CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
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RASSEGNA STAMPA
17 aprile 2008
Titoli dei quotidiani
Avvocati
Avvocati, ok alla distinzione tra giudici e pm
Italia Oggi
Italia Oggi
Avvocati, crescono i volontari
Italia Oggi
Il private equity allarga i confini E guarda alle ristrutturazioni
Italia Oggi
Un 2007 da record
Italia Oggi
I fattori di scelta dell'avvocato giusto
Professioni
Italia Oggi
Ue, record d'inchieste
Italia Oggi
Incarichi direttivi, si cambia
Italia Oggi
Italia Oggi
Tribunali al restyling
Col nuovo governo riforma del Gdp
Giustizia
La Repubblica
Italia Oggi
Fini lancia Buongiorno, mugugni in An
Magistratura, in arrivo la stretta
Italia Oggi
Veneto, lavoro ai detenuti
Italia Oggi
Polizia in carcere, emergenza suicidi
GIURISPRUDENZA
Italia Oggi
Italia Oggi
In carcere solo il complice
Pubblicità, l'Albo è legittimato a vietarla ai professionisti
Consiglio Nazionale Forense
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Avvocati
Teresa Pittelli, Italia Oggi pag. 17
Avvocati, ok alla distinzione tra giudici e pm
Gli avvocati rilanciano la richiesta di una riforma dell'ordinamento forense. Le associazioni
dei legali ribadiscono la necessità di nuove regole che aiutino lo sviluppo della
professione, tra le quali una revisione dell'accesso e del sistema tariffario, regole che,
almeno per adesso, nei programmi sembrano un po' trascurate. E in attesa che sulle linee
portanti dei primi cento giorni di governo del Pdl si pronuncino, quando avranno veste di
ufficialità, tanto l'Anm, l'associazione dei magistrati, quanto il Cnf, il Consiglio nazionale
forense, i primi commenti delle associazioni dei legali sono tutt'altro che negativi. «Ben
venga la separazione delle carriere che chiediamo da tempo», dice Michelina Grillo,
presidente dell'Oua, l'organismo unitario dell'avvocatura. E anche sulla ripresa dei progetti
elaborati dalle varie commissioni sui quattro codici nel 2001, l'approccio dei legali è
abbastanza ottimista. «Noi abbiamo sostenuto all'epoca la proposta Vaccarella
sull'accelerazione e deflazione dei processi civili», spiega Grillo, che invece per quanto
riguarda i processi penali rimanda il giudizio al termine dell'esame delle varie proposte,
ancora in corso. D'accordo con la separazione delle carriere dei magistrati anche Oreste
Dominioni, presidente dell'Unione camere penali italiane, che però accanto a questo
provvedimento chiede anche «una nuova legge per l'ordinamento forense, nuovi
meccanismi di recepimento delle direttive comunitarie nel campo della giustizia, riforma
del processo penale e un piano per la sicurezza». Per tutto il resto, i penalisti aspettano
che le proposte prendano corpo in maniera più netta. Certo è che tanto la separazione
delle carriere in magistratura, quanto norme più rigorose in tema di intercettazioni e
immigrazione incontrano il favore delle Camere penali. Più cauti, invece, tanto Grillo
quanto Dominioni, sull'idea della giuria popolare. «In teoria nessuna preclusione, ma
occorre vedere come sarebbe articolato il provvedimento», è il pensiero di entrambi.
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Legali e mercato
Marzia Paolucci, Italia Oggi pag. 17
Avvocati, crescono i volontari
Extracomunitari, più uomini che donne e più coinvolti in pratiche di diritto amministrativo
che in ambito civile e penale dove i permessi di soggiorno la fanno da protagonista con
305 pratiche avviate l'anno scorso, 60 casi di licenziamenti e problematiche in genere
legate al diritto del lavoro e 22 procedimenti in cui i clochard compaiono in qualità di
persona offesa da aggressioni, minacce e addirittura molestie. Sono i numeri di Avvocato
di strada, l'odv di oltre 400 avvocati in tutta Italia che danno gratuitamente consulenza e
assistenza legale ai cittadini senza dimora. L'organizzazione ha appena pubblicato il
rapporto 2007 sull'assistenza legale in Italia che rivela dati interessanti su quelle che sono
le problematiche principali in cui incappano i tanti senza diritto che vivono sulla strada. Ma
vediamo la situazione nel suo insieme: sono state 932 in tutto le pratiche aperte l'anno
scorso dagli sportelli di Avvocato di strada, nel 63% dei casi sono uomini, ma c'è anche un
buon 37% di donne, pari a 349, che nel 2007 hanno avuto bisogno dell'aiuto
dell'organizzazione. Domina il diritto amministrativo con 455 pratiche, pari al 49% del
totale, seguito dal civile a quota 376 con il 40% del totale e dalle davvero poche pratiche di
diritto penale, che con 101 casi rappresentano appena l'11% del totale. Come già
accaduto l'anno scorso, si riconferma in assoluto e in amministrativo la prevalenza di
pratiche relative ai permessi di soggiorno, 305, seguite da 104 casi legati ai fogli di via e ai
decreti di espulsione e un esiguo numero di 25 casi di recapito delle cartelle esattoriali per
mancato pagamento di imposte, tasse e contributi. Nel civile, le pratiche più ricorrenti si
riferiscono ai licenziamenti, 60, alla separazione e ai divorzi, 52, e al diritto di residenza
con 50 casi. Nel rapporto evidenti anche i 45 casi di sfratto e problematiche legate alle
locazioni. Sorpresa, invece, nel penale, dove il numero più alto è quello dei procedimenti
legati ai reati subiti, 22, due in più dei reati contro il patrimonio e il doppio dei procedimenti
per reati legati agli stupefacenti. L'esperienza è nata nel 2001 da una costola
dell'associazione di volontariato bolognese «Amici di Piazza Grande» che si occupa dei
senzatetto dal 1993. Poi, nel 2003, il salto verso un progetto di più largo respiro: «Visti i
risultati, ci è venuta l'idea di allargarlo a tutto il territorio nazionale», racconta il presidente
Antonio Mumolo, «abbiamo iniziato contattando tutte le associazioni operanti sul territorio
per i senzatetto, e con loro siamo entrati in contatto anche con tanti avvocati. E con il
permesso dei locali consigli dell'ordine abbiamo via via aperto gli sportelli di Lecce, Bari,
Taranto, Foggia, Napoli, Pescara, Ancona, Bologna, Modena, Jesi, Reggio Emilia,
Ferrara, Rovigo, Padova, Trieste e Bolzano». Del 2004 è la nascita di un coordinamento
nazionale e della successiva costituzione in odv, l'organizzazione di volontariato
«Avvocato di strada» a 70 soci tra responsabili di sportello e liberi aderenti. Come
evidenziano le principali analisi di settore, per Jacopo Fiorentino, del direttivo nazionale
dell'organizzazione: «Oggi la figura “tradizionale” del senzatetto non esiste più e per la
concomitanza di vari fenomeni, precarizzazione della vita lavorativa, sempre maggiore
disgregazione che interessa i nuclei sociali tradizionali e mancanza di ammortizzatori
sociali adeguati, in strada ci sono italiani e stranieri, laureati e analfabeti, giovani e anziani,
uomini e donne. Categorie che vanno a formare un folto gruppo difficilmente
classificabile».
