complicanze rappresentate dalle fratture
da fragilità che si possono verificare
anche in assenza di traumi. La malattia
progredisce in modo silenzioso e
colpisce soprattutto le donne in età
postmenopausale. La fragilità
scheletrica richiede un approccio
diagnostico accurato e approfondito
che sia il presupposto per una efficace
terapia. Attualmente sono disponibili
numerosi presidi farmacologici che in
studi clinici internazionali hanno
dimostrato di ridurre significativamente
il rischio di fratture da osteoporosi in
tutte le sedi scheletriche valutate. Le
evidenze maggiori sono state ottenute
con i cosiddetti farmaci anti riassorbitivi,
in grado di ridurre il riassorbimento
osseo operato dagli osteoclasti.
*Communication Manager MSD, Italy.
*Già Ordinario di Linguistica generale,
Università “La Sapienza”, Roma;
autore di “Grande dizionario italiano
dell’uso”. 2a ed. riveduta e ampliata,
8 voll. con docking station, Torino: UTET.
“Grande dizionario italiano dei sinonimi
e contrari”, 2 voll., Torino: UTET, 2010.
L’ULTIMA PAROLA
di Giuseppe De Rita*
Un consistente dolore di massa
La gente denuncia “un po’ di reumatismi”, con una semantica che
nasconde la sottovalutazione. Solo quando si arriva al dolore più acuto,
al ricovero, all’intervento chirurgico ci si rende conto di esser dentro
una patologia che presenta difficili percorsi di cura.
e malattie osteoarticolari sono in Italia
L molto diffuse, quasi sempre
sottovalutate, certo poco approfondite.
Ed è difficile, per carenza di conoscenze
adeguate, avere coscienza piena delle varie
problematiche ad esse connesse; anche i
ricercatori sociali, quorum ego, devono
quindi accontentarsi di lavorare su spunti
ed ipotesi.
Sulla diffusione quantitativa non ci
sono dubbi. Nelle sole patologie di tipo
degenerativo (artrosi ed
osteoporosi) abbiamo 8
milioni di malati, cui
vanno aggiunti quelli
delle malattie di tipo
infiammatorio (artriti e
connettiviti) e delle
malattie
dismetaboliche
(gotta e diabete) con
un totale che non
dovrebbe essere
lontano dai 10 milioni
di cittadini. Un
consistente dolore di
massa, si può dire,
tanto più che il
numero è destinato
fatalmente ad
aumentare man
mano che procederà
l’invecchiamento
della popolazione ed il
carattere
tendenzialmente
endemico delle
patologie in questione.
Eppure si tratta di
patologie chiaramente
sottovalutate
dall’opinione dei singoli,
che di solito non si
prendono cura dei primi
sintomi (“il
doloretto me lo
tengo”, senza drammi); meno ancora
sono attenti alla prevenzione, trascurando
i più frequenti fattori di rischio (il fumo,
l’obesità, la sedentarietà); e di
conseguenza quasi mai arrivano ad avere
una diagnosi precoce, condizione
essenziale per l’efficacia di qualsiasi
terapia. La gente denuncia “un po’ di
reumatismi”, con una semantica che
nasconde la sottovalutazione. Solo
quando si arriva al dolore più acuto, al
ricovero, all’intervento chirurgico ci si
rende conto di esser dentro una patologia
che presenta difficili percorsi di cura.
L’invecchiamento cambierà il panorama
di riferimento e indurrà una maggiore
attenzione alle patologie osteoarticolari,
ma per ora esse sono ancora sottovalutate,
spesso un po’ neglette.
