ELEMENTI CHIAVE SALVATORIANI Carisma, Missione, Spiritualità, Identità Numero 2 Comissione Internazionale Congiunta dal Carisma Famiglia Salvatoriana 1 PREFAZIONE 1 Gennaio 2005 Cari salvatoriane e salvatoriani, la Commissione Internazionale Congiunta del Carisma (IJCC) è orgogliosa di presentare la seconda parte del nostro lavoro Elementi chiave salvatoriani: Carisma, missione, spiritualità e identità. Questo è il secondo di una serie iniziata dalla Commissione Internazionale del Carisma della Società. Il primo opuscolo è stato pubblicato dai Salvatoriani dell’India nell’anno 2002. Questo libretto è frutto del lavoro dei membri della Commissione, che vengono da tutte le parti del mondo e da tutti e tre i rami della nostra Famiglia Salvatoriana. Come tale propone una abbondante ricchezza di riflessioni sul come vivere la nostra vita salvatoriana nel mondo d’oggi Ci aspettiamo che lo troverete utile ed anche interessante per il vostro stesso impegno di vita. Confidiamo inoltre che questo lavoro possa aiutare tutti noi a rispondere con maggior efficacia alla chiamata che Dio fa ai Salvatoriani in questo ventunesimo secolo. Desideriamo dare un suggerimento a proposito del materiale di questo libro, incoraggiamo tutti e ciascun salvatoriano ad inserirlo nel proprio programma di formazione permanente. A prendere l’iniziativa di coinvolgere altri salvatoriani, formando gruppi di studio. Suggeriamo che la vostra Unità utilizzi il materiale per uno studio più organizzato su ciò che significa essere un(a) salvatoriano(a) impegnato(a) in questo momento storico nella parte del mondo in cui vive. Il nostro Fondatore, il Padre Francesco Maria della Croce Jordan ci spinge ad “amare la Società e i suoi obiettivi” (1899/10/27). Le riflessioni presenti in questo libro desiderano aiutarvi a fare questo. La Commissione Internazionale Congiunta del Carisma sarà molto grata di conoscere le vostre opinioni sul contenuto di quanto è qui presentato e quali sono le iniziative che avrete preso per utilizzarlo. Nel Salvatore 2 La Commissione Internazionale Congiunta del Carisma Salvatoriani Laici Janet Bitzan (USA) Etienne Sourbron (Belgio) Denyse Lourençon (Brasile) Sylvie Brunzel Laurie (Italia) Rosemarie Boecherer (Germania) *Carlos Alfonso Matiz Bulla (Colombia) Sorelle *Carol Thresher (USA) Rozilde Binotto (Brasile) Anna María Pelka (Polonia) Sebamalai Pieris (Sri Lanka) Grace Mary Croft (Generalato) Franziska María Gruber (Germania) Padri e Fratelli Paul Portland (USA) Arno Boesing (Brasile) Thomas Malal (Congo) Krzysztof Wons (Polonia) Friedrich Emde (Germania) *Mario Agudelo (Generalato) * Indica Coordinatore di Gruppo 3 ELEMENTI CHIAVE SALVATORIANI Il carisma, la missione, la spiritualità salvatoriana Introduzione Noi Salvatoriani, uomini e donne, religiosi, religiose e laici, descriviamo il nostro carisma, missione, spiritualità, ed identità a partire dall'affermazione che questi elementi sono in intima relazione l'uno con l'altro. Il carisma e la missione sono come due facce della stessa medaglia che si esprimono nella spiritualità. L'identità è l'insieme delle specifiche caratteristiche salvatoriane che riconosciamo in noi stessi e per le quali siamo riconosciut1 dagli altri. Per iniziare abbiamo concordato sulle seguenti descrizioni dinamiche dei termini: Carisma è un dono specifico dato dallo Spirito Santo a una persona o ad un gruppo a beneficio degli altri, affinchè Dio sia meglio conosciuto ed amato. Missione è quella dimensione del carisma per la quale, colui che riceve il dono, viene inviato a condividerlo con agli altri. Spiritualità è la modalità dinamica con la quale una persona o una comunità vive il suo carisma specifico e la missione affidatagli da Dio Identità è quello che siamo per noi stessi e come gli altri ci vedono. Questa è l'incarnazione del nostro carisma, missione e spiritualità Carisma Salvatoriano Il carisma fondante è il dono specifico dello Spirito Santo dato a Padre Jordan per la Chiesa e per il mondo. Esso è radicato specialmente in quattro testi biblici che sono la chiave della sua vita e opera. Essi sono il nocciolo del carisma che Padre Jordan ha comunicato a tutti noi Salvatoriani. 1. Giovanni 17,3 "Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato Gesù Cristo" 2. Matteo 28,19-20 "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" 3. Marco 16,15 "Gesù disse loro:Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura “ 4. Daniele 12,3 "I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come stelle per sempre". Gli elementi chiave trovati in questi testi fondanti per i quali siamo chiamati e resi capaci sono: 4 vivere la vita eterna conoscere l'unico vero Dio e colui che Egli ha mandato Gesù Cristo seguire le orme degli Apostoli fare discepoli da tutte le nazioni guidare gli altri alla verità eterna e alla giustizia proclamare l'universalità del messaggio di Cristo essere capaci di discernere i segni dei tempi Missione Salvatoriana Noi Salvatoriani siamo chiamati ed inviati in missione per annunciare attraverso la nostra vita e le nostre azioni il messaggio del Vangelo, così come è contenuto negli elementi chiave del carisma. fare conoscere il Salvatore lavorare per la pienezza di vita che è la salvezza guidare gli altri a riconoscere l'esistenza di Dio sostenerci reciprocamente nel nostro impegno apostolico coinvolgere altri nella missione dare risalto al ruolo dell'apostolo laico proclamare il messaggio a tutte le genti, ovunque ed in ogni tempo, e fare questo in qualunque modo e con qualunque mezzo l'amore di Cristo ci ispira. Spiritualità Salvatoriana La Spiritualità Salvatoriana è il modo in cui noi Salvatoriani esprimiamo il nostro carisma e missione concretamente giorno per giorno. Elementi specifici di questa spiritualità sono: conoscere Dio, che è sperimentare Dio come il centro della nostra vita confidare nella Divina Provvidenza vivere la santità come vocazione ed aiutando gli altri a fare lo stesso manifestare la bontà e l’amore di Dio (Tt 3,4) essere persone di preghiera essere poveri in spirito avere zelo apostolico vivere la verità, la giustizia, la solidarietà e la fedeltà essere disponibili alla croce per amore della missione amare tutti senza esclusione seguire l'esempio di Maria facendo sì che il Salvatore sia conosciuto amare la Chiesa vivere la semplicità dei figli e delle figlie di Dio Identità Salvatoriana Noi ci identifichiamo come Salvatoriani dal modo in cui viviamo il nostro carisma, missione e spiritualità, sia individualmente che come comunità. Noi siamo uniti insieme in un mutuo impegno per essere espressione incarnata di questi elementi chiave attraverso i quali gli altri sono in grado di identificarci come Salvatoriani. 5 LE NOSTRE RADICI BIBLICHE P. Arno Boesing SDS Introduzione Il carisma è un dono dato da Dio ad una persona messa al servizio del bene degli altri.1 La nostra esperienza di vita ci rende capaci di sviluppare questo dono. Un carisma non è una proprietà privata che possiamo dispensare a nostro piacimento. Siamo chiamati ad incarnarlo ovunque ci troviamo. Siamo chiamati ad essere aperti nei suoi confronti, di viverlo e di metterci in condizione di esserne guidati. Così, diventa la forza che ci guida in tal modo che tramite noi, può toccare e trasformare le realtà della gente e dello stesso mondo.2 Il carisma è un dono da mettere al servizio della vita. Il Vangelo ci rivela che l’albero della vita era al centro del paradiso.3 Questo ci fa capire come la vita è il centro del piano di Dio. Per questo noi possiamo capire la vita umana, solo attraverso il mistero di un Dio unico e trino.4 Lo Spirito ci rende capaci di “capire” che la vita piena ed eterna viene quando noi conosciamo (viviamo l’esperienza) e facciamo conoscere l’unico vero Dio e colui che ha mandato Gesù Cristo.5 La vita è la chiave per comprendere il carisma Salvatoríano. I doni di Dio devono essere ben accolti e corrisposti in modo tale da essere veramente efficaci e produrre il frutto desiderato.6 Il frutto che il carisma Salvatoriano dovrebbe produrre è vita, vita piena, vita eterna nel Regno di Dio. Le radici del Carisma Salvatoriano Il carisma fondante Salvatoriano ha diverse radici. Queste spuntano da una duplice esperienza vissuta da Padre Jordan. La sua esperienza umana e la sua esperienza di Dio. L'esperienza di Dio, del Fondatore, lo ha aiutato a vedere la realtà umana attraverso gli occhi della fede.7 Vedere la vita sotto quest’aspetto, lo ha messo in condizione di discernere il piano salvifico di Dio, della pienezza della vita per tutti.8 Padre Jordan ha letto la realtà con gli occhi di fede. Ha cercato ispirazione nella preghiera e, soprattutto, nel Vangelo. Attraverso la sua pia interpretazione delle realtà del mondo del suo tempo, P. Jordan ha visto gente bisognosa della vita. Si è domandato: Che cosa 1 1Cor 12; Rm 12: 3-8. Gv 17: 1-2. 3 Gn 2:9. 4 Gn 12:7. 5 Gv 17:3. 6 Mt 25:25. 7 SD I 136,5. 8 Gv 10:10. 2 6 può essere fatto così che la Chiesa possa meglio intendere la sua missione nel servizio alla vita? Questo interrogativo lo tormentava, e le risposte le ha cercate nella Bibbia; qui alcuni versi in particolare gli hanno dato indicazioni chiare e concrete. Quattro di questi testi sono fondamentali. Gv 17: 3 il tempo di Gesù è venuto. Lui prega per la missione principale della sua vita e quella dei suoi discepoli in tutti i tempi. Il suo primo desiderio è che tutti abbiano la vita e l'abbiano pienamente. Questo è il significato della vita eterna.9 Mt 28: 19-20 la missione essenziale della Chiesa è salvare la vita umana, liberando la gente da tutte le catene che ne impediscono la pienezza della vita. Per questa ragione, i discepoli sono spinti a battezzare e ad insegnare. Tuttavia, è bene osservare che il comandamento dato da Gesù ai discepoli non è semplicemente battezzare ed insegnare. Li manda a battezzare e insegnare con l'obiettivo preciso di fare altri discepoli. Di coinvolgere se stessi ed altri nella missione per rendere la vita più piena. Mr 16:15 Ognuno, senza eccezione, è chiamato ad annunciare la Buona Novella, della vita piena ed eterna, nel proprio ambiente di vita. Per questa ragione il messaggio del Vangelo deve essere proclamato a tutte le creature. Questo vuole dire un amore assoluto, che dovrebbe coinvolgere i discepoli nel compito di portare a tutti la salvezza. Dn 12:3 Il messaggio di salvezza abbraccia tutti. Abbraccia tutti gli esseri umani nel loro proprio ambiente. L'amore non esclude nessuno e in ogni modo è rivolto in precedenza ai più bisognosi. Oggi questo lo chiamiamo una scelta preferenziale. La pienezza di vita richiede di lavorare per la giustizia del Regno di Dio. Infine, Dio desidera la pienezza della vita per tutti, non solo per pochi privilegiati. 1. Conoscere l’unico vero Dio, Giovanni 17:3 “Questa è la vita eterna: che conoscano Te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato Gesù Cristo”. Nella bibbia, conoscere significa avere un’esperienza. Ognuno di noi richiede di sperimentare personalmente Dio, il Redentore, per trasmettere quest’esperienza agli altri. Per far conoscere Dio, io stesso ho bisogno di conoscere Dio. La vita eterna è conoscere Dio. Questo significa avere un’esperienza di Dio il Redentore. Significa incontrare nuovamente la nostra vera identità come immagine e somiglianza di Dio il Creatore, Redentore e Santificatore. Questo riguarda la santità personale e comunitaria. P. Jordan ha vissuto profondamente quest’esperienza. Ogni altra cosa nella sua vita e nella sua missione era un risultato diretto della sua esperienza di Dio. La vita eterna è far conoscere Dio. Questo significa far conoscere Dio con la proclamazione della nostra vita. Questo comporta anche il dover denunciare le false divinità di oggi. La vera passione di P. Jordan era che la gente accettasse con 9 Gv 10:10. 7 gioia questo messaggio, che è anche il gran desiderio del Divin Salvatore. Son venuto a portar fuoco sulla terra, e quanto desidererei che fosse già acceso!10 Alcuni testi biblici complementari I seguenti testi biblici sono molto presenti nella prima letteratura Salvatoriana. Gn 1:26 Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza. Gv 17:1 Padre ..glorifica il tuo figlio, affinché il tuo figlio glorifichi te.. Gv 17:21 ..che siano anch’essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda … Lc 12:49 Son venuto a portar fuoco sulla terra, e quanto desidererei che fosse già acceso! Mt 5: 13-15 Voi siete il sale della terra … la luce del mondo. 2Cor 3:2 La nostra lettera siete voi! lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini … Mt 16:26 Che gioverebbe ad un uomo guadagnare tutto il mondo, se perdesse l’anima sua? O che cosa potrà mai dare in cambio della propria anima? Risposta di Padre Jordan e nostra Oggi … nella festa di Tutti i Santi è stato fatto questo patto tra l’Onnipotente e l’infima creatura: La suddetta Creatura dà se stessa tutta per sempre e sempre al Creatore Onnipotente. La Creatura dà al Creatore e gli darà quello che il Creatore ha dato, dà e darà. La Creatura, fidando con tutte le forze nell’aiuto di Dio Onnipotente, ma per nulla negli uomini, sottomette tutto il mondo, cioè gli uomini presenti e futuri alla sua potestà, affinché conoscano Lui, lo amino e lo servano, e salvino se stessi. La creatura indurrà al servizio dell’Onnipotente anche le creature irrazionali. Dio che ha dato il volere, darà anche l’adempiere! La Creatura spera con fiducia queste grazie dall’Onnipotente per i meriti del N. S. G. Cristo e l’intercessione della B.V. Maria: Il Creatore adornerà la Creatura con grande santità e soprattutto con umiltà, affinché diventi, in quanto possibile, adatto strumento della Divina Provvidenza, compia fedelmente le promesse e dopo questa vita la riceva nel gaudio eterno. Il Creatore, con la sua onnipotenza, aiuterà, anche con mano forte, la Creatura nell’eseguire i propositi.11 2. Condividere l’Esperienza MT 28: 19b-20 ...battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che io ho comandato a voi. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo. La nostra conoscenza di Dio è destinata ad essere condivisa. Per poter trasformare efficacemente la realtà del mondo e della Chiesa, quindi deve essere condivisa: sia a livello di essere, con la testimonianza della vita, sia a livello di agire con l’annuncio e l’insegnamento. Quando c’è contraddizione tra quello che insegniamo e la nostra vita, il messaggio non può produrre risultati. 10 11 Lc 12: 49. SD I 202-204 8 Far conoscere; battezzare significa essere immersi in Cristo12 essere spinti ad “indossare l’uniforme”13 che annuncia che siamo risorti nello Spirito a vivere una nuova vita.14 Una vera conoscenza di Dio è nel pieno coinvolgimento nella sua vera natura. Far conoscere; insegnare significa condividere quella che è ora la nostra personale esperienza di Dio. Vero amore per il prossimo, nel desiderio che anche gli altri conoscano pienamente Dio.15 Una reale conoscenza di Dio che non ci permette di riposare, che piuttosto ci deve spingere a condividere e comunicare questa conoscenza con gli altri. Alcuni testi biblici complementari I seguenti testi biblici sono spesso presenti nella prima letteratura Salvatoriana. Mt 5:16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché veggano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli. 1Cor 9:16 Guai a me se non annunziassi il Vangelo! At 5:20 Andate, mettetevi nel Tempio e predicate al popolo tutte le parole di questa vita. Rm 10:15 Come sono belli i piedi di quei che annunziano le buone novelle! 1Tm 5:8 Se uno non ha cura dei suoi e in primo luogo di quelli che vivono nella sua casa, ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele. Mt 10:32 Chi pertanto mi riconoscerà davanti agli uomini, anche io lo riconoscerò davanti al Padre mio, che è nei cieli. Gc 5: 19-20 Se qualcuno di voi si è smarrito lontano dalla verità e uno ve lo riconduce, sappiate che colui che ricondurrà un peccatore dalla via del suo traviamento salverà l’anima sua dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati. Risposta di Padre Jordan e nostra “Lo scopo della Società Apostolica Istruttiva è di diffondere, difendere e rafforzare la fede cattolica dappertutto, per quanto le è concesso dalla Divina Provvidenza. Perciò essa si dedica all’istruzione ecclesiastica e, con parole e scritti, intende far conoscere sempre più, a tutti gli uomini, l'unico vero Dio e colui che egli ha mandato, Gesù Cristo, in modo che conducano una vita santa e salvino le loro anime".16 "Lo scopo di questa Società è che, con l'aiuto di grazia divina i membri lavorino non solo per la propria santificazione e perfezione, ma anche, con l'aiuto della stessa grazia divina, lavorino e s’impegnino intensamente, consacrando se stessi con l'istruzione, la formazione e l'insegnamento in forma sia scritta e sia orale, in qualsiasi posto del mondo in cui la gloria di Dio lo richieda, secondo le parole del nostro Signore Gesù Cristo. "Andate a tutte le genti e insegnate loro ... ; così che ogni creatura ragionevole possa venire sempre più a conoscere il vero Dio e colui 12 Mt 28: 19-20. Rm 13:14. 14 Gv 3:4-5. 15 Mt 28:20. 16 1882 Rule, DSS I 21 traduzione in Italiano 1988 13 9 che Egli ha mandato, Gesù Cristo, vivere una vita santa e salvare la propria anima".17 "Intendiamo lavorare con zelo e dedizione, essere lieti solo nella salvezza delle anime e nella soddisfazione divina. In modo da raggiungere la grande meta alla quale siamo rivolti, in preghiera al Signore: ‘Santo è il Tuo nome, venga il tuo Regno!’ Considerato che ‘La vita eterna è questo: che conoscano te, l'unico vero Dio e Gesù Cristo che tu hai mandato.’ Allora, può essere conosciuto solo se è annunciato”.18 “La salvezza delle anime era la ragione dell'incarnazione, la vita di lavoro, l'amara sofferenza e morte del nostro Santissimo Redentore. La salvezza delle anime era anche il solo compito che ha dato ai suoi apostoli”.19 "Come servitori ed apostoli di Cristo, cerchiamo di offrire a tutti la vera felicità e la vita eterna”.20 "Se il Regno di Dio è venuto per tutti noi, è necessario che quelli che Dio chiama ad abbandonare tutto, di fatto annuncino Gesù Cristo con la parola e la testimonianza della loro vita".21 3. Coinvolgere gli altri MT 28: 19-20 “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli …… insegnando loro ….” Per fare in modo che il messaggio di Salvezza sia efficace e possa raggiungere gli altri, le persone prima di tutto devono sentirsi coinvolte. La vera evangelizzazione non è limitata al solo parlare di valori. Coinvolge i cuori e le menti. Questo vuole affermare che testimonianza ed azione sono ambedue essenziali. Formare discepoli di Cristo. Lo scopo principale della missione di evangelizzazione è fare discepoli. Questo è l'obiettivo primario di tutta l'evangelizzazione. Con il Battesimo e l’insegnamento facciamo sì che altri diventino discepoli di Cristo. Formare apostoli di Cristo. Questo è lo scopo principale di tutti i nostri sacrifici che facciamo insegnando, istruendo, formando e coinvolgendo altri. Per essere veri Salvatoriani, la nostra testimonianza di vita e l’azione apostolica deve essere tale da indurre altri a farsi discepoli di Cristo. Deve motivarli a farsi ardenti apostoli del Divin Salvatore. Alcuni testi biblici complementari I seguenti testi biblici sono spesso presenti nella prima letteratura Salvatoriana. Lc 10:1-3 Dopo questo, il Signore ne designò ancora altri settantadue .. Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi.. Mr 4:34 …. ai propri discepoli, a parte, spiegava tutto. 17 Smyrna Text 1880, traduzione Familia Salvatoriana No. 1 December 8,1884. 18 The Catholic Teaching Society1888, DSS IV 113 (CTS 1888) DSS IV 105 libera traduzione. Statutes 3rd Class of the Apostolic Teaching Society1881, DSS II 101 translation Mailings 1-B-1,3 p.1. 20 CTS 1888, DSS IV 199 (CIP 23,43). 21 CTS 1888, DSS IV 113 libera traduzione. 19 10 Tt 3:4 Ma quando si è mostrata la bontà di Dio Padre, nostro Salvatore, e il suo amore verso l’uomo, egli allora ci ha salvati … 1Cor 3:9 Noi, infatti, siamo gli operai di Dio: voi invece siete il campo di Dio e l’edificio di Dio. Mr 8: 34-35 Se qualcuno vuol venir dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare l’anima sua la perderà; e chi perderà l’anima sua per me e per il Vangelo, la salverà. Mt 19:29 E chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o moglie, o figli, o campi, per il mio nome, riceverà il centuplo, e avrà in eredità la vita eterna. Risposta di Padre Jordan e nostra Oh! Volesse il cielo, che io arda sempre d’amore veemente verso di Te, ed accenda tutti; sia fuoco acceso e fiaccola ardente!22 “Andate e siate tutti infiammati” Oh, che tutti possiate diventare davvero zelanti apostoli”.23 Lo zelo è poco trattato nella scuola! Guarda i santi Apostoli mentre solcano l’universo, evangelizzando tutti! O zelo inscrutabile, o dono di Dio, quante volte sei disprezzato e soffocato, mentre si scusano con esagerazioni di poco conto!24 Padri di Cristo, generandolo, Madri di Cristo, dandolo alla luce.25 Questa (la Società) cerca di riempire con il fuoco dell’entusiasmo, per la loro vocazione, tutte le forze dell’insegnamento che sono già operanti nella Chiesa di Dio.26 Sveglia e scuoti quelli che dormono! Incita i sonnolenti!27 “Possa questo spirito apostolico penetrare il nostro paese sempre di più. Possa coinvolgere sempre più gente in questo movimento”.28 La Società Apostolica Istruttiva pone molta attenzione sull’apostolato laico; ricorda a dirigenti, insegnanti, genitori, persone d’alto rango dell'obbligo del loro apostolato ...29 4. La nostra Visione Universale Mr 16:5 “Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. Qui l’accento è su “ogni creatura”, che significa, nell’universo. Il Vangelo deve essere annunciato ad ogni creatura. Questo testo e molto espressivo per Padre Jordan. La 22 SD III 20,2. Lettera di F. Jordan a P.Cristologo Raich DSS 10, 480 translation Miriam Cerletty. 24 SD I 138,6-7. 25 SD I 159°,6. 26 Apostolic Teaching Society 1881 (ATS 1881) DSS IV 21 translation Mailings 1-C-1 p.2. 27 SD I 190,3. 28 The Missionary Magazine October 1881 libera traduzione. 29 ATS 1881 DSS IV 30 translation Mailings 1-C-1 p.14-15. 23 11 proclamazione universale della salvezza deve essere la caratteristica che c’identifica.30 Nessuno deve essere escluso a causa della sua origine, nazionalità, razza, condizione sociale o per qualsiasi altra ragione. Quello che è importante è la persona da salvare. Ogni altra cosa è relativa. Con amore inclusivo. Noi proclamiamo il messaggio di salvezza cercando di coinvolgere in questa missione tutti senza discriminazione di razza, colore, sesso, età, nazionalità o condizione sociale. Opzione per la vita. Noi scegliamo la vita per tutti. Questo implica anche che ci serviremo di una varietà di mezzi per lo scopo (attività apostoliche, risorse umane e finanziarie). Alcuni testi biblici complementari I seguenti testi biblici sono spesso presenti nella prima letteratura Salvatoriana. 1Cor 13 Quand’anche io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, se non ho la carità, …La carità è longanime, la carità è benigna, non è invidiosa, la carità non si vanta, né si insuperbisce … Mt 28:19a Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli .. 1Tm 2: 3-4 E’ cosa buona questa e gradita al cospetto di Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Gv 13:34 Vi do un Comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda: amatevi l’un l’altro come io ho amato voi. Gv 13: 2-15 E durante la cena .. depone la veste, e preso un asciugatoio, se lo cinse. Poi versa dell’acqua nel catino e incomincia a lavare i piedi dei discepoli ... Io infatti, vi ho dato l’esempio, affinché come v’ ho fatto io, facciate anche voi. GV 10:16 Ed ho altre pecore, che non sono di quest’ovile; anche quelle bisogna che io guidi; e daranno ascolto alla mia voce, sicché si avrà un solo gregge e un solo pastore. Risposta di Padre Jordan e nostra "L’obiettivo di questa Società è che …. lavorino e si dedichino intensamente, impegnandosi …...in qualsiasi posto del mondo in cui la gloria di Dio lo richiedesse, secondo le parole del nostro Signore Gesù Cristo. "Andate a tutte le genti e insegnate loro ...”31 “I membri devono, con zelo e saggezza, usare l’esempio, la parola scritta e parlata, tutti i mezzi e modi che la carità di Cristo ispira, per far conoscere a tutti e per glorificare ovunque Dio Padre, il Suo Figlio Gesù Cristo e lo Spirito Santo e così salvare le anime immortali”.32 Tenete sempre ben in mente questa universalità. Così la Società non è destinata per l’Italia o la Germania ma per tutte le nazioni ….. Come la Società non è limitata ad un 30 Vedi Esortazioni e Ammonizioni di P. Francesco Jordan (EA) New Holstein 1963 p.100. Smyrna Document, 180 p.7. 