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Ignazio Marino, Gabriele Ventura,Italia Oggi pag. 22
Il private equity allarga i confini E guarda alle ristrutturazioni
Il private equity allarga gli orizzonti. Guardando con maggiore attenzione alle
ristrutturazioni aziendali, complici soprattutto le nuove procedure concorsuali e il recente
correttivo che hanno dato alla legge fallimentare una missione di salvataggio dell'impresa
in crisi. A cavalcare l'onda sono già pronti gli studi legali. Che hanno messo in piedi delle
vere e proprie task force per sfruttare il business. Un filone, quello para-fallimentare, che
avrà ancora più appeal se anche sul versante fiscale investitori e amministrazione
finanziaria potranno arrivare a un accordo più vantaggioso per chi ha intenzione di guidare
l'azienda verso il risanamento. Così, accanto alla classica attività dei fondi di private
equity, che sta subendo un forte ridimensionamento della portata dei deal a causa
dell'attuale crisi finanziaria e della ridotta disponibilità di credito, oggi, per i vari Permira,
Investitori Associati, 21 Investimenti, si aprono scenari interessanti. Come dimostra anche
l'asta giudiziaria del tribunale di Milano per cedere i crediti relativi alle azioni revocatorie
dei procedimenti in corso e dei concordati fallimentari per un ammontare di circa 180
milioni di euro). Sta puntando sul para-fallimentare Bonelli Erede Pappalardo, anche alla
luce del rallentamento che ha colpito il private equity a livello internazionale. A livello
nazionale, il private equity ha dovuto fare i conti negli ultimi mesi anche con la crisi politica,
che forse ha indotto gli investitori stranieri a restare alla finestra. Un filone interessante sul
quale stiamo puntando è quello legato all'ambito para- fallimentare, con operazioni di
turnaround su imprese in crisi. Detto questo, per incentivare il private equity potrebbero
essere utili anche agevolazioni normative, soprattutto a favore di investitori stranieri in
Italia, ma bisogna anche fare attenzione a non cadere in un eccesso di
regolamentazione». Mentre Chiomenti, per gestire gli aspetti relativi ai temi di legge
fallimentare e restructuring, anche legati al private equity, ha sviluppato la business unit
«restructuring», guidata dal socio Andrea Bernava, che abbraccia anche le aree di
finanza, contenzioso, m&a, fiscale, lavoro, internazionale. Ogni aspetto fiscale viene poi
gestito con il dipartimento fiscale, sotto il coordinamento di Andrea Giannantonio. «La
stretta creditizia ha senz'altro colpito le operazioni di buyout di grandi dimensioni», afferma
il socio responsabile della business unit «private equity», Franco Agopyan, «le quali
interessano il nostro paese in minima parte. Siamo invece convinti che operazioni di
minoranza o di buyout su società midcap saranno sempre più frequenti e pensiamo che le
imprese italiane possano in tal senso costituire dei perfetti target. Altre tipologie di
operazioni che potranno interessare i fondi di private equity, anche in Italia, potranno
essere le operazioni public-to-private su società quotate e quelle su distressed assets e
distressed debt. Detto questo, il rilancio del settore deve necessariamente ripartire dalla
normativa sulle stock option e dai meccanismi di remunerazione e tassazione del
management che di fatto oggi non sono adeguati e incentivanti per il management del
private equity». Anche Gianni Origoni Grippo & partner sta guardando con molto interesse
agli effetti della riforma del fallimentare. «Nel 2008 potrebbe registrarsi un aumento del
numero di operazioni di Turnaround financing», anticipa Marco Gubitosi, socio di Gianni
Origioni Grippo, «tutto ciò in funzione sia delle numerose imprese italiane in crisi ma con
concrete e inespresse possibilità di incrementare il loro valore e capacità reddituali. Sia
della necessità degli investitori finanziari di esplorare nuove opportunità di mercato. Sia,
infine, della maggior consapevolezza da parte degli stessi investitori finanziari, di quelli
industriali e degli operatori e interpreti di settore, del notevole allarme sociale che desta
nell'opinione pubblica il fenomeno della crisi d'impresa e della conseguente necessità di
concorrere, ove possibile e nel rispetto dei ruoli, al risanamento e rilancio delle imprese in
crisi anche beneficiando degli strumenti giuridici dettati a tal fine dalla nuova disciplina
fallimentare, frutto di un più attento diritto dell'economia alla complessa economia del
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diritto «La velocità del mercato, però, potrebbe non essere quella degli attori coinvolti nelle
procedure concorsuali. Ci vorrà del tempo», ammette Gubitosi, «anche perché il nuovo
favor legislativo deve ora diventar vivo attraverso la puntuale e costante opera dei
professionisti e operatori del settore così come degli organi fallimentari e dei Tribunali. Il
prossimo passo in tal senso potrà quindi essere, almeno a livello operativo, l'accelerare la
metabolizzazione del nuovo approccio propositivo della legge fallimentare. Oltre a ciò un
ulteriore passo potrebbe ravvisarsi a livello legislativo l'aggiornamento e coordinamento
delle diverse procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi oggi
dettate dal combinato, non sempre perfetto, delle leggi note come «Prodi-bis» e
«Marzano». Occhi aperti in casa Legance. «Stiamo guardando con interesse alle nuove
procedure fallimentari», dice Giovanni Nardulli, managing partner, «ma è difficile fare una
previsione. Riscontriamo delle situazioni interessanti soprattutto nel manifatturiero». A
livello generale, però, per Marco Graziani, partner del dipartimento tax di Legance, «il
regime fiscale per i fondi e per le operazioni di private equity non è particolarmente
favorevole, specie dopo l'ultima finanziaria che ha aumentato la soglia dell'indeducibilità
degli interessi passivi. Un correttivo su tale aspetto», suggerisce, «potrebbe avvicinare la
situazione dell'Italia a quelli di altri paesi e incentivare di più i nostri investitori». Per
Freshfields Bruckhaus Deringer, infine, il mercato italiano delle piccole-medie imprese è
oggi molto attivo per il private equity, mentre le novità del fallimentare potranno essere una
buona opportunità per il futuro. «Il rallentamento del private equity ha riguardato
soprattutto i grandi deal», spiega il corporate partner Mario Ortu, «mentre in Italia il
fenomeno si è manifestato in modo attenuato, dato che il valore medio delle operazioni è
tradizionalmente inferiore rispetto ad altri paesi europei o agli Stati Uniti. È rimasto quindi
attivo il mercato delle operazioni relative a imprese di medie dimensioni, che spesso
presentano grande dinamismo ed elevate potenzialità di crescita. Di certo, poi, la recente
riforma fallimentare contribuirà a favorire operazioni su distressed assets che prima erano
tecnicamente più difficili. Anche se a tutt'oggi mi sembra non ci siano ancora state molte
opportunità concrete in questo senso».
Analisi
I fondi di private equity hanno rappresentato la grande novità degli ultimi 10 anni nel
campo dei prodotti finanziari a livello globale. La girandola di acquisizioni e concentrazioni
aziendali un tempo alimentata dalle società industriali e commerciali ha mantenuto livelli
record grazie all'intervento degli operatori di private equity. A ruota, avvocati d'affari e
consulenti vari si sono gettati nella mischia di questa nuova bonanza. Ma come tutte le
mode, anche quella del private equity sembra passata. La causa risiede principalmente in
due fattori: i prezzi insostenibili che le società target avevano ormai raggiunto, la stretta
creditizia che ha dato il colpo di grazia a un settore che mostrava da tempo sintomi di
affaticamento. In particolare quest'ultimo fenomeno ha raffreddato moltissimi operatori che
non sono più stati in grado di ottenere dalle banche i cospicui finanziamenti con cui erano
soliti creare la leva di debito necessaria all'efficienza finanziaria dell'operazione. Dunque
l'ultima frontiera del private equity è diventata la specialità dei turnaround e delle special
situation. Situazioni in cui le aziende costano meno perché rischiose e dove il debito non
può essere caricato per le precarie condizioni aziendali. Ecco perché gli avvocati e i
consulenti di cui sopra si stanno scervellando per capire (e poi spiegare ai loro clienti del
settore) se la recente riforma italiana delle procedure concorsuali abbia facilitato o
complicato l'intervento dei private equity nelle società pre-insolventi. Il consenso (forzato o
meno) sembrerebbe nel senso positivo. Potrebbe essere un'opportunità per le società in
difficoltà, per i private equity e, perché no, anche per i consulenti.
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Gabriele Ventura,Italia Oggi pag. 22
Un 2007 da record
Il 2007 è stato un anno record per il private equity italiano. Con 4,2 miliardi di euro investiti
e un numero di investimenti che, per la prima volta dopo il 2003, è tornato a superare
quota 300. A trainare il business sono state le imprese con un numero di dipendenti
inferiore a 250 unità, che hanno calamitato l'80% delle operazioni realizzate nell'anno.
Questi i dati di mercato diffusi dall'Aifi (l'Associazione italiana del private equity e venture
capital) per il 2007, dai quali emerge che il settore è in crescita del 12,5% rispetto al 2006.
