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32/2015
sinodo dei vescovi
Con l’olio
dell’accoglienza
e della misericordia
In apertura della XIV Assemblea generale
ordinaria del Sinodo dei vescovi
(4-25.10.2015)
«Preghiamo perché il Sinodo che domani si
apre sappia ricondurre a un’immagine compiuta di uomo l’esperienza coniugale e familiare». Lo scorso sabato 3 ottobre, in Piazza
San Pietro, Francesco è intervenuto alla veglia di preghiera con le famiglie promossa
dalla CEI in vista dell’apertura della XIV
Assemblea generale ordinaria del Sinodo
dei vescovi. Il giorno seguente, domenica 4
ottobre, nella Basilica vaticana, il papa ha
presieduto la celebrazione eucaristica con la
quale ha aperto ufficialmente il Sinodo, dedicato al tema: «La vocazione e la missione
della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo». La Chiesa, ha detto nella sua
omelia facendo eco alle parole di Giovanni
XXIII in apertura del Concilio, «è chiamata
a vivere la sua missione nella carità che non
punta il dito per giudicare gli altri, ma – fedele alla sua natura di madre – si sente in
dovere di cercare e curare le coppie ferite con
l’olio dell’accoglienza e della misericordia».
Stampa (5.10.2015) da sito web www.vatican.va.
Documenti
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Unire giustizia
e compassione
Nella veglia di preghiera con le famiglie
Care famiglie, buonasera!
A che giova accendere una piccola candela nel
buio che ci circonda? Non sarebbe ben altro ciò di
cui c’è bisogno per diradare l’oscurità? Ma si possono vincere le tenebre?
In certe stagioni della vita – questa vita pur carica di risorse stupende – simili interrogativi si impongono con forza. Di fronte alle esigenze dell’esistenza, la tentazione porta a tirarsi indietro, a disertare
e a chiudersi, magari in nome della prudenza e del
realismo, fuggendo così la responsabilità di fare fino
in fondo la propria parte.
7 CEI: a un mese da Firenze
Comunicato finale della sessione autunnale del Consiglio episcopale permanente, che si è svolto a Firenze a un
mese dall’apertura del Convegno ecclesiale nazionale.
12 Omosessuali, uno sguardo nuovo?
L’intervento del prof. Autiero, emerito di teologia morale
a Münster, a una conferenza all’Università di Lubiana su
Omosessualità ed etica cristiana. Un clima che cambia?
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Anno LX - N. 1218 - 9 ottobre 2015
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Ricordate l’esperienza di Elia? Il calcolo umano
suscita nel profeta la paura che lo spinge a cercare
rifugio. Paura. «Elia, impaurito, si alzò e se ne andò
per salvarsi (...). Camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb. Là entrò in
una caverna per passarvi la notte, quand’ecco gli fu
rivolta la parola del Signore in questi termini: “Che
cosa fai qui, Elia?”» (1Re 19,3.8-9). Poi, sull’Oreb,
troverà risposta non nel vento impetuoso che scuote
le rocce, non nel terremoto e nemmeno nel fuoco. La
grazia di Dio non alza la voce; è un mormorio, che
raggiunge quanti sono disposti ad ascoltarne la brezza leggera – quel filo di silenzio sonoro –, li esorta a
uscire, a tornare nel mondo, testimoni dell’amore di
Dio per l’uomo, perché il mondo creda...
Con questo respiro, proprio un anno fa, in questa stessa Piazza, abbiamo invocato lo Spirito Santo, chiedendo che – nel mettere a tema la famiglia
– i padri sinodali sapessero ascoltare e confrontarsi
mantenendo fisso lo sguardo su Gesù, Parola ultima
del Padre e criterio di interpretazione di tutto.
Questa sera non può essere un’altra la nostra preghiera. Perché, come ricordava il metropolita Ignazio
IV Hazim, senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, la Chiesa diventa una semplice organizzazione, l’autorità si trasforma in dominio,
la missione in propaganda, il culto in evocazione, l’agire dei cristiani in una morale da schiavi (cf. Discorso
alla Conferenza ecumenica di Uppsala, 1968).
Preghiamo, dunque, perché il Sinodo che domani
si apre sappia ricondurre a un’immagine compiuta di
uomo l’esperienza coniugale e familiare; riconosca,
valorizzi e proponga quanto in essa c’è di bello, di
buono e di santo; abbracci le situazioni di vulnerabilità, che la mettono alla prova: la povertà, la guerra, la
malattia, il lutto, le relazioni ferite e sfilacciate da cui
sgorgano disagi, risentimenti e rotture; ricordi a queste famiglie, come a tutte le famiglie, che il Vangelo
rimane «buona notizia» da cui sempre ripartire. Dal
tesoro della viva tradizione i padri sappiano attingere
parole di consolazione e orientamenti di speranza per
famiglie chiamate in questo tempo a costruire il futuro
della comunità ecclesiale e della città dell’uomo.
La spiritualità di Nazaret
Ogni famiglia, infatti, è sempre una luce, per
quanto fioca, nel buio del mondo. La stessa vicenda di Gesù tra gli uomini prende forma nel grembo
di una famiglia, all’interno della quale rimarrà per
trent’anni. Una famiglia come tante, la sua, collocata
in uno sperduto villaggio della periferia dell’impero.
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Charles de Foucauld, forse come pochi altri, ha
intuito la portata della spiritualità che emana da
Nazaret. Questo grande esploratore abbandonò in
fretta la carriera militare, affascinato dal mistero della santa famiglia, del rapporto quotidiano di Gesù
con i genitori e i vicini, del lavoro silenzioso, della
preghiera umile. Guardando alla famiglia di Nazaret, fratel Charles avvertì la sterilità della brama di
ricchezza e di potere; con l’apostolato della bontà
si fece tutto a tutti; lui, attratto dalla vita eremitica,
capì che non si cresce nell’amore di Dio evitando la
servitù delle relazioni umane. Perché è amando gli
altri che si impara ad amare Dio; è curvandosi sul
prossimo che ci si eleva a Dio. Attraverso la vicinanza fraterna e solidale ai più poveri e abbandonati,
egli comprese che alla fine sono proprio loro a evangelizzare noi, aiutandoci a crescere in umanità.
Per comprendere oggi la famiglia, entriamo anche
noi – come Charles de Foucauld – nel mistero della
famiglia di Nazaret, nella sua vita nascosta, feriale e
comune, com’è quella della maggior parte delle nostre famiglie, con le loro pene e le loro semplici gioie;
vita intessuta di serena pazienza nelle contrarietà, di
rispetto per la condizione di ciascuno, di quell’umiltà
che libera e fiorisce nel servizio; vita di fraternità, che
sgorga dal sentirsi parte di un unico corpo.
È luogo – la famiglia – di santità evangelica, realizzata nelle condizioni più ordinarie. Vi si respira la
memoria delle generazioni e si affondano radici che
permettono di andare lontano. È luogo del discernimento, dove ci si educa a riconoscere il disegno di
Dio sulla propria vita e ad abbracciarlo con fiducia.
È luogo di gratuità, di presenza discreta, fraterna e
solidale, che insegna a uscire da sé stessi per accogliere l’altro, per perdonare e sentirsi perdonati.
Rigenerata nel cuore del Padre
Ripartiamo da Nazaret per un Sinodo che, più
che parlare di famiglia, sappia mettersi alla sua
scuola, nella disponibilità a riconoscerne sempre la
dignità, la consistenza e il valore, nonostante le tante fatiche e contraddizioni che possono segnarla.
Nella «Galilea delle genti» del nostro tempo ritroveremo lo spessore di una Chiesa che è madre,
capace di generare alla vita e attenta a dare continuamente la vita, ad accompagnare con dedizione,
tenerezza e forza morale. Perché se non sappiamo
unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti.
Una Chiesa che è famiglia sa porsi con la prossimità e l’amore di un padre, che vive la responsa-
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bilità del custode, che protegge senza sostituirsi, che
corregge senza umiliare, che educa con l’esempio e
la pazienza. A volte, semplicemente con il silenzio di
un’attesa orante e aperta.
E soprattutto, una Chiesa di figli che si riconoscono
fratelli non arriva mai a considerare qualcuno soltanto
come un peso, un problema, un costo, una preoccupazione o un rischio: l’altro è essenzialmente un dono,
che rimane tale anche quando percorre strade diverse.
È casa aperta, la Chiesa, lontana da grandezze esteriori, accogliente nello stile sobrio dei suoi membri e,
proprio per questo, accessibile alla speranza di pace
che c’è dentro ogni uomo, compresi quanti – provati
dalla vita – hanno il cuore ferito e sofferente.
Questa Chiesa può rischiarare davvero la notte
dell’uomo, additargli con credibilità la meta e condividerne i passi, proprio perché lei per prima vive
l’esperienza di essere incessantemente rigenerata
nel cuore misericordioso del Padre.
Piazza San Pietro, 3 ottobre 2015.
Francesco
Per una Chiesa
fedele alla missione
Omelia nella messa di apertura del Sinodo
«Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi
e l’amore di lui è perfetto in noi» (1Gv 4,12). Le letture bibliche di questa domenica sembrano scelte appositamente per l’evento di grazia che la Chiesa sta
vivendo, ossia L’Assemblea ordinaria del Sinodo dei
vescovi sul tema della famiglia, che con questa celebrazione eucaristica viene inaugurata.
Esse sono incentrate su tre argomenti: il dramma
della solitudine, l’amore tra uomo e donna e la famiglia.
La solitudine
Adamo, come leggiamo nella prima lettura, viveva nel Paradiso, imponeva i nomi alle altre creature
esercitando un dominio che dimostra la sua indiscutibile e incomparabile superiorità, ma nonostante ciò
si sentiva solo, perché «non trovò un aiuto che gli corrispondesse» (Gen 2,20) e sperimentò la solitudine.
La solitudine, il dramma che ancora oggi affligge
tanti uomini e donne. Penso agli anziani abbandoIl Regno -
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nati perfino dai loro cari e dai propri figli; ai vedovi
e alle vedove; ai tanti uomini e donne lasciati dalla
propria moglie e dal proprio marito; a tante persone
che di fatto si sentono sole, non capite e non ascoltate; ai migranti e ai profughi che scappano da guerre
e persecuzioni; e ai tanti giovani vittime della cultura del consumismo, dell’usa e getta e della cultura
dello scarto.