32 Rule and Constitution of the Catholic Teaching Society 1886 (CTS 1886) DSS I 47. 31 12 luogo, così nemmeno è limitata solo ad alcune classi sociali …. Ricordate bene che se vi allontanate da questo spirito (l’universalità) potreste trascurare la natura essenziale della Società”.33 Ispirati dall’amore di Cristo che morì per noi tutti, la Società come una madre amorosa, accoglie con amore materno le figlie chiamate da Dio da tutte le parti del mondo. In questo modo, continua la sua missione di estendere la carità e l’apostolato a tutte le genti di ogni lingua e nazione.34 Tutti, o Padre, tutti, tutti, o Dio, tutti o Gesù, tutti o Salvatore del mondo, ardentemente desidero salvare!35 Tutti i popoli, tutte le nazioni, tutte le razze, tutte le stirpi, tutti gli uomini, verso tutti sei debitore! Non vogliate riposare finché tutti non conoscano Gesù Salvatore, lo amino e lo servano.36 5. Opzione per i piccoli Daniele 12:3 Ma il saggio splenderà luminosamente, come lo splendore del firmamento, e quelli che conducono i molti a giustizia saranno come le stelle per sempre. L’opzione per i piccoli è un’idea molto forte in Padre Jordan ed è molto presente nei suoi scritti. Nelle prime regole, statuti ed altri scritti si trovano spesso Dn 12:3 a fianco di GV 17,3. Per l’evangelista Giovanni, la vita eterna è conoscere Dio. Per Daniele, i saggi sono quelli che conoscono Dio.37 Sono questi che trasmettono il messaggio di giustizia a tutti. Così noi vediamo che conoscere Dio è strettamente legato con far conoscere Dio. Lo stesso concetto lo ritroviamo nel Patto di Padre Jordan.38 Conoscere Dio in Dn 12:3 significa insegnare la giustizia del Regno di Dio. La vera carità cerca soprattutto la giustizia. Carità presuppone giustizia per, e con i “piccoli”, che poi sono i poveri e gli emarginati. Quelli che insegnano la giustizia brilleranno come le stelle per sempre. Questo identifica quelli che camminano sulla strada del Regno di Dio. Gv 17:3 afferma che la vita eterna consiste nel conoscere il vero Dio, che è misericordioso e che salva. Dn 12:3 dà questo messaggio: felici sono quelli che si prodigano per i piccoli che piangono per la giustizia. 33 EA 148 Rule Second Order Catholic Teaching Society 1888 (CTS 1888) libera traduzione 35 SD II 12,5. 36 SD II 70,5-6. 37 Dn 11:33. 38 SD I 202-204. 34 13 Alcuni testi biblici complementari Lc 4: 18-21 Lo Spirito del Signore è su di me, per questo egli mi ha unto, per annunziare la buona novella ai poveri .. Mt 5: 3-12 Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli … Mt 25: 35-36 Perché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, fui pellegrino e mi albergaste, ero nudo e mi rivestiste, infermo e mi visitaste, carcerato e veniste a trovarmi. Lc 6:36 Siate dunque misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Lc 10:27 Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso. Mt 6:33 Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date per giunta. Risposta di Padre Jordan e nostra Carissimi: insegnate a tutti i popoli, specialmente ai bambini [ i piccoli], a riconoscere il vero Dio e colui che egli ha mandato Gesù Cristo …. Questa è la volontà di Dio, carissimi, che tutti conoscano le verità eterne. Vi scongiuro a non esitare di far conoscere l’intero disegno di Dio, così che possiate dire con San Paolo: Io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero ….Vi esorto a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza ….39 Lasciate i piccoli venire con voi e siate le loro madri spirituali; nutriteli con il latte del divino insegnamento e cercate di conquistare questi agnelli per il vostro Sposo Divino, Gesù Cristo, che vi ricompenserà per l'eternità. Quelli che istruiscono i molti nella giustizia, splenderanno come stelle in eternità (Dn12:3). Per conquistare tutti per Dio, siate madri misericordiose per il misero, l'infermo, il povero, per quelli in cui vedeste Cristo… Vi esorto a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza … 40 Io sospetto che noi non possiamo menare una vita devota nel mondo senza un attivo impegno con i poveri.41 Mostrati però molto amabile, comprensivo, misericorde verso i poveri, malati, emarginati ed abbandonati ….42 Conclusione Gv 17,3 e Dn 12:3 si completano l’uno con l’altro. Nelle Regole dell’Apostolato per il 1° Ordine del 1884, Padre Jordan conferma che la missione deve essere condotta alla luce di Gv 17,3. Nelle Regole per il 2° Ordine, mette in luce DN 12:3. Confrontandosi con 39 Rule of the Apostolate for the 1st Order CTS, 1884, DSSI 29-44 Rule of the Apostolate for the 2nd Order Catolic Teaching Society, 1884 AGS-E, IV, translation Mailings II-B-2.3 p.2. 41 SD I 105,1. 42 SD I 133,5. 40 14 enormi difficoltà nel suo tentativo creare una società con rami diversi, ha presentato la missione con aspetti diversi per il 1° e il 2° Ordine della Società. Ma in verità queste si completano l’una con l’altra. Conoscere Dio e insegnare la giustizia sono due aspetti inscindibili della missione Salvatoriana. Il carisma Salvatoriano è stato ispirato dai quattro testi richiamati all’inizio di questa relazione. Nella letteratura Salvatoriana, come abbiamo già visto, troviamo molti altri passi delle sacre scritture che, ci aiutano a comprendere esattamente lo spirito di questi quattro testi fondamentali. Questi poi devono essere letti identificandoci in quella che era la cultura letteraria dei primi tempi della vita Salvatoriana. Tra tutti i testi biblici complementari, due emergono in particolare. Padre Jordan li cita ripetutamente. Quand’anche io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli …. Se non ho la carità sono un niente. (1Cor 13) Il comandamento di amare Dio ed il prossimo compendia tutti gli altri comandamenti del Decalogo. P. Jordan si riferisce spesso a questo comandamento e ci ricorda che l’amore universale deve caratterizzare la nostra vita e la nostra missione. Ispirato da 1Cor 13, ripete che, amare quelli che hanno più bisogno di vita, deve essere il criterio di base nella scelta delle nostre attività di apostolato. La Famiglia Salvatoriana, nel prendere le decisioni che riguardano l’apostolato, deve mettere da parte ogni considerazione di razza, nazionalità, regione e condizione sociale. Il nostro impegno deve essere rivolto verso quelli che sono i più bisognosi. Ma quando si è mostrata la bontà di Dio Padre, nostro Salvatore, e il suo amore verso l’uomo, egli allora ci ha salvati. (Tito 3:4) Quando San Paolo si è dato totalmente a Gesù Cristo con il battesimo, ogni cosa nella sua vita è cambiata. Dunque non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me.43 Padre Jordan potrebbe dire le stesse parole. Anni dopo come Salvatoriano, anche lui direbbe ai suoi figli e figlie spirituali che la bontà e la dolcezza di Dio dovrebbe distinguere profondamente la nostra missione e la nostra spiritualità. 43 Gal 2:20. 15 DANIELE 12:3 COME TESTO FONDAMENTALE NELLA SPIRITUALITA SALVATORIANA Sr. Carol Leah Thresher SDS Ma il saggio splenderà luminosamente, come lo splendore del firmamento, e quelli che conducono i molti a giustizia saranno come le stelle per sempre. 1 I. Introduzione Negli anni recenti noi Salvatoriani di tutto il mondo, abbiamo sentito l’esigenza di conoscere più profondamente i fondamenti biblici della nostra spiritualità. Questo impulso è nato dalla scoperta di quei testi a cui il nostro Fondatore, Francesco Maria della Croce Jordan, ha molto spesso rivolto l'attenzione all’inizio della sua ispirazione. Quando Padre Jordan scrive il suo Diario Spirituale e le linee guida della sua idea di fondazione, riporta molti riferimenti alle scritture, quattro brevi citazioni si evidenziano tra queste:2 Giovanni 17:3, Matteo 28: 19-20, Marco 16:5 e Daniele 12:3.3 Ho fatto dei lavori di ricerca, ma nei testi della letteratura salvatoriana non sono stata in grado di trovare nulla in relazione al libro di Daniele.4 In questa relazione spero di fare un piccolo passo in avanti per rimediare a questa situazione. Sono fiduciosa che altri vorranno unirsi a me per recuperare Daniele 12: 3 per i Salvatoriani d’oggi. Per contenere la lunghezza del testo, ho omesso la prima sezione della mia iniziale ricerca che riguarda uno studio esegetico di Daniele 12:3 ed una veduta d'insieme di 1 Daniele 12:3 New American Bible. Vedi Allegato 2 per le altre interpretazioni. Francesco Maria della Croce Jordan , Diario Spirituale (SD), traduzione di Miriam Cerletty (Roma:Salvator Mundi, 1981). E’ importante notare qui che tutti gli scritti e le conferenze di Jordan nascono con diretti e indiretti riferimenti biblici, parole e immagini. Uno sguardo all’indice biblico del suo Diario Spirituale evidenzia questo particolare aspetto. Il biografo di Jordan, Peter van Meijl ha spesso detto che la bibbia è la madre lingua di Jordan. Molto lavoro richiede di essere fatto su questo aspetto biblico della spiritualità di Jordan, che troviamo sia nel Diario sia nei documenti originali della fondazione. Per i riferimenti biblici, nel diario di Jordan si possono consultare gli eccellenti indici di due recenti pubblicazioni del Diario. L’edizione Brasiliana del diario (Sao Paulo: CIS-12,1996) [13] – [28] e la edizione 1999 facsimile e trascrizione del diario (Regensburg-Rom: Schnell and Steiner, 1999) 879-889. 3 Vedi Allegato 1 per il testo di queste citazioni. 4 Su Giovanni 17:3 e come nei due testi tratti da Marco e Matteo vedi Peter van Meijl, “Toward a Salvatorian Christology,” Contributions on Salvatorian History, Charism, and Spirituality, vol. 1 (Milwaukee: 1993) 95- 107. Ed anche su Giovanni 17:3 vedi Carol L. Thresher, “Toward a Wholistic Salvatorian Spirituality: Knowing the One True God and Jesus Christ,” Contributions on Salvatorian History, Charism, and Spirituality, vol. 2 (Milwaukee: 1996) 3-24. 2 16 come si colloca nella letteratura apocalittica.5 Nella versione condensata che segue, mi sono limitata ad una lettura più precisamente Salvatoriana di questo testo fondante. Per questo, voglio per prima cosa porlo tra i principali documenti Salvatoriani e provare a collocarlo nel suo ambiente storico. Da questo, arrivo ad alcune conclusioni preliminari su come Daniele 12:3 è stato di riferimento per il Fondatore. Infine, proverò a dare una risposta ad una domanda importante: cosa può dire oggi ai Salvatoriani. II. Daniele 12: 3 come testo fondamentale per i Salvatoriani. A. Presenza nella prima Letteratura Salvatoriana. Al fine di capire perché Daniele 12:3 è un testo fondamentale per i Salvatoriani, abbiamo bisogno di vedere dove e com’è stato applicato dal Fondatore. Voglio vedere come ha usato le citazioni bibliche sia nel suo diario personale sia nelle prime regole che ha scritto per la Società. Nella letteratura che ho a disposizione, ho trovato Daniele 12: 3 in sette testi tutti scritti tra il 1878 -1885. L’Allegato 3 riporta una lista completa delle date, località e contesto di ogni singolo testo; che voglio chiamare come Testo1, Testo2, ecc. Prima di iniziare, lasciatemi dire che Padre Jordan non ci ha mai detto perché ha usato queste citazioni, o tutte le altre citazioni, in questi suoi primi documenti. La prima bozza, che ha concepito di getto, della Società, contiene numerosi passaggi biblici [Testo1 e 3]. In ogni modo lo vediamo gradualmente affinare questo poco chiaro criterio che poi manca totalmente in piccoli testi [Testo 2 e 4]. Alla fine sceglie Daniele 12: 3 e Giovanni 17: 3 per metterli fianco a fianco sulla prima pagina dei suoi statuti per il Terzo Grado della Società [Testo 5]. Farà lo stesso per le altre due importanti citazioni fondamentali: Matteo 28:19-20 e Marco 16:5. 6 Seguendo questa logica credo che possiamo vedere come lo Spirito ha condotto Padre Jordan ad una maggiore chiarezza sulla sua fondazione attraverso questi quattro specifici versi delle Scritture. Sfortunatamente, dopo il 1885, troviamo pochi diretti riferimenti biblici nelle regole per i differenti rami della Società. 7 Considerato l'ampio uso delle sacre scritture del Fondatore, fino a questo momento, e l’uso ricorrente che ne fa nel suo diario personale, credo si possa facilmente concludere che questa marcata trascuratezza è il risultato del suo piegarsi alle pressioni esterne, per non pregiudicare l'approvazione ufficiale del gruppo. 5 Questo documento non è stato pubblicato e può essere ricevuto contattando direttamente Carol L, Thresher SDS. Il file elettronico può essere richiesto a [email protected]. Per quest’esegesi sono particolarmente obbligata nei riguardi del lavoro epico di John J. Collins, Daniel, A Commentary on the Book of Daniel (Minneapolis: Fortress Press, 1993). Matteo 28:19 lo troviamo sulla copertina del 1883 “Rule of the 3rd Grade of the Catholic Teaching Society,” Documenta et Studia Salvatoriana (DSS) II 211-234 e Marco 16:15 come introduzione al trattato del 1882 che riguarda la Società chiamata “Appeal” DSS IV 57. Per le altre presenze di queste due citazioni vedi van Meijl, Salvatorian Christology 100 n.14. 7 Questo è principalmente dovuto alla lotta sostenuta da Jordan per l’approvazione del suo gruppo da parte delle autorità del Vaticano. Sembra che queste abbiano conformemente rifiutato di approvare le regole che erano basate sulla Bibbia, forzando tutte le nuove fondazioni, incluso quella di Jordan, in un generico contenitore di diritto canonico. Questo sarebbe un tema interessante per uno studio più approfondito, in ogni caso è fuori dello scopo di questa relazione. 6 17 B. Il significato di Daniele 12: 3 1. Essenziale per l’idea originale di Padre Jordan. Dopo aver considerato l’interesse per Daniele12: 3, del Fondatore, penso sia ragionevole concludere che là deve aver preso alcuni elementi essenziali della sua visione originale. Questo perché lo ha sempre tenuto in mente, ed alla fine è venuto fuori come ha chiarito le sue idee tra il 1878-1885. Molti altri stupendi passaggi biblici non continuano allo stesso livello d’importanza, quando Jordan si muove verso la strutturazione del suo progetto di fondazione. Per esempio nel 1878 [Testo 1], Dn 12: 3 è uno di molti in un lungo elenco di citazioni. Dal 1880 nel Testo 3, è divenuto già il terzo punto fra otto nel suo Intentio Societatis. Qui è interessante che i primi due punti, in questo ruvido abbozzo, hanno a che fare con la su personale chiamata vocazionale (Mt 4:19 e Mt 19: 28), mentre il terzo cita Dn 12: 3 ed Atti 5: 20 "Andate, mettetevi nel Tempio e predicate al popolo tutte le parole di questa vita". Tutti e due hanno una evidente spinta apostolica. Vediamo questo stile intensificarsi tra il 1880-1881. Testo 2 e Testo 5 mettono Dn 12: 3 e Gv 17: 3 come citazioni bibliche introduttive prima di un più completo sviluppo del disegno della sua idea originale. Da questa collocazione si può dedurre che queste due citazioni dicono qualche cosa d’essenziale della natura del gruppo che si andava a delineare. 2. Collegamento organico a Giovanni Un altro aspetto che è necessario evidenziare è che quattro delle sette volte che troviamo le citazioni di Daniele, sono abbinate con Gv 17: 3 [Testi 3,4,5,6]. In tre di queste ricorrenze troviamo solo i due riferimenti biblici; questo porta a chiederci come siano in collegamento tra loro. Conoscere Dio è quello che conduce alla vita eterna. Nel libro di Daniele (11: 32), i saggi sono "tutti coloro che conoscono il loro Dio" ed avranno portato il messaggio di giustizia ai molti.8 Da questo penso che possiamo concludere che Daniele 12:3 precorre una puramente privata, individualistica, e non-biblica interpretazione della conoscenza di cui si parla in Gv 17:3. Conoscere Dio e far conoscere Dio sono coerentemente collegati ed è ovvio che Francesco Jordan non possa separarli nella sua vita personale.9 Il patto personale che ha fatto, e spesso rinnovato con Dio, tra il 1891 e il 1915, riflette quest’integrata comprensione della conoscenza.10 La Sua esperienza personale e l’impegno ad una attiva associazione con Dio, intendeva far conoscere Dio. E’ solo logico che cerchi di essere sicuro che questo collegamento intrinseco, tra un'esperienza personale di Dio e la missione della sua fondazione, fosse compreso con chiarezza da tutti nella Società. 3. Contesto della Missione La dimensione apostolica di Dn 12: 3 si fa ancora più chiara, quando vediamo due degli altri punti dove lo usa Padre Jordan. 8 Questa è la traduzioni di Jonn Collins di 11:32. La traduzione del Vulgate che Jordan ha usato per leggere Daniele è "et impii in testamentum simulabunt fraudulenter populus autem sciens Deum suum obtinebit et faciet", è questo che mi porta a credere che Jordan avrebbe fatto il collegamento che qui sto prospettando . 9 Jordan era addolorato dalla mancanza di una vera comprensione di Dio nel mondo. Vedi SD I 58. Non poteva riposare tanto a lungo quando "una persona sulla terra. non conosce Dio e non lo ama sopra ogni cosa. "SD II 1. 10 Jordan SD I 202-204 18 Già nel 1880 Donauwörth Draft [Testo 4], vediamo un passaggio nella missione, nei quattro testi citati sotto i Principles of the Society. Questi includono, Gv17: 3, Dn 12: 3, Atti 5: 20 (comparso già nel Testo 3) e Mt. 6: 33. Gli ultimi due sono testi di evidente senso apostolico, Atti: 5:20: "Andate, mettetevi nel Tempio e predicate al popolo tutte le parole di questa vita." Mt 6:33: " Cercate prima di tutto il regno e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date per giunta"11 La citazione di Daniele va bene in questo contesto e fa da collegamento con Gv 17: 3. Il concetto della centralità della missione in Dn 12:3, è rafforzato, quando noi vediamo com’è stato usato nel Sisters Rule del 1884 [Testo 7]. Per capire questo particolare documento, dobbiamo ricordare che in questo periodo il Fondatore è stato forzato dalle autorità del Vaticano ad abbandonare la sua idea di includere tutti in un unico gruppo, nel Primo Grado della Società. Ha dovuto rinunciare alla partecipazione dei laici in questo livello e dividere il suo gruppo, tra uomini e donne, in due tradizionali congregazioni religiose. Così nel 1884 ha scritto due brevi regole che erano in sostanza identiche nella loro enunciazione.12 La sola differenza nelle due regole è nel paragrafo sull'apostolato. Nella versione maschile della regola apostolica troviamo un paragrafo insistente e poetico, che comincia con Gv 17: 3 (linee 22-23) e la chiamata ad insegnare a tutti, specialmente ai più piccoli. Il paragrafo è pieno di vigorose frasi Paoline sulla proclamazione del messaggio. Il paragrafo per le donne si sofferma sull'aspetto pratico di operare per la giustizia. Cita Dn 12:3 (linee 7-8) e lo collega specificamente con il lavorare per portare la vita al povero (linee 8-11). Jordan poi collega quest’attività apostolica con la parabola potente dell'ultimo giudizio in Mt 25 (linee 10-11), dove Dio riconosce quelli che sono stati misericordiosi verso il più povero dei poveri. Come interpretare questi due paragrafi? Qualcuno potrebbe pensare che parlano solo di come, Padre Jordan concepisce missioni differenti tra uomini e donne. Data la dualistica considerazione antropologica della natura umana nel 19° Secolo, è giusto pensare che questa sia la risposta. Non è realistico aspettarsi che Francesco Jordan non abbia visto ruoli apostolici diversi per uomini e donne, il suo uso di un linguaggio materno (linee 5-6.9) sottolinea questa conclusione. Comunque se guardiamo i due paragrafi sull'apostolato come due parti di un tutto organico, questi sono visti con una luce diversa. Penso che il riferimento precedente di Jordan a Dn 12: 3 e Gv 17: 3 messi insieme creano un precedente per quest’approccio. In 11 Ho usato la traduzione NJB di Mt 6: 33 in quanto usa la parola giustizia invece di rettitudine. La traduzione del Vulgate, che Jordan ha usato, anch’essa usa justitiam. Credo che questa parola sia oggi per noi un messaggio importante. Dico questo perché sono consapevole che abbiamo bisogno di una migliore comprensione esegetica della parola giustizia; Jordan ha conosciuto la rettitudine non solo nei testi biblici, ma anche nel suo mondo. Questa è un'altra questione che dobbiamo lasciare per uno studio futuro. 12 Vedi Allegato 4 per i due paragrafi e i riferimenti. Le versioni originali di queste regole sono state fatte su cinque brevi paragrafi che riflettono l'ampia visione dell'ideale apostolico di Jordan. Le versioni per gli uomini e le donne erano identiche ad eccezione del paragrafo sull'apostolato. Per poter ottenere l'approvazione Jordan era costretto ad aggiungere alcune regolamentazioni particolareggiate che erano comuni alle costituzioni al momento approvate dalle autorità del Vaticano. Tipicamente queste aggiunte sono apostolicamente restrittive e riguardano materie di poco valore come: confessione settimanale, devozioni specifiche, colore degli abiti, ecc. Jordan introduce questa sezione che ha aggiunto ai suoi cinque paragrafi originali, con l'asserzione ".La prima regola per i membri, è la legge che è stata scritta nei nostri cuori dallo Spirito Santo. Comunque, perché è al volere di Dio che cooperiamo e perché le autorità della Chiesa lo desiderano, noi.... mettiamo.... i punti seguenti.." 19 questa luce le due regole apostoliche ci danno una più completa comprensione della pienezza della missione Salvatoriana. E’ annunciare il messaggio di salvezza, fare giustizia, animare gli altri a fare similmente. Tutti questi sono elementi essenziali di una vita integrata nella missione. E' il nostro testo di Daniele che rafforza il legame e rende possibile l'integrazione. Suggerirei che la sua presenza in questa regola apostolica ci dice quello che il Fondatore intende in questo senso. III. I Salvatoriani, oggi, possono trovare un significato in Daniele 12: 3? Ora veniamo alla domanda critica: è possibile per i Salvatoriani del 21° Secolo leggere Dn 12: 3 in una logica che oggi faccia una differenza? In altre parole è possibile o ancora importante, per i Salvatoriani d’oggi, scoprire il significato in questo testo fondante? O dobbiamo semplicemente prendere atto della sua esistenza, negli scritti di Padre Jordan, e quindi muoverci verso aspetti meno uggiosi delle nostre radici? In questa parte finale vorrei dare una risposta a questa domanda, iniziando con il dare a Dn 12:3 l’importanza che gli compete nella Spiritualità Salvatoriana d’oggi. A. Recuperare Dn 12: 3 Primo di tutto voglio prendere Wendy Wright, un autore di spiritualità, come guida nel processo di rivendicazione di questo testo.13 L'approccio di Wright allo spirituale classico, ci aiuta a tenere conto della distanza storica che troviamo tra Dn12: 3 e Padre Jordan, che lo ha utilizzato molto dopo, nel 19° Secolo. Ci spinge a "tirar via" parole, valori, immagini ed assunzioni che oggi non hanno significato e allo stesso tempo permettere di "rivelare" quegli elementi che possono a primo tempo apparire "spiacevoli" ma "che necessitano di essere vissuti e contemplati amorosamente, come erano, in modo che il nocciolo del significato religioso universale venga sgusciato dalla buccia della sua realtà storica".14 Seguendo la sua guida, il riscoprire Dn 12:3 ci richiederà discernimento, disciplina e creatività. La spiritualità di oggi offre spunti importanti da mettere in rapporto con Dn 12:3 come testo fondante. Tra questi ne vedo due, che sono particolarmente importanti per noi in questo momento storico. Prima di tutto, molti di noi non si trovano a proprio agio con un dualistico approccio alla natura umana, che presume essenzialmente ruoli distinti e complementari per uomini e donne. Oggi, noi realizziamo quella mutualità e reciprocità necessaria a permeare le relazioni tra i due sessi e la nostra comprensione della natura umana così che l'amore di Dio, di tutti, è riflesso nella diversità di come siamo e come viviamo insieme.15 Così, voglio suggerire che gli specifici ruoli apostolici dal 1884, di Jordan, devono essere intesi nella nuova luce che ho qui prospettato.16 Nelle parole di Wendy Wright, “The Spiritual Classics as Spiritual Guides,” The Way Supplement 73 (1992) 36-48. Wright, Spiritual Classics 42. 