'L - ANNO XLII N. 12 DICEMBRE 1994 MENSILE DELL'AICCRE ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale L'anima L'idea forza $ Fare l'Europa è il grande obiettivo positivo che deve essere popolarizzato fra le masse: <<...prospettare .a, 5 % sin da ora la convocazione di un7Assemblea europea, composta di delegati eletti dai popoli, che in assoIuta parità di diritti e di doveri elabori la prima Costituzione federale europea, nomini il primo Governo europeo, fissi i principi fondamentali della convivenza europea Armati di questa formidabile idea-forza ( i governi) solleverebbero un70ndatadi entusiasmo religioso in Europa spezzando i1 plumbeo blocco dell'opinione totalitaria dei paesi fascisti» ( Carlo Rosselli 1935 ... ... Due fatti europei abitualmente non sono messi, come si dovrebbe, in correlazione (o, meglio, sono messi talvolta in correlazione sbagliata, nel senso che il primo è considerato in qualche modo la causa del secondo, mentre noi sosteniamo che è il secondo la causa del primo): uno di questi fatti è l'accentuazione del nazionalismo o addirittura del patriottismo etnico - anticamera del razzismo - e l'altro il ridotto interesse, specie tra i giovani, per l'unità europea. Diciamolo: viviamo in una società umana in continua e rapida trasformazione, ma insisteremo particolarmente su quella europea, anzi europea occidentale, opulenta e comunque consumatrice, con poche altre contrade - si tratta dei Paesi i cui governi si sono incontrati a Napoli recentemente -, di una parte preponderante delle ricchezze della Terra e con queste pervenuta - talvolta con poco merito: imperialismo, scambio ineguale, colonialismo - ad acquisire i mezzi per sfruttarle al meglio e ad aumentare, sovente in forma esponenziale, il distacco da un Quarto mondo povero, spesso superpopolato, origine di una immigrazione pesante e, forse, nel giro di pochi anni strabocchevole - centinaia di milioni di persone - e irresistibile. In questa Europa sembra confermata la teoria della «società dei due terzi»: cioè nei Paesi opulenti, a industrializzazione più che avanzata, dove si afferma sempre maggiormente l'egemonia tecnetronica, due terzi dei cittadini godono e un terzo vive più o meno la vita del Quarto Mondo, molti vecchi abbandonati e milioni di giovani disoccupati e disperati, quasi come gli elementi emarginati e dimenticati dei Paesi dei musulmani, che sono, per forza di cose, divenuti «fondamentalisti». Ma chi si fermasse qui sbaglierebbe. In realtà tutti, ricchi e poveri, hanno cominciato a guardare la fine del mondo umano - ecco il regalo permanente della bomba atomica - con una accresciuta memoria circa la fine de' mondo dei dinosa'r i La guerra fredda ha questo terrore. ha spostato l'attenzione altrove, a una emergenza che Poneva tutte le cure a rassodare l'equilibrio del terrore. Caduto il muro di Berlino. è ritornato il terroce nella sua immediatezza, di fronte a un universo pluralista aperto all'anarchia totale, incommensurabile, e con la presenza della bomba e di tutti gli altri strumenti paurosi di distruzione - nel'imporenza dell'ONU (che si è rivelata quel che i federalisti previdero subito dopo Hiroshima, una pallida copia della Società delle Nazioni) -, strumenti paurosi aila portata di tutti, che campeggiano sullo scenarib e rendono ormai ogni guerra locale la possibile miccia del conflitto che ci potrebbe condurre, appunto, alla fine dei dinosauri. Ma non basta ancora. L'incredibile progresso tecnologico non è stato seguito da un progresso non diciamo pari, ma minimamente adeguato deile istituzioni politiche e, insomma, delle regole di governo degli uomini, nell'interesse generale. I1 '68 «giovanile» ha ipotizzato, owiamente invano, il blocco dello sviluppo tecnologico, la civiltà dei fiori, la seducente anarchia di Thoreau e della «vita nei boschi», anche con un pizzico di Tolstoi e di Gandhi: ma il «progresso» tecnologico ha continuato implacabile, misteriosamente governato (si fa per dire) non si sa da chi (tanto da far rimpiangere il capitalista classico delle vignette, corposo e con un sigaro in bocca). Nell'Europa che ci circonda una speranza si profilava, quella degli Stati Uniti d'Europa, nel quadro della parola d'ordine «unire l'Europa per unire il mondo»: ma qui è cascato l'asino. Perchè è calato nettamente 1'Eurobarometro e il favore «popolare» all'unità europea? Ha detto l'eurodeputato Manzella - l'amico costituzionalista Andrea Manzella - alla Conferenza europea delle Amministrazioni locali e regionali (organizzata lo scorso ottobre dall'AICCRE a Viareggio - v. «Comuni d'Europa», novembre 1994 -1: «Oggi, nell'epoca del «desencanto» dopo Maastricht, la percezione della scienza costjtuzionale è che si è esaurita la spinta propulsiva deli'Europa degli Stati, dell'Europa intergovernativa, si è esaurita perchè il consenso popolare si è ridotto e comunque non è più incondizionato...». I1 problema, ci sembra, è allora quello di capire il «perchè del perchè»: perchè il consenso popolare si è ridotto? Manzella dà una spiegazione e offre una ricetta, che potrebbero sembrare connaturate alla stessa AICCRE: e lo sono, con una integrazione o un chiarimento, che faremo. Intanto, che il consenso popolare - noi diremmo piuttosto «la spinta» - sia sempre stato necessario e ancor più lo sia oggi, è indubbio. Più volte noi abbiamo esclamato che cercare di far l'Europa unita, e più specificamente federata, di nascosto (cioè con abili negoziati intergovernativi e diplomatici, su singoli punti fondamentali che tireranno con sè la Federazione - allora fu la CED, ora la mo- dossier revisione di Maastricht - 2 "Vuoi o non vuoi?" di Pier Virgilio Dastoli * 1. «L'onda del federalismo sta declinand o ed io non h o nessuna intenzione d i rafforzarla alla Conferenza intergovernativa del 1996, né di accettare dei cambiamenti costituzionali che abbiano un impatto sul Parlamento britannico» Uohn Major, BBC, 8 gennaio 1995). 2. «È necessario immaginare due insiemi in Europa, uno più ampio la cui ambizione è realizzare un grande spazio economico ed un'Europa più ambiziosa, più piccola, che pensi che la messa in comune di una parte delle sovranità nazionali sia il solo mezzo di sopravvivere in quanto paese, insomma una struttura federale» Uacques Delors, Le Soir, 12 gennaio 1995). Nello spazio di cinque giorni due protagonisti della vita politica europea hanno espresso due visioni apparentemente antagoniste del nuovo ordine europeo, che dovrà emergere dalla revisione di Maastricht del 1 9 9 6 . - ~ n t a ~ o n i sin t e apparenza, poiché il Regno Unito di John Major (o meglio la Gran Bretagna, - -perché è noto che orientamenti più europeisti si accompagnano in Scozia e nel Galles a volontà sempre più diffusa di autonomia da Londra) ben si accomoderebbe in un grande spazio economico europeo e l'Europa più ambiziosa di Delors sembra molto simile al «magnete europeo» della CDU tedesca (l'asse Parigi-Bonn insieme al Benelux). Per Delors, i due schemi sono chiari e pongono con franchezza la stessa domanda: «Vuoi o non vuoi?» ed il dibattito avviato con il documento tedesco ruota intorno alla possibilità giuridica - ma preliminarmente alla volontà politica - di passare oltre il veto di uno o più paesi per dare vita ad una struttura federale limitata ad un nucleo più ristretto di paesi. I1 «dossier 1996», del quale avevamo indicato un sommario essenziale in Comuni d'Europa (novembre 1994, pag. 2 e 201, deve dunque essere letto alla luce di quest'apparente antitesi e delle risposte che i governi nazionali, il Parlamento europeo e la Commissione intendono ~ r e d i s ~ o r per r e l'appuntamento del 1996. Vediamo innanzitutto come questi ed al- "Membro della Direzione dell'AICCRE e del Gruvvo di lavoro ~ ~ U * ~ CperR laErevisione di Mnnsrricht. tri protagonisti si preparano a quest'appuntamento. I1 Parlamento europeo ha incaricato la sua commissione per gli affari istituzionali d i e l a b o r a r e il r a p p o r t o «sullo s t a t o dell'Unione» per il gruppo di riflessione convocato dal Consiglio europeo di Corfù. All'interno della commissione per gli affari istituzionali, il lavoro principale è stato ripartito fra il cristiano-democratico francese Jean-Louis Bourlanges («lo stato di applicazione di Maastrichtn) ed il laburista britannico (scozzese! ) David Martin («l'evoluzione dell'Unione»), ma il rapporto dei due corelatori sarà arricchito dal contributo di ben diciassette documenti di lavoro (fra i quali quelli degli italiani Alessandro Danesin, PPI, sul processo decisionale nel settore legislativo ed internazionale; Enrico Ferri, PSDI, sulla funzione giurisdizionale; Alfonso Marra, Forza Italia, sulla struttura giuridica ed istituzionale dell'unione e l'unificazione del Trattato; Adelaide Aglietta, Verdi, sulla revisione del Trattato; Giampaolo D'Andrea, PPI, sulla composizione e sulla struttura della Commissione). La commissione per gli affari istituzionali intende portare in aula il rapporto per la prossima sessione di maggio (15-19) ed approvarlo in via definitiva 1'8 maggio dopo quattro riunioni di lavoro. I1 lavoro della commissione per gli affari istituzionali sarà a sua volta arricchito dai «pareri» di tutte le altre commissioni parlamentari e dalle riflessioni dei gruppi politici: i socialisti europei si riuniranno in seminario il 6-7 febbraio per discutere un rapporto elaborato da Elisabeth Guigou, il PPE a marzo in una conferenza interparlamentare... La nuova Commissione europea, guidata dal lussemburghese Jacques Santer, affiderà ad una task-force «tecnica» - coordinata dal «deloriano» Miche1 Petite - il compito di predisporre i documenti interni da sottoporre alla decisione politica dell'insieme dei commissari, ma essa dovrà in primo luogo armonizzare le posizioni dei singoli commissari, dopo la deludente prova d'orchestra effettuata durante le audizioni dinanzi alle commissioni del Parlamento europeo. Alla visione di un'evoluzione dell'unione in senso più chiaramente sovranazionale (Manuel Marin, Marcelino Oreia, Martin Bangemann - «a titolo personale, sono partigia- - (segue a pag. I>) som ma rio (segue a pag. 16) 2 - "Vuoi o non vuoi?, di Pier Virgilio Dastoli 3 - L'AICCRE e il federalismo interno, italiano 8 - Autonomismo e riforma delio Stato, di Francesco Stevenin 9 - La nostra Europa, di Cesare San Mauro 10 12 13 - Mediterraneo, laboratorio di sviluppo Riflessioni critiche su un'esperienza italo-francese, di Mattia Pacilli Sarajevo, cuore d'Europa, di Antonio Russo Questo numero è stato chiuso nella seconda settimana di gennaio 1995 COMUNI D'EUROPA DICEMBRE 1994 una lunga storia il federalismo interno, italiano Improvvisamente tutti gli italiani o quasi sono diventati (a parole) federalisti: intendiamo fautori di una struttura federale della Repubblica italiana, perchè il federalismo europeo (e mondiale) ha in questo dopoguerra italiano un'altra storia, se non separata, spesso distinta. Come succede, nello scoppio c'è stata una convergenza tra la crisi della cosiddetta «prima» Repubblica, con conseguenza di un'attesa e una disponibilità della pubblica opinione verso radicali proposte istituzionali, e l'irruzione e gli iniziali successi della Lega Nord - un movimento nato in parte da un nordismo di piccola e media borghesia che si sentiva efficiente di fronte al parassitismo di un Mezzogiorno «assistito» (e che coinvolgeva nella polemica la partitocrazia e in qualche modo i sindacati tradizionali e la grande industria «collusa» coi partiti), ma indotto via via ad una più aperta considerazione del Mezzogiorno, sia per l'aspirazione a un ruolo crescente nella politica nazionale sia per un confuso liberismo economico che, in definitiva, non poteva ignorare un mercato meridionale, necessario alla produzione del nord -. In realtà questa irruzione «federalista», non poco contraddittoria, è stata considerata più di una volta da noi dell'AICCRE come uno «sfederalismo», ma nella versione del professor Miglio può essere considerata più banalmente un «confederalismo interno» (cioè una articolazione interna dello Stato nazionale aperta alle secessioni e comunque largamente priva della componente della «solidarietà», inscindibile dal federalismo autentico). In ogni modo l'iniziale successo della Lega Nord ha indotto gruppi di interesse economico e/o di pensiero (gli intellettuali e le «mode», di cui sono costantemente succubi) e quel che rimaneva dei partiti tradizionali a cavalcare il federalismo (di cui alcuni, che ne erano stati fautori al tempo della nostra Assemblea Costituente, si erano dimenticati). L'AICCRE e il suo tradizionale organo di stampa «Comuni d'Europa» (42 anni di vita, con la rispettata cadenza mensile di uno schiacciasassi), hanno seguito il fenomeno con grande attenzione, talvolta con critiche senza peli sulla lingua ma anche senza pregiudizi, un fenomeno che si affiancava, sia pure con malintesi e con qualche rozzezza, alla loro storica battaglia - che non è stata solo sovranazionale - condotta nella politica, nelle amministrazioni locali e regionali e nella cultura (e nel silenzio dei mass media, abituale per tutto quel che è realmente nuovo), a partire dall'inizio degli anni cinquanta. L'AICCRE non ha condotto una sola e semplice battaglia elitaria, e in questa élite comprendiamo del resto - ne dobbiamo avere precisa memoria - una serie di straordinari amministratori comunali, provinciali, regionali, molti dei quali erano altresì attivi militanti nel Movimento Federalista EuroDICEMBRE 1994 peo di Altiero Spirielli, conle comprendiamo il coinvolgimento in pari tempo dei più avanzati costituzionalisti, amministrativisti, economisti, sociologi, urbanisti italiani e delle più valide riviste del settore insieme a tante altre di «varia umanità», ma essa ha svolto una azione capillai-e su tutto il territorio nazionale e, complessivamente, possiamo dire un'azione educativa di massa - tale da toccare in diverse occasioni la massa vivente dei cittadini -, fermandosi volutamente alle soglie del potere. In sostanza l'attuale esplosione federalista ci gratifica e ci induce a continuare, se possibile, con maggior lena, confidando sull'appoggio unitario e plenario dei colleghi comunali, provinciali, regionali. Nel nostro lavoro - che riteniamo oggi indispensabile, soprattutto se in efficace sinergia con tutta la «forza federalista» (cioè di tutte le associazioni e i movimenti federalisti ed europeisti) - non vogliamo chiuderci in un ristretto impegno che chiameremo «sindacale», vòlto a ritagliare i limitati vantaggi che possono offrire lo status quo nazionale da una parte e l'inetta Europa intergovernativa dall'altra: intendiamo lottare politicamente a tutti i livelli per le soluzioni