IL BEATO GIOVANNI PAOLO II PAPA
CON LE CELEBRAZIONI LITURGICHE
HA DATO FORMA ALLA CHIESA
62° Settimana Liturgica Nazionale
Trieste 25 agosto 2011
I.
Immagini pasquali
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Le immagini della gioia
Il primo maggio 2011, II domenica di Pasqua intitolata alla Divina Misericordia, ho
potuto partecipare
in piazza San Pietro alla celebrazione dell’Eucaristia e al rito di
Beatificazione del Papa Giovanni Paolo II. Ho ancora negli occhi la folla immensa di fedeli
che partecipava dalla piazza e che occupava completamente via della conciliazione fino a
Castel Sant’Angelo. Ho ancora negli occhi il grande numero di fratelli Vescovi in mezzo ai
quali mi trovato sul sagrato della Basilica e il grande numero di sacerdoti nel settore loro
riservato in piazza. Vedo ancora alzarsi il velo bianco che ricopriva l’immagine di Giovanni
Paolo II appesa sotto la loggia centrale della Basilica. Odo ancora l’interminabile applauso
della folla al termine della lettura della formula di beatificazione e di nuovo durante
l’omelia quando Papa Benedetto ha pronunciato le parole: “Ecco il giorno atteso è arrivato
presto perché così è piaciuto al Signore: Giovanni Paolo II è Beato”. La grande folla ha
impressionato per la attiva partecipazione esteriore e interiore: momenti di gioia, sventolio
di bandiere, applausi, ma anche momenti di profondo silenzio e di raccoglimento.
Io ho avuto anche il privilegio di partecipare al alcuni atti legati al trasferimento del
corpo del Papa dalle grotte vaticane all’altare di San Sebastiano nella Basilica:
- venerdì 29 aprile alle ore 9 nelle grotte vaticane quando la cassa, estratta dal luogo della
sepoltura, è stata collocata davanti al sepolcro di San Pietro;
- lunedì 2 maggio alle ore 19, 30 quando è stata sistemata l’apposita lastra di marmo con la
scritta “Ioannes Paulus PP. II Beatus” sotto l’altare della Cappella di San Sebastiano dove
era stato trasferito il corpo del Beato.
Questi due atti, compiuti nel Tempo pasquale, hanno richiamato inevitabilmente
alcune immagini legate al mistero della risurrezione: l’uscita dalla tomba e la grande pietra
del sepolcro.
Ricordo poi la notte del 30 aprile, quando, al ritorno dalla veglia al circo massimo
alle 23. 30, il pullman superato il ponte Vittorio riusciva a passare a stento tra la moltitudine
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dei giovani che si disponevano a trascorrere la notte sulla strada in attesa della Celebrazione
di Beatificazione.
Queste immagini legate alla gioia della ottava di Pasqua 2011 per la beatificazione
del Papa hanno richiamato alla memoria altre immagini legate alla Pasqua del 2005.
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Le immagini della sofferenza
Nel 2005 l’attenzione della Chiesa e del mondo è stata concentrata sulla pasqua della
sofferenza vissuta da Giovanni Paolo II. «Alla fine, gli è toccato un cammino di sofferenza
e di silenzio. Restano indimenticabili per noi le immagini della Domenica delle Palme
quando, col ramo di olivo nella mano e segnato dal dolore, egli stava alla finestra e ci dava
la benedizione del Signore in procinto di incamminarsi verso la Croce. Poi l’immagine di
quando nella sua cappella privata, tenendo in mano il Crocifisso, partecipava alla Via Crucis
nel Colosseo, dove tante volte aveva guidato la processione portando egli stesso la Croce.
Infine la muta benedizione della Domenica di Pasqua, nella quale, attraverso tutto il dolore,
vedevamo rifulgere la promessa della risurrezione, della vita eterna» (Benedetto XVI,
Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2005). La cornice pasquale della morte di
Giovanni Paolo II ci è data dal testo iniziale del Rogito preparato dall’Ufficio delle
Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice che io stesso ho letto nella Basilica Vaticana
e poi deposto nella bara del Pontefice: Giovanni Paolo è morto «Nella Luce di Cristo risorto
dai morti, il 2 aprile dell’anno del Signore 2005, alle 21, 37 della sera, mentre volgeva al
termine il sabato, ed eravamo già entrati nel giorno del Signore, Ottava di Pasqua e
Domenica della Divina Misericordia». La Chiesa di Roma ha vissuto, come mai si era visto
prima, giornate di spiritualità pasquale. Un fiume di persone, per vari giorni, è sfilato
davanti al corpo del Papa di giorno e di notte, nella Basilica di San Pietro, segno di una
Chiesa unita al suo Pastore e in cammino verso la Pasqua eterna.