15 Per sapere di più su mutualità in genere ed un sommario di contribuzioni recenti da studiosi femministi sull'argomento vedi Dawn M. Nothwehr, Mutuality: A Formal Norm for Christian Social Ethics (San Franciso: Catholic Scholars Press, 1998). 16 A questo proposito le Suore del Divin Salvatore devono guardare le regole del 1884 attraverso una nuova luce. La questione storica della fondazione del ramo femminile della Società entra in gioco proprio qui. Il gruppo che ha ricevuto questa regola nel 1884, è stato separato ufficialmente da Jordan nell'ottobre del 1885. Quelle di Roma sono diventate le Suore della Madre Addolorata sotto la guida di Amelia Streitel e 13 14 20 Wright abbiamo bisogno di "mutare la pelle ", di lasciare il dualismo del passato e leggere le regole apostoliche con nuovi occhi. Se abbiamo letto i due paragrafi come parti ugualmente essenziali di un unico approccio alla missione, ci troviamo di fronte a problemi come: la necessità per gli uomini di essere educatori dispensatori di vita e operatori di giustizia; così come, la chiamata alle donne ad evangelizzare attivamente e pubblicamente predicare la parola. Forse la riluttanza delle Suore Salvatoriane dei tempi moderni ad abbracciare questa regola del 1884, come parte della nostra storia, è basata non solo in una domanda storica ma anche nella percezione, a livello interiore, che la sua diversa espressione tra uomini e donne è troppo restrittiva per oggi. Suggerisco che abbiamo bisogno di rileggere queste regole apostoliche e dar loro un significato nuovo per venirne fuori, da tutte e due, come in una singola unità. Queste hanno un messaggio unico per tutti i Salvatoriani. Un altro argomento che oggi avrà bisogno di una rilettura creativa, è la nostra capacità di capire cosa vuol dire: condurre o istruire altri nella giustizia. Qui entrano in gioco le intuizioni di educatori come Paulo Freire e Jean Piaget. 17 Oggi siamo arrivati a comprendere che la vera istruzione si realizza, quando quelli che la ricevono, impegnano attivamente la verità nelle realtà della loro vita. Il ruolo del saggio, nel libro di Daniele, prende una luce nuova, quando lo vediamo attraverso questa lente. L'applicazione di questo verso, nei tempi moderni, si muove in questa direzione. Una Spiritualità Salvatoriana del 21° Secolo deve vedere la missione più nella luce della facilitazione e della guida piuttosto che nell’elargire la verità sull'ignaro. Suggerirei che questo, di fatto, è più in armonia con la visione originale di Francesco Jordan, della vocazione cristiana presente in tutti i battezzati.18 La metodologia della missione Salvatoriana è far scintillare il "fuoco dell'entusiasmo" e "risvegliare .... la conoscenza in tutte le strade della vita", così che i nuovi apostoli liberano il loro amore in un mondo bisognoso.19 l'influenza del consigliere della Curia Mons. Giorgio Jacquemin. Il loro carisma ha preso una via decisamente Francescana. Comunque, Therese von Wüllenweber che si era unita al gruppo di Jordan nel 1882 è rimasto a Neuwerk, Germania e non si è voluta separare da Jordan e la Società Cattolica Istruttiva. E’ restata come membro, con voto privato, del gruppo che avrebbe seguito questa regola. In una lettera del gennaio 11,1885 a Therese, Jordan la spinge guardare alla regola come guida in " genuino zelo apostolico". Nel 1888, Therese sarà chiamata a Roma per collaborare con Jordan nel tentativo riuscito, di ristabilire il ramo femminile del gruppo. Questa volontà alla fine si realizza nella nascita delle Suore del Divin Salvatore. Noi Suore ufficialmente datiamo la nostra fondazione da questo secondo gruppo dall’8 dicembre 1888. E’ per questo che non abbiamo riservato molta attenzione a questa regola del 1884, che è un documento importante se si comprende la visione di Jordan. Per la lettera di cui sopra vedi Miriam Cerletty, Letter Dialogue Between Father Francis Mary of the Cross Jordan and Mother Mary of the Apostles: 1882-1907, Studia de Historia Salvatoriana Section 1.2 (Milwaukee: Sisters of the Divine Savior, 1997) 19. Per sapere di più sulla storia della fondazione del ramo femminile vedi Ulrike Musick: A Short Biography: Therese von Wüllenweber, Mother Mary of the Apostoles, Studia de Historia Salvatoriana Section 1.0 MM Trans. Maryclare Hart (Milwaukee: Sisters of the Divine Savior, 1994). 17 Paulo Freire, Pedagogy of the Oppressed (New York: Herder and Herder, 1970) e Jean Piaget, The Science of Education and the Psychology of the Child (New York: Orion Press, 1970). Vedi Bernard Lüthen, “The Apostolic Teaching Society 1881” (DSS IV, 17-34), trans.Mailing 1-C-1 (Rome: Salvator Mundi, 1979) 2. 19 Lüthen, ATS 1881, 2. 18 21 B. Il legame essenziale tra Conoscere Dio e Proclamare il Messaggio. Come già suggerito, sembra che ci sia una relazione organica tra GV 17: 3 e Dn 12: 3, da come li usa il Fondatore. Credo che sia assolutamente necessario per noi, oggi, riscoprire questa verità essenziale nella nostra vita. Durante gli ultimi 120 anni, lavorando duro nel mondo, i Salvatoriani hanno messo la loro umanità facendo rivivere gli ultimi due testi fondamentali, Mt. 28:19-20 e Mr 16: 15. Siamo stati lavoratori zelanti nel vigneto di Dio. In ogni modo, spesso abbiamo fatto questo senza attingere alla fonte di nutrimento del nostro carisma e spiritualità. Per una varietà di ragioni, abbiamo perso il rapporto consapevole tra questi due testi di origine e le altre due nostre scritture fondamentali: Gv 17: 3 e Dn 12:3. Solo recentemente siamo stati riportati al testo di Giovanni, comunque la sua importanza nel nostro vivere quotidiano è ancora molto tenue. Credo che oggi Daniele 12: 3 fornisca un legame importante che ha bisogno di essere compreso. La conoscenza che viene dall’esperienza ci coinvolge in una dinamica integrativa che tocca tutti gli aspetti della vita. Quando conosciamo Dio in questo modo, la vita si fa presente fra noi e intorno a noi. Questo è il centro di Gv 17: 3 per i Salvatoriani. Così se misuriamo le profondità di questa fonte biblica noi siamo mossi nello stesso tempo nella santità più profonda ed in una più autentica missione. Daniele 12:3 rileva questo, parlando della missione in termini di proclamazione e giustizia. Quando veramente conosciamo Dio, noi non possiamo solo aiutare, ma proclamare il messaggio con un corretto vivere.20 Questo ci muove da "un lavoro di missione" al vivere la missione in tutto quello che siamo e facciamo. Ho idea che quest’approccio integrale è assolutamente necessario per un 21° Secolo di rifondazione della visione di Francesco Jordan. Credo che recuperare Daniele 12: 3 è una parte importante del processo. C. Giustizia come Elemento Essenziale della Missione Salvatoriana. Dal Sinodo sulla Giustizia nel Mondo del 1971, siamo stati più consapevoli della natura essenziale della giustizia nello stesso messaggio del Vangelo.21 Questa presa di coscienza è riflessa nei documenti del recente capitolo Salvatoriano, nelle costituzioni ed altre dichiarazioni ufficiali.22 A mio avviso, il nostro approccio alla giustizia è stato più espresso dalla nostra risposta ai segni dei tempi, che dal radicamento nelle nostre tradizioni. Contrariamente ad alcuni, credo che troviamo una forte evidenza, nella visione originale del nostro Fondatore, di comprendere la giustizia come un elemento essenziale della nostra missione Salvatoriana. Daniele 12:3 è un esempio, che vorrei fare in questo caso. Padre Jordan non ha chiuso i suoi occhi né il suo cuore a quello che accadeva intorno a lui. Era consapevole della presenza del male nel mondo e questo lo ha mosso a compassione.23 Si è sentito chiamato a fare la differenza. Il Fondatore si vedeva come un 20 Geremia 22: 16. “Justice in the World: Synod of Bishops Second General Session”, November 30,1971, No. 6, Gospel of Peace and Justice, Catholic Social Teaching Since Pope John presentato da Joseph Gremillion (Maryknoll: Orbis, 1976). 22 Vedi: Sisters of the Divine Savior 1995 General Chapter Documents: Charism and Mission Statement; Chapter Ordinance on Salvatorian Response: Poverty and Global Concerns. Society of the Divine Savior 1995 VIII General Synod Mission Statement and 1994 Constitutions 205. 21 23 Jordan SD I 12. 22 partner attivo nel portare tutti nel Regno di Dio.24 Lui ha cercato di portare tutti e tutte le cose indietro, in giusta relazione con il Creatore. Questa è la spinta del Patto, la sua personale alleanza con Dio. Il collegamento specifico che Padre Jordan fa tra la citazione di Daniele e lavorare per giustizia è già stato spiegato nei punti precedenti. Egli vede un collegamento, e lo rende esplicito, nella Regola Apostolica per le Suore. Questo è il solo posto dove il Fondatore ci dà qualche indicazione di quello che vede in Dn 12:3. Suggerisco che possiamo portare questo collegamento negli altri punti che troviamo nel testo. Se facciamo questo, dobbiamo ammettere che quella giustizia è messa avanti a noi come un tema di base della nostra vita e missione Salvatoriana. IV. Conclusione. A chiusura di questo discorso, mi piacerebbe dire che sono venuta a conoscere alcune delle ricchezze di Dn 12:3 come testo fondamentale nel carisma di Francesco Jordan. Sono convinta che oggi quello merita un maggior studio, riflessione e preghiera da parte di tutti i Salvatoriani. Credo che possiamo, e necessitiamo, di muoverci verso una sua interpretazione più coraggiosa. Quando lo faremo, avremo fatto dei passi significativi nel nostro viaggio verso una più integrata spiritualità Salvatoriana. Dn 12:3 può stimolarci dandoci il virtuoso collegamento tra la nostra esperienza di Dio ed un impegno attivo per la giustizia a tutti i livelli della nostra vita. (25 Gennaio 2002; Chicago, IL,USA) 24 Jordan SD I 202-204. 23 DANIELE 12: 3 COME TESTO FONDAMENTALE NELLA SPIRITUALITA SALVATORIANA ALLEGATI Allegato 1 Carisma Salvatoriano Il carisma fondante è il dono specifico dello Spirito Santo dato a Padre Jordan per la Chiesa e per il mondo. Esso è radicato specialmente in quattro testi biblici che sono la chiave della sua vita e opera. Essi sono il nocciolo del carisma che Padre Jordan ha comunicato a tutti noi Salvatoriani. 1. Giovanni 17,3 “Questa è la vita eterna: che conoscano Te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato Gesù Cristo”. 2. Matteo 28,19-20 “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. 3. Marco 16,5 “Gesù disse loro: Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura”. 4. Daniele 12,3 “I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come stelle per sempre”. (Preso da “Il Carisma, la Missione, la Spiritualità e l’Identità Salvatoriana” documento pubblicato dalla Commissione Internazionale del Carisma. Roma 11 Maggio 2000) 24 Allegato 2 Daniele 12:3 The New American Bible Ma i saggi brilleranno luminosamente, come lo splendore del firmamento, e quelli che inducono i molti a giustizia saranno come le stelle per sempre. Revised English Bible I saggi condottieri splenderanno come la volta brillante di cielo, e quelli che hanno guidato i molti nel loro vero sentiero saranno come le stelle per sempre. The New Jerusalem Bible: Reader’s Edition I saggi splenderanno luminosamente come la distesa dei cieli, e quelli che avranno insegnato ai molti la rettitudine, splenderanno come stelle per tutta l'eternità. Collins Hermeneia Critical and Historical Commentary I saggi brilleranno luminosamente come lo splendore del firmamento e quelli che inducono i molti a rettitudine come le stelle per sempre. Latin Vulgate: Fischer, Bonifatio, et al. Edithors. Deutsche Bibelgesellschaft Stuttgart. (1969:). Qui autem docti fuerint fulgebunt quasi splendor firmamenti et qui ad iustitiam erudiunt multos quasi stellae in perpetuas aeternitates. Anchor Bible – 1978 Hartman Ma quelli che agiscono saggiamente brilleranno luminosamente, come la lucentezza del firmamento; e quelli che inducono i molti a rettitudine brilleranno come le stelle per sempre. New Revised Standard Version Quelli che sono saggi brilleranno come la luminosità del cielo e quelli che inducono i molti a rettitudine come le stelle per sempre. Christian Community Bible Quelli che acquistano la conoscenza brilleranno come la lucentezza del firmamento; quelli che hanno insegnato ai molti ad essere giusti splenderanno come le stelle per tutta l’eternità. 25 Allegato 3 DANIELE 12:3 NEGLI SCRITTI DI FRANCESCO JORDAN TRA IL 1878-1885 DATA POSIZIONE 1. 1978 SD I 99 1 2. 31 Luglio1880 Smyrna Text 2 3. Settembre 1880 SD I 158 3 4. Ottobre 1880 Donauworth Draft 4 5. 1881 Statutes for the 3rd Grade of the ATS 5 6. a volte tra il 188385 SD I 178 6 7. 1884 Sister Rule 7 CONTESTO La citazione appare con Giacomo 5:20. Sono entrambi fra un elenco di citazioni bibliche e citazioni dalle sue letture spirituali, scritte durante il suo anno al Seminario di San Pietro, prima della sua ordinazione a sacerdote nel 21 Luglio 1879. Scritta il Latino insieme a Gv.17:3 nell'introduzione alla bozza delle sue idee della nuova fondazione. Si trova in una lettera al suo amico e mentore Bishop William Massaia OFM,Cap. Scritta in Latino in una bozza della sua idea intitolata Intentio Societatis. Si trova al terzo punto insieme a Atti 5:20. Sembra che l’abbia scritta subito dopo la sua incoraggiante udienza con Papa Leone XIII. Una versione parafrasata con la citazione la troviamo nella sua bozza in Tedesco degli statuti per il nuovo gruppo. E’ sotto il secondo punto intitolato Principles che segue immediatamente un breve paragrafo sulla natura e lo scopo. E’ il secondo di quattro citazioni bibliche. Scritta in vernacolo sulla prima pagina del documento insieme a Gv. 17:3. In basso sotto le due citazioni troviamo in grassetto le parole: Tutto per Dio e con Dio per il bene degli altri. Ho visto i testi in Tedesco e Francese ma probabilmente c’è sicuramente in altre lingue. Scritta alcune volte in Latino dopo la prima professione religiosa di Jordan. Un’altra volta appare con Gv. 17:3 . Scritta con la citazione biblica nel paragrafo sull’apostolato. Il contesto è quello del portare la vita ai poveri. Io ho la traduzione del testo Tedesco. 26 NOTE PER ALLEGATO 3 1 Jordan, SD I 99. Per un riferimento completo vedi nota 3 nel corpo del testo. 2 Francesco Jordan, Smyrna Text Traduzione Familia Salvatoriana: 1 (1984) 7. 3 Jordan, SD I 158*. Francesco Jordan e Ludwig Auer, “Draft of Statutes of the Apostolic Teaching Society”, (DSS II) 69 translation Mailings I-B-1 (Roma: Salvator Mundi, 1980)1. 4 Francesco Jordan, “Statutes for the Third Class of the Apostolic Teaching Society” (DSS II) 97, translation Mailings I-B-1.3 (Roma: Salvator Mundi 1979) 5 6 Jordan, SD I 178. Francesco Jordan, “Rule and Common Regulations for the Sisters of the Catholic Teaching Society” (Archivio Generale delle Suore del Divin Salvatore E,IV 1219: Roma) traduzione Mailings II.B-2.3 (Roma: Salvator Mundi 1980) 2. Notare che il nome del gruppo è stato cambiato da Apostolic Teaching Society in Catholic Teaching Society a seguito delle insistenze delle autorità del Vaticano 7 Allegato 4 1. Regola delle Suore della Società Cattolica Istruttiva - 1884 SULL’APOSTOLATO Lasciate i piccoli venire a voi e siate le loro madri spirituali; nutriteli con il latte del divino insegnamento e cercate di conquistare questi agnelli per il vostro Sposo Divino, Gesù Cristo, che vi ricompenserà per l'eternità. Per quelli che istruiscono i molti nella giustizia, splenderanno come stelle in eternità (Dn 12: 3). Per conquistare tutti per Dio, siate madri misericordiose per il misero, l'infermo, il povero, per quelli in cui vedeste Cristo. Così è scritto: Quello che farai al più piccolo dei miei fratelli, lo hai fatto a me" (Mt. 25: 40). Mie sorelle, com’è immenso il vostro campo di lavoro; ma più grande ancora sarà quello che è preparato per voi in cielo. Lottate e andate avanti, così che non dovete perderli. Vi esorto a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, rimproverate con tutta la pazienza e l’insegnamento. Soprattutto, conservate tra voi una grande carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati. "Vi do un nuovo comandamento" dice il Signore, "che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi". Che tutte le vostre azioni siano compiute con amore. (Rule and Common Regulations of the Sisters of the Catholic Teaching Society” (Archivio Generale delle Suore del Divin Salvatore E,IV 121, translation Mailings II-B2.3 ). 27 2. Regola e Regole Comuni del 1° Ordine della Società Cattolica Istruttiva – 1884 SULL’APOSTOLATO Mie care: istruite tutte le nazioni, specialmente i bambini (i piccoli), a conoscere il vero Dio e colui che ha mandato, Gesù Cristo. Vi affido alla grazia di Dio e Gesù che giudicherà i vivi e i morti con la sua venuta e con il suo regno: proclamate la parola di Dio, insistete sempre, esortate con tanta pazienza ed insegnamento. Andate, e proclamate con perseveranza agli uomini tutte le parole di vita eterna. Annunciate e scrivete a tutti senza posa la dottrina celeste. Questa è la volontà di Dio, carissime, che tutti conoscano le verità eterne. Vi scongiuro di non esitare di far conoscere l’intero disegno di Dio, così che possiate dire con San Paolo: io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero. Non cessate giorno e notte, di ammonire l'un l'altra e tutti anche con le lacrime. Non lasciatevi sfuggire alcuna occasione per annunciare e insegnare a tutti, sia in pubblico sia di casa in casa. Vi esorto a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, rimproverate con tutta la pazienza e l’insegnamento. Soprattutto, conservate tra voi una grande carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati. "Vi do un nuovo comandamento" dice il Signore, "che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi". Che tutte le vostre azioni siano compiute con amore. (“Rule and Common Regulations of the 1st Order of the Catholic Teaching Society” 1884” DSS I 29-44. translation Mailings II-B-2.2 ). 28 LA NOZIONE SALVATORIANA DELLA SALVEZZA NEL CONTESTO DI GIOVANNI 17,3 Sr. Justine Mbuyi Mashila SDS In questi ultimi anni, noi, salvatoriani di tutto il mondo, siamo in procinto di vivere un momento molto decisivo per la nostra vita attuale e futura. Abbiamo attraversato un periodo d’interrogativi sulla nostra identità salvatoriana, vale a dire cercare di sapere chi siamo, cosa facciamo, da dove veniamo, dove siamo, ciò che vogliamo essere e fare e dove stiamo andando. Sono molte le domande che, grazie a Dio, ci hanno aiutato ad aprirci all’amore redentore che ci unisce alle nostre radici per continuare il nostro cammino salvatoriano in tutta coscienza e con gioia. Stante così la situazione, dobbiamo ringraziare la Commissione Internazionale del Carisma che ci ha aiutato a trovare gli elementi chiave del nostro carisma, della nostra missione e della nostra spiritualità.1 Il nostro contributo al lavoro della Commissione Internazionale del Carisma verterà sulla nozione salvatoriana della salvezza partendo da uno dei quattro passaggi biblici che costituiscono il fondamento del nostro carisma, Giovanni 17,3. I. La volontà salvifica di Dio Fin dalla creazione Dio ha voluto che l’uomo potesse partecipare al suo amore ed alla sua gioia. Egli dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” (Gv 1,26). Così che l’uomo nella sua vita non avrà mai la vera gioia e la pace se non avrà il senso profondo di comunione con la trascendenza da cui originano le proprie radici. La nostra realtà è fondata sulla comunione con Dio, poiché Dio ha creato l’uomo come un altro se stesso. Essendo relazionale, l’uomo trova soddisfazione nella misura in cui egli vive in Dio. Nel corso della storia Dio ha sempre accompagnato l’uomo, offrendogli anche le occasioni per ritornare a lui. E’ per ciò che noi vediamo che l’uomo è sempre alla ricerca dell’Assoluto su cui è fondato. Dio ha voluto che costui fosse salvato e partecipasse pienamente alla sua gioia. II Contesto storico Il nostro mondo contemporaneo, come quello in cui è vissuto Jordan, sono dominati da una forte tendenza al disprezzo dell’uomo in favore della modernità e della tecnologia. Per illustrare rapidamente la situazione del XIX secolo, prenderemo l’esempio della Germania, paese del nostro Fondatore. Durante questo secolo e soprattutto nella seconda metà, tutto il continente europeo tendeva a secolarizzarsi. In Germania, c’era una forte tensione tra lo Stato e la Chiesa. La religione e in particolare la chiesa cattolica era 1 Commissione Internazionale del Carisma, Elementi Chiave Salvatoriani, Società del Divin Salvatore, India, 2002, (Numero 1) pag.4. 29 considerata come un mezzo per tenere addormentata la popolazione. Essa è stata accusata di un conservatorismo ben noto che costituisce un freno allo sviluppo, alla modernizzazione. E’ effettivamente in tale contesto socio-culturale e religioso che è vissuto Jordan ed in cui è nata l’idea della fondazione che ha infine visto la luce a Roma nel 1881. Il nostro Fondatore si trova in una situazione in cui non c’è posto per la parola di Dio. La Chiesa da parte sua non si stanca, ma raccoglie tutte le sua forze per difendere la fede e continuare la sua missione ricevuta da Cristo. Organizza delle Giornate cattoliche con l’obiettivo di “riunire in un fronte comune tutti i membri dell’azione cattolica ed unire le forze di tutte le associazioni cattoliche allo scopo di influenzare e guidare l’opinione pubblica”.2 Il nostro giovane Fondatore si dà anche come ideale quello di fondare un’associazione di uomini e donne con lo scopo apostolico di promuovere, incoraggiare e difendere la fede cattolica che era in pericolo. Il compito di questa associazione è rispondere alla domanda rivolta da nostro Signore Gesù Cristo al Padre Eterno prima della sua passione: la vita eterna è questo, Conoscere te, l’unico vero Dio e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo (Giovanni 17,3). Con l’aiuto della grazia di Dio, la Società si dedicherà non solo alla salvezza personale, ma con uguale fervore all’educazione ed all’istruzione (…) affinché tutti gli uomini senza alcuna distinzione, riconoscano sempre più il vero Dio e colui che egli ha inviato: Gesù Cristo.3 Egli vuole salvare l’uomo che è accecato dal movimento del modernismo e del secolarismo. La fine del XX secolo e l’inizio del XXI vedono nascere anche un’altra visione del mondo, la globalizzazione con tutti i suoi lati buoni e meno buoni. La tecnologia avanza al galoppo e noi siamo molto riconoscenti per tutti gli sforzi tecnologici. Il mondo è diventato un grande villaggio in cui le informazioni passano a velocità molto elevata. Tuttavia questa situazione non passa senza lasciare delle tracce. Viviamo di nuovo in un mondo in cui è la tecnologia che trascina l’uomo nel suo ritmo, imponendogli così la sua cultura. Noi possiamo ancora porci la questione di sapere qual è il posto della persona umana in questo nuovo mondo. Può egli ancora ritrovare la propria dignità? Ha egli ancora tutto il proprio valore o è la tecnologia che prevale su di lui? Ecco tante domande che noi possiamo porci oggi e che il giovane Jordan s’è posto nella sua epoca. L’uomo in quanto immagine di Dio, possiede ancora tutta la sua dignità umana o invece è stato disumanizzato, perché ora è lui che serve la natura invece di essere questa a servire lui. Come Jordan, anche noi vogliamo entrare oggi nei piani di Dio che ha voluto che l’uomo sia salvato. Che significa allora questa salvezza per la quale noi, in quanto Salvatoriani, vogliamo impegnarci? Thomas Malal “Père Jordan, Père Spirituel. Une lecture Historique et Hermèneutique, Rome 2000, p.14. (Mémoire de Licence en Teologie). 3 Peter van Meijl, Notre fondateur, un prophète, Heverlee. 1995, p.198. 