CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
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RASSEGNA STAMPA
29 maggio 2008
Titoli dei quotidiani
Avvocati
Italia Oggi
Avvocati, un dialogo bipartisan
Italia Oggi
Legali, nuova stagione
Italia Oggi
Mappare le competenze
Professioni
Italia Oggi
Doppio invito a conciliare
Italia Oggi
Assegni senza bollo
Giustizia
Il Sole 24 Ore
Intercettazioni, si studia la stretta
Il Sole 24 Ore
Torna reato il rifiuto de test su alcol e droghe
Italia Oggi
L'impegno che piace all'impresa
Italia Oggi
Società a trasferimento libero
Italia Oggi
Non si spara al ladro che fugge
GIURISPRUDENZA
Italia Oggi
Etilometro, no al difensore d'ufficio
Italia Oggi
L'abusivo restituisce lo stipendio
FLASH
Consiglio Nazionale Forense
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Avvocati
Teresa Pitttelli, Italia Oggi pag. 17
Avvocati, un dialogo bipartisan
Dialogo bipartisan in modo da arrivare a convergenze necessarie sulla velocizzazione del
processo civile e penale, la maggiore produttività degli uffici giudiziari e la riforma della
professione. Gli avvocati scelgono il dialogo a 360 gradi, tanto con la maggioranza che
con l'opposizione, sperando così di allargare le chance di vedere realizzate in questa
legislatura le sospirate riforme organiche della giustizia e dell'avvocatura, per la maggior
parte rimaste disattese negli ultimi anni. Così martedì scorso, nel giorno in cui il nuovo
guardasigilli, Angelino Alfano, ha presentato le linee del suo programma al Csm, e in
attesa di incontrare il ministro nei prossimi giorni, i rappresentanti dei legali sono stati
ricevuti dal ministro ombra del Pd, Lanfranco Tenaglia. «Alfano ha detto cose rassicuranti,
anche se ancora siamo sul generico», spiega Michelina Grillo, presidente dell'Oua,
l'organismo unitario dell'avvocatura. «Speriamo di vederlo presto per parlare di
provvedimenti concreti, provvedimenti dei quali intanto abbiamo discusso con il governo
ombra, dal momento che l'opposizione intende presentare alcuni disegni di legge
importanti sui quali far convergere anche il consenso della maggioranza». Una filosofia
riassunta bene anche da Valter Militi, presidente dei giovani avvocati dell'Aiga, secondo il
quale «la scelta del Pd di ispirarsi al modello anglosassone, attraverso la costituzione di
un governo ombra, semplifica il dialogo sulle questioni centrali del paese e sulla questione
giustizia, per la quale c'è bisogno di una forte assunzione di responsabilità da parte di
governo e opposizione per operare riforme organiche e rifuggire da interventi
estemporanei e contrapposizioni di ruolo». I legali hanno apprezzato la rassicurazione da
parte di Tenaglia sulla necessità di andare avanti sulla riforma della professione secondo
linee condivise anche dall'avvocatura. E quindi l'apertura alla revisione dell'accesso per
sfoltire i grandi numeri, al riconoscimento delle peculiarità della professione e alle riserve
di competenze, e magari un approccio più cauto alle liberalizzazioni, in tema di tariffe e
pubblicità. Un atteggiamento aperto al dialogo che a Grillo è suonata, se non proprio come
un'autocritica, almeno come «un esame di coscienza» da parte del centro-sinistra
sull'incompletezza e imprecisione di alcune norme delle leggi Bersani. Soprattutto per
quanto riguarda i giovani. «Liberalizzare completamente tariffe e pubblicità va a scapito
degli studi piccoli e dei giovani, magari costretti a lavorare sottocosto, e non sempre in
grado di pagarsi la pubblicità, al contrario delle grandi law firm», commenta infatti Militi.
Che in tema di società professionali avverte il Pd: «piuttosto che pensare alle società di
capitali come strumento di crescita, i giovani vanno aiutati favorendo il loro ingresso nel
mercato professionale, creando un forte collegamento tra università, ordini ed imprese, e
prevedendo agevolazioni per chi voglia specializzarsi o associarsi». Apprezzamento per
Tenaglia anche da parte di Bruno Sazzini, segretario dell'Associazione nazionale forense,
che però sottolinea che «non risulta chiara la prospettiva del governo ombra in materia di
riforma della professione quando si fa esplicito riferimento alla distinzione tra la figura
dell'avvocato “nella causa” e quella dell'avvocato consulente». Riallacciato il dialogo su
questi temi caldi con il Pd, e ottimisti sull'attenzione che il Pdl ha sempre mostrato per le
prerogative dei professionisti, i legali sperano che si arrivi a una riforma condivisa da
portare a casa in tempi brevi. Più articolato il giudizio sul programma giustizia. Tenaglia ha
insistito, tra l'altro, sulla necessità di razionalizzare il processo civile; aumentare la
produttività degli uffici tramite figure di giudice-manager, un premio ai distretti che
impiegano le pratiche migliori e il completamento del processo telematico; riformare la
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magistratura onoraria. Tutte idee sulle quali i legali si trovano in sintonia, e che
riecheggiano grossomodo anche nel programma presentato da Alfano, del quale gli
avvocati apprezzano anche l'accento sullo «smaltimento dei processi penali e civili
riprendendo le riforme dei codici elaborate dalle commissioni istituite all'epoca da
Castelli», o attraverso il potenziamento delle adr. Qualche ombra nella prima uscita
pubblica del nuovo ministro semmai si intravede, come spiega ancora Grillo, in quella che
sembra una «marcia indietro» sulla separazione delle carriere, e nel timore che le risorse
e gli stanziamenti previsti rimangano lettera morta. «In questi giorni si parla di un taglio di
20 milioni di euro alla giustizia per finanziare l'Ici, non vorremmo che la giustizia sia
avvertita come priorità solo dal ministro e non da tutto l'esecutivo», insiste Grillo.
