Editoriale ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 In Oman, affascinante angolo di terra della penisola arabica, è ancora frequente incontrare persone con un falco sulla spalla e una scimitarra alla cintura; così diversa dalla nostra quotidianità, questa immagine ci colpisce, così come ogni immagine diversa dal nostro comune e consolidato modo di vedere la vita. Tuttavia, è la biodiversità umana e comportamentale che ci colpisce, sempre meno la biodiversità naturale, anche perché quest’ultima è spesso invisibile, costituita da milioni di esseri viventi sostanzialmente a noi sconosciuti e, quindi, non in grado di suscitare le nostre emozioni. Per quale motivo dovremmo dedicare risorse, tempo ed energia per tutelare il falco della Regina, splendido rapace a rischio estinzione? La biodiversità è un concetto che nella nostra epoca fatica a trovare una sua legittimazione. La nostra è un’epoca in cui si tende all’omogeneizzazione sia nei pensieri, sia nell’estetica, ma è sempre più difficile trovare un equilibrio in grado di mantenerci in linea. Una linea che richiede fatica, che genera ansia e che ci porta a frequentare palestre per la linea del corpo e analisti per la linea della mente. “Vai dall’analista” è una esortazione che ho sentito da un centauro infuriato con una giovane automobilista; un “insulto” di questo tipo è sintomatico dell’era che stiamo vivendo; forse è solo un trasferimento del bisogno di ascolto dal confessionale della chiesa al lettino di uno studio, con la differenza dell’aggiunta della parcella. Ma studi di analisti, centri yoga e ormai tradizionali palestre caratterizzano le nostre città ben più dei lustrascarpe del novecento delle città americane, dove – rilassati nella lettura di un giornale – ci si concedevano pochi minuti di pausa “estetica”, pausa che oggi è sempre più difficile concedersi. Si deve sempre essere al massimo della forma, nonostante, o anche perché, ci si trova in un contesto sempre più regolamentato, disciplinato, che non ammette diversità. Già, le diversità! Oggi diversità assume un duplice significato; per essere politically correct ci si riempie la bocca sull’esigenza di tutelare le diversità culturali, religiose, sessuali, etniche, si preparano menu tradotti in cinque lingue negli ospedali. Ma non ci si accorge che per tutelare le diversità le stiamo eliminando, le stiamo normalizzando, le stiamo integrando con l’unico scopo di trasformare il mondo in un unico, enorme mercato, con le stesse logiche economiche, gli stessi prodotti, gli stessi sogni. La diversità fa paura, non quella che falsamente pensiamo di tutelare, ma quella vera, di persone che vedono la vita in maniera diversa, che non hanno come obiettivo l’arricchimento, atteggiamento che non è mai stato naturale per l’uomo che, da sempre, aveva posto i mercanti in fondo alla piramide sociale, al cui vertice c’erano poeti, musicisti e buffoni di corte, gente diversa, ma in grado di accendere le emozioni. Il nostro modello non può consentirsi i buffoni, sono difetti di fabbrica, così come tutto ciò che non può essere ottimizzato; viviamo in un mondo ossessionato dalla ricerca della perfezione, garanzia sicura dell’infelicità. Abbiamo trasferito l’approccio tecnocratico anche alle nostre vite e ai nostri corpi; dobbiamo essere perfetti, sempre, non possiamo più concederci emozioni che possano danneggiare la nostra immagine. Siamo in preda a una ossessione e, come spesso succede quando si è in preda a FOTO F. DALL’AQUILA, REGIONE EMILIA-ROMAGNA Il falco della regina e la biodiversità 1 un’ossessione, siamo ormai incapaci di vedere la realtà in modo razionale; aspetto, questo, paradossale in una società che ha fatto della razionalità l’unico elemento nei confronti del quale non dubitare. Ma come può definirsi razionale un modello di sviluppo che appare a tutti insostenibile, sia a chi ne è vittima, sia a chi ne è responsabile? L’immaginario collettivo è purtroppo ancora in preda al mito dell’innovazione, vista come unica strada per risolvere i problemi dell’ambiente, della salute, della sicurezza ecc.; sembra impossibile modificare l’immaginario collettivo, ma così come se ne è creato uno centrato sulla tecnologia e l’innovazione, non si capisce perché dovrebbe essere impossibile crearne uno alternativo, fondato sul valore delle diversità, di ciò che oggi definiamo imperfezione, quando in realtà la bellezza del nostro mondo è fondata sull’irregolarità, sia della natura, sia del genere umano, con infiniti volti e lineamenti che, a seconda delle diverse epoche e culture, hanno rappresentato la bellezza. Il contrasto e le differenze, non la perfezione e l’omogeneizzazione hanno da sempre caratterizzato la vita sul nostro pianeta; cercare di eliminarli significa creare le condizioni per eliminare la bellezza, fatta di luci e ombre. E anche la biodiversità assume un significato e un valore diverso a seconda del contesto di riferimento; un albero può essere fondamentale per la sussistenza di una comunità e può essere assolutamente indifferente a un’altra. Ma solo capendo l’interrelazione sistemica in cui viviamo potremo tentare di salvare il pianeta. In Italia è presente il 45% del patrimonio artistico mondiale, e una straordinaria biodivesità naturalistica, che si sviluppa dalla Sicilia alla Valle d’Aosta. Eppure, anche nel nostro straordinario paese, si continua a consumare il suolo a ritmi che ormai rischiano di portarci a un punto di non ritorno per quanto concerne la capacità di rigenerazione; consumare il territorio significa diminuire la biodiversità; continuare a cementificarlo significa ridurne le differenze – di costumi, di comportamenti, di tradizioni – con conseguente perdita complessiva di qualità della vita. È per questo che solo se saremo in grado di salvare il falco della regina, saremo in grado di salvare noi stessi. Francesco Bertolini Università Bocconi Milano numero 4 • anno X luglio-agosto 2007 sped. abb. postale art. 2 comma 20/C legge 662/96 Filiale di Bologna Euro 2.58 Abbonamento annuale: fascicoli bimestrali Euro 20,66 con versamento sul c/c postale n.751404, intestato a: Arpa Servizio Meteorologico Regionale Viale Silvani, 6 - 40122 Bologna 2 Segreteria: ArpaRivista, redazione Via Po, 5 40139 Bologna Tel 051 6223887 Fax 051 6223801 [email protected] DIRETTORE Alessandro Bratti DIRETTORE RESPONSABILE Giancarlo Naldi COMITATO DI DIREZIONE Vito Belladonna, Mauro Bompani, Vittorio Boraldi, Fabrizia Capuano, Simona Coppi, Giuseppe Dallara, Sandro Fabbri, Francesco Fortezza, Gianfranca Galliani, Paolo Lauriola, Lia Manaresi, Giancarlo Naldi, Vanna Polacchini, Raffaella Raffaelli, Massimiliana Razzaboni, Attilio Rinaldi, Leonardo Riveruzzi, Licia Rubbi, Franco Scarponi, Mauro Stambazzi, Stefano Tibaldi. 1 ISSN-1129-4922 RIVISTA Rivista di Arpa Agenzia regionale prevenzione e ambiente dell’Emilia-Romagna Editoriale Il falco della regina e la biodiversità Francesco Bertolini 4 Agrobiodiversità Il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura Toby Hodgkin 6 Per la biodiversità politiche e mercato intervista a Guido Tampieri 7 Qualcuno perde la diversità dei gusti, molti perdono il cibo 8 Cos’è la biodiversità? Concetti e tesi a confronto Carlo Petrini Giovanni Burgio, Stefano Maini 10 Campo, azienda e paesaggio le diverse scale d’intervento Stefano Maini 12 Quali insetti bioindicatori utilizzare in campo agrario? Giovanni Burgio 15 Difendere le diversità per valorizzare le tipicità Tiberio Rabboni 16 Le Reti europee per le sementi contadine: un futuro possibile per coltivare la biodiversità Riccardo Bocci COMITATO EDITORIALE Coordinatore: Leonardo Riveruzzi Marco Biocca, Lea Boschetti, Giuseppe Caia, Giorgio Celli, Giorgio Corazza, Giorgio Freddi, Cesare Maioli, Giorgio Merli, Carlo Pellacani, Giordano Righini, Stefano Zan, Gianni Zapponi, Adriano Zavatti, Carlo Zoli. 18 Tutela delle razze e delle varietà locali, il progetto di legge della Regione Emilia-Romagna Valtiero Mazzotti, Francesco Perri 20 Biodiversità e zootecnia in Emilia-Romagna Alberto Sabbioni, Valentino Beretti 22 I frutti della memoria, varietà adattabili e meno energivore Sergio Guidi 24 Valli ferraresi e produzioni d’eccellenza Chiuso in redazione il: 14-12-2007 Redattore: Daniela Raffaelli Segretaria di redazione: Claudia Pizzirani Impaginazione e grafica: Mauro Cremonini, Odoya srl Stampa: Tipografia Moderna - Bologna Registrazione Trib. di Bologna n. 6164 del 21/1/1993 Stampa su carta: Cyclus offset ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Sommario Claudia Milan 26 Il recupero del suino nero, un esempio di tutela della biodiversità Enrico Mozzanica 28 Biodiversità rurale in Romagna a cura di Sergio Guidi 30 Le normative regionali e l’esperienza marchigiana Oriana Porfiri 36 L’impegno dell’Europa Rosanna Bissoli, Emanuele Cimatti, Katia Raffaelli 38 Misure straordinarie e sinergie efficaci contro la grande sete della Romagna Edolo Minarelli, Pierangelo Pratelli 40 Con la siccità migliora lo stato dell’Adriatico Attilio Rinaldi 42 Qualità dell’aria e salute L’aria inquinata delle città fa male, sulle ultrafini resta il bisogno di saperne di più Francesco Forastiere, Annunziata Faustini 44 Ripensare le città per una società che vada oltre la cultura del fossile Karl-Ludwig Schibel 46 Piani di risanamento, il quadro nazionale delle misure adottate Patrizia Bonanni, Maria Carmela Cusano, Roberto Daffinà, Cristina Sarti 48 Accordo di programma 2006-2009, oltre gli interventi di breve termine Sergio Garagnani 50 Arpa, l’attività di supporto alla Regione per la gestione della qualità dell’aria Eriberto de’ Munari 51 La rete regionale di monitoraggio verso la configurazione definitiva Carla Nizzoli 53 Gli scenari futuri, quali obiettivi minimi di riduzione? Marco Deserti, Michele Stortini, Giovanni Bonafé, Enrico Minguzzi 54 I fattori di pressione sulla qualità dell’aria, le emissioni da traffico veicolare Cristina Regazzi, Simonetta Tugnoli 56 I “veleni” dell’aria, morbilità e mortalità allo studio Alessandro Zanasi 58 Qualità dell’aria in ambiente confinato, più regole e più controllo Paolo Lauriola, Stefano Zauli 59 La tesi Sviluppo urbano e competitività sostenibile, l’esperienza di Rho Giuliana Cirrincione 60 Il tempo e il clima 62 Legislazione news 63 Libri 32 Fauna minore in Emilia-Romagna, la nuova stagione delle azioni di salvaguardia Gianluca Borghi 34 Scarsità idrica e siccità Scarsità idrica e siccità, verso Expo Saragozza 2008 Lino Zanichelli La gestione dei rifiuti in Emilia-Romagna Annuario dei dati ambientali 2007 Esposizione delle acque superficiali agli agrofarmaci 64 Memo/Eventi ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura Decisione 2004/869/Ce (Conclusione del trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura) Consiglio Ue, Decisione 24 febbraio 2004, n. 2004/869/Ce, (Guue 23 dicembre 2004 n. L 378). Decisione del Consiglio del 24 febbraio 2004 concernente la conclusione, a nome della Comunità europea, del trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura. Il Consiglio dell'Unione europea - visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 37 e l'articolo 175, paragrafo 1, in combinato disposto con l'articolo 300, paragrafo 2, primo comma, e paragrafo 3, primo comma, - vista la proposta della Commissione - visto il parere del Parlamento europeo1 - considerando quanto segue: (1) La sicurezza alimentare a livello mondiale e l'agricoltura sostenibile dipendono dalla conservazione e dall'uso sostenibile delle risorse fitogenetiche per la ricerca e la selezione agricole. (2) La Comunità è membro dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (Fao). (3) Il trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura (in proseguo: "il trattato internazionale") è stato adottato dalla conferenza Fao di Roma il 3 novembre 2001. (4) La Comunità europea e gli Stati membri hanno firmato il trattato internazionale il 6 giugno 2002. (5) Il trattato internazionale istituisce un quadro globale giuridicamente vincolante in materia di conservazione sostenibile delle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura e un sistema multilaterale nell'ambito del quale tutte le Parti contraenti non solo hanno accesso a tali risorse, ma condividono anche i benefici commerciali e di altra natura derivanti dal loro impiego. (6) La conservazione e l'uso sostenibile delle risorse fitogenetiche per la ricerca e la selezione agricole sono essenziali per lo sviluppo della produzione e la preservazione della biodiversità in agricoltura. (7) Facilitando l'accesso alle risorse fitogenetiche nell'ambito di un sistema multilaterale, il suddetto trattato internazionale dovrebbe promuovere il progresso tecnico in agricoltura, in conformità con l'articolo 33 del trattato che istituisce la Comunità europea. (8) A norma dell'articolo 174 del trattato che istituisce la Comunità europea, la politica della Comunità in materia ambientale contribuisce alla salvaguardia e alla tutela della qualità dell'ambiente. (9) Con la decisione 93/626/CEE2 la Comunità ha concluso la convenzione sulla diversità biologica sotto gli auspici del programma delle Nazioni Unite sull'ambiente. Le misure intese alla preservazione della biodiversità agricola contemplate dal trattato internazionale promuoveranno gli obiettivi della convenzione. (10) L'articolo 26 del trattato internazionale stipula che il trattato è oggetto di ratifica, accettazione o approvazione. Gli strumenti di ratifica, accettazione o approvazione sono depositati presso il direttore generale della Fao. (11) La competenza mista della Comunità e degli Stati membri, unitamente al principio di unità della rappresentanza internazionale della Comunità, inducono a un'azione comune per il deposito contestuale degli strumenti di approvazione del trattato internazionale da parte della Comunità e degli Stati membri. (12) Per consentire la partecipazione della Comunità e degli Stati membri all'organo direttivo del trattato internazionale il più rapidamente possibile dopo la sua entrata in vigore, gli Stati membri dovrebbero sforzarsi di completare senza indugio le procedure interne di approvazione. (13) È pertanto opportuno approvare il trattato internazionale oggetto della presente decisione, Decide: Articolo 1 Il trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura (in proseguo: "trattato internazionale"), adottato dalla conferenza Fao nella XXXI sessione del novembre 2001, è approvato in nome della Comunità. Il testo del trattato internazionale figura nell'allegato A della presente decisione. Articolo 2 1. Il presidente del Consiglio è autorizzato a designare la persona o le persone abilitate a depositare, in nome della Comunità, lo strumento di approvazione e le dichiarazioni di cui agli allegati B e C della presente decisione presso il direttore generale della Fao, in conformità degli articoli 26 e 34 del trattato internazionale. 2. Gli Stati membri si adoperano per intraprendere le necessarie iniziative in vista del deposito dei loro strumenti di ratifica o di approvazione simultaneamente a quelli della Comunità europea e degli altri Stati membri e, per quanto possibile, entro il 31 marzo 2004. 3. Se a tale data uno o più Stati membri non possono depositare i propri strumenti di ratifica, la Comunità e gli altri Stati membri possono procedere al deposito. Articolo 3 1. Nella procedura contenziosa prevista all'articolo 22 del trattato internazionale la Comunità è rappresentata dalla Commissione. 2. Se la Comunità e uno o più Stati membri sono parti in causa nella stessa controversia o sono coinvolti in più controversie nelle quali vengono sollevate le stesse o simili questioni giuridiche, la Commissione e gli Stati membri interessati difendono congiuntamente i loro interessi presentando un'argomentazione fattuale e giuridica coerente, nel rispetto delle competenze comunitarie e nazionali. Fatto a Bruxelles, 24 febbraio 2004. Note (1) Parere reso il 29 gennaio 2004 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale). (2) Gu L 309 del 13.12.1993, pag. 1. Il testo integrale del trattato è consultabile all’indirizzo: ftp://ftp.fao.org/ag/agp/planttreaty/texts/treaty_italian.pdf 3 Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Il Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura 4 PERCHÉ UN TRATTATO - per garantire il libero scambio delle risorse fitogenetiche - per garantire il multilateralismo - per il riconoscimento delle risorse come prodotto dei contadini - per favorire la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse fitogenetiche. Il Trattato è uno strumento molto importante per la conservazione e l’uso della diversità delle coltivazioni. È essenziale comprendere quali siano i provvedimenti più importanti e, soprattutto, le possibilità di implementazione. Il Trattato riguarda, prima di tutto, i cereali, i legumi, gli ortaggi, la frutta. Non dobbiamo, però, dimenticare coltivazioni minori come i cereali minori oltre a moltissime altre colture. Le risorse fitogenetiche di cui parliamo nell’ambito del Trattato comprendono le varietà moderne e tradizionali di queste coltivazioni, nonché foraggio e progenitori selvatici, riserve di germoplasma e linee riproduttive. Prima del Trattato, l’impegno http://news.bioversityinternational.org FOTO F. DALL’AQUILA, REGIONE EMILIA-ROMAGNA Da una breve presentazione di Toby Hodgkin, direttore del Global Partnerships Programme, Bioversity International internazionale per le risorse vegetali era volto a garantire il libero scambio delle risorse fitogenetiche in ambito alimentare e agricolo. La Convenzione sulla diversità biologica (CBD) stabilisce la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse genetiche in generale e la giusta ed equa distribuzione dei benefici derivanti dal loro impiego. Più di centottanta paesi sono membri firmatari del CBD. L’IMPORTANZA DELLA DIMENSIONE INTERNAZIONALE DEL TRATTATO, I FLUSSI DELLE RISORSE FITOGENETICHE, IL MULTILATERALISMO Quando si è firmata la Convenzione sulla biodiversità, è stato riconosciuto che la biodiversità agricola non è come le altre, che era necessario un altro tipo di Trattato. Perché? Perché tutti i Paesi hanno bisogno di numerose risorse fitogenetiche per potere creare nuove varietà e migliorare la produzione. Perché in materia di risorse fitogenetiche nessun Paese è auto- sufficiente. Secondo le stime della Fao, l’interdipendenza dei Paesi raggiunge il 70%. Perché per affrontare i nuovi problemi, come i cambiamenti climatici, servono nuove caratteristiche delle colture, e per poter trovare queste caratteristiche dobbiamo scambiarci materiale. COME SIAMO ARRIVATI AL TRATTATO Il Trattato è stato negoziato dalla Commissione intergovernativa della Fao. La Commissione intergoverna- tiva era composta dai 165 Paesi membri (più la Comunità europea) ed è il foro intergovernativo permanente per la discussione e la negoziazione delle questioni relative alle risorse genetiche per l’agricoltura e l’alimentazione. Il Trattato si occupa prettamente della natura speciale e dei requisiti delle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura. Il Trattato è in armonia con il CBD. OBIETTIVI DEL TRATTATO Il fine generale del Trattato è di perseguire un’agricoltura sostenibile e la sicurezza alimentare attraverso • la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse fitogenetiche • un’equa e giusta condivisione dei vantaggi derivanti dalla loro utilizzazione. Il Trattato riguarda tutte le risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura e crea un sistema multilaterale che, per il momento, riguarda soltanto una lista ristretta delle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura. Molto importante l’articolo 5 per la conservazione delle risorse fitogenetiche, in particolare questo articolo si propone di: - censire e inventariare le risorse - promuovere la raccolta e l’informazione - incoraggiare e sostenere gli ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 5 sforzi degli agricoltori e delle comunità locali - promuovere la conservazione in situ - cooperare sulla realizzazione di un sistema globale di conservazione ex situ. L’articolo 6 propone di sviluppare un uso sostenibile delle risorse fitogenetiche, in particolare attraverso: - elaborazione di politiche leali - intensificazione delle ricerche - promozione della selezione per le varietà adatte - allargare le basi genetiche - promuovere un maggiore uso delle specie e varietà sotto-utilizzate, locali o adatte - incoraggiare un maggior uso di diverse varietà e specie - sorvegliare le strategie di selezione e la regolamentazione della messa in vendita delle varietà e della distribuzione delle sementi L’articolo 9 è dedicato ai diritti degli agricoltori attraverso: - il