Oggi si vive il paradosso di un mondo globalizzato dove vediamo tante abitazioni lussuose e grattacieli, ma sempre meno il calore della casa e della
famiglia; tanti progetti ambiziosi, ma poco tempo
per vivere ciò che è stato realizzato; tanti mezzi sofisticati di divertimento, ma sempre di più un vuoto
profondo nel cuore; tanti piaceri, ma poco amore;
tanta libertà, ma poca autonomia... Sono sempre in
aumento le persone che si sentono sole; ma anche
quelle che si chiudono nell’egoismo, nella malinconia, nella violenza distruttiva e nello schiavismo del
piacere e del dio denaro.
Oggi viviamo, in un certo senso, la stessa esperienza di Adamo: tanta potenza accompagnata da
tanta solitudine e vulnerabilità; e la famiglia ne è
l’icona. Sempre meno serietà nel portare avanti un
rapporto solido e fecondo di amore: nella salute e
nella malattia; nella ricchezza e nella povertà; nella
buona e nella cattiva sorte. L’amore duraturo, fedele, coscienzioso, stabile, fertile è sempre più deriso
e guardato come se fosse roba dell’antichità. Sembrerebbe che le società più avanzate siano proprio
quelle che hanno la percentuale più bassa di natalità
e la percentuale più alta di aborto, di divorzio, di
suicidi e di inquinamento ambientale e sociale.
L’amore tra uomo e donna
Leggiamo ancora nella prima lettura che il cuore di Dio rimase come addolorato nel vedere la solitudine di Adamo e disse: «Non è bene che l’uomo
sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda»
(Gen 2,18). Queste parole dimostrano che nulla
rende felice il cuore dell’uomo come un cuore che
gli assomiglia, che gli corrisponde, che lo ama e che
lo toglie dalla solitudine e dal sentirsi solo. Dimostrano anche che Dio non ha creato l’essere umano
per vivere in tristezza o per stare solo, ma per la
felicità, per condividere il suo cammino con un’altra persona che gli sia complementare; per vivere
la stupenda esperienza dell’amore: cioè amare ed
essere amato; e per vedere il suo amore fecondo nei
figli, come dice il salmo che è stato proclamato oggi
(cf. Sal 128).
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Non compromessi, ma apertura allo Spirito
L
unedì 5 ottobre è iniziata, nell’Aula del Sinodo
in Vaticano, la prima Congregazione generale
della XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo
dei vescovi, sul tema: «La vocazione e la missione
della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo» (4-25.10.2015). In apertura dei lavori, papa
Francesco ha rivolto ai presenti le parole di saluto
che pubblichiamo (www.vatican.va).
Cari beatitudini, eminenze, eccellenze,
fratelli e sorelle,
la Chiesa riprende oggi il dialogo iniziato con la
convocazione del Sinodo straordinario sulla famiglia –
e certamente anche molto prima – per valutare e riflettere insieme sul testo dell’Instrumentum laboris, elaborato a partire dalla Relatio Synodi e dalle risposte delle
conferenze episcopali e degli organismi aventi diritto.
Il Sinodo, come sappiamo, è un camminare insieme
con spirito di collegialità e di sinodalità, adottando
coraggiosamente la parresia, lo zelo pastorale e dottrinale, la saggezza, la franchezza, e mettendo sempre davanti ai nostri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e
la suprema lex, la salus animarum (cf. CIC can. 1752).
Vorrei ricordare che il Sinodo non è un convegno
o un «parlatorio», non è un parlamento o un senato,
dove ci si mette d’accordo. Il Sinodo, invece, è un’espressione ecclesiale, cioè è la Chiesa che cammina
insieme per leggere la realtà con gli occhi della fede
e con il cuore di Dio; è la Chiesa che si interroga sulla
sua fedeltà al deposito della fede, che per essa non
rappresenta un museo da guardare e nemmeno solo
da salvaguardare, ma è una fonte viva alla quale la
Chiesa si disseta per dissetare e illuminare il deposito
della vita.
Il Sinodo si muove necessariamente nel seno della
Chiesa e dentro il santo popolo di Dio di cui noi facciamo parte in qualità di pastori, ossia servitori.
Il Sinodo inoltre è uno spazio protetto ove la Chiesa
sperimenta l’azione dello Spirito Santo. Nel Sinodo lo
Spirito parla attraverso la lingua di tutte le persone che
si lasciano guidare dal Dio che sorprende sempre, dal
Dio che rivela ai piccoli ciò che nasconde ai sapienti
e agli intelligenti, dal Dio che ha creato la legge e il
sabato per l’uomo e non viceversa, dal Dio che lascia
le novantanove pecorelle per cercare l’unica pecorella
smarrita, dal Dio che è sempre più grande delle nostre
logiche e dei nostri calcoli.
Coraggio, umiltà, orazione
Ricordiamo però che il Sinodo potrà essere uno spazio dell’azione dello Spirito Santo solo se noi partecipanti
ci rivestiamo di coraggio apostolico, umiltà evangelica e
orazione fiduciosa.
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Il coraggio apostolico che non si lascia impaurire né
di fronte alle seduzioni del mondo, che tendono a spegnere nel cuore degli uomini la luce della verità sostituendola con piccole e temporanee luci, e nemmeno
di fronte all’impietrimento di alcuni cuori che – nonostante le buone intenzioni – allontanano le persone da
Dio. «Il coraggio apostolico di portare vita e non fare
della nostra vita cristiana un museo di ricordi» (Omelia
a Santa Marta, 28.4.2015).
L’umiltà evangelica che sa svuotarsi dalle proprie
convenzioni e pregiudizi per ascoltare i fratelli vescovi e riempirsi di Dio. Umiltà che porta a non puntare il dito contro gli altri per giudicarli, ma a tendere
loro la mano per rialzarli senza mai sentirsi superiori
ad essi.
L’orazione fiduciosa è l’azione del cuore quando si
apre a Dio, quando si fanno tacere tutti i nostri umori
per ascoltare la soave voce di Dio che parla nel silenzio.
Senza ascoltare Dio tutte le nostre parole saranno soltanto «parole» che non saziano e non servono. Senza
lasciarci guidare dallo Spirito tutte le nostre decisioni
saranno soltanto delle «decorazioni» che invece di
esaltare il Vangelo lo ricoprono e lo nascondono.
Cari fratelli, come ho detto, il Sinodo non è un
parlamento, dove per raggiungere un consenso o un
accordo comune si occorre al negoziato, al patteggiamento o ai compromessi, ma l’unico metodo del
Sinodo è quello di aprirsi allo Spirito Santo, con coraggio apostolico, con umiltà evangelica e con orazione
fiduciosa; affinché sia lui a guidarci, a illuminarci e a
farci mettere davanti agli occhi non i nostri pareri personali, ma la fede in Dio, la fedeltà al magistero, il bene
della Chiesa e la salus animarum.
Infine, vorrei ringraziare di cuore sua eminenza il
cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del
Sinodo, sua eccellenza mons. Fabio Fabene, sottosegretario; il relatore sua eminenza il cardinale Péter
Erdő e il segretario speciale sua eccellenza mons.
Bruno Forte, i presidenti delegati, gli scrittori, i consultori, i traduttori e tutti coloro che hanno lavorato
con vera fedeltà e totale dedizione alla Chiesa: grazie
di cuore! Ringrazio ugualmente tutti voi, cari padri sinodali, delegati fraterni, uditori, uditrici e assessori per
la vostra partecipazione attiva e fruttuosa. Uno speciale ringraziamento voglio indirizzare ai giornalisti
presenti in questo momento e a quelli che ci seguono
da lontano. Grazie per la vostra appassionata partecipazione e per la vostra ammirevole attenzione.
Iniziamo il nostro cammino, invocando l’aiuto
dello Spirito Santo e l’intercessione della santa famiglia: Gesù, Maria e san Giuseppe! Grazie!
Aula nuova del Sinodo, 5 ottobre 2015.
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Ecco il sogno di Dio per la sua creatura diletta:
vederla realizzata nell’unione di amore tra uomo e
donna; felice nel cammino comune, feconda nella
donazione reciproca. È lo stesso disegno che Gesù
nel Vangelo di oggi riassume con queste parole:
«Dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e
femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua
madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno
una carne sola. Così non sono più due, ma una sola
carne» (Mc 10,6-8; cf. Gen 1,27; 2,24).
Gesù, di fronte alla domanda retorica che gli è
stata fatta – probabilmente come un tranello, per
farlo diventare all’improvviso antipatico alla folla
che lo seguiva e che praticava il divorzio come realtà consolidata e intangibile –, risponde in maniera
schietta e inaspettata: riporta tutto all’origine, all’origine della creazione, per insegnarci che Dio benedice l’amore umano, è lui che unisce i cuori di un
uomo e una donna che si amano e li unisce nell’unità e nell’indissolubilità. Ciò significa che l’obiettivo
della vita coniugale non è solamente vivere insieme
per sempre, ma amarsi per sempre! Gesù ristabilisce
così l’ordine originario e originante.
La famiglia
«Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha
congiunto» (Mc 10,9). È un’esortazione ai credenti
a superare ogni forma di individualismo e di legalismo, che nascondono un gretto egoismo e una paura di aderire all’autentico significato della coppia e
della sessualità umana nel progetto di Dio.
Infatti, solo alla luce della follia della gratuità
dell’amore pasquale di Gesù apparirà comprensibile la follia della gratuità di un amore coniugale
unico e usque ad mortem.
Per Dio il matrimonio non è utopia adolescenziale, ma un sogno senza il quale la sua creatura sarà
destinata alla solitudine! Infatti la paura di aderire a
questo progetto paralizza il cuore umano. Paradossalmente anche l’uomo di oggi – che spesso ridicolizza questo disegno – rimane attirato e affascinato
da ogni amore autentico, da ogni amore solido, da
ogni amore fecondo, da ogni amore fedele e perpetuo. Lo vediamo andare dietro agli amori temporanei ma sogna l’amore autentico; corre dietro ai
piaceri carnali ma desidera la donazione totale.
Infatti, «ora che abbiamo pienamente assaporato le promesse della libertà illimitata, cominciamo
a capire di nuovo l’espressione “tristezza di questo
mondo”. I piaceri proibiti hanno perso la loro attrattiva appena han cessato di essere proibiti. Anche
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se vengono spinti all’estremo e vengono rinnovati
all’infinito, risultano insipidi perché sono cose finite, e noi, invece, abbiamo sete di infinito» (J. Ratzinger, Auf Christus schauen. Einübung in Glaube,
Hoffnung, Liebe, Freiburg 1989, 73).
