— 945 La Guerra Europea al lume del Materialismo Storico1(1). C O N T R i b UTO alla psicologia della guerra mondiale del 1914. La luttuosa guerra, ' venuta come un temporale nella notte, mentre che, stanchi della fatica del giorno, tutti ci eravamo immersi nel meri tato sonno, imperversa da cinque parti del mondo con inaudita vee menza e con una mancanza di rispetto per le vite umane e di riguardo per le eterne opere d’arte tali da mettere in forse gli stessi capisaldi di una più che millenaria civiltà... Una tale guerra che ha trascinato tanti popoli, svariatissimi di razza, di coltura, d’interessi economici e politici, nel suo vortice, non può essere stata determinata da una causa unica, sia pure vasta e potente. A noialtri economisti interesserà però massime il quesito quale sia la parte fatta, nel complesso delle determinanti, dalle condi zioni economiche dei varii paesi nella guerra implicati, e se possa reggere la teoria più rigidamente determinista che havvi in materia politica, vale a dire la teoria del materialismo storico. Uno dei caposaldi del materialismo storico è costituito dal concetto che le classi lavoratrici del mondo intero sono ancor legate come da un anello di ferro, e che tale anello di ferro consisterebbe nell’asso luta comunanza di interessi economico-sociali di fronte alla borghesia, concepita, essa pure, quale strato orizzontale, vale a dire quale strato che non conosce differenze verticali come quelle che separano le nazioni, la schiatte, le razze, ecc. La differenza massima che intercede, infatti, alle concezioni di classe economico-sociale e di nazionalità linguistico-etnica, tra i seguaci delle teorie nazionalistiche e quelli delle teorie del materialismo storico con siste appunto in ciò che, mentre i primi poggiano sull’ipotesi della assoluta prevalenza, morale e positiva, del concetto nazione sul con cetto classe, gli ultimi considerano il concetto e le realtà di nazione di gran lunga subordinati al concetto di classe. (1) R o b e r t o M i c h e l s , La lociologia del partito politico, Torino, 1912. Unione Tip. Edit. Torinese. 61 — 946 — Siffatto ultimo concetto fu ritenuto dai marxisti primeggiante innanzi tutto nella mentalità, imbevuta di teoremi socialistici, del proletariato. La guerra ha distrutto con un solo colpo terribile tale teoria. Il partito socialista tedesco, il più forte, il più ricco, il meglio organiz zato, dell’Internazionale operaia, ed anzi il suo maestro per tren t’anni, si dichiarò subito con vera enfasi solidale col Kaiser. Nella massa pro letaria non si verificò neppure un solo caso di ribellione morale contro la lotta in favore delPimperialismo tedesco contro i compagni d’oltre confini. Il contegno dei socialisti tedeschi fu certo dovuto in gran parte alle tendenze oligarchiche quali si manifestano nel partito poli tico moderno, giacché il partito politico moderno, anche se esso si è prefisso il raggiungimento di fini rivoluzionari, anzi, appunto se è rivoluzionario, vale a dire, se intenda muovere guerra al sistema vigente nello Stato per sostituirlo con un altro concetto di governo della pubblica cosa, abbisogna di una vasta organizzazione, il cui nerbo consiste in una fidata burocrazia stabile, ben retribuita e non sprovvista di vasti mezzi giornalistici. Questa organizzazione costi tuisce uno Stato nello Stato. Senonchè, siccome specie in uno Stato come la Germania, le forze del partito, pure essendo cospicue, sono perfettamente inferiori e subordinate a quelle del Governo, così uno dei cardini della politica del partito diventa la buona regola di non spingere mai i suoi attacchi contro il Governo oltre i limiti trac ciati dal divario di forze dei combattenti; in altri termini di non mettere a repentaglio la vita del partito, la cui conservazione a poco a poco si fa l’obbiettivo più eccelso di ogni sua azione politica. Così la forma esterna di esso partito, la sua organizzazione buro cratica, prende definitivamente il sopravvento sulla sua anima, sul suo contenuto dottrinale e teorico, che viene sacrificato ogni qualvolta si trova a cozzare, in modo troppo inopportuno, con i baluardi nemici. La fine di quest’evoluzione regressiva è questa, che il partito, da mezzo per raggiungere uno scopo, man mano diventa scopo a se stesso, e quindi