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La teoria del «gender»
e la «rivoluzione antropologica»
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uella del «gender» è una delle
sfide più grandi per l’uomo
contemporaneo: si tratta di una delle ideologie più perniciose per l’uomo, a causa dell’attacco violento e
diretto ai fondamenti dell’antropologia, con la messa in discussione
dell’esistenza stessa di una natura
umana sulla quale si fondano i principali valori ai quali l’uomo da sempre si ispira. Una ideologia, quella
del gender, che opera una vera e propria negazione della realtà, affermando che l’identità sessuale di una
persona – maschio o femmina –
non sarebbe più una dimensione
determinante, ma un elemento per
così dire «accessorio e marginale»
della personalità: l’essere maschio o
femmina, quindi, non dipenderebbe dal sesso con cui una persona nasce, ma da una scelta dell’individuo,
condizionata anche dalla cultura
della società in cui vive. È evidente che questa rivoluzione antropologica richiede una attenzione educativa del tutto nuova da parte di
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chi (genitore, insegnante, educatore) è chiamato a formare e orientare i giovani, i quali già adesso si trovano a crescere in un contesto che
mette in discussione un elemento
fondamentale come la differenza
sessuale tra uomo e donna, cardine
su cui ognuno costruisce la propria
identità.
«Gender»:
storia e promozione
L’ideologia di genere è il risultato di decenni di trasformazione
ideologica e culturale, saldamente
radicata nel marxismo e nel neomarxismo, promossa dal movimento femminista sempre più radicale e dalla rivoluzione sessuale
iniziata nel 1968. Essa promuove
principi totalmente contrari alla
realtà e alla tradizionale comprensione della natura umana. Dice che
il sesso biologico è puramente culturale, che col tempo si può scegliere, e che la famiglia tradizio-
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personale, familiare e sociale, nonché i compiti relativi alla procreazione.
In Italia, quando il 20 novembre 2012 il Ministero del lavoro
con delega alle Pari opportunità
organizzò (informale e altamente
riservata) una riunione in cui gli
invitati erano formalmente le sigle
delle associazioni GLBT (acronimo per gay, lesbiche, bisessuali e
transessuali, raggruppabili terminologicamente come gender di cui
troppo poco e confusamente si parla), in pochi si preoccuparono di
approfondire i contenuti e i programmi sottesi a quell’incontro e
il significato dell’istituzione del
Gruppo nazionale di lavoro
GLBT. I risultati di quelle consultazioni sono stati espressi nel documento pubblicato dall’UNAR
(Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, a difesa delle differenze) con il titolo «Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate
sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere». Sfogliandone le
51 pagine si scopre che si tratta, in
definitiva, di una progettazione
operativa per il biennio 2013/2015,
presentata con terminologia apparentemente piana e condivisa. Il
tutto prendendo in considerazione l’adesione – non obbligatoria –
al progetto sperimentale proposto
dal Consiglio d’Europa per l’attuazione e l’implementazione del-
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nale è fardello sociale obsoleto. Secondo l’ideologia di genere l’omosessualità è innata e i gay e le lesbiche hanno il diritto di creare
coppie che saranno fondamento di
un nuovo tipo di famiglia, e anche
di adottare e crescere figli, compreso il ricorso alla fecondazione
eterologa e alla maternità surrogata, in nome di una figliolanza pretesa come diritto. I promotori di
questa ideologia sostengono che
ogni persona ha diritti produttivi,
compreso il diritto di modificare il
sesso. L’ideologia di genere, nella
sua forma più radicale, considera il
sesso biologico come una sorta di
violenza contro la natura umana.
Secondo questa ideologia «l’uomo
è prigioniero del sesso» e dovrebbe liberarsi. Negando il sesso biologico, l’uomo guadagna «la vera
libertà senza restrizioni» e può scegliere il sesso culturale, che si rivela solo nel comportamento esterno. L’uomo ha inoltre il diritto naturale di cambiare le scelte entro i
cinque sessi, quali quello gay, lesbico, bisessuale, transessuale ed
eterosessuale. Il rischio dell’ideologia di genere deriva essenzialmente dalla natura profondamente distruttiva sia della persona che
delle relazioni interpersonali, e
quindi tutta la vita sociale. L’uomo
privo di identità di genere perde il
senso della sua esistenza, non è in
grado di scoprire e svolgere i compiti che incontra nel suo sviluppo
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la «Raccomandazione» del Comitato dei Ministri (CM. REC.