In questo contesto sociale e matrimoniale assai
difficile, la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione nella fedeltà, nella verità e nella carità. Vivere
la sua missione nella fedeltà al suo Maestro come
voce che grida nel deserto, per difendere l’amore
fedele e incoraggiare le numerosissime famiglie che
vivono il loro matrimonio come uno spazio in cui si
manifesta l’amore divino; per difendere la sacralità
della vita, di ogni vita; per difendere l’unità e l’indissolubilità del vincolo coniugale come segno della
grazia di Dio e della capacità dell’uomo di amare
seriamente.
La Chiesa è chiamata a vivere la sua missione
nella verità che non si muta secondo le mode passeggere o le opinioni dominanti. La verità che protegge l’uomo e l’umanità dalle tentazioni dell’autoreferenzialità e dal trasformare l’amore fecondo in
egoismo sterile, l’unione fedele in legami temporanei. «Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire
arbitrariamente. È il fatale rischio dell’amore in una
cultura senza verità» (Benedetto XVI, lett. enc. Caritas in veritate, n. 3; EV 26/683).
Non puntando il dito...
E la Chiesa è chiamata a vivere la sua missione nella carità che non punta il dito per giudicare
gli altri, ma – fedele alla sua natura di madre – si
sente in dovere di cercare e curare le coppie ferite
con l’olio dell’accoglienza e della misericordia; di
essere «ospedale da campo», con le porte aperte
ad accogliere chiunque bussa chiedendo aiuto e
sostegno; di più, di uscire dal proprio recinto verso
gli altri con amore vero, per camminare con l’umanità ferita, per includerla e condurla alla sorgente di salvezza.
Una Chiesa che insegna e difende i valori fondamentali, senza dimenticare che «il sabato è stato
fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc
2,27); e che Gesù ha detto anche: «Non sono i sani
che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non
sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori»
(Mc 2,17). Una Chiesa che educa all’amore autentico, capace di togliere dalla solitudine, senza
dimenticare la sua missione di buon samaritano
dell’umanità ferita.
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Erdő: sui divorziati e risposati civilmente
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ella sua relazione introduttiva ai lavori, lo
scorso lunedì 5 ottobre, il card. Péter Erdő –
relatore generale della XIV Assemblea generale
ordinaria – ha dedicato un passaggio alla questione dei divorziati risposati, uno dei temi sui
quali sono riposte forti attenzioni e attese. Riportiamo di seguito il passaggio (www.vatican.va).
«Riguardo ai divorziati e risposati civilmente è
doveroso un accompagnamento pastorale misericordioso il quale però non lascia dubbi circa la verità dell’indissolubilità del matrimonio insegnata
da Gesù Cristo stesso. La misericordia di Dio offre al
peccatore il perdono, ma richiede la conversione. Il
peccato di cui può trattarsi in questo caso non è soprattutto il comportamento che può aver provocato
il divorzio nel primo matrimonio. Riguardo a quel
fatto è possibile che nel fallimento le parti non siano
state ugualmente colpevoli, anche se molto spesso
entrambe sono in una certa misura responsabili.
Non è quindi il naufragio del primo matrimonio, ma
la convivenza nel secondo rapporto che impedisce
l’accesso all’eucaristia. (...) Ciò che impedisce alcuni
aspetti della piena integrazione non consiste in un
divieto arbitrario, ma è un’esigenza intrinseca richiesta in varie situazioni e rapporti, nel contesto della
testimonianza ecclesiale. Tutto questo richiede, però,
un’approfondita riflessione.
Per quanto riguarda la così detta via penitenziale,
questa espressione si usa in modi diversi (cf. Instrumentum laboris, nn. 122-123). Detti modi necessitano
di essere approfonditi e precisati. Questo può essere
compreso nel senso della Familiaris consortio di san
Giovanni Paolo II (cf. n. 84) e riferirsi a quanti divorziati e risposati, per necessità dei figli o propria non
interrompono la vita comune, ma che possono praticare in forza della grazia la continenza vivendo la
loro relazione di aiuto reciproco e di amicizia. Questi
Ricordo san Giovanni Paolo II quando diceva:
«L’errore e il male devono essere sempre condannati e combattuti; ma l’uomo che cade o che sbaglia
deve essere compreso e amato (...). Noi dobbiamo
amare il nostro tempo e aiutare l’uomo del nostro tempo» (Discorso all’Azione cattolica italiana,
30.12.1978; in Insegnamenti I [1978], 450). E la
Chiesa deve cercarlo, accoglierlo e accompagnarlo,
perché una Chiesa con le porte chiuse tradisce se
stessa e la sua missione, e invece di essere un ponte
diventa una barriera: «Infatti, colui che santifica e
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fedeli potranno accedere anche ai sacramenti della
penitenza e dell’eucaristia evitando però di provocare scandalo (...). Tale possibilità è lontana da essere
fisicista e non riduce il matrimonio all’esercizio della
sessualità, ma riconoscendone la natura e la finalità,
l’applica coerentemente nella vita della persona
umana. (...)
L’integrazione dei divorziati risposati nella vita
della comunità ecclesiale può realizzarsi in varie
forme, diverse dall’ammissione all’eucaristia, come
suggerisce già Familiaris consortio, n. 84. (...)
Alla ricerca di soluzioni pastorali per le difficoltà
di certi divorziati risposati civilmente, va tenuto
presente che la fedeltà all’indissolubilità del matrimonio non può essere coniugata al riconoscimento
pratico della bontà di situazioni concrete che vi sono
opposte e quindi inconciliabili. Tra il vero e il falso,
tra il bene e il male, infatti, non c’è una gradualità,
anche se alcune forme di convivenza portano in sé
certi aspetti positivi, questo non implica che possano essere presentati come beni. Si distingue però
la verità oggettiva del bene morale e la responsabilità soggettiva delle singole persone. Ci può essere
differenza tra il disordine, ossia il peccato oggettivo,
e il peccato concreto che si realizza in un comportamento determinato che implica anche, ma non soltanto, l’elemento soggettivo. “L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o
annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati
e da altri fattori psichici oppure sociali” (CCC 1735).
Questo significa che nella verità oggettiva del bene e
del male non si dà gradualità (gradualità della legge),
mentre a livello soggettivo può avere luogo la legge
della gradualità ed è possibile quindi l’educazione
della coscienza e dello stesso senso di responsabilità.
L’atto umano, infatti, è buono quando lo è sotto ogni
aspetto (ex integra causa)».
coloro che sono santificati provengono tutti da una
stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli» (Eb 2,11).
Con questo spirito chiediamo al Signore di accompagnarci nel Sinodo e di guidare la sua Chiesa
per l’intercessione della beata vergine Maria e di san
Giuseppe, suo castissimo sposo.
Basilica di San Pietro, 4 ottobre 2015.
Francesco
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C
hiesa in Italia |
conferenza episcopale
A un mese
da Firenze
I
Comunicato finale del Consiglio permanente
della CEI (Firenze, 30.9-2.10.2015)
È stato il magistero di papa Francesco «la
trama di fondo su cui si sono appuntati i
diversi argomenti affrontati nella sessione
autunnale del Consiglio episcopale permanente» (Firenze, 30.9-2.10.2015): dai «contenuti della prolusione alle modalità da offrire
alle diocesi italiane circa l’accoglienza dei
profughi» alla prospettiva con cui si intende
celebrare l’imminente Convegno ecclesiale
nazionale di Firenze (9-13.11.2015), città che
non a caso è stata scelta come sede dell’incontro. Alla vigilia del Sinodo «il consiglio
permanente ha espresso convinta vicinanza
alle famiglie, a partire dalla condivisione
della loro non facile opera educativa», tema
su cui si è soffermato in particolare il card.
Bagnasco nella sua prolusione. Uno spazio
rilevante dei lavori assembleari è stato occupato dalla proposta di un percorso per le diocesi in vista dell’Assemblea generale di maggio, che sarà dedicata al tema: «La vita e la
formazione permanente dei presbiteri»; e al
rinnovo delle dodici commissioni episcopali.
Tra le comunicazioni, la preparazione al
Congresso eucaristico nazionale di Genova
(settembre 2016) e le indicazioni della Congregazione dei vescovi «sulla formulazione,
a livello di conferenze episcopali regionali, di
un progetto di riordino delle diocesi».
Stampa (5.10.2015) da sito web www.chiesacattolica.it.
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l Magistero del Santo Padre – nella sua ricchezza di parola, gesti e incontri – ha costituito la
trama di fondo su cui si sono appuntati i diversi argomenti affrontati nella sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente: dai
contenuti della prolusione alle modalità da offrire alle
diocesi italiane circa l’accoglienza dei profughi e alla
stessa prospettiva con cui si intende celebrare il Convegno Ecclesiale Nazionale di metà decennio (9-13
novembre 2015).
Un clima di franca fraternità e di reciproca stima ha
caratterizzato le giornate (30 settembre-2 ottobre 2015),
volute a Firenze non solo come opportunità per accostare
la sede del Convegno, ma anche quale segnale e invito
alle Chiese locali a prepararsi all’evento con un supplemento di disponibilità e d’impegno.
Riunito alla vigilia della XIV Assemblea Generale
Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (4-25 ottobre 2015)
e della preghiera con il Papa – promossa per il 3 ottobre dalla CEI – il Consiglio Permanente ha espresso
convinta vicinanza alle famiglie, a partire dalla condivisione della loro non facile opera educativa. Al riguardo, la stessa prolusione con cui il Cardinale Presidente, Angelo Bagnasco, ha aperto i lavori riprende
e valorizza i contenuti del recente viaggio di Papa
Francesco a Cuba e negli Stati Uniti; in particolare,
rivolge ai responsabili della cosa pubblica l’appello a
compiere ogni sforzo per consentire a tutti l’accesso alle
condizioni essenziali – materiali e spirituali – per formare e mantenere una famiglia.
I Vescovi si sono concentrati, quindi, sul percorso proposto a livello diocesano in vista dell’Assemblea
Generale del maggio 2016, dedicata ad approfondire
«La vita e la formazione permanente dei presbiteri».
