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-
ANNO XLII N. 12
DICEMBRE 1994
MENSILE DELL'AICCRE
ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI
dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale
L'anima
L'idea forza
$ Fare l'Europa è il grande obiettivo positivo che deve essere popolarizzato fra le masse: <<...prospettare
.a,
5
%
sin da ora la convocazione di un7Assemblea europea, composta di delegati eletti dai popoli, che in assoIuta parità di diritti e di doveri elabori la prima Costituzione federale europea, nomini il primo Governo
europeo, fissi i principi fondamentali della convivenza europea Armati di questa formidabile idea-forza ( i governi) solleverebbero un70ndatadi entusiasmo religioso in Europa spezzando i1 plumbeo blocco dell'opinione totalitaria dei paesi fascisti» ( Carlo Rosselli 1935
...
...
Due fatti europei abitualmente non sono
messi, come si dovrebbe, in correlazione (o,
meglio, sono messi talvolta in correlazione
sbagliata, nel senso che il primo è considerato
in qualche modo la causa del secondo, mentre
noi sosteniamo che è il secondo la causa del
primo): uno di questi fatti è l'accentuazione
del nazionalismo o addirittura del patriottismo etnico - anticamera del razzismo - e
l'altro il ridotto interesse, specie tra i giovani,
per l'unità europea.
Diciamolo: viviamo in una società umana
in continua e rapida trasformazione, ma insisteremo particolarmente su quella europea,
anzi europea occidentale, opulenta e comunque consumatrice, con poche altre contrade
- si tratta dei Paesi i cui governi si sono incontrati a Napoli recentemente -, di una
parte preponderante delle ricchezze della
Terra e con queste pervenuta - talvolta con
poco merito: imperialismo, scambio ineguale,
colonialismo - ad acquisire i mezzi per sfruttarle al meglio e ad aumentare, sovente in forma esponenziale, il distacco da un Quarto
mondo povero, spesso superpopolato, origine
di una immigrazione pesante e, forse, nel giro
di pochi anni strabocchevole - centinaia di
milioni di persone - e irresistibile. In questa
Europa sembra confermata la teoria della «società dei due terzi»: cioè nei Paesi opulenti, a
industrializzazione più che avanzata, dove si
afferma sempre maggiormente l'egemonia
tecnetronica, due terzi dei cittadini godono e
un terzo vive più o meno la vita del Quarto
Mondo, molti vecchi abbandonati e milioni di
giovani disoccupati e disperati, quasi come gli
elementi emarginati e dimenticati dei Paesi
dei musulmani, che sono, per forza di cose,
divenuti «fondamentalisti». Ma chi si fermasse qui sbaglierebbe. In realtà tutti, ricchi e poveri, hanno cominciato a guardare la fine del
mondo umano - ecco il regalo permanente
della bomba atomica - con una accresciuta
memoria circa la fine de' mondo dei dinosa'r i La guerra fredda ha
questo terrore. ha spostato l'attenzione altrove, a una emergenza che Poneva tutte le cure
a rassodare l'equilibrio del terrore. Caduto il
muro di Berlino. è ritornato il terroce nella
sua immediatezza, di fronte a un universo
pluralista aperto all'anarchia totale, incommensurabile, e con la presenza della bomba e
di tutti gli altri strumenti paurosi di distruzione - nel'imporenza dell'ONU (che si è rivelata quel che i federalisti previdero subito dopo Hiroshima, una pallida copia della Società
delle Nazioni) -, strumenti paurosi aila portata di tutti, che campeggiano sullo scenarib e
rendono ormai ogni guerra locale la possibile
miccia del conflitto che ci potrebbe condurre,
appunto, alla fine dei dinosauri. Ma non basta
ancora.
L'incredibile progresso tecnologico non è
stato seguito da un progresso non diciamo pari, ma minimamente adeguato deile istituzioni
politiche e, insomma, delle regole di governo
degli uomini, nell'interesse generale. I1 '68
«giovanile» ha ipotizzato, owiamente invano,
il blocco dello sviluppo tecnologico, la civiltà
dei fiori, la seducente anarchia di Thoreau e
della «vita nei boschi», anche con un pizzico
di Tolstoi e di Gandhi: ma il «progresso» tecnologico ha continuato implacabile, misteriosamente governato (si fa per dire) non si sa da
chi (tanto da far rimpiangere il capitalista
classico delle vignette, corposo e con un sigaro in bocca). Nell'Europa che ci circonda una
speranza si profilava, quella degli Stati Uniti
d'Europa, nel quadro della parola d'ordine
«unire l'Europa per unire il mondo»: ma qui
è cascato l'asino. Perchè è calato nettamente
1'Eurobarometro e il favore «popolare» all'unità europea?
Ha detto l'eurodeputato Manzella - l'amico costituzionalista Andrea Manzella - alla
Conferenza europea delle Amministrazioni
locali e regionali (organizzata lo scorso ottobre dall'AICCRE a Viareggio - v. «Comuni
d'Europa», novembre 1994 -1: «Oggi,
nell'epoca del «desencanto» dopo Maastricht,
la percezione della scienza costjtuzionale è
che si è esaurita la spinta propulsiva deli'Europa degli Stati, dell'Europa intergovernativa,
si è esaurita perchè il consenso popolare si è
ridotto e comunque non è più incondizionato...». I1 problema, ci sembra, è allora quello
di capire il «perchè del perchè»: perchè il
consenso popolare si è ridotto? Manzella dà
una spiegazione e offre una ricetta, che potrebbero sembrare connaturate alla stessa
AICCRE: e lo sono, con una integrazione o
un chiarimento, che faremo.
Intanto, che il consenso popolare - noi
diremmo piuttosto «la spinta» - sia sempre
stato necessario e ancor più lo sia oggi, è indubbio. Più volte noi abbiamo esclamato che
cercare di far l'Europa unita, e più specificamente federata, di nascosto (cioè con abili negoziati intergovernativi e diplomatici, su singoli punti fondamentali che tireranno con sè
la Federazione - allora fu la CED, ora la mo-
dossier revisione di Maastricht - 2
"Vuoi o non vuoi?"
di Pier Virgilio Dastoli *
1. «L'onda del federalismo sta declinand o ed io non h o nessuna intenzione d i
rafforzarla alla Conferenza intergovernativa
del 1996, né di accettare dei cambiamenti
costituzionali che abbiano un impatto sul
Parlamento britannico» Uohn Major, BBC,
8 gennaio 1995).
2. «È necessario immaginare due insiemi
in Europa, uno più ampio la cui ambizione
è realizzare un grande spazio economico ed
un'Europa più ambiziosa, più piccola, che
pensi che la messa in comune di una parte
delle sovranità nazionali sia il solo mezzo di
sopravvivere in quanto paese, insomma una
struttura federale» Uacques Delors, Le Soir,
12 gennaio 1995).
Nello spazio di cinque giorni due protagonisti della vita politica europea hanno
espresso due visioni apparentemente antagoniste del nuovo ordine europeo, che dovrà emergere dalla revisione di Maastricht
del 1 9 9 6 . - ~ n t a ~ o n i sin
t e apparenza, poiché
il Regno Unito di John Major (o meglio la
Gran Bretagna,
- -perché è noto che orientamenti più europeisti si accompagnano in
Scozia e nel Galles a volontà sempre più diffusa di autonomia da Londra) ben si accomoderebbe in un grande spazio economico
europeo e l'Europa più ambiziosa di Delors
sembra molto simile al «magnete europeo»
della CDU tedesca (l'asse Parigi-Bonn insieme al Benelux). Per Delors, i due schemi sono chiari e pongono
con franchezza la stessa
domanda: «Vuoi o non vuoi?» ed il dibattito avviato con il documento tedesco ruota
intorno alla possibilità giuridica - ma preliminarmente alla volontà politica - di passare oltre il veto di uno o più paesi per dare
vita ad una struttura federale limitata ad un
nucleo più ristretto di paesi.
I1 «dossier 1996», del quale avevamo indicato un sommario essenziale in Comuni
d'Europa (novembre 1994, pag. 2 e 201, deve dunque essere letto alla luce di quest'apparente antitesi e delle risposte che i governi
nazionali, il Parlamento europeo e la Commissione intendono ~ r e d i s ~ o r per
r e l'appuntamento del 1996.
Vediamo innanzitutto come questi ed al-
"Membro della Direzione dell'AICCRE e del Gruvvo di lavoro
~ ~ U * ~ CperR laErevisione di Mnnsrricht.
tri protagonisti si preparano a quest'appuntamento.
I1 Parlamento europeo ha incaricato la
sua commissione per gli affari istituzionali
d i e l a b o r a r e il r a p p o r t o «sullo s t a t o
dell'Unione» per il gruppo di riflessione
convocato dal Consiglio europeo di Corfù.
All'interno della commissione per gli affari
istituzionali, il lavoro principale è stato ripartito fra il cristiano-democratico francese
Jean-Louis Bourlanges («lo stato di applicazione di Maastrichtn) ed il laburista britannico (scozzese! ) David Martin («l'evoluzione dell'Unione»), ma il rapporto dei due corelatori sarà arricchito dal contributo di ben
diciassette documenti di lavoro (fra i quali
quelli degli italiani Alessandro Danesin,
PPI, sul processo decisionale nel settore legislativo ed internazionale; Enrico Ferri,
PSDI, sulla funzione giurisdizionale; Alfonso Marra, Forza Italia, sulla struttura giuridica ed istituzionale dell'unione e l'unificazione del Trattato; Adelaide Aglietta, Verdi,
sulla revisione del Trattato; Giampaolo
D'Andrea, PPI, sulla composizione e sulla
struttura della Commissione). La commissione per gli affari istituzionali intende portare in aula il rapporto per la prossima sessione di maggio (15-19) ed approvarlo in via
definitiva 1'8 maggio dopo quattro riunioni
di lavoro. I1 lavoro della commissione per
gli affari istituzionali sarà a sua volta arricchito dai «pareri» di tutte le altre commissioni parlamentari e dalle riflessioni dei
gruppi politici: i socialisti europei si riuniranno in seminario il 6-7 febbraio per discutere un rapporto elaborato da Elisabeth
Guigou, il PPE a marzo in una conferenza
interparlamentare...
La nuova Commissione europea, guidata
dal lussemburghese Jacques Santer, affiderà
ad una task-force «tecnica» - coordinata
dal «deloriano» Miche1 Petite - il compito
di predisporre i documenti interni da sottoporre alla decisione politica dell'insieme dei
commissari, ma essa dovrà in primo luogo
armonizzare le posizioni dei singoli commissari, dopo la deludente prova d'orchestra
effettuata durante le audizioni dinanzi alle
commissioni del Parlamento europeo. Alla
visione di un'evoluzione dell'unione in senso più chiaramente sovranazionale (Manuel
Marin, Marcelino Oreia, Martin Bangemann - «a titolo personale, sono partigia-
-
(segue a pag. I>)
som
ma
rio
(segue a pag. 16)
2 - "Vuoi o non vuoi?, di Pier Virgilio Dastoli
3
- L'AICCRE e il federalismo interno, italiano
8 - Autonomismo e riforma delio Stato, di Francesco Stevenin
9 - La nostra
Europa, di Cesare San Mauro
10
12
13
-
Mediterraneo, laboratorio di sviluppo
Riflessioni critiche su un'esperienza italo-francese, di Mattia Pacilli
Sarajevo, cuore d'Europa, di Antonio Russo
Questo numero è stato chiuso nella seconda settimana di gennaio 1995
COMUNI D'EUROPA
DICEMBRE 1994
una lunga storia
il federalismo interno, italiano
Improvvisamente tutti gli italiani o quasi
sono diventati (a parole) federalisti: intendiamo fautori di una struttura federale della Repubblica italiana, perchè il federalismo europeo (e mondiale) ha in questo dopoguerra
italiano un'altra storia, se non separata, spesso distinta. Come succede, nello scoppio c'è
stata una convergenza tra la crisi della cosiddetta «prima» Repubblica, con conseguenza
di un'attesa e una disponibilità della pubblica opinione verso radicali proposte istituzionali, e l'irruzione e gli iniziali successi della
Lega Nord - un movimento nato in parte
da un nordismo di piccola e media borghesia
che si sentiva efficiente di fronte al parassitismo di un Mezzogiorno «assistito» (e che
coinvolgeva nella polemica la partitocrazia e
in qualche modo i sindacati tradizionali e la
grande industria «collusa» coi partiti), ma indotto via via ad una più aperta considerazione del Mezzogiorno, sia per l'aspirazione a
un ruolo crescente nella politica nazionale sia
per un confuso liberismo economico che, in
definitiva, non poteva ignorare un mercato
meridionale, necessario alla produzione del
nord -. In realtà questa irruzione «federalista», non poco contraddittoria, è stata considerata più di una volta da noi dell'AICCRE
come uno «sfederalismo», ma nella versione
del professor Miglio può essere considerata
più banalmente un «confederalismo interno»
(cioè una articolazione interna dello Stato
nazionale aperta alle secessioni e comunque
largamente priva della componente della
«solidarietà», inscindibile dal federalismo
autentico). In ogni modo l'iniziale successo
della Lega Nord ha indotto gruppi di interesse economico e/o di pensiero (gli intellettuali e le «mode», di cui sono costantemente
succubi) e quel che rimaneva dei partiti tradizionali a cavalcare il federalismo (di cui alcuni, che ne erano stati fautori al tempo della
nostra Assemblea Costituente, si erano dimenticati).
L'AICCRE e il suo tradizionale organo di
stampa «Comuni d'Europa» (42 anni di vita,
con la rispettata cadenza mensile di uno
schiacciasassi), hanno seguito il fenomeno
con grande attenzione, talvolta con critiche
senza peli sulla lingua ma anche senza pregiudizi, un fenomeno che si affiancava, sia
pure con malintesi e con qualche rozzezza,
alla loro storica battaglia - che non è stata
solo sovranazionale - condotta nella politica, nelle amministrazioni locali e regionali e
nella cultura (e nel silenzio dei mass media,
abituale per tutto quel che è realmente nuovo), a partire dall'inizio degli anni cinquanta.
L'AICCRE non ha condotto una sola e
semplice battaglia elitaria, e in questa élite
comprendiamo del resto - ne dobbiamo
avere precisa memoria - una serie di straordinari amministratori comunali, provinciali,
regionali, molti dei quali erano altresì attivi
militanti nel Movimento Federalista EuroDICEMBRE 1994
peo di Altiero Spirielli, conle comprendiamo
il coinvolgimento in pari tempo dei più
avanzati costituzionalisti, amministrativisti,
economisti, sociologi, urbanisti italiani e delle più valide riviste del settore insieme a tante altre di «varia umanità», ma essa ha svolto
una azione capillai-e su tutto il territorio nazionale e, complessivamente, possiamo dire
un'azione educativa di massa - tale da toccare in diverse occasioni la massa vivente dei
cittadini -, fermandosi volutamente alle soglie del potere. In sostanza l'attuale esplosione federalista ci gratifica e ci induce a continuare, se possibile, con maggior lena, confidando sull'appoggio unitario e plenario dei
colleghi comunali, provinciali, regionali. Nel
nostro lavoro - che riteniamo oggi indispensabile, soprattutto se in efficace sinergia
con tutta la «forza federalista» (cioè di tutte
le associazioni e i movimenti federalisti ed
europeisti) - non vogliamo chiuderci in un
ristretto impegno che chiameremo «sindacale», vòlto a ritagliare i limitati vantaggi che
possono offrire lo status quo nazionale da
una parte e l'inetta Europa intergovernativa
dall'altra: intendiamo lottare politicamente a
tutti i livelli per le soluzioni federaliste, convinti dell'interdipendenza del federalismo
interno e del federalismo sovranazionale
(prospettiva che, nel 1950, trovò il pieno accordo di uno dei cinque promotori europei
del CC=, Serafini, con don Sturzo, che incontrò nel convento di via Mondovì a Roma
- un incontro di hderalisti di matrice culturale diversa, la liberalsocialista e la cattolica democratica -: Luigi Sturzo inviò poi un
messaggio in tal senso all'assemblea costitutiva del CCRE - siglato in principio CCE
- a Ginevra nel gennaio 1951).