La liturgia fonte e culmine della vita della Chiesa è riuscita veramente a unire tanti
sentimenti e ad esprimere la fede nella Risurrezione. Le Esequie del Papa si sono svolte in
modo esemplare, secondo i tre momenti previsti dall’Ordo. Ricordiamo alcune immagini di
venerdì 8 aprile:
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la stesura del velo di seta bianca che insieme con il Segretario del Papa ho steso sul
volto del Pontefice nella Basilica Vaticana;
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la bara in piazza San Pietro collocata a terra sopra un semplice tappeto con accanto il
cero pasquale e il Libro dei Vangeli che ho aperto e collocato sopra di essa;
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ricordo anche un canto: il Tropario della Risurrezione delle Chiese orientali a
conclusione delle esequie: “Cristo è risuscitato dai morti”;
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ricordiamo tutti l’immagine della bara del Papa mostrata ai fedeli per l’ultima volta
sulla porta della Basilica sotto l’arazzo del Cristo Risorto salutata da un incontenibile
applauso dei fedeli;
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ricordiamo la bara deposta nel cuore della terra delle Grotte Vaticane, vicino al
sepolcro dell’Apostolo Pietro.
A ben considerare le immagini del dolore che hanno accompagnato la morte di
Giovanni Paolo II, e le immagini della gioia per la sua Beatificazione rimangono
essenzialmente manifestazione del Mistero pasquale vissuto da tutta la Chiesa attraverso la
celebrazione della liturgia.
II.
Incontrare di nuovo un amico
Le immagini della beatificazione del 1° maggio e i ricordi che esse hanno suscitato
sono un invito per tutti, credenti e non credenti, a incontrare di nuovo Karol Wojtyla a
riflettere sulla sua vita e sulla sua azione per comprendere il senso delle sue parole, rileggere
i suoi gesti e gli avvenimenti che hanno accompagnato la sua esistenza. Dobbiamo di nuovo
vederlo vivere, agire, reagire, rivivere le sue passioni e gli ideali che ha proposto. Sì,
dobbiamo lasciar parlare di nuovo Giovanni Paolo II per domandarci: Chi è stato? Che cosa
ha rappresentato per noi? Che cosa insegna ancora oggi? Ciascuno cioè deve riflettere sui
valori che ci ha trasmesso, per cui si è battuto come uomo, come cristiano e come Vescovo.
La sua beatificazione è invito a fare nostri tali valori e a calarli nella quotidianità della
nostra vita.
Per comprendere la testimonianza che ci ha lasciato Giovanni Paolo II ciascuno di
noi deve considerare Karol come un amico, perché solo attraverso l’amicizia si può
comprendere fino in fondo lui che ha voluto essere l’amico di tutti.
Papa Giovanni Paolo è stato per me non solo un amico ma un secondo padre. Mi ha
dato la possibilità di condividere con lui gioie, dolori, fatiche, soddisfazioni e speranze. Mi
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ha imposto le mani nell’Ordinazione episcopale da lui voluta con determinazione, mi ha
nominato Arcivescovo. Tutto ciò è stato per me un dono ma oggi è soprattutto un impegno.
III.
La vita di Karol Woitila prima del Pontificato
Per comprendere in profondità il Pontificato del Beato Giovanni Paolo è tuttavia
necessario avere presenti due aspetti della sua vita: alcune vicende della sua vita in Polonia
e la sua partecipazione come Vescovo al Concilio Vaticano II.
a) Alcune vicende della sua vita
A nove anni perde la madre, a dodici anni perde il fratello e Karol rimane solo con il
padre. A 21 anni muore anche il padre e Karol rimane da solo ad affrontare la vita. Deve
pertanto lavorare prima in una cava di pietra, poi nella fabbrica della Solvay. Il futuro Papa
ha quindi sperimentato in queste vicende i valori fondamentali della vita: l’amicizia, il
lavoro e la solidarietà, valori che sono stati da lui ancora più vissuti durante i cinque anni
della guerra.
Il suo amore alla patria è legato alle vicende storiche della Polonia. Nazione
travagliata dal trovarsi in mezzo ad altre due grandi potenze, la Germania e la Russia. La
Polonia ha potuto sopravvivere come Nazione grazie all’attaccamento alla fede cattolica e
alla propria lingua. Il santuario della Madonna di Czestokhowa con l’icona della Vergine è
il simbolo dell’unità di tutti i polacchi. Quel castello-chiesa è il simbolo della resistenza alle
invasioni subite. Da qui si comprende il Totus tuus di Giovanni Paolo II, il suo amore per la
Beata Vergine Maria e il suo desiderio di visitare i santuari mariani.
La Polonia, mi ha ripetuto più di una volta Giovanni Paolo II, è stata cancellata per
200 anni dalla cartina geografica dell’Europa e non ha potuto quindi esprimere a livello
ecclesiale i frutti della propria santità. Da qui si comprende la tendenza del Papa a
proclamare numerosi santi e beati dalle varie parti del mondo e quindi anche della sua terra.