Apprezzamento per le aperture dimostrate da Tenaglia in materia di modernizzazione
della macchina giudiziaria anche dall'Anf, che però sottolinea «con un certo rammarico
l'assenza di un simile momento di confronto durante la scorsa legislatura, quando il Pd era
forza di governo».
L’Intervento
Antonio Giorgino, vicepresidente Oua, Italia Oggi pag.21
Legali, nuova stagione
Con l'istituzione dei nuovi consigli giudiziari e la previsione del loro ruolo nell'assetto di
autogoverno della magistratura, secondo la previsione legislativa di cui al dlgs 25/06 così
come modificato dalla legge 111/2007, gli avvocati sono stati chiamati a farne parte
secondo i criteri di cui all'articolo 8 della suddetta legge. Nella programmazione degli
incontri di studio per l'anno 2008 il Csm ha ritenuto, con delibera adottata all'unanimità il
15/05/2008, di organizzare due incontri di studio nel giugno prossimo a Roma fra tutti i
componenti dei consigli giudiziari per garantire «un'adeguata offerta formativa comune tra
magistrati di nomine elettive, di avvocati e di professori universitari designati». Si tratta di
un importante e storico segnale che apre una stagione nuova nei rapporti tra magistrati e
avvocati, soggetti indispensabili della giurisdizione, che certamente realizzerà quella
sintonia nell'organizzazione e nel migliore funzionamento e controllo dell'andamento degli
uffici giudiziari. È diffusa convinzione, infatti, che il cittadino ha diritto di ottenere quel
servizio o prodotto sociale che è la resa di giustizia, di qualità accettabile: servizio dato in
tempi ragionevoli da un'organizzazione nella quale confluisce l'impegno paritario dei
diversi soggetti della giurisdizione con i propri doveri e le proprie responsabilità. L'iniziativa
encomiabile del Csm va in questa direzione ed ecco perché l'Avvocatura italiana ritiene,
senza retorica, che si sia aperta «una nuova stagione».
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Legali e mercato
Giovanna Stampo, Italia Oggi pag. 20
Mappare le competenze
In ogni organizzazione produttiva lo sviluppo di una strategia vincente richiede di
individuare le variabili più importanti del business e di monitorarle nel loro andamento. Nel
contesto azienda si parla in proposito di Pam - Performance analysis management (i.e.
gestione dell'analisi delle prestazioni) ossia di un metodo di analisi e controllo, in grado di
rappresentare in maniera oggettiva la prestazionalità delle variabili strategiche
dell'organizzazione, attraverso l'esame di dati e delle informazioni, con riferimento anche
agli effetti economici e finanziari correlati al loro sviluppo. Tanto nel contesto manifatturiero
che in quello del terziario gli elementi principali correlati alla «produttività» che è utile
individuare e tenere sotto controllo attengono in particolare a: utilizzo degli impianti e delle
strumentazioni; efficienza dei processi (i.e. rapporto tra attività effettive e attività
pianificate); rendimento delle persone/produttività del lavoro; diseconomie/scarto. Alla
base della realizzazione di un sistema di Pam è quindi, da un lato-, la scelta da parte
dell'organizzazione di quelli che sono gli indicatori di processo, comportamentali, di
performance economio-finanziaria ecc., che consentono di controllare le variabili di cui
sopra, verso il raggiungimento di determinati obiettivi dati; d'altro lato, la scelta di dare
corso a quel processo che attiene al controllo di gestione, mediante il quale il management
sia sempre in condizione di: avere un quadro completo dello stato attuale (status quo);
disporre di dati concreti, precisi, misurabili e tempizzati; individuare gli elementi positivi, a
fronte di criticità attuali (e loro cause) e potenziali; definire «mappe di miglioramento» per
gestire adeguatamente gli elementi negativi/ potenziare gli elementi positivi. Nel contesto
legale il ricorso a metodi e strumenti utili alla realizzazione del Pam sono rari e di scarsa
diffusione; e vi è scarsa consapevolezza del fatto che, di tutte le variabili dette, quella
principale da monitorare è certamente data dalla componente umana, stante che solo
attraverso la misurazione oggettiva di «chi fa (o meglio è capace di fare) cosa e quando»,
che si ha al contempo la misura della «prestazionalità» globale. In ambiente legale vi è
cioè scarsa consapevolezza del fatto che la (misura della) capacità dello Studio (di
rispondere in modo efficiente ed efficacemente alle esigenze e aspettative dei suoi
pubblici) è fortemente condizionata dalla (misura della) capacità delle persone di cui si
compone internamente o cui ricorre esternamente, di realizzare i processi e le attività di
sviluppo del lavoro, e si trascura di considerare che proprio in un contesto in cui la
realizzazione delle prestazioni è fortemente «permeata» dalla componente umana, e più
che mai utile riflettere sull'importanza di misurare le capacità delle persone, analizzando
anche sempre con cognizione di causa i cambiamenti che, nel tempo, si realizzano a
livello di aree/attività, ruoli, responsabilità, comportamenti. Come fare per agire sulla
(misura) della prestazionalità globale, partendo da quella individuale? Il primo passo utile