Frattanto il dibattito federalista, malgrado
alcune cadute, si va oggi affinando e vediamo con soddisfazione che percorre frequentemente strade, che noi abbiamo indicato da
decenni e che nella presente Nota redazionale vogliamo richiamare brevemente e - il
che è inevitabile anche per ragioni di spazio
- lacunosamente. Si affina la storiografia
specifica, risalendo al Risorgimento e andando oltre la citazione d'obbligo e un po' generica dei federalisti cattolici, Gioberti, Cesare Balbo, d'Azeglio, e laicisti, Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari (entrambi discepoli
di Romagnosi): ci limitiamo a indicare un recentissimo volume, «La questione federalista
- Zanardelli, Cattaneo e i cattolici bresciani» di Giuseppe Gangemi (edizione Liviana,
1994 UTET libreria, Torino), ove si richiamano diversi espliciti proudhoniani italiani e
si accenna aile particolarità di Montanelli e
di Pisacane: ma è utile in proposito - cogliamo l'occasione - riesumare un'opera
tuttora valida di Luigi Salvatorelli, a torto ritenuta secondaria, la «Storia del pensiero
politico italiano dal 1700 al 1870». Si affinano soprattutto l'analisi e la teoria: anche qui
ci limitiamo come esemplarità a un succoso
articolo di quotidiano, «Federalismo fiscale»
di Franco Gallo (in «La Repubblica» del 9
dicembre "+I), e alla relazione di Vieri Ceriani, dell'ufficio studi della Banca d'Italia, a
un seminario dell'associazione «Etica ed
economia» («Aspetti economici del federalisn1o»: il federalismo finanziario): diremmo
che persiste comunque una sottovalutazione
del Senato delle Regioni nella versione del
Bundesrat tedesco.
Ma ripercorriamo, per accenni e a volo
d'uccello, il cammino dell'AICCRE, sezione
italiana del CCRE. L'AICCRE, i cui prolegomeni possono collocarsi nel 1950, nel suo
federalismo infranazionale si trovava di fronte - oltre ai lavori preliminari dell'Assemblea Costituente (quale ne sia stato poi lo
sbocco) che vanno in primo luogo rintracciati nelle pubblicazioni del Ministero per la
Costituente (di cui fu l'animatore Massimo
Severo Giannini) - due prese di posizioni
federaliste, le cui radici risalgono alla Resistenza e alle riflessioni, durante la «guerra
civile», sul postfascismo: l'autonomismo,
che chiameremo «subalpino», sintetizzabile
nella «Carta di Chivasso» (v. «Comuni d'Europa» di dicembre 1993) e il Movimento
Comunità. Quest'ultimo nasce a partire dal
classico «L'ordine politico delle comunità»
di Adriano Olivetti, pubblicato nel 1945 ma
pensato per lo più in Svizzera negli anni
dell'esilio, con collegamenti - che conviene
non dimenticare - col pensiero di Luigi Einaudi e preceduto dall'opera collegiale (ma
diretta da Olivetti) della seconda metà degli
anni trenta, intitolata «Piano regolatore della Valdaosta». Un'ottima introduzione al
pensiero olivettiano si trova in «L'avvento
della Regione in Italia. Dalla caduta del regime fascista alla Costituzione repubblicana
(1943 - 1947)» (Milano, Giuffrè, 1967) di
Ettore Rotelli: Rotelli è uno dei più attenti e
acuti, spesso polemico, studiosi dell'autonomismo italiano e consigliamo il testo e le note del suo recentissimo «Federalismo e presidenzialismo» (edizione Anabasi [Milano
19941) - senza con ciò far necessariamente
nostra la soluzione, storicamente del federalismo americano, di un re democratico elettivo -. Per Olivetti si veda anche «Adriano
Olivetti e le dottrine politiche» (in A. Olivetti e il Movimento Comunità», Officina
edizioni, Roma 1982, di Umberto Serafini).
Per i successivi sviluppi del Movimento Comunità e la loro influenza sull'AICCRE converrà anche rivedere, sempre di Serafini,
«La nascita della partitocrazia italiana e il
Movimento Comunità» (nella rivista «Queste istituzioni», ottobre-dicembre 1992),
nonchè la collegiale «Dichiarazione politica
tempi nuovi metodi nuovi» del 1953, testo
fondamentale del sinergismo italiano di federalismo infranazionale col federalismo sovranazionale (ripubblicata come inserto di
«Comuni d'Europa» nel numero di settembre 1994). Naturalmente 1'AICCRE ha aper-
to fin dagli inizi un dialogo coi movimenti
autonomistici regionali, particolarmente
1'Union Valdotaine e il Partito Sardo d'Azione, mentre ha affrontato senza conformismi
il problema delle «regioni soprafrontaliere»:
vale la pena di ricordare qui il problema del
Sud Tirolo o Tiuoleu Etschland e l'urto violento dell'AICCRE - che lo guardava secondo una logica «europea» anche se del
tutto concreta - con la Farnesina, mentre si
valeva della mediazione coraggiosa e lungimirante di Alois Lugger, borgomastro di
Innsbruck e successivamente presidente del
Nord Tirolo, oltrechè - si noti - vicepresidente del CCRE (l'opera dell'AICCRE fu
poi ritenuta fondamentale ed elogiata da
due ambasciatori italiani a Vienna, Roberto
Ducci e Fausto Bacchetti). Converrà a questo punto non dimenticare altresì lo stretto,
costante rapporto dell'AICCRE con la cultura dei meridionalisti federalisti (cfr. l'«Aritologia della questione meridionale», a cura
di Bruno Caizzi e con presentazione di Gaetano Salvemini).
La delegazione italiana all'assemblea costitutiva del CCRE a Ginevra (gennaio 1951)
era guidata dal senatore Bastianetto, sindaco
di San Donà del Piave, un ex «popolare»
che era stato un seguace della Paneuropa di
Coudenhove Kalergi, e aveva fra i suoi membri il pro-sindaco di Roma Andreoli, un assessore della Regione siciliana (D'Angelo,
poi diventato presidente della Regione), il
sindaco di Ivrea Umberto Rossi, rappresentante del Movimento Comunità, ecc., e comprendeva tre esperti: Massimo Severo Giannini, Ludovico Quaroni, Franco Ferrarotti.
Giannini (cfr. «Cultura politica e partiti
nell'età della Costituente» a cura di Roberto
Ruffili, Bologna 1979, tomo 11) aveva elaborato con Olivetti, a quattro mani, un memorabile studio su «I1 problema delle autonomie locali»; Quaroni era un urbanista particolarmente sensibile ai problemi della città
in funzione della partecipazione democratica; Ferrarotti (autore di «Max Weber e il ritorno della ragione») era un giovane sociologo che si batteva per la reintroduzione in
Italia della sociologia, dopo l'ostracismo datole dalla filosofia idealistica e da buona parte dei marxisti (ora era appoggiata invece
dal filosofo esistenzialista Abbagnano). Qui
per ,altro non vogliamo fare la storia
dell'AICCRE quanto limitarci a un elenco
- più logico che cronologico - di strade,
che crediamo avere aperto al dibattito sul federalismo interno in Italia e di proposte che
abbiamo fatto - talora comprese, talvolta
ignorate o trascurate - e che ci accingiamo
ad approfondire. Ancora un'ultima considerazione generale: i pioneri dell'AICCRE sono partiti come federalisti interni (oltre che
sovranazionali), ma trovandosi ad operare in
uno Stato con la Costituzione di Stato regionale, intermedio fra l'unitario e il federale
(ma «federalismo e regionalismo non possono essere posti a raffronto perchè fanno parte della stessa famiglia, non c'è distinzione
netta tra l'uno e l'altro e cambiano soltanto
per una ragione di misura», afferma Sabino
Cassese nel volume a più voci «Quale federalismo? interviste sull'Italia del futuro», a
cura di Marco Sabella e Nadia Urbinati,
COMUNI D'EUROPA
Vallecchi editore [l994 Firenze] ), hanno voluto sperimentare fin dove poteva portare,
se attuato realmente i l che non è awenuto
per lungo tempo - tutto il dettato costituzionale: in definitiva ci siamo convinti che,
malgrado l'affermazione di Cassese, non si
tratta solo di misura (questa, se mai, crea
una differenza tra diversi Stati regionali) ma
di qualità. Diremmo paradossalmente che
uno Stato regionale «massimalista» porta
all'anarchia, mentre uno Stato di autentica
struttura federale ha la massima coesione.
Passiamo, come ci eravamo impegnati, a
una sintesi, schematizzata in 9 punti, della
problematica affrontata dall'AICCRE, in oltre quarant'anni, sul terreno del federalismo
interno (o particolarmente rivolta al federalismo interno, ma sottolineando che sovente è
arbitrario scindere il discorso tipicamente
italiano da quello infranazionale in genere e
quest'ultimo dalla prospettiva sovranazionale o da una riflessione globale sul federalismo).
1. I1 problema del rapporto dei partiti
(nazionali) con le autonomie territoriali e
con tutta la «società», nonchè quello dei
partiti con la partecipazione «autonoma»
dei cittadini, si poneva in tutta Europa l'Europa democratica -, ma nell'immediato
post-fascismo si poneva con particolare rilievo in Italia: qui il coagulo dei partiti «antifascisti» era il CLN (Comitato di liberazione
nazionale), che non copriva tuttavia tutto il
campo elettorale, poichè non solo gli ex-fascisti si organizzarono presto nel Movimento
Sociale Italiano (MSI), ma anche i repubblicani storici si chiamavano fuori del CLN; il
Partito comunista italiano, poi, senza avere i
caratteri rozzi del Partito comunista francese, di cui si diceva che «non era nè a destra
nè a sinistra ma alllest», anzi fortemente integrato a un settore tradizionale della cultura democratica italiana, tuttavia faceva pur
sempre discendere sui soci, dall'alto, una
politica europea e internazionale tutta confezionata «fuori frontiera». Questa situazione irritante soprattutto per i cittadini non
politicizzati - ma anche obiettivamente insoddisfacente - generò a un certo momento il Movimento dell'uomo qualunque: movimento di scarse basi culturali, che ebbe il
successo di una stagione, ma che sollecitò
l'attenzione di un uomo politico con un eccezionale sensorio, cioè Togliatti.
L'AICCRE nella predetta situazione si
pose il problema dell'autonomia pre-partitica del cittadino: si trattava anche di collegarsi con tutto il largo movimento europeo dei
community centues e dei settlements, dei centues sociaux, dei Doufgemeinschafthauser. In
fondo si andò teoricamente lontano: la Rivoluzione francese aveva riconosciuto formalmente i diritti dell'uomo; i successivi movimenti socialisti (e anche, in qualche modo,
cristiano-sociali) avevano reso possibile,
concretamente possibile, l'esercizio di tali
diritti, emancipando l'uomo dalla schiavitù
del lavoro, eccetera; oggi, in una società liberaldemocratica economicamente sviluppata, dove i mezzi di informazione e di comunicazione rendono impossibile l'azione politica (in senso lato) autonoma dell'individuo
(è il rischio, in una cosiddetta «civiltà tecnetronica~,di rendere irrealizzabile una iniziativa democratica «di base» senza partire da
una posizione di potenza - con l'aggravante di un «anonimato» incontrollabile con cui
si presenta di solito al cittadino l'apparato
colossale della comunicazione -) non basta
quanto ha permesso al cittadino politicizzato
o politicizzabile l'emancipazione dell'uomo
che hanno ottenuto i movimenti sociali. Pertanto, nell'ultimo seminario, che precedette
il lancio (Stati generali di Versailles, ottobre
1953) della «Carta europea delle libertà locali» del CCE, due delegati dell'AICCRE
(l'ex costituente nazionale Costantino Mortati e Umberto Serafini) riuscirono a fare inserire «i mezzi stabili perchè ogni cittadino,
cosciente di essere membro della comunità e
vincolato alla collaborazione per il sano sviluppo della comunità stessa, prenda parte
attiva alla vita locale»: era un finanziamento
«istituzionale» dell'attività prepartitica. Ovviamente, mentre nell'AICCRE viveva una
precoce polemica antipartitocratica (anche
per la diffusa ostilità dei partiti - di fatto,
se non sempre palesemente - al federalismo sia sopra che infranazionale), era riconosciuta la irrinunciabile funzione dei partiti
nella dialettica democratica (non corporativa): se ne voleva tuttavia limitare l'invadenza
«totalitaria». A tale scopo l'autonomia concreta proposta per il «singolo cittadino» richiamava anche l'autonomia e la funzione
del centro sociale (continuando l'influenza
nell'AICCRE del Movimento Comunità, si
può a questo proposito rivedere la relazione
di Serafini - «centro sociale, partecipazione, democrazia diretta e democrazia rappresentativa» -, uno dei fondatori dell'Istituto
italiano per i Centri comunitari, al convegno
di Palazzo Canavese del giugno 1956 - v.
nel citato «A. Olivetti e il Movimento Comunità», parte prima -): ma poi tutto il
complesso di questa democrazia prepartitica
dava adito ad una proposta realistica, più
volte avanzata dall'AICCRE, di «elezioni
primarie» - sia «di lista» che territoriali,
cioè aperte a tutti - da proporre, se non addirittura da imporre ai partiti (talvolta abbinando quest'obbligo a una proporzionale,
nelle elezioni politiche, a liste bloccate, cioè
abolendo il cannibalismo delle preferenze).
L'AICCRE tornò più volte a percorrere
questa strada (che è stata chiamata di lotta
per l'«autonomia della minoranza di tutte le
minoranze, cioè il singolo cittadino» ( I ) ) ,
cercando di orientare a un certo punto un
moto nazionale, che ha dato una fiammata e
poi si è, tutto sommato, spento: vedasi il
( l ) L'approfondimento teorico della questione può trovarsi in "Comuni d'Europa", anno XLI, n. 1, gennaio
autonomie temtoria1993 ("La sovranità dei cittadini
li, partecipazione, cultura e partiti", intervento del presidente dell'AICCRE a un Seminario della Fondazione
Bucchi in onore di Massimo Severo Giannini). Vi si sottolineano le due frontiere del federalismo, la persona
umana e il cosmopolitismo.
-
DICEMBRE 1994
convegno, tenuto in collaborazione col Comune di Bologna nell'aprile 1977, su «Decentramento urbano e comprensori nel quadro della realtà europea» (in realtà si preparava uno studio comparato in vista degli Stati generali del CCE, che si svolsero nel giugno successivo a Losanna).
I problemi precedenti stanno seguendo,
nel dibattito dell'AICCRE, un cammino a
simmetria inversa, nel prospettare il passaggio dai partiti nazionali ai partiti europei
(qui si tratta di una «autonomia europea» da
guadagnare attraverso un «fronte democratico», di cui «Comuni d'Europa» dibatte pazientemente almeno dal 1964).
