Coordinato da Cristiano Iurilli
Agenzia Adiconsum - anno XXII - n. 66 - 25 novembre 2010
Stampato in proprio in novembre 2010
In questo numero:
Speciale conciliazione
Speciale conciliazione
- Le diverse forme di conciliazione, gli enti
bilaterali ed il consumatore
- Dall’Alternative Dispute Resolution alla
conciliazione obbligatoria: dalla normativa
comunitaria al decreto 28/10
- La mediazione civile e commerciale nella
normativa nazionale. La mediazione dal
decreto 28/10 al regolamento 180/10
Test
noi consumatori
periodico settimanale
di informazione e studi
su consumi, servizi, ambiente
Registrazione Tribunale di Roma n. 350 del 9.06.88
Iscriz. ROC n. 1887
Speciale conciliazione
Le diverse forme di conciliazione,
gli enti bilaterali ed il consumatore
Di Cristiano Iurilli
Profili introduttivi
La tradizione giuridica di common law indica con l’acronimo ADR (Alternative
Dispute Resolution) i procedimenti di risoluzione alternativa delle controversie.
Tali procedimenti, da un lato, si sono storicamente sviluppati in conseguenza della crisi raggiunta dalla giustizia statale e, dall’altro, hanno risentito del
sensibile incremento dei processi di internazionalizzazione e di deregulation dei
rapporti negoziali.
Lo sviluppo del fenomeno della contrattazione c.d. “di massa” e la normativa
di settore emanata a tutela del contraente c.d. “debole” inoltre, hanno favorito
l’emersione di vaste aree di micro-conflittualità che non possono essere affidate
a forme tradizionali di risoluzione delle controversie, dal momento che gli elevati
costi e la notevole durata dei procedimenti rischiano di non fornire una risposta
adeguata alle molteplici istanze provenienti dai singoli consumatori.
Ne consegue che le ADR non debbono essere considerate quali strumenti
antitetici e contrapposti al sistema tradizionale, la cui attuale inadeguatezza
non appare rispondere alle esigenze sottostanti ad una moderna gestione dei
conflitti.
I modelli di composizione non contenziosa invece sussistono all’interno del
nostro ordinamento non in veste ancillare o “alternativa” rispetto agli strumenti
di tutela su base giurisdizionale, bensì rivestono una peculiare funzione “complementare” rispetto a questi ultimi, atteso che consentono alle parti di instaurare
un dialogo su basi costruttive e di mantenere una forma di controllo sul relativo
procedimento, consentendo alle stesse di adire successivamente, in caso di esito
negativo, l’autorità giudiziaria.
La funzione teorica di “equivalenti del processo civile” svolta dagli strumenti di
composizione non contenziosa, tuttavia, non garantisce un’estensiva applicazione
degli stessi sul piano pratico, atteso che i predetti rimedi potranno costituire un
reale strumento deflattivo dei procedimenti giudiziali soltanto qualora risultino
regolamentati in modo tale da garantire il contraddittorio, l’imparzialità e l’equo
trattamento degli interessi di tutte le parti in gioco.
Le caratteristiche della conciliazione
Il principale vantaggio di tale procedura è di evitare gli inconvenienti di una
procedura giudiziaria: una procedura giudiziaria costa cara poiché richiede consultazioni giuridiche, spese di giustizia, spese di consultazione di esperti, ecc…;
gli organi extragiudiziari di regolamento delle controversie pertanto offrono
un’alternativa interessante.
Test noi consumatori
La Raccomandazione 98/257/CE riguardante i principi applicabili agli organi
responsabili per la risoluzione extragiudiziaria delle controversie in materia di
consumo ha definito sette principi destinati a garantire un trattamento rigoroso,
equo ed imparziale delle controversie sottoposte agli organi stragiudiziari:
• principio dell’indipendenza: l’organo deve essere neutrale e garantire
un’imparziale decisione;
• principio della trasparenza: tutta la procedura deve essere chiara e verificabile da ambedue le parti;
• principio del contraddittorio: tutte le parti devono avere la possibilità di
esporre le proprie ragioni e di difendersi;
• principio dell’efficacia: possibilità di agire anche senza un rappresentante,
gratuità della procedura, brevità dei termini;
• principio della legalità: la decisione dell’organo adito non può mai privare
il consumatore della protezione garantita da norme comunitarie o nazionali
(la decisione, se contrasta con queste norme, non è efficace);
• principio della libertà: la decisione dell’organo è vincolante per le parti solo
se queste erano a conoscenza dell’efficacia coercitiva nei loro confronti e se
l’hanno accettato; in alternativa, le parti possono adire la giustizia ordinaria;
• principio della rappresentanza: il consumatore ha la possibilità di essere
assistito da un rappresentante, se lo desidera.
Inoltre al fine di garantire un trattamento comparabile a quello della giustizia
ordinaria, la Commissione europea ha adottato una raccomandazione (98/257/
CE) che stabilisce alcuni principi da rispettare con gli organi extragiudiziari di
regolamento delle controversie.
Le diverse forme di conciliazione
Ad oggi, esistono diversi modelli di conciliazione aventi tuttavia una caratteristica comune dovuta al fatto che la logica di questo strumento non riposa
sull’idea di una soluzione del conflitto bensì su una gestione del medesimo, la
quale concretamente si espleta generalmente mediante l’intervento di un terzo
indipendente ed imparziale, che mette in relazione i partecipanti sia per confrontare i rispettivi punti di vista che per trovare una soluzione condivisa.
Tale definizione appare concordante con la nozione fornitane dall’art. 1, lett.
d), D.M. 23.7.2004, n. 222, ove la conciliazione viene testualmente indicata
come “il servizio reso da uno o più soggetti, diversi dal giudice o dall’arbitro, in
condizioni di imparzialità rispetto agli interessi in conflitto e avente lo scopo di
dirimere una lite già insorta o che può insorgere tra le parti, attraverso modalità
che comunque ne favoriscono la composizione autonoma”.
La prima distinzione da operare concerne la conciliazione giudiziale ed extragiudiziale, la quale si fonda sulla diversa natura dell’organo preposto all’espletamento del relativo tentativo.
Un’ulteriore distinzione sussiste tra la conciliazione facoltativa ed obbligatoria:
nella prima ipotesi il tentativo è rimesso alla volontà delle parti, mentre nell’altra
l’esperimento dello stesso è imposto da una specifica norma di legge.
Le parti, qualora siano libere di intraprendere la via conciliativa, potranno
operare con le seguenti modalità: a) in osservanza di una specifica clausola
Test noi consumatori
patrizia, mediante la quale si obbligano ad esperire il tentativo; b) in forma congiunta, nel caso in cui manifestino tale accordo successivamente all’insorgenza
della controversia; c) in forma disgiunta, nel caso in cui una soltanto delle parti
inviti l’altra a conciliare dinanzi all’organismo preposto.
All’interno della conciliazione extragiudiziale un’importante classificazione
consiste nella bipartizione tra procedure di tipo facilitativo e valutativo.
Nelle prime il terzo assume la funzione di soggetto interposto tra le parti per
agevolare il dialogo tra le medesime, al fine di consentire alle medesime il raggiungimento di una composizione negoziata della controversia senza assumere
alcuna posizione in ordine al merito delle questioni.
Ciò non si verifica nella seconda ipotesi, laddove il terzo propone alle parti
un’ipotesi di soluzione della controversia.
Ne consegue che, in quest’ultima fattispecie, si verifica un maggior grado di
compressione dell’autonomia privata, analoga al fenomeno dell’arbitrato.
Per quanto concerne infine le concrete modalità con cui si attuano i procedimenti in
oggetto, possiamo distinguere tra conciliazione libera, amministrata e paritetica.
Nel primo modello le parti si rivolgono direttamente al conciliatore, al quale
affidano il ruolo di soggetto terzo indipendente, neutrale ed imparziale.
Nel sistema c.d. amministrato, fra le parti ed il conciliatore si frappone un
ulteriore soggetto (c.d. organismo di conciliazione), il quale offre il relativo servizio
in condizione di concorrenza paritaria con altri enti similari.
Tale modello organizzativo appare più idoneo ad offrire ai consumatori un
servizio con costi e tempi prefissati, nonché provvedere alla nomina e formazione dei conciliatori accreditati, dal momento che questi ultimi sembrano offrire
maggiori garanzie di competenza, imparzialità e professionalità. Questo modello
è quello contenuto nel Codice del Consumo (artt. 140–141).
I procedimenti c.d. paritetici (vedi i procedimenti di cui Adiconsum è parte
oramai da molti anni, potendo vantare in materia una lunghissima esperienza),
infine, risultano assai differenti dal modello sopra delineato i quanto si fondano
su accordi bilaterali, sottoscritti da importanti aziende con le associazioni dei
consumatori maggiormente rappresentative.
La caratteristica peculiare consiste nel fatto che ognuna delle parti è rappresentata
nella procedura da un conciliatore, ciascuno nominato con le modalità stabilite nei
rispettivi regolamenti, peraltro liberamente consultabili sui relativi siti internet.
Su quest’ultimo aspetto, sono necessari ulteriori e brevi approfondimenti.
La conciliazione paritetica e gli enti bilaterali
Imprese e consumatori si trovano a vivere un momento storico in cui, al fine
di tentare di dare certezza e sostanza ai precetti di legge volti a garantire la tutela
di questi ultimi, nonché per assicurare la maggiore efficienza dei mercati, sono
sorti, sia in via spontanea che a seguito di previsione legislativa, numerose forme
di conciliazione, volte ad evitare l’instaurarsi di annose controversie giudiziarie,
le quali inevitabilmente, per costi e tempi, portano gravi disagi per entrambi i
soggetti contendenti.