consistere nel mappare le competenze di Studio. Quello della competenza è infatti un
concetto complesso che attiene alla capacità della persona di compiere una determinata
attività attraverso il possesso e la messa in atto di saperi, capacità, abilità, comportamenti
ed esperienze. A livello strutturale «la competenza» si compone di alcuni elementi di base
(anche noti come le 3 C) che consistono sostanzialmente in: - conoscenze connesse alla
posizione (ossia il sapere = tecniche e metodologie utilizzate nello svolgimento dei
processi lavorativi acquisibili prevalentemente con formazione, periodi di tutoring/
affiancamento, svolgimento pratico-lavorativo, esperienze ecc.); - capacità implicate dalla
posizione ricoperta (il saper fare = capacità di svolgere determinate attività, operazioni o
processi, anche non possedendo la piena conoscenza delle tecniche e delle metodologie
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di lavoro); - comportamenti attesi dalla posizione (il saper essere = comportamenti e
modalità del comportamento, anche espressivi di valori e motivazioni messi in atto nel
corso dell'attività lavorativa). Stilare il bilancio delle competenze di Studio significa cioè
tracciare il profilo delle persone di cui si compone la struttura sotto il profilo delle loro
conoscenze (di discipline o argomenti specifici) delle loro capacità (di eseguire un
determinato compito intellettivo o fisico) e loro attitudini comportamentali (motivazioni,
bisogni o spinte interiori che normalmente inducono un individuo ad agire verso
determinati obiettivi; atteggiamenti, valori, concetto di sé, fiducia in sé). Ossia fruire di dati
e informazioni utili a realizzare interventi mirati, di più ampio respiro, in termini di: migliore
utilizzo delle risorse; risorse umane (più) preparate e motivate; ricerca della soddisfazione
del personale; incentivazione alla produttività.
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Professioni
Formazione
Marzia Paolucci, Italia Oggi pag. 21
Doppio invito a conciliare
Guidare cittadini e utenti nella conoscenza e nell'utilizzo della conciliazione in alternativa al
giudizio e all'arbitrato. Parte proprio in questi giorni il primo seminario informativo per
professionisti del progetto Conciliamo nato a marzo scorso nel distretto della Corte
d'appello di Milano: il fine è quello di informare gli stessi addetti ai lavori e formarli in vista
di quella terza via che non prende né la strada del giudizio né quella dell'arbitrato.
L'iniziativa pilota prevede che prima di promuovere una causa civile, sia data alle parti
ampia informazione sulla possibilità di avviare un tentativo di conciliazione stragiudiziale
ricorrendo ai servizi forniti dagli organismi di conciliazione territoriali. Invito, questo, che
potrà ripetersi dal giudice anche in corso di causa. Dieci e oltre i promotori: l'associazione
per lo sviluppo delle agenzie di conciliazione, la camera arbitrale nazionale e
internazionale di Milano, la camera di conciliazione dei commercialisti, i collegi dei periti e
dei ragionieri e gli ordini di avvocati, consulenti del lavoro e commercialisti milanesi. Ma la
maggior novità riguarda magistrati e avvocati a cui per la prima volta un progetto di questo
tipo assegna un ruolo di assoluta preminenza nella sperimentazione: sia prima sia durante
la causa, è infatti loro il compito di prospettare alle parti la soluzione alternativa offerta
dalla conciliazione stragiudiziale. Per cominciare, il progetto mette a disposizione del
potenziale interessato tutta una serie di strumenti: un opuscolo informativo sulla
conciliazione con caratteristiche, utilità e modalità di attivazione del servizio, la lista degli
Organismi di conciliazione aderenti alla sperimentazione tra i quali scegliere liberamente il
centro cui rivolgersi e un modulo per l'attivazione del servizio. Se il cliente acconsente
l'avvocato, direttamente o tramite uno degli organismi di conciliazione, trasmette con
raccomandata il modulo alla controparte la quale entro 15 giorni dal ricevimento è
chiamata ad aderire o meno all'esperimento del tentativo di conciliazione. Una volta che la
controparte aderisce al tentativo di conciliazione, le parti si rivolgeranno all'organismo
prescelto di comune accordo e potranno così accedere alla conciliazione con o senza
l'assistenza degli avvocati. Se il tentativo di conciliazione ha successo, le parti firmano
l'accordo transattivo raggiunto; viceversa, se dovesse fallire le parti daranno atto di tale
fallimento nel primo atto introduttivo del giudizio. L'intervento del giudice si inquadra
invece nelle novità del codice di procedura civile che non prevede più l'obbligatorietà da
parte del magistrato di tentare una conciliazione giudiziale: la nuova disciplina dà infatti
autonomo rilievo alla comune intenzione delle parti di procedere sia al tentativo di
conciliazione giudiziale sia stragiudiziale. Può quindi prevedersi che ciascun difensore, alla
prima udienza, dichiari a verbale se è intenzione del proprio assistito procedere a un
tentativo di conciliazione giudiziale ovvero di conciliazione stragiudiziale ricorrendo in
questo caso agli organismi di conciliazione aderenti al progetto di sperimentazione.