5/2010), nonché con particolare
importanza alla Carta dei diritti
fondamentali dei cittadini dell’Unione europea, del 2000, avente effetto giuridico vincolante a partire dal 2009, il cui contenuto poneva il «divieto di discriminazione
sessuale della persona umana e il
conseguente riconoscimento generale del diritto di sposarsi e di costruire una famiglia».
La promozione dell’ideologia
«Gender» passa attraverso le varie
proposte di legge – già approvate in
alcuni Stati europei, e in discussione in Italia – per la «prevenzione e
il contrasto delle discriminazioni
basate sull’orientamento sessuale e
sull’identità di genere». Si cerca di
elevare l’orientamento sessuale e l’identità di genere a diritto umano
fondamentale: un abbondante materiale didattico viene proposto alle scuole, alle associazioni, teso a far
affrontare il tema dell’orientamento sessuale e dell’ideologia di genere. Alla base c’è una precisa strategia formativa: normalizzare l’orientamento sessuale e il comportamento omosessuale facendolo passare come una variante «naturale» e
«innata». Questo metodo inclusivo
interessa non soltanto la scuola e
l’educazione scolastica, ma pure la
cultura, attraverso il contenuto di
film, serie TV, giochi, spettacoli,
con l’aiuto delle nuove tecniche e
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attraverso l’uso di immagini tese a
modificare la consapevolezza sociale indirizzandola verso l’adozione dell’ideologia di genere; la medicina, con la promozione e il sostegno del diritto all’aborto, alla
contraccezione, alla fecondazione
in vitro, alla maternità surrogata, alla riassegnazione di sesso mediante la chirurgia e la terapia ormonale, così come la graduale introduzione di un «diritto» all’eutanasia e
all’eugenetica, cioè la possibilità di
eliminare i malati, i deboli, i portatori di handicap che – secondo
ideologi di genere – sono difettosi.
Ne consegue che l’uomo non conta più nulla, e il movente occulto è,
in ultima analisi, il vantaggio economico. Il tutto con la benevola disponibilità della politica e della magistratura.
L’attacco alla istituzione
familiare e l’introduzione
dell’ideologia di genere
nella scuola
Dietro a questa impostazione
anti-discriminatoria, pericolosamente si sottendono da parte dei
promotori precise scelte giuridiche
e sociali inerenti il matrimonio per
le coppie omosessuali, con un attacco alla famiglia «naturale», con
possibilità di adozione dei figli, la
sostituzione dei termini «padre» e
«madre» con il più generico «genitore A» e «genitore B» oppure
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che discriminazioni, ben più pregnanti e urgenti, molto più avvertite dai cittadini e troppo spesso
ignorare dai pubblici poteri e dalle autorità statuali.
Nell’aprile del 2013 sono state
pubblicate le norme dell’Organizzazione mondiale della sanità
(OMS) in materia di educazione
sessuale, documento nefasto per
l’educazione e per la società e le generazioni più indifese. Abbondante materiale didattico viene proposto ai docenti delle scuole di ogni
ordine e grado per affrontare il tema dell’orientamento sessuale e
dell’ideologia di genere. Viene promossa, tra l’altro, una campagna
formativa sui bambini sin dalla prima infanzia e in età prescolare e la
scoperta della gioia e del piacere
che provengono dal toccare sia il
proprio corpo che il corpo dei loro coetanei. Molto abilmente viene taciuto che lo scopo dell’educazione di genere è l’erotizzazione dei
bambini e degli adolescenti. Più
specificatamente nel documento
dell’OMS si legge tra l’altro, quale prospettiva programmatica (in
via di sviluppo nel nostro Paese)
con la diffusione di opuscoli illustrativi.