incapace a resistere all’arbitrio statale quando questo si pre senta accompagnato da una forte volontà. Un tale partito è fatalmente fuori grado di sostenere una prova così terribile come quella di mantenere la fede ai maggiori principii allorquando lo Stato, risoluto di fare la guerra e di schiacciare chiunque gli sbarri la via, minaccia, in caso di disobbedienza, le sue sezioni di scioglimento, la sua cassa di sequestro, i suoi maggiori uomini di fucilazione. Allora il partito piega, vende in fretta la sua anima internazionalista e si trasforma, per istinto di conservazione, in un partito patriota. — 947 — A questa tendenza insita nel partito politico moderno, va aggiunto, nel caso particolare, il contributo considerevole, dato alle decisioni prese dai socialisti tedeschi di appoggiare in tutto e per tutto il loro Governo, dalle loro paure e dai loro odi di fronte allo czarismo. Tale avversione, invincibile, a cui è dovuta la concordia con la quale tutta la democrazia germanica ha accolto la guerra, deriva oltre a stolti pregiudizi di razza, secondo i quali la razza slava è una razza inferiore, da una speciale concezione storica del Marx. Il Marx, in fatti, faceva la Russia responsabile per la « reazione » ovunque essa si verifichi. In special modo egli opinava che il reggimento nobiliare militarista prussiano, da lui abborrito, non sia che l’avanguardia del l’autocrazia russa. Epperò egli additava qual mezzo più infallibile per farla finita col predominio dei junker in Germania, di schiacciare la Russia senza il cui aiuto la reazione prussiana non potrebbe reggere. Tale convinzione marxiana era diventata addirittura un domma del Partito, profondamente radicato nell’anima di ogni inscritto e diffuso in cento opuscoli. I socialisti tedeschi ubbidiendo con entusiasmo al l’ordine di mobilitazione im partito dal loro Kaiser, credettero, adunque, compiere un’opera santa, non solo dal lato patriottico, ma anche dal lato democratico, affrettando, in tal guisa, il giorno della riscossa finale. Di un cotale stato d’ animo dei socialisti tedeschi, il quale ad estranei potrà sembrare affetto di stramberia e di confusionismo, fanno fede i più importanti discorsi tenuti ed i più autorevoli articoli scritti dai socialisti tedeschi in occasione della dichiarazione di guerra di Guglielmo II allo Czar della Russia. Senonchè, l’atteggiamento così poco confacente al principio teorico del materialismo storico fu difeso, dai socialisti stessi, altresì col far valere una necessità proletaria germanica. In sostanza, i socialisti te deschi dicevano questo: essere l’ipotesi di una disfatta dello Stato a cui appartengono, spaventevole appunto per i proletari perchè una di sfatta sarebbe fatalmente susseguita dalla disoccupazione e dalla miseria; stare quindi nel sommo interesse ed essere dovere imprescindibile dei rappresentanti di detta classe d’impiegarsi acciocché tale eventualità sia schivata; derivare da questo dovere la suprema necessità di aiutare con tutte le loro forze l’esercito tedesco nel suo arduo còmpito d’otte nere la vittoria sul nemico. Ora, la visione che sta a base di cotale ragionamento non manca certo di chiarezza positivista. Il proletariato essendo parte integrale di uno Stato, non potrà non soffrire quando quello passerà brutti giorni. Innanzi tutto la sorte degli operai non potrà andare disgiunta dall’andamento più o meno florido delle in dustrie e del commercio. Certo anche le condizioni più buone delle — 94 8 — industrie non potrebbero dare agli operai l’assoluta garanzia di percepire alti salari e di godere d’un elevato tenor di vita, perchè non è provato che la parabola dei salari segua sempre quella dei profitti industriali ; poiché oltracciò è notorio, che mentre dopo il 1870 l’industria tedesca prese un rapido e grandioso sviluppo, le condizioni degli operai in essa impiegati rimasero ancora per quasi un ventennio stazionarie. Ma se le sorti degli operai e quelle degli industriali non sono sempre immedesimabili ed identificabili nella buona fortuna, non vi ha dubbio che la sfortuna li accomuni; se le industrie versano in uno stato cattivo, ogni rialzo dei salari è a priori da escludersi. Ma se la visione di questa comunanza di interessi tra borghesia e proletariato nazionale conisponde ad un