Für die Einheit der Kirche in der Schweiz Verso l'unità della Chiesa in Svizzera Vers l'unité de l'Église en Suisse Ökumene-Kommission der Schweizer Bischofskonferenz Für die Einheit der Kirche in der Schweiz Eine ökumenische Orientierung Verso l'unità della Chiesa in Svizzera Orientamenti ecumenici Vers l'unité de l'Église en Suisse Orientations œcuméniques Herausgegeben von der Ökumene-Kommission der Schweizer Bischofskonferenz, Freiburg © Schweizer Bischofskonferenz Zu beziehen bei den Bischöflichen Ordinariaten und dem Sekretariat der Schweizer Bischofskonferenz Postfach 278, 1701 Freiburg, [email protected] www.sbk-ces-cvs.ch/FRPHF 1 Presentazione Il movimento ecumenico è giunto ad una svolta: si tratta di un giudizio oggi diffuso. Spesso si accompagna alla constatazione negativa che l’ecumene si trova in una profonda crisi o addirittura che la sua fine è incombente. Parlare di “svolta” però, può anche essere inteso in un senso positivo: il risultato che il movimento ecumenico ha finora raggiunto permette infatti di renderci riconoscenti, gioiosi e pieni di speranza. D’altra parte, lo stesso risultato dà motivo a dolore ed a sofferenze. Questo Giano bifronte che caratterizza l’attuale situazione ecumenica trova la sua ragione più profonda nella constatazione che più ci si avvicina l’uno all’altro, più dolorosamente si fa esperienza di tutto ciò che ci separa e che ancora ci impedisce di accostarci insieme alla mensa eucaristica dell’unico Signore. Infatti, è un paradosso che il progresso appena raggiunto sul piano ecumenico rimanga esso stesso uno tra i motivi principali dell’attuale disagio ecumenico. Più che mai si impone con grande urgenza la domanda su come si possa progredire in campo ecumenico. L’attuale situazione richiede un’indagine storica e teologica riguardo all’ecumene: sia attuale che futura. La presente pubblicazione, elaborata dalla Commissione per l’ecumenismo della Conferenza dei vescovi svizzeri con lo scopo di offrire un “orientamento ecumenico”, intende assicurare le tracce per continuare verso il futuro. Sono molto grato non soltanto per questa pubblicazione ma anche per lo spirito costruttivo con cui teologia e magistero hanno interagito in questa Commissione. Innanzi tutto è necessario dar conto di come il cammino ecumenico, avviato con grande speranza e con altrettanto slancio quarant’anni orsono, si è sviluppato. A tale scopo vengono qui offerti tre contributi che delineano lo sviluppo storico dell’ecumene nelle tre aree linguistiche della Svizzera, completati da altrettanti brevi ritratti biografici di importanti personalità ecumeniche svizzere. Riguardo al passato si può costatare un cambiamento importante che l’ecumenismo ha subìto: il suo scopo principale - raggiungere insieme la ricomposizione dell’unità visibile della Chiesa - generalmente, si è persa di vista. È vero che l’ecumenismo si è mosso dall’inizio su due binari diversi, occupandosi da un lato di questioni concernenti il credo e lo statuto della Chiesa (“Faith and Order”) e dall’altro lato questioni concernenti la responsabilità secolare, sociale e politica delle Chiese cristiane e del movimento ecumenico (“Life and Work”). Il saggio “La Chiesa si realizza nella carità” vuole portare questa problematica alla nostra attenzione. Nel frattempo, l’impegno per l’unità visibile viene sostituito sempre di più da un “ecumenismo secolare” che si manifesta con obiettivi e progetti che sono, sì, fondati ed hanno carattere di una certa necessità benchè non proprio ecumenico. Ne è conseguenza sintomatica la rilevante caduta di importanza da parte della Commissione “Faith and Order” all’interno del Consiglio ecumenico delle Chiese. Seguendo il saggio del presente libro “Ecumenismo oggi e domani” ci troviamo oggi di fronte ad una fondamentale distinzione di sensibilità che fa risaltare due concezioni diverse dell’ecumenismo: da un lato c’è l’ecumenismo che aspira all’unità visibile della Chiesa pregando e lavorando per l’unione; dall’altro, esiste un ecumenismo radicale che considera sufficienti gli obiettivi finora raggiunti; si accontenta che venga riconosciuto, in modo reciproco, lo status quo e di sanzionarlo mediante la celebrazione dell’unione eucaristica manifestando così, in senso peggiorativo, un atteggiamento “conservativo”. Non c’è dubbio però per chi vuole rimanere impegnato al rinnovamento ecumenico del Vaticano II° che questo ecumenismo radicale non trova riscontro nel Concilio, mentre soltanto quell’altro atteggiamento ecumenico, delineato per primo, conserva fedeltà al Concilio e serve all’“unitatis redintegratio”. Infatti il Decreto sull’ Ecumenismo del Concilio Vaticano II° rivendica quale obbiettivo degli impegni ecumenici: “il ristabilimento dell’unità da 2 promuoversi fra tutti i Cristiani. […] Tale divisione non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura” (Unitatis Redintegratio, 1). Il superamento della frattura e il ricupero dell’unità visibile della Chiesa premettono innanzitutto il riconoscimento reciproco dei ministeri ecclesiali. E proprio questo è il nodo dell’attuale situazione ecumenica: che un tale riconoscimento non si è ancora realizzato. Un nodo che solleva la questione fondamentale: in che modo si deve e come si può realizzare in maniera autentica il riconoscimento, se da un lato la Chiesa cattolica rimane sempre convinta che il ministero episcopale e il ministero di Pietro nella successione apostolica siano voluti da Gesù Cristo e che siano, per questo motivo, vincolanti mentre le Chiese e le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma lo contestano attribuendo, in determinate circostanze e per amor di pace, a questi ministeri al massimo una certa utilità? In una situazione come questa, caratterizzata da un contrasto che dura ancora, un riconoscimento reciproco potrebbe soltanto significare che ambedue le parti non si prendono reciprocamente sul serio. Si tratterebbe infatti di un atteggiamento che riconosce che nessuna delle due vuole riconoscere l’altra: atteggiamento che non aiuterebbe a fare un passo avanti, ma che lascerebbe tutto come prima. Questo sarebbe una contraddizione in sé stessa che non si lascerebbe nascondere neppure da gesti di gentilezza. Anzi, pone la questione principale che l’ecumenismo deve affrontare con decisione. A mio avviso, l’ecumenismo attuale soffre innanzitutto di aspettative non realistiche e di pretese eccessive che, naturalmente, possono mutarsi subito in illusioni deludenti. È arrivato quindi il momento per l’ecumenismo che i diversi partner debbano spiegarsi con tutto il rispetto reciproco, quali sono le convinzioni religiose irrinunciabili per ognuno di essi. Dal punto di vista cattolico è da ricordare che l’Eucaristia è cuore e centro della vita ecclesiale e che, quindi, la Chiesa cattolica deve restare fedele alla convinzione che comunione ecclesiastica e comunione eucaristica vanno inscindibilmente insieme. Si tratta di una convinzione che è di importanza fondamentale per la tradizione della Chiesa e che le Chiese e le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma praticarono per oltre quattrocento anni fino a quando andò perduta nella seconda metà dello scorso secolo. Inoltre ci si dovrebbe rendere conto del sacramento dell’Ordine quale elemento essenziale della Chiesa che quindi non può mai essere messo in discussione. La Chiesa cattolica, infine, non si può definire nel senso dell’ecclesiologia protestante quale Chiesa parziale tra le altre, la cui somma formerebbe l’unica Chiesa di Gesù Cristo; anzi, è convinta che l’unica Chiesa di Gesù Cristo abbia trovato la sua concreta realizzazione storica nella Chiesa cattolica. Ogni Chiesa cristiana deve partire da queste convinzioni imprescindibili. Il dialogo ecumenico, quindi, deve sempre di più rifletterle con rispetto reciproco, affrontando la questione della verità con risolutezza. Perché il problema più grande dell’ecumenismo attuale si manifesta in una crescente erosione dei suoi fondamenti e in un calo importante della conoscenza riguardo ai contenuti fondamentali della fede cristiana ed alle differenze confessionali. Se si lanciasse una ricerca del tipo “Pisa” esaminando le conoscenze sulla fede cristiana, i suoi risultati non superebbero quelle della formazione generale media. In considerazione di questa situazione si possono osservare reazioni diverse oppure contraddittorie: gli uni proclamano e praticano un’apertura postmoderna trascurando le differenze teologiche con l’argomento che esse siano nient’altro che sofisticherie che non si possono più capire. Gli altri dimostrano un nuovo confessionalismo che ignora i risultati finora raggiunti nel dialogo ecumenico. Questa situazione contraddittoria richiede innanzi tutto un consolidamento dei fondamenti teologici e spirituali dell’ecumenismo che riguardi soprattutto il Battesimo e il suo compimento nell’Eucaristia. È il riferimento al battesimo che abbiamo in comune e alla confessione battesimale recitata in ogni celebrazione della Veglia 3 pasquale, da cui parte ed a cui è legato ogni ecumenismo veritiero. I due contributi dedicati al battesimo e alla comunione eucaristica spiegano il punto di vista teologico e quello spirituale che la Chiesa cattolica porta nel dibattito ecumenico. Questo “Vademecum” è completato da un piccolo dizionario che contiene i termini più importanti riguardo all’ecumenismo. Si considera quindi il “Vademecum ecumenico” un accompagnatore lungo la via ecumenica che il papa Giovanni Paolo II°, ha dichiarata irrevocabile perché in essa si adempie la preghiera di Gesù che siano tutti uno. Continua a procedere su questa via ovviamente il papa Benedetto XVI°. Secondo la sua prima allocuzione tenuta il 20 aprile 2005 nella Cappella Sistina davanti ai cardinali aventi diritto di voto, egli considerò del tutto consapevolmente l’impegno “di lavorare per la reintegrazione dell’unità piena e visibile di tutti i discepoli di Cristo” “un obbligo prioritario” ritenendolo una “convinzione sua” e non solo un “dovere suo di grande urgenza”. Questo “Vademecum” è scritto nel senso e nello spirito soprattutto del primo articolo fondamentale dell’impegno volontario della “Charta Oecumenica” firmata da tutti i membri della “Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera” durante la celebrazione della liturgia ecumenica il 23 gennaio 2005 a St-Ursanne: “Ci impegniamo a seguire l’esortazione apostolica della Lettera agli Efesini e di lavorare per una comprensione comunitaria della buona novella di Cristo nel Vangelo, di adoperarci nella potenza dello Spirito Santo per l’unità visibile della Chiesa di Gesù Cristo in una fede che si manifesta nel battesimo riconosciuto tra le diverse Chiese e nella comunione eucaristica come anche nella testimonianza e nel servizio comuni.” Nell’ottica d’una certezza di fede, l’ecumenismo è l’opera grandiosa dello Spirito Santo; è lui che la conduce al compimento e che donerà più generosamente di quanto osassimo sperare. Sta a tutti noi continuare a cooperare a questa opera dello Spirito Santo. Invece di dedicarci a sogni ecumenici e di riaprire sempre di nuovo le ferite per quello che oggi non è ancora realistico come per esempio la comunione eucaristica e il riconoscimento reciproco dei ministeri, possiamo gioire dei doni che abbiamo già ottenuto muovendo tranquillamente i passi che sono realistici. Sono lieto di poter mandare animato da questa fiducia il ““Vademecum ecumenico”, sperando che esso possa prestare un buon servizio alla causa dell’ecumenismo. + Kurt Koch Vescovo di Basilea Responsabile per l’ecumenismo in seno alla Conferenza dei vescovi svizzeri 4 Ecumenismo in Svizzera La Riforma del Seicento divise la popolazione della Svizzera in una parte cattolica e in una protestante ed il Paese in Cantoni e regioni cattoliche, protestanti e paritetiche. L’antagonismo tra le due confessioni causò di tanto in tanto vicende belliche che furono però concluse con la pace. In ogni caso, nei secoli che seguirono l’epoca della Riforma non ci furono soltanto liti polemiche ma anche tentativi irenici di avvicinamento per giungere ad un’intesa. Nel XX° secolo, la trasformazione della società e l’amalgama confessionale della popolazione favorirono la disponibilità ad un incontro ecumenico. Sebbene la Chiesa cattolico-romana rifiutasse dapprima e per lungo tempo il movimento ecumenico nel suo insieme, anche in Svizzera ci furono pionieri ed antesignani ecumenici. All’estero giocavano un ruolo importante protagonisti come il Gruppo di Dombes, fondato da Paul-Irénée Couturier in Francia, e il movimento tedesco Una Sancta. Non sono da sottovalutare le circostanze che hanno sollecitato una comune responsabilità per impegni riguardanti lo Stato e la società miranti a comprendersi sempre meglio l’un l’altro: il servizio militare1, le Esposizioni Svizzere di Lavoro Femminile (SAFFA), tra cui quella del 1958 organizzata dalla Federazione delle Associazioni femminili nella Svizzera che fece costruire persino una chiesetta ecumenica2. Ciò fu reso possibile perché l’accoglimento dell’idea ecumenica veniva crescendo pure da parte cattolica. La “riunificazione nella fede” era anche da parte cattolica un desiderio risentito già da parecchio tempo, benché, sino alla seconda guerra mondiale, si concentrasse quasi esclusivamente sulla preghiera. Nel 1929 fu fondata la Federazione di Preghiera di Einsiedeln per la Riunificazione della Fede in Svizzera; mentre lo scopo di second’ordine dell’associazione Bruder-KlausenBund fondata nel 1927 era “la riunificazione del popolo elvetico nella fede mediante l’intercessione del beato frate Klaus”. Dopo la seconda guerra mondiale, i teologi di parte cattolica presero l’iniziativa di porre una base concettuale dell’ecumenismo per sviluppare il pensiero ecumenico. L’11 agosto 1952, presso la curia vescovile di Friburgo, fu quindi fondata una rete internazionale di teologi cattolici interessati all’ecumenismo con lo scopo di favorire la collaborazione tra di loro ed esplicitamente con i vescovi: la “Conferenza cattolica per questioni ecumeniche”. Nel corso delle sue riunioni, che si chiamavano Giornate di studio ecumeniche, questa associazione trattava, secondo opportunità, i temi che il Consiglio ecumenico delle Chiese discuteva nel medesimo tempo. Sei anni e mezzo dopo la fondazione della Conferenza, il papa Giovanni XXIII° annunciò il Concilio Vaticano Secondo. La Conferenza partecipò alla preparazione del Concilio elaborando una petizione che ebbe un effetto importante grazie ai buoni rapporti che suoi membri intrattenevano con i vescovi e con la Curia romana. Il primo segretario della Conferenza, il professore Johannes Willebrands, diventò nel 1960 segretario e poi presidente del Segretariato per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Visto che la discussione dei temi della “Conferenza cattolica per questioni ecumeniche” era in buone mani, dal 1963 la Conferenza non si riunì più. I teologi Otto Karrer a Lucerna e Hans Urs von Balthasar a Basilea operavano in Svizzera; la Svizzera, tuttavia, era piuttosto un “esordio” pe il loro lavoro. Era invece diretta alla Svizzera l’attività efficiente dell’Istituto per Questioni ideologiche di Zurigo, con la personalità esperta e di spicco ecumenico del p. Albert Ebneter SJ. Un interesse ecumenico si poteva notare già da tempo tra i teologi che insegnavano alle Alte Scuole di Teologia in Svizzera. Raymund Erni, docente a Lucerna, dedicava i suoi studi ecumenici quasi esclusivamente alle Chiese dell’Oriente. Johannes Feiner, docente a 1 L’Associazione dei Cappellani Militari dell’Esercito Svizzero fu fondata già nel 1893. Peter Vogelsanger, Über die Anfänge der ökumenischen Bewegung in der Schweiz, in: Jean-Louis Leuba/Heinrich Stirnimann, Freiheit in der Begegnung, Frankfurt a.M./Stuttgart 1969, 147-161 2 5 Coira e consultore del Segretariato per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, era impegnato in argomenti ecumenici soprattutto presso il Concilio. Questi, come anche il p. Heinrich Stirnimann OP, docente a Friburgo, diventarono membri di numerose commissioni ecumeniche. Attraverso la fondazione dell’Istituto per Studi ecumenici presso la Facoltà di Teologia nel 1964, p. Heinrich Stirnimann ancorò in modo istituzionale il pensiero ecumenico pure nell’Università cattolica. L’Istituto Ecumenico di Lucerna fu fondato molto più tardi e collega la facoltà con le Chiese locali. Costituito nel 1998 da una fondazione eretta dalla Chiesa cattolico-romana, dalla Chiesa evangelica riformata, dalla Parrocchia cristiano-cattolica e dal Canton Lucerna, fu associato alla Facoltà di Teologia dell’Università di Lucerna mediante un accordo di cooperazione. Le Chiese entrano in dialogo Anche in Svizzera, il Vaticano II° suscitò un’apertura ecumenica. La Conferenza dei vescovi svizzeri iniziò dialoghi ufficiali con la Chiesa evangelica e con quella cristiano-cattolica un anno dopo la pubblicazione dell’incoraggiante Decreto sull’ecumenismo. Si costituirono anzitutto due commissioni: la Commissione di dialogo evangelica/cattolico-romana (ERGK) da parte del Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera e della Conferenza dei vescovi con l’incarico “di eliminare i malintesi che regnano tra le Chiese; di promuovere una crescente collaborazione delle Chiese e di testimoniare insieme l’ubbidienza al Vangelo”, ed inoltre la Commissione di dialogo cristiano-cattolica/cattolico-romana (CRGK) da parte del vescovo e del Consiglio sinodale della Chiesa cristiano-cattolica come pure della Conferenza dei vescovi, con l’incarico “di eliminare i malintesi che regnano tra ambedue le Chiese; di esaminare la tradizione cattolica in ordine ad una prassi comunitaria e di promuovere la collaborazione particolarmente in campo liturgico e pastorale”. Nel 1971, la Chiesa cattolico-romana, quella cristiano-cattolica e le Chiese protestanti, tutte e tre Chiese nazionali, si associarono nella Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera (AGCK = Arbeitsgemeinschaft christlicher Kirchen in der Schweiz), insieme con altre Chiese del tipo Chiesa libera e Chiesa di minoranza. I membri fondatori sono oltre alle Chiese nazionali, la Chiesa evangelica metodista, la Federazione delle Comunità battiste e l’Esercito di salvezza. Nel 1973 fu accolta la Federazione delle Chiese evangeliche luterane. Scopo della Comunità di lavoro è la riflessione su questioni che riguardano la fede e la vita per concretizzare una migliore comprensione e comunicazione; lo sviluppo del dialogo teologico tra le Chiese membro; la consulenza e l’organizzazione di manifestazioni ed iniziative comuni come pure la mediazione nel caso di dissenso tra le Chiese membro. Dal 1° gennaio 2003 la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera è costituita quale associazione, affinché le Chiese svizzere possano rafforzare le loro attività ecumeniche. A seconda della volontà dei suoi membri3 la Comunità di lavoro si considera quindi “strumento delle Chiese che permette loro di affrontare insieme le attività e di mostrarsi insieme al pubblico mentre ciò aiuta ad approfondire la fiducia reciproca perché l’unità che sussiste in Cristo diventi sempre più consistente”. Per lo stesso motivo si aumentò la percentuale del segretariato al 50%. Mentre le Chiese ortodosse si associano alla Comunità di lavoro solo nel 1990, la Conferenza dei vescovi fondava già nel 1980 insieme con le Chiese ortodosse della Grecia, della Romania, della Russia e della Serbia sotto il coordinamento del Centro Chiesa anglicana in Svizzera; Federazione delle Comunità battiste; Chiesa cristiano-cattolica in Svizzera; Federazione delle Chiese evangelico-luterane in Svizzera e nel Principato del Liechtenstein; Chiesa evangelica metodista; Esercito della Salvezza; Chiesa greco-ortodossa, metropolia svizzera; Rappresentanza delle comunità serbo-ortodosse in Svizzera; Chiesa cattolico-romana; Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera. 3 6 ortodosso di Chambésy del Patriarcato ecumenico la Commissione di dialogo ortodossa/cattolico-romana (ORGK). Essa si prefigge di trattare questioni riguardanti il lavoro pastorale. Lo sviluppo di una collaborazione che affronti i problemi comuni in questo campo è prioritario tenendo conto dei fondamenti teologici del ministero pastorale. Ma pure i responsabili delle tre Chiese nazionali entrarono essi stessi in dialogo. Si incontrarono la prima volta nel 1968 a Leuenberg in presenza di teologi di fama internazionale: Karl Barth e Hans Urs von Balthasar.4 Più tardi l’ecumenismo cristiano si allargò ad un ecumenismo che comprende tutte le religioni che si riferiscono alla figura biblica di Abramo. Furono fondate nel 1990 la Commissione di dialogo giudaica/cattolico-romana (JRGK) e nel 2001 un Gruppo di lavoro Islam in Svizzera (AGI). L’arduo lavoro delle commissioni Il primo argomento ecumenico che le commissioni di dialogo affrontarono fu quello dei matrimoni misti. Si trattava di un problema che maggiormente pesava sulla convivenza delle Confessioni.5 Risultato di questo lavoro fu una Dichiarazione comune ratificata dalle tre Chiese nazionali.6 A questa seguirono con la medesima autorizzazione le Direttive e suggerimenti per la preghiera e per l’azione comunitarie.7 Dal confronto con i due sacramenti che le Chiese hanno in comune – il Battesimo e la Santa Cena, rispettivamente l’Eucaristia – risultarono da un lato la Dichiarazione sul mutuo riconoscimento del battesimo8 con il Documento di studio “La questione del battesimo oggi” 9, e dall’altro lato il Documento di studio “Per una comune testimonianza eucaristica delle Chiese”.10 Un decennio dopo la loro pubblicazione, fu necessario aggiornare a fondo le Direttive e suggerimenti per la preghiera e per l’azione comunitaria. A motivo del carattere particolare delle questioni rispetto ad un’interazione delle Chiese nella celebrazione della liturgia, la Commissione di dialogo evangelica/cattolico-romana decise di pubblicare due documenti separati: le Direttive per la celebrazione comunitaria del culto e i Suggerimenti per l’azione comunitaria delle Chiese, così che apparvero nel 1979l “Liturgie ecumeniche. Principi e modello”11 e nel 1982 “Itinerari ecumenici”12. Entrambe le Commissioni di dialogo continuavano, piuttosto sporadicamente però, ad affrontare l’idea di un’appartenenza simultanea alle due Chiese dei figli nati da matrimoni misti (“double appartenance”) come era praticata in ambienti della Svizzera occidentale. Fu pubblicato nel 1987 l’opuscolo “Il battesimo e Documentato in: Ökumenische Beihefte zur Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie, Nr. 2, Friburgo Svizzera 1968. 5 Die Schweizerische Bischofskonferenz zur Instruktion über die Mischehen, in Schweizerische Kirchenzeitung [SKZ] 134 (1966), p. 510-512. 6 Gemeinsame Erklärung zur Mischehen-Frage, Comitato della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera, Conferenza dei Vescovi svizzeri, Vescovo della Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera, Zurigo 1967. 7 Richtlinien und Empfehlungen für gemeinsames Beten und Handeln der Kirchen in der Schweiz. edito da Comitato della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera, Conferenza dei Vescovi svizzeri, Vescovo e Consiglio sinodale della Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera, Zurigo 1970. 8 SKZ 141 (1973), n. 30, p. 474. 9 SKZ 141 (1973), n. 30, p. 465-469; questo testo si occupa di questioni bibliche e di questioni nell’ambito della storia dei dogmi e riguarda in più le esigenze pastorali. 10 SKZ 141 (1973), n. 41, p. 629-638. 11 Comitato della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera, Conferenza dei Vescovi svizzeri, Vescovo e Consiglio sinodale della Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera, Der ökumenische Gottesdienst, Grundsätze und Modelle, Zurigo 1976. 12 Ökumene in der Schweiz. Orientierungshilfe für die ökumenische Arbeit in den Gemeinden. Documento di lavoro congiunto delle commissioni di dialogo della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera e della Conferenza dei Vescovi svizzeri, Einsiedeln 1982. 4 7 l’appartenenza ad una Chiesa nel matrimonio misto”, un vademecum che spiega come il battesimo e l’educazione religiosa, pur radicati in una Chiesa concreta, possono ciononostante essere collocati all’interno del movimento ecumenico. Dopo aver trattato tutti questi argomenti, la Commissione di dialogo evangelica/cattolico-romana rivolse la propria attenzione all’ecclesiologia. Dapprima affrontò per un lungo tempo la difficile questione del ministero. Le autorità delle Chiese non assunsero tuttavia il Documento di consenso che la Commissione aveva elaborato. Esse consentirono esplicitamente la sua pubblicazione solo a titolo di Documento di studio.13 Un’Ammonizione pubblicata nel 1986 dalla Conferenza dei vescovi svizzeri con lo scopo di ribadire la validità delle norme del diritto canonico riguardo alla questione dell’ospitalità eucaristica sollevò notevole sconcerto. La Commissione di dialogo cristiano-cattolica/cattolico-romana elaborò un’Intesa pastorale con cui si voleva concedere ai membri di una Chiesa che si trova in diaspora di poter ricevere i sacramenti da un ministro dell’altra Chiesa. Nel 1975 questo documento era pronto per la ratifica. Tuttavia, siccome alcuni ministri della Chiesa cristiano-cattolica erano stati prima sacerdoti della Chiesa romano-cattolica, i rispettivi dicasteri del Vaticano non approvarono la conclusione dell’Intesa. In seguito, la Commissione dialogica si occupò in maniera più approfondita della questione che aveva dato motivo alla separazione delle due Chiese nell’Ottocento: cioè la questione del papato nell’ambito dell’ecclesiologia. Con il testo “Chiesa locale–Chiesa universale, ministero e testimonianza della verità”14 si voleva evidenziare come entrambe le Chiese potessero andare alla ricerca di una nuova ermeneutica della Chiesa, del ministero e dell’infallibilità stessa. Dieci anni più tardi si presentò il documento conseguente “L’infallibilità della Chiesa” senza che avesse però trovato l’approvazione da parte della Conferenza dei vescovi svizzeri. Prima ancora fu elaborato e pubblicato il Documento di dialogo “Comunione eucaristica – comunione ecclesiale”15. Vi si spiega che esiste uno stretto nesso tra la celebrazione dell’Eucaristia e l’unità della Chiesa: solo chi si impegna sinceramente dell’unità della Chiesa può celebrare l’Eucaristia. Le tematiche condivise dalle Chiese Su iniziativa della Conferenza episcopale tedesca fu fondata nel 1969 la Comunità di lavoro per i canti ecumenici (AÖL = Arbeitsgemeinschaft für ökumenisches Liedgut): un gruppo interconfessionale cui appartenevano da principio pure esperti svizzeri. I risultati raggiunti da questa Comunità di lavoro trasformarono il canto in tutte le chiese: da un lato per le sue pubblicazioni16 e, dall’altro, per gli adattamenti dei canti che furono assunti nei nuovi innari delle Chiese cattolicoromana, cristiano-cattolica ed evangelica riformata17. Gli editori dell’innario cattolicoromano e dell’innario riformato hanno inoltre pubblicato un libro ecumenico di canto per giovani (“rise up”, 2002) che contiene canti e testi per il culto, per l’insegnamento e per l’attività con i giovani. Das Amt der Kirche und die kirchlichen Ämter. Documento di lavoro della Commissione di dialogo evangelica/cattolico-romana, in: Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie 31 (1984), p. 241-293, 294-309: Riassunto in francese. 