Il rinnovo delle dodici Commissioni Episcopali è
stato l’occasione per un confronto sulle loro modalità
operative, sul loro rapporto con gli Uffici della CEI e
sulla loro funzione in ordine alla comunione dell’Episcopato italiano. Il Consiglio Permanente ha, inoltre,
approvato il Messaggio per la Giornata nazionale per
la Vita e ha provveduto ad alcune nomine, fra cui
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hiesa in Italia
quelle dei membri del Consiglio per gli affari giuridici.
Distinte comunicazioni hanno riguardato: le indicazioni della Congregazione dei Vescovi sulla formulazione, a livello di Conferenze Episcopali Regionali, di
un progetto di riordino delle diocesi; alcuni aggiornamenti giuridici su temi sociali ed etici; la preparazione
al XXVI Congresso Eucaristico Nazionale (Genova,
15-18 settembre 2016). Sono stati, infine, raccolti pareri sulla bozza di documento della Congregazione per
la dottrina della fede circa la cremazione dei defunti
e sull’erezione di un Esarcato apostolico per i fedeli
ucraini di rito bizantino residenti in Italia.
Strade da percorrere,
obiettivi da perseguire
A poco più di un mese dall’evento, il Consiglio
Permanente ha fatto il punto sul Convegno Ecclesiale Nazionale e – più in generale – sui primi cinque
anni del decennio, che la Chiesa italiana ha dedicato
alla responsabilità educativa. Centrale per i Vescovi
rimane la questione antropologica, minacciata da
una cultura del relativismo che svuota ogni proposta: l’individuo che si concepisce «autonomo» dalla
realtà, si priva di fatto dell’apertura alla trascendenza e di relazioni autentiche con il prossimo e, più in
generale, con la vita sociale e con il creato; rincorrendo semplicemente se stesso, finisce per mancare
l’appuntamento con ciò che qualifica il suo essere
persona. Emblematico di tale cultura è lo stesso tentativo di applicare la «teoria del gender», secondo
un progetto che pretende di cancellare la differenza
sessuale. Di qui la rinnovata volontà dell’Episcopato
italiano a mantenersi nel solco della missione educativa, puntando nel prossimo quinquennio a intensificare alleanze collaborative con la società civile e
le sue Istituzioni, a partire dalla scuola. La proposta
del Convegno – riscoprire in Gesù Cristo la possibilità di un umanesimo vero e pieno – intende, quindi, concretizzarsi in strade da percorrere e obiettivi
da perseguire, per un’educazione integrale che torni
a dare contenuto a parole come persona e libertà,
amore e famiglia, sessualità e generazione. Ne sono
parte esperienze e opere di carità, espressione di una
comunità che educa con il servizio.
In risposta all’appello del Santo Padre
Il riconoscimento degli altri come condizione
per realizzare se stessi porta a sentirsene responsabili, specie quando hanno il volto del debole e del
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bisognoso. Di qui l’attenzione che il Consiglio Permanente ha dedicato all’individuazione delle forme
migliori con cui promuovere una risposta effettiva
ed efficace all’appello del Santo Padre circa l’accoglienza di una famiglia di immigrati in ogni parrocchia, comunità religiosa, santuario o monastero.
Una prima ricognizione, compiuta nelle Conferenze Episcopali Regionali, documenta come
la Chiesa italiana sia in prima fila in tale servizio,
con oltre 22 mila migranti ospitati in circa 1600
strutture di diocesi, parrocchie, comunità religiose e famiglie. Forti di questa esperienza, maturata
nel rapporto con le Istituzioni civili, per ampliare
la rete ecclesiale dell’accoglienza i Vescovi hanno
approntato una bozza di Vademecum con cui accompagnare le diocesi e le parrocchie: vengono
indicate forme, luoghi e destinatari, nonché aspetti
amministrativi, gestionali, fiscali e assicurativi. Di
tale percorso è parte anche la fase di preparazione
all’accoglienza, quindi l’informazione – che consente di conoscere chi arriva e le cause dell’immigrazione forzata – e la formazione, volta a preparare chi accoglie (comunità, associazioni, famiglie
e realtà del territorio).
Il Vademecum, integrato dalle osservazioni dei
membri del Consiglio Permanente, sarà inviato a
breve a tutti i Vescovi.
Presbiteri, due fuochi per una riforma
La vita spirituale dei presbiteri e il carico burocratico-amministrativo che spesso grava sulle loro
spalle sono i due «fuochi» su cui si è concentrata
l’attenzione dei Vescovi, che al tema intendono dedicare l’Assemblea Generale del 2016. Pur nella
consapevolezza di non poter giungere a un’unica soluzione che possa dare risposta alle molteplici sfide
in campo – e che richiedono, essenzialmente, santità
di vita e letizia nel servizio pastorale – i Pastori sono
decisi ad avviare processi di riforma che aiutino il
sacerdote a un esercizio del ministero all’insegna di
una convinta adesione al presbiterio, vissuta nella
fraternità, con stile sinodale e missionario. Ne sono
condizioni tanto una vita interiore custodita dalla
preghiera e alimentata dalla parola di Dio, quanto
una formazione permanente dipanata secondo iniziative pianificate, qualificate e diversificate.
Parte da qui anche la possibilità di favorire l’introduzione di un diverso e più sostenibile modello
organizzativo e amministrativo delle parrocchie,
ispirato a più livelli a una maggiore corresponsabilità progettuale dei laici.
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hiesa in Italia
Nomine
Nel corso dei lavori, il Consiglio Episcopale Permanente ha provveduto alla nomina dei membri
delle Commissioni Episcopali, i cui Presidenti erano
stati eletti nel corso dell’Assemblea Generale tenuta
nel maggio 2015. Di ciascuna Commissione Episcopale fa parte un Vescovo emerito, indicato dalla
Presidenza.
Le Commissioni Episcopali per il quinquennio
2015-2020 risultano così composte:
Commissione Episcopale
per la dottrina della fede,
l’annuncio e la catechesi
S.E. Mons. Luciano Monari (Brescia), Presidente; S.E. Mons. Mansueto Bianchi (Assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica Italiana);
S.E. Mons. Renato Boccardo (Spoleto-Norcia); S.E.
Mons. Giuseppe Cavallotto (Cuneo e Fossano); S.E.
Mons. Carlo Ghidelli (em. Lanciano-Ortona); S.E.
Mons. Carlo Mazza (Fidenza); S.E. Mons. Mauro
Maria Morfino (Alghero-Bosa); S.E. Mons. Luigi Negri (Ferrara-Comacchio); S.E. Mons. Orazio
Francesco Piazza (Sessa Aurunca); S.E. Mons. Ignazio Sanna (Oristano).
Commissione Episcopale per la liturgia
S.E. Mons. Claudio Maniago (Castellaneta), Presidente; S.E. Mons. Adriano Caprioli (em. Reggio
Emilia-Guastalla); S.E. Mons. Paolo Martinelli (aus.
Milano); Dom Mauro Meacci, osb (Subiaco); Dom
Donato Ogliari, osb (Montecassino); S.E. Mons. Salvatore Pappalardo (Siracusa); S.E. Mons. Domenico
Sorrentino (Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino);
S.E. Mons. Vittorio Francesco Viola (Tortona).
Commissione Episcopale
per il servizio della carità e la salute
S.Em. Card. Francesco Montenegro (Agrigento),
Presidente; S.E. Mons. Antonio Di Donna (Acerra);
S.E. Mons. Domenico Mogavero (Mazara del Vallo);
S.E. Mons. Salvatore Nunnari (em. Cosenza-Bisignano); S.E. Mons. Vincenzo Carmine Orofino (Tricarico); S.E. Mons. Corrado Pizziolo (Vittorio Veneto);
S.E. Mons. Carlo Roberto Maria Redaelli (Gorizia);
S.E. Mons. Benedetto Tuzia (Orvieto-Todi).
Commissione Episcopale
per il clero e la vita consacrata
S.E. Mons. Gualtiero Sigismondi (Foligno), Presidente; S.E. Mons. Arturo Aiello (Teano-Calvi);
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S.E. Mons. Domenico Cancian (Città di Castello);
S.E. Mons. Oscar Cantoni (Crema); S.E. Mons.
Mario Delpini (aus. Milano); S.E. Mons. Salvatore
Di Cristina (em. Monreale); S.E. Mons. Gianfranco
Agostino Gardin (Treviso); S.E. Mons. Andrea Bruno Mazzocato (Udine).
Commissione Episcopale per il laicato
S.E. Mons. Vito Angiuli (Ugento-Santa Maria di
Leuca), Presidente; S.E. Mons. Fernando Filograna
(Nardò-Gallipoli); S.E. Mons. Gabriele Mana (Biella); S.E. Mons. Francesco Marino (Avellino); S.E.
Mons. Giuseppe Merisi (em. Lodi); S.E. Mons. Beniamino Pizziol (Vicenza); S.E. Mons. Fausto Tardelli (Pistoia); S.E. Mons. Giancarlo Vecerrica (Fabriano-Matelica).
Commissione Episcopale
per la famiglia, i giovani e la vita
S.E. Mons. Pietro Maria Fragnelli (Trapani),
Presidente; S.E. Mons. Nicolò Anselmi (aus. Genova); S.E. Mons. Carlo Bresciani (San Benedetto
del Tronto-Ripatransone-Montalto); S.E. Mons.
Carmelo Cuttitta (aus. Palermo); S.E. Mons. Mario Paciello (em. Altamura-Gravina-Acquaviva delle
Fonti); S.E. Mons. Mauro Parmeggiani (Tivoli); S.E.
Mons. Pietro Santoro (Avezzano); S.E. Mons. Giuseppe Zenti (Verona).
Commissione Episcopale
per l’evangelizzazione dei popoli
e la cooperazione tra le Chiese
S.E. Mons. Francesco Beschi (Bergamo), Presidente; S.E. Mons. Alfonso Badini Confalonieri
(Susa); S.E. Mons. Tommaso Caputo (Pompei);
S.E. Mons. Giuseppe Fiorini Morosini (Reggio Calabria-Bova); S.E. Mons. Gervasio Gestori (em. San
Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto); S.E.
Mons. Giuseppe Pellegrini (Concordia-Pordenone);
S.E. Mons. Giuseppe Satriano (Rossano-Cariati);
S.E. Mons. Gianfranco Todisco (Melfi-Rapolla-Venosa).