Analogamente può prevedersi che il giudice istruttore, utilizzando i poteri di direzione del
processo, inserisca nel decreto di differimento della prima udienza previsto dall'art. 168bis, quinto comma del cpc, uno specifico invito ai difensori a rendere tale dichiarazione a
verbale nella prima udienza. A seconda del tenore della dichiarazione delle difese, il
giudice istruttore avrà quindi due possibili scelte: fissare direttamente l'udienza ex art. 185
cpc in base al quale esperire il tentativo di «conciliazione giudiziale» o rinviare la
trattazione della causa ad altra udienza entro un lasso di tempo che consenta alle parti di
esperire il tentativo di «conciliazione stragiudiziale», avvalendosi di uno degli organismi di
conciliazione aderenti alla sperimentazione, liberamente scelto dalle parti medesime. In
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ogni caso è comunque fatta salva per il giudice istruttore la facoltà di disporre la
comparizione personale delle parti al fine di rinnovare il tentativo di conciliazione e magari
invitare le parti comparse a un tentativo di conciliazione stragiudiziale che sarà esercitata
quando il giudice istruttore ritenga che le loro posizioni consiglino la soluzione transattiva
della lite.
Antiriciclaggio
Cristina Bartelli, Italia Oggi pag. 45
Assegni senza bollo
Taglia il traguardo il testo unico sull'antiriciclaggio. E si pensa già alle modifiche per
l'imposta di bollo sugli assegni in forma libera e per l'apposizione del codice fiscale sulle
girate. La commissione testo unico (istituita nella scorsa legislatura e presieduta dall'allora
sottosegretario all'economia Mario Lettieri), attualmente coordinata da Pier Luigi Vigna, ha
ultimato il proprio lavoro di riordino della disciplina in materia di antiriciclaggio. L'apparato
normativo, 76 articoli più quattro allegati tecnici, saranno trasmessi nei prossimi giorni al
ministero dell'economia. Ma l'inchiostro sul corpus normativo non si è ancora asciugato
che già due disposizioni rischiano di subire dei cambiamenti. Si tratta, precisamente,
dell'imposta di bollo da 1,50 euro, che si paga dal 30 aprile per tutti i moduli di assegni
richiesti in forma libera, e dell'apposizione, sempre sugli assegni in forma libera, del codice
fiscale su ogni girata. Secondo quanto ItaliaOggi è in grado di anticipare, infatti, Giulio
Tremonti, ministro del dicastero di via Venti settembre, metterà sotto la lente le due
disposizioni per valutare il loro destino. Nel primo caso la scelta è sull'abrogazione o meno
della disposizione, nel secondo caso invece si tratterebbe di intervenire modificando le
regole. E si tratta di due norme introdotte proprio con l'ultimo provvedimento in ordine di
tempo in materia di contrasto al riciclaggio: il dlgs 231/2007, provvedimento che ha dato
attuazione alla terza direttiva Ue. Le norme sotto esame sono contenute nell'articolo 49
del dlgs e sono entrate in vigore il 30 aprile, fanno parte di una più ampia riforma della
circolazione dei titoli di credito. In particolare le nuove regole hanno mandato in soffitta gli
assegni in forma libera che sono diventati per così dire l'eccezione mentre la regola sono
gli assegni con la dicitura NON TRASFERIBILE. La modalità in forma libera è rimasta ma
sotto alcune condizioni. La prima: possono circolare assegni in forma libera per importi
non oltre i 5000 euro. Sopra questa cifra, infatti, si possono utilizzare soltanto assegni non
trasferibili. La seconda, il cliente che chiede un blocchetto in forma libera deve versare un
imposta di bollo da 1,50 per ogni moduli di assegno, pagando così 15 euro a blocchetto.
La terza, in caso di girata accanto al nome del giratario deve essere apposto il codice
fiscale, al momento dell'incasso sarà cura dell'impiegato fare una verifica sulla
corrispondenza del codice fiscale dell'ultimo giratario. Infine i dati di chi fa richiesta dei
blocchetti in forma libera e di chi li incassa possono essere trasmessi, attualmente su
richiesta dell'Agenzia delle entrate, all'amministrazione finanziaria nella banca dati fiscale.
La disposizione dell'imposta di bollo, fortemente voluta dal vice ministro del precedente
governo, Vincenzo Visco, è una peculiarità dell'ordinamento italiano, non essendo prevista
nella direttiva, e non pochi problemi, anche di presunto eccesso di delega, ha creato nella
fase di preparazione del decreto legislativo. In sede di approvazione della finanziaria 2008
fu presentata in commissione, come emendamento, una norma esattamente identica a
quella del dlgs 231/2007 proprio perché i tecnici del ministero non erano sicuri della
delega, in quell'occasione le commissioni parlamentari bocciarono l'emendamento ma si
ritrovarono la norma in un decreto legislativo senza aver modo di intervenire.
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Giustizia
Donatella Stasio, Il Sole 24 Ore pag. 17
Intercettazioni, si studia la stretta
E’ iniziato il conto alla rovescia del Governo sulla stretta alle intercettazioni. Ieri il ministro
della Giustizia, Angelino Alfano ha dato ufficialmente ai suoi tecnici l’incarico di predisporre
un disegno di legge sulla falsariga di quello presentato, nel 2005, dal governo Berlusconi.
Sui tempi, Alfano non si sbilancia ma assicura che la riforma “non conterrà restrizioni per i
reati più gravi” ma un giro di vite per chi viola la legge perché “vogliamo che finisca il
cattivo costume di vedere registrate e lasciate agli atti telefonate che nulla hanno a che
vedere con le indagini, per poi vederle pubblicate sui giornali”. Forse non ci saranno i 5
anni di galera annunciati da Berlusconi ma le pene saranno comunque severe. Tra le
misure allo studio, c’è anche quella per evitare che i magistrati ricorrano all’”escamotage”
della “iper-rubricazione” dei reati su cui indagano allo scopo di far scattare
l’intercettazione, nonché quella di affidare a un collegio il potere di autorizzare la misura.