La maggior parte delle risorse investite (3.295 milioni di euro, in crescita del 35% rispetto
al 2006) è confluita nel buy out, seguito a notevole distanza dall'expansion (786 milioni di
euro). Mentre le grandi operazioni (equity investito superiore ai 150 milioni di euro) rilevate
nell'anno hanno attratto risorse per 2.138 milioni, pari a oltre il 50% dell'ammontare
complessivamente investito e in crescita del 59% rispetto al 2006. In termini di numero,
invece, l'Aifi rileva una maggiore prevalenza di operazioni di expansion (113 investimenti),
seguite dagli investimenti di early stage (88 operazioni, +42% rispetto al 2006). A farla da
padrone, come detto, sono le piccole-medie imprese, che hanno attratto risorse per oltre 1
miliardo di euro, evidenziando importanti segnali di crescita sia in termini di incidenza
percentuale (pari al 25% sul totale dell'ammontare investito, contro il 22% del 2006), che in
valore assoluto (+29% rispetto agli oltre 800 milioni dell'anno precedente). Nel dettaglio,
dall'analisi dei singoli segmenti di mercato, i dati Aifi sottolineano che il numero medio di
dipendenti delle società oggetto di un investimento in fase di avvio (early stage) nel corso
del 2007 sia stato pari a sei. Le operazioni finalizzate a sostenere progetti di crescita
(expansion) hanno invece riguardato imprese con un numero di dipendenti mediamente
pari a 64. Valore che sale a quota 120 se si considerano le imprese oggetto di
un'operazione di buy out nel corso dell'anno, con esclusione di quelle interessate da
investimenti di grandi dimensioni. Le risorse complessivamente affluite agli operatori
presenti in Italia nel 2007 hanno superato la cifra record dei capitali raccolti nel 2000
(2.925 milioni di euro), attestandosi a quota 3.028 milioni (+33% rispetto al 2006). Con un
peso del 77% sul totale, le sole risorse raccolte sul mercato nazionale e internazionale da
parte di operatori indipendenti hanno raggiunto i 2.337 milioni di euro, facendo registrare
un incremento del 61% rispetto al 2006 (1.454 milioni). Di questi, la quota di derivazione
non domestica ha raggiunto il 57%, in aumento dell'86% in valore assoluto rispetto al dato
del 2006. Al 31 dicembre 2007, infine, il portafoglio complessivo degli investitori attivi in
Italia risultava composto da 1.120 aziende, per un controvalore delle partecipazioni
detenute, valutato al costo di acquisto, superiore a 12,6 miliardi di euro.
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Giulia Picchi, Italia Oggi pag. 23
I fattori di scelta dell'avvocato giusto
I tre driver irrinunciabili per ogni cliente che decide di rivolgersi a un professionista sono: la
sua expertise, la sua esperienza e il suo livello di efficienza nel portare a termine l'incarico.
All'interno della stessa area di practice, però, la priorità relativa che il cliente assegna a
questi tre benefici può variare drasticamente in funzione del tipo di deal. Più il caso è
complesso, più comporta un rischio elevato, più coinvolge aspetti diversi e delicati e
richiede una soluzione ad hoc, più il cliente cercherà il professionista o lo studio più
«creativo» e maggiormente capace di proporre soluzioni «innovative» e di avere del caso
la cosiddetta visione d'insieme. E, naturalmente, più sarà disposto a pagare un prezzo
elevato. La rosa di professionisti che opera nel campo del private equity possiede tutte
queste caratteristiche e corrisponde a quelli che David Maister individua come «brain
surgeon», avvocati e studi in grado di offrire una consulenza altamente sofisticata,
accreditati come veri esperti, in questo caso, particolarmente presso la comunità
finanziaria. Sebbene il rapporto con questi avvocati/studi sia molto stretto, raramente è
anche esclusivo: poiché gli ambiti di intervento di un private equity sono molto diversi,
all'interno della propria rosa di professionisti si sceglie quello di volta in volta giudicato più
adeguato al tipo di deal. In questo senso e, soprattutto, laddove non sia richiesto un
elevato livello di customizzazione, contano senz'altro le precedenti esperienze del legale
nel settore. Non ultimi, tra i fattori che guidano la scelta dell'advisor, vengono considerati
anche il valore complessivo dell'operazione che, necessariamente, impone delle riflessioni
attente sul quantum delle spese legali sostenibili e la capacità del consulente di portare a
termine l'incarico in tempi rapidi. Ma il ruolo dell'avvocato non si esaurisce qui. Poiché
l'advisor è sì il consulente legale ma, a tutti gli effetti, opera in una sorta «partnership» con
il private equity e può contare su un proprio sistema relazionale e un proprio portafoglio
clienti, non è infrequente che agisca anche da referral, individuando per primo le imprese
da coinvolgere nelle future operazioni.
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Professioni
Europa
Sabina Pignataro, Italia Oggi pag. 19
Ue, record d'inchieste
Cresce di anno in anno il numero di lamentele dei cittadini nei confronti delle istituzioni
europee ma resta lo stesso il motivo: la mancanza di trasparenza. Ed è il medesimo il
principale bersaglio: la Commissione europea. La tredicesima relazione annuale del
Mediatore europeo, Nikiforos Diamandouros, mostra che nel 2007 sono state intraprese
un numero record di inchieste: 641, contro le 582 dell'anno precedente, il 17% in più. Le
fattispecie principali di presunta cattiva amministrazione si possono ripartire fra le seguenti
tipologie: mancanza di trasparenza e rifiuto di fornire informazioni (28% dei casi), iniquità o
abuso di potere (18%), carenze procedurali (13%), ritardi evitabili (9%), discriminazione
(8%), negligenza (8%), errori giuridici (5%) e mancato adempimento degli obblighi, ovvero
casi in cui la Commissione europea ha omesso di esercitare la propria funzione di
«custode del trattato» nei confronti degli Stati membri (3%). La Commissione europea è
recidiva: al pari degli anni precedenti, la maggior parte delle indagini (413, vale a dire il
64% del totale) ha interessato proprio l'esecutivo comunitario. Ma sono state svolte anche
87 indagini (14% del totale) relative all'Ufficio europeo di selezione del personale (Epso),
59 (9%) riguardanti il Parlamento europeo, 22 (3%) concernenti l'Ufficio europeo per la
lotta antifrode e 8 (1%) riguardanti il Consiglio dell'Unione europea. Le denunce inviate da
privati cittadini sono state 3.056, mentre in 155 casi si è trattato di associazioni o imprese.
Il maggior numero di reclami è arrivato dalla Germania (16%), seguita dalla Spagna
(11%), dalla Francia (8%) e dalla Polonia. Dall'Italia il 5,7%. Ma, proporzionalmente alla
popolazione, sono stati il Lussemburgo, Malta e Cipro a produrre il numero più grande di
reclami. In quasi il 70% dei casi, il Mediatore è stato in grado di aiutare il denunciante
avviando un'indagine, trasferendo la denuncia a un organismo competente o fornendo
consulenza riguardo alle sedi a cui rivolgersi per una soluzione tempestiva ed efficace del
problema. A seguito di un reclamo fatto dal Mediatore sono stati 129 i casi risolti dalle
istituzioni, a fronte dei 64 del 2006; Diamandouros ha dovuto emettere 55 note critiche e
trasmettere un rapporto speciale al Parlamento europeo, che rappresenta il ricorso ultimo
del Mediatore. Tale rapporto ha avuto come oggetto la direttiva europea sulle ore di lavoro
che, secondo un reclamo di un medico tedesco, è stata infranta dal suo governo da più di
sei anni. Nel 2007 sono stati inoltrati inoltre otto progetti di raccomandazione. Tra questi
uno riguardava l'accesso pubblico a informazioni sui pagamenti ricevuti dai membri del
Parlamento europeo. La questione è stata sollevata da una denuncia di un giornalista
maltese, la cui richiesta di informazioni in merito alle indennità di alcuni membri del
Parlamento era stata rigettata dal Parlamento in base al diritto alla protezione dei dati. Ma
non solo. La Commissione ha accettato un progetto di raccomandazione in cui il Mediatore
la invitava a correggere le informazioni imprecise e poco chiare contenute in opuscoli,
manifesti e in una presentazione video sui diritti dei passeggeri aerei. Altri casi eclatanti
del 2007 hanno riguardato grossi risarcimenti, per esempio la Commissione europea ha
pagato 88 mila euro a una società francese. Eppure, i problemi permangono: ancora una
volta, nel 2007, il 15% dei casi è stato archiviato con un'osservazione critica perché
l'istituzione interessata non è riuscita ad adeguarsi agli standard di servizio a cui i cittadini
avrebbero avuto diritto. Si va da un'istituzione che si è rifiutata di modificare le procedure
di assunzione, essenzialmente per ragioni di convenienza amministrativa propria, a
un'altra che ha ritardato eccessivamente l'avvio di una procedura per infrazione senza
fornirne una motivazione specifica.