14 Pubblicato in SKZ 150 (1982) n. 8, p. 141-145. 15 Pubblicato in SKZ 155 (1987) n. 2, p. 18-20, e n. 4, p. 53. 16 Gemeinsame Kirchenlieder (=Canti che le chiese hanno in comune) 1973, Gesänge zur Bestattung (Canti per le funzioni funebri) 1978, Leuchte, bunter Regenbogen (Fa risplendere i tuoi colori, arcobaleno) 1983, Lieder und Gesänge zur Trauung (Canti e canzoni per la celebrazione del matrimonio) terminati nel 1982 però mai pubblicati ufficialmente e così editi presso Friedrich Hoffmann im Hänssler Verlag, Stoccarda, senza indicazione dell’anno, probabilmente nel 1984. 17 Nel 2002, si pubblicò un’edizione separata con canti e testi adatti per le funzioni funebri, scelti dagli innari della chiesa cattolico-romana e della chiesa riformata, con il titolo “Ökumenisches Liedheft für Bestattungen”. 13 8 Il 1° ottobre 1971 fu fondata la Comunità di lavoro interconfessionale per la pastorale dei matrimoni misti nella Svizzera tedesca (Interkonfessionelle Arbeitsgemeinschaft für Mischehen-Seelsorge der deutschsprachigen Schweiz). Essa si occupava di questioni concernenti il matrimonio di coniugi appartenenti a diverse confessioni e l’educazione dei loro figli attraverso la pubblicazione di diversi contributi18. Anche la Commissione di dialogo ortodossa/cattolico-romana trattò questioni di carattere teologico-pratico concernenti i matrimoni misti pubblicando un opuscolo19. Seguì una Dichiarazione concernente l’educazione dei figli nati in un matrimonio misto che però fu pubblicata solo in un fascicolo che trattava in maniera generica questioni pastorali sulla presenza ortodossa in Svizzera20. In occasione dell’anno commemorativo dell’espulsione degli ebrei dalla Spagna, la Commissione di dialogo giudaica/cattolico-romana si rivolse con il memorandum “L’antisemitismo – un peccato contro Dio e contro l’umanità”21 ad un pubblico più ampio. La Conferenza dei vescovi svizzeri pubblicò, da parte sua, il 14 aprile 2000 una dichiarazione dal titolo “L’atteggiamento della Chiesa cattolica in Svizzera nei confronti del popolo ebreo durante la seconda guerra mondiale ed oggi”. Le conclusioni di questo documento fanno appello ai cristiani: donne ed uomini, ad impegnarsi affinché “il popolo ebreo non venga mai più disprezzato, perseguitato e spinto in una shoà”. Nei primi anni della sua esistenza e sollecitata da un’iniziativa del popolo svizzero che rivendicava “l’assoluta separazione tra Chiesa e Stato”, la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera discuteva la tematica della relazione tra Chiesa e Stato. Pubblicò due documentazioni: “La relazione tra Chiesa e Stato in mutamento”22 e “Stato e Chiesa in Svizzera. Problemi teologici”23. Quindici anni dopo la sua fondazione, la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera presentò il testo “La comunità delle Chiese – unità e diversità”. Qui, tra altro, si qualificano “i fattori di carattere non-dogmatico un ostacolo sulla strada” che conduce verso l’unità24. Assumere la responsabilità dell’ecumenismo Visto che ogni Chiesa ed ogni Comunità ecclesiale si inseriscono, con le proprie tradizioni, nel processo ecumenico, le tradizioni vanno considerate quanto alla loro "compatibilità ecumenica”. Per questo motivo ogni Chiesa ed ogni Comunità ecclesiale hanno i propri strumenti per prendere responsabilità ecumenica e per rifletterne nel 18 Interkonfessionelle Arbeitsgemeinschaft für Mischehen-Seelsorge der deutschsprachigen Schweiz (editrice), Ökumenische Trauung (Il matrimonio ecumenico, Zurigo 1973; Das Traugespräch. Eine ökumenische Handreichung (Il colloquio nuziale. Una raccomandazione ecumenica), Zurigo 1975; Religiöse Kindererziehung in der Mischehe (L’educazione religiosa nel matrimonio misto), Zurigo 1979. Nel 1993, il comitato della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera, la Conferenza dei vescovi svizzeri ed il vescovo insieme al Consiglio sinodale della Chiesa cristiano-cattolica nella Svizzera pubblicarono un’edizione aggiornata con il titolo “La celebrazione ecumenica del matrimonio”; questa pubblicazione si fonde sui lavori della Comunità di lavoro interconfessionale per la pastorale dei matrimoni misti nella Svizzera tedesca. Nel 2001 ne fu pubblicata dai medesimi editori e con lo stesso titolo una 2° edizione emendata (Friburgo / Svizzera e Zurigo). 19 Die Mischehen zwischen römisch-katholischen und orthodoxen Christen. Erklärung der orthodox/römischkatholischen Gesprächskommission in der Schweiz (=Dichiarazione della Commissione di dialogo ortodossa/cattolicoromana sui matrimoni misti di cristiani cattolici e di cristiani ortodossi), del 12 marzo 1985, in: SKZ 154 (1986), n. 2, pag. 22s. 20 Orthodoxe Präsenz in der Schweiz. Eine pastorale Handreichung. Texte der Kommission für den Dialog zwischen Orthodoxen und Katholiken in der Schweiz (=La presenza ortodossa nella Svizzera. Una raccomandazione pastorale. Testi della Commissione di dialogo ortodossa/cattolico-romana in Svizzera), Friburgo / Svizzera 1992. 21 Pubblicato in: SKZ 160 (1992), n. 13, pag. 190-195. 22 “Kirche – Staat im Wandel - eine Dokumentation”, Berna 1974 23 "Staat und Kirche in der Schweiz. Theologische Probleme“, Zurigo 1979 24 „Kirchengemeinschaft – Einheit und Vielfalt, SKZ 154 (1986) n. 22, pag. 345-347. 9 proprio ambito costituendo Commissioni per l’ecumenismo, che già esistono in molte Chiese. La Conferenza dei vescovi svizzeri non soltanto sosteneva la formazione di Commissioni di dialogo, ma nominava, inoltre, la “Commissione cattolica per questioni ecumeniche” la quale, già nel 1966, sollecitò ad assumere responsabilità ecumenica25. Questa commissione però, rimasta attiva, in verità, non per lungo tempo, fu sostituita dalla Commissione per l’ecumenismo costituita nel 1979. Essa elaborò una “riflessione di fondo a ridosso della visita del papa in Svizzera”, che presentò alla Conferenza dei vescovi nel maggio 1983 con il titolo “La Chiesa cattolico-romana della Svizzera nel movimento ecumenico”. Dal 23 settembre 1972 al 30 novembre 1975 si riunì il Sinodo ‘72. Questo termine “Sinodo 72” significa l’insieme di tutti i sinodi diocesani i quali intendevano applicare il Concilio Vaticano Secondo alla situazione specifica della Svizzera. I sinodi diocesani furono preparati in comune, ma svolti in ogni diocesi individualmente. In merito a questioni che riguardavano tutta la Svizzera si cercavano soluzioni comuni con il risultato che l’una o l’altra decisione poteva entrare in vigore in ciascuna delle diocesi svizzere. Si discutevano non soltanto argomenti isolati ma anche la vita della Chiesa nel suo insieme. Grazie al contributo da parte di osservatori non cattolici si prendevano pure in considerazione punti di vista di altre Chiese, persino quando si discutevano argomenti che non erano immediatamente di carattere ecumenico. Le riflessioni sulla missione ecumenica stessa della Chiesa prendevano un largo spazio. Delicati erano i temi “gruppi spontanei” e “ospitalità eucaristica”. I “gruppi spontanei” erano conosciuti soprattutto nella Svizzera francese. Un gruppo ecumenico a Losanna chiamatosi “paroisse oecuménique des jeunes” trovò accettazione ma sollevò pure critiche per le liturgie eucaristiche celebrate simultaneamente nello stesso luogo (“eucharisties simultanées”). Si temeva, tra l’altro, che si potesse dar origine, così, ad una terza confessione. I sinodi diocesani non ignoravano questo pericolo, ma d’altra parte vedevano anche le possibilità che gruppi spontanei potessero contribuire al processo ecumenico26. Si durava fatica a giungere ad una decisione sull’ospitalità eucaristica, ed anche la storia della sua applicazione non era priva di contrasti. Nel periodo successivo al Sinodo ‘72, si sviluppò una prassi che oltrepassava ovviamente i limiti della decisione sinodale. Ecco il testo approvato in tutte le diocesi della Svizzera dal 1° al 2 marzo 1975: “Nel caso che un cattolico si trovi in una situazione eccezionale e, dopo aver esaminato tutti i motivi, giunga alla convinzione che egli sia autorizzato secondo la sua coscienza a ricevere la Santa Cena, non si deve necessariamente considerarlo un’apostasia benché una partecipazione comunitaria all’Eucaristia rimane problematica finché persista la separazione delle Chiese. … Inoltre un cattolico non deve prendersi la responsabilità di una tale decisione quando rischia di cadere in un errore di fede. Lo stesso vale per il caso che si alieni dalla propria Chiesa per motivo di questa decisione o che provochi indifferenza religiosa oppure sia causa di scandalo presso gli altri fedeli. … Nei matrimoni misti dovranno soprattutto i genitori provvedere riguardo ai propri figli”.27 Liturgie ecumeniche Durante l’assemblea ordinaria del 2-4 giugno 1986, la Conferenza dei vescovi svizzeri approvò un’Ammonizione intitolata “L’ospitalità eucaristica”. Secondo questo documento, il testo sinodale (sopra citato) non proibiva ad un cattolico di ricevere la Santa Cena di rito evangelico ma voleva evitare soltanto “un giudizio irrevocabile sulla 25 „Katholische Kommission für ökumenische Fragen“, SKZ 134 (1966), pag. 664s. I risultati di tutti i Sinodi diocesani sono raccolti in: Raymond Bréchet et Daniel von Allmen, Notre vocation oeucuménique (Synode 72 présenté et commenté par…,n° 2), Friburgo 1975. 27 Secondo il testo pubblicato dalla diocesi di Basilea, n. 12.3.13 e 15. 26 10 responsabilità di un cattolico il quale non osserva in un singolo caso il divieto espresso dalla sua Chiesa”28. Durante una visita in Vaticano della Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera, dal 4 al 10 novembre 1988, il papa Giovanni Paolo II° tenne un’allocuzione29 in cui manifestava che “la partecipazione all’Eucaristia e i matrimoni misti” causavano preoccupazioni presso tutti. Per quanto riguarda la cena del Signore egli scrisse: “le nostre posizioni ancora non convergono, e malgrado le difficoltà e le sofferenze nella vita delle comunità, non possiamo agire come se queste divergenze, relative a un punto essenziale della fede, non esistessero. Nella nostra fede cattolica, noi, per fedeltà a quanto ci hanno tramandato gli apostoli come discendente direttamente da Cristo, siamo convinti che la celebrazione comune dell’Eucaristia presuppone l’unità nella fede e che essa è strettamente legata a quanto noi crediamo circa il ruolo proprio e lo statuto ecclesiologico dei ministeri ordinati”. Dal 29 giugno al 4 luglio 2000 la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane fece visita al Patriarcato ecumenico. Siccome si trattava più di una visita di cortesia che di un incontro di lavoro, l’opinione pubblica ecclesiale non venne quasi a conoscenza del suo contenuto. Pochi anni dopo la Commissione ecumenica della Conferenza dei vescovi pubblicò le direttive su “Le liturgie ecumeniche la domenica”30 per rispondere alla questione se la partecipazione ad una celebrazione ecumenica poteva adempiere l’obbligo domenicale imposto ai fedeli di confessione cattolica. Da parte cattolica ci si occupava soltanto occasionalmente delle Chiese libere (le così dette Chiese evangelicali) sebbene ci fossero spesso conflitti provocati dalle loro attività31. Soltanto la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane nel Canton Berna, cui faceva parte anche la Chiesa cattolico-romana, prese l’iniziativa di organizzare una consultazione e di creare una base comune sulla quale i fedeli provenienti dalle Chiese nazionali, dalle Chiese libere e da diverse comunità cristiane potevano insieme sviluppare la possibilità di una evangelizzazione. Il risultato di questa interazione era la pubblicazione di un manifesto composto da un appello all’evangelizzazione ed inoltre da raccomandazioni per la sua realizzazione.32 Secondo questo documento, “la diversità delle dottrine e della prassi non dovrebbero più essere un ostacolo insuperabile per un’evangelizzazione comunitaria”. Le raccomandazioni non contengono soltanto uno scambio di idee per realizzare insieme iniziative di evangelizzazione, ma offrono pure un’assistenza linguistica affinché i membri delle Chiese nazionali possano entrare in un dialogo costruttivo con i membri delle Comunità evangelicali. Consultazione ecumenica Il 24-25 ottobre 1980 confluirono in Consultazione ecumenica 120 delegati delle sette Chiese membro della Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera, a seguito d’un’idea promossa dagli osservatori non cattolici al Sinodo ‘72. Obiettivo dell’incontro fu di 1. rendere possibile una discussione approfondita sullo stato dell’ecumenismo in Svizzera; 2. incoraggiare e promuovere il processo ecumenico in Svizzera; 3. raccogliere proposte e indicare cammini di ecumenismo vissuto; 4. trasmettere impulsi a Chiese e Comunità. „Eucharistische Gastfreundschaft“, SKZ 154 (1986), n. 37, pag. 557-559 Documentato in: SKZ 156 (1988), n 47, pag. 703-705 30 „Ökumenische Gottesdienste am Sonntag“, pubblicato in: SKZ 160 (1992), n. 4, pag. 59s. 31 Veda: Rolf Weibel, Katholikinnen und Katholiken vor der evangelikalen Herausforderung. Sonderdruck der SKZ, senza indicazione del luogo e dell’anno dell’edizione [Luzern/Balgach 1996]. 32 „Über Mauern springen. Aufruf und Wegleitung zu gemeinsamer Evangelisation für Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter der Kirchen, Freikirchen und Gemeinschaften in der deutschsprachigen Schweiz. Schlusstext der Konsultation über Evangelisation im Auftrag der Arbeitsgemeinschaft der Kirchen im Kanton Bern“, Berna 1990. 28 29 11 Dalla Consultazione risultarono parecchi progetti di lavoro assai variegati, per esempio sul rapporto di Stato e Chiesa entro la tematica generale dei rapporti della Chiesa con la società. Alcune proposte di rilievo sorte dalla consultazione in seno a gruppi di lavoro sono poi state elaborate e trasformate in progetti concreti. Tema primario della Consultazione fu quello d’uno stile di vita responsabile. Si aggiunsero il tema dell’insegnamento religioso a scuola e interrogativi d’ordine teologico su fede e vita. Fu discussa anche la questione strutturale del posto delle piccole Chiese libere in seno alla comunità di lavoro svizzera e le relazioni della stessa con le comunità cantonali. Per il 1981 era prevista la visita pastorale del papa Giovanni Paolo II° in Svizzera. A preparazione dell’incontro con il papa il Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera elaborò il memorandum “Le Chiese evangeliche nel movimento ecumenico”, con l’intento di illustrare “il movimento ecumenico nell’ottica dell’eredità della Riforma e con quali convinzioni e speranze esso si rivolge alle altre Chiese”. A causa dell’attentato perpetrato contro il papa il 13 maggio 1981, la sua visita fu rimandata. Il Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti pubblicò comunque il memorandum, nella speranza di contribuire, indipendentemente dal viaggio papale, “ad approfondire il dialogo ecumenico in Svizzera”.33 A seguito di quest’evento scaturì nel 1982 una serie di contatti diretti tra la Conferenza dei vescovi svizzeri e il Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti, poiché il memorandum aveva circoscritto in maniera inaspettatamente incisiva le divergenze confessionali, così da rendere necessari colloqui bilaterali diretti tra i responsabili delle due Chiese. In anni precedenti le dichiarazioni comuni su questioni attuali di politica sociale, elaborate dalle rispettive commissioni d’esperti, avevano già ottenuto una vasta risonanza pubblica. A questo livello d’intervento sono da annoverare soprattutto le “7 tesi delle Chiese sulla politica verso gli stranieri” (1974), fornite d’un commento attualizzato nel 1985, come pure i memoranda delle tre Chiese nazionali su questioni inerenti all’asilo: I. “Dalla parte dei profughi” (1985), II. “Per una politica d’asilo umana” (1987) e “Dalla parte degli oppressi. Per un avvenire comune. Memorandum delle tre Chiese per il superamento della xenofobia e del razzismo” (1991). La Svizzera ed il terzo mondo I gruppi ecclesiali che si occupavano di temi sociopolitici, nella prima fase della loro collaborazione, si resero conto dello iato sempre più profondo tra poveri e ricchi e che questo iato era il conflitto sociale più importante nel mondo. Nel 1961/’62 furono fondate le due opere assistenziali svizzere, il Sacrificio quaresimale della Chiesa cattolica e Pane per i fratelli (oggi Pane per tutti) delle Chiese evangeliche riformate. Fin da principio hanno mantenuto buoni contatti tra loro, tanto che s’istituì nel 1970 una collaborazione in partenariato34. Nello stesso momento vi era il desiderio di intervenire maggiormente nel dibattito pubblico su temi sociali e sociopolitici. Per garantire una preparazione specifica a questi interventi, l’Assemblea dei delegati della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera decise di fondare l’Istituto d’etica sociale, che iniziò a operare il 1° aprile 1970. Da parte cattolica la Comunità di lavoro per l’aiuto allo sviluppo (“Arbeitsgemeinschaft für Entwicklungshilfe”) preparò la fondazione “Justitia et Pax”, costituita il 21 febbraio 1968 e in seguito a parecchie difficoltà tramutata il 3 luglio 1973 in una commissione della Conferenza dei vescovi svizzeri. 33 Sul viaggio compiuto dal papa nel 1984 esiste: “Unterwegs zur Einheit? Schweizer Protestanten, Oekumene und Papst”, edito dal Comitato della Federazione delle chiese evangeliche della Svizzera, Berna 1984. 34 Dal 1992 fa parte alla collaborazione pure “Essere partner”, l’opera d’aiuto della Chiesa cristo cattolica. 12 La Comunità di lavoro per l’aiuto allo sviluppo e da parte della Federazione delle Chiese protestanti il Dipartimento di teologia (siccome l’Istituto d’etica sociale non era ancora stato fondato), interagirono con un gruppo di lavoro della Chiesa cristianocattolica per preparare ed organizzare l’“Assemblea interconfessionale Svizzera e terzo mondo” del 1970. Questa elaborò in due sessioni (dal 30 ottobre al 1° novembre e dal 20 al 22 novembre) cinque relazioni stilate dai gruppi di lavoro tramite cui si volevano offrire impulsi all’evoluzione di una politica di sviluppo svizzera ed alla formazione di un’opinione e di una volontà pubbliche nella Chiesa e nella società. Uno stile di vita responsabile A seguito della quarta guerra nel Medio Oriente (1973) che causò una crisi economica notevole per l’aumento del prezzo del petrolio sorse la discussione sulla responsabilità ecologica delle Chiese. Al centro dell’interesse vi erano questioni legate al rifornimento e alla politica energetica. In Svizzera fu costituito sulla base di sensibilità individuali il Forum ecumenico svizzero (“Schweizerisches Ökumenisches Forum”). Invece di mettere a fuoco la questione energetica questo gruppo cercava di individuare in maniera complessiva uno stile di vita alternativo mediante il programma “Quale sarà la Svizzera d’indomani? Incamminarsi verso un nuovo stile di vita”. Organizzò un primo importante simposio, il “Forum di Magglingen”, dal 22 al 24 ottobre 1976. Un altro simposio ebbe luogo dal 13 al 15 gennaio 1978 a Gwatt, dove si trattò la questione “energia e posti di lavoro”, che permise di mettere a confronto punti di vista divergenti. Tra i quattro gruppi di lavoro della “Consultazione ecumenica” del 1980 ce n’era uno sul tema “Insieme nel mondo”. Basandosi sul concetto “un nuovo stile di vita” come proposto da una dichiarazione programmatica, si individuavano i seguenti problemi: “In quale relazione sta un nuovo stile di vita con l’esplosione demografica, con lo scarseggiare dell’energia, con l’aumento del reddito reale, con la solidarietà con i poveri, con la disponibilità di tutti ad assumere responsabilità – e non soltanto da parte di singoli?” Per approfondire queste tematiche si sottopose alla Comunità delle Chiese cristiane in Svizzera il seguente problema: “Inquadrato il problema di uno stile di vita responsabile, come si può discuterlo in maniera costruttiva e competente e con un obiettivo pastorale?” E si richiese di fare una relazione per le Chiese membro entro la fine dell’anno e di presentarla alla prossima Consultazione ecumenica. Questa “prossima” Consultazione però non si sarebbe più riunita a tutt’oggi, ma la Comunità di lavoro incaricò un gruppo di lavoro di studiare problema “qual è l’influsso di una comprensione cristiana del mondo e dell’esistenza sullo stile di vita futuro?” Riguardo a questo incarico il gruppo di lavoro costituì un forum ecclesiale sullo “stile di vita”. Questo forum si espresse in due simposi presso la Paulus-Akademie (1984) e la Franziskushaus Dulliken (1985), i cui risultati furono pubblicati nell’estate 1985 nella forma di un Memorandum ecologico “Essere uomo nell’integrità della creazione”35. Giustizia, pace e salvaguardia del creato Per dare un fondamento coerente, in un’ottica cristiana, alle varie dichiarazioni di politica sociale, il Sinodo evangelico svizzero ebbe l’idea di fondare un’”Alleanza per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato”. Il comitato esecutivo dell’Alleanza riformata mondiale domandò nel 1983 a tutte le Chiese di promuovere un vincolo 35 Menschsein im Ganzen der Schöpfung. Ein ökologisches Memorandum im Auftrag und zuhanden der Arbeitsgemeinschaft christlicher Kirchen in der Schweiz (unter Mitwirkung von Fachleuten aus Kirche, Wissenschaft, Wirtschaft und Politik), redatto da Pius Hafner, Ernst Meili, Hans Ruh, Peter Siber, Christoph Stückelberger, Lukas Vischer, Eugen Wirt, 1985. 13 comune di pace e di giustizia; e il comitato per le linee direttive del Consiglio ecumenico delle Chiese raccomandò alla plenaria, pure nel 1983, “di integrare le Chiese membro in un processo conciliare di impegno reciproco per la giustizia, la pace e la tutela di tutto il creato”; così che quest’idea sviluppò una sua energia propria in seno al Sinodo evangelico svizzero. L’assemblea, che aderì al memorandum “Essere uomo nell’insieme del creato”, prospettò concretamente la creazione di un posto di delegato delle Chiese per le questioni ambientali, con il compito di “promuovere in seno alle Chiese, Chiese libere e comunità il senso di responsabilità verso il creato, di creare contatti con gruppi, movimenti e organismi già attivi in questo campo e di elaborare proposte concrete su come le Chiese possano assumere le loro responsabilità in merito”. Dopo lunghi negoziati si potè costituire, il 6 dicembre 1986, la “Comunità di lavoro ecumenica Chiesa e ambiente” (Oeku). Con un riferimento diretto alle iniziative dell’Alleanza riformata mondiale, del Consiglio ecumenico delle Chiese e del piano del Consiglio ecumenico di realizzare nel 1990 una conferenza mondiale, la nona assemblea plenaria della Conferenza delle Chiese europee (KEK) raccomandò nel 1986, assieme al Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE), di allestire una “conferenza settentrionale” attorno al tema “Pace nella giustizia” e di attuarla prima della conferenza mondiale del Consiglio ecumenico. Dopo chiarimenti rispettivi la KEK potè invitare il CCEE a patrocinare in comune la convocazione europea “Pace nella giustizia”. La 17ma plenaria del CCEE accettò l’invito nel 1987. Per accompagnare il processo messo in atto anche in Svizzera, la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera, dopo qualche opposizione, costituì nel 1988 un gruppo di lavoro su una durata di tre anni, chiamato Comitato ecumenico svizzero per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato e dotato di un ufficio di coordinamento a Berna. Dopo la vasta eco riscossa dall’Assemblea ecumenica europea “Pace nella giustizia”, svoltasi a Basilea dal 15 al 21 maggio 1989, ci si poteva aspettare che il follow up e la tematica “Giustizia, pace, salvaguardia del creato” trovasse anche in Svizzera una risonanza più ampia. Già prima di Basilea il Comitato ecumenico propose di dedicare l’anno giubilare della Confederazione al modello biblico dell’anno di grazia (3 Mosè 25); e ad ingresso di quest’anno di grazia fu letto ufficialmente a Berna, il 24 novembre 1990, un messaggio carico di significati. Tuttavia, proprio nel bel mezzo dell’anno di grazia, la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera rinunciò a prolungare il mandato del suo comitato per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. Un gruppo ad hoc accompagnò l’anno in questione fino alla fine; pure l’ufficio di coordinamento lavorò fino alla conclusione dell’anno di grazia, dovendosi però procurare da solo i mezzi finanziari necessari. Persino l’Assemblea ecumenica europea che seguì quella di Basilea, svoltasi a Graz nel 1997 sul tema “Riconciliazione – dono di Dio e sorgente di vita nuova”, riscosse in Svizzera un interesse limitato. L’ecumenismo in un contesto internazionale Ci furono altre manifestazioni ecumeniche non del tutto ignorate in Svizzera, almeno e soprattutto in seno alle Chiese, dove riscuotevano una certa risonanza. Tuttavia il loro effetto era piuttosto modesto. Sarebbero da menzionare gli Incontri ecumenici europei tra la Conferenza delle Chiese Europee (KEK) ed il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE). Entrambe hanno le loro sedi in Svizzera ed erano sempre in collegamento con la Svizzera grazie a stretti contatti personali. La Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera era entrata in una relazione più stretta con il Consiglio ecumenico delle Chiese, e questo a titolo di “Associated Council” (= Consiglio associato). Il Consiglio ecumenico si obbligò così, secondo gli statuti, ad informare la Comunità di lavoro su evoluzioni importanti 14 dell’ecumenismo e di consultarla in caso di progettazione di programmi. La Comunità ritiene che questa forma di associazione al Consiglio ecumenico sia un impegno approfondito e un segno vincolante di un’unità delle Chiese. L’occuparsi della “Charta ecumenica” fu considerata dalla Comunità di lavoro quale oggetto di grande attualità. La IIa Assemblea Ecumenica Europea aveva suggerito di elaborare una “Charta oecumenica” che avrebbe dovuto esporre le direttive per le relazioni tra le Chiese in Europa. Il documento definitivo fu ratificato in un incontro poco dopo Pasqua 2001. Le Chiese associate alla Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera firmarono la Charta il 23 gennaio 2005, domenica di preghiera per l’unità dei cristiani. Alla celebrazione solenne nella collegiale di St-Ursanne parteciparono i responsabili della Comunità di lavoro e con loro Keith Clements, segretario generale della Conferenza delle Chiese Europee (KEK), ed il vescovo Amédée Grab, presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE), entrambi rappresentanti di quelle organizzazioni che avevano elaborato la Charta oecumenica. Il vescovo Amédée Grab, anche presidente della Conferenza dei vescovi svizzeri, accentuò nella sua omelia: “Noi firmiamo la Charta per andare avanti: nella vita di ogni Chiesa, nella responsabilità comunitaria, nella fedeltà verso Gesù Cristo il quale regna su di noi tutti mediante la forza del suo amore”. I vescovi svizzeri reagivano spesso agli avvenimenti e alle vicende ecumeniche delle Chiese sparse per il mondo tramite dichiarazioni proprie. Così, per esempio, nel 1993 pubblicarono un Vademecum che si riferiva al nuovo Direttorio ecumenico apparso 10 anni dopo il Codice di diritto canonico (CIC 1983).36 Consultazioni Negli anni `90 diverse iniziative ecumeniche presero maggiormente in considerazione le esigenze delle Chiese reali ed il parere dei rispettivi membri. Su suggerimento della Commissione di dialogo evangelica/cattolico-romana, l’Istituto Svizzero di sociologia pastorale (SPI = Schweizerisches Pastoralsoziologisches Institut) insieme con l’Istituto per l’etica sociale della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera (ISE = Institut für Sozialethik) elaborarono un progetto sostenuto dal Fondo nazionale sulla “Pluralità delle confessioni, religiosità evasiva e identità culturale nella Svizzera”. Dei risultati pubblicati nel 1993 con il titolo “Ogni persona un caso particolare?”37 si interessò pure la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera, che nella primavera del 1994 decise di avanzare con il processo di riflessione comunitaria attorno alla tematica “Tramandare la fede”. Con le medesime parole fu intitolata una carta programmatica la quale, dopo aver delineato il problema, doveva spronare la riflessione su questa tematica. Un successivo documento riassunse tutte le prese di posizione presentando “una prospettiva generale delle reazioni sulla carta programmatica”. Per inquadrare i diversi aspetti della tematica, la Comunità di lavoro invitò alla Consultazione ecumenica “Tramandare la fede”, che si riunì dal 3 al 5 ottobre 1997 a Delémont. Da questa consultazione sorsero tesi di sintesi di tutti gli argomenti discussi per più di due anni. Queste tesi furono a loro volta dibattute e rimaneggiate da un gruppo di lavoro. Il testo pubblicato38 riflette, in una certa maniera, qualcosa della visione comunitaria delle Chiese aderenti alla Comunità di lavoro e che erano interessate a questo processo di riflessione. Ma non si può dire che abbia avuto una notevole risonanza. La seconda Consultazione fu convocata dalla Conferenza dei vescovi svizzeri e dalla Federazione delle Chiese protestanti e diede origine ad un appello di carattere socio-economico lanciato dalle Chiese sotto il titolo “Insieme verso l’avvenire” 36 Lesehilfe zum neuen Ökumenischen Direktorium, pubblicato in: SKZ 161(1993), n. 51-52, pag. 730ss Alfred Dubach, Roland J. Campiche (editori): Jede(r) ein Sonderfall? Religion in der Schweiz. Zurigo e Basilea 1993. 