2. Come si è già accennato, 1'AICCRE si è
sforzata, sin dall'inizio, di cavare sperimentalmente tutto quel che si poteva dallo Stato
regionale: fu così che nel suo congresso nazionale di Forlì (1955) chiese duramente relatore Mortati - l'attuazione delle Regioni
a statuto ordinario, che tardarono poi di una
quindicina d'anni. Mortati, l'ex costituente
Costantino Mortati, era fin da allora fortemente autocritico circa le Regioni - le Regioni anche sue -, particolarmente insoddisfatto dell'art. 117 (e collegati) della Costituzione. Fu così ancora che, in occasione degli
Stati generali di Cannes (1960), invitammo il
prof. Ambrosini - teorico dello Stato regionale e, allora, presidente della nostra Corte
Costituzionale - a fare una relazione su «le
Regioni nel quadro europeo» (2).
Realizzate le Regioni a statuto ordinario,
l'AICCRE, in collaborazione con l'ultima arrivata delle Regioni a statuto speciale, la
Friuli-Venezia Giulia, produsse il volume
collegiale «La Regione italiana nella Comunità europea» (1971): qui pose chiaramente,
inascoltata, l'esigenza della riforma del decentramento burocratico, e in genere di tutta l'amministrazione dello Stato, in simultanea ad ogni passo verso il cosiddetto decentramento autarchico. Quando questa riforma si affidò, conferendogli l'incarico di ministro, a Massimo Severo Giannini, 1'AICCRE l'appoggiò e criticò violentemente il sabotaggio a cui Giannini fu sottoposto, salvo
poi a liquidarlo sic et simpliciter. Il problema
rimane aperto e non suscita tuttora l'attenzione, la competenza e la buona fede, di cui
avrebbe bisogno.
(2) Una ulteriore, dura pressione - unita al bagaglio teorico che si andava formando sul sistema interno delle autonomie territoriali, al problema della partecipazione dei
singoli cittadini e al rispetto delle autonomie dei Poteri
locali infraregionali (da riformare) - partì dall'importante Convegno del Montiferru in Sardegna (estate 1957),
promosso dall'AICCRE, che si trovava ormai di fronte i
Trattati di Roma e che, d'altra parte, portava avanti la nflessione sui Laender tedeschi e anche sui Londkreise. I1
convegno ebbe risonanza nazionale.
DICEMBRE 1994
3. Ma la necessità di passare a un vero
e proprio Stato federale si faceva sempre
più urgente: per cominciare, affrontiamo
la richiesta ragionata del Senato delle Regioni.
In realtà già nell'intervento AICCRE alle
richieste della Commissione parlamentare
per le questioni regionali, presieduta dall'on.
Cossutta (1984), c'è in abbozzo o definitivamente la nostra maturazione, avvenuta progressivamente, sul Senato delle Regioni, con
tutto quello che comporta della posizione
AICCRE su una struttura federale della Repubblica italiana e sull'assetto delle autonomie territoriali italiane e nel quadro, per noi
cogente, di una costruzione federale di una
Unione europea: più che riassumerla ellitticamente, vale la pena di rimandare alla «dichiarazione» contenuta in «Comuni d'Europa» dell'ottobre 1984 (anno XXXIII, n. 10).
Di varii aspetti correlati, diremo specificamente nei punti successivi di questa Nota.
Qui noi potremo anzitutto sottolineare sbrigativamente che essa spiega già la nostra
odierna preferenza, in fatto di Senato delle
Regioni, per il Buizdesrat tedesco. Cioè: non
ci soddisfa affatto un Senato delle Regioni
(vedi la Carta di Genova della Lega Nord)
che si limiti ad essere semplicemente un Senato eletto, in via diretta, su dimensione regionale.
11 Bundesrat è ~ t norgano che comprende
gli Esecutivi dei Laender: potremmo forse
concedere che sia espressione dei Consigli o
Parlamenti dei Laender; ma deve essere
espressione dei Laender, cioè delle Regioni.
Esso fa parte di uno Stato federale (la Germania), in cui il Consiglio d'amministrazione
della Bundesbank (e noi sappiamo le severe
competenze della Bundesbank, in sostanza e
soprattutto quella di determinare il tetto dello spendibile nazionale) è designato in maggioranza dai Laender. I1 Bundesrat si inserisce in un Paese ove sono in vigore perequazioni finanziarie, tra le diverse parti del territorio nazionale, verticali e orizzontali (ossia
un reale federalismo fiscale o, più correttamente, come vorrebbero alcuni studiosi, federalismo finanziario). Esso funge nei limiti
accettati dello spendibile nazionale e nella
trasparenza e pubblicità, quale organo di autocontrollo e di equilibrio in una solidarietà
«verificata» dal basso di tutta la «spesa periferica» e quale organo di confronto globale
della «spesa periferica» con la «spesa centrale», e si misura direttamente col Bundestag o
Camera popolare nazionale. Insomma il
Bundesrat fa vivere il massimo di autonomia
territoriale col massimo di coesione nell'ambito dello Stato (nazionale: ma potremmo aggiungere che esso raggiunge il massimo di certezza ed efficienza nei rapporti con
l'Unione federale sovranazionale).
4. Nel 1981, dopo quasi due anni di lavoro, 1'AICCRE pubblicò (Franco Angeli editore [Milano]) il volume «I1 federalismo fi-
scale della Germania occidentale», opera per conto dell'AICCRE - di una ricercatrice tedesca, Sigrid Esser, con una premessa
di Serafini e una prefazione di Alberto Maiocchi. È evidenziato - ma non ce P- sarebbe bisogno
- - che quello della Germania è
un «federalismo cooperativo». L'opera non
aveva precedenti di rilievo in Italia: ma se ne
sono serviti anche taluni studiosi tedeschi.
Per l'AICCRE, comunque, ha segnato uno
dei campanelli d'allarme suonati per far capire in Italia che un serio regionalismo italiano deve imboccare la strada federalista (per
i «curiosi» è ancora utile il testo, curato da
Ettore Rotelli, «I1 regionalismo
italiano. Antologia del pensiero regionalista dal Risorgimento ai nostri giorni», Milano, Quaderni
della «Città di Milano», 1962).
In merito non vogliamo aggiungere nulla
alle indicazioni della parte introduttiva di
questa Nota: viceversa vogliamo sottolineare
che la prefazione di Maiocchi era limpida
nell'indicare come il «federalismo finanziario» italiano può inquadrarsi nel cammino
verso la moneta unica europea; inoltre (tout
se tirnt!) rimandiamo all'articolo di Nicola
Pietrafesa («Comuni d'Europa», giugno
1990) sull'esigenza (anche per la finanza locale e regionale italiana) di un'armonizzazione fiscale comunitaria.
5. La Regione della Costituzione del 1948
fu criticata subito dall'AICCRE: ma particolarmente, anche in «Comuni d'Europa», infieriva autocriticamente Mortati. La pluralità
delle competenze enumerate dall'articolo
117 appariva piuttosto casuale e soprattutto
rispecchiava un'Italia pre-industriale - o
quasi -, che non esisteva più. Inoltre non
solo le Regioni erano numericamente troppe, ma la loro dimensione avrebbe dovuto
ubbidire a un criterio. e cioè: la loro dimensione dovrebbe risultare da una misura ottimale di governo, e quindi non si deve prevedere in astratto ma in funzione delle comDetenze, capitolo che andava ( e va) riscritto
(anche se doveva tendersi, a priori, a un
equilibrio tra i caratteri etnici, quelli geologici e quelli economico-sociali). Questi giudizi furono già espressi in «La Regione italiana nella Comunità europea» del 1971.
Comunque abbiamo sempre criticato una
Regione intesa come un Ministato: tanto più
che lo Stato (nazionale), di cui voleva e vuole essere la miniaturizzazione, è già, a sua
volta, in crisi di competenze (3). Abbiamo
(3) Sulla funzione della nazione (italiana) in un quadro
federalista (europeo) - contro cioè una Regione "dalla
sovranità illimitata", in rapporto diretto con l'Ente sovranazionale (si è detto ironicamente) - può citarsi, distinguendo il nazionalismo da una storia italiana come Nazione europea, che ha superato localismi egoistici o miopi, l'editoriale "Virtù contro a furore" di "Comuni d'Europa" (anno XLI. n. 3, marzo 1993). Sui concetti di nazione, etnia, cittadinanza e su un dibattito in corso nel nostro Paese, "miscuglio di vecchio e di nuovo", può leggersi utilmente "Se cessiamo di essere una nazione Tra etnodemocrazie regionaIi e cittadinanza europea" di
Gian Enrico Rusconi ([Bologna 19931 I1 Mulino): ma la
rivista dell'AICCRE ha ripetutamente assunto la tesi di
un Risorgimento italiano, che ha significato il consapevole "rientro" dell'Italia in Europa, in un quadro di finalismo cosmopolitico. 11 libro di Rusconi - col quale si
può essere in accordo o in disaccordo - dà comunque
l'occasione di distinguere. con accortezza molto maggiore dell'abituale, l'idea di nazione dal nazionalismo, e impone che non ci si rifaccia al "romantico" Hegel o al Ri-
sempre dato, per la Regione, grande rilievo
alla pianificazione del territorio, che viceversa nella progettata
riforma della recente
bicamerale per le riforme compare, a parità
con le altre, in una insalata acritica di competenze, p e r u n n u o v o 117 «farcito».
L'AICCRE, d'altra parte, ha sempre conferito un grande rilievo ai problemi ambientali (tra l'altro ha dato a suo tempo una collaborazione essenziale alla Carta dell'ambiente del CCRE o Carta di Bruges),
- sforzandosi
di determinare una loro collocazione «strutturale» nell'ambito delle responsabilità pubbliche - cioè soprattutto nelle regole
- circa lo sviluppo economico-sociale. Ormai
da qualche tèmpo «Comuni d'Europa» ha
aperto un dibattito su una Regione «dimensione ottimale» per un obiettivo, che 1'AICCRE ha sempre portato avanti, la «sintesi a
priori di sviluppo economico-sociale e di
pianificazione del territorio». Lo sviluppo
economico-sociale, infatti, non può fermarsi
a un nudo elenco di cifre: esso si dispiega su
determinati territori, con le loro caratteristiche, e risulta in abitazioni, opifici, strade,
ponti, gallerie, scariche di rifiuti e tutto il
resto. Quindi una Regione che «preveda» lo
sviluppo economico pubblico e privato, le
esigenze sociali ad esso connesse, e le «condizioni» che ogni territorio pone a priori allo sviluppo. La Regione ha problemi del tutto diversi dalla Città e da ogni complesso
urbano (l'ipotesi di Città-Regione - cfr. le
tedesche Città-Laender. come Berlino. Amburgo, ecc. -, comprensibile ma affrontata
astrattamente a tavolino, è servita a suo tempo a confondere le idee): di conseguenza la
Regione deve avere una dimensione minima, che le faccia contenere i diversi elementi dello sviluppo. Da queste premesse si
comprende agevolmente verso quale Regione si tenda ad avvicinarsi: con l'integrazione, comprensibile anch'essa, che alla Regione, includendo a quelli tradizionali anche
tutti i lavori (le occupazioni) relativi ai «serA
sorgimento di Giovanni Gentile, che è uno stravolgimento di una storia reale assai diversa da quella che è in sostanza l'introduzione "gentiliana" alla "rivoluzione fascista" - questo è il senso del Risorgimento italiano del filosofo fascista-. Lo stesso concetto di "patriottismo costituzionale", così lucidamente richiamato di recente da
che parla di "una silente comunione
Andrea Manzella
nazionale" generata dalla Costituzione anche in coloro
che "non l'hanno mai letta" -, contribuisce a suffragare
il nostro "distinguo", così come il suo "nuovo umanesimo dello Stato" e la spinta a diverse nazioni a limitare "le
proprie sovraniti nell'autonoma ricerca di vincoli esterni
alla loro nuova fisionomia statale" si riallacciano, sul terreno istituzionale, a un ethos comune (I tutto il nostro Rinon a quello di Gentile e a una corrente
sorgimento
"eroica" e pre-nazionalista di esso, minoritaria e marginai
l'uno
le - e alla nostra Resistenza, a n ~ collegando
all'altra e dando una continuità storica
di cui il fascismo è stata una frattura - allo spirito nazionale, fatto più
di amore e di consapevolezza umana, anche in umili cittadini, che di "sprezzante fierezza". Questo richiamo, che
qui facciaino a recenti scritti di Manzella, dà un senso ancor più preciso alla sua relazione nella Conferenza europea delle Amministrazioni locali e regionali, organizzata
dall'AICCRE a Viareggio - ottobre 1994, v. "Comuni
d'Europaw del novembre successivo -, e alla sua concezione di federalismo globale, sopra e infranazionale. nonchè della "cittadinanza politica attiva": sol che sottintende altresì una necessaria rivoluzione della nostra attuale e
di parte della cultura europea post-fascista, ancora inquinate di fascismo; o, meglio, inquinate di quella filosofia,
che si può chiamare - appunto - "romantica" o addirittura hegeliana - e poi decadentista -. che è stata generatrice di fascismo, nazismo, nazionalismo autoritario.
imperialismo, colonialismo, razzismo.
-
-
-
COMUNI D'EUROPA
vizi» ambientali, si presenta naturale attribuirle il compito di Agenzia del lavoro (il
che, del resto, era una proposta che correva
a suo tempo in Europa - una Europa delle
Regioni caricate, alla base, dei problemi di
un'occupazione larga e razionale - e che
«Comuni d'Europa» cominciò a far sua una
quindicina di anni fa).
Torneremo su questo tema al punto 7 (federalismo e mercato) e al punto 8 (le leggi
elettorali ai diversi livelli): ma qui possiamo
subito affermare che la componente della
«pianificazione del territorio» probabilmente richiederebbe più la proporzionale che
non la maggioritaria, sia pure una proporzionale con gli accorgimenti sopra accennati.
6. Nel rivedere l'assetto degli Enti infraregionali 1'AICCRE ha sostenuto sempre, polemicamente, il criterio «un territorio, un
governo», contro la proliferazione degli Enti
cosiddetti « istituzionali» (non territoriali):
anche in ciò rispettando le esigenze del federalismo. Inoltre, nell'affrontare la problematica dei Comuni e delle Province, ha costantemente lamentato le pressioni delle associazioni di settore, tendenti, con una logica sindacale se non corporativa, al quieta non movere.
La questione delle «aree metropolitane»
è stata affrontata dall'AICCRE non disgiungendola dai caratteri e dalle competenze
della «nuova» Regione e preoccupandosi altresì di una verifica comparata europea (cfr.
le esperienze spagnola, inglese, tedesca,
ecc., verificate in un grande convegno a Roma, col confronto degli amministratori e
degli esperti dei rispettivi Paesi). Inoltre
1'AICCRE ha temuto e teme che le aree metropolitane divengano uno strumento della
razionalizzazione dell'urbanesimo: per controbilanciare questo rischio ha insistito nel
p r o p o r r e e r i p r o p o r r e l'esperienza dei
Landkreise, le piccole Province rurali, al fine di ripartire più equamente abitazioni,
produzione e servizi su tutto il territorio regionale.
