Storie in corso Workshop nazionale dottorandi in Storia contemporanea Napoli, 23-24 febbraio 2006 Tra territorialità e mobilitazione nazionale Lo scontro tra avversari politici nella città di Roma (1969 – 1980) Premessa Il 7 gennaio 1978 un commando terroristico aprì il fuoco contro un gruppo di persone che sostava di fronte alla sezione del Movimento Sociale di via Acca Larentia, una piccola strada pedonale, laterale alla grande arteria di via Tuscolana nella città di Roma. Nell’agguato persero la vita due giovani, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta. Poche ore più tardi, la presenza dei carabinieri di fronte ad una piccola folla inferocita si tradusse in una concitata sparatoria nella quale perse la vita un altro giovane, Stefano Recchioni1. L’episodio, destinato ad imprimersi nella memoria collettiva della destra radicale, al punto di rappresentare un momento fondante dell’identità stessa di alcuni settori, specialmente quelli giovanili2, non fu un caso isolato. Pochi giorni prima, infatti, il 28 dicembre 1977, Angelo Pistolesi, collaboratore del deputato missino Sandro Saccucci, partecipe dei disordini di Sezze Romano, in provincia di Latina, che portarono alla morte, il 29 maggio 1976, del militante della Fgci Luigi De Rosa, fu ucciso sotto la sua abitazione nel quartiere Portuense, alla periferia di Roma3. 1 Cfr. A. Baldoni, S. Provvisionato, La notte più lunga della Repubblica, sinistra e destra, ideologie, estremismi, lotta armata, (1968 – 1989), Sesarcangeli, Roma 1989, pp. 241 – 242. 2 Ne costituiscono esempio le testimonianze contenute nelle inchieste di G. Bianconi, A mano armata, Vita violenta di Giusva Fioravanti, Baldini&Castoldi, Milano 2002, G. Cingolani, La destra in armi, Neofascisti italiani tra ribellismo ed eversione (1977 – 1982), Editori Riuniti, Roma 1996 e P. Corsini, Storia di Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, Pironti, Roma 1999. 3 Cfr. Camera dei deputati, Commissione Moro, vol. XII, Mappa per regioni del fenomeno terroristico: Lazio, p. 117. Il ciclo di azioni e ritorsioni era emerso con particolare chiarezza in città già qualche mese prima, in particolar modo nel settembre 1977 quando in più occasioni estremisti di destra avevano sparato contro militanti di sinistra o persone ritenute tali. Alla fine del mese si contavano tre feriti gravi ed una vittima, Walter Rossi, militante di Lotta continua, ucciso da alcuni neofascisti che, dopo essersi riparati dietro un furgone della Polizia, aprirono il fuoco contro un gruppo di dimostranti che protestava per le aggressioni dei giorni precedenti4. Il clima politico della città, in sintonia con le tensioni che attraversavano allora il Paese, segnato dai violenti scontri di piazza che proprio a Roma, nel maggio 1977, erano costati la vita alla studentessa Giorgiana Masi, andò sempre più esasperandosi. Il giorno dopo l’assassinio di Walter Rossi, infatti, mentre diversi cortei attraversavano le strade della capitale, numerose sezioni del Movimento Sociale vennero assalite o colpite da attentati incendiari. Episodi analoghi si verificarono in diverse città italiane. A Torino un gruppo di manifestanti si scagliò contro un bar ritenuto luogo di ritrovo dei giovani di destra, lanciando bottiglie molotov al suo interno e provocando la morte di un cliente, Roberto Crescenzio, intrappolato dalle fiamme5. Le violenze continuarono nei giorni seguenti e culminarono il 3 ottobre in occasione, a Roma, della grande manifestazione che accompagnò i funerali di Walter Rossi, nel corso della quale, nuovamente, furono assalite o date alle fiamme alcune sezioni del Movimento Sociale6. Approcci interpretativi e riferimenti bibliografici Le letture che i contemporanei fecero di questi avvenimenti, o di fatti analoghi anteriori o posteriori agli episodi qui narrati, furono le più disparate, ma spesso convergenti nel rilevare la diffusione capillare di una violenza irrefrenabile e inevitabile nel suo manifestarsi. La radicalizzazione degli anni Settanta, ben rappresentata dalle diverse componenti del movimento 4 Il 27 settembre un gruppo di ragazzi di sinistra fu oggetto di colpi di arma da fuoco nel quartiere Eur. Il 29 attivisti neofascisti spararono contro dei giovani che sostavano davanti ad una casa occupata nel quartiere Trionfale, ferendo gravemente Elena Pacinelli, la quale morì poco tempo dopo essendo afflitta da una precedente malattia che si aggravò a causa dalla ferita subita. Cfr. le cronache di «Paese Sera», «Il Messaggero» e il «Tempo» dei giorni 28 – 29 – 30/09/1977 e i quotidiani «l’Unità» e «Il Corriere della Sera» del 1/10/1977. 5 Cfr. «Il Corriere della Sera», «La Stampa», «l’Unità», «Paese Sera», «Il Messaggero», «Lotta continua» del 2/10/1977 e M. Galleni, a cura di, Rapporto sul terrorismo, Le stragi, gli agguati, le sigle, 1969 – 1980, Rizzoli, Milano 1981, p. 306. 6 Cfr. «Il Corriere della Sera», «La Stampa», «l’Unità», «Paese Sera», «Il Messaggero», «Lotta continua», «Il Secolo d’Italia» del 4/10/1977. 