La sempre più discussa diffusione nelle scuole di opuscoli antiomofobia commissionati dall’UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), pone inoltre genitori e insegnanti di fronte
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«uno» e «due». Il tutto con il beneplacito consenso della Cassazione, la quale ha decretato l’uguaglianza della famiglia tradizionale
con quella costituitasi con l’unione
tra persone dello stesso sesso, nonché con la possibilità di affidamento dei minori: in sintesi un vero e proprio attacco alla famiglia e
alla sua espressione comunitaria,
generativa e formativa. Il tutto sostenuto dal coro mediatico celebrante «la vittoria della libertà» e
«ha vinto l’uguaglianza», considerando così uguali realtà che non lo
sono, cioè maschio e femmina. La
non riconosciuta differenza sessuale posta a garanzia della generazione e a fondamento del matrimonio uomo/donna rispetto a
quello omosessuale, di fatto insinua la convinzione che la differenza riconosciuta sia obbligatoriamente atto di disuguaglianza. E ciò
porta a un condizionamento della
libertà di espressione (quindi della
non condivisione di tali atti) e la
delegittimazione di chi non è d’accordo, con l’ulteriore risultato di
condizionare l’opinione pubblica e
la stessa possibilità di riflettere sulla società futura. Tale azione è niente di meno che lo smantellamento
della «famiglia»! Con questo, l’assunto come priorità assoluta, anche normativamente e penalmente, della presunta discriminazione
omofobica, lasciando in secondo
piano tutte le altre vere e autenti-
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alla responsabilità educativa, quella responsabilità che li anima e che
li trova impegnati ad affrontare le
sfide epocali che richiedono consapevolezza, impegno e dedizione.
Questa responsabilità li chiama a
rivendicare quel diritto all’educazione (famiglia) e all’istruzione
(docenti) che è riconosciuta (e non
correttamente applicata) dalla Costituzione e dalle norme internazionali. Di fronte a questa «rivoluzione antropologica» e a questa arrogante invasione, sono pure chiamati a rifiutare ogni imposizione
assurda e antidemocratica che la
tendenza gender vorrebbe. Oggi
più che mai è necessario, per genitori e insegnanti, che, con la propria testimonianza e presenza abbiano a richiamare le istituzioni
pubbliche tutte al loro dovere di rispetto della «laicità», e a correggere queste tendenze impositive. Da
qui anche il rifiuto, da parte dei genitori, di far partecipare i propri figli a eventuali programmi ordinamentali e a progetti educativi e formativi extracurricolari, realizzati
senza alcun loro coinvolgimento e
senza il loro assenso scritto in
quanto titolari inalienabili dell’educazione dei figli. E da parte degli insegnanti, dirigenti e personale non docente, l’esercizio dell’obiezione di coscienza e il diritto a
non essere cooptati obbligatoriamente alla frequenza di corsi formativi che nulla hanno a che fare
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con la didattica scolastica e ledono
la loro libertà professionale e culturale. Ponendo anche in essere la
richiesta alle singole scuole, interessate a realizzare programmi e
corsi «gender», di articolare opportunità alternative agli eventuali corsi di «genere», per quanti, liberamente, non aderiscono a tali programmi e corsi. È una questione di
democrazia sostanziale dovuta da
uno «Stato di diritto» quale il nostro vuole essere.
I capisaldi su cui fondare
la costruzione dell’identità
personale
Questa azione nelle scuole si è
resa possibile perché – spesso – la
maggioranza dei genitori, educatori e insegnanti non hanno avuto
sufficienti informazioni in ordine
alle attività di questi gruppi GLBT,
né la conoscenza del materiale didattico da essi usato. Tutto ciò va
ben oltre la legittima denuncia del
bullismo e dell’omofobia e il doveroso rispetto del soggetto omosessuale: l’azione mette in scacco alcuni capisaldi della costruzione dell’identità personale e familiare.
«Con il grimaldello delle categorie
dei gender – ebbe a sottolineare il
card. Angelo Scola – è stata forzata la porta verso la modificazione
radicale del significato delle pratiche individuali e sociali che riguardano le delicate ed essenziali realtà
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chiarire quale visione dell’uomo e
della vita si possiede. Perché le competenze pedagogiche, le conoscenze psicologiche, lo stesso amore dei
genitori sono condizioni indispensabili ma non sufficienti per una
educazione se non si hanno una
identità da proporre, un senso della vita e una visione della realtà da
offrire. Da qui i presupposti su cui
si fonda il rapporto di conoscenza
tra l’Io e la realtà. Il disconoscere
tale rapporto nega l’esistenza della
verità lasciando così la libertà dell’uomo smarrita, in balìa delle teorie che in ultima analisi ne negano
il senso.