Rimane il problema di un decentramento
burocratico della Regione, prevaricante
rispetto a un decentramento che potremmo continuare a chiamare autarchico: in
sostanza la Regione tende oggi a far meno
del necessario sul terreno della programmazione o semplicemente del coordinamento e
della previsione e a gestire direttamente
mansioni esecutive (anche con i premi elettorali), sottraendole agli Enti democratici infraregionali
I1 fenomeno della «prevaricazione» regionale (e del mancato rispetto conseguente
dello stesso principio di sussidiarietà) si è
fatto sentire recentemente in una forte tensione in Germania fra i Laender e gli Enti irfraregionali (abbiamo sentito dire ironicamente da colleghi tedeschi: «Meglio uno
Stato centralizzato, che ci lascia vivere, che i
Laender, occhiuti piccoli Stati lesivi della nostra autonomia locale»).
7. Nell'attuale irruzione - che forse, in
definitiva e se vorremo, potrà rivelarsi decisiva - di neofederalismo interno si fa frequentemente riferimento al liberismo economico (4) e ci si collega con esso, particolarmente da parte dei neofiti della Lega Nord.
Vediamo.
Se il riferimento è utilizzato c o n t r o
un'economia assistita e parassitaria, non
possiamo non essere d'accordo. «Comuni
d'Europa» sin dal suo inizio considerò la
Cassa del Mezzogiorno una brutta copia
della Tennessee Valley Authority (TVA) di
roosveltiana memoria. Poi le nostre critiche
si sposarono con quelle di molti meridionalisti federalisti. Più tardi pubblicammo un
libretto, «Lo sviluppo distratto» di Luigi
Trojani (che denunciava per altro l'incapacità programmatoria e la politica puramente
elettoralistica di molte Regioni, specialmente meridionali), che mandò in bestia un ministro per il Mezzogiorno e trovò la felice
accoglienza dei due membri italiani della
Commissione esecutiva di Bruxelles di allora. Ma fin dai secondi Stati generali di Vienna (1975) la relazione politica - italiana scese più a fondo e analizzò i caratteri di
una economia di mercato, di mercato «democratico». I1 cosiddetto liberismo (liberalismo economico) non è necessariamente
quello reaganiano o thatcheriano ovvero
quello teorizzato dall'economista americano
Milton Friedman. A Vienna si citò largamente un recente libro di Galbraith («Economics and public purpose») e la sua severa
(e ironica) polemica sulla politica dell'offerta nel mercato economico vigente: politica
dell'offerta nelle mani di pochi potenti, le
gzànt corporations. Varie relazioni uscite rec e n t e m e n t e dalla p e n n a d i dirigenti
dell'AICCRE, accettando per ipotesi il mercato come referendum permanente tra i
consumatori, hanno sottolineato che l'informazione della «domanda» non è in alcun
modo democratica e i consumatori sono
semplicemente spinti a un consumismo disinformato e irragionevole. Ma quanto abbiamo detto sopra circa la pianificazione del
territorio e le esigenze ambientali viene a
negare che il mercato economico possa limitarsi a un referendum tra i consumatori. Del
resto, riandando ai padri teorici del mercato
economico, da Smith a Ricardo (e il primo,
oltre che filosofo morale - come si legge
nei manualetti di storia della filosofia dei
nostri licei - era anche un notevole giurista), si può rilevare che li preoccupava l'inevitabile rapporto fra mercato e istituzioni
politiche, non trascurando il ruolo (correttiVO?)delle istituzioni politiche. In sostanza,
anche qui, si pone il carattere essenziale del
federalismo, cioè l'equilibrio tra autonomia
(4) I1 termine "liberismo" è italiano. nato ad opera di Benedetto Croce in una polemica con Luigi Einaudi per distinguerlo dal liberalismo politico-istituzionale: fuori
d'Italia si ricorre piuttosto a espressioni come "libertà di
mercato (economico)".
DICEMBRE 1994
e solidarietà: in economia potrebbe ipotizzarsi l'ideale di un mercato democratico in
cui tutte le iniziative, grandi e piccole, e tutte le esigenze, materiali e spirituali, hanno
possibilità di farsi valere (le sacche di miseria, poi, oltre che ingiuste sono anche costose).
Tutto questo dovrà tenere presente, secondo I'AICCRE, un rilancio economico europeo, e italiano in esso, che sia vòlto ad affrontare una competizione che non è solo infraeuropea, ma mondiale, e che tenga ben
presente la qualità di vita che ne risulta (e
anzitutto che affronti il problema numero
uno, quello dell'occupazione, angoscia non
solo degli statisti ma di ogni amministratore
locale e regionale). Fu per questo che 1'AICCRE lanciò, a cavallo degli anni settanta e
ottanta, il proposito di un New Dea1 europeo, con stretta interconnessione con la situazione italiana. E per questo che 1'AICCRE ha accolto con g a n d e attenzione e impegno il Progetto Delors (poi Libro bianco),
ne ha dibattuto in seno ai suoi organi dirigenti, poi in un seminario europeo organizzato a Roma e infine, sperimentalmente, alla
sua base associativa, anche in piccole comunità periferiche (basta leggere «Comuni
d'Europa» per rilevare il successo di questi
esperimenti di base).
A lato di tutto ciò, non si può tacere sempre sul terreno economico-finanziario l'impegno dell'AICCRE (questo direttamente europeo, .come componente primaria del
CCRE) per soluzioni sou~anazionalidei problemi della finanza locale e regionale (abbiamo già visto, nel punto 4 , l'attenzione per
l'armonizzazione fiscale comunitaria): ma
ciò rientra nell'attività sovranazionale dell'AICCRE, sezione italiana del CCRE, che
merita (ed avrà a breve termine) un volume
a parte.
8. L'AICCRE non ha trascurato i problemi eiettorali posti dal federalismo interno:
ma in realtà su questo tema si è preoccupata,
anzitutto e costantemente, di verificare le diverse proposte elettorali non in astratto, ma
in funzione dei compiti specifici di ogni livello di autonomia. Infatti, a proposito della
Regione, abbiamo osservato cosa richiederebbe una corretta pianificazione del territorio: la legge che ha regolato finora le elezioni
regionali si serviva eminentemente di circoscrizioni elettorali; per cui, abbiamo osservat o , ogni eletto non si muoveva d i fatto
nell'interesse di tutta la Regione, ma dei favori alla propria circoscrizione, e poteva
darsi il caso che patteggiasse alcune «debolezze» nella severa pianificazione del suo territorio col collega regionale di un'altra circoscrizione (accordi omertosi).
Giacchè ci siamo, occorre ricordare qui
che abbiamo lottato, invano, per anni in favore di una adeguata legge nazionale sul governo dei suoli. I parlamentari nazionali potranno riferire come le fabbriche di fucili da
DICEMBRE 1994
caccia e aggeggi collegati e la rendita fondiaria sono egualmente potenti ( 5 ) .
Ci siamo anche impegnati nello smascherare, più in generale, gli equivoci nati intorno alla valutazione di talune leggi elettorali.
L'uninominale secca britannica, per esempio, ha alle spalle due solidi, solidissimi partiti politici (lasciando un modesto spazio, nel
mezzo, che era occupato dal classico partito
liberale): è dubbio cosa possa risultare l'uninominale secca senza solidi partiti alle spalle. Si può anche ipotizzare, in questo caso,
l'assenza di un qualsiasi programma di governo, che abbia la forza minima di farsi valere. Ma l'uninominale con ballottaggio rischia alleanze di comodo, variabili da collegio a collegio, col massimo di corruzione:
era l'opinione di un politologo della forza di
Giuseppe Maranini, protagonista, già agli
inizi degli anni cinquanta, della polemica antipartitocratica (alla quale è stato sensibile
l'autonomismo dell'AICCRE).
9. Adesso a colazione e a pranzo tutti
mangiamo il principio di sussidiarietà (e anche di prossimità): llAICCRE, federalista, li
tiene fermamente presenti da sempre. Ma,
aggiungiamo, tiene altrettanto presente il
principio di interdipendenza di tutti i livelli
di autonomia territoriale (nazionale e, naturalmente, sovranazionale). E per questo (e
anche recentemente a proposito del Comitato delle Regioni e degli Enti locali, sancito
- era ora - dal Trattato di Maastricht) che
1'AICCRE ha sempre insistito non su singoli
livelli di autonomia «separati» (e perfino litigiosi) ma sul sistema delle autonomie. Coerentemente aderiscono all'AICCRE Comuni, Province e Regioni. Su questo punto ci
siamo sempre battuti nel CCRE, che concorda, tutto, con noi.
Naturalmente l'interdipendenza guarda
lontano anche per problemi molti vicini. Gli
scontri razziali nelle nostre Città, l'esasperazione di fronte ai «concorrenti esterni» di
molti lavoratori disoccupati, di molti giovani, come purtroppo si suole dire, «senza arte
nè parte» richiedono - oltre ovviamente
la paziente e severa educazione sul posto,
esemplare e giorno per giorno -, anche l'indicazione coraggiosa di una prospettiva planetaria, epocale. Molti giovani possono rinfacciare ai loro «educatori» che essi vivono
tranquillamente iil una società opulenta e
(5) L'AICCRE ha costantemente collaborato con gli urbanisti italiani di punta, più coraggiosi e coerenti - e interessati alle autonomie territoriali -. da Ludovico Quaroni alle sue origini a Giuseppe Campos Venuti (il maestro dell'urbanistica riformista) in tutta la sua storia (ricordiamo Piccinato, Samonà. Astengo, Benevolo ecc.).
Di Campos Venuti teniamo presenti alcune fondamentali
collaborazioni a "Comuni d'Europau (per es. "Urbanistica ed ecologia riforniiste" nel numero di giugno 1990). Si
veda in generale, "Urbariisti italiani", a cura di P.Di Biagi
e P. Gabellini ([Bari] 1992, editori Laterza). Con Benevolo si discusse di un green Reit per la città di Roma.
fanno presto a predicare: in realtà l'unica risposta onesta, in prospettiva, è che la nostra
società battezzata dei «due terzi» (benestanti! non pare che riesca a versare «lacrime e
sangue» a favore di un Quarto Mondo, che
essa ha derubato e deruba quotidianamente
e donde si emigra o, meglio, si fugge in massa per fame e per disoccupazione endemica.
Una Federazione europea, democratica e
giusta - che è il nostro obiettivo -, dovrà
pur fare questa terribile autocritica, perchè
poi si possa, onestamente, «educare» alla
convivenza in una società multietnica: tout
se tient.
La conclusione di questa «sintesi» pare
chiara e semplice. Nell'Europa in costruzione riteniamo utile l'aiuto che, nel servizio
europeo (informazione, partecipazione ai
fondi strutturali comunitari, ecc.), può venirci dalle associazioni «sindacali» dei Poteri
locali e regionali (ANCI, UPI, Conferenza
delle Regioni, ecc.), che, proprio per il loro
limitato carattere, toccano una rilevante
massa di Enti. Anzi questo aiuto può divenire prezioso e ottenere il premio di una presenza europea, ambita come tutte le novità.
Ma compito prevalente di queste stesse
associazioni e di tutti gli amministratori locali e regionali democratici dovrà essere di
rinforzare 1'AICCRE e con ciò il suo peso
nel CCRE: non si tratta qui di un «servizio
europeo», ma di una spinta politica, originale e insostituibile, basata anche su un'adeguata cultura e dedicata totalmente all'obiettivo federalista, infra e sovranazionale. L'interdipendenza tra federalismo interno e federalismo sovranazionale è evidente: ma deve essere altrettanto evidente la partecipazione delle autonomie territoriali alla battaglia federalista - che è tutt'altro che vinta
- accanto a tutte le altre forze della società
e ai loro movimenti, nostri «fratelli». L'AICCRE e il CCRE sono sempre stati e sono
uno dei punti di forza di un «fronte democratico europeo», senza il quale rimarremo
alla debole, incerta Europa intergovernativa
e, in sostanza, non riusciremo neanche a radicali riforme strutturali interne.
Beninteso: è l'idea di un'associazione di
punta, tutta impegnata in questa storica missione, che bisogna difendere a qualunque
costo, non le persone che finora ci si sono
invecchiate. La milizia del CCRE (e quindi
dell'AICCRE) riguarda tutti, assolutamente
tutti coloro che sono pronti a rinunciare al
successo immediato e a lavorare per l'alternativa democratica della costruzione federale europea e del rinnovamento italiano, pure
in senso federale. In una prospettiva missionaria non ci sono problemi di potere, ma solo di dedizione, di cultura e (perchè no?) di
spirito di sopportazione verso coloro che
¤
non ne capiscono il valore.
COMUNI D'EUROPA
"bisogno di cambiare"
Autonomismo e riforma dello Stato
di Francesco Stevenin *
Sin dai risultati dei referendum dello scorso anno, appare chiaro come il Popolo italiano manifesti un bisogno di effettiva decentralizzazione delle competenze politico-amministrative, reclamando una più equa ed efficace
ripartizione tra i diversi livelli: Stato, Regioni,
Autonomie locali.
I1 Governo attuale, in parte si dichiara attento a questo «bisogno di federalismo», ma
forse prigioniero della mentalità centralizzatrice di alcuni componenti la compagine di
maggioranza, non mi pare abbia proceduto,
finora, significativamente nel senso della
riforma dello Stato.
Penso quindi di poter affermare che il ruolo di motore della riforma dello Stato - «in
senso regionalista e autonomistan, federalista
- deve spettare a noi, attraverso una forte
azione energica; a noi Consiglieri regionali,
espressione delle Regioni e delle Province Autonome che dovranno essere il cardine istituzionale attorno al quale costruire il nuovo sistema delle autonomie, nei rapporti con lo
Stato e con gli Enti Locali.
In questo momento complesso, si impongono alcune riflessioni, per fare chiarezza su
quelle che dovranno essere le linee direttrici
del nostro divenire regionale, e dello Stato italiano in generale.
Bisogna riflettere e confrontarsi seriamente, affinché la nostra azione congiunta per il
«cambiamento» non sfoci in una situazione di
caos: con conseguenze pericolose per la stabilità politica, per lo sviluppo economico, per la
democrazia.
Bisogna farlo per costruire insieme il progresso, nel rispetto degli interessi e delle aspirazioni di ognuno.
Bisogna riflettere, con coraggio, sul significato del «federalismo», obiettivo perseguito e
demonizzato al tempo stesso, tanto da renderlo innominabile.
Perché è al federalismo che si tende, comunque, allorquando si studia una reale ripartizione di competenze e poteri tra i diversi
livelli di governo di un'entità politica complessa.
I1 federalismo, nella sua più pura accezione
politologica, non può e non deve tradursi in
una precisa ricetta politica, confezionata a
priori da questa o quella scuola di pensiero.
Stati Uniti, Svizzera, Germania, Canada,
Australia, dimostrano come sistemi federali
siano tra loro differenti, perché nati dall'esperienza e con l'esperienza affinatisi.
I1 federalismo è una filosofia di vita, che in
politica si traduce in situazioni diverse, di
«mediazione» tra il centralismo e i particolarismi. È la concertazione continua, tra la volontà di auto-gestirsi e la necessità di vivere,
di agire insieme. Non è lo smembramento della unità, bensì l'unità dello Stato nel rispetto
delle sue diversità interne. È la libertà di tutte
"Presidente del Consiglio regionale della Valle d'Aosta. Intervento alla I1 Conferenza nazionale dei consiglieri delle Regioni
italiane, Roma, I l novembre 1994.
COMUNI D'EUROPA
le parti, nel rispetto dell'ordine e dell'interesse comune.