Nell’ottica di una più immediata assistenza conciliativa al consumatore,
Adiconsum da anni ha sviluppato una propria procedura diretta di conciliazione
paritetica.
Test noi consumatori
Si tratta di un negoziato diretto tra associazione ed impresa che si è dimostrato
efficacissimo strumento per risolvere in maniera rapida e non costosa migliaia
di contenziosi individuali.
Si tratta dunque di un mezzo di risoluzione di controversie improntato al
confronto diretto ed immediato tra consumatore ed impresa, per il tramite dei
rispettivi rappresentanti, definiti appunto conciliatori, senza che vi sia l’intervento
di un terzo, mediante una procedura c.d. “a pari armi”, a cui si può accedere in
maniera semplice e diretta, sia on line che rivolgendosi direttamente a tutte le
sedi territoriali Adiconsum, mediante il semplice versamento della quota associativa annuale.
Negli anni, questo risultato è stato conseguito specialmente a mezzo della
formazione congiunta dei conciliatori delle rispettive parti sociali, che avranno
frequentato un medesimo corso congiuntamente organizzato tra impresa e consumatore, sulla base di accordi estesi a tutto il territorio nazionale.
Tale esperienza conciliativa, che ha avuto la sua prima applicazione con la
conciliazione Telecom (con ottimi risultati in materia di servizi non richiesti e errata fatturazione in bolletta), è stata ampliata ad altri settori, quali in particolare
quello bancario, dell’energia sino a quello dei trasporti.
Tuttavia, l’esperienza conciliativa Adiconsum sta subendo una netta implementazione, in particolare nel campo del credito al consumo, a seguito della
costituzione di un “Ente Bilaterale – Ebitec”per tutelare i consumatori in difficoltà
nel pagare le rate del credito al consumo.
La costituzione di un Ente Bilaterale tra Adiconsum, Associazione difesa consumatori e ambiente e Unirec, Unione nazionale delle imprese di recupero, gestione
e informazione del credito, aderente a Confindustria, si sono resi necessari alla
luce della pesante situazione economica in cui si trovano e si troveranno ad affrontare nei prossimi mesi le famiglie italiane, gravate dalla difficoltà ad onorare
le rate dei finanziamenti del credito al consumo accesi.
La costituzione dell’Ente Bilaterale riveste e rivestirà particolare importanza,
ponendosi gli obiettivi di:
• realizzare un Osservatorio Bilaterale paritetico nazionale per il rilevamento
ed il monitoraggio del settore, anche per ciò che riguarda le morosità dei
cittadini e delle famiglie;
• attivare un numero verde per fornire ai cittadini una corretta informazioni sui
diritti/doveri in ordine alle obbligazioni di carattere giuridico-economico
• elaborare una Carta dei diritti/doveri del Consumatore;
• realizzare uno sportello di ascolto delle problematiche delle famiglie relative
ai manati pagamenti;
• istituire una Commissione per la conciliazione extragiudiziale paritetica per
dare risposte immediate ai consumatori e ai creditori, senza costi e senza
intasare i tribunali;
• definire di standard di qualità del settore;
• realizzare campagne formative e informative ai lavoratori delle aziende che
aderiscono ad Unirec sia ai cittadini, in particolare a pensionati e studenti.
Infine, scopo prioritario dell’Ente Bilaterale sarà la realizzazione di un Fondo di
Solidarietà per le famiglie che si trovino in condizioni particolari di indebitamento.
Test noi consumatori
Chiaramente, ed alla luce degli ottimi risultati iniziali relativamente alla costituzione di detto importante Ente, nel futuro si prevede la costituzione di nuovi
organismi di pari valore, efficacia e finalità.
Ulteriori forme diffuse di conciliazione possono così riassumersi:
• le conciliazioni (o meglio, nelle negoziazioni paritetiche) presso gli Uffici di
conciliazione istituiti da alcune aziende, in cui le parti tentano di raggiungere
un accordo, che può anche non esserci, in assenza di un terzo, ma con l’eventuale patrocinio dei rispettivi rappresentanti. L’accordo ha forza contrattuale
e se una delle parti non vi adempie, l’altra può adire l’autorità giudiziaria
ordinaria per ottenere l’esecuzione
• la procedura di conciliazione avanti il Conciliatore presso le Camere di Commercio, ove il terzo conciliatore aiuta le parti a raggiungere un accordo ma
non ha alcun potere decisionale; l’accordo, se raggiunto, ha forza contrattuale
e se una delle parti non vi adempie, l’altra può adire l’autorità giudiziaria
ordinaria per ottenere l’esecuzione;
• i procedimenti avanti le Autorità dei Garanti le cui decisioni prese dalle relative
Commissione sono vincolanti per le parti ed hanno la stessa efficacia di una
sentenza del giudice ordinario.
A dette forme di conciliazione si deve aggiungere la neonata conciliazione
obbligatoria ex d.lgs 28/2010, e relativi e conseguenti decreti attuativi, la cui
analisi viene rimessa ad un separato contributo.
Le procedure
Le procedure e le modalità seguite da tali organi sono diverse.
L’organo al quale viene inviata la domanda verifica, innanzitutto, che l’esame
della controversia sia di sua competenza e che la domanda contenga tutti gli
elementi necessari. Deciderà, inoltre, circa la sua ammissibilità.
Vi sono alcune condizioni che generalmente devono ricorrere affinché la
domanda sia ammissibile:
• bisogna aver sempre già proposto un reclamo direttamente all’azienda o al
singolo venditore, bisogna, cioè, aver già tentato di raggiungere un accordo
amichevole (la domanda, che non era ammissibile poiché non il consumatore
non aveva già cercato di ottenere un accordo amichevole, diventa ammissibile
una volta soddisfatta questa condizione);
• l’organo adito deve essere competente: occorre scegliere l’organo adeguato
alla controversia;
• bisogna rispettare certe procedute tipiche di alcuni procedimenti; • non è possibile riproporre una nuova domanda sullo stesso oggetto, a meno
che non vi siano nuovi elementi.
Gli uffici di conciliazione presso le aziende
Dopo aver proposto un reclamo all’azienda, in caso di risposta negativa o
insoddisfacente, ci si può rivolgere agli uffici di conciliazione (per le aziende,
ovviamente, che li hanno istituiti, come, ad esempio, le società telefoniche).
Occorre compilare l’apposito modulo di reclamo, scaricabile dai siti delle suddette aziende e da quelli delle associazioni a difesa dei diritti dei consumatori
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ed inviarlo tramite raccomandata AR o via fax (seguito dalla AR) agli uffici di
conciliazione istituiti presso le aziende.
Non vi sarà alcun conciliatore o mediatore, ma le parti tenteranno di raggiungere un accordo, che avrà, se raggiunto, valore contrattuale.
Il modulo di reclamo, se correttamente compilato, comprende tutte le informazioni necessarie: le generalità delle parti, il contratto, tutti i documenti e la
corrispondenza fino a quel momento intercorsa, i fatti contestati, i diritti che il
consumatore ritiene lesi, le motivazioni delle parti, la richiesta del consumatore).
La richiesta può essere rivolta ad ottenere un indennizzo, un rimborso, un risarcimento, oppure, più specificamente, che una riparazione sia carico dell’azienda,
che venga sostituito un prodotto.
Il conciliatore presso le camere di commercio
Sempre dopo aver già proposto reclamo al venditore (o fornitore di servizi),
in caso di risposta negativa o insoddisfacente, ci si può rivolgere anche al conciliatore istituito presso le Camere di Commercio.
Alcune Camere di Commercio hanno predisposto una modulistica che il consumatore può compilare, ma spesso è sufficiente una semplice domanda che contenga,
però, l’indicazione delle parti, l’oggetto della lite ed il suo valore economico.
Il consumatore può adire il conciliatore anche senza l’accordo preventivo della controparte, alla quale, in genere, conviene partecipare e tentare la conciliazione.
Anche in questo caso si potrà raggiungere o meno un accordo, che avrà
valore contrattuale tra le parti. Il conciliatore non ha potere decisionale ma può
solamente aiutare le parti ad accordarsi.
Le autorità garanti
Sono istituite per settori particolari (per le telecomunicazioni, per la protezione
dei dati personali, per l’energia elettrica ed il gas, per la borsa ed i prodotti finanziari) ed accolgono le segnalazioni e/o i ricorsi dei consumatori che lamentano
violazioni nei vari settori di competenza.
Vi è una modulistica predisposta da ciascun Garante, scaricabile o visionabile
sui rispettivi siti on line.
Il consumatore può adire i Garanti anche senza l’accordo preventivo con la
controparte che, se citata, ha tutto l’interesse, comunque, a presentarsi ed a
difendere le proprie ragioni. Infatti, i Garanti hanno potere decisionale vincolante per le parti (salvo, poi, la facoltà di appellarsi per le vie ordinarie).
Attenzione: per ogni tipo di reclamo, domanda di conciliazione, segnalazione
o ricorso, occorre sempre indicare tutti gli elementi utili ad individuare le parti,
il contratto, le contestazioni, le richieste (cercando, se possibile, di quantificare
l’importo che volete vi venga corrisposto a titolo di rimborso o risarcimento), ed
allegate tutte le prove a vostro favore (documenti vari, corrispondenza intercorsa
tra le parti, fotografie, testimonianze ecc.).