federaliste, convinti dell'interdipendenza del federalismo interno e del federalismo sovranazionale (prospettiva che, nel 1950, trovò il pieno accordo di uno dei cinque promotori europei del CC=, Serafini, con don Sturzo, che incontrò nel convento di via Mondovì a Roma - un incontro di hderalisti di matrice culturale diversa, la liberalsocialista e la cattolica democratica -: Luigi Sturzo inviò poi un messaggio in tal senso all'assemblea costitutiva del CCRE - siglato in principio CCE - a Ginevra nel gennaio 1951). Frattanto il dibattito federalista, malgrado alcune cadute, si va oggi affinando e vediamo con soddisfazione che percorre frequentemente strade, che noi abbiamo indicato da decenni e che nella presente Nota redazionale vogliamo richiamare brevemente e - il che è inevitabile anche per ragioni di spazio - lacunosamente. Si affina la storiografia specifica, risalendo al Risorgimento e andando oltre la citazione d'obbligo e un po' generica dei federalisti cattolici, Gioberti, Cesare Balbo, d'Azeglio, e laicisti, Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari (entrambi discepoli di Romagnosi): ci limitiamo a indicare un recentissimo volume, «La questione federalista - Zanardelli, Cattaneo e i cattolici bresciani» di Giuseppe Gangemi (edizione Liviana, 1994 UTET libreria, Torino), ove si richiamano diversi espliciti proudhoniani italiani e si accenna aile particolarità di Montanelli e di Pisacane: ma è utile in proposito - cogliamo l'occasione - riesumare un'opera tuttora valida di Luigi Salvatorelli, a torto ritenuta secondaria, la «Storia del pensiero politico italiano dal 1700 al 1870». Si affinano soprattutto l'analisi e la teoria: anche qui ci limitiamo come esemplarità a un succoso articolo di quotidiano, «Federalismo fiscale» di Franco Gallo (in «La Repubblica» del 9 dicembre "+I), e alla relazione di Vieri Ceriani, dell'ufficio studi della Banca d'Italia, a un seminario dell'associazione «Etica ed economia» («Aspetti economici del federalisn1o»: il federalismo finanziario): diremmo che persiste comunque una sottovalutazione del Senato delle Regioni nella versione del Bundesrat tedesco. Ma ripercorriamo, per accenni e a volo d'uccello, il cammino dell'AICCRE, sezione italiana del CCRE. L'AICCRE, i cui prolegomeni possono collocarsi nel 1950, nel suo federalismo infranazionale si trovava di fronte - oltre ai lavori preliminari dell'Assemblea Costituente (quale ne sia stato poi lo sbocco) che vanno in primo luogo rintracciati nelle pubblicazioni del Ministero per la Costituente (di cui fu l'animatore Massimo Severo Giannini) - due prese di posizioni federaliste, le cui radici risalgono alla Resistenza e alle riflessioni, durante la «guerra civile», sul postfascismo: l'autonomismo, che chiameremo «subalpino», sintetizzabile nella «Carta di Chivasso» (v. «Comuni d'Europa» di dicembre 1993) e il Movimento Comunità. Quest'ultimo nasce a partire dal classico «L'ordine politico delle comunità» di Adriano Olivetti, pubblicato nel 1945 ma pensato per lo più in Svizzera negli anni dell'esilio, con collegamenti - che conviene non dimenticare - col pensiero di Luigi Einaudi e preceduto dall'opera collegiale (ma diretta da Olivetti) della seconda metà degli anni trenta, intitolata «Piano regolatore della Valdaosta». Un'ottima introduzione al pensiero olivettiano si trova in «L'avvento della Regione in Italia. Dalla caduta del regime fascista alla Costituzione repubblicana (1943 - 1947)» (Milano, Giuffrè, 1967) di Ettore Rotelli: Rotelli è uno dei più attenti e acuti, spesso polemico, studiosi dell'autonomismo italiano e consigliamo il testo e le note del suo recentissimo «Federalismo e presidenzialismo» (edizione Anabasi [Milano 19941) - senza con ciò far necessariamente nostra la soluzione, storicamente del federalismo americano, di un re democratico elettivo -. Per Olivetti si veda anche «Adriano Olivetti e le dottrine politiche» (in A. Olivetti e il Movimento Comunità», Officina edizioni, Roma 1982, di Umberto Serafini). Per i successivi sviluppi del Movimento Comunità e la loro influenza sull'AICCRE converrà anche rivedere, sempre di Serafini, «La nascita della partitocrazia italiana e il Movimento Comunità» (nella rivista «Queste istituzioni», ottobre-dicembre 1992), nonchè la collegiale «Dichiarazione politica tempi nuovi metodi nuovi» del 1953, testo fondamentale del sinergismo italiano di federalismo infranazionale col federalismo sovranazionale (ripubblicata come inserto di «Comuni d'Europa» nel numero di settembre 1994). Naturalmente 1'AICCRE ha aper- to fin dagli inizi un dialogo coi movimenti autonomistici regionali, particolarmente 1'Union Valdotaine e il Partito Sardo d'Azione, mentre ha affrontato senza conformismi il problema delle «regioni soprafrontaliere»: vale la pena di ricordare qui il problema del Sud Tirolo o Tiuoleu Etschland e l'urto violento dell'AICCRE - che lo guardava secondo una logica «europea» anche se del tutto concreta - con la Farnesina, mentre si valeva della mediazione coraggiosa e lungimirante di Alois Lugger, borgomastro di Innsbruck e successivamente presidente del Nord Tirolo, oltrechè - si noti - vicepresidente del CCRE (l'opera dell'AICCRE fu poi ritenuta fondamentale ed elogiata da due ambasciatori italiani a Vienna, Roberto Ducci e Fausto Bacchetti). Converrà a questo punto non dimenticare altresì lo stretto, costante rapporto dell'AICCRE con la cultura dei meridionalisti federalisti (cfr. l'«Aritologia della questione meridionale», a cura di Bruno Caizzi e con presentazione di Gaetano Salvemini). La delegazione italiana all'assemblea costitutiva del CCRE a Ginevra (gennaio 1951) era guidata dal senatore Bastianetto, sindaco di San Donà del Piave, un ex «popolare» che era stato un seguace della Paneuropa di Coudenhove Kalergi, e aveva fra i suoi membri il pro-sindaco di Roma Andreoli, un assessore della Regione siciliana (D'Angelo, poi diventato presidente della Regione), il sindaco di Ivrea Umberto Rossi, rappresentante del Movimento Comunità, ecc., e comprendeva tre esperti: Massimo Severo Giannini, Ludovico Quaroni, Franco Ferrarotti. Giannini (cfr. «Cultura politica e partiti nell'età della Costituente» a cura di Roberto Ruffili, Bologna 1979, tomo 11) aveva elaborato con Olivetti, a quattro mani, un memorabile studio su «I1 problema delle autonomie locali»; Quaroni era un urbanista particolarmente sensibile ai problemi della città in funzione della partecipazione democratica; Ferrarotti (autore di «Max Weber e il ritorno della ragione») era un giovane sociologo che si batteva per la reintroduzione in Italia della sociologia, dopo l'ostracismo datole dalla filosofia idealistica e da buona parte dei marxisti (ora era appoggiata invece dal filosofo esistenzialista Abbagnano). Qui per ,altro non vogliamo fare la storia dell'AICCRE quanto limitarci a un elenco - più logico che cronologico - di strade, che crediamo avere aperto al dibattito sul federalismo interno in Italia e di proposte che abbiamo fatto - talora comprese, talvolta ignorate o trascurate - e che ci accingiamo ad approfondire. Ancora un'ultima considerazione generale: i pioneri dell'AICCRE sono partiti come federalisti interni (oltre che sovranazionali), ma trovandosi ad operare in uno Stato con la Costituzione di Stato regionale, intermedio fra l'unitario e il federale (ma «federalismo e regionalismo non possono essere posti a raffronto perchè fanno parte della stessa famiglia, non c'è distinzione netta tra l'uno e l'altro e cambiano soltanto per una ragione di misura», afferma Sabino Cassese nel volume a più voci «Quale federalismo? interviste sull'Italia del futuro», a cura di Marco Sabella e Nadia Urbinati, COMUNI D'EUROPA Vallecchi editore [l994 Firenze] ), hanno voluto sperimentare fin dove poteva portare, se attuato realmente i l che non è awenuto per lungo tempo - tutto il dettato costituzionale: in definitiva ci siamo convinti che, malgrado l'affermazione di Cassese, non si tratta solo di misura (questa, se mai, crea una differenza tra diversi Stati regionali) ma di qualità. Diremmo paradossalmente che uno Stato regionale «massimalista» porta all'anarchia, mentre uno Stato di autentica struttura federale ha la massima coesione. Passiamo, come ci eravamo impegnati, a una sintesi, schematizzata in 9 punti, della problematica affrontata dall'AICCRE, in oltre quarant'anni, sul terreno del federalismo interno (o particolarmente rivolta al federalismo interno, ma sottolineando che sovente è arbitrario scindere il discorso tipicamente italiano da quello infranazionale in genere e quest'ultimo dalla prospettiva sovranazionale o da una riflessione globale sul federalismo). 1. I1 problema del rapporto dei partiti (nazionali) con le autonomie territoriali e con tutta la «società», nonchè quello dei partiti con la partecipazione «autonoma» dei cittadini, si poneva in tutta Europa l'Europa democratica -, ma nell'immediato post-fascismo si poneva con particolare rilievo in Italia: qui il coagulo dei partiti «antifascisti» era il CLN (Comitato di liberazione nazionale), che non copriva tuttavia tutto il campo elettorale, poichè non solo gli ex-fascisti si organizzarono presto nel Movimento Sociale Italiano (MSI), ma anche i repubblicani storici si chiamavano fuori del CLN; il Partito comunista italiano, poi, senza avere i caratteri rozzi del Partito comunista francese, di cui si diceva che «non era nè a destra nè a sinistra ma alllest», anzi fortemente integrato a un settore tradizionale della cultura democratica italiana, tuttavia faceva pur sempre discendere sui soci, dall'alto, una politica europea e internazionale tutta confezionata «fuori frontiera». Questa situazione irritante soprattutto per i cittadini non politicizzati - ma anche obiettivamente insoddisfacente - generò a un certo momento il Movimento dell'uomo qualunque: movimento di scarse basi culturali, che ebbe il successo di una stagione, ma che sollecitò l'attenzione di un uomo politico con un eccezionale sensorio, cioè Togliatti. L'AICCRE nella predetta situazione si pose il problema dell'autonomia pre-partitica del cittadino: si trattava anche di collegarsi con tutto il largo movimento europeo dei community centues e dei settlements, dei centues sociaux, dei Doufgemeinschafthauser. In fondo si andò teoricamente lontano: la Rivoluzione francese aveva riconosciuto formalmente i diritti dell'uomo; i successivi movimenti socialisti (e anche, in qualche modo, cristiano-sociali) avevano reso possibile, concretamente possibile, l'esercizio di tali diritti, emancipando l'uomo dalla schiavitù del lavoro, eccetera; oggi, in una società liberaldemocratica economicamente sviluppata, dove i mezzi di informazione e di comunicazione rendono impossibile l'azione politica (in senso lato) autonoma dell'individuo (è il rischio, in una cosiddetta «civiltà tecnetronica~,di rendere irrealizzabile una iniziativa democratica «di base» senza partire da una posizione di potenza - con l'aggravante di un «anonimato» incontrollabile con cui si presenta di solito al cittadino l'apparato colossale della comunicazione -) non basta quanto ha permesso al cittadino politicizzato o politicizzabile l'emancipazione dell'uomo che hanno ottenuto i movimenti sociali. Pertanto, nell'ultimo seminario, che precedette il lancio (Stati generali di Versailles, ottobre 1953) della «Carta europea delle libertà locali» del CCE, due delegati dell'AICCRE (l'ex costituente nazionale Costantino Mortati e Umberto Serafini) riuscirono a fare inserire «i mezzi stabili perchè ogni cittadino, cosciente di essere membro della comunità e vincolato alla collaborazione per il sano sviluppo della comunità stessa, prenda parte attiva alla vita locale»: era un finanziamento «istituzionale» dell'attività prepartitica. Ovviamente, mentre nell'AICCRE viveva una precoce polemica antipartitocratica (anche per la diffusa ostilità dei partiti - di fatto, se non sempre palesemente - al federalismo sia sopra che infranazionale), era riconosciuta la irrinunciabile funzione dei partiti nella dialettica democratica (non corporativa): se ne voleva tuttavia limitare l'invadenza «totalitaria». A tale scopo l'autonomia concreta proposta per il «singolo cittadino» richiamava anche l'autonomia e la funzione del centro sociale (continuando l'influenza nell'AICCRE del Movimento Comunità, si può a questo proposito rivedere la relazione di Serafini - «centro sociale, partecipazione, democrazia diretta e democrazia rappresentativa» -, uno dei fondatori dell'Istituto italiano per i Centri comunitari, al convegno di Palazzo Canavese del giugno 1956 - v. nel citato «A. Olivetti e il Movimento Comunità», parte prima -): ma poi tutto il complesso di questa democrazia prepartitica dava adito ad una proposta realistica, più volte avanzata dall'AICCRE, di «elezioni primarie» - sia «di lista» che territoriali, cioè aperte a tutti - da proporre, se non addirittura da imporre ai partiti (talvolta abbinando quest'obbligo a una proporzionale, nelle elezioni politiche, a liste bloccate, cioè abolendo il cannibalismo delle preferenze). L'AICCRE tornò più volte a percorrere questa strada (che è stata chiamata di lotta per l'«autonomia della minoranza di tutte le minoranze, cioè il singolo cittadino» ( I ) ) , cercando di orientare a un certo punto un moto nazionale, che ha dato una fiammata e poi si è, tutto sommato, spento: vedasi il ( l ) L'approfondimento teorico della questione può trovarsi in "Comuni d'Europa", anno XLI, n. 1, gennaio autonomie temtoria1993 ("La sovranità dei cittadini li, partecipazione, cultura e partiti", intervento del presidente dell'AICCRE a un Seminario della Fondazione Bucchi in onore di Massimo Severo Giannini). Vi si sottolineano le due frontiere del federalismo, la persona umana e il cosmopolitismo. - DICEMBRE 1994 convegno, tenuto in collaborazione col Comune di Bologna nell'aprile 1977, su «Decentramento urbano e comprensori nel quadro della realtà europea» (in realtà si preparava uno studio comparato in vista degli Stati generali del CCE, che si svolsero nel giugno successivo a Losanna). I problemi precedenti stanno seguendo, nel dibattito dell'AICCRE, un cammino a simmetria inversa, nel prospettare il passaggio dai partiti nazionali ai partiti europei (qui si tratta di una «autonomia europea» da guadagnare attraverso un «fronte democratico», di cui «Comuni d'Europa» dibatte pazientemente almeno dal 1964). 