38 In: SKZ 166 (1998), n. 3, pag. 34-38. 37 15 (“Miteinander in die Zukunft”). Già nel 1994 ne furono sviluppate le prime linee nel corso di una riunione della Conferenza dei vescovi con la Commissione nazionale Justitia et Pax (che festeggiava allora il suo 25esimo anniversario). Nell’anno successivo la Commissione, insieme con altre organizzazioni associate, organizzò un’inchiesta per valutare la possibilità di un processo consultativo sulle questioni sociali. Ne scaturì la necessità di sviluppare tale progetto in forma ecumenica e mediante una procedere graduale. L’Istituto di Etica sociale della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera fu invitato a partecipare ai lavori preparatori. Nel settembre 1997 la Conferenza dei vescovi e il Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti decisero di organizzare una Consultazione ecumenica su questioni sociali ed economiche che sarebbe durata due anni. Si voleva invitare a parteciparvi tutta la popolazione. Base per le discussioni era la pubblicazione “Quale avvenire desideriamo?” (“Welche Zukunft wollen wir?”). Questo vademecum per le discussioni si fondava su una teologia e su un’opzione di Regno di Dio e vi affiorava una teologia empirica di carattere obbligante (commitment), caratteristica che sollevò forti obiezioni. Sino alla fine del mese di ottobre 1999, data di conclusione ufficiale della procedura di consultazione, vennero inoltrate 1'047 petizioni, di cui tre quinti elaborate da gruppi. Il 1° settembre 2001 si concluse a Berna con una celebrazione solenne nella chiesa Offene Heiliggeistkirche la Consultazione ecumenica sull’avvenire sociale ed economico della Svizzera. In un quadro all’altezza dell’avvenimento, interlocutrici ed interlocutori provenienti da politica, economia e società civile accolsero la “Voce delle Chiese” (“Das Wort der Kirchen”) “Insieme verso l’avvenire” (“Miteinander in die Zukunft”) ed espressero la propria approvazione. Quindici giorni più tardi, in occasione della Festa federale di ringraziamento, penitenza e preghiera, la Voce delle Chiese fu ripresa come filo rosso delle celebrazione in numerose parrocchie cattoliche e comunità evangeliche. Inoltre la Conferenza dei vescovi e la Federazione delle Chiese protestanti emanarono una Lettera pastorale ecumenica per il Digiuno federale rivolta a tutti gli abitanti del Paese e con lo scopo di dare “coraggio per incamminarsi”. Insieme e separati Non soltanto il fatto che le Chiese e le comunità cristiane in Svizzera dessero il loro contributo all’esposizione nazionale 2002 ma anche come lo realizzarono, era orientato al futuro. La loro presenza dal titolo “Un ange passe” sull’arteplage di Morat, come anche le giornate dedicate a diverse tematiche furono concepite e realizzate dall’associazione ESE.02. Fondata nel dicembre 1996, ne facevano parte 14 Chiese ed associazioni cristiane. Un altro progetto importante, il “progetto millenario” dal titolo “Perle della speranza”, ideato dalla Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera, non poté invece realizzarsi per problemi strutturali e finanziari. Un ulteriore progetto, cui aveva dato inizio la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane, si tramutò in un gruppo di lavoro legato alla Conferenza dei vescovi e alla Federazione delle Chiese protestanti: il gruppo di lavoro ecumenico “Nuovi movimenti religiosi in Svizzera” (NMR). Oltre agli importanti accordi che si sono verificati nel corso delle Consultazioni e della rappresentazione presso la Expo.02, gli anni successivi al 1995 furono caratterizzati dalla ricerca di chiarire e consolidare la propria identità confessionale. Così il Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera approvò nel 1995 il documento di base “Linee fondamentali dell’attività ecumenica da parte della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera” (Grundlinien ökumenischen Handelns im Schweizerischen Evangelischen Kirchenbund”), che nota non soltanto come l’ecumenismo abbia condotto a risultati positivi, ma constata anche nuove 16 condizioni: il declino irresistibile del confessionalismo, l’ovvio amalgamarsi delle confessioni nella vita di ogni giorno (dai matrimoni composti di due confessioni ai diversi settori del lavoro pastorale specializzato), ed infine le sfide sociali ed etiche comuni a tutte le Chiese. Si definisce l’ecumenismo “prima di tutto come un impegno ad andare in cerca di vie che sfocino in un accordo ed nell’approfondimento della comunione tra le Chiese, le confessioni, i gruppi ed i movimenti in quanto tali nell’oggi”. Così la Commissione di dialogo evangelica/cattolico-romana ricevette l’incarico, nell’aprile 1994, di esaminare se nella vita quotidiana e nella teologia si fosse verificato un cambiamento così importante da richiedere la sostituzione delle norme del 1979 sulla Santa Cena comunitaria e sull’Eucaristia. Nel settembre 2000, dopo un lavoro di alcuni anni, la Commissione poté consegnare la sua documentazione sull’“Ospitalità eucaristica” al Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti ed alla Conferenza dei vescovi. Questo documento non ottenne però il beneplacito dei vescovi e la Commissione di dialogo rivendicò un nuovo incarico39. Il fatto che le Chiese nazionali cercassero di profilarsi l’una di fronte all’altra apparve evidente non soltanto in occasione delle esternazioni senza fronzoli con cui il nuovo vescovo della Chiesa cristiano-cattolica criticò la Chiesa cattolico-romana, ma anche nel contesto delle votazioni del 2001 sull’abolizione del così detto articolo sulle diocesi, che vide le altre Chiese rimanere a distanza. E di nuovo si manifestò, anche se in altre condizioni, quando si votò sulla soluzione dei termini (2002) e sulla legge sul partenariato registrato (2005). „La cooperazione è la normalità, l’azione individuale è un’eccezione“ Quando si guarda alla storia del pensiero ecumenico ed alla strada che l’ecumenismo ha percorso in Svizzera, si può constatare un’evoluzione che da un modus vivendi uno contro l’altro è passata a quello di uno accanto all’altro, raggiungendo l’ uno insieme con l’altro. La coesistenza, nel senso di uno insieme con l’altro però, da un lato, non si concretizza nella realtà della Chiesa con tutte le possibilità che le norme canoniche concedono, d’altro lato, oltrepassa in certi casi ciò che è accettato dal diritto canonico e teologicamente realizzabile. Ciò causa irritazioni da parte di cattolici preoccupati che lamentano un pasticcio ecumenico. In una situazione come questa, il presidente del consiglio della Chiesa evangelica riformata del Canton Zurigo ed il vicario generale cattolico-romano si rivolsero congiuntamente alle comunità evangeliche riformate ed alle parrocchie cattolico-romane nell’autunno 1997 con una “lettera pastorale per la Festa federale di ringraziamento”, intitolata “Collaborazione ecumenica” 40. In questo documento si legge: “Manifestazioni ed iniziative ecumeniche nel Canton Zurigo sono diventate un’abitudine e qualcosa di naturale grazie ad una prassi di lunghi anni. Forse vengono adesso considerate una cosa troppo naturale, tanto che non possiamo più stimare in maniera adeguata il loro valore ed il loro significato. Tanto viene realizzato, ma sarebbe possibile ancora di più rispetto alle norme attualmente in vigore. Ma ci sono anche desideri ecumenici che non si lasciano soddisfare finché non abbiamo raggiunto la meta della vera unità delle Chiese”. Questa caratterizzazione generica della situazione nel Canton Zurigo potrebbe corrispondere al resto della Svizzera, pur tenendo conto delle particolarità di ogni regione. Già all’alba del Vaticano II°, ma anche durante il Concilio e soprattutto negli 39 Frank Jehle: Eucharistische Gastfreundschaft: Ein Thema der Evangelisch/Römisch-katholischen Gesprächskommission, in: Barbara Brunner/Susanne Scheeberger Geisler/Kristen Jäger, Mache den Raum deines Zeltes weit. Internationale ökumenische Konferenzen der neunziger Jahre. Bilanz – Impulse für die Weiterarbeit, Berna 2002, pag. 135-139. 40 Documentata in SKZ 165 (1997), n. 39, pagine 578s. 17 anni seguenti si realizzarono iniziative ecumeniche ad ogni livello e praticamente in tutti gli ambiti. Retrospettivamente diventa ovvio come questo risveglio ecumenico era accompagnato da iniziative in altri ambiti dell’attività ecclesiale e come questo risveglio avveniva in un’epoca in cui la Svizzera passava da un dopoguerra stabile a una fase di rinnovamento politico in epoca di alta congiuntura economica. Già nel 1964 un gruppo di lavoro del Seminario diocesano di Coira elaborò materiali per la celebrazione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani nelle parrocchie e negli ambienti ecumenici. Gli studenti di teologia di tutte le università cominciarono a riunirsi ogni anno sotto il nome “Interfac”, e teologi e teologhe che insegnavano alle università o erano attivi nella pastorale fondarono il 12/13 dicembre 1964 la Società svizzera di teologia (Schweizerische Theologische Gesellschaft). Questa associazione di taglio interconfessionale è oggi membro dell’Accademia svizzera di scienze morali e sociali, con lo scopo di far sentire la voce della teologia. Adempiere insieme i medesimi doveri In seguito si cominciò a stabilire una collaborazione in tutti i campi della formazione teologica, del ministero pastorale e dell’aggiornamento professionale. Le facoltà di teologia riconosciute dallo Stato quali istituti universitari si unirono alla Conferenza delle Facoltà di Teologia della Svizzera con lo scopo di favorire lo scambio, la mobilità e l’interazione tra le diverse facoltà teologiche. Inoltre si intendeva far sentire la loro voce unitaria presso le università, le autorità politiche, le Chiese e la società. Per approfittare di sinergie, le facoltà e gli istituti di formazione sviluppavano diversi modi di cooperazione. Nello stesso senso cominciavano a collaborare pure gli istituti ecclesiastici per la formazione permanente. Le persone che lavorano nella pastorale specializzata si organizzarono logicamente in associazioni ecumeniche, come l’Associazione svizzera dei professori di religione (Verband Schweizerischer Religionslehrer, fondata nel 1971), il Gruppo ecumenico di lavoro per questioni concernenti le persone andicappate (Ökumenische Arbeitsgruppe für Behindertenfragen), la Comunità di lavoro Pastorale e Consulenza (Arbeitsgemeinschaft für Seelsorge und Beratung), e la Comunità ecumenica di lavoro per la pastorale d’urgenza in Svizzera (Ökumenische Arbeitsgemeinschaft Notfallseelsorge Schweiz, fondata nel 2002). I risultati già raggiunti sono assai positivi non soltanto nel campo della formazione ma pure in quello della ricerca teologica: merita una menzione la Storia ecumenica delle Chiese in Svizzera41. Per sostenere in maniera più efficace i loro interessi rispetto alle Chiese ed alla società, le diverse opere assistenziali ecclesiastiche, come il Sacrificio quaresimale e Pane per i fratelli, cominciarono a collaborare. Non ci si limitava però soltanto ad interagire in campo socio-politico attorno allo sviluppo sostenibile, ma si rese possibile una vera e propria collaborazione tra le varie opere. La Cooperazione delle Chiese e missioni evangeliche (KEM = Kooperation Evangelischer Kirchen und Missionen) e la Conferenza delle missioni della Svizzera tedesca e retoromancia e del Liechtenstein (Missionskonferenz der deutschen und romanischen Schweiz und Liechtenstein) iniziarono a svolgere assieme corsi informativi nelle scuole. Nell’autunno 1984 l’Opera internazionale cattolica Missio (Internationales Katholisches Missionswerk Missio) e la KEM, sostenuta dalle Chiese evangeliche nella Svizzera tedesca, retoromancia ed italiana, si presentarono insieme al pubblico. Con un appello comunitario si volle affermare che la Chiesa cattolica e le Chiese evangeliche con le rispettive opere missionarie “erano legate alla medesima missione di Gesù nel mondo”. “Dare una testimonianza della forza del Vangelo mediante la parola e la vita: questo è il fine comune a cui servono le opere missionarie cattoliche ed evangeliche tramite le loro Ökumenische Kirchengeschichte der Schweiz, pubblicata nel 1994 per incarico di un gruppo di lavoro da Lukas Vischer, Lukas Schenker e Rudolf Dellsperger. 41 18 campagne d’informazione e le loro iniziative”. Grazie a questo sviluppo si rileva che ultimamente l’Annuario svizzero delle missioni (Missionsjahrbuch der Schweiz) è stato pubblicato su base ecumenica dalla Conferenza delle missioni della Svizzera tedesca e retoromancia e dal Consiglio missionario evangelico svizzero. Presentarsi insieme al pubblico A lungo termine la collaborazione missionaria non si sviluppa con la stessa efficacia come la collaborazione ecumenica nell’ambito dei media, soprattutto nella Svizzera tedesca. Ciò risulta innanzitutto da condizioni strutturali, poichè il Servizio cattolico per i media (Katholischer Mediendienst) trova la sua struttura corrispondente nei media riformati (Reformierte Medien, già Evangelischer Mediendienst). Nel quadro del Gruppo ecumenico dei media forniscono insieme diversi servizi. Quanto ai temi sociali e alla pastorale le due Chiese maggiori si impegnano, affiatate da anni, in un servizio comunitario come le cappellanie presso l’esercito, negli ospedali e nelle carceri. In diverse località hanno fondato servizi ecclesiastici comuni o parrocchie specializzate (Consulenza matrimoniale, parrocchia industriale, cappellania specializzata per gli ammalati di AIDS, ecc.). Nelle scuole la collaborazione si sviluppò dapprima nell’ambito dell’insegnamento religioso. L’autorità scolastica cantonale creò e crea ancora diverse condizioni per la collaborazione: sia nell’insegnamento ecumenico insieme con la Chiesa evangelica riformata che nell’insegnamento interreligioso in cooperazione con le Chiese e la scuola. In molte sedi di scuola media non soltanto l’insegnamento si svolge su base sia ecumenica che interreligiosa ma anche la pastorale diretta agli allievi, sia in sede sia fuori scuola. Nella “Lettera pastorale per la Festa federale di ringraziamento” del Canton Zurigo si nota la grande diversità di manifestazioni comunitarie che le comunità riformate e le parrocchie cattoliche svolgono in comune. Nel contempo però si accenna: “Nella vita quotidiana delle nostre Chiese si pensa spesso prima di tutto al proprio lavoro nelle rispettive Chiese e solo dopo ci si chiede quale forma sarebbe da dare all’ecumenismo. Qui necessita un ripensamento per dare nuove energie all’ecumenismo come lo viviamo ogni giorno. Dovremmo chiederci sempre di più per quale motivo un’azione non la realizziamo insieme con la nostra Chiesa sorella. Caso mai che una delle Chiese decida di voler organizzare da sola un’azione separata dall’altra Chiesa si dovrebbe giustificare un tale modo di agire. La cooperazione è la norma, l’agire isolato invece un’eccezione”. Nell’atmosfera effervescente del movimento ecumenico postconciliare si costruirono centri ecumenici, rispettivamente centri parrocchiali ecumenici come Langendorf (Soletta), Kehrsatz (Berna) e Laupen (Berna). Un ruolo d’avanguardia lo ebbe, in questo contesto, la Comunità ecumenica “Ökumenische Haldengemeinde” a San Gallo. L’interazione tra l’ecumenismo vissuto in una località concreta e quello realizzato in istituzioni al di là delle comunità locali si manifesta in azioni comunitarie proposte per esempio dal Sacrificio quaresimale e da Pane per tutti. Ma ci sono altre istituzioni che favoriscono una tale interazione, come le associazioni di donne di entrambe le confessioni che curano l’edizione della rivista “Schritte ins Offene” oppure organizzano ogni anno, nel mese di marzo, la Giornata mondiale di preghiera. Di tanto in tanto, certe Chiese chiedono alle associazioni femminili quale sia il loro profilo confessionale, o se stiano creando o abbiano già creato un movimento “transconfessionale”. La stessa domanda viene fatta insistentemente nei riguardi delle associazioni giovanili come la “Jungwacht” ed il “Blauring” le quali, un tempo di profilo significativamente cattolico, negli ultimi anni hanno accolto sempre di più non soltanto bambini ma anche monitrici e monitori di altre confessioni. 19 Ecumenismo oppure tramonto confessionale? In questo contesto si pone la questione generale di quale sia l’importanza dell’appartenenza ad una confessione; una questione che emerge soprattutto nell’ambito delle ricerche in sociologia della religione. Ecco per esempio la ricerca sui valori pubblicata dall’Istituto di Sociologia pastorale e in seguito quella su “Ogni persona un caso particolare?”42. Analizzando l’intreccio della religiosità con tutti gli altri aspetti di una vita, si osserva un continuo calo del confessionalismo43. Secondo i risultati di questa ricerca un ecumenismo che riguardi le particolarità dottrinali delle rispettive Chiese sembra essere piuttosto un impegno proprio di teologhe e teologi, di persone con un ministero ecclesiastico e di quella minoranza di membri di una Chiesa cui stanno a cuore tanto l’identità confessionale quanto l’apertura ecumenica. Rispetto alla maggioranza dei fedeli sembra notare un continuo venir meno sia dei legami tradizionali con la Chiesa sia del carattere vincolante della fede cristiana che si esprima con un profilo confessionale. La preoccupazione di voler consolidare l’identità delle confessioni sarebbe oggi da considerare più una premessa che una minaccia per il progredire dell’ecumenismo, anche se non si può negare che, in cerchie molto religiose, esiste il pericolo di voler ripristinare il confessionalismo44. In ogni Chiesa ed in ogni comunità ecclesiale si possono osservare velleità di confessionalismo: così da parte protestante nelle cerchie evangelicali dove il confessionalismo si tinge spesso di anticattolicesimo. E’ tanto più rallegrante dunque costatare come i responsabili per l’ecumenismo di movimenti, siano essi cattolici o non cattolici, si incontrano allargando così il fondamento dell’ecumenismo45. Voler imparare in campo ecumenico richiede tuttavia la disponibilità a voler imparare all’interno delle rispettive confessioni, in un camminare assieme delle Chiese a fianco dei movimenti religiosi. Rolf Weibel V. la nota n. 37. Schweizerisches Pastoralsoziologisches Institut (Hrsg.), Lebenswerte. Religion und Lebensführung in der Schweiz, SPI-Publikationsreihe, volume 6, Zurigo 2001. 44 Cfr. Rolf Weibel, Der Ökumene verpflichtet, in : SKZ 172 (2004) 477s. 45 Cfr. Rolf Weibel, Geistliche Erneuerung Europas, in SKZ 172 (2004), pag. 424-428. 42 43 20 Situazione nella Svizzera Romanda In tutti i cantoni e diocesi le commissioni di dialogo preparano la “Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani” nel mese di gennaio: celebrazioni quotidiane durante la settimana ed una celebrazione comunitaria la domenica. Nella maggioranza delle città si incontranto pure foyers misti e gruppi di preghiera. Le situazioni sono comunque molto diversificate secondo che si tratti di località a forte maggioranza cattolica o di regime misto. I centri universitari di Ginevra e di Losanna hanno pure un ruolo importante, benché una gran parte delle loro attività vada oltre le frontiere cantonali ed anche nazionali. DIOCESI DI SION Come ovunque, l’impegno ecumenico nella diocesi è segnato nelle parrocchie dalla preparazione e dallo svolgimento della “settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” e dalla festa del Digiuno federale. Gruppi ecumenici sono organizzati a Martigny ed a Monthey; una collaborazione ecumenica si è instaurata a Sion per i Restaus du coeur (=ristoranti del cuore). Una volta all’anno il consiglio sinodale della Chiesa evangelica riformata incontra il consiglio episcopale. La diocesi di Sion, l’abbazia territoriale di SaintMaurice e la Chiesa evangelica riformata del Vallese hanno pubblicato nel 2003 una Guida ecumenica, che ricorda i trent’anni della commissione vallesana di dialogo ecumenico e la Guida ecumenica del 1982, alla quale è stato aggiunto un annesso sul “Bambino protestante nella scuola pubblica vallesana”, l’opuscolo sulla preparazione al matrimonio delle coppie miste e la legge del 13 novembre 1991 che regge i rapporti tra Chiese e Stato nel Canton Vallese. Questa legge garantisce la libertà di coscienza, di credo e libero esercizio del culto (art. 2 §1) e riconosce lo statuto di diritto pubblico alla Chiesa cattolico-romana e alla Chiesa riformata evangelica (art. 1 §1). La guida tratta delle “liturgie ecumeniche”, dei “matrimoni misti”, della “formazione cristiana” (a scuola, nelle catechesi e nella formazione degli adulti), della “diaconia” e della “testimonianza”. E’ stata firmata da mons. Norbert Brunner, vescovo di Sion, mons. Joseph Roduit, abate di Saint-Maurice e da Christian Adrian, presidente del consiglio sinodale dell’EREV (Chiesa riformata evangelica del Vallese)46. La forte proporzione dei cattolici nel Canton Vallese (85%) dà una minor urgenza alle questioni ecumeniche che nel bacino del Lemano. DIOCESI DI BASILEA Nel Giura pastorale (parte francofona della diocesi di Basilea) la collaborazione ecumenica è una tradizione antica. Annoveriamo celebrazioni, pellegrinaggi, cammini e cappelle dell’unità; la collaborazione nel quadro della Comunità di lavoro delle Chiesa del Giura per la preparazione della settimana dell’unità; i gruppi di preghiera che riuniscono ogni mese protestanti e cattolici, per l’influenza della comunità monastica di Taizé e del convento delle carmelitane di Develier, dove si trova anche un eremo protestante; la collaborazione tra preti e laici. Tutti fattori che fanno dell’ecumenismo una realtà quotidiana47. DIOCESI DI LOSANNA, GINEVRA, FRIBURGO Nel Canton Neuchâtel 46 47 Redatto sulla base di una comunicazione del vicario generale Robert Mayoraz. Comunicazione orale del canonico Edgard Imer. 21 Da decenni l’ecumenismo è stata una caratteristica della vita delle Chiese nel Canton Neuchâtel. La piccola estensione del cantone che favorisce le relazioni interpersonali, la legge di separazione di Chiesa e Stato del 1942 hanno spinto i cristiani a collaborare sul piano delle parrocchie. Incontri e celebrazioni sono frequenti tra la Chiesa riformata evangelica neocastellana (EREN) e la Chiesa cattolico-romana. Essi sono più rari con la Chiesa cristiano-cattolica, che ha una sola parrocchia con sede a La Chaux-de-Fonds. Le relazioni con il movimento evangelico sono più difficili ma si sviluppano a poco a poco con certe comunità. Sul piano cantonale il concordato tra lo Stato e le tre Chiese riconosciute (Chiesa cattolico-romana e Chiesa cristiano-cattolica) è stato firmato separatamente con ognuna delle Chiese nel 1943. Il nuovo concordato è stato sottoscritto con le tre Chiese in comune il 2 maggio 2001. Il centro di catechesi è ecumenico dalla sua fondazione all’inizio degli anni ’70. E’ diventato centro ecumenico di documentazione (COD) a seguito d’una convenzione firmata tra l’EREN e la Chiesa cattolico-romana nel gennaio 2004. Il Sinodo dell’EREN invita due delegati cattolici alla sua sessione sin dal 1976. La Caritas cantonale e il centro sociale protestante (CSP) intrattengono strette relazioni dal 1968. Dal 1983 il messaggio delle Chiese per il Digiuno federale è pubblicato in comune. Dal 1985 le istanze responsabili delle tre Chiese si riuniscono al ritmo di una sessione ogni due anni. Dal 1987 la parola di fede settimanale nei giornali locali è assicurata dalle Chiese. Da molto tempo un pastore dell’EREN partecipa alla sessione pastorale annuale dei preti e degli agenti pastorali della Chiesa cattolica. Regolari incontri hanno luogo tra il vicario episcopale cattolico e la presidentessa del consiglio sinodale dell’EREN. Ogni quindici giorni è diffusa un’emissione prodotta dalle tre Chiese sulla TV regionale “TV ALPHA”. Diverse attività pastorali, cantonali e regionali, sono realizzate in modo ecumenico (pastorale della salute; movimento dei pensionati; formazione degli adulti ecc.). Per animare tutte queste relazioni un Sinodo ecumenico si è tenuto nel cantone dal 1981 al 1986. Si tratta dell’ASOT: l’assemblea sinodale ecumenica temporale. Riunendo le tre Chiese e senza potere decisionale, quest’assemblea (sul modello del Sinodo cattolico ’72) ha trasmesso i suoi auspici alle Chiese. Per prolungare questo slancio, è stata costituita la COTEC-NE (comunità di lavoro delle Chiese cristiane nel cantone di Neuchâtel), composta dai delegati delle tre Chiese riconosciute e da due comunità di tendenza evangelica48. Nel Canton Friburgo Esiste una Commissione cantonale di dialogo tra la Chiesa cattolico-romana e la Chiesa evangelica riformata nel canton Friburgo. La Chiesa ortodossa vi è rappresentata da un osservatore. E’ stata creata nel 1980 ed ha avuto il ruolo di interlocutore unico delle Chiese nei negoziati con lo Stato sulle questioni miste come l’insegnamento religioso nelle scuole, la formazione degli insegnanti di religione e la cura pastorale. In seguito ha allargato il suo mandato diventando uno strumento di dialogo tra le Chiese. Si occupa anche della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, degli Incontri tra preti, pastori, diaconi, assistenti e assistenti pastorali prima della settimana dell’unità, della celebrazione del digiuno federale (ogni due anni una celebrazione della parola sostituisce la messa in cattedrale) come pure di manifestazioni occasionali, per esempio l’esposizione consacrata a Nicolao della Flüe nel 2003, un’esposizione biblica o attività inerenti al Centro sant’Ursula di Friburgo. La Commissione intrattiene relazioni con altre Chiese: regolari con la Chiesa avventista; più sporadiche con le Chiese evangeliche. 