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Csm
Marzia Paolucci, Italia Oggi pag. 18
Incarichi direttivi, si cambia
Da oggi le toghe per diventare veri dirigenti negli uffici giudiziari verranno valutate con
nuovi parametri, in un'ottica di efficienza e funzionalità del servizio giustizia. È la
«rivoluzione culturale» voluta dal ministro della giustizia Luigi Scotti, per gli uffici giudiziari,
che non potrà che valorizzare attitudini e capacità dei magistrati italiani nell'organizzazione
del lavoro. «Per la prima volta», ha spiegato Scotti, «vengono individuati criteri obiettivi di
valutazione dell'attitudine a dirigere e organizzare un ufficio giudiziario». Il Guardasigilli ha
così commentato la risoluzione del Consiglio superiore della magistratura che, d'intesa con
il ministro Scotti, nei giorni scorsi ha approvato all'unanimità i parametri per il conferimento
degli incarichi direttivi. Dalla capacità di gestire le risorse alle relazioni con gli altri
magistrati e con il personale amministrativo, e di promuovere e utilizzare le innovazioni
tecnologiche alla valorizzazione delle attitudini organizzative dei collaboratori, «i parametri
che insieme al Csm abbiamo delineato», aggiunge Scotti, «alla luce della riforma
dell'ordinamento giudiziario, disegnano una figura moderna di capo dell'ufficio, magistrato
che deve avere le competenze scientifiche adeguate ma deve essere in grado, non solo in
base alla sua anzianità di servizio, di gestire l'organizzazione. Un manager del tutto
particolare, magistrato, certo, ma anche capace di scegliere soluzioni adeguate per un
servizio più veloce ed efficiente». Dopo l'approvazione della riforma dell'ordinamento
giudiziario palazzo dei Marescialli ha anche approvato una circolare sui nuovi criteri di
valutazione della professionalità delle toghe. Il Csm procede, dunque, alla valutazione di
professionalità acquisiti il parere del Consiglio giudiziario o del Consiglio direttivo della
Corte di cassazione e la relativa documentazione, le risultanze delle ispezioni ordinarie e
tutti gli elementi di conoscenza ulteriori che ritenga di assumere. «Il parere deve ricostruire
con completezza le qualità del magistrato, al fine di consentire all'organo di autogoverno la
conoscenza dettagliata delle caratteristiche professionali, del tipo di lavoro effettivamente
svolto e delle reali attitudini dello stesso magistrato, anche ai fini delle valutazioni per il
tramutamento di funzioni, per il conferimento delle funzioni semidirettive e direttive,
nonché per il conferimento delle funzioni di legittimità».
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Marzia Paolucci, Italia Oggi pag. 18
Tribunali al restyling
È un po' il Business project reengineering di un tribunale, il progetto tabellare: presentato
dal presidente dell'ufficio, sottoposto all'approvazione del Csm e a efficacia triennale
secondo il nuovo ordinamento giudiziario. È il cardine della struttura organizzativa degli
uffici giudiziari e il primo essenziale atto organizzatorio dell' ufficio a cui si intreccia da un
anno e mezzo l'attività delle commissioni flussi istituite un anno e mezzo fa dal Csm. Due
facce della stessa medaglia strette da un rapporto oggi sempre più interdipendente tra i
dirigenti degli uffici e le commissioni create dai consigli giudiziari e chiamate a valutare la
correttezza dell'analisi dei flussi posta a base del programma organizzativo e l'idoneità
della proposta tabellare al raggiungimento degli obiettivi fissati. A parlarne, in giorni
piuttosto caldi per l'attualità dell'argomento, c'è Francesco Saverio Mannino, consigliere
della settima Commissione del Csm: «Proprio giovedì scorso il plenum del Csm ha
approvato il calendario di incontri con tutti gli uffici giudicanti per parlare proprio delle
commissioni flussi». Domanda. Ci saranno cambiamenti? Risposta. «Stiamo lavorando
sulla prossima circolare delle tabelle che sarà approvata prima dell'estate per il 20092011: stabilirà nuovi criteri di redazione delle tabelle e dei progetti organizzativi».
D. Che cosa è successo nel rapporto tra uffici e Csm dall'istituzione delle
commissioni flussi? R. «Diciamo che con la circolare di luglio c'è stata proprio
un'inversione di tendenza: prima le commissioni potevano essere interpellate dai consigli
giudiziari dando però solo un parere a posteriori sui carichi di lavoro e sulla bontà dei
progetti organizzativi, oggi invece i capi degli uffici possono interpellare le commissioni per
avere una valutazione in itinere sui carichi di lavoro e quindi adottare i moduli
organizzativi». D. Per evitare che i progetti tabellari vengano respinti al mittente,
com'è accaduto spesso in passato? R. «Esatto, tra l'altro c'è anche un problema di
sostanziale disomogeneità dei dati raccolti dalle commissioni flussi distrettuali che
potrebbe essere risolto con la creazione di una Struttura tecnica per l'organizzazione. Mi
risulta che la delibera di creazione della struttura ci sia già e che al momento sia alla firma
del presidente Napolitano. Composta da una decina di magistrati, avrebbe un ruolo di
raccordo organizzativo tra le varie commissioni flussi con la funzione di supportare il Csm
nella valutazione della bontà dei progetti organizzativi dei vari uffici». D. Una volta
arrivato un progetto tabellare, come lavora il Csm? R. «Possiamo approvarlo
interamente o parzialmente e in questo caso invitare il presidente dell'ufficio a sanare le
mancanze, in caso di mancanze gravi, invece, lo respingiamo interamente. Le cause
possono essere le più varie: discrasia sui carichi di assegnazione e sulle modalità di
assegnazione dei fascicoli, utilizzazione dei got e tutto ciò che infrange il rispetto delle
regole fissate dalle circolari».
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Giudici di pace
Francesco Cersosimo Presidente Associazione Gdp,Italia Oggi pag. 24
Col nuovo governo riforma del Gdp
Nel numero del mese scorso avevamo portato la nostra attenzione su tre importanti
scadenze elettorali. Facciamo alcune riflessioni su quanto si è determinato.
Consigli giudiziari: Il 6-7 u.s. i giudici di pace hanno eletto i loro rappresentanti nella
sezione staccata. Il numero da due a quattro era determinato dalla grandezza delle Corti
d'appello. È stato un significativo riconoscimento del parlamento, riservato solo ai Gdp, per
la precipuità del servizio esplicato con indipendenza e autonomia da altri poteri giudiziari.
Dal che, oltre al nostro essere presenti nella Costituzione (articolo 116), si desume la
limpidezza della nostra posizione che ci affranca definitivamente dalla «onorarietà», che
invece determina subalternità ai magistrati di carriera. È stata una rivendicazione continua
dell'associazione, che è partita da lontano e che in questi giorni ha dato i suoi frutti. Certo
non riusciamo a spiegarci la presenza dei giudici di carriera, quasi che fossero dei tutors,
in un organismo «staccato» dal loro consiglio giudiziario e l'assenza dei rappresentanti
degli enti locali, che pure avrebbero avuto titolo per essere partecipi dell'esperienza, in
quanto portatori di una possibile «organizzazione» dei Gdp. Comunque, è stato un
rilevante passo avanti, di cui possiamo, come associazione, essere fieri, anche se
qualcuno, a livello locale, improvvisamente folgorato da una proposizione di candidatura
occasionale, ha cercato un'effimera propaganda con il populistico motto «Ma
l'associazione che cosa ha fatto?». Ovviamente non pretendiamo che i nostri documenti, i
nostri articoli, il nostro sito siano letti, ma almeno costoro avrebbero potuto evitare di
sprofondare nel ridicolo, ritenendo che i diritti che si acquisiscono possano essere il frutto
grazioso di un potente di turno e non la quotidiana lotta (leggi impegno) di centinaia di
iscritti all'associazione, che magari sono poco visibili in certi momenti, ma che non si tirano
mai indietro quando c'è da far valere le ragioni dei Gdp. A viso aperto. In ogni sede. Tutto
ciò è stato ampiamente compreso e ritenuto dalla stragrande maggioranza dei Gdp che
hanno inteso riporre fiducia negli iscritti all'associazione con un clamoroso 74,58% degli
eletti, confermandone il radicamento in ogni distretto di Corte d'appello. Un grazie cordiale
a tutti gli elettori e un augurio agli eletti, che, ne sono certo, sapranno portare nei consigli
giudiziari la loro preparazione, la loro tenacia e anche la loro «grinta» in difesa di tutti i
giudici di pace, troppe volte bistrattati. Elezioni politiche. 13-14 aprile: Nuovo governo.