Il comunismo inoltre per tanti anni aveva voluto obbligare la Chiesa a limitare la propria
attività dentro gli edifici di culto. Ciò spiega la tendenza di Giovanni Paolo a celebrare
all’aperto e a uscire dalle mura del Vaticano per incontrare le varie comunità ecclesiali
sparse nel mondo. Infine la vicinanza della Polonia alle Chiese della riforma a quella della
Ortodossia e la presenza di una numerosa comunità ebraica avevano abituato il futuro papa
al contatto e al dialogo ecumenico.
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b) La partecipazione al Concilio Ecumenico Vaticano II
Nel suo Testamento il nuovo Beato ha scritto: “Desidero ancora una volta esprimere
gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del Concilio Vaticano II, al quale insieme
con l’intera Chiesa – e soprattutto con l’intero episcopato – mi sento debitore. Sono
convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che
questo Concilio del XX secolo ci ha elargito. Come vescovo che ha partecipato all’evento
conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande patrimonio a tutti
coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo. Per parte mia ringrazio l’eterno
Pastore che mi ha permesso di servire questa grandissima causa nel corso di tutti gli anni del
mio pontificato”.
“E qual è questa “causa”? – commenta Papa Benedetto XVI nella omelia del 1°
maggio - E’ la stessa che Giovanni Paolo II ha enunciato nella sua prima Messa solenne in
Piazza San Pietro, con le memorabili parole: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le
porte a Cristo!”. Quello che il neo-eletto Papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto per
primo: ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo
con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare
irreversibile.” Sì, Giovanni Paolo ha combattuto il sistema comunista che conosceva bene,
contribuendo alla caduta del muro di Berlino, ma certamente si è reso conto di un altro tipo
di ateismo presente nella società occidentale, e per questo ha tanto insistito sulla nuova
evangelizzazione.
Il servizio alla causa del Concilio Papa Giovanni Paolo II l’ha attuata soprattutto
come vedremo tra breve mettendosi, come colui che serve, a disposizione del popolo santo
di Dio nell’annuncio del Vangelo e nella celebrazione dei santi misteri.
IV.
Quale tipo di Santità per la Chiesa?
Dobbiamo tornare a riflettere sulla straordinaria figura di questo Papa e sulla sua
azione, al fine di mettere a fuoco l’esempio fondamentale di santità che la sua
beatificazione presenta all’attenzione e all’imitazione di tutta la Chiesa. Dobbiamo cioè
domandarci: con la beatificazione di Giovanni Paolo II quale tipo di santità si presenta
all’attenzione e all’imitazione del clero e dei fedeli sparsi in tutto il mondo?
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Il Papa dei primati
Il Pontificato di Giovanni Paolo II, durato ben ventisette anni, è stato uno dei più
lunghi della storia della Chiesa. È stato il Papa che ha radunato innumerevoli folle, che ha
conquistato la simpatia di tutti, dei credenti come dei non credenti, e in modo del tutto
particolare dei giovani. È stato lui, infatti, ad “inventare” le giornate mondiali della
gioventù. Ha dato inoltre un impulso straordinario alle canonizzazioni e alle beatificazioni,
presentando alla Chiesa l’esempio di santità di quasi mille e trecento cinquanta Beati e di
quattrocentoottantadue Santi, superando così molto largamente i trecentodue Santi
proclamati dai Sommi Pontefici suoi predecessori a partire da Clemente VIII fino a Paolo
VI. Di Giovanni Paolo II si è anche detto che è stato il Papa che ha cambiato il corso del
mondo, contribuendo alla caduta di vari regimi. Sono stati anche contate le migliaia di
chilometri che ha percorso in occasione dei suoi viaggi pastorali in Italia e nel mondo
superando per più di tre volte la distanza che intercorre tra la terra e la luna.
Anche il suo magistero dottrinale è stato molto ricco e per la quantità di documenti
pubblicati ha superato quello di tutti gli altri Sommi Pontefici. Basti pensare che esso
comprende quattordici Lettere Encicliche, quindici Esortazioni apostoliche, undici
Costituzioni apostoliche, quarantacinque Lettere apostoliche, oltre alle innumerevoli
catechesi e discorsi tenuti a Roma, in Italia e nelle diverse parti del mondo. Anche le
esequie di Giovanni Paolo II sono state un evento eccezionale. Un fiume di persone per vari
giorni ha percorso la città di Roma sfilando ininterrottamente nella Basilica di San Pietro
davanti al corpo del Papa. Alla Messa esequiale poi hanno preso parte, oltre all’immensa
folla di fedeli, circa un centinaio tra Sovrani e Capi di stato, e inoltre Patriarchi orientali e
numerosi rappresentanti delle altre chiese e comunità ecclesiali, varie Delegazioni di altre
religioni, ecc. In quella occasione sono stati accreditati dai competenti uffici del Vaticano
oltre seimila e settecento giornalisti e quasi cinquecento accrediti sono stati concessi ad
altrettante reti televisive. Milioni e milioni di persone hanno dunque potuto seguire gli
eventi attraverso la televisione. Papa Giovanni Paolo II è riuscito anche a superare la
normativa che prevede l’inizio del processo canonico non prima che siano trascorsi cinque
anni dalla morte. Per lui il processo è iniziato già il 28 giugno 2005.