✓ La differenza uomo/donna. La
differenza uomo-donna è radicale
e innata, iscritta nella profondità
della coscienza e coinvolge tutti i
comportamenti umani. L’uomo e la
donna sono complementari nei loro corpi e nella loro psicologia. Nella loro diversità sono l’uno dell’altra alternativi e integrativi. Giovanni Paolo II ebbe a parlare spesso del corpo «sponsale» o «coniugale» dell’uomo e della donna, per
sottolineare quell’aspetto del corpo
secondo il quale esso è fatto per
unirsi a un altro. «Il primo uomo e
la prima donna erano uniti dalla coscienza del dono; essi avevano una
coscienza reciproca del significato
sponsale dei loro corpi nei quali si
esprime la libertà del dono e si manifesta tutta la ricchezza interiore
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primarie della differenza sessuale,
del matrimonio e della famiglia».
Di fronte a questa ideologia «gender» sembra, tuttavia, estremamente importante sollecitare l’assunzione della consapevolezza delle
minacce e dei danni che tale ideologia promuove, e richiamare a responsabilità in ordine ai diritti fondamentali e inalienabili della famiglia, intervenendo per ricollocare
matrimonio-famiglia-educazione
nel loro giusto ambito esistenziale,
consentire ai genitori di esercitare
il loro diritto, costituzionalmente
riconosciuto, di educare i figli in
conformità con le proprie convinzioni e valori, e fornire ai bambini
e agli adolescenti l’opportunità di
uno sviluppo integrale a casa e a
scuola. E ciò riscoprendo i cardini
che permettono di sconfiggere manipolazioni e stravolgimenti antropologici dell’uomo.
La questione dell’identità, della
verità dell’Io, del chi è l’uomo, è decisiva: non si tratta di una concezione astratta dell’uomo, nel senso
di privata e separata dalla vita reale, e perciò ultimamente ininfluente, ma di un rapporto e di una appartenenza da vivere, un rapporto e
una appartenenza che «costituisce».
Si tratta, invece, di ciò che determina in modo decisivo la vita del
singolo e della società. L’uomo non
è un prodotto di processi biologici;
l’uomo non si fa da sé. Questa appartenenza è l’ambito che aiuta a
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della persona in quanto soggetto».
L’unità duale di uomo-donna è originaria e perciò necessaria per l’autocoscienza del singolo. La persona, unica e irripetibile, vive sempre
in relazione: dire persona è ben diverso che dire individuo, entità
astratta e sciolta dai legami. Ognuno è un generato che rimanda costitutivamente ai generanti, entro
una catena generazionale del darericevere la vita imprescindibile per
l’identità di ciascuno. Giovanni
Paolo II ha parlato dell’uomo e della donna come «uni-dualità relazionale», che consente a ciascuno
«di sentire il rapporto interpersonale e reciproco come un dono arricchente e responsabilizzante».
✓ La famiglia. La famiglia fondata sull’unione di un uomo e una
donna – contrariamente al disappunto di quanti, sulla scia di una
ben nota letteratura sociologica,
prevedevano, e ancora prevedono
(si veda lo stesso progetto gender,
col quale viene demolita la struttura naturale e culturale della famiglia, su cui è fondata da millenni
ogni civiltà) infallibilmente la sua
caduta, la sua dissoluzione e la sua
consunzione in virtù dell’attuale
evoluzione della società, nonché
nella sua identità e nella sua stessa
struttura universalmente riconosciuta – resta il luogo di reciprocità,
di solidarietà, di relazione tra sessi
e generazioni, nonché ambito in-
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tergenerazionale promotore di un
umanesimo autentico, capace di
rifondare le ragioni della propria
esistenza e della propria missione:
istituzione che, conseguentemente,
assume una precisa soggettività sociale. La corporeità e l’essere situati nella differenza sessuale ci porta
all’unità procreativa e al generare
nella direzione del «dono arricchente e responsabilizzante» bene
vitale e primario della famiglia e
fonte della stessa sopravvivenza e
sviluppo della società.