2 del ’777, sembrò essere la risposta che una parte della società aveva cercato di dare alle trasformazioni allora in atto, sullo sfondo di una grave crisi economica. Lo scontro tra avversari politici si confermò, allora, come una componente importante di questa radicalizzazione e rimase uno dei tratti distintivi della conflittualità emersa in Italia con le lotte politiche e sociali del biennio 1968 – 1969. Emergeva in quei giorni la consapevolezza di una scollatura tra la società civile e una sua parte che in essa non si riconosceva più. La violenza tra gruppi di destra e sinistra - e tra questi e lo Stato - tese a codificarsi in logiche sempre più compartimentate che ricalcavano le dinamiche dei gruppi terroristici maggiori, mentre la componente più radicale dei movimenti andò ingrossando, sulla spinta del riflusso della partecipazione collettiva, le fila del terrorismo diffuso. L’autorappresentazione stessa di alcuni segmenti del movimento riproduceva la mentalità e le logiche imposte da un conflitto vero e proprio. Così in un’inchiesta sulla violenza politica condotta all’interno del movimento romano, un compagno di Walter Rossi interpretava in questo modo il susseguirsi di azioni e ritorsioni allora in atto tra gruppi di destra e militanti di sinistra: La rappresaglia ha un senso quando non ti puoi permettere nient’altro. […] E la punizione può venire solo dalla sinistra rivoluzionaria, da azioni che saranno sanguinose quanto ti pare, che magari staranno nella stessa logica, che per me è la logica della guerra, in un certo senso di uno scontro ormai aperto, della eleminazione fisica, della paura e del terrore. Possiamo fare tutti i discorsi che vuoi su quanto sia sbagliato, però in una situazione in cui uno decide che non vuole nascondersi, ma continuare a vivere, lo può fare solo per mezzo di un ricatto anche pesante, cioè se colpiscono un compagno, ce ne sono cinque dei loro a terra: questo in certi casi, è l’unico modo che ti garantisce di passeggiare incolume per strada8. Il dispiegarsi di tanta violenza appariva ad alcuni difficilmente comprensibile in un paese dove ai cittadini era formalmente riconosciuto il diritto di esprimere il loro dissenso, di organizzarsi per difendere i propri interessi, di partecipare alle decisioni riguardanti la collettività9. Agli occhi di alcuni osservatori, infatti, sembrò non esserci un termine di paragone, sia nello spazio che nel tempo, né tanto meno nel recente passato, con cui misurare la complessità dei fenomeni 7 Per un’analisi delle diverse componenti cfr. Millenovecentosettantasette, Manifestolibri, Roma 1997. 8 Cfr. M. Lombardo – Radice, M. Sinibaldi,, a cura di, «C’è un clima di guerra…», Intervista sul terrorismo diffuso, in L. Manconi, a cura di, La violenza e la politica, «Quaderni di Ombre Rosse», n. 2, Savelli, Roma 1979, pp. 127 – 128. 9 Cfr. D. Della Porta, Il terrorismo di sinistra, Il Mulino, Bologna 1990, p. 20. 3 in corso. Alberto Ronchey, editorialista del «Corriere della Sera», così descriveva la rotta intrapresa da una parte, pur minoritaria, della società italiana: In Italia, non solo esplodono bombe nelle piazze e sui treni, ma stati d’animo simili a quelli che nel Sud America, al sabato sera, il sottoproletariato delle periferie urbane manifesta con la semplice confessione: tengo gana de matar, ho voglia di uccidere. L’Italia non è il Sud America, eppure esprime tensioni analoghe. Simili sono le «squadre della morte» che uccidono a sangue freddo giudici e poliziotti. Persino quando non prevale l’impulso alle armi proprie e improprie, c’è voglia di sopprimere con le parole10. In realtà le origini di quella violenza sono rintracciabili non solo nelle vicende della storia nazionale, ma si inseriscono tra le principali tendenze della storia contemporanea mondiale, che vedono il Novecento come età degli estremi o come il secolo delle ideologie11. Definizioni nate all’interno di differenti orientamenti storiografici che hanno sottolineato, però, la radicalizzazione e la trasversalità del conflitto politico nella storia del secolo scorso e che forniscono, in parte, il quadro di riferimento in cui inserire lo scontro tra avversari politici nell’Italia degli anni Settanta. Tuttavia, un complesso sistema di sovrapposizioni, tra memoria collettiva ed uso pubblico della storia – qui inteso come strumento esplicito di lotta politica12 - tra inchieste giornalistiche ed indagini giudiziarie, ha contribuito a restituire l’immagine di questo scontro come l’espressione di una violenza cieca di una minoranza della società italiana, individuata in particolar modo nella sua componente giovanile. Una violenza che avrebbe riguardato, principalmente, i gruppi nati al di fuori o ai margini dei partiti politici ufficiali. Il contributo delle scienze sociali nello studio dell’azione collettiva ha evidenziato, però, proprio a partire dagli anni Settanta, importanti prospettive di ricerca che vanno in tutt’altra direzione13. I movimenti collettivi, infatti, vengono definti nell’indagine sociologica come organizzazioni razionali e reticolari, basate, cioè, su legami multipli… che costuiscono delle reti dai confini indefiniti14. Ne consegue che un movimento sociale non deve essere considerato come 10 Cfr. A. Ronchey, Accadde in Italia 1968/1977, Garzanti, Milano 1977, pp. 92 – 93. 11 E. J. Hobbsbawn, Il secolo breve, 1914 – 1991, L’era dei grandi cataclismi, Rizzoli, Milano 1998 e K. D. Bracher, Il Novecento, Secolo delle ideologie, Laterza, Roma 2001. 12 Cfr. V. Vidotto, Guido alla storia contemporanea, Laterza, Bari 2004, p. 16 e l’intervento di P. Bevilacqua, Storia della politica e uso politico della storia, Meridiana, n. 3, Roma 1988, pp. 169 – 170. Più in generale, vedi N. Gallerano, a cura di, L’uso pubblico della storia, Angeli, Milano 1995. 13 Cfr. J. D. Mc Carthy, N. Mayer, Resource mobilization and social movements, A partial theory, in «American Journal of Sociology», LXXXII, 1977. 14 D. Della Porta, Movimenti collettivi e sistema politico in Italia, 1960 – 1995, Laterza, Roma – Bari 1996, p. 9. 