È infine, mai prima della Beatificazione del 1° maggio, si era vista una folla tanto
grande partecipare ad una celebrazione presieduta da un Papa in Piazza San Pietro.
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Di fronte ai “primati” del pontificato sopra accennati, ai numerosi documenti
pubblicati, ai suoi grandi gesti, si pensi ad esempio al convegno di Assisi del 1986 e alla
richiesta di perdono la prima domenica di quaresima del 2000, quale tipo di santità viene
proposta alla attenzione dei credenti con la Beatificazione del primo maggio 2011?
Dobbiamo dunque guardare al Papa dei primati?
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Un Papa vicino alla comunità
Io che ho ben conosciuto il Beato Giovanni Paolo II non riesco a pensarlo come un
beato irraggiungibile e lontano ma al contrario ad un Pastore santo vicino all’intera
comunità cristiana. Egli, infatti, fin dalla Messa di inizio del suo pontificato è andato verso
la gente, ha cercato di farsi vicino a tutti, tutti ha voluto salutare e abbracciare. Certamente è
stato il Papa che ha incontrato e salutato più persone di ogni altro nella storia della Chiesa.
È stato un Pastore anche a me molto vicino. Con il Papa Giovanni Paolo II ho passato
quasi venti anni della mia vita, ho potuto condividere almeno in parte la sua attività
pastorale, e quindi gioie, dolori, speranze, fatiche e soddisfazioni. Questo Papa mi ha dato la
possibilità di partecipare e di condividere il suo spirito missionario, il suo amore per
l’annuncio del vangelo, la franchezza nel difendere la verità, il coraggio di schierarsi a
favore dei deboli, dei poveri e a favore della pace. Mi ha insegnato l’amore per gli uomini di
ogni razza e condizione, il rispetto per tutte le culture anche quelle giudicate primitive e
insignificanti. Ma ciò che mi ha più legato a Giovanni Paolo II è stata l’esperienza del
celebrare tante volte accanto a lui con semplicità e con commozione, qualche volta fino alle
lacrime, la liturgia voluta dal Concilio Vaticano II insieme a innumerevoli comunità nelle
diverse parti della terra. Proprio per questa esperienza di vita liturgico-ecclesiale vissuta con
lui, la sua beatificazione è un evento che mi ha toccato da vicino e che riguarda
profondamente la mia vita di fede. La sua beatificazione è stato per me la conferma che la
santità non è uno stile di vita lontano, essa fa parte della nostra vita quotidiana. Essere santi
non significa essere uomini superiori e fuori dal mondo, anzi si diventa santi cercando di
vivere in modo straordinario la quotidianità della propria vita di battezzato, della propria
vocazione, proprio come ha fatto Giovanni Paolo II nell’esercizio del Ministero petrino cui
il Signore lo aveva chiamato.
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V.
La testimonianza del celebrare
È proprio nel modo di presiedere la celebrazione dei santi misteri che Papa Giovanni
Paolo II è per la Chiesa di oggi l’icona del Vescovo così come la descrive il Concilio: “Il
Vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e
dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo” (Sacrosanctum Concilium, 41). Egli
non solo è stato un Vescovo del Concilio ma ha agito secondo l’idea di Pastore voluto dal
Concilio.
Nel mese di maggio 1973 ho passato alcuni giorni nel palazzo arcivescovile di
Kraków, ospite dell’allora Card. Karol Wojtyla. In quella occasione ebbi modo di conoscere
da vicino il Vescovo diocesano come «dispensatore dei misteri di Dio» (cf. 1Cor 4,1) nella
Chiesa particolare di Kraków. Ricordo in particolare due celebrazioni: la grande processione
e la Santa Messa all’aperto nella solennità di San Stanislao Patrono della Polonia, e la Santa
Messa in mezzo alle impalcature all’interno della chiesa parrocchiale di Nowa Huta, non
ancora terminata. Ho visto il Cardinale esercitare l’azione del presiedere la celebrazione dei
santi misteri con il suo popolo circondato dai suoi presbiteri, l’ho visto nell’atto di predicare
con la forza dello Spirito santo il Vangelo e di confermare nella fede il gregge a lui affidato.
L’ho visto guidare con facilità e sicurezza l’assemblea nella preghiera, l’ho visto
intrattenersi con i fedeli al termine della celebrazione sia all’aperto che nella chiesa
parrocchiale e anche nel palazzo arcivescovile.
