Recensioni del libro
Architettura di una chimera
Rivoluzione e complotti in una lettera dell'anarchico
Malatesta reinterpretata alla luce di inediti documenti d'archivio
di
Enrico Tuccinardi e Salvatore Mazzariello
(Universitas Studiorum Mantova, Dic. 2014, pp. 184)
Indice
Recensioni di:
Davide Turcato su “A rivista anarchica”, N. 397, Aprile 2015__________________________ p.2
Luca Frontini (Associazione di Storia Contemporanea) su “Storia delle Marche in età
contemporanea”, N.6, Maggio 2015________________________________________________ p.5
Antonio Senta (Università degli Studi di Trieste) su “Cenerentola”, N.180, Giugno 2015 _____p.8
Giuliana Iurlano (Università del Salento) su “Eunomia”, Anno IV, n.s., N. 1, Luglio 2015___p.10
Roberto Giulianelli (Università Politecnica delle Marche) su “L’indice dei libri del mese”, Anno
XXXII, N. 10, Ottobre 2015______________________________________________________p.12
Roberto Carocci (Università degli Studi “La Sapienza” di Roma) su “Zapruder”, N. 38, SettembreDicembre 2015________________________________________________________________p.14
Giorgio Sacchetti (Università degli Studi di Padova) su “Diacronie”, N. 23, Ottobre 2015____ p.16
Marco
Scavino
(Università
di
Torino)
su
“Historia
Magistra”,
N.
18,
Ottobre
2015________________________________________________________________________p.20
1 A rivista anarchica, N. 397, Aprile 2015
Recensione di Davide Turcato
Errico Malatesta e la Signora
Il 18 maggio 1901 Errico Malatesta scrisse una lettera,
intercettata dalla polizia, in cui accennava a trattative con una
«Signora» disposta a finanziare progetti sovversivi in Italia. La
signora era l'ex-regina di Napoli Maria Sofia di Baviera e la
lettera ha dato la stura a innumerevoli illazioni, a cui in buona
parte è rimasta a tutt'oggi impenetrabile. Il libro di Enrico
Tuccinardi e Salvatore Mazzariello, Architettura di una chimera: Rivoluzione e complotti in
una lettera dell'anarchico Malatesta reinterpretata alla luce di inediti documenti
d'archivio (Universitas Studiorum, Mantova, 2014, pp. 184, € 16,00), poggia su un'idea felice: a
partire da questo singolo documento, seguire tutti i fili che da esso si dipartono per ricostruire,
attraverso una paziente e minuziosissima ricerca, l'universo di persone, contatti e progetti che
ruotano attorno ad esso.
Ne esce l'affascinante affresco di una rete transnazionale e transpartitica che si dipana attorno
all'oceano Atlantico, da Londra a Parigi, Napoli, San Paolo, New York, L'Avana, coinvolgendo
anarchici, socialisti eterodossi, nostalgici borbonici, ex-rivoluzionari ora al servizio degli americani,
i quali nell'arco di decenni si muovono da un continente all'altro, si incontrano, si separano, si
scrivono, si ritrovano, si scambiano informazioni, condividono amicizie, fanno progetti, in un
reticolo di contatti tanto mutevole e inafferrabile quanto fitto e persistente. Altrettanta attenzione è
dedicata all'«altra rete», quella di ministri, poliziotti, questori, ambasciatori, spie, indaffarati a
seguire i primi nelle loro peregrinazioni, a carpire le loro intenzioni, a impedire le loro iniziative.
È questo il tipo di ricerca di cui ha bisogno la storia dell'anarchismo per andare oltre le apparenze.
Come diceva E. P. Thompson riguardo al Luddismo, l'anarchismo è un movimento «opaco»: su di
esso scarseggiano le fonti, perché così volevano i suoi protagonisti. Mettendo in luce la continuità
nel tempo e nello spazio di quel fiume carsico che è l'azione anarchica, questo tipo di ricerca
contribuisce a dissipare il luogo comune di un anarchismo millenarista e irrazionale – fatto di
rivolte effimere e sempre in balia degli eventi – così congeniale agli storici che trovano comodo
2 fermarsi
alle
apparenze
per
trovare
una
facile
conferma
ai
loro
pregiudizi.
Il quadro transnazionale che emerge è tanto più efficace quanto più gli autori lo dipingono senza
enfatizzarlo, come se esso si dipanasse dalla loro ricerca quasi involontariamente, senza che essi lo
cercassero e ne facessero il loro obiettivo.
Ciò che interessa agli autori è piuttosto fare luce «su un appassionante intrigo d'inizio '900»,
identificarne i personaggi chiave e chiarire l'intreccio di eventi. Gli eventi in questione sono
l'attentato di Gaetano Bresci a Umberto I, con l'annessa vexata quaestio del coinvolgimento di
Malatesta, e soprattutto il progetto di evasione di Bresci, che gli autori sostengono, documenti alla
mano, essere stato al centro delle trattative fra Maria Sofia e Malatesta, e che nelle intenzioni di
quest'ultimo doveva essere la scintilla che avrebbe potuto dare inizio a una rivolta anti-monarchica.
L'esistenza di questo progetto, frettolosamente liquidato da gran parte della critica come
pettegolezzo storico, spiegherebbe anche il «suicidio» di Bresci, la più radicale misura che il
governo potesse escogitare per prevenire quel progetto.
Tuccinardi e Mazzariello svolgono un egregio lavoro «investigativo», dando un nome ai vari
protagonisti, scoprendone di insospettati, soppesando tutte le ipotesi e talvolta rivalutandone di
screditate, non lasciando alcun sentiero inesplorato, argomentando con scrupolo e cautela in
sostegno delle tesi avanzate. Essi gettano così nuova luce su una pagina della vita di Malatesta
rimasta finora in ombra.