4 isolato dalla moltitudine degli altri movimenti coesistenti nello spazio e nel tempo15. Gli equilibri all’interno di un sistema politico possono essere influenzati, allora, anche dalla mutevole configurazione dei rapporti di potere tra gli attori che appoggiano e quelli che osteggiano un movimento e che spesso si configurano come soggetti politici non istituzionali16. Movimenti e contromovimenti, dunque, si influenzano reciprocamente, contribuendo alla definizione degli orientamenti ideologici e delle relazioni politiche di un sistema. Come è stato notato, proprio negli anni Settanta, in Italia, le interazioni tra movimenti e contromovimenti possono essere descritte come battaglie, in cui l’obiettivo principale era la distruzione dell’avversario, con poca attenzione ai costi…17. La scontro tra gruppi di destra e di sinistra negli anni Settanta, dunque, si inserirebbe in un sistema complesso di interazione tra le istituzioni, i partiti politici, i movimenti sociali e i loro oppositori. Un contesto dove emergono, tra l’altro, con tutta la loro problematicità, i rapporti tra la politica internazionale e quella interna negli anni della guerra fredda18. In ambito storiografico, un tentativo di interpretazione della storia dell’Italia repubblicana in questa direzione viene offerto dalla formula «doppia lealtà e doppio Stato» che descrive i termini, inscindibili e coercitivi, di una duplice appartenenza al proprio paese e ad uno schieramento politico dove […] l’elemento di emergenza e di approntamento militare… si specifica ulteriormente nella priorità e nella visibilità di una scelta politico – strategica; nell’attenuazione della distinzione tra interno ed esterno in quanto entrambi gli elementi si ridefiniscono a partire dalla doppia lealtà; in definitiva in una problematizzazione della stessa identità nazionale19. Una prerogativa sistemica, dunque, che spiega in parte il confluire del conflitto sociale in una logica politica compartimentata che non permetteva allontanamenti o deviazioni da una scelta strategica ben definita. E che a sua volta metteva in discussione non solo i termini dell’unità antifascista sancita nella Costituzione del 1946, ma che forniva alle forze di destra che l’avevano rifiutata un elemento in più di contrapposizione20. 15 Ivi., p. 7. 16 Ivi, pp. 13 – 14. 17 Ibid., p. 20. 18 Per un approfondimento di questa tematica vedi E. Di Nolfo, Sistema internazionale e sistema politico italiano, Interazione e compatibilità, in L. Graziano, S. Tarrow, a cura di, La crisi italiana, Einaudi, Torino 1979. 19 Cfr. F. De Felice, Doppia lealtà e doppio Stato, in «Studi storici», XXX, n. 3, 1989, pp. 506 – 507. 20 Per una sintesi generale della storia della destra nel dopoguerra cfr. R. Chiarini, Destra italiana, Dall’Unità d’Italia ad Alleanza Nazionale, Marsilio, Venezia 1995 e A. Baldoni, La destra in Italia, 1945 – 1969, Editoriale Pantheon, Roma 2000. 5 La definizione e la collocazione dell’identità antifascista rappresentò, allora, un elemento di conflitto che emerse in momenti di particolare crisi della storia repubblicana. Si esprimeva, in questo modo, il reciproco timore degli schieramenti politici di un ritorno ad opzioni dittatoriali se non addirittura totalitarie. Una tensione ben rintracciabile nel susseguirsi di narrazioni ed interpretazioni della vicenda resistenziale e di rescrizione del paradigma «antifascista»21. La difficoltà di inserire lo scontro tra avversari politici in una narrazione storica complessiva dell’Italia degli anni Settanta riflette, inoltre, l’assenza di una sintesi che problematizzi, perlomeno, il nesso tra le componenti di una destra protagonista della strategia della tensione, interlocutrice privilegiata dei servizi segreti italiani e atlantici, responsabile di sanguinosi attentati terroristici22, con la presenza di una destra che, invece, nell’opinione pubblica italiana… è stata ben viva, palesamente negli anni cinquanta, in forma più tortuosa e carsica in seguito, persino nel decennio tra fine anni sessanta e fine anni settanta che vide la grande radicalizzazione a sinistra23. Una compagine politica, dunque, che non rientra, a pieno titolo, nel canone interpretativo della «doppia lealtà e del doppio Stato». La definizione di «guerra civile a bassa intensità», utilizzata, in particolar modo, fuori dall’ambito scientifico, pur rappresentando un’ipotesi suggestiva, non sembra, però, rispondere alla complessità delle problematiche finora emerse, poiché tende a risaltare i momenti di conflitto tra le forze politiche ponendoli, contemporaneamente, sullo stesso piano di quelli potenziali24. Occorre, infatti, distinguere la guerra civile dal cumulo di tutte le altre manifestazioni di violenza interna25, mettendone a fuoco le spesso fuggenti gradazioni intermedie26. In un ambito più specificatamente storiografico, invece, il termine «guerra civile strisciante» è stato impiegato per descrivere le sfasature, emerse nel dopoguerra, tra una Costituzione avanzata e la restaurazione 21 Su questo tema cfr. F. Focardi, La guerra della memoria, La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 ad oggi, Laterza, Roma - Bari 2005. 22 Cfr. F. Ferraresi, Minacce alla democrazia, La destra radicale e la strategia della tensione in Italia nel dopoguerra (1945 – 1984), Feltrinelli, Milano 1995. 23 Cfr. S. Lupo, Partito e antipartito, Una storia politica della prima Repubblica (1946 – 78), Donzelli, Roma 2004, p. 7. 24 Ne costituiscono esempio alcune interpretazioni emerse dalla lettura della documentazione emersa nei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi. Su questo tema vedi G. Fasanella, G. Pellegrino, C. Sestieri, Segreto di Stato, La verità da Gladio al caso Moro, Einaudi, Torino 2000 e G. Fasanella, G. Pellegrino, La guerra civile, Rizzoli, Milano 2005. 