Bibliografia
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Test noi consumatori
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Speciale conciliazione
Dall’Alternative Dispute Resolution
alla conciliazione obbligatoria:
dalla normativa comunitaria al decreto 28/10
Di Raffaella Grisafi
Profili introduttivi
L’embrione di una politica comunitaria in materia di consumo risale alla metà
degli anni 70. Il Trattato di Roma non prevedeva l’instaurazione di tale politica ed
è al vertice di Parigi nel 1972 che i Capi di Stato e di Governo hanno manifestato
per la prima volta una volontà politica in proposito. Poco dopo, la Commissione
ha presentato il primo programma d’azione relativo alla protezione dei consumatori (Gazzetta ufficiale C 92, 25.04.1975). Ma occorrerà attendere l’Atto unico
e la prospettiva del grande mercato per constatare un autentico salto di qualità
della politica dei consumatori: entrato in vigore il 1° luglio 1987, l’Atto unico ha
permesso di introdurre nel Trattato la nozione di consumatore.
Tale nozione non è stata oggetto di una definizione precisa, tuttavia ha il merito
di gettare le basi per un riconoscimento giuridico della politica dei consumatori: la
soppressione delle frontiere e la realizzazione del mercato unico, il 1° gennaio 1993,
ha messo in evidenza l’esistenza di un mercato di oltre 340 milioni di consumatori,
a cui seguiva la necessità di emanare adeguate norme di accompagnamento.
Inoltre, la fiducia dei consumatori è apparsa come un elemento indispensabile
al buon funzionamento del mercato: difatti i nuovi programmi d’azione hanno
messo l’accento su vari aspetti, quali la rappresentanza dei consumatori e la loro
informazione, la sicurezza dei prodotti e le transazioni.
Per arrivare alle priorità attuali, la Commissione, con comunicazione del 7
Maggio 2002 “Strategia per la politica dei consumatori 2002-2006”, tenendo
conto sia dell’allargamento del mercato interno, sia della esigenza di fornire ai
consumatori regole più semplici e uniformi, di applicazione analoga nell’insieme
dell’Unione, ha delineato la strategia della politica dei consumatori 2003-2006
basandola su tre obiettivi: un elevato livello di protezione dei consumatori, l’applicazione effettiva delle regole di protezione dei consumatori e la partecipazione
delle organizzazioni dei consumatori alle politiche comunitarie.
Proprio nel quadro degli obiettivi più recenti, si inserisce l’argomento che qui
interessa in merito alla risoluzione extragiudiziaria delle controversie in materia
di consumo.
Unione Europea: comunicazioni e raccomandazioni
sulla risoluzione extra giudiziale delle controversie
Quando insorgono controversie transfrontaliere non è sempre possibile né
economico per i consumatori e per le imprese adire le tradizionali vie legali. La
Test noi consumatori
Commissione ha risposto con tutta una serie di iniziative volte a promuovere
sistemi semplici, economici ed efficaci di risoluzione delle controversie transfrontaliere, come ad esempio i meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie
(ADR).
La Commissione ha adottato due raccomandazioni sui principi applicabili agli
organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia
di consumo (98/257/CE del 30.03.1998 pubblicata in GU L 115 del 17.4.1998) e
sui principi applicabili agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione
consensuale delle controversie in materia di consumo (2001/310/CE, GU L 109
del 19.4.2001).
La raccomandazione del 30.03.1998
e la comunicazione del 04.04.2001
La Raccomandazione della Commissione del 30 Marzo 1998 ha avuto il precipuo fine di agevolare e semplificare la risoluzione delle controversie in materia di
consumo, ricordando nel contempo i problemi d’accesso dei singoli consumatori
alla giustizia, quali- i costi elevati della consultazione giuridica e della rappresentanza e la lunghezza dei termini prima che si pervenga ad un giudizio.
Per ovviare a tali difficoltà, esistono secondo la raccomandazione tre vie
complementari:
a) La prima riguarderebbe la semplificazione e il miglioramento delle procedure
giudiziarie, prevedendo ad esempio la possibilità di presentare l’istanza secondo
modalità semplificate, rendendo facoltativo l’intervento di un avvocato e incoraggiando i tentativi di conciliazione dinnanzi a un giudice. Tuttavia, la raccomandazione della Commissione non ha ad oggetto tali procedure giudiziarie e
non contiene proposte in questo settore che, riteniamo invece fondamentale;
b) miglioramento della comunicazione tra i consumatori ed i professionisti, al
fine di aiutare il consumatore a trovare una soluzione amichevole della controversia che l’oppone al professionista;
c) la terza via onde ovviare a difficoltà esistenti nella regolazione delle controversia in materia di consumo consisterebbe nella creazione di procedure
extragiudiziali quali, la mediazione, la conciliazione o l’arbitraggio.
La Commissione altresì raccomanda che qualunque organo competente per
la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo rispetti i
sette principi di seguito sinteticamente enucleati, a seconda che si tratti di una
decisione adottata individualmente oppure sia collegiale.
Nel caso di decisione individuale, il principio d’indipendenza dovrà essere
garantito, in particolare quando la persona designata, oltre a possedere la capacità e le competenze necessarie allo svolgimento delle sue funzioni, gode di un
mandato di durata sufficiente a garantire l’indipendenza della sua azione, non
avendo svolto attività lavorative, nel corso dei tre anni precedenti la sua entrata
in funzione, per l’associazione professionale o l’impresa che la retribuisce o che
l’ha nominata per questa funzione.
Nei casi invece in cui la decisione da adottare sia collegiale, il principio d’indipendenza è garantito attraverso la rappresentanza paritaria dei consumatori e
dei professionisti o attraverso il rispetto dei criteri sopra enunciati.
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Test noi consumatori
Il principio di trasparenza è garantito da varie misure, quali ad esempio la
comunicazione a qualunque soggetto che lo richieda di una descrizione dei tipi
di controversie che possono essere sottoposte all’organo, delle norme relative
alla presentazione del reclamo all’organo e del costo eventuale della procedura
per le parti; delle regole sulle quali si fondano le decisioni dell’organo e delle
modalità di adozione di decisioni e del loro valore giuridico.
Il principio d’efficacia dovrà invece comportare l’accesso del consumatore
alla procedura senza essere obbligato a ricorrere al rappresentante legale, la
gratuità della procedura o la determinazione di costi moderati, oltre alala fissazione di termini brevi tra la presentazione del reclamo all’organo e l’adozione
della decisione.
Il principio di legalità, secondo il quale l’organo extragiudiziale non può adottare
una decisione che avrebbe come risultato di privare il consumatore della protezione
che gli garantiscono le disposizioni imperative della legge dello Stato sul territorio
del quale l’organo è stabilito, oltre ai principi del contraddittorio (possibilità per
tutte le parti interessate, di far conoscere il proprio punto di vista e di prendere
conoscenza di quello della parte avversa), e di libertà (scelta del consumatore
di aderire alla procedura extragiudiziale) e di rappresentanza.
A seguito della citata raccomandazione, la Comunicazione della Commissione
volta ad ampliare l’accesso dei consumatori alla risoluzione alternativa delle controversie (del 04.04.2001), ha anch’essa avuto il fine di cercare soluzioni alternative
al sistema giudiziario, ed intese a promuovere l’accesso dei consumatori a soluzioni
semplici, rapide, efficaci e poco costose di risoluzione delle controversie.
La rete Eej-Net – rete per la risoluzione extragiudiziale
delle controversie in materia di consumo
La rete EEJ è stata istituita il 16 ottobre 2001 dal commissario David Byrne
e dalla presidenza belga come progetto-pilota della durata di un anno. In considerazione del successo riportato, la Commissione europea ha poi richiesto al
Consiglio dei Ministri una proroga di un anno.
L’obiettivo è quello di istituire una rete di organi nazionali per la soluzione
extragiudiziale delle controversie ai fini di una soluzione rapida ed efficace delle
controversie transfrontaliere in materia di consumi, utilizzando i nuovi mezzi di
comunicazione, segnatamente Internet.
La rete extragiudiziale europea (EEJ-Net), nel coordinare le procedure di
composizione extragiudiziale in tutta Europa, fornisce informazioni e un sostegno
pratico ai consumatori che scelgano di avvalersi di tali procedure.
Tale rete pertanto, avrebbe il compito di coadiuvare i consumatori a risolvere
le controversie transfrontaliere che li oppongono alle imprese che forniscono beni
o servizi difettosi, dirigendo i consumatori stessi verso dispositivi alternativi di
composizione delle controversie (ADR).
Le funzioni della rete (per i diversi punti di contatto nazionali o “clearing
houses”) consistono nell’informare i consumatori sulle possibilità di utilizzare
dispositivi alternativi di soluzione delle controversie, facilitare le denunce transfrontaliere, facilitare la presentazione delle denunce attraverso l’impiego del
modello DAR, garantire il controllo degli sviluppi della soluzione delle controversie
e delle operazioni svolte con il DAR all’interno della rete.
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La risoluzione alternativa delle controversie
La ‘risoluzione alternativa delle controversie’ (o ‘RAC’) copre tutta una varietà
di organi extragiudiziali che rappresentano un’alternativa all’iter processuale
nei Tribunali. Dette procedure possono comprendere, ma non esclusivamente,
l’arbitrato, una valutazione neutrale di prima fase, una valutazione, mediazione
e conciliazione ad opera di esperti. Di conseguenza, i meccanismi per risolvere
le controversie possono andare da decisioni vincolanti fino a raccomandazioni o
ad accordi diretti tra le parti.