Dei dettagli, però Alfano non ha parlato. Nemmeno negli incontri avuti ieri con una
delegazione del Pd, guidata da Lanfranco Tenaglia, poi l’Anm e infine con i penalisti. I
magistrati ricevuti a via Arenula hanno registrato “positivamente” la disponibilità al
confronto con il ministro, che li ha assicurati sul fatto che “non c’è necessità di toccare
l’assetto costituzionale del Csm e nemmeno di separare le carriere”. “Anche il ministro –
osserva il presidente dell’Anm, Luca Palamara – è consapevole che non è tempo di
riforma dei giudici, ma della giustizia. Non gli abbiamo consegnato un pacchetto di
proposte concrete a costo zero riguardanti, tra l’altro, la revisione della geografia
giudiziaria, accorpando i Tribunali più piccoli; la sostituzione delle notifiche cartacee con
quelle via email; una revisione delle imputazioni e la riduzione dei riti nel civile. A breve ci
farà sapere cosa ne pensa”. L’Anm ha invece espresso alcune critiche sui decreti sui rifiuti
e sulla sicurezza, con riferimento alla competenza assegnata a una Superprocura e
all’introduzione del reato di clandestinità. Anche i penalisti hanno consegnato le loro
proposte al ministro, rilevando un clima “positivo”.
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Sicurezza
Giovanni Negri, Il Sole 24 Ore pag. 35
Torna reato il rifiuto de test su alcol e droghe
Torna il reato di rifiuto di sottoporsi ai test sull’assunzione di alcol o stupefacenti. Da
martedì, con l’entrata in vigore del decreto legge che dispone una prima serie di misure
urgenti per la sicurezza, la resistenza all’effettuazione della verifica sulle condizioni di
lucidità può costare cara all’automobilista: scatterà un’ammenda da 1500 a 6mila euro e
l’arresto da 3 mesi a un anno. Dopo un anno, finisce in soffitta la depenalizzazione
introdotta con il decreto Bianchi (Dl 117/07) che però, alla prima prova dei fatti, non
sembrava aver avuto effetti dirompenti almeno sul fronte della guida in condizioni di
ebbrezza. Se la crescita in valore assolto dei rifiuti c’era stata, questa perdeva rilevanza
alla luce dell’aumento sensibile dei controlli (+0,13% di rifiuti a sottoporsi al test). Discorso
diverso invece per quanto riguarda gli stupefacenti. Qui infatti i rifiuti sono più che
raddoppiati. Lo stesso passaggio dall’area penale a quella amministrativa sancito dal
decreto Bianchi non è che avesse reso poi più tenue l’apparato delle sanzioni. Fino a
lunedì, infatti, chi rifiutava il test veniva sottoposto a una sanzione pecuniaria di almeno
2.500 euro, oltre al fermo amministrativo dell’auto e alla sospensione della patente da 6
mesi a 2 anni. Sul fronte dell’organizzazione degli uffici giudiziari non si segnalano ancora
situazioni di emergenza soprattutto per la natura del decreto legge. Le norme penali, di
segno peggiorativo infatti non retroattive. Ed è il caso della trasgressione all’ordine di
espulsione del prefetto per lo straniero che ha ricevuto una condanna superore ai due anni
di carcere (in precedenza erano 10) oppure dell’inasprimento delle pene in caso di
omicidio colposo, approvato soprattutto per colpire più duramente i pirati della strada.
Quelle di procedura come l’incentivo al rito immediato e direttissimo sono comunque
sottoposte alla discrezionalità del Pm che può decidere di proseguire comunque le
indagini senza andare subito al dibattimento.
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Gabriele Ventura, Italia Oggi pag. 18
L'impegno che piace all'impresa
L'istituto degli impegni mette d'accordo Antitrust e imprese. Rappresenta infatti
un'occasione per il Garante di risparmiare sul contenzioso amministrativo e velocizzare le
pratiche, per le aziende di non incorrere in sanzioni, di ridurre parte rilevante dei costi
legali e di diminuire il rischio di azioni risarcitorie. Insomma, l'introduzione della possibilità
di risoluzione dei procedimenti di infrazione per comportamenti anticoncorrenziali
contenuta nel decreto Bersani del luglio 2006, come mostrano i numeri, piace a entrambi:
in quasi due anni le imprese hanno proposto impegni nel 45% dei casi di infrazione, con
una minore propensione nei procedimenti relativi a intese (29%) e una maggiore per i casi
di abusi (60%). Mentre il tasso di accettazione finale degli impegni da parte dell'Antitrust,
una volta pubblicati per le valutazione dei terzi interessati, è, a oggi, pari al 100%,
escludendo i casi in cui il garante è ancora impegnato nel loro esame. È quanto è emerso,
tra l'altro, nel corso dell'ottava edizione del convegno di Treviso «Antitrust fra diritto
nazionale e diritto comunitario», che si è svolto il 22 e 23 maggio scorsi, ospitato dalla
Fondazione Cassamarca e organizzato dalla Unione degli avvocati europei (Uae) e dalla
Associazione italiana della tutela della concorrenza (Lidc). Si tratta di un appuntamento di
incontro biennale degli esperti del diritto antitrust italiani, europei e internazionali. I numeri
sull'utilizzo dell'istituto degli impegni sono stati commentati da Paolo Buccirossi, direttore
del Lear (Laboratorio di economia, antitrust e regolamentazione), che ha evidenziato come
in Italia il ricorso alle decisioni con impegni sia stato molto elevato. Linea confermata
anche dagli interventi di Carla Rabitti Bedogni, componente dell'Autorità e del segretario
generale della stessa, Luigi Fiorentino, che hanno illustrato gli orientamenti del garante
nell'applicazione della nuova disciplina conseguente alla modernizzazione introdotta, a
livello comunitario, dal regolamento Ce n. 1/2003 e recepita, a livello nazionale, dal
decreto Bersani. Rabitti Bedogni ha definito l'istituto come il «punto di congiunzione tra
l'interesse dell'amministrazione a un uso efficiente delle proprie risorse e l'interesse delle
imprese di non essere destinatarie di un provvedimento dell'accertamento dell'infrazione».