Nuovo ministro di giustizia. Aspettiamo sereni e attenti che si manifestino attraverso un
concreto programma per la giustizia in generale e per i giudici di pace in particolare. In
campagna elettorale siamo stati ricevuti dalle principali forze politiche. Abbiamo offerto le
nostre proposte. Hanno manifestato attenzione con una menzione per Mantovano e
Tenaglia, rispettivamente responsabili giustizia di An e del Pd. I programmi erano generici
per la verità. Forse non potevano essere diversi per la complessità del tema, non
veicolabile verso il grande pubblico, anche se negli ultimi giorni Veltroni aveva indicato
un'apertura nei nostri confronti su Panorama, meritandosi il rimbrotto aspro de il Giornale e
di un giornalista in particolare, che già il presidente Mollo aveva deferito al Consiglio
superiore della magistratura per le baggianate espresse in modo infamante. Non abbiamo
la pretesa di salvare la giustizia italiana, ma siamo in grado di offrire un apprezzato lavoro,
ormai indispensabile. Senza i Gdp si arriverebbe al collasso definitivo, a meno che non si
voglia far regredire il cittadino a suddito, senza il diritto di accedere a un grado
giurisdizionale anche e solo per una sanzione amministrativa, ritenuta ingiusta. Per come
ha proposto il presidente di una delle tante commissioni messe in campo al ministero.
Tuttavia, l'uscita di Veltroni non è valsa a farci dimenticare il lungo dissenso nei confronti
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dei ministri Mastella e Scotti, che nel 2006 improvvisamente ci hanno sospeso le
retribuzioni e nel 2007 avevano la pretesa di coniugare riforme avventurose con spremute
di giudici di pace, resi ancillari ai magistrati di carriera. Due maxi-scioperi con
partecipazione bulgara hanno impedito che il progetto decollasse, pur essendo già stato
presentato in consiglio dei ministri. Ne è seguito uno stare sull'altalena continuo, durato un
anno, e con il tentativo finale di cercare di rinviare le elezioni del consiglio giudiziario_ in
attesa della riforma. Con questo stato d'animo andremo a incontrare il prossimo
guardasigilli, per cui ci prenoteremo senza indugio, perché metta mano allo status per
poter programmare il futuro di tutti, che sia impegno di vita lavorativa a tempo pieno, così
come lo è ormai nei fatti. Per mettere fine al precariato nella giustizia. Nel rispetto delle
nostre autonome posizioni, che di anno in anno andiamo riaffermando. L'associazione
continuerà a mantenere l'equidistanza da tutte le forze politiche. Senza se. Senza ma. Per
come abbiamo dimostrato nel corso di quattordici anni e di recente con il governo Prodi, e
prima ancora con tutti i ministri che si sono succeduti. È questa consapevolezza di essere
associazione di magistrati che ci differenzia da altri personaggi, comparsi negli ultimi
tempi, che, con azioni strumentali e asserviti, cercano di millantare crediti di
rappresentanze di Gdp inesistenti o minimali presso i governanti di turno, ignorando e
calpestando il senso di appartenenza a un potere costituzionale, diverso e autonomo da
qualunque altro, tutelato anche per noi dalla Costituzione. Alcuni non hanno esitato nel
favorire sfacciatamente campagne elettorali (Bononia docet) gettando discredito sull'intera
categoria, dimenticando anche il giuramento di indipendenza prestato nell'atto di
assumere l'importante funzione giudicante. Di questi ormai ne abbiamo abbastanza e
vogliamo dire chiaro e tondo che d'ora in poi i consigli giudiziari saranno attivati a difesa
del buon nome della stragrande maggioranza di quanti amministrano giustizia in modo
encomiabile e con i sacrifici che conosciamo. Elezioni associazione. 18-19 aprile p.v.
Completiamo il turno elettorale. Questa volta domestico, con il rinnovo degli incarichi
dirigenziali in scadenza biennale. Come sempre, i documenti di sintesi permetteranno di
procedere sulla strada annuale dell'impegno, senza improvvisazioni personali. Nel rispetto
assoluto dei mandati del direttivo e senza l'incalzare di assemblee emotive, avanti la
balaustra di Montecitorio. È la nostra precipuità. Al pari del rinnovo degli incarichi. Non
essendo permesso ad alcuno di permanere in un incarico direttivo dopo il secondo
mandato biennale. È la legge della democrazia, trasfusa nel nostro statuto. Se vogliamo
che l'associazione sopravviva all'originario gruppo dirigente dobbiamo procedere a un
rinnovo graduale, non solo generazionale, ma che sia anche confronto di idee condivise,
aventi come cardine l'autonomia, l'indipendenza e la terzietà del giudice, ma anche la
consapevolezza dell'importante ruolo. E contestualmente si porti avanti l'impegno per i
problemi della categoria, che, passando dallo status, affrontino la durata del mandato, la
previdenza e la retribuzione con la fine del cottimo, in modo prioritario per mettere fine al
precariato e dare serenità a chi opera in un settore così delicato, troppo a lungo ignorato.
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Giustizia
Elezioni
Liana Milella, La Repubblica pag. 2
Fini lancia Buongiorno, mugugni in An
Gianni Letta l´apprezza da tempo. E con Berlusconi, ragionandoci ancor prima del voto,
non ha avuto incertezze: «Che dubbi ci sono per il ministero della Giustizia? Il candidato
giusto ce l´abbiamo già, è Giulia Bongiorno. Un tecnico che saprà difendere dall´interno le
nostre riforme». Dentro An qualcuno ha avuto da ridire, ma Fini ha seccamente stoppato i
mugugni. E scrivendo al Cavaliere l´ha promossa come «un ottimo Guardasigilli». Lei,
ormai da settimane, rifiuta anche la più banale delle domande. Per scoprire la sua ricetta
sulla giustizia bisogna leggersi l´articolo che uscirà nel prossimo numero della
Magistratura, giusto la rivista dell´Anm, il sindacato delle toghe. La sua ricetta è presto
detta: «Più risorse per garantire l´efficienza del sistema e la ragionevole durata del
processo». E ancora: un no secco all´indulto che ha «come unico effetto paradossale
processi senza pena che intasano i tribunali». Mancano i suoi due cavalli di battaglia, che
coincidono perfettamente con le intenzioni di Berlusconi, ma potrebbero metterla in rotta
coi magistrati: separazione delle carriere dei giudici e dei pm, riforma delle intercettazioni.
Sulle carriere: «Il giudice è giudice solo se è del tutto autonomo e distaccato da chi
sostiene l´accusa». E ancora, per esperienza personale: «L´imputato condannato soffre di
più se il giudice fino a tre anni prima faceva il pm». Sulle intercettazioni ha parlato proprio
invitata dall´Anm: «Per limitarne il numero, senza intaccarne l´efficacia investigativa,
bisogna affidare il potere di disporle a un giudice collegiale anziché al solo gip».
Coi magistrati niente scontri, semmai politica del dialogo: «La maggioranza delle toghe è
sana. Contro di loro non voglio fare crociate» diceva durante la campagna elettorale del
2006. Ed è stata di parola. «Non decido in base all´ideologia, ma all´analisi e allo studio».
Lo ha dimostrato nella legge sullo stalking quando, nonostante le norme sull´omofobia
facessero storcere la bocca a più d´uno all´interno di An, in commissione ha votato a
favore.
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Teresa Pittelli, Italia Oggi pag. 17
Magistratura, in arrivo la stretta
Sono passati solo due giorni dal voto che gli ha riconsegnato il governo del paese, ma
Silvio Berlusconi ha già messo a lavoro i suoi giuristi per definire nelle prossime settimane
le prime linee portanti di riforma della giustizia, indicata dal Cavaliere come una delle
priorità della legislatura. E rispetto alle proposte già stilate nel programma cominciano a
prendere forma alcune idee da tradurre in provvedimenti legislativi nei primi cento giorni di
governo. Si comincia con la stretta sulle carriere dei magistrati, grande priorità ribadita da
Berlusconi anche nella conferenza stampa di martedì. «La necessità di separare una
buona volta le carriere di giudici e pubblici ministeri non poggia su basi ideologiche, ma è
un'esigenza procedurale, inevitabile se si vuole assicurare realmente la parità tra accusa e
difesa», spiega Gaetano Pecorella, deputato forzista nonché storico legale di Berlusconi.