riconoscimento del contributo delle comunità locali e degli agricoltori - i provvedimenti per promuovere i diritti degli agricoltori attraverso: - la tutela delle conoscenze tradizionali - il diritto di partecipare nella ripartizione dei vantaggi - il diritto di partecipare al processo decisionale. Si riconosce, in questo caso, l’enorme contributo che le comunità locali e autoctone, nonché gli agricoltori di tutte le regioni del mondo hanno fornito e continueranno a fornire per la conservazione e la valorizzazione delle risorse fitogenetiche. Spetta ai governi la responsabilità di tutelare i diritti degli agricoltori. Una parte molto importante del Trattato, crea un sistema multilaterale di accesso e ripartizione dei vantaggi. Toby Hodgkin è Principal Scientist e direttore del Global partnership Programme presso Bioversity International, a Roma. È membro di Bioversity dal 1989 e si occupa dei differenti aspetti inerenti la conservazione e l’uso della diversità genetica nelle piante utili. Toby vanta un ampio numero di pubblicazioni comprensive di argomenti quali: conservazione e uso di piante da coltura sotto-utilizzate, miglioramenti nella conservazione “ex situ” del germoplasma, e salvaguardia e impiego della diversità genetica nei sistemi di produzione agricola. Prima di entrare a far parte dell’Ipgri ha lavorato come genetista/ibridatore delle piante nelle colture vegetali di Brassica. Tra i suoi articoli, recentemente pubblicati The use of wild relatives in crop improvement: a survey of developments over the last 20 years”, luglio 2007, rivista Euphytica. Ha partecipato alla stesura del manuale: A training guide for in situ conservation on-farm, pubblicato nel 2000 e dedicato al concetto portante della conservazione in situ. Tale concetto viene ampiamente approfondito nel testo Genes in the field. OnLe foto pubblicate in questo articolo sono di Bioversity International Il sistema multilaterale è stato creato per riflettere l’interdipendenza globale. Per 64 specie è stato istituito un sistema di scambio ed equa ripartizione dei vantaggi derivanti da esse fra tutte le parti contraenti con gli stessi diritti. La ripartizione dei vantaggi dovrebbe realizzarsi attraverso l’applicazione di diversi princìpi e misure, in particolare: - le risorse genetiche non sono la proprietà di un’unica persona con la quale si deve negoziare l’accesso e ripartire i vantaggi - i costi di transazione sono bassi a vantaggio dei contadini, agricoltori, ricercatori e dei consumatori - i vantaggi devono essere divisi in modo multilaterale. Altre componenti del Trattato sono: - il piano di azione mondiale per la conservazione e uso sosteni- bile delle risorse fitogenitiche per l’alimentazione e l’agricoltura adottato nel 1996 - le raccolte ex situ di risorse fitogenitiche detenute dai Centri internazionali di ricerca agronomica del gruppo consultivo per la ricerca agricola, il cosidetto Cgiar - le reti internazionali di risorse fitogenetiche - un sistema mondiale d’informazione. L’Italia ha ratificato il Trattato il 6 aprile 2004. Come dice l’articolo 7 “impegni nazionali e cooperazione internazionale” deve incorporare nelle sue politiche e nei suoi programmi agricoli le attività di cui agli articoli 5 e 6 e anche all’articolo 9. Toby Hodgkin Bioversity International farm conservation of crop diversity di cui presentiamo una succinta recensione. Il libro, a cura di Stephen B. Brush, nasce dal contributo di vari autori, tra cui lo stesso Hodgkin, provenienti da una vasta gamma di diverse discipline: agronomi, antropologi, biologi, economisti, avvocati, specialisti dello sviluppo agricolo. Il carattere multidisciplinare dello scritto ci fornisce una visione globale della conservazione in situ, necessaria per poter sviluppare approcci realistici nelle aziende agricole. Un’importante fonte di geni per la salvaguardia dell’agrobiodiversità risiede nei campi dove, a opera dei contadini, si è verificata la domesticazione o più in generale l’evoluzione delle colture. Purtroppo incombe una minaccia su questi preziosi frammenti di Dna, che assume il volto ora della crescita della popolazione umana, ora dello sviluppo e uso di nuove tecnologie agricole e varietà vegetali, ora della commercializzazione dell’agricoltura. E allora si corre al riparo, cercando di catturare quanto più possibile della diversità genetica delle specie vegetali nelle banche di geni. Lo scrigno sembra sicuro, ma perde di valore se al contempo non si conservano i sistemi ambientali in cui i geni delle colture si sono evoluti. La carta da giocare si chiama, in tal caso, “conservazione in situ”. Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Per la biodiversità politiche e mercato Strategie nazionali, ruolo centrale delle Regioni e, inevitabilmente, il mercato per preservare e valorizzare la biodiversità. Sull’argomento abbiamo intervistato Guido Tampieri, sottosegretario di Stato alle Politiche agricole, alimentari e forestali. Giancarlo Naldi L’impoverimento della biodiversità – in particolare di quella più strettamente legata all’agricoltura e all’alimentazione – con la perdita di varietà e razze è un dato di fatto; a suo parere è un fenomeno che riguarda solo l’agricoltura o va oltre il settore? 6 Guido Tampieri Il fenomeno è generale, legato com’è alla perdita di identità indotta dai processi omologanti che la globalizzazione determina nei modi di produzione e nei comportamenti, individuali e sociali. Potremmo parlare delle lingue e, forse, dell’intero universo che classifichiamo come biodiversità culturale. La mia generazione ha vissuto questo problema con una sensibilità attutita dall’urgenza dei bisogni. La perdita è stata progressiva, era considerata un effetto collaterale, un prezzo da pagare tutto sommato accettabile al grande processo di industrializzazione che traeva fuori l’umanità da una costrizione materiale secolare. I contadini per primi lo pensavano. La vita in campagna era dura, altroché. Tutto ciò che produceva di più, sementi o animali era il benvenuto. È quindi una questione legata alla industrializzazione dell’agricoltura e al cambiamento nella scala dei bisogni? Sì, l’erosione della biodiversità procede con l’evoluzione della tecnica, il carattere dominante della modernità, che scompone lo spazio, annulla il tempo, allunga la vita, sfama cinque miliardi di persone, riscalda, raffredda, illumina. Oggi si produce in un giorno quello che all’inizio del secolo scorso si produceva in un anno. Via via che cresce l’esponenziale potenza della tecnica – giunta, oggi, alle sorgenti della vita stessa – si dilatano e si stratificano le contraddizioni, si alza la soglia dei rischi, si cominciano a fare i conti. Lo sviluppo di ogni società attraversa vari stadi, ciascuno dei quali produce esperienze, bisogni e culture indissolubilmente intrecciate a essi. La nostra società ha soddisfatto, in termini quantitativi – non certo redistributivi, perché resta una società ingiusta nella quale, anzi, negli ultimi anni si è insopportabilmente allargata la forbice dei redditi – i suoi bisogni primari e avverte più nitidamente i rischi di uno sviluppo insostenibile, la deprivazione di beni e valori cui attribuiamo importanza crescente proprio in quanto ci mancano. Anche l’Italia ha ratificato il Trattato internazionale sulle risorse fitogeniche per l’alimentazione e l’agricoltura. Oggi diverse Regioni stanno elaborando leggi regionali per la tutela del proprio patrimonio fitogenico. Si avverte il bisogno di una strategia nazionale? Penso di sì, anche se devo precisare che il Governo può esprimere un indirizzo di carattere politico in quanto, costituzionalmente, la competenza è delle Regioni. Lo strumento di intervento più appropriato sono i Piani di sviluppo rurale. Abbiamo trattenuto a livello nazionale solo lo 0,3% delle risorse, il resto è stato trasferito alle Regioni, convinti che la biodiversità non nasca in piazza Colonna, ma si pratichi in campagna. Nel piano strategico nazionale sono fissati obiettivi importanti. La preservazione della biodiversità è tra questi. Ci sono poi misure sulla qualità della vita e dell’ambiente che interessano direttamente quest’aspetto. E, più in generale, un approccio innovativo relativo al rapporto città-campagna, al paesaggio, all’agricoltura periurbana, ad aree che non devono più essere considerate entità anonime in attesa di urbanizzazione, ma un bene per la comunità metropolitana, che fornisce beni e servizi, anche per ciò che attiene la qualità dell’aria. A quali criteri ci si dovrebbe attenere per risolvere un problema che appare, a tutti gli effetti, legato ai modi di essere, di produrre, di consumare delle società moderne? Non bisogna mai essere ingiusti con la propria storia. Non siamo più sensibili o più intelligenti delle vecchie generazioni. Ci sono cose possibili e anche solo pensabili in alcuni momenti e non in altri. Importante è non andare oltre il punto di non ritorno. Per questo va fatto valere il principio di precauzione, che non è un intralcio sulla via del progresso, ma uno dei paletti che ne indicano il percorso. Dall’altro verso occorre contrastare chi, per risolvere le contraddizioni della modernità, vorrebbe sbarazzarsi dell’intero progetto. La società industriale che abbiamo conosciuto, direbbe Ulrich Beck, non coincide con la modernità, ne è un’espressione storicizzata e imperfetta. Dobbiamo rimuovere le contraddizioni attraverso il compimento della modernità, cercando di ricongiungere tecnica e umanesimo. Quindi un indirizzo forte di carattere nazionale e poi una competenza solida per le regioni. E altri attori? I comportamenti individuali e l’economia entrano in questo processo? Ho maturato, con gli anni, un’accortezza metodologica, che esprimo col linguaggio di Chance Giardiniere nel film Oltre il giardino: guardare la pianta sia dal lato delle radici, sia della chioma. C’è una linfa di carattere culturale che percorre tutta la pianta, che noi dobbiamo far fluire dal lato dell’offerta – con politiche territoriali di tutela delle condizioni di riproducibilità della biodiversità – a quello della domanda, che va resa ricettiva, ospitale a queste proposte, attraverso la cultura. Posso cercare di tutelare la biodiversità in spazi pubblici, ma se voglio che viva, se non voglio creare una riserva indiana, dove deperisce e muore, devo fare in modo che rappresenti un valore per la società moderna; non deve essere qualcosa che io custodisco, ma che entra nel circolo vitale della nostra società. Se non c’è l’apprezzamento sociale della comunità dei cittadini, se non c’è domanda da parte dei consumatori sarà difficile vincere questa battaglia. Si possono anche fare centri come quelli del Corpo forestale dello Stato, dove, per evitare l’estinzione, tengo caprette, asini e varietà vegetali, ma la pre- servazione della biodiversità è un’altra cosa. Il mio obiettivo è mantenerla conferendole una funzione, che non può essere solo quella della testimonianza di un’identità perduta, bensì quella del riconoscimento di un’utilità presente. Bisogna preservare per valorizzare, ma anche valorizzare per preservare. Se il consumatore ne apprezza il formaggio e lo compra, le capre non si estingueranno, ma ciò accadrà più facilmente se svolgeremo tutte le azioni necessarie per valorizzarle; gli esempi non mancano dal lardo ai formaggi e via diversificando. Esemplare il bovino di razza romagnola, che era a rischio di estinzione: con politiche attive di sostegno il rischio è scampato. Gli allevatori hanno utilizzato le risorse, hanno allevato fattrici ricavandone un reddito non trascurabile. Oggi il pericolo di estinzione non c’è più, tant’è che la Ue non dà più risorse a tal fine. Però ci si lamenta più delle mancate risorse che dei risultati positivi raggiunti. Forse passare alla logica dello sviluppo e della valorizzazione non è così semplice? Non è mai semplice. Occorre essere organizzati e mentalmente predisposti a farlo. Il resto dipende da chi acquista il prodotto. Io sono un sostenitore del benessere degli animali, ho una considerazione quasi umana per i miei cani, ma sono creature d’affezione, li posso far vivere in casa. Ma se penso di allevare un maiale, la mora romagnola, per esempio come un bene d’affezione, quella razza può già essere considerata estinta. Chi la alleva e perché? È il mercato che, alla lunga, deve tenerla viva, come sta succedendo per la razza romagnola, bovina e suina. Bisogna abbandonare per un attimo la poesia per entrare nella prosa, che non è meno nobile. Se scritta con intelligenza e passione. Intervista a cura di Giancarlo Naldi Arpa Emilia-Romagna ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Qualcuno perde la diversità dei gusti, molti perdono il cibo Con l’impoverimento della biodiversità, ai ritmi imposti dall’agricoltura industriale, non perdiamo solo il piacere dei gusti che si rifanno ai prodotti e ai cibi delle tradizioni locali. Per molte popolazioni il fenomeno determina una vera e propria perdita di identità, di sovranità e di sicurezza alimentare. L’omologazione dell’agricoltura e dell’alimentazione su scala planetaria è pericolosa soprattutto per le popolazioni più povere perché le costringe in un contesto commerciale che non possono sostenere fino ad ampliare le aree di povertà e di vera e propria fame. Nei soli Stati Uniti, i capofila mondiali del modello agricolo industriale, l’80,6% delle varietà di pomodori si è estinto dal 1903 al 1983; e così il 92,8% delle varietà di insalata, l’86,2% delle varietà di mele e, sempre nello stesso periodo, il 90,8% dei mais e il 96,1% dei mais dolci. Delle 5.000 varietà di patate esistenti, soltanto quattro costituiscono la stragrande maggioranza di quelle coltivate a fini commerciali negli Usa; due tipi di piselli occupano il 96% delle coltivazioni americane e sei tipi di mais il 71% del totale. In un saggio sulla contrapposizione tra agricoltura “industriale” e quella “ecologica”, l’indiano Debal Deb scrive: “La scienza agricola e forestale moderna ha creato una semplificazione e una omogeneizzazione della natura per http://www.fondazioneslowfood.it/ minimizzare i processi incerti e assicurare una produzione efficiente di merci commerciabili… l’agricoltura oggi consiste in un’intensificazione di poche coltivazioni, il tutto al costo della perdita di una magnificente diversità genetica che era la risultante di millenni di esperimenti. Le monocolture di varietà valide dal punto di vista commerciale hanno modellato la moderna agricoltura, che funziona come un mezzo per eliminare rapidamente forme di vita, impoverire i suoli, e distruggere i sistemi di supporto alla vita della Terra”. E, cosa ancora più grave, questo modello si sta rapidamente diffondendo su scala planetaria: “A dispetto della pletora di evidenze empiriche sulle conseguenze avverse dell’agricoltura industriale su larga scala, questa è diventata la norma da seguire per lo sviluppo agricolo in tutte le nazioni che cercano di emulare il modello di crescita occidentale.” L’evidenza empirica principale è che il modello di agricoltura industriale imperante ha distrutto e continua a distruggere inesorabilmente consistenti porzioni della biodiversità planetaria, mettendo a rischio non soltanto il piacere della diversità alimentare e le identità culturali legate al cibo del pianeta, ma gli stessi concetti di sovranità e sicurezza alimentare. Se sparisce una varietà vegetale o una razza animale, sparisce un alimento e di conseguenza si estinguono il modo specifico di coltivarlo/allevarlo, le tecniche artigianali per trasformarlo in cibo, gli strumenti utili a questa trasformazione, i modi di cucinarlo, le tradizioni legate a questo consumo, spesso i luoghi e i riti; non senza influire in maniera disastrosa sulla piacevolezza dei paesaggi e dei territori. Da un punto di vista gastronomico-culturale la perdita di biodiversità è l’inizio del disastro peggiore che possa capitare. Questo appiattimento genera un’omologazione alimentare su scala planetaria pericolosa soprattutto per le popolazioni più povere perché le introduce in un contesto commerciale che non possono sostenere e, più in generale, rischia anche di diventare un boomerang in termini di salute pubblica: i dati sull’obesità come nuova pandemia di questo secolo e sulla malnutrizione anche in Occidente sono più che allarmanti e le cause sono presto riconducibili al sistema agro-alimentare di stampo industriale. Ridurre la varietà delle coltivazioni è pericoloso perché le mette a rischio di epidemie che, senza il serbatoio di ricchezza genetica che offre la biodiversità, potreb- 7 bero rivelarsi letali e senza soluzioni. Si immaginino i disastri dal punto di vista della sicurezza alimentare per molte popolazioni se uno scenario come questo dovesse diventare realtà. E, certo, in questo modo non si aiuta la Terra a ristabilire un equilibrio ecologico che è sempre più a rischio a causa dei nostri stili di vita e di consumo. Il modo migliore per difendere la biodiversità è quello di salvaguardare, non soltanto i semi e le risorse genetiche, ma tutto il contesto agricolo e culturale a cui sono legati. Bisogna agire su più fronti, andando a implementare o difendere piccole economie locali, di territorio che, con le possibilità offerte dalla globalizzazione, potrebbero restare connesse e collaborare in una rete mondiale virtuosa. È a livello locale che si vince questa sfida: diversificando colture e culture. La diversità è l’unica grande forza creatrice che abbiamo a disposizione, e la stiamo compromettendo in maniera irreparabile. Carlo Petrini Presidente di Slow Food Internazionale Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Cos’è la biodiversità? Concetti e tesi a confronto 8 La biodiversità è in definitiva un «grappolo di concetti», più che un unico concetto (Contoli, 1994) e assume diversi significati in funzione della disciplina scientifica di riferimento. Molte difficoltà in questa discussione risiedono nel fatto che il termine biodiversità richiama, oltre ad argomentazioni tecniche e scientifiche, anche aspetti di natura etica e sociale. Nelle definizioni recenti di agricolture sostenibili, a fianco della sostenibilità economica ed ecologica del sistema, si tiene infatti in considerazione anche quella sociale. Parleremo di quello che forse è l’aspetto più pragmatico della biodiversità in campo agrario, cioè la biodiversità funzionale, termine usato in riferimento ai risvolti pratici e ai vantaggi che la biodiversità permette di conseguire nel campo coltivato. La lotta agli artropodi nocivi all’interno delle agricolture sostenibili ha, infatti, come punto di forza la valorizzazione e conservazione della biodiversità funzionale, intesa come l’insieme delle relazioni multitrofiche che si instaurano fra piante coltivate e non coltivate, fitofagi ed entomofagi (Rossing et al., 2003) e che hanno il fine di contribuire a contenere le popolazioni di specie dannose al di sotto della soglia di danno. In questo ambito, come approfondiremo in seguito, la gestione delle aree non coltivate per potenziare l’azione e la moltiplicazione degli artropodi utili è considerata una vera e propria “tecnica” di lotta biologica conservativa (secondo il concetto di conservation biological control anglosassone), e ha sempre fatto parte, come filosofia di base, anche della “nostra” lotta naturale contro gli artropodi dannosi. La lotta agli artropodi nocivi nelle agricolture sostenibili rientra pienamente, quindi, nei concetti di valorizzazione e conservazione della biodiversità funzionale, ed è associata ai servizi ecologici svolti dagli organismi utili che, opportunamente gestiti dall’agricoltore evoluto, possono apportare benefici nella lotta contro i fitofagi o nell’impollinazione. Organizzando la biodiversità secondo un criterio funzionale è possibile avviare sinergie che favoriscano i processi che hanno luogo nell’agroecosistema, for- COLTURE Fitofagi ERBACEE annuali e perenni Entomofagi SIEPI arbustive e arboree perenni PIANTE TRAPPOLA trap crop BORDURE NETTARIFERE INERBIMENTO COVER CROPS SEMINATE IMPIANTATE SPONTANEE PIANTE NON COLTIVATE Tab.1 Gestione della biodiversità nel campo coltivato, con lo scopo di aumentare la lotta biologica conservativa e prevenire le infestazioni degli insetti dannosi. Le relazioni trofiche tra colture-piante non coltivate- insetti, rappresentate dalle frecce, possono essere molto complesse. Frecce verdi = movimenti degli insetti utili, frecce rosse = movimenti insetti dannosi. Nel caso delle piante trappola, si cerca di attrarre il fitofago e di sottrarlo alla coltura: per tale motivo la freccia è unidirezionale. FOTO G. BURGIO La diversità biologica, compresa quella del campo coltivato, è solo apparentemente una definizione semplice e inequivocabile. Recentemente molti autori parlano, infatti, di biodiversità intra-specifica, inter-specifica ed ecosistemica, includendo tutti i diversi aspetti di variabilità biologica ed ecologica. Nelle definizioni più recenti inoltre, molti scienziati contemplano non solo gli organismi viventi e le loro complesse interazioni, ma anche i rapporti con la componente abiotica dell’ambiente. nendo vari “servizi ecologici” come ad es. attivazione componente biotica del suolo, riciclo dei nutritivi, incremento artropodi utili (predatori, parassitoidi, impollinatori), aspetto quest’ultimo di cui ci occuperemo approfonditamente (Altieri, 1999). La lotta biologica conservativa, nella sua più moderna definizione, comprende tecniche e strategie di gestione ambientale che hanno lo scopo di: 1) aumentare la performance dei nemici naturali (es. aumentando la loro fecondità o longevità) 2) modificare il loro comportamento e la loro capacità di ricerca 3) fornire protezione da condizioni ambientali avverse, o sopperire rifugio in periodi in cui le colture annuali sono raccolte (Landis et al., 2000). Tali aree andrebbero distinte dagli incolti in senso stretto (fallows), per sottolineare come le ECA (aree di compensazione ecologica) non dovrebbero mai diventare terreni abbandonati, ma essere strutture gestite dall’a- ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 al., 1991). Buoni risultati sono stati ottenuti all’estero ad es. con fasce vegetate a base di Dactylis glomerata (erba mazzolina), che hanno fatto registrare densità di circa 1100 individui di carabidi svernanti per metro quadrato. Sono spesso considerate fra le strutture non coltivate, le cosiddette buffer zones, che consistono in aree che possiamo definire “cuscinetto” tra campi trattati con pesticidi e aree non trattate (Boller et al., 2004). Le funzioni delle ECA nei confronti dell’entomofauna utile (o meglio dell’artropodofauna) possono essere sintetizzate in diversi punti (Landis et al., 2000): - funzione di rifugio faunistico (o serbatoio faunistico); tale azione di “riparo fisico” comprende 1 2 3 4 5 6 anche le piante e gli ambienti che offrono siti di svernamento o di estivazione - funzione di approvvigionamento di alimento vegetale (es. nettare e polline) per adulti di entomofagi parassitoidi o per adulti glicifagi di alcuni predatori (es. ditteri sirfidi) - funzione di approvvigionamento di alimento animale (prede o ospiti alternativi) per entomofagi. Esiste un’abbondante bibliografia che riporta esempi pratici di come molte piante non coltivate siano cruciali per l’alimentazione e il ciclo di entomofauna utile, compresi casi in cui la presenza di piante «chiave» non coltivate abbia comportato un beneficio pratico nel controllo di un fito- Fig. 1 Esempi di aree di compensazione ecologica (ECA) in azienda. 