✓ I figli. I figli sono figli in quanto costruiscono la loro identità in
relazione al padre e alla madre. Devono essere e sentirsi generati in relazione a un padre e a una madre,
e poter vedere la relazione tra i due.
È dalla diversità uomo/donna e dalla concretezza strutturale della famiglia fondata su questa unione,
che i figli trovano certezze e un senso alla loro vita, nonché la responsabilità di vedere articolato un vissuto quotidiano ancorato alla tradizione e al riscontro veridico ai valori enunciati in famiglia. Mentre
ciò che il bambino «sa» viene prodotto e in qualche modo trasmesso attraverso canali anche diversi
dalla famiglia (es. scuola ...), ciò che
il bambino «è», e quindi in larga misura ciò che da adulto sarà, è frutto educativo della famiglia. Ed è
con il riferimento costante alla madre e al padre, nonché alla loro di-
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I rilievi di dissenso
Dai promotori della teoria «gender» viene esplicitamente citata la
finalità di «dare un impulso al processo di cambiamento culturale»,
tuttavia, in sintesi, le critiche a tale impostazione sono molteplici.
Sostanzialmente si danno per certi e concordati impianto e finalità,
e cioè la promozione di una parità
di trattamento non tra persone di
diverso genere – maschi e femmine riconosciuti in quanto tali – ma
per i nuovi «generi», intesi come categorizzazione fondata sulla idolatria del desiderio soggettivo, sulla
«preferenza» sessuale, unico vero
collante della «comunità GLBT».
La realtà non è così e contraddice
la presunta condivisione della teoria da parte di molti degli stessi aderenti alla comunità GLBT. Di questo dissenso, ad esempio, va messa
in risalto la posizione critica circa
la maternità surrogata, di MarieJosephe Bonnet, militante femminista e lesbica, nonché fondatrice
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del Fronte omosessuale d’azione rivoluzionaria (FHAR): «Sono contro la maternità surrogata per principio. L’utero in affitto è lo schiavismo moderno. È un mercato, è
l’apertura al commercio internazionale dei bambini e alla negazione del ruolo della madre, alla riduzione del corpo della donna a mero strumento atto a soddisfare i desideri di coppie agiate. Il messaggio che viene fatto passare è che tutto si compra e tutto si vende, compreso il potere procreatore della
donna. È uno scandalo che deve essere fermato». Ma sono diversi i
dissenzienti, anche in ordine alla
«dissoluzione dell’ordinamento
orizzontale, intergenerazionale,
simbolico, con conseguenze di confusione, incomunicabilità personale e sociale, che solo un miope può
negare»: così Chiara Atzori, rappresentante di «Scienza e Vita».
Penso al figlio di fino a cinque soggetti genitoriali: il donatore e la donatrice di gameti, l’ospitante in utero, il genitore/genitori adottivi. Il
soggetto che esce da questo «frullatore gender», che identità personale, sociale e giuridica avrà o rivendicherà rispetto alla struttura relazionale (quindi giuridica) attuale? Da qui anche il problema dell’adozione. Come hanno dimostrato i giuristi cattolici, occorre riassettare l’«istituto dell’adozione» su
tre precise polarità: il primato dell’interesse dell’adottando, non del-
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versità naturale e psicologica, che il
bambino percepisce concretamente e correttamente che cosa significa essere «uomo» e/o «donna», e costruisce la sua vera identità. Non c’è
un diritto della persona ad avere un
figlio, c’è il diritto di un figlio ad
avere un genitore, ad avere un
«papà» e una «mamma» (non due
individui) a cui fare riferimento.
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l’adottante; il primato delle motivazioni solidaristiche, non di quelle individualistiche; il primato del
rilievo pubblicistico dell’istituto, secondo quanto desumibile dall’art.
30 della Costituzione, e non la sua
riduzione a mero affare privato. Il
BIBLIOGRAFIA
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bambino ha diritto ad avere «radici» e sapere le sue origini e conoscere la sua storia.
G I A N C A R L O T E T TA M A N T I §
giornalista-pubblicista, socio fondatore
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