modo di vedere realistico, egli è pur sicuro che essa non solo trovasi in perfetto antagonismo con Videalismo di classe, vale a dire con quell’affetto fraterno che, se nega la solidarietà nazionale, afferma entusiasticamente la solidarietà internazionale del proletariato tendente — e mirante — alla sua pronta emancipazione di classe, ma che distrugge financo lo stesso concetto di classe. Infatti, l’atteggiamento teorico assunto dai socialisti tedeschi, ed imitato più o meno fedel mente dai loro compagni stranieri, parte da un criterio affatto diverso da quello che forma la base del materialismo storico. Questo presup pone una classe operaia di sua natura una, indivisibile, quello invece ammette solo un proletariato nazionale, rinchiuso in un dato Stato, abitante entro determ inati confini geografici, ligi d’altronde a tu tte le modificazioni che la forza o il destino possono comportare. Epperò il concetto socialdemocratico di classe costituisce la negazione del concetto marxistico,in quanto che esso lo rimpicciolisce, ed, anziché farlo strumento di liberazione del mondo quale era concepito dagli internazionalisti teorici, lo fa strumento di collaborazione patriottica, sociale e militare. Il materialismo storico intendeva raggiungere la solidarietà del genere umano sotto la guida del proletariato rivoluzionario e sulle rovine della borghesia e dei governi nazionali. Il concetto socialdemocratico con duce alla grandezza della patria ed alla floridezza del proletariato e della borghesia di essa, sulla rovina del proletariato e della borghesia delle patrie altrui. Infatti, tra le due concezioni corre un abisso tale da rendere vani anche i più dotti tentativi di colmarlo. * * * La guerra, se non ha dimostrato della fallacia la teoria stessa della comunanza di interessi tra le varie classi operaie nazionali in opposi zione a quelli delle varie borghesie, per lo meno ha dimostrato inesi stente la ripercussione che tale presunto fenomeno dovrebbe avere sulla — 949 — mentalità e quindi sull’attività del proletariato, cui pure una lunga propaganda socialistica ha cercato di inculcare i principii marxistici. L ’indirizzo pratico del proletariato attuale pur essendo dettato in dubbiamente oltre da leggi psicologiche potentissime anche da deter minanti economiche, certo non è conforme alla legge economica mar xiana. Resta a vedere se almeno l’eziologia della guerra medesima ci appalesi una causalità da cui possa dedursi l’esattezza di quell’altro cardine della filosofia marxiana che afferma non essere la storia poli tica dei popoli altra cosa che una soprastruttura ergentesi sulla salda base del bisogno economico. Resterebbe l’entrata in guerra dell’Inghilterra. Infatti la guerra mossa dall’Inghilterra alla Germania potrebbe pre starsi come esempio che la guerra europea non è in contrasto con la dottrina escogitata dal Marx e dai suoi discepoli, ma costituisca invece la riprova dell’assioma che la base di qualsiasi guerra sarebbe fatal mente d’ordine economico. A sentire gli inglesi stessi, i motivi che li hanno indotti a parte cipare alla guerra non avrebbero nulla a che vedere con l’economia. La causa apparente della dichiarazione di guerra dell’Inghilterra alla Germania consisterebbe nell’infrazione della neutralità del Belgio, ga rantita dall’Inghilterra. Lloyd George ha detto che, se l’Inghilterra avesse taciuto di fronte a quella lesione violenta del diritto delle genti, essa si sarebbe macchiata per sempre: « Non avremmo potuto aste« nerci dalla lotta senza disonore nazionale. Nell’idea dei tedeschi il « trattato che garantiva la neutralità del Belgio non era che un pezzo « di carta ; tale teoria del pezzo di carta costituisce un attentato « contro il diritto pubblico. L’Inghilterra deve insegnare alla Germania « di rispettare in avvenire i trattati « (1). È evidente che, per quanto cotale spiegazione non sia nè priva di verità nè di significato, la causa causarum del contegno politico mili tare tenuto dall’Inghilterra in questo frangente, dev’essere più pro fonda. Nei loro discorsi ufficiali, gli uomini che tengono attualmente il timone dello Stato Britannico, non si sono stancati ad affermare ad alta voce, non avere questa guerra altro scopo all’infuori di quello di salvaguardare la libertà d’Europa