La sensibilità pastorale di Karol Wojtyla conosciuta a Kraków è confermata da un
fatto avvenuto quindici anni prima. Per la sua ordinazione episcopale, avvenuta il 28
settembre del 1958, Karol Wojtyla avrebbe voluto che il lungo e complesso rito fosse
spiegato ai fedeli, durante il suo svolgimento, da un “commentatore” liturgico, ma
l’Arcivescovo ordinante Baziak rifiutò questa concessione al rinnovamento della liturgia.
Allora Wojtyla si procurò una traduzione del rito latino e reclutò una squadra di donne che
si offrirono di preparare a mano degli opuscoli da distribuire ai presenti.
L’immagine di Vescovo conosciuta a Kraków è stata messa ancora meglio a fuoco
più tardi, quando ho potuto assistere e conoscere da vicino per tanti anni Giovanni Paolo II
come Vescovo di Roma: egli da Sommo Pontefice ha continuato ad essere «dispensatore dei
misteri di Dio» nella Chiesa universale.
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I pellegrini che si recavano a Roma prima del Concilio Vaticano II nei pochi giorni in
cui sostavano in città quasi mai riuscivano ad assistere a una celebrazione presieduta dal
Sommo Pontefice. Allora, infatti, il Papa era solito celebrare per i fedeli solo in poche
solenni occasioni nel corso dell’anno. Durante il lungo Pontificato di Giovanni Paolo II,
invece, quasi nessuno dei Vescovi e degli innumerevoli pellegrini venuti in visita «ad limina
Apostolorum» hanno lasciato Roma senza aver partecipato almeno a una celebrazione
eucaristica presieduta dal Successore di Pietro. Non solo, ma mai come prima nella storia
della Chiesa il Papa stesso si è recato a visitare di persona tante Chiese particolari sparse per
il mondo, quasi a restituire la visita ai singoli Vescovi e ai loro fedeli. In questo
atteggiamento pastorale del Papa, come ho già accennato, non ho visto altro che il
prolungamento e la conferma dell’immagine del Vescovo diocesano, conosciuta a Kraków,
dilatata all’intera Chiesa universale. Insieme a Papa Giovanni Paolo II ho avuto la grazia di
celebrare per tanti anni i misteri della salvezza dell’anno liturgico e ho potuto organizzare e
partecipare alle varie celebrazioni previste in ognuno dei viaggi pastorali compiuti in Italia e
nelle varie parti del mondo. Nei ventisette anni di Pontificato i viaggi internazionali sono
stati ben centoquattro e i viaggi in Italia centoquarantasei, senza contare le visite alla
parrocchie di Roma. Le celebrazioni da lui presiedute a Roma e nei viaggi pastorali sono
state quindi innumerevoli. Veramente la celebrazione dei divini misteri presieduta dal Papa
è diventata ovunque, come dice il Concilio, la più bella e autentica manifestazione della
Chiesa (Sacrosanctum Concilium, n. 41).
La beatificazione del 1° maggio non può dunque non richiamare la testimonianza
dell’azione del celebrare di Giovanni Paolo II. Si tratta di un aspetto senza il quale non si
riesce a capire l’influsso formativo che egli ha esercitato durante il suo lungo pontificato su
tante comunità ecclesiali e sulla Chiesa intera. Solo così si comprende quanto
profondamente il Papa si sia inserito nelle comunità locali sparse nel mondo e quindi nella
Chiesa universale. Pensando a lui e alla sua attività liturgico-pastorale tornano alla mia
mente le parole che il Concilio dice del popolo cristiano quale “stirpe eletta, sacerdozio
regale, nazione santa, popolo tratto in salvo” che ha diritto e dovere, in forza del battesimo,
di essere formato alla piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche
(cf. SC, 14). I presbiteri – dice inoltre il Concilio – «sono chiamati alla santità in forza del
ministero e delle stesse sacre azioni che svolgono quotidianamente» (Presbyterorum
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Ordinis, n. 12). Papa Giovanni Paolo II è diventato “santo” non tanto per sé quanto piuttosto
per la comunità, perché si è dedicato al servizio dell’intera comunità ecclesiale.
Il suo agire liturgico-pastorale
è uno stimolo anche per noi, come dice Papa
Benedetto XVI, ad «entrare con la nostra mens nella vox della Chiesa … Nella misura in cui
noi abbiamo interiorizzato questa struttura [della preghiera], compreso questa struttura,
assimilato le parole della liturgia, possiamo entrare in questa interiore consonanza e così
non solo parlare con Dio come persone singole, ma entrare nel “noi” della Chiesa che prega.