2 30 III La nozione salvatoriana della salvezza I termini “salvezza” e “Salvatore” appaiono nella Bibbia in due situazioni fondamentali di sconforto: la malattia e la servitù. Nella malattia, la persona fa esperienza della sua precarietà in quanto la sua vita è in pericolo e la morte incombe. La malattia può condurla alla morte che è una separazione da questo mondo. Ma se la persona si riprende la salvezza significa per lei la salute e la medicina che l’ha guarita è considerata come il suo salvatore. Nella Bibbia, la malattia è segno del peccato dunque separazione dalla sorgente vitale che è Dio. La liberazione dalla malattia del peccato, come è il caso della lebbra, è anche segno di salvezza. Nel guarire i malati Gesù dona loro la salute fisica e la liberazione dal peccato. Infatti, Gesù si mostra ed è allo stesso tempo Salvatore e salvezza, perché egli dona la salvezza integrale dell’uomo nel restituirgli la salute fisica e nel perdonargli il peccato. La questione che ci riguarda è ora quella di sapere il senso della salvezza nel contesto di Giovanni 17,3, che costituisce per noi un testo di base del nostro carisma. “Ora, la vita eterna è questo: conoscere Te l’unico vero Dio, e conoscere colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo”. La vita eterna è una vita di comunione profonda con Dio. Si tratta di riprendere il progetto che Dio ha avuto per il mondo da prima della creazione. Conoscere Dio significa relazionarsi con lui in modo personale e intimo. E’ entrare in un clima di amicizia con Dio e trovare in lui la gioia e la pace profonda. Vediamo in modo sommario cosa possiamo sapere della salvezza e del Salvatore nella persona di Gesù Cristo. Giacché il nostro testo di base è contenuto nel Vangelo secondo Giovanni, consideriamo cosa significa essere salvato in tale contesto. Nel quarto vangelo (scritto tra il 90 e il 100) Gesù è “ il Figlio eterno di Dio, il Logos che pianta la sua tenda tra gli uomini, per essere il cammino, la verità e la vita, il pane e l’acqua viva”. Questo vangelo non presenta solamente un verbo (attore della salvezza) in cui bisogna credere (o conoscere secondo la terminologia di Giovanni) senza riferimento a un’esistenza storica. Esso attesta che il Salvatore non è un essere mitico la cui esistenza è puramente simbolica. E’ una personalità che si è manifestata nella storia in un luogo ed in un tempo ben definiti e verificati. Nel precisare lo scopo di questo vangelo, in Gv 20,30-31, Giovanni “da al titolo di Cristo un significato nuovo: egli descrive un messia che è il Figlio stesso di Dio. 4 Per i giudei il titolo “Figlio di Dio” è ammissibile solo nel legame di dipendenza e filiazione naturale tra Gesù e Dio. Però tutti sapevano bene che Gesù è il figlio del falegname di Nazareth. Noi osserviamo che nel quarto Vangelo Gesù è Figlio di Dio per il modo con cui egli parla di suo Padre. Nel definirsi come tale, egli rivela suo Padre. In altre occasioni nello stesso Vangelo, Gesù si definisce come Figlio dell’uomo, precisamente nel momento della sua passione (Gv 12,34). E’ “la confessione della vera umanità di Gesù e (…) un 4 Taylor V. La personne de Jésus dans le Nouveau Testament, Paris Cerf, 1983, p.28 31 altro nome della umiltà del Figlio di Dio”.5 E la rivelazione s’è realizzata soprattutto con l’intervento salvifico del Padre in Gesù, che incarna e realizza perfettamente tutto il progetto salvifico. D’altra parte come Gesù è il Verbo che si è fatto uomo, lui è anche l’essenza di tale verbo: vale a dire Dio da Dio, perché è il Figlio di Dio generato non creato. “Il fatto di essere il Figlio di Dio segna in questo vangelo la comunione d’essere e d’amore, del Padre con il Figlio, comunione in cui egli si manifesta agli uomini”.6 In lui, come Figlio, la Parola originale si è manifestata storicamente nel mondo. Così come il Padre, il Figlio ha la vita in se stesso (Gv 5,21), ha l’autorità per giudicare (Gv 5,22), ed il merito di essere onorato come lui (Gv 5,23). Quando donano la vita eterna, il Padre ed il Figlio sono un tutto unico (Gv 10,30). Giovanni “non spiega le relazioni reciproche del Padre e del Figlio se non con l’insistenza sull’amore che li unisce (cfr 17,24)”.7 Gesù Cristo, Figlio di Dio, Verbo incarnato viene per soddisfare i bisogni più profondi dell’uomo nella ricerca di una comunione con Dio. Per dire ciò l’evangelista Giovanni ricorre a molteplici espressioni di cui le più importanti traducono ciò che il Signore dice di se stesso: il Pane della Vita (Gv 6,35), la Luce del mondo (Gv 8,12), la Porta delle pecorelle (Gv 10,7). Il Buon pastore (Gv 10,11), la Resurrezione e la Vita (Gv 11,24), la vera Vigna (Gv 15, 1), la Via, La Resurrezione e la Vita (Gv 14,6). Così dunque, Gesù è l’unico e vero Signore dell’uomo nella misura in cui lo renderà completamente libero. Nessun altro può salvare come Gesù Cristo, Figlio di Dio. Ciò che viene detto di Gesù qui, si ritrova nelle lettere di Giovanni. In 2Gv 7, Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. Come nel Vangelo, il titolo “Signore” è sostituito da quello di “Figlio” e tutti gli altri appellativi che vi si collegano. Per l’autore delle lettere Gesù è prima di tutto il Figlio di Dio (1 Gv 5, 11-12) e come tale questo titolo è più espressivo di quello di “Signore”.8 La natura umana del Verbo è sottolineata con forza: ciò che è esistito dall’inizio di tutte le cose, noi l’abbiamo sentito, l’abbiamo visto, l’abbiamo guardato e le nostre mani l’hanno toccato e noi ve lo annunciamo. E’ questo il Verbo, Gesù, Figlio di Dio. L’autore scrive per mettere in guardia i suoi lettori dal pericolo delle false dottrine. Si potrebbe affermare che la vera dottrina è quindi che Gesù. Figlio di Dio, verbo fatto uomo è il Salvatore dell’umanità. Colui che vuole essere salvato deve credere in lui, dovrà arrivare a conoscerlo ed a vivere di lui (Gv 17,3). III. 1 La salvezza come liberazione dall’ignoranza Scorrendo il diario personale del nostro Fondatore, notiamo che egli torna spesso sulla questione della salvezza delle anime. Questa salvezza significa, in primo luogo liberare la persona dall’ignoranza dandogli una buona istruzione spirituale ed intellettuale affinché sia in grado di distinguere. CH. Duquoc, Cristologie. Essai dogmatique, I, l’homme Jésus, Paris Cerf, 1968, p.196. Schlier H. Essai sur le Nouveau Testament, Paris, Cerf, 1998,p.295. 7 Taylor V. Opera citata, P.113. 8 Taylor V. Opera citata, P.132. 5 6 32 Oh l’ignoranza degli uomini sulle cose di Dio! (SD I 170,3). Come un terreno, benché fertile, non può essere fruttuoso se non viene coltivato, così è l’animo senza la dottrina (SD I 170,6). L’istruzione è necessaria nel mondo contemporaneo, in cui viviamo tante ingiustizie ed una nuova forma di schiavitù soprattutto con la mercificazione della donna e lo sfruttamento dei bambini. Attraverso l’istruzione e l’educazione, l’uomo arriva a conoscere i propri diritti e così sarà in grado di difendersi davanti all’ingiustizia sotto tutte le sue forme e di impegnarsi anche per la liberazione degli altri. III. 2 La salvezza come liberazione fisica e spirituale La salvezza che noi vogliamo portare all’uomo, riguarda tutta la persona. Bisogna liberarlo dalle sue sofferenze fisiche e spirituali. Spesso quando parliamo della povertà, noi pensiamo, senza volerlo, alla povertà materiale. Sì, aiutare l’uomo a superare questa dimensione è molto importante perché essa stessa è motivo di tante altre alienazioni. Ma portare conforto alla sofferenza sia fisica sia spirituale è una delle urgenze dei nostri tempi. Questa è stata una preoccupazione del nostro Fondatore che noi vorremmo fare nostra oggi. Consola gli afflitti, specialmente quelli che sopportano gravi mali psichici, non dimenticare mai che compi un’opera molto gradita a Dio; l’eterno Padre ha invero mandato al divin Figlio nell’orto degli ulivi un angelo dal cielo per confortare il Salvatore, triste fino alla morte, e tu vorresti venir meno ai tuoi simili malati? (SD I 114,2). Se vogliamo rispondere all’appello di Dio nella nostra situazione attuale, dobbiamo anche avere il coraggio di tornare alle nostre radici per attingervi la forza necessaria affinché noi diventiamo portatori di salvezza a tutti gli uomini e per tutti gli uomini. IV Conclusioni Da tutto ciò, la conoscenza del Solo vero Dio e di colui che egli ha mandato sarà una liberazione fisica, spirituale e morale per l’edificazione di un mondo in cui regna la pace, la giustizia e l’amore e, quindi, noi potremo parlare della vita eterna. Perché noi dobbiamo formare un uomo concreto, questo uomo che è privato dei propri diritti, questa donna che è diventata oggetto di commercio, questo bambino che è sfruttato e non ha più speranza nell’avvenire. Tutti questi uomini e queste donne e questi bambini che soffrono nel corpo e nell’anima su questa terra, hanno bisogno di salvezza. 33 LA NOSTRA VOCAZIONE P. Mario Agudelo Roldán SDS “Noi salvatoriani veniamo chiamati e inviati con la missione di annunciare con la nostra vita e le nostre opere il messaggio evangelico, come indicano gli elementi chiave del nostro carisma.”1 I. Significato della chiamata per la nostra vita Riflettiamo probabilmente lungo tutta la nostra vita sul significato delle parole chiamata, vocazione, professione, risposta, patto, alleanza, fedeltà, come su quello di altri termini affini a quelli appena citati. È tuttavia necessario analizzare e sviscerare il significato profondo della realtà di fede che queste parole serbano, dal momento che oggi si abusa spesso del termine ‘chiamata’. Quando una persona accende il telefono cellulare sa che da quel momento in poi potrebbe essere chiamata in qualunque momento, da chiunque e per qualsiasi questione... Anche la tecnologia può contribuire ad attenuare il significato profondo della parola ‘chiamata’. Quando parliamo di chiamata andiamo a toccare un punto essenziale della nostra vita. La chiamata segna in maniera talmente netta la nostra esistenza, da determinare la nostra stessa identità e la professione che svolgiamo (di qui la somiglianza fra vocazione e professione). La chiamata ci spinge alla rinuncia (perché scegliere è rinunciare), schiude dinanzi a noi strade e prospettive mai immaginate prima e ci può spingere verso la realizzazione personale o la rovina, verso l’impegno o la rinuncia, ci può far dare la nostra vita per gli altri come pure far diventare mendicanti dell’affetto altrui, e così via. Quando si parla di chiamata, si parla di persone. Solo le persone vengono chiamate e solo le persone possono rispondere liberamente ‘sì’ o ‘no’ alla chiamata. Fra chi chiama e chi risponde sussiste un rapporto dialogico. I latini direbbero: Deus vocat et homo invocat (Dio chiama e l’uomo prega). Il significato più profondo della preghiera è quello di invocare qualcuno. La preghiera non è solamente la risposta momentanea di chi è chiamato (“vocatus”) a chi chiama (lo stesso Essere che dà la vocazione). La preghiera è innanzi tutto l’atteggiamento costante di chi vive grato per essere stato chiamato e di chi chiede di poter compiere proprio la missione a lui affidata al momento della chiamata. La chiamata autentica ha inoltre un netto risvolto sociale. Si viene chiamati a servire. Una persona non è mai chiamata per fini esclusivamente personali. La storia delle grandi 1 Elementi chiave. (Missione Salvatoriana) 34 vocazioni (quella di Cristo o di Maria, quella dei patriarchi, dei re o dei profeti, quella degli apostoli o dei fondatori) è sempre la storia di vite dedicate al servizio della gente, che a volte giungono anche al martirio o alla morte proprio per quello spirito di servizio. Dio chiama sempre uomini e donne perché si pongano al servizio del prossimo. Ezechiele (34) ci dice che Dio disprezza i pastori che trascurano le pecore e pascono solo se stessi. “Dice il Signore Dio: ‘Guai ai pastori di Israele che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse, né siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza’… Perciò pastori, ascoltate la parola del Signore: Com’è vero ch’io vivo, - parla il Signore Dio – poiché il mio gregge è diventato una preda e le mie pecore il pasto d’ogni bestia selvatica per colpa del pastore e poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge – hanno pasciuto se stessi senza avere cura del mio gregge – udite quindi, pastori, la parola del Signore. Dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi.” Ogni persona è chiamata a svolgere un compito specifico grazie ai carismi ricevuti proprio a tal fine. Nessuno è chiamato per fare tutto. Ma tutti siamo chiamati alla vita, per dare la nostra vita e perché molti abbiano vita in abbondanza. Chiamati alla vita La vita è uno dei doni più grandi che Dio ci fa. La vita, che è partecipazione all’unica VITA (cioè Dio) ci è stata data per vivere, non per morire lentamente. Vivere la vita a metà, ossia senza entusiasmo, dinamismo o desiderio, è anticipare la morte. Che la morte non ci sorprenda ‘a vivere a metà’ ma pienamente vivi, affinché valga la pena morire! Siamo stati chiamati ad essere amici della vita, mentre “coloro che commettono il peccato e l’ingiustizia sono nemici della propria vita”, dice Tobia 12,10. Il poeta spagnolo José María Pemán diceva: “La vita che non fiorisce, non cresce e rimane nascosta, è una vita che non merita il santo nome di vita”. La dinamica del Vangelo circa il tema della vita è molto strana. La vita eterna è solo alla portata di chi perde la propria. Solo chi dona la vita la trova. Non c’è amore più grande di quello che prova chi offre la propria vita per gli amici... Chi ci strappa la vita non riesce a distruggerci. Chi ci uccide pensa di averci annullato ma riesce solamente a lanciarci verso l’immortalità, ci permette di vivere in eterno. Ognuno di noi invece ha sempre il potere di distruggere la propria vita con l’egoismo, o magari serbando la propria vita per se stesso.... “A nulla serve la vita di chi non vive per servire”, dice il detto popolare... Ogni vocazione alla vita è una vocazione a dare la propria. Più vita doniamo, più vita otteniamo. 35 La vocazione a vivere pienamente la vita comporta la vocazione a dare la propria. L’atto supremo della libertà di Cristo è stato proprio quello di dare la vita per mezzo del fulgido dono dell’Eucaristia il Giovedì Santo, poco prima che proprio la vita gli fosse tolta violentemente il Venerdì Santo. In seguito a ciò, noi, chiamati alla vita, abbiamo sempre la possibilità di dare la nostra vita prima che ci venga tolta. All’inizio quella della vita religiosa era considerata una scelta radicale perché veniva considerata come una nuova forma di martirio, ossia il modo migliore di donare la propria vita. Come è difficile oggi incontrare religiosi disposti a vivere la propria vocazione alla vita mediante il dono di sé che spiazza, che può cambiare la routine giornaliera e allontana dalle comodità, che fa magari abbracciare missioni molto pericolose per la salute o che destabilizza emotivamente... da alcuni anni stiamo certamente perdendo dinamismo missionario, con tutto ciò che ne consegue... Chiamati a dare la vita in abbondanza La vita in abbondanza si identifica con il possesso della persona di Cristo. Dice Paolo ai Romani: “Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo!”(5,17). Ci sono persone che prima di darsi soppesano le proprie energie, mentre ce ne sono altre che si donano senza misura, che si “consumano” come direbbe il nostro Fondatore, Padre Jordan. Chi dà con abbondanza riceve nella stessa misura. Lo dice San Paolo: “Tenete a mente che chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno si dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. Del resto Dio ha potere di far abbandonare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene, come sta scritto: ha largheggiato, ha dato ai poveri; la sua giustizia dura in eterno.” (2Cor 9,6). La felicità di essere stati chiamati In un mondo afflitto dalla mancanza di lavoro, essere chiamati per svolgere un lavoro è fonte di grande gioia. Beato colui che viene chiamato, anche all’ultimo. La chiamata è così importante e produce talmente tanta gioia che non importa se la si è ricevuta anche un’ora prima dell’addio, della morte... Madre Teresa di Calcutta accoglie i moribondi perché sa quanto vale nella vita almeno un’ora di felicità quando si è destinati a morire nell’indifferenza e nell’oblio. Chi vive la chiamata con gioia e gratitudine, si trasforma in un divulgatore, in una promozione vocazionale vivente. Gli ottimisti vivono più a lungo dei pessimisti. Gli ottimisti arrivano a comprendere che pur in mezzo a tutti gli insuccessi l’essenziale per vivere rimane intatto; scoprono quindi ciò che è essenziale e continuano a lottare con ottimismo. Proprio quello che ci racconta lo scrittore latinoamericano Eduardo Galeano, a proposito di un musicista popolare colombiano. 36 “C’era una volta un mago della chitarra. Nelle pianure della Colombia non c’era festa senza di lui. Perché le feste fossero veramente tali, doveva esserci il signor Figueredo, con le sue dita danzanti che rallegravano l’aria e muovevano le gambe al ballo. Una notte su un sentiero remoto dei briganti lo aggredirono. Il signor Figueredo si stava recando a dorso di mulo ad un matrimonio, con la chitarra su un altro mulo. Alcuni briganti però gli si avventarono addosso, bastonandolo ripetutamente. Il giorno dopo qualcuno ritrovò il musicista: era più morto che vivo, gettato in una pozza come uno straccio, sporco di fango e sangue. Con un filo di voce però, ebbe la forza di dire: “Si sono presi i muli...” E poi: “Si sono presi la chitarra...” Prese fiato e sorrise: “Ma non hanno potuto prendere la mia musica...” La vocazione e il tempo La vocazione viene data nel tempo ossia per il determinato lasso di tempo che una persona impiega per il bene altrui. Lasciare che il tempo scorra via è molto pericoloso. Non si vive mai la stessa esperienza due volte, non rincontreremo mai le medesime persone nelle medesime circostanze... non lasciamoci scappare le occasioni. Adesso o mai più.2 Dare valore al tempo ha molto a che vedere con lo zelo apostolico. Siamo chiamati a vivere molto in poco tempo. La passività è pericolosa quando si tratta di allargare il Regno di Dio. San Paolo nella Lettera a Tito si raccomanda: “Imparino così anche i nostri a distinguersi nelle opere di bene riguardo ai bisogni urgenti, per non vivere una vita inutile. (3, 14) Il tempo ha inoltre una dimensione affettiva e molteplici significati, come mostra la seguente composizione: “Il tempo è troppo lento per chi aspetta, troppo veloce per chi teme, troppo lungo per chi soffre, troppo breve per chi gode, ma per chi ama, il tempo è eterno.” Il tempo è alleato della salvezza, è opportunità, grazia, è una risorsa sempre unica, il tempo è l’arena dove si gioca la salvezza nostra e quella di molti. Il tempo è un dono che viene dato con la vocazione. Il tempo è redentore nella misura in cui ci permette di migliorare la qualità della nostra vita, curare le ferite del cuore e correggere gli errori del passato. Sa vivere nel tempo solo colui che ha acquisito l’arte di vivere nel presente... Vocazione e identità Il modo in cui una persona vive la propria vocazione determina la sua identità. Cogliere la nostra identità per il modo in cui siamo stati chiamati e il compito che ci è stato dato “Non sprecare un solo istante del tuo tempo, perché Dio te ne chiederà conto.” (DE 1877) “Non perdere inutilmente neanche un secondo di tempo. (21-12-94)”. (DE). 2 37 quando siamo stati chiamati. In alcune lingue i termini ‘vocazione’ e ‘chiamata’ si identificano con ‘professione’. Quando domandiamo “Che lavoro fa?” e ci rispondono: “Sono un medico” quella persona sta parlando sia della sua professione che della sua vocazione. Quando la vocazione e la professione si identificano, l’identità si rafforza. In caso contrario, l’identità è minacciata. È tragico per esempio che un medico spenga una vita invece di difenderla o che una madre di famiglia dia via, maltratti, trascuri o soffochi la vita che ha generato. È orrendo che un religioso invece di radicarsi in Cristo e dimenticare se stesso preferisca concentrarsi sulla propria persona e cercare ogni modo per “essere servito”... I religiosi nel mondo e quindi anche i salvatoriani, vivono una crisi di identità vocazionale perché si stanno allontanando dalla loro vocazione specifica e non si dedicano a ciò per cui sono stati chiamati ma ad altro. I salvatoriani per esempio sono stati creati come Società ma vivono da più di 100 anni più come “Ordine religioso” che come “Società”... come possiamo attirare altri se non restiamo fedeli alla nostra vocazione? Alcune parole di P. Jordan sulla vocazione “Quiero pedir que se cumpla la voluntad de Dios para que yo pueda reconocer mi vocación”, (DE Octubre 23 de 1878) “La voluntad de Dios es que lleves a cabo la obra: 27 de diciembre de 1879, después de la Santa Misa, y piensa lo mismo que aquella vez después de la Santa Comunión. “Tu vocación de fundar... es moralmente cierta. 9 de enero de 1880. Pero reza mucho, muchísimo, y medita y no te apegues jamás a algo terreno ni te dejes llevar jamás por los hombres y por sus habladurías, sino sigue el consejo de unos pocos siervos de Dios piadosos, déjate llevar solo por Dios y por sus santos. -- Desprecios -- calumnias. Hacer el ridículo y muchas cosas más te pasarán --, pero sé valiente y agárrate fuertemente a Dios.” “Esfuérzate constantemente por aquella santidad, que en tan gran medida exige tu vocación.” (27-8-04). Parole ed Esortazioni Capitolo 13: “Bien sabéis cuán grande es la gracia de la vocación religiosa. Sabéis también que se puede perder. Deseo exponeros algunas consideraciones que os sirvan para conservar esta gracia de la vocación... 1. En primer lugar, procurad corresponder siempre a la gracia. 2. En segundo lugar... ¡Observad las Constituciones! Más de una Regla se os ofrece como una protección contra cualquier desvío que os podría llevar a la perdición. 38 3. En tercer lugar, un factor que contribuye igualmente a conservar la vocación, es tener siempre un ánimo alegre y jovial. 4. Otro medio con el cual podéis conservar la gracia de la vocación consiste en trabajar con celo por la Sociedad, por su propagación y consolidación, pues de esta manera, estaréis fuertemente vinculados a la Sociedad. 5. Otro de los enemigos de la vocación es la tibieza. Por eso, huid de ella en la vida espiritual. Que la tibieza jamás penetre en nuestro ambiente. 6. San Bernardo nos da otro medio para la conservación de la vocación:"Confiad más en la oración que en vuestra aplicación y trabajo. Orad mucho para que alcancéis la gracia de la perseverancia en la vocación. 7. Esforzaos por vivir en buenas relaciones con los Superiores. 8. También ayuda la caridad, la "caritas" que consiste en amar verdaderamente a vuestros cohermanos, no hablando mal de ellos, y evitando especialmente todo lo que pueda ofender la caridad fraterna. 9. Finalmente, otro medio consiste en que seáis tolerantes en vuestros juicios, pues con esto contribuiréis mucho a la conservación de vuestra vocación.” II. La nostra specifica vocazione salvatoriana È possibile che una Congregazione religiosa accolga delle persone, le formi e quindi le prepari ad essere ciò per cui non sono state chiamate? A quanto pare, sì. Il Concilio Vaticano II ha ravvisato questa possibilità e per questo ha sollecitato tutti gli Istituti religiosi a “tornare alle origini.” Non tutti gli Istituti religiosi però sono tornati alle origini: è molto difficile infatti riconoscere un errore commesso per più di un secolo. A una certa età infatti si preferisce morire commettendo un errore per buona volontà che provare a ricominciare tutto daccapo. L’umanità sembra restare sempre fedele alla legge del minor sforzo possibile. Cercherò quindi di descrivere il salvatoriano-tipo che abbiamo oggi nella SDS. Si tratta di una persona modesta, buona, che lavora con passione, apprezzata dalla gente, senza grandi conflitti personali e che non solleva polemiche, è discreta e nutre la propria vita spirituale con preghiere quotidiane, sacramenti regolari, alcuni esercizi spirituali all’anno e qualche ritiro mensile. Va in vacanza senza spendere molto denaro, legge un po’ di libri all’anno e generalmente esercita il proprio lavoro pastorale o in una parrocchia o nel campo dell’educazione. Mi chiedo se questa descrizione generica coincida con l’ideale di salvatoriano che Jordan aveva in mente e nel cuore. E mi chiedo anche: il salvatoriano che ho descritto si fa veramente carico del lavoro, degli obiettivi e dei progetti che Jordan ha pensato per la SDS? Già da alcuni anni la tipica “vocazione” salvatoriana si va ridimensionando in tutta la SDS. Abbiamo riscoperto che non siamo un ordine religioso ma una Società, una Famiglia Salvatoriana e che siamo stai chiamati ad occupare un posto da protagonisti in 39 seno alla Chiesa, sia per quanto riguarda la formazione di guide, sia nella conduzione di gruppi, come pure nell’essere profeti rispetto alle necessità concrete di evangelizzazione del mondo in cui viviamo. Ogni attività di apostolato portata avanti nel mondo dai salvatoriani merita il nostro rispetto perché è stata realizzata con buona volontà, grande sacrificio ed ha portato buoni frutti. È arrivato però il momento di chiederci se noi salvatoriani dobbiamo continuare ad esercitare lo stesso tipo di apostolato nei secoli dei secoli o se invece dobbiamo operare un taglio nella storia e fare nuovamente nostro quanto di specifico Jordan ci ha indicato. Questo punto è fondamentale perché riguarda la nostra vocazione specifica. Non solo: può ridefinire la nostra specifica identità all’interno della Chiesa di Gesù Cristo, oltre alla felicità e alla realizzazione personale di tutti noi. Credo fermamente che noi, i salvatoriani, fondati da un vero leader, da un innovatore e un profeta del suo e del nostro tempo, immaginati da Jordan come aquile, abbiamo finito per diventare uccelli che volano basso, pennuti da pollaio... Jordan è stato un precursore dei tempi e i suoi propositi iniziali riguardo alla fondazione della Società non sono stati compresi. Obbediente alle autorità della Chiesa e fiducioso nel potere di Dio che protegge gli umili, accettò che la sua Società Apostolica Istruttiva fosse trasformata in due istituti religiosi. Oggi noi siamo chiamati a riscattare fedelmente e con creatività i progetti che Jordan avrebbe voluto realizzare senza però riuscirci a causa di difficoltà storiche. La Chiesa stessa ci ha dato la facoltà di tornare alle origini e noi stiamo affrontando questo processo in due fasi. La prima, iniziata con il Sinodo Generale tenutosi a Roma nel luglio del 2001, prevede un riesame dell’impostazione relativa al ramo maschile della Società. Essa infatti appare discriminatoria con i fratelli, giacché nelle Costituzioni risulta che ‘la Società del Divino Salvatore è un istituto religioso apostolico clericale...’ Le seconda fase è più lenta e profonda, dal momento che coinvolge la nostra struttura originale di Società o famiglia a tre rami e si scontra con gli schemi attuali di Diritto Canonico. In qualità di prosecutori del progetto di Jordan, uno dei nostri obblighi fondamentali è quello di studiare più a fondo la sua intuizione iniziale e riscattare la nostra identità di Società per il bene del mondo e della Chiesa. Riscattare la nostra identità vuol dire tornare all’audacia e alla creatività di Jordan. Egli fu veramente audace e creativo. Quelli che seguono sono alcuni dei sogni che Jordan riuscì realizzare solo in parte, anche a causa dei continui mutamenti storici. Questi aspetti mostrano l’audacia e la creatività del nostro Fondatore: 1. Jordan era audace a creativo perché aveva capito la missione della Chiesa, 40 - sebbene nel suo tempo fosse normale considerare la Chiesa come un organismo con potere temporale, dalla struttura piramidale e con una connotazione fortemente clericale, che non utilizzava pienamente la forza dei laici per realizzare tutti i suoi progetti di evangelizzazione... Jordan riscoprì la vitalità della Chiesa e in quella stessa vitalità scoprì anche: la necessità di coinvolgere pienamente i laici nell’apostolato; la capacità maggiore che la donna ha di evangelizzare; l’importanza di evangelizzare i bambini; la necessità di unire tutti i gruppi apostolici; la necessità di cercare vocazioni per la Chiesa tutta e non solo per il proprio Istituto; l’utilizzo dei mass media come strumento privilegiato di evangelizzazione e ricerca di vocazioni; la convinzione per cui la Chiesa avesse bisogno della fondazione della sua Società e non solamente di tre istituti religiosi. 2. Jordan era audace e creativo per il modo in cui interpretava il proprio tempo e per come ha risposto ai bisogni che quel tempo stesso presentava: scoprì che il problema fondamentale era l’ignoranza di Dio. Scoprì che la teologia doveva essere alla portata di tutto il popolo di Dio e non solo di saggi e studiosi. Si valse dei mezzi più efficaci per rispondere adeguatamente ai problemi e a tal fine: utilizzò la stampa; formò missionari zelanti e ampliò il concetto tradizionale di missione; attraverso gli scienziati fece dialogare scienza e religione; frequentò persone influenti del suo tempo. 3. Jordan è stato audace anche perché dopo aver scoperto i problemi cruciali del proprio tempo, seppe offrire risposte concrete a tali problemi. Davanti al conflitto fra scienza e religione invitò gli scienziati a condividere il loro sapere e a utilizzare le conoscenze acquisite per evangelizzare il prossimo. Davanti all’ignoranza religiosa propose di mettere la teologia alla portata di tutti. In un tempo in cui cominciavano a formarsi regimi totalitari, egli pensava in termini universali. 4. Jordan è stato audace anche nel modo di concepire l’educazione: Progettava di lavorare con quella che oggi chiamiamo famiglia educativa: genitori, professori e alunni. 41 Venne concepita una maniera per accompagnare negli anni le persone formate, attraverso pubblicazioni e diverse associazioni. 5. Fu efficiente e creativo nella scelta del personale che portasse avanti i vari progetti: Delegò le proprie responsabilità a persone-chiave al fine di mettere in pratica le sue idee: Lüthen, P. Pancrazio, Madre Maria, superiori locali, missionari, ecc. Fondò organizzazioni per guide a tutti i livelli: “Sodalizio Angelico” per i bambini; il gruppo dei benefattori, quello degli scienziati e quello dei sacerdoti, l’accademia... Venne ideata una pubblicazione a carattere universale affinché gli scienziati pubblicassero articoli volti a promuovere il sapere scientifico e ad aiutare a crescere nella fede. Accolse nella sua fondazione non solo persone sagge e istruite ma anche operai e gente incolta. 6. Credo che la grande intuizione che ebbe fu quella di fondare una Società, un’organizzazione cioè capace di formare guide cristiane in tutti gli strati sociali, in quello civile e in quello religioso. Un organismo dinamico e con tre gradi che offrisse ampie possibilità di partecipazione a tutti i suoi membri. Tutti i membri della Società erano chiamati a trattarsi come fratelli e a vivere nel principio di universalità. I laici quindi non erano esclusi dal primo grado ed erano chiamati a lavorare a tempo pieno nella Società. Non erano trattati come membri di seconda o terza categoria. La Società non accettava discriminazioni fra presbiteri, religiosi, religiose e laici, né fra uomini e donne. A cosa sono chiamati oggi tutti i salvatoriani? Se vogliamo restare fedeli alla nostra “ispirazione iniziale” e se desideriamo “riprodurre efficacemente l’audacia, la creatività e la santità di P. Jordan, (Cfr. Vita Consacrata N. 37) siamo chiamati a: 1. Formare tutti i salvatoriani nel discernimento dei segni del tempo per scoprire nuove vie di evangelizzazione salvatoriana. 2. Approfondire la conoscenza dei primi anni della Società e della Congregazione delle sorelle salvatoriane e operare i cambiamenti necessari nelle nostre strutture, nella nostra formazione e nel nostro apostolato. 3. Condividere tutta la ricchezza spirituale degli elementi chiave del nostro carisma salvatoriano, che ci vuole sia contemplativi che attivi, ci trasforma in persone 42 dedite alla preghiera, ci fa ardere di zelo come gli Apostoli e ci restituisce tutti gli altri elementi della nostra spiritualità. 4. Utilizzare il “permesso” che il Concilio ci ha dato di “tornare alle origini”. A tal fine è necessario farci conoscere a livello ufficiale come “Società” e non solo come due famiglie religiose e un’associazione di laici. 5. Affiancare e sostenere i salvatoriani laici nel loro processo di integrazione nella SDS. 6. Imparare ad agire come membri di una sola famiglia salvatoriana. 7. I tre rami dovrebbero redigere congiuntamente una Regola comune e tre diversi Manuali con norme più dettagliate ad uso dei componenti dei rispettivi tre rami. 8. I tre rami dovrebbero accordarsi su un’unica linea guida da seguire nella promozione vocazionale e nella formazione, sia iniziale che permanente, di tutti i membri della SDS. 9. Rivedere le attività di tutta la SDS alla luce del ritorno alle nostre origini, ovvero applicando al mondo che ci circonda l’audacia, la creatività e la santità di Padre Jordan e di Madre Maria, tenendo conto delle necessità del mondo contemporaneo e del carisma salvatoriano. 10. Avere il coraggio di “seppellire” apostolati non propriamente salvatoriani e cominciare a creare apostolati salvatoriani come quelli che hanno a che fare con i mass media, (tutto il mondo della stampa, la televisione, Internet), la formazione di guide fra i bambini, i ragazzi, le donne, i sacerdoti diocesani, gli scienziati, gli educatori, le casalinghe e qualsiasi altra persona capace di comunicare il messaggio della Salvezza. 11. Lavorare con più audacia e creatività per la vita, la giustizia e la pace nel mondo, sia nel campo della salute che in quello dell’evangelizzazione. La nostra vocazione specifica di salvatoriani è una bella vocazione. Viverla oggi in modo nuovo, tornando alle origini, costituisce una sfida per tutti noi. Possiamo raggiungere questo obiettivo perché ci infonde coraggio il modo in cui Jordan è stato salvatoriano. Egli si è avvalso in maniera onesta di tutti i mezzi che erano a sua disposizione per essere fedele a Dio e al progetto che Dio aveva per la sua vita. Credo che Jordan si sia servito dei seguenti mezzi per vivere la propria vocazione di cristiano, sacerdote, religioso e salvatoriano: 1. Innanzi tutto egli scoprì la propria vocazione e ne conobbe l’intera portata, vivendone tutte le conseguenze, sia nei momenti felici che in quelli difficili. 2. L’impegno che si era assunto nei confronti di Dio, della Chiesa, della Società e del popolo di Dio, lo portarono a rinunciare più e più volte a desideri estemporanei, bizze e orpelli per concentrarsi sugli aspetti essenziali della vita. 3. Intraprese il cammino verso la santità con serietà e fece tutto il possibile affinché anche i suoi figli, vivendo pienamente la propria vocazione, si facessero santi. 4. Il fatto di essere conscio della sua piccolezza ma anche dell’immensa grandezza e del potere di Dio, unitamente alla maniera in cui visse il proprio rapporto con Dio gli fecero raggiungere vette altissime di santità. 43 5. Il modo in cui seppe approfittare degli ostacoli, delle sofferenze e delle difficoltà per avvicinarsi a Dio e raggiungere gli obiettivi che si era preposto lo aiutarono a raggiungere le mete prefissate. 6. L’amicizia che strinse con Dio, Maria e i santi patroni della Società, unitamente a una vita di preghiera, gli permisero di vivere la santità. 7. L’amore per la salvezza di molti e del dare la vita per loro ispirava il suo cammino. 8. Ricorse ai sacramenti, alla direzione spirituale, alla penitenza e agli strumenti offerti dalla Chiesa per accrescere la sua pietà. 9. Compì il proprio dovere nelle attività quotidiane e anche questo rafforzò la fedeltà alla sua vocazione. Il servizio ai fratelli, le visite alle nuove fondazioni, il contatto con i confratelli e con personalità del tempo, così come tutto lo zelo apostolico che mise nel porre le fondamenta della sua Fondazione furono inoltre veicoli di santificazione personale. La sfida di essere veri salvatoriani e allo stesso tempo recuperare la nostra identità di Società è un ideale per il quale vale la pena vivere e anche morire. 44 RENDERE ACCESSIBILE A TUTTI LA TEOLOGIA P. Donald Skwor SDS (La Società del Divin Salvatore) Avrà centrato l’obiettivo specialmente se diffonderà le verità teologiche e le renderà accessibili alla gente1. Queste parole del Fondatore esprimono il credo principale del suo carisma e missione e sono meditate negli Elementi Chiave del Carisma della Società riportate in: “Salvatoriani, Uomini e Donne, Religiosi e Laici. Carisma, Missione, Spiritualità ed Identità”2: ”Conoscere l’unico vero Dio e Colui che lo ha mandato, Gesù Cristo; fare discepoli in tutte le nazioni; guidare gli altri alla verità e giustizia eterne; essere pronti a discernere i segni dei tempi”. Esse sono radicate nelle citazioni del Vangelo: Andate perciò e fate discepoli di tutte le nazioni….e insegnate loro…(Mt 28,19-20); e Andate in tutto il mondo; proclamate il vangelo a tutta la creazione (Mc 16,15). Nuovamente tra gli elementi chiave della Missione Salvatoriana è annotato: “guidare gli altri alla consapevolezza di Dio” e “a proclamare il messaggio a tutta la gente. Ovunque e in ogni tempo, facendo ciò in tutti i modi e con tutti i mezzi che l’amore di Cristo ispira”.3 Queste citazioni prese dal Diario Spirituale sono state scelte perché, in esso, sono state spesso richiamate per significare ciò che il Fondatore intendeva nelle sue affermazioni. Questa è una proposta comprensibile di ciò che egli intendeva dicendo: “(La Società) mirerà a diffondere la verità teologica e così renderla accessibile alla gente”. L’obiettivo sarà raggiunto a partire dalla prospettiva di “verità teologica”; “diffusione” e “rendendole accessibili a tutta la gente”. Si includeranno altre citazioni di valore teologico riprese da Padre Jordan. Le verità teologiche Quando noi affermiamo verità teologiche spesso pensiamo nei termini della teologia classica o degli studi di “chi e cosa sia Dio”. Noi siamo costumati a pensare su di esse in termini Scolastici o Aristotelici secondo la visione di S. Tommaso d’Aquino. In questo senso noi dovremo prima di tutto diventare fortemente preparati nella scienza teologica ed allo stesso tempo capaci di proporla alla gente che, generalmente parlando, ha una limitata conoscenza in questo campo. Così, per esempio, afferma Leonard Gerke: Per ritornare alla principale distinzione, se l’oggetto formale del nostro tentativo apostolico è l’insegnamento ed istruzione religiosa della gente (teologia a livelli popolari), allora certamente la pratica formale di questo tipo di insegnamento religioso dovrebbe avere un posto preminente nella nostra attività apostolica. Ma non è difficile vedere come questo obiettivo può anche essere raggiunto o realizzato in attività che non sono direttamente, formalmente e pienamente realizzate in questo tipo di istruzione religiosa. Può essere che in certe circostanze, in alcune situazioni, queste attività possono 1 Francis Jordan, Spiritual Diary, tradotto da Miriam Cerletty, SDS, Salvator Mundi Rome, Italia, Marzo16, 1878, p. 65) 2 International Charism Commission, Rome, June 16, 2001. 3 Ibid. 45 essere solo possibili o sono il modo più efficace per raggiungere un obiettivo speciale. E, infine, le principali nostre attività apostoliche, intraprese, viste e portate avanti in questa speciale ottica, diventeranno non meno, ma addirittura più fruttuose. In tal modo, la parrocchia amministrata con l’obiettivo mirato di insegnare ed istruire giovani ed adulti in ogni modo possibile, realizzerebbe i suoi migliori scopi, rendendo la gente consapevole e formandola ad essere una vera comunità Cristiana animata da fede e da amore. Lo stesso si potrebbe dire sulle missioni estere: piuttosto che darsi la meta di raggiungere un crescente numero di convertiti, sarebbe bene tentare mediante l’approfondimento e la conservazione dell’istruzione di condurre le comunità locali all’interno di chiese vere, vitali e attive irradianti la luce di Cristo sul territorio. I ritiri, specialmente dove c’è la possibilità di un seguire passo passo l’evoluzione, potrebbero giungere a ciò più pienamente e profondamente comprendendo la dottrina della fede. Anche le scuole, potrebbero provvedere a creare una situazione per questa coerente aspirazione a raggiungere una più profonda educazione Cristiana. Parimenti il lavoro sociale, specialmente nel Terzo Mondo in cui vi sono condizioni e livelli di pre-evangelizzazione, può essere ben utile questo obiettivo. Realizzando l’amore Cristiano e l’attenzione per il nostro compatriota e creando nella gente un senso reale di comunità umana, noi li facciamo più pronti e preparati a ricevere l’insegnamento nella linea di realistiche comunità Cristiane. Infine, se il nostro “obiettivo sarebbe di divulgare le verità teologiche e quindi renderle fruibili dalla gente” (Diario Spirituale del Fondatore), allora il nostro programma di formazione deve essere orientato verso questo scopo, spronando allo studio teologico ecco perché è un prerequisito per l’insegnamento della teologia popolare - e ad un addestramento per questo insegnamento, “ominibus rationibus et mediis” (in tutti i modi e con tutti i mezzi).4 Le osservazioni di Gerke sono valide da un punto di vista scolastico. E devono riflettere il modo di pensare del Fondatore che viveva in una epoca storica in cui il metodo scolastico era generalmente compreso in tutti gli ambienti clericali. Ma il Fondatore con la sua capacità intuitiva avrebbe presto afferrato il concetto di teologia divulgata che, attraverso i teologi della liberazione, è accettata più volentieri. Cosa affermano i teologi della liberazione? Gusatvo Gutierrez e altri, partendo da San Tommaso d’Aquino, puntualizzano che mentre i punti di vista dell’Aquinate nascono dall’incontro tra fede e ragione, la comprensione della fede è anche il seguire nuovi percorsi dei giorni nostri: le scienze sociali, psicologiche e biologiche. 4 Gerke,Leonard, The Purpose of the Society, in “Informationes”, No. 6, August 1973, Rome, pp. 32-33. 46 Egli vede la teologia come inclusione di conoscenza spirituale e razionale. La sua funzione è definire, presentare e spiegare le verità rivelate; esaminare la dottrina, denunciare e condannare le false dottrine e difendere le uniche verità; e insegnare autorevolmente le verità di fede. Paragoniamo questa affermazione agli scopi di Jordan per la Società: ”Difendere, propagare ed ampliare il Regno di Dio attraverso l’istruzione religiosa (institutione religiosa). 5 Aggiungiamo a questo la completa spiegazione del 1882: Attraverso l’esercizio del magistero ecclesiastico (in latino si legge tra parentesi “attraverso la partecipazione”) sia delle parole scritte o verbali, si intende raggiungere: che tutti gli uomini giungano alla piena conoscenza dell’unico vero Dio e Colui che ha mandato, Gesù Cristo. (nella Casa di Santa Brigida) 6 Gutierrez prosegue dicendo: Sotto questa luce la comprensione della fede appare non come il solo capire delle semplici affermazioni di fede, o la loro memorizzazione, ma un impegno, un essere globale, un particolare atteggiamento verso la vita.7 E di nuovo Jordan dice: In tal modo il profilo pedagogico non fa riferimento al tipo di istruzione religiosa ora così prevalente in chi insegna solo meccanicamente attraverso la memorizzazione, senza incoraggiare il pensiero o non creando una coscienza religiosa.8 Gutierrez afferma che la funzione della teologia come riflessione critica è gradualmente diventata più chiaramente definita negli anni recenti. La carità è stata più fruttuosamente riscoperta come centro della vita cristiana. Questo ha condotto verso un ampliamento delle visioni Bibliche di fede. Fede come un atto di fiducia, un uscire da se stessi, un impegno verso Dio e verso il prossimo, una relazione con gli altri. 9 Egli continua: La riflessione teologica è allora necessariamente una valutazione della società e della Chiesa per come d'ora in poi sono chiamate e indirizzate dalla Parola di Dio… teologia è riflessione, atteggiamento critico… E’ per tutte queste ragioni che la teologia della liberazione ci offre non tanto un nuovo argomento di riflessione come un nuovo modo di fare teologia… Essa è una teologia che non interrompe la riflessione sul mondo, ma piuttosto tenta di essere parte del processo attraverso cui il mondo è trasformato. E’ una teologia che è aperta – nella protesta contro l’offesa dei diritti umani, nella lotta contro lo sfruttamento della vasta maggioranza del popolo, in liberare amore, e nella costruzione di una nuova, giusta e fraterna società- al dono del Regno di Dio.10 5 Constitutions, 1884. Annales, SDS, Vol. IV, no 1, pp. 6-7 7 op. cit., p. 7 8 Folded Manuscript, Schneble, no 10 9 op cit. p. 6. 10 op.cit. pp. 14-15. 6 47 Ritornando a Jordan troviamo: Il nostro tempo richiede indiscutibilmente una direttiva poiché errori, dubbi, obiezioni della scienza moderna sono penetrate nei più bassi strati della popolazione; …i nostri tempi richiedono la piena gioia e l’entusiasmo di una consapevole e ragionevole fede. I nostri tempi richiedono un tipo di istruzione religiosa completamente differente rispetto a tempi precedenti più piacevoli e comodi. Questa tempestiva, basica, ragionevole istruzione religiosa costituisce la principale responsabilità del settore pedagogico della Società Apostolica. Per questa ragione ogni opportunità ed ogni modo di piacere a Dio sarà utilizzato nella scuola e nella chiesa.11 Perdonate questa alquanto lunga ma condensata sinossi del pensiero di due grandi menti. Era solo per puntualizzare che Jordan si sarebbe sentito a suo agio in un dialogo con Gutierrez e avrebbe trovato piccole difficoltà nell’accettare il suo pensiero. E come agisce in noi oggi tutto ciò che abbiamo detto? Alla fin fine merita un ripensamento critico sulla nostra metodologia teologica. Il tempo è troppo ristretto e lo spazio troppo limitato per entrare in una descrizione dettagliata di questo nuovo corso del pensiero teologico. Perciò, è caldamente raccomandata una lettura più approfondita di Gutierrez ed altri che egli menziona nella sua Teologia della Liberazione. Permettete solo una comparazione che ci condurrà naturalmente nel prossimo paragrafo. Gutierrez afferma una urgente necessità di una evangelizzazione coscientizzata. Egli cita i vescovi di Medellin che dicono: ”A noi, Pastori della Chiesa, appartiene il compito di educare la coscienza cristiana, ispirare, stimolare ed aiutare a orientare tutte le iniziative che contribuiscono alla formazione dell’uomo. 12 E Jordan dice: “Il settore pedagogico lavora con grande zelo verso un tipo di educazione religiosa che realmente edifica lo spirito, che porta alla nascita di coscienze religiose.13 Divulgazione Ciò che appare ovvio qui è che Padre Jordan non intendeva rendere la verità teologiche “popolari”, in quanto comunitariamente “gradite” ed “approvate”. Ciò che egli intendeva (ed è chiaro dalle sue ultime affermazioni) è che le verità teologiche dovevano essere rese comprensibili o “chiare” al vasto pubblico. Ma rendere un qualcosa chiaro rientra in un discorso di comunicazione. Qui non stiamo trattando semplicemente messaggi vocalizzati o verbalizzati. Il messaggio non è pienamente comunicato se non è accettato e capito dalla parte a cui è indirizzato. Quindi la comunicazione non è completa fino a quando l’emittente non ha ricevuto dalla ricevente un segno che il messaggio è stato ben compreso ed accettato. Così stiamo entrando nel campo della pedagogia o arte delle scienze dell’insegnamento. Paulo Freire ci può aiutare. Nel suo libro, Pedagogia degli oppressi sebbene egli si stia 11 Folded Manuscript, Schneble, No. 10 op. cit., p. 116 13 op. cit. no. 10 12 48 rivolgendo ai problemi d’insegnamento e comprensione in nazioni sottosviluppate, i principi generali possono essere applicati a tutti. Egli comincia con il significato del termine coscientizzazione. Egli la definisce come l’apprendimento a scorgere le contraddizioni sociali, politiche ed economiche o una forma critica di pensiero sul mondo che ci circonda. Potrebbe essere definita “creazione di una coscienza critica. 