messa a grave repentaglio dalla pre potenza e dal militarismo germanico; incombere quindi all’ Inghilterra il còmpito di schiacciare questi per liberare quella; anzi, essere il su premo obbiettivo degli inglesi quello di togliere all’Europa l’incubo che da tanto tempo le stringe il petto. Nel messaggio del Re alle colonie (1) In un discorso tenuto in un meeting, a Londra, il 19 settembre. — 950 — la guerra vien qualificata qual guerra fatta per la civiltà e la libertà del mondo. Il signor Winston Churchill, primo lord delPammiragliato inglese, ha detto che dopo il ’70 la Germania era diventata il terrore dell’Europa, una minaccia continua per gli Stati più piccoli ed una perenne sorgente di inquietudini per tutti i suoi vicini (1). Ed in una altra occasione lo stesso uomo di Stato inglese ha affermato essere l’alto compito degli inglesi, in questa guerra contro la tirannide teu tonica, di restituire in integro il principio delle nazionalità calpestate in modo indegno dagli Imperi centrali (2). Queste affermazioni sono certo infarinate da una formidabile dose di ipocrisia. La storia, anche quella modernissima, dell’Inghilterra, è un denso tessuto di sopraffazioni dei popoli più deboli. La guerra contro i Boeri non è stata certo una guerra redentrice di popoli. Tuttora l’Inghilterra detiene sotto il suo ferreo dominio infiniti popoli e fra zioni di popoli stranieri, nè essa accenna minimamente a restituire Gibilterra agli spagnuoli, Cipro ai greci, Malta agli italiani, l’Egitto e l’india agli indigeni. La sua buona volontà di dare la libertà e l’au tonomia ai popoli oppressi si riduce, adunque, ai popoli oppressi da altri. Più che norma teorica, la libertà dei popoli è, per gli inglesi, se mai leitmotiv di politica estera, ispirato a mere considerazioni di opportunità pratica. Senonchè, in un altro senso, più obbiettivo, l’affermazione degli in glesi di costituire il baluardo inespugnabile della libertà d’Europa cor risponde a verità. Gli è che i bisogni, oltremodo realistici, della politica estera inglese coincidono infatti con « la libertà » dei popoli del con tinente europeo, intesa in un certo modo. Per comprendere ciò bisogna tenersi presente che la storia inglese da Oliviero Cromwell fino ai giorni nostri si riassume in una serie ininterrotta di conati, sempre coronati da successo, di impedire che si formi o si mantenga in Europa l’ege monia di un uomo o di uno Stato, capace e bramoso di emergere al segno di dare serie molestie al rimanente dei popoli. In tale guisa l’interesse, brutale, della politica inglese si trovava ad essere quasi sempre conforme al tornaconto nazionale della maggioranza degli Stati europei. Ond’è che l’Inghilterra potè vantarsi di avere debellato con indefesso ardore qualunque nazione europea si era dimostrata potente, imperiosa, spaventevole. A questa massima di politica estera, così nitida, così semplice, benché così difficile ad attuarsi nel corso degli svariati eventi, l’Inghilterra ha (1) In un discorso del 16 settembre. (2) In una intervista concessa ad un corrispondente del Giornale d’Italia, e pubblicata il 22 settembre. — 951 — tenuto fede da quando, piccolo Stato marittimo, sperduto nelle nebbie del nord, essa tenne testa, con indomito vigore, nell’èra elisabet tiana contro la strapotenza della gigantesca monarchia spagnuola di Filippo II della quale poteva dirsi che in essa il sole non calava; quando contrastò il passo all’Olanda che stava per monopolizzare il mare e col mare il commercio ; quando organizzò, con Guglielmo III e col duca di Marlborough, la difesa dell’Europa, avvilita e sconfitta, contro le mire di conquista universale della Francia del quattordicesimo Lodovico; quando, sola ed abbandonata da tutti, nella sua splendici isolation, riuscì, con sforzi inauditi, a infiacchire l’eroico Napoleone per dargli poi, insieme ai popoli ridestatisi o da essa prezzolati, il colpo di grazia a Waterloo ; quando con gli alleati di Francia, di Turchia e di Sardegna, raccolti attorno ai principii da essa esposti, impose mediante la guerra di Crimea, un liait ai progressi orientali della Russia, diventata pericolosa dopo di essere stata, per quasi mezzo se colo, a capo della Santa Alleanza. Cosicché la politica attuale dell’Inghil terra non è che la continuazione