Anche l’organizzazione e la gestione delle procedure di RAC può variare: esse
possono essere organizzate pubblicamente o privatamente ed assumere la forma di
sistemi di OMBUSMAN, di commissioni dei reclami nell’interesse dei consumatori, di un
mediatore privato, di associazioni di categoria, ecc. Queste diverse procedure hanno
caratteristiche diverse e sono più o meno efficaci a seconda delle circostanze.
I centri europei dei consumatori (eurosportelli)
La rete dei Centri europei dei consumatori (rete CEC) funge da interfaccia
tra la Commissione e i consumatori europei per promuovere un miglior uso del
mercato interno e far pervenire alla Commissione un feedback sui problemi che
emergono sul mercato.
I CEC forniscono informazioni sulla legislazione e sulla giurisprudenza sia a
livello europeo che a livello di Stati membri. I CEC forniscono altresì, assistenza
e consulenza in materia di mediazione, informazioni sulle procedure, una prima
assistenza legale ed eventualmente rinviano il problema ad altre autorità. I CEC
infine collaborano strettamente nell’ambito della rete e con altre reti europee
come ad esempio EEJ-Net e FIN-NET.
Il Regolamento CE 2006/2004
Un nuovo strumento di protezione e tutela degli interessi dei consumatori
è stato di recente adottato dagli Stati membri per il tramite del Regolamento
CE n. 2006/2004 del 27 Ottobre 2004 “Regolamento sulla cooperazione per la
tutela dei consumatori” tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della
normativa consumeristica.
Tra le motivazioni che hanno determinato il Parlamento Europeo ed il Consiglio
alla emanazione di questo regolamento, vi è la considerazione che gli accordi
nazionali esistenti relativi all’esecuzione della legislazione che tutela gli interessi
dei consumatori non sono stati adattati ai problemi posti dall’esecuzione della
normativa nel mercato interno, non essendo attualmente possibile garantire
un’efficace ed efficiente cooperazione in materia di esecuzione delle norme.
Pertanto la Comunità, in base al principio di sussidiarietà sancito dall’art. 5 del
Trattato, è intervenuta per realizzare la cooperazione ed il coordinamento fra le autorità
nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori.
Obiettivo del regolamento è pertanto quello di definire le condizioni in base
alle quali le autorità competenti dello Stato membro, designate in quanto responsabili dell’esecuzione della normativa sulla tutela degli interessi dei consumatori,
collaborano fra di loro e con la Commissione al fine di garantire il rispetto della
citata normativa e il buon funzionamento del mercato interno al fine di migliorare
la protezione degli interessi economici dei consumatori.
12
Test noi consumatori
Il regolamento definisce per “infrazione intracomunitaria” qualsiasi atto o
omissione contrari alle norme sulla protezione degli interessi dei consumatori,
che danneggi o possa danneggiare gli interessi collettivi dei consumatori che risiedono in uno o più Stati membri diversi dallo Stato membro in cui hanno avuto
origine o si sono verificati l’atto o l’omissione in questione, o in cui è stabilito il
venditore o il fornitore responsabile o in cui si riscontrino elementi di prova o
beni riconducibili all’atto o all’omissione.
Il Regolamento stabilisce che ogni Stato membro designa le autorità competenti
e l’ufficio unico di collegamento, responsabili dell’applicazione del regolamento
stesso. Ogni Stato membro può, se necessario per adempiere i suoi obblighi
previsti dal regolamento, designare altre autorità pubbliche. Ciascuna autorità
competente è dotata dei necessari poteri investigativi ed esecutivi per l’applicazione
del regolamento e li esercita conformemente alla legislazione nazionale.
Il regolamento prevede lo scambio di informazioni su richiesta: l’autorità interpellata
fornisce quanto prima, su richiesta di un’autorità richiedente, a norma dell’articolo
4, qualsiasi informazione pertinente necessaria per stabilire se si sia verificata o se
vi è il ragionevole sospetto che possa verificarsi un’infrazione intracomunitaria.
L’autorità interpellata, se necessario con l’assistenza di altre autorità pubbliche,
intraprende le indagini del caso o adotta altre eventuali misure necessarie o appropriate, a norma dell’articolo 4, al fine di raccogliere le informazioni richieste.
Tuttavia lo scambio di informazioni può avvenire anche in assenza di richiesta,
allorquando un’autorità competente viene a conoscenza di un’infrazione intracomunitaria o ragionevolmente sospetta che detta infrazione potrebbe verificarsi,
essa ne informa le autorità competenti degli altri Stati membri e la Commissione
fornendo quanto prima tutte le informazioni necessarie.
Su richiesta dell’autorità richiedente, un’autorità interpellata adotta tutte le
misure necessarie per far cessare o vietare l’infrazione intracomunitaria quanto
prima possibile.
Per adempiere a questi obblighi, l’autorità interpellata esercita i poteri indicati
nel regolamento e qualsiasi altro potere di cui dispone ai sensi della normativa
nazionale. L’autorità interpellata, se necessario con l’assistenza di altre autorità
pubbliche, determina le misure da adottare per far cessare o vietare l’infrazione
intracomunitaria in modo proporzionato, efficiente ed efficace.
Pertanto le autorità competenti coordinano le attività di sorveglianza del mercato e di esecuzione e a tal fine si scambiano tutte le informazioni necessarie.
Nel caso in cui le autorità competenti vengano a conoscenza di una infrazione
intracomunitaria che arrechi pregiudizio agli interessi dei consumatori di più di
due Stati membri, le autorità competenti interessate coordinano il loro intervento
e chiedono l’assistenza reciproca attraverso l’ufficio unico di collegamento. Le
autorità competenti adempiono i loro obblighi ai sensi del regolamento, come se
agissero per conto dei consumatori del proprio paese e questo di loro iniziativa
o su richiesta di un’altra autorità competente del loro paese.
Una condizione importante posta dal regolamento è quella che prevede che
gli Stati membri rinunciano a qualsiasi richiesta di rimborso delle spese connesse
all’applicazione del presente regolamento.
Il regolamento disciplina analiticamente anche i casi in cui una autorità interpellata può rifiutarsi di dare seguito ad una richiesta di misura di esecuzione e
Test noi consumatori
13
quelli in cui una autorità interpellata può rifiutarsi di dare seguito ad una richiesta
di informazioni.
Il regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile
in ciascuno degli Stati membri e si applica a decorrere dal 29 dicembre 2005.
Le disposizioni sull’assistenza reciproca, e le condizioni che la regolano, di cui ai
capitoli II e III, si applicano a decorrere dal 29 dicembre 2006.
La conciliazione stragiudiziale come metodo
di ADR - situazione italiana
Negli ultimi decenni si è registrata in occidente una spinta culturale sempre
maggiore verso i metodi alternativi di composizione delle controversie rispetto
al processo di cognizione dinanzi al giudice statale. Il movimento, partito con
forza dagli Stati Uniti, incontra un notevole supporto nelle istituzioni della U.E.
(vedi raccomandazioni e Libro Verde prima citati).
Fra le cause di questo processo, sicuramente vi è l’incapacità dello Stato di
rispondere efficientemente ed adeguatamente alla domanda di giustizia della
società civile. L’inefficienza si riflette particolarmente sulle controversie di valore
patrimoniale medio-basso, come accade in quelle avviate dai consumatori. Fra i
metodi di ADR rientrano istituti tra di loro eterogenei, ma il centro della categoria
è occupato dalla conciliazione, intesa come l’accordo con il quale le parti, alla
presenza di un terzo, compongono una controversia tra loro insorta.
La distinzione fondamentale è quella tra conciliazione dinanzi al giudice statale
o ad un terzo da questi designato e conciliazione dinanzi ad un terzo che non è
il giudice, né da questi designato.
In questi ultimi anni, la spinta verso i metodi di ADR ha portato il legislatore italiano
a guardare con crescente favore alla conciliazione amministrata da istituzioni.
In questo ruolo spiccano le Camere di Commercio alle quali la legge 580/93
riconosce il potere di promuovere la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per le controversie tra imprese, nonché tra imprese e consumatori.
Inoltre, la legge 281/98, sulla disciplina dei diritti dei consumatori e degli
utenti, consente alle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative
a livello nazionale, inserite nell’elenco tenuto presso il Ministero dell’Industria
(nonché alle organizzazioni riconosciute in un altro Stato membro) di promuovere,
prima dell’azione giudiziale, un tentativo di conciliazione dinanzi alla camera di
commercio competente per territorio.
Il verbale di riuscita conciliazione sottoscritto, oltre che dalle parti, dal rappresentante della camera di commercio, previo deposito al tribunale e controllo
sulla sua regolarità formale, costituisce titolo esecutivo.
Rivestono una importanza fondamentale, ovviamente, le tecniche conciliative,
avendosi una distinzione fra due modelli: un primo modello, in cui il conciliatore
si limita tendenzialmente ad avvicinare le posizioni delle parti oppure, specie
quando il tentativo minaccia di fallire, a formulare informalmente una proposta
di accordo di cui non rimane traccia (detta conciliazione facilitativa). Con questo
metodo, il conciliatore ha di regola una serie di colloqui separati con le parti,
senza rivelare alla controparte le informazioni apprese in separata sede. In
questo caso le ragioni del mancato accordo non hanno alcun peso nel processo
giurisdizionale successivo.
14
Test noi consumatori
Un secondo modello di tecnica conciliativa (detta conciliazione valutativa),
invece, prevede che il conciliatore, dopo aver acquisito i termini della controversia
nel pieno contraddittorio tra le parti, formula una proposta di accordo la quale,
sebbene non vincolante, influisce sulla decisione relativa alle spese nell’eventuale
processo giurisdizionale, decisione formulata dal giudice in considerazione della
posizione assunta dalle parti rispetto alla stessa proposta.