Commissione Episcopale
per l’ecumenismo e il dialogo
S.E. Mons. Bruno Forte (Chieti-Vasto), Presidente; S.E. Mons. Rodolfo Cetoloni, ofm (Grosseto);
S.E. Mons. Maurizio Malvestiti (Lodi); S.E. Mons.
Santo Marcianò (Ordinario Militare per l’Italia);
S.E. Mons. Donato Oliverio (Lungro); S.E. Mons.
Ambrogio Spreafico (Frosinone-Veroli-Ferentino);
S.E. Mons. Rocco Talucci (em. Brindisi-Ostuni);
S.E. Mons. Matteo Zuppi (aus. Roma).
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hiesa in Italia
Commissione Episcopale
per l’educazione cattolica,
la scuola e l’università
S.E. Mons. Mariano Crociata (Latina-Terracina-Sezze-Priverno), Presidente; S.E. Mons. Alberto
Maria Careggio (em. Ventimiglia-Sanremo); S.E.
Mons. Pasquale Cascio (Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia); E. Mons. Erio Castellucci (Modena- Nonantola); S.E. Mons. Paolo Giulietti
(aus. Perugia-Città della Pieve); S.E. Mons. Lorenzo Leuzzi (aus. Roma); S.E. Mons. Lorenzo Loppa
(Anagni-Alatri); S.E. Mons. Nazzareno Marconi
(Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia); S.E.
Mons. Alberto Tanasini (Chiavari); S.E. Mons. Pierantonio Tremolada (aus. Milano).
Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il lavoro,
la giustizia e la pace
S.E. Mons. Filippo Santoro (Taranto), Presidente; S.E. Mons. Francesco Alfano (Sorrento-Castellammare di Stabia); S.E. Mons. Vincenzo Apicella
(Velletri-Segni); S.E. Mons. Marco Arnolfo (Vercelli); S.E. Mons. Claudio Cipolla (el. Padova); S.E.
Mons. Giampaolo Crepaldi (Trieste); S.E. Mons.
Maurizio Gervasoni (Vigevano); S.E. Mons. Giovanni Ricchiuti (Altamura-Gravina-Acquaviva delle
Fonti); S.E. Mons. Gastone Simoni (em. Prato); S.E.
Mons. Mario Toso (Faenza-Modigliana).
Commissione Episcopale
per la cultura e le comunicazioni sociali
S.E. Mons. Antonino Raspanti (Acireale), Presidente; S.E. Mons. Roberto Busti (Mantova); S.E.
Mons. Martino Canessa (em. Tortona); S.E. Mons.
Giovanni D’Ercole (Ascoli Piceno); S.E. Mons. Filippo Iannone (Vicegerente Roma); S.E. Mons.
Francesco Milito (Oppido Mamertina-Palmi); S.E.
Mons. Ivo Muser (Bolzano-Bressanone); S.E. Mons.
Giuseppe Petrocchi (L’Aquila); S.E. Mons. Domenico Pompili (Rieti); S.E. Mons. Antonio Staglianò
(Noto).
Commissione Episcopale per le migrazioni
S.E. Mons. Guerino Di Tora (aus. Roma), Presidente; S.E. Mons. Franco Maria Giuseppe Agnesi
(aus. Milano); S.E. Mons. Franco Agostinelli (Prato);
S.E. Mons. Domenico Caliandro (Brindisi-Ostuni); S.E. Mons. Massimo Camisasca (Reggio Emilia-Guastalla); S.E. Mons. Augusto Paolo Lojudice (aus. Roma); S.E. Mons. Alessandro Plotti (em.
Pisa); S.E. Mons. Armando Trasarti (Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola).
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Il Consiglio Episcopale Permanente ha proceduto anche alle seguenti nomine:
– Consiglio per gli affari giuridici: S.E. Mons.
Vincenzo Pisanello (Oria), Presidente; S.E. Mons.
Lorenzo Ghizzoni (Ravenna-Cervia); S.E. Mons.
Franco Lovignana (Aosta); S.E. Mons. Francesco
Oliva (Locri-Gerace), S.E. Mons. Giovanni Tani
(Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado).
– Collegio dei revisori dei conti della Conferenza Episcopale Italiana: S.E. Mons. Ernesto Mandara (Sabina-Poggio Mirteto), Presidente; S.E.
Mons. Adriano Tessarollo (Chioggia); Dott. Lelio
Fornabaio.
– Vescovi membri della Presidenza di Caritas
Italiana: S.E. Mons. Carlo Roberto Maria Redaelli
(Gorizia); S.E. Mons. Vincenzo Carmine Orofino
(Tricarico).
Il Consiglio Permanente ha altresì provveduto
alle seguenti nomine:
– Presidente del Centro di Azione Liturgica (CAL): S.E. Mons. Claudio Maniago (Castellaneta).
– Presidente della Federazione Italiana Esercizi
Spirituali (FIES): S.E. Mons. Giovanni Scanavino
(em. Orvieto-Todi).
– Sottosegretari della Conferenza Episcopale
Italiana: Mons. Giuseppe Baturi (Catania); Don
Ivan Maffeis (Trento).
– Direttore dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università: Dott. Ernesto Diaco
(finora Vice Responsabile del Servizio nazionale per
il Progetto culturale).
– Responsabile del Servizio Nazionale per l’edilizia di culto, ad interim, a far data dal 15 novembre
2015: Don Valerio Pennasso (Alba).
– Assistente ecclesiastico centrale dell’Azione
Cattolica Italiana per il settore adulti: Don Emilio
Centomo (Vicenza).
– Assistente ecclesiastico generale dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI):
Padre Davide Brasca, B.
– Assistente ecclesiastico generale della Branca Esploratori/Guide dell’Associazione Guide e
Scouts Cattolici Italiani (AGESCI): Fr. Adriano Appollonio, ofm.
– Assistente ecclesiastico generale della Branca Lupetti/Coccinelle dell’Associazione Guide e
Scouts Cattolici Italiani (AGESCI): Don Andrea
Della Bianca (Concordia-Pordenone).
– Assistente ecclesiastico generale dell’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici
(AIGSEC): Don Paolo La Terra (Ragusa).
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hiesa in Italia
– Consigliere Spirituale Nazionale dell’Associazione Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS):
Don Guido Pietrogrande, sdb.
– Consulente ecclesiastico nazionale del Centro Sportivo Italiano (CSI): Don Alessio Albertini
(Milano).
Il Consiglio Permanente ha accolto la proposta
– avanzata dalla Presidenza, a seguito della richiesta
pervenuta dal Forum delle Associazioni familiari e
dal Movimento per la Vita – di indicare il dott. Vittorio Sozzi (finora Responsabile del Servizio nazionale per il Progetto culturale e Coordinatore degli
Uffici e dei Servizi pastorali della Segreteria Generale) come referente degli Enti predetti.
Nella riunione del 30 settembre, la Presidenza
della CEI ha provveduto alle seguenti nomine:
– Membro del Comitato per la promozione del
sostegno economico alla Chiesa Cattolica: Don Ivan
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16-07-2015
9:06
Maffeis, Sottosegretario e Direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali.
– Membro del Comitato per la valutazione dei
progetti di intervento a favore dei beni culturali ecclesiastici: Don Luca Franceschini (Massa Carrara-Pontremoli).
La Presidenza provveduto altresì alla seguente
conferma:
– Consigliere Spirituale del Gruppo di ricerca e
informazione socio-religiosa (GRIS): Don Battista
Cadei (Bergamo).
La Presidenza ha infine concesso il benestare
alla nomina di Don Mario Vincoli (Aversa) come
Segretario Nazionale della Pontificia Opera della
Propagazione della Fede e della Pontificia Opera
dell’Infanzia Missionaria.
Firenze, 2 ottobre 2015.
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MARTINO DI BRAGA
20-07-2015
16:22
Pagina 1
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le superstizioni
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di dirsi cristiano?
(De correctione rusticorum)
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Scritti giovanili
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L
e pratiche superstiziose di origine pagana penetrate nel costume dei cristiani
della «campagna» sono il bersaglio della
requisitoria di Martino di Braga, scritta intorno al 573. L’opuscolo ebbe fortuna, anche per il persistere di quelle pratiche superstiziose di cui ancor oggi si segnalano
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tudi e commenti |
teologia morale
Omosessualità:
uno sguardo
nuovo?
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Antonio Autiero
«Omosessualità ed etica cristiana. Un clima che cambia?». È il titolo dell’intervento
che il prof. Antonio Autiero, docente emerito di teologia morale a Münster, ha tenuto il 20 maggio alla conferenza internazionale «View of the Family and Sexuality in
the Catholic Church after the Second Vatican Council», presso la Facoltà di teologia
dell’Università di Lubiana. Il testo prende
le mosse da una tensione che segna il mondo ecclesiale – «quell’intreccio tra volontà di
ripensamento sull’atteggiamento comprensivo verso persone omosessuali e bisogno di
affermazione della dottrina morale» –, e che
il doppio appuntamento sinodale ha riproposto con forza. «Pur mantenendo aperta la
tensione», Autiero riconosce «che un cambiamento di clima è certamente in atto», e
che esso vada «compreso nelle sue intenzioni e approfondito nelle sue implicazioni».
Cinque gli elementi che ridisegnano a suo
dire «l’orizzonte di senso della domanda e
possono fornire elementi determinanti per
uno sguardo nuovo»: la considerazione sociale del fenomeno; il confronto sul tema in
ambito ecumenico; il lavoro della teologia
morale; una mutata comprensione dei rapporti di genere; uno spostamento di enfasi
«da un’etica degli atti singoli alla moralità
della persona in relazione».
Originale digitale in nostro possesso.
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aremmo forse rimasti anche noi sorpresi
a sentire dalle labbra di papa Francesco,
sul volo di ritorno da Rio de Janeiro,
quelle parole che hanno fatto, poi, il giro
del mondo: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per
giudicarla?».
La nostra sorpresa non sarebbe solo legata allo
stile estemporaneo, efficace, autentico del parlare
di papa Bergoglio. E neppure si spiegherebbe con
la forma interrogativa del «chi sono io?», quasi che
con essa venga a destabilizzarsi l’autorevolezza o
l’autorità del magistero papale. Essa si nutre piuttosto della scoperta di segnali importanti che qualcosa, anche all’interno della Chiesa, sta cambiando
nella valutazione etica dell’omosessualità. Le parole
del papa vanno lette sullo sfondo di tutto un processo di ripensamento di questi ultimi tempi, anche in
coincidenza con la fase preparatoria delle due sessioni del Sinodo dei vescovi sulla famiglia.