25 Cfr. G. Ranzato, a cura di, Guerre fraticide, Le guerre civili in età contemporanea, Bollati Boringhieri, Torino 1994, p. XXXIV. 26 R. Schnur, Rivoluzione e guerra civile, Giuffrè, Milano 1986, p. 147. 6 dei vecchi ceti dirigenti e di equilibri sociali intaccati negli anni della Resistenza27. Una ricostruzione, dunque, che riprende il giudizio gramsciano sul “sovversivismo delle classi dirigenti” e che trova una radicalizzazione nelle interpretazioni che hanno evidenziato i nessi, nella storia dell’Italia repubblicana, tra la guerra civile e le lotte di classe dei decenni successivi. Una sintesi che propone il movimento operaio di ispirazione socialista come la figura del nemico interno attorno alla quale si sarebbe svolta una dura contrapposizione28. La tematica del “nemico interno” costituisce, in questo senso, un’ulteriore prospettiva di analisi e di comparazione. Il suo utilizzo, infatti, consente una dilatazione cronologica di più ampio respiro attraverso la quale inserire il problema della violenza politica nella storia dell’Italia unita. Un suggerimento che implicitamente ci viene dagli studi che hanno descritto gli elementi di continuità, nello Stato e nelle istituzioni, nel passaggio dal regime fascista alla Repubblica29. Una transizione misurata su di una scala temporale più estesa e che ha permesso, ad esempio, di inserire la complessità delle problematiche emerse nel secondo dopoguerra nel contesto di una lunga liberazione30. Una fase di gestazione, dunque, nella quale si consolidarono i legami tra l’esperienza militare, politica, esistenziale di Salò e il successivo sviluppo organizzativo, ideologico, culturale del neofascismo italiano31. Mentre in alcune aree del paese i vecchi conflitti risalenti all’offensiva dello squadrismo agrario del 1921 – 1922 sfociavano in drammatici epiloghi, stabilendo una linea di continuità tra le lotte agrarie di fine Ottocento, il biennio rosso, la guerra civile e la conflittualità sociale degli anni Quaranta e Cinquanta32. In questa prospettiva, dunque, la figura del «nemico interno» sembra delinearsi come un tratto distintivo di lungo periodo nella storia d’Italia. Il suo utilizzo, infatti, risale all’uso fattone dal movimento interventista nei mesi che precedettero l’ingresso dell’Italia nella prima guerra 27 Cfr. L. Canfora, Le tre guerre della Resistenza italiana, in Delle guerre civili, Manifestolibri, Roma 1993, p. 70 e P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Società e politica, 1943 – 1988, Einuadi, Torino 1989, pp. 153 – 166. 28 Su questo tema vedi C. Bermani, Il nemico interno, Guerra civile e lotte di classe in Italia (1943 – 1976), Odradek, Roma 2003 29 Ne costituiscono esempi C. Pavone, L’eredità della guerra civile e il nuovo quadro istituzionale, in Lezioni sull’Italia repubblicana, Donzelli, Roma 1994 e C. Pavone, All’origine della Repubblica, Scritti sul fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Bollati Boringhieri, Torino 1995. 30 Cfr. M. Dondi, La lunga liberazione, Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano, Editori Riuniti, Roma 2004. 31 Cfr. M. Revelli, La Rsi e il neofascismo italiano, in La Repubblica sociale italiana, 1943 – 1945, Annali della Fondazione Luigi Micheletti, Brescia 1986, p. 417. 32 Cfr. G. Crainz, Il conflitto e la memoria, in Guerra civile e triangolo della morte, «Meridiana», n. 13, 1992, p. 28. 7 mondiale33. Negli anni della Repubblica il “nemico interno” divenne l’avversario politico delegittimato dalla possibilità di governare il paese in quanto accusato di essere alle dipendenze del nemico esterno e dunque di complottare, subdolamente, alle spalle dei propri connazionali34. Una proiezione che risentiva, ancora, della contrapposizione socialismo/fascismo del primo dopoguerra e soprattutto che riproponeva lo schematismo manicheo a cui il fascismo aveva abituato gli italiani e che aveva lasciato profonde tracce nella loro mentalità e nel loro agire politico35. Le analisi di lunga durata, tuttavia, si arricchirebbero delle sollecitazioni emerse negli ambiti metodologici delle scienze sociali. Nella storiografia, ad esempio, sembra affermarsi con difficoltà una sintesi interpretativa della storia dell’Italia repubblicana che presenti una sistemazione delle vicende dei diversi terrorismi. L’assenza, infatti, di una narrazione storica basata sul confronto dei differenti comportamenti degli attori politici e delle istituzioni di fronte all’emergere della conflittualità politica e sociale degli anni Settanta, ha reso incompleta la comprensione dello sviluppo della violenza politica nel corso del decennio, relegandola all’utilizzo fattone dai movimenti e dai gruppi extraparlamentari. La radicalizzazione compiuta dal terrorismo rimane quindi, un problema tuttora aperto, nella ricostruzione storica e nell’interpretazione storiografica. Cosa dicono le fonti Esiste oggi un copiosa letteratura, composta da saggi, inchieste, dalla memorialistica, da analisi sociologiche, da rielaborazioni letterarie e da ricostruzioni storiche, che individua nel ’68 un momento periodizzante della storia italiana36. Una stagione che formò nuove identità collettive, che stabilì nuove relazioni politiche, culturali e sociali e che scompose le vecchie appartenenze 33 Cfr. A. Ventrone, La seduzione totalitaria, Guerra, modernità, violenza politica, (1914 – 1918), Donzelli, Roma 2003. 34 A. Ventrone, Il nemico interno, Immagini e simboli della lotta politica nell’Italia del ‘900, Donzelli, Roma 2005, p. 3. 35 Ivi, p. 18. 