ragionata, logica, schietta dei capi saldi che hanno retto l’Inghilterra in materia di politica estera, dal Cinquecento in poi. Quando il ministro socialista del Belgio, Emile Vandervelde, disse, in un banchetto tenutosi siìYEighty Club di Londra (1) che la lotta degli inglesi contro la Germania non è in fondo che la continuazione della stessa loro lotta contro Luigi XIY e contro Napo leone, con la sola differenza che al posto del re Sole o del grande Corso essi hanno da fare con Guglielmo II e che quindi avrebbero avanti a sè un compito assai più lieve, egli incontrò gli applausi una nimi del suo pubblico, perchè egli aveva interpretato perfettamente lo spiritus rector della politica inglese. Infatti, gli inglesi scorgono nella Germania contemporanea, poli tica e commerciale, un pericolo per il mondo, e quindi anche per la grandezza e l’integrità del loro Impero. Epperò seguendo la traccia del defunto loro amato re Edoardo VII, iniziatore della Entente cor diale con la Francia, ed entrando intrepidamente in una guerra, che pure, a causa dei variopinti bisogni e desiderii del loro vasto Impero e della scarsa compattezza giuridica, etnica e morale di esso, non è per essi scevra di pericoli e di incognite, gli inglesi non fecero che at tenersi ad una formola che la storia aveva dimostrato essere ricolma, per l’Inghilterra, di gloria e di successi: il dovere cioè primordiale della politica inglese di por saldo ostacolo alla costituzione di ege monie sul continente europeo. (1) Il 6 settembre. — - 952 — Ammesso questo principio regolatore della storia britannica quale coefficiente dell’entrata in guerra dell'Inghilterra contro la Germania, non è però ancora punto esclusa la possibilità dell’esistenza di altre determinanti. Ond’è che torna spontaneamente a galla il quesito, se il fat tore economico, così potente in una nazione commerciante come quella inglese, non abbia fortemente contribuito a creare quello stato d’animo che dovette trascinare, in pochi giorni, il popolo inglese alla guerra contro i tedeschi. L ’Einaudi ha, con fine arguzia, raccolto alcuni dati impressionanti che comproverebbero che, dal lato economico, l’Inghilterra non avrebbe avuto nessun interesse a muovere guerra alla Germania, perchè nel bilancio commerciale della guerra le perdite prevarrebbero di certo sui compensi ottenuti. Ed anche più impressionante è la citazione che l’Einaudi fa di un articolo dell’Economis t di Londra, in cui l’artico lista asserisce che l’Inghilterra è entrata in guerra per motivi politici, vale a dire per la conservazione dell’impero, per ragioni ideali superiori, e non certo per considerazioni economiche (1). Sarebbe tuttavia ingenuo prendere quelle parole della rivista inglese per tanto oro coniato. Anziché la spiegazione sincera di uno stato di cose, esse potrebbero essere semplicemente l’espressione della legittima paura degli inglesi di appalesarsi agli occhi del mondo quali spinti alla guerra da motivi gretti di concorrenza mercantile. Giacché ai nostri intellet tuali, corrivi sempre ad inneggiare alla guerra per motivi vagamente cavallereschi o cavallerescamente vaghi, sembrerebbe cosa oltremodo odiosa se un popolo dichiarasse guerra ad un altro popolo per motivi così saldi e così palpabili come sarebbero quelli di togliere di mezzo una molesta concorrenza commerciale... Comunque, vi è tutto un popolo di 65 milioni che è intimamente convinto del fondamento esclusivamente mercantile della guerra mossagli dall’Inghilterra. Chi scorre i giornali e le riviste tedesche nel momento attuale può agevolmente formarsi un’idea deU’accanimento col quale i tedeschi accusano gli inglesi di essersi schierati contro di loro solo perchè intolleranti dei successi magnifici raggiunti dalla genialità e dalla laboriosità germaniche sul campo commerciale. Alle bandierine che indicano, sulle carte geografiche di cui abbondano adesso le case tedesche, le posizioni strategiche occupate dagli inglesi nella guerra, i tedeschi usano dare il colore giallo, a bella posta, perchè, come dicono, il giallo è il colore più adatto per caratterizzare l’anima del popolo inglese essendo il colore dell’invidia... guerra e il commercio internazionale dell’Inghilterra e della Germania », nel Corriere della Sera del 18 settembre 1914. (1) L