14 . E’ in questo senso che Padre Jordan concepì la formazione di una coscienza critica” come citato più sopra. E’ una consapevolezza interiore di tutti gli elementi del mondo intorno a noi. Nel senso di Jordan significa un livello critico di tutte le realtà spirituali e materiali del mondo in cui noi viviamo e la condivisione della verità conosciuta sia dall’emittente sia dal ricevente. Ciò, come vedremo, non è limitato alla comunicazione verbale, ma anche a quella non verbale. Freire chiama l’intero processo umanizzazione, il quale può essere contrastato dall’ingiustizia, sfruttamento, oppressione e violenza o de-umanizzazione. Mentre Freire si riferisce all’intera esperienza umana, non escludendo l’esperienza spirituale, noi possiamo considerare il processo quale umanizzazione Cristiana come spiegato dal Papa Paolo VI nella Populorum Progressio: È un umanesimo plenario che occorre promuovere. Che vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini? Un umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito e a Dio che ne è la fonte, potrebbe apparentemente avere maggiori possibilità di trionfare. Senza dubbio l'uomo può organizzare la terra senza Dio, ma «senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l'uomo. L'umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano». Non v'è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel riconoscimento di una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana.15 Stessi sentimenti sono esplicitati dal Papa Giovanni Paolo II, il quale aborrendo le limitazioni materialistiche del liberalismo, chiede gli sforzi di coloro i quali cercano la verità e la piena liberazione dell’umanità.16 I primi scritti di Jordan sono pieni di riferimenti all’educazione dell’intera persona, ma specialmente nella Raccolta di Documenti nei quali egli attesta che “il mondo Cattolico sente già ovunque una necessità di rinnovamento”. Ed egli continua a mobilitare missionari, insegnanti, scrittori e tipografi ad armarsi di scienza per difendere le verità e la santa fede…17 Umanizzazione cristiana non era un termine molto popolare nel suo tempo ma la sua correlazione con merito e valori umani ha attraversato barriere di classe e di razza. Andate perciò, fate discepoli di tutte le nazioni (Mt 28,19); Andate per tutto il mondo; proclamate il vangelo a tutta la creazione (Mc 16,15). 14 Freire, Paulo, Pedagogy of the Oppressed, translated by Myra Bergman Ramos, Seabury Press, New York, 1968, pp. 19 and 95. 15 Pope Paul VI, On the Development of Peoples, U.S Catholic Conference, Washington, DC, 1967, no. 42, p. 9. 16 John Paul II, Redemptor Hominis, Redeemer of Man, no. 15-16, and Laborem Exercens. On Human Work, 13, 15. 17 Op. cit., 126-127. 49 Freire anche spingeva per la fine di ciò che chiamava “sistema di accumulamento” (banking system) dell’educazione in conformità a ciò che gli insegnanti semplicemente “depositavano”, ovvero volumi di informazioni senza alcun dialogo. Piuttosto egli abbracciò un sistema per cui la conoscenza emerge solo attraverso l’invenzione e la reinvenzione, attraverso l’impaziente irrequietezza, continuando a porre speranzose domande agli uomini raggiunti in ogni parte del mondo, con le parole ed ogni altro modoun concetto con cui Jordan non avrà mai difficoltà a rapportarsi. 18 L’educazione nozionistica era volta a mantenere sommersa la coscienza; l’educazione alla “risoluzione del problema” impegna invece a far emergere la coscienza e l’intervento critico sulla realtà. Nuovamente non c’è nessun problema per Jordan. Questo obiettivo implica che leaders rivoluzionari non vanno verso la gente per portare loro un messaggio di “salvezza”, ma vengono a conoscere attraverso il dialogo con loro sia l’obiettiva situazione sia la loro coscienza della situazione stessa; nonchè vari livelli di percezione di se e del mondo in cui e con cui essi esistono.19 Di nuovo Paulo Freire lancia una sfida per noi spronandoci a pensare ai nostri metodi educativi. Un profeta del ventesimo secolo richiama la nostra attenzione a Padre Jordan, nostro profeta del diciannovesimo. “Rendendole accessibili…” Alcune implicazioni interculturali Ciò si aggiunge alle considerazioni sulla divulgazione delle verità religiose, in quanto l’ulteriore considerazione sulla dimensione interculturale è necessaria per renderle accessibili in differenti situazioni culturali. Mentre le implicazioni della teologia della liberazione e quelle di una pedagogia raffinata sono importanti in se stesse, ci sono altre e più sottili differenze da considerare come valore e orientamento tra i vari popoli della terra. John C. Condon e Fathi Yousef fanno una mappa delle maggiori voci di interesse nella comunicazione interculturale: Sotto il titolo di SE (self) essi elencano individualismo, interdipendenza, età, sesso e attività. Sotto FAMIGLIA essi elencano orientamento relazionale, autorità, posizione, ruolo, comportamento e mobilità. Sotto NATURA UMANA essi includono razionalità, bene e male, felicità, piacere e mutabilità. Nell’area SOCIETA essi annotano reciprocità sociale, appartenenza al gruppo, intermediari, formalità e proprietà. Nel regno del SOPRANNATURALE essi scelgono la relazione tra l’uomo ed il soprannaturale, intendendo la vita, la provvidenza e la conoscenza dell’ordine cosmico.20 Nessuna attenzione sarà data a descrivere ciascuna di queste aree. Esse sono solo elencate per mostrare la complessità della comunicazione interculturale. E’ sufficiente dire che la comunicazione interculturale è basata su un sistema di valori interni a quella data cultura. Ogni elemento di una cultura influisce sugli altri e, a rotazione, è limitato dagli altri. La 18 Op. cit., p. 58 Op. cit., p. 84 20 Condon, John C. and Yousef, Fathi., An Introduction to Intercultural Communication, Bobbs-Merrill Educational Publishing, Indianapolis, 1977, pp. 60-62. 19 50 considerazione primaria è che le persone hanno una comprensione della loro propria cultura, quando sono in un processo di relazione con altre culture. 21 Hervè Carrier nel suo “Face New Cultures”, afferma che Edward B. Taylor una volta scrisse: ”La cultura o la civilizzazione è quel complesso insieme che include conoscenza, credenza, arte, morale, legge, costume, ed ogni capacità e usanze acquisite dell’uomo quale membro della società”. Egli prosegue citando Alfred L.Kroeber e Clyde Kluckhohn che dicono: La cultura consiste in modelli espliciti ed impliciti, di e per comportamenti acquisiti e trasmessi per mezzo di simboli, costituenti la conquista specifica di gruppi umani…. I sistemi di cultura possono essere, di prima mano, considerati come prodotti di una azione condizionata e a sua volta condizionante la successiva azione.22 Applicando queste considerazioni al principale obiettivo della comprensione teologica, possiamo rimarcare quanto sia duratura l’influenza di un insegnamento a livello popolare specialmente sulla scena internazionale. Se ci sono problemi nella comunicazione all’interno di una data cultura, noi possiamo solo immaginare l’importanza della situazione quando tratta di diverse culture. Possiamo essere sicuri che parlando di popoli di differenti culture stiamo comunicando sul livello dei valori condivisi ed in relazione tra di loro. La Società internazionale ha l’obiettivo di lavorare insieme per esercitare una forza unica per forgiare una coscienza universale. La Società deve assumere una posizione che lo renda possibile al fine di incoraggiare nel cuore della gente un reale sentimento di solidarietà tra tutti i membri della famiglia umana. Conclusione Forse ci sono alcuni che vorrebbero che il Fondatore non avesse mai scritto le parole di cui sopra nel suo Diario Spirituale il 16 Marzo del 1878 o che non fossero mai state scoperte e sottolineate. Ma in questo caso noi non avremmo mai avuto la ricchezza di tali intuizioni nel suo pensiero. Ci sono quelli che dicono che Jordan era uomo del suo tempo. E così era. Ma in questo particolare riferimento egli può essere considerato al di sopra, un uomo più avanti dei suoi tempi. Ci sono voluti cento anni per noi per cogliere la sua maturità. Ci sono persone che per loro particolari capacità intuitive, possono vedere cose che sfuggono all’attenzione di altri che sono accecati dai grovigli della logica. Possiamo essere grati che Padre Jordan non era solo un sant’uomo, ma una persona intuitiva. O forse egli era santo perché era intuitivo. A qualunque conclusione il processo possa portare, l’esame del suo pensiero intuitivo ci offre oggi una moltitudine di implicazioni per il nostro carisma e missione, non ultimo 21 Stewart, Edward C., A Cross-Cultural Perspective, Society for Intercultural Education, Training and Research, Washington DC, 1972, pp. 31 and 86. 22 Carrier, Hervé, Facing New Cultures, Gregorian University Press, Rome, 1982, p. 113. 51 sul come interpretare il nostro approccio all’insegnamento della scienza di “chi e cosa Dio sia” e come comunicare il messaggio al suo popolo. Donald P. Skwor, SDS Pentecost Sunday, 2002 Baltimore, MD, USA 52 SEGUIRE GLI APOSTOLI COINVOLGERE ALTRI NELLA MISSIONE Sr. Rozilde Maria Binotto SDS I santi hanno delle intuizioni che anticipano i tempi. Il Padre Francesco Maria della Croce Jordan, sensibile alla realtà del suo tempo, capì che una condizione vitale per la vita della Chiesa era quella che tutti i cristiani laici dovevano vivere concretamente la loro vocazione battesimale. Era mosso intimamente da una forte passione per rispondere alla missione. Aveva anche una sete inesauribile di coinvolgere altri in quella sua stessa missione, per seguire l’esempio di Gesù il Salvatore e dei santi Apostoli. “[La Società Apostolica Istruttiva] … intende animare tutte le forze vive della Chiesa, nello sviluppo della sua vocazione cristiana.”1 Padre Jordan ha considerato come un elemento specifico del nostro carisma il “coinvolgere altri” nella missione salvatoriana. Questo, che oggi è una realtà, era un fenomeno nuovo al tempo della fondazione della Società Cattolica Istruttiva. Indubbiamente questa intuizione era una grazia speciale che Dio ha dato al Fondatore, e che ha portato P. Lüthen ad esclamare “Possa questo spirito apostolico penetrare sempre di più nel nostro Paese, possa coinvolgere sempre più gente in questo movimento.”2 Nel suo Diario Spirituale P. Jordan ha scritto: “Squilla, come possente tromba, per tutte le regioni del mondo, affinché ascolti ogni creatura! Vola come un’aquila e come un Angelo e chiama a gran voce tutti i viventi alla grande battaglia, alla schiera ed alla sublime falange che combatte per l’Imperatore supremo. Svegli e scuoti quelli che dormono! Incita i sonnolenti! Grida e chiama come gli Angeli che con la tromba chiamano a raccolta i vivi e i morti per il giudizio eterno! Non temere, perché, io, il Signore Onnipotente sono con te e sono il tuo forte aiuto.”3 Gesù il Salvatore nel suo modo di lavorare con la gente aveva una metodologia coerente con la sua missione. Egli c’insegna non solo attraverso le sue azioni, ma soprattutto nel modo che ha di camminare con noi. Gesù resiste alla tentazione di agire da solo; chiama altri ad unirsi a lui, preferisce coinvolgere altri e affidare a loro la prosecuzione della sua missione. A Sociedade Apostólica Instrutiva, 1881 – CIP 20,6 Der Missionär, 1881, CIP 11, p.38 3 SD I 190 1 2 53 Quello di organizzare un gruppo, per rispondere alle necessità della gente di conoscere il vero Dio e suo Figlio Gesù Cristo, era parte della intuizione carismatica di Padre Jordan. 4 Ispirato sin dal principio dalla metodologia del Salvatore, sognava una Chiesa rinnovata, attiva, partecipe, dove tutti sono chiamati a mettere a disposizione i propri doni contribuendo alla costruzione del Regno di Dio, “specialmente dove il sacerdote non può o non deve parlare, il laico, assumendo la sua missione di apostolo, può fare molto, ottenendo probabilmente più successo del sacerdote. Ripeto: l’apostolato laico è della massima importanza nei nostri giorni”.5 Per realizzare il suo sogno, Padre Jordan pensava ad una Società aperta ad uomini e donne, religiosi e religiose, laici e laiche. Credeva che la missione universale si potesse realizzare più pienamente con la presenza delle donne e con un ruolo di protagonismo per i laici. “Loro [i laici] con la loro parola ed esempio hanno voglia di portare nuovo spirito, fare altri guerrieri, fortificare quelli che si sono persi d’animo, svegliare quelli che dormono”.6 Sulla presenza delle donne nella Società, Padre Jordan si è espresso così: “Anche la donna, creata ad immagine di Dio può fare cose grandi per se stessa e per gli altri, alla pari degli uomini, può far parte della Società Apostolica Istruttiva. Anche per lei valgono le parole di San Paolo: “Siamo cooperatori dello stesso Dio”, tanta è la bontà del Signore che si degna di servirsi di noi per completare nel mondo il suo grande disegno di misericordia! E le donne, più degli altri, possono e dovrebbero essere chiamate aiutanti di Dio”.7 Secondo l'ispirazione originale di P. Jordan, i laici dovrebbero assumere la loro missione di cristiani ed apostoli impegnandosi in un apostolato specifico adatto alla loro identità laica. Era impaziente di coinvolgere gente di tutte classi sociali. A questo proposito P. Lüthen affermava: "Bene, la Società Apostolica Istruttiva mette in grande evidenza l’apostolato laico ricordando ai superiori, insegnanti, genitori, persone d’alto rango, dell'obbligo del loro apostolato. La Società ricorda agli studiosi l'importanza della scienza per il Regno di Dio".8 Più avanti sullo stesso testo dice: "Possa tutto il mondo cattolico far parte di questa nuova creazione, dal professore alla donna di servizio, dal padre di famiglia al servitore, dal padrone all'apprendista, così che lo spirito della Società possa riempire la Chiesa e la scuola, le aule delle università e il parlamento, officina e casa, possano tutti proclamare insieme con entusiasmo, con il fondatore della Società: Tutto con Dio e per Dio per il bene del prossimo".9 In questa visione audace, il Fondatore ha fondato la sua opera sopra la teologia battesimale. Il carisma, in questo senso, rivela le tre dimensioni del battesimo da cui deriva che ogni persona battezzata è sacerdote, profeta e re. “Voi però siete stirpe eletta, 4 Cf. Gv 17,3 A Sociedade Apostólica Instrutiva, 1881 – CIP 20, p.20 6 Es la voluntad de Dios. DSS IV 85 ss. II-C-2 p2 7 Sociedad Apostólica Instructiva 1882 DSS II 138. 8 Sociedad Apostólica Instrutiva, 1881 - CIP 20, p.21 9 Sociedad Apostólica Instrutiva, 1881 - CIP 20, p.25 5 54 sacerdozio regale, nazione sacra, popolo tratto in salvo, affinché annunziate le meraviglie di Colui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce ammirabile”.10 Questa dignità non è riservata alla vita religiosa Salvatoriana. Entrando nel disegno sacerdotale del popolo di Dio, la vita salvatoriana allarga la sua tenda, offre ai laici nuovi spazi per crescere spiritualmente ed apostolicamente. Nel ricordare che il carisma passa di là di noi, siamo responsabili della sua trasmissione. Il coinvolgere e formare i leader presuppone che la vita Salvatoriana assume una responsabilità sacerdotale. Oggi che il diaconato maschile assume un ruolo importante, sarebbe desiderabile che fosse restaurato il diaconato femminile; non come una partecipazione al sacerdozio ministeriale, ma come uno specifico ministero attinente alla sensibilità femminile, aperta e capace di formazione ed accompagnamento. Il modo migliore per tenere vive le nostre tradizioni e l’eredità del carisma è quello di metterle al servizio della formazione della fede, “ … e che tutti siano ripieni della tua santa dottrina ..”11 La formazione dei leader rappresenta un aspetto profetico della teologia battesimale, che guarda più all’aspetto qualitativo piuttosto che a quello quantitativo. “La Società Apostolica Istruttiva cerca di aiutare molti cristiani cattolici a trasformarsi in autentici cattolici, così che non abbiano solo esternamente questo bel nome, ma siano anche intimamente pieni di fede cattolica…. Questa cerca anche di animare ed istruire i cristiani cattolici a difendere la loro fede con capacità ed entusiasmo”.12 La Chiesa si mostra come una sposa santa quando i religiosi ed i laici lavorano insieme in una collaborazione aperta, fraterna e profetica. Quando questo accade, si impone la legge dell’uguaglianza. Il carisma della profezia non è solo un dono per la Chiesa, è anche la sua identità funzionale. Questo implica che il nostro carisma deve essere condiviso e che anche noi dobbiamo lasciarci trasformare dalle persone con cui lavoriamo. L’aspetto regale della teologia battesimale è legato alla saggezza, alla condotta pratica della nostra vita che distingue il relativo dall’essenziale. Ci procuriamo questa saggezza, attraverso il dialogo e l’ascolto in cui ci formiamo reciprocamente. Quando lavoriamo in associazione, scopriamo nuove espressioni del Vangelo. L’aspetto regale, nei suoi diversi ministeri, rivela la faccia di un Dio che cammina per migliaia di percorsi per incontrare la singolarità di ogni persona e parlare al suo cuore. La regalità battesimale è la regalità del servizio, significa essere al servizio della Parola che dà la vita, solleva ed accoglie. Religiosi e laici siamo invitati ad accoglierci vicendevolmente in Cristo senza gerarchizzare le dignità, in eguaglianza e responsabilità nel condividere il carisma e la missione “tutti voi … siete stati segnati col sigillo dello Spirito promesso”.13 10 1Pt 2,9 SD I 120,3 12 Literatura Salvatoriana, 1881 - CIP 11, p.29 13 Ef 1,13 11 55 Tutti devono essere infiammati, tutti devono splendere, tutti devono bruciare! “Oh! Volesse il cielo, che io arda sempre d’amore veemente verso di Te, ed accenda tutti, sia fuoco acceso e fiaccola ardente!”.14 “Vogliamo aiutare ad accendere in tutti cuori il fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra e che Egli desidera vedere acceso”.15 Tutti devono essere apostoli che si adoperano per fare altri apostoli. Padre Jordan infiammato di zelo apostolico c’incoraggia dicendo: “Guarda i santi Apostoli mentre solcano l’universo, evangelizzando tutti! O zelo inscrutabile, O dono di Dio, quante volte sei disprezzato e soffocato, mentre si scusano con esagerazioni di poco conto!16 14 SD III 20,1 CIP 23,43 16 SD I 138,4 15 56 LA VITA E IL CARISMA DELL’ISTITUTO. I CRITERI PER LO SVILUPPO P. Krzysztof Wons SDS Introduzione Nel mio contributo vorrei proporre la riflessione sui criteri teologici – ecclesiologici validi per il carisma dell’Istituto. Mi riferirò innanzi tutto ai criteri che ci lascia la teologia del carisma nel recente insegnamento della Chiesa. Considero questi criteri teologici ed ecclesiologici la base per comprendere l’indole del nostro carisma e del suo sviluppo sia all’interno della vita consacrata dei salvatoriani e delle salvatoriane sia all’interno della vita dei laici salvatoriani. Il carisma dell’Istituto non è una cosa statica, ma pienamente dinamica. Lo caratterizza un continuo sviluppo. In senso teologico l’Istituto è “un movimento carismatico” in mezzo alla storia della Chiesa e del mondo. Il fondatore non è un santo solitario neppure un modello statico ma un iniziatore di un’esperienza ancor viva, considerato come scaturigine di “un’esperienza dello Spirito, trasmessa ai propri discepoli per essere vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita” (Mutuae relationes, 11).1 Bisogna parlare delle due principali direzioni di sviluppo della comunità religiosa: ad intra e ad extra. La prima sottolinea la consacrazione, la seconda la missione.2 La prima direzione di sviluppo (ad intra) sottolinea una fedele imitazione di Cristo e il desiderio di unirsi a Lui. La fedeltà al carisma dell’Istituto significa per primo la realizzazione del radicalismo evangelico nella vita quotidiana. La seconda direzione (ad extra) sottolinea un attivo inserimento nella storia corrente del mondo e la docilità allo Spirito Santo, il quale unico assicura la numerosità delle vocazioni e una ricerca creativa di strade nuove nella realizzazione della missione dell’Istituto. L’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II, la Vita Consacrata, ricorre spesso ai valori, che assicurano il rinnovamento e lo sviluppo del carisma dell’Istituto ad intra e ad extra. Il documento post-sinodale sarà la fonte principale delle nostre considerazioni.3 I. Il primo criterio: la vita spirituale – lo sviluppo ad intra Alla base della esistenza e dello sviluppo dell’Istituto si trova una forte spiritualità. L’esortazione Vita Consacrata afferma in modo deciso che la vita spirituale costituisce 1 F. Ciardi, I fondatori uomini dello Spirito. Per una teologia del carisma di fondatore. Introduzione di E. Viganò, Roma 1982, p. 7. 2 P.G. Cabra, Il rinnovamento al Sinodo, in: Informationes SCRIS 1994-1995, p. 148-149. 3 Ibidem p. 149-153. 57 una condizione di tutto lo sviluppo e della fruttuosità dell’Istituto: „La vita spirituale deve essere dunque al primo posto nel programma delle Famiglie di vita consacrata, in modo che ogni Istituto e ogni comunità si presentino come scuole di vera spiritualità evangelica. Da questa opzione prioritaria, sviluppata nell’impegno personale e comunitario, dipendono la fecondità apostolica, la generosità nell’amore per i poveri, la stessa attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni. E’ proprio la qualità spirituale della vita consacrata che può scuotere le persone del nostro tempo, anch’esse assetate di valori assoluti, trasformandosi così in affascinante testimonianza”.4 Parlando della vita spirituale come di un fattore di sviluppo della comunità, bisogna tenere conto di alcuni momenti essenziali. 1. Assomigliare a Cristo (l’evangelizzazione della comunità) Il cuore della spiritualità di ogni comunità religiosa è la costruzione di un intimo legame con Cristo e una testuale imitazione di Lui. Sono significative in questo caso le prime parole della Esortazione. Il Papa, in nome di tutta la Chiesa, professa in modo specifico la fede: „La vita consacrata, profondamente radicata negli esempi e negli insegnamenti di Cristo Signore, è un dono di Dio Padre alla sua Chiesa per mezzo dello Spirito. Con la professione dei consigli evangelici, i tratti caratteristici di Gesù – vergine, povero ed obbediente – acquistano una tipica e permanente „visibilità” in mezzo al mondo...”.5 Fabio Ciardi analizzando la storia della fondazione di diverse comunità religiose afferma: „La vita dei monaci e la vita religiosa, nella sua ricca molteplicità delle forme storiche, sono nate da un solo desiderio di vita pienamente evangelica, di sequela di Cristo nelle sue parole ed opere”.6 Alle provocazioni del mondo secolarizzato bisogna rispondere con le sfide del Vangelo, che esprimono radicalmente i tre consigli evangelici.7 Proprio questo aspetto era primariamente sottolineato dai fondatori. Essi scoprivano il loro carisma fondazionale e il carisma dell’Istituto in base all’intimo legame con Gesù e ad un nuovo sguardo sul Suo messaggio evangelico. L’attività efficace dei fondatori non consisteva in protesti verbali e rumorose „chiamate sul mercato”, ma in del tutto evangelici atteggiamenti della vita. P. Jordan ha lottato contro i sintomi dell’ignoranza religiosa, il paganesimo e il liberalismo, chiedendo ai suoi confratelli, di condurre una vita santa e seguire l’immagine del Salvatore: „Il Divin Salvatore ci ha chiamati nella sua grande misericordia a diventare la Sua immagine, il più possibile simili a Lui, per diventare santi, e quaggiù per mezzo della santità già lavorare dappertutto con benedizione…”.8 2. L’assimilare e il tramandare della visione carismatica del fondatore. Alla base della creazione e dello sviluppo della comunità si trova la visione carismatica del fondatore. „Nella sequela di Cristo e nell’amore per la sua persona (...) è richiesta la Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica, Vita Consacrata (VC) 93. Il testo è evidenziato nell’originale. VC 1 6 F. Ciardi, Znak wspólnoty. Refleksja nad życiem zakonnym, Varsavia 1998, p. 19. 7 VC 87-92. 8 Exhortations and Admonitions of the Founder (EA) 12-13. 