La nuova direttiva 2008/52/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio
del 21 maggio 2008 sulla mediazione in materia civile e commerciale
Come importante punto di arrivo di un percorso in ambito comunitario teso
a promuovere procedure stragiudiziali di composizione delle controversie, in
alternativa alla giustizia ordinaria, il 21 maggio 2008 è stata adottata dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea la Direttiva 2008/52/CE relativa a
determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale (pubblicata
nella G.U.C.E. L. 136 del 24 maggio 2008), che dovrà essere recepita dagli Stati
membri (ad eccezione della Danimarca) entro il 21 maggio 2011.
La finalità della Direttiva è quella di garantire a tutti i cittadini dell’Unione «un
accesso più rapido e meno costoso alla giustizia» facilitando il ricorso a procedure di risoluzione alternative delle controversie trasfrontaliere – che favoriscono
la composizione amichevole delle medesime – ed incoraggiando il ricorso alla
mediazione.
In passato, erano stati previsti dal legislatore comunitario strumenti alternativi di risoluzione delle liti con direttive che si occupavano di specifici settori,
quali i bonifici transfrontalieri (direttiva 97/5/CE), la tutela dei consumatori nei
contratti a distanza (direttiva 97/7/CE), la commercializzazione a distanza di
servizi finanziari ai consumatori (direttiva 2002/65/CE).
La Direttiva in commento, che fa seguito alla pubblicazione di un Libro Verde
relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e
commerciale nonché di un codice europeo di condotta dei mediatori, risulta essere
pertanto il primo provvedimento comunitario che preveda la mediazione come
strumento generale, in alternativa alla giustizia ordinaria, per la composizione
di liti riferite a diritti disponibili in ambito civile e commerciale.
Sebbene il provvedimento si applichi alle controversie transfrontaliere (cioè
quelle in cui almeno una delle parti è domiciliata o risiede abitualmente in uno
Stato membro diverso da quello di qualsiasi altra parte), nulla dovrebbe vietare
agli Stati membri di applicare le disposizioni in essa contenute anche ai procedimenti interni, previa specificazione nella legge d’attuazione.
Essa non si applica, invece, alle questioni fiscali, doganali o amministrative,
né alla responsabilità dello Stato per atti od omissioni nell’esercizio di pubblici
poteri. Inoltre, come affermato nel preambolo, la direttiva non dovrebbe applicarsi
alle trattative precontrattuali o ai procedimenti di natura arbitrale quali talune
forme di conciliazione dinanzi ad un organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l’arbitrato e la valutazione di periti o i procedimenti gestiti da persone
od organismi che emettono una raccomandazione formale, sia essa legalmente
vincolante o meno, per la risoluzione della controversia.
Risultano essere di notevole importanza le definizioni giuridiche dell’istituto
della mediazione, e conseguentemente di mediatore, che compongono un quadro
Test noi consumatori
15
normativo “europeo” fino ad ora molto evanescente e mutevole nelle legislazioni
dei vari Stati membri.
Giova, pertanto, trascrivere integralmente le definizioni enunciate nell’art. 3
della citata Direttiva:
a) per “mediazione” si intende un procedimento strutturato, indipendentemente
dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse
stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della
medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale procedimento può essere
avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o
prescritto dal diritto di uno Stato membro. Esso include la mediazione condotta da un giudice che non è responsabile di alcun procedimento giudiziario
concernente la controversia in questione. Esso esclude i tentativi messi in
atto dall’organo giurisdizionale o dal giudice aditi al fine di giungere ad una
composizione della controversia in questione nell’ambito del procedimento
giudiziario oggetto della medesima.
b) per “mediatore” si intende qualunque terzo cui è chiesto di condurre la mediazione
in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato e dalle
modalità con cui è stato nominato o invitato a condurre la mediazione.
Come si può notare, la definizione di mediazione è molto ampia, spaziando
dai procedimenti avviati per iniziativa spontanea delle parti a quelli proposti o
disposti dal giudice o dalla legge, comprendendo la mediazione facilitativa, nella
quale il mediatore si limita soltanto a favorire un accordo, così come la mediazione
valutativa, nella quale il mediatore può proporre una soluzione.
Nel nostro ordinamento vi è lo strumento della procedura stragiudiziale di
conciliazione, che in sostanza è l’equivalente della mediazione delineata nella
Direttiva.
A tal proposito si precisa che resta comunque salva la possibilità degli Stati
membri di imporre alle parti l’esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione, sia prima che dopo l’inizio della causa giudiziale, come previsto all’art.
5 della Direttiva, ferma restando quindi, in Italia, la previsione del tentativo
obbligatorio di conciliazione stabilito nel nostro ordinamento per alcune materie,
come ad esempio per quella di lavoro ex art. 410 c.p.c.
Nella Direttiva 2008/52/CE si afferma il principio in forza del quale le parti
gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano
e porvi fine in qualsiasi momento. Tale procedimento può essere avviato dalle
parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto
di uno Stato membro, e include la mediazione condotta da un giudice che non
è responsabile di alcun procedimento giudiziario concernente la controversia in
questione.
La Direttiva prevede, infatti, che l’organo giurisdizionale investito di una causa,
previa valutazione discrezionale che tenga conto di tutte le circostanze del caso
concreto, possa invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere
la controversia. Il medesimo organo può altresì invitare le parti a partecipare ad
una sessione informativa sul ricorso alla mediazione, se tali sessioni hanno luogo
e sono facilmente accessibili.
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Test noi consumatori
La Direttiva prevede inoltre che il contenuto dell’accordo, raggiunto in sede di
mediazione, possa avere efficacia di titolo esecutivo qualora le parti convengano
in tal senso (la richiesta deve essere fatta congiuntamente dalle parti o da una di
esse con il consenso espresso delle altre). L’esecutività non può tuttavia essere
concessa qualora l’accordo sia contrario alla legge dello Stato membro in cui viene
presentata la richiesta o se detta legge non ne preveda l’esecutività.
Viene altresì precisato che il contenuto dell’accordo potrà essere reso esecutivo in una sentenza, in una decisione o in un atto autentico da un organo
giurisdizionale o da un’altra autorità competente in conformità del diritto dello
Stato membro in cui è presentata la richiesta.
Un ulteriore aspetto da evidenziare in relazione al provvedimento in esame è
rappresentato dalla previsione delle c.d. linee guida sulla riservatezza: gli Stati
membri sono infatti chiamati a garantire che (salvo diversa decisione delle parti) nè
i mediatori nè le parti o gli altri soggetti coinvolti nella gestione del procedimento
di mediazione siano obbligati a testimoniare nel procedimento giudiziario o di
arbitrato, in merito ad informazioni risultanti da un procedimento di mediazione
o connesse con lo stesso.
Il vincolo di riservatezza, di carattere generale, non sussiste tuttavia nelle
specifiche ipotesi, previste all’art. 7, in cui: “a) sia necessario per superiori
considerazioni di ordine pubblico dello Stato membro interessato, in particolare
sia necessario per assicurare la protezione degli interessi superiori dei minori o
per scongiurare un danno all’integrità fisica o psicologica di una persona; oppure
quando: “b) la comunicazione del contenuto dell’accordo risultante dalla conciliazione sia necessaria ai fini dell’applicazione o dell’esecuzione di tale accordo”.
Altro aspetto fondamentale affrontato dalla Direttiva è il problema della decorrenza
dei termini: al riguardo si specifica, all’art. 8, che gli Stati membri devono provvedere
affinché alle parti che scelgono la mediazione non venga successivamente impedito
di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti i termini di prescrizione o di decadenza.
A tal fine è quindi prevista la sospensione dei termini di decadenza e prescrizione nel corso del procedimento di mediazione; di contro, la Direttiva non
ha previsto un termine massimo di durata del periodo di sospensione, ovvero di
durata del procedimento di mediazione, che sarebbe stato opportuno prevedere,
anche considerando l’interesse ad una rapida conclusione del procedimento.
Infine è dato risalto alla questione della qualità dei servizi di mediazione,
aspetto fondamentale per la fiducia dei cittadini nello strumento della mediazione,
oltre che per la fiducia reciproca tra gli Stati membri nelle rispettive procedure
nelle fattispecie a carattere transfrontaliero.
In virtù del disposto dell’art. 4 della Direttiva, agli Stati membri viene richiesto,
seppur genericamente, di incoraggiare in qualsiasi modo l’elaborazione di codici
volontari di condotta da parte dei mediatori e delle organizzazioni che forniscono
servizi di mediazione, nonché l’ottemperanza ai medesimi, oltre che qualunque
altro efficace meccanismo di controllo della qualità riguardante la fornitura di
servizi di mediazione.
Test noi consumatori
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Speciale conciliazione
La mediazione civile e commerciale
nella normativa nazionale
La mediazione dal decreto 28/10 al
regolamento 180/10
Di Raffaella Grisafi
R
isale a poche settimana fa la venuta alla luce di un nuovo attesissimo
intervento legislativo in materia di mediazione, il D.M. 180 del 20.10.101
recante i criteri per la determinazione delle modalità di iscrizione e tenuta
del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, che arricchisce la disciplina della c.d. mediazione civile e commerciale.