Consci del valore del loro lavoro, gli autori auspicano che esso possa indurre «ad una rilettura e
forse persino ad una revisione storiografica di primaria importanza» e in tale ottica inquadrano
l'azione di Malatesta nel 1901 all'interno di una più ampia svolta tattica inaugurata
dall'opuscolo Contro la Monarchia, del 1899.
Tuttavia, la parte interpretativa – la quale, va detto, rimane comunque soltanto abbozzata – è quella
più debole del libro. Contro la Monarchia fu sicuramente una svolta fondamentale, ma non nel
senso che gli autori suggeriscono. Nel fare riferimento a quell'opuscolo essi inseriscono l'intesa fra
partiti rivoluzionari in esso propugnata e i contatti con l'ex-regina all'interno di una stessa svolta,
consistente nell'apertura a forze esterne all'anarchismo. In realtà questi due tipi di alleanze
appartengono a filoni, fra di loro indipendenti, che si ritrovano in Malatesta in tutte le epoche. Basti
pensare, rispettivamente, al fronte unico e al tentato accordo con D'Annunzio, durante il biennio
rosso. In estrema sintesi, lo schema interpretativo proposto è questo: fino al 1898 Malatesta inseguì
una chimera, la rivoluzione puramente anarchica; preso atto della realtà, si adattò pragmaticamente
ad architettare complotti con chiunque fosse disponibile. Ritorna insomma lo stereotipo
3 impossibilista della dicotomia fra utopia e realtà. Tuttavia, Contro la Monarchia non fu una svolta
rispetto a un presunto esclusivismo anarchico, che mai appartenne a Malatesta, ma rispetto
all'esperimento di «lavoro lungo e paziente» chiuso brutalmente dalle cannonate del 1898; e la
svolta consistette nella nuova coscienza che l'insurrezione precede, non segue, il progresso
graduale.
Più in generale, credo sia vano aspettarsi di fare scoperte sensazionali sulle idee che guidavano
l'azione degli anarchici. Tutt'al più si sfondano porte aperte. Tanto opaca era la loro azione quanto
trasparenti le loro idee, che la coerenza tra mezzi e fini preservava da qualsiasi machiavellismo. Per
capire quelle idee non c'è da scavare negli archivi, ma da leggere i loro scritti. Da essi si capirà bene
quanto, all'interno della coerenza tra mezzi e fini di Malatesta, ci fosse tanto posto per accordi
perfino con ex-regine, quanto poco ce ne fosse per farsi anche solo nominare candidato-protesta.
Concludo notando alcune bizzarrie del libro. Una è che il disegno in copertina, rielaborazione di
una foto, viene presentato come «probabile autoritratto». Un'altra è che al lettore vengono inflitti
lunghissimi estratti, fino a cinque pagine, in lingue straniere. Le traduzioni sono relegate in
appendice, ma sarebbe stato meglio fare il contrario, magari condensando. Ottimo invece l'apparato
iconografico, ulteriore segno di esemplare accuratezza e completezza.
Il libro non costituisce l'ultima parola sugli eventi. Le tesi svolte, per quanto ben documentate,
rimangono in parte congetture. Tuttavia, il libro alza di molto l'asticella. Gli storici che vorranno
dire qualcosa di nuovo sul tema dovranno lavorare sodo, e ciò è quanto di meglio ci si possa
augurare: anche questo è un modo per riconoscere all'anarchismo la dignità culturale che gli spetta.
4 Storia delle Marche in età contemporanea, N.6, Maggio
2015
Recensione di Luca Frontini
«Legittimista o socialista, in Angelo Insogna rimase sempre
costante l'ostilità feroce verso la casa regnante sabauda e lo Stato
Unitario che da essa era stato fortemente plasmato orientandolo
a politiche sociali che, in fin dei conti, avevano fallito ed
esacerbato gli animi» (p. 95). Scelgo di iniziare con questo passo
del libro di Tuccinardi e Mazzariello - un lavoro storiografico rigoroso e complessivamente solido,
narrativamente ben congegnato, a tratti sorprendente - perché permette di cogliere, in estrema
sintesi, il fil rouge delle vane e complesse "trame" sviluppate nel volume. Questo libro di storia (con
lunghe note a piè di pagina, ciononostante a tratti avvincente come un buon "giallo") tratta, come
dice il sottotitolo, di "rivoluzione e complotti" contro la monarchia costituzionale dei Savoia,
focalizzando la propria attenzione sul periodo, apparentemente tranquillo, successivo ai moti del
1898 e precedente la Settimana rossa del giugno 1914. In particolare, al centro della narrazione
sono il 1900 e il 1901, gli anni in cui viene architettata (ma anche intercettata e "ammansita" da
Giolitti – ministro dell'Interno tra 1901 e 1903 - e dai suoi collaboratori) la chimera del titolo. La
chimera è un animale mitologico composto con parti di animali diversi: ad esempio, una chimera
metà caprone e metà cervo si chiama ircocervo. Il termine, come noto, si usa anche in senso
figurato; il vocabolario online della Treccani propone come sinonimi di ircocervo: assurdità,
chimera, illusione, sogno, utopia. L'uso in senso figurato e metaforico del termine ircocervo divenne
celebre, tra gli intellettuali italiani di metà Novecento, in riferimento a una definizione polemica del
liberalsocialismo di Guido Calogero e di una parte degli azionisti, data da Benedetto Croce (ma più
o meno In quegli anni, giova ricordarlo, il filosofo di origini abruzzesi si era differenziato
polemicamente anche dal liberalismo "liberista" di Einaudi). Questo excursus sulla chimera del
titolo del lavoro di Tuccinardi e Mazzariello potrebbe sembrare estemporaneo o tutt'al più una
semplice curiosità pseudo-erudita, se non fosse che uno dei (tanti) personaggi del libro è proprio
Benedetto Croce, con un ruolo solo apparentemente marginale. Il 3 giugno 1926 su «La Stampa» di