1: Piantata bolognese in campo di frumento, una storica associazione fra colture e strutture non coltivate; 2: margine erboso fiorito; 3 e 4: siepi miste con diverso rapporto fra alberi, arbusti e vegetazione erbacea; 5: striscia di piante nettarifere consociata a colture orticole in azienda biologica; 6: trap-crop di medica associata a coltura di lattuga, per la protezione dagli attacchi da Lygus rugulipennis. FOTO G. BURGIO gricoltore al fine del conseguimento di un beneficio pratico. Un ricco repertorio di ECA (oppure EI) è fornito appunto da Boller et al. (2004), che nel suo testo riporta numerosi esempi applicativi (tabella 1 e figura 1). Per completare il quadro delle piante non produttive o non coltivate, sono da aggiungere le cover crops (o colture intercalari o di copertura), e le piante-trappola (Maini e Burgio, 2005), ambiti ancora poco studiati in Italia. Le fasce erbose vegetate, infine, vengono chiamate anche beetlebank o island habitats dagli anglossassoni per il loro ruolo nel favorire siti di rifugio e svernamento per l’entomofauna, in particolare i coleotteri carabidi (Thomas et fago (Landis et al., 2000; Rossing et al., 2003; Maini e Burgio, 2005). Ribadiamo inoltre come le aree di compensazione ecologica siano fondamentali per la conservazione di specie animali (e vegetali) rare e minacciate di estinzione (Samway, 1994; Rossing et al., 2003; Boller et al., 2004). Come risulta dalle recenti normative comunitarie, infatti, fra i diversi ruoli del paesaggio agrario nelle agricolture multifunzionali, viene contemplata anche l’importante funzione conservazionistica. Dal punto di vista pratico, al di là di un contributo migliorativo di tipo generico sul livello di biodiversità, in alcuni contesti la componente non coltivata svolge un ruolo chiave nel potenziamento della lotta biologica conservativa. Considerando ad es. i sistemi colturali annuali, solitamente fra i più instabili, l’azione regolatrice svolta dalla lotta biologica può spesso fallire proprio a causa di una colonizzazione non tempestiva della coltura da parte degli insetti utili, che raggiungono le colture a danno avvenuto o in coincidenza di una popolazione del fitofago prossima alla soglia di danno. Un’adeguata sincronizzazione fra nemici naturali e fitofagi può prevenire tale fenomeno, ottimizzando il controllo biologico; le pratiche per ottenere questa sincronizzazione coincidono proprio con la gestione delle ECA. Un altro esempio è quello che riguarda il ruolo di certe ECA nel regolarizzare i movimenti dei colonizzatori ciclici nell’agroecosistema (Landis et al., 2000), primi fra tutti molti predatori polifagi come i carabidi. In tale direzione, la gestione degli ambienti rurali deve tenere conto della biogeografia regionale delle specie, e delle caratteristiche locali del paesaggio. La connettività fra i diversi habitat all’interno di un paesaggio mantiene le popolazioni di insetti utili, e le relative reti trofiche, a livello di meta-popolazione. Giovanni Burgio Stefano Maini Università di Bologna 9 Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Campo, azienda e paesaggio le diverse scale d’intervento INTERVENTI A LIVELLO DI CAMPO conseguente aumento della lotta biologica (Kromp, 1999). INTERVENTI A LIVELLO AZIENDALE Questi interventi riguardano la conservazione e la gestione delle infrastrutture non coltivate in azienda, le rotazioni e gli avvicendamenti colturali, fino ad arrivare alle vere e proprie consociazioni colturali (intercropping), pratica che ha avuto poco successo in Italia (Gliessmann, 1998; Maini e Burgio, 2005). Altri esempi, molto conosciuti sia in Europa che in USA, riguardano il ruolo del rovo (Rubus spp.) nel favorire la moltiplicazione degli imenotteri mimaridi, parassitoidi delle cicaline, rendendo possibile un’efficace lotta biologica contro questi fitomizi della vite (Landis et al., 2000; Rossing et al., 2003). Ricordiamo anche che la tradizionale “piantata bolognese”, sistemazione a cavalletto costituita da filari di vite maritata ad acero od olmo ai margini di campi di frumento o altre erbacee, può essere considerata come un’arcaica associazione fra una coltura e una struttura non coltivata in grado di fornire alcuni benefici agronomici. Per quanto riguarda i carabidi, la Striscia di nettarifere consociate a lattuga, in un’azienda biodinamica della provincia di Bologna concimazione organica e i sovesci sembrano mostrare effetti positivi su questi bioindicatori, mentre le rotazioni hanno evidenziato risultati controversi; l’intercropping, i bordi inerbiti e le infrastrutture biodiversità-incentivanti determinano incrementi delle popolazioni dei carabidi, anche se non è stato ancora dimostrato in modo inequivocabile un conseguente aumento di lotta biologica contro fitofagi specifici (Kromp, 1999). Fra gli FOTO SANTI 10 Riguardano ad esempio la riduzione dell’intensità e frequenza delle lavorazioni (minimum tillage-no tillage), tecniche che favoriscono maggiormente gli organismi utili rispetto alle lavorazioni convenzionali. Tali accorgimenti, in particolare, possono avere un impatto positivo su insetti utili del terreno, come coleotteri carabidi e stafilinidi, nonché su altri artropodi come ragni e opilionidi, e altri invertebrati come i lombrichi (Maini e Burgio, 2005). I coleotteri carabidi in tale ambito sono stati molto studiati negli agroecosistemi e alcuni lavori hanno sintetizzato la vastissima bibliografia esistente (Kromp, 1999; Holland, 2002). È stato infatti visto come in generale le lavorazioni profonde mostrino un effetto negativo sui carabidi; i dati sembrano dimostrare invece che le lavorazioni ridotte (minimum e no tillage) comportino un effetto positivo su questi insetti. Uno studio sull’incidenza dell’impatto della riduzione delle lavorazioni sui fitofagi ha rilevato che il 28% dei fitofagi mostra un incremento, il 29% dei fitofagi non mostra differenze significative, mentre il 43% dei fitofagi mostra una diminuzione, per il FOTO G. BURGIO La gestione delle ECA può avvenire a diverse scale spaziali d’intervento: livello di campo, azienda e paesaggio (comprensorio). Per quest’ultima, in particolare, viene adottata sempre di più la dizione di landscape management, anche se quest’ultimo termine è spesso utilizzato in modo generico per indicare le strategie ecologiche di gestione del campo coltivato. interventi, su scala aziendale, esiste un’ampia casistica di tentativi di valorizzare e implementare l’attività degli entomofagi mediante la semina di miscugli di nettarifere, tecnica utilizzata – forse troppo empiricamente e non accompagnata da raccolte sistematiche di dati – anche in molte aziende biologiche e integrate. Tale strategia, in particolare con miscugli basati su facelia (Phacelia tanacetifolia), ha avuto risultati alterni e molto variabili in funzione dell’areale di applicazione (Landis et al., 2000; Wackers, 2005). Molti studi di campo, in particolare, hanno preso in considerazione dei predatori come i sirfidi (Sommaggio e Burgio, 2004, per una review) e molte specie di parassitoidi (Wackers, 2005). INTERVENTI A LIVELLO DI PAESAGGIO Adulti di Sirfidi su fiori (livello comprensoriale o macroscala) Questi interventi riguardano la struttura territoriale globale dei sistemi produttivi e delle aree non coltivate, in un contesto di La bassa complessità ecologica del paesaggio è causa della frammentazione degli habitat e determina un elevato isolamento delle popolazioni animali FOTO FABBRI ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 L’elevata complessità ecologica del paesaggio riduce la frammentazione e comporta un basso isolamento delle popolazioni animali High isolation Low isolation Fig. 1 Esemplificazione dell’effetto della frammentazione sulle popolazioni animali. Da Sharov (1996), modificato Adulto del carabide Anchomenus dorsalis macro-scala. Le specie animali, nemici naturali compresi, beneficerebbero dei paesaggi maggiormente diversificati (a “mosaico”), rispetto a quelli semplificati (monocoltura), per la presenza appunto di “corridoi ecologici”, cioè vie preferenziali di diffusione e spostamento di fauna (ecological networks). Tale circostanza si ripercuoterebbe positivamente sulla biodiversità locale degli artropodi utili, con benefici nella lotta naturale contro i fitofagi e nella conservazione della fauna. La gestione e progettazione del paesaggio rurale su scala territoriale viene chiamata sensu strictu landscape management, un argomento interdisciplinare che ha lo scopo di valutare in che modo la complessità ecologica del paesaggio influenza le reti alimentari e la biodiversità. La complessità strutturale del paesaggio agrario, inoltre, sarebbe un metodo per attenuare della struttura del paesaggio sul fenomeno del parassitismo necessita studi nel lungo periodo, poiché la parassitizzazione può subire notevoli variazioni temporali (Menalled et al., 2003). In uno studio eseguito in EmiliaRomagna (province di Reggio e Modena) è stato dimostrato come un incremento della complessità ecologica del paesaggio agrario si traduca in un aumento del numero di specie di alcuni insetti indicatori, come i carabidi e i sirfidi (Genghini e Nardelli, 2005; Burgio, 2007) (figura 2); altri insetti, come i lepidotteri diurni e gli imenotteri sinfiti, sempre nello stesso contesto territoriale, non sono stati invece influenzati dalla complessità del paesaggio, ma dal tipo di vegetazione. e risolvere la frammentazione degli habitat, che è considerata unanimemente come una delle cause maggiori di perdita di biodiversità sul pianeta (figura 1). La struttura delle reti trofiche è molto vulnerabile alla frammentazione degli habitat, fenomeno che può causare su scala locale la precarietà nel controllo naturale (a causa della destabilizzazione o distruzione delle relazioni multitrofiche) e relativi outbreaks dei fitofagi; sembra inoltre che i paesaggi agrari più eterogenei e diversificati possano rallentare la comparsa e l’evoluzione dei fenomeni di resistenza a insetticidi. Il buon funzionamento delle reti ecologiche locali, come indicato in precedenza, dipende dall’adeguata strutturazione e organizzazione della biodiversità regionale (Tscharntke e Brandl, 2004), quindi dalla complessità delle reti ecologiche su scala territoriale. Dimostrare e quantificare come Fig. 2 Analisi di un paesaggio agrario compreso fra le province di Modena e Reggio, mediante GIS. Nella foto sono evidenziate le infrastrutture ecologiche del paesaggio, il cui diverso sviluppo lineare (LDHN, in metri) definisce 3 macro-ambienti a diversa complessità ecologica; da notare come l’ambiente centrale risulti quello caratterizzato da una maggior complessità ecologica (Da Genghini e Nardelli, 2005). Le aziende campionate sono rappresentate con un cerchio bianco la struttura del paesaggio coltivato influenzi l’attività degli insetti entomofagi non è semplice. Mentre all’estero sono stati dimostrati effetti positivi della diversificazione del territorio agrario sulla biodiversità globale su alcuni artropodi bioindicatori come i carabidi (Kromp, 1999; Paoletti, 1999), su macro-scala sono disponibili pochi dati, in particolare in Italia, anche se esistono tentativi di approccio e di progettazione delle reti ecologiche su base territoriale. Per i carabidi in particolare sono stati dimostrati effetti negativi della frammentazione degli habitat su specie a basso potere di dispersione e maggiormente specializzate nell’habitat (Holland, 2002). Sempre all’estero alcuni lavori hanno messo in relazione l’ecologia del paesaggio agrario sull’attività dei parassitoidi (Marino e Landis, 1996), anche se l’effetto Stefano Maini Università di Bologna Relazione tra complessità ecologica del paesaggio agrario e numero di specie di due bioindicatori. Il maggior numero di specie appartiene all’ambiente a maggior complessità ecologica. Da Burgio (2007) 11 Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Quali insetti bioindicatori utilizzare in campo agrario? usato per questi insetti. È molto difficile sintetizzare l’enorme informazione esistente su questo gruppo; da considerare che, finora, questo gruppo in Italia è stato studiato in campo agrario meno intensamente rispetto al nord e centro Europa (Daccordi e Zanetti, 1989: Molinari et al., 1990; Sciaky e Trematerra, 1991; Paoletti et al., 1996; Lozzia, 1999). Anche i collemboli, tradizionali bioindicatori del suolo, sono stati utilizzati in Italia in campo agrario, per valutare l’impatto delle pratiche agricole, l’effetto degli erbicidi (Sabatini et al., 1997; 1998), o l’impatto di piante geneticamente modificate. Gli studi sui collemboli nel settore agrario sono comunque ancora sporadici e i maggiori ostacoli riguardano la difficoltà nella determinazione e i costi nel campionamento e nella separazione del materiale. Secondo alcuni autori (Andersen et al., 2002), molti artropodi bioindicatori del terreno, nonostante possiedano qualità molto interessanti, non sono ancora entrati in molti Paesi nella valutazione di routine della qualità dei suoli agrari, per alcuni problemi tecnici. I sinfiti sono stati poco studiati in campo agrario (Pesarini, comuni- cazione personale) e uno studio recente ha mostrato come essi siano in grado di discriminare i vari ambienti, mostrando risposte diversificate in funzione delle caratteristiche vegetazionali dell’habitat (Burgio, 2007); per contro questo gruppo mostra notevoli fluttuazioni delle popolazioni nel tempo (Sommaggio, comunicazione personale), e manifesta una forte sensibilità alla presenza di piante ospiti, fattori che rendono relativamente problematico il loro uso. Un interessante utilizzo degli ortotteri come bioindicatori di paesaggio nella provincia di Belluno è fornito da Fontana et al. (2004), mediante un sistema molto pratico e agevole; sarebbe interessante validare questo approccio anche negli ambienti agrari. I Sirfidi sono considerati efficaci bioindicatori del paesaggio agrario (Sommaggio et al., 2005), dove svolgono anche l’importante ruolo di predatori di afidi e di impollinatori, e sono stati utilizzati anche negli agroecosistemi italiani (Sommaggio e Burgio, 2004). Un vantaggio dell’utilizzo di questi ditteri è la disponibilità di un sistema informatizzato chiamato SYRPH THE NET, che permette un utilizzo standardizzato di questi bioindicatori Trappola a caduta, utilizzata per campionare insetti terricoli, fra cui i carabidi Trappole Malaise, utilizzate per campionare insetti volatori. Questa tecnica di campionamento è considerata un metodo standard per alcuni insetti, fra cui i Sirfidi (Speight, 2004). Questo approccio, inizialmente impostato per l’Europa settentrionale, è stato validato, dopo opportune tarature, anche per gli ambienti agrari dell’Italia settentrionale, mostrando una buona versatilità e praticità di utilizzo (Burgio e Sommaggio, 2007). SYRPH THE NET è in grado di fornire interpretazioni sulla qualità di un habitat studiato, fornendo paralFOTO G. BURGIO, GENGHINI, BERTI 12 Alcuni autori considerano, come gruppi fondamentali, i coleotteri carabidi, i ditteri sirfidi e gli imenotteri sinfiti (Speight,1986). Lo stesso autore considera, come gruppi complementari, dolicopodidi, sciomizidi, straziomidi, tabanidi, odonati, cerambicidi, elateridi. Le riflessioni di Speight sono di carattere generale, e sono riferite soprattutto per gli ambienti forestali, fermo restando che molti dei gruppi che l’autore indica possano dare risposte soddisfacenti anche in campo agrario. Qualche autore considera anche i coleotteri scolitidi, anche se questo gruppo sembrerebbe più propenso per ambienti forestali (Paoletti et al., 1996). È noto come i carabidi siano gli insetti che hanno avuto il maggior utilizzo in capo agrario, soprattutto nel nord e centro Europa (Kromp, 1999; Holland, 2002) e non mancano esempi e proposte di utilizzo anche in Italia (Vigna, Taglianti, 1993 e 2001; Brandmayr et al., 2005). Il motivo è legato, oltre alle caratteristiche intrinseche del gruppo, alla standardizzazione del campionamento e alla disponibilità di numerosi specialisti. Le trappole a caduta, pur non esenti da alcuni limiti e problemi, rappresentano il metodo di campionamento più FOTO G. BURGIO Una risposta univoca e semplice a questa domanda non esiste. Tra i diversi parametri da considerare si ricordano: una sufficiente differenziazione nelle esigenze ecologiche delle specie, la presenza dell’organismo o del gruppo di organismi in ambienti differenti per poter comparare ecosistemi diversi, la disponibilità di elenchi dettagliati e aggiornati e di chiavi facilmente accessibili anche a non specialisti con compiti di gestione delle politiche ambientali, la disponibilità di tecniche standardizzate di campionamento. La scala di studio rappresenta una variabile che influenza da vicino la scelta di un bioindicatore FOTO G. BURGIO (LARVA), BORIANI (ADULTO) ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 13 lelamente una valutazione sulla qualità del paesaggio circostante lo stesso habitat. Nonostante il metodo fornisca risultati incoraggianti, sono necessari ulteriori studi per valutare il sistema anche in altri ambienti. Anche i lepidotteri diurni sono utilizzati come bioindicatori (Fiumi e Camporesi, 1991; Marini, 1998; Boriani et al., 2005), e molte specie sono inserite nelle liste della fauna da proteggere, anche se il loro uso negli ambienti agrari è sicuramente inferiore rispetto agli studi più prettamente naturalistici. L’efficacia delle api come bioindicatori ambientali in campo agrario è stata ampiamente dimostrata da tempo (Porrini, 1999). Questi insetti mostrano una grande versatilità per il biomonitoraggio da pesticidi e sono disponibili protocolli standardizzati per un loro utilizzo (Porrini, 2007) e per il calcolo di un indice di pericolosità ambientale (IPA) (Porrini, 1999). Una proposta di utilizzo degli apoidei selvatici come bioindicatori degli ambienti agrari è stata