Particolarmente in alcuni gruppi di omosessuali
cattolici viene svolto un lavoro di riflessione a partire dai Lineamenta del Sinodo,1 cogliendo qualche
segno di speranza, ma anche fattori di inquietudine,
come attesta il recente documento del Bureau National de David & Jonathan di Parigi.2 Si riscontra,
infatti, che, soprattutto nella versione intermedia
della relazione del Sinodo straordinario del 2014,
«in rottura con i discorsi ufficiali di Roma, (...) venivano citati i doni e le qualità che gli omosessuali
possono apportare alle comunità cristiane. Inoltre
veniva rilevato che nelle coppie dello stesso sesso, il
1 XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei
La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. Lineamenta; in Regno-doc.
5,2015,8ss.
2 Contributo del movimento David & Jonathan nella fase preparatoria della XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei
vescovi, 6.3.2015; disponibile all’indirizzo: www.davidetjonathan.
com/wp-content/uploads/2015/03/Texte-D-J-synode-2-Version-finale.pdf.
vescovi,
12
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tudi e commenti
sostegno reciproco può costituire un aiuto prezioso per
la vita dei partner. Abbandonando una concezione
esclusivamente negativa dell’omosessualità, i padri
sinodali sembrano allontanarsi da un discorso di totale condanna, anche se i paragrafi di questo testo
intermedio, per pochissimi voti, non sono stati pubblicati con gli atti della prima sessione del Sinodo».3
Ho voluto far riferimento a questa vicenda del
testo sinodale, perché mi pare che essa possa essere presa a emblema di quell’intreccio tra volontà di
ripensamento sull’atteggiamento comprensivo verso
persone omosessuali e bisogno di affermazione della
dottrina morale che ribadisce che «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie,
neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia».4
Pur mantenendo aperta la tensione tra questi
due aspetti, vorrei tuttavia riconoscere che un cambiamento di clima riguardo alla questione dell’omosessualità è certamente in atto. Esso va compreso
nelle sue intenzioni e va approfondito nelle sue implicazioni. Vorrei fare questo, ricorrendo ad alcuni fattori decisivi che fanno da leva, per capire tale
mutamento di clima. Mi riferisco a cinque elementi
che ridisegnano l’orizzonte di senso della domanda e possono fornire elementi determinanti per uno
sguardo nuovo.
da questo mutato atteggiamento anche una serie di
politiche positive di contrasto all’omofobia.
D’altra parte, la possibilità di forme di vita, anche organizzata e rilevante dal punto di vista giuridico tra persone omosessuali porta in molte parti
ad adattamenti legislativi che creano nuovi spazi di
riconoscimento e magari anche nuove figure giuridiche di vita di coppia e di comunanza di vita familiare, tra persone dello stesso sesso.
L’incalzare di questa nuova fenomenologia della prospettiva pubblica dell’omosessualità può produrre forse in tante persone incertezze e irritazioni.
Essa ha tuttavia un valore di segno positivo per il
cambiamento di sguardo etico e per la maturazione calibrata di un atteggiamento di accoglienza e di
apertura che può essere di comune utilità. È difficile
dire quanto influsso abbia avuto la visione tradizionale negativa della morale cattolica su una cultura
dell’intolleranza e del rifiuto. Come anche è difficile non vedere il condizionamento della posizione
tradizionale della morale cattolica sull’autocomprensione di sé delle persone omosessuali.6 Certo
è, invece, che proprio da un cambiamento di clima
nell’etica cristiana dell’omosessualità si possono liberare risorse positive per politiche di integrazione
sociale e per soluzioni legislative ben misurate sui
bisogni di riconoscimento collettivo e più rispettose
della condizione umana di persone omosessuali.
Configurazione sociale
Il primo fattore è di carattere prevalentemente
descrittivo e si riferisce alla considerazione sociale
che generalmente accompagna oggi il fenomeno
omosessuale.5
La coscienza critica dell’uomo moderno e la sua
vigilanza contro ogni forma di discriminazione sono
elementi importanti per una ricollocazione delle
persone omosessuali, nello spazio pubblico. Il loro
disagio interiore e la loro marginalizzazione sociale
trovano occasioni, anche se talvolta solo abbozzate, di superamento da parte di una collettività che
si mostra sempre più tollerante e accogliente. La
stigmatizzazione della condotta omosessuale come
anomalia sociale, come malattia o addirittura come
crimine sembra in molte società evolute una cosa
appartenente al passato. In molta parte scaturisce
3 Ivi.
n. 55; Regno-doc. 5,2015,18.
è la considerazione degli sviluppi storici
intorno al tema. Si veda a riguardo l’accurata ed estesa monografia di G. Dall’Orto, Tutta un’altra storia. L’omosessualità
dall’antichità al secondo dopoguerra, Il Saggiatore, Milano 2015.
4 Lineamenta,
5 Interessante
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Magistero in stato itinerante
Un secondo fattore che descrive un cambio di
passo è dato da alcuni elementi intrinseci alle espressioni di insegnamento della Chiesa, riguardo all’omosessualità. Qui si capisce che la nostra attenzione
è orientata principalmente alla dottrina cattolica, tuttavia va riconosciuto che l’omosessualità rappresenta
una vera e propria pietra di inciampo anche in altre
confessioni cristiane e in generale nelle religioni monoteistiche.
Nel Catechismo della Chiesa cattolica (1997), agli
artt. 2357-2359 troviamo la sintesi della lezione dottrinale del magistero cattolico. Andiamo al testo:
«[2357] Appoggiandosi sulla sacra Scrittura, che
presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni (Gen 19,1-29; Rm 1,24-27; 1Cor 6,10; 1Tm
1,10), la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli
6 Cf. D. Dettore et alii, «Religione e omosessualità: uno
studio empirico sull’omofobia interiorizzata di persone omosessuali in funzione del grado di religiosità», in https://waysoflove.files.wordpress.com/2014/09/articolo-italiano-conferenza-1.pdf.
13
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atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati” (Congregazione per la dottrina della fede,
Persona humana, n. 8). Essi sono contrari alla legge
naturale, poiché precludono all’atto sessuale il dono
della vita. Non sono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale. In nessun caso possono
essere approvati.
[2358] Un numero non trascurabile di uomini e
di donne presenta tendenze omosessuali innate. Costoro non scelgono la loro condizione omosessuale;
essa costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni
marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone
sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella
loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio
della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.
[2359] Le persone omosessuali sono chiamate
alla castità».
Come si vede il Catechismo distingue tra tendenza omosessuale (innata, quindi non un «peccato» di
per sé, ma comunque segno di un’immaturità psicologica) e condotta omosessuale (volontaria, e quindi
peccato). Tale distinzione non è irrilevante. Essa costituisce uno stadio piuttosto recente di consapevolezza. «Solo nel secolo scorso maturò la percezione
di una categoria di persone che non solo pongono in
essere singoli comportamenti omosessuali, ma che
sono esclusivamente (o prevalentemente) attratte da
persone dello stesso sesso».7
7 E. Chiavacci, «Omosessualità e morale cristiana: cercare
ancora», in Vivens homo, 11(2000)2, 423-457, qui 424. La ricerca storica più recente fa chiarezza sul fatto che un’attenzione al
fenomeno dell’omosessualità come orientamento dell’identità
personale è strettamente congiunta con l’interesse per una comprensione scientifica della sessualità in generale e della condizione delle persone omossessuali in particolare, superando così la
valutazione moraleggiante di rifiuto o la medicalizzazione della
condotta omosessuale. Cf. a riguardo R. Beachy, Das andere Berlin. Die Erfindung der Homosexualität. Eine deutsche Geschichte
1867 – 1933, Siedler, München 2015. Rilevante è l’apporto del
medico Magnus Hirschfeld, che nel 1897 fonda, insieme ad altri,
un Wissenschaftlich-humanitäre Komitee (WhK), per la rivendicazione dei diritti e per l’incremento della ricerca scientifica nel
campo dell’omosessualità. Da qui nascerà poi nel 1919 l’Institut für Sexualforschung. Anche la cultura giuridica dell’epoca
apporta il suo contributo determinante per ripensare la questione della criminalizzazione della condotta omosessuale. Il giurista
Karl Heinrich Ulrichs perora, nel 1864, davanti alla conferenza
internazionale dei giuristi, una valutazione di tale condotta sulla
base di un riconoscimento di una «natura propria» delle persone
omosessuali: «Per noi omosessuali quello che è determinante è la
nostra propria natura, non la vostra. E proprio secondo questa
nostra natura noi chiediamo quindi di essere giudicati» (riportato
in Beachy, Das andere Berlin, 25).
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Accettando la distinzione tra orientamento e
comportamento omosessuale (questo viene introdotto per la prima volta in documenti del magistero con la dichiarazione Persona humana, del 1975),
e definendo l’ammissibilità dell’una e l’immoralità
dell’altro, si viene a porre la base tra quella oscillazione che consente un atteggiamento di vicinanza alla persona omosessuale, ma anche di presa di
distanza e quindi di giudizio morale negativo sui
suoi atti. Questi vengono giudicati sulla base di elementi ricorrenti e fondativi che sono: la fonte biblica, la tradizione, la legge naturale, una visione
di complementarietà di genere. Ma proprio questi
elementi fondativi del giudizio morale rivelano anche la loro problematica fragilità, anzi entrano in
crisi, quando si va ad approfondirne il senso e la
portata. E questo è un compito di cui si fa carico la
riflessione teologica.
Non risulta privo di interesse il fatto che, quasi
contemporaneamente al testo del Catechismo della
Chiesa cattolica, altre Chiese e confessioni cristiane
si esprimano in maniera organica sul tema dell’omosessualità. È il caso, per esempio, del documento
della Chiesa evangelica in Germania (EKD), che nel
1996 pubblica il documento sul tema «omosessualità e Chiesa», dal titolo Mit Spannungen leben (Vivere
con le tensioni).8 Prendendo spunto dai risultati delle ricerche nelle scienze umane, comportamentali e
sociali e pur ricorrendo alle fonti bibliche e all’esperienza vissuta delle persone, il tema della distinzione tra orientamento e comportamento omosessuale
non viene stilizzato in maniera così severa e rigida,
ma lo sguardo viene rivolto all’unità della persona,
della sua storia, del suo travaglio di equilibrio tra
autocoscienza, identità e condotta. Più recentemente, nel 2007, in contesto italiano, il documento
congiunto dell’Unione cristiana evangelica battista
d’Italia (UCEBI) e delle Chiese metodiste e valdesi
rilegge il tema dell’omosessualità nel quadro delle
espressioni di amore e di relazione tra le persone,
le cui forme non possono essere discriminate o gerarchizzate.9 In altre parti del mondo le Chiese del8 Cf. Evangelische Kirche in Deutschland, Mit Spannungen leben. Eine Orientierungshilfe des Rates der EKD zum
Thema Homosexualität und Kirche, Heft 57, Hannover 1996.