Torino Croce «fu il primo a sostenere
pubblicamente che Errico Malatesta e Maria
5 Sofia [di Baviera, moglie di Francesco II di Borbone, ex sovrano delle Due Sicilie], per il tramite di
Angelo Insogna, avevano architettato un piano di evasione per Gaetano Bresci. [...] La
testimonianza di Croce, malgrado un grossolano errore sulla data [...] che rese Il brano vulnerabile
ad ogni genere di critiche, denota una conoscenza talmente dettagliata di una vicenda sin lì ignota
agli storici, da tradire il sicuro ricorso ad una fonte privilegiata. Data la natura dei particolari riferiti
sembra logico immaginare che dovesse essere stato lo stesso Giolitti a rivelarli a Croce e che il
filosofo abruzzese si fosse sentito libero di raccontarli una volta deceduta la prima "parte in causa"»
(pp. 124-125) ossia l'ex regina di Napoli, morta il 19 gennaio 1925. Inizia a questo punto a essere
chiaro che genere di chimera sia quella cui allude il titolo, e che è oggetto della meticolosa
ricostruzione storiografica dei due ricercatori. Fuor di metafora, si tratta del tentativo di
collaborazione strategica, in funzione anti-sabauda, tra anarchici e altri esponenti politici
dell'Estrema sinistra italiana di inizio Novecento, con l'ex regina di Napoli «e il suo ancora forte
"protettorato economico"» (p. 135), i Rothschild, per il tramite di alcuni personaggi del suo
variegato entourage, primo fra tutti Angelo Insogna. Oltre alle figure storiche più conosciute
(Malatesta, Maria Sofia, Giolitti) nel libro emerge come protagonista proprio quella di Insogna.
Scomparso dalla memoria collettiva ma poco noto anche alla storiografia accademica, quasi egli
stesso una chimera vivente in «una singolare commistione di socialismo e legittimismo filoborbonico, Angelo Insogna resta un personaggio camaleontico, difficile da inquadrare. Il suo modo
di agire, le sue complesse intraprese rendono particolarmente arduo definire il nucleo portante del
suo pensiero e la sua reale interiore natura in qualche modo sospesa tra due opposti: quella di eroico
giustiziere sociale e quella di ambiguo faccendiere attento solo ai propri interessi» (p. 95). Date
queste premesse, non stupisce che storici di professione, legati all'accademia o a movimenti e partiti
politici, abbiano finora sottovalutato - nonostante la gran parte dei documenti d'archivio utilizzati
per questa ricerca fossero già noti, come rilevano i due autori - la figura di Insogna e le vicende di
cui fu protagonista, lasciando a divulgatori attenti, ma metodologicamente limitati, come Arrigo
Petacco, l'onere di indagare questioni ideologicamente controverse ma estremamente interessanti
per una adeguata comprensione storica, come quella rivelata da Croce nel 1926. Tra l'altro, il lavoro
di Tuccinardi e Mazzariello espande la visuale del filosofo (e ministro della Pubblica istruzione
nell'ultimo governo Giolitti) documentando irrefutabilmente che il tentativo di evasione del regicida
Bresci era solo una parte di un vasto disegno insurrezionale architettato da questa strana alleanza tra
opposti estremismi di inizio Novecento. Ho già accennato in apertura che il libro,oltre che
metodologicamente rigoroso, è anche di piacevole lettura e ben congegnato come un romanzo
6 giallo: perciò eviterò di svelare ai potenziali lettori altri particolari e soprattutto il nome
dell'assassino (che non è solo Bresci...). Mi sia consentita una piccola nota interpretativa: nella
citazione riportata in apertura di recensione gli autori sostengono che la casa regnante sabauda abbia
orientato lo Stato unitario verso politiche sociali rivelatesi a fine Ottocento fallimentari. Secondo
me non si può parlare di fallimento, ma di deliberata e consapevole scelta di campo, già dal 1848, a
favore di una determinata parte sociale, nel conflitto distributivo determinato dall'impellente
rivoluzione industriale: la scelta di favorire la rendita finanziaria a scapito del lavoro. Infatti, lo
Statuto albertino, all'articolo 31, stabiliva che: «Il debito pubblico è garantito. Ogni impegno dello
Stato verso i suoi creditori è inviolabile», Invece, nella Costituzione della Repubblica democratica
fondata sul lavoro, dal] 948 al 2012, nessuna norma contemplava la nozione di debito pubblico (e di
pareggio di bilancio, locuzione, quest'ultima, addirittura assente anche nel liberista Statuto
albertino). Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.
7 Cenerentola, N.180, Giugno 2015
Recensione di Antonio Senta
Architettura di una chimera. Anzi, due
La casa editrice Universitas studiorum, con sede a Mantova, ha
dato alla stampe un lavoro di Enrico Tuccinardi e Salvatore
Mazzariello dal titolo vagamente criptico: "Architettura di una
chimera" (2014, 184 pp.). Il sottotitolo aiuta a comprendere
meglio di che si tratta: "Rivoluzione e complotti in una lettera
dell'anarchico Malatesta reinterpretata alla luce di inediti documenti di archivio". Oggetto del testo
è infatti una lettera del 18 maggio 1901, intercettata dalla polizia, di Errico Malatesta al suo
compagno di idee Felice Vezzani, in cui il rivoluzionario campano dà seguito a quanto già espresso
nell’opuscolo "Contro la Monarchia (Appello a tutti gli di progresso)" del 1899 (Cfr. Errico
Malatesta, "Verso l'anarchia". Malatesta in America 1899-1900, a cura di Davide Turcato, ZiC La
Fiaccola, 2012, pp. 12-17): la convinzione che abbattere la monarchia sabauda sia una necessità
prioritaria e che sia necessario pianificare ad hoc un'alleanza tra forze diverse.