36 Ne costituiscono esempio, tra i tanti titoli, A. Agosti, L. Passerini, N. Tranfaglia, a cura di, La cultura e i luoghi del ’68, Angeli, Milano 1991, N. Balestrini, P. Moroni, L’orda d’oro, 1968 – 1977, La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Feltrinelli, Milano 1997, L. Bobbio, F. Ciafaloni, P. Ortoleva, R. Rossanda, R. Solmi, Cinque lezioni sul ’68, Edizioni Rossoscuola, Roma 1988, M. Capanna, Formidabili quegli anni, Rizzoli, Milano 1988, E. Deaglio, E. Hobsbawn, M. Weitzman, Il ’68, Un anno nel mondo, Art&, Tavagnacco 1998, F. Fortini, Insistenze, Garzanti, Milano 1985, M. Flores, A. De Bernardi, Il Sessantotto, Il Mulino, Bologna 1998, P. Ortoleva, I movimenti del ’68 in Europa e nel mondo, Editori Riuniti, Roma 1998. 8 ideologiche, in crisi dopo l’espansione economica e il benessere diffuso che la società dei consumi aveva portato con sé per oltre un decennio37. Per un momento sembrò assottigliarsi la permeabilità dei confini tra destra e sinistra, in particolar modo nel mondo giovanile, in coincidenza con l’esplosione della rivolta studentesca degli anni 1967 – 1968. La ricerca di una modernità alternativa a quella dominante portò, infatti, ad una contaminazione ideologica inedita, ma analoga, per molti aspetti, a quella emersa in Europa nel primo dopoguerra38. Come è stato notato […] una drammatica ricerca di senso sembra in effetti aver attraversato gran parte dei movimenti ribellistici del ‘90039. Un volantino distribuito a Roma nel marzo del 1971 ben ci descrive la commistione delle diverse istanze che ruotavano attorno alla contestazione dell’ordine borghese: Mentre la destra reazionaria, vaticaneggiante, americanofila ordisce machiavellici piani per la conquista del potere, mentre la sinistra demagogica, sclerotica si arrocca su posizioni conservatrici e tutelatrici della legalità istituzionale: i giovani scagliano la loro rabbia troppo a lungo repressa, contro le istituzioni, i miti ed i pregiudizi di una società che muore sotto il peso di una senilità colpevole. Mentre il borghese in pantofole, guarda attento nella televisione i corpi di giovani ballerini, bestemmiando silenziosamente i 90 kg. della moglie che delizia la sua vita coniugale: nelle strade, giovani fra selve di bandiere rosso o nere, assaggiano la vita con un grido in gola ed il sapore dei gas in bocca, il loro sangue brucia nelle vene e bagna l’asfalto40. In Italia, tuttavia, la spinta propulsiva della protesta studentesca venne assorbita dalla contrapposizione politica che si andava delineando nel 1969 e che vedeva una difficile composizione degli interessi allora in gioco: le rivendicazioni del movimento operaio, l’esplosione di lotte sociali, il ruolo del Partito comunista, le prospettive del centro sinistra, le scelte politiche e strategiche della Democrazia cristiana e, infine, gli spazi che si erano aperti per un’azione ad ampio raggio della destra italiana. Da più parti si tornò a parlare di un «biennio rosso», posto in ideale continuità con quello del 1919 – 1920. Per il movimento operaio e studentesco implicito era il richiamo alla forza dispiegata e alle possibilità di conquiste sociali, mentre le componenti più radicali rimembravano 37 Cfr. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi… cit., pp. 325 – 336. 38 Cfr. N. Elias, I tedeschi, Lotte di potere ed evoluzione dei costumi nei secoli XIX e XX, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 269 – 275 e Z. Sternehell, La destra rivoluzionaria, Le origini francesi del fascismoi, 1885 – 1914, Corbaccio, Milano 1997, pp. 7 – 8. 39 Cfr. A. Ventrone, L’assalto al cielo, Le radici della violenza politica, in G. De Rosa, G. Monina, a cura di, L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, Rubettino, Genova 2003, p. 190. 40 ACS, PS, G, 1944 – 1986, B. 293. 9 la possibilità di uno sbocco rivoluzionario. Il Partito comunista cercò di intercettare tali spinte, per orientarle verso un programma di riforme sociali e istituzionali del paese, ma non potè evitare né la proliferazione alla sua sinistra della galassia di gruppi marxisti ed operaisti, né le paure dei moderati riguardo la sua affidabilità democratica41. La posizione del governo di centro sinistra, dunque, parve indebolirsi fino alla sua definitiva crisi nel luglio 1969, anticipata agli inizi del mese dalla scissione della corrente socialdemocratica. In un’intervista a Pietro Nenni del 23 novembre 1969 al «Corriere della Sera», intitolata, significativamente «Impedire un altro ‘22», il quadro d’insieme offerto dal giornalista era descritto in termini drammatici: Lo schieramento delle forze democratiche appare a pezzi: con divisioni e lacerazioni che, anziché colmarsi o attenuarsi, tendono ad approfondirsi di giorno in giorno. Ombre di violenze si distendono sul paese: gli opposti estremismi si tendono la mano nel rifiuto della democrazia, nella stanchezza o addirittura nella nausea della libertà. I confini tra guardie rosse e guardie nere tendono a sfumarsi sempre di più. Le provocazioni dell’infantilismo rivoluzionario, degne dei peggiori modelli massimalisti dell’altro dopoguerra, portano con sé reazioni o ritorsioni che evocano l’autoritarismo di destra. C’è un sentimento dominante: la paura42. Un’ immagine, proposta in un articolo del «Borghese» dell’ottobre 1969, rievocava un altro momento di crisi della storia italiana che sintetizzava, in quei giorni, la commistione tra critica radicale al sistema, la difesa dell’Italia dalla minaccia comunista e il sovversivismo conservatore della destra italiana43: Cinquantadue anni or sono, quando le divisioni tedesche e austriache ruppero il nostro fronte e dilagarono verso il Veneto, quello che maggiormente contribuì a demoralizzare i soldati italiani fu «il silenzio assoluto, impressionante, delle nostre artiglierie di grosso e medio calibro…. Ed anche oggi, in questo ottobre 1969, mentre i comunisti avanzano, quello che lascia sbigottiti i cittadini è l’inerzia del governo, la paralisi della Dc. Una inerzia che rende possibili senza colpo ferire quelle conquiste che in altri Paesi, quanto meno, il comunismo pagò col sangue44. La polarizzazione tra destra e sinistra tornò ad essere, di conseguenza, un tratto distintivo della conflittualità di quegli anni. L’antifascismo, da una parte, e l’anticomunismo, dall’altra, 41 Cfr. A. Agosti, Storia del Pci, Laterza, Roma – Bari 1999, pp. 101 – 102. 