sintetizzata da Quaranta et al. (2004), in uno studio che comprende una dettagliata indagine faunistica di www.dista.agrsci.unibo.it questi insetti nel territorio italiano. Un aspetto che influenza moltissimo la scelta di un insetto bioindicatore è sicuramente la scala di osservazione, fattore che deve essere tenuto in considerazione per valutare l’efficienza di un gruppo di insetti. È molto diverso, infatti, monitorare un ambiente agrario a livello di campo, azienda, territorio; uno stesso gruppo di insetti può rispondere in modo molto diverso a seconda della scala d’indagine. In campo agrario, in uno studio svolto in Emilia-Romagna, è stato dimostrato, ad esempio, come sirfidi e carabidi rispondano chiaramente alla complessità ecologica del paesaggio, mentre altri gruppi come lepidotteri diurni e sinfiti siano maggiormente influenzati dalle caratteristiche della vegetazione del micro-habitat (Burgio, 2007). Da queste considerazioni, la scelta dovrebbe ricadere probabilmente su un set di insetti indicatori, che potrebbe mostrare maggiore versatilità per la complementarietà dei vari gruppi e le loro risposte differenziate. È chiaro che una siffatta scelta necessita un certo investimento (anche economico) e di un approccio interdisciplinare, fattori che spesso vanno contro corrente con la praticità e con le risorse di un programma di monitoraggio, che spesso richiede risposte rapide e semplici. Le esperienze sembrano mostrarci come insetti bioindicatori “universali” non esistano e come la scelta debba essere accuratamente valutata tenendo sempre in riferimento lo scopo dello studio, le risorse economiche, la disponibilità di specialisti e la standardizzazione dei metodi, tenendo ovviamente in considerazione le caratteristiche ecologiche di ogni gruppo che possono meglio adattarsi a certe situazioni specifiche. CONCLUSIONI Le recenti politiche comunitarie che hanno posto le basi dell’agricoltura multifunzionale hanno codificato e sancito importanti principi ecologici nelle discipline applicate alla lotta agli insetti, che storicamente la filosofia della lotta biologica e della lotta integrata avevano già intuito e proposto. Oltre a questo aspetto pratico, che si identifica fondamentalmente nella valorizzazione della biodiversità funzionale per il potenziamento dei servizi ecologici in seno all’azienda, le politiche eco-compatibili prevedono un ulteriore aspetto molto importante, che consiste nella conservazione delle specie animali (inclusi insetti) rare o minacciate di estinzione. È stato fondato un gruppo di lavoro internazionale all’interno FOTO RAMILLI Larva e adulto di macaone, un lepidottero di interesse faunistico che utilizza la carota selvatica e altre ombrellifere come piante nutrici Apparato Berlese-Tullgren, usato in laboratorio per separare i campioni del terreno di IOBC chiamato Landscape management for functional biodiversity, istituitosi durante il convegno svoltosi a Bologna (Rossing et al., 2003). In tale gruppo sono contemplati casi pratici che prevedono la valorizzazione e la gestione delle ECA all’interno dell’azienda agraria. Questo esempio stimolante è un trampolino importantissimo per proiettare il concetto di conservazione e valorizzazione della biodiversità su una scala operativa superiore all’azienda, cioè l’intero paesaggio agrario, che diventa così un vero e proprio patrimonio su cui investire non solo dal punto di vista della produzione agraria, ma che si fonda anche sulla multifunzionalità e sulla sostenibilità sociale, un aspetto che occorrerà rivalutare sempre di più in discipline come l’entomologia agraria. Giovanni Burgio Università di Bologna ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Bibliografia Altieri M., 1999, The ecological role of biodiversity in agroecosystems. Agric. Ecosyst. Env., 74: 19-31. teri carabidi in pescheti dell'Italia settentrionale. Frustula Entomologica, Nuova Serie, 1989, 12: 1–19. Andersen A.N., Hoffmann B. D., Müller W. J., Griffiths A.D., 2002, Using ants as bioindicators in land management: simplifying assessment of ant community responses. J. Appl. Ecol., 39: 8-17. Morisi A., 2001, Recupero e gestione ambientale della pianura. La rete ecologica del Persicetano. Centro Agricoltura Ambiente. 115 pp Boller E.F., Hani F., Poehling H.-M., 2004, Ecological infrastructures: ideabook on functional biodiversity at the farm level temperate zones of Europe. IOBC wprs Commission on Integrated production guidelines and endorsement. LBL lindau Switzerland, 212 pp. Boriani L., Ferrari R., Marini M., 2005, Le farfalle diurne. Inserto “Bioindicatori nell’agroecosistema” (a cura di R. Quadretti). Agricoltura, maggio 2005: 121-122. Brandmayr P., Zetto T., Pizzolotto P., 2005, I Coleotteri Carabidi per la valutazione ambientale e la conservazione della biodiversità. Apat, 240 pp. 14 Burgio G., Sommaggio D., 2007, Syrphids as landscape bioindicators in Italian agroecosystems. Agriculture, Ecosystems & Environment, 120: 416-422. Burgio G., 2007, The role of ecological compensation areas in conservation biological control. Tesi PhD, Università di Wageningen, 170 pp. Contoli L., 1994, Sulla biodiversità biologica come manifestazione ecologica dell’entropia. Atti e Memorie dell’Ente Fauna Siciliana, 2: 23-86. Daccordi M., Zanetti A., 1989, Carabid and staphylinid beetles in two vineyards in the province of Verona (Italy). Agriculture, Ecosystems and Environment 27, 307-313. Fiumi G., Camporesi S., 1991, Le farfalle delle siepi padane (Insecta Lepidoptera), pp. 23-32. In: Atti del Convegno “Ecologia delle Siepi”, Bagnacavallo, 6-7 maggio 1989, Comune di Bagnacavallo, Faenza, Italy. Fontana P., Tirello P., Buzzetti F. M., Duso C., 2004, Indagine ecologico-faunistica sugli Ortotteri del Bellunese, mediante campionamenti rapidi e standardizzati lungo percorsi carrozzabili (Insecta Orthoptera). In: Casagrandi R. and Melià P. (Eds.), Ecologia. Atti del XIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Ecologia (Como, 8-10 settembre 2003). Gaston K., 2000, Global patterns in biodiversity. Nature, 405: 220-227. Genghini M., Nardelli R., 2005, Le siepi in agricoltura, un rifugio per l’avifauna. Insert “Bioindicatori nell’agroecosistema” (a cura di R.Quadretti). Agricoltura, maggio 2005: 113-117. Gliessman S.R., 1998, Agroecology: ecological processes in sustainable agricolture. Ann Harbor Press, Chelsea. Holland J.M., 2002, The agroecology of carabid beetles. Intercept, Andover. Kromp B., 1999, Carabid beetles in sustainable agriculture: a review on pest control efficacy, cultivation impacts and enhancement. In: Invertebrate biodiversity as bioindicators of sustainable landscapes (Paoletti M.G., ed): 187-228. Landis D.A., Wratten S.D., GURR G.M., 2000, Habitat management to conserve natural enemies of arthropod pests in agriculture. Annu. Rev. Entomol., 45: 175-201. Lozzia G.C., 1999, Biodiversity and structure of ground beetle assemblages (Coleoptera Carabidae) in Bt corn and its effects on non target insects. Bollettino di Zoologia Agraria e Bachicoltura Ser. II, 31(1): 37-58. Paoletti, M. G., Sommaggio, D., Bressan, M. Celano, V., 1996, Can sustainable agricultural practices affect biodiversity in agricultural landscapes? A case study concerning orchards in Italy. Acta Jutlandica 71: 241-254. Paoletti M.G., 1999, Using bioindicators based on biodiversity to assess landscape sustainability. In “Invertebrate biodiversity as bioindicators of sustainable landscapes” (Paoletti M.G., ed). Elsevier. Porrini C., 1999, Metodologia impiegata nei programmi di monitoraggio dei pesticidi con api, in Proceedings of the Workshop “Biomonitoraggio della qualità dell’aria sul territorio nazionale”, Novembre 26-27, 1998, Rome, Italy (Piccini, C. and Salvati, S., Eds.), Anpa, Rome, Italy, Series 2/1999, pp. 311-317. Porrini C., 2007, Le api come bioindicatori dell’inquinamento ambientale. http://www.entom.agrsci.unibo.it/Convegno%20api/Le%20api%20come% 20bioindicatori-1.pdf Quaranta M. et al., 2004, Wild bees in agroecosystems and semi-natural landscapes. 1997-2000 collection period in Italy. Bulletin of Insectology, 57 (1): 1161. Rossing W.A.H., Poehing H.-M., Burgio G., 2003, Landscape management for functional biodiversity. Proceedings of the first meeting of the study group. Bologna, Italy, 11-14 May 2003, IOBC Bull. 26 (4), 220 pp. Samway M. J., 1994, Insect conservation biology. Chapman and Hall. Sabatini M.A., L. Rebecchi, C. Cappi, R. Bertolani, B. Fratello, 1997, Longterm effects of three different continuous tillage practices on Collembola populations. Pedobiologia, 41: 185-193. Sabatini M.A., L. Rebecchi, C. Cappi, A. Guidi, A. Vicari, G. Dinelli, R. Bertolani, 1998, Side effects of the herbicide triasulfuron on Collembola under laboratory conditions. Chemosphere, 37: 2963-2973. Sciaky R. and Trematerra P., 1991, Coleotteri Carabidi presenti nei meleti della Valtellina. Boll. Zool. Agr. Bachic. Ser. II. 23, 95–111. Sommaggio D., Burgio G., 2004, Hoverflies: indicators of sustainable farming and potential control of aphids. In: Pimentel, D. (ed.), Encyclopedia of Pest Management. Marcel Dekker, Inc., New York, NY. Speight M.C.D., 1986, Criteria for the selection of insects to be used as bio-indicators in nature conservation research. Proceedings 3rd European Congress of Entomology, Amsterdam pt 3, 485-488. Speight M.C.D., 2004. Species accounts of European Syrphidae (Diptera) 2004. In: Speight, M.C.D., Castella, E., Sarthou, J.-P., Monteil, C. (Eds.), Syrph the Net, the Database of European Syrphidae, 44. Syrph The Net Publications, Dublin, pp. 237. Thomas M.B., Wratten S.D., Sotherton N.W., 1991, Creation of “island” habitats in farmland to manipulate populations of beneficial arthropods: predator densities and emigration. J. Appl., Ecol., 28: 906-917. Maini S., Burgio G., 2005, Aree di compensazione ecologica per il potenziamento del controllo naturale dei fitofagi. Atti dell'Accademia Nazionale Italiana di Entomologia. Rendiconti, anno 53: 243-268. Tscharntke T., Brandl R., 2004, Plant-insect interactions in fragmented landscapes, Annu. Rev. Entomol., 49: 405-430. Marini M., 1998, Osservazioni sull’ecologia di una popolazione di Zerynthia polyxena in un’area della pianura bolognese, pp. 70-71. In: Atti Convegno “Delle specie neglette, ovvero: quanto costa un rospo?”. Provincia di Bologna, Assessorato Ambiente, Bologna Italy. Wackers F.L., 2005, Suitability of (extra-)floral nectar, pollen, and honeydew as insect food sources. In: Plant-provided food for carnivorous insects: a protective mutualism and its applications (Wackers L., Van Rijn P.C.J., Bruin J. eds.): 1774. Cambridge University Press. Marino P.C., Landis D.L., 1996, Effect of landscape structure on parasitoid diversity and parasitism in agroecosystems. Ecol. Appl., 6: 276-284. Vigna Taglianti A., 1993, Checklist delle specie della fauna italiana, 45. Coleoptera Archostemata, Adephaga 1 (Carabidae). In: Minelli A., Ruffo S. e La Posta S. (eds.), Calderini, Bologna. Menalled F.D., Costamagna A.C., Marino P.C., Landis D.A., 2003, Temporal variation on the response of parasitoids to agricultural landscape structure. Agric. Ecosyst. Environ., 96: 29-35. Molinari F., Cravedi P. and Spada, G., 1990, Studi sulle popolazioni di coleot- Vigna Taglianti A., 2001, I Carabidi delle isole circumsarde (Coleoptera Carabidae). Annali del Museo civico di storia naturale Giacomo Doria, 93 (2000): 305-428. Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Difendere le diversità per valorizzare le tipicità Dall’inizio del ventesimo secolo circa 3/4 della diversità genetica delle principali colture agrarie è scomparsa. Migliaia di varietà di piante coltivate, selezionate naturalmente nei diversi ambienti di coltivazione dalle condizioni climatiche e dalla sapienza di infinite generazioni di agricoltori, sono state sostituite da un numero ridottissimo di varietà commerciali che, nonostante l’elevata capacità produttiva, presentano una serie di limiti. Infatti queste varietà hanno perso una quota consistente della capacità di resistere alla malattie, ai parassiti e alle avversità atmosferiche; si sono dimostrate particolarmente esigenti dal punto di vista della concimazione e dell’irrigazione. In molti casi producono alimenti di qualità inferiore rispetto alle varietà “tradizionali”. La perdita di biodiversità e la semplificazione estrema degli ecosistemi agricoli hanno provocato un aumento esponenziale dei fabbisogni energetici dell’agricoltura, con enormi riflessi negativi sull’economia di aree fondamentali – quelle in via di sviluppo – del nostro pianeta; nel contempo sono aumentati in modo sensibile i problemi di inquinamento di acqua, suolo e aria causati dal settore primario. Anche numerose razze animali, frutto dell’interazione secolare tra animale, ambiente, forme di allevamento e destinazione delle produzioni zootecniche, hanno raggiunto numeri ridottissimi, con serie probabilità di scomparsa. Nel 1954 la razza bovina Reggiana aveva una consistenza numerica di circa 140.000 capi. Nel 1995 era scesa a 600, soppiantata, come la Bianca della Val Padana o Modenese, dalla Frisona, più produttiva e più adatta alla mungitura meccanica ma con un latte di qualità inferiore. In realtà il latte di Reggiana presenta un particolare “polimorfismo” delle caseine (ovvero presenza di diversi tipi di proteine) che si traduce in una elevata resa in Parmigiano-Reggiano. Per ottenere una forma occorrono circa 500 litri di latte di Frisona contro i 450 di Reggiana; inoltre il formaggio prodotto dalla razza autoctona si presta in modo particolare all’invecchiamento e raggiunge traguardi qualitativi di grande rilievo. Oggi, grazie alla lungimiranza e all’attaccamento alla tradizioni di alcuni agricoltori, alla grande professionalità di qualche casaro e agli aiuti previsti da strumenti di intervento pubblico, tra i quali i Programmi di sviluppo rurale, la Reggiana è in lenta crescita. L’industrializzazione dell’agricoltura, la costante ricerca di nuovi traguardi produttivi ottenuti a scapito della qualità, le esigenze di standardizzazione proprie della distribuzione moderna, hanno tolto la molla dell’interesse economico nei confronti di una parte rilevante della nostra biodiversità che, di conseguenza, è stata abbandonata a sé stessa e destinata all’oblio e alla successiva scomparsa. Il danno che ne sta derivando è incalcolabile. La diversità è il carattere distintivo della natura e il fondamento della stabilità ecologica e dunque ridurre la biodiversità negli agroecosistemi significa indebolirli e renderli vulnerabili, alterare profondamente la configurazione dei luoghi e del paesaggio, l’identità culturale delle comunità, saperi e abilità contadine tramandate da una generazione all’altra. Ed è un danno anche economico, soprattutto per una regione come l’Emilia-Romagna che fonda la reputazione delle proprie produzioni agricole e alimentari di altissima qualità nel rapporto con le tradizioni, con le culture e i diversi territori e quindi, oggettivamente, con il valore della biodiversità agricola. Nel mondo della globalizzazione la nostra unica chiave per accedere ai mercati si chiama distintività o se si preferisce “made in FOTO S. GUIDI Circa tre quarti della diversità genetica delle principali culture agrarie è scomparsa dall’inizio del ventesimo secolo. Nel mondo della globalizzazione occorre contrapporre alle coltivazioni completamente omologate sull’intero pianeta il “made in Italy” del cibo. Ovviamente le tipicità affondano le radici nell’agrobiodiversità. 15 Pesca buco incavato Italy” che, in ogni caso, presuppone il valore della biodiversità. Anche per questo, non crediamo in un futuro agricolo fondato sugli organismi geneticamente modificati, su coltivazioni standardizzate e completamente omologate sull’intero pianeta. Una parte non secondaria del futuro del nostro sistema agroindustriale è nella genetica tradizionale finalizzata all’aumento della qualità e alla riduzione dei fabbisogni energetici delle colture, nella tutela e valorizzazione delle risorse genetiche, sia animali che vegetali, a rischio di scomparsa, che possono consentire al nostro sistema produttivo di stare sul mercato con prodotti unici, non replicabili in altre realtà perché frutto dell’interazione tra territorio, cultura materiale e grande capacità imprenditoriale. La Regione Emilia-Romagna ha avviato, nel corso degli anni, diverse iniziative per la salvaguardia di importanti risorse genetiche autoctone, in particolare nel settore frutticolo, viticolo e zootecnico. Il loro valore sta soprattutto nel fatto che la salvaguardia si è incontrata con la valorizzazione economica, fattore determinante se vogliamo dare basi durevoli alla conservazione delle biodiversità agricole. Se il latte per Parmigiano-Reggiano continuerà a essere pagato, in modo indifferenziato, con un unico prezzo per litro conferito, le razze autoctone continueranno a essere penalizzate. Se, al contrario, saranno introdotti meccanismi in grado di premiare anche sul piano economico la maggior resa in formaggio, la migliore attitudine alla stagionatura, le migliori caratteristiche organolettiche, si potranno determinare le condizioni per una inversione di tendenza. In ogni caso è necessario avviare un processo lungo, che richiede ampia condivisione degli obiettivi e degli strumenti da parte degli operatori del settore, risorse economiche e adeguati supporti di carattere istituzionale, in particolare sul versante della ricerca, della sperimentazione e della valorizzazione. Il progetto di legge Tutela del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario del territorio emiliano-romagnolo rappresenta un ulteriore contributo alla costruzione di questo processo, essenziale per garantire, ancor prima del futuro della nostra agricoltura, quello della nostra cultura materiale e del nostro territorio che hanno dato vita ai tanti capolavori enogastronomici che caratterizzano la Regione Emilia-Romagna e contribuito a promuoverne l’immagine in tutto il mondo. Tiberio Rabboni Assessore all’Agricoltura Regione Emilia-Romagna Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Le Reti europee per le sementi contadine: un futuro possibile per coltivare la biodiversità In Europa il mercato delle sementi certificate si attesta in media sul 50% del seme; parallelamente è presente quello che si potrebbe chiamare “sistema sementiero informale” e che l’industria sementiera definisce “illegale”. In un quadro normativo europeo ancora in evoluzione, dal 2001 si sono sviluppate le Reti sementi contadine in Francia, in Spagna e in Italia; si tratta di gruppi di agricoltori – spesso biologici – che insieme cercano di riappropriarsi per il futuro delle sementi che danno origine a varietà locali e tradizionali. 