L'ipotesi alla quale si sta lavorando è quella di dividere le due funzioni, inquirente e
giudicante, già in fase di accesso, attraverso lo sdoppiamento del concorso. Eventuali
problemi posti dalla Costituzione, che parla, ad esempio, di «concorso» e non di concorsi,
sono già allo studio degli esperti, e a quanto pare superabili. Per questa opzione dovrebbe
bastare, quindi, la legge ordinaria. L'operazione raccoglie i consensi di tutta la coalizione,
da Gianfranco Fini che vi ha fatto riferimento in campagna elettorale, alla Lega che con
Castelli Guardasigilli nella scorsa legislatura aveva già tentato di portare a casa il risultato.
Ma la stretta sui magistrati non finisce qui. Il progetto di sottoporli a test psicologici non era
solo un'uscita estemporanea di Berlusconi al comizio di Savona, ma trova riscontro, dice
ancora Pecorella, «nella necessità di assicurare ai cittadini che chi li giudica abbia non
solo l'intelligenza e la conoscenza delle leggi, ma anche l'equilibrio e la serenità
indispensabili per questo mestiere». Insomma, non tutti possono fare i giudici. «Non c'è
niente di scandaloso, tante categorie che svolgono lavori difficili, pensiamo ai carabinieri o
ai piloti, richiedono il test psico-attitudinale», sottolinea Pecorella, «e quindi anche i
magistrati, che svolgono una delle funzioni più delicate e complesse, andrebbero
sottoposti a una valutazione della personalità». Resta da definire la periodicità dei test, ma
quasi certamente si vorrebbero inserire in fase di concorso in magistratura, magari come
verifiche preliminari alle prove scritte. La «profonda riforma» della giustizia annunciata dal
Pdl, comunque, è molto ampia e va dalle riforme processuali alla riorganizzazione del
lavoro degli uffici giudiziari, nell'intento di restituire rapidità alla macchina inceppata della
giustizia. Una novità elaborata a suo tempo proprio da Pecorella e che il Pdl sembra
intenzionato a rilanciare, se si trova l'accordo tra tutti, è l'introduzione della giuria popolare,
quella che si vede nei film americani, per intenderci. «Una giuria popolare assicura
maggiore distanza dall'accusa rispetto al magistrato, e quindi introduce maggiore equità
nel processo oltre che contribuire alla rapidità e al risparmio economico», insiste
Pecorella, secondo il quale si potrebbe cominciare dai reati previsti per la Corte d'Assise, e
poi estendere l'esperimento a tutti i processi. Nell'ambito della ricetta per far lavorare di più
e meglio gli uffici, al di là della razionalizzazione della geografia giudiziaria e delle misure
pro-efficienza previste nel programma, qualcuno avanza ipotesi come «l'orario di lavoro
prolungato» dei tribunali, che secondo Pecorella «dovrebbero rispettare il canonico orario
d'ufficio 9-17 o 18», mentre i magistrati dovrebbero avere «l'obbligo del badge (cioè di
timbrare il cartellino)». Per quanto riguarda gli interventi sul processo, l'orientamento è
quello di riprendere i progetti di riforma dei codici penale, procedura penale e procedura
civile, praticamente pronti perché già elaborati dalle commissioni istituite da Castelli, che
hanno lavorato tra il 2001 e il 2006. Nel penale un'ipotesi che si sta facendo strada è
quella di allargare il patteggiamento a tutti i reati, ma senza prevedere un «premio», più o
meno come avviene nel sistema americano. In programma anche la riduzione delle pene
detentive, in favore di sanzioni diverse, e l'introduzione di nuovi reati, ad esempio dettati
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dall'evoluzione delle nuove tecnologie e di Internet. In campo civile, si vuole riprendere e
sviluppare la proposta elaborata a suo tempo dalla commissione Vaccarella, nell'ottica di
lasciare molti più passaggi del processo in mano alle parti, come ad esempio l'assunzione
di prove. Possibili, poi, alcune limitazioni alle eccezioni di nullità (fino al primo grado di
giudizio) o di competenza (da rilevare subito, con immediato ricorso in Cassazione per
quella territoriale), sempre nel tentativo di accelerare i processi. Sul fronte della riduzione
dei costi, si sta pensando a una cauzione da pagare per tutti i ricorsi in Cassazione, che
verrebbe trattenuta in caso di rigetto e restituita in caso contrario, in modo da evitare il
problema della mancata riscossione, per milioni di euro, delle spese attualmente imputate
alla parte soccombente. Norme più rigorose, infine, tanto in materia di sicurezza e
immigrazione quanto sull'effettuazione e la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche.
Carceri
Italia Oggi pag. 21
Veneto, lavoro ai detenuti
Quattrocentosettantacinquemila euro per progetti a favore dei 2.470 detenuti ristretti in
Veneto. Con delibera datata 8 aprile 2008, su proposta dell'assessore alle politiche sociali,
la giunta della regione Veneto ha definito i criteri e le modalità per la presentazione di
progetti finalizzati alla realizzazione di iniziative socio-educative a favore di persone
detenute negli istituti penitenziari del Veneto e di persone affidate in prova ai servizi
sociali, in semilibertà o detenzione domiciliare. Si tratta di un'iniziativa prevista nell'ambito
di un protocollo d'intesa sottoscritto nel 2003 dalla regione del Veneto e dal ministero della
giustizia. I 475 mila euro sono ripartiti come segue: 350 mila euro andranno a progetti a
favore di persone detenute e 125 mila euro a progetti a favore di persone in esecuzione
penale esterna. I progetti potranno essere presentati dai seguenti enti, a condizione che
abbiano sede legale nel Veneto: 1) cooperative sociali iscritte all'Albo regionale delle
cooperative sociali di cui alla lr n. 23/2006; 2) associazioni di volontariato iscritte nel
Registro regionale di cui alla lr n. 40/1993; 3) associazioni di promozione sociale (lr n. 27
del 13 settembre 2001, articolo 143 - dgr n. 2652/02), la cui attività sia finalizzata agli
obiettivi di interazione socio-occupazionale; 4) enti riconosciuti delle confessioni religiose;
5) altri enti che abbiano precise finalità sociali. Ogni soggetto può concorrere al bando con
un unico progetto. L'obiettivo del bando è quello di offrire opportunità e risorse per
iniziative e programmi di reinserimento sociale e lavorativo. Le azioni previste dovranno
essere concertate con le direzioni degli istituti di pena, degli uffici di esecuzione penale
esterna e dell'ufficio di servizio sociale per i minorenni. I progetti, completi del parere delle
direzioni, dovranno essere trasmessi al presidente della giunta regionale del Veneto entro
60 giorni dalla pubblicazione del provvedimento nel Bollettino ufficiale della regione. La
modulistica da compilare per la presentazione dei progetti e le informazioni ulteriori
necessarie sono reperibili all'indirizzo www.venetosociale.it. Il Veneto è ricco di esperienze
sociali in ambito penitenziario. Una per tutte è quella di Ristretti (www.ristretti.it), vera e
propria agenzia di comunicazione sui temi carcerari che ha la sua postazione di lavoro
nell'istituto padovano.