Il punto di partenza è il d.lgs n.28 del 4 marzo 20102 emanato in forza
della delega conferita al Governo con l’art. 60 della l. 69/09 recante le
“Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di diritto civile” al fine di disegnare un sistema
efficiente di conciliazione al contempo sviluppando ed integrando l’omologa
disciplina dettata in materia di controversie societarie e intermediazione
societaria dal d.lgs 17 gennaio 2003, n. 173.
Le importanti novità introdotte attecchiscono in un ordinamento, quello
italiano, ove già sono da tempo previste forme di risoluzione stragiudiziale e alternativa della controversia. Dai primi anni novanta infatti diversi testi legislativi
vi fanno riferimento: così ad esempio la Legge 11 maggio 1990 n. 108 recante
la conciliazione extragiudiziale sulle controversie in materia di diritto del lavoro
(sindacali o amministrative) quale condizione di procedibilità della domanda
giudiziale nella disciplina dei licenziamenti; la Legge 29 dicembre 1993, n. 580
concernente l’istituzione di commissioni arbitrali e conciliative presso le Camere
di Commercio; la Legge 18 giugno 1998, n. 192 sulla conciliazione e l’arbitrato
in materia di subfornitura nelle attività produttive; il d.lgs n.385 del 1993, c.d.
TUB all’art. 128 bis in materia bancaria, la l.291/98 in materia di diritti dei consumatori, il citato decreto legislativo 5/2003 i materia di liti societarie, il d.lgs
n.70/2003 in materia di commercio elettronico.
A ciò si aggiungano tutte le previsioni conciliative all’interno di procedimenti
giudiziali come disciplinati dal codice di procedura civile.
Il nuovo decreto4 va quindi ad inserirsi in un tessuto normativo che ha già
familiarizzato con certi strumenti5 e che, a prescindere dal successo o meno sin
ora ottenuto, rende più agile l’adattamento della neonata mediazione la quale
così dovrebbe fortemente ridurre il pericolo di crisi di rigetto procedurali.
Esso introduce il concetto di mediazione quale attività svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo
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Test noi consumatori
amichevole per la composizione di una controversia sia per la formulazione di
una proposta per la risoluzione della stessa6. Si crea così un doppio binario che
deriva dalla previsione di due diverse modalità di mediazione: una per così dire
facilitativa nella quale il mediatore aiuta le parti al raggiungimento di un accordo,
e l’altra aggiudicativa che consiste nella formulazione di una proposta di conciliazione da parte del mediatore qualora l’accordo non venga raggiunto.
Il risultato della mediazione, ossia l’accordo, assume il nome di conciliazione.
I modelli di mediazione
Il decreto n.28 prevede tre forme di mediazione: la c.d. mediazione obbligatoria7, la mediazione facoltativa8 e la c.d. mediazione delegata9.
In particolare – ed è questa una delle novità di maggiore interesse – all’art.
5 si prevede che nei casi di controversie relative a condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di
azienda,risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, risarcimento
del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o altro mezzo di
pubblicità e contratti assicurativi, bancari e finanziari10, la mediazione sia condizione
di procedibilità della domanda giudiziale11. Significa che in queste materie – dal
marzo 2011 data di entrata in vigore dell’art. 5- chiunque voglia adire un giudice
dovrà prima esperire un tentativo di mediazione della controversia dinnanzi ad
un Organismo di Mediazione e solo successivamente, qualora il tentativo fallisca
potrà continuare il normale iter giudiziario.
Va osservato come tale previsione abbia destato non pochi dubbi di legittimità
da parte di coloro i quali hanno ritenuto che così si violasse il diritto d’azione
sancito dall’art.24 Cost. che fa salva la possibilità di ciascuno di ricorrere al giudice per far valere un proprio diritto, che ha tuttavia trovato l’avallo della Corte
Costituzionale12 che ha avuto più volte modo di chiarire come, se è vero che la
Costituzione afferma solennemente l’effettività della tutela giurisdizionale, è altrettanto vero che “l’ineffettività del modo di tutela può risolversi nella violazione
della norma costituzionale, in quanto derivi direttamente dalla legge così come
formulata e strutturata e non dalle modalità, più o meno efficaci della sua applicazione”. Né la violazione potrebbe sussistere, a parere della Corte, nell’eventuale
ritardo che l’azione innanzi l’Autorità Giudiziaria andrebbe ad accumulare, perché
l’art. 24 non garantisce l’immediatezza dell’azione, essendo possibile l’incidenza
di oneri ex lege finalizzati alla tutela di interessi superiori13. Interessi che in tal
caso si rinvengono nella finalità di imprimere una diminuzione nel numero dei
casi di ricorso alla giurisdizione ordinaria (senza peraltro precluderne l’accesso)
nonché di contribuire alla diffusione della cultura della risoluzione alternativa
delle controversie.
Quindi una tale previsione fa della mediazione uno strumento teso non solo
ad ampliare l’opportunità di accesso alla giustizia mediante la previsione appunto
di procedimenti che salvaguardino l’opportunità della domanda di giustizia grazie
a procedimenti più snelli ed economici del processo, bensì anche ad alleggerire
il carico processuale italiano, senza peraltro che ciò fosse stato richiesto in sede
di recepimento dalla Direttiva 2008/752/CE14.
Si aggiunga poi a conferma di una tale lettura che, nelle ipotesi di mediazione
obbligatoria, qualora le parti non ne abbiano le possibilità economiche la procedura
Test noi consumatori
19
di mediazione è totalmente gratuita in quanto si applica il Testo Unico sulle spese
di giustizia in materia di patrocinio a spese dello Stato. Sul punto va osservato
come tuttavia la legge abbia trascurato di aggiungere ulteriori indicazioni per cui
allo stato non sono chiari quali dovrebbero essere i meccanismi interni idonei a
facilitare in tal caso l’attività dell’Organismo di mediazione. Sempre in materia di
mediazione obbligatoria si tenga presente che qualora dovessero esserci esigenze
d’urgenza è fatta salva la possibilità di rinviare la mediazione come nel caso dei
procedimenti d’ingiunzione o per convalida di licenza o sfratto ed in tutti gli altri
casi indicati dall’art. 5 ai commi 3 e 4. Accanto a questo modello si prevede la
mediazione facoltativa che liberamente scelta dalle parti gode degli stessi benefici fiscali di quella obbligatoria, e quella c.d. delegata, prevista dal comma 2
dell’art.5 in cui è il giudice (in qualunque momento purché prima dell’udienza di
precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima
della discussione della causa) che invita le parti a ricorrere alla mediazione.
Va precisato che essa può intervenire anche qualora si sia già provveduto
ad esperire un tentativo di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5, 1 comma
e questo sia fallito, ma il giudice successivamente, in corso di causa, individui
comunque nuovi spazi di trattativa tra le parti.
Il procedimento
Il procedimento di mediazione, che avrà inizio con la presentazione di una
domanda presso un Organismo di mediazione, non risente di limiti di competenza
territoriale, per cui due litiganti di Palermo possono ad es. incardinare la lite dinnanzi ad un organismo di Milano perché liberi di scegliere il servizio di mediazione
che ritengono più idoneo alle loro esigenze, dovrà avere una durata massima di
4 mesi e si concluderà con il raggiungimento di un accordo che se omologato dal
giudice, assume tutti i crismi di una sentenza. Per cui costituirà titolo esecutivo
per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione
di ipoteca giudiziale con la stessa forza appunto di una sentenza
Va poi ancora osservato che qualora l’accordo invece non si raggiunga, la
mediazione potrebbe comunque ancora serbare degli effetti sulla lite, infatti l’art.
13 prevede che qualora il provvedimento che definisce il giudizio corrisponda
interamente al contenuto della proposta il giudice esclude la ripetizione delle spese
sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta in sede di conciliazione
e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente nonché
al versamento di una somma pari a quella dovuta per il contributo unificato.
E la probabilità che l’accordo si trovi15, oltre quindi al rischio di vedersi condannati se si rifiuta illegittimamente l’accordo, è ulteriormente rafforzata dal gioco
combinato di costi e benefici che il decreto disegna intorno a questo meccanismo
per il quale si prevedono non solo l’esenzione dall’imposta di bollo e da ogni
spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura per tutti gli atti e documenti
della conciliazione, bensì anche la maturazione di un credito di imposta per cui,
diversamente da come avviene per esempio per la parcella dell’avvocato che non
è certo scaricabile dalla dichiarazione dei redditi, in tal caso potranno detrarsi
tutte le cifre spese per la conciliazione.
Sul procedimento di mediazione vige l’obbligo di riservatezza di quanto
dichiarato sia nei confronti dei terzi sia ne confronti delle pari stesse nel caso
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Test noi consumatori
in cui si tratti di informazioni acquisite in sessioni separate. Dette dichiarazioni
non possono poi essere utilizzate nell’eventuale giudizio che dovesse istaurarsi
sulla medesima questione neanche in sede di assunzione di testimonianza o di
giuramento decisorio.
Vi è pertanto, salvo che le parti non decidano diversamente, un altro grado di
inutilizzabilità delle informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione
che appunto tende a garantirne la riservatezza dando alle parti la possibilità di
manifestare liberamente i loro reali interessi.
Una volta conclusosi il procedimento se è raggiunto l’accordo il mediatore
redige processo verbale contenente la proposta e l’accettazione delle parti e, se
previsto dalle parti, l’obbligo del pagamento di una somma di denaro per ogni
violazione, inosservanza o ritardo nell’adempimento degli obblighi ivi previsti.