Ma facciamo un passo indietro: il 29 luglio 1900, a Monza, Gaetano Bresci compie l"'atto di
giustizia" contro Umberto I, con tutta probabilità seguendo tanto la propria volontà, quanto un piano
concordato da diversi esponenti del movimento anarchico. Arrestato, è rinchiuso nell'isola di Santo
Stefano.
Ora, quasi un anno dopo, come si desume dalla lettera, Malatesta e compagni convergono su due
piani operativi con un alleato del tutto particolare: i Borboni e in particolare Maria Sofia di Baviera,
ex regina di Napoli che proprio dai Savoia era stata detronizzata. Da una parte un progetto di
evasione di Bresci (azione che dal punto di vista degli anarchici avrebbe dimostrato la debolezza
dello Stato e la possibilità di sconfiggerlo) e dall'altra il tentativo di innescare una rivolta di popolo
in grado di abbattere la monarchia sabauda. Entrambi i progetti falliscono.
Diversi sono gli elementi che si traggono dalla lettura. Tra questi ne sottolineo alcuni: la dimensione
intrinsecamente transnazionale e nomadica, in continuo movimento, del movimento anarchico di
lingua italiana; la reale portata della salda ed efficiente struttura di intelligence messa in piedi dalla
polizia, con cui devono fare i conti tutti i rivoluzionari attivi tra fine Ottocento e inizio Novecento,
8 Malatesta compreso; la "flessibilità" della strategia di quest'ultimo, pronto a "scendere a patti col
diavolo", ovvero a usare per nobili fini di emancipazione sociale quei mezzi finanziari e logistici
che Maria Sofia poteva mettergli a disposizione. Lo scrive egli stesso: "lo non troverei niente da
ridire con chi, per far evadere un detenuto, si servisse magari dei carabinieri" (in Il Risveglio del 31
luglio 1926, cit. a p.125). Frase rivelatrice di un atteggiamento che dimostra come l'assoluta
coerenza tra mezzi e fini – principio anarchico che se reso assoluto rischia di trasformarsi in dogma
e di portare alla paralisi – sia, di fatto, anch'essa una chimera.
9 Eunomia, Anno IV, n.s., n. 1, Luglio 2015
Recensione di Giuliana Iurlano
L’ottimo lavoro di Enrico Tuccinardi e di Salvatore Mazzariello
contribuisce a far luce sugli intricati – e, sicuramente, molto
discussi – rapporti tra mondo anarchico di fine Ottocento e corte
borbonica in esilio a Parigi, dopo l’unificazione italiana ad
opera dei Savoia e la fine del Regno delle Due Sicilie.
Protagonista principale di questa sorta di “conspiracy story” è
l’anarchico italiano Errico Malatesta, che, da Londra, il 18
maggio 1901, invia una missiva, ben presto intercettata
dall’intelligence del governo italiano, ad un misterioso interlocutore, identificato dagli A. con il
pittore anarchico emiliano Felice Vezzani. La ricerca di Tuccinardi e di Mazzariello ruota attorno
all’interpretazione e alla contestualizzazione di questa importante missiva, che, effettivamente, apre
a un’originale revisione storiografica; in sostanza, quello che fu per molti studiosi e per lungo
tempo un “gesto isolato” – si parla dell’assassinio del re Umberto a Monza il 19 luglio del 1900, per
mano dell’anarchico Gaetano Bresci – si collocherebbe, invece, in un contesto ben più ampio e
complesso, maturato all’interno del milieu francese, in cui gravitavano molti anarchici italiani in
esilio e in cui spesso alcuni interessi, anche apparentemente lontani e contrastanti, finivano per
coincidere. Scrivono i due studiosi: «Scaturisce allora in maniera naturale dalla disamina una
finalità a ben più ampio raggio: il riesame critico di un’ipotesi storiografica fino ad oggi “debole”
riguardante la possibilità che il regicidio di Monza, ad opera di Gaetano Bresci, non solo non fu un
atto isolato frutto dell’intima volontà personale di un giovane anarchico esasperatamente idealista,
bensì un evento complesso da inquadrare, se non spiegare, in un più ampio sistema di “interessi
convergenti”» (p. 6). In questo sistema di “interessi convergenti” si colloca anche il caso, finora mai
contemplato come fondato dalla storiografia ufficiale, del coinvolgimento, nel regicidio, dell’ex
regina Maria Sofia di Baviera, moglie di Francesco II di Borbone, re delle Due Sicilie, e sorella
della più famosa Sissy. L’“arcigna aquiletta bavara” (come la definì Gabriele D’Annunzio) o la
“regina degli anarchici”, tanto per dirla con Marcel Proust, ebbe una storia personale e politica
molto controversa, che la portò ad avvicinarsi a elementi radicali e anarchici, nella speranza che un
evento cruciale e significativo potesse produrre un moto rivoluzionario in grado di sollevare la
10 società italiana, riportando i Borboni sul trono. Insomma, già a parere di Giolitti, all’epoca ministro
dell’interno, «il governo [aveva] le prove del modo come fu ordinato il complotto che portò al
regicidio di Monza. La regina Maria Sofia ne fu l’ispiratrice e la mandante e procurò i mezzi
finanziari per attuarlo» (p. 145). L’idea della “scintilla” – di matrice pisacaniana – non era stata del
tutto messa da parte nel variegato ambiente anarchico internazionale, così come la “propaganda
attraverso i fatti” che, proprio dopo i moti di Milano del 1898, sembrò più attuale che mai.