42 Cfr. «Corriere della Sera», 23/11/1969. 43 Cfr. P. Ignazi, Il polo escluso, Profilo storico del Movimento Sociale Italiano, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 136 – 137. 44 Cfr. «Il Borghese», n. 41, 5/10/1969. 10 divennero, infatti, delle discriminanti irrinunciabili. Fu una parte estremamente minoritaria della destra radicale, in particolar modo nella sua componente giovanile, a cercare una convergenza con le velleità rivoluzionarie dell’estrema sinistra. Per il tutto il corso del 1969, invece, assistiamo ad una diffusione e ad una radicalizzazione degli scontri tra avversari politici, culminati negli incidenti di piazza a Pisa, il 27 ottobre, dove perse la vita lo studente Cesare Pardini, colpito al petto da un candelotto sparato dalla polizia dopo due giorni di dure dimostrazioni contro la locale federazione cittadina del Movimento sociale, e nel tentato linciaggio di alcuni giovani ritenuti militanti di sinistra in occasione dei funerali, il 21 novembre a Milano, dell’agente di polizia Antonio Annarumma, ucciso il giorno prima in occasione di una manifestazione per la casa. Un quadro d’insieme sostanzialmente confermato dai dati raccolti dall’Ufficio Statistico del Ministero dell’Interno che vedono al secondo posto, dopo gli incidenti verificatisi nel corso di manifestazioni sindacali, gli scontri tra gruppi di destra e di sinistra. Una conflittualità diffusa e rintracciabile in tutto il Paese, dunque, con una particolare incidenza nelle regioni centro meridionali45. I rari studi che contengono a loro interno una statistica degli episodi di violenza politica di quegli anni, registrano, poi, un maggior peso della destra e delle formazioni oltranziste tra il 1969 e il 197446, sebbene l’insieme di questi dati lasci sostanzialmente aperto il problema della presenza o meno di una strategia unitaria, in particolar modo dietro le numerose aggressioni ai danni degli oppositori politici. È una fase, questa, in cui la presenza dei gruppi extraparlamentari è ancora embrionale, sebbene alla destra del Movimento Sociale, da tempo operassero, spesso in contiguità col partito, formazioni oltranziste come Avanguardia Nazionale ed Ordine Nuovo47. Sono i partiti politici, infatti, i principali protagonisti di queste tensioni e insieme ad essi i movimenti studenteschi. Così, ad esempio, si esprimeva un cronista dell’«Avanti» all’indomani dell’attentato allo stand della Fiat della Fiera di Milano del 25 aprile 1969, prodromo, come le successive indagini giudiziarie hanno accertato, della «strategia della tensione»48: 45 Cfr. MI, GAB, 1967 – 1970, B. 40. 46 Cfr. i dati statistici contenuti nel libro di M. Galleni, a cura di, Rapporto sul terrorismo, Rizzoli, Milano 1981, p. 111 e nel saggio di D. Della Porta, M. Rossi, Cifre crudeli, Bilancio dei terrorismi italiani, Bologna 1984, p. 25. Secondo questo studio, gli episodi di violenza compresi tra il 1969 e il 1973 sono nel 95% ascrivibili all’attività della destra. L’analisi di D. Della Porta è, in parte, una rielaborazione critica dei dati contenuti nel libro curato da M. Galleni. Quest’ultimo attribuisce alla destra il 67,55% degli atti di violenza negli anni tra il 1969 e il 1974. In entrambi gli studi i dati si riferiscono agli attentati a persone e a cose e alle aggressioni a persone. 47 Cfr. Commissione Stragi, XIII, Eversione di destra, doc. 1/15. 48 Ivi. 11 Il drappello, come al solito, è uscito di notte. È uscito quando la brava gente dorme giustamente nelle sue case e, quindi, non c’è il pericolo di prendersi la lezione che questa brava gente sarebbe pronta ad impartire. È uscito come un esercito di topi di fognatura, protetto dal buio, per avere maggiore possibilità di sentirsi a proprio agio in mezzo alla mondezza49. Il dispiegarsi della strategia della tensione rappresenta, in questa prospettiva, uno dei principali problemi interpretativi della storia dell’Italia repubblicana. Al momento abbiamo un complesso insieme di studi e di inchieste che si sono rivelati fondamentali nel portare alla luce una vastissima documentazione che ha accertato un’insieme di forze – gruppi terroristici neofascisti, servizi segreti italiani ed atlantici, corpi dello Stato, settori del mondo politico, istituzionale ed economico italiano – impegnate nel condizionare stabilmente il sistema politico attraverso metodi illegali, senza giungere al sovvertimento dell’ordinamento formale…50. Una commistione di intenti che trova un suo momento fondante nel convegno sulla guerra rivoluzionaria organizzato a Roma dall’Istituto Pollio nel maggio 196551. Prospettive di ricerca Di fronte alla mole di questi studi e alle diverse e spesso inconciliabili interpretazioni che hanno suscitato, a tutt’oggi manca una sintesi che abbia analizzato gli effetti che la stagione delle stragi causò nel tessuto sociale del paese