48 Sulla base del rapporto dell’Abbé Roger Noirjean. 22 Inoltre sono organizzate altre attività: scambi per la predicazione, gruppi ecumenici di lingua tedesca del Grand-Fribourg, lectio divina, gruppi biblici, gruppi di foyers misti (oggi organizzati in Associazione svizzera), preghiere ecumeniche del primo martedì del mese al centro sant’Ursula. In certe aree, come nella regione di Morat/Vully/Bellechasse, la collaborazione è molto regolare (celebrazioni, incontri, dibattiti). Nel canton Friburgo i cattolici sono nettamente maggioritari (70%) ma i riformati formano una minoranza importante (14%), soprattutto nella regione di Morat. Gli ortodossi, piccola minoranza (1%) sono, nonostante ciò, organizzati in parrocchia. Nell’insieme del cantone, le relazioni sono di buona qualità ma d’intensità diversa secondo i luoghi, le comunità e specialmente secondo l’impegno delle parrocchie. Questo può spiegare il fatto che da un lato i cattolici (preti e fedeli) non considerino sempre la collaborazione ecumenica come un compito prioritario e che, d’altro lato, in tutte le Chiese la collaborazione si basa meno sull’esistenza di strutture (tuttavia necessarie) che sul coinvolgimento appassionato di alcuni, ecclesiastici e laici. Si fa sentire oggi la necessità di un luogo cantonale (consiglio o raduno) dove si ritrovino i rappresentanti di tutte le Chiese e comunità cristiane del cantone. L’Istituto di studi ecumenici dell’Università di Friburgo. L’Istituto di studi ecumenici - fondato nel 1964 dal prof. Stirnimann o.p., nello spirito del decreto “Unitatis Redintegratio”, quando il Concilio non era ancora terminato - fu integrato nella Facoltà di teologia dell’Università di Friburgo con l’approvazione della Conferenza dei vescovi svizzeri. L’Istituto può godere, sin dai suoi inizi, dell’appoggio dell’opinione pubblica, dello Stato e dell’Università ed è sostenuto finanziariamente, alla sua creazione, dal Fondo nazionale svizzero della ricerca scientifica. L’Istituto trova allora alloggio, con biblioteca ed aule di corso, al n° 262 di rue de Morat. Ha subito invitato una serie di professori di confessione riformata per dare conferenze ed instaurare corsi regolari di iniziazione all’ecumenismo alla facoltà di teologia. Questi corsi sono ora integrati nel cursus obbligatorio degli studenti di teologia. Vi si aggiungono corsi speciali organizzati per gli studenti più particolarmente interessati alla materia. Un Premio istituito dal Prof. Jean-Louis Leuba ricompensa ogni anno il miglior lavoro scientifico nel campo della teologia ecumenica. Orientato prioritariamente ai suoi inizi verso le Chiese protestanti, l’Istituto attualmente diretto dal prof. Guido Vergauwen, o.p. ha allargato il suo campo di azione alle Chiese ortodosse. Nella tradizione del principe Max di Sachsen, di Raymond Erni, Christoph Schönborn e Iso Baumer si sono sviluppati l’insegnamento e la ricerca sull’ortodossia e la teologia ortodossa. Il prof. Boris Bobrinskoy, decano dell’Istituto di teologia ortodossa San Sergio di Parigi, è stato nominato dottore honoris causa della Facoltà. Mons. Hilarion Alfeyev, vescovo della Chiesa russo-ortodossa per l’Austria e l’Ungheria e rappresentante del patriarcato di Mosca presso le Istituzioni europee, è libero docente della facoltà nella sezione dogmatica. Con l’aiuto del Fondo nazionale svizzero, l’Istituto prepara una traduzione in tedesco dell’economista, filosofo e teologo russo ortodosso Sergij Boulgakov (1871-1944). L’Istituto accoglie attualmente una ventina di studenti provenienti dall’Est (Romania, Russia, Bielorussia, Ucrania, Bulgaria, Serbia, Armenia, Georgia) e collabora con l’Istituto di teologia ortodossa di studi superiori di Chambésy vicino a Ginevra, che invia i suoi borsisti alla Facoltà protestante di Ginevra ed alla Facoltà cattolica di Friburgo, oltre che ai propri corsi. L’Istituto friborghese è in partenariato scientifico con la Facoltà di teologia ortodossa di Minsk, l’Accademia di teologia moscovita di Sergiev Posad, l’Istituto di teologia ortodossa di San Sergio di Parigi e l’Istituto per le Chiese orientali di Ratisbona. L’Istituto dispone di una Rivista Ökumenische Beihefte/Cahiers oecuméniques, e di una piccola serie Ökumenische Wegzeichen/Repères oecuméniques. Organizza escursioni (per esempio: regolarmente 23 al Consiglio ecumenico delle Chiese a Ginevra) e viaggi di studio in differenti Paesi specialmente dell’Est ed offre una formazione continua nel campo dell’ecumenismo. Nell’ambito della nuova organizzazione degli studi secondo il sistema di Bologna, l’Istituto offre, in collaborazione con altri istituti partners, una formazione al Master “Théologie dans l’horizon oecuménique”. Appartengono al Direttorio dell’Istituto i professori della Facoltà interessati alle questioni ecumeniche, come pure gli assistenti, gli studenti e i rappresentanti delle Chiese riformate, ortodosse e dell’antico oriente in Svizzera. Membri dell’Istituto sono attivi sul piano nazionale ed internazionale negli organismi ecumenici: il prof. Guido Vergauwen dirige la Commissione ecumenica della Conferenza dei vescovi svizzeri; la prof. Barbara Hallensleben è vice-direttrice dell’istituto interfacoltà per l’Europa centrale ed orientale dell’Università di Friburgo, copresidente della commissione di dialogo ortodossa/cattolico-romana della Conferenza dei vescovi svizzeri, membro della commissione ecumenica “Foi et Constitution” del Consiglio ecumenico delle Chiese e consultrice del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani. I professori Vergauwen ed Hallensleben sono osservatori del CCEE (Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee) presso la Commissione “Eglises en dialogue” della Conferenza delle Chiese europee; sono stati insigniti nel febbraio 2004 dell’Ordine di san Nestore e dell’Ordine di santa Barbara della Chiesa Russa Ortodossa del Patriarcato di Mosca in Ucraina, per il loro impegno a favore dell’ortodossia. Il prof. Vergauwen ha ricevuto nel giugno 2005 il dottorato honoris causa della Facoltà di Teologia ortodossa dell’Università di Bucarest. Nel Canton Ginevra Qualche data: Nel 1907 la soppressione del budget dei culti instaura una separazione di fatto tra Chiesa e Stato e vede il riconoscimento da parte dello Stato della Chiesa nazionale protestante, della Chiesa cristiano-cattolica e della Chiesa cattolico-romana. La visita del cardinale Augustin Bea al Consiglio ecumenico delle Chiese, durante il Vaticano II°, segna una svolta decisiva per il riconoscimento da parte cattolica dell’identità delle Chiese sorte dalla Riforma protestante. Il 18 marzo 1971, dopo sei anni di discussioni, è stata creata il RECG (Unione delle Chiese e Comunità cristiane di Ginevra) che raggruppa la maggioranza delle Chiese rappresentate all’epoca nella città ad eccezione delle Chiese evangeliche. La presidenza è assicurata ogni quattro anni da un responsabile di una delle tre Chiese ufficiali. Appartengono al suo raggio di attività il dialogo teologico, la settimana per l’unità dei cristiani, gli incontri tra comunità, l’accoglienza delle nuove comunità (recentemente Vineyard, la Chiesa copta etiope ecc.). L’aura internazionale dell’ecumenismo a Ginevra è assicurata dal Consiglio ecumenico delle Chiese che raggruppa le Chiese riformate e ortodosse, esclusa la Chiesa cattolico-romana, l’Istituto ecumenico di Bossey, la Facoltà di teologia protestante di Ginevra (che invita regolarmente insegnanti cattolici), la missione permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni internazionali, il Centro ortodosso di Chambésy. Esiste un “ecumenismo di prossimità” in coppie miste e nelle famiglie; nelle diverse attività sociali: Caritas con il Caré, l’Esercito di salvezza, le cappellanie ecumeniche (prigioni, università, enti medico-sociali, ospedale universitario di Ginevra, le ONG contro la tortura o l’aiuto al terzo mondo, Agorà, cappellaneria ecumenica presso i richiedenti d’asilo, ecc.). Nel 1973 è stato fondato, su iniziativa del Centro protestante di studi e dei gesuiti di Choisir, l’Atelier ecumenico di teologia che offre corsi di due anni per uditori laici ed ecclesiastici. Nel 1984 è stata fondata Radio Cité, la radio delle Chiese di Ginevra che emette quotidianamente. 24 Sul piano istituzionale ci sono incontri regolari fra i tre uffici – gli esecutivi – della Chiesa protestante, della Chiesa cristiano-cattolica e della Chiesa cattolicoromana. Una volta ogni due anni i tre Consigli pastorali si ritrovano per una serata consacrata alle questioni di formazione ed alla convivialità. A livello di tensioni, citiamo i problemi riguardanti l’ospitalità eucaristica, i divorziati risposati, i ministeri, nonché temi come l’aborto, l’eutanasia, l’omosessualità e il ruolo della donna nella Chiesa. Più generalmente ci sono novità di ordine sociologico. Il censimento dell’anno 2000 indicava una proporzione del 16% di protestanti a fronte del 41% di cattolici, una forte percentuale di “senza religione” ed un gran numero di Chiese e di comunità cristiane diverse che riflettono il carattere internazionale della città. Regard sur les Eglises de Genève, edito nel 2000 da RECG, censiva accanto alle tre Chiese ufficiali la Chiesa apostolica d’Armenia, la Chiesa copto-ortodossa, la Chiesa ortodossa rumena, la Chiesa anglicana, la Chiesa americana episcopaliana, la Chiesa evangelica metodista, la Chiesa evangelica luterana, la Chiesa presbiteriana di Scozia, la Chiesa protestante olandese, la Chiesa protestante coreana, la Chiesa valdese d’Italia, la Comunità protestante ungherese di Ginevra, la Chiesa evangelica libera di Ginevra, la Chiesa evangelica di Cologny, la Società religiosa degli Amici (Quakers), l’Esercito della salvezza, senza contare la Chiesa ortodossa russa all’estero e le differenti Chiese battiste, congregazionaliste, pentecostali, avventiste e neoapostoliche49. Nel Canton Vaud Ritroviamo le medesime collaborazioni che negli altri cantoni romandi. Il canton Vaud, da parte sua, riconosce le due Chiese, protestante e cattolica, e si fa carico dei rispettivi ministri. La collaborazione tra le due Chiese ha preso forma di Dichiarazione di collaborazione ecumenica tra il Consiglio sinodale della Chiesa evangelica riformata e il Consiglio della Chiesa cattolica del Canton Vaud, nella quale le due Comunità si impegnano a intensificare la collaborazione ecumenica. La dichiarazione prende nota del pluralismo confessionale in seno a molte famiglie, delle azioni pratiche e profetiche messe a punto in diverse comunità locali, della presenza nello stesso cantone di due Chiese di peso demografico quasi uguale, la scoperta dell’identità cristiana comune e della ricchezza dell’apporto confessionale. Determina quattro modalità possibili di collaborazione: la modalità della pluralità quando le pratiche devono assolutamente essere rispettate; la modalità della fusione quando entità parallele quasi identiche si sono sviluppate e possono essere riunite; la modalità della sussidiarietà quando uno dei partner riconosce le competenze dell’altro in un ambito preciso; e infine la modalità dell’armonizzazione: quando le tre modalità summenzionate non possono essere praticate, si armonizzano ciononostante strumenti e mezzi, accordando all’altro l’esclusività di questo o quell’ambito. Questo testo è stato firmato a Losanna il 20 gennaio 1999. Ne è risultato un documento di applicazione intitolato Orientations 2002 per le cappellanie di ospedali, gli enti medico-sociali, le prigioni, i rifugiati, gli Istituti accademici superiori, le scuole medie, le scuole professionali, gli apprendisti. Jean Blaise Fellay, s.j. 49 Sulla base di un rapporto di P. Louis Christians sj., presidente attuale del RECG. 25 Il movimento ecumenico nel canton Ticino e nella diocesi di Lugano Pur non essendo un fatto scontato, in una realtà di maggioranza confessionale come quella ticinese, il movimento ecumenico ha compiuto numerosi passi in avanti, grazie agli impulsi del Concilio Vaticano II° e del Sinodo ’72. La Commissione diocesana di dialogo ecumenico e la Comunità’ di lavoro delle Chiese cristiane del Ticino ne sono due felici esempi. Tuttavia resta molto da fare per diffondere una mentalità’ davvero interconfessionale. LA COMMISSIONE ECUMENICA Nella Diocesi di Lugano, uno dei frutti del Concilio Vaticano II° e del Sinodo ’72 è stata l’istituzione della Commissione ecumenica diocesana da parte del vescovo Giuseppe Martinoli (30 novembre 1975), dando così seguito a una delle raccomandazioni formulate dal Sinodo quale premessa alla costituzione della Commissione ecumenica del Ticino. Quest’ultima, formata da 12 membri (6 nominati dal vescovo di Lugano e 6 dal Consiglio sinodale di quella che era la Federazione delle Comunità evangeliche riformate del Ticino) si riunì per la prima volta il 6 gennaio 1976 (non sappiamo se sia stato un caso o se fu scelta appositamente la festa dell’Epifania). Da allora, in Ticino, di strada se n’è certamente fatta molta. Dalla diffidenza iniziale e dai pregiudizi tra cattolici e protestanti, si è creato un clima molto più fraterno (anche se, purtroppo, vi sono state e vi sono ancora delle eccezioni), base indispensabile per l’avvio di una proficua collaborazione. Inoltre, la Commissione non poteva rimanere indifferente alla presenza in Ticino di fedeli di altre Chiese cristiane, notevolmente aumentata, per quanto riguarda ad esempio gli ortodossi, in seguito ai rivolgimenti politici che hanno caratterizzato l’Europa orientale all’inizio degli anni Novanta. Già nel 1987, la Commissione ecumenica di dialogo modificò i suoi statuti per dare la possibilità a rappresentanti di altre Chiese o Comunità cristiane, presenti in Ticino, di assistere alle sue riunioni come osservatori. L’invito fu accolto con gioia e interesse, anche per quanto riguarda la partecipazione, diventata regolare dal 1985, di loro ministri o rappresentanti ufficiali alla celebrazione ecumenica organizzata ogni anno in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio). LA COMUNITÁ DI LAVORO DELLE CHIESE Un’altra pietra miliare per l’ecumenismo in Ticino è stata la fondazione ufficiale, il 23 gennaio 2000 nella cattedrale di Lugano, della Comunità di lavoro delle Chiese cristiane nel Cantone Ticino, formata dalle seguenti dieci Chiese: anglicana; apostolica armena; cattolica cristiana; cattolica romana; copta ortodossa; evangelica battista; evangelica riformata; luterana svedese (poi ritiratasi in seguito a una riorganizzazione sul piano svizzero), ortodossa e siro-ortodossa. Questa Comunità di lavoro, che ha sostituito la Commissione ecumenica di dialogo, è stata il frutto della sempre maggiore collaborazione con le Chiese e Comunità cristiane che, in precedenza, erano solo osservatrici. Nel nuovo organismo ogni Chiesa può inviare, a scelta, da uno a quattro delegati, ma sono tutte paritetiche poiché ciascuna può esprimersi con un solo voto. Situazione classica nei consessi ecumenici, le risoluzioni (per le quali è richiesta l’unanimità) hanno carattere consultivo e non possono essere imposte alle Chiese. In ogni caso, la costituzione della Comunità di lavoro è stata il compimento di un iter 26 assai lungo: formazione di un gruppo di lavoro; procedura di consultazione; scrittura e riscrittura degli statuti, loro approvazione dalle autorità delle Chiese e infine firma, da parte di queste stesse autorità o di loro rappresentanti, dell’atto di fondazione. UNA SITUAZIONE IN CRESCITA In linea di massima, la situazione ecumenica nella nostra Diocesi può considerarsi abbastanza soddisfacente, tenuto conto che la Chiesa cattolica che è in Svizzera e, a fortiori, la Diocesi di Lugano, devono attenersi alle direttive di Roma o, se vogliamo, della Chiesa universale: ciò che nel dialogo con i Riformati, in particolare, che hanno un’ecclesiologia completamente diversa, costituisce una delle principali difficoltà. Su un punto, si è andati addirittura oltre quanto prescritto dai documenti vaticani: con un decreto del 31 dicembre 1983, e tuttora in vigore, il vescovo di allora, mons. Ernesto Togni, ha ritenuto di poter dispensare i cattolici dall’obbligo della partecipazione alla Messa quando, nella domenica che cade durante la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, partecipano ad una liturgia ecumenica. D’altra parte, è chiaro però che molte cose restano da fare. In una situazione come la nostra, dove c’è una grande Chiesa maggioritaria (la cattolica-romana) a fronte dell’altra Chiesa riconosciuta di diritto pubblico (l’evangelico-riformata), raramente si riesce a far passare una vera e propria mentalità ecumenica nell’agire quotidiano dei preti e delle parrocchie (anche se Giovanni Paolo II° ha più volte ribadito che l’ecumenismo non è un optional). DUE ASPETTI ANCORA DISATTESI A mio avviso, due punti ritenuti estremamente importanti dal Sinodo ’72 sono stati quasi completamente disattesi: la pastorale delle coppie miste (o interconfessionali, come preferiscono chiamarle i protestanti) e la questione dell’ospitalità eucaristica. Se è vero che per la celebrazione ecumenica del matrimonio non ci sono più problemi (c’è anche una liturgia ufficiale pubblicata in tre lingue nel 1993-1994), per quello che viene dopo in Ticino si è in alto mare. Negli anni passati, un tentativo di pastorale ecumenica per le coppie interconfessionali, con l’assistenza di un prete e di un pastore, allestito dalla Commissione ecumenica di dialogo, è naufragato dopo poche riunioni. Quanto all’ospitalità eucaristica, che interessa di primo acchito proprio chi, nella stessa famiglia, è di confessione diversa, è un punto irrisolto anche a livello di Commissione teologica nazionale di dialogo tra cattolici e riformati. LA QUESTIONE DELL’INSEGNAMENTO RELIGIOSO Un ultimo punto, che è fortemente risaltato nelle riunioni della Comunità di lavoro, è quello relativo all’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche. In una situazione di sempre maggiore “promiscuità confessionale”, si sente l’urgenza di giungere ad un insegnamento religioso ecumenico. Primi passi per tentare di andare in questa direzione, o perlomeno per sensibilizzare gli addetti ai lavori, sono già stati intrapresi dalla Comunità di lavoro. Di questi tempi, si sente spesso dire che l’ecumenismo viaggia a due velocità: quella degli alti livelli e quella sul piano nazionale, regionale e locale, che va molto meglio. È quello che succede, grazie al cielo, anche da noi. Gino DRIUSSI Commissione per l’ecumenismo della Chiesa evangelica riformata nel Ticino (CERT) 27 La commissione è un organo della nostra Chiesa cantonale, nominata dal Consiglio sinodale. Attualmente è composta da 7 membri. Le (i) delegate (i) rappresentano le 3 Comunità membro (Comunità di Bellinzona e dintorni, Comunità di Locarno e dintorni, Comunità del Sottoceneri) e i vari organi della CERT (Consiglio sinodale, Consigli di Chiesa, Capitolo dei ministri, Commissione per l’insegnamento della religione evangelica nelle scuole pubbliche). Dall’interno dei suoi membri, la commissione designa i delegati alla “Comunità di lavoro delle Chiese cristiane del cantone Ticino” (CLCCT). La Commissione per l’ecumenismo della Chiesa evangelica riformata lavora nella forma attuale a partire dall’anno 2000. Anno che vede la nascita della CLCCT, la quale sostituisce la Commissione ecumenica di dialogo, organismo ufficiale della Diocesi cattolica di Lugano e della CERT. Da allora la nostra Commissione per l’ecumenismo funge da anello di collegamento. Da un lato cerca di indicare, sostenere o promuovere iniziative che sorgono all’interno della CERT, dall’altro fornisce ai suoi membri tutte le informazioni che provengono dalla Comunità di lavoro, concernenti le tematiche trattate e le attività programmate. Di tutte queste, elenco solo le manifestazioni che sono diventate ”appuntamenti fissi” sul calendario ecumenico e che sosteniamo volentieri con la nostra collaborazione: - celebrazione per il Festival del film di Locarno; - celebrazione per la Festa Federale; - celebrazione per la Settimana di Preghiera dell’Unità dei Cristiani. Un altro appuntamento che riteniamo importante, visto che il tema “scuola e insegnamento” è scottante, è quello della giornata di formazione per le docenti cattoliche e protestanti. Tutti questi incontri costituiscono una buona occasione per la conoscenza reciproca, fondamentale per il nostro lavoro. Maya ROSSELLI 28 Personalità dell’ecumenismo in Svizzera: Otto Karrer, Johannes Feiner, Heinrich Stirnimann Otto Karrer (1888-1976) Si tratta di una storia drammatica come Otto Karrer divennne un protagonista dell’ecumenismo nella Svizzera tedesca ed inoltre in tutti i paesi di lingua tedesca. Questa via non gli era preconosciuta. C’erano da mettere in conto crisi e rotture nella sua esistenza di sacerdote. La vita lo proiettò fuori dai binari di un’esistenza ordinata di religioso e lo spinse in un’altra direzione che in effetti non corrispondeva ai progetti che si faceva in merito alla sua vita. Otto Karrer, figlio di un piccolo contadino e viticoltore, nacque il 30 novembre 1888 a Ballrechten nei pressi di Staufen nella Foresta Nera. Frequentò il liceo a Friburgo in Brisgovia. Era un giovane dinamico che si dedicava con piacere al lavoro. Entrò 1910 nell’ordine dei Gesuiti ad Innsbruck dove frequentò il noviziato e percorse il lungo iter di studi previsto dalla formazione gesuita. Nel 1920 fu ordinato sacerdote a Valkenburg (Paesi Bassi). I superiori della Compagnia di Gesù si resero conto del suo talento. Gli lasciarono mano libera per la sua attività letteraria. Quando nel 1921 fu pubblicata la sua biografia sulla vita del San Francesco di Borgia se ne parlava con ammirazione nel mondo dei dotti. Ricevette l’incarico di stendere la biografia di un altro gesuita, il cardinale Roberto Bellarmino. Il modo in cui Bellarmino nel ‘700 si esprimeva riguardo ai protestanti provocò scandalo in Karrer che era cresciuto nel Markgräflerland, una zona confessionalmente paritetica, e abituato a vivere in buone relazioni con i protestanti. Il fatto che lui non lo accettasse e che era intenzionato a criticarlo causò una discordia con i superiori della comunità. Reagì con emozione ed entrò in un seminario di pastori protestanti a Norimberga. Ma dopo poche settimane si accorse che ivi si strumentalizzava la sua conversione come propaganda contro la Chiesa cattolica. Si pentì e fece ritorno, già nel medesimo anno, nella Chiesa cattolica e dopo un lungo periodo di pentimento e di attesa, gli veniva di nuovo concesso di celebrare la messa. Nel 1925 il vescovo di Coira lo accolse quale sacerdote nella sua diocesi. Karrer si trasferì in Svizzera. Visse da scrittore dapprima a Weggis e, dal 1928, a Lucerna. All’interno dell’Ordine gli si era aperto un curriculum di ricercatore e di docente. Ma adesso doveva ricorrere a trasferire la formazione religiosa alla quale si era dedicato con grande forza convincente tanto che fu invitato in molti luoghi, in Svizzera ed all’estero, e persino dai protestanti a predicare ed a tenere conferenze. La sua predicazione alla messa domenicale alle ore 11 presso la chiesa di San Paolo a Lucerna avrebbe attirato per quaranta anni una grande cerchia di ascoltatori. Cercava di rendere accessibile in libri ed in saggi il tesoro delle diverse tradizioni di preghiera e della fede praticata nella propria Chiesa. Una sua traduzione del Nuovo Testamento nel 1950 diventò per molti cristiani di entrambe confessioni uno strumento che li accompagnava lungo la loro via di comprensione della Sacra Scrittura. Preferiva trattare questioni a cui gli altri teologi non osavano affrontare: il Cristianesimo e le altre religioni mondiali, l’anima della donna, i miracoli, la preghiera e la provvidenza divina, la libertà del cristiano. La sua casa era sempre aperta a chi cercava un consiglio e per chi ancora non aveva dimestichezza a rivolgersi ad uno psicoterapeuta. Sebbene vivesse in condizioni ristrette campando delle remunerazioni della sua attività di pubblicista e di conferenziere, riusciva a condividere con i bisognosi. La sua casa era un rifugio per emigranti tedeschi ed austriaci che fuggivano dal terrore del terzo Reich. Tutte queste attività nella loro ampiezza e la risonanza che ebbero tra le persone che lottavano con 29 problemi di fede sollecitarono invidia e gelosia da parte di altre persone. Questi riuscirono, nel 1942, a far mettere all’”Indice” il suo saggio “Preghiera, provvidenza, prodigi”. Questa misura ferì sicuramente Karrer e gli diede un senso di insicurezza. Questa personalità, a cui non venne mai concessa la venia legendi presso le facoltà teologiche né di Lucerna né di Friburgo, diventò nel 1950, insieme con Richard Kraemer, pastore riformato di Sigriswil sopra il Lago di Thun, il fondatore dei gruppi di lavoro ecumenici. Questi gruppi rimasero poi molto importanti per una intesa con i riformati, creando una base per contatti ufficiali tra le autorità delle Chiese e per la formazioni di diverse commissioni di dialogo. Sovente oggetto di diffidenze, Karrer tuttavia non temeva mai di esporsi. Ma non voleva neanche minimizzare la realtà della separazione delle Chiese accattivandosi una simpatia immaginaria, un atteggiamento che avrebbe soltanto recato danno alla causa dell’ecumenismo. Così lui era tra i primi che interpretarono il papato nel senso di un servizio dell’apostolo Pietro. Guardando alla devozione originaria che i riformatori dimostrarono verso Maria si rivolgeva contro credenze cattoliche di una venerazione della Madonna che non aveva nessun fondamento. Karrer è stato anche uno dei fondatori della Società di teologia in Svizzera (Theologische Gesellschaft der Schweiz, 1964) che costituiva la prima piattaforma per contatti tra teologi riformati e cattolici. Il testamento spirituale che Otto Karrer ha lasciato si manifesta nel suo impegno per l’ecumenismo nato da una spinta interiore e spirituale. “I teologi sono magari indispensabili per la causa dell’ecumenismo, ma si tratterebbe di schietto intellettualismo da parte di coloro che considerano la questione ecumenica una questione esclusivamente teologica. … L’impegno per l’unità dei cristiani non è in primo piano causa di una prudente politica delle Chiese ma soprattutto di un cuore che crede ed ama”. Si asteneva dal proiettare il fallimento umano soltanto sull’autorità suprema cioè il papa e la curia romana. Gli era estraneo un ragionamento del genere di mettere biasimo nei confronti di una Chiesa ministeriale cattiva e meschina anche se questa stessa Chiesa lo aveva infatti trattato con meschinità. Quindi il Concilio Vaticano II° (1962-1965), convocato dal papa Giovanni XXIII, Karrer lo poteva considerare il concilio suo che svelò le idee per le quali Karrer aveva ancora lottato e sofferto. Quando, una volta, gli fu chiesto come mai reagisse di fronte a tutte le ostilità cagionate da confratelli nella Chiesa, egli rispose con un sorriso: “Si deve essere disposto ad entrare insieme con Cristo nel profondo della Chiesa”50. Victor Conzemius Johannes Feiner (1900-1985) Johannes Feiner nacque a Zurigo il 7 giugno 1909 e crebbe nell’ambito nella diaspora cattolica in una città riformata. Chiamato con il suo nome d’arte spirituale “Johannes” rimase però nella cerchia della sua famiglia lo (zio) “Hans”. Frequentò le scuole a Zurigo fino alla maturità. Dal 1928 al 1936 studiò e si laureò presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. Cominciò ad insegnare per un breve periodo all’istituto cattolico “Internatskollegium” di Svitto. Dal 1939 al 1962 fu professore di dogmatica e teologia fondamentale nel Seminario diocesano St. Luzi a Coira. Legata alla cattedra c’era la responsabilità per la disciplina degli alunni che si chiamavano in quell’epoca ancora seminaristi. Per molti anni fungeva quale “moderatore”, cioè il 50 Fonte: Liselotte Höfer unter Mitarbeit von Victor Conzemius, Otto Karrer. Kämpfe und Leiden für eine offene Kirche, Freiburg i.Br. 1985; Otto Karrer. Theologe des Aggiornamento 1888-1976, hrsg. von der Otto-KarrerGesellschaft, Zürich 1989. 