16 Il mercato sementiero è molto regolamentato in Europa, le esigenze in materia di qualità delle sementi e di proprietà intellettuale fanno sì che i semi sempre più siano dei prodotti commerciali standardizzati. In effetti, la biodiversità non abita più le campagne, quantomeno quelle inserite nella filiera agro-industriale (Velvée, 1993). Anche in questo ambito, però, continuano a esserci conflitti tra agricoltori e industria sementiera, con i primi che rivendicano il loro diritto a approvvigionamento di seme da parte degli agricoltori sia esclusivamente legato alla vendita da parte dell’industria sementiera, ci si sbaglia di grosso. Come si vede nella tabella seguente, elaborata a partire da dati della Federazione internazionale dell’industria sementiera, il mercato delle sementi certificate si attesta in media sul 50% del seme e parallelamente troviamo ancora la presenza di quello che si potrebbe chiamare sistema sementiero informale e che l’in- riprodurre e vendere in azienda sementi protette iscritte al catalogo ufficiale e i secondi che cercano di limitare il più possibile quello che ai loro occhi non è un diritto, ma un “privilegio” e quindi revocabile se non più necessario (Grain, 2007). È intervenuta in proposito anche l’Unione europea che ha definito i parametri entro cui gli agricoltori possono legittimamente riprodurre in azienda le varietà (Benozzo, 2004). Se si pensa, però, che in Europa il sistema di Origine delle varietà di cereali, leguminose e patate in alcuni Paesi europei (Le Buanec, 2005, modificato) PROVENIENZA SEMENTI PAESE COLTURA Certificate Riprodotte in azienda “Illegali” Francia frumento 58 42 Germania cereali 54 40 patata 44 56 frumento 7 93 avena 5 95 frumento 51 31 18 orzo di inverno 55 15 30 orzo di primavera 66 14 20 fagiolo 37 18 45 frumento duro 90 10 frumento tenero 70 30 erba medica 75 5 orzo 80 20 patata 61 39 cereali 65 35 Finlandia cereali e leguminose 30 47 Svezia cereali 72 28 patata 35 65 Polonia Inghilterra Italia Olanda 6 20 23 dustria sementiera definisce “illegale”. Si tratta di sementi non iscritte al catalogo ufficiale e spesso definibili come varietà locali o tradizionali (v. tabella). Va, inoltre, aggiunto che altri fattori, come la politica agricola europea (PAC) e la modernizzazione delle campagne, hanno spinto per allontanare sempre di più gli agricoltori dai semi. Ricerca, legislazione, politiche, sistemi economici, integrazioni di filiera: tutti hanno lavorato in una sola direzione finalizzata a far assomigliare sempre più l’agricoltura a una qualsiasi altra attività economica del sistema capitalistico. In questo passaggio l’agricoltore, non più contadino, ma ridefinito “imprenditore agricolo”, diventa acquirente di beni e tecnologia prodotte altrove, perdendo la capacità di saper leggere e interpretare il proprio ambiente. Gli esperti, i tecnici avranno tutte le risposte alle sue domande. In tale quadro legislativo e culturale, dal 2001 sono nate e si stanno sviluppando le Reti sementi contadine in Francia (Réseau Semences Paysannes, www.semencespaysannes.org), Spagna (Red de Semillas, www.redsemillas.info) e Italia (Rete semi rurali, www.semirurali.net). Si tratta di gruppi di agricoltori – spesso biologici o comunque non legati alla filiera agro-industriale – che cercano di riappropriarsi del futuro delle sementi, prendendo atto che quelle attualmente disponibili sul mercato non soddisfano le loro esigenze (Deléage, 2004). La loro critica si fonda essenzialmente su tre aspetti: 1. tecnico; sottolineano come le caratteristiche di distinzione, uniformità e stabilità e il concetto di valore agronomico siano incompatibili con le varietà adatte a un’agricoltura non industriale 2. politico-giuridico; si chiedono quale sistema legislativo sia il più adatto per riavvicinare gli agricoltori alle sementi e quali regimi di proprietà intellettuale sia possibile applicare alle sementi per favorire lo sviluppo delle sementi da parte degli agricoltori stessi 3. scientifico; rivendicano la centralità degli agricoltori e dei loro saperi all’interno della ricerca agricola (Almekinders e Hardon, 2007). È interessante notare che queste associazioni hanno la capacità di mettere insieme soggetti diversi, ben aldilà delle tradizionali forze sindacali agricole, e mostrano una crescita molto elevata sia in termini di attività svolte, sia di persone coinvolte. Inoltre, si caratterizzano per riuscire a comunicare le loro preoccupazioni al grande pubblico, cominciando così a costruire un nuovo legame tra città e campagna e tra agricoltore e cittadino, basato sulla condivisione di comuni obiettivi e punti di vista. In Francia il fenomeno si è http://www.aiab.it esteso anche alla ricerca agricola, dando vita a diversi progetti di selezione partecipativa, dove la ricerca lascia il “laboratorio” per tornare nei “campi” in uno spirito di scambio reciproco con gli agricoltori (Chable e Berthellot, 2005). Il dinamismo delle Reti europee si è concretizzato nel gennaio 2007 in un progetto europeo triennale all’interno del VI° Programma Quadro dal titolo Farm seed opportunities (www.farmseed.net), che vede insieme in partnership associazioni di produttori biologici, reti sementi e centri di ricerca di sei paesi europei (Italia, Francia, Spagna, Olanda, Svizzera e Inghilterra). Si tratta di un progetto di ricerca finalizzato alle politiche che dovrà dare consigli, indicazioni e pareri al fine di costruire una legislazione sementiera europea più aperta alla biodiversità. Infatti, l’Unione europea nel 1998 aveva cercato di proporre una regolamentazione per rispondere all’esigenza di conservare la biodiversità nei campi, creando il concetto di “varietà da conservazione” e “varietà amatoriali” all’interno della direttiva 98/95. Purtroppo, tale possibilità FOTO G. NALDI ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 17 non si è ancora concretizzata, visto che le norme attuative non sono mai state elaborate dal legislatore europeo. È evidente che la posta in gioco è molto alta: si tratta di affermare che esiste un altro modo di considerare l’agricoltura all’interno delle nostre società, rovesciando un sistema di valori e di pregiudizi fortemente radicati nella nostra cultura (Bocci e Ricoveri, 2006). Rilocalizzare l’agricoltura e la ricerca è la chiave per costruire sistemi agricoli sostenibili, al cui interno l’agricoltore deve riacquistare la centralità perduta (sociale, culturale e tecnica). Le Reti sementi contadine sono consapevoli di tale sfida e per questo mettono in evidenza che senza agricoltori non si può conservare, coltivare e sviluppare la biodiversità agricola. Riccardo Bocci Associazione italiana agricoltura biologica (Aiab) BIBLIOGRAFIA - Almekinders C, Hardon J. (eds.), Bringing farmers back into breeding, Agromisa Special 5, Wageningen: Agromisa, 2007. - Benozzo M., Attività agricola e privativa vegetale. Agricoltura Istituzioni Mercati, rivista di diritto agroalimentare e dell’ambiente 2004; 2: 197-217. - Bocci R, Ricoveri G. (a cura di), Agricultura Terra Lavoro Ecosistemi, EMI, 2006. - Brush S., Farmers’ Bounty, locating crop diversity in the contemporary world. New Haven and London: Yale University Press, 2004. - Cleveland DA, Soleri D., Farmers, scientists and plant breeding: integrating knowledge and practice. New York: CABI Publishing, 2002. - Chable V, Berthellot JF., La sélection participative en France: présentation des expériences en cours pour les agricultures biologiques et paysannes. «Quelles variétés et semences pour des agricultures paysanne durables?». Les dossiers de l’Environnement de l’INRA 2005; 30: 129-138. - Deléage E., Paysans de la parcelle à la planète. Paris: Edition Syllepse, 2004. - Grain, The end of farm-saved seed? Industry’s wish list for the next revision of UPOV. Grain Briefing 2007 ; February. - Le Buanec B., Enforcement of Plant Breeders’ Rights. Meeting on Enforcement of Plant Breeders’ Rights, UPOV/Enforcement/05/3, Geneva. 25 October 2005. Not published on UPOV website, but available on http://www.grain.org/blr_files/ueisf.pdf. - Pistorius R, van Wijk J., The Exploitation of Plant Genetic Information. London: Oxford University Press, 2000. - Velvée R., The decline of diversity in European agriculture. The Ecologist 1993. Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Tutela delle razze e delle varietà locali, il progetto di legge della Regione Emilia-Romagna 18 La biodiversità agricola non è solo il risultato dell’adattamento e della pressione ambientale, è anche il prodotto del lavoro delle donne e degli uomini che curano la terra e la mantengono viva. Le varietà tradizionali di ortaggi, frutta e cereali esistono soprattutto perché nel tempo lento delle generazioni sono state selezionate, conservate e tramandate. Formano un patrimonio collettivo di saperi, tecniche e consuetudini, del quale sono titolari le comunità rurali. Perdere biodiversità, quindi, equivale a perdita di identità culturale e abilità contadine che si sono tramandate da una generazione all’altra. Purtroppo, l’erosione della diversità è molto avanzata negli ecosistemi agricoli. La varietà dei raccolti è quasi scomparsa: nel periodo della Rivoluzione verde la coltivazione di centinaia di migliaia di specie si è ridotta a un numero esiguo (grano, riso, mais, patata), tratti da una ristretta base genetica. Il 95% del nostro fabbisogno alimentare complessivo è assicurato da 30 specie di piante e almeno i tre quarti della nostra dieta è costituito da solo 10 colture. Nell’ultimo secolo oltre il 75% della diversità genetica delle principali colture agrarie è scomparsa. Migliaia di varietà eterogenee di piante coltivate per generazioni sono state sostituite da un numero ridotto di varietà commerciali notevolmente uniformi. In Italia sono a rischio di estinzione ben 1500 varietà di frutta. La stessa sorte è riservata agli animali domestici: negli ultimi cinquanta anni abbiamo perso almeno cinque razze di bovini, tre di caprini, oltre dieci tra ovini e suini, sette di equini e quattro di asini. Per porre rimedio a questo processo di erosione genetica e promuovere un organico sistema di tutela e salvaguardia della biodiversità la Giunta regionale ha approvato nel mese di luglio 2007 il progetto di legge “Tutela del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario del territorio emiliano-romagnolo”. Il progetto di legge ha lo scopo di salvaguardare il patrimonio di risorse genetiche autoctone a rischio di erosione genetica e la titolarità delle comunità rurali sulle razze e varietà espressione del territorio e della cultura locale; l'impianto del testo è funzionale alla conservazione tutela e valorizzazione del patrimonio genetico agrario locale. Con questa proposta di legge la Regione intende inoltre dare attuazione al Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, in coerenza all’articolo 3 (Politiche ambientali) del nuovo Statuto regionale. Per raggiungere gli obiettivi sopracitati, sono preordinati più strumenti funzionalmente legati tra loro: - il repertorio regionale in cui, previo parere favorevole di un’apposita commissione tecnico-scientifica, vengono iscritte e catalogate le risorse genetiche tutelate - la conservazione ex situ delle risorse genetiche (banca del germoplasma) in cui confluiscono le accessioni iscritte nel repertorio regionale e che risulta preordinata allo svolgimento di tutte le operazioni necessarie alla conservazione ex situ - gli agricoltori custodi, persone fisiche che svolgono una funzione di pubblico interesse, che provvedono alla conservazione in situ del FOTO M. FONTANA Le varietà tradizionali di ortaggi, frutta e cereali formano un patrimonio collettivo di saperi, tecniche e consuetudini, del quale sono titolari le comunità rurali. L’obiettivo del progetto di legge regionale dell’Emilia-Romagna è salvaguardare questo patrimonio di risorse genetiche autoctone, oggi a rischio di erosione, e la titolarità delle comunità rurali sulle stesse risorse. Il repertorio regionale delle risorse genetiche tutelate, la banca del germoplasma, gli agricoltori custodi, la rete di conservazione e sicurezza sono tra gli strumenti previsti. Pomodoro costoluto di Parma (azienda Stuard) germoplasma a rischio di estinzione iscritto nel repertorio - la rete di conservazione e sicurezza, che comprende gli agricoltori custodi e i soggetti affidatari della conservazione ex situ delle risorse genetiche (banca del germosplasma); rappresenta una struttura di collegamento tra più soggetti accomunati dal compito di mantenere in vita il patrimonio naturale di interesse agrario emilianoromagnolo e a garantire l’uso durevole del germoplasma. Una disamina puntuale del testo del progetto di legge evidenzia quanto segue: L’articolo 1 enuncia le finalità generali che la Regione EmiliaRomagna intende perseguire: preservare e tutelare il patrimonio di razze e varietà locali. L’obiettivo di conservazione è collegato a ragioni economiche, scientifiche e culturali. L’opportunità di proteggere le risorse genetiche locali dal rischio di erosione assume un significato che trascende le esigenze della ricerca scientifica per caricarsi di connotazioni sociali ed economi- che. Sono inoltre enunciate le tipologie di attività che la Regione intende svolgere per tutelare e valorizzare il patrimonio di razze e varietà locali. A tal fine, la Regione svolge direttamente e indirettamente iniziative volte alla conservazione diffusione, conoscenza e promozione del patrimonio di razze e varietà del proprio territorio. Per fornire un orientamento in ordine alle attività e alle iniziative che di volta in volta si ritiene necessario promuovere, sono previsti appositi programmi d’intervento, volti alla conservazione tutela e valorizzazione delle varietà e razze locali d’interesse agrario, con particolare riguardo a quelle a rischio di erosione genetica. L’articolo 2 definisce quelle che, ai fini della legge, possono considerarsi “risorse genetiche indigene”. Si enumerano, dunque, non solo specie, razze, varietà, popolazioni, ecotipi e cloni originari del territorio emiliano-romagnolo, cioè autoctoni, ma anche quelli di origine esterna (alloc- FOTO M. FONTANA ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 toni), purché presenti nel territorio regionale da un periodo di tempo definito semplicemente “lungo”, ma sufficiente all’integrazione nell’agricoltura e nell’allevamento della regione. Vengono prese in considerazione, infine, quelle originarie dell'Emilia-Romagna, ma attualmente scomparse dal territorio regionale e presenti in orti botanici, allevamenti o centri di ricerca di altre regioni o paesi. Vengono altresì richiamate le definizioni contenute nell'art. 2 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura. Viene infine definito "l'ambito locale" di una risorsa genetica. L’articolo 3 attiene al patrimonio delle risorse genetiche, di cui sono titolari le comunità locali al cui interno debbono essere equamente distribuiti i benefici, cosi come previsto dall'art. 8j della Convenzione di Rio de Janeiro sulla biodiversità (1992), ratificata con legge 14 febbraio 1994, n.124 e dall'art.9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura. L’articolo 4 riguarda l'approvazione, ogni triennio, di un piano settoriale di intervento nel quale sono stabilite le linee guida per le attività inerenti la tutela delle risorse genetiche di interesse agrario. L’articolo 5 disciplina l'istituzione del repertorio volontario regionale delle risorse genetiche, suddiviso in una sezione animale e in una vegetale, evidenziando in particolare l’esigenza di organizzarlo secondo criteri che consentano la confrontabilità con analoghi strumenti esistenti a livello nazionale e internazionale. L’articolo 6 descrive la procedura da seguire per giungere – in base al parere di apposita commissione tecnico-scientifica – all’iscrizione di una razza o varietà locale nel repertorio regionale e contiene un rinvio, nel comma 4, al regolamento di attuazione che avrà il compito di dettagliare modalità e procedure per l'iscrizione medesima. 19 Vigneto di Centesimino in zona Torre di Oriolo - Faenza L'articolo 7 definisce le funzioni e i compiti della Commissione tecnico-scientifica in merito alle risorse genetiche locali. L’articolo 8 riguarda la conservazione ex situ delle risorse genetiche e ne prevede l’affidamento a soggetti pubblici e privati di comprovata esperienza. Tale conservazione sul territorio assume la configurazione di una “banca locale del germoplasma”, finalizzata a garantire la sopravvivenza delle razze e varietà locali attraverso il metodo della “conservazione delle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura al di fuori del loro ambiente naturale". Il comma 4 dell'art. 8 istituisce un collegamento tra le strutture per la conservazione ex situ e il repertorio, stabilendo che tutte le accessioni iscritte nel Repertorio confluiscono in queste ultime, quindi di tutto il materiale catalogato nelle due sezioni del repertorio, e per tale ragione certamente “locale”, esisterà un “campione” concreto nella Banca che opererà affinché lo stesso si conservi puro e inalterato. Le modalità di funzionamento e gestione delle strutture per la conservazione ex situ saranno definite dal relativo regolamento di attuazione della legge previsto all'art. 12. L’articolo 9 contiene la definizione di “agricoltore custode”. Questa figura è definita come colui che provvede alla conservazione in situ e/o "on farm" delle varietà e razze locali in via d'estinzione. I commi 2 e 3 demandano al regolamento di attuazione la definizione dei criteri per il conferimento dell'incarico di agricoltore custode e dei compiti a esso affidati, l'iscrizione in apposito elenco regionale, le modalità di riconoscimento di eventuali corrispettivi per attività prestate dal coltivatore medesimo. L'articolo 10 istituisce la “rete di conservazione tutela e salvaguardia”. Essa è concepita prima di tutto come un “luogo” dove si sostanzia la garanzia dell'uso durevole delle risorse genetiche agrarie. I soggetti partecipanti alla Rete sono le strutture per la conservazione ex situ (Banca regionale del germoplasma), di cui all’articolo 8, gli agricoltori custodi, di cui all’articolo 9, e altri soggetti pubblici e privati interessati alla valorizzazione delle risorse genetiche legate a specifici ambiti territoriali. Questi soggetti svolgono l'attività di conservazione delle varietà locali a rischio di estinzione sia ex situ (Banca regionale del germoplasma), sia in campo (in situ) e rimettono in circolazione, nell'ambito della Rete, le sementi e il materiale di moltiplicazione di tali varietà. Le modalità di adesione alla Rete saranno disciplinate dal regolamento di attuazione della legge. Inoltre, poiché chi svolge attività nella Rete compie inevitabilmente attività di selezione genetica, si potrebbero verificare casi di deposito di domande di brevetto o di privativa varietale. In questi casi la Regione dovrà dare preventiva autorizzazione, in base a quanto previsto al comma 4. L’articolo 11 disciplina la moltiplicazione e la diffusione del materiale genetico in conformità alla normativa fitosanitaria regionale e a quanto stabilito dall’art.2 della legge regionale 20 gennaio 2004 n. 3. Inoltre, autorizza la circolazione e diffusione delle risorse genetiche autoctone all’interno della Rete in modica quantità, secondo le modalità definite con l’atto deliberativo di cui all’art.12. L’articolo 12 dispone che l’atto deliberativo della Giunta regionale di attuazione venga approvato entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge. Gli art.13 e 14 contengono rispettivamente la norma di trattamento dei dati personali e la norma finanziaria. Valtiero Mazzotti Francesco Perri Assessorato all’Agricoltura Regione Emilia-Romagna Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Biodiversità e zootecnia in Emilia-Romagna La tutela della biodiversità nella produzione zootecnica dovrebbe essere un obiettivo primario, sia per combattere la progressiva riduzione della variabilità genetica all'interno delle razze a più elevata diffusione, sia per recuperare la qualità nelle produzioni alimentari tipiche di un territorio. Una recente ricognizione, svolta per conto della Regione da unità operative delle Università di Parma e Bologna, mostra che in Emilia-Romagna la varietà delle razze e dei tipi genetici locali è soddisfacente: si è in parte invertita una tendenza pericolosa, soprattutto nelle aree più svantaggiate e, oggi più che mai, è necessario puntare con forza al mercato. 