C’è poi un ulteriore aspetto degno di nota che riguarda la c.d. clausola di
mediazione prevista dall’art. 5 e che disegna una sorta di quarto tipo di procedura
per così dire contrattuale che trova appunto la sua fonte non nella legge, come
nel caso dell’obbligatoria, né nel giudice, come nel caso della delegata, bensì
nell’accordo stesso delle parti che preliminarmente all’insorgere della lite – già
in sede di conclusione del contratto - possono statuire l’obbligo per le parti, in
caso di controversia, di ricorrere ad un procedimento conciliativo con l’ulteriore
previsione che nel caso in cui insorta la lite, non adempiano e si rivolgano direttamente al giudice, questi come nel caso della mediazione obbligatoria, assegnerà
alle parti il termine di quindici giorni per presentare la domanda di mediazione,
fissando una nuova udienza successiva al tentativo di mediazione.
I protagonisti della mediazione
Il sistema sin qui delineato, rappresenta sicuramente un elemento di grande
novità per il contesto procedurale italiano ed introduce una sorta di piccola rivoluzione copernicana della gestione del conflitto ed in generale del contenzioso
inserendo al fianco delle tante novità procedurali anche una serie di nuovi protagonisti: il mediatore, l’organismo di mediazione e l’organismo di formazione.
Il mediatore è la persona fisica che svolge l’attività di mediazione al fine di
giungere alla conciliazione delle parti, opera attraverso la ricerca di una soluzione
soddisfacente per tutte le parti, abbandonando la ricerca delle ragioni di fatto e di
diritto tipiche del giudice e piuttosto facendo emergere opportunità così gettando
le basi anche per una serena prosecuzione dei rapporti in ambiti peraltro che costituiscono quotidiano terreno di scontro (si pensi ad una lite condominiale piuttosto
che ad un sinistro stradale ossia ad una controversia con una banca). Per questa
nuova figura professionale non si è prevista l’istituzione di un albo professionale
piuttosto preferendosi inserirne la prestazione nell’ambito della organizzazione
dell’Organismo di mediazione che si accolla così l’eventuale rischio dell’attività
da questi svolta. Per svolgere tale attività è necessario – con il possesso della
laurea triennale - aver frequentato un corso base di formazione della durata di
almeno 50 ore tenuto da uno degli Organismi di formazione. Il mediatore è inserito
all’interno dell’Organismo di mediazione che, anch’esso autorizzato ad hoc dal
Ministero previa apposita procedura di accreditamento, si occupa di gestire l’intera
procedura di mediazione, dal ricevimento della domanda sino alla formulazione
della proposta o al raggiungimento (o fallimento) dell’accordo.
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Sebbene non siano state previste forme di “specializzazione”per i mediatori,
sono stati previsti degli elenchi – sempre da tenere presso l’organismo – in cui
inserire coloro i quali siano particolarmente competenti in materie di rapporti
di consumo o in materia internazionale e a cui gli organismi appunto potranno
riservare le materie di queste aree disciplinari.
È indubbio quindi che funzione strategica assume, in un tale panorama,
la formazione di dette professionalità, affidata anche in tal caso ad Organismi
accreditati dal Ministero della Giustizia ed autorizzati appunto a tenere corsi di
formazione ed aggiornamento per i mediatori.
Il punto di forza è sicuramente rappresentato dalla capacità di diversificare l’offerta
formativa e dal livello di formatori per i quali, proprio con il recente regolamento
n.180 del 20 ottobre 2010, è stato chiarito il percorso di formazione e soprattutto
il bagaglio di requisiti richiesti. Fino all’intervento normativo di Ottobre infatti, il
Ministero aveva affidato la definizione dei criteri di individuazione dei formatori – e
degli enti di formazione (rectus organismi) alla previsione di due decreti ministeriali
del 2004 emanati al fine di disciplinare la conciliazione in materia societaria.
Con il decreto n.180 il sistema cambia radicalmente, così se prima un ente di
formazione poteva avere anche solo 3 formatori che potevano essere scelti tra
coloro i quali avessero frequentato un corso base di 32 ore o in alternativa tra
magistrati in quiescenza, professori universitari di ruolo, anche in quiescenza,
in materie giuridiche o economiche o iscritti ad albi professionali in materie giuridiche o economiche con anzianità di almeno 15 anni, attualmente è necessario
per i docenti dei corsi teorici aver pubblicato almeno tre contributi scientifici in
materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie;
per i docenti dei corsi pratici, di aver operato,in qualità di mediatore, presso
organismi di mediazione o conciliazione in almeno tre procedure16.
Per tutti i docenti, di avere svolto attività di docenza in corsi o seminari in
materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie
presso ordini professionali, enti pubblici o loro organi, università pubbliche o
private riconosciute, nazionali o straniere, nonché di impegnarsi a partecipare
in qualità di discente presso i medesimi enti ad almeno 16 ore di aggiornamento
nel corso di un biennio.
Si tenga presente che l’obbligo formativo non si ferma ad uno step abilitante iniziale, ma necessita di un biennale aggiornamento, anch’esso affidato agli
Organismi di formazione.
È indubbio che, tanto i meccanismi di incentivazione fiscale quanto la celerità
della procedura contribuiranno allo sviluppo di un meccanismo che risulterebbe
un’ancora di salvezza per l’appesantito processo italiano, e per cui risulterà
prezioso il contributo degli avvocati i quali peraltro sono stati investiti di precisi
obblighi già dal marzo 2010, quando, con l’entrata in vigore del d.lgs n.18/10 si
è sancito un preciso obbligo informativo a carico degli avvocati i quali sono ora
tenuti ad informare i propri clienti dell’esistenza della mediazione e quindi di tutti
i suoi diversi aspetti procedurali.
Ciò al comprensibile fine di favorire la diffusione di uno strumento che necessita
sì di una familiarizzazione procedurale ma, altresì, di un moto di cambiamento
culturale che recepisca questa nuova concezione di gestione della controversia
non più tesa a perdersi nei meandri dei lunghi procedimenti giudiziari bensì
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tesa a risolversi nel giro di pochi mesi, con tutte le agevolazioni fiscali previste
e soprattutto con la possibilità che, ove il mediatore sia un’abile negoziatore, la
conciliazione divenga soprattutto la base di partenza per una nuova ridefinizione
pacifica dei rapporti tra gli origini nari litiganti.
Note:
1. Decreto 18 ottobre 2010, n. 180 recante il “Regolamento recante la determinazione
dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione
e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.”
Pubblicato in Gazzetta n,258 del 4-11-2010.
2. Pubblicato in Gazzetta Ufficiale 5 marzo 2010, n. 53.
3. Recante la “Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
n. 17 del 22 gennaio 2003 - Supplemento Ordinario n. 8.
4. Il decreto legislativo 28/2010 prevede che chiunque può accedere alla mediazione per
la conciliazione (intendendosi per mediazione il procedimento e per conciliazione l’accordo
compositivo della controversia) di una controversia civile e commerciale riguardante diritti
disponibili: ne deriva che deve necessariamente trattarsi di liti civili o commerciali aventi ad
oggetto diritti disponibili, rimanendo conseguentemente esclusi dalla conciliazione i diritti non
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disponibili come quelli della personalità, i diritti di famiglia, i diritti soggettivi pubblici.
5. A titolo esemplificativo si ricorda in materia di subfornitura la legge n.12 del 18.06.98;
l’art. 2, comma 4 della l. n. 580 del 1993 disciplina la conciliazione presso le camere di
commercio;la l. 135 del 29.03.01 in tema di turismo; l’art.71 quinquies della l. 633/41
in materia di diritto d’autore; art.46 della l. n.203 del 1982 in materia di contratti agrari;
gli artt. 38-40 del d. lgs. n. 5 del 2003 la conciliazione in materia societaria; l. n. 129 del
2004 in materia di franchising, la legge 55 del 2006 in materia di patti di famiglia; il d.
lgs. n. 179 del 2007 disciplina la camera di conciliazione e di arbitrato presso la Consob;
per le controversie in materia bancaria e creditizia, v. l’art. 128-bis del relativo testo unico
(d. lgs. n. 385 del 1993).
6. Sul punto F.P. Luiso “Il sistema dei mezzi negoziali per la risoluzione delle controversie
civili” nel corso della relazione tenuta all’incontro di studio su “Autonomia privata e processo”, organizzato dal C.S.M. il 10-12 giugno 2009 osserva come “la giurisdizione non è da
concepire solo come una funzione dello Stato moderno diretta all’attuazione del diritto nel
caso concreto, ma anche – in primo luogo - come servizio pubblico diretto alla composizione
delle controversie secondo giustizia (cioè con l’applicazione di criteri di giudizio oggettivi e
predeterminati). La concezione della giustizia civile come servizio pubblico si estende fino
a considerare che la composizione delle controversie ad opera di istituzioni (o il tentativo
di comporle), quando non si realizza esclusivamente nell’ambito dell’autonomia privata
delle parti (o dei relativi enti esponenziali), può essere affi-data non solo agli organi della
giurisdizione statale, ma anche, in presenza della volontà concorde delle parti, ad istituzioni
diverse dallo Stato (di cui sia assicurata la terzietà, l’imparzialità, nonché l’efficienza), mercé
la rinuncia all’applicazione di canoni decisori oggettivi e prederminati.”
7. Cfr. Art. 5,1° comma, Condizione di procedibilità e rapporti con il processo “Chi intende
esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti
reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende,
risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità
medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti
assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente ad sperire il procedimento di
mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto
dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al
decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie
ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di
decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi
che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la
scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione
non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni
per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle
azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto
legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.”