Malatesta si era illuso, in quell’occasione, che le cose in Italia potessero cambiare, tanto da
pianificare, durante il suo soggiorno di otto mesi negli Stati Uniti, un’insurrezione contro la
monarchia sabauda, da lui considerata come il primo e fondamentale passo verso l’anarchia.
L’anarchico italiano si era convinto, infatti, della necessità che il movimento cambiasse strategia
operativa e utilizzasse, eventualmente, interessi convergenti pur di raggiungere l’obiettivo
principale. L’importante saggio di Tuccinardi e Mazzariello apre anche un’altra strada nuova,
anch’essa tralasciata dalla storiografia ufficiale, sulla prima guerra mondiale, che – per ciò che
riguarda l’ingresso dell’Italia nel conflitto – vide emergere l’importante ruolo giocato dal
controspionaggio italiano, che avanzò l’ipotesi, purtroppo ancora non provata, di un sabotaggio
austro-ungarico alla corazzata Benedetto Brin, ancorata al porto di Brindisi, il 27 settembre 1915,
esplosione tremenda che comportò la morte di ben 456 membri dell’equipaggio. Anche in quel
caso, si mormorò del ruolo avuto nella drammatica vicenda dall’ex regina Maria Sofia, apertamente
e attivamente schierata con l’impero tedesco e con quello austroungarico.
11 L’indice dei libri del mese, Anno XXXII, n. 10,
Ottobre 2015
Recensione di Roberto Giulianelli
Architettura di una chimera. Anzi, due
Tre sono gli interrogativi intorno a cui ruota questo libro.
Il primo: quale ruolo rivestì Malatesta nel regicidio di Monza?
Il secondo: è vero che egli ideò e tentò di mettere in atto
l’evasione di Bresci dal carcere di Santo Stefano?
Il terzo: all’alba del XX secolo l’anarchico campano architettò
con l’ex regina di Napoli un moto popolare capace di cogliere i
risultati falliti da quello del 1898?
Nulla di nuovo sotto il sole, si dirà, considerando che si tratta di questioni affrontate dalla
storiografia, alla quale non è certo sfuggita la lettera inviata da Malatesta a un anonimo
corrispondente il 18 maggio 1901, lettera che costituisce il punto di avvio e, al contempo, la chiave
di volta dell’indagine qui compiuta.
E invece qualcosa di nuovo c’è, a cominciare dalla scoperta di alcuni rapporti della polizia francese,
che servono, per un verso, a consolidare elementi di conoscenza appresi per mezzo dello spoglio
degli archivi italiani e, per un altro, ad aggiungere particolari di rilievo e informazioni sostanziose.
Di nuovo c’è poi la rilettura offerta, anche sulla scorta di queste acquisizioni, delle carte già note.
Ne derivano ipotesi stimolanti, che i due autori propongono con passione, rigore metodologico e
apprezzabile capacità di sintesi. Ad affiorare è un intreccio composto da anarchici dal solido
pedigree (Malatesta, certamente, ma anche Felice Vezzani e Charles Malato); loro occasionali
compagni di viaggio (Angelo Insogna e Oreste Ferrara); esponenti di altri partiti, forse disponibili a
stringere accordi di scopo (Oddino Morgari, per esempio); spie preziose non solo per il ministero
dell’Interno, ma pure per gli studiosi che, grazie alle loro delazioni, hanno poi potuto ricostruire un
mondo sommerso (su tutti, Ennio Belelli ed Enrico Insabato, nomi in codice Dante e Virgilio); una
ex regnante, Sofia, in cerca di vendetta su quanti, i Savoia, l’avevano detronizzata. Sullo sfondo,
convitati per nulla di pietra, si stagliano Giuseppe Zanardelli, Giovanni Giolitti, Francesco Leonardi
12 e Giuseppe Tornielli, ovvero lo stato nelle sue massime declinazioni governativa, poliziesca e
diplomatica.
Dalla spremitura delle fonti d’archivio e della pubblicistica del tempo si ricava un succo dal sapore
robusto che, al netto di sfumature troppo osées, convince.
Dunque l’uccisione di Umberto I fu l’esito di un progetto articolato, del quale Malatesta era a
conoscenza e che approvò: è possibile che tale progetto sia stato sostenuto finanziariamente dalla
regina Sofia. Inoltre, la lettera del maggio 1901 era indirizzata a Vezzani e conteneva riferimenti in
merito sia a un prossimo moto popolare, sia all’evasione del regicida. Di questo secondo disegno
Malatesta si fece parte attiva ed è probabile che fu proprio il suo diretto coinvolgimento, di cui
Giolitti era a conoscenza, a provocare o ad accelerare il “suicidio” di Bresci.
Infine, il connubio fra l’anarchico più celebre d’Italia e l’ex testa coronata si consumò davvero nella
primavera del 1901, quando il primo andò a colloquio dalla seconda al fine di ottenere gli aiuti
finanziari indispensabili per attribuire all’attesa rivoluzione sociale speranze di successo.