E così trasformare anche il nostro “io” entrando nel “noi” della Chiesa, arricchendo,
allargando questo “io”, pregando con la Chiesa, con le parole della Chiesa, essendo
realmente in colloquio con Dio» (Discorso al clero, Castelgandolfo, 31 agosto 2006). La
beatificazione di Papa Giovanni Paolo è invito dunque rivolto a tutti a superare la propria
spiritualità individualistica per entrare nel “noi della Chiesa”.
VI. L’attiva partecipazione alla liturgia a servizio della evangelizzazione e della
comunione
Giovanni Paolo II vedeva bene lo stretto legame che intercorre tra Liturgia e vita
ecclesiale. «Esiste infatti un legame strettissimo e organico tra il rinnovamento della
liturgia e il rinnovamento di tutta la vita della Chiesa. La Chiesa non solo agisce, ma anche
si esprime nella liturgia, vive della liturgia e attinge alla liturgia le forze della vita. E perciò
il rinnovamento liturgico, compiuto in modo giusto nello spirito del Vaticano II, è, in un
certo senso, la misura e la condizione con cui mettere in atto l’insegnamento di quel
Concilio Vaticano II, che vogliamo accettare con fede profonda, convinti che mediante esso
lo Spirito Santo “ha detto alla Chiesa” (Ap 2, 7.11.17.29; 3, 6.13.22) le verità e ha dato le
indicazioni che servono al compimento della sua missione nei confronti degli uomini di
oggi e di domani» (Dominicæ Cenæ, n. 13).
Per questo egli ha sempre voluto e favorito nelle celebrazioni da lui presiedute
l’applicazione di uno dei principi fondamentali della riforma liturgica: l’attiva
partecipazione dei fedeli in tutti i suoi aspetti. Il Papa ha promosso in varie forme questa
partecipazione mirando in tal modo a risvegliare nei fedeli la coscienza del loro essere un
popolo scelto, chiamato da Dio quale sacerdozio regale e gente santa (cf. 1Pt 2, 9) (cf.
Lumen Gentium, n. 10).
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Giovanni Paolo II inoltre era convinto che la celebrazione della liturgia è il mezzo per
eccellenza dell’evangelizzazione: «[Noi] successori degli Apostoli non finiamo di udire dal
Signore: “Andate ed evangelizzate”. Il mezzo per eccellenza dell’evangelizzazione è senza
dubbio l’attività liturgica: “Lex orandi lex credendi”. Ciò che saranno le celebrazioni
liturgiche della Chiesa … sarà la vostra capacità e creatività di suscitare, mantenere e
sviluppare la vera fede apostolica» (Discorso ai Vescovi del Brasile, 20 marzo 1990, n. 7).
La partecipazione attiva tuttavia esige, di per sé, l’adattamento alla cultura locale. Di
conseguenza, la partecipazione attiva è diventata soprattutto nelle varie comunità visitate dal
Papa, in Africa, in Asia e in America Latina, adattamento della liturgia alle diverse culture.
In liturgia, infatti, la partecipazione attiva, che ha il suo fondamento nel sacerdozio
universale, è indissolubilmente legata all’adattamento alle culture: «L’adattamento delle
lingue è stato rapido, anche se talvolta difficile da realizzare. Gli ha fatto seguito
l’adattamento dei riti, cosa più delicata, ma egualmente necessaria. Resta considerevole lo
sforzo di continuare per radicare la liturgia in talune culture, accogliendo di esse quelle
espressioni che possono armonizzarsi con gli aspetti del vero e autentico spirito della
liturgia, nel rispetto dell’unità sostanziale del rito romano, espressa nei libri liturgici (cf.
Sacrosanctum Concilium, nn. 37-40)» (Vicesimus Quintus Annus, n. 16).
In questo senso continuare lo sforzo per radicare la liturgia nelle culture
rappresentava ai suoi occhi il compito fondamentale per proseguire l’opera di attuazione
della riforma liturgica nel futuro. Inoltre, approfondire la comprensione di quello che può
significare la partecipazione attiva presso i diversi popoli significava per lui migliorare
anche la comprensione delle forme concrete che possono esprimere meglio la comunione: la
nozione di partecipazione attiva, infatti, rimanda sempre necessariamente alla comunione.