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Patrizio Gonnella,Italia Oggi pag. 21
Polizia in carcere, emergenza suicidi
Sono stati 64 i suicidi tra gli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria negli ultimi dieci
anni (1997/2007), e quattro in questi primi mesi del 2008. Per fronteggiare ciò il ministero
della giustizia ha individuato alcune soluzioni che si è impegnato ad attuare con solerzia:
creazione di un call center per il sostegno al personale di polizia penitenziaria che
manifesta segnali di disagio; istituzione di un osservatorio nazionale sulla condizione
psico-fisica del personale di polizia; individuazione, nell'ambito dell'attività formativa, di
strumenti psicologici atti a fronteggiare situazioni di stress. La scorsa settimana Ettore
Ferrara, magistrato nonché capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria
(Dap), ha incontrato le organizzazioni sindacali che nei giorni precedenti avevano aperto
un fronte polemico a seguito di due suicidi di poliziotti avvenuti a Biella e Matera in sole 24
ore. A margine dell'incontro Ferrara ha affermato che si tratta di un fenomeno, dal punto di
vista dei numeri, sostanzialmente comune a tutte le forze di polizia. Dal 2006 solo in un
caso il suicidio sarebbe avvenuto in prigione. Una delle sigle sindacali, l'Osapp, ha
abbandonato l'incontro in polemica proprio con il consigliere Ferrara, di cui ha chiesto
pubblicamente le dimissioni. Donato Capece, responsabile nazionale del Sappe, altro
sindacato autonomo della polizia penitenziaria, ha affermato che «bisogna comprendere e
accertare quanto abbiano inciso l'attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative degli
agenti suicidatisi nel tragico gesto estremo posto in essere». La Funzione pubblica della
Cgil qualche settimana prima aveva lanciato, all'interno di una manifestazione tenutasi su
scala europea, il tema delle dure condizioni di lavoro del personale penitenziario. Una
correlazione, quella tra sovraffollamento di detenuti e suicidi di poliziotti, che però non tutti
leggono e che al Dap non tutti condividono. A oggi i poliziotti penitenziari sono 42.268. Di
questi, 36.268 lavorano nelle carceri. Poco meno di 700 sono gli educatori, rispetto ai
1.376 previsti nella pianta organica ministeriale. Gli assistenti sociali in servizio risultano
essere 1.223, rispetto ai 1.630 previsti dalla pianta organica. Gli psicologi risultano essere
circa 400, con una media di circa due per ogni istituto, ma questi sono impegnati per un
numero molto limitato di ore al mese. Nel frattempo, nel segno dell'efficienza e della
valorizzazione delle capacità individuali, l'amministrazione penitenziaria ha avviato la
riforma organizzativa del personale. L'obiettivo dichiarato è quello di migliorare l'efficienza
del sistema recuperando il senso e le motivazioni professionali del personale che
all'interno di quel sistema opera. L'attuale capo del personale Massimo De Pascalis,
insieme a Emilio Di Somma (vicecapo del Dap), uno dei pochi dirigenti non magistrati del
Dap, ha lavorato al conseguimento dei seguenti obiettivi: l'inquadramento giuridico dei
dirigenti; la stabilizzazione di circa 150 unità di personale amministrativo e tecnico; la
richiesta di stabilizzazione di altre 500 unità di personale appartenente alla figura
professionale dello psicologo; l'avvio del concorso per l'assunzione di oltre 130 commissari
della polizia penitenziaria e della formazione di oltre 1.100 sovrintendenti della polizia
penitenziaria; il recupero di due anni di ritardo sulle procedure di mobilità della polizia
penitenziaria. Ora bisognerà vedere se il centro-destra e il nuovo guardasigilli si
muoveranno nella stessa direzione e proseguiranno nell'azione intrapresa
dall'amministrazione guidata da Ferrara. Altra questione riguarda proprio gli incarichi di
vertice. Ferrara è subentrato a Tinebra a dicembre 2006. Tinebra era stato nominato dal
precedente governo Berlusconi. Ora bisognerà vedere se il nuovo governo Berlusconi
procederà o meno allo spoil system e se deciderà di valorizzare meglio figure professionali
provenienti dalla carriera dirigenziale penitenziaria piuttosto che dalla magistratura.
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GIURISPRUDENZA
Cassazione
Debora Alberici,Italia Oggi pag. 47
In carcere solo il complice
Non rischia il carcere il commercialista che, per leggerezza, segue le procedure
amministrative truffaldine della società che gli ha affidato la contabilità. Al contrario, finisce
in manette il professionista che, per grave e conclamata superficialità o per complicità
sostiene l'impresa in questi affari. È quanto si evince dalla sentenza della Cassazione n.
15770 depositata il 16 aprile 2006. Quella tracciata dalla Suprema corte è una linea
davvero sottile. Per dirla in chiave giuridica c'è responsabilità penale quando il
commercialista ha agito per colpa grave, per esempio quando ha completamente
trascurato degli indizi che avrebbero dovuto subito saltargli agli occhi e allarmarlo. Non
solo: finisce sotto processo anche quando è complice dell'imprenditore. Varca invece la
soglia dell'innocenza, almeno da un punto di vista penale, quando agisce con leggerezza
ma senza colpa grave. Il caso riguarda un commercialista salernitano che si era trovato
invischiato in un'indagine su alcune truffe poste in essere da un'azienda, sua cliente. Si
trattava prevalentemente di contratti e assunzioni falsi. Il Gup di Salerno aveva disposto
nei suoi confronti un'ordinanza di custodia cautelare. Il riesame aveva poi annullato il
carcere preventivo in seguito al non luogo a procedere disposto nei suoi confronti. Un
proscioglimento, questo, che secondo la ricostruzione fatta in sede di legittimità sarebbe
derivato da un mancanza di prove. Lui, dopo essere stato liberato aveva chiesto
l'indennità per ingiusta detenzione. La Corte d'appello partenopea non aveva dato l'ok al
risarcimento. Così ha fatto ricorso in Cassazione che, al contrario, ha riaperto il caso
chiedendo al giudice del riesame di valutare con maggiore attenzione se l'atteggiamento
del commercialista fosse dovuto a una colpa grave o, ancora peggio, alla sua complicità,
oppure a una mera leggerezza. Nel primo caso la custodia preventiva sarebbe giustificata,
nel secondo no. Insomma, una vicenda come tante che ha però offerto alla Cassazione lo
spunto per riflessioni importanti. «La Corte territoriale», si legge nelle motivazioni, «ha
sbagliato a ritenere che il commercialista dovesse essere sottoposto a custodia perché in
virtù dell'esistenza di una condotta colposa». In effetti andava valutato se la condotta del
professionista «fosse consapevole oppure no». In altre parole, «la colpa grave» che
giustifica il carcere, «potrebbe essere configurata solo ove fosse possibile percepire che il
commercialista abbia mancato di percepire la falsità delle procedure che gestiva a seguito
di conclamata trascuratezza o superficialità magari connotati dalla svalutazione di indizi
eloquenti che avrebbero dovuto metterlo in allarme». Mentre nel caso sottoposto all'esame
della Corte tutte queste componenti non erano state provate. Tanto più se si pensa che il
commercialista si era sempre difeso sostenendo di essere assolutamente inconsapevole
delle truffe fatte dalla società e aveva anche prodotto alcuni documenti a sua discolpa.
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Europa
Antonio Ciccia, Italia Oggi pag. 18
Pubblicità, l'Albo è legittimato a vietarla ai professionisti
Si può vietare al professionista di farsi pubblicità. Così ha disposto la sentenza del 13
marzo 2008 (causa C 446/05) della Corte di giustizia europea, chiamata a risolvere una
questione pregiudiziale di interpretazione del Trattato europeo in materia di pubblicità di
prestazione di cure dentistiche. Nell'ambito di un procedimento penale contro un
odontotecnico per contestate violazioni alla normativa relativa alla pubblicità in materia di
cure dentistiche è emerso il dubbio della compatibilità con la normativa europea della
legge belga che vieta qualsiasi pubblicità delle prestazioni dentistiche. Nel caso specifico
la pubblicità è stata effettuata in un elenco telefonico e gli annunci pubblicitari
contenevano informazioni oggettive, come i servizi offerti, l'indirizzo, il numero di telefono e
gli orari di apertura. Il titolare dell'attività ha sostenuto che la pubblicità costituisce uno
strumento essenziale alla libera concorrenza economica e ha invocato l'articolo 10 del
Trattato comunitario per sostenere che le imputazioni a suo carico relative alla pubblicità
per cure dentistiche erano infondate. Da qui il ricorso dell'autorità giudiziaria nazionale per
le opportune verifiche in sede di giustizia comunitaria, chiamata a valutare se una
determinata restrizione alla libertà di azione delle libere professioni conduca in effetti a una
restrizione della concorrenza sul mercato interessato ai sensi dell'art. 81 CE. La Corte di
giustizia ha risposto negativamente al quesito se l'articolo 81 trattato CE è in contrasto con
una normativa nazionale che , nell'ambito dell'esercizio di una libera professione vieti di
effettuare qualsivoglia pubblicità, direttamente o indirettamente (nel caso specifico nel
settore delle cure dentistiche). La Corte richiama il fatto che, sebbene gli articoli 81 CE e
82 CE riguardino esclusivamente la condotta delle imprese, è anche vero che tali articoli
obbligano gli stati membri a non adottare o a mantenere in vigore provvedimenti, anche di
natura legislativa o regolamentare, idonei a eliminare l'effetto utile delle regole di
concorrenza applicabili alle imprese. Tuttavia una legge anti-pubblicità per i professionisti
non è stata ritenuta in contrasto con la normativa comunitaria, in quanto è stato negato al
professionista lo status di impresa. E anzi, anche supponendo che il dentista fosse
un'impresa la Corte non ha accertato nessuna decisione di associazione di imprese o di
una pratica concordata pregiudizievole del commercio tra gli stati membri. Da qui la
decisione: l'articolo 81 CE non osta a una normativa nazionale come quella della legge
belga, che vieti a chiunque nonché ai prestatori di cure dentistiche, nell'ambito di una
libera professione o di uno studio dentistico, di effettuare qualsivoglia pubblicità nel settore
delle cure dentistiche. Per quanto riguarda gli avvocati la materia è regolata dal decreto
Bersani (legge 223/2006), che all'articolo 2 ha abrogato il divieto, anche parziale, di
svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le
caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni
secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato
dall'ordine. È sufficiente fare una ricerca su internet avvalendosi dei più comuni motori di
ricerca per constatare che è sorto un mercato della pubblicità informativa, la quale
rappresenta anche a livello deontologico lo spartiacque tra attività promozionale lecita e
illecita.