u ig i E in a u d i, « La — 953 — L’indagine, se e fino a che punto l’Inghilterra abbia agito dichia rando la guerra alla Germania, per proprio interesse economico, non è facile da compiersi. Intendiamo occuparci più esaurientemente della questione quando avremo in mano dati che oggi come oggi ci fanno di fetto. Per ora ci sia lecito di fare solo qualche accenno, di em ettere solo qualche dubbio sul gran problema. Per opera della guerra con l’Inghilterra la Germania, essendo ta gliata fuori dal mercato mondiale per la sua inferiorità navale e la sua infelice posizione geografica, perde issofatto e inesorabilmente la sua vasta clientela transoceanica. Con altri termini i mercati poderosi delle due Americhe, dell’Asia, dell’Africa e dell’Australia le sono stati d’un colpo preclusi. Non potendo questi popoli, naturalmente, improv visare, essi stessi, un’industria tale da sopperire all’importazione di merce tedesca venuta a mancare, è giuocoforza che altri serva la clientela rimasta senza servizio. Ora, è indubitato che l’Inghilterra non può non trarre gran profitto da una siffatta situazione. Non sarà eziandio la sola a trarne profitto, perchè a colmare la lacuna si fa ranno avanti anche altri, desiderosi a sostituire i tedeschi impediti, come innanzi tu tti l’industria degli Stati Uniti, e, benché in grado minore, anche quelle giapponese, italiana, francese, catalana, ecc. Senonchè, in molti casi sarà chiamata proprio l’inglese a rimpiazzare il concorrente tedesco, perchè l’esportazione inglese e quella tedesca ri guardano spesso gli stessi generi e talvolta perfino le medesime qua lità di merce; ciò vale specialmente per il ramo tessile e per quello metallurgico. Il commercio inglese si troverà quindi dalla guerra con la Germania, da quel lato, grandemente vantaggiato, anche se la capa cità di acquisto della clientela internazionale è alquanto scemata. Nè vediamo perchè, come pure crede l’Einaudi, il compenso che l’Inghil terra commerciale caverà dall’accaparramento del commercio tedesco forzatamente assunto, debba limitarsi all’epoca della guerra. È proba bile invece che una grande parte delle conquiste commerciali fatte dagli inglesi durante la guerra loro rimangano anche a guerra term i nata, perchè nella clientela internazionale si saranno intanto create certe abitudini che faranno sì che spesso gli inglesi finiranno per con tinuare ad essere i padroni del mercato anche allorquando i tedeschi avranno ricominciato la loro paziente opera intesa a riprendere le loro antiche relazioni commerciali (1). (1) È noto altresì di quanta importanza per l ’esportazione tedesca sia l ’opera del commesso viaggiatore, senza il quale la rapida penetrazione commerciale dei tedeschi non sarebbe facilmente concepibile e di cui un noto economista frati- — 954 — Sorge però il pericolo che l’Inghilterra anche se vantaggiata nel commercio con le altre quattro parti del mondo perda gran parte del mercato tedesco sul quale l’importazione inglese costituiva il 7,9 % dell’importazione totale. Indebolita, la Germania perderebbe, infatti, una parte delle sue stragrandi capacità di acquisto; vinta o vincitrice, cer cherebbe per qualche tempo di boicottare, per odio contro la « perfida Albione », i prodotti inglesi. Senonchè, nè l’incapacità di acquisto, nè il dispetto, trasportato sul terreno commerciale, saranno, a nostro avviso, illimitati. Non l’incapacità d’acquisto, perchè il popolo tedesco è lavoratore e non tarderà a riaversi anche se dovesse subire una batosta; non il dispetto, perchè di fronte alla qualità superiore dei prodotti inglesi, il commerciante tedesco non s’ostinerà per gran pezza di tempo a comperare roba inferiore purché di provenienza non inglese. A ciò aggiungasi un’altra osservazione. Nell’ipotesi della disfatta della Germania, la Francia riacquisterà presumibilmente quel tanto di forza economica che la Germania dovrà perdere. Quale fenomeno morale poi appare fuori di dubbio che in ogni caso la Francia, legata oramai all’Inghilterra dal sangue versato in comune per una causa comune, farà di tutto per preferire alla merce tedesca aborrita, la merce del fido compagno di guerra in tu tti quei casi in cui una tale sostituzione sarà fattibile. Dalla lettura di giornali francesi ed inglesi scaturisce che una