Si veda anche il documento del VELKD, «Orientierungslinien
zur ethisch-theologischen Urteilsbildung am Beispiel der strittigen Bewertung von Homosexualität in christlicher Perspektive», Hannover 2014, in www.ekd.de/presse/pm112_2014_
texte_umgang_homosexualitaet_velkd.html.
9 Cf. il documento sull’omosessualità della IV Sessione
congiunta dell’Assemblea generale dell’UCEBI e del Sinodo
delle Chiese valdesi e metodiste, 3-4.11.2007, in www.ucebi.it/
pdf/documenti/glom/doc_omosess_as2007.pdf.
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la Riforma si sono espresse con toni e contenuti di
uguale segno.
Una maggiore sensibilità ecumenica e più dialogo tra le Chiese cristiane potrebbe offrire spunti
originali e fruttuosi per comprendere le ragioni e
le esigenze di un clima nuovo, anche nella Chiesa
cattolica. Ma è il lavoro della teologia – in particolare della teologia morale – a essere maggiormente
richiesto. C’è da chiedersi in che modo essa stia aiutando e possa ancora aiutare per un cambiamento
di clima nella valutazione etica dell’omosessualità.
La discussione teologica
Si è visto sopra che i riferimenti fondativi per la
dottrina del magistero in tema di omosessualità (e
di sessualità più in generale) sono la fonte biblica, la
tradizione, la legge naturale e una visione di complementarietà di genere. Questi elementi rimandano all’esegesi biblica, al sapere filosofico-teologico,
alla riflessione antropologico-etica e non ultimo alle
investigazioni delle scienze sociali, i cui risultati possono essere rilevanti anche per le teorie etiche e la
fondazione dei giudizi morali. Si tratta, cioè, di un
intreccio pluridisciplinare che percepisce ed elabora
la complessità del tema e apre la teologia morale a
un doveroso superamento della pretesa di autoreferenzialità, rendendola sensibile all’esercizio di ascolto delle altre discipline, intra ed extra teologiche. Su
questa premessa si fonda anche il servizio che la teologia rende al magistero, intercettando il senso del
suo messaggio, rilevandone la plausibilità, ma anche
mettendo in evidenza i punti di non ritorno nelle
acquisizioni di conoscenze esegetiche, filosofiche,
teologiche, antropologiche.
Ora, se si guarda l’andamento degli sviluppi scientifici della teologia degli ultimi decenni, si rileva un
crescente, anche se non unanime, consenso sulla
comprensione storicamente segnata delle premesse e
delle conclusioni su cui il dettato dottrinale ancora
oggi insiste.10
Partendo dall’accostamento ai testi biblici che
normalmente vengono impiegati per la condanna
del comportamento omosessuale, si vede anzitutto che essi sono molto pochi e che l’interpretazio10 Lo mostra con documentata chiarezza il nuovo contributo di S. Goertz, «Zwischen “himmelschreiender Sünde”
und “Geschenk der Liebe”. Konzept und Bewertung der
Homosexualität in der Moraltheologie und im römischen
Lehramt», in S. Goertz (a cura di), «Wer bin ich, ihn zu verurteilen». Homosexualität und katholische Kirche, Herder, Freiburg i.Br. 2015, 175-236.
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ne univoca che si faceva di questi testi, fino a un
recente passato, oggi è messa in discussione da più
parti. S’impone innanzitutto un’onesta consapevolezza del loro reale contenuto. E questo è possibile
solo mediante una lettura dei testi sullo sfondo delle
condizioni storico-sociali e religioso-rituali dei loro
rispettivi contesti. Per fare questo, l’ermeneutica biblica degli ultimi decenni offre opportunità che non
possono più essere trascurate.11 Generalmente i testi
che si apportano «hanno di mira atti omosessuali di
persone eterosessuali. Essi non tengono conto della
possibilità di un orientamento permanente di persone adulte che si sentono attratte da persone dello stesso sesso. Altrettanto assente è l’idea che tale
attività possa essere espressione e mezzo per l’approfondimento di una relazione tra partner. Ma
nell’attuale discussione è proprio di questo gruppo
di persone che si tratta, di quelli cioè che percepiscono il loro orientamento omosessuale non come
alternativa di libera scelta rispetto all’orientamento
eterosessuale».12
Anche il luogo argomentativo più ricorrente dal
punto di vista sistematico domanda di essere ripensato, cioè il tema della legge naturale: da cui deriva
il carattere di naturalità o di contra-naturalità degli
atti sessuali. La visione prevalentemente biologistica
della legge naturale, come eredità di una gran parte
della tradizione cattolica, è debitrice a convinzioni
storicamente segnate e oggi adeguatamente superate. Il criterio dell’adeguatezza di un’azione alla sua
finalità resta un valido punto di riferimento, ma richiede costante verifica della comprensione giusta
del rapporto tra atto e fine, nella definizione del
carattere morale sia dell’azione compiuta sia, soprattutto, del soggetto che agisce. Per il tema della
sessualità, la convergenza dei suoi atti con la finalità della riproduzione della vita è espressione di una
concezione di sessualità che le scienze sia biologiche
sia umane hanno convenientemente chiarito. La visione di segno antropologico porta a comprendere
la sessualità in regime di polivalenza e di integrazione tra dimensioni e valori che vanno al di là della
semplice finalità riproduttiva. S’impone, quindi, un
allargamento semantico dell’orizzonte, per poter
11 Cf., ad esempio, D. Helminiak, What the Bible really
says about homosexuality, Alamo Square Press, Estancia (New
Mexico) 1994; M. Nissinen, Homoeroticism in the biblical World. A historical Perspective, Fortress Press, Minneapolis 1998;
R.A. Gagnon, The Bible and Homosexual Practice: Texts and
Hermeneutics, Abingdon, Nashville 2001.
12 K. Hilpert, «Gleichgeschlechtliche Partnerschaften»,
in K. Hilpert (a cura di), Zukunftshorizonte katholischer Sexualethik, Herder, Freiburg i.Br. 2011, 288-299, 294.
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porre il tema della natura degli atti a partire dalla
natura della persona.
D’altra parte, il concilio Vaticano II, sebbene nel
contesto di una diversa questione di etica sessuale,
afferma nella Gaudium et spes, al n. 51, che la dimensione morale della sessualità deriva in definitiva «ex personae eiusdemque actuum natura», dalla
natura stessa della persona e dei suoi atti. Che qui
si tratti di una grandezza antropologica e non biologica è del tutto chiaro e può essere compreso anche
dal fatto che al termine «natura» venga sostituito
quello di «dignità», o di «essenza», in alcune traduzioni ufficiali del testo conciliare.13 La riflessione
teologica deve qui venire incontro al magistero, facendo cogliere tutta la ricchezza, ma anche per richiamare quella linea di evoluzione che non consente di tornare indietro a prima del Concilio. Il passo
fatto è centrale per la comprensione di un modo di
vedere la natura umana non come organizzazione
di meccanismi e di funzioni, ma come natura della
persona, cioè della sua storia, dei suoi ideali, delle
sue possibilità e della sua responsabilità.
Muovendo dall’impulso di questo mutato paradigma, la riflessione etico-teologica degli ultimi decenni si è presentata più differenziata, meno univoca
sulle posizioni assunte rispetto all’omosessualità. In
una buona ricostruzione sintetica il teologo cattolico
Wunibald Müller indica alcuni raggruppamenti di
posizioni che oscillano da un fronte all’altro. C’è chi
non riconosce la moralità dell’orientamento omosessuale, e di conseguenza rifiuta anche gli atti omosessuali; c’è chi esprime un sì verso l’orientamento,
ma mantiene il suo no ai comportamenti; c’è chi accetta l’orientamento omosessuale, e di conseguenza
dice il suo «sì» – più o meno diversificato – anche al
comportamento omosessuale.14
Da parte sua l’americano James Keenan, elaborando una presentazione del dibattito negli USA,
conclude che «il dibattito aperto è un dibattito esteso e che attraversa tutto il mondo cattolico. Nell’impegnarsi in questo dibattito, i teologi morali non
13 È interessante notare che la traduzione ufficiale della
Gaudium et spes in italiano usi il termine «dignità» al posto di
«natura»; che quella tedesca usi l’espressione: «Wesen [essenza – ndr] der menschlichen Person und ihrer Akte»; mentre le
altre lingue moderne mantengono il termine di «nature of the
human person»; «la nature même de la personne et de ses actes»,
«la naturaleza de la persona y de sus actos».
14 W. Müller, Homosexualität – eine Herausforderung für
Theologie und Seelsorge, Matthias Grünewald, Mainz 1986,
60-125. Sulla discussione relativa agli sviluppi teologico-morali
negli USA si veda J. Keenan, «The open Debate: Moral Theology and the Lives of gay and lesbian persons», in Theological
studies 64(2003), 127-150.
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32/2015
convalidano superficialmente stili di vita personali,
ma piuttosto propongono una serie di criteri per valutare la moralità del modo in cui le persone gay
e lesbiche ordinariamente vivono la loro vita. Il dibattito ci aiuta a vedere che la tradizione cattolica
è ricca, umana e capace di aiutare le persone gay e
lesbiche a trovare modi morali per vivere adeguatamente la loro vita e le modalità in cui esse sono
chiamate ad amare».15
Polarità di genere
Tra gli elementi caratterizzanti la visione dottrinale della Chiesa sulla sessualità in generale e l’omosessualità in particolare – lo abbiamo visto sopra
– c’è il costante ricorso alla figura bipolare maschile/femminile. Dalla lettura dei racconti di creazione
(Gen 1-2), e in una storia piuttosto variegata della
loro recezione in contesto teologico, etico, rituale,
si è consolidata una determinata visione di rapporto tra maschi e femmine, che più recentemente ha
adottato una cifra di ricognizione espressa nella categoria di complementarietà di genere.