Mentre Fiorentino ha rilevato come l'Autorità abbia cercato di «imprimere, fin dall'inizio, un
approccio sostanzialistico e consumer oriented, in conformità a quella che ha ritenuto
essere la ratio del nuovo istituto introdotto dalla riforma Bersani». Qualche voce
dissonante sul punto è pervenuta invece dagli esponenti del mondo professionale,
economisti e avvocati, il cui ruolo verrebbe decisamente ridotto da queste nuove
procedure. Nel corso del convegno sono stati poi affrontati tutti i temi di attualità e
interesse per gli studiosi e gli esperti del settore, riservando una particolare attenzione agli
ultimi sviluppi e orientamenti nell'applicazione delle norme di diritto antitrust nell'era post
modernizzazione e alla crescente importanza del private enforcement, anche alla luce
della recente introduzione nell'ordinamento italiano della class action e della pubblicazione
da parte della Commissione europea del Libro bianco in materia di azioni di risarcimento
del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie. Al convegno hanno partecipato
giuristi di impresa, rappresentanti di aziende di tutti i settori nonché avvocati specialisti
provenienti da vari paesi europei e dagli Stati Uniti.
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Europa
Paolo Bozzacchi, Italia Oggi pag. 19
Società a trasferimento libero
Nuovo via libera europeo all'apertura e all'integrazione comunitaria in materia di diritto
societario. L'avvocato generale della Corte europea di giustizia, Miguel Poiares Maduro,
ha infatti stabilito (conclusioni relative alla causa C-210/06 del 22 maggio scorso) che una
società registrata in uno stato membro può trasferire la sua amministrazione centrale in un
altro paese dell'Ue. L'intervento di Maduro riguarda un caso in cui è coinvolta direttamente
l'Italia, in quanto una società di diritto ungherese, Cartesio (registrata nella città di Baja),
aveva adito la Corte a seguito della negazione di trasferimento dell'amministrazione
centrale in Italia. Cartesio aveva fatto domanda per restare assoggettata alla legge
ungherese, ma il tribunale nazionale ha ritenuto che la società dovesse chiudere in
Ungheria e costituirsi nuovamente in Italia, secondo il diritto italiano. Le conclusioni di
Maduro, invece, hanno sottolineato come al caso specifico debbano essere applicate le
regole del trattato relative alla libertà di stabilimento e ribadito che impedire alla società di
trasferire la sua amministrazione in un altro stato «equivale a restringere il diritto di
stabilimento». Per queste ragioni l'avvocato generale della Corte Ue di giustizia ha
suggerito alla Corte del Lussemburgo di emettere la sentenza e dichiarare che «le
disposizioni ungheresi in questione non sono compatibili con il principio della libertà di
stabilimento». Secondo Maduro, è impossibile allo stato attuale sostenere che gli stati
membri godono di un'assoluta libertà di determinare la «vita e la morte» di società
costituite a norma del loro diritto nazionale, indipendentemente dalle conseguenze per la
libertà di stabilimento. Altrimenti gli stati avrebbero carta bianca per imporre una
«sentenza capitale» su una società costituita a norma della loro legislazione per il fatto
che essa abbia deciso di esercitare la libertà di stabilimento. Specialmente per società di
piccole e medie dimensioni, un trasferimento intracomunitario di sede operativa può
essere una forma semplice ed efficace di avvio di autentiche attività economiche in un
altro stato membro, senza dover far fronte ai costi e agli oneri amministrativi inerenti al
fatto di dover prima sciogliere la società nel suo paese di origine e poi di doverla
ricostituire completamente nello stato membro di destinazione. Il processo di scioglimento
e ricostituzione, infatti, può richiedere lungo tempo durante il quale la società potrebbe
essere impedita del tutto a operare.