I1 federalismo è, dunque, una forma di istituzionalizzazione del compromesso politico
permanente che solo può, neil'unità dello Stato, garantire che gli interessi delle parti non
vengano mutilati.
Esso è, oltremodo, la più vera espressione
della democrazia, intesa come «governo del
popolo, per il popolo, esercitato dal popolo».
Perché il vero federalismo è espressione diretta della base; perché esso garantisce le Autonomie, la partecipazione alle decisioni, la
sussidiarietà, il partenariato e la reciproca solidarietà di tutti i liveili politico-amministrativi: partendo dal cittadino fino al Governo federale attraverso le autonomie locali e regionali.
Né ciò mi pare impossibile pur permanend o il concetto di Repubblica «una e indivisibile». Infatti, anche lo Stato federale è uno nella sua soggettività giuridica internazionale
- e indivisibile, visto che il diritto di secessione non è previsto, né prevedibile, in un'organizzazione federale.
Né, voglio sottolinearlo con forza, il federalismo è un'ideologia infernale che mira a distruggere lo Stato: si vuole solamente trasformare lo Stato in termini di democrazia e libertà, oltreché di efficacia ed efficienza.
Rovesciare il criterio di ripartizione delle
competenze tra Stato e livelli sub-statuali, garantire autonomia fiscale e solidarietà finanziaria per le Regioni e Province Autonome,
proporre una Camera delle Regioni, in una
nuova logica di bicameralismo, significa costruire un sistema federale.
Costruirlo, e non imporne uno predefinito,
schematizzato in macro-regioni artificiose,
volte a soddisfare gli interessi dell'una o
dell'altra forza politica, dell'una o dell'altra
parte del Paese.
Costruire un'Italia federale significa partire
dalle attuali divisioni politico-amministrative,
accentuarne l'autonomia nel rispetto di sussidiarietà e solidarietà.
Significa che ogni accorpamento tra enti
sub-statuali deve essere spontaneo, e non disegnato a tavolino, seguendo logiche economiche o partitiche: alle macro-regioni si può
giungere, ma per volontà espressa delle diverse collettività!
Ecco perché spetta a noi essere i promotori
del nuovo Stato, in cui le Regioni e le Province Autonome siano i reali attori sugli scacchieri politici statale ed europeo.
Ecco perché spetta a noi battersi affinché
lo Stato, attraverso la realizzazione di un concreto sistema di autonomie, si awicini sempre
più al cittadino.
Ecco perché desidero ricordare che il Parlamento della Valle d'Aosta ha presentato una
proposta di Legge costituzionale «Per la costituzione dello Stato federale», molto articolata, molto precisa e molto vicina a quelle
aspettative che tutti noi abbiamo più volte
espresso nelle diverse sedi.
Regioni e autonomie più forti, dunque, per
un'Italia più rappresentativa delle diverse
realtà. E in questo processo le Regioni a Statuto speciale e le Province Autonome hanno il
dovere di giocare un ruolo primario. Forti di
autonomismi radicati nella storia, nella geografia, nella cultura, nella tradizione e nelle
peculiarità etnico-linguistiche, esse sono il laboratorio naturale in cui procedere alla sperimentazione di nuove forme di autogoverno.
Da sempre rivendicano competenze particolari, ad esempio in materia di organizzazion e interna, di politica culturale, di accordi
transfrontalieri, di politica economico-finanziaria, di partecipazione alla politica estera
dello Stato.
In un'Italia che si vuole aprire all'Europa
- accettandone i principi ispiratori che sono
quelli di un «implicito federalismo~- le Regioni devono essere rafforzate.
Non possiamo dimenticare le responsabilità delle Regioni nelle dinamiche europee. Il
Comitato delle Regioni, istituito dal Trattato
di Maastricht, è in attività; dobbiamo aspettarci d a esso, al di là delle sue iniziali difficoltà operative, una decisa propulsione verso la conquista di nuovi spazi per le Regioni
stesse.
Così come la funzione di «cerniera» delle
Autonomie speciali non può essere ignorata,
ma accettata e sostenuta energicamente dalla
Costituzione dello Stato. Non già per creare
privilegi ingiustificati in uno Stato che si vuole più giusto e democraticamente efficiente,
ma per salvaguardare le diversità che costituiscono, per noi cittadini dell'Italia e dell'Europa, la più profonda ricchezza.
Credo, altresì, di dover ribadire che il federalismo non è, in alcun modo, una scoperta di
questi anni (alla Lega riconosciamo il merito
di aver posto il tema al centro dell'attenzione
politica); non è una reazione al fenomeno di
tangentopoli ed al bisogno di scrivere nuove
regole per la convivenza democratica attraverso diversi assetti istituzionali.
I1 federalismo ha radici storiche profonde:
senza rileggere la storia risorgimentale ricordo
che il federalismo in senso moderno in Italia
pone radici nella lotta di liberazione partendo
dall'ipotesi di determinare, non oggi, ma allora, nel dolore della guerra e nell'ansia della liberazione, la nascita di un Paese veramente
democratico.
I1 federalismo in chiave alpina ha nella Dichiarazione di Chivasso, sottoscritta il 19 dicembre 1943, il suo documento basilare.
I1 federalismo in chiave mediterranea ha radici che risalgono, come quello meridionale, a
inizio secolo.
La costituzione del Movimento federalista
awenne a Milano nel '43 ed il suo instancabile lavoro arriva fino ai giorni nostri.
Se la storia del Movimento federalista in
Italia ha radici tanto solide e tanto importanti,
il nostro dibattito odierno sul regionalismo e
sul federalismo deve dimostrarsene conse¤
guente e all'altezza.
DICEMBRE 1994
in margine a una riunione statutaria
La nostra patria Europa
di Cesare San Mauro *
Nelle riunioni degli organismi europei di
ogni ordine e g a d o non mancano mai episodi di «lamentazioni nazionali» di ogni genere. Chi si lamenta della quota del latte. Chi
dell'ultima direttiva in materia di difesa
dell'Ambiente. Chi dei sacrifici imposti dal
Sistema monetario europeo. Ciascun rappresentante di ogni nazione sembra confermare
la propria adesione all'unione Europea «nonostante i gravi sacrifici etc.etc.». Insomma
tutti sembrano sacrificarsi e nessuno invece
ammette di ricevere anche qualche beneficio.
Questa abitudine, che ho potuto riscontrare anche nell'ultima riunione del Comitato Direttivo del CCRE cui ho avuto l'onore
di partecipare a Parigi, si presta a qualche
considerazione sul senso della nostra appartenenza all'Europa. Meglio, sul senso della
nostra identità europea. Si possono avere,
come è noto, diverse visioni di ciò che 1'Europa è, e di ciò che «dovrebbe essere». Gli
economisti e i ministri, ovviamente, sembrano per esempio dividersi fra chi vede 1'Europa come un'area di libero scambio e nulla di
più e chi invece vorrebbe attribuire maggiore
potere, anche cogente, alle autorità centrali
dell'unione europea, con l'inevitabile dirigismo, almeno parziale, che ne consegue.
Ai primi si potrebbe obiettare che, se vogliono davvero arrivare all'unità europea, devono pur riflettere che il mercato, da solo,
non è mai nella Storia riuscito a costruire un
solido apparato statale. Anzi, proprio la libertà totale di mercato, peraltro utopistica
alla fine del XX secolo, stava per disgregare,
e non per unire, una formazione statale e nazionale ben più omogenea dell'Europa attuale, quale erano gli Sati Uniti d'America nel
secolo scorso.
Ai secondi peraltro, si potrebbe obiettare,
e si obietta, che il dirigismo economico di
marca socialdemocratica tradizionale ha ormai fatto il suo tempo. La pretesa di regolamentare tutto o quasi ha già dato i suoi frutti
negativi sul piano delle politiche nazionali e
non si vede proprio perché dovrebbe riuscire
meglio nel campo dell'edificazione di un'entità sovranazionale, ove alle difficoltà comunque connesse all'intrusione nella vita economica del privato si sommano la suscettibilità
A Parigi il Direttivo del CCRE
L'I e 2 dicembre n' è svolto a Parigi il Direttivo del CCRE. Hanno partecipato tutte le Sezioni dei Paesi dell'Unione europea e le delegazioni ceka, finlandese, norvegese, polacca, slovena, svedese, svizzera; era presente anche una
delegazione di Israele (ciò era molto importante in quanto collegato con le conclusioni «democratiche)) della seconda Conferenza euroaraba delle Città, che si è svolta a Valencia in
settembre) e, invitato, il Presidente della Federazione dei Comuni della Romania, Adrian
Moruzi, Sindaco dz Brasov.
La delegazione italiana era formata da Amelia Ardias Cortese (Assessore della Regione
Campania), Fausta Giani Cecchini (Presidente
della Commissione delle elette locali e regionali di tutto il CCRE), Gianfvanco Martini, Fabio
Pellegrini, Cesare San Mauro (Presidente della
Commissione bilancio del Comune di Roma),
Umberto Serafini, e altresi Aurelio Dozio, che è
uno dei Revisori dei Conti del CCRE. Ha partecipato ai lavori anche Renato Cigliuti, Capo
Gabinetto del Sindaco di Torino.
Il Direttivo di Parigi ha designato Gianfranco Martini quale Responsabile politico di tutti i
gemellaggi del CCRE. La Cecchini ha illustrato
gli intensi lavori della Commissione che presiede, lamentando per altro la insufficientepartecipazione di talune Sezioni nazionali. San Mauro, intervenendo in vari punti ma particolarmente sul bilancio del 1995 in approvazione,
ha lamentato da una parte alcunz costi eccessivi
della organizzazione, dovuti anche a suo avviso
da una non adeguata modernizzazione tecnoloDICEMBRE 1994
gica, mentre dall'altra ha sottolineato la irrinunciabile priorità dei compiti politici di tutto
il CCRE. Pellegrini; intervenendo sul bilancio
di previsione, pur lamentando aspetti puramente finanziari, che penalizzano ingiustamente le
Sezioni di Paesi con moneta pizì debole (malgrado la solidarietà che dovrebbe legare le diverse Sezioni di una organizzazione sovranazionale, indipendente dai governi e quindi anche
dalla politica economica dei singoli Stati), ha
appoggiato il bilancio in quanto sostanzialmente privilegia una organizzazione e una sede del
CCRE volti in primo luogo alla politica e a una
politica autonoma, contro proposte di accorpamenti che prevedevano soluzioni burocratiche e
tecnocratiche, di puro servizio agli enti associati.
Serafini è intervenuto per sottolineare, dopo
un documento di stile sindacale. interno e di lavoro che trattava prevalentemente i problemi
delle autonomie territoriali nella prospettiva
della revirione del Trattato di Maastricht (sul
quale si è astenuto), la necersità di un docuO CCRE sulla revisione del
mento D O ~ Z ~ Z Cdel
1996, documento la cui redazione dovrà essere
affidata a organi politici del CCRE e che dovrà
sottolineare soprattutto l'interdipendenza della
costruzione federale dell'Unione e del progresso e della garanzia delle libertà locali e regionali. Il Direttivo ha poi accolto con grande soddisfazione la proposta del Sindaco di Torino, portata a Parigi dal suo capo gabinetto Cigliuti, di
ospitare una delle grandi manz~estazionieuropee previste dal CCRE per il 1995.
dei governi nazionali non sempre e necessariamente immotivata e la possibile, anzi,
sempre in agguato, diffidenza del cittadino
costretto a «sospettare» due sovrani, di cui
uno per di più straniero.
Quest'ultimo aspetto della «diffidenza
possibile» del cittadino europeo nei confronti di un «sovrano straniero» è pressoché sconosciuto in Italia. Da noi è quasi impossibile
trovare un cittadino che non sia teoricamente consenziente al trasferimento di sovranità
ad organismi europei. Questo fa degli italiani
degli europeisti più convinti e più profondi
di altri che questa diffidenza almeno parzialmente nutrono? Dipende. E a mio avviso
questo atteggiamento è determinato assai più
dalla radicale sfiducia nei confronti di tutto
ciò che si compendia nella parola «Stato»,
propria della nostra Storia e del nostro popolo, di quanto non sia invece ispirato dalla
fiducia verso le autorità europee. Questa è
un po' la tragedia della nostra Storia nazionale. Si può dire ancora oggi, come scriveva
il Manzoni 170 anni orsono, che gli italiani
spiano «sull'Alpi l'apparir d'un amico stendardo». Attenti quindi a ritenere che la nostra presunta docilità, tutta verbale, sia poi
qualcosa di cui menar vanto. Alla prova dei
fatti, poi, l'Italia risulta, fra i paesi della
CEE, fra quelli più lenti e restii a dar corso
alle direttive comunitarie.
Tutte queste considerazioni per arrivare a
rilevare come ciò che sembra mancare o quasi nelle considerazioni sull'Europa che c'è e
su quella che dovrà esserci, è la consapevolezza, o meglio ancora la messa in valore della ricchezza che ci unisce, questa sì senza opposizioni, agli altri cittadini europei: la comune tradizione culturale. Su questa si versano, è vero, fiumi di retorica per lo più sterile. Ma proviamo a riflettere sul significato
delle parole che abbiamo detto: comune vuol
dire di ognuno, di ogni europeo dal Capo
nord al Capo Passero. Tradizione vuol dire
trasmissione, ciò che le famiglie, le formazioni sociali di ogni ordine e g a d o prendendo
dal passato e arricchendolo «trasmettono» al
futuro. E culturale non significa un banale
elenco di grandi europei dal libro di scuola,
quasi un elenco dalla A di Alessandro il
Grande alla zeta di Emile Zola. No. Cultura,
vale a dire civiltà. Civiltà, il complesso dei
valori, dei comportamenti, degli usi, dei sentimenti, insomma delle vita. E allora possiamo aggiungere, del tutto laicamente: cultura,
vale a dire spirito.
E dallo spirito europeo dobbiamo sempre
partire nella costruzione dell'unità europea,
da quello che non ha bisogno di prendere
ognora più «coscienza di se». Bene risponde(segue a pag. l l )
.'Presidente delle Commissioni bilancio e questioni istituzionali
del Comune di Roma.
COMUNI D'EUROPA
i programmi MED-URBS dell' Unione europea
Mediterraneo, laboratorio di sviluppo
I1 14 e 15 novembre, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio a Roma, si è tenuta la I Conferenza annuale MED-URBS, cui
hanno partecipato circa 200 città interessate
alla cooperazione decentralizzata tra 1'Unione europea ed i paesi della sponda sud del
Mediterraneo.
I rapporti tra i paesi del Nord e quelli del
Sud del Mediterraneo sono segnati dalla
presa di coscienza d'una crescente interdipendenza della società e degli uomini e
a vicinanza geografica si è tradotta in un
moltiplicarsi di contatti personali ed in una
amplificazione del fenomeno migratorio. In
questa ottica, la Comunità europea ha deciso, nel 1992, di iniziare una nuova politica
di promozione delle reti di cooperazione tra
i soggetti dello sviluppo. Conformemente a
questa politica, ha scelto di promuovere la
cooperazione tra le città e più in generale
tra gli enti locali, nel quadro di un programma di cooperazione chiamato MED-URBS,
elaborato dalla Direzione generale delle relazioni economiche esterne della Commissione europea.
I1 programma MED-URBS si propone di
aiutare lo sviluppo socio-economico locale
dei Paesi Terzi Mediterranei (nello specifico: Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia,
Turchia, Territori Occupati) suscitando e
rinforzando operazioni di cooperazione con
le collettività locali della Comunità europea.