tale sostituzione sta già ora svolgendosi su larghissima scala (1). È chiaro — e mi riservo di dimostrarlo, occorrendo, coll’appoggio di un ricco materiale statistico, in un altro articolo — che l’antagocese, il Blondel, fa il ritratto seguente: « Que de fois, au cours de mes voyages, j ’ai été frappé de l ’ardeur avec laquelle il (le commis voyageur allemand) cherche à recueillir des renseignements, de l’habilité avec laquelle il se faufile, s ’insinue, revient à la charge, sans se laisser rebuter par le mauvais vouloir dont il est souvent l’objet n. ( G e o r g e s B l o n d e l , Les embarras de l'Allemagne. Paria, 1912, 5a ediz., pag. 311). Ma oltre per le sue qualità, il commesso viaggiatore tedesco è formidabile anche per la sua quantità: Secondo il rapporto del con sole inglese nella città norvegese di Bergen, che è egualmente distante dalla Germania e dall’Inghilterra, nel 1908, dei 570 rappresentanti di commercio ivi segnalati, 285, vale a dire la metà, era di nazionalità tedesca, e solo 69 di na zionalità inglese. Ora la mancanza assoluta dei commessi viaggiatori durante la guerra europea nella maggior parte dei paesi neutri (e nelle colonie inglesi) significa un vantaggio cospicuo per l ’Inghilterra e il suo commercio. (1) È d’altronde una vecchia abitudine inglese quella di approfittare delle assenze commerciali eagionate da guerre per sostituirsi al concorrente. Anche durante la guerra di Tripoli gli inglesi, apertamente, cercarono di rimpiazzare il commercio italiano in Turchia a loro favore. (Leggasi Diplomatie and Con solar Reports, Turkey, n. 4835, Aunual Series). — 955 — nismo franco-tedesco è di ordine storico-sentimentale e non di ordine economico. Gli interessi economici della Francia e quelli della Ger mania si trovano d’accordo in tutte le cinque parti del mondo. Ac cordo dovuto principalmente alla perfetta disparità dei generi di esportazione che rende ogni cozzo a priori impossibile. Su questa inesi stenza di antagonismo economico i marxisti puri avevano posto la loro illimitata fiducia nel mantenimento di rapporti pacifici tra i due Stati, non sapendo immaginare, nella loro strana ignoranza della fenomeno logia psicologica, come potesse scoppiare una guerra per motivi del tutto alieni all’economia politica, secondo loro madre unica di ogni divenire sociale. Se è lecito intercalare un ricordo personale della vita di chi scrive, dirò che allorquando nel 1906, all’occasione della minaccia di una guerra per la questione del Marocco, io interpellai Carlo Kautsky, il noto direttore della Neue Zeit, sul da farsi per evitare la tremenda lotta, io mi presi dall’egregio uomo non poche beffe per non avere io posto mente alla barriera infrapposta dal materialismo storico a guerre che non sgorgano da antagonismi economici di due borghesie espor tatrici e concorrenti. Senonchè, senza cadere in viete esagerazioni, fatto sta che l’assenza dei contrasti economici fra la Germania e la Francia è tale da aver potuto far nascere in alcuni economisti tedeschi perfino l’idea di una unione doganale fra i due popoli. Il più noto fra questi scienziati fu Richard Calwer. Giova accennare qua, in extenso, ad alcune sue considerazioni in proposito. Durante il conflitto marocchino il Calwer polemizzò vivamente contro un discorso che Jaurès intendeva fare a Berlino nel giugno 1905, ed il quale era poi stato pubblicato dal Vorwàrts del 9 luglio. Jaurès propugnò un’alleanza tra la Francia, la Germania e l’Inghilterra. Il Calwer, invece, sostenne la tesi un an tagonismo economico insormontabile tra l’Inghilterra e la Germania e spiegò che attualm ente esiste una specie di stato di guerra econo mica tra la Germania e l’Inghilterra, della quale bisogna tener conto (pag. 796). Per la Germania non rimane che una via sola per mante nere e fortificare la sua posizione economica nel mondo : essa deve adoperarsi per smuovere tu tte le barriere economiche, politiche e na zionali che esistono tra i paesi europei — eccettuate quelle con l’In ghilterra e la Russia — cercando di crearsi gli sbocchi che non può più trovare fuori dell’Europa, nell’Europa stessa. Anche tra gli Stati del continente europeo vi sono grandi divergenze di ordine economico. Ma confrontandole coi contrasti che esistono tra l’economia inglese ed