2. Come si è già accennato, 1'AICCRE si è sforzata, sin dall'inizio, di cavare sperimentalmente tutto quel che si poteva dallo Stato regionale: fu così che nel suo congresso nazionale di Forlì (1955) chiese duramente relatore Mortati - l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario, che tardarono poi di una quindicina d'anni. Mortati, l'ex costituente Costantino Mortati, era fin da allora fortemente autocritico circa le Regioni - le Regioni anche sue -, particolarmente insoddisfatto dell'art. 117 (e collegati) della Costituzione. Fu così ancora che, in occasione degli Stati generali di Cannes (1960), invitammo il prof. Ambrosini - teorico dello Stato regionale e, allora, presidente della nostra Corte Costituzionale - a fare una relazione su «le Regioni nel quadro europeo» (2). Realizzate le Regioni a statuto ordinario, l'AICCRE, in collaborazione con l'ultima arrivata delle Regioni a statuto speciale, la Friuli-Venezia Giulia, produsse il volume collegiale «La Regione italiana nella Comunità europea» (1971): qui pose chiaramente, inascoltata, l'esigenza della riforma del decentramento burocratico, e in genere di tutta l'amministrazione dello Stato, in simultanea ad ogni passo verso il cosiddetto decentramento autarchico. Quando questa riforma si affidò, conferendogli l'incarico di ministro, a Massimo Severo Giannini, 1'AICCRE l'appoggiò e criticò violentemente il sabotaggio a cui Giannini fu sottoposto, salvo poi a liquidarlo sic et simpliciter. Il problema rimane aperto e non suscita tuttora l'attenzione, la competenza e la buona fede, di cui avrebbe bisogno. (2) Una ulteriore, dura pressione - unita al bagaglio teorico che si andava formando sul sistema interno delle autonomie territoriali, al problema della partecipazione dei singoli cittadini e al rispetto delle autonomie dei Poteri locali infraregionali (da riformare) - partì dall'importante Convegno del Montiferru in Sardegna (estate 1957), promosso dall'AICCRE, che si trovava ormai di fronte i Trattati di Roma e che, d'altra parte, portava avanti la nflessione sui Laender tedeschi e anche sui Londkreise. I1 convegno ebbe risonanza nazionale. DICEMBRE 1994 3. Ma la necessità di passare a un vero e proprio Stato federale si faceva sempre più urgente: per cominciare, affrontiamo la richiesta ragionata del Senato delle Regioni. In realtà già nell'intervento AICCRE alle richieste della Commissione parlamentare per le questioni regionali, presieduta dall'on. Cossutta (1984), c'è in abbozzo o definitivamente la nostra maturazione, avvenuta progressivamente, sul Senato delle Regioni, con tutto quello che comporta della posizione AICCRE su una struttura federale della Repubblica italiana e sull'assetto delle autonomie territoriali italiane e nel quadro, per noi cogente, di una costruzione federale di una Unione europea: più che riassumerla ellitticamente, vale la pena di rimandare alla «dichiarazione» contenuta in «Comuni d'Europa» dell'ottobre 1984 (anno XXXIII, n. 10). Di varii aspetti correlati, diremo specificamente nei punti successivi di questa Nota. Qui noi potremo anzitutto sottolineare sbrigativamente che essa spiega già la nostra odierna preferenza, in fatto di Senato delle Regioni, per il Buizdesrat tedesco. Cioè: non ci soddisfa affatto un Senato delle Regioni (vedi la Carta di Genova della Lega Nord) che si limiti ad essere semplicemente un Senato eletto, in via diretta, su dimensione regionale. 11 Bundesrat è ~ t norgano che comprende gli Esecutivi dei Laender: potremmo forse concedere che sia espressione dei Consigli o Parlamenti dei Laender; ma deve essere espressione dei Laender, cioè delle Regioni. Esso fa parte di uno Stato federale (la Germania), in cui il Consiglio d'amministrazione della Bundesbank (e noi sappiamo le severe competenze della Bundesbank, in sostanza e soprattutto quella di determinare il tetto dello spendibile nazionale) è designato in maggioranza dai Laender. I1 Bundesrat si inserisce in un Paese ove sono in vigore perequazioni finanziarie, tra le diverse parti del territorio nazionale, verticali e orizzontali (ossia un reale federalismo fiscale o, più correttamente, come vorrebbero alcuni studiosi, federalismo finanziario). Esso funge nei limiti accettati dello spendibile nazionale e nella trasparenza e pubblicità, quale organo di autocontrollo e di equilibrio in una solidarietà «verificata» dal basso di tutta la «spesa periferica» e quale organo di confronto globale della «spesa periferica» con la «spesa centrale», e si misura direttamente col Bundestag o Camera popolare nazionale. Insomma il Bundesrat fa vivere il massimo di autonomia territoriale col massimo di coesione nell'ambito dello Stato (nazionale: ma potremmo aggiungere che esso raggiunge il massimo di certezza ed efficienza nei rapporti con l'Unione federale sovranazionale). 4. Nel 1981, dopo quasi due anni di lavoro, 1'AICCRE pubblicò (Franco Angeli editore [Milano]) il volume «I1 federalismo fi- scale della Germania occidentale», opera per conto dell'AICCRE - di una ricercatrice tedesca, Sigrid Esser, con una premessa di Serafini e una prefazione di Alberto Maiocchi. È evidenziato - ma non ce P- sarebbe bisogno - - che quello della Germania è un «federalismo cooperativo». L'opera non aveva precedenti di rilievo in Italia: ma se ne sono serviti anche taluni studiosi tedeschi. Per l'AICCRE, comunque, ha segnato uno dei campanelli d'allarme suonati per far capire in Italia che un serio regionalismo italiano deve imboccare la strada federalista (per i «curiosi» è ancora utile il testo, curato da Ettore Rotelli, «I1 regionalismo italiano. Antologia del pensiero regionalista dal Risorgimento ai nostri giorni», Milano, Quaderni della «Città di Milano», 1962). In merito non vogliamo aggiungere nulla alle indicazioni della parte introduttiva di questa Nota: viceversa vogliamo sottolineare che la prefazione di Maiocchi era limpida nell'indicare come il «federalismo finanziario» italiano può inquadrarsi nel cammino verso la moneta unica europea; inoltre (tout se tirnt!) rimandiamo all'articolo di Nicola Pietrafesa («Comuni d'Europa», giugno 1990) sull'esigenza (anche per la finanza locale e regionale italiana) di un'armonizzazione fiscale comunitaria. 5. La Regione della Costituzione del 1948 fu criticata subito dall'AICCRE: ma particolarmente, anche in «Comuni d'Europa», infieriva autocriticamente Mortati. La pluralità delle competenze enumerate dall'articolo 117 appariva piuttosto casuale e soprattutto rispecchiava un'Italia pre-industriale - o quasi -, che non esisteva più. Inoltre non solo le Regioni erano numericamente troppe, ma la loro dimensione avrebbe dovuto ubbidire a un criterio. e cioè: la loro dimensione dovrebbe risultare da una misura ottimale di governo, e quindi non si deve prevedere in astratto ma in funzione delle comDetenze, capitolo che andava ( e va) riscritto (anche se doveva tendersi, a priori, a un equilibrio tra i caratteri etnici, quelli geologici e quelli economico-sociali). Questi giudizi furono già espressi in «La Regione italiana nella Comunità europea» del 1971. Comunque abbiamo sempre criticato una Regione intesa come un Ministato: tanto più che lo Stato (nazionale), di cui voleva e vuole essere la miniaturizzazione, è già, a sua volta, in crisi di competenze (3). Abbiamo (3) Sulla funzione della nazione (italiana) in un quadro federalista (europeo) - contro cioè una Regione "dalla sovranità illimitata", in rapporto diretto con l'Ente sovranazionale (si è detto ironicamente) - può citarsi, distinguendo il nazionalismo da una storia italiana come Nazione europea, che ha superato localismi egoistici o miopi, l'editoriale "Virtù contro a furore" di "Comuni d'Europa" (anno XLI. n. 3, marzo 1993). Sui concetti di nazione, etnia, cittadinanza e su un dibattito in corso nel nostro Paese, "miscuglio di vecchio e di nuovo", può leggersi utilmente "Se cessiamo di essere una nazione Tra etnodemocrazie regionaIi e cittadinanza europea" di Gian Enrico Rusconi ([Bologna 19931 I1 Mulino): ma la rivista dell'AICCRE ha ripetutamente assunto la tesi di un Risorgimento italiano, che ha significato il consapevole "rientro" dell'Italia in Europa, in un quadro di finalismo cosmopolitico. 11 libro di Rusconi - col quale si può essere in accordo o in disaccordo - dà comunque l'occasione di distinguere. con accortezza molto maggiore dell'abituale, l'idea di nazione dal nazionalismo, e impone che non ci si rifaccia al "romantico" Hegel o al Ri- sempre dato, per la Regione, grande rilievo alla pianificazione del territorio, che viceversa nella progettata riforma della recente bicamerale per le riforme compare, a parità con le altre, in una insalata acritica di competenze, p e r u n n u o v o 117 «farcito». L'AICCRE, d'altra parte, ha sempre conferito un grande rilievo ai problemi ambientali (tra l'altro ha dato a suo tempo una collaborazione essenziale alla Carta dell'ambiente del CCRE o Carta di Bruges), - sforzandosi di determinare una loro collocazione «strutturale» nell'ambito delle responsabilità pubbliche - cioè soprattutto nelle regole - circa lo sviluppo economico-sociale. Ormai da qualche tèmpo «Comuni d'Europa» ha aperto un dibattito su una Regione «dimensione ottimale» per un obiettivo, che 1'AICCRE ha sempre portato avanti, la «sintesi a priori di sviluppo economico-sociale e di pianificazione del territorio». Lo sviluppo economico-sociale, infatti, non può fermarsi a un nudo elenco di cifre: esso si dispiega su determinati territori, con le loro caratteristiche, e risulta in abitazioni, opifici, strade, ponti, gallerie, scariche di rifiuti e tutto il resto. Quindi una Regione che «preveda» lo sviluppo economico pubblico e privato, le esigenze sociali ad esso connesse, e le «condizioni» che ogni territorio pone a priori allo sviluppo. La Regione ha problemi del tutto diversi dalla Città e da ogni complesso urbano (l'ipotesi di Città-Regione - cfr. le tedesche Città-Laender. come Berlino. Amburgo, ecc. -, comprensibile ma affrontata astrattamente a tavolino, è servita a suo tempo a confondere le idee): di conseguenza la Regione deve avere una dimensione minima, che le faccia contenere i diversi elementi dello sviluppo. Da queste premesse si comprende agevolmente verso quale Regione si tenda ad avvicinarsi: con l'integrazione, comprensibile anch'essa, che alla Regione, includendo a quelli tradizionali anche tutti i lavori (le occupazioni) relativi ai «serA sorgimento di Giovanni Gentile, che è uno stravolgimento di una storia reale assai diversa da quella che è in sostanza l'introduzione "gentiliana" alla "rivoluzione fascista" - questo è il senso del Risorgimento italiano del filosofo fascista-. Lo stesso concetto di "patriottismo costituzionale", così lucidamente richiamato di recente da che parla di "una silente comunione Andrea Manzella nazionale" generata dalla Costituzione anche in coloro che "non l'hanno mai letta" -, contribuisce a suffragare il nostro "distinguo", così come il suo "nuovo umanesimo dello Stato" e la spinta a diverse nazioni a limitare "le proprie sovraniti nell'autonoma ricerca di vincoli esterni alla loro nuova fisionomia statale" si riallacciano, sul terreno istituzionale, a un ethos comune (I tutto il nostro Rinon a quello di Gentile e a una corrente sorgimento "eroica" e pre-nazionalista di esso, minoritaria e marginai l'uno le - e alla nostra Resistenza, a n ~ collegando all'altra e dando una continuità storica di cui il fascismo è stata una frattura - allo spirito nazionale, fatto più di amore e di consapevolezza umana, anche in umili cittadini, che di "sprezzante fierezza". Questo richiamo, che qui facciaino a recenti scritti di Manzella, dà un senso ancor più preciso alla sua relazione nella Conferenza europea delle Amministrazioni locali e regionali, organizzata dall'AICCRE a Viareggio - ottobre 1994, v. "Comuni d'Europaw del novembre successivo -, e alla sua concezione di federalismo globale, sopra e infranazionale. nonchè della "cittadinanza politica attiva": sol che sottintende altresì una necessaria rivoluzione della nostra attuale e di parte della cultura europea post-fascista, ancora inquinate di fascismo; o, meglio, inquinate di quella filosofia, che si può chiamare - appunto - "romantica" o addirittura hegeliana - e poi decadentista -. che è stata generatrice di fascismo, nazismo, nazionalismo autoritario. imperialismo, colonialismo, razzismo. - - - COMUNI D'EUROPA vizi» ambientali, si presenta naturale attribuirle il compito di Agenzia del lavoro (il che, del resto, era una proposta che correva a suo tempo in Europa - una Europa delle Regioni caricate, alla base, dei problemi di un'occupazione larga e razionale - e che «Comuni d'Europa» cominciò a far sua una quindicina di anni fa). Torneremo su questo tema al punto 7 (federalismo e mercato) e al punto 8 (le leggi elettorali ai diversi livelli): ma qui possiamo subito affermare che la componente della «pianificazione del territorio» probabilmente richiederebbe più la proporzionale che non la maggioritaria, sia pure una proporzionale con gli accorgimenti sopra accennati. 6. Nel rivedere l'assetto degli Enti infraregionali 1'AICCRE ha sostenuto sempre, polemicamente, il criterio «un territorio, un governo», contro la proliferazione degli Enti cosiddetti « istituzionali» (non territoriali): anche in ciò rispettando le esigenze del federalismo. Inoltre, nell'affrontare la problematica dei Comuni e delle Province, ha costantemente lamentato le pressioni delle associazioni di settore, tendenti, con una logica sindacale se non corporativa, al quieta non movere. La questione delle «aree metropolitane» è stata affrontata dall'AICCRE non disgiungendola dai caratteri e dalle competenze della «nuova» Regione e preoccupandosi altresì di una verifica comparata europea (cfr. le esperienze spagnola, inglese, tedesca, ecc., verificate in un grande convegno a Roma, col confronto degli amministratori e degli esperti dei rispettivi Paesi). Inoltre 1'AICCRE ha temuto e teme che le aree metropolitane divengano uno strumento della razionalizzazione dell'urbanesimo: per controbilanciare questo rischio ha insistito nel p r o p o r r e e r i p r o p o r r e l'esperienza dei Landkreise, le piccole Province rurali, al fine di ripartire più equamente abitazioni, produzione e servizi su tutto il territorio regionale. Rimane il problema di un decentramento burocratico della Regione, prevaricante rispetto a un decentramento che potremmo continuare a chiamare autarchico: in sostanza la Regione tende oggi a far meno del necessario sul terreno della programmazione o semplicemente del coordinamento e della previsione e a gestire direttamente mansioni esecutive (anche con i premi elettorali), sottraendole agli Enti democratici infraregionali I1 fenomeno della «prevaricazione» regionale (e del mancato rispetto conseguente dello stesso principio di sussidiarietà) si è fatto sentire recentemente in una forte tensione in Germania fra i Laender e gli Enti irfraregionali (abbiamo sentito dire ironicamente da colleghi tedeschi: «Meglio uno Stato centralizzato, che ci lascia vivere, che i Laender, occhiuti piccoli Stati lesivi della nostra autonomia locale»). 