e nella redifinizione delle relazioni politiche. Come ha notato Noberto Bobbio, riferendosi alla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, […] solo se si potesse dire con una certa precisione che dopo la strage è avvenuto ciò che non era prevedibile, oppure non è avvenuto ciò che invece era prevedibile, saremo in grado di dire che cosa abbia rappresentato quell’evento nella storia del nostro Paese52. Interrogativi che ripropongono, in ambito storiografico, il problema del rapporto tra il potere creativo dell’istante e la mutazione brusca, a caldo, in cui si mescolano il passato, talvolta il 49 50 Cfr. «l’Avanti!», 26/04/1969. Cfr. P. Cucchiarelli, A. Giannulli, Lo Stato parallelo, L’Italia oscura nei documenti e nelle relazioni della Commissione Stragi, Gamberetti, Roma 1997, p. 18. Per un critica a questa interpretazione vedi F. M. Biscione, Il sommerso della Repubblica, La democrazia italiana e la crisi dell’antifascismo, Bollati Boringhieri, Torino 2003, pp. 27 – 41. 51 Cfr. La guerra rivoluzionaria, Atti del Primo Convegno organizzato dall’istituto Pollio, Volpe Editore, Roma 1965. 52 Cfr. N. Bobbio, F. Accame, Strategia e terrorismo, Carteggio tra Noberto Bobbio e Falco Accame, 1993 – 1994, suppl. al n. 7 di «Agorà ‘92», Roma 1994, pp. 5 – 7. 12 futuro, e sempre un presente vissuto con intensità con le istanze di lungo periodo53. Lo scontro tra avversari politici, a partire dall’attentato alla Banca dell’Agricoltura, sembra inserirsi in questo delicato crinale. Nella memoria collettiva dei movimenti, ad esempio, la strage rappresentò il giorno dell’innocenza perduta, un evento che cambiò o condizionò i più disparati percorsi esistenziali e politici54. Un dato che è stato registrato anche nelle storie di vita raccolte nei lavori di analisi sociologica e di ricostruzione antropologica del fenomeno terroristico55. La sensazione che l’attentato avesse messo in moto un processo dagli esiti imprevedibili ed indefiniti era, tuttavia, ben chiara a molti dei testimoni di quegli eventi. Così in un articolo del «Popolo» del 15 dicembre 1969 veniva riassunto uno stato d’animo condiviso da molti: Vorremmo poter dire «c’è stato un delitto orrendo e infame» e subito consegnare al passato… gli avvenimenti della sera di venerdì scorso. Ma sarebbe inesatto e innaturale: il delitto orrendo e infame «c’è»; è presente nel turbamento, nella commozione, nello sdegno del Paese; è presente nella coscienza, profondamente e intimamente ferita della nostra democrazia; è presente nella consapevolezza che l’obiettivo da colpire sono le istituzioni repubblicane. «C’è», questo delitto, e la parentesi che l’esplosione ha aperto nella vicenda nazionale non potremo chiuderla…; non riusciremo a chiuderla nemmeno quando – esecutori e mandanti – la scoperta dei responsabili e il successo dell’azione per perseguirli, servirà a placare gli animi sconvolti, a diradare le ombre avvelenate del sospetto e del dubbio. La parentesi rimarrà aperta a lungo….56 La strage di Milano, inoltre, contribuì a diffondere l’immagine di uno Stato debole, incapace di contrastare l’eversione. L’incertezza e la faziosità nella ricerca di mandanti ed esecutori e il successivo accertamento, in campo giudiziario, della responsabilità neofascista dell’attentato, in complicità con alcuni settori dello Stato, incrinò, poi, la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, già da tempo screditate e accusate dalla sinistra per il sistematico impiego di armi da fuoco nelle manifestazioni di piazza e nelle proteste sociali. Un’atmosfera in qualche modo anticipata in un editoriale del «Corriere della Sera» del 14 dicembre 1969 e che veniva così descritta: Tutto rischia di diventare lecito, in questo clima di irresponsabilità che investe tutto e tutti. Qualunque arbitrio appare sopportabile; qualunque sopraffazione legittima57. 53 Cfr. M. Vovelle, La mentalità rivoluzionaria, Laterza, Roma – Bari 1999, p. 7. 54 Su questo tema vedi G. Boatti, Piazza Fontana, 12 dicembre 1969, Il giorno dell’innocenza perduta, Einaudi, Torino 1999. 55 A questo proposito cfr. R. Catanzaro, L. Manconi, Storie di lotta armata, Il Mulino, Bologna 1995. 56 Cfr. «Il Popolo» del 15/12/1969. 57 Cfr. «Il Corriere della Sera» del 14/12/1969. 13 Non passò molto tempo, infatti, e alcune componenti dei movimenti collettivi cominciarono a mettere in discussione non solo la legittimità dello Stato, ma anche la valenza stessa dell’ordinamento democratico. La definizione Strage di Stato venne a suggellare, in seguito, più che uno slogan, un sentire diffuso58. Gli appelli alla vigilanza democratica lanciati dai sindacati e dalle forze di sinistra vennero disattesi da quella parte di militanti decisi a compiere una rottura radicale. Un opuscolo, supplemento al numero di «Lotta continua» del 16 dicembre 1969, ci restituisce una manifestazione di questo stato d’animo: […] sappiamo bene che cosa sia questa democrazia, sappiamo bene che cosa abbia dato questa repubblica democratica fondata sul sangue dei lavoratori: 91 proletari uccisi (dal 1947 ad oggi), 674 proletari feriti 44325 operai uccisi in fabbrica (dal ’51 al ’66), uno ogni mezz’ora di lavoro. 