americana da una parte, e quella dell’Europa centrale dall’altra parte, gli Stati europei sembrano tra di loro assai affini. La loro costituzione economica odierna, la loro storia politica — 956 — ed economica, i loro ideali culturali attestano il fatto che essi sono vin colati assai strettam ente di fronte agli altri Stati, cioè di fronte all’Inghilterra, agli Stati Uniti, alla Russia ed al Giappone. I pericoli econo mici dai quali sono minacciati questi paesi da parte dell’Inghilterra e degli Stati Uniti, sono identici; i loro rapporti commerciali e di tran sito sono molto intimi, malgrado la loro dannosa politica isolatoria, e si basano sul fatto, che nessuna frontiera politica è capace di arrestare l’accrescimento dei rapporti economici. Il commercio estero dei paesi europei, eccettuate l’Inghilterra e la Russia, ammonta complessivamente a circa 41 miliardi di marchi. Di questa somma non meno di 20 mi liardi si ripartiscono sul commercio tra questi paesi stessi, mentre soltanto 21 miliardi si ripartiscono sull’Inghilterra, la Russia e tu tti i paesi non europei, presi insieme. Mentre però tanto il commercio interstatale negli Stati Uniti quanto quello tra l’Inghilterra e le sue colonie si svolge senza essere ostacolato da barriere doganali, lo scambio commerciale tra gli Stati d’Europa è aggravato di spese doganali che non possono che ostacolare assai gravemente il commercio dei paesi europei sul mercato mondiale. I vantaggi che risulterebbero dall’unione economica di tu tta l’Europa continentale sarebbero talmente preziosi da indurre lo stesso il proletariato socialista a lottare in prima linea per il raggiungimento di questa mèta. Il Calwer spiega per altro con parecchi esempi che l’amicizia tra l’Inghilterra e la Francia non può durare appunto per causa dell’an tagonismo economico tra questi due Stati (pag. 747). L ’avvenire del l’Europa non può fondarsi sull’amicizia dei tre paesi: Inghilterra, Francia e Germania; essa ha una buona prospettiva soltanto nel caso che la Francia e la Germania riescano a seppellire per sempre la loro nemicizia politica... (pag. 718). Bisogna innanzi tutto che gli uomini politici francesi capiscano, che per ragioni economiche e culturali la Germania e la Francia dovrebbero unirsi assai più strettam ente di quanto un qualunque Stato europeo potrebbe unirsi all’Inghilterra... (1). E, quando l’accordo di Algesiras fu felicemente raggiunto, il Calwer insistette nuovamente sulla sua idea : « Malgrado l’importanza degli interessi e dei diritti che dovevano essere difesi contro la Francia (nell’affare del Marocco), è giocoforza proclamare sempre di nuovo il fatto che la Germania farebbe una politica assai malaccorta, se, per causa del Marocco, si lasciasse sfug gire per lungo tempo l’occasione di migliorare i suoi rapporti con la ( l ) R i c h a r d C a l w b k , « W eltpoìitik und Sozialdem okiatie », nei Sosial. Mo natshafte, annata ix, pag. 741 (sett. 1905). — 957 — Francia. È degno di nota che nel febbraio scorso in un certo numero di città tedesche i ceti commerciali ed industriali organizzavano ma nifestazioni in favore di un’intesa amichevole coll'Inghilterra, mentre in nessun luogo invece si manifestò il bisogno, pur assai più importante e più urgente, di stare in buoni rapporti con la Francia... Per contro, tutti i ceti della popolazione hanno un interesse politico ed economico di procla mare questo bisogno. Se è importante il mantenimento dei buoni rapporti tra la Germania e l’Inghilterra, ma lo è ancora assai di più, per i paesi dell’Europa centrale, per il loro avvenire politico ed economico, di sciogliere completamente la tensione tra la Germania e la Francia, anzi di far sì che i due paesi si avvicinino sempre di più ed arrivino a poco a poco nel campo dell’economia e della cultura alla completa unione » (1). Ponendo mente al fatto che una delle cause più sicure dell’attuale guerra sta nel contrasto politico tra Francia e Germania, scaturito dall’annessione dell’Alsazia-Lorena nel 1851, e che tale conflitto non è stato per nulla acuito da concorrenze commerciali, pare evidente la debolezza delle sue determinanti economiche. Clavesana, settembre 1914. R oberto M ic h e l s. ( I ) C a l w e r , « Die M a rokk ok onferenz ». Soz. Mon., x , pag. 127 (febbr. 1906)