4 5 58 fedeltà al carisma fondazionale e al conseguente patrimonio spirituale di ciascun Istituto”.9 Questa fedeltà decide tra l’altro della crescita e della santità nella vita consacrata. Un effettivo sviluppo della comunità è impossibile senza un’interna assimilazione del carisma del fondatore. I membri di una comunità sono chiamati a „seguire Cristo imitando il proprio fondatore”.10 P. Jordan riteneva appunto, che senza la fedeltà allo spirito del fondatore lo sviluppo dell’Istituto era impossibile. Al contrario, lo minacciano la divisione e la caduta. „Se voi vi allontanerete dallo spirito del Fondatore, allora ognuno si formerà secondo la propria indole e noi avremo come risultato una Babilonia. Credetemi, se non vi tenete saldi allo spirito del Fondatore, sbagliate. Voglio perciò avvertirvi che vi addossate ogni responsabilità se vi allontanate dal suo spirito”.11 E’ necessario un ritorno continuo agli inizi dell’Istituto, come un passaggio lungo il fiume fino alla sorgente.12 Questo processo non ha luogo solamente sul livello puramente cognitivo, intellettuale, ma avviene a contatto strettamente spirituale con il carisma del fondatore.13 Lo sviluppo del carisma di una comunità dipende dalla personale e spirituale esperienza dei suoi membri. L’esperienza assunta dal fondatore deve essere continuamente tramandata, per farla vivere dagli altri.14 La via di tramandare della visione carismatica. Esiste un solo infallibile modo di tramandare il messaggio carismatico, e cioè viverlo pienamente, vivere tutti i suoi valori costitutivi permettendo che la propria umanità sia totalmente formata e modellata da esso. Solo allora si può dire che il carisma è „vivo”, è un qualcosa che vive nei singoli membri della comunità e in tutta la comunità, perché essi hanno scoperto dentro il carisma la loro identità. Soltanto ciò che è vissuto, può essere veramente tramandato. Esso sollecita ed esorta, affinché anche gli altri decidano a vivere nello stesso modo. Così viene garantita la continuità dell’Istituto nella fedeltà alla sua identità carismatica. In altre parole, una comunità può sperare in continuità e sviluppo solo quando il tramandare del carisma avviene nelle persone concrete attraverso gli esempi vivi che possiedono un significato carismatico. In breve tempo dopo il Concilio, le comunità religiose si sono impegnate nel processo di rinnovamento. Esso aveva come scopo il riscoprire e il rinnovare il proprio carisma. Non tutti gli Istituti però si sono dati da fare a spiegare ai propri membri il ruolo del carisma dell’Istituto e scoprire il suo significato nello sviluppo dell’identità della persona. Non basta solo approfondire il contenuto del carisma. Bisogna anche far vedere la funzione psicologica del carisma stesso. Ogni persona dovrebbe essere guidata e aiutata a riconoscere nel carisma il suo proprio ideale di vita, a cosa è chiamata ad essere. Esiste ancora un concetto del carisma che è troppo stretto e ridotto, come se fosse VC 36. Il testo è evidenziato nell’originale. J.M.R. Tillard, Carisma e sequela, Bologna 1978, p. 72. 11 E A 94 12 J.A.Gomez, La vita, art. cit., p.100. 13 P.Liszka, Charyzmatyczna moc życia zakonnego, Wrocław 1996, p. 181 14 F. Ciardi, Teologia del carisma degli Istituti. (Dai lavori della XXXII Assemblea dell’U.S.G.) in Vita Consacrata 22 (1986), p. 851. 9 10 59 semplicemente un modo di fare l’apostolato, di pregare, di esprimere la propria religiosità, una somma di tradizioni storiche, pratiche e ascetiche con un ovvio risultato di senso di appartenenza superficiale e generale. Così come se fosse senza significato a quale Istituto una persona appartenga.15 Intanto è necessario per lo sviluppo del carisma dell’Istituto che i suoi membri assimilino bene la spiritualità dell’Istituto. Bisogna ricordare che è appunto la maturità spirituale delle persone e la consapevolezza della propria identità che decide della maturità della comunità e non al contrario.16 3. Le sorgenti della vita spirituale della comunità. La santità cristiana edifica su di loro. Esse sono i pilastri degni del ricordo. Talvolta si propongono le teorie di sviluppo molto belle, le quali, se omettono quelle sorgenti, ricordano l’architetto, il quale ha un’idea perfetta per fare la casa, ma non ne possiede i materiali necessari.17 Ecco le sorgenti della vita spirituale, dalle quali dipendono la visione, la comunità, il suo programma e l’amministrazione. La coltivazione e la meditazione della Parola di Dio per il discernimento e la ricerca delle nuove soluzioni dell’inculturazione. La Parola di Dio è uno dei mezzi principali, divenuto per i fondatori il luogo dell’esperienza e della vocazione. E’ ad essi che „si sono costantemente riferiti fondatori e fondatrici nell’accoglienza della vocazione e nel discernimento del carisma e della missione del proprio Istituto”.18 La vita del fondatori testimonia che attraverso la meditazione della Parola di Dio hanno acquisito una nuova comprensione dei bisogni della Chiesa e del mondo e „hanno acquisito una sorta di istinto soprannaturale”.19 Il Card. Martini, parlando della necessità di un discernimento epocale oggi, dice: “Il discernimento pieno deve contenere due elementi: per primo si deve arrivare ad una profonda purificazione, in altre parole dobbiamo essere consapevoli della proprie colpe e dobbiamo desiderare di cambiarlo, per secondo è necessaria una profonda conoscenza della realtà di Dio, cioè della Sacra Scrittura e del mondo come essa lo presenta. Grazie a queste due condizioni è possibile un ascolto attento delle ispirazioni dello Spirito, sia nella vita personale che sociale; le ispirazioni che chiamiamo i segni del tempo”.20 L’Eucaristia è „culmen et fons” di ogni missione nel mondo e della sua trasformazione secondo i desideri di Dio. Alla domanda se i religiosi dovessero essere presenti nelle cosiddette zone di confine, nei mass media, nel mondo della cultura, il Card. Martini risponde affermando, ma aggiunge che per non perdere la propria identità nel mondo, bisogna ricordare che „il punto di partenza è la Sacra Scrittura, il punto di arrivo – l’esperienza dei sacramenti”.21 Tra i sacramenti al primo posto si situa l’Eucaristia, la 15 Ibidem, La comunità religiosa apostolica oggi, Padova 1986, p. 22-23. A. Manenti, Vivere insieme. Aspetti psicologici, Bologna, 1992, p. 33 17 P.G. Cabara, Il rinnovamente, art. cit., 152-153. 18 VC 94. 19 VC 94. 20 Odkryć życie duchowe. (Z kardynałem Carlo Maria Martinim rozmawia Stanisław Obirek SJ) w Życie Duchowe 5(1996) s. 85-86. 21 Odkryć, art. cit., p.93 16 60 quale è „il cuore della vita ecclesiale, essa lo è anche della vita consacrata”. 22 E’ una forza fondamentale di sviluppo, „è viatico quotidiano e fonte della spiritualità del singolo e dell’Istituto”. 23 Il sacramento di riconciliazione e la guida spirituale – per una marcia incessante verso la novità della vita, per vivere secondo la volontà di Dio, per non identificarla con i gusti propri, con le nostre visioni, per combattere il maligno, il principe di questo mondo, che è il nemico di ogni sviluppo e rinnovamento profondo. Il cuore rinnovato e purificato è il punto di inizio del rinnovamento e la base del giusto discernimento della volontà di Dio. A questi mezzi comuni si aggiungono degli altri specifici per il carisma del singolo Istituto, che bisogna riscoprire e far sorgere dalla tradizione. II. Il secondo criterio: rispondere ai segni dei tempi – lo sviluppo ad extra Giovanni Paolo II sottolinea che le comunità religiose sono chiamate a „riproporre con coraggio l’intraprendenza, l’inventiva e la santità dei fondatori e della fondatrici come risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi”.24 In altre parole: come in passato i fondatori e le loro comunità erano sensibili ai bisogni del proprio tempo, così oggi gli Istituti dovrebbero porsi in prima linea a rispondere alle sfide e ai bisogni dell’uomo dei nostri tempi. 1. La fedeltà al fondatore e alla regola Il Papa riferendosi alla risposta ai segni dei tempi, richiama la santità della vita dei fondatori.25 Essi costituiscono il modello di spiritualità, che sa integrarsi e armonizzare con le sfide di ogni epoca. Insegnano di avere uno sguardo profondo agli orizzonti della Chiesa e del mondo e di cercare i nuovi metodi di agire adeguati ai moderni bisogni socio-culturali.26 I fondatori sapevano liberare lo spirito dalle vecchie strutture istituzionali. Erano liberi dal conformismo e dall’abitudine27, perché li accompagnava una chiara visione della loro missione nella Chiesa locale e universale. Quando l’Istituto invecchia o diventa più maturo, ha bisogno di una migliore e più strutturata organizzazione. E qui nasce il pericolo: a causa di una ampliata organizzazione la visione carismatica deperisce oppure muore uccisa dalla burocrazia.28 Nel frattempo l’organizzazione da sola non basta. L’Istituto ha più bisogno della visione che dell’organizzazione, perché l’organizzazione senza la visione carismatica non esiste. La visione rimane il fondamento e il motore di ogni rinnovamento, di ogni adattamento. Senza una visione profonda e coraggiosa, ereditata dal fondatore, i membri dell’Istituto rimangono solamente i funzionari e la loro organizzazione vitale è paralizzata e rimane inoperosa nella Chiesa.29 22 VC 95. VC 95. 24 VC 37. 25 VC 37. 26 VC 37. 27 J.A. Gomez, La vita, art. cit., p. 113. 28 P. van Meijl, Quo vadis SDS?, in The Centenary of the Purchase of the Motherhouse of the Society of the Divine Saviour by Father Francis Jordan. Academia, Roma 1995, p. 20. 29 Lo stesso, Renaissance Salvatorienne, Rome 1995, p. 14-15. 23 61 2. Il bisogno di inculturazione Il carisma della comunità religiosa nasce in una data epoca storica e all’interno di una cultura particolare. Perciò si esprime con i modi e i mezzi adeguati a questa epoca e cultura, si adegua, per quanto è possibile, alle sue abitudini e al suo stile di vita. Ovviamente questi non possono essere incompatibili con i valori del Vangelo. Il Papa spiega, che „Per un’autentica inculturazione sono necessari atteggiamenti simili a quelli del Signore, quando si è incarnato ed è venuto, con amore e umiltà, in mezzo a noi”.30 „La norma e la misura non sono la cultura o le tendenze sociali, ma Cristo e il suo Vangelo (cfr IL 94)”.31 L’inculturazione ha dunque in se una certa tensione. Da una parte non sfugge al confronto con i problemi, con i contrasti e le sofferenze della società, ma si fa penetrare da loro, dall’altra non se ne immerge completamente, ma attraverso il suo stile di vita diventa un fermento evangelico capace di purificarli e trasformarli. 32 La cultura di un certo popolo o società aiuta l’Istituto a scoprire gli aspetti significanti e vitali del suo carisma. Le sfide dell’ambiente e delle diverse culture, le loro esperienze ed i bisogni, sono sempre una cosa provvidenziale per la comprensione del proprio carisma. 3. La collaborazione con i laici Il Papa nota, che „Una seria e valida evangelizzazione dei nuovi ambiti, ove si elabora e si trasmette la cultura, non può essere operata senza un’attiva collaborazione con i laici ivi impegnati”.33 Per gli Istituti è una sfida il condividere insieme ai laici, lo spirito e la missione dei fondatori. Negli ultimi tempi specialmente è accresciuta la convinzione che per le persone dedicate alla vita consacrata non è possibile compiere la missione nel modo autorevole in isolamento dal mondo odierno. Da una parte avviene così perché essi non sono in grado di abbracciare da soli tutte le sfide dell’epoca, dall’altra parte nasce sempre più profondo il bisogno di condividere il carisma del proprio Istituto a scopo di portare sempre frutti più abbondanti attraverso un’armoniosa cooperazione dei doni differenti.34 In questo modo si effettua un reciproco aiuto nello sviluppo. La collaborazione con i laici costringe in qualche modo allo sviluppo di un nuovo modo di pensare e programmare l’apostolato, per di più, ad approfondire la propria formazione, il confronto con la precedente missione e con il futuro.35 „La partecipazione dei laici – sottolinea l’Esortazione – non raramente porta inattesi e fecondi approfondimenti di alcuni aspetti del carisma, ridestandone un’interpretazione più spirituale e spingendo a trarne indicazioni per nuovi dinamismi apostolici. (...) A loro volta i laici offrano alle famiglie religiose il prezioso contributo della loro secolarità e del loro specifico servizio”.36 30 VC 79 G. B. Hume, in L’Osservatore Romano, op. cit., p. 21. 32 VC 80 33 VC 98 34 VC 54 35 LG 44 36 VC 55 31 62 Quanto profetica e attuale appare in questo contesto la visione di P. Jordan, il quale dall’inizio della fondazione dell’opera apostolica era convinto che i laici devono avere una parte essenziale nel carisma dell’Istituto.37 Fin dall’inizio il nostro Fondatore legava la missione della sua opera con il coinvolgimento dei laici, prima di tutto degli scienziati. In „Missionär” leggiamo tra l’altro sul tema della sua nuova opera Societas Apostolica Instructiva: „... essa vuole fare i cattolici zelanti ancor più zelanti sia proprio per la loro salvezza sia per la salvezza del prossimo. Ogni mezzo permesso è per noi utile: la scienza e l’arte, l’insegnamento della religione e le missioni, i periodici e le associazioni; vogliamo aiutarli affinché ravvivino il fervore nella confessione della fede e nella conquista delle virtù, i sacerdoti ed i laici, i genitori e gli educatori, gli artigiani e gli operai, i signori e i servi, vogliamo raccogliere tutti sotto la nostra bandiera! (...) essa vuole esortare e infiammare i cattolici alla coraggiosa e capace difesa della santa fede; vuole unire in questi sforzi gli scienziati cattolici ...” („Missionär”, 1 IX 1881). III. Il terzo criterio: unità con la Chiesa Tra la vita consacrata e la vita di tutta la Chiesa esiste una dipendenza necessaria e reciproca. Da una parte le persone consacrate non sono un lusso per la Chiesa, ma una necessità vitale e una parte essenziale della sua struttura carismatica. 38 Dall’altra parte „Non c’è vita consacrata, infatti, al di fuori della vita e della missione della Chiesa”.39 L’Istituto vive e si sviluppa solamente all’interno della Chiesa. Il Papa l’ha detto ancora più esplicitamente nell’Esortazione, quando ha sottolineato che „la vita consacrata si pone nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo per la sua missione, giacché esprime l’intima natura della vocazione cristiana”.40 Il carisma dell’Istituto si deve integrare, come un dono spirituale, con la struttura istituzionale della Chiesa, con il sistema giuridico che gli è proprio. Un esempio di tale integrazione, favorevole allo sviluppo dell’Istituto è l’atteggiamento di P. Jordan, il suo amore per la Chiesa e la sua illimitata obbedienza nel fondare la Congregazione. P. Jordan ha dimostrato la più profonda unità con la Chiesa e con i suoi pastori durante la lunga e difficile visitazione apostolica della Congregazione. Anche se in quel tempo soffrisse molto, non voleva che la visitazione provocasse nei cuori dei suoi confratelli una avversione alle autorità ecclesiali. Nel suo Diario spirituale scriveva: „Abbi cura che i tuoi figli spirituali lavorino e operino sempre in armonia con i Vescovi e il clero diocesano, e specialmente con il Santo Padre come il Vicario di Cristo”.41 Il fondatore che agisce nello spirito del carisma ricevuto non è il contestatore che rimprovera le strutture giuridiche e persino gli errori della Chiesa. Non si trova all’esterno della Chiesa, ma è una parte viva del Corpo Mistico di Cristo. Ciazione in J. Drozd, Pod znakiem krzyża, Kraków 1991, p. 87. (libera traduzione) LG 44 39 G.B.Hume, op.cit., p. 13. 40 VC 3 Il testo è evidenziato nell’originale. 41 SD II 76,1 37 38 63 IV. Il criterio dello sviluppo: la creazione delle sane strutture istituzionali Affinché la visione carismatica possa attingere le sue forze dalla fonte di una spiritualità sana e profonda, c’è bisogno anche di sane strutture istituzionali. Le strutture istituzionali del carisma non si oppongono al suo sviluppo. Al. contrario. Sono necessarie alla manifestazione del dono reale ed efficace.42 Rimangono al servizio della libertà spirituale che è l’essenza di tutti i carismi. L’istituzionalizzazione garantisce una permanente gioventù all’Istituto nella forza dello Spirito. Il carisma e l’istituzione sono vicendevolmente la base dello sviluppo. Esiste uno stretto legame e una relazione dinamica: l’istituzione garantisce la stabilità e l’ordine, la dimensione carismatica invece il movimento, la dinamica e la libertà. 43 Se le strutture istituzionali soffocano questa libertà, non la assicurano e non la garantiscono, questo è segno che qualcosa non funziona in queste strutture, che non sono sane. Le strutture possono essere intorpidite, ritualiste (possono curare solamente la fedeltà materiale, le forme esteriori, la conservazione esteriore), le possono caratterizzare lo schematismo, la paura del confronto con le nuove sfide e della verifica. Bisogna sempre ricordare che è l’istituzione che serve a uno scopo concreto, non al contrario. Non ci si può occupare soltanto dell’istituzione dimenticando lo scopo per cui è stata creata. In altre parole, tutte le forme istituzionali tanto sono buone e necessarie quanto corrispondono al carisma.44 Perciò lo sviluppo del carisma è legato al rinnovamento e all’animazione di tutte le strutture dell’Istituto. 42 E. Schillebeckx, Vocation, project de vi et etat de l’Eglise, Bruxelles 1970, p. 193-234. 43 M. Rondet, Signification ecclésiologiche de la vie religieuse, in Lumiö et Vie 19 (1970), p. 139-151. M. Gelabert, Życie konsekrowane - charyzmaty i posługi, in Życie Konsekrowane 6 (1995), p. 29. 44 64 SALVATORIANI LAICI ED ELEMENTI CHIAVE Carlos Alfonso Matiz Bulla Laico SDS 1. Introduzione. È giustificato realmente uno scritto in cui si vuole mostrare un approccio particolare degli elementi chiave, dal punto di vista dei Salvatoriani laici? O forse il contenuto e il modo di sviluppare il significato di questi elementi sono identici senza che abbia importanza il tipo di vita salvatoriana che si sia scelta (laico, religioso o religiosa)? Per cercare di dare una risposta a questa domanda basilare, senza la cui soluzione sarebbe inutile abbordare il tema di questo scritto, considero opportuno ricordare una frase che, propria del mondo della genetica, mi sembra totalmente applicabile al nostro modo salvatoriano di intendere la vita: “siamo diversi, siamo uguali.” Tutti e ognuno di noi esseri umani, per fortuna, siamo diversi, non esistono due uomini o due donne identici. Anche i gemelli nati da un solo ovulo, per simili che siano grazie alla loro identità genetica, si differenziano in particolari che risultano essere essenziali. Questa diversità assoluta all’interno del genere umano è ciò che fornisce una ricchezza infinita, che si riflette nella molteplicità di talenti, punti di vista e scelte di vita che culminano dando, a tutta la società umana, centinaia di migliaia di differenti possibilità al suo servizio. Nel fatto che tutti siamo diversi, è proprio ciò in cui ci somigliamo. La differenza, la individualità è il denominatore comune che, paradossalmente, ci fa tutti uguali. Credo che questo modo di vedere o di capire l’essere umano sia perfettamente applicabile alla vita salvatoriana e ho la certezza che il nostro Fondatore così lo abbia inteso, quando immaginò una società religiosa che accogliesse ogni tipo di cattolici, religiosi, religiose e laici, intellettuali, padri di famiglia, sacerdoti secolari, professionisti, casalinghe, etc. etc. L’universalità salvatoriana si riferisce, precisamente alla possibilità che ognuno ha, a partire dal suo modo di essere, a partire dalla sua posizione nel mondo e dei suoi talenti, di sviluppare la missione che ci è stata affidata. D’altra parte, nel campo della vita spirituale, la scelta che ognuno ha fatto (religioso, religiosa o laico), determina il suo particolare modo di essere e offre dati diversi sul modo di assumere il mondo. È chiaro che la vita consacrata genera delle aspettative, dei vantaggi e delle limitazioni completamente diversi da quelli che dà la vita laica. Anche all’interno di ognuna di queste scelte ci sono nuovi elementi che generano altre 65 differenze, il padre o la madre di famiglia avranno nella loro vita come laici, elementi diversi da quelli esistenti in una scelta di vita da non-sposato. Sono allora queste differenze – a volte radicali – quelle che, dal mio punto di vista, giustificano una riflessione sul modo particolare in cui i laici affrontano gli elementi chiave che abbiamo identificato come parte essenziale del nostro carisma, spiritualità e identità. 2. Caratteristiche della vita dei laici. 2.1. Il laico, immerso nel mondo. Come abbiamo detto, ogni uomo e ogni donna, assume la vita a partire dalla sua specificità come individuo, ma, oltre a questo, è influenzato dal mondo che lo circonda. Da questa interazione permanente tra il soggetto ed il suo ambiente, nascono le caratteristiche proprie del ruolo che ricopriamo in tutti i campi della nostra esistenza, compresi certamente, quello spirituale e quello religioso. Forse, il primo dato della vita come laici nasce da questa realtà, in quanto il laico è molto più esposto all’influenza dell’ambiente in cui vive. La sua vita “nel mondo” lo rende più suscettibile a ricevere l’influenza esterna dei mezzi di comunicazione e delle persone che lo circondano. La vita religiosa, al contrario, offre una certa barriera, costituita dalla comunità a cui si appartiene e preserva, in parte, il religioso o la religiosa di fronte alle pressioni e influenze che esercita il mondo costantemente. 2.2. Il lavoro e la famiglia. Noi laici e laiche organizziamo la nostra vita intorno a due aspetti principali: il lavoro e la famiglia. Sfortunatamente quasi sempre la priorità si trova in quest’ordine, infatti il mondo in cui viviamo si impegna a ripeterci che la felicità si può raggiungere solo grazie ad un minimo di possibilità materiali e che è tanto maggiore quanto più grande è il benessere economico che raggiungiamo. Per questo, il successo professionale occupa uno spazio immenso nella vita dei laici. Il lavoro occupa la maggior parte del nostro tempo e dei nostri sforzi, e, alla fine di ogni giornata, cerchiamo il rifugio della famiglia, lì dove si sviluppa l’altra parte della nostra vita. C’è anche una certa trappola ideologica forgiata dal capitalismo, dal momento che si suppone che tutti lavoriamo per dare il benessere alla famiglia, e che, nonostante ciò, l’abbandoniamo per lavorare per lei. Noi laici arriviamo con maggior facilità in tutti gli angoli del mondo, ma allo stesso tempo siamo più vulnerabili alla sua influenza. Possiamo essere più autonomi economicamente, ma allo stesso tempo, molto più dipendenti dal denaro. Queste caratteristiche della nostra scelta di vita implicano che è solo una piccola parte del nostro tempo quella che possiamo dedicar alla crescita spirituale, al lavoro pastorale, allo studio e ad altre attività. Di fatto, la maggior parte dei Salvatoriani laici che conosco, al 66 massimo, tengono le loro riunioni ogni settimana per due o tre ore, quando non le tengono con minore frequenza ed intensità. Ora, questa mappa della vita del laico, fa che tutti gli aspetti della sua vita ruotino intorno alla famiglia e al lavoro. Lo stesso succede con l’affetto, l’autostima, lo sviluppo spirituale, la preghiera, etc. etc. Naturalmente, questa caratteristica determina il modo in cui noi laici affrontiamo gli elementi chiave che determinano la nostra spiritualità ed il nostro carisma. Vediamo una di queste: la preghiera. Mentre la vita religiosa in comunità inserisce frequenti momenti di preghiera che scandiscono la giornata, noi laici e laiche dobbiamo fare grandi sforzi per trovare brevi spazi da poter dedicare alla preghiera. Raramente si potrà sviluppare un atteggiamento permanente o frequente di preghiera. In verità, il tempo e le attività quotidiane sono una barriera per poterla sviluppare. Senza dubbio le soluzioni per questa difficoltà che appare grave, possono sorgere proprio nel vivere la struttura di vita del laico. Saranno allora il lavoro e la famiglia, gli scenari dentro i quali si dovrà pregare. Forse noi laici non avremo tanto tempo per pregare e certamente l’intensità e la profondità delle nostre preghiere sarà inferiore a quelle che raggiungono i religiosi dopo anni di pratica frequente. Ma non si tratta di uno svantaggio, ma più semplicemente di un’altra modalità per affrontare questo elemento chiave della nostra spiritualità. La preghiera in famiglia, essendo breve e meno profonda, ha una forte incidenza nella formazione dei figli e influisce sui legami che uniscono tutti i componenti della famiglia. Se, eventualmente, si può arrivare a pregare durante il lavoro, l’effetto di tale atteggiamento, avrà un grande impatto su chi ci circonda. Visto in questo modo, la preghiera nella vita del laico finisce con l’essere semplicemente diversa, ma non di una qualità inferiore. Vediamo un altro degli elementi chiave: vivere la verità, la giustizia e la solidarietà. Anche se porsi un obiettivo così ambizioso non è semplice né per un laico né per chi ha optato per la vita religiosa, è chiaro che raggiungerlo implica sforzo diverso a seconda della scelta salvatoriana che si è fatta. La verità, la giustizia e la solidarietà devono essere vissute quotidianamente nell’ambiente nel quale ci muoviamo e ciò non è semplice, né dentro una comunità religiosa, né all’interno della famiglia o dell’ambiente di lavoro. Ma forse è molto più complicato cercarli in ambienti ostili dentro i quali imperano l’ingiustizia, l’egoismo e la menzogna, come strumenti efficaci per fare soldi, conseguire il successo e mantenere il potere. Noi laici, come abbiamo detto prima, siamo completamente esposti al mondo, viviamo in esso e dentro noi dobbiamo sopravvivere. Oltre alle nostre personali difficoltà per assumere la verità, la giustizia e la solidarietà, generalmente dobbiamo affrontare il rigetto di chi lavora con noi; i nostri colleghi e i nostri superiori, i nostri clienti o i nostri 67 concorrenti. È richiesta molta pazienza, o molto tatto, o molto coraggio per affrontare situazioni di ingiustizia, menzogna ad egoismo. I religiosi, al contrario, hanno d’abitudine una maggiore libertà di mostrare la loro posizione radicale di fronte a certi fenomeni di ingiustizia, menzogna ed egoismo, dal momento che appartengono ad una comunità che li spalleggia e che socialmente assume, come normale, l’essere critici e denunciare questi fenomeni. I rischi che loro corrono principalmente sono quelli di fermarsi alla retorica o di predicare nel deserto. Il lavoro del laico, dal “di dentro” del mondo, può avere un altro modo di essere efficace, può rappresentare cambiamenti lenti ma importanti, anche se questo intento implica il rischio di essere rifiutato (allontanato, isolato etc), o quello di finire col desistere e adattarsi alla situazione, se non addirittura godere di essa. Sono modi diversi di vivere un elemento chiave, ognuno con vantaggi e svantaggi suoi propri. 