13 Zapruder, n. 38, Settembre - Dicembre 2015
Recensione di Roberto Carocci
Prendendo le mosse da una lettera inviata da Errico Malatesta il
18 maggio del 1901 dal suo esilio londinese, il volume di Enrico
Tuccinardi e Salvatore Mazzariello, attraverso lo studio delle
carte custodite negli archivi italiani e francesi, ricostruisce una
fitta trama di relazioni volte a destabilizzare l’ordine
liberalmonarchico nell’Italia di inizio Novecento. Legami
insospettabili, che vedevano una coincidenza di interessi tra gli
elementi più in vista dell’anarchismo italiano, come Malatesta, ed esponenti di tutt’altra natura,
quali Maria Sofia, già regina del regno delle Due Sicilie, interessata ad una sorta di vendetta nei
confronti dei Savoia.
È un mondo di cospiratori, di spie, di vendette poliziesche, di intrighi ricostruiti con cura, tanto da
sfatare alcune interpretazioni storiografiche e proporre una lettura diversa di vicende solo in parte
già note. Intorno al regicidio di Umberto I, per opera di Gaetano Bresci, emerge con maggiore
chiarezza il coinvolgimento di Malatesta, come nella progettata evasione dell’attentatore che, in
qualche modo, avrebbe potuto motivare un’accelerazione rivoluzionaria in Italia.
Il clima sociale dell’Italia dell’epoca era d’altronde contrassegnato da una crescente ondata di
agitazioni operaie e contadine, con proteste popolari che sarebbero aumentate negli anni
immediatamente successivi. Ma era anche una fase segnata dalla radicale ridefinizione degli
atteggiamenti assunti fino a quel momento dal ceto politico nazionale, che abbandonava la dura
repressione crispina di fine Ottocento e inaugurava un nuovo corso democratico, voluto dai governi
Zanardelli-Giolitti, al fine di integrare il nascente movimento operaio nelle istituzioni liberali, così
da fornire una più solida base sociale all’ancora fragile stato unitario.
Un periodo di transizione, dunque, in cui permanevano fattori repressivi o apertamente reazionari,
con gli eccidi proletari nelle campagne o l’utilizzo dell’omicidio politico quale strumento regolatore
delle relazioni tra lo stato e il movimento sovversivo, come – evidenziano gli autori – nel caso della
non troppo oscura morte di Bresci in carcere.
Architettura di una chimera ha inoltre il merito di svolgersi intorno a un criterio metodologico
innovativo – avviato da Davide Turcato (Italian Anarchism as a transnational movement, 1885 14 1915, International Review of Social History, n. 52, 2007, pp.407-444; ora anche in Zapruder
World, vol. I, 2014) – che concerne la comprensione dell’anarchismo italiano e delle sue
connessioni quale fenomeno differenziato, espressione di un’affermazione reticolare e
transnazionale. Forse segnato da n’eccessiva enfasi stilistica, Architettura di una chimera è un testo
avvincente e dal solido impianto documentario che, evitando di fornire una lettura evenemenziale e
cronachistica, ci proietta in un’epoca di grandi transizioni e di oscure trame, restituendo la
complessità di vicende in larga parte dimenticate.
15 Diacronie, n. 23, Ottobre 2015
Recensione di Giorgio Sacchetti
Rivoluzione, complotti e intrighi internazionali agli albori del
Novecento. La trama, perfetta, potrebbe essere quella di un
romanzo storico scrupolosamente ambientato. “L’ex reine de
Naples et les anarchistes italiens”, l’intitolazione esplicita di un
rapporto di polizia depositato presso gli Archivi nazionali di
Parigi1,
già
lascia
immaginare
indicibili
convergenze
antisabaude.
Per inquadrare l’epoca dei fatti e il contesto europeo (e perfino
extraeuropeo) in cui si dipana il racconto avvincente e
suggestivo di questo libro occorre premettere che, a partire
dalla fine del secolo XIX, si era consolidata nell’opinione pubblica borghese e benpensante una
pervasiva percezione di un pericolo sovversivo incombente sul piano sociale. In Italia, già dal 1894,
si erano varate eccezionali misure repressive, con lo stato d’assedio in Lunigiana e con gli strumenti
speciali forniti dalla legislazione crispina. L’obiettivo, poi condiviso in ambito continentale da tutte
le autorità di polizia, era quello di difendersi dall’anarchismo, vera “minaccia planetaria”; e
difendersi soprattutto dalle classi subalterne in rivolta che, giuridicamente, venivano equiparate a
tutti gli effetti a nemico esterno. Tutto questo fino alle famose cannonate di Bava Beccaris e oltre.
Dunque nella belle époque la paura delle classi dirigenti nei confronti dell’Anarchia, ritenuta
minacciosa e criminale, ideologia disumana da combattere e demonizzare, può essere paragonata –
per intensità se non per durata – solo a quella nei confronti del Comunismo che attraverserà quasi
tutto il Novecento2.
Tutto prende le mosse dal 18 maggio 1901, quando “il più celebre e temuto degli anarchici italiani,
Errico Malatesta, all’epoca esiliato a Londra, inviò a un destinatario ignoto una misteriosa lettera,
densa di contenuti che alludevano a complotti e macchinazioni rivoluzionarie in Italia. La lettera fu
intercettata dai servizi segreti…”3.
A capo del governo c’era Giolitti ed erano trascorsi appena dieci mesi dal regicidio di Monza. La
missiva contiene riferimenti a personaggi e situazioni inquietanti dal punto di vista dell’incerto
1
Cfr. TUCCINARDI, Enrico - MAZZARIELLO, Salvatore, Architettura di una chimera. Rivoluzione e complotti in
una lettera dell’anarchico Malatesta reinterpretata alla luce di inediti documenti d’archivio, Mantova, Universitas
Studiorum, 2014, pp. 149-150.
2
Cfr. SACCHETTI, Giorgio (a cura di), “Nel fosco fin del secolo morente”. L’anarchismo italiano nella crisi di fine
secolo, Milano, Biblion, 2013, pp. 9-16, Introduzione.