30 vicerettore del seminario. La sua attività era dunque l’insegnamento teologico e la supervisione dell’istituto, riservato, in quell’epoca, esclusivamente ai candidati al ministero sacerdotale. Questa attività dava un’impronta particolare sia a generazioni di teologi che alla propria persona che si contraddistingueva, nonostante la sua flessibilità spirituale, per la sua pedanteria. Anche se Johannes Feiner si fosse aperto rispetto alla sua teologia – un’apertura che si ripercuoteva con grande arricchimento nelle sue lezioni – le sue direttive di disciplina non mutavano. I suoi metodi di educazione erano sempre accompagnati da una diffidenza nuda e cruda che aveva portato dall’esperienza al convitto teologico “Germanicum” di Roma per applicarla adesso al seminario. L’insegnamento a St. Luzi si svolgeva fino agli anni ’60 in forma di lezioni cioè un metodo unilaterale di didattica frontale. Alla fine di ogni semestre si esaminavano i risultati di queste lezioni. Non si era interessati ad offrire una guida allo studio scientifico indipendente, e non figuravano nel programma scolastico esercizi di attività seminariale. Nella città riformata la cattedrale, la curia del vescovo ed il seminario formavano un mondo cattolico rinchiuso in sé. Non soltanto per questo motivo, Johannes Feiner non si sentiva di casa a Coira. La sua città di riferimento era Zurigo. Lì, nel 1954, gli si aprì una nuova attività che rispondeva alle sue qualità di docente. Il futuro vicario generale di Zurigo, Alfred Teobaldi, fondò 1954 i “Corsi teologici per laici cattolici”. Il loro concetto di base era la trasmissione della vasta gamma di conoscenze fondamentali della fede cattolica a donne ed uomini di formazione accademica o con un diploma di scuola media. Johannes Feiner diventò il primo direttore di questi corsi. Era l’incarico ideale per le sue eccellenti qualità didattiche. L’aria di risveglio della Chiesa mobilitò anche a Coira gli spiriti teologici. Nel 1957, poco prima del tramonto dell’era dei papi “Pio”, ed in occasione dell’anniversario centocinquantesimo del seminario St. Luzi, i tre professori Johannes Feiner, Josef Trütsch e Frank Böckle pubblicarono un volume importante con il titolo “Fragen der Theologie heute” (Questioni della teologia di oggi). Questo libro riscuoteva una risonanza notevole e positiva. Conteneva saggi di diversi autori di spicco su questioni fondamentali della teologia sistematica e presentava una prospettiva istantanea delle discussioni attuali, ancora in maniera molto prudente e scrupolosa ma tuttavia ispirante. Johannes Feiner non era autore di importanti visioni teologiche, ma si lasciava ispirare ed animare, ed una volta contagiato con le nuove idee, vi rimaneva fedeli e le applicava di continuo. Gli piacque soprattutto Karl Rahner, maggiore di lui di cinque anni. Si appropriò dei suoi saggi e li trasmise nelle sue lezioni. Ricevette molti impulsi teologici per il suo orientamento ecumenico da Karl Barth, ma anche dal concittadino zurighese Emil Brunner. Giunse l’annuncio sorprendente del Concilio Vaticano II° che diventò la grande occasione per Feiner. Nel 1960 fu chiamato come consultore del “Segretariato per l’unità dei cristiani” sotto la guida del cardinale Augustin Bea. Il Concilio diventò così il suo campo di lavoro principale e la sua passione. Partecipò a tutte le sessioni e per gli osservatori acattolici fungeva quale interprete del linguaggio latino-teologico come era in uso al Concilio e nei laboratori cattolici e adoperato con connotazioni molto differenti da parte dei rappresentanti delle diverse nazioni. Feiner prestò un lavoro indipendente per il “Decreto sull’ecumenismo” attribuendovi il commento ufficiale. Spetta a lui aver introdotto il termine della “gerarchia delle verità” nel decreto. Collaborò alla “Dichiarazione sulla libertà religiosa” e alla “Dichiarazione sulle religioni non cristiane”. Dopo il Concilio, Feiner ritornò definitivamente a Zurigo per gestire dal 1966 al 1971 la Paulus-Akademie, un areopago moderno e tipico per l’epoca postconciliare che offriva un foro aperto per incontri e discussioni teologiche e di stampo intellettuale. 31 Già prima del Concilio era maturato il piano per un’ampia enciclopedia teologica che diventò una moderna Summa Theologiae dogmaticae. Feiner dedicò i suoi studi al concetto di “storia della salvezza”. Grazie a questo concetto poteva liberarsi dal pensiero scolastico-metafisico con la sua immagine statica di Dio sostituendola con una interpretazione dinamica di Dio. Questa svolta sembrava a noi studenti di teologia in quell’epoca una decisione nuova ed ultimativa, irreversibile e definitiva, e non potevamo immaginarci che anche questo punto di partenza fosse stato oggetto di critiche ogni tanto aspre. Pubblicato sotto il titolo “Mysterium salutis” negli anni 1965 – 1976 dagli editori Johannes Feiner e Magnus Löhrer, questo opus magnum offre in maniera monumentale una visione generale della teologia dogmatica sotto l’aspetto della storia della salvezza. A causa di una lunga malattia di Feiner il contributo di Löhrer a questa opera diventò sempre più importante. La sigla “MySal” con cui si soleva circoscrivere il titolo “Mysterium salutis” è forse un po’ equivoca, ma l’opera stessa rimane un classico di importanza fondamentale per generazioni che trova il suo paragone nella “Kirchliche Dogmatik” (La dogmatica della Chiesa) di Karl Barth con la quale Feiner si misurava sempre. Un bellissimo frutto del suo impegno ecumenico è un catechismo ecumenico con il titolo “Neues Glaubensbuch” (Un nuovo catechismo) che Feiner editò insieme con Lukas Vischer. Non si deve dimenticare il movimento di apertura che riempiva St. Luzi dagli anni ’50 e di cui anche Feiner era un autore determinante. Al contrario della curia vescovile di Soletta e di certi aizzatori presso la facoltà di teologia a Lucerna, aleggiava uno spirito liberale e tollerante giù dal palazzo episcopale di Coira, con il suo seminario. Hans Urs von Balthasar con la sua fama di dissidente temerario perché aveva abbandonato l’ordine dei gesuiti, vi trovò “asilo” e il vescovo Christianus Caminada lo incardinò nella diocesi di Coira. Anche Von Balthasar svolgeva un influsso importante su Feiner. Lo stesso vescovo Caminada restava sostenitore comprensivo di Otto Karrer, già prima pioniere dell’ecumenismo ed anche lui uscito dall’ordine dei gesuiti e sospeso dalle funzioni sacerdotali per un periodo più lungo a motivo di un suo breve soggiorno in un seminario per predicatori protestanti. Karl Rahner poteva pubblicare alcuni volumi dei suoi “Schriften zur Theologie” con il “permesso di stampa ecclesiastico della curia vescovile di Coira”. Johannes Feiner morì il 30 novembre 1985. Albert Gasser Heinrich Stirnimann OP (1920-2005) Il 9 giugno 2005 moriva Padre Heinrich Stirnimann, o.p., uno dei protagonisti ed architetti più importanti dell’ecumenismo in Svizzera. Heinrich Stirnimann, figlio del pediatra Stirnimann, nacque il 15 giugno 1920 a Lucerna. Ivi frequentò le scuole; conseguì la maturità presso la Scuola cantonale e cominciò gli studi di architettura al Politecnico di Zurigo. Il suo senso per la bellezza e per l’estetica, il suo impegno a favore dell’arte e di artisti lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, anche quando decise, nel 1942, di entrare nell’ordine dei dominicani. Insieme con i suoi colleghi francofoni fu mandato nel noviziato a Chieri/Torino, dove fece la sua prima professione il 22 novembre 1943. Dopo aver studiato per alcuni anni all’”Angelicum” di Roma fu ordinato sacerdote il 20 giungo 1947. Celebrò la prima messa nella Hofkirche di Lucerna. Studiò a Friburgo ed a Roma per laurearsi in teologia. Su invito dei superiori irlandesi insegnò teologia sistematica per alcuni semestri a Tailaght/Dublino. Nel 1952 Heinrich Stirnimann fu nominato professore di teologia fondamentale e apologetica all’università di Friburgo/Svizzera. Iniziò un periodo di quasi trent’anni di 32 attività accademica con numerosi incarichi all’interno dell’Ordine, nella Chiesa ed all’università. Diventò, per esempio, membro del Consiglio provinciale e dal 1978 al 1981 priore della Comunità internazionale dell’Ordine a Friburgo. Dal 1968 al 1971, nel periodo della rivolta studentesca, Stirnimann fu rettore dell’università di Friburgo, e grazie alla sua apertura personale ed alla sua disponibilità al dialogo non si verificava nessun eccesso violento all’università e si poteva discutere sulle necessità degli studenti. Nel 1978 ricevette il dottorato honoris causa dalla facoltà di teologia evangelica riformata dell’università di Berna che apprezzava i meriti dell’“architetto attivo, intelligente e paziente di una collaborazione fraterna e della crescente unità delle confessioni nel nostro paese”. Fu veramente l’architetto dell’ecumenismo in Svizzera. Già nel 1962 il vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo Mons. François Charrière lo aveva chiamato quale esperto teologo alla prima sessione del Concilio Vaticano II°. Fondò nel 1964 all’università di Friburgo l’Istituto per studi ecumenici e lo ampliò con un grande impegno personale e grazie alla sua caratteristica capacità di entrare in contatto con gli altri e dar loro impulsi al dialogo. Dal 1966 al 1976 fu co-presidente da parte cattolica della Commissione di dialogo evangelica/cattolico-romana (ERGK) fondata dalla Conferenza dei vescovi svizzeri e dalla Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera. I suoi contatti e le amicizie con i protagonisti del movimento ecumenico come Lukas Vischer ed il metropolita Damaskinos condussero a risultati importanti per l’ecumenismo in Svizzera. Pubblicò collane teologiche per offrire l’occasione d’una discussione teologica sull’unità dei cristiani. Tramite viaggi a Ginevra mostrò ai suoi studenti quanto erano importanti il dialogo ed il lavoro per l’unità dei cristiani. Raccomandava vivamente ai suoi studenti di discutere queste questioni sul futuro della Chiesa. Nel 1982 i confratelli del convento dei dominicani a Lucerna elessero Heinrich Stirnimann quale priore. Nel 1988 si trasferì al convento di Ilanz dove diventò direttore spirituale fino al 2000, per passarvi poi il riposo segnato da malattia. Negli ultimi anni condusse una vita contemplativa, dedicandosi allo studio della mistica. Le pubblicazioni e le conferenze su “Bruder Klaus” e “Marjam” testimoniano che pure in quest’ultima fase della vita fu interlocutore vicino a molte persone. Joachim Müller 33 Ecumenismo oggi e domani Dopo l’euforia il realismo Nel 1989 si festeggiò sul piazzale della cattedrale di Basilea la conclusione della prima Assemblea ecumenica europea, dal tema “Pace nella giustizia per tutto il creato”. Un ecumenismo nato dall’esperienza individuale. L’Europa si trovava dinanzi a grandi cambiamenti e nella cospicua presenza di credenti provenienti dalla Repubblica democratica tedesca si faceva sentire una forza di trasformazione. Infatti nel novembre 1989 cadde il muro di Berlino. Una nuova era, caratterizzata da incontri tra est ed ovest, poteva cominciare. L’ecumenismo era in un momento favorevole grazie alle possibilità politiche: “Giustizia e pace si baceranno” (Salmo 85, 11). Davvero? I temi discussi e celebrati a Basilea continuavano a vivere in parecchie iniziative sia sul piano locale che internazionale. Però l’euforia per la libertà riconquistata, come si era manifestata a Basilea nel 1989, cedette al realismo. La trasformazione democratica della società viene ostacolata da un nazionalismo diffuso; i presagi di un nuovo benessere per pochi non possono far tacere le voci che pretendono un ordine economico giusto, visto che lo iato tra ricchi e poveri era diventato più profondo pure in Europa. L’ecumenista Ernst Lange, morto nel 1974, parlava di tre grandi croci che l’ecumenismo e soprattutto il Consiglio Ecumenico delle Chiese (ÖRK) avrebbero dovuto portare: - la croce della crescente lacuna di affidabilità, quando il consenso che dovrebbe essere convincente rimane soltanto un consenso riguardo alle parole, senza spronare la pratica, - la croce della duplice impotenza delle Chiese, perché il Consiglio Ecumenico non è in grado obbligare le Chiese membro ad agire, essendo queste ultime legate, per le loro strutture, alla particolarità di ogni Chiesa locale, - la croce del fatto che l’ecumenismo si svolga lontano dalla base delle comunità locali e che una trasformazione nella praxis pietatis di ogni giorno sia difficile da realizzarsi. L’atteggiamento della Chiesa cattolica Qual è l’atteggiamento principale con cui la Chiesa cattolica partecipa oggi a questa evoluzione? Come vuole mantenere gli impegni che aveva assunto irreversibilmente in occasione del Vaticano II° per incamminarsi sulla via dell’ecumenismo? L’ecumenismo è sempre un atto mediante il quale le Chiese obbligano sé stesse con il fine dell’unità visibile. L’ecumenismo è pure l’atto dell’espropriarsi, a patto che le Chiese siano disposte a scoprire reciprocamente le proprie ricchezze per imparare a conoscere ed a vivere ciò che hanno in proprio. Ma appunto da questo, per la Chiesa cattolica, risulta una tensione, per il fatto che essa fonda la propria identità sul mistero dell’unica Chiesa di Gesù Cristo da vivere nella comunione con i battezzati i quali confessano lo stesso credo e celebrano gli stessi sacramenti, sottostando alla guida dei vescovi ed in comunione con il successore di Pietro, assieme a tutte le diverse Chiese particolari legate l’una all’altra. Tuttavia non tutte le comunità cristiane condividono questa identità della Chiesa e questa visione del fine del movimento ecumenico. Non più che un filo di speranza per l’ecumenismo. Come noto il Vaticano II°, nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen gentium”, voleva evitare una completa identificazione della Chiesa cattolica con la futura natura dell’unica Chiesa che tutte le Chiese stanno attendendo. Infatti si 34 sottolineava “la totalità della verità rivelata, dei sacramenti e del ministero, dati da Cristo per l'edificazione della sua Chiesa e per il compimento della missione che le è propria, si trova nella comunione cattolica della Chiesa”51. Ma, insieme, il Concilio ha potuto dire che si possono trovare pure al di fuori dell’organismo della Chiesa cattolica “parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica”52: il battesimo comune, la fede in Gesù Cristo, l’annuncio della Parola di Dio, la vita secondo i carismi dello Spirito, la pratica liturgica. Questo è più che soltanto un filo di speranza ecumenico: è un’affermazione ecclesiologica di primo rango. Certo, “l’insensatezza e il peccato degli uomini”53 hanno causato discordia sul piano della dottrina e dell’ordine provocando scismi nella storia. La colpa non è mai da cercare soltanto da una parte. Non sempre è possibile renderne responsabili solo gli altri. È più importante accettare adesso che ci sia tra le Chiese ancora separate una communio vera pur in parte rotta e che essa “dovrebbe crescere verso la piena comunione nella verità e nella carità” – come scrisse il papa Giovanni Paolo II° nella sua enciclica “Ut unum sint” (1995) sull’ecumenismo54. Per ecumenismo non si intende semplicemente l’abolizione delle separazioni, bensì il ritrovamento e la nuova realizzazione di una comunione che ci è stata data in realtà mediante il battesimo e che non era mai andata perduta del tutto! La comunione in cammino si manifesta nella preghiera e nel dialogo Su questo sfondo due caratteristiche del cammino ecumenico ricevono un significato particolare: la preghiera per l’unità ed il dialogo. L’ecumenismo vive in ultima analisi grazie alla preghiera di Gesù per l’unità. Nella preghiera in comune si manifesta la comunione in cammino. Nei suoi documenti sull’ecumenismo degli ultimi anni, la Chiesa cattolica ha sviluppato una pedagogia ed un profilo teologico di dialogo. Il dialogo ecumenico non si limita ad essere un mero esercizio accademico, ma vuol essere uno scambio tra fratelli che si contraddistingua per le seguenti caratteristiche: l’impegno personale motivato dalla fede, la fedeltà verso il Vangelo ed il rispetto reciproco per la coscienza e le convinzioni individuali dei partner di dialogo. Mettendo l’accento sull’importanza che ha il metodo del dialogo per l’ecumenismo nella ricerca della verità, la Chiesa cattolica odierna non può amministrare la verità dettandola dall’alto. L’annuncio e la promessa della verità richiedono un appropriamento personale che si fonda nella fede sperimentata da tutta la comunità. Domande all’identità delle Chiese L’enciclica sull’ecumenismo percepisce in maniera differenziata il crescere nella comunione con le Chiese orientali (“le Chiese sorelle”) e quella con con le altre Chiese e comunità ecclesiali nate dalla Riforma, apprezzando questo processo come frutto del dialogo. I temi che vanno enucleati sul cammino verso una vera concordanza sono profondamente radicati nell’identità propria di ogni Chiesa. Eccoli: le relazioni tra sacra Scrittura, suprema autorità in materia di fede e la Tradizione, interpretazione indispensabile della Parola di Dio; la concezione dell’Eucaristia; l’ordinazione, come sacramento, al ministero nei suoi tre ordini (vescovo, sacerdote, diacono); l’importanza del magistero della Chiesa; Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo, Nr. 17. Lumen gentium, n. 8. 53 Direttorio, n. 18. 54 Ut unum sint, n. 14. 51 52 35 la vergine Maria, madre di Dio ed icona della Chiesa55. È importante l’affermazione che le Chiese nel cammino ecumenico non impongano nessun altro obbligo oltre a quelli indispensabili. In più si richiede uno sforzo particolare di applicare effettivamente i risultati dei dialoghi alla vita della Chiesa. A questo scopo i vescovi dovrebbero entrare in interazione con i teologi e con le facoltà teologiche. Il primato del vescovo di Roma Non rimangono queste riflessioni troppo teoriche e non falliscono concretamente sulla questione del primato del papa ed sulla concezione del ministero petrino, una questione che sembra ancora dividere le Chiese? Si ricordi l’incomprensione, anche in seno alla stessa Chiesa cattolica, che suscitò la Lettera rivolta nel 1992 ai vescovi cattolici su alcuni aspetti della Chiesa intesa come communio. In questa circolare si sottolinea che “dobbiamo vedere il ministero del Successore di Pietro non solo come un servizio "globale" che raggiunge ogni Chiesa particolare dall'"esterno", ma come già appartenente all'essenza di ogni Chiesa particolare dal "di dentro"”56. Se ne possono notare i punti positivi: Il papa, nell’enciclica “Ut unum sint”, parla di sé sempre nel senso di vescovo di Roma, Identificando la potestà del ministero in funzione dell’unità della Chiesa. Chiede scusa alle altre Chiese per il fatto che il suo ministero sia per loro un ostacolo e gravato da ricordi dolorosi a motivo alla storia. Il primato del vescovo di Roma non è più un tabù per l’ecumenismo: Giovanni Paolo II° invita ad un “dialogo fraterno, paziente, nel quale potremmo ascoltarci al di là di sterili polemiche”57, per trovare insieme una forma adeguata dell’esercizio del primato. La posizione del vescovo di Roma si spiega perché egli è il vescovo della Chiesa che conserva l'impronta del martirio di Pietro e di quello di Paolo58. Grazie al loro rifiuto dell’infallibilità papale e del primato sulla giurisdizione della Chiesa cattolica, le Chiese ortodosse aiutano a chiarire che queste due affermazioni non sono da considerare come imposte in modo esterno alla Chiesa. Le Chiese della Riforma, al momento, danno soltanto un’importanza limitata all’unità visibile nella fede che si manifesta nel ministero petrino. La loro concezione sinodale di una episcopé ecclesiale implica una distanza scettica verso ogni forma di guida per la Chiesa in cui il ministero ordinato e la giurisdizione sono contenuti in una persona. Pure questo dissenso aiuta la teologia cattolica a chiarire in quale relazione l’autorità papale sta con i vescovi e con la potestà di tutti i figli di Dio. Quanto dura ancora il cammino? A conclusione della sua enciclica, il vescovo di Roma parla di una nuova epoca di grazia ecumenica. Siamo incoraggiati nel richiamare alla memoria la grande visione dell’unità di tutte le Chiese e di fare quei piccoli passi che sono necessari per il cammino verso l’unità. Quanto dura ancora il cammino? Probabilmente non è possibile darne una risposta concreta. Perché questo cammino è il cammino della Chiesa stessa, il cammino destinato all’uomo che vive nella sua miseria ed ha bisogno della salvezza, il cammino che conduce al Padre mediante il Figlio nello Spirito. Quanto dura questo cammino? Il Consiglio ecumenico delle Chiese si comprende come uno strumento del 55 Cfr. Ut unum sint, n. 79. Communionis notio, n. 13. 57 Ut unum sint, n. 96. 58 Ut unum sint, n. 90. 56 36 movimento ecumenico per rendere visibile che la comunione dell’una Chiesa, dell’unico corpo di Cristo sia dono e vocazione rivolti a tutte le Chiese. La Chiesa cattolica si intende una comunione cattolica di Chiese che abbraccia tutta la terra e nella quale questa unica Chiesa, pur in maniera imperfetta e frammentata, è diventata una manifestazione storica. Questa unica Chiesa non deve essere fatta – esiste già, anche se non priva di errori e di debolezza umana. La sua verità si lascia quasi palpare: nella figura fragile di uomini caduchi che si possono criticare, e nei segni semplici nei quali l’amore di Dio verso gli uomini è effettivamente presente. Ci unisce ciò che abbiamo già in comune: il battesimo e la fede confessata in Lui che è la nostra pace. Già adesso viviamo nella forza dello Spirito Santo, ed il medesimo amore del Padre attende il nostro ritorno. Quanto dura ancora il cammino? Non di più che fino a questo centro. Guido Vergauwen OP 37 Una fede – Un battesimo “Il santo battesimo è in testa a tutti i sacramenti, il portale che immette nella vita spirituale. Poiché mediante esso diventiamo membri di Cristo e siamo inseriti nel corpo della Chiesa” (Concilio di Firenze, 1439)59. Il sacramento del battesimo Come l’elemento visibile fa parte della nostra esistenza umana così appartiene anche alla fede la visibilità della comunione nella fede. La Chiesa, in quanto corpo di Cristo (1 Corinzi 12) e popolo di Dio (1 Pietro 2), deve quindi essere segno visibile, cioè “sacramento dell’unità salvifica” (Concilio Vaticano II°). Con questo non si intende soltanto riferirsi alla Chiesa locale, vissuta in maniera immediata, bensì alla comunione nella fede che si estende per generazioni e su tutti i continenti della terra. “In ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la giustizia (cfr. At 10,35). Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità... Dio ha convocato tutti coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia agli occhi di tutti e di ciascuno, il sacramento visibile di questa unità salvifica.”60 Il mandato della Chiesa è l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo mediante la parola (predicazione, insegnamento) e mediante il servizio agli uomini (diaconia) ed i sacramenti. I sacramenti sono atti che racchiudono un simbolo, che tramandano un segno indicando con questo la salvezza in Gesù Cristo e rappresentandola. Nei sacramenti il divino si incontra con l’umano. Sono radicati nelle situazioni di vita importanti e danno nella luce della fede una forma ai momenti fondamentali della vita. La Chiesa cattolica ne conosce sette: il battesimo, la cresima, l’Eucaristia, la penitenza, l’unzione degli infermi, l’ordine sacro ed il matrimonio. Il battesimo è il portale che immette nella Chiesa cristiana. Nell’etnologia e nella storia delle religioni si usano i termini iniziazione, introduzione e consacrazione per specificare la trasformazione radicale dello stato della vita presente - sia sociale che religiosa - e per indicare il passaggio in un’altra dimensione della vita. Il Concilio Vaticano II° (1962-65) utilizza il termine “sacramento di iniziazione” per il battesimo. L’iniziazione è il primo ed eccellente atto del processo di incorporazione e di socializzazione religiosa. Per diventare cristiano è necessaria la comunione credente dei cristiani e delle cristiane, cioè un luogo della manifestazione concreta della fede e della speranza. Quindi nel battesimo non siamo soltanto collegati con Gesù Cristo, con la sua morte e resurrezione. Siamo pure accolti in una comunione. Vuol dire che con il battesimo ha inizio il radicarsi nella comunione di fede, con le sue forme di vivere la vita, con le sue concezioni dei valori e con i suoi comportamenti. L’incontro personale con Dio è collegato con la trasmissione del credo tramandato e manifestato dal “popolo di Dio”, il quale cammina attraverso la storia dal principio fino al nuovo mondo di Dio, cioè al “Regno di Dio” annunciato da Gesù. Di conseguenza, il battesimo non è conclusione né possesso bensì inizio di una via ed obbligo continuo di condurre la vita nella comunione (communio) dei credenti. Il significato del battesimo nel Nuovo Testamento 59 60 Decreto degli Armeni – risalente a Tommaso d’Aquino Lumen gentium, n. 9. 