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FLASH
Italia Oggi pag. 19-20-21
Pedopornografia stop ai pagamenti
Prende corpo la strategia europea a favore dei minori. A seguito dell'adozione da parte del
Parlamento di Strasburgo della risoluzione (a firma della deputata di An Roberta Angelilli),
la Commissione europea sta delineando i punti dell'implementazione della strategia
d'azione. Tra questi l'istituzione del numero unico europeo (116000) di assistenza ai
minori, e l'istituzione di un meccanismo di stop ai pagamenti effettuati a mezzo carte di
credito o pagamenti elettronici su Internet per l'acquisto di immagini di abusi sessuali su
minori. Grazie alla collaborazione operativa della Commissione europea con l'Agenzia
europea dei diritti fondamentali, si sta anche ultimando la messa a punto di una banca dati
europea sulle condanne per abusi commessi su minori, affinché i colpevoli non abbiano
accesso a lavori che li mettano in contatto con bambini. Il Parlamento ha poi chiesto agli
Stati membri di potenziare i meccanismi di controllo sui contenuti della programmazione
televisiva nelle fasce orarie con un maggior pubblico infantile. La relazione approvata lo
scorso 16 gennaio impegna infatti le istituzioni europee a inserire e promuovere i diritti dei
minori in tutte le politiche dell'Unione europea. Si articola intorno a sette obiettivi specifici:
quelli a breve termine sono appunto l'istituzione di un numero unico europeo di assistenza
ai minori e di un numero per hotline dedicate ai minori scomparsi o vittime di sfruttamento
sessuale, la lotta agli acquisti pedopornografici su Internet e quella alla povertà infantile
nell'Unione. Quelle di medio termine sono l'assicurazione che tutte le politiche esterne e
interne dell'Ue rispettino i diritti dei minori, la volontà di creare una legislazione comune in
materia di adozioni internazionali e ancora misure mirate nei confronti di minori Rom e di
strada, promuovendo campagne di scolarizzazione per contrastare gli alti livelli di
dispersione scolastica e progetti per la prevenzione e assistenza sanitaria, comprese le
vaccinazioni. I diritti dei minori sono parte integrante dei diritti dell'uomo, che l'Unione
europea è tenuta a rispettare in virtù dei trattati internazionali ed europei in vigore. La
stessa Unione europea ha riconosciuto espressamente i diritti dei minori nella Carta dei
diritti fondamentali, in particolare all'articolo 24.
Best practice 37 i progetti in tribunale
Il ministero pubblica finalmente l'elenco dettagliato degli uffici giudiziari coinvolti nel
progetto di diffusione di best practice finanziato dal Fse. Capofila il procuratore Tarfusser e
il suo progetto pilota descritto a ItaliaOggi ancor prima che venisse coinvolto in questo
macro-progetto multilivello con la Commissione europea da una parte e le regioni
chiamate ad aderire all'iniziativa dall'altra. Nell'elenco di cinque pagine consultabile sul sito
del ministero, sono 37 gli uffici candidati per regione: dentro sedi importanti per numero di
magistrati come Roma, Milano, Catania, Torino, Varese, tutte realtà intervistate in questa
rubrica nata proprio con la finalità di documentare le best practice diffuse dalla giustizia
italiana. E ora, dopo riunioni su riunioni incrociate tra i ministeri della giustizia e il
dipartimento della funzione pubblica, pubblicazioni di linee guida e valutazione dei progetti,
con il sì della Commissione europea arrivato solo il 14 marzo 2008 rispetto a un progetto
partito a febbraio 2007, ci siamo. La data da tenere sott'occhio è quella di martedì
prossimo, quando ci sarà la riunione finale con i capi degli uffici candidati, e poi il 30 la
firma delle convenzioni tra regioni e ministeri.
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Ai giudici le auto sequestrate
I magistrati possono viaggiare sulle vetture sequestrate alla criminalità organizzata, alla
cui guida dovrà esserci sempre l'autista. Anzi, l'utilizzo di tali mezzi deve essere
raccomandato, tenuto conto della scarsa disponibilità di tale risorsa in un periodo come
quello attuale. Lo evidenzia una recente nota del capo dipartimento dell'organizzazione
giudiziaria del Ministero della Giustizia, Claudio Castelli indirizzata ai vertici degli uffici
giudiziari dello Stato (prot. DOG.11/4/2008.0017038), che, prendendo spunto da un
quesito pervenutogli in tal senso, ha puntualizzato quali siano le disposizioni previste
dall'ordinamento che legittimano l'utilizzo di vetture sequestrate nell'ambito di operazioni di
polizia. La differenza è sottile, ma il dato finale è che le vetture sequestrate alla criminalità,
per reati che vanno dal favoreggiamento all'immigrazione clandestina e al contrabbando,
possono essere utilizzate anziché lasciarle deperire nei depositi giudiziari. Secondo la
nota ministeriale, infatti, in tal senso soccorre l'art. 12, com. 8 del dlgs n.286/1998, ove si
prevede che i beni sequestrati nel corso di operazioni di polizia, sono affidati dall'autorità
giudiziaria agli organi di polizia che ne facciano richiesta ovvero ad altri organi dello Stato
o altri enti pubblici per finalità di giustizia, protezione civile o tutela ambientale. L'ipotesi
prospettata è comunque “praticabile” nell'ambito di procedimenti penali che consentano
l'affidamento del bene per finalità di giustizia. E tali sono i casi di favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina, ma anche quelli relativi a delitti di contrabbando. Più
particolare è la procedura relativa ai veicoli sequestrati in operazioni antidroga. Questi,
possono essere affidati e successivamente assegnati sono agli organi di polizia che sono
impegnati nei settori atti al contrasto e alla repressione dei relativi fenomeni. Inutile dire
che, in un periodo di magra come quello attuale, la possibilità di utilizzo di tali beni “va
rimarcata e raccomandata”. Resta comunque inteso che, trattandosi di spese che ricadono
in capo alla collettività, l'ufficio giudiziario che intende acquisire una vettura sottoposta a
sequestro, dovrà sempre verificare ex ante la convenienza economica di tale acquisizione,
con particolare attenzione allo stato della stessa vettura, agli interventi di manutenzione di
cui necessita e ai consumi di carburante (occhio, pertanto, anche alla cilindrata).
Accorgimenti, questi, indispensabili, non meno di sottoporre la vettura ad un esame
tecnico e ad un collaudo, onde verificare altresì la sicurezza del mezzo. In disparte gli
accorgimenti “burocratici”, quali le procedure di reimmatricolazione, la “ripunzonatura del
numero di telaio” e la stipula di un nuovo contratto Rc auto. La vettura dovrà essere
sempre guidata dall'autista.
Il Sole 24 Ore pag. 30
Si sbocca la transazione fiscale
Potrebbero finalmente decollare le transazioni fiscali introdotte dalla riforma fallimentare
che prevede la possibilità di una soddisfazione solo parziale dei crediti tributari dopo un
accordo tra debitore a amministrazione finanziaria. A compromettere l’utilizzo dell’istituto,
oltre alle difficoltà interpretative, sin ora hanno influito anche le perplessità del Fisco. Il
direttore dell’Agenzia regionale della Lombardia ha però annunciato che è in fase di
avanzata preparazione una circolare che fornirà una serie di indicazioni operative
all’amministrazione. Tra i punti da chiarire, quello del soddisfacimento solo parziale del
concordato preventivo (altra novità introdotta a partire dal 2008 per cancellare disparità di
trattamento con il concordato fallimentare).
( a cura di Daniele Memola )
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17 - Ordine degli Avvocati di Trani