7. Nell'attuale irruzione - che forse, in definitiva e se vorremo, potrà rivelarsi decisiva - di neofederalismo interno si fa frequentemente riferimento al liberismo economico (4) e ci si collega con esso, particolarmente da parte dei neofiti della Lega Nord. Vediamo. Se il riferimento è utilizzato c o n t r o un'economia assistita e parassitaria, non possiamo non essere d'accordo. «Comuni d'Europa» sin dal suo inizio considerò la Cassa del Mezzogiorno una brutta copia della Tennessee Valley Authority (TVA) di roosveltiana memoria. Poi le nostre critiche si sposarono con quelle di molti meridionalisti federalisti. Più tardi pubblicammo un libretto, «Lo sviluppo distratto» di Luigi Trojani (che denunciava per altro l'incapacità programmatoria e la politica puramente elettoralistica di molte Regioni, specialmente meridionali), che mandò in bestia un ministro per il Mezzogiorno e trovò la felice accoglienza dei due membri italiani della Commissione esecutiva di Bruxelles di allora. Ma fin dai secondi Stati generali di Vienna (1975) la relazione politica - italiana scese più a fondo e analizzò i caratteri di una economia di mercato, di mercato «democratico». I1 cosiddetto liberismo (liberalismo economico) non è necessariamente quello reaganiano o thatcheriano ovvero quello teorizzato dall'economista americano Milton Friedman. A Vienna si citò largamente un recente libro di Galbraith («Economics and public purpose») e la sua severa (e ironica) polemica sulla politica dell'offerta nel mercato economico vigente: politica dell'offerta nelle mani di pochi potenti, le gzànt corporations. Varie relazioni uscite rec e n t e m e n t e dalla p e n n a d i dirigenti dell'AICCRE, accettando per ipotesi il mercato come referendum permanente tra i consumatori, hanno sottolineato che l'informazione della «domanda» non è in alcun modo democratica e i consumatori sono semplicemente spinti a un consumismo disinformato e irragionevole. Ma quanto abbiamo detto sopra circa la pianificazione del territorio e le esigenze ambientali viene a negare che il mercato economico possa limitarsi a un referendum tra i consumatori. Del resto, riandando ai padri teorici del mercato economico, da Smith a Ricardo (e il primo, oltre che filosofo morale - come si legge nei manualetti di storia della filosofia dei nostri licei - era anche un notevole giurista), si può rilevare che li preoccupava l'inevitabile rapporto fra mercato e istituzioni politiche, non trascurando il ruolo (correttiVO?)delle istituzioni politiche. In sostanza, anche qui, si pone il carattere essenziale del federalismo, cioè l'equilibrio tra autonomia (4) I1 termine "liberismo" è italiano. nato ad opera di Benedetto Croce in una polemica con Luigi Einaudi per distinguerlo dal liberalismo politico-istituzionale: fuori d'Italia si ricorre piuttosto a espressioni come "libertà di mercato (economico)". DICEMBRE 1994 e solidarietà: in economia potrebbe ipotizzarsi l'ideale di un mercato democratico in cui tutte le iniziative, grandi e piccole, e tutte le esigenze, materiali e spirituali, hanno possibilità di farsi valere (le sacche di miseria, poi, oltre che ingiuste sono anche costose). Tutto questo dovrà tenere presente, secondo I'AICCRE, un rilancio economico europeo, e italiano in esso, che sia vòlto ad affrontare una competizione che non è solo infraeuropea, ma mondiale, e che tenga ben presente la qualità di vita che ne risulta (e anzitutto che affronti il problema numero uno, quello dell'occupazione, angoscia non solo degli statisti ma di ogni amministratore locale e regionale). Fu per questo che 1'AICCRE lanciò, a cavallo degli anni settanta e ottanta, il proposito di un New Dea1 europeo, con stretta interconnessione con la situazione italiana. E per questo che 1'AICCRE ha accolto con g a n d e attenzione e impegno il Progetto Delors (poi Libro bianco), ne ha dibattuto in seno ai suoi organi dirigenti, poi in un seminario europeo organizzato a Roma e infine, sperimentalmente, alla sua base associativa, anche in piccole comunità periferiche (basta leggere «Comuni d'Europa» per rilevare il successo di questi esperimenti di base). A lato di tutto ciò, non si può tacere sempre sul terreno economico-finanziario l'impegno dell'AICCRE (questo direttamente europeo, .come componente primaria del CCRE) per soluzioni sou~anazionalidei problemi della finanza locale e regionale (abbiamo già visto, nel punto 4 , l'attenzione per l'armonizzazione fiscale comunitaria): ma ciò rientra nell'attività sovranazionale dell'AICCRE, sezione italiana del CCRE, che merita (ed avrà a breve termine) un volume a parte. 8. L'AICCRE non ha trascurato i problemi eiettorali posti dal federalismo interno: ma in realtà su questo tema si è preoccupata, anzitutto e costantemente, di verificare le diverse proposte elettorali non in astratto, ma in funzione dei compiti specifici di ogni livello di autonomia. Infatti, a proposito della Regione, abbiamo osservato cosa richiederebbe una corretta pianificazione del territorio: la legge che ha regolato finora le elezioni regionali si serviva eminentemente di circoscrizioni elettorali; per cui, abbiamo osservat o , ogni eletto non si muoveva d i fatto nell'interesse di tutta la Regione, ma dei favori alla propria circoscrizione, e poteva darsi il caso che patteggiasse alcune «debolezze» nella severa pianificazione del suo territorio col collega regionale di un'altra circoscrizione (accordi omertosi). Giacchè ci siamo, occorre ricordare qui che abbiamo lottato, invano, per anni in favore di una adeguata legge nazionale sul governo dei suoli. I parlamentari nazionali potranno riferire come le fabbriche di fucili da DICEMBRE 1994 caccia e aggeggi collegati e la rendita fondiaria sono egualmente potenti ( 5 ) . Ci siamo anche impegnati nello smascherare, più in generale, gli equivoci nati intorno alla valutazione di talune leggi elettorali. L'uninominale secca britannica, per esempio, ha alle spalle due solidi, solidissimi partiti politici (lasciando un modesto spazio, nel mezzo, che era occupato dal classico partito liberale): è dubbio cosa possa risultare l'uninominale secca senza solidi partiti alle spalle. Si può anche ipotizzare, in questo caso, l'assenza di un qualsiasi programma di governo, che abbia la forza minima di farsi valere. Ma l'uninominale con ballottaggio rischia alleanze di comodo, variabili da collegio a collegio, col massimo di corruzione: era l'opinione di un politologo della forza di Giuseppe Maranini, protagonista, già agli inizi degli anni cinquanta, della polemica antipartitocratica (alla quale è stato sensibile l'autonomismo dell'AICCRE). 9. Adesso a colazione e a pranzo tutti mangiamo il principio di sussidiarietà (e anche di prossimità): llAICCRE, federalista, li tiene fermamente presenti da sempre. Ma, aggiungiamo, tiene altrettanto presente il principio di interdipendenza di tutti i livelli di autonomia territoriale (nazionale e, naturalmente, sovranazionale). E per questo (e anche recentemente a proposito del Comitato delle Regioni e degli Enti locali, sancito - era ora - dal Trattato di Maastricht) che 1'AICCRE ha sempre insistito non su singoli livelli di autonomia «separati» (e perfino litigiosi) ma sul sistema delle autonomie. Coerentemente aderiscono all'AICCRE Comuni, Province e Regioni. Su questo punto ci siamo sempre battuti nel CCRE, che concorda, tutto, con noi. Naturalmente l'interdipendenza guarda lontano anche per problemi molti vicini. Gli scontri razziali nelle nostre Città, l'esasperazione di fronte ai «concorrenti esterni» di molti lavoratori disoccupati, di molti giovani, come purtroppo si suole dire, «senza arte nè parte» richiedono - oltre ovviamente la paziente e severa educazione sul posto, esemplare e giorno per giorno -, anche l'indicazione coraggiosa di una prospettiva planetaria, epocale. Molti giovani possono rinfacciare ai loro «educatori» che essi vivono tranquillamente iil una società opulenta e (5) L'AICCRE ha costantemente collaborato con gli urbanisti italiani di punta, più coraggiosi e coerenti - e interessati alle autonomie territoriali -. da Ludovico Quaroni alle sue origini a Giuseppe Campos Venuti (il maestro dell'urbanistica riformista) in tutta la sua storia (ricordiamo Piccinato, Samonà. Astengo, Benevolo ecc.). Di Campos Venuti teniamo presenti alcune fondamentali collaborazioni a "Comuni d'Europau (per es. "Urbanistica ed ecologia riforniiste" nel numero di giugno 1990). Si veda in generale, "Urbariisti italiani", a cura di P.Di Biagi e P. Gabellini ([Bari] 1992, editori Laterza). Con Benevolo si discusse di un green Reit per la città di Roma. fanno presto a predicare: in realtà l'unica risposta onesta, in prospettiva, è che la nostra società battezzata dei «due terzi» (benestanti! non pare che riesca a versare «lacrime e sangue» a favore di un Quarto Mondo, che essa ha derubato e deruba quotidianamente e donde si emigra o, meglio, si fugge in massa per fame e per disoccupazione endemica. Una Federazione europea, democratica e giusta - che è il nostro obiettivo -, dovrà pur fare questa terribile autocritica, perchè poi si possa, onestamente, «educare» alla convivenza in una società multietnica: tout se tient. La conclusione di questa «sintesi» pare chiara e semplice. Nell'Europa in costruzione riteniamo utile l'aiuto che, nel servizio europeo (informazione, partecipazione ai fondi strutturali comunitari, ecc.), può venirci dalle associazioni «sindacali» dei Poteri locali e regionali (ANCI, UPI, Conferenza delle Regioni, ecc.), che, proprio per il loro limitato carattere, toccano una rilevante massa di Enti. Anzi questo aiuto può divenire prezioso e ottenere il premio di una presenza europea, ambita come tutte le novità. Ma compito prevalente di queste stesse associazioni e di tutti gli amministratori locali e regionali democratici dovrà essere di rinforzare 1'AICCRE e con ciò il suo peso nel CCRE: non si tratta qui di un «servizio europeo», ma di una spinta politica, originale e insostituibile, basata anche su un'adeguata cultura e dedicata totalmente all'obiettivo federalista, infra e sovranazionale. L'interdipendenza tra federalismo interno e federalismo sovranazionale è evidente: ma deve essere altrettanto evidente la partecipazione delle autonomie territoriali alla battaglia federalista - che è tutt'altro che vinta - accanto a tutte le altre forze della società e ai loro movimenti, nostri «fratelli». L'AICCRE e il CCRE sono sempre stati e sono uno dei punti di forza di un «fronte democratico europeo», senza il quale rimarremo alla debole, incerta Europa intergovernativa e, in sostanza, non riusciremo neanche a radicali riforme strutturali interne. Beninteso: è l'idea di un'associazione di punta, tutta impegnata in questa storica missione, che bisogna difendere a qualunque costo, non le persone che finora ci si sono invecchiate. La milizia del CCRE (e quindi dell'AICCRE) riguarda tutti, assolutamente tutti coloro che sono pronti a rinunciare al successo immediato e a lavorare per l'alternativa democratica della costruzione federale europea e del rinnovamento italiano, pure in senso federale. In una prospettiva missionaria non ci sono problemi di potere, ma solo di dedizione, di cultura e (perchè no?) di spirito di sopportazione verso coloro che ¤ non ne capiscono il valore. COMUNI D'EUROPA "bisogno di cambiare" Autonomismo e riforma dello Stato di Francesco Stevenin * Sin dai risultati dei referendum dello scorso anno, appare chiaro come il Popolo italiano manifesti un bisogno di effettiva decentralizzazione delle competenze politico-amministrative, reclamando una più equa ed efficace ripartizione tra i diversi livelli: Stato, Regioni, Autonomie locali. I1 Governo attuale, in parte si dichiara attento a questo «bisogno di federalismo», ma forse prigioniero della mentalità centralizzatrice di alcuni componenti la compagine di maggioranza, non mi pare abbia proceduto, finora, significativamente nel senso della riforma dello Stato. Penso quindi di poter affermare che il ruolo di motore della riforma dello Stato - «in senso regionalista e autonomistan, federalista - deve spettare a noi, attraverso una forte azione energica; a noi Consiglieri regionali, espressione delle Regioni e delle Province Autonome che dovranno essere il cardine istituzionale attorno al quale costruire il nuovo sistema delle autonomie, nei rapporti con lo Stato e con gli Enti Locali. In questo momento complesso, si impongono alcune riflessioni, per fare chiarezza su quelle che dovranno essere le linee direttrici del nostro divenire regionale, e dello Stato italiano in generale. Bisogna riflettere e confrontarsi seriamente, affinché la nostra azione congiunta per il «cambiamento» non sfoci in una situazione di caos: con conseguenze pericolose per la stabilità politica, per lo sviluppo economico, per la democrazia. Bisogna farlo per costruire insieme il progresso, nel rispetto degli interessi e delle aspirazioni di ognuno. Bisogna riflettere, con coraggio, sul significato del «federalismo», obiettivo perseguito e demonizzato al tempo stesso, tanto da renderlo innominabile. Perché è al federalismo che si tende, comunque, allorquando si studia una reale ripartizione di competenze e poteri tra i diversi livelli di governo di un'entità politica complessa. I1 federalismo, nella sua più pura accezione politologica, non può e non deve tradursi in una precisa ricetta politica, confezionata a priori da questa o quella scuola di pensiero. Stati Uniti, Svizzera, Germania, Canada, Australia, dimostrano come sistemi federali siano tra loro differenti, perché nati dall'esperienza e con l'esperienza affinatisi. I1 federalismo è una filosofia di vita, che in politica si traduce in situazioni diverse, di «mediazione» tra il centralismo e i particolarismi. È la concertazione continua, tra la volontà di auto-gestirsi e la necessità di vivere, di agire insieme. Non è lo smembramento della unità, bensì l'unità dello Stato nel rispetto delle sue diversità interne. È la libertà di tutte "Presidente del Consiglio regionale della Valle d'Aosta. Intervento alla I1 Conferenza nazionale dei consiglieri delle Regioni italiane, Roma, I l novembre 1994. COMUNI D'EUROPA le parti, nel rispetto dell'ordine e dell'interesse comune. I1 federalismo è, dunque, una forma di istituzionalizzazione del compromesso politico permanente che solo può, neil'unità dello Stato, garantire che gli interessi delle parti non vengano