38 Nel Nuovo Testamento, la fede ed il battesimo si appartengono inseparabilmente. Sono due aspetti di un’integrità indivisibile. Le seguaci ed i discepoli di Gesù non erano battezzati da Gesù, bensì da Giovanni, come anche Gesù con il battesimo della remissione dei peccati. Il loro battesimo è stato l’esperienza dello spirito nel giorno di Pentecoste, “come di fuoco”, secondo gli Atti degli apostoli (capitolo 2). Nella potenza dello Spirito annunciarono poi la buona novella di Gesù, cosa che stupì gli ascoltatori: “All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?” E Pietro disse: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo” (Atti degli apostoli 2, 37-38). Convertirsi significa credere, iniziare daccapo, fare una svolta nella vita. Questa svolta riceve un nome: Gesù Cristo. È a Lui che appartiene il credente. Il battesimo rende visibile il nuovo inizio mediante la remissione dei peccati e il dono dello Spirito. Il rito con l’acqua mostra la promessa adempiuta degli ultimi tempi: “Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi” (Ezechiele 36, 25-27). Così il battesimo suggella la conversione nella fede. Nella liturgia battesimale la confessione di fede ha una funzione centrale e viene pronunciata sia da coloro che richiedono il battesimo sia, nel caso di un bambino, dai genitori e dai padrini di battesimo insieme alla comunità riunitasi al rito. Dopo la resurrezione di Gesù ed il battesimo nello Spirito il giorno della Pentecoste, la comunità cristiana stessa cominciò a battezzare. Essa vedeva nel battesimo un segno in cui si manifestava l’opera salvifica di Gesù che era cominciata con il battesimo di Giovanni e veniva compiuta mediante il battesimo della passione di Gesù e attraverso l’esperienza della Pentecoste. Acqua e fuoco, prova e purificazione, tutto questo designa l’ingresso nella comunità degli ultimi tempi. Con la resurrezione di Gesù si adempiono “i giorni della salvezza” annunciati dai profeti. Per questo motivo il battesimo cristiano è diventato segno di “essere salvo” (Marco 16,16) ed è divenuto “l’arca” che mise in salvo dal diluvio Noé insieme con la sua famiglia (1 Pietro 3,20). A differenza della circoncisione ebraica imposta ai maschi del popolo israelitico per designare l’accoglimento nell’alleanza di Dio, si amministrava il battesimo cristiano pure alle donne. E spesso si menziona, quando si parla delle persone con cui i missionari entravano in relazione, che si lasciavano battezzare “con tutti quelli della casa”. La casa antica era una vita comunitaria costituita da padre, madre, figli, ma pure da schiave e schiavi. Il battesimo crea quindi una comunione egualitaria, cioè il “corpo di Cristo”. Questo organismo rende i lontani vicini, è un luogo della riconciliazione di contrasti, collega i battezzati con Cristo ed in pari tempo con la sua Chiesa. “E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito.” (1 Corinzi 12,13). I simboli del battesimo Nella Chiesa del cristianesimo primitivo il battesimo era chiamato “illuminazione”, evidenziando il fatto che una persona comincia a “vedere chiaro” quando incontra Gesù, o, come è scritto nel contesto della conversione di Paolo, quando è liberato dal suo accecamento interiore: “E improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e ricuperò la vista” (Atti degli apostoli, 9,18). 39 “Tutto quello che si manifesta è luce. Per questo sta scritto: “Svegliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Efesini 5,14). Nella liturgia del battesimo viene simboleggiato dalla candela del battesimo accesa al cero pasquale. La lettera di Tito parla invece del “lavacro della rigenerazione”: “Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati … ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo” (Tito 3,4-5). Secondo Paolo i credenti sono, mediante il battesimo, partecipi al destino di Cristo, alla sua morte ed alla sua resurrezione. È, per così, dire un “immergersi” nel suo destino, l’inizio di una nuova creazione. “O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione.” (Romani 6, 3-5) – Nella liturgia del battesimo ciò è simboleggiato dall’acqua versata sulla fronte del battezzando. Nelle Chiese orientali si battezza secondo l’usanza del cristianesimo primitivo praticando l’immersione. Paolo si serve dell’immagine della veste per descrivere l’incorporazione nella comunione con Cristo. L’immagine dell’indossare la veste designa l’obbligo personale che nasce dal battesimo: la persona battezzata dovrebbe vivere come una “nuova creazione” secondo l’esempio di Cristo. “Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti siete uno in Cristo Gesù.” (Galati 3,27)61. Ovviamente questo mandato è una sfida continua. Quindi si parla pure del combattimento e dell’equipaggiamento da guerra (Efesini 6,14-17). – Nella liturgia del battesimo la veste bianca simboleggia questo dono che è nel medesimo tempo un mandato. Un'altra immagine è quella del “sigillo” e del “suggellamento”. Come la circoncisione è segno del “suggellamento con la giustizia mediante la fede” da parte di Abramo, così il battesimo è un unico “suggellamento” dei credenti. Nell’antichità si rendeva visibile l’appartenenza degli schiavi al loro padrone per mezzo di un marchio oppure di un tatuaggio. Nel libro biblico dell’Apocalisse il gran numero di redenti di tutte le nazioni è contrassegnato dal “sigillo del Dio vivente” impresso sulla fronte (Apocalisse 7, 1-4). “È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori” (2° lettera ai Corinzi 1,21-22). – Nella liturgia del battesimo si fa con il crisma (una miscela di olio d’ulivo con balsamo) il segno della croce sulla fronte del battezzando. Si suggerisce di farlo anche ai genitori ed ai padrini. Agostino parlava, in seguito, del sigillo del battesimo oppure del carattere battesimale (l’impronta) per render evidenti l’irripetibilità e l’appartenenza incancellabile alla Chiesa di Gesù Cristo. “Grazie al carattere battesimale ogni persona cristiana e ogni comunità cristiana appartengono inseparabilmente alla Chiesa nonostante tutti i drammi che possono nascere dalla debolezza dei credenti”.62 61 Cfr. Romani 13,14, Efesini 4, 4-6; 4,24: „Dovete rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera“. 62 J.M.Tillard, in: Neue Summe Theologie 3,1; Das sakramentale Handeln der Kirche, pag. 268. 40 – Per questo motivo si amministra il battesimo soltanto un’unica volta senza ripeterlo in caso di un passaggio da una confessione all’altra. Il significato del battesimo per l’ecumenismo Il battesimo è un legame che collega tutte le persone cristiane nonostante le differenze confessionali. Perciò è reciprocamente accettato dalle grandi Chiese svizzere in caso di conversione da una confessione all’altra a condizione che sia stata usata la formula battesimale (“Ti battezzo in nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”) con l’intenzione di agire in nome della Chiesa, e dell’elemento dell’acqua. Il Concilio Vaticano II° ha constatato: “Il battesimo costituisce il vincolo sacramentale dell'unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati. Tuttavia il battesimo, di per sé, è soltanto l'inizio e l'esordio, che tende interamente all'acquisto della pienezza della vita in Cristo. Pertanto esso è ordinato all'integra professione della fede, all'integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, quale Cristo l'ha voluta, e infine alla piena inserzione nella comunità eucaristica.” 63 Il battesimo è un segno visibile della fede e dell’accoglienza nella comunione di fede ed ha quale scopo la partecipazione integrale alla comunione dell’Eucaristia. Tuttavia, accettare il battesimo di un’altra confessione non significa automaticamente la realizzazione integrale della comunione eucaristica. La comunione eucaristica non è a disposizione arbitraria di una comunità locale come se fosse “realizzabile alla base”. Anzi, nel dialogo ecumenico si deve percepire con rispetto le tradizioni di quelle Chiese per le quali una comunione eucaristica integrale non è ancora possibile. Per la Chiesa cattolica la comunione (communio) con le altre Chiese locali nel mondo è un impegno che non si può mettere in pericolo con la realizzazione da parte di una comunità locale d’una celebrazione comunitaria della Santa Cena. Anzi, è una testimonianza più sincera sopportare i limiti dolorosi che sono ancora posti alla realizzazione di una comunione finale. In questo modo si manifesta di attendere tale unità, che non può essere “fatta” da noi. L’unità integrale può realizzarsi solo quando diventiamo sempre più conformi a Cristo. “Più tutti noi viviamo mediante lo Spirito di Gesù Cristo partecipando al suo destino, più si scioglie anche la questione delle confessioni separate. Ma qui c’è anche la grande difficoltà della sua realizzazione. Poiché diventare conforme a Cristo non è semplicemente un nostro progetto né opera nostra: sempre che questa conformità si realizzi con grandi sforzi, è anche un dono di Dio. Il battesimo porta con sé lo stimolo a fare sempre ciò che conduce all’unità. Più corrispondiamo al battesimo progredendo nella nostra esistenza cristiana, più diventiamo un’unica Chiesa di Gesù Cristo. Questa è la meta della nostra fede, una meta che condividiamo e che abbiamo ancora davanti a noi”.64 Il problema del battesimo dei fanciulli Il battesimo dei fanciulli, probabilmente in analogia con il rito ebraico della circoncisione, è documentato dal secolo II° quale battesimo di “tutti quelli della casa”. Ma qual è esattamente il significato del battesimo di una persona minorenne? “Il battesimo sacramentale, per mezzo della sua simbologia, contiene la grande esperienza di tutta l’umanità”.65 Mediante la simbologia del battesimo si rende evidente che la fede penetra le profondità del cuore umano e che la salvezza debba essere vissuta pure in maniera fisica. Il battesimo di un fanciullo può essere manifestazione viva della “impazienza di 63 Vaticano II, Decreto sull’ecumenismo n. 22. Th. Schneier, Was wir glauben. Eine Auslegung des Apostolischen Glaubensbekenntnisses, Düsseldorf 1985, pag. 434. 65 J.M. Tillard, loc. cit. 262. 64 41 Dio”, perché Dio dice il suo sì all’uomo prima che l’uomo possa confessare di tenere a Dio. Siccome nel sacramento il segno dell’acqua è collegato con il dono dello Spirito, c’è una forza che accompagnerà il bambino sul suo cammino della vita e della fede. Il battezzando riceve il suo nome nel momento del battesimo come è già usanza nel rito ebraico della circoncisione. Questo nome è il primo nome del bambino e rappresenta la sua natura unica. Il fatto che si soleva dare, secondo una tradizione secolare, nomi di importanti esempi di fede, sia cristiani sia biblici, implica che si metteva al fianco del bambino un intercessore il quale appartiene alla comunione dei perfetti. Così si manifestava la convinzione che mediante il battesimo apparteniamo alla grande comunione dei santi. All’epoca del cristianesimo primitivo i maggiorenni ricevevano al momento del battesimo un nuovo nome. Il Nuovo Testamento rivela che al termine del nostro cammino di vita riceveremo ancora una volta un nuovo nome: “Al vincitore darò … una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve” (Apocalisse 2,17). Il nome è sempre manifestazione della persona intrinseca che solo Dio conosce. Quando i genitori danno il nome al bambino assumono la responsabilità di introdurlo nella fede finché non possa egli stesso decidere sul proprio cammino. Il battesimo è quindi dono e mandato nello stesso tempo. Il battesimo è necessario per ottenere la salvezza? È necessario il battesimo per ottenere la salvezza, come lo testimonia la tradizione del cristianesimo primitivo? L’affermazione che il battesimo è necessario per ottenere la salvezza significa che si voleva rendere concreta la fede accordandola al significato universale di Gesù Cristo. Ma noi viviamo in una società multiculturale e plurireligiosa, e ci si pone la domanda in che modo la volontà universale di Dio di salvare gli uomini sia da conciliare con la valenza universale di Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini. Rimane fondamentale la convinzione della volontà universale di Dio di salvare tutti gli uomini. “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Timoteo 2, 4-6). Ciononostante l’amore di Dio, dal punto di vista cristiano, è legato a Gesù ed a chi lo segue. Per questo motivo l’annuncio e la missione hanno un’importanza essenziale per la Chiesa di Cristo. Come è possibile sciogliere la tensione? Si devono rispettare ambedue: la libertà dell’uomo di decidersi circa la fede, e la sovranità di Dio nella sua volontà di salvare tutti. Il Nuovo Testamento conosce diverse vie. - La fede precede il rito del battesimo e viene “incarnata” (così negli Atti degli apostoli 8,12: uomini e donne credono alla predicazione di Filippo e si fanno battezzare). - Il battesimo compiuto è il punto di partenza: il rito del battesimo, cioè l’immersione nell’acqua, diventa un’immagine di come si evolve un’esistenza cristiana nella condizione di un nuovo stile di vita, condotta nella fede. Il battesimo crea la base per un nuovo inizio nella fede (così soprattutto la lettera ai Romani 6,3-18).66 - Dove la Bibbia parla del battesimo quale “illuminazione” considera il battesimo una fortificazione della fede. Il battesimo dona e risveglia la fede rendendo l’uomo capace di “vedere”.67 Da principio la fede è un atto esclusivamente personale con cui si manifesta in libertà l’adesione al Vangelo. La fede resta sempre un cammino: né la fede né il 66 67 Cfr. 1 Corinzi 10,1-13 e 6,1-11; 1 Pietro 3, 13-22. Cfr. Lettera agli Ebrei 6,4; 2 Corinzi 4,6; Efesini 1,18 e 3,9; 2 Timoteo 1,10 42 battesimo sono da considerare una cosa conclusa quasi che l’avessimo dietro le spalle.68 Il battesimo - un atto di confessione della fede Il battesimo di una persona è sempre anche un atto mediante il quale si conferma la comunione nella fede della Chiesa di Gesù Cristo. Nelle confessioni autobiografiche (Confessiones) il dottore della Chiesa Agostino riferisce del battesimo di un noto dottore di filosofia e di retorica in modo seguente: “Giunse l’ora di recitare la confessione della fede. A Roma chi si accosta alla Tua grazia recita da un luogo elevato, al cospetto della massa dei fedeli, una formula fissa imparata a memoria. Però i preti, narrava l’amico, proposero a Vittorino di emettere la sua professione in forma privata, licenza che si usava accordare a chi faceva pensare che si sarebbe emozionato per la vergogna. […] Così, quando salì a recitare la formula, tutti gli astanti scandirono fragorosamente in segno di approvazione il suo nome, facendo eco gli uni agli altri, secondo che lo conoscevano. Ma chi c’era là che non lo conosceva? Risuonò dunque di bocca in bocca nella letizia generale un grido contenuto: ‘Vittorino; Vittorino!’; e come subito gridarono festosi al vederlo, così tosto tacquero sospesi per udirlo. Egli recitò la sua professione della vera fede con sicurezza straordinaria. Tutti avrebbero voluto portarselo via dentro al proprio cuore, e ognuno invero se lo portò via con le mani avide dell’amore e del gaudio. ”69 Davanti alla comunità riunita, quest’uomo celebre recita la confessione della fede che gli è stata spiegata durante il catechismo e che gli è stata “consegnata”. Con essa aderisce ad una comunità di uomini che è stata emarginata e perseguitata a motivo della fede ed alla quale appartenevano molte persone provenienti dai bassi ceti. Si sente in questo racconto la gioia e l’emozione della comunità che è stata fortificata per l’accoglienza di tale nuovo membro. Il rito del battesimo cominciava con le parole: “Credi …” (latino: credis) – “Io credo …” (latino: credo). Il candidato riceveva all’inizio del catecumenato il “simbolum” cioè la confessione di fede per “restituirlo” (latino: redditio simboli), entrando così nella comunità di fede. La sua fede era una risposta all’annuncio che gli era stato rivolto già prima. Essa era, in più, l’affermazione di aver sperimentato ancora altri momenti della storia della salvezza, un’esperienza che è diventata fondamento per la propria vita. Marie-Louise Gubler 68 L’ultimo capitolo del Vangelo secondo Marco contiene una particolarità significativa nel contesto del mandato universale del Risorto: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato” (Marco 16, 15-16). È un’appendice al Vangelo che risale al II° secolo. Parla in un linguaggio duro, però evita di mettere in parallelo fede e battesimo. È sola la fede che decide di salvezza o dannazione (nella parte negativa della frase manca il battesimo!). La fede stessa non si lascia giudicare dall’esterno. In maniera analoga si distingue nel Vangelo la decisione per Cristo dall’aderenza alla comunità (con le parole “Chi non è contro di noi è per noi” Gesù difende un taumaturgo forestiero, cfr. Marco 9,40; d’altro canto, secondo Matteo 12,30, Gesù dice: “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde.”) L’appartenenza a Gesù non è identica con quella alla comunità. 69 Agostino, Confessioni VIII 2,5 43 Uniti nella fede – separati alla mensa del Signore? La questione dell’ospitalità eucaristica tra la Chiesa cattolico-romana e le Chiese della Riforma è attualmente considerata in genere una pietra d’inciampo che ostacola il dialogo ecumenico. Un esempio: un giorno in una parrocchia della campagna del Canton Zurigo la pastora riformata M. ed il parroco cattolico N. decidono di celebrare insieme la Santa Cena. Dal punto di vista riformato, questa decisione non crea problema, è anzi auspicabile. Dal punto di vista cattolico invece, il problema si presenta in un’altra maniera. Al più tardi quando il parroco cattolico N. lascerà la parrocchia e si trasferirà altrove e il successore che si presenta sarà persona non molto aperta all’ecumenismo, tutti gli accordi stabiliti nel frattempo diventeranno inutili. Chi è dell’avviso che un accordo sulla Santa Cena preso da due responsabili pastorali manifesti un progresso ecumenico, si fa illusioni. Questo dipende dal fatto che la parrocchia retta dal parroco N. non sarebbe veramente cattolica se non si integrasse nel contesto universale della Chiesa cattolico-romana. La Chiesa cattolica è cattolica proprio perché manifesta visibilmente l’unità.70 Questa situazione solleva spesso un atteggiamento d’incomprensione e di rifiuto, poiché dagli anni ‘60 le Chiese locali della Svizzera si dotarono sempre di più di strutture civili-ecclesiastiche elette democraticamente. Nonostante ed a motivo di questa incomprensione si deve tener conto di una dimensione dell’ecumenismo che è rilevante per la vita nelle comunità senza manifestarsi però nel vissuto della parrocchia: l’ecumene della Chiesa universale. Non tutto ciò che è rilevante per la vita nella comunità si lascia regolamentare dall’ecumene a raggio universale.71 L’Enciclica “Ecclesia de Eucharistia” è stata pubblicata attorno alla questione controversa della Santa Cena richiamando questo punto dolente alla mente dei cristiani. La questione dell’ospitalità eucaristica tra cattolici e protestanti è ovviamente soltanto una componente dell’attuale dialogo ecumenico, perché è collegata strettamente con l’interpretazione del ministero, della Chiesa, ed in generale dell’ecumenismo. Eucaristia e communio Quando il Concilio Vaticano II° parla dell’Eucaristia quale “fonte e apice di tutta la vita cristiana”72, diventa evidente l’importanza che l’interpretazione della Chiesa cattolica attribuisce a questo sacramento. Nell’enciclica “Ecclesia de Eucharistia” il papa Giovanni Paolo II° sottolinea con particolare insistenza la posizione primaria che l’Eucaristia ha nella vita della Chiesa: “L'Eucaristia, presenza salvifica di Gesù nella comunità dei fedeli e suo nutrimento spirituale, è quanto di più prezioso la Chiesa possa avere nel suo cammino nella storia.”73 Quindi non ci si deve meravigliare che il timore e la venerazione nei confronti di questo “sommo bene” solleciti di continuo il magistero della Chiesa cattolica nel richiamare alla mente dei fedeli l’argomento spirituale e l’importanza centrale di questo sacramento. Inoltre non ci si deve meravigliare che nella società postmoderna, numerosi fedeli comprendono sempre meno argomenti d’ordine spirituale, anche se rivestono un’importanza centrale poiché, nella società post-moderna, i profili che delimitano le confessioni ed il mondo secolarizzato diventano sempre più vaghi. Cfr. Gottfried Locher, Ortsgemeinde und Weltkirche. Zum Stand der Ökumene: Erkenntnisse und Thesen für die reformierte Schweiz (manoscritto 2003), pagina 5s. 71 Cfr. ibid. 7. 72 Lumen gentium, n. 11 73 Ecclesia de Eucaristia, n. 9. 70 44 Per questo motivo si tenterà qui di mettere in rilievo alcuni argomenti dell’interpretazione cattolica dell’Eucaristia, ai quali si presta un’attenzione modesta. Mentre i tre grandi temi fondamentali della dottrina dell’Eucaristia moderna – la presenza reale, la transustanziazione, il carattere di sacrificio dell’Eucaristia – hanno prodotto un certo avvicinamento delle posizioni cattoliche e e di quelle protestanti, l’idea della Chiesa quale “communio” (comunione), rimessa a fuoco dal Concilio Vaticano II°, risulta un argomento di discussione nel dialogo ecumenico che avrebbe ancora bisogno d’essere chiarito. L’accentuazione del carattere comunitario di ogni celebrazione eucaristica contraddistingue l’interpretazione cattolica (ed ortodossa) dell’Eucaristia.74 La comunione eucaristica dei fedeli con Cristo è, secondo l’interpretazione cattolica, non soltanto la partecipazione personale a Cristo, ma nello stesso momento anche una comunione dei fedeli tra di loro. La Chiesa cattolica poggia la propria argomentazione soprattutto su Paolo, che spiega la partecipazione dei fedeli al corpo eucaristico di Cristo quale comunione con il suo corpo cioè la Chiesa: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo:tutti infatti partecipiamo dell’unico pane” (1Cor 10, 16-17). La partecipazione alla celebrazione dell’Eucaristia ha quindi, secondo Paolo, accanto al suo carattere personale soprattutto anche una dimensione ecclesiale (comunione della Chiesa). È appunto attraverso l’Eucaristia che si manifesta l’edificazione della comunità. Secondo Paolo la comunione di molti fedeli uniti nell’una Chiesa è costituita nell’unico pane eucaristico e quindi nell’unico Cristo. Il Concilio Vaticano II° riprende nella stessa maniera l’idea di ecclesialità della celebrazione eucaristica, accentuandola nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa: “Partecipando realmente del corpo del Signore nella frazione del pane eucaristico, siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi”.75 Il papa Giovanni Paolo II° l’ha ugualmente sottolineato nella summenzionata enciclica.76 Proprio perché la comunione eucaristica dal profilo cattolico è sempre anche comunione ecclesiale, l’Eucaristia non va celebrata senza l’unità integrale della Chiesa. L’espressione visibile di questa unità integrale è la preghiera per la Chiesa e per i suoi ministri, inserita nella Preghiera eucaristica: “Ricordati della Tua Chiesa diffusa su tutta la terra, rendila perfetta nell’amore in unione con il nostro Papa [N..], con il nostro vescovo […], il collegio episcopale, i presbiteri, i diaconi e tutti coloro che sono chiamati a svolgere un servizio nella Chiesa”. La questione del ministero Questo contesto evidenzia che la questione della comunione eucaristica è strettamente legata a quella del ministero. Secondo la dottrina cattolica, la celebrazione dell’Eucaristia premette ministri degni di svolgerla con una consacrazione valida.77 Questa pratica risale ai primordi della Chiesa. Il ministero triplice del vescovo, sacerdote e diacono si cristallizzò già agli inizi. Il ministero non si costituisce né per iniziativa privata né per incarico ricevuto da parte di una comunità locale o dai responsabili della Chiesa. Ben più, il ministero viene tramandato da Cristo in un sacramento particolare ad un individuo attraverso la preghiera e l’imposizione delle mani. Scopo del ministero è pure quello di rappresentare che la Chiesa trae origine dalla missione di Gesù Cristo. Ciò si manifesta soprattutto nella celebrazione 74 Ibid., n. 34-35 Lumen gentium, n. 7. 76 Ecclesia de Eucharistia, n. 21-24. 77 Ibid., n. 26-33. 75 45 dell’Eucaristia: il sacerdote celebra la Cena del Signore in seno alla comunità; per la comunità; e insieme alla comunità e, nello stesso tempo, sta dinanzi alla comunità a titolo di persona che agisce nel nome di Cristo: non quale cristiano di rango maggiore, bensì quale preposto al servizio. Inoltre, nella prospettiva della Chiesa cattolica, una Chiesa è collegata con l’origine apostolica solo a condizione che essa possa far risalire il suo ministero dall’inizio sino ad oggi entro una catena ininterrotta di ordinazioni mediante l’imposizione delle mani e la preghiera.78 Una volta interrotta questa catena di successori (la successione) in una certa Chiesa, essa non appartiene più alla successione apostolica e non dispone più di un ministero validamente consacrato. La Chiesa cattolica rivendica – benché non incontestata tra teologi – per sé stessa la successione ininterrotta. Per le Chiese della Riforma il Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II° non ammette la successione apostolica, siccome esse “per la mancanza del sacramento dell'ordine, non hanno conservata la genuina ed integra sostanza del mistero eucaristico”79. Con questo appare evidente che l’interpretazione diversa del ministero ordinato è un ulteriore ostacolo sul cammino verso la comunione eucaristica. Chi invita? La spiegazione di cui sopra è un tentativo per mostrare l’importanza assoluta che la dimensione ecclesiale della celebrazione dell’Eucaristia possiede per la Chiesa cattolica. In contrasto con la dottrina cattolica, la teologia protestante più recente mette altri accenti comprendendo la Santa Cena primariamente come dono di Dio e della grazia del suo perdono per il singolo peccatore. La teologia protestante afferma che è solo Cristo ad invitare alla Santa Cena. Da questo invito nessuno va escluso. Quindi si contesta dall’inizio alla Chiesa il diritto di decidere chi possa partecipare alla Santa Cena e chi no. La conseguenza di una tale interpretazione – rappresentata per esempio dal celebre teologo Jürgen Moltmann – è un’interpretazione assolutamente aperta della Santa Cena, che permette in extremis alle Chiese protestanti di invitarvi in linea di principio tutti, e di non considerare nemmeno il battesimo la condizione elementare per parteciparvi. Una tale interpretazione della Santa Cena, aperta sia alle Chiese che al mondo potrebbe a prima vista affascinare. Ma perde la forza della sua attrazione teologica quando si comprende che è pagata al caro prezzo di abbandonare la dimensione comunitaria dell’Eucaristia.80 È appunto l’abbandono della dimensione ecclesiale della Santa Cena che la Chiesa cattolica considera un ostacolo per la celebrazione comunitaria della Santa Cena tra cattolici e protestanti. Prospettiva Il punto nella discussione attuale sull’ospitalità eucaristica può avere un carattere di disincanto, magari deludente. Ma in tale disincanto c’è anche una chance. L’ecumenismo non ha un grande avvenire se cerca di ritrovarsi ricorrendo a compromessi. La questione dell’ospitalità eucaristica richiede da tutti sincerità e sensibilità, chiarezza sulle posizioni di partenza e la disponibilità di accettare che si pongano domande critiche alla propria identità. Potrebbe significare, per esempio, che la Chiesa cattolica ammetta la mancanza di una sicurezza integrale del diritto canonico rispetto alla validità di tutte le consacrazioni, visto che nel tardo medioevo e nel barocco qualche consacrazione era contestabile sia per l’intenzione che per la forma. D’altro canto sarà necessario che le 78 Ibid., n. 28. Decreto sull’ecumenismo, n. 22: Ecclesia de Eucaristia, n. 30. 