3. Diversità e complementarietà. Come si può vedere, la vita del laico, per molti aspetti, differisce molto da quella propria di un religioso. Se esaminassimo uno ad uno gli elementi chiave propri della vita salvatoriana, incontreremmo sempre differenze importanti nel modo di assumerli e realizzarli da parte dei laici o dei religiosi e delle religiose. Si evidenzierebbe che si tratta di scelte diverse, in condizioni diverse, con limiti e vantaggi anch’essi diversi. Senza dubbio ci troveremmo sempre davanti agli stessi valori ed elementi. Queste differenze certamente possono allontanarci, ma possono anche essere una forza enorme per la famiglia salvatoriana. Possiamo concentrarci sul nostro modo di assumere la vita, riconoscerla come la migliore o anche come l’unica valida e stabilire allora una distanza incolmabile tra il nostro modo di essere e quello degli altri. Possiamo considerare l’altro come il diverso, colui che è in errore, il non-completo, colui che vive solo una parte della verità, il limitato, che non può dedicarsi appieno alla vita spirituale o il mondo reale. Infine, possiamo farci l’idea che la vita salvatoriana sia un cammino solo per religiosi o una ricerca esclusiva per i laici in modo tale che l’altro sia visto come un intruso, uno pseudo-salvatoriano, un imitatore o un retrogrado. Ma possiamo anche capire che nella differenza ci identifichiamo, che siamo uguali grazie alle nostre peculiarità e che la differenza arricchisce. Nella mia opinione, l’universalità che tanto preoccupava Jordan e che è servita da base per costruire le sue idee iniziali di una società alla quale avrebbero partecipato, con la stessa importanza e con la stessa forza salvatoriana, casalinghe, professionisti, religiosi secolari, religiose di congregazione, scienziati, contadini e persino bambini, è un elemento chiave che ci invita a guardare l’altro come il complemento, come colui con il quale possiamo camminare 68 insieme, raccontandoci, a vicenda, il modo personale che abbiamo di vedere la vita, di vivere la preghiera o di assumere valori come la giustizia, la solidarietà e la verità. Scopriremo allora che tutti portiamo una croce diversa e che possiamo portarla in molti modi, che possiamo chiedere aiuto per capire meglio le nostre debolezze o per godere con più successo delle nostre forze. Scopriremo che siamo diversi e, per questo, che siamo uguali e che nella mente del nostro Fondatore nacque l’idea di una società universale in cui ci stiamo tutti, vivendo e rispettando le nostre differenze, grazie alle quali potremo cercare insieme il regno in ogni luogo, in ogni momento, in tutti gli ambienti. 69 OGNI ELEMENTO CHIAVE LANCIA UNA SFIDA ... E OGNI SFIDA RICHIEDE TOLLERANZA...? Sylvie Brunzel-Lauri Laica SDS No, non ho dimenticato che tutti i membri della Commissione Internazionale per il Carisma sono stati invitati a scrivere un nuovo articolo su un elemento chiave entro il 2004. SFIDA e TOLLERANZA sono parole che non appartengono che non si trovano nella lista degli elementi chiave SDS, sono tuttavia strettamente legate ad essi. Direi che formano la loro piattaforma di lancio! Sono sempre stata e sono tuttora colpita dalla parola SFIDA che appare così spesso nei documenti salvatoriani. Allora, perché non riflettere sul suo significato per la Famiglia Salvatoriana? Noi1 ci troviamo dunque davanti ad una SFIDA, cioè dobbiamo affrontare, elaborare e risolvere un problema. Qualche volta si tratta di un vero e proprio ‘puzzle’ che dobbiamo prima esplorare e poi ricomporre pezzo per pezzo. La SFIDA è un invito alla battaglia, alla lotta. Questa battaglia potrà diventare un duello con un solo ostacolo oppure trasformarsi in una vera “guerra” su numerosi fronti. Naturalmente i nostri metodi di lotta e le nostre armi sono pacifici, ma dovranno essere efficaci, come la testimonianza, la parola, l’azione! In questo senso guardiamo ora la SFIDA in generale che l’appello alla Rifondazione impone a religiosi e laici: Un appello, ma quante SFIDE! Andiamo dunque alla fonte e ritroviamo uno scenario storico. Davanti a noi stanno.... il Fondatore, P. Jordan, e la sua visione universale; le difficoltà iniziali che dovette superare per far fronte alle sue fondazioni; il destino della Beata Madre Maria degli Apostoli, che attese il “suo momento” per una vita intera; la situazione politica - allora presente in Germania e nel resto dell’Europa; le autorità ecclesiastiche con le loro leggi ferree; 1 Noi si riferisce sempre a tutta la Famiglia Salvatoriana 70 il forte grido dei poveri di allora ... che continua in ogni epoca storica; la situazione sanitaria ed igienica di allora e la bassa aspettativa di vita; la lotta che il P. Jordan e la M. Maria hanno affrontato insieme per realizzare la loro visione universale, su cui dobbiamo riflettere ancora oggi, perché la dobbiamo portare avanti. Le SFIDE di allora esistono ancora oggi, rapportati però ai nostri tempi. “Alt, guardiamo queste SFIDE un pò più a fondo!” Dopo più di un secolo, che i(le) Salvatoriani(e) hanno cercato di ispirarsi alla visione universale di Jordan, trovando e sviluppando una missione individuale o comune, viene affrontato un “nuovo inizio”. Lasciar perdere alcuni progetti cosiddetti ‘di successo’, sostituendoli con altri, di esito incerto, ma forse più concreti e moderni. Cos’è successo? Apostolati mantenuti da decenni si devono adattare alle nuove condizioni spirituali, economiche ed ecologiche! La vita in Occidente è diventata materialmente ed anche moralmente più facile. Dove sono andati i valori, dov’è la lotta giornaliera per vivere e sopravvivere? Per immettere i veri valori nuovamente nella nostra vita, dobbiamo innanzitutto ritrovarli. Spesse volte, quel che si considera una “missione” altro non è che un buon lavoro di routine, che non ha un profondo senso spirituale e di sicuro non condurrà nessuno a “conoscere Dio ed il Salvatore”. Di conseguenza, spesso bisogna cambiare o addirittura abbandonare quella cosiddetta “attività apostolica” per trovare compiti moderni, che possano indicare la giusta direzione verso l’intenzione del Padre Jordan. Quante SFIDE: andare fino in fondo, discernere, lasciar andare, liberare dai ‘fronzoli’, ricominciare dai valori originali. Come potrà la Rifondazione diventare un segno profetico e di riconciliazione? Una presenza profetica nel mondo odierno comporta sicuramente molte difficoltà. Diventare riconcilianti con la nostra attitudine spesso scettica verso il prossimo, la propria famiglia, i poveri, gli emarginati, gli appartenenti alle altre religioni - come comportarci in questi casi? Come agire? Abbracciare tutti e riconciliarci con loro, che SFIDA! Questi sono solo alcuni elementi di una miriade di SFIDE che ci pone la vita salvatoriana. Infine, cerchiamo di prendere in considerazione un’espressione che viene raramente menzionata. Il superamento di una SFIDA significa operare con TOLLERANZA - un comportamento estremamente complicato, che richiede 71 1. comprensione, 2. il superamento di sé stesso 3. indulgenza, 4. amore del prossimo, 5. ascolto, 6. preghiera, 7. profondo discernimento, 8. riflessione, 9. perdono ed infine 10. riconciliazione. Dobbiamo fare uno sforzo considerevole per rendere tangibile almeno una di queste virtù. Dobbiamo dimostrare TOLLERANZA quando … torniamo indietro nella storia incontrando forse espressioni e comportamenti antiquati che oggi ci sembrano ridicoli, ma che ci indicano la direzione giusta; giudichiamo la vita di allora con criteri moderni; stiamo davanti al materialismo sfrenato di oggi, mentre ci impegnamo per il benessere spirituale della gente; veniamo accolti con ostilità e senza rispetto; una persona di fede diversa viene accolta come collaboratore e lavora con successo; ci troviamo di fronte ad opinioni diverse nella vita e nel lavoro quotidiano; desideriamo impulsivamente reagire in modo forte, però non conviene; vogliamo essere profetici, ma nessuno ci presta attenzione; la gente confonde la carità materiale con quella spirituale. Questa breve riflessione potrà forse indurre qualqu’un altro a descrivere un’espressione strettamente legata agli elementi chiave salvatoriani, per evitare di ripetere spiegazioni già ampiamente conosciute! Roma, Gennaio 2004 72 LA NOSTRA SPIRITUALITA SALVATORIANA VISSUTA NEL CONTESTO ASIATICO Suor Sebamalai Pieris SDS Introduzione Le Chiese in Asia non erano presenti nei primi anni del Cristianesimo, e nemmeno nel primo millennio. Nella prima metà del secondo millennio non erano ancora formate e proprio non esistevano. Le Chiese carismatiche nascono in Galilea ed a Gerusalemme, dove sono cresciute nel mondo della filosofia ellenistica e più tardi sono state educate nel ritualismo e nel rigido instituzionalismo, proprio dell'Impero Romano, di allora. Dal 16° secolo in poi hanno fatto l’esperienza della grande riforma, e la Chiesa Cattolica è stata impegnata attivamente in un periodo di controriforma. E’ da queste chiese che i missionari, fedeli alla loro esperienza, hanno introdotto le Chiese sul suolo Asiatico. Per questo in Asia, lo spirito originale delle Chiese non viene da quelle di Gerusalemme e di Galilea ma da quelle della controriforma di Portogallo, Spagna ed Olanda. Gli sforzi eroici e sacrificanti, dei missionari europei in Asia sono stati organizzati, sostenuti e coordinati dalla Congregazione religiosa, che ha lavorato sotto la guida della Sacra Congregazione per la propaganda della fede. Il Concilio Vaticano Secondo bussa alle porte dell’Asia chiamandola ad essere Asiatica Il Concilio Vaticano Secondo ha segnato nella Chiesa Universale, la fine del periodo di controriforma e l’inizio di una nuova era. Per le Chiese dell’Asia, ha voluto dire molto di più. Ha portato una radicale trasformazione del vecchio modo di guardare a se stessi ed anche alle realtà Asiatiche, che la Chiesa è chiamata a servire. Questa trasformazione può essere paragonata, solo alla decisione che è stata presa nel primo consiglio di Gerusalemme con il passaggio da una Chiesa Giudaica ad una Chiesa dei Gentili. Questo non vuol sostenere che le Chiese Asiatiche si sono pronunciate sui problemi di risorse della loro prima evangelizzazione. Queste non si sono mosse per nulla in un processo di cambiamento, alla luce di questa nuova realtà! Lo Spirito ha lavorato in un altro modo per aprire la strada, verso Gesù Cristo, alle sue Chiese in Asia. Lui ha scelto le persone che erano in grado di comprendere i segni dei tempi. Alcuni Vescovi in Asia, pieni dello spirito del Vaticano Secondo, hanno provato diverse strade e mezzi per leggere i segni dei tempi nel loro ambiente. Grandi sono stati i loro sforzi nel portare questa consapevolezza ai loro preti, religiosi e laici, e i risultati iniziano a prendere vita nel 21° secolo. 73 Nel 18° secolo nuove fondazioni di comunità religiose sono state chiamate dallo Spirito Santo a dare nuova vita alle Chiese. Noi guardiamo a Padre Jordan e Madre Maria degli Apostoli come a moderni profeti chiamati a rinnovare la Chiesa. I versi delle Sacre Scritture che hanno ispirato la fondazione della Società Salvatoriana, vengono dall’alta preghiera sacerdotale di Cristo durante l’Ultima Cena. “ ... che conoscano Te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv17:3). Jordan non era interessato a fondare un ordine religioso per uno specifico ministero della Chiesa. Essendo orientato verso la missione, con un profondo senso della sua personale chiamata, egli sosteneva che quelli che lo seguivano dovevano essere pieni di spirito d’apertura e pronti ad intraprendere qualsiasi lavoro spinti dall’amore di Dio e dalla necessità del momento. Inculturare il proprio Carisma Per quanto io posso immaginare, inculturare il Carisma significa rigenerare nelle culture locali l’esperienza della lotta dei fondatori, così che, attraverso il genio delle culture locali, lo stesso concetto di base, la percezione e la stessa volontà dei fondatori può essere espressa in un nuovo modo, adattato alle culture locali. Il processo d’inculturazione deve essere salvaguardato da una riflessione sia personale sia comune. Joan Chittister, O.S.B. nel suo libro “Il fuoco in queste ceneri” parla delle due forme dell’inculturazione, quella esterna e quella interiore. Inculturazione è molto di più che portare gli stessi vestiti, lavorare nello stesso posto ed avere lo stesso modo di vivere come tutti gli altri del luogo, riguarda il come ci si può misurare con ognuno di questi aspetti. Inculturazione è nella responsabilità di celebrare le vere benedizioni e prendere su di se i pesi reali della gente del posto, in modo da convertirsi a loro e con ciò renderli più visibili e più comprensibili per gli altri. E’ uno sforzo concertato, fatto con la scelta consapevole di agire non nell'interesse di una personale consolazione ma nell'interesse del regno di Dio. In altre parole avere gli occhi di Cristo e partire dall'esperienza di essere con i poveri. Sono queste le due principali vie dell’inculturazione. Nell’ambiente Asiatico, i valori culturali e le pratiche religiose dei poveri possono essere una ricca sorgente per rigenerare il Carisma. Quando noi ci mettiamo a parlare con i poveri della loro spiritualità, nel discernimento del valore della semplicità del loro modo di vivere, la genuina franchezza, la generosa condivisione, il modo di intendere la comunità, la lealtà alla famiglia e il rispetto per i vecchi, ci accorgiamo che questi possono essere apprezzati ed annunciati come genuini valori del Vangelo e non come temi appartenenti alla confessione religiosa di questi poveri. Come si fa a procedere attraverso questo tipo di esperienza? Abbiamo il coraggio di entrare profondamente nelle stesse condizioni di quelle dei nostri primi missionari, ad esempio quelli di Assam? Da quanto abbiamo letto di questi missionari, ci rendiamo consapevoli della loro apertura al dialogo con la cultura locale del povero, questo è, un dialogo culturale. Questo modo d’essere missionari è quello che ha tracciato la strada per un nuovo inizio in India. 74 Conclusione Per essere inculturati, come Salvatoriani, è inevitabile che il nostro approccio deve essere quello del dialogo. Dato che l’Asia è un continente di molti popoli, culture e religioni, allora tutte le Chiese locali e le istituzioni religiose che son veramente radicate ed incarnate, veramente Asiatiche, devono dialogare con i popoli indigeni, con le loro culture e religioni. Dialogo con i popoli, le Chiese Locali in Asia raccolgono molti popoli. Nella crescita di questi popoli la Chiesa deve essere direttamente coinvolta nel dialogo, con lo sviluppo di programmi di informazione, organizzazione e sviluppo. Basati sulla dignità umana vista con gli occhi della fede. I cristiani devono guardare ad una giustizia autentica e alla pace, con un occhio attento ad una non-violenta trasformazione sociale. Dialogo con le culture per essere inculturata, la Chiesa deve mettere profonde radici in tutti i popoli, facendo propria, con piacere, la loro vita e la loro storia. La Chiesa locale deve condividere qualunque cosa appartiene alla gente, il significato dei suoi valori, le aspirazioni, i pensieri e le sue lingue, le sue canzoni, i balli e la sua arte. Dialogo con le tradizioni della fede presenti in Asia: Buddismo, Induismo, Confucianesimo, Taoismo e le religioni Islamiche contengono profondi valori e significati morali e spirituali. Sono le tesorerie dell'esperienza religiosa dei nostri antenati. La casa della loro contemplazione e preghiera. Sono presenti nella storia e nella cultura delle nostre nazioni. Nessuna inculturazione e la conseguente evangelizzazione potrà essere durevole e fruttuosa se non passa per la strada di questo triplice dialogo. Riferimenti 1. Asia: Many Faces and Challenges–Info OHD Vol 19 Nos 7-8 July–Aug. 97 2. The Fire In The Ashes–Joan Chittister O.S.B. 3. Journey Through Fifty Years–Sr. Felicita de Silva 4. Building The Churches In Pluricultural Asia–Robert Hardawiryana, Arul M. Varaprasadam, Kees Bertens, J.B. Banawiratma, Maria Elena Hong-Javier, Peter Knect, Joseph Kinh Duc Dao Giugno 2004 75 ELEMENTI CHIAVE E IL MIO LAVORO PASTORALE P. Paul Portland SDS Sono convinto che gli elementi del carisma, della missione e della spiritualità siano veramente una parte importante di chi e di che cosa siamo come salvatoriani. Condivido un episodio del mio primo anno di sacerdozio per illustrare ciò che penso: Ero salvatoriano da 12 anni, quando fui ordinato nel 1976. Il mio primo lavoro con giovani adulti a Pittsburg, Pensylvania, lontano da altri salvatoriani. Una domenica molto presto, mi chiamarono da una parrocchia dei dintorni della città: il sacerdote era malato e mi chiedeva se lo potevo aiutare con le Messe. Io non ero mai stato prima un sacerdote di parrocchia, ma dissi di sì e incontrai lì il mio cammino. Dopo di uno dei servizi, una coppia mi si avvicinò per dirmi che erano lì in visita e che erano di un altro stato, ma che io ricordavo loro i sacerdoti della loro parrocchia. Parlavano di una parrocchia, St. Mark, a Phoenix, Arizona, a circa 3.000 miglia di distanza! Io non mi ero identificato come salvatoriano, essi non sapevano che ero salvatoriano, ma mi avevano rapportato ai salvatoriani che lavoravano nella loro parrocchia. Allora chiesi loro che cosa avevano visto o sperimentato che li aveva portati ad associarmi agli altri e loro non riuscirono a dirlo. Tutto ciò che poterono esprimere fu: “Lei ci ha fatto sentire parte della celebrazione, non abbiamo solo assistito a ciò che Lei stava facendo” Che meravigliosa espressione del nostro desiderio di stare con coloro che serviamo e di rendere partecipi gli altri di ciò che facciamo! Durante la mia formazione nessuno mi ha mai detto cosa dovevo fare per creare questa atmosfera. E’ stato qualcosa che è successo, quando sono cresciuto nella mia maturità salvatoriana. Ma come fare perché questo succeda? Ci sono quelli che sono attratti da noi, imbevuti di questi elementi chiave e così gravitano verso di noi? O queste cose si imparano, quando si vive e si lavora con altri salvatoriani? Forse in ognuno di loro è il risultato della combinazione d’entrambe le cose, pur essendo più reale in alcuni piuttosto che in altri. Coloro che non vivono questi elementi non vivono o non si sono mai integrati all’interno della comunità. Il mio attuale ministero è quello di essere pastore di una parrocchia multiculturale in un’area rurale in cui i cattolici sono l'uno per cento della popolazione e in cui è presente un forte sentimento anti-cattolico. La maggior parte dei parrocchiani sono immigrati ispanofoni arrivati di recente. Il resto, nella maggior parte bianchi, alcuni di razza negra e asiatica. Poco tempo fa, ho riletto le linee principali delle mie omelie dei due anni precedenti e sono rimasto sorpreso dal fatto che tre temi le dominassero quasi nella loro totalità, sia che fossero esse in inglese o in spagnolo. Allo stesso tempo stavo controllando i nostri elementi chiave per un lavoro della provincia. Mi ha colpito il fatto che questi tre temi rappresentino il cammino da me percorso nell’interiorizzazione dei 76 nostri elementi chiave salvatoriani e il come li ho convertiti in messaggi che condivido con i miei parrocchiani nelle mie omelie. Desidero condividere questi tre elementi con voi: Il primo è che noi dobbiamo conoscere Gesù, se noi esistiamo per amarlo. Incoraggio la gente ad andare più in là dei servizi formali di preghiere vocali e ad avere un rapporto con Gesù come con un amico. Li incoraggio soprattutto a trovare tutti i giorni un tempo per stare con Gesù, parlando, chiacchierando, condividendo sentimenti personali e preoccupazioni, ma anche ascoltando con tranquillità ciò che il Maestro risponde. L’obiettivo è quello di fare di Gesù un buon amico, il migliore degli amici. Il secondo tema è l’UNIVERSALITA’. Non Possiamo essere esclusivi. Non possiamo dividere. Tutto ciò che Gesù ha fatto, ha avuto unità sino alla fine. Possiamo vedere nel mondo il male che viene dalla divisione e dalla separazione. Molte volte non abbiamo bisogno di giudicare; possiamo lasciare questo a Dio, centrarci invece su ciò che abbiamo in comune e come possiamo lavorare uniti per il bene. Il terzo elemento è la RESPONSABILITA’, di ogni persona battezzata, di essere un APOSTOLO. Cristo non affidò la missione al Papa, ai vescovi, ai sacerdoti e ai religiosi: egli l’affidò ai battezzati. Ed è il laicato battezzato che raggiungerà quelli che sono lontani dalla Chiesa. Cerco inoltre, con l’aiuto di esempi concreti laddove possibile, di aiutare a far capire a quelli che stanno ascoltando, quanto sia importante l’esempio delle loro vite per costruire il regno di Dio e quanto sia importante che loro condividano, con le persone che sono loro vicine, la buona novella di Dio. Conoscendo, amando e anche servendo con l’azione e la testimonianza a tutte le genti, la mia fede consiste nel fatto che, se posso aiutare le persone ad assimilare questo in modo che definiscano la loro vita, allora le ho servite come un buon salvatoriano. 77 INDICE ELEMENTI CHIAVE SALVATORIANI Il carisma, la missione, la spiritualità salvatoriana ....................................................... LE NOSTRE RADICI BIBLICHE P. Arno Boesing SDS ....................................................................................... DANIELE 12:3 COME TESTO FONDAMENTALE NELLA SPIRITUALITA SALVATORIANA Sr. Carol Leah Thresher SDS ........................................................................... LA NOZIONE SALVATORIANA DELLA SALVEZZA NEL CONTESTO DI GIOVANNI 17,3 Sr. Justine Mbuyi Mashila SDS ........................................................................... LA NOSTRA VOCAZIONE P. Mario Agudelo Roldán SDS ........................................................................... RENDERE ACCESSIBILE A TUTTI LA TEOLOGIA P. Donald Skwor SDS ........................................................................... SEQUELA DEGLI APOSTOLI COINVOLGERE GLI ALTRI NELLA MISSIONE Sr. Rozilde María Binotto, SDS ........................................................................... LA VITA E IL CARISMA DELL’ISTITUTO. I CRITERI PER LO SVILUPPO P. Krzysztof Wons SDS ........................................................................... SALVATORIANI LAICI ED ELEMENTI CHIAVE Carlos Alfonso Matiz Bulla Laico SDS ............................................................... OGNI ELEMENTO CHIAVE LANCIA UNA SFIDA E OGNI SFIDA RICHIEDE TOLLERANZA. Sylvie Brunzel-Lauri Laica SDS ............................................................... LA NOSTRA SPIRITUALITA SALVATORIANA VISSUTA NEL CONTESTO ASIATICO Sr Sebamalai Pieris SDS ....................................................................................... ELEMENTI CHIAVE E IL MIO LAVORO PASTORALE P. Paul Portland SDS ................................................................................................... 78