Per far ciò il programma promuove la creazione di reti mediterranee, lo sviluppo di relazioni contrattuali paritarie, lo scambio ed
il trasferimento di esperienze e di conoscenza nel campo della gestione e dello sviluppo
urbano.
Tre organismi sono implicati nella gestione del programma MED-URBS:
1) la Direzione generale delle relazioni
economiche esterne della Commissione europea ( D G I ) , che fissa gli obiettivi e le
priorità del programma;
2) l'Agenzia per le reti transmediterranee
(ARTM), incaricata degli aspetti contrattuali e finanziari del programma;
3 ) l'ufficio d'assistenza tecnica (BAT),
incaricato della gestione e dell'attuazione
quotidiana del programma, a sua volta formato da due organismi: il CCRE (Consiglio
dei Comuni e delle Regioni d'Europa) incaricato del coordinamento del programma, e
il CUD (Cités Unies Développement) incaricato dell'animazione delle reti.
La Conferenza di Roma è stata organizzata appunto da questi organismi, con l'apporto fondamentale della Sezione italiana
del Consiglio dei Comuni e delle Regioni
d'Europa (AICCRE).
L'obiettivo della Conferenza è stato quello di valutare i risultati del programma
Med-Urbs. che rientra nella nuova ~olitica
mediterranea della Commissione. Questa
COMUNI D'EUROPA
politica si propone di rafforzare le relazioni
dell'unione europea con i suoi «vicini» mediterranei e di favorire lo sviluppo socioeconomico di questi paesi.
Nell'in~ora~giare
i legami tra le città dell'Unione e quelle dei paesi terzi mediterranei, il programma Med-Urbs si propone di
apportare un contributo al processo di riforma in atto nella regione. Durante la conferenza, alcune sessioni di lavoro si sono
soffermate sui benefici specifici di questo tipo di cooperazione decentralizzata.
La prima, coordinata da Avi Rabinovitch,
Direttore generale aggiunto dell'unione degli Enti territoriali d'Israele, e con relatori
José Gameiro, Vicesindaco di Lisbona, e
Miche1 Bescond, Direttore generale di Città
Unite Francia, era rivolta alla gestione delle
città, che diventa sempre più complessa e
necessita quindi di un'azione strategica. Alcune città hanno già adottato questo tipo di
approccio, mentre altre restano ancora indietro.
La cooperazione decentralizzata può risultare un modo efficace per trasmettere
questo know-how, infatti permette alle collettività locali, a partire da obiettivi comuni,
di scambiare informazioni tecniche relative
alla gestione municipale e allo sviluppo locale.
In materia di gestione delle risorse umane, la cooperazione decentralizzata può aiutare e responsabilizzare gli agenti territoriali, tanto a livello di motivazioni personali
che nel contenuto del loro lavoro.
Gli obiettivi della cooperazione decentralizzata dovranno essere ben definiti, così come le reciproche intenzioni dei partners;
dovrà apportare un valore aggiunto tangibile; si dovrà far conoscere tra i partners della
stessa rete e tra le reti della stessa area geografica.
Se l'esperienza delle collettività locali in
materia di sviluppo locale può essere utilizzata per attività di cooperazione decentralizzata, è ugualmente possibile il processo inverso: le strategie di sviIuppo locale possono
essere il frutto della cooperazione decentralizzata.
La seconda sessione di lavoro, coordinata
da Bernard Bermils, Segretario comunale
aggiunto della Città di Charleroi, e con relatori Selahattin Yildirim, Segretario generale
della IULA-EMME di Istanbul, e Francis
Chouat, Segretario generale aggiunto della
Città di Gennevilliers in Francia, ha esaminato la cooperazione decentralizzata finalizzata a modernizzare le strutture amministrative delle città. Questo tipo di cooperazione
può facilitare gli scambi di informazioni tecniche rivolte alla gestione interna e allo sviluppo economico locale. Lo scambio tra le
varie esperienze ha anche facilitato un ripensamento dei propri metodi di lavoro.
Da qualche anno, le scelte da fare per
meglio gestire una città sono via via più
complesse e necessitano di una migliore
chiarezza per una pianificazione più efficace. È sempre più difficile accelerare lo sviluppo di una città senza avere un'idea precisa delle sue potenzialità e del suo divenire.
La strategia urbana è un'arte difficile:
questo processo innovativo riposa su metodi e tecniche specifici e necessita di un gran
volume d'informazioni.
A partire da un progetto limitato, centrato su un obiettivo ben preciso, una città impara a lavorare in una rete che attraversa le
frontiere: la città non dovrà più limitarsi ad
essere ben integrata nel suo interland o nel
I1 Sindaco di Roma, Francesco Rutelli, porta il suo saluto alla Conferenza.
DICEMBRE 1994
suo paese, ma dovrà trovare il suo posto su
un ambiente ben più grande. La cooperazione decentralizzata permette la messa in
opera d'una strategia della città.
Una terza sessione di lavoro, coordinata
da Klaus Klipp, Direttore Amministrativo
della Città di Francoforte, e con relatori Patrick Berry, Funzionario delegato delle Lancashire Enterprises nel Regno Unito, Mohamed Brahimi, Direttore degli affari giuridici, degli studi, della documentazione e della
cooperazione del Ministero dell'Interno del
Marocco, e Michalis Jacovides, Direttore
della pianificazione urbana della città di Limassi1 a Cipro, ha trattato infine delle prospettive future dei progetti Med-Urbs: sulla
loro continuità, specializzazione ed ampliamento. Come si può passare da un semplice
scambio di esperienze a realizzazioni concrete? come ricercare finanziamenti d'investimento rinnovabili?
Certe reti di coo~erazionedecentralizzata
hanno verificato delle difficoltà a Dassare
dal semplice scambio diagnostico allo stadio
di realizzazioni concrete come la valorizzazione e la qualificazione delle risorse umane, il rafforzamento delle istituzioni, il miglioramento dei modi di gestione o la realizzazione di progetti concreti di sviluppo.
L e reti del P r o g r a m m a MED-URBS
possono trovarsi costrette tra due esigenze: il necessario passaggio della loro attività ad una velocità superiore ed il desiderio
della Commissione Europea di ripartire il
SUO contributo tra un numero crescente di
reti.
È infine importante che la cooperazione
decentralizzata si inserisca, in una maniera o
in un'altra, nelle politiche di cooperazione
degli stati ai quali appartengono i partners
delle reti.
La Conferenza era stata aperta dai saluti
niente affatto formali del Sindaco di Roma
Francesco Rutelli e del Segretario generale
dell'AICCRE Gianfranco Martini, seguiti
dalla relazione di Maria Paola Piazzardi,
della Direzione generale delle relazioni economiche esterne della Commissione europea, che ha tra l'altro illustrato ampiamente
le nuove linee di politica mediterranea dell'Unione europea.
I1 Consiglio europeo di Corfù del giugno
1994 ed il Consiglio «affari generali» che vi
aveva fatto seguito, avevano invitato la
Commissione a predisporre degli orientamenti per rinforzare a medio termine la politica mediterranea dell'unione, in favore
della pace, della stabilità, della sicurezza e
dello sviluppo socio-economico della regione. I1 Consiglio si era ugualmente interrogato sull'eventuale organizzazione di una conferenza euro-mediterranea nel 1995.
La Commissione ha risposto positivamente a queste sollecitazioni con un documento teso a contribuire all'alimentazione
del dibattito in seno ad una tale conferenza,
che fissa i nuovi orientamenti per rinforzare
la politica mediterranea.
L'obiettivo dovrà essere lo stabilimento
d ' u n partenariato euro-mediterraneo. I1
processo inizierà con una liberalizzazione
progressiva degli scambi, sostenuta da un
aiuto finanziario generoso, per rinforzare i
rapporti di cooperazione politica ed economica e sfociare infine in un'associazione il
cui contenuto sarii definito in comune ad
uno stadio ulteriori:.
Nel pomeriggio del primo giorno dei lavori, si è potuto assistere ad una tavola rotonda coordinata dal vicesindaco di Romans
(Francia), René-Christian Béraud, che ha visto gli interventi di Marie-José Chéraga, vicesindaco di Le Havre (Francia), di Mostafa
Sabik, Vicepresidente della Comunità urbana d i Casablanca ( M a r o c c o ) , d i Sami
Menkara, Sindaco di Tripoli (Libano), di
Antonis Haggipavlu, sindaco di Limassol
(Cipro), di Ahmet Bilgin, sindaco di Diyarbakir (Turchia), e Les Madden in rappresentanza della Città di Portsmouth (Gran
Bretagna).
La Conferenza si è chiusa con un breve
intervento di Chicco Testa, presidente dell'Azienda Comunale Energia ed Ambiente
di Roma e della Confederazione italiana dei
Servizi pubblici degli Enti locali, che ha ricordato la posizione antica di Roma ed il
suo obiettivo odierno di essere un ponte tra
le varie città del Mediterraneo.
La nostra patria Europa
( s e g u ~do pag.
9)
va De Gasperi a chi gli diceva che l'Europa
era un bell'ideale per i giovani: «ti sbagli,
l'Europa non è un'ideale, è una realtà».
S'intende che queste considerazioni non
possono esaurire l'argomento. Se si vuole
che questa unità spirituale che c'è s'incarni
in forme giuridiche e politiche che ancora
non ci sono e che devono esserci, sono necessari gli atti concreti, le rinunce di sovranità, la buona volontà concreta dei governi e
dei cittadini. Tenendo però sempre presente
che non in astratte - queste si! - formulazioni giuridiche o politiche, bensì nel «fare
insieme» si pongono davvero le fondamenta
dell'edificio unitario. Questa è del resto la lezione della formazione degli Stati nazionali, e
analoga deve essere l'opera per la formazione
di quello europeo. Alla lunga lo spirito si incarna nell'azione. Deve, anzi, farlo. Ci piace
citare a questo proposito un grande europeo,
W. Goethe, che fa dire all'inizio del dramma
al suo dottore Faust: «In principio era l'azione».
È dunque la valorizzazione di quello spirito e u r o p e o - che non ha bisogno di
spiegazioni, dalla eredità cristiana all'illuminismo, dalla laicità dello Stato alla democrazia liberale - I1 presupposto e insieme il
mezzo della costruzione dell'Europa. La
quale deve e può liberarsi, anche, da complessi di rimorsi e inferiorità culturali prima
che politiche.
Proprio l'orgogliosa rivendicazione delle
culture diverse dalla nostra che caratterizza il
nostro tempo deve spingerci ad essere ancora più consci della vitalità della nostra. Perché il valore del «diverso» è un concetto della cultura europea. Perché gli strumenti spirituali, morali, tecnici, per una giusta valorizzazione delle culture «altre» sono europei.
Perché l'Europa è la madre dei diritti dell'uomo. La nostra Patria Europa.
Uno scorcio della Sala della Protomoteca, gremita dai partecipanti alla Conferenza
DICEMBRE 1994
COMUNI D'EUROPA
i gemellaggi svelano i partners
Riflessioni critiche su un'esperienza italo-francese
di Mattia Pacilli *
Riferirò su un'esperienza particolare,
parlando dello stato delle relazioni europee che legano dal 1985 due piccoli comuni dei quali traccio prima di tutto il profilo.
Bassiano (I). Un angolo di natura e un
brano di Medioevo nel Lazio meridionale
(80 chilometri a sud di Roma), in provincia
di Latina, nell'area della Comunità Montana dei Monti Lepini. I1 centro urbano sorge su una collina alta metri 562, al centro
di un anfiteatro in pietra carsica ricco di
vegetazione. Tutto il territorio comunale è
circoscritto dai monti, la cui vetta più alta
raggiunge i 1500 metri.
La cinta delle mura merlate delimita la
cittadella fortificata e racchiude le antiche
case; molte di esse conservano la linea
slanciata delle torri di guardia. Gli abitanti
sono 1600: pochi si occupano di agricoltura, di pastorizia e di artigianato, mentre la
maggior parte lavora nelle industrie della
pianura sottostante. Prodotti tipici sono le
olive, le castagne e il prosciutto. In estate
Bassiano accoglie un discreto numero di
turisti.
Pont-en-Royans (F). I1 villaggio si trova
alla confluenza di due strade pittoresche
dell'antico Delfinato; il suo territorio, colloqato tra le città di Grenoble e Valence, è
totalmente compreso nel Parco Naturale
Regionale del Vercors.
I1 centro storico accoglie i visitatori con
lo spettacolo delle case sospese alle falesie
strapiombanti sul fiume che attraversa
l'abitato, e con il fascino dei vecchi quartieri dalle stradine piene di fiori. A partire
dal Medioevo il castello venne a lungo
conteso, perché il suo ponte consentiva il
passaggio verso la Provenza e l'Italia.
Oggi Pont-en-Royans comprende 1200
abitanti attivi in gran parte nel commercio,
nell'artigianato del legno e nelle industrie
di accessori elettrici; importante il dinamismo delle attività di ristoro e di quelle alberghiere, trovandosi il villaggio lungo una
delle direttrici delle piste da sci.
Affinità urbanistiche, demografiche ed
economiche hanno determinato i due comuni a stabilire relazioni permanenti di
fraternità e cooperazione, con l'intento di
dare un contributo concreto alla costruzione dell'unione europea.
I primi cinque anni di scambio sono stati segnati da esperienze forti e strutturate,
rese possibili dall'intesa operativa tra i dile
Comitati di gemellaggio e dalla convinta
partecipazione di consiglieri comunali,
componenti di associazioni culturali e del
tempo libero, ragazzi delle scuole, giovani,
'Coordinatore delle attività di gemeiiaggio e direttore della Casa d'Europa di Bassiano.
COMUNI D'EUROPA
adulti e anziani. Un percorso che 1'AICCRE ha definito «esemplare», apprezzandone il respiro corale assicurato dalla partecipazione di tutti i cittadini. Lo dimostra
l'opuscolo pubblicato in occasione del 5"
anniversario del gemellaggio intitolato
«Bassiano (I) - Pont-en-Royans (F):insieme per costruire l'Europa»; e il bilancio
delle iniziative realizzate nell'awicendarsi
delle stagioni; è il succedersi delle tappe
nelle quali possono ritrovarsi molti tra i
comuni fratelli in Europa, grazie all'intuizione di Jean Bareth ideatore del metodo
dei gemellaggi all'interno dell'allora Consiglio dei Comuni d'Europa (CCE).
Le difficoltà di mantenere l'andatura e il
ritmo assunti nel primo quinquennio si sono affacciate, subito dopo, a Bassiano co-
Lepini e quelli francesi associati nel Parco
del Vercors. Ma la strada si è rivelata non
percorribile, in quanto l'Ente francese aveva già stabilito rapporti con un organismo
sovracomunale italiano nella regione Lombardia. Permane da allora la convinzione
che l'economia costituisce un elemento decisivo per dare stabilità e impulso all'insieme delle relazioni.
Oggi è necessario trovare il modo giusto
di reagire alla ripetizione dei gesti e delle
parole, che spesso caratterizza il rapporto
interpersonale nelle coppie di sposi (se è
lecito continuare il paragone con la situazione matrimoniale): superando con decisione la stanchezza e la noia prima che diventino croniche.