80 Cfr. Kurt Koch, Gelähmte Ökumene. Was jetzt zu tun ist. Freiburg im Breisgau 1991, p. 218s. 79 46 Chiese protestanti si occupino del valore ecclesiale dell’ordinazione e della sua forma concreta, cioè l’imposizione delle mani e la preghiera di consacrazione quali segni efficaci dell’inserimento nella tradizione complessiva della Chiesa.81 Il peggio che possa verificarsi nella discussione sull’ospitalità eucaristica sarebbe la possibilità che le relative Chiese voltino le spalle una all’altra: sia per presunzione eccessiva che per orgoglio offeso. Il cammino del dialogo ecumenico negli scorsi decenni nutre la speranza legittima che questa possibilità non si avveri. La rete che è stata intrecciata tra i due poli è forte e stabile per sopportare i pesi e gli imbarazzi. Le Chiese devono comunque confrontarsi con un disinteresse che aumenta sempre di più nella Chiesa e nella società e saper vivere con semplificazioni problematiche e interruzioni polemiche. Ma tutto ciò non giustifica il rimandare il dialogo cattolico–riformato sulla questione dell’ospitalità eucaristica. Adrian Lüchinger 81 Ibid., p. 224. 47 Caritas: l’attuazione fondamentale della Chiesa La caritas costituisce l’elemento sociale della vita cristiana e nell’esposizione seguente corrisponde alla diaconia, poichè la terminologia ha le sue sfumature a seconda delle confessioni. Martyria, leitourgia e diakonia sono le attuazioni dell’essere Chiesa fondate tutte e tre nel Nuovo Testamento. I fondamenti nel Nuovo Testamento La base è posta nel duplice comandamento che richiede l’amore di Dio e l’amore del prossimo ed è considerato quale primo comandamento (Mc 12,18-31; Mt 22, 3540; Lc 10, 25-28). Con questo duplice comandamento si riprende l’annuncio morale del Primo Testamento (cfr.: Deuteronomio 6,5; Levitico 19,18). Lo stesso Gesù annuncia, nella sua testimonianza del Regno di Dio: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22,40). Questo annuncio manifesta il mandato universale della caritas come si presenta in maniera esemplare nella parabola del buon Samaritano (Lc 10,29-37). Il fine della caritas è la giustizia nella sua integralità, che palesa Dio quale origine e traguardo della vita e che era stata continuamente rivendicata dai profeti (cfr.: Isaia 1,17; Osea 6,6). Il Regno di Dio nella sua immediatezza si è avverato nella persona e nell’attività di Gesù Cristo (cfr. l’appello alla conversione in Marco 1,15). In Gesù, benché ritenuto dai suoi contemporanei un condottiero ebraico e fondatore di una setta pericolosa (a seconda di criteri sociali empirici), questo comando diventa un nuovo modello di comunità su cui si formerà la giovane Chiesa. Questo modello di comunità sollevò, a motivo del suo principio di condivisione vissuta, grande stupore nell’epoca antica. Questo stupore è frutto del principio di disuguaglianza sociale e culturale che caratterizzava nell’antichità le relazioni tra liberi e schiavi, tra uomini e donne, tra nullafacenti ed attivi. La colletta organizzata dall’apostolo Paolo a favore della primitiva comunità di Gerusalemme (cfr. 2 Corinzi 8s.) rende evidente due momenti: a) il carattere ecclesiale della caritas e b) la componente integrale della caritas nella comunità primitiva. L’immagine escatologica del giudizio universale (Mt 25; vedi anche 1 Gv 4,20) si presenta come uno “specchio della diaconia” praticata nel cristianesimo primitivo; storicamente considerato un testo base per il comandamento della caritas a partire dal Nuovo Testamento. Con l’attività caritativa della Chiesa si intende un’attuazione fondamentale della vita cristiana che crea e sostiene l’identità. La Chiesa manifesta la sua affidabilità, partendo dal principio che ci sia una “testimonianza senza parole” (Evangelii Nuntiandi 21) affidata a tutto il popolo di Dio e dall’altro lato servizi e ministeri che obbligano in maniera particolare gli incaricati (cfr. gli elementi caritativi all’interno delle relative ordinazioni e mandati). La diaconia nella storia I tratti caratteristici di una diaconia per cristiane e cristiani e per le loro comunità, definiti dal Nuovo Testamento, continuano a sussistere nella Chiesa antica e si evolvono nella letteratura patristica. Risulta da questo processo storico l’evoluzione del ministero diaconale. Rimanendo fedele alla propria identità, la Chiesa antica apprezza l’elemento diaconale nella propria storia tanto che, accanto al ministero del vescovo, si trova un ministero specifico: il diacono. Scopo di questo ministero era di far sì che la disponibilità di voler condividere fosse mantenuta viva ed efficace. Nell’atto del dare e del condividere si dovrebbe manifestare la “mano di Dio”. Seguendo l’esempio di Cristo che ama il prossimo in maniera attiva (cfr. soprattutto il racconto in Matteo 25), 48 uomini e donne si impegnano accanto a chi ha un ministero per la diaconia. I laici si impegnano per una testimonianza diaconale della Chiesa. Nell’epoca medievale c’erano fenomeni come malnutrizione, sconvolgimenti bellici, epidemie a seguito di migrazioni incessanti, raccolti scarsi, abitazioni non igieniche ecc. che rendevano “il malato” figura simbolica per la caritas cristiana. Il simbolo del malato assume nel concetto sociale della società medievale il posto che nella giovane Chiesa era riservato alla fascia delle vedove e degli orfani. È il malato che manifesta in maniera concreta ed immediata il comandamento dell’amore del prossimo. Il malato diventa paradigma per il povero, per il mendicante e per il pellegrino e dà un significato spirituale alla cura degli ammalati e dei bisognosi (la dimensione teologica, come quella spirituale, spiegano l’incremento degli ospizi e degli ospedali nel Medievo). Quando lo Stato comincia ad emanciparsi dalla Chiesa anche questo sviluppo ha il suo effetto sulla diaconia. In questo momento ci sono due istituzioni, una accanto all’altra: l’istituzione secolare della società civile e quella ecclesiastica con il suo proprio assetto sociale. La Riforma riprende consapevolmente questo filo della tradizione nella sua identità ecclesiale: così ad esempio Martin Lutero, quando parla del sacerdozio diaconale (cfr.: le tesi 43-45 delle 95 tesi del 1517). Sono stati i secoli XIX° e XX° – e ciò riguarda tutte le tradizioni e le Chiese – che hanno ripreso di nuovo la questione sociale. Nel ‘900 essa provoca dappertutto una viva attività all’interno delle Chiese. Nell’epoca dell’industrializzazione, con i suoi rivolgimenti, sono i fenomeni di grandi migrazioni e di disambientamento, di disoccupazione e di povertà a causare una nuova forma di povertà e miseria le cui dimensioni erano finora sconosciute. Nel movimento sociale delle Chiese cristiane del ‘900 si radunano cristiani e cristiane che, consapevoli dell’urgenza della questione sociale, affrontano la grande sfida. Nel XX° secolo teologi come p. Alfred Delp S.J. oppure Dietrich Bonhoeffer danno una testimonianza impressionante per illustrare come la Chiesa si volge alla diaconia (Dietrich Bonhoeffer: “La Chiesa è Chiesa quando è a disposizione degli altri”). Il programma di una Chiesa diaconale ispirava tra l’altro la teologia della liberazione a sviluppare il proprio concetto gnoseologico della “opción preferencial por los pobres”. Così il Documento finale dell’Episcopato latino-americano del 1979 a Puebla afferma:”La scelta preferenziale per i poveri si prefigge l’annuncio di Cristo salvatore che li illuminerà sulla loro dignità, li aiuterà nei loro sforzi di liberazione da tutte le loro carenze e li porterà alla comunione col Padre ed i fratelli mediante una esperienza vissuta di povertà evangelica. […] Questa scelta, reclamata dalla realtà scandalosa degli squilibri economici in America Latina, deve portare a instaurare una convivenza umana degna e fraterna ed a costruire una società giusta e libera”82. Il movimento Life-and-Work Le Chiese cristiane considerano la vita di ogni giorno un campo di sperimentazione e di prova per l’amore del prossimo che Gesù di Nazaret aveva iniziato all’interno della comunione dei credenti. In altre parole: non può esistere una Chiesa che sia priva del primato dell’agape praticata. Non ci si deve meravigliare del fatto che il movimento ecumenico abbia preso la diaconia quale uno tra altri punti di partenza. Immediatamente dopo la prima guerra mondiale nasce il movimento Lifeand-Work, nel mondo germanofono più conosciuto sotto il nome “Bewegung für praktisches Christentum” (movimento per un cristianesimo vissuto). Si tratta di un movimento ecumenico che era partito da diverse iniziative. Ecco quelle che davano origine al movimento Life-and-Work: 82 cfr. Denzinger/Hünermann, nn. 4632 s. 49 Da parte luterana Nathan Söderblom (1866-1931), la cui vita offriva una testimonianza impegnata ed ecumenica. Fu chiamato “il padre della Chiesa ecumenica” siccome coordinava l’aiuto immediato e misure pacificatrici da parte degli Stati neutrali durante gli sconvolgimenti della prima guerra mondiale. Il suo concetto programmatico di una “cattolicità evangelica” si fonda sull’elemento diaconale di ogni comunione ecclesiale. Lavora instancabilmente per la pace e per la riconciliazione tra i partiti e le nazioni nemiche. - Il patriarca ecumenico di Costantinopoli indirizza nel 1920 un’enciclica “a tutte le Chiese cristiane ovunque siano”. Nella sua lettera il pastore ortodosso fa appello a rinunciare ad ogni diffidenza ed inimicizia e a unirsi nell’ambito d’un amore vissuto. - L’“Alleanza mondiale per promuovere l’amicizia fra le nazioni attraverso le Chiese” (The World Alliance for Promoting International Friendship Through the Churches) è un’organizzazione d’avanguardia ecumenica che si costituisce con una conferenza a Costanza alla vigilia della prima guerra mondiale. Il suo fine è di mobilitare le forze morali del cristianesimo per promuovere e garantire la pace. - Nel 1923 si raduna il Comitato esecutivo del movimento Life-and-Work a Zurigo per preparare la prima conferenza tenutasi poi a Stoccolma nel 1925. Questo organismo formula quale fine della sua attività: “La Conferenza per un cristianesimo vissuto aspira all’unione delle diverse Chiese in un lavoro comunitario pratico rinunciando a trattare questioni che riguardino il credo e la costituzione”. Con il suo motto “La dottrina divide, il servizio unisce” il movimento Life-andWork rinunciava deliberatamente al dibattito dogmatico tra le diverse confessioni e denominazioni. Per mezzo di una testimonianza di diaconia si voleva aprire la strada all’ecumenismo. Questa strategia portò però a trasformare l’idea iniziale ed in seguito, mentre si continuava con il lavoro pratico, si affrontarono anche questioni dogmatiche. Si ammise l’errore di aver separato fede ed azione. L’azione si costituisce sempre a partire da una certa convinzione di fede e viene incentivata e promossa da essa. Per questo il movimento Life-and-Work decise di prendere contatto con l’altro grande movimento ecumenico Faith-and-Order nel 1937, in occasione della seconda assemblea del movimento Life-and-Work ad Oxford. Ma la seconda guerra mondiale rese impossibili ulteriori incontri. Solo nel 1948 si costituisce ad Amsterdam il Consiglio Ecumenico delle Chiese che unisce in una prospettiva pragmatica entrambi i movimenti Faith-and-Order e Life-and-Work. Il risultato storico del movimento Life-and-Work si può delineare con i seguenti tratti: da un lato si può rendere a questo movimento merito di aver affrontato in uno spirito ecumenico le sfide lanciate alle Chiese cristiane dal mondo secolare. Dall’altro lato, l’unione fra i due movimenti Life-and-Work e Faith-and-Order evidenzia che servire il mondo nel mondo sia una testimonianza delle Chiese che si realizza nell’unità di leitourgia, diaconia e martyria. Una diaconia che fosse priva delle questioni teologiche riguardanti la fede, la comunione nel culto ed i sacramenti sarebbe incompleta rispetto alla prospettiva ecclesiologica. Ambedue gli aspetti insieme le pertengono! Nello stesso periodo il cardinale belga Cardijn, entro la Chiesa cattolica, elaborò una base sistematico-teologica della diaconia per mezzo di una metodologia di tre passi: “Voir, juger, agir”. Sviluppata nel periodo antecedente il Vaticano II°, mette in rilievo non soltanto l’importanza della diaconia per l’epistemologia teologica, ma anche l’identità ecclesiale nella teoria sociale della Chiesa cattolica. Il papa Giovanni XXIII° assume questo triplice metodo nella sua enciclica Mater et Magistra (n. 236). Lo stesso paradigma ritorna nel documento conciliare Gaudium et Spes (n. 4) e nel - 50 periodo postconciliare sarà approfondito dalla teologia della liberazione dal profilo sistematico-teologico. Caritas nei documenti di convergenza In seguito a questi fatti nel secolo scorso la questione della diaconia diventa un elemento indispensabile del movimento ecumenico. Quando il Consiglio ecumenico delle Chiese affronta per mezzo di diversi programmi il fenomeno dell’ingiustizia strutturale ripudiando la politica sudafricana dell’apartheid, l’elemento diaconale dell’ecumenismo prende una svolta di connotazione politica. Le tensioni attuali nel Consiglio ecumenico risultano fra l’altro da un conflitto che palesa d’altro canto il silenzio in cui il medesimo Consiglio si chiuse nei confronti dei dissidenti e dei campioni per i diritti umani nell’Europa centrale ed orientale. Il consenso delle Chiese nelle questioni sociali ha conosciuto un grande progresso. Le dichiarazioni comuni della Chiesa cattolico-romana e delle Chiese della Riforma non sono più una rarità. Le Chiese si sono unite per organizzare insieme pronti interventi e progetti che sostengono l’aiuto allo sviluppo. Un tale lavoro si fonda su un’identità ecclesiale e rende testimonianza, in una nuova forma, di una diaconia che il Nuovo Testamento richiede attraverso il “ministero della riconciliazione” (2 Corinzi 5,18). La scoperta del “prossimo lontano” collega il concetto missionario con il carattere sostanzialmente ecclesiale della diaconia. In quest’ambito le due grandi Chiese della Svizzera hanno fatto una dichiarazione congiunta in una Consultazione ecumenica su questioni che riguardano l’economia e la giustizia: “Consultazione ecumenica sul futuro sociale ed economico della Svizzera: Quale futuro desideriamo?” Ne è risultato il documento “Insieme verso il futuro” che fu presentato al pubblico nel 2001 e dove si delinea il carattere ecclesiale della diaconia in questi termini: “Le nostre Chiese non vivono al di fuori della società civile né in opposizione ad essa, anzi, sono parte della società, anche se il loro mandato è legato ad una testimonianza ancorata al di là della storicità dell’uomo. Le cristiane e i cristiani devono assumere e percepire il loro posto così come tutti gli altri attori della vita sociale. Però, come il lievito fa lievitare la pasta, così essi hanno il mandato di agire per far lievitare la speranza e la potenza della liberazione già attive nella società. Guidate dalla Buona Novella di Gesù Cristo, entrambe le Chiese vogliono accompagnare e sostenere uomini e donne che sono in ricerca di un senso nella vita sia individuale che sociale e vogliono loro offrire un luogo di dialogo”. Il processo conciliare a cui indussero le Chiese europee e la 6a Assemblea plenaria del Consiglio ecumenico delle Chiese a Vancouver nel 1983 diede ulteriore impulso all’elemento fondamentale della diaconia nel movimento ecumenico. Scopo del processo conciliare è invitare le Chiese e tutte le persone che vi sono interessate ad un impegno comunitario negli ambiti della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato. Con questa opzione si aggiunge alle componenti tradizionali del servizio cristiano nel mondo - cioè la giustizia e la pace – anche il paradigma ecologico. Caritas quale impulso per la Chiesa del futuro La caritas, rispettivamente il servizio di diaconia, sono elementi costituivi per l’identità delle Chiese. Per tutte le comunità ecclesiali è il comandamento dell’amore del prossimo il motivo del loro agire pubblico. Questa caratteristica di base continua a sussistere nel prossimo futuro del pensiero ecumenico delle diverse Chiese e comunità ecclesiali. Ci si chiede se l’austerità economica nella vita pubblica delle società moderne e l’adozione del paradigma neoliberale riguardo alle questioni sociali non rinforzino e spronino l’interazione ecumenica nell’ambito della diaconia e della caritas. 51 La riflessione sulla dimensione ecologica della vita nella sua ricezione ecumenica si china con occhio critico sull’antropocentrismo caratteristico dell’epoca moderna. Il concetto della storia come predominava sino ad oggi si allarga così ad un concetto della vita che la considera una rete ed un intreccio di relazioni reciproche. La discussione più recente intorno ai diritti umani apre alle Chiese cristiane un altro importante campo di lavoro per la diaconia ecumenica. La Carta ecumenica delle Chiese cristiane d’Europa, ratificata dalla Conferenza delle Chiese europee (KEK) e dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE), considera l’elemento diaconale un passo che conduce verso l’unica Chiesa nella fede. La teologia femminista indaga per mezzo delle scienze del gender il carattere di servizio ed il postulato del servire con un interesse critico verso le ideologie. Essa considera l’elemento della diaconia un elemento di sviluppo nelle Chiese. Nonostante tutte le critiche che prendono di mira la socializzazione culturale e religiosa di donne e di altri gruppi oppressi, il comandamento neotestamentario della diaconia permane attuale. Secondo la teologia femminista, la diaconia quale elemento centrale dell’identità delle comunità cristiane ha come conseguenza la riflessione su una “ecclesiologia di servizio” (E.Schüssler-Fiorenza). I rispettivi concetti neotestamentari dynamis/exousia/soteria (cioè potenza/libertà/salvezza) mettono in dubbio la ricezione esclusivamente religiosa di un atteggiamento di servizio condizionato da parametri culturali. Una diaconia che risulti da una libera scelta e che porti salvezza in questo contesto è intesa piuttosto come un’empatia: cioè un mettersi nei panni dell’altro. Liturgia, diaconia e martyria/testimonianza possono essere pensate e vissute in maniera diversa nelle varie Chiese e tradizioni cristiane. C’è però un punto di consenso: “La comunione nell’agire spirituale è un progresso ecumenico verso l’unità delle Chiese solo quando manifesta non un’arbitrarietà ostentata nel superamento di ogni assolutismo e di ogni segregazione peccaminosa, nascendo dalla ‘conversione del cuore’ e dalla ‘santità della vita’ (UR 8) ed essendo testimonianza di una verità maggiore e di un amore maggiore.”83 Nerses IV (1102-1173) chiamato Schnorhali (il Grazioso, colmo di grazia) individua l’amore del prossimo quale impegno principale per tutti coloro che hanno un’intenzione ecumenica perché è la regina maggiore di tutte le virtù. Nella discussione ecumenica è un luogo comune aspettarsi che l’unità delle Chiese cresca grazie all’elemento diaconale di ogni essere Chiesa e di ogni farsi Chiesa. Wolfgang W.Müller OP 83 G.Voss, Gemeinschaft im geistlichen Tun, in: H.J.Urban/H.Wagner (Hrsg.), Handbuch der Ökumenik, Bd. III/2, Paderborn 1987, 216-265, 263ss. 52 A mo’ di conclusione Ciò che ci unisce sul lungo percorso verso l’unità visibile è molto più di quello che ancora ci separa! L’accettazione reciproca dell’unico battesimo; la comunione di fratelli e di sorelle nella fede in Gesù Cristo; l’impegno comune per la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato; le traduzioni ecumeniche della Bibbia; la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani; la riscoperta di tradizioni spirituali e la collaborazione ecumenica di comunità e parrocchie, delle opere assistenziali, degli istituti di formazione teologica: tutto questo è un segno di speranza. “Esiste una dimensione di comunione che si lascia descrivere con l’immagine di un ponte crollato oppure distrutto. Ci sono rimasti ancora parecchi pilastri sicuri ed è più quel che ci collega di ciò che ci separa” (così il cardinale Karl Lehmann nella sua relazione “Der Weg zur Einheit der Kirche” tenuta in occasione della Giornata dei sacerdoti della diocesi di Essen il 7 gennaio 2002). Il decreto sull’ecumenismo “Unitatis Redintegratio” del Vaticano II° e l’enciclica “Ut unum sint” del papa Giovanni Paolo II° indicano la strada: “I fedeli cattolici nell'azione ecumenica si mostreranno senza esitazione pieni di sollecitudine per i loro fratelli separati, pregando per loro, parlando con loro delle cose della Chiesa, facendo i primi passi verso di loro. E innanzi tutto devono essi stessi con sincerità e diligenza considerare ciò che deve essere rinnovato e realizzato nella stessa famiglia cattolica, affinché la sua vita renda una testimonianza più fedele e più chiara della dottrina e delle istituzioni tramandate da Cristo per mezzo degli apostoli. […] Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene compiuto nei fratelli separati, può pure contribuire alla nostra edificazione” (Concilio Ecumenico Vaticano II°, Unitatis Redintegratio, I.4) “Non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione. Infatti il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento dell'animo (24), dall'abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità”. (Concilio Ecumenico Vaticano II°, Unitatis Redintegratio, II.7). “Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi così all'ascolto dello Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i "segni dei tempi".. […] “Se la preghiera è l'"anima" del rinnovamento ecumenico e dell'aspirazione all'unità, su di essa si fonda e da essa trae sostentamento tutto ciò che il Concilio definisce "dialogo". Tale definizione non è certo senza nesso con il pensiero personalistico odierno. L'atteggiamento di "dialogo" si situa al livello della natura della persona e della sua dignità.”. […] “È proprio esso ad aprire nei fratelli che vivono entro Comunità non in piena comunione fra di loro, quello spazio interiore in cui Cristo, fonte dell'unità della Chiesa, può agire efficacemente, con tutta la potenza del suo Spirito Paraclito” (Giovanni Paolo II°, Ut unum sint, nn. 3.28.35) 53 Allegati Piccolo dizionario dell’ecumenismo Santa Cena – Eucaristia – Cena del Signore – messa – agape Nel corso della storia si è fatto uso di una terminologia diversa ricordando l’ultima cena che Gesù celebrò con i suoi apostoli: 1. Lo spezzare il pane. Quest’espressione è una delle più antiche per la Santa Cena rispettivamente per l’Eucaristia. Funge quale contrassegno della comunione con Gesù Cristo (Atti 2,42) 2. La Santa Cena. Questo termine è usato soprattutto dalle Chiese evangeliche. La Santa Cena è una celebrazione liturgica celebrata dai credenti nell’obbedienza alla parola di Gesù “fate questo in memoria di me” e per ricordare l’ultima cena di Gesù con i discepoli la sera prima della sua morte. I cristiani evangelici vogliono accennare che vi si manifesta lo stesso avvenimento mistico di quanto avvenne in occasione della cena di commiato alla vigilia della morte di Gesù (cfr. 1 Corinzi 11, 23-27; Marco 14, 2225). 3. L’Eucaristia. Nella Chiesa cattolico-romana questa celebrazione liturgica prende il nome di “eucaristia”. Questa terminologia viene dedotta da due fonti: a) Eucaristia significa ringraziamento, preghiera di ringraziamento. Secondo le così dette parole d’istituzione “Gesù prese del pane; detta la benedizione …” (detta la benedizione = eulogésas, così il testo greco del Nuovo Testamento, n.d.r.). b) Già dai secoli più remoti il prefazio comincia con le parole: “È veramente degno e giusto renderti grazie…” Così si dà risalto al ringraziamento che è un elemento importante della liturgia cristiana. Perché una persona credente davanti a Dio si sente essere sempre una persona che chiede qualcosa. Entrambi gli elementi vengono collegati in un’unità inseparabile nella celebrazione dell’Eucaristia. 4. Il sacrificio della messa – la Santa Messa. La Chiesa cattolico-romana parla del sacrificio della messa per contraddistinguere chiaramente l’avvenimento della Santa cena da un pasto usuale. La cena sacrificale ricorda che Gesù rinnova di continuo la sua donazione al Padre. I credenti che vi partecipano fanno parte di questa offerta di Gesù. Così la vita dei credenti si trasforma in una vita per Dio e per gli altri uomini. Con la messa si accenna alla missio, la missione nel mondo, anche questo un contenuto importante al termine di ogni celebrazione dell’Eucaristia. 5. La liturgia divina. Nelle Chiese ortodosse questa celebrazione liturgica viene chiamata “la divina liturgia”. Nella maggior parte delle Chiese ortodosse questa cena è intesa essere un sacramento. Tanto nell’ambito ortodosso quanto in quello cattolico questo sacramento è celebrato da un sacerdote di sesso maschile. Per entrambi gioca un ruolo importante l’idea che il sacrificio di Cristo si attui nella celebrazione. A differenza della tradizione delle Chiese riformate ambedue intendono la presenza di Cristo quale transustanziazione. 6. Agape (il convito che celebra l’amore del prossimo). a) Evangelico: si tratta della celebrazione della Santa Cena in una piccola cerchia riunitasi per un convito comunitario b) Cattolico: nella Chiesa cattolica non si ha più la combinazione della celebrazione dell’Eucaristia con un pasto di carattere profano. Agape significa oggi: dopo aver celebrato l’Eucaristia i credenti si radunano ad un momento conviviale presso il centro parrocchiale per prolungare la comunione costituita nell’Eucaristia. 