20 La produzione zootecnica nazionale – almeno nei settori economicamente trainanti quali quello bovino, suino e avicolo – è per la maggior parte sostenuta da razze cosmopolite (per i bovini le razze Frisona o Bruna, per i suini le razze Large White o Landrace, per i polli soprattutto incroci leggeri e pesanti). Esse sono in grado di fornire elevate produzioni e sono sostenute da piani selettivi orientati al miglioramento delle performance in senso quantitativo e qualitativo. In tale contesto la tutela della biodiversità non sembra trovare spazio; invece dovrebbe apparire oggi un obiettivo primario, non solo per motivi di ordine scientifico – legati alla progressiva riduzione della variabilità genetica all'interno delle razze a più elevata diffusione –, ma anche di ordine sociale e culturale (aumento della sensibilità nell'opinione pubblica verso problematiche di salvaguardia delle razze animali e di recupero delle qualità delle produzioni alimentari tipiche di un territorio). Circa il primo punto, è noto che la perdita di variabilità genetica, cui si sta assistendo nelle popolazioni animali cosmopolite, deve seriamente preoccupare, dal momento che potrebbe rendere gli animali meno flessibili nelle loro risposte a improvvise variazioni ambientali o a patologie poco note o emergenti, espone le produzioni animali a un appiattimento quanti-qualitativo, con ripercussioni negative per il consumatore, e infine contribuisce alla riduzione dell’attività zootecnica nei comprensori in possesso di minori potenzialità economiche, contribuendo al loro degrado sociale e ambientale. Le razze cosiddette “autoctone” ancora presenti, escluse da Bovina romagnola tempo dal circuito produttivo, rappresentano invece un serbatoio di variabilità molto importante; la loro scomparsa potrebbe portare alla perdita di geni potenzialmente utili, in relazione all'adattamento dei soggetti, alla qualità dei prodotti o alla resistenza ad agenti patogeni. In Emilia-Romagna la varietà delle razze e dei tipi genetici locali nell’ambito della produzione animale è soddisfacente; una recente ricognizione, svolta per conto della Regione da unità operative delle Università di Parma e Bologna (http://bizer.unipr.it/), ha individuato - quattro razze bovine: romagnola, reggiana, modenese e ottonese - due tipi genetici suini: Mora romagnola, Nero di Parma - due razze ovine: cornigliese e Cornella - quattro razze equine: bardigiano, Caitpr, cavallo del Ventasso, asino romagnolo) Sono state individuate, inoltre, numerose razze o varietà in campo avicolo: - polli modenese e romagnolo - tacchini romagnolo e di Parma e Piacenza - oche e anatre romagnole - numerose razze di piccioni - i cani Lagotto romagnolo e bolognese A questo elenco di razze di origine regionale vanno poi aggiunte quelle cosiddette “di crinale”, cioè soggetti originari dei territori confinanti, che hanno trovato nella nostra Regione le condizioni adatte a un impiego economicamente van- taggioso. Rientrano in questo elenco alcune razze ovine, quali la massese, la garfagnina, l’appenninica, la zerasca e la capra Garfagnana. Per continuare l’elenco delle diversità regionali, si può infine citare il cavallo del delta, che ha trovato nel territorio del delta del Po un ambiente simile a quello di origine, potendosi oggi considerare naturalizzato. L’elenco proposto è sicuramente suscettibile di aggiornamenti (nei limiti di quanto ragionevolmente ci possa essere oggi di non conosciuto), sulla base delle indicazioni bibliografiche storiche. In tali casi si tratta, in genere, di recuperare in purezza animali presenti sul territorio sotto forma di incroci (ad es. le pecore valtarese, Zucca modenese, reggiana, pavullese, Cornetta), ma dei ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 quali non si hanno notizie certe circa la loro presenza in purezza negli ultimi anni. In zootecnia, l’interesse per una determinata razza non si deve però esaurire nel semplice riscontro della sua presenza sul territorio. Infatti, la razza è solo uno dei tanti strumenti della produzione animale; alla scelta si devono affiancare altri fattori produttivi, quali un’alimentazione rispettosa dei fabbisogni degli animali, in termini di quantità e qualità degli alimenti, l’adozione di ricoveri in grado di garantire il benessere animale e la produttività; la razza, poi, deve essere gestita dal punto di vista numerico, assicurandole condizioni ottimali per lo sviluppo, per evitare il rischio di un eccessivo aumento della consanguineità nella popolazione. A tale proposito, la consistenza delle razze regionali prima citate, vede situazioni differenti: alcune razze, pur nei limiti della appartenenza a popolazioni di interesse locale, stanno mostrando i segni di una tendenza all’espansione numerica (suino Nero di Parma, vacca reggiana); altre, invece, di una certa stasi se non di un’involuzione numerica, legata essenzialmente alla difficoltà di trovare una giustifica- zione economica al loro allevamento, alternativo a quello delle razze cosmopolite a maggiore produttività. Questo aspetto, a nostro avviso, contiene la maggior parte delle problematiche della biodiversità in zootecnia: la produzione animale è un’attività economica e, come tale, deve fornire un reddito. La razza locale può contribuire a questo, se viene inserita in un percorso virtuoso, che collega la razza al territorio e ai suoi prodotti. Basti vedere quanto sta accadendo con il formaggio Parmigiano-Reggiano prodotto dalle bovine di razza reggiana o modenese. Aver ricostruito un’identità razza-prodotto e la sua tracciabilità, ha permesso il recupero di una valenza economica che sta alla base dello sviluppo numerico delle due razze. Diventano quindi strumentali all’obiettivo di incrementare la biodiversità in zootecnia, tutte le azioni rivolte alla valorizzazione delle produzioni, attraverso la nascita di consorzi fra allevatori, macellatori, trasformatori, ristoratori, titolari di agriturismi, commercianti, attori della filiera in grado convogliare l’interesse verso un unico obiettivo; un esempio di questa strategia e il Consorzio di tutela del suino Nero di Parma, che garantisce Cavallo bardigiano Le foto pubblicate in questo articolo sono di Valentino Beretti. Bovina reggiana Lagotto romagnolo 21 Pecora cornigliese tutti i passaggi di filiera, dall’alimentazione, alla macellazione e alla trasformazione sia in carne fresca, sia in salumi, attraverso il marchio “Suino Nero di Parma”. Particolare attenzione va rivolta alle denominazioni IGP (es. il vitellone bianco dell’Appennino centrale, che vede coinvolta la razza bovina romagnola) e alle azioni che possono intraprendere i parchi nazionali e/o regionali nei confronti di prodotti animali del loro territorio di competenza (ad es. pecorino reggiano e della Garfagnana, nel Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano). A questo proposito gli esempi che vengono da altre regioni sono significativi – in Lombardia il Parco delle Groane si è impegnato nella salvaguardia della pecora Brianzola – e indicano come i parchi possano rappresentare una concreta risorsa anche a tutela della biodiversità zootecnica. In conclusione si può affermare che in Emilia-Romagna si sta creando una forte attenzione alla salvaguardia della biodiversità zootecnica, a favore della quale sta per essere emanata una specifica legge regionale (Tutela del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario del territorio emiliano-romagnolo). La già ben documentata varietà delle razze e dei tipi genetici presenti sul territorio può diventare un mezzo a sostegno dell’attività zootecnica, soprattutto nelle aree più svantaggiate, purché riesca a interfacciarsi con il mercato. In tal senso bisogna essere convinti che la biodiversità non può essere fine a se stessa, ma rappresentare un valore aggiunto a una determinata produzione. Qualsiasi intervento al di fuori di un contesto economicamente premiante, non può che essere un palliativo, che nell’immediato potrebbe anche risollevare le sorti di una razza in pericolo di estinzione, ma che a lungo termine non riuscirebbe certo a sostenerla. Alberto Sabbioni Valentino Beretti Facoltà di Medicina veterinaria Università di Parma Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 I frutti della memoria, varietà adattabili e meno energivore I frutti della memoria, con i loro profumi e sapori, ritorneranno protagonisti? La Sezione Arpa di Forlì-Cesena è impegnata da anni in un’indagine per l’individuazione di antiche varietà fruttifere presenti nel territorio romagnolo. Il lavoro svolto è coerente con le finalità della legge regionale in corso di elaborazione sulla tutela del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario. Pera cocomerina, mela ruggine e pesca carota sono esempi di vecchie cultivar, probabilmente poco regolari nella forma, ma sicuramente dotate di grande adattabilità e meno energivore. 22 La biodiversità in ambiente naturale è tutelata dal progetto europeo Ribes. Per quanto riguarda, invece, la tutela del germoplasma di interesse agrario, la Regione Emilia-Romagna, in attuazione al trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, sta elaborando un progetto di legge. I frutti della memoria, con i loro profumi e sapori, ritornano protagonisti? Arpa è già impegnata in questa direzione. La bibliografia scientifica concorda nel prevedere che entro il 2050 il 25% delle specie animali e vegetali scomparirà al ritmo di circa 40-100 specie al giorno (sesta grande estinzione, la prima a opera dell’uomo). Le specie minacciate sono oggi 12.259, di cui 3500 animali e 6700 vegetali, 2000 in più rispetto al 2002, mentre sono sempre più presenti gli organismi alieni (specie esotiche) che creano ogni anno, nel mondo, perdite di reddito per 315 milioni di euro. In passato l’uomo è stato raccoglitore (70% del cibo) e cacciatore (30%); solo 12.000 anni fa ha inventato l’agricoltura, una rivoluzione che ha cambiato la faccia del pianeta. Ma perché inventare l’agricoltura quando il cibo era disponibile per le poche persone che vivevano? Sembra che la causa non sia quella alimentare, ma quella di coltivare piante apprezzate e scarsamente disponibili come le piante coloranti, medicinali, per riti e magia, o velenose per la caccia (es. l’amaranto forniva il pigmento rosso usato nelle varie cerimonie da più popoli). Solo in seguito la vita sedentaria e la crescita demografica hanno favorito una maggiore sperimentazione in agricoltura e la riduzione della caccia. La disgregazione di habitat che hanno decine di migliaia di anni porta con sé tutte le forme di vita collegate; così, insieme agli alberi delle foreste, scompaiono associazioni uniche ed esperienze evolutive mai più ripetibili, anche animali superiori, insetti, fiori, molti dei quali ancora da classificare e forse dalle proprietà medicinali importantissime. Biodiversità è equivalente a ricchezza, creatività, capacità di adattamento alle diverse condizioni ambientali. La diversità è la materia prima dell’evoluzione e l’evoluzione è il presupposto della sopravvivenza. Perdendo biodiversità perdiamo anche capacità di reagire ai cambiamenti climatici; puntare sulla biodiversità significa gestire al meglio il territorio e favorire la biodiversità in agricoltura significa rendere sostenibile lo sviluppo del sistema agricolo. La biodiversità può essere considerata anche come una sorta di polizza assicurativa per il futuro: infatti più è alta la variabilità degli organismi viventi, più alta è la capacità di questi di adattarsi e sfruttare l’energia disponibile. Ridurre la biodiversità, significa diminuire le nostre scelte per il futuro e rendere più precaria la nostra stessa esistenza. I selezionatori non producono nuove varietà per portare le vecchie all’estinzione, ma in assenza di efficaci programmi di conservazione le nuove varietà, più produttive e commerciabili, condannano le vecchie all’estinzione. Si può ridurre questa tendenza con l’educazione e la sensibilizzazione del consumatore, in quanto solo se un prodotto è richiesto ci sarà sempre chi lo coltiva. I nostri nonni avevano selezionato con cura una serie di vecchie cultivar di meli, peri, ciliegi, sorbi, nespoli che avevano buone caratteristiche organolettiche, ma non si prestavano alla coltivazione intensiva. Le moderne tecniche agronomiche esigono piante tutte uguali, molto produttive e che maturano i frutti nello stesso momento; per questo abbiamo perso gran parte del patrimonio genetico e della biodiversità fruttifera del nostro territorio che è anche la nostra cultura. La riduzione del consumo di frutta e verdura, che invece andrebbero consumate anche cinque volte al giorno, come segnala anche la campagna lungimirante lanciata dalla Regione EmiliaRomagna, ha portato a una serie di squilibri alimentari che sono una delle cause dell’alta percentuale di persone obese in Italia. Altro problema da ricordare è che abbiamo perso il senso della stagionalità e tendiamo a consumare quasi tutto l’anno sempre le stesse cose, dimenticando che ogni frutto ha la sua stagione. Oggi, grazie anche ai marchi di qualità Dop e Igp, stiamo assistendo a un nuovo interesse per i prodotti garantiti, per gli antichi sapori e anche per l’agricoltura biologica, fortemente orientata al recupero e alla coltivazione di queste vecchie varietà, ancora presenti in Emilia-Romagna. Le antiche varietà sono spesso le più rustiche, le meno energivore e quindi le più adatte per un’agricoltura a basso impatto ambientale, per cui salvarle dall’estinzione sarà molto utile per il futuro, visto che con i cambiamenti climatici in atto occorrono piante dotate di grande adattabi- lità. Frenare l’erosione genetica dei prodotti agricoli e cioè la perdita di biodiversità rurale, che è un patrimonio della collettività, patrimonio ambientale, di storia, cultura, saperi e sapori tradizionali, significa anche garantire una integrazione al reddito degli agricoltori, soprattutto quelli che operano in aree di pregio ambientale o svantaggiate, e con ciò ridurre la tendenza all’abbandono delle coltivazioni e scongiurare il conseguente degrado territoriale, l’erosione e il dissesto ambientale. La Sezione Arpa di Forlì-Cesena, attraverso l’Unità operativa Natura e Biodiversità, ha da anni avviato un’indagine per la individuazione di antiche varietà fruttifere presenti nel territorio romagnolo, meritevoli di tutela e valorizzazione. Per alcune di queste varietà è già stato scongiurato il rischio di erosione genetica attraverso la conservazione dei loro semi nella banca genetica del Cnr, presso l’Istituto del germoplasma di Bari. La legge regionale sulla tutela del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario troverà in Arpa un partner che può elaborare, attraverso la conoscenza del territorio, gli opportuni indicatori finalizzati a individuare le aree maggiormente vocate all’agrobiodiversità. Arpa può supportare le attività della Regione attraverso la predisposizione di reportistica mirata a questa tematica, elaborare progetti specifici e partecipare all’attività della Commissione tecnico-scientifica di cui all’art. 7 della proposta di legge sulla tutela del patrimonio di razze e varietà locali. Sergio Guidi Arpa Emilia-Romagna ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Antiche varietà fruttifere della Romagna: pera cocomerina, pera e mela ruggine, pera campanella Pera cocomerina Descrizione. Albero dotato di grande rusticità, se lasciato crescere spontaneamente assume un portamento espanso con rami lunghi ed elastici che resistono bene alle sollecitazioni nevose. È una pera d’alta quota che ha la sua culla d’origine nei comuni di Veghereto e Bagno di Romagna; il suo habitat naturale è oltre i 1000 metri di quota, dove fiorendo a maggio riesce a sfuggire ai ritorni di freddo. La pianta vegeta anche a quote minori, ma produce meno; nell’area dell’Altosavio produce ottimi frutti. Il termine cocomerina deriva dalla sua polpa rosso vinosa, mentre in Toscana viene chiamata pera briaca. Fino a pochi anni fa questo frutto era destinato all’alimentazione degli animali, oggi invece è diventato un Presidio Slow Food ed è stato l’elemento attorno al quale si è aggregata una intera comunità, rappresentata dall’Associazione Pro Ville di Montecoronaro. 23 Frutti romagnoli Proprietà. Il frutto matura a fine agosto e presenta una polpa granulosa, ma di sapore molto gradevole (pera cocomera precoce). Purtroppo è poco serbevole per cui il consumo fresco è limitato all’area dell’Altosavio. Nell’area di Verghereto si trova anche un’altra varietà (pera cocomera tardiva) che matura a ottobre e ha la polpa completamente rossa, ciò è dato dalla presenza di antociani, provitamine molto importanti nei confronti del sistema cardiocircolatorio. Pera ruggine Descrizione. Questa varietà di pero è dotato di grande rusticità e riesce a vivere in ambienti dove il freddo e la neve possono protrarsi fino a primavera inoltrata. Anche questa è una pera d’alta quota, che vegeta oltre i 1000 metri e fiorisce a maggio. Il suo nome deriva dalla buccia dei frutti che si presenta rugginosa. Una varietà ormai dimenticata, ma la troviamo anche nel nord Italia e si presta molto bene per coltivazioni in aziende biologiche in quanto nel suo habitat naturale non ha bisogno di trattamenti antiparassitari. Proprietà. La mela, frutto antichissimo, simbolo della femminilità e archetipo del peccato originale, ha proprietà medicinali interessanti. In passato la polpa della mela serviva per preparare medicine, il termine “pomata” deriva proprio dalla polpa di questo pomo. Pesca carota Descrizione. Vecchia varietà strettamente legata alla Romagna, è caratterizzata dalla sua forma sferica irregolare che era considerata un difetto per la commercializzazione a livello di grande distribuzione e ciò probabilmente ne ha provocato l’abbandono, pur avendo caratteristiche organolettiche interessanti. Proprietà. La polpa è di un colore giallo intenso che ricorda la carota, da cui ne deriva il nome e ciò è dovuto alla forte presenza di flavonoidi Proprietà. Come tutte le pere è ricca di zuccheri e sali minerali che la rendono molto digeribile. Il suo aroma è particolare: quando il frutto è ben maturo, ha un leggero gusto di moscato. Pera campanella Descrizione. Il nome di questo frutto deriva dalla sua forma simile a una piccola campana. Varietà dotata di grande rusticità, la pera campanella predilige le altitudini superiori ai 1000 metri, dove riesce a sfuggire alle gelate e agli attacchi di insetti fitofagi come la carpocapsa. Proprietà. Come tutte le pere di elevata rusticità, anche la campanella si presta alla coltivazione biologica. Il frutto, che matura a ottobre, ha una polpa molto consistente ma dal gradevole aroma ed è una delle migliori pere da abbinare a un buon formaggio pecorino, magari fatto con latte della razza appenninica. Mela ruggine Descrizione. Pianta caratterizzata da una elevata rusticità, predilige i terreni profondi delle aree collinari montane e gli ambienti ventilati. Le foto pubblicate in questo articolo sono di Sergio Guidi. Pesca carota Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Valli ferraresi e produzioni d’eccellenza 24 La pianura ferrarese, osservata dall’alto, appare come una tavola piatta, disseminata di nuclei abitativi e di aree produttive, attraversata da una fitta rete di strade e di canali. A nord scorre il Po che alimenta questo territorio principalmente coltivato a seminativi. Scendendo di scala è possibile riconoscenere i maceri – testimonianza di un mondo agricolo in cui si lavorava la canapa –, le siepi che segnano all’orizzonte linee di confine, le alberature (salici e pioppeti) che delimitano strade e corsi d’acqua, e altri elementi che segnano la vocazione agricola di questa provincia. È un territorio di delta, in cui le zone umide naturali hanno subito una forte contrazione per le trasformazioni del periodo della “grande bonifica”, avvenuta grazie all’impianto di sollevamento a vapore di Codigoro (1873). È un territorio che può continuare a espletare una funzione produttiva, ma richiede “una rivalutazione dell’esistente in quanto ancora individuabile nel territorio vasto (per quanto alterato e frammentato)”, concetto chiave della proposta di rete ecologica provinciale che è in corso di discussione in questi mesi. LA COLTIVAZIONE DEL RISO Una particolarità di questa provincia è l’essere la principale produttrice di riso nella regione; le varietà Arborio, Carnaroli, Baldo e Volano, sono attualmente in attesa del riconoscimento comunitario come prodotti tipici IGP (indicazione geografica protetta). Le zone risicole – che si trovano nella parte orientale della provincia – sono importanti nella conservazione degli equilibri ecologici (azione mitigatrice del clima, diversità biologica ecc.) perché sostituiscono in parte le funzioni svolte dalle zone umide naturali. Il paesaggio delle aree bonificate FOTO D. RAFFAELLI Il riso nelle varietà Arborio, Carnaroli, Baldo,Volano e l’anguilla delle valli di Comacchio sono prodotti tipici dell’economia locale ferrarese. La presenza di zone umide, un tempo ampiamente diffuse in questo territorio, è il presupposto indispensabile alla produzione. La riqualificazione ambientale di quelle attualmente esistenti è essenziale per la conservazione degli equilibri ecologici (azione mitigatrice del clima, diversità biologica ecc.). varia a seconda del periodo in cui sono avvenuti gli interventi e a seconda dello sviluppo locale, sono tuttavia riconoscibili alcuni tratti comuni come la monotona uniformità di grandi spazi e la carenza di alberature e centri abitati. Caratteristica è anche la geometria dei canali di scolo e della viabilità rurale, in contrasto con l’andamento sinuoso di corsi d’acqua naturali e di vecchie strade rurali. La risicoltura è una tecnica definita “miglioratrice” perché riduce l’acidità del terreno determinata dalla torba; nella pianura Padana questa coltura ha assunto una certa importanza nel XV secolo estendendosi, grazie all’irrigazione, alle zone paludose. Nella provincia di Ferrara la coltivazione del riso è al terzo posto tra le colture cerealicole. Le superfici risicole sono in contrazione, mentre le rese (q/ha) sono comunque abbastanza stabili e il prezzo medio (euro/q) è stato superiore nel 2005 rispetto al 2004 grazie all’entrata dei Paesi dell’Est nella Comunità europea. Tre furono i capostipiti del riso italiano e ciascuno caratterizzò un’epoca: il Nostrale, di origine nota da lontani incroci con semi giapponesi e asiatici, il Chinese originario, dalle selezioni dei semi giapponesi, il Lady Wright, importato dagli Stati Uniti nel 1925. L’Originario è stato così chiamato all’inizio del secolo scorso per distinguere i risi puri (originali del Giappone) da quelli locali caratterizzati da forte ibridazione; le sue caratteristiche sono grana corta e tonda, e aspetto perlaceo. L’Arborio, il Baldo, il