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L’Analisi
Sergio Vinciguerra, Italia Oggi pag. 16
Non si spara al ladro che fugge
Un ladro introdottosi di notte in casa altrui è stato ucciso a colpi di pistola dal proprietario,
che svegliato dal rumore se l'è trovato di fronte. Questo triste episodio di cronaca
ripresenta all'opinione pubblica il problema dei requisiti e dei limiti della legittima «difesa
domiciliare». Fu introdotta dalla legge n. 59/2006, aggiungendo due commi nel testo
originario dell'art. 52 c.p., che giustifica «chi ha commesso il fatto, per esservi stato
costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di
un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa». In base al loro
coordinato disposto, la «proporzione» richiesta dal 1° comma è presunta (lett. «sussiste»),
allorché avviene la violazione di domicilio prevista nell'art. 614 c.p., se la persona
legittimamente presente nel domicilio stesso utilizza un'arma legittimamente detenuta o
altro mezzo idoneo per la difesa della propria o altrui incolumità (2° comma, lett. a) ovvero
dei beni propri o altrui (2° comma, lett. b). Questa disposizione vale anche quando il fatto
accade «ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale (3°
comma)». L'intenzione dei riformatori era di stabilire una presunzione assoluta di
proporzione fra aggressione e reazione, con il risultato pratico di espungere il requisito
della proporzione, e ciò aveva provocato critiche da parte dei giuristi che giustamente
ritengono questo requisito rispondente a un ineludibile principio di civiltà. A questa
intenzione non corrispose, però, la tecnica redazionale: consegue che anche nella
legittima difesa domiciliare sono richiesti, fra l'altro: a) il pericolo di offesa ingiusta; b)
l'attualità del pericolo; c) la necessità della difesa; d) l'eccesso colposo dai limiti della
scriminante è punito se il fatto commesso è previsto come delitto colposo. In base a questi
requisiti la Cassazione è pervenuta neutralizzare gli effetti della proporzione presunta, che
«non consente un'indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca
fraudolentemente nella propria dimora, ma presuppone un attacco, nell'ambiente
domestico, alla propria o altrui incolumità, o quanto meno un pericolo di aggressione»
(nella specie trattavasi dell'omicidio di una persona che si era introdotta con l'inganno nel
condominio dell'imputata per ottenere il pagamento di un debito) (sez. I, 21 febbraio 2007).
A maggior ragione, non può essere giustificato chi spara, uccidendolo, al ladro introdottosi
nella sua abitazione, allorquando questi sta fuggendo (nella specie, non portava con sé la
refurtiva) (sez. IV, 4 luglio 2006). In generale, «il pericolo futuro e quello passato non
scriminano, poiché il primo consente alla parte di rivolgersi all'autorità di polizia e a quella
giudiziaria_, mentre il secondo farebbe coincidere la reazione con la vendetta» (sez. I, 8
marzo 2007) e, perciò, «proprio alla luce dell'intervenuta novella legislativa» non è
scriminabile per difetto di attualità del pericolo l'«uso della violenza per contrastare la
pregressa condotta molesta e inurbana della vittima» (sez. I, 9 maggio 2006). Per
avvalersi della necessità della difesa, intesa come insostituibilità della condotta difensiva
con una meno lesiva ma parimenti idonea alla tutela dell'aggredito, occorre che «il
soggetto, tenuto conto di tutte le circostanze del caso singolo in concreto, trovandosi nella
impossibilità di agire altrimenti, non possa evitare l'offesa se non difendendosi arrecando a
sua volta offesa all'aggressore, ponendosi in tal caso l'aggressione come unico modo per
salvare il diritto minacciato» (sez. I, 8 marzo 2007). Non è scriminato chi, potendolo, non si
sia sottratto al pericolo mediante il cosiddetto commodus discessus, com'è avvenuto nel
caso del derubato, che affacciato alla finestra della sua abitazione vede il rapinatore in
fuga voltarsi e temendo che questi voglia sparargli fa fuoco a sua volta uccidendolo,
anziché ritirarsi dalla finestra (sez. IV, 4 luglio 2006). Nonostante la presunzione di
proporzione è stata esclusa la scriminante nel fatto del soggetto che aveva reagito al
lancio di acqua sul viso con l'esplosione di colpi di pistola (sez. I, 9 maggio 2006).
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GIURISPRUDENZA
Cassazione
Stefano Manzelli, Italia Oggi pag. 45
Etilometro, no al difensore d'ufficio
L'utente stradale sottoposto alla prova dell'etilometro deve essere avvertito dalla polizia
della facoltà di farsi assistere da un legale presente sul posto, ma non ha diritto a un
difensore d'ufficio. Lo ha ribadito la Corte di cassazione, sez. IV pen., con la sentenza n.
15301 dell'11 aprile 2008. Un conducente condannato dal tribunale per guida sotto
l'influenza di sostanze alcoliche ha impugnato la pronuncia lamentando di essere stato
sottoposto alla prova dell'alcoltest senza alcun avvertimento circa la facoltà di farsi
assistere da un difensore di fiducia. Il collegio ha rigettato la censura spiegando che
l'accertamento dello stato di ebbrezza costituisce un accertamento urgente sullo stato
delle persone (art. 354 cpp) «al quale il difensore della persona ha facoltà di assistere
senza diritto di essere preventivamente avvisato». In pratica, non è prevista la nomina di
un difensore d'ufficio ma l'indagato va informato che un legale può eventualmente
assistere alle operazioni tecniche.
Corte dei Conti
Antonio G.Paladino, Italia Oggi pag. 49
L'abusivo restituisce lo stipendio
Il soggetto che dolosamente presta attività di servizio nella pubblica amministrazione
senza il prescritto titolo di studio, pone in essere una condotta causativa di danno erariale,
senza che si possa eccepire il fatto che gli emolumenti percepiti abbiano remunerato
prestazioni comunque svolte. Pertanto, nessuna compensazione tra il danno all'erario e lo
svolgimento delle prestazioni è dovuto al sedicente medico che dolosamente svolge
un'attività senza averne titolo. Questi, posto che ha messo a repentaglio la salute di coloro
che vi si rivolgevano, è tenuto a restituire integralmente tutte le retribuzioni percepite dalla
struttura sanitaria pubblica. Lo ha sancito la sezione giurisdizionale della Corte dei conti
per la regione Sicilia, nel testo dell'interessante sentenza n.1443 depositata lo scorso 26
maggio, con la quale ha chiarito i riflessi sul piano patrimoniale delle condotte poste in
essere da soggetti che esercitano «abusivamente» una professione nel pubblico impiego.