mutilati. Esso è, oltremodo, la più vera espressione della democrazia, intesa come «governo del popolo, per il popolo, esercitato dal popolo». Perché il vero federalismo è espressione diretta della base; perché esso garantisce le Autonomie, la partecipazione alle decisioni, la sussidiarietà, il partenariato e la reciproca solidarietà di tutti i liveili politico-amministrativi: partendo dal cittadino fino al Governo federale attraverso le autonomie locali e regionali. Né ciò mi pare impossibile pur permanend o il concetto di Repubblica «una e indivisibile». Infatti, anche lo Stato federale è uno nella sua soggettività giuridica internazionale - e indivisibile, visto che il diritto di secessione non è previsto, né prevedibile, in un'organizzazione federale. Né, voglio sottolinearlo con forza, il federalismo è un'ideologia infernale che mira a distruggere lo Stato: si vuole solamente trasformare lo Stato in termini di democrazia e libertà, oltreché di efficacia ed efficienza. Rovesciare il criterio di ripartizione delle competenze tra Stato e livelli sub-statuali, garantire autonomia fiscale e solidarietà finanziaria per le Regioni e Province Autonome, proporre una Camera delle Regioni, in una nuova logica di bicameralismo, significa costruire un sistema federale. Costruirlo, e non imporne uno predefinito, schematizzato in macro-regioni artificiose, volte a soddisfare gli interessi dell'una o dell'altra forza politica, dell'una o dell'altra parte del Paese. Costruire un'Italia federale significa partire dalle attuali divisioni politico-amministrative, accentuarne l'autonomia nel rispetto di sussidiarietà e solidarietà. Significa che ogni accorpamento tra enti sub-statuali deve essere spontaneo, e non disegnato a tavolino, seguendo logiche economiche o partitiche: alle macro-regioni si può giungere, ma per volontà espressa delle diverse collettività! Ecco perché spetta a noi essere i promotori del nuovo Stato, in cui le Regioni e le Province Autonome siano i reali attori sugli scacchieri politici statale ed europeo. Ecco perché spetta a noi battersi affinché lo Stato, attraverso la realizzazione di un concreto sistema di autonomie, si awicini sempre più al cittadino. Ecco perché desidero ricordare che il Parlamento della Valle d'Aosta ha presentato una proposta di Legge costituzionale «Per la costituzione dello Stato federale», molto articolata, molto precisa e molto vicina a quelle aspettative che tutti noi abbiamo più volte espresso nelle diverse sedi. Regioni e autonomie più forti, dunque, per un'Italia più rappresentativa delle diverse realtà. E in questo processo le Regioni a Statuto speciale e le Province Autonome hanno il dovere di giocare un ruolo primario. Forti di autonomismi radicati nella storia, nella geografia, nella cultura, nella tradizione e nelle peculiarità etnico-linguistiche, esse sono il laboratorio naturale in cui procedere alla sperimentazione di nuove forme di autogoverno. Da sempre rivendicano competenze particolari, ad esempio in materia di organizzazion e interna, di politica culturale, di accordi transfrontalieri, di politica economico-finanziaria, di partecipazione alla politica estera dello Stato. In un'Italia che si vuole aprire all'Europa - accettandone i principi ispiratori che sono quelli di un «implicito federalismo~- le Regioni devono essere rafforzate. Non possiamo dimenticare le responsabilità delle Regioni nelle dinamiche europee. Il Comitato delle Regioni, istituito dal Trattato di Maastricht, è in attività; dobbiamo aspettarci d a esso, al di là delle sue iniziali difficoltà operative, una decisa propulsione verso la conquista di nuovi spazi per le Regioni stesse. Così come la funzione di «cerniera» delle Autonomie speciali non può essere ignorata, ma accettata e sostenuta energicamente dalla Costituzione dello Stato. Non già per creare privilegi ingiustificati in uno Stato che si vuole più giusto e democraticamente efficiente, ma per salvaguardare le diversità che costituiscono, per noi cittadini dell'Italia e dell'Europa, la più profonda ricchezza. Credo, altresì, di dover ribadire che il federalismo non è, in alcun modo, una scoperta di questi anni (alla Lega riconosciamo il merito di aver posto il tema al centro dell'attenzione politica); non è una reazione al fenomeno di tangentopoli ed al bisogno di scrivere nuove regole per la convivenza democratica attraverso diversi assetti istituzionali. I1 federalismo ha radici storiche profonde: senza rileggere la storia risorgimentale ricordo che il federalismo in senso moderno in Italia pone radici nella lotta di liberazione partendo dall'ipotesi di determinare, non oggi, ma allora, nel dolore della guerra e nell'ansia della liberazione, la nascita di un Paese veramente democratico. I1 federalismo in chiave alpina ha nella Dichiarazione di Chivasso, sottoscritta il 19 dicembre 1943, il suo documento basilare. I1 federalismo in chiave mediterranea ha radici che risalgono, come quello meridionale, a inizio secolo. La costituzione del Movimento federalista awenne a Milano nel '43 ed il suo instancabile lavoro arriva fino ai giorni nostri. Se la storia del Movimento federalista in Italia ha radici tanto solide e tanto importanti, il nostro dibattito odierno sul regionalismo e sul federalismo deve dimostrarsene conse¤ guente e all'altezza. DICEMBRE 1994 in margine a una riunione statutaria La nostra patria Europa di Cesare San Mauro * Nelle riunioni degli organismi europei di ogni ordine e g a d o non mancano mai episodi di «lamentazioni nazionali» di ogni genere. Chi si lamenta della quota del latte. Chi dell'ultima direttiva in materia di difesa dell'Ambiente. Chi dei sacrifici imposti dal Sistema monetario europeo. Ciascun rappresentante di ogni nazione sembra confermare la propria adesione all'unione Europea «nonostante i gravi sacrifici etc.etc.». Insomma tutti sembrano sacrificarsi e nessuno invece ammette di ricevere anche qualche beneficio. Questa abitudine, che ho potuto riscontrare anche nell'ultima riunione del Comitato Direttivo del CCRE cui ho avuto l'onore di partecipare a Parigi, si presta a qualche considerazione sul senso della nostra appartenenza all'Europa. Meglio, sul senso della nostra identità europea. Si possono avere, come è noto, diverse visioni di ciò che 1'Europa è, e di ciò che «dovrebbe essere». Gli economisti e i ministri, ovviamente, sembrano per esempio dividersi fra chi vede 1'Europa come un'area di libero scambio e nulla di più e chi invece vorrebbe attribuire maggiore potere, anche cogente, alle autorità centrali dell'unione europea, con l'inevitabile dirigismo, almeno parziale, che ne consegue. Ai primi si potrebbe obiettare che, se vogliono davvero arrivare all'unità europea, devono pur riflettere che il mercato, da solo, non è mai nella Storia riuscito a costruire un solido apparato statale. Anzi, proprio la libertà totale di mercato, peraltro utopistica alla fine del XX secolo, stava per disgregare, e non per unire, una formazione statale e nazionale ben più omogenea dell'Europa attuale, quale erano gli Sati Uniti d'America nel secolo scorso. Ai secondi peraltro, si potrebbe obiettare, e si obietta, che il dirigismo economico di marca socialdemocratica tradizionale ha ormai fatto il suo tempo. La pretesa di regolamentare tutto o quasi ha già dato i suoi frutti negativi sul piano delle politiche nazionali e non si vede proprio perché dovrebbe riuscire meglio nel campo dell'edificazione di un'entità sovranazionale, ove alle difficoltà comunque connesse all'intrusione nella vita economica del privato si sommano la suscettibilità A Parigi il Direttivo del CCRE L'I e 2 dicembre n' è svolto a Parigi il Direttivo del CCRE. Hanno partecipato tutte le Sezioni dei Paesi dell'Unione europea e le delegazioni ceka, finlandese, norvegese, polacca, slovena, svedese, svizzera; era presente anche una delegazione di Israele (ciò era molto importante in quanto collegato con le conclusioni «democratiche)) della seconda Conferenza euroaraba delle Città, che si è svolta a Valencia in settembre) e, invitato, il Presidente della Federazione dei Comuni della Romania, Adrian Moruzi, Sindaco dz Brasov. La delegazione italiana era formata da Amelia Ardias Cortese (Assessore della Regione Campania), Fausta Giani Cecchini (Presidente della Commissione delle elette locali e regionali di tutto il CCRE), Gianfvanco Martini, Fabio Pellegrini, Cesare San Mauro (Presidente della Commissione bilancio del Comune di Roma), Umberto Serafini, e altresi Aurelio Dozio, che è uno dei Revisori dei Conti del CCRE. Ha partecipato ai lavori anche Renato Cigliuti, Capo Gabinetto del Sindaco di Torino. Il Direttivo di Parigi ha designato Gianfranco Martini quale Responsabile politico di tutti i gemellaggi del CCRE. La Cecchini ha illustrato gli intensi lavori della Commissione che presiede, lamentando per altro la insufficientepartecipazione di talune Sezioni nazionali. San Mauro, intervenendo in vari punti ma particolarmente sul bilancio del 1995 in approvazione, ha lamentato da una parte alcunz costi eccessivi della organizzazione, dovuti anche a suo avviso da una non adeguata modernizzazione tecnoloDICEMBRE 1994 gica, mentre dall'altra ha sottolineato la irrinunciabile priorità dei compiti politici di tutto il CCRE. Pellegrini; intervenendo sul bilancio di previsione, pur lamentando aspetti puramente finanziari, che penalizzano ingiustamente le Sezioni di Paesi con moneta pizì debole (malgrado la solidarietà che dovrebbe legare le diverse Sezioni di una organizzazione sovranazionale, indipendente dai governi e quindi anche dalla politica economica dei singoli Stati), ha appoggiato il bilancio in quanto sostanzialmente privilegia una organizzazione e una sede del CCRE volti in primo luogo alla politica e a una politica autonoma, contro proposte di accorpamenti che prevedevano soluzioni burocratiche e tecnocratiche, di puro servizio agli enti associati. Serafini è intervenuto per sottolineare, dopo un documento di stile sindacale. interno e di lavoro che trattava prevalentemente i problemi delle autonomie territoriali nella prospettiva della revirione del Trattato di Maastricht (sul quale si è astenuto), la necersità di un docuO CCRE sulla revisione del mento D O ~ Z ~ Z Cdel 1996, documento la cui redazione dovrà essere affidata a organi politici del CCRE e che dovrà sottolineare soprattutto l'interdipendenza della costruzione federale dell'Unione e del progresso e della garanzia delle libertà locali e regionali. Il Direttivo ha poi accolto con grande soddisfazione la proposta del Sindaco di Torino, portata a Parigi dal suo capo gabinetto Cigliuti, di ospitare una delle grandi manz~estazionieuropee previste dal CCRE per il 1995. dei governi nazionali non sempre e necessariamente immotivata e la possibile, anzi, sempre in agguato, diffidenza del cittadino costretto a «sospettare» due sovrani, di cui uno per di più straniero. Quest'ultimo aspetto della «diffidenza possibile» del cittadino europeo nei confronti di un «sovrano straniero» è pressoché sconosciuto in Italia. Da noi è quasi impossibile trovare un cittadino che non sia teoricamente consenziente al trasferimento di sovranità ad organismi europei. Questo fa degli italiani degli europeisti più convinti e più profondi di altri che questa diffidenza almeno parzialmente nutrono? Dipende. E a mio avviso questo atteggiamento è determinato assai più dalla radicale sfiducia nei confronti di tutto ciò che si compendia nella parola «Stato», propria della nostra Storia e del nostro popolo, di quanto non sia invece ispirato dalla fiducia verso le autorità europee. Questa è un po' la tragedia della nostra Storia nazionale. Si può dire ancora oggi, come scriveva il Manzoni 170 anni orsono, che gli italiani spiano «sull'Alpi l'apparir d'un amico stendardo». Attenti quindi a ritenere che la nostra presunta docilità, tutta verbale, sia poi qualcosa di cui menar vanto. Alla prova dei fatti, poi, l'Italia risulta, fra i paesi della CEE, fra quelli più lenti e restii a dar corso alle direttive comunitarie. Tutte queste considerazioni per arrivare a rilevare come ciò che sembra mancare o quasi nelle considerazioni sull'Europa che c'è e su quella che dovrà esserci, è la consapevolezza, o meglio ancora la messa in valore della ricchezza che ci unisce, questa sì senza opposizioni, agli altri cittadini europei: la comune tradizione culturale. Su questa si versano, è vero, fiumi di retorica per lo più sterile. Ma proviamo a riflettere sul significato delle parole che abbiamo detto: comune vuol dire di ognuno, di ogni europeo dal Capo nord al Capo Passero. Tradizione vuol dire trasmissione, ciò che le famiglie, le formazioni sociali di ogni ordine e g a d o prendendo dal passato e arricchendolo «trasmettono» al futuro. E culturale non significa un banale elenco di grandi europei dal libro di scuola, quasi un elenco dalla A di Alessandro il Grande alla zeta di Emile Zola. No. Cultura, vale a dire civiltà. Civiltà, il complesso dei valori, dei comportamenti, degli usi, dei sentimenti, insomma delle vita. E allora possiamo aggiungere, del tutto laicamente: cultura, vale a dire spirito. E dallo spirito europeo dobbiamo sempre partire nella costruzione dell'unità europea, da quello che non ha bisogno di prendere ognora più «coscienza di se». Bene risponde(segue a pag. l l ) .'Presidente delle Commissioni bilancio e questioni istituzionali del Comune di Roma. COMUNI D'EUROPA i programmi MED-URBS dell' Unione europea Mediterraneo, laboratorio di sviluppo I1 14 e 15 novembre, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio a Roma, si è tenuta la I Conferenza annuale MED-URBS, cui hanno partecipato circa 200 città interessate alla cooperazione decentralizzata tra 1'Unione europea ed i paesi della sponda sud del Mediterraneo. I rapporti tra i paesi del Nord e quelli del Sud del Mediterraneo sono segnati dalla presa di coscienza d'una crescente interdipendenza della società e degli uomini e a vicinanza geografica si è tradotta in un moltiplicarsi di contatti personali ed in una amplificazione del fenomeno migratorio. In questa ottica, la Comunità europea ha deciso, nel 1992, di iniziare una nuova politica di promozione delle reti di cooperazione tra i soggetti dello sviluppo. Conformemente a questa politica, ha scelto di promuovere la cooperazione tra le città e più in generale tra gli enti locali, nel quadro di un programma di cooperazione chiamato MED-URBS, elaborato dalla Direzione generale delle relazioni economiche esterne della Commissione europea. I1 programma MED-URBS si propone di aiutare lo sviluppo socio-economico locale dei Paesi Terzi Mediterranei (nello