3
TUCCINARDI, Enrico - MAZZARIELLO, Salvatore, op. cit., quarta di copertina. Il documento era stato pubblicato
per la prima volta in GESTRI, Lorenzo, Dieci lettere inedite di Cipriani, Malatesta e Merlino, “Movimento operaio e
socialista”, a. XVII, n. 4, ottobre-dicembre 1971.
16 establishment del giovane stato unitario. Fra l’altro vi si accenna ad approcci in corso con una certa
“Signora”, finalizzati pare a supportare un progetto politico di sovvertimento sul quale sarebbero
state evidentemente interessate a convergere forze di opposta matrice ma animate da un comune
sentire antisabaudo. L’interlocutrice altri non è che Maria Sofia di Baviera (sorella dell’altrettanto
famosa Sissi), l’ultima regina delle Due Sicilie deposta quarant’anni prima e paladina indomita
della causa borbonica. Donna che, nella reputazione che si era fatta nei vari ambienti europei,
risultava “dispuesta a ayudar con dinero cualquier revoluciòn en Italia”4.
È un elemento questo che, nella pubblicistica come nella storiografia, non era mai stata valutato
così in profondità – con l’eccezione forse di Giampietro Berti5 – ma tutt’al più era stato fatto
oggetto di supposizioni.
Di certo questo lavoro, molto accurato e frutto di un originale metodo di ricerca, “a reticolo”, che
gira tutto intorno al contenuto di quella lettera, non risolve definitivamente l’enigma. Tuttavia,
nella descrizione minuta della partita in corso tra ministro dell’interno e quella che si individua
come “ibrida alleanza”, esso ci disegna un “quadro transnazionale”6 ampio, tra Europa e America,
di notevole caratura. È una bella raffigurazione dell’universo militante anarchico e socialista
dell’epoca, nella quale poi si intersecano individui e personalità ufficialmente appartenenti ad un
altro mondo: come spie, poliziotti, ambasciatori e, appunto, nostalgici borbonici. Lo studio si
struttura in una prima disamina del testo del documento a cui seguono capitoli dedicati
rispettivamente: alla rete degli informatori del ministero dell’interno dislocati nella capitale
francese; alla identificazione ragionata del destinatario (con tutta probabilità Felice Vezzani); ai
passaggi di mano di quella preziosa carta, al suo avventuroso recapito al ministero dell’interno a
Roma e infine alla consegna al legittimo proprietario a Parigi; ai personaggi coinvolti come “Oreste,
l’anarchico elegante”, o come l’equivoco Angelo Insogna uomo di fiducia di Maria Sofia; ai possibili
nessi infine tra la regina e l’anarchico campano riguardo le eventuali responsabilità di mandanti
dell’uccisione di re Umberto.
Ecco il passaggio saliente della lunga missiva di Malatesta.
“…In quanto alla buona o cattiva fede della Signora, è possibile, anzi è probabile, che Oreste abbia
ragione. Ma ciò, in fondo, non importa nulla. Quando verrà la rivoluzione in Italia vi saranno
certamente, specie nel Mezzogiorno, dei tentativi reazionari, ma essi non saranno più importanti e
non avranno maggiore probabilità di riuscita per il fatto che quella Signora è stata in relazione con
noi e ci ha fornito dei mezzi. Ciò sarebbe il caso se noi ci facessimo imporre da lei o da chi per lei
una qualsiasi direzione. A noi stare in guardia…”7.
4
Cfr. TUCCINARDI, Enrico - MAZZARIELLO, Salvatore, op. cit., p. 120.
Cfr. BERTI, Giampietro, Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano e internazionale 1872-1932, Milano,
Franco Angeli, 2003, pp. 317-323.
6
Cfr. TURCATO, Davide, Errico Malatesta e la Signora, “A rivista anarchica”, n. 397, aprile 2015, pp. 74-75.
7
TUCCINARDI, Enrico - MAZZARIELLO, Salvatore, op. cit., p. 10.
5
17 Nell’intrigo che sarebbe stato ordito dal rivoluzionario campano insieme all’ex-regina è compreso
anche l’attentato di Bresci a Umberto I e il tentativo di liberare il regicida dalla prigione.
A quest’ultimo proposito gli autori ipotizzano:
“L’evasione di Bresci, con il suo enorme effetto destabilizzante, doveva in effetti rappresentare, agli
occhi di Malatesta, il ‘colpo di mano’ ideale per certificare in maniera netta l’impotenza dello Stato
e diffondere la percezione che sconfiggerlo fosse possibile. Un atto di questo genere, se
sapientemente combinato al malcontento popolare, avrebbe potuto innescare la tanta agognata
rivolta”8.
Anche qui si aggiungono nuovi, interessanti, elementi di conoscenza e non verità definitive. E si
sottolinea quella che pare una curiosa coincidenza. Dalla data in cui è stata compilata la lettera
seguiranno appena quattro giorni prima del dubbio “suicidio” in prigione dell’anarchico pratese.
Anche su regicidio di Monza, su cui peraltro si sono già evidenziati nuovi filoni interpretativi
propensi all’ipotesi di una responsabilità in qualche modo collettiva del gesto, gli autori svolgono il
medesimo ragionamento9.