Intendiamoci, non che non sia awenuto
Incunabolo stampato a Venezia nel 1497 da Aldo Manuzio (1447-1515),che ebbe i suoi natali ~ r o p r i oa
Bassiano
me a Pont. Probabilmente la trepidazione
del fidanzamento e la lunga gioia della luna di miele stavano esaurendo il loro effetto trascinante; e forse l'entusiasmo per la
reciproca scoperta stava venendo meno:
infatti due piccole realtà fanno presto a
scambiarsi tutto o quasi. Anche se il punto
debole resta il fatto che l'economia non è
entrata veramente in gioco; i timidi tentativi di esposizione dei rispettivi prodotti, nel
corso di sagre e di fiere, non potevano determinare l'apertura dei mercati.
Scoperti i limiti, si è sperato molto nel
grande gemellaggio tra i comuni italiani
riuniti nella Comunità Montana dei Monti
più niente di interessante, dall'inizio della
crisi; è mancata piuttosto la continuità delle iniziative e il riconoscersi in esse della
generalità dei cittadini, protagonisti assoluti dei gemellaggi; perché le attività si sono in qualche modo autolimitate (gruppi
giovanili, classi scolastiche, club della terza
età, nuclei familiari) senza il necessario
raccordo. Al punto che i partners sembrano ripiegati su se stessi, come se avessero
perso di vista in qualche modo il quadro di
riferimento culturale e politico: il gemellaggio non è fine a se stesso ma è funzionale alla costruzione dell'Europa e all'affer(segue B p ~ g 14)
.
DICEMBRE 1994
basta con questa vergogna!
Sarajevo, cuore d'Europa
di Antonio Russo *
L'iniziativa di Café Europa è stata lanciata dalla Gioventù federalista europea (JEF)
durante il Summer Camp tenutosi nel luglio scorso a Trieste. Il suo scopo è quello di
portare aiuti umanitari alla città di Sarajevo
e collaborare alla ricostruzione della biblioteca. I componenti del gruppo di rappresentanza era composto da: Ugo Ferruta (Vicepresidente della JEF), Richard Laming (expresidente JEF inglese), Carsten Wieland
(presidente JEF tedesca), Martin Grozny
(presidente JEF slovena), Antonio Russo
(membro JEF Roma e coordinatore progetto
Sarajevo). Inoltre due delegati del consolato
in Italia della Bosnia-Herzegovina, Adnan
Kemura e Edina Advispahic.
L'idea del federalismo quale migliore prospettiva per la soluzione della sanguinosa
guerra jugoslava è stato I'asse portante del
messaggio di pace e tolleranza che abbiamo
consegnato ai vari politici a Sarajevo.
Fondamentale è stata la collaborazione a
questo progetto del Movimento federalista
europeo e delI'AICCRE sia nel supporto tecnico che nei consigli politici.
«Dio dei cieli che regni su di noi e che
tutto conosci, per carità volgi il tuo sguardo
su questa montagnosa terra di Bosnia e su di
noi che ha partorito e che mangiamo il suo
pane. Dacci ciò che giorno e notte, ognuno a
suo modo, ti chiediamo: dona la pace ai nostri cuori e I'armonia alle nostre città. Basta
con il sangue e con i fuochi di guerra.
Del pane della pace abbiamo bisogno»!
(I. Andric, Nella via di Danilo Ilic,
Sarajevo, 1926)
passato. Muri di sacchetti di protezione fasciano la pista di atterraggio dove dei caschi blu ci attendono per accompagnarci a
Sarajevo. Ci troviamo in una piana brulla
completamente allo scoperto, appetibili
prede del cecchinaggio continuo a cui è
sottoposto l'aeroporto. Ad esclusione del
rumore degli atterraggi e dei decolli dei
cargo, l'aeroporto è immerso in un silenzio
surreale dove lo stesso muoversi delle persone sembra un non senso. I1 gracchiare
dei corvi chiosa il crepiti0 dei colpi sparati
chi sa da chi e per chi. Terminate le operazioni di controllo insieme a giornalisti in
cerca di chissà quali notizie, ci avviamo
verso il mezzo blindato che ci porterà a Sarajevo. Saliamo sul blindato scortati da
quattro caschi blu egiziani, la cui scanzonata allegria non riesce a nascondere nei
loro occhi quel senso di frustrazione ed
impotenza di fronte a ciò che hanno visto e
che vedono. Uno di loro mi dice che dalla
popolazione sono ben visti e che per parte
sua cerca di aiutarli perché sono fratelli
mussulmani. Ci allontaniamo dall'aeroporto e, mentre dietro il gomito di un posticcio terrapieno protettivo questo scompare,
ripenso al nome datogli «Maybe» (forse).
Angosciante allusione, crudele ironia che
solo la tragedia sa coniare. In esso si riassume il distillato della disperazione di una
prigionia, la cosciente attesa di un'agonia
senza fine e la quotidiana sorpresa di una
morte in agguato ad ogni angolo della
città. La morte si è tramutata da cinica
compagna della vita a protagonista dell'ironia del tragico. Per raggiungere il centro della città passiamo per la periferia, in
gran parte sotto il controllo serbo. La de-
I1 rombo frastornante dell'aereo ci awerte
che stiamo per atterrare all'aeroporto di Sarajevo. Dall'oblò scorgo gli ultimi squarci di
un paesaggio di rara bellezza. llistese di boschi saettanti dei colori caldi dell'autunno
sembrano proteggere e nascondere le asperità dei monti della Bosnia. Miriadi di piccoli villaggi si distendono per inaccessibili
valli, teneramente protetti dai cinti montuosi. Lungo i pendii e le piccole distese pianeggianti si interseca un dedalo di strade
bianche quasi dissonanza in un paesaggio
solenne nel suo isolamento rassicurante. In
seguito vengo a sapere che in realtà sono
dei tracciati di guerra. Prima sommessa allusione a quello che ci aspetterà.
11 rollio dei motori e i lievi scossoni sono
il segnale che abbiamo toccato terra. I1
portellone del cargo militare UNPROFOR
dischiude il suo ventre consegnandoci alla
presenza di un aeroporto ombra del suo
" Dirigente della JEF.
DICEMBRE 1994
Koslevo, il cimitero storico di Sarajevo
solazione è totale, palazzi completamente
ridisegnati da rose di proiettili e ferite di
granate, ossessivi nel loro mutismo, desolati nella loro mortificazione. Un paesaggio
lunare dove, al rumore del nostro passaggio, quasi dal nulla frotte di bambini corrono all'impazzata verso il nostro autoblindo speranzosi di trovarvi qualche dono o
chissà.. . Bambini, dimessi, infreddoliti, ma
decisi nella tracotanza della sfida a raggiungere l'autoblindo per primi nella speranza di ricevere più benefici da scambiare
poi con chi non ce la ha fatta.
Si arrampicano sull'autoblindo a dispetto dei caschi blu che cercano di allontanarli dal pericolo di questo gioco lanciando
cioccolate o quant'altro. Arrivati in città la
nostra delegazione della JEF-Europa, capeggiata dal Vice-presidente Ugo Ferruta,
discute sulla organizzazione degli incontri
che si terranno il giorno dopo, il 9 novembre, presso il Palazzo Presidenziale. La nostra missione di pace e solidarietà «Caffè
Europa» viene accolta dal Presidente M.
Pejanovic, di nazionalità serba e Presidente del corpo Serbo cittadino, insieme a M.
Selimovic segretario dell'ufficio relazioni
internazionali del Parlamento, e al Signor
Tokic Vice-presidente del partito socialdemocratico. Segue la presentazione della
nostra iniziativa in coincidenza con la
commemorazione della caduta del muro di
Berlino, awenuta proprio il 9 novembre di
cinque anni fa, per una soluzione pacifica
della guerra in exYugoslavia; iniziativa da
noi esposta in un piano di dieci punti. In
essa, in complesso, si sottolinea che l'idea
di una convivenza fra i popoli e le minoranze non può basarsi sulla identificazione
normalizzatrice della Nazione-Stato. È solo nel iafforzamento delle istituzioni democratiche e nella accettazione di un ruolo
più decisivo da parte dell'Europa nei confronti dei paesi ,dell'Est, nei termini di una
federazione allargata, che si può garantire
il mantenimento della pace e della reciproca convivenza. I1 Signor Pejanovic e gli altri membri si mostrano interessati a dette
proposte, anche se più volte ci ricordano
quanto poco l'Europa abbia fatto per loro.
Insomma una domanda velata sul perché
l'Europa non riesca a dare credito al Governo della Bosnia-Herzegovina nel suo
sforzo di voler mantenere e rappresentare
il suo status multietnico a fronte di un tentativo di negazione dello stesso da parte
serba. Pejanovic tiene a precisare che proprio nei giorni in cui siamo in visita a Sarajevo, nel Parlamento si sta discutendo su
che basi istituire la federazione della Bosnia con 1'Herzegovina. Di estremo inte-
dei pochi edifici quasi intatti, mi tornano
in mente i volti di coloro che abbiamo incontrato. Volti tirati dal nervosismo celato
da una compostezza formale tipica di queste situazioni, sguardi irrequieti, mobilissimi da cui sembra balenare di tanto in tanto
una specie di incredulità. Stanchezza forse
di un destino che non sembra aver fine.
Alcuni addetti del governo ci accompagnano a visitare la città. Montiamo sulle
macchine che ci aspettano per portarci nei
luoghi più significativi. E impressionante
vedere la cancrena di una città chiusa da
tre anni di assedio. In molti punti sono
sorti cimiteri mussulmani per seppellire i
morti del giornaliero stillicidio. Steli lignee
appena sgrossate, tumuli di terra a ricordo
di corpi molti dei quali non hanno assaporato la storia della vita, fugaci visite di congiunti nel timore di poter essere colpiti.
Anche la memoria dei propri cari deve esser cancellata. Edina si lascia andare ad
tranquillità della fede. Parlando con un anziano, questi fa osservare che prima della
guerra non era così. Forse il sovrannaturale rivendica il suo diritto sull'irrazionale
del naturale. «Del pane della pace abbia¤
mo bisogno».
Riflessioni critiche.. .
(segue da pag.
12)
mazione di relazioni pacifiche tra i popoli
del mondo; e una volta messo in piedi diventa un criterio di valutazione al quale
non possono sottrarsi le comunità coinvolte: nel senso che rivela i partners a se stessi
in termini di crescita, di stasi o di regressione.
Perciò se la relazione bipolare segna il
passo, è urgente passare a quella trilaterale
o ancora meglio stellare, aprendo il rapporto ad altri partners: per condividere
con loro le fatiche, le gioie, gli scacchi e le
vittorie che il disegno di unificazione europea contiene, raccogliendone pienamente
le contraddizioni e le sfide. Si pensava alla
Spagna parlando di recente con gli amici
francesi; perché non anche all'olanda? Sarebbe gradita una reazione al riguardo da
parte della Sezione CCRE dei Paesi Bassi.
D'altra parte la tendenza all'apertura
è incoraggiata dall'attività di informazione
e formazione sovranazionale Dromossa
~ e r i o d i c a m e n t e ,a Bassiano, dalla Casa
d'Europa (centro di preparazione ai rapporti interculturali). I seminari, realizzati
con l'approvazione delle FIME (Féderation Internationale Maisons de 1'Europe) e
con il sostegno
- della Commissione europea, interessano giovani e adulti provenienti da varie regioni del continente. Nel
lavoro condiviso e nella vita in comune essi
scoprono che le diverse identità - di cui
sono portatori e gelosi custodi - diventano compatibili, determinando la nascita e
lo sviluppo graduale della consapevolezza
europea: si allenano così ad essere cittadini
del proprio villaggio, dell'Europa e del
mondo
Anche di questa acquisizione può giovarsi il gemellaggio tra Bassiano e Pont-enRoyans, per ritrovare lo slancio alla vigilia
della celebrazione del decimo anniversario. Tanto ~ i che
ù l'avvio della Casa d'Europa è derivato, alla fine degli anni Ottanta, proprio dalla collaborazione tra animatori culturali di Bassiano e di Pont collaudata nell'ambito degli scambi intercomunali.
Successivamente la stessa Casa ha potenziato il metodo di lavoro e vivacizzato
le strategie educative, grazie al contributo
di responsabili di gruppo e giovani provenienti da paesi che vanno ben oltre i Dodici: orizzonte che i Comuni europei legati
da vincoli stabili di fraternità e collaborazione (o che si preparano ad avere relazioni del genere), non possono ignorare se vogliono essere all'altezza del momento storico.
m
A
Sarajevo, scene di quotidiana follia: cinque bambini giacciono sotto lo sguardo di un padre smarrito
resse è dunque apparsa loro la nostra presenza in qualità di delegati di una organizzazione federalista europea.
I1 Vice-presidente del partito social-democratico Tokic rileva che uno dei più difficili problemi per lo stato della BosniaHerzegovina è il riportare l'equilibrio tra
le varie compqnenti etniche del paese e, a
livello parlamentare, riuscire a produrre
leggi e politiche di pari opportunità per
tutte le minoranze etniche. Inoltre, secondo Tokic, il coordinamento di politiche sociali con le istituzioni della Federazione risulta essere uno dei punti in discussione
più a r d u i per il Parlamento. Alla fine
dell'incontro si è avuta una conferenza
stampa dove abbiamo presentato l'iniziativa di solidarietà «Caffè Europa».
Uscendo dal palazzo del governo, uno
una crisi di pianto. Erano tre anni che non
tornava a Sarajevo. Vedere quelle steli disseminate un po' dappertutto per la città lascia attoniti. Ricordo le parole che il direttore generale dell'ospedale di Sarajevo,
Faruk Konjhodzic, disse a proposito della
sua città: «Voi dovete pensare che è come
se si vivesse in un lager: gli stress, le nevrosi, le turbe psichiche sono all'ordine del
giorno per giovani, anziani, bambini: è la
sindrome del Vietnam».
Visitiamo una delle moschee più antiche: è l'ora della preghiera vespertina. I1
grande cortile (sahn) che circonda la moschea si riempie sempre più di uomini: il
muezzin richiama i fedeli dai gracchianti
megafoni del Minareto. Mi meraviglio nel
vedere quanti giovani accorrano per la
preghiera e come dai loro volti traspaia la
DICEMBRE 1994
L'anima
(segue da pag.
2)
neta unica, l'autentica moneta unica, cioè allora la spada e ora la borsa -) è una corbelleria: la battaglia andava e va portata a livello
popolare, senza l'appoggio del quale la diplomazia fa, prima o poi, un buco nell'acqua (naturalmente la corbelleria è stata ancora più
grossa quando perfino qualcuno dei federalisti d'appellation controlée non solo ha pensato
di vincere su alcuni punti decisivi senza la
mobilitazione del consenso popolare, ma addirittura nella distrazione delle fazioni awerse
delle classi politiche nazionali). Quindi pieno
accordo sulla premessa di Manzella: il quale
poi offre il rimedio.