specifico: Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia, Territori Occupati) suscitando e rinforzando operazioni di cooperazione con le collettività locali della Comunità europea. Per far ciò il programma promuove la creazione di reti mediterranee, lo sviluppo di relazioni contrattuali paritarie, lo scambio ed il trasferimento di esperienze e di conoscenza nel campo della gestione e dello sviluppo urbano. Tre organismi sono implicati nella gestione del programma MED-URBS: 1) la Direzione generale delle relazioni economiche esterne della Commissione europea ( D G I ) , che fissa gli obiettivi e le priorità del programma; 2) l'Agenzia per le reti transmediterranee (ARTM), incaricata degli aspetti contrattuali e finanziari del programma; 3 ) l'ufficio d'assistenza tecnica (BAT), incaricato della gestione e dell'attuazione quotidiana del programma, a sua volta formato da due organismi: il CCRE (Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa) incaricato del coordinamento del programma, e il CUD (Cités Unies Développement) incaricato dell'animazione delle reti. La Conferenza di Roma è stata organizzata appunto da questi organismi, con l'apporto fondamentale della Sezione italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa (AICCRE). L'obiettivo della Conferenza è stato quello di valutare i risultati del programma Med-Urbs. che rientra nella nuova ~olitica mediterranea della Commissione. Questa COMUNI D'EUROPA politica si propone di rafforzare le relazioni dell'unione europea con i suoi «vicini» mediterranei e di favorire lo sviluppo socioeconomico di questi paesi. Nell'in~ora~giare i legami tra le città dell'Unione e quelle dei paesi terzi mediterranei, il programma Med-Urbs si propone di apportare un contributo al processo di riforma in atto nella regione. Durante la conferenza, alcune sessioni di lavoro si sono soffermate sui benefici specifici di questo tipo di cooperazione decentralizzata. La prima, coordinata da Avi Rabinovitch, Direttore generale aggiunto dell'unione degli Enti territoriali d'Israele, e con relatori José Gameiro, Vicesindaco di Lisbona, e Miche1 Bescond, Direttore generale di Città Unite Francia, era rivolta alla gestione delle città, che diventa sempre più complessa e necessita quindi di un'azione strategica. Alcune città hanno già adottato questo tipo di approccio, mentre altre restano ancora indietro. La cooperazione decentralizzata può risultare un modo efficace per trasmettere questo know-how, infatti permette alle collettività locali, a partire da obiettivi comuni, di scambiare informazioni tecniche relative alla gestione municipale e allo sviluppo locale. In materia di gestione delle risorse umane, la cooperazione decentralizzata può aiutare e responsabilizzare gli agenti territoriali, tanto a livello di motivazioni personali che nel contenuto del loro lavoro. Gli obiettivi della cooperazione decentralizzata dovranno essere ben definiti, così come le reciproche intenzioni dei partners; dovrà apportare un valore aggiunto tangibile; si dovrà far conoscere tra i partners della stessa rete e tra le reti della stessa area geografica. Se l'esperienza delle collettività locali in materia di sviluppo locale può essere utilizzata per attività di cooperazione decentralizzata, è ugualmente possibile il processo inverso: le strategie di sviIuppo locale possono essere il frutto della cooperazione decentralizzata. La seconda sessione di lavoro, coordinata da Bernard Bermils, Segretario comunale aggiunto della Città di Charleroi, e con relatori Selahattin Yildirim, Segretario generale della IULA-EMME di Istanbul, e Francis Chouat, Segretario generale aggiunto della Città di Gennevilliers in Francia, ha esaminato la cooperazione decentralizzata finalizzata a modernizzare le strutture amministrative delle città. Questo tipo di cooperazione può facilitare gli scambi di informazioni tecniche rivolte alla gestione interna e allo sviluppo economico locale. Lo scambio tra le varie esperienze ha anche facilitato un ripensamento dei propri metodi di lavoro. Da qualche anno, le scelte da fare per meglio gestire una città sono via via più complesse e necessitano di una migliore chiarezza per una pianificazione più efficace. È sempre più difficile accelerare lo sviluppo di una città senza avere un'idea precisa delle sue potenzialità e del suo divenire. La strategia urbana è un'arte difficile: questo processo innovativo riposa su metodi e tecniche specifici e necessita di un gran volume d'informazioni. A partire da un progetto limitato, centrato su un obiettivo ben preciso, una città impara a lavorare in una rete che attraversa le frontiere: la città non dovrà più limitarsi ad essere ben integrata nel suo interland o nel I1 Sindaco di Roma, Francesco Rutelli, porta il suo saluto alla Conferenza. DICEMBRE 1994 suo paese, ma dovrà trovare il suo posto su un ambiente ben più grande. La cooperazione decentralizzata permette la messa in opera d'una strategia della città. Una terza sessione di lavoro, coordinata da Klaus Klipp, Direttore Amministrativo della Città di Francoforte, e con relatori Patrick Berry, Funzionario delegato delle Lancashire Enterprises nel Regno Unito, Mohamed Brahimi, Direttore degli affari giuridici, degli studi, della documentazione e della cooperazione del Ministero dell'Interno del Marocco, e Michalis Jacovides, Direttore della pianificazione urbana della città di Limassi1 a Cipro, ha trattato infine delle prospettive future dei progetti Med-Urbs: sulla loro continuità, specializzazione ed ampliamento. Come si può passare da un semplice scambio di esperienze a realizzazioni concrete? come ricercare finanziamenti d'investimento rinnovabili? Certe reti di coo~erazionedecentralizzata hanno verificato delle difficoltà a Dassare dal semplice scambio diagnostico allo stadio di realizzazioni concrete come la valorizzazione e la qualificazione delle risorse umane, il rafforzamento delle istituzioni, il miglioramento dei modi di gestione o la realizzazione di progetti concreti di sviluppo. L e reti del P r o g r a m m a MED-URBS possono trovarsi costrette tra due esigenze: il necessario passaggio della loro attività ad una velocità superiore ed il desiderio della Commissione Europea di ripartire il SUO contributo tra un numero crescente di reti. È infine importante che la cooperazione decentralizzata si inserisca, in una maniera o in un'altra, nelle politiche di cooperazione degli stati ai quali appartengono i partners delle reti. La Conferenza era stata aperta dai saluti niente affatto formali del Sindaco di Roma Francesco Rutelli e del Segretario generale dell'AICCRE Gianfranco Martini, seguiti dalla relazione di Maria Paola Piazzardi, della Direzione generale delle relazioni economiche esterne della Commissione europea, che ha tra l'altro illustrato ampiamente le nuove linee di politica mediterranea dell'Unione europea. I1 Consiglio europeo di Corfù del giugno 1994 ed il Consiglio «affari generali» che vi aveva fatto seguito, avevano invitato la Commissione a predisporre degli orientamenti per rinforzare a medio termine la politica mediterranea dell'unione, in favore della pace, della stabilità, della sicurezza e dello sviluppo socio-economico della regione. I1 Consiglio si era ugualmente interrogato sull'eventuale organizzazione di una conferenza euro-mediterranea nel 1995. La Commissione ha risposto positivamente a queste sollecitazioni con un documento teso a contribuire all'alimentazione del dibattito in seno ad una tale conferenza, che fissa i nuovi orientamenti per rinforzare la politica mediterranea. L'obiettivo dovrà essere lo stabilimento d ' u n partenariato euro-mediterraneo. I1 processo inizierà con una liberalizzazione progressiva degli scambi, sostenuta da un aiuto finanziario generoso, per rinforzare i rapporti di cooperazione politica ed economica e sfociare infine in un'associazione il cui contenuto sarii definito in comune ad uno stadio ulteriori:. Nel pomeriggio del primo giorno dei lavori, si è potuto assistere ad una tavola rotonda coordinata dal vicesindaco di Romans (Francia), René-Christian Béraud, che ha visto gli interventi di Marie-José Chéraga, vicesindaco di Le Havre (Francia), di Mostafa Sabik, Vicepresidente della Comunità urbana d i Casablanca ( M a r o c c o ) , d i Sami Menkara, Sindaco di Tripoli (Libano), di Antonis Haggipavlu, sindaco di Limassol (Cipro), di Ahmet Bilgin, sindaco di Diyarbakir (Turchia), e Les Madden in rappresentanza della Città di Portsmouth (Gran Bretagna). La Conferenza si è chiusa con un breve intervento di Chicco Testa, presidente dell'Azienda Comunale Energia ed Ambiente di Roma e della Confederazione italiana dei Servizi pubblici degli Enti locali, che ha ricordato la posizione antica di Roma ed il suo obiettivo odierno di essere un ponte tra le varie città del Mediterraneo. La nostra patria Europa ( s e g u ~do pag. 9) va De Gasperi a chi gli diceva che l'Europa era un bell'ideale per i giovani: «ti sbagli, l'Europa non è un'ideale, è una realtà». S'intende che queste considerazioni non possono esaurire l'argomento. Se si vuole che questa unità spirituale che c'è s'incarni in forme giuridiche e politiche che ancora non ci sono e che devono esserci, sono necessari gli atti concreti, le rinunce di sovranità, la buona volontà concreta dei governi e dei cittadini. Tenendo però sempre presente che non in astratte - queste si! - formulazioni giuridiche o politiche, bensì nel «fare insieme» si pongono davvero le fondamenta dell'edificio unitario. Questa è del resto la lezione della formazione degli Stati nazionali, e analoga deve essere l'opera per la formazione di quello europeo. Alla lunga lo spirito si incarna nell'azione. Deve, anzi, farlo. Ci piace citare a questo proposito un grande europeo, W. Goethe, che fa dire all'inizio del dramma al suo dottore Faust: «In principio era l'azione». È dunque la valorizzazione di quello spirito e u r o p e o - che non ha bisogno di spiegazioni, dalla eredità cristiana all'illuminismo, dalla laicità dello Stato alla democrazia liberale - I1 presupposto e insieme il mezzo della costruzione dell'Europa. La quale deve e può liberarsi, anche, da complessi di rimorsi e inferiorità culturali prima che politiche. Proprio l'orgogliosa rivendicazione delle culture diverse dalla nostra che caratterizza il nostro tempo deve spingerci ad essere ancora più consci della vitalità della nostra. Perché il valore del «diverso» è un concetto della cultura europea. Perché gli strumenti spirituali, morali, tecnici, per una giusta valorizzazione delle culture «altre» sono europei. Perché l'Europa è la madre dei diritti dell'uomo. La nostra Patria Europa. Uno scorcio della Sala della Protomoteca, gremita dai partecipanti alla Conferenza DICEMBRE 1994 COMUNI D'EUROPA i gemellaggi svelano i partners Riflessioni critiche su un'esperienza italo-francese di Mattia Pacilli * Riferirò su un'esperienza particolare, parlando dello stato delle relazioni europee che legano dal 1985 due piccoli comuni dei quali traccio prima di tutto il profilo. Bassiano (I). Un angolo di natura e un brano di Medioevo nel Lazio meridionale (80 chilometri a sud di Roma), in provincia di Latina, nell'area della Comunità Montana dei Monti Lepini. I1 centro urbano sorge su una collina alta metri 562, al centro di un anfiteatro in pietra carsica ricco di vegetazione. Tutto il territorio comunale è circoscritto dai monti, la cui vetta più alta raggiunge i 1500 metri. La cinta delle mura merlate delimita la cittadella fortificata e racchiude le antiche case; molte di esse conservano la linea slanciata delle torri di guardia. Gli abitanti sono 1600: pochi si occupano di agricoltura, di pastorizia e di artigianato, mentre la maggior parte lavora nelle industrie della pianura sottostante. Prodotti tipici sono le olive, le castagne e il prosciutto. In estate Bassiano accoglie un discreto numero di turisti. Pont-en-Royans (F). I1 villaggio si trova alla confluenza di due strade pittoresche dell'antico Delfinato; il suo territorio, colloqato tra le città di Grenoble e Valence, è totalmente compreso nel Parco Naturale Regionale del Vercors. I1 centro storico accoglie i visitatori con lo spettacolo delle case sospese alle falesie strapiombanti sul fiume che attraversa l'abitato, e con il fascino dei vecchi quartieri dalle stradine piene di fiori. A partire dal Medioevo il castello venne a lungo conteso, perché il suo ponte consentiva il passaggio verso la Provenza e l'Italia. Oggi Pont-en-Royans comprende 1200 abitanti attivi in gran parte nel commercio, nell'artigianato del legno e nelle industrie di accessori elettrici; importante il dinamismo delle attività di ristoro e di quelle alberghiere, trovandosi il villaggio lungo una delle direttrici delle piste da sci. Affinità urbanistiche, demografiche ed economiche hanno determinato i due comuni a stabilire relazioni permanenti di fraternità e cooperazione, con l'intento di dare un contributo concreto alla costruzione dell'unione europea. I primi cinque anni di scambio sono stati segnati da esperienze forti e strutturate, rese possibili dall'intesa operativa tra i dile Comitati di gemellaggio e dalla convinta partecipazione di consiglieri comunali, componenti di associazioni culturali e del tempo libero, ragazzi delle scuole, giovani, 'Coordinatore delle attività di gemeiiaggio e direttore della Casa d'Europa di Bassiano. COMUNI D'EUROPA adulti e anziani. Un percorso che 1'AICCRE ha definito «esemplare», apprezzandone il respiro corale assicurato dalla partecipazione di tutti i cittadini. Lo dimostra l'opuscolo pubblicato in occasione del 5" anniversario del gemellaggio intitolato «Bassiano (I) - Pont-en-Royans (F):insieme per costruire l'Europa»; e il bilancio delle iniziative realizzate nell'awicendarsi delle stagioni; è il succedersi delle tappe nelle quali possono ritrovarsi molti tra i comuni fratelli in Europa, grazie all'intuizione di Jean Bareth ideatore del metodo dei gemellaggi all'interno dell'allora Consiglio dei Comuni d'Europa (CCE). Le difficoltà di mantenere l'andatura e il ritmo assunti nel primo quinquennio si sono affacciate, subito dopo, a Bassiano co- Lepini e quelli francesi associati nel Parco del Vercors. Ma la strada si è rivelata non percorribile, in quanto l'Ente francese aveva già stabilito rapporti con un organismo sovracomunale italiano nella regione Lombardia. Permane da allora la convinzione che l'economia costituisce un elemento decisivo per dare stabilità e impulso all'insieme delle relazioni. Oggi è necessario trovare il modo giusto di reagire alla ripetizione dei gesti e delle parole, che spesso caratterizza il rapporto interpersonale nelle coppie