8. Cfr. 5, comma 5, “Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai
commi 3 e 4, se il contratto, lo statuto ovvero l’atto costitutivo dell’ente prevedono una
clausola di mediazione o conciliazione e il tentativo non risulta esperito, il giudice o l’arbitro,
su eccezione di parte, proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici
giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissa la successiva udienza dopo
la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo il giudice o l’arbitro fissa la
successiva udienza quando la mediazione o il tentativo di conciliazione sono iniziati, ma
non conclusi. La domanda è presentata davanti all’organismo indicato dalla clausola, se
iscritto nel registro, ovvero, in mancanza, davanti a un altro organismo iscritto, fermo il
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rispetto del criterio di cui all’articolo 4, comma 1. In ogni caso, le parti possono concordare, successivamente al contratto o allo statuto o all’atto costitutivo, l’individuazione di un
diverso organismo iscritto.”
9. Cfr. art.5, 2 comma, “Fermo quanto previsto dal comma 1 e salvo quanto disposto dai
commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa,
lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può invitare le stesse a procedere
alla mediazione. L’invito deve essere rivolto alle parti prima dell’udienza di precisazione
delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione
della causa. Se le parti aderiscono all’invito, il giudice fissa la successiva udienza dopo la
scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata,
assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della
domanda di mediazione.”
10. Nella relazione parlamentare della sezione bilancio al proposito si legge come “nella
determinazione delle materie rispetto alle quali la mediazione è condizione di procedibilità
sono stati tenuti presenti due criteri guida: sono state prescelte le controversie nelle quali
il rapporto tra le parti è destinato a prolungarsi nel tempo e le cause che, oltre a presentare
la caratteristica citata, conoscono una diffusione di massa e sono alla base di gran parte
del contenzioso in atto.
11. Dittrich L., Il procedimento di mediazione del d.lgs n.28 del 4 marzo 2010, in www.
Judiciaum.it afferma che: “La sovrabbondanza ed eterogeneità delle materie sottoposte
ad obbligatoria mediazione, lungi dall’ampliare le possibilità di successo dell’istituto, rischiano di condannarlo all’insuccesso: un insuccesso costoso, sia in termini di tempo, sia
in termini di esborsi. Molto più ragionevole sarebbe stato, per la prima fase di avvio della
nuova normativa, prevedere un numero limitato e possibilmente omogeneo di controversie,
indicando anche un tetto massimo di valore.”
12. Cfr. Corte Cost. 24 marzo 2006 n.125, in Giur. Cost., 2006,1186; Corte Cost. 9 luglio
2008 n.296 in Sito uff. Corte Cost., 2008. Parimenti sempre la Corte costituzionale con la
sentenza 13 luglio 2000, n. 276, in Foro It., 2000, I, 2752 ha ritenuto infondata la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 410, 410 bis e 412 bis c.p.c., per essere, la previsione
dell’obbligatorietà del tentativo di conciliazione per le controversie di cui all’art. 409 c.p.c.,
rispettosa della delega di cui alla l. n. 59/97, come parimenti infondata è stata ritenuta
la medesima questione sollevata in quanto il tentativo obbligatorio di conciliazione per le
controversie di cui all’art. 409 c.p.c. limiterebbe il diritto d’azione ritardandone l’esercizio
e facendo sorgere questioni processuali inutili e contrarie alla finalità deflativa perseguita
dal legislatore, in riferimento all’art. 24 Cost.
13. Cfr. Corte cost. 13 luglio 2000, n. 276, cit.
14. La Direttiva 52/2008/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008
pubblicata in G.U.U.E. L.136 del 24 maggio 2008 al considerando n.14 e art.5 par. 2 , fa
semplicemente “salva la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, purché tale legislazione non impedisca
alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario” rendendo la scelta
opzionale per i singoli Stati.
15. Diffidano nelle capacità deflattive della mediazione Bove M., La riforma in materia di
conciliazione tra delega e decreto legislativo in Rivista di Diritto Processuale 2010, 327
che precisa come “non si può pensare che la conciliazione sia la soluzione alla lentezza
della giustizia statale, perché, ci sarà sempre una parte che vuole approfittare di quella
lentezza. Inoltre imporre un tentativo di conciliazione non ha molto senso perché esso ha
successo solo quando le parti lo scelgono consapevolmente come metodo alternativo ossia
come metodo che non giudica dei diritti ma che valuta gli interessi sottostanti.”; Caponi R.,
La riuscita della legge per ridurre il contenzioso passa per un’adeguata formazione degli
operatori, in Il sole 24 ore, 2010, 12, p. 48 a proposito della mediazione obbligatoria del
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d.lgs n.28 “sugli esiti incombe lo spettro dello scarso successo del tentativo obbligatorio
di conciliazione nelle controversie di lavoro (ove infatti si ritorna al regime di facoltatività).”
Nello stesso senso Cuomo Ulloa F., Lo schema di decreto legislativo in materia di mediazione e conciliazione in I contratti, 2010, 209 che richiama i fallimenti dell’obbligatorietà
in materia di lavoro o ex art.410 ss c.p.c.; Lombardini I., Considerazioni sulla legge delega
in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili commerciali,
in Studium Iuris, 1/2010, p.8. Diversamente Marinaro R. (a cura di), La mediazione delle
liti civili e commerciali un nuovo strumento al servizio delle imprese, in Inserto a Costo
Zero, 2010,3, p.1 :“le esperienze negative vissute per la conciliazione obbligatoria nei
rapporti di lavoro non devono e non possono costituire un corretto parametro di paragone
in quanto la struttura della riforma dovrebbe consentire un approccio del tutto diverso
soprattutto in virtù della professionalità degli organismi e dei mediatori ai quali saranno
affidate le procedure”.
16. Cfr. D.M. 180/10Art. 18 Criteri per l’iscrizione nell’elenco. 1. Nell’elenco sono iscritti, a
domanda, gli organismi di formazione costituiti da enti pubblici e privati. 2. Il responsabile
verifica l’idoneita’ dei richiedenti e, in particolare: la capacita’ finanziaria e organizzativa
del richiedente, nonche’ la compatibilita’ dell’attivita’ di formazione con l’oggetto sociale
o lo scopo associativo; ai fini della dimostrazione della capacita’ finanziaria, il richiedente
deve possedere un capitale non inferiore a quello la cui sottoscrizione e’ necessaria alla
costituzione di una societa’ a responsabilita’ limitata; b) i requisiti di onorabilita’ dei soci,
associati, amministratori o rappresentanti dei predetti enti, conformi a quelli fissati dall’articolo 13 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58; c) la trasparenza amministrativa
e contabile dell’ente, ivi compreso il rapporto giuridico ed economico tra l’organismo e
l’ente di cui eventualmente costituisca articolazione interna al fine della dimostrazione della
necessaria autonomia finanziaria e funzionale; d) il numero dei formatori, non inferiore a
cinque, che svolgono l’attivita’ di formazione presso il richiedente; e) la sede dell’organismo,
con l’indicazione delle strutture amministrative e logistiche per lo svolgimento dell’attivita’
didattica; f) la previsione e la istituzione di un percorso formativo, di durata complessiva non
inferiore a 50 ore, articolato in corsi teorici e pratici, con un massimo di trenta partecipanti
per corso, comprensivi di sessioni simulate partecipate dai discenti, e in una prova finale
di valutazione della durata minima di quattro ore, articolata distintamente per la parte
teorica e pratica; i corsi teorici e pratici devono avere per oggetto le seguenti materie:
normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di mediazione e conciliazione,
metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e
relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa, anche con riferimento
alla mediazione demandata dal giudice, efficacia e operativita’ delle clausole contrattuali
di mediazione e conciliazione, forma, contenuto ed effetti della domanda di mediazione
e dell’accordo di conciliazione, compiti e responsabilita’ del mediatore; g) la previsione
e l’istituzione di un distinto percorso di aggiornamento formativo, di durata complessiva
non inferiore a 18 ore biennali, articolato in corsi teorici e pratici avanzati, comprensivi di
sessioni simulate partecipate dai discenti ovvero, in alternativa, di sessioni di mediazione;
i corsi di aggiornamento devono avere per oggetto le materie di cui alla lettera f); h) che
l’esistenza, la durata e le caratteristiche dei percorsi di formazione e di aggiornamento
formativo di cui alle lettere f) e g) siano rese note, anche mediante la loro pubblicazione
sul sito internet dell’ente di formazione; i) l’individuazione, da parte del richiedente, di un
responsabile scientifico di chiara fama ed esperienza in materia di mediazione, conciliazione
o risoluzione alternativa delle controversie, che attesti la completezza e l’adeguatezza del
percorso formativo e di aggiornamento. 3. Il responsabile verifica altresi’: a) i requisiti di
qualificazione dei formatori, i quali devono provare l’idoneita’ alla formazione, attestando:
per i docenti dei corsi teorici, di aver pubblicato almeno tre contributi scientifici in materia
di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie; per i docenti dei
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corsi pratici, di aver operato, in qualita’ di mediatore, presso organismi di mediazione o
conciliazione in almeno tre procedure; per tutti i docenti, di avere svolto attivita’ di docenza
in corsi o seminari in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle
controversie presso ordini professionali, enti pubblici o loro organi, universita’ pubbliche o
private riconosciute, nazionali o straniere, nonche’ di impegnarsi a partecipare in qualita’
di discente presso i medesimi enti ad almeno 16 ore di aggiornamento nel corso di un
biennio; b) il possesso, da parte dei formatori, dei requisiti di onorabilita’ previsti dall’articolo 4, comma 3, lettera c).
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