Alla comprensione dell’evoluzione dei modelli di
rapporto tra sfera maschile e sfera femminile hanno
contribuito diverse discipline, dalla biologia all’antropologia culturale, dalla filosofia e teologia alle scienze
umane e sociali. Non si può negare, tuttavia, che la
chiave di lettura predominante, in contesto etico-teologico, sia stata quella della determinazione biologica. Il venire al mondo in un corpo caratterizzato sessualmente al maschile o al femminile segnava anche
definitivamente l’appartenenza di genere e fissava le
differenze in modo speculare tra di loro, così da comprendere la forma di relazione solo in considerazione
della polarità complementare di genere. La dottrina
del matrimonio, anche in ambito giuridico e sacramentale vive di questo dato fondamentale.
Ora, va tenuto conto anzitutto che una simile visione può accentuare in modo non equilibrato l’ottica della differenza e occultare il dato fondamentale dell’unità dell’essere umano, pur nella diversità
delle sue espressioni. Lo dice opportunamente il teologo italiano Giannino Piana, quando scrive che
«le differenze tra uomo e donna devono essere collocate all’interno di un’unità originaria e sono, in
ogni caso, molto più limitate degli elementi comuni
attorno ai quali si realizza la convergenza».16
15 Keenan, «The open Debate», 150.
16 G. Piana, «Ipotesi per una reinterpretazione
antropologico-etica dell’omosessualità», in Credere oggi, 116(2000)2,
47-56, qui 49.
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Inoltre, si pone il problema della costruzione di
identità di genere, cosa molto più complessa e articolata che non la specificazione del sesso biologico. Gli
studi su questi temi – i cosiddetti gender studies – mettono in risalto l’intreccio di fattori diversi che entrano
in gioco nella costruzione di tale identità: essi sono l’identificazione del sesso biologico, l’orientamento sessuale, il ruolo sociale assegnato e il comportamento
sessuale assunto. L’intreccio di questi elementi, mette
in un certo senso in questione una sorta di «metafisica sostanziale» (Substanzmetaphysik – Saskia Wendel)
dell’identità personale, presente nella visione tradizionale del magistero.17 Riconoscere l’indole dinamica e complessa della costruzione di identità significa
individuare spazi di possibile percezione della propria condizione di soggetti umani e di possibile declinazione del potenziale di relazione all’altro, sia nella
forma eterosessuale che in quella omosessuale.
Sia nel magistero della Chiesa sia nell’elaborazione teologica questi aspetti sono ancora troppo poco
presi in considerazione. Anzi, negli ultimi tempi pare
che si stia accentuando un discorso di rifiuto non
sempre competentemente argomentato della cosiddetta teoria di genere, vista come la fonte di disordine morale e di pericolo nella convivenza sociale.
Questa radicale avversione non aiuta di certo a superare un’ottica di polarità che in definitiva genera
contrapposizioni e violenze, di cui molti ambienti
omosessuali sentono e denunciano il peso. Il teologo
morale deve essere più attento su questo versante del
discorso, sia per comprendere le eccedenze di alcune
espressioni della prospettiva di genere (quelle radicalmente costruttivistiche di Judith Butler, ad esempio,
opportunamente evidenziate da Saskia Wendel18),
sia anche nell’individuare gli aspetti positivi di questi
elementi di conoscenza e di consapevolezza che toccano anche la condizione omosessuale.19
Spostamento di enfasi nell’etica sessuale
Un ultimo elemento per un nuovo clima nella
questione omosessuale riguarda più in generale il
modo in cui si possano pensare oggi l’etica sessuale,
17 Molto acuto ed equilibrato è lo studio di S. Wendel,
«Sexualität und Genderperspektive», in Hilpert (a cura di),
Zukunftshorizonte katholischer Sexualethik, 36-56.
18 Cf. ivi, 46-47.
19 Una buona panoramica si ha in P. Guenzi, Sesso/genere, oltre l’alternativa, Cittadella, Assisi 2011; A. Fumagalli, La
questione gender. Una sfida antropologica, Queriniana, Brescia
2015; e nello Studio del mese intitolato «Donne e teologia.
Dire la differenza senza ideologie», in Regno-att. 1,2015,53-65.
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in una logica convincente e in un linguaggio plausibile. Da questo si capisce che la questione omosessuale riguarda in definitiva tutti.
Nel mutamento di paradigma, da un’ottica
monovalente a una prospettiva polivalente della
sessualità e, ancor più, nello spostamento di enfasi
da un’etica degli atti singoli a una moralità della persona in azione, devono essere ricercati ed
elaborati i criteri di valutazione anche della condizione omosessuale.20 Volendo puntare a un’affermazione sintetica ed essenziale, si può dire che
il cammino dell’etica sessuale contemporanea,
anche nelle diverse formulazioni teologiche, cattoliche e non, registra un mutamento che mette
al centro del discorso morale la verità della relazione interpersonale. Gli approcci di un’etica della
relazione (Beziehungsethik, come la chiamano Regina Ammicht-Quinn21 o Karl-Wilhelm Merks22)
si rivelano fecondi di ispirazione ed esigenti circa
la considerazione non relativistica della condotta
morale. I soggetti implicati nella relazione affettiva e nella convivenza d’amore sono chiamati a
riconoscersi reciprocamente nella loro identità,
in quella modulazione di identità che conferisce
unità al loro progetto di vita e alla loro consapevolezza di soggetti morali. La qualità della relazione
decide della moralità delle persone nel loro reciproco rapportarsi, sostenersi, aiutarsi a vivere in
modo autentico.
La teologa morale americana Margaret Farley
arriva alla conclusione che per le relazioni sessuali, affinché siano «eticamente buone», non gioca un
ruolo così decisivo il genere delle persone coinvolte,
quanto piuttosto i valori come giustizia, reciprocità di consenso, rispetto vicendevole per la libertà
dell’altra persona.23
20 Da
diversi decenni questo spostamento di paradigma
si va imponendo, anche se la sua recezione non viene tenuta
sempre in debito conto. Rinvio a riguardo al mio contributo
«Sessualità», in F. Compagnoni, G. Piana, S. Privitera (a cura
di), Nuovo dizionario di Teologia morale, San Paolo, Milano
1990, 1222-1236. Più recentemente S. Knauss ha offerto un
panorama puntuale e stimolante di ricostruzione degli spostamenti di enfasi nel suo More than a Provocation. Sexuality,
Media and Theology, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen
2014. Di particolare interesse è la sezione su «New approaches
in sexual ethics» (ivi, 83-102).
21 R. Ammicht-Quinn, Körper, Religion und Sexualität.
Theologische Reflexionen zur Ethik der Geschlechter, Matthias
Grünewald, Mainz 1999 (32004).
22 K.-W. Merks, «Von der Sexual- zur Beziehungsethik»,
in Hilpert (a cura di), Zukunftshorizonte katholischer Sexualethik, 14-35.
23 M. Farley, Just Love: A Framework for Christian Sexual
Ethics, Bloomsbury, New York 2006, 295.
17
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Conclusione
I fattori sopra richiamati sono pensati come aiuto
e come occasione favorevole a creare un clima nuovo di comprensione del fenomeno dell’omosessualità e di accoglienza delle persone omosessuali. Molti
problemi restano comunque aperti: da una parte c’è
da ripensare al rapporto tra dottrina, talvolta ancora
rigida, e volontà anche sincera di comprensione pastorale. C’è da chiedersi se una simile divergenza tra
dottrina e prassi pastorale possa a lungo reggere e se
sia teoreticamente saggio puntare solo su una prassi ammorbidita dal senso di accoglienza, ignorando
che comunque gli aspetti dottrinali sono oramai riconosciuti e individuati nei loro punti di fragilità.24
Inoltre, abbiamo bisogno ancora di mettere a
tema tutte le implicazioni, anche giuridiche, istitu24 Analogamente a quanto si fa in rapporto al tema dei
divorziati risposati, anche per il tema dell’omosessualità il punto di raccordo tra dottrina e prassi pastorale deve essere sempre più chiaramente centrato sulla persona e sulla sua storia.
«Nella difficoltà di una pastorale che tenga conto delle situazioni singole, dei cambiamenti e della gradualità, possono giocare un ruolo sotterraneo non trascurabile anche alcuni problemi e alcune resistenze legate a questioni filosofiche di fondo
che non sono state ancora approfondite nella tradizione cattolica. La mentalità sottesa ai documenti ecclesiali, rimanendo
aderente al realismo tradizionale, dovrebbe fare più spazio al
soggetto umano, alla storia, alla varietà e mutevolezza delle
situazioni culturali che influiscono sulla formazione della realtà umana» (G.L. Brena, «Misericordia e verità», in La Civiltà
cattolica, 166(2015)10, vol. II, n. 3958, 329-338, qui 336.
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zionali, pubbliche e politiche, derivanti da un nuovo clima che vediamo all’orizzonte. Anche qui c’è
da chiedersi, con saggezza e responsabilità, quali
possano essere le figure convenienti per favorire il
superamento di prassi discriminatorie, offensive della dignità delle persone omosessuali, e assicurare il
riconoscimento delle loro forme di vita comune. La
sfida per soluzioni adeguate e consapevoli mette in
gioco anche gli equilibri della convivenza sociale. E
anche di questo le Chiese e le teologie devono saper
rispondere.
È difficile dire se i tempi siano maturi per cambiamenti significativi, sia di dottrina sia di prassi. E
qualcuno dubita anche che le risorse messe in campo
dal Sinodo – sia nella sessione straordinaria del 2014
sia in quella ordinaria del 2015 – siano sufficienti per
incoraggiare e consentire tali cambiamenti.25
Al teologo morale, tuttavia, non deve mancare la
saggezza nell’indicare con coerenza le implicazioni
e le prospettive e neppure il coraggio per alimentare
in modo realistico e onesto la speranza di un clima
nuovo.
Antonio Autiero,
docente emerito di teologia morale,
Università di Münster
25 D. Migliorini, «Sinodo 2015 e omosessualità: è ancora troppo presto?», in Rocca, 74(2015)9, 47-48. Interessante è
anche il rimando al libro di B. Brogliato, D. Migliorini, L’amore omosessuale. Saggi di psicoanalisi, teologia e pastorale. In
dialogo per una nuova sintesi, Cittadella, Assisi 2014.
18
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