di sposi (se è lecito continuare il paragone con la situazione matrimoniale): superando con decisione la stanchezza e la noia prima che diventino croniche. Intendiamoci, non che non sia awenuto Incunabolo stampato a Venezia nel 1497 da Aldo Manuzio (1447-1515),che ebbe i suoi natali ~ r o p r i oa Bassiano me a Pont. Probabilmente la trepidazione del fidanzamento e la lunga gioia della luna di miele stavano esaurendo il loro effetto trascinante; e forse l'entusiasmo per la reciproca scoperta stava venendo meno: infatti due piccole realtà fanno presto a scambiarsi tutto o quasi. Anche se il punto debole resta il fatto che l'economia non è entrata veramente in gioco; i timidi tentativi di esposizione dei rispettivi prodotti, nel corso di sagre e di fiere, non potevano determinare l'apertura dei mercati. Scoperti i limiti, si è sperato molto nel grande gemellaggio tra i comuni italiani riuniti nella Comunità Montana dei Monti più niente di interessante, dall'inizio della crisi; è mancata piuttosto la continuità delle iniziative e il riconoscersi in esse della generalità dei cittadini, protagonisti assoluti dei gemellaggi; perché le attività si sono in qualche modo autolimitate (gruppi giovanili, classi scolastiche, club della terza età, nuclei familiari) senza il necessario raccordo. Al punto che i partners sembrano ripiegati su se stessi, come se avessero perso di vista in qualche modo il quadro di riferimento culturale e politico: il gemellaggio non è fine a se stesso ma è funzionale alla costruzione dell'Europa e all'affer(segue B p ~ g 14) . DICEMBRE 1994 basta con questa vergogna! Sarajevo, cuore d'Europa di Antonio Russo * L'iniziativa di Café Europa è stata lanciata dalla Gioventù federalista europea (JEF) durante il Summer Camp tenutosi nel luglio scorso a Trieste. Il suo scopo è quello di portare aiuti umanitari alla città di Sarajevo e collaborare alla ricostruzione della biblioteca. I componenti del gruppo di rappresentanza era composto da: Ugo Ferruta (Vicepresidente della JEF), Richard Laming (expresidente JEF inglese), Carsten Wieland (presidente JEF tedesca), Martin Grozny (presidente JEF slovena), Antonio Russo (membro JEF Roma e coordinatore progetto Sarajevo). Inoltre due delegati del consolato in Italia della Bosnia-Herzegovina, Adnan Kemura e Edina Advispahic. L'idea del federalismo quale migliore prospettiva per la soluzione della sanguinosa guerra jugoslava è stato I'asse portante del messaggio di pace e tolleranza che abbiamo consegnato ai vari politici a Sarajevo. Fondamentale è stata la collaborazione a questo progetto del Movimento federalista europeo e delI'AICCRE sia nel supporto tecnico che nei consigli politici. «Dio dei cieli che regni su di noi e che tutto conosci, per carità volgi il tuo sguardo su questa montagnosa terra di Bosnia e su di noi che ha partorito e che mangiamo il suo pane. Dacci ciò che giorno e notte, ognuno a suo modo, ti chiediamo: dona la pace ai nostri cuori e I'armonia alle nostre città. Basta con il sangue e con i fuochi di guerra. Del pane della pace abbiamo bisogno»! (I. Andric, Nella via di Danilo Ilic, Sarajevo, 1926) passato. Muri di sacchetti di protezione fasciano la pista di atterraggio dove dei caschi blu ci attendono per accompagnarci a Sarajevo. Ci troviamo in una piana brulla completamente allo scoperto, appetibili prede del cecchinaggio continuo a cui è sottoposto l'aeroporto. Ad esclusione del rumore degli atterraggi e dei decolli dei cargo, l'aeroporto è immerso in un silenzio surreale dove lo stesso muoversi delle persone sembra un non senso. I1 gracchiare dei corvi chiosa il crepiti0 dei colpi sparati chi sa da chi e per chi. Terminate le operazioni di controllo insieme a giornalisti in cerca di chissà quali notizie, ci avviamo verso il mezzo blindato che ci porterà a Sarajevo. Saliamo sul blindato scortati da quattro caschi blu egiziani, la cui scanzonata allegria non riesce a nascondere nei loro occhi quel senso di frustrazione ed impotenza di fronte a ciò che hanno visto e che vedono. Uno di loro mi dice che dalla popolazione sono ben visti e che per parte sua cerca di aiutarli perché sono fratelli mussulmani. Ci allontaniamo dall'aeroporto e, mentre dietro il gomito di un posticcio terrapieno protettivo questo scompare, ripenso al nome datogli «Maybe» (forse). Angosciante allusione, crudele ironia che solo la tragedia sa coniare. In esso si riassume il distillato della disperazione di una prigionia, la cosciente attesa di un'agonia senza fine e la quotidiana sorpresa di una morte in agguato ad ogni angolo della città. La morte si è tramutata da cinica compagna della vita a protagonista dell'ironia del tragico. Per raggiungere il centro della città passiamo per la periferia, in gran parte sotto il controllo serbo. La de- I1 rombo frastornante dell'aereo ci awerte che stiamo per atterrare all'aeroporto di Sarajevo. Dall'oblò scorgo gli ultimi squarci di un paesaggio di rara bellezza. llistese di boschi saettanti dei colori caldi dell'autunno sembrano proteggere e nascondere le asperità dei monti della Bosnia. Miriadi di piccoli villaggi si distendono per inaccessibili valli, teneramente protetti dai cinti montuosi. Lungo i pendii e le piccole distese pianeggianti si interseca un dedalo di strade bianche quasi dissonanza in un paesaggio solenne nel suo isolamento rassicurante. In seguito vengo a sapere che in realtà sono dei tracciati di guerra. Prima sommessa allusione a quello che ci aspetterà. 11 rollio dei motori e i lievi scossoni sono il segnale che abbiamo toccato terra. I1 portellone del cargo militare UNPROFOR dischiude il suo ventre consegnandoci alla presenza di un aeroporto ombra del suo " Dirigente della JEF. DICEMBRE 1994 Koslevo, il cimitero storico di Sarajevo solazione è totale, palazzi completamente ridisegnati da rose di proiettili e ferite di granate, ossessivi nel loro mutismo, desolati nella loro mortificazione. Un paesaggio lunare dove, al rumore del nostro passaggio, quasi dal nulla frotte di bambini corrono all'impazzata verso il nostro autoblindo speranzosi di trovarvi qualche dono o chissà.. . Bambini, dimessi, infreddoliti, ma decisi nella tracotanza della sfida a raggiungere l'autoblindo per primi nella speranza di ricevere più benefici da scambiare poi con chi non ce la ha fatta. Si arrampicano sull'autoblindo a dispetto dei caschi blu che cercano di allontanarli dal pericolo di questo gioco lanciando cioccolate o quant'altro. Arrivati in città la nostra delegazione della JEF-Europa, capeggiata dal Vice-presidente Ugo Ferruta, discute sulla organizzazione degli incontri che si terranno il giorno dopo, il 9 novembre, presso il Palazzo Presidenziale. La nostra missione di pace e solidarietà «Caffè Europa» viene accolta dal Presidente M. Pejanovic, di nazionalità serba e Presidente del corpo Serbo cittadino, insieme a M. Selimovic segretario dell'ufficio relazioni internazionali del Parlamento, e al Signor Tokic Vice-presidente del partito socialdemocratico. Segue la presentazione della nostra iniziativa in coincidenza con la commemorazione della caduta del muro di Berlino, awenuta proprio il 9 novembre di cinque anni fa, per una soluzione pacifica della guerra in exYugoslavia; iniziativa da noi esposta in un piano di dieci punti. In essa, in complesso, si sottolinea che l'idea di una convivenza fra i popoli e le minoranze non può basarsi sulla identificazione normalizzatrice della Nazione-Stato. È solo nel iafforzamento delle istituzioni democratiche e nella accettazione di un ruolo più decisivo da parte dell'Europa nei confronti dei paesi ,dell'Est, nei termini di una federazione allargata, che si può garantire il mantenimento della pace e della reciproca convivenza. I1 Signor Pejanovic e gli altri membri si mostrano interessati a dette proposte, anche se più volte ci ricordano quanto poco l'Europa abbia fatto per loro. Insomma una domanda velata sul perché l'Europa non riesca a dare credito al Governo della Bosnia-Herzegovina nel suo sforzo di voler mantenere e rappresentare il suo status multietnico a fronte di un tentativo di negazione dello stesso da parte serba. Pejanovic tiene a precisare che proprio nei giorni in cui siamo in visita a Sarajevo, nel Parlamento si sta discutendo su che basi istituire la federazione della Bosnia con 1'Herzegovina. Di estremo inte- dei pochi edifici quasi intatti, mi tornano in mente i volti di coloro che abbiamo incontrato. Volti tirati dal nervosismo celato da una compostezza formale tipica di queste situazioni, sguardi irrequieti, mobilissimi da cui sembra balenare di tanto in tanto una specie di incredulità. Stanchezza forse di un destino che non sembra aver fine. Alcuni addetti del governo ci accompagnano a visitare la città. Montiamo sulle macchine che ci aspettano per portarci nei luoghi più significativi. E impressionante vedere la cancrena di una città chiusa da tre anni di assedio. In molti punti sono sorti cimiteri mussulmani per seppellire i morti del giornaliero stillicidio. Steli lignee appena sgrossate, tumuli di terra a ricordo di corpi molti dei quali non hanno assaporato la storia della vita, fugaci visite di congiunti nel timore di poter essere colpiti. Anche la memoria dei propri cari deve esser cancellata. Edina si lascia andare ad tranquillità della fede. Parlando con un anziano, questi fa osservare che prima della guerra non era così. Forse il sovrannaturale rivendica il suo diritto sull'irrazionale del naturale. «Del pane della pace abbia¤ mo bisogno». Riflessioni critiche.. . (segue da pag. 12) mazione di relazioni pacifiche tra i popoli del mondo; e una volta messo in piedi diventa un criterio di valutazione al quale non possono sottrarsi le comunità coinvolte: nel senso che rivela i partners a se stessi in termini di crescita, di stasi o di regressione. Perciò se la relazione bipolare segna il passo, è urgente passare a quella trilaterale o ancora meglio stellare, aprendo il rapporto ad altri partners: per condividere con loro le fatiche, le gioie, gli scacchi e le vittorie che il disegno di unificazione europea contiene, raccogliendone pienamente le contraddizioni e le sfide. Si pensava alla Spagna parlando di recente con gli amici francesi; perché non anche all'olanda? Sarebbe gradita una reazione al riguardo da parte della Sezione CCRE dei Paesi Bassi. D'altra parte la tendenza all'apertura è incoraggiata dall'attività di informazione e formazione sovranazionale Dromossa ~ e r i o d i c a m e n t e ,a Bassiano, dalla Casa d'Europa (centro di preparazione ai rapporti interculturali). I seminari, realizzati con l'approvazione delle FIME (Féderation Internationale Maisons de 1'Europe) e con il sostegno - della Commissione europea, interessano giovani e adulti provenienti da varie regioni del continente. Nel lavoro condiviso e nella vita in comune essi scoprono che le diverse identità - di cui sono portatori e gelosi custodi - diventano compatibili, determinando la nascita e lo sviluppo graduale della consapevolezza europea: si allenano così ad essere cittadini del proprio villaggio, dell'Europa e del mondo Anche di questa acquisizione può giovarsi il gemellaggio tra Bassiano e Pont-enRoyans, per ritrovare lo slancio alla vigilia della celebrazione del decimo anniversario. Tanto ~ i che ù l'avvio della Casa d'Europa è derivato, alla fine degli anni Ottanta, proprio dalla collaborazione tra animatori culturali di Bassiano e di Pont collaudata nell'ambito degli scambi intercomunali. Successivamente la stessa Casa ha potenziato il metodo di lavoro e vivacizzato le strategie educative, grazie al contributo di responsabili di gruppo e giovani provenienti da paesi che vanno ben oltre i Dodici: orizzonte che i Comuni europei legati da vincoli stabili di fraternità e collaborazione (o che si preparano ad avere relazioni del genere), non possono ignorare se vogliono essere all'altezza del momento storico. m A Sarajevo, scene di quotidiana follia: cinque bambini giacciono sotto lo sguardo di un padre smarrito resse è dunque apparsa loro la nostra presenza in qualità di delegati di una organizzazione federalista europea. I1 Vice-presidente del partito social-democratico Tokic rileva che uno dei più difficili problemi per lo stato della BosniaHerzegovina è il riportare l'equilibrio tra le varie compqnenti etniche del paese e, a livello parlamentare, riuscire a produrre leggi e politiche di pari opportunità per tutte le minoranze etniche. Inoltre, secondo Tokic, il coordinamento di politiche sociali con le istituzioni della Federazione risulta essere uno dei punti in discussione più a r d u i per il Parlamento. Alla fine dell'incontro si è avuta una conferenza stampa dove abbiamo presentato l'iniziativa di solidarietà «Caffè Europa». Uscendo dal palazzo del governo, uno una crisi di pianto. Erano tre anni che non tornava a Sarajevo. Vedere quelle steli disseminate un po' dappertutto per la città lascia attoniti. Ricordo le parole che il direttore generale dell'ospedale di Sarajevo, Faruk Konjhodzic, disse a proposito della sua città: «Voi dovete pensare che è come se si vivesse in un lager: gli stress, le nevrosi, le turbe psichiche sono all'ordine del giorno per giovani, anziani, bambini: è la sindrome del Vietnam». Visitiamo una delle moschee più antiche: è l'ora della preghiera vespertina. I1 grande cortile (sahn) che circonda la moschea si riempie sempre più di uomini: il muezzin richiama i fedeli dai gracchianti megafoni del Minareto. Mi meraviglio nel vedere quanti giovani accorrano per la preghiera e come dai loro volti traspaia la DICEMBRE 1994 L'anima (segue da pag. 2) neta unica, l'autentica moneta unica, cioè allora la spada e ora la borsa -) è una corbelleria: la battaglia andava e va portata a livello popolare, senza l'appoggio del quale la diplomazia fa, prima o poi, un buco nell'acqua (naturalmente la corbelleria è stata ancora più grossa quando perfino qualcuno dei federalisti d'appellation controlée non solo ha pensato di vincere su alcuni punti decisivi senza la mobilitazione del consenso popolare, ma addirittura nella distrazione delle fazioni awerse delle classi politiche nazionali). Quindi pieno accordo sulla premessa di Manzella: il quale poi offre il rimedio. I1 rimedio sarebbe di riconquistare il consenso spostando la ricerca costituzionale europea «dalla sovranità alla cittadinanza». E prosegue: «Una rivoluzione copernicana si prepara sotto i nostri occhi: se prima al centro dell'idea della costruzione europea vi era lo stato nazionale e la sua eutanasia, ora vi debbono essere il cittadino europeo e la copertura del vuoto che si è creato tra i soggetti individuali e le istituzioni comunitarie». Dunque il consenso