7. La Cena del Signore. Su testi ed in contesti ecumenici si usa sempre di più il termine Cena del Signore. Questo termine esprime ciò che avviene in ogni celebrazione 54 eucaristica: il Signore Gesù ci viene incontro ed è personalmente presente in questa cena, e questo in un senso duplice: tanto quanto donatore della salvezza che dono di salvezza. Comunità di mensa del Signore Nel corso della storia si superò nel movimento ecumenico del XX° secolo la separazione in cui si trovavano diverse Chiese rispetto alla mensa del Signore. Dal 1974 le Chiese luterane, riformate, dell’Unione e metodiste possono celebrare insieme la Santa Cena poiché la ratifica della Concordia di Leuenberg ha costituito un’unione delle Chiese. Nel 1992 le Chiese luterane della Scandinavia e del Baltico stabilirono un’unione ecclesiastica con le Chiese anglicane dell’Inghilterra, del Galles e dell’Irlanda. Esiste un concordato sull’unione di cattedra e di mensa tra la Chiesa evangelica della Germania (EKD) la Chiesa evangelica metodista. In Svizzera c’è uno squilibrio tra le Chiese evangeliche e la Chiesa cattolica: nelle comunità evangeliche si invitano di regola tutti i celebranti alla Santa Cena; da parte cattolica un tale invito è possibile soltanto in una “situazione di emergenza” assai limitata. Nelle Chiese ortodosse invece, non si fa ufficialmente nessuna eccezione. Ministero Tutte le Chiese cristiane conoscono un ministero ecclesiastico sia istituzionalizzato che esercitato per una particolare disposizione spirituale. Chi riveste un ministero ecclesiastico ha la responsabilità dell’annuncio del Vangelo, presiede la liturgia ed ha una funzione guida all’interno della comunità. Ci sono differenze non di poco conto nell’interpretazione teologica del ministero ecclesiastico. Il punto di vista cattolico ed ortodosso (qui il ministero del sacerdote/del vescovo è legato all’ordinazione considerata un atto sacramentale) è tanto importante da ostacolare un’unione di Chiesa e di mensa con le Chiese della Riforma. Mentre la Chiesa cattolica parla del sacramento dell’ordine (ordo) che “viene esercitato in diversi ordini, da quelli che già anticamente sono chiamati Vescovi, Presbiteri, Diaconi (Lumen gentium, 28), le Chiese della Riforma mettono l’accento sull’unità del ministero considerando però i diversi gradi del ministero un risultato di sviluppi storici e quindi sostanzialmente trasformabili. Mentre il ministero del vescovo è una parte irrinunciabile della costituzione ecclesiastica per gli ortodossi, cattolici ed anglicani, le Chiese della Riforma soltanto in parte sono disposte ad identificare questo ministero di sovrintendenza con il ministero storico del vescovo. Per un’intesa sul ministero ecclesiastico si pongono inoltre le questioni importanti della successione apostolica, dell’ordinazione e consacrazione (particolarmente l’ordinazione delle donne al ministero), il ministero del papa ed il celibato. Confessione dei peccati/celebrazione di confessione e di perdono – il sacramento della riconciliazione. Una persona umana nella sua vita diventa responsabile di colpe. Colpa e peccato significano infrangere la comunione con Dio e con gli uomini. La comunione della Chiesa però è il luogo dove abita il perdono di Dio. Ci sono molte strade diverse che conducono al perdono ed alla riconciliazione: l’ascolto comunitario della Parola di Dio, la celebrazione dell’Eucaristia, la recita comunitaria della preghiera, l’impegno di voler riparare il danno cagionato. Il sacramento della Penitenza o Riconciliazione è il vertice del perdono. Questo sacramento vuol evidenziare che Gesù Cristo, il Signore, ci incontra con la sua forza di salvezza e che egli ci vuol essere vicino per mezzo del segno. Un altro motivo della confessione/celebrazione della riconciliazione è quello della nostra incapacità a riparare noi stessi la relazione rovinata tra Dio e noi e rispettivamente tra le persone che ci circondano e noi. Siccome noi non siamo in 55 grado di farlo, ci rivolgiamo nella Chiesa a Cristo, il Signore, rappresentato dal sacerdote. Da parte evangelica si conosce o la confessione collettiva della colpa durante la celebrazione del culto con il conseguente annuncio del perdono, o il colloquio individuale nell’ambito della cura d’anime che può concludersi con una confessione della colpa e con l’annuncio del perdono senza che si tratti di un sacramento. Dogma – i dogmi I dogmi (dal greco: disposizione, decreto, teoria) sono inseparabilmente connessi con la rivelazione attraverso Gesù Cristo. In Gesù Cristo ci è fatta l’affermazione che è sempre valida: Dio ha accettato il mondo irrevocabilmente perché ama questo mondo. Ogni Chiesa cristiana afferma tale fedeltà di Dio a cui partecipano le Chiese. Diversi passi della Bibbia la annunciano indistruttibile (Matteo 16,18; 28,20). I dogmi sono infallibili finché si appoggiano a Cristo ed al fondamento degli apostoli e dei profeti. All’interno della Chiesa cattolica risulta che in casi singolari queste verità possano concretizzarsi in dogmi ecclesiastici con effetto impegnativo. Tutti i dogmi, però, possono al massimo esplicare che mediante Gesù Cristo stesso è stato promesso alla Chiesa un permanere principale nella verità. Frasi formulate con un effetto impegnativo si chiamano nel gergo ecclesiastico dogmi, che definiscono la fede cristiana rispetto al suo contenuto essenziale e che la distinguono dalle eresie. Cresima/confermazione Il termine confermazione si deduce dall’equivalente latino confirmare (fortificare). Nella Chiesa cattolica è il Concilio Vaticano II° (1962-1965) che dà risalto alla stretta relazione tra cresima e battesimo. Di conseguenza, la celebrazione della cresima contempla un credo battesimale che il catecumeno recita nella celebrazione della messa. La cresima viene amministrata in linea di principio dal vescovo oppure da un sacerdote incaricato legittimamente dal vescovo. Nella Chiesa ortodossa di regola il sacerdote amministra il sacramento della cresima al momento del battesimo. Nella Chiesa evangelica si è imposto il termine confermazione, ma il carattere sacramentale era sempre contestato dalla critica riformatoria. Si mette piuttosto l’accento sul catechismo a titolo di un catecumenato recuperato il quale dovrebbe sollecitare la nozione e l’accettazione della fede della Chiesa. Condizione dell’ammissione alla Santa Cena è un esame il cui fine è il solenne voto nel momento della confermazione. Chiese libere Si usa il termine Chiese libere di regola per dire il contrario di Chiesa di Stato, rispettivamente di Chiesa con base popolare. Il tipo di Chiesa definito da questo termine rimanda ad una protesta originale contro la regolamentazione da parte dello Stato e contro la soggezione della Chiesa. Questa protesta favorì la nascita di gruppi di comunità indipendenti dalla Chiesa di Stato chiamati presbiteriani, congregazionalisti e battisti. Le Chiese libere accentuano soprattutto il carattere della decisione (“Freiwilligkeitskirchen“ – “Chiese di libera volontà”). Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani Questa settimana di preghiera si celebra in tutto il mondo ogni anno dal 18 al 25 gennaio oppure nel periodo di Pentecoste. Essa rende evidente che gli impegni per l’ecumenismo senza l’aiuto dello Spirito Santo non hanno nessuna speranza di successo. La settimana di preghiera non significa pregare per l’unità, bensì, per un’unità che è già stata regalata da Gesù Cristo ai cristiani e la cui cura è stata affidata ai cristiani. 56 Santi, venerazione dei santi La Bibbia definisce la santità una prerogativa di Dio. In un senso dedotto, persone umane possono essere chiamate “sante” quando manifestano la loro unione con Dio costituita dalla sua grazia e uno stile di vita che questa unione esige. Il Nuovo Testamento definisce, in questo senso, santi i cristiani (Romani 1,7 oppure 1 Corinzi 1,1ss ed altri passi). Dalla metà del secondo secolo si veneravano particolarmente i martiri, poi, nel corso della storia, la venerazione dei santi fu estesa a fasce sempre più numerose di persone. Abusi nella venerazione dei santi del basso medioevo causarono ragionevolmente proteste da parte dei riformatori. Il Concilio di Trento accentua quindi la distinzione tra l’atto dell’adorazione che spetta a Dio solo, e la venerazione dei santi che ha il suo fine nella gloria di Dio. Santità non intende nessuna concorrenza con l’adorazione di Dio, anzi, è un’espressione riconoscente per l’agire di Dio mediante la sua grazia in una persona umana. La Chiesa cattolica condivide questa interpretazione con le Chiese ortodosse, nelle quale i santi raffigurano l’unità della Chiesa terrestre con la Chiesa celeste. Questo si manifesta soprattutto nella liturgia e nella venerazione delle immagini e delle reliquie. Le Chiese cantonali (Landeskirchen) In Svizzera la Chiesa evangelica riformata si articola in così dette Chiese cantonali con carattere di Chiesa di Stato. Esse sono indipendenti e non responsabili davanti ad una organizzazione sovrapposta ad esse. Le Chiese cantonali evangeliche della Svizzera coordinano il loro impegno ed i loro servizi nella Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera. Questo organo si compone di delegati delle diverse Chiese cantonali e della Chiesa evangelica metodista. Questa federazione di Chiese può soltanto trasmettere raccomandazioni. Secondo il proprio diritto, la Chiesa cattolica non è una Chiesa cantonale, anzi, si è data la struttura di parrocchia – diocesi – Chiesa universale (anche se ci sono strutture di Chiesa di Stato nella maggior parte dei cantoni). Ecumenismo Il termine ecumenismo risale al greco antico e si deduce dal verbo oikein (abitare) dal sostantivo antico greco ecumene (l’orbe abitato). Significa principalmente l’impegno dei cristiani per l’unità della Chiesa di Gesù Cristo che si manifesta nella confessione comune della fede in Gesù Cristo; nel pregare ed agire insieme. Il termine intende oggi pure il processo conciliare delle Chiese con linee di condotta che riguardano l’economia, l’ecologia ed una politica di pace, ed in più nuovi legami del cristianesimo con altre religioni. Ciò significa che le Chiese quale testimoni affidabili della riconciliazione di Dio con il mondo aspirino all’unità come Dio l’ha voluta: con pazienza e con decisione. Si tratta della partecipazione del cristianesimo alla riconciliazione ed all’umanizzazione dell’unica umanità la quale deve impegnarsi nella sua integralità a favore dell’abitabilità della terra e della salvaguardia del creato. Consiglio ecumenico delle Chiese Il Consiglio ecumenico delle Chiese – chiamato anche Consiglio mondiale delle Chiese – è la più grande associazione di Chiese del mondo. Vi aderiscono attualmente 347 Chiese di diverse tradizioni: le Chiese ortodosse, la Chiesa anglicana, le Chiese della Riforma, le Chiese libere, le Chiese pentecostali. La Chiesa cattolica non aderisce al Consiglio ecumenico a titolo di membro, benché mantenga relazioni strette ed ufficiali in diversi settori di lavoro, particolarmente in materia di studi teologici. Il segretariato del Consiglio ecumenico si trova a Ginevra. Fu costituito da allora delegati di 147 Chiese nel 1948 ad Amsterdam. Il fine principale “della comunità delle Chiese nel Consiglio ecumenico delle Chiese (è) di invitarsi reciprocamente all’unità visibile 57 nell’una fede e nell’unica comunione eucaristica che si manifesta nel culto e nella vita comunitaria in Cristo, per mezzo di testimonianza e di servizio per il mondo, e di camminare verso questa unità affinché il mondo creda”. Papa/servizio di Pietro Il ministero del papa è una delle caratteristiche più peculiari dell’identità della Chiesa cattolico-romana. Comprende due elementi: a) il cosiddetto primato di giurisdizione (la giurisdizione suprema della Chiesa) e b) l’infallibilità del magistero pontificio ex cathedra. Il ministero del papa è un servizio apostolico universale che va considerato appartenere al cuore di ogni Chiesa locale. È un servizio all’unità della Chiesa. La rivendicazione del primato del papa costituisce un problema importante per l’ecumenismo all’interno della cristianità. Il dialogo ecumenico ha però condotto ad un certo avvicinamento, siccome già il papa Paolo VI° ha manifestato che il papato stesso costituirebbe l’ostacolo maggiore sulla strada dell’ecumenismo. Rappresentanti di tutte le Chiese ammettono intanto una certa disponibilità di concedere al papa una funzione di eccellenza all’interno della comunità delle Chiese. Adesso tocca alla Chiesa cattolica stessa preparare la via che conduca all’accettazione del papato da parte delle altre Chiese, modificando la pratica del primato. Ne diede un segnale importante l’enciclica “Ut unum sint” del papa Giovanni Paolo II nel 1995. Con essa esorta a “ascoltare la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della mia missione, si apra ad una situazione nuova”. (Giovanni Paolo II°, Ut unum sint, n. 95). Il dialogo ecumenico sul servizio di Pietro ha così ricevuto un impulso importante. Sacramenti Sacramenti si chiamano quei segni rispettivamente quelle azioni cultuali di segno, che fanno riferimento a Gesù Cristo e mediante i quali la salvezza di Dio viene donata agli uomini. Nonostante delle differenze, la convinzione che il battesimo e la Santa Cena siano da considerare sacramenti in questo senso collega quasi tutte le Chiese. La Chiesa cattolica conosce 7 sacramenti: battesimo, cresima, eucaristia, penitenza, unzione degli infermi, matrimonio, ordine. Anche le Chiese ortodosse hanno integrato 7 sacramenti; per loro i sacramenti significano una partecipazione efficace dell’immagine sensibile all’archetipo celeste cioè la grazia salutare di Dio in Gesù Cristo. Le Chiese evangeliche conoscono soltanto il battesimo e la Santa Cena quale sacramenti istituiti da Gesù. Consacrazione – ordinazione Il termine consacrazione significa, nell’interpretazione cattolica, “santificare” cioè invocare la benedizione su qualcuno oppure su un oggetto. Un laico/un sacerdote benedice facendo il segno della croce ed infondendo acqua benedetta sull’oggetto. Il termine ordinazione significa il conferimento di un ministero ad una persona attraverso il gesto dell’imposizione delle mani. L’interpretazione della consacrazione e dell’ordinazione rende evidente che nella relazione tra dottrina e ministero si manifestino differenze, con la conseguenza della separazione delle Chiese (per esempio l’ordinazione delle donne, la diacona ecc.) nonostante le esistenti convergenze ecumeniche. Joachim Müller 58 Documenti ecumenici Testi interconfessionali - - Documenti di convergenza. Rapporti e testi di convergenza dei colloqui interconfessionali su scala mondiale, a cura di Harding Meyer, Damaskinos Papandreou, Hans Jörg Urban, Lukas Vischer, Paderborn: Bonifatius/Francoforte a.M.: Otto Lembeck, 1983-2003: vol. I: 1931-1982 (2a edizione rivista 1991), vol. II: 1982-1990 (1992), vol. III 1990-2001 (2003). Charta Oecumenica. Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa, a cura di KEK e CCEE, 22.4.2001. Online: www.unilu.ch/tf/6739_8245.htm, www.unifr.ch/iso Documenti della Sede Apostolica 1998 Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani, La dimensione ecumenica nella formazione di chi si dedica al ministero pastorale 1995 Enciclica “Ut unum sint”, l’impegno ecumenico 1993 Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo 1993 Principi generali e norme pratiche per il coordinamento dell’evangelizzazione e del’impegno ecumenico della Chiesa cattolica in Russia e negli altri paesi della GUS (edito in tedesco dal Segretario della Conferenza episcopale tedesca, Verlautbarungen des Apostolischen Stuhls n° 109) 1991 Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso/Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, Dialogo e annuncio 1988 Una presa di posizione cattolica del Segretariato per l’Unità dei cristiani sulle dichiarazioni di convergenza della Comissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese “Battesimo, Eucaristia e Ministero” 1975 Collaborazione ecumenica a livello regionale, nazionale e locale Documenti della Conferenza dei vescovi svizzeri (CVS)84 31.8.2000 Dichiarazione della CVS sul progetto di “Charta Oecumenica” per la collaborazione tra le Chiese in Europa 14.4.2000 Dichiarazione della CVS sull’attitudine della Chiesa cattolica in Svizzera nei confronti del popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale e oggi 29.10.1999 Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione. Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera e della Conferenza dei vescovi svizzeri 22.6.1995 Messaggio augurale per i 75 anni della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera 19.9.1993 Offenheit und Treue zum Glauben. Begegnungen mit Menschen anderer Religion und Kultur. In: Hirtenbriefe aus Deutschland, Oesterreich und der Schweiz 1993. Edito dall’Institut für kirchliche Zeitgeschichte. Bd 29. Salisburgo: Buchzentrale österreichisches Borromäuswerk, 1994, p. 440444 1.12.1993 Guida di lettura della CVS al nuovo Direttorio ecumenico 8.7.1986 L’ospitalità eucaristica. Prefazione del presidente della CVS, Mons. Henri Schwery 84 I documenti della CVS esistono in tedesco e francese e parzialmente in italiano, pubblicati dal Monitore Ecclesiastico (ora : Rivista della diocesi di Lugano). 59 1984 1983 1983 1979 1973 1973 1973 1967 1966 5.9.1966 1966 1965 Lettera pastorale dei vescovi svizzeri per la Festa federale di ringraziamento: L’unità dei cristiani. Già e non ancora Lettera pastorale dei vescovi svizzeri per la Festa federale di ringraziamento: Riconciliazione, un dovere per il cristiano Commissione ecumenica della CVS: La Chiesa cattolico-romana della Svizzera nel movimento ecumenico (presentato nel maggio 1983 dalla CVS quale doucmento di lavoro in preparazione al viaggio del Papa in Svizzera; non pubblicato) Dichiarazione della CVS sul dialogo ebrei-cattolici Mutuo riconoscimento del battesimo da parte delle Chiese nazionali Commissione ecumenica di dialogo della Svizzera: documento di studio sulla questione del battesimo oggi Commissione ecumenica di dialogo della Svizzera: documento di lavoro per una comune testimonianza eucaristica delle Chiese Dichiarazione comune sui matrimoni misti. Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera, Conferenza dei vescovi cattolicoromani della Svizzera, Vescovo della Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera, Zurigo 1967 La Conferenza dei vescovi svizzeri sull’Istruzione “Matrimonia mixta” La Conferenza dei vescovi svizzeri sul Decreto della Congregazione per la Dottrina della fede sui matrimoni misti Commissione cattolica per le questioni ecumeniche: La responsabilità ecumenica Lettera pastorale dei vescovi svizzeri per la Festa federale di ringraziamento: La riconciliazione dei cristiani Sussidi/ordinamenti della Conferenza dei vescovi svizzeri (CVS)85 2001 1993 1992 1986 1982 1979 1970 85 v. Nota 84. La celebrazione ecumenica del matrimonio, a cura di: Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera, Conferenza dei vescovi svizzeri e Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera, 2a edizione rivista La celebrazione ecumenica del matrimonio, a cura di: Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera, Conferenza dei vescovi svizzeri e Vescovo e Sinodo della Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera sulla base di un documento preparato dalla Comunità di lavoro ecumenica per la pastorale dei matrimoni misti nella Svizzera tedesca Celebrazioni ecumeniche la domenica, a cura della Commissione ecumenica della CVS Liturgie ecumeniche (su mandato dei vescovi di Basilea, Coira e San Gallo) Itinerari ecumenici. Piste di ricerca per le parrocchie. Edito congiuntamente come documento di lavoro dalla Commissione di dialogo della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera e della Conferenza dei vescovi svizzeri Liturgie ecumeniche. Principi e modello, a cura di: Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera, Conferenza dei vescovi svizzeri e Vescovo e Sinodo della Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera Direttive e raccomandazioni per la preghiera e l’agire comuni delle Chiese in Svizzera, a cura di: Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera, Conferenza dei vescovi svizzeri e Vescovo e Sinodo della Chiesa cristiano-cattolica della Svizzera 60 Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera (CLCC) - - Orthodoxie in der Schweiz: Esposti d’una giornata di studio della CLCC, 9-10 marzo 2001 a Zurigo Wahrheit und Beliebigkeit, Esposti al simposio ecumenico polacco-svizzero, Davos 14-20.9.1988 Ihr seid in Christus versöhnt (2 Cor 5, 18-20): materiali per il lavoro in parrocchia e per la liturgia per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 1997 Die Familie Gottes – berufen zur Einheit im Glauben und Tun. Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 1994 Sulla Via svizzera: riflessioni, a cura della Commissione ecumenica 1991 della CLCC, 1991 Volk unter Völkern?, un documento di lavoro per i 700 anni della Confederazione elvetica, a cura della CLCC, 1990 Comunità delle Chiese: unità e diversità, a cura della CLCC, 1986 Mensch sein im Ganzen der Schöpfung: ein ökologisches Memorandum, a cura della CLCC, 1985 Kirche im Gastgewerbe: gemeinsame Aktion christlicher Kirchen, a cura della Comunità di lavoro evangelica per il turismo in Svizzera EAG, 1983 Consultazione ecumenica, Interlaken 1980, Rapporto finale (in tedesco e francese), a cura della CLCC Staat und Kirche in der Schweiz: theologische Probleme, a cura della CLCC, 1979 Kirche-Staat im Wandel. Eine Dokumentation, CLCC 1974 CLCC: Statuti e Regolamento, 1971 Ulteriori testi - - - Consultazione ecumenica sull’avvenire sociale ed economico della Svizzera. Rapporto di valutazione, a cura della Conferenza dei vescovi svizzeri e della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera, Berna/Friburgo 2000 Rolf Weibel, Unierte in der Schweiz. Zur Präsenz katholischer Ostkirchen, SKAF, Lucerna 1997 Orthodoxe Präsenz in der Schweiz. Eine pastorale Handreichung, Testi della Commissione di dialogo ortodossa/cattolico-romana della Svizzera, Friburgo 1991 Unterwegs zur Einheit? Schweizer Protestanten, Oekumene und Papst, a cura della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera, Berna 1984 61 Sinossi ecumenica – visione dall’esterno Le Chiese ortodosse ed evangeliche e la Chiesa cattolico-romana. Ciò che le separa – ciò che le unisce Chiesa ortodossa Chiesa cattolico-romana Chiese evangeliche riformate della Svizzera Fonti della fede La Bibbia e la sua interpretazione da parte della Chiesa. Solo la Bibbia. La salvezza degli uomini La salvezza nasce dalla fede che è dono di Dio. Si mette l’accento sulla cooperazione umana nell’ottenimento della salvezza. La salvezza nasce dalla fede che è dono di Dio. Si mette l’accento sull’operato di Dio nell’ avvenimento della salvezza mediante la fede. Sacramenti Battesimo, eucaristia, cresima, matrimonio, ordinazione, penitenza, unzione dei malati. Battesimo e Santa Cena. La Santa Cena è una celebrazione commemorativa. Struttura della Chiesa Patriarcati che sono collegati tra di loro attraverso la comunione eucaristica. Tutti i vescovi hanno parità di ordine. I credenti partecipano all’elezione dei sacerdoti e dei vescovi. Orientamento giuridico della Chiesa quale Chiesa di Stato e di comune. “Sacerdozio di tutti i credenti”. Chiesa visibile e invisibile. Ministri L’ordinazione al ministero sacerdotale amministrata da un vescovo ammette all’assunzione di un ministero di servizio speciale che contiene la guida della comunità, l’annuncio e l’amministrazione dei sacramenti. Ai vescovi è affidata d’ufficio la cura dell’unità della Chiesa e la tradizione “inalterata” della verità. L’ordinazione da parte di altri titolari al ministero ecclesiastico ammette un servizio speciale nella comunità. Per principio ogni membro della comunità può presiedere al culto ed amministrare i sacramenti. Si va insieme in ricerca della verità. Sono obbligati allo stato celibe solo i maggiori ordini. I titolari sono abitualmente sposati. Chiesa universale. Diocesi. Unità della Chiesa garantita dal papa. Il celibato è vincolante per tutti i sacerdoti della 62 Il vescovo di Roma è riconosciuto quale patriarca occidentale ma non quale guida universale della Chiesa. Chiesa latina. Il vescovo di Roma quale successore di Pietro è il titolare maggiore di tutti i ministeri della Chiesa. Egli dispone di giurisdizione suprema e decide sulla dottrina cristiana quale ultima istanza. Il papato non è necessario. Il ministero sacerdotale è riservato esclusivamente a uomini Ordinazione pure di donne al ministero Liturgia Annuncio della Parola e celebrazione dell’Eucaristia. L’annuncio della Parola di Dio (la Bibbia). Santi I santi, particolarmente Maria, vengono venerati ed invocati quali intercessori davanti a Dio. Pregio di personaggi cristiani eccellenti, però nessuna venerazione di santi. Chiese: Le Chiese ortodosse di: - Costantinopoli - Gerusalemme - Antiochia - Russia - Serbia - Albania - ed altre Le Chiese della Riforma - evangelica luterana - evangelica riformata (zwingliana / calvinista) - La Chiesa latina - le Chiese orientali in unione con Roma 63 Altre Chiese Chiesa cristiano-cattolica o vetero-cattolica - costituzione episcopale sinodale, - il Sinodo elegge il vescovo, - 7 sacramenti, - il celibato non esiste, - ammissione delle donne al ministero sacerdotale. Chiesa anglicana - stretto legame tra Stato e Chiesa; era necessario il consenso della Camera dei Lords e della Camera dei comuni perché le donne venissero ammesse all’ordinazione al ministero sacerdotale, - il re/la regina d’Inghilterra è il capo supremo della Chiesa (nessun membro della successione al trono può convertirsi al cattolicesimo oppure sposarsi con un partner cattolico), - da una parte: una forte impronta cattolica (“high church”: significativi sono la celebrazione della liturgia e dei sacramenti), - da un’altra parte forti influssi della Riforma (“low church”: ruolo importante della Sacra Scrittura), - l’unione delle Chiese anglicane composta da trentuno diverse Chiese membro autonome con le proprie liturgie, - ammissione delle donne al servizio sacerdotale. Chiese evangeliche Evangelico-riformata, evangelico-luterana, evangelico-metodista, le Chiese libere (battisti, Esercito della salvezza, movimenti pentecostali ecc.). I battisti - pratica dell’anabattesimo, la Chiesa libera più grande / si tiene separata dalla Chiesa di Stato, battesimo dei maggiorenni, si esige un cristianesimo rigido – sola scriptura (fedeltà alla Bibbia), grande diffusione nell’America settentrionale, soprattutto tra la popolazione nera. La Chiesa evangelica metodista - un movimento di risveglio inglese, propri articoli di credo, fondata dai spirituali anglicani John e Charles Wesley, un impegno sociale particolarmente forte, membro della Federazione delle Chiese protestanti della Svizzera, esiste parzialmente il ministero del vescovo. I movimenti pentecostali - sono convinti che l’avvenimento di Pentecoste si manifesti di nuovo oggi, ci sono i carismi come la glossolalia, le profezie, le guarigioni di ammalati, si insegna un distacco radicale dal mondo secolare, cercano di essere privi di ogni peccato, affidamento totale a Cristo, la Santa Cena celebrata in seguito alla lavanda dei piedi ha solo carattere simbolico, il battesimo dei maggiorenni non include il battesimo nello Spirito. 64 Le Chiese ortodosse vecchio-orientali Il fondamento comune del credo: i concili della Chiesa primitiva antecedente il Concilio di Calcedonia (451). La Chiesa ortodossa copta (Egitto) - i medesimi sacramenti come nella Chiesa cattolica, distribuzione della comunione ai credenti fino all’esaurimento delle ostie, se i sacerdoti vogliono sposarsi devono farlo ancora prima dell’ordinazione, il battesimo si riceve 40 giorni dopo la nascita insieme con la comunione, condizioni per la conversione sono un catecumenato che dura anni e l’anabattesimo, un proprio papa. La Chiesa ortodossa d’Etiopia - la liturgia contiene usanze che si appoggiano all’Antico Testamento ed alla religione ebraica, invocazioni particolari della madre di Dio, degli angeli, dei santi e dei personaggi apocalittici. La Chiesa ortodossa armena - il capo supremo è il catholikos, è la Chiesa di Stato più antica, esistono la Chiesa apostolica armena e la Chiesa cattolica armena. Indirizzi Istituto di Studi ecumenici, Università Miséricorde, av. de l’Europe 20, 1700 Friburgo, tel. 026 300 74 29, fax 026 300 79 83, www.unifr.ch/iso Istituto Ecumenico dell’Università, Gibraltarstrasse 3, casella postale 7763, 6000 Lucerna 7, tel. 041 228 66 35, fax 041 228 72 32, www.unilu.ch/tf6739.htm 65 INDICE Presentazione Ecumenismo in Svizzera Situazione nella Svizzera romanda Il Movimento ecumenico nel Cantone Ticino e nella Diocesi di Lugano 1 4 20 28 33 37 - Personalità dell’ecumenismo in Svizzera Ecumenismo oggi e domani Una fede – un battesimo Uniti nella fede – separati alla mensa del Signore? Caritas: l’attuazione fondamentale della Chiesa A mo’ di conclusione - Allegati: - - Piccolo dizionario dell’ecumenismo Documenti ecumenici Sinossi ecumenica Altre Chiese 25 43 47 52 53 58 61 63