Alcuni esempi. Ad Harare in Zimbabwe, l’11 settembre 1988, è stato inserito un
peculiare rito di accoglienza nei riti iniziali della celebrazione. A Maumere in Indonesia,
l’11 ottobre 1989, è stato scelto come ambone il luogo ritenuto dagli indigeni particolare
manifestazione del soprannaturale. A Yagma e a Bobo Dioulasso, in Burkina Faso, il 29 e
30 gennaio 1990, è stato cantato il Vangelo e in parte la Preghiera Eucaristica secondo le
modalità locali proprie. In varie località dell’Angola il 4 e 5 giugno 1992 è stata ammessa,
prima delle letture bibliche, la solenne processione con il libro della Sacra Scrittura,
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processione attuata in tutto il Paese a seguito della decisione della Conferenza episcopale. A
Yaoundè in Camerun, il 15 settembre 1995, il Libro dei Vangeli è stato portato in
processione da una donna secondo le modalità della cultura locale. In Port Moresby, Nuova
Guinea, il 17 gennaio 1995 si è seguito un rito locale nella processione del Vangelo. A
Colombo nello Sri Lanka, il 21 gennaio 1995, nei riti di introduzione alla Santa Messa è
stata accesa una particolare lampada al suono di tamburi e di conchiglie mentre veniva
cantato un inno tradizionale allo Spirito santo secondo la cultura locale. A New Delhi in
India, il 7 novembre 1999, venne celebrata la Messa votiva di «Cristo luce del mondo» nella
coincidenza della festa della luce secondo la tradizione comune a tutta l’India: all’inizio
della celebrazione venne accesa una lampada tradizionale mentre l’assemblea partecipava
con il canto di alcune acclamazioni. Inoltre, dopo il canto dell’Amen della dossologia al
termine della Preghiera Eucaristica, ebbe luogo il tradizionale rito dell’«Aarati», con
movimenti corporali e l’uso di fiori e di incensi. A Città del Messico il 31 luglio 2002,
durante la processione che accompagnava l’icona di San Juan Diego, vennero eseguiti con
grande eleganza movimenti corporali e usati costumi tipici propri della cultura indigena.
Sempre a Città del Messico il 1° agosto all’inizio della Liturgia della Parola alcuni indigeni
hanno compiuto un atto di purificazione secondo la loro tradizione culturale, indirizzando il
fumo dell’incenso verso alcuni presenti e verso i quattro punti cardinali.
L’azione di inculturazione è stata attuata anche a Roma in Piazza San Pietro e nella
Basilica Vaticana in occasione di celebrazioni a carattere missionario, come ad esempio in
alcune Beatificazioni e Canonizzazioni di Beati e Santi dei Paesi di missione, in occasione
dei Sinodi continentali, quando l’assemblea proveniva in maggioranza da un determinato
continente, e in occasione dell’apertura della Porta Santa del Grande Giubileo del 2000,
dato il carattere pluriculturale attribuito al Rito proprio a seguito dei Sinodi di preparazione.
Papa Giovanni Paolo II era favorevole all’inculturazione perché considerava la
liturgia fonte di comunione non solo all’interno della Chiesa cattolica ma anche con le altre
Chiese sorelle e le altre Comunità ecclesiali. È questo il motivo che ha spinto il Papa a
presiedere tante celebrazioni ecumeniche durante il Pontificato.
«Il Concilio ha fatto di questo peregrinare del Papa un preciso dovere, in
adempimento del ruolo del Vescovo di Roma a servizio della comunione. Queste mie visite
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hanno quasi sempre comportato un incontro ecumenico e la preghiera comune di fratelli che
cercano l’unità in Cristo e nella sua Chiesa … Non soltanto il Papa si è fatto pellegrino. In
questi anni tanti degni rappresentanti di altre Chiese e comunità ecclesiali mi hanno fatto
visita a Roma e con loro ho potuto pregare … Veramente il Signore ci ha preso per mano e
ci guida. Questi scambi, queste preghiere hanno già scritto pagine e pagine del nostro “Libro
dell’unità”, un “Libro” che dobbiamo sempre sfogliare e rileggere per trarne ispirazione e
speranza» (Ut unum sint, 25 maggio 1995, nn. 24-25).
Veramente il Beato Giovanni Paolo II attraverso il modo di presiedere, cioè la forma
esemplare di celebrare la liturgia voluta dal Concilio, ha dato forma per tanti anni a
innumerevoli comunità ecclesiali e pertanto alla stessa Chiesa universale. Egli, più che con
l’insegnamento e le parole, ha formato attraverso la celebrazione concreta della liturgia,
sacerdoti e fedeli a partecipare al mysterium fidei con tutta la persona: corpo, sentimenti,
intelligenza ed ha educato tutti alla cattolicità. Egli ha mostrato nella realtà che la “Chiesa fa
l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa”.
VII. Conclusione
La beatificazione del 1° maggio 2011 propone alla Chiesa l’esempio che il Servo di
Dio Giovanni Paolo II ha lasciato nel presiedere come Pastore itinerante innumerevoli
celebrazioni in tutto il mondo. Egli dunque ci interpella tutti sulla celebrazione della
liturgia, cioè sull’immagine più autentica della Chiesa che noi, come credenti, possiamo
offrire agli uomini e alle donne del nostro tempo.