I fatti oggetti del giudizio in esame nascono dagli esiti di un'indagine-denuncia operata dal
servizio ispettivo di un'azienda sanitaria locale messinese, al termine della quale si
accertava che un soggetto che da anni operava quale medico in una struttura sanitaria
pubblica, non avesse mai conseguito la laurea in medicina e chirurgia. La magistratura
contabile siciliana non ha avuto dubbi nell'acclarare il dolo commesso dal medico abusivo.
Con la predisposizione del falso titolo di studio, tutti gli incarichi che lo stesso ha svolto
nelle strutture ospedaliere pubbliche sono pertanto viziati, in quanto sono stati ottenuti e
resi senza il preventivo possesso dei titoli di studio e di abilitazione professionale. Per cui,
le retribuzioni percepite per l'espletamento dell'attività devono essere restituite al pubblico
erario. Ma, il collegio va oltre. L'erogazione di compensi a favore di un soggetto che abbia
svolto l'attività senza il possesso del titolo di studio, costituisce danno erariale a carico del
bilancio dell'ente interessato, a nulla valendo la circostanza che gli emolumenti percepiti
abbiano remunerato prestazioni che comunque sono state svolte. In presenza di indebita
percezione di emolumenti non può essere ammessa la compensazione tra danno e
prestazioni svolte.
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FLASH
Italia Oggi pag. 17-45
Lobbisti europei sotto lo stretto controllo della Commissione
Lobbisti europei sotto lo stretto controllo della Commissione Ue. Ieri l'esecutivo Ue ha
varato un codice di condotta per i circa quindicimila lobbisti che ogni giorno gravitano
intorno alle istituzioni comunitarie. L'iniziativa fa parte di un progetto lanciato nel 2006
dalla Commissione Ue con l'intento di far chiarezza nell'intero processo legislativo
europeo. L'esecutivo ha poi deciso, il 21 marzo 2007, di istituire un registro pubblico dei
rappresentanti dei gruppi d'interesse che lavorano a Bruxelles e la creazioni di un codice
di deontologia comune per le lobby. La registrazione, nelle intenzioni dell'esecutivo Ue,
sarà volontaria, ma dovrà rispettare regole precise sulle informazioni da fornire. In cambio
l'esecutivo invierà loro, prioritariamente, documenti di consultazione nei settori di loro
interesse. Per raggiungere questo obiettivo, gli studi di consulenza dovranno dichiarare il
fatturato risultante dalle attività di lobbying e la parte relativa a ciascun cliente. Sette le
regole che tutti i rappresentanti di interessi dovranno rispettare, compresa quella di non
«cercare di ottenere in modo disonesto informazioni o decisioni» e di «non incitare il
personale dell'Ue a infrangere le regole e le norme di comportamento». Il codice va di pari
passo con l'attuazione di un registro dei lobbisti, che sarà lanciato il prossimo 23 giugno.
Qualcosa di simile, in realtà già esisteva. Dal 1992 la Commissione ha adottato una
politica di autoregolamentazione. Il Parlamento europeo, invece, ha introdotto dal 1996 un
registro obbligatorio per tutti i soggetti che chiedono di essere accreditati e ne dà pubblico
accesso attraverso il proprio sito. Il Parlamento Ue ha già accolto in Plenaria, la proposta
del commissario all'Antifrode, Siim Kallas, specificando però che il registro sia obbligatorio,
e non volontario come invece aveva suggerito inizialmente. E ha chiesto inoltre che il
registro sia comune per Parlamento, Consiglio e Commissione. L'obiettivo è di fare in
modo che le nuove regole siano in vigore entro le elezioni europee del giugno 2009.
Csm
Via libera dal Csm alla nomina di Augusta Iannini alla guida dell'ufficio legislativo del
ministero della giustizia. Il plenum ha infatti approvato la delibera con cui si conferma il suo
collocamento fuori ruolo, richiesta che era stata trasmessa la settimana scorsa dal
Guardasigilli Angelino Alfano. Iannini cambierà soltanto incarico in via Arenula, dove è
arrivata sette anni fa, nel giugno del 2001, a capo del dipartimento degli Affari penali; poi,
nel 2004, l'allora ministro della giustizia Roberto Castelli l'aveva scelta per guidare il
dipartimento degli affari di giustizia, incarico poi confermato dai successori Clemente
Mastella e Luigi Scotti.
Il Sole 24 Ore pag. 35
L’Italiano De Rossi alla vicepresidenza ordini dei legali Ue
E’ italiano il nuovo vicepresidente della Federazione degli Ordini europei, l’organizzazione
che riunisce i Consigli locali degli avvocati dei Paesi Ue. Guido De Rossi, ex presidente
degli Ordini degli avvocati di Foggia, ora alla guida degli Ordini forensi pugliesi, è stato
nominato la scorsa settimana a Istanbul. Nel 2010 diventerà automaticamente presidente
dell’organismo europeo che ha sede a Strasburgo.
( a cura di Daniele Memola )
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29 - Ordine degli Avvocati di Trani