Emergono poi dalle pagine del libro tratti poco conosciuti della personalità di Malatesta che però, a
parere del recensore, non scalfiscono la coerenza del suo progetto rivoluzionario. Nella svolta di
fine secolo, gli anarchici si proiettano nell’insurrezionalismo di piazza che è considerato fatto
propedeutico ad un possibile graduale cambiamento dell’assetto politico e sociale esistente. Certo
resta il forte impegno antidinastico, battaglia malatestiana di lunga durata, su cui peraltro si
incentra tutto il ragionamento degli autori. Ciò mentre si rafforza, con il periodo giolittiano, la
tattica delle alleanze con gli altri partiti dell’estrema sinistra, disegno strategico che subirà una
battuta d’arresto con la sconfitta della Settimana rossa. Di altra natura invece dovrebbero essere
considerati gli approcci documentati con l’anziana ex-regina, assimilabili piuttosto come tipologia
al tentato accordo con D’Annunzio perseguito nel 1920 all’epoca dell’impresa fiumana.
L’opera di Tuccinardi e Mazzariello, investigazione nel senso autentico del termine, apre dunque a
nuove possibili interpretazioni, se non sul periodo, almeno su fatti fino ad oggi soppesati dalla
storiografia solo marginalmente. È il risultato di un grande scavo negli archivi italiani e francesi e
di una rigorosa ricostruzione logica; ci sono anche nuove interessanti informazioni anche se, forse,
non sempre si approfondiscono le motivazioni politiche che muovono i vari protagonisti. Non
siamo alla “revisione storiografica” auspicata dagli autori, ma di certo ad un nuovo punto di
partenza, scientificamente solido, per ulteriori nuove ricerche. Il volume contiene anche belle
fotografie ed una ricca appendice documentaria che si apre, significativamente, con il testo di un
8
Ivi, p. 121.
“Il regicidio di Umberto I, dunque, rappresentava quel genere di atto in grado di congiungere due mondi distanti mille
miglia, contatto effimero nelle cause ma crudelmente concreto nelle conseguenze” (Ivi, p. 154). Interpretazioni del
regicidio come gesto non isolato si riscontrano in BERTI, Giampietro, op. cit., pp. 311-317; e in GREMMO, Roberto,
Gli anarchici che uccisero Umberto I, Biella, Storia Ribelle, 2000.
9
18 opuscolo pubblicato da Malatesta nel 1899: Contro la Monarchia (appello a tutti gli uomini di
progresso).
19 Historia Magistra, n. 18, Ottobre 2015
Recensione di Marco Scavino
Agli aa. (dei quali purtroppo non sono segnalati i dati
biografico-professionali) va riconosciuto il merito di aver svolto
un grande lavoro di ricerca, in particolare negli archivi di
polizia e di aver ricostruito in maniera minuziosa alcuni aspetti
della storia dell’anarchismo italiano tra Otto e Novecento, tra
cui i rapporti con l’ex sovrana del Regno di Napoli, Maria Sofia,
e la complessa opera di sorveglianza e spionaggio da parte del
governo italiano; è indubbio che ci si trovi di fronte a un
esempio encomiabile di scavo archivistico.
Le tesi proposte, tuttavia, suscitano più di una perplessità. Il punto di partenza è la lettera evocata
nel titolo, che Errico Malatesta scrisse da Londra il 18 maggio 1901 a un compagno rimasto sinora
ignoto (individuato nel pittore Felice Vezzani, residente all’epoca a Parigi) e giunta a conoscenza
delle autorità italiane grazie ad alcune spie. Una lettera piena di riferimenti a progetti cospirativi e
a reti di relazione con l’Italia: tutti elementi un po’ criptici, ma a partire dai quali gli aa. hanno
costruito – con il conforto di altri documenti, altrettanto allusivi – una tesi suggestiva: che
Malatesta intendesse organizzare l’evasione di Gaetano Bresci dal carcere di Santo Stefano, che a
questo scopo si fosse rivolto a Maria Sofia (per ottenere i fondi necessari all’impresa e per avere
l’appoggio di qualche agente in Italia), che nel piano fossero coinvolti alcuni esponenti del partito
socialista (Oddino Morgari e Dino Rondani) e infine che proprio l’allarme creato da tutto ciò nel
governo italiano avesse spinto il ministro Giolitti a far assassinare Bresci nel mese di giugno.
La tesi, va da sé, è alquanto impegnativa e non c’è modo qui di discuterla in maniera approfondita.
Va rilevato, però, che la concatenazione dei ragionamenti, in base ai quali gli aa. la ritengono
plausibile, non risulta molto convincente, per la disinvoltura con la quale ogni piccolo indizio è
trasformato in una prova, ogni opinione in un fatto. Trascurando, invece, il contesto storicopolitico di quegli avvenimenti, a partire dalle caratteristiche del movimento anarchico dell’epoca,
dalle divisioni che lo caratterizzavano, dalla specificità delle posizioni di Malatesta. Non è un caso,
che si dedichi pochissimo spazio alle polemiche malatestiane contro la “politica dell’atto” e con gli
ambienti nordamericani legati a Giuseppe Ciancabilla, cioè con gli ideatori dell’attentato di Bresci.
Davvero si può credere che Malatesta, nel 1901, puntasse a un colpo di mano in grado di scatenare
20 un’insurrezione popolare, con il sostegno di una parte del movimento socialista?!
E quali documenti lo dimostrerebbero veramente?
Il libro, insomma, è senza dubbio interessante e meritevole di discussione; non si può affatto
escludere, ad esempio, l’ipotesi che la morte di Bresci sia stata un “delitto di Stato” e che abbia
avuto origine da quanto qui suggerito. Ma il quadro complessivo che l’opera fornisce risulta troppo
forzato, o quanto meno carente di un’adeguata contestualizzazione. Innamorarsi dei documenti e
pretendere a ogni costo di trovarvi la conferma delle proprie ipotesi è un rischio sempre presente
nel lavoro degli storici, ma al quale bisogna pur sapere resistere.
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