o addirittura l'amore per la «patria europea» si riconquista con una «cittadinanza politica attiva», con decisioni più vicine al cittadino e attraverso i livelli dell'autonomia territoriale «a misura d'uomo», come si diceva un tempo: partecipazione, centralità del cittadino elettore, eccetera. Manzella usa una espressione, che è addirittura di Jean Bareth, uno dei promotori del CCRE: «dal Comune all'Europa». Poi dà varie spiegazioni: alla base ci possono essere rappresentanti popolari legati, parlando d'Europa, alla loro città e alla loro regione; uno strumento efficace potrà essere il Comitato delle Regioni e dei Poteri locali, instaurato dal Trattato di Maastricht; l'interesse comune europeo si potrà perseguire anche per via regionale; la base, i cittadini, di cui si richiama l'interesse, dovrà e potrà essere coinvolta in un processo federativo generale (gli si dà la concreta partecipazione e il cittadino si lascerà attirare di nuovo alla costruzione dell'Europa federata - viene a noi di domandarci -? sarà preso dalla gioia per la partecipazione e la rinnovata scoperta di un processo democratico?). Manzella fa anche, en passant, acute critiche alla realtà attuale del Comitato delle Regioni, meno rappresentativo di quanto si possa desiderare, anzi fa una denuncia assai acuta, per quanto se ne può dedurre: «Ha un pò stupito.. . che l'articolo 42 del regolamento appena approvato dal Comitato delle Regioni prevede.. . la trasmissione di pareri al Consiglio e alla Commissione e non invece al Parlamento Europeo, che viene escluso»; ciò dopo l'offerta del Parlamento Europeo di un «contratto di lavoro comune». Se ne deduce (anche per altri motivi, che per brevità omettiamo) che l'attuale Comitato delle Regioni, il novellino, tende a diventare una terza Camera e non l'elemento di contatto diretto, continuativo, con la cittadinanza, ad adiuvandum del Parlamento Europeo, che - si ricordi - è eletto direttamente dal popolo, su scala europea: i membri del Comitato delle Regioni si sono subito montata la testa, hanno trovato - potenziali uomini politici rimasti un pò in ombra chissà DICEMBRE 1994 quanto tempo - una strada impensata per partecipare alla grande politica, etichettati addirittura come «europei», anche se i più non erano stati fino ad ora interessati al processo di unità europea e, quel che è peggio per la tesi di Manzella, non saranno probabilmente in ansia per realizzare, giorno per giorno, la partecipazione - in tutte le città? in tutte le regioni? - dei cittadini al processo federativo generale. In conclusione -- a parte queste riserve sul modo di ottenere la partecipazione - andiamo all'osso del rimedio di Manzella: l'amore per la democrazia partecipata, e quindi anche per la democrazia europea, riconquisterebbe il consenso popolare all'Europa e alla sua Unione. Tanto di cappello allo schema d i Manzella: che diremmo per altro che ci appare necessario, ma non sufficiente, perchè non è sempre automaticamente vero che, in un processo federativo, una ciliegia tiri l'altra. Affermare la democrazia in astratto non basta; offrire la partecipazione concreta ai cittadini non basta: ci si può arrestare, senza elevarsi, a un populismo egoistico di base, privo di ideali e di obiettivi adeguati a quel che e la ricordata angoscia per il futuro - non il piccolo futuro familiare e corporativo -. Invece di elevarsi ci si può rinchiudere, a piacere, nella nazione, nella regione o - stiamo attenti - nello sfogo irrazionale della violenza. Vorrei richiamare a questo punto la grande intuizione di Carlo Rosselli negli anni trenta. Agli antifascisti, bravissima gente, che offrivano il «metodo democratico» come obiettivo per indurre a rovesciare il fascismo, Rosselli osservava che un «metodo» non ha mai vinto una battaglia: offriamo un grande obiettivo concreto nello spazio e nel tempo, che trascina con sè anche la democrazia - diceva Rosselli -, chiediamo gli Stati Uniti d'Europa e battiamoci per una Assemblea costituente antifascista europea. Insomma bisogna offrire un preciso, grande traguardo. L'Europa in costruzione - è qui che volevamo arrivare non offre oggi alla gente, ai giovani in particolare, nessuna attrazione morale, suscita per lo più disprezzo e disgusto: se è per questo che alla fin fine ci si deve impegnare democraticamente, non solo non ne vale la pena, ma forse è anche un mescolarsi opportunistico a un «comitato d'affari» assai losco. L'Europa che ha affrontato la tragedia iugoslava - lo sfasciarsi di un accordo strategico fra gli slavi del Sud - secondo contrastanti logiche nazionali, e poi piagnucola, mostrando di non essere un Soggetto politico, di fronte alla Bosnia; l'Europa che non collega i problemi del suo «terzo» di miserabili con l'intervento reale a favore del Quarto Mondo e di un nuovo ordine economico-sociale planetario; l'Europa (quella «piccola») che non sa parlare politicamente alla sua parte orientale ex-comunista e non riesce che a selezionare i Paesi, che si sono «liberati» dall'egemonia sovietica, per ammetterli al proprio banchetto consumista, magari con le idee d i Milton Friedman; l'Europa che ha paura del fondamentalismo musulmano, ma non ne affronta le cause: una Europa vile, senza idee - anche culturalmente arretrata -, coacervo di interessi particolari e senza capacità di affrontare le piaghe del mondo. Questa Europa del «desencanto» ha tradito e tradisce un ideale «unire l'Europa per unire il mondo», pace libertà giustizia planetarie - che ne poteva e ancora ne può evitare la frantumazione definitiva. La linea di Manzella - che riproduce istanze tradizionali del CCRE - va benissimo: ma guai a non darle un'anima. Per salire la scala verso il sovranazionale bisogna già avere in corpo la rivoluzione morale e culturale quando si guarda il proprio campanile. Partecipare perchè? l'Europa per che fare? L'inaffidabilità di questa Europa ha creato il disamore per l'Europa: nazionalismo, etnicismo esasperato, razzismo sono effetto in buona parte di una carenza di un ideale superiore, nello stesso tempo utopico e concreto; così come dell'allontanamento dalla politica di tanti uomini e donne, di tanti giovani (una maggioranza?), verso obiettivi umani nobilissimi, ma settoriali, dall'assistenza volontaria ai vecchi alle missioni sanitarie nell'Africa «ab- fl% CITTA' DI ADRIA %@&Coinitato ? per i Cemellaggi Si è svolto ad Adria, in provincia di Rovigo, dal 23 al 25 settembre 1994 un incontro ufficiale tra le delegazioni e i cittadini dei paesi gemellati e amici. I partners di Adria sono Città che fanno parte dell' Unione europea ma anche di quell'area dell'Europa centrale che, dopo i grandi mutamenti del 1989, è ancora impegnata in un faticoso, ma indispensabile sforzo di consolidamento delle libertà e delle istituzioni democratiche e nella conversione all'economia di mercato. COMUNI D'EUROPA bandonata»: il resto della popolazione si arrabatta nel quieto vivere, nel corporativismo, nella «carriera» (come non avvedersi di quei giovani, è01 look manageriale e il cravattino, spesso poliglotti, che amano le istituzioni europee - ma non l'Europa - perchè offrono buoni posti con allettanti stipendi?). È tempo dunque - lo diciamo da un pezzo - di formare un «fronte democratico europeo», ma con un'anima, con amore e insieme con intransigenza e con fame di cultura, la cultura che affronti insieme i micro e i macroproblemi. I1 problema dei problemi, tuttavia, rimane sempre lì: procedere nel federalismo ma per cambiare il mondo. Siamo pronti? u. S. "Vuoi O non vuoi?" (segue dzz p a g 2) no di uno Stato federale europeo» - Mario Monti, Monika Wulf-Mathies, Karel Van Miert, Franz Fischler, Christos Papoutsis, Edith Cresson, Emma Bonino), si è contrapposta la «prudenza» istituzionale di ben cinque commissari (Yves-Thibault de Silguy, Ekki Liikanen, Ritt Bjerregaard, Padraig Flynn, Anita Gradin), mentre gli altri commissari (Hans Van Den Broek, Leon Brittan, Joao De Deus Pinheiro, Nei1 Kinnock) sono usciti dalle audizioni con un «non-classificato» sulla revisione del 1996, o perché hanno dribblato il tema o perché non sono stati interrogati sull'argomento dai deputati europei. Nell'ambito del Consiglio, i governi francese e tedesco avevano inizialmente manifestato la volontà di coordinare l'azione di quattro presidenze «forti»: quella tedesca (luglio-dicembre 1994), francese (gennaiogiugno 1995), spagnola (luglio-dicembre 1995) ed italiana (gennaio-giugno 1996), ma le scadenze elettorali interne in Germania (ottobre 1994) e Francia (aprile-maggio per le presidenziali e giugno per le comunali) e le irrisolte cristi di governabilità interna (Italia e Spagna, ambedue alla vigilia di probabili elezioni politiche anticipate) hanno impedito questo coordinamento ed è ormai sicuro che le prime riflessioni multilaterali si svolgeranno all'interno del gruppo di riflessione, i cui lavori inizieranno il 2 giugno 1995 per concludersi alla vigilia del Consiglio europeo di dicembre destinato - per ora - a ~ r o c e d e r ealla convocazione della conferenza intergovernativa. A pochi giorni dall'inizio dei lavori del gruppo di riflessione, il Consiglio europeo di Cannes (26-27 giugno) esaminerà lo stato delle discussioni sulle prospettive di adesione dei paesi dell'Europa centrale, prospettive destinate a giocare un'indubbia influenza sulla revisione del 1996. La struttura interna di questo gruppo di riflessione si precisa nel frattempo sulla base delle nomine effettuate dal Parlamento europeo e dai governi nazionali: accanto ai deputati europei Elisabeth Guigou e Elmar Brok (quest'ultimo «suggerito» personalmente da Kohl e membro del gruppo di lavoro sulla revisione del 1996 costituito dal Movimento Europeo Internazionale), vi saranno certamente molti politici e pochi rappresentanti delle amministrazioni nazionali, se si considera che il governo tedesco ha scelto il segretario agli affari esteri Werner Hoyer, già segretario generale della FDP, ed i greci il deputato europeo Kranidiotis, già segretario di stato agli affari europei. I1 Comitato delle Regioni ed il Comitato Economico e Sociale hanno affidato ai rispettivi presidenti Blanc e Ferrer (quest'ultimo è vice~residentedel Movimento europeo internazionale) il compito di presiedere due distinti gruppi di lavoro sul 1996, la cui prima scadenza sarà l'elaborazione di rapporti per il gruppo di riflessione. La Confederazione Europea dei Sindacati sta preparando un suo «manifesto» per il 1996. che sarà esaminato dal Comitato Esecutivo il 6 aprile in vista del Congresso europeo che si svolgerà a Bruxelles dal 9 al 13 maggio. I Parlamenti nazionali dei Quindici tenteranno di coordinare le loro rispettive posizioni prima nella riunione degli organi specializzati negli affari comunitari (in gergo comunitario: COSAC, che si svolgerà a Parigi il 27 e 28 febbraio) e poi nell'incontro dei presidenti delle Assemblee, previsto a Londra il 12 maggio in occasionale contemporanea con l'adozione di un «manifesto europeo contro l'esclusione sociale», promosso da Jacques Delors insieme ai più autorevoli industriali euroiJei. Infine, le organizzazioni europeiste stanno mettendo a punto la loro strategia e talvolta la l o r o s t r u t t u r a i n t e r n a in vista dell'appuntamento del 1996. I1 Movimento Europeo Internazionale, dopo il comitato esecutivo del 27-28 gennaio a Bruxelles interamente consacrato alla riflessione strate- mensile deli' AICCRE Direttore responsabile: Utnberto Serafini Condirettore: Maria Teresa Coppo Gavazzi Redazione: iclario iclarsala Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma tel. 69940461-2 -3-4-5, fax 6793275 Questo numero è stato finito di stampare nel mese di febbraio 1995 ISSN 0010-4973 Abbonamento annuo per la Comunità europea, inclusa i'Italia L. 30.000 Estero L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. i.OOO.OOO - gica, si prepara all'impegnativa scadenza del Consiglio federale, chiamato ad eleggere il nuovo iJresidente - in sostituzione di Valery Giscard d'Estaing - ed il nuovo segretario generale - in sostituzione di Giampiero Orsello - ed a modificare il proprio statuto interno. Nel frattempo alcune importanti sezioni nazionali hanno portato alla presidenza autorevoli personalità, come Giorgio Napolitano in Italia, Rita Sussmuth in Germania, Edward Heath nel Regno Unito e Willy De Clercq in Belgio. L'Unione Europea dei Federalisti, dopo il Congresso di Bocholt dell'autunno 1994, riunirà il Comitato federale a Bruxelles 1'8 e 9 aprile, mentre in Italia si preannunciano i congressi nazionali del Movimento Federalista Europeo (Sabaudia, 23-25 aprile) e della Gioventù Federalista Europea (Saint Vincent, 17-19 marzo). A Bruxelles si è costituita l'associazione internazionale «Club Crocodile per l'Unione europea", che ha ripreso la denominazione ufficiale del Club fondato da Spinelli il 9 luglio 1980 ed ha assunto l'obiettivo di rilanciare la diffusione della rivista «Crocodile: lettera ai Parlamenti d'Europa». I1 CCRE ha per ora approvato soltanto un documento di lavoro sul d o ~ oMaastric h t , d o c u m e n t o piuttosto limitato agli aspetti corporativi o sindacali che interessano il CCRE stesso. Si sta formando un Comitato politico che preparerà nel più breve tempo possibile una bozza di progetto politico, il quale sarà sottoposto ad un organo ~ o l i t i c ostatutario. I1 documento dovrà rispettare le conclusioni dei recenti Stati generali di Strasburgo (ottobre 19931, fortemente critiche dell'Europa intergovernativa. m Un dovere Abbonarsi a «Comuni d'Europa» è un dovere individuale per tutti gli amici e i colleghi. Per gli Enti è un dovere abbonare tutti i loro consiglieri eletti. Da questi impegni, in realtà, si verifica la coerenza dell'impegno europeo e federalista: questo impegno «Comuni d'Europa», che si stampa col prossimo '95 da 43 anni, lo merita. Lo meritano la sua capacità di informare, la spregiudicatezza dei suoi giudizi, la cultura dei suoi collaboratori, la sua coerenza federalista. Una copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000) I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 300.008 intestato: AICCFE c/o Istituto bancario San Paolo di Torino sede di Roma. Via della Stamperia, 64 - 00187 Roma, specificando la causale del versamento; 2) sul c.c.p. n. 38276002 intestato a "Comunt d'EuropaJ',piazza di Srevi, 86-00187 Roma: 3) a niezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a: AICCFE, specificando la causale del versamento. Aut. Trib. di Roma n. 4696 de11'11-6-1955 Arti Grafiche Rugantino s.r.l., Roma, Via Spoleto, 1 Fotocomposizione: Graphic Art 6 s.r.l.,Roma, Via Ludovico Muratori 11/13 Associato all'USPI - Unione Stampa periodica italiana DICEMBRE 1994