15677070 operai infortunati sul lavoro. Tutto questo senza uscire dalle norme democratiche! Quando si parla di democrazia, di costituzione, di progresso civile e ordinato, di miglioramenti sociali, di riforme, ricordiamoci queste cifre59. L’attentato del 12 dicembre, infine, riattivò quelle tradizioni politiche che non avevano escluso, ma anzi continuavano ad esaltare, l’ipotesi rivoluzionaria e la violenza rivoluzionaria come strumento possibile del loro repertorio60, mentre su di un altro versante la destra eversiva rilanciava l’ipotesi del colpo di Stato. Un insieme di mobilitazioni che non spiega, tuttavia, la radicalizzazione del successivo decennio. La conflittualità politica, infatti, era venuta crescendo e si era alimentata contestualmente ai grandi mutamenti sociali del Paese come, ad esempio, la piena realizzazione dell’industrializzazione e dello sviluppo del terziario e i processi di burocratizzazione dei settori pubblico e privato61. I ceti medi urbani furono tra i protagonisti di queste trasformazioni. Tale espansione si tradusse, in parte, in una accentuata politicizzazione e sindacalizzazione dai connotati fortemente contestativi che rifletteva un complesso sistema di autorappresentazione della classe media di fronte alla propria collocazione sociale62. Questi fermenti vennero 58 Tale espressione venne, poi, codificata nel libro La Strage di Stato, Samonà e Savelli, Roma 1970. 59 Cfr. ACS, MI, GAB, 1967 – 1970, B. 21. 60 Cfr. V. Vidotto, Italiani/e, Dal miracolo economico a oggi, Laterza, Roma – Bari 2005, p. 106. 61 Cfr. l’analisi retrospettiva contenuta nello studio di P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente, Famiglia, società civile, Stato, 1980 – 1996, Torino, pp. 96 – 106. 62 Per un’analisi generale delle problematiche esaminate, cfr. A. Schizzerotto, a cura di, Classi sociali e società contemporanea, Angeli, Milano 1998. 14 intercettati e in qualche modo veicolati dal linguaggio classista della sinistra operaista e marxista. Tuttavia, fu questo un terreno sul quale convergevano diverse culture e tradizioni politiche, non ultima, sebbene minoritaria ed estremamente frammentata, l’area neofascista. La risposta alle grandi trasformazioni in corso si collocò, quindi, a metà strada tra la compartecipazione politica e l’attivazione consapevole di momenti di conflittualità e di rottura che sfociarono non di rado in un confronto ideologico e politico esasperato, aggravato dalla presenza di appartenenze politiche mai riconciliate. Sullo sfondo l’impossibilità di un Paese di pensarsi né in termini di nazione, né in termini di classe, mentre si affermavano identità collettive separate e antagoniste l’un con l’altra63. In questa prospettiva, un’analisi che tenesse conto delle prerogative e delle peculiarità dei contesti locali aiuterebbe la comprensione complessiva del fenomeno. Negli anni Settanta la città di Roma, ad esempio, si distinse dalle altre piazze politiche italiane per la drammaticità e la durata dello scontro tra neofascisti e militanti di sinistra64. Tradizionale appannaggio della destra, la scena cittadina fu progressivamente occupata da un diffuso sentimento antifascista, emerso, soprattutto tra le nuove generazioni, nelle giornate del luglio 1960 e che divenne preponderante, a partire dal 1966, in seguito agli incidenti provocati da gruppi di destra all’interno dell’ateneo romano che provocarono la morte dello studente Paolo Rossi65. Proprio l’università divenne nel 1968 il teatro principale dello scontro tra neofascisti e studenti del movimento, mentre la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 esasperò le tensioni già esistenti66. Un contesto, dunque, che presenta, in chiave problematica, l’interazione tra fattori di lunga durata e quelli, invece, ascrivibili ad un evento particolare (l’attentato di Milano, in questo caso). La struttura radiale della città di Roma, inoltre, descrivendo un rapporto complesso tra l’ aggregato umano e spaziale, tra la densità e l’eterogeneità della popolazione, accentuando, come nelle altre grandi metropoli, la diversificazione e la specializzazione nelle relazioni umane ed esaltando le distanze sociali e i contrasti tra gli stili di vita dei cittadini67, propone una serie di 63 V. Vidotto, La nuova società, in G. Sabbatucci, V. Vidotto, a cura di, Storia d’Italia, L’Italia contemporanea, Dal 1963 ad oggi, Laterza, Roma – Bari 1999, pp. 47 – 48. 64 V. Vidotto, Roma contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 326. 65 C. Rossi, Gli studenti tra riforme (mancate) e contestazione (1930-1980), in Brezzi C., Casula C. F., Parisella A., Continuità e mutamento, Classi, economie e culture nel Lazio, Teti, Milano 1981. 66 Quel giorno, inoltre, quasi in contemporanea con le bombe di Milano, anche Roma venne colpita. Cfr. F. Calvi, F. Laurent, Piazza Fontana, La verità su una strage, Mondadori, Milano 1997, pp. 6-7. 67 Su questo tema vedi G. Martinotti, Metropoli, La nuova morfologia sociale della città, Il Mulino, Bologna 1993. 15 elementi, non ancora compiutamente indagati nell’analisi e nella ricerca storica che, certamente, influenzarono l’alta conflittualità della città negli anni Sessanta e Settanta. Un quadro complesso, dunque, dove alla tradizionale immagine di Roma come palcoscenico della vita politica nazionale, si affiancano le caratteristiche del tessuto urbano della città nelle sue diverse articolazioni. Una commistione che lascia aperto il problema di interazione tra le forme della mobilitazione politica innescata dalle bombe del 12 dicembre e la specificità degli ambiti territoriali e locali. Temi verso i quali, al momento, si sta orientando la mia ricerca. Guido Panvini (Dottorato in “Società, istituzioni e sistemi politici europei (XIX – XX secolo)” Università della Tuscia, Viterbo) Tesi: Alle origini del terrorismo diffuso. Lo scontro tra avversari politici negli anni della conflittualità. (1969-1980); Paper: Tra territorialità e mobilitazione nazionale. Lo scontro tra avversari politici nella città di Roma (1969-1980) 16