Deriva forse da questa sottovalutazione
di massa il loro limitato approfondimento
sociosanitario. La reumatologia
comprende un gran numero di malattie,
per lo più “polimorfe e non sempre fra
loro facilmente differenziabili”; esse non
necessitano per la maggior parte dei casi
di ricovero, il che riduce la possibilità di
significative raccolte di dati sistematici e
di adeguati studi epidemiologici; e la
maggior parte delle conoscenze ci viene
quindi da studi di tipo campionario o a
dimensione locale, che non permettono
grandi approfondimenti. Certo ci dicono
alcune cose:
– il parallelo andamento delle malattie
con l’età;
– la loro “esplosione nella piena
vecchiaia” (per le artrosi e le artriti si
passa dal 14% di malati all’età di 55
anni al 60% all’età di 75 ed oltre;
mentre per l’osteoporosi nella stessa
scansione si passa dal 3% al 32%);
– il peso squilibrato in termini di genere,
visto che ai 75 anni si ha il 68% di
donne affette da artrosi e artriti contro
il 50,6% di uomini; mentre per
l’osteoporosi il rapporto peggiora con
il 45% delle donne contro il 10%
degli uomini;
– e anche dal punto di vista territoriale,
ci sono significative differenze, non
tanto nel tradizionale divario fra Nord
e Sud, quanto in articolazioni più
specifiche (la situazione migliore è in
Trentino ed Alto Adige, le peggiori
sono in Umbria, Abruzzo, Basilicata e
Sardegna) che sono però praticamente
indecifrabili, per ora.
Viene così un po’ da rimpiangere che
non vi siano dati epidemiologici più
ricchi, capaci di approfondire le varie
componenti e le diverse prospettive di un
insieme di malattie che incidono e
incideranno moltissimo sulla realtà
sociale italiana. Non ci sarà soltanto,
infatti, nei prossimi anni un aumento dei
costi (quelli diretti di cura e di ricovero e
quelli indiretti di mancata partecipazione
al lavoro ed alla produzione di reddito),
ma una costante incertezza e un po’ di
confusione nel fronteggiamento delle
malattie in questione. Essendo infatti
polimorfe e non facilmente
differenziabili, esse restano sfuggenti alla
coscienza e all’azione collettiva; e sono
quindi lasciate a galleggiare senza una
precisa presa di consapevolezza e di
responsabilità, lasciando spazio
prevalentemente a medicinali e a pratiche
fisioterapiche, senza adeguata
accumulazione di conoscenze scientifiche
e di esperienze sanitarie. Storicamente fra
l’altro non hanno finora avuto un preciso
riferimento di medicina specialistica
(hanno più vigenza e frequenza le visite
ambulatoriali o quelle dei medici di
medicina generale) che solo ora comincia
a delinearsi nel ruolo del reumatologo,
che però deve ancora battagliare per
stabilire una sua primazia, anche di
“mercato”.
Viene da pensare, ripercorrendo le
considerazioni fin qui svolte, che noi
studiosi ed operatori della sanità
dobbiamo molto lavorare per far fronte
alla valanga di malattie osteoarticolari
conseguente alla crescita
dell’invecchiamento. Mi viene in mente
sul piano culturale un incitamento
biblico “legno storto, incedere dritti”;
forse potremmo essere più vecchi e
“sciancati”, nel prossimo futuro; ma
imponiamoci almeno uno sforzo di giusto
cammino.
*Segretario Generale Fondazione Censis.
COLLOQUIA 31
APPASSIONATI ALLA VITA
CI SONO MOMENTI CHE VALGONO ANNI DI RICERCA.
Ogni giorno portiamo la passione per la vita nei nostri laboratori,
nei nostri uffici, negli ospedali, nelle vostre case.
Lavoriamo per migliorare la salute attraverso
la ricerca e lo sviluppo di farmaci e vaccini innovativi.
Il nostro impegno raggiunge tutti, anche attraverso programmi
umanitari di donazione e distribuzione di farmaci.
Per assicurare ad ogni singola persona un futuro migliore.
www.univadis.it www.contattamsd.it [email protected] www.msd-italia.it 09-13-MSD-2011-IT5849-J
Be well.
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