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Il corpo segno di comunione
Durante tutta la vita di pastore della chiesa universale Giovanni Paolo II ha voluto
essere fisicamente presente nel maggior numero possibile di comunità ecclesiali, affinché
nessuna Chiesa particolare potesse sentirsi esclusa dalla comunione con il Vescovo di
Roma. Il Fermentum, cioè il pane consacrato inviato come segno di comunione con il
proprio Vescovo, – rito in uso nei primi secoli nella Chiesa romana – è stato sostituito dalla
presenza stessa della persona del Papa. In questo senso si comprende la continua
esposizione del corpo di Giovanni Paolo II durante il suo lungo pontificato. Quel corpo che
non solo durante i viaggi apostolici ma durante la malattia e anche dopo la morte non ha
cessato di essere segno di comunione per la Chiesa.
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La formazione della liturgia
Il Beato Giovanni Paolo II ci interpella soprattutto sulla formazione della liturgia. Il 4
dicembre 1988, a 25 anni dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, Papa Giovani Paolo
II ha ricordato a tutta la Chiesa che “la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II può
considerarsi ormai posta in atto, la pastorale liturgica invece costituisce un impegno
permanente per attingere sempre più abbondantemente dalla ricchezza della liturgia quella
forza vitale che dal Cristo si diffonde alle membra del suo corpo che è la Chiesa”1. La
tenace insistenza del Beato Giovanni Paolo II sull’azione del celebrare è invito, molto più
convincente dei suoi testi dottrinali, a riflettere sulla liturgia come luogo privilegiato di
formazione della comunità ecclesiale; è invito a ricordare le parole del Concilio: “La liturgia
è la prima e indispensabile sorgente dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito
cristiano” (SC, 14). La liturgia infatti non è solo insegnamento didattico e sregolato
partecipazionismo, ma soprattutto elemento che da forma alla comunità cristiana e la rende
popolo santo di Dio. La liturgia è il grembo in cui il cristiano è generato dallo Spirito, è
l’ambiente in cui il cristiano cresce e diventa maturo, è lo spazio in cui il cristiano vive la
comunione con Cristo e con i fratelli. I gesti e i testi della liturgia infatti non sono generici e
banali. Essi, attraverso il coinvolgimento di tutta la persona, corpo, sensi, sentimenti e
intelligenza, formano la comunità nella fede. Sì, con l’azione del celebrare il beato Giovanni
Paolo II ci ricorda che nella liturgia “la forza vitale di Cristo si diffonde alle membra del suo
corpo che è la Chiesa”.
Ma sappiamo bene che la liturgia è incompiuta se non porta al rinnovamento delle
nostre comunità e di tutta la Chiesa. Giovanni Paolo II ci interpella pertanto anche sul suo
spirito missionario, sul suo amore per l’annuncio del vangelo, sulla sua franchezza nel
difendere la verità, la vita e la pace. Ci interpella sul suo coraggio di schierarsi sempre a
favore dei poveri e dei deboli.
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Il Libro della riforma liturgica
Il papa inoltre ha suggerito un metodo di lettura del nostro impegno ecclesiale:
rileggere il cammino percorso per trarne speranza per il futuro. E’ il metodo proposto per la
verifica dell’impegno ecumenico: “Veramente il Signore ci ha preso per mano e ci guida.
Questi scambi, queste preghiere hanno già scritto pagine e pagine del nostro “Libro
1 Lettera Apostolica Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, n. 4
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dell’unità”, un “Libro” che dobbiamo sempre sfogliare e rileggere per trarne ispirazione e
speranza”2 .
Il metodo proposto dal Papa per l’ecumenismo vale anche per la liturgia. E’ necessario
sfogliare il “Libro della riforma liturgica”, che la Chiesa ha scritto durante il cammino
percorso a partire dal Concilio, se vogliamo guardare al futuro con speranza. Tutte le
problematiche concernenti la pia, intelligente e attiva partecipazione, compresa quella delle
traduzioni, della sana creatività nei riti e nelle preghiere e anche del progresso
dell’ecumenismo già vissute dalla Chiesa nel periodo dopo il Concilio, se rilette e meditate
con intelligenza, possono ancora oggi darci ispirazioni e slancio per il cammino da
percorrere. Certo non dobbiamo semplicemente limitarci a ripetere le esperienze già fatte,
ma la loro rivisitazione stimola tutti noi e la Chiesa intera a piegarsi sulle necessità degli
uomini e delle donne del nostro tempo per trovare le soluzioni più adatte al tempo in cui
viviamo.
Si tratta di trovare uno stimolo per tutti a continuare a vivere anche oggi, con lo stesso
entusiasmo degli inizi, la meravigliosa esperienza della riforma liturgica nella certezza che il
passaggio dello Spirito Santo che ha suscitato il movimento liturgico e ispirato i Padri del
Concilio e i Sommi Pontefici nel guidarne l’attuazione, continua la sua azione nella Chiesa.
Tutti, come individui e comunità, siamo invitati ad impegnarci per diventare sempre più una
terra su cui lo Spirito Santo può continuare a posarsi.
† Piero Marini
2 Enciclica Ut unum sint, 25 maggio 1995, nn. 24-25.
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