I1 rimedio sarebbe di riconquistare il consenso spostando la ricerca costituzionale europea «dalla sovranità alla cittadinanza». E
prosegue: «Una rivoluzione copernicana si
prepara sotto i nostri occhi: se prima al centro
dell'idea della costruzione europea vi era lo
stato nazionale e la sua eutanasia, ora vi debbono essere il cittadino europeo e la copertura del vuoto che si è creato tra i soggetti individuali e le istituzioni comunitarie». Dunque
il consenso o addirittura l'amore per la «patria europea» si riconquista con una «cittadinanza politica attiva», con decisioni più vicine
al cittadino e attraverso i livelli dell'autonomia territoriale «a misura d'uomo», come si
diceva un tempo: partecipazione, centralità
del cittadino elettore, eccetera. Manzella usa
una espressione, che è addirittura di Jean Bareth, uno dei promotori del CCRE: «dal Comune all'Europa». Poi dà varie spiegazioni:
alla base ci possono essere rappresentanti popolari legati, parlando d'Europa, alla loro
città e alla loro regione; uno strumento efficace potrà essere il Comitato delle Regioni e dei
Poteri locali, instaurato dal Trattato di Maastricht; l'interesse comune europeo si potrà
perseguire anche per via regionale; la base, i
cittadini, di cui si richiama l'interesse, dovrà e
potrà essere coinvolta in un processo federativo generale (gli si dà la concreta partecipazione e il cittadino si lascerà attirare di nuovo alla costruzione dell'Europa federata - viene a
noi di domandarci -? sarà preso dalla gioia
per la partecipazione e la rinnovata scoperta
di un processo democratico?). Manzella fa anche, en passant, acute critiche alla realtà attuale del Comitato delle Regioni, meno rappresentativo di quanto si possa desiderare, anzi
fa una denuncia assai acuta, per quanto se ne
può dedurre: «Ha un pò stupito.. . che l'articolo 42 del regolamento appena approvato
dal Comitato delle Regioni prevede.. . la trasmissione di pareri al Consiglio e alla Commissione e non invece al Parlamento Europeo, che viene escluso»; ciò dopo l'offerta del
Parlamento Europeo di un «contratto di lavoro comune». Se ne deduce (anche per altri
motivi, che per brevità omettiamo) che l'attuale Comitato delle Regioni, il novellino, tende a diventare una terza Camera e non l'elemento di contatto diretto, continuativo, con
la cittadinanza, ad adiuvandum del Parlamento Europeo, che - si ricordi - è eletto direttamente dal popolo, su scala europea: i membri del Comitato delle Regioni si sono subito
montata la testa, hanno trovato - potenziali
uomini politici rimasti un pò in ombra chissà
DICEMBRE 1994
quanto tempo - una strada impensata per
partecipare alla grande politica, etichettati addirittura come «europei», anche se i più non
erano stati fino ad ora interessati al processo
di unità europea e, quel che è peggio per la
tesi di Manzella, non saranno probabilmente
in ansia per realizzare, giorno per giorno, la
partecipazione - in tutte le città? in tutte le
regioni? - dei cittadini al processo federativo
generale.
In conclusione -- a parte queste riserve sul
modo di ottenere la partecipazione - andiamo all'osso del rimedio di Manzella: l'amore
per la democrazia partecipata, e quindi anche
per la democrazia europea, riconquisterebbe
il consenso popolare all'Europa e alla sua
Unione. Tanto di cappello allo schema d i
Manzella: che diremmo per altro che ci appare necessario, ma non sufficiente, perchè non
è sempre automaticamente vero che, in un
processo federativo, una ciliegia tiri l'altra.
Affermare la democrazia in astratto non basta; offrire la partecipazione concreta ai cittadini non basta: ci si può arrestare, senza elevarsi, a un populismo egoistico di base, privo
di ideali e di obiettivi adeguati a quel che e la
ricordata angoscia per il futuro - non il piccolo futuro familiare e corporativo -. Invece
di elevarsi ci si può rinchiudere, a piacere,
nella nazione, nella regione o - stiamo attenti - nello sfogo irrazionale della violenza.
Vorrei richiamare a questo punto la grande
intuizione di Carlo Rosselli negli anni trenta.
Agli antifascisti, bravissima gente, che offrivano il «metodo democratico» come obiettivo
per indurre a rovesciare il fascismo, Rosselli
osservava che un «metodo» non ha mai vinto
una battaglia: offriamo un grande obiettivo
concreto nello spazio e nel tempo, che trascina con sè anche la democrazia - diceva Rosselli -, chiediamo gli Stati Uniti d'Europa e
battiamoci per una Assemblea costituente antifascista europea. Insomma bisogna offrire
un preciso, grande traguardo. L'Europa in
costruzione - è qui che volevamo arrivare non offre oggi alla gente, ai giovani in particolare, nessuna attrazione morale, suscita per lo
più disprezzo e disgusto: se è per questo che
alla fin fine ci si deve impegnare democraticamente, non solo non ne vale la pena, ma forse
è anche un mescolarsi opportunistico a un
«comitato d'affari» assai losco.
L'Europa che ha affrontato la tragedia iugoslava - lo sfasciarsi di un accordo strategico fra gli slavi del Sud - secondo contrastanti logiche nazionali, e poi piagnucola, mostrando di non essere un Soggetto politico, di
fronte alla Bosnia; l'Europa che non collega i
problemi del suo «terzo» di miserabili con
l'intervento reale a favore del Quarto Mondo
e di un nuovo ordine economico-sociale planetario; l'Europa (quella «piccola») che non
sa parlare politicamente alla sua parte orientale ex-comunista e non riesce che a selezionare
i Paesi, che si sono «liberati» dall'egemonia
sovietica, per ammetterli al proprio banchetto
consumista, magari con le idee d i Milton
Friedman; l'Europa che ha paura del fondamentalismo musulmano, ma non ne affronta
le cause: una Europa vile, senza idee - anche
culturalmente arretrata -, coacervo di interessi particolari e senza capacità di affrontare
le piaghe del mondo. Questa Europa del «desencanto» ha tradito e tradisce un ideale «unire l'Europa per unire il mondo», pace libertà giustizia planetarie - che ne poteva e
ancora ne può evitare la frantumazione definitiva. La linea di Manzella - che riproduce
istanze tradizionali del CCRE - va benissimo: ma guai a non darle un'anima.
Per salire la scala verso il sovranazionale
bisogna già avere in corpo la rivoluzione morale e culturale quando si guarda il proprio
campanile. Partecipare perchè? l'Europa per
che fare? L'inaffidabilità di questa Europa ha
creato il disamore per l'Europa: nazionalismo,
etnicismo esasperato, razzismo sono effetto in
buona parte di una carenza di un ideale superiore, nello stesso tempo utopico e concreto;
così come dell'allontanamento dalla politica
di tanti uomini e donne, di tanti giovani (una
maggioranza?), verso obiettivi umani nobilissimi, ma settoriali, dall'assistenza volontaria ai
vecchi alle missioni sanitarie nell'Africa «ab-
fl%
CITTA' DI ADRIA
%@&Coinitato
?
per i Cemellaggi
Si è svolto ad Adria, in provincia
di Rovigo, dal 23 al 25 settembre
1994 un incontro ufficiale tra le
delegazioni e i cittadini dei paesi
gemellati e amici.
I partners di Adria sono Città che
fanno parte dell' Unione europea
ma anche di quell'area dell'Europa
centrale che, dopo i grandi
mutamenti del 1989, è ancora
impegnata in un faticoso, ma
indispensabile sforzo di
consolidamento delle libertà e
delle istituzioni democratiche e
nella conversione all'economia
di mercato.
COMUNI D'EUROPA
bandonata»: il resto della popolazione si arrabatta nel quieto vivere, nel corporativismo,
nella «carriera» (come non avvedersi di quei
giovani, è01 look manageriale e il cravattino,
spesso poliglotti, che amano le istituzioni europee - ma non l'Europa - perchè offrono
buoni posti con allettanti stipendi?).
È tempo dunque - lo diciamo da un pezzo - di formare un «fronte democratico europeo», ma con un'anima, con amore e insieme con intransigenza e con fame di cultura, la
cultura che affronti insieme i micro e i macroproblemi. I1 problema dei problemi, tuttavia,
rimane sempre lì: procedere nel federalismo
ma per cambiare il mondo.
Siamo pronti?
u. S.
"Vuoi O non vuoi?"
(segue dzz p a g 2)
no di uno Stato federale europeo» - Mario
Monti, Monika Wulf-Mathies, Karel Van
Miert, Franz Fischler, Christos Papoutsis,
Edith Cresson, Emma Bonino), si è contrapposta la «prudenza» istituzionale di ben
cinque commissari (Yves-Thibault de Silguy, Ekki Liikanen, Ritt Bjerregaard, Padraig Flynn, Anita Gradin), mentre gli altri
commissari (Hans Van Den Broek, Leon
Brittan, Joao De Deus Pinheiro, Nei1 Kinnock) sono usciti dalle audizioni con un
«non-classificato» sulla revisione del 1996, o
perché hanno dribblato il tema o perché
non sono stati interrogati sull'argomento dai
deputati europei.
Nell'ambito del Consiglio, i governi francese e tedesco avevano inizialmente manifestato la volontà di coordinare l'azione di
quattro presidenze «forti»: quella tedesca
(luglio-dicembre 1994), francese (gennaiogiugno 1995), spagnola (luglio-dicembre
1995) ed italiana (gennaio-giugno 1996), ma
le scadenze elettorali interne in Germania
(ottobre 1994) e Francia (aprile-maggio per
le presidenziali e giugno per le comunali) e
le irrisolte cristi di governabilità interna
(Italia e Spagna, ambedue alla vigilia di probabili elezioni politiche anticipate) hanno
impedito questo coordinamento ed è ormai
sicuro che le prime riflessioni multilaterali si
svolgeranno all'interno del gruppo di riflessione, i cui lavori inizieranno il 2 giugno
1995 per concludersi alla vigilia del Consiglio europeo di dicembre destinato - per
ora - a ~ r o c e d e r ealla convocazione della
conferenza intergovernativa. A pochi giorni
dall'inizio dei lavori del gruppo di riflessione, il Consiglio europeo di Cannes (26-27
giugno) esaminerà lo stato delle discussioni
sulle prospettive di adesione dei paesi
dell'Europa centrale, prospettive destinate a
giocare un'indubbia influenza sulla revisione del 1996.
La struttura interna di questo gruppo di
riflessione si precisa nel frattempo sulla base
delle nomine effettuate dal Parlamento europeo e dai governi nazionali: accanto ai deputati europei Elisabeth Guigou e Elmar
Brok (quest'ultimo «suggerito» personalmente da Kohl e membro del gruppo di lavoro sulla revisione del 1996 costituito dal
Movimento Europeo Internazionale), vi saranno certamente molti politici e pochi rappresentanti delle amministrazioni nazionali,
se si considera che il governo tedesco ha
scelto il segretario agli affari esteri Werner
Hoyer, già segretario generale della FDP, ed
i greci il deputato europeo Kranidiotis, già
segretario di stato agli affari europei.
I1 Comitato delle Regioni ed il Comitato
Economico e Sociale hanno affidato ai rispettivi presidenti Blanc e Ferrer (quest'ultimo è vice~residentedel Movimento europeo internazionale) il compito di presiedere
due distinti gruppi di lavoro sul 1996, la cui
prima scadenza sarà l'elaborazione di rapporti per il gruppo di riflessione.
La Confederazione Europea dei Sindacati
sta preparando un suo «manifesto» per il
1996. che sarà esaminato dal Comitato Esecutivo il 6 aprile in vista del Congresso europeo che si svolgerà a Bruxelles dal 9 al 13
maggio.
I Parlamenti nazionali dei Quindici tenteranno di coordinare le loro rispettive posizioni prima nella riunione degli organi specializzati negli affari comunitari (in gergo
comunitario: COSAC, che si svolgerà a Parigi il 27 e 28 febbraio) e poi nell'incontro
dei presidenti delle Assemblee, previsto a
Londra il 12 maggio in occasionale contemporanea con l'adozione di un «manifesto
europeo contro l'esclusione sociale», promosso da Jacques Delors insieme ai più autorevoli industriali euroiJei.
Infine, le organizzazioni europeiste stanno mettendo a punto la loro strategia e talvolta la l o r o s t r u t t u r a i n t e r n a in vista
dell'appuntamento del 1996. I1 Movimento
Europeo Internazionale, dopo il comitato
esecutivo del 27-28 gennaio a Bruxelles interamente consacrato alla riflessione strate-
mensile deli' AICCRE
Direttore responsabile: Utnberto Serafini
Condirettore: Maria Teresa Coppo Gavazzi
Redazione: iclario iclarsala
Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma
Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma
tel. 69940461-2 -3-4-5, fax 6793275
Questo numero è stato finito di stampare nel mese di febbraio 1995
ISSN 0010-4973
Abbonamento annuo per la Comunità europea, inclusa i'Italia L. 30.000 Estero
L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. i.OOO.OOO
-
gica, si prepara all'impegnativa scadenza del
Consiglio federale, chiamato ad eleggere il
nuovo iJresidente - in sostituzione di Valery Giscard d'Estaing - ed il nuovo segretario generale - in sostituzione di Giampiero Orsello - ed a modificare il proprio
statuto interno. Nel frattempo alcune importanti sezioni nazionali hanno portato alla
presidenza autorevoli personalità, come
Giorgio Napolitano in Italia, Rita Sussmuth
in Germania, Edward Heath nel Regno
Unito e Willy De Clercq in Belgio. L'Unione Europea dei Federalisti, dopo il Congresso di Bocholt dell'autunno 1994, riunirà
il Comitato federale a Bruxelles 1'8 e 9 aprile, mentre in Italia si preannunciano i congressi nazionali del Movimento Federalista
Europeo (Sabaudia, 23-25 aprile) e della
Gioventù Federalista Europea (Saint Vincent, 17-19 marzo). A Bruxelles si è costituita l'associazione internazionale «Club Crocodile per l'Unione europea", che ha ripreso la denominazione ufficiale del Club fondato da Spinelli il 9 luglio 1980 ed ha assunto l'obiettivo di rilanciare la diffusione della
rivista «Crocodile: lettera ai Parlamenti
d'Europa».
I1 CCRE ha per ora approvato soltanto
un documento di lavoro sul d o ~ oMaastric h t , d o c u m e n t o piuttosto limitato agli
aspetti corporativi o sindacali che interessano il CCRE stesso. Si sta formando un Comitato politico che preparerà nel più breve
tempo possibile una bozza di progetto politico, il quale sarà sottoposto ad un organo
~ o l i t i c ostatutario. I1 documento dovrà rispettare le conclusioni dei recenti Stati generali di Strasburgo (ottobre 19931, fortemente critiche dell'Europa intergovernativa.
m
Un dovere
Abbonarsi a «Comuni d'Europa» è un
dovere individuale per tutti gli amici e i
colleghi. Per gli Enti è un dovere abbonare tutti i loro consiglieri eletti.
Da questi impegni, in realtà, si verifica
la coerenza dell'impegno europeo e federalista: questo impegno «Comuni d'Europa», che si stampa col prossimo '95 da 43
anni, lo merita. Lo meritano la sua capacità di informare, la spregiudicatezza dei
suoi giudizi, la cultura dei suoi collaboratori, la sua coerenza federalista.
Una copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000)
I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 300.008 intestato:
AICCFE c/o Istituto bancario San Paolo di Torino sede di Roma. Via della
Stamperia, 64 - 00187 Roma, specificando la causale del versamento;
2) sul c.c.p. n. 38276002 intestato a "Comunt d'EuropaJ',piazza di Srevi, 86-00187 Roma:
3) a niezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a: AICCFE, specificando la
causale del versamento.
Aut. Trib. di Roma n. 4696 de11'11-6-1955
Arti Grafiche Rugantino s.r.l., Roma, Via Spoleto, 1
Fotocomposizione: Graphic Art 6 s.r.l.,Roma, Via Ludovico Muratori 11/13
Associato all'USPI - Unione Stampa periodica italiana
DICEMBRE 1994
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Anno XLII Numero 12 - renatoserafini.org