Carnaroli sono classificati come “risi superfini”. Tale categoria comprende varietà a granella lunga e con caratteristiche molto pregiate e particolari. Nella tecnica colturale il diserbo è un’operazione attualmente compiuta con fitofarmaci, mentre in passato era effettuato manualmente (le prime notizie sulla mondatura risalgono al 1751). La diffusione nell’ambiente di fertilizzanti, di fitofarmaci e loro metaboliti comporta un impatto negativo per l’ambiente, aggra- vato dalla richiesta di notevoli volumi idrici i quali, per le zone bonificate, determinano effetti positivi perché consentono: - il dilavamento del terreno dalla salinità - la correzione del pH - l’umettamento delle torbe, che riduce il fenomeno dell’ossidazione e la subsidenza dovuta a costipazione. Le zone risicole del ferrarese sono collegate alle zone umide del Parco regionale del delta del Po mediante il reticolo idrografico; per questo motivo nel 99 il Parco regionale del delta del Po incaricò Arpa di condurre, in collaborazione con il Consorzio di bonifica I Circondario di Ferrara, un’azione di monitoraggio per conoscere l’impatto dei diserbanti immessi nell’ambiente dall’attività di risicoltura. Per la complessità del reticolo idrografico e del governo delle acque, il controllo ambientale si svolse in comune di Codigoro su un bacino risicolo di 6000 ha le cui caratteristiche lo rendevano simile a un’unica grande risaia L’importanza di salvaguardare la risicoltura nel ferrarese è legata alla funzione di mantenimento della biodiversità, al paesaggio, agli equilibri idrologici. La risaia è un habitat importante per specie come: il topolino delle risaie (Micromys minutus), l’airone cenerino, la garzetta, alcuni anfibi (rana verde) e insetti acquatici (libellule, coleotteri acquatici). nione europea – un progetto che coniuga la qualità dei prodotti agricoli, acquacolturali e saliferi, con il territorio; tra questi è inclusa l’anguilla marinata tradizionale delle valli di Comacchio (presidio di Slow food) che si avvale dell’Emblema dei prodotti di qualità Parco delta del Po dell’EmiliaRomagna. Le aziende aderenti all’iniziativa dovranno impegnarsi a praticare esclusivamente l’acquacoltura estensiva, per esempio con un allevamento di tipo tradizionale in bacini naturali e con alimentazione dei prodotti ittici derivata completamente dalla rete trofica dell’ambiente naturale (senza alcuna integrazione alimentare). È previsto che l’uso dell’Emblema sia disciplinato da un regolamento d’uso e da specifici disciplinari aziendali. Inoltre, un’apposita commissione – formata da rappresentanti del Parco e dei produttori – valuterà le richieste di adesione delle aziende e vigilerà sulla corretta applicazione delle disposizioni previste. Altre produzioni tipiche quali - asparago - carota - radicchio - melone - cocomero - patata - vino del Bosco Eliceo FOTO D. RAFFAELLI L’areale delle risaie attorno a Iolanda di Savoia è individuato dalla Provincia di Ferrara come un contesto territoriale meritevole di essere tutelato e riqualificato per “ripristinare l’equilibrio di un agroecosistema che potenzialmente rappresenta una grande risorsa per la conservazione della natura” (Progetto di rete ecologica della Provincia di Ferrara, Documento preliminare, aprile 2007). L’ALLEVAMENTO DELL’ANGUILLA Un altro prodotto che ha rappresentato la principale voce dell’economia locale, ed è in attesa di riconoscimento del marchio IGP, è l’anguilla delle valli di Comacchio la quale ha fatto la storia della cittadina lagunare. Il “lavoriero”, il più antico strumento da pesca per l’anguilla (inventato dai comacchiesi nel 1600), permetteva di catturare il pesce che rimaneva bloccato in una delle varie sezioni, secondo le sue dimensioni, durante la risalita nei canali. La filiera di lavorazione dell’anguilla consisteva nel depositare i pesci catturati in contenitori, denominati “bolaghe”, costruiti con fusti di salici e vimini intrecciati. Il pescato era trasferito successivamente allo stabilimento di Comacchio che era collegato alle valli mediante canali. Le anguille venivano cotte in grandi spiedi fatti ruotare manualmente, da manodopera femminile, ed erano poi messe in salamoia (fase di conservazione) e vendute in barili o lattine metalliche. La storia della vallicoltura a Comacchio è fatta rivivere grazie al Museo delle valli e alla Sala dei fuochi del vecchio stabilimento. Il Parco del delta del Po ha realizzato – nell’ambito dei programmi Leader Plus finanziati dall’U- Nelle foto: Museo delle valli di Comacchio (www.vallidicomacchio.it); un casone e l’interno di uno stabilimento per la lavorazione dell’anguilla (cottura e confezionamento) potranno fregiarsi dell’emblema del Parco, ma le aziende che vorranno avvalersene dovranno migliorare le caratteristiche del paesaggio favorendo il mantenimento e la creazione di aree naturali, o effettuando interventi di rinaturalizzazione con siepi e filari ai margini dei campi e nelle zone aziendali non vocate a fini produttivi. Tra i prodotti elencati i vini del Bosco Eliceo, prodotti dalle uve del vitigno Fortana di antiche tradizioni, hanno avuto il riconoscimento di marchio DOC (denominazione di origine controllata). La denominazione “Bosco Eliceo” afferisce ai boschi di leccio, un tempo comunissimi in queste zone dove crescevano su suoli sabbiosi. 25 Claudia Milan Arpa Emilia-Romagna FOTO S. GUIDI con acque di alimentazione separate da quelle di scarico. I risultati del monitoraggio furono interpretati in relazione: - agli stadi fenologici della coltivazione del riso con le pratiche agronomiche di asciutta e immersione dei terreni - ai periodi di trattamento per il diserbo - ai principi attivi consentiti dai disciplinari 2078 e ammessi nei prodotti al consumo dalle normative vigenti. FOTO D. RAFFAELLI ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Risaie nel ferrarese Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Il recupero del suino nero, un esempio di tutela della biodiversità 26 La lettura delle statistiche territoriali indica una rilevante diminuzione del numero di aziende agrarie registrata nel territorio provinciale parmense, ma più in generale nell’intero comprensorio produttivo padano. Questo, unito alla forte urbanizzazione di vaste aree della pianura, rende particolarmente percepibile il cambiamento in essere del paesaggio, concorrendo ad aumentare il distacco tra territorio, inteso come processo materiale in evoluzione, e paesaggio, inteso come produzione mentale. Se consideriamo come prodotto della nostra storia l’unione tra ambiente territorio e paesaggio, il distacco creato nel volgere di un lasso temporale brevissimo (meno di una generazione) tra le varie componenti di sistemi apparentemente consolidati, è definibile come “traumatico”. La lettura di dati e informazioni disponibili indicano – in comprensori sempre più vasti – la predominanza di superfici urbanizzate rispetto alle aree destinate alle attività agricole o di conservazione, fatto testimoniato anche dalla crescente marginalità economica del settore primario. Di particolare insidia, specie nelle aree di pianura e prospicienti la via Emilia, è la dispersione delle aree urbanizzate (urban sprawl) che spesso riguarda i terreni più produttivi. Nel Comune capoluogo è stato calcolato che, proseguendo l’attuale incremento di urbanizzazione con il ritmo dell’ultimo decennio, entro un periodo variabile tra il 2040 e il 2080, tutta l’area disponibile sarà stata urbanizzata. Da un altro versante, quello irreale creato dalla pubblicità, sono particolarmente forti i richiami verso situazioni e modi di vita assolutamente sconosciuti, e improponibili, per la quasi totalità della popolazione. In seguito all’aumentata sensibilità al problema diversi soggetti (singoli cittadini, enti pubblici, mondo della ricerca) hanno ritenuto indispensabile ricorrere a operazioni di salvaguardia, recupero, rivalutazione di una serie di entità, vegetali e animali, avviate irrimediabilmente verso scomparsa per estinzione. Se consideriamo la biodiversità non solo come sommatoria del patrimonio genetico delle diverse popolazioni colonizzanti un determinato areale, ma anche come unione tra aspetti ecologici e culturali, prende consistenza l’enorme importanza della preservazione in situ, non più mera conservazione di tutte quelle realtà – animali, vegetali ma anche geo- Tab. 1 Varietà vegetale e razze animali da salvaguardare Frutta Mele, pere, susine, pesche, fichi, castagne, uva, ciliege Ortaggi Cipolla varietà Dorata di Parma e borettana Pomodoro varietà Rosso grosso Ecosistemi Prati stabili Animali Tacchino razza di Parma e Piacenza Suino razza Nera Parmigiana Cavallo razza Bardigiano Pecora razza Cornigliese FOTO E. MOZZANICA Si inserisce nel filone della “preservazione in situ” il progetto triennale “Conservatorio provinciale della biodiversità agrozootecnica parmense”, promosso dalla Provincia di Parma. Tra gli ecosistemi di interesse i prati stabili che costituiscono “anello di collegamento” tra aree naturali e agricoltura. Un caso di successo la reintroduzione di una razza molto simile a quella storica di suino nero. Il prato stabile è uno dei maggiori punti di biodiversità negli agro ecosistemi pedologiche – che caratterizzano gli areali dei nostri territori. In tale modo è rilevante la preservazione di tutte quelle entità che si sono evolute sia in modo naturale, sia di tutte quelle la cui evoluzione è stata guidata e accompagnata dall’evolversi dell’agricoltura stanziale in questi ultimi 10.000 anni. La tutela, o meglio la preservazione, del patrimonio di biodiversità degli agro-ecosistemi deve portare alla valorizzazione di tutte le peculiarità locali, fatto assolutamente antitetico nei confronti della “omologazione” che caratterizza questo periodo culturale. Anche in Emilia-Romagna, unitamente alla promulgazione di norme territoriali che non sempre hanno raggiunto gli obbiettivi sperati, sono state intraprese azioni (presenti nel Piano regionale di sviluppo rurale) che hanno portato alla realizzazione di una Rete di conservazione con la quale si sono ottenuti importanti successi. I punti di snodo fanno perno sulla realizzazione della Banca per il germoplasma per la conservazione delle specie vegetali rare e minacciate e il diretto coinvolgimento di agricoltori indicati come “agricoltori custodi” con il compito di allevare in situ e di tramandare i “saperi-sapori locali” nel confronto di vegetali e animali tipici di determinati areali e in via di scomparsa. A Parma sul tema della agro-biodiversità si sono coalizzate forze e intraprese importanti azioni sotto l’egida dell’assessorato Agricoltura, coinvolgendo il mondo della ricerca e singoli agricoltori volontari. La visibilità di tutte queste azioni – facilitata dai moderni supporti informatici – è confluita in un portale internet posto all’interno del sito dell’azienda agraria sperimentale Stuard della Provincia di Parma (www.stuard.it). Dal 2005 è in corso uno specifico progetto denominato Conservatorio provinciale della biodiversità agrozootecnica parmense, di durata triennale, che si prefigge: - il censiemento del patrimonio agro-zootecnico esistente - l’individuazione degli agricoltori custodi - la divulgazione Nello specifico sono state individuate una serie di varietà vegetali e razze animali da salvaguardare di cui si fornisce un parziale elenco. Di particolare rilievo l’aver sottoposto a preservazione agroecosistemi come i prati stabili, in fortissima restrizione e in reale rischio di scomparsa. È stata riconosciuta la loro complessità, la loro importanza per la sopravvivenza di un’infinità di specie ani- FOTO ARCH. PROVINCIA DI PARMA FOTO E. MOZZANICA ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Suinetti di nera mali e vegetali e il loro stato di “anello di collegamento” tra aree naturali – scomparse definitivamente o del tutto residuali – e agricoltura. Alcune limitate aree a prato stabile sono coltivate da oltre 250 anni e ben meriterebbero l’appellativo rivolto ad alcune specificità territoriali di “emergenze naturali”. Si vuole, brevemente, ripercorrere il caso del suino come esempio di recupero di una razza quasi definitivamente scomparsa e per la quale si è ottenuto un indubbio successo locale. Il suino nero, o nero parmigiano, era una realtà locale ben diffusa fino agli anni 50, soprattutto negli areali di collina e montagna. Si caratterizzava per una cute color ardesia e un mantello con setole molto scure, orecchie dirette in avanti, possibile presenza di tettole nella regione della guancia, tronco di media lunghezza e muscolosità con coscia larga e profilo posteriore convesso, arti di media lunghezza con unghielli neri. Questa razza di suino ha subito la sorte di “deriva” di molte altre, ed è stata progressivamente sostituita dalle bianche inglesi, prima, e olandesi poi. I nuovi suini introdotti sono stati considerati più produttivi, più prolifici, con meno grasso e più idonei a vivere in ambienti stallini, come entità connesse con la produzione di siero di latte derivante dalla lavorazione del latte per Grana Parmigiano-Reggiano o, più recentemente, come entità a sè stanti. A fine anni 90 sono state rintracciate alcune scrofe con mantello scuro e riconducibili, almeno parzialmente, alle vecchie tipologie di suino allevate fino a pochi decenni addietro. Dall’incrocio di questi suini con capi dalla cute chiara nascevano suini con cute mista, indicati come “borghigiana” o “fidentina” caratterizzati, rispetto alle razze bianche, da una diversa conformazione morfo-strutturale e una diversa e più elevata capacità di accumulare il grasso. Spesso si è assistito a incroci con diverse razze, ottenendo suini di difficile identificazione e classificazione. L’intervento di tecnici dell’Università di veterinaria di Parma e azioni coordinate dalla Provincia hanno permesso di ottenere significativi miglioramenti verso un morfotipo maggiormente definito e stabile. Nel 2005 l’Associazione nazionale allevatori suini (Anas) ha approvato la richiesta presentata dalla locale Associazione provinciale allevatori (Apa) dell’istituzione del registro riproduttori ibridi del suino Nero di Parma, introducendolo nel Registro di selezione-moltiplicazione. I numeri del suino nero di Parma (agosto 2007) Allevatori Suini complessivi 27 Eterogeneità delle razze 16 841 Pianura 1 Collina 15 21 Verri 120 Scrofe 330 Castrati ingrasso 370 Scrofe ingrasso La Provincia di Parma, con uno specifico atto deliberativo (530/2006), ha approvato il disciplinare del suino nero in cui: - è identificato il comprensorio nel quale si deve integralmente svolgere la filiera allevamentolavorazione-stagionatura - si autorizza il solo allevamento di suini iscritti al registro “Nero di Parma” - si stabilisce una sezione per l’allevamento stallino e una per allevamento allo stato brado o semi brado - si definisce il marchio di filiera. Successivamente si è formato, e ha recentemente iniziato a lavorare, il Consorzio di tutela del suino nero di Parma che riunisce gli allevatori partecipanti. L’esempio del suino nero di Parma può essere presentato come caso di successo, pur se con numerose problematiche ancora non risolte, in cui la cooperazione di privati, enti pubblici e mondo della ricerca ha permesso di reintrodurre una razza molto simile a quella storica recuperando aspetti e modalità di allevamento ormai scomparsi. Tra le principali possibilità di svi- luppo di questa forma di allevamento possiamo ipotizzare due casi: - realizzazione di allevamenti “semi-familiari”, con potenzialità individuali di decine o poche centinaia di capi complessivi di tipo stallino, e con possibilità di stazionamento all’aperto in alcune ben determinate aree della pianura in cui valorizzare la peculiarità delle carni di questi suini; i territori considerabili come “elitari” potrebbero essere i Comuni rientranti nel Comprensorio del Culatello (Busseto, Colorno, Polesine Parmense, Roccabianca, San Secondo Sissa, Soragna e Zibello) - realizzazione di allevamenti allo stato semi-brado di limitate dimensioni (difficile ipotizzare lo stato completamente brado) in aree di collina e montagna, per offrire ulteriori possibilità economiche alle popolazioni locali e contenere, per quanto possibile, l’incessante diaspora della popolazione verso le aree del piano. Enrico Mozzanica Arpa Emilia-Romagna BIBLIOGRAFIA - Provincia di Parma, 2006, Frutta e buoi… quaderno della biodiversità agricola parmense, Assessorato Agricoltura Provincia di Parma - Podere sperimentale Stuard della Provincia di Parma, sito internet: www.stuard.it - Ballerini G., 2002, Storia sociale del maiale, Camera di Commercio di Parma - Giannone M., 2002, L’allevamento biologico del suino, Ed agricole - Ferrari P., 2001, Allevare suini all’aperto, Centro ricerche produzioni animali di Reggio Emilia - Gardi C., 2006, Urbanizzazione dei suoli, un problema dimenticato, Agricoltura, aprile 2006, 108-109 - Consorzio di tutela suino nero di Parma, sito internet: http://www.nerodiparma.it Agrobiodiversità B ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 iodiversità rurale in Romagna Pecora appenninica Asino romagnolo Colombo romagnolo Pera angelica Cipolla bonda di Santarcangelo Ciliegia duroncino di Cesena 28 Bovino romagnolo Pera cocomerina Suino mora romagnola Pollo romagnolo Mela decio Mela tellina 1 - Cos’è la biodiversità 2 - Suggerimenti per favorire la biodiversità 3 - Contribuire alla conservazione La diversità biologica, o biodiversità, è il risultato del processo evolutivo che ha generato attraverso la selezione naturale, nel corso dei millenni, la grande varietà delle specie viventi animali e vegetali. Nella scelta dei cibi sono da preferire quelli locali, di stagione, di qualità e quelli che derivano da varietà o razze autoctone; così favoriremo la biodiversità locale e la nostra salute. Si può contribuire alla conservazione della biodiversità rurale cercando, scambiando semi e piante di antiche varietà ortive e fruttifere. ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Oliva nostrana di Brisighella Uva centesimino Albicocca reale d’Imola Cardo gigante Pera volpina Bologna 29 Grano gentil rosso Pesca buco incavato Uva burson Pera mora Ciliegia durone di Cesena Ciliegia corniola Carciofo violetto Pesca bella di Cesena Pesca carota 4 - Riscoprire usi e costumi 5 - Partecipare alle iniziative 6 - La biodiversità in Romagna È importante riscoprire gli usi e i costumi locali: conoscere il nostro passato è utile per le scelte del nostro futuro. Partecipate a iniziative di Arpa e della Regione Emilia Romagna sul tema della biodiversità, consultando i siti: www.arpa.emr.it, www.ermesagricoltura.it. La biodiversità rurale presente in Romagna è assai rilevante: nella presente mappa viene presa in considerazione solo quella principale e storicamente legata al nostro territorio ideazioni e immagini: Sergio Guidi, Arpa Emilia-Romagna; in collaborazione con Regione Emilia-Romagna Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Le normative regionali e l’esperienza marchigiana 30 Le iniziative regionali italiane (tabella 1) sono oggi l’unico esempio operativo in Europa (e forse nel mondo) in ambito di tutela delle risorse genetiche di interesse agrario e sono certamente anticipatrici di quella che dovrebbe/potrebbe essere una norma nazionale ed europea. Alcune (vedi Toscana) sono state emanate ancora prima della direttiva CE 98/95. La direttiva europea 98/95 introduce esplicitamente la necessità di interventi di salvaguardia delle specie minacciate da erosione genetica, mediante sistemi di conservazione in situ1. Questo principio è stato recepito in Italia con il decreto legislativo n. 212 del 2001, che prevede l’istituzione di una sezione del Registro nazionale che comprenda le “varietà da conservazione” individuate “tenendo anche conto di valutazioni non ufficiali, delle conoscenze acquisite con l’esperienza pratica durante la coltivazione, la riproduzione e l’impiego e delle descrizioni dettagliate delle varietà e delle loro rispettive denominazioni, così come notificate: questi elementi se sufficienti danno luogo all’esenzione dell’obbligo dell’esame ufficiale”. L’emanazione del successivo Dpr 322/2001 aveva lo scopo di fare maggiore chiarezza a livello pratico e operativo, in particolare sotto il profilo dello scambio fra agricoltori della semente di varietà da conservazione. Solo l’emendamento alla legge 1096/71, approvato dal Senato il 14 marzo 2007, rappresenta il primo passo verso l’attuazione delle norme di cui sopra. La Commissione europea sta lavorando al testo di una direttiva “providing for certain derogations for acceptance of agricultural landraces and varieties which are naturally adapted to the local and regional conditions and threatened by genetic erosion and for marketing of seed and seed potatoes of those landraces and varieties”. Si tratta di una norma complessa, con un lungo iter, sog- getta a numerose modifiche da parte dei diversi soggetti preposti alla sua valutazione; il fatto che il testo sia alla versione n. 12 fa pensare che i tempi saranno ancora molto lunghi! Pur nel quadro positivo del riconoscimento “formale” nelle normative comunitarie e nazionali, sia della conservazione in situ, sia del concetto di “varietà da conservazione”, l’attivazione delle leggi in alcune regioni (in particolare Toscana, Lazio e Marche) ha messo in luce numerosi limiti degli attuali impianti normativi: - mancanza e/o confusione su una definizione univoca di varietà da conservazione e/o varietà tradizionale - scarsa omogeneità delle schede di catalogazione del materiale collezionato e repertoriato, che debbono rispondere a esigenze di semplicità e praticità pur rispettando criteri scientifici minimi - necessità o meno della traduzione in norme legali di consuetudini rurali (come lo scambio informale di semi) che, oltre a caratterizzare il mondo agricolo, hanno permesso l’esistenza di una grande variabilità genetica agricola; il rischio è che la norma legale porti all’instaurarsi di barriere nello scambio di materiale genetico e di informazioni, e quindi si inneschino meccanismi di erosione genetica - necessità di aprire un dibattito su come dovrebbero essere tutelati i diritti degli agricoltori: quali sono gli elementi di diritto, a chi si rivolgono e soprattutto quali sono gli strumenti di applicazione di tali diritti (già enunciati nell’art. 9 del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche, che lascia ai governi locali le indicazioni esecutive) - individuazione di strumenti e responsabili per la “protezione” dei diritti delle comunità locali. Sulla scorta delle esperienze già FOTO O. PORFIRI Nell’ambito della tutela delle risorse genetiche di interesse agrario alcune leggi regionali italiane risultano anticipare una possibile norma a livello nazionale ed europeo. L’esperienza della Regione Marche con la legge “Tutela delle risorse genetiche animali e vegetali del territorio marchigiano”, approvata nel 2003, ha portato allo svolgimento di una duplice funzione di conservazione e di qualificazione del patrimonio agricolo regionale. L’azione di tutela prevede un approccio di sistema alla biodiversità, rivolgendosi anche agli agro-ecosistemi. Treccia di mais da polenta; i tipi “otto file” e “dodici file”, sono ancora coltivati in ridotte superfici in alcune aree delle Marche, in particolare nelle zone alto-collinari interne. Sono utilizzati per autoconsumo e per piccole, ma apprezzate, nicchie di mercato avviate, almeno due strumenti appaiono particolarmente utili al raggiungimento pieno degli obiettivi delle leggi regionali: • il repertorio delle varietà/razze locali: è fondamentale per identificare i materiali genetici presenti nel territorio regionale e dare loro una precisa e inconfutabile identità, elementi basilari a una loro solida tutela giuridica e per una conoscenza esatta del livello di erosione genetica • la rete di conservazione e sicurezza fra agricoltori, enti locali, organizzazioni pubbliche e private, cittadini: una delle funzioni principali della rete è quella di moltiplicare e diffondere il materiale genetico iscritto al repertorio, garantendo anche il pieno rispetto delle norme. Infine, appare indispensabile una fattiva azione di coordinamento fra le diverse regioni per consentire un’efficace attuazione delle leggi, anche in funzione di un recepimento armonico degli strumenti normativi nazionali e comunitari. L’ESPERIENZA DELLE MARCHE La Regione Marche aveva già attivato in passato progetti di recupero, conservazione e valorizzazione del germoplasma del proprio territorio che hanno consentito di individuare e collezionare numerosi materiali genetici di specie erbacee (fagiolo, pomodoro, mais ecc.). La Regione ha affidato all’Assam (Agenzia servizi settore agroalimentare delle Marche) questo compito, che ha attivato una serie di iniziative a partire dalla fine degli anni Novanta, utilizzando strumenti finanziari regionali allora disponibili (esempio Obiettivo 5B) e attivando la collaborazione scientifica con l’Università politecnica delle Marche. Nel 2003 la Regione Marche, nella stessa ottica di molte regioni italiane – in seguito ai sempre crescenti e molteplici interessi emersi negli anni recenti intorno alle risorse genetiche di interesse agrario, alla necessità di dare maggiore forza alla conservazione svolta dagli agricoltori, all’urgenza di coordinare numerose iniziative avviate sul territorio regionale e all’impellenza di individuare quanto effettivamente presente per poterlo tutelare – ha approvato la Lr 12/03 “Tutela delle risorse genetiche animali e vegetali del territorio marchigiano”. La legge è stata resa operativa nel 2004 con il regolamento regionale n. 21/2004. La finalità della legge è quella di tutelare le risorse genetiche animali e vegetali del territorio marchigiano, in particolare quelle minacciate da erosione genetica, e gli agroecosistemi locali, anche per favorire lo sviluppo di produzioni di qualità (art. 1). Pertanto, questo atto normativo non ha solo una funzione di ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 conservazione, ma anche di valorizzazione in funzione di un miglioramento e di una qualificazione dell’agricoltura regionale. Inoltre, l’azione di tutela non è rivolta soltanto alle risorse genetiche come sopra definite, ma anche agli agro-ecosistemi, quindi l’approccio alla biodiversità è un approccio di sistema, sicuramente il più efficace, che ben si integra con alcuni strumenti già in atto in regione. La legge ha attivato i seguenti strumenti operativi: - regolamento attuativo - commissioni tecnico-scientifiche per il settore animale e per quello vegetale - repertorio regionale del patrimonio genetico, suddiviso in “sezione animale” e “sezione vegetale”, al quale sono iscritte varietà vegetali e razze animali su proposta di soggetti pubblici e privati, singoli o associati, e dietro valutazione delle commissioni preposte - rete di conservazione e sicurezza, alla quale possono aderire soggetti diversi, sia pubblici sia privati. A oggi l’Assam (www.assam.marche.it), individuata dalla Regione come ente gestore della legge, ha avviato un’ulteriore attività di indagine sul territorio, tuttora in corso, avvalendosi di istituzioni scientifiche regionali (Università politecnica delle Marche, Dipartimento di scienze degli alimenti e Cra-Istituto sperimentale per l’orticoltura di Monsampolo del Tronto). Inoltre, nella razionale ottica di non creare sovrastrutture o doppioni, ha individuato nell’Istituto di Monsampolo l’istituzione deputata alla creazione e gestione della banca regionale dei semi delle specie erbacee di tutta la regione. Per le specie arboree (frutticole, olivo e vite) la conservazione è effettuata dall’Assam presso i campi catalogo già impostati. Per le specie animali la conservazione continua a essere svolta dalle associazioni degli allevatori che gestiscono, altresì, i libri genealogici delle diverse razze, con la supervisione tecnico scientifica delle facoltà universitarie presenti in regione (Università di Camerino e Università politecnica delle Marche). Dai primi risultati emerge che sol- tanto in poche delle specie coltivate oggi nelle Marche è possibile ritrovare ancora in coltivazione varietà locali o vecchie varietà, ad esempio mais (mais nostrani da polenta), fagiolo (sia fagiolo comune sia fagiolo di Spagna), pomodoro. Nelle specie più ampiamente coltivate – come cereali, pisello, favino ecc. – di fatto in Regione non esistono più varietà locali ancora in coltivazione. È possibile rintracciare in coltura materiali genetici introdotti da altre regioni o addirittura recuperati da collezionisti o banche del germoplasma. Nel settore delle specie frutticole e dell’olivo la situazione appare migliore rispetto alle erbacee, trattandosi di colture poliennali che hanno avuto maggiori possibilità di sopravvivenza (alberi sparsi sono rimasti in numerosi contesti aziendali, bordi di campi, siepi e scarpate, presso orti familiari, monasteri ecc.). Nella vite l’avvento dei vigneti specializzati ha comportato la scomparsa della coltivazione di vecchi vitigni locali; tuttavia, l’Assam è riuscita a recuperarne circa Quadro sintetico di riferimento delle leggi regionali finalizzate alla tutela delle varietà/razze locali Regione Legge/pubblicazione Titolo Ente deputato all’attuazione Stato attuale Toscana n. 50 del 16/7/1997 (BURT 26/7/1997, n. 30) sostituita da Lr n. 64 del 16/11/2004 tutela delle risorse genetiche autoctone Arsia (Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione in agricoltura) operativa Lazio n. 15 del 1/3/2000 (BURL 30/3/2000, n. 9) tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario Arsial (Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione in agricoltura del Lazio) operativa Umbria n. 25 del 4/9/2001 (BURU 14/9/2001, n. 45) tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario Non identificato, è compito della Giunta regionale individuarlo non ancora operativa Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 22/4/2002 (BURFVG 26/4/2002, n. 7) tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario e forestale Ersa (Ente regionale per la promozione e lo sviluppo dell’agricoltura) parzialmente operativa Marche n. 12 del 3/6/2003 (BURM 12/6/2003, n. 51) tutela delle risorse genetiche animali e vegetali del territorio marchigiano Assam (Agenzia per i servizi nel settore agroalimentare delle Marche) operativa Campania Disegno di legge regionale (presentato nel 2004) tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario - disegno mai convertito in legge Emilia-Romagna testo di legge approvato dalla Giunta regionale il 27 luglio 2007 Sicilia avvio della fase istruttoria per la redazione di una bozza di legge ad oggi non ancora formalizzata da nessun gruppo politico o dagli organi istituzionali Abruzzo bozza di legge presentata dal gruppo consiliare del Prc una trentina, prima che scomparissero definitivamente, e a conservarli in un campo catalogo. Oltre al lavoro di indagine sul territorio e al censimento delle risorse genetiche ancora presenti, è stato avviato anche un lavoro di caratterizzazione e valutazione di alcuni dei materiali genetici rinvenuti e organizzate attività di conservazione mirate. Una parte ulteriore di valutazione dei materiali genetici di specie erbacee è stata condotta ed è tuttora in corso presso il gruppo di ricerca di genetica agraria del Dipartimento di scienze degli alimenti (Disa) dell’Università politecnica delle Marche (http://www.phita.net/marche.htlm). Per il settore animale i numeri sono ancora più ridotti: malgrado le Marche siano sempre state una regione prevalentemente agricolo/zootecnica, nel suo territorio non si sono creati, nel tempo, “tipi genetici” differenti. Oggi esistono solo 4 razze regionali appartenenti a 3 specie diverse: la razza bovina marchigiana, le razze ovine sopravvissana e fabrianese e la razza equina cavallo del Catria. Tuttavia, di queste soltanto la bovina marchigiana e la sopravvissana hanno una storia relativamente lunga (prima metà del XX secolo), mentre le altre due sono di recentissima costituzione (1973, primo libro genealogico per la pecora fabrianese e addirittura 1980 per il cavallo del Catria). Oriana Porfiri Presidente della Commissione tecnicoscientifica settore vegetale, legge regionale 12/2003 Regione Marche 1 Direttiva 98/95/CE che modifica per quanto riguarda il consolidamento del mercato interno, le varietà geneticamente modificate e le risorse genetiche delle piante - le direttive 66/400/CEE, 66/401/CEE, 66/402/CEE, 66/403/CEE, 69/208/CEE, 70/457/CEE e 70/458/CEE, concernenti la commercializzazione delle sementi di cereali, dei tuberi-seme di patate, delle sementi di piante oleaginose e da fibra e delle sementi di ortaggi e il catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole (Gazzetta ufficiale delle Comunità europee L25 del 1/2/1999). 31 Agrobiodiversità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Fauna minore in Emilia-Romagna, la nuova stagione delle azioni di salvaguardia Non solo divieti e sanzioni sono previsti nella nuova legge approvata dall’Assemblea legislativa regionale il 26 luglio scorso: il cuore del provvedimento prevede studi, ricerche e interventi mirati di protezione proprio laddove se ne intraveda la necessità. Saranno Regione, Province, Comunità montane, Comuni ed enti di gestione delle aree protette i motori delle azioni di salvaguardia delle specie protette nonché degli habitat dove ancora vivono. In collaborazione con le università e le associazioni di protezione ambientale, saranno attivate le opportune ricerche e realizzato il costante monitoraggio della situazione per sondare l’effettivo stato di salute e la reale consistenza delle popolazioni di fauna minore. La legge è illustrata dal consigliere regionale Gianluca Borghi. 32 Innumerevoli sono le cause che incidono negativamente sulle specie della fauna minore e fra queste risaltano: - la distruzione e l’alterazione degli habitat e dei siti riproduttivi - l’impiego di pesticidi in agricoltura - l’inquinamento chimico e organico delle acque superficiali - le catture a scopo commerciale - la distruzione intenzionale della fauna minore a causa di atavici e infondati pregiudizi. A tutte queste cause si aggiungono le trasformazioni e le alterazioni di cicli biologici a scala planetaria – buco nella ozonosfera, effetto serra, piogge acide, alterazioni climatiche, con effetti diretti sulle temperature, la piovosità è in grado di determinare la scomparsa di habitat e la diffusione di patologie – che manifestano inevitabilmente i loro negativi effetti anche su scala locale. Una legge a tutela della biodiversità è una legge a tutela della vita sotto qualsiasi forma essa si presenti. È una legge che vuole ricondurre l’uomo a stretto contatto con la natura che lo circonda in una dimensione di rispetto e salvaguardia degli esseri viventi più deboli. È una assunzione di responsabilità nei confronti di quelle forme di vita che troppo spesso calpestiamo nel nome di uno sviluppo forsennato, incuranti della complessità del mondo attorno a noi. Sono convinto che si tratti di un provvedimento necessario che potrà consentire all’EmiliaRomagna di fare un salto di qualità nella tutela della fauna minore. Oggi la legge c’è, ci dà la possibilità di intervenire e dovrà produrre immediatamente effetti positivi per la salvaguardia delle specie protette. Per fauna minore vengono intese tutte le specie animali presenti sul territorio emiliano-romagnolo di cui esistano popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente, compresi i micromammiferi e i chirotteri, con esclusione degli altri vertebrati omeotermi. La legge pone sotto tutela tutte le specie (e i loro habitat trofici, di riproduzione e di svernamento) di anfibi, rettili e chirotteri presenti sul territorio emiliano-romagnolo nonché le specie che vengono considerate particolarmente protette quali quelle incluse negli Allegati II) e IV) della direttiva 92/43/CEE, quelle appartenenti all’Elenco regionale delle specie rare e/o minacciate (che sarà redatto e aggiornato dalla Giunta regionale) e le specie indicate come rare o minacciate da direttive comunitarie o norme nazionali. I compiti previsti, sui quali sarà concentrato l’impegno di Regione, Province, Enti di gestione delle Aree protette, Comuni e Comunità montane, vanno dalla salvaguardia diretta della fauna minore tutelandone le specie, le popolazioni e i singoli esemplari, alla protezione degli habitat naturali e seminaturali promuovendo anche la ricostituzione degli stessi con la promozione di interventi funzionali al recupero delle condizioni idonee alla sopravvivenza di queste Tartaruga di Hermann Testudo hermanni, la cui presenza è ormai esclusiva del Bosco della Mesola (FE) ed è rarissima nella Pineta San Vitale (RA) Rana verde specie, anche mediante azioni di conservazione in situ ed ex-situ. Altro importante campo di intervento previsto riguarda l’eliminazione o la riduzione dei fattori limitanti, di squilibrio e di degrado ambientale nei terreni agricoli e forestali, negli alvei dei corsi d’acqua e canali, nei bacini lacustri naturali e artificiali, nei maceri, nelle pozze e negli acquitrini anche a carattere temporaneo e nelle raccolte d’acqua artificiali o semi artificiali quali ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 vasche, lavatoi e abbeveratoi e in corrispondenza di infrastrutture e insediamenti. Il tutto si svolgerà assieme alla promozione di studi e ricerche sulla fauna minore, oltre all’incentivazione di iniziative didattiche e divulgative volte a diffondere la conoscenza e il rispetto verso questi animali. È infatti previsto che, in forma coordinata con le misure e le azioni di tutela della biodiversità, di cui all'articolo 11 della legge regionale n. 6 del 2005, i soggetti pubblici interessati, con l'eventuale supporto tecnico di Arpa o di altri istituti di ricerca, nell'ambito dei loro strumenti regolamentari di pianificazione territoriale e urbanistica e della loro attività di programmazione e gestione operino per: • individuare e adottare misure di tutela e conservazione, anche temporanee e limitate a particolari fasi del ciclo biologico, della fauna minore • promuovere, anche mediante il coinvolgimento dei soggetti gestori del reticolo idrografico e della rete infrastrutturale, una gestione coerente degli elementi del paesaggio che per la loro struttura e ruolo di collegamento sono essenziali per la migrazione, la distribuzione geografica e lo scambio genetico delle specie della fauna minore, quali i corsi d'acqua e i canali con relative sponde e arginature, le siepi cam- pestri, le scarpate stradali e ferroviarie, le aree intercluse degli svincoli stradali. Entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, la Giunta regionale emanerà, sentito il parere del Comitato consultivo regionale per l'ambiente naturale, le direttive per la predisposizione delle misure di tutela e conservazione e in generale per le azioni di cui sopra. È poi previsto un sistema di monitoraggio integrato a livello regionale, provinciale e delle aree protette, con il coinvolgimento di Arpa, degli istituti universitari, delle associazioni e organismi scientifici riconosciuti, delle associazioni ambientaliste, delle associazioni di volontariato aventi finalità di tutela ambientale e di protezione animale, iscritte nei registri regionali. Gli esiti del monitoraggio sono finalizzati anche alla stesura del rapporto sullo stato di conservazione del patrimonio naturale regionale, facente parte del Programma regionale di cui all’articolo 12 della legge regionale n. 6 del 2005, e alla predisposizione e aggiornamento dell’elenco regionale delle specie rare e/o minacciate che sarà approvato dalla Giunta regionale entro sei mesi. L’aggiornamento avrà cadenza almeno triennale e sarà deciso sentite le Province, gli Enti di 33 Libellule gestione delle aree protette, gli istituti universitari, le associazioni e organismi scientifici riconosciuti, le associazioni ambientaliste riconosciute con decreto del ministero dell’Ambiente e le associazioni che perseguono finalità di tutela ambientale e di protezione animale riconosciute. La vigilanza sull’applicazione della legge è affidata ai corpi e servizi di polizia locale, al Corpo forestale dello Stato, agli ufficiali e agenti di Polizia giudiziaria e ai guardaparco, oltre che alle guardie ecologiche volontarie, agli agenti giurati delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal ministero dell’Ambiente, ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 349 del 1986, alle guardie volontarie delle associazioni venatorie e delle associazioni di protezione degli animali e altre associazioni o corpi riconosciuti da leggi nazionali e regionali. Le sanzioni per chi trasgredisce questa legge vanno da un minimo di 10 a un massimo di 5.000 euro. Gianluca Borghi Consigliere regionale Regione Emilia-Romagna Il testo della legge è disponibile sul sito http://demetra.regione.emiliaromagna.it/ FAUNA MINORE DELL'EMILIA-ROMAGNA Presentato in novembre un opuscolo informativo Cos'è questa "fauna minore"? Perché le si dà questo nome? Per quali motivi è tanto importante? Quali sono le minacce che la riguardano? Cosa si può fare per evitare la perdita irreversibile di tanti organismi? A queste domande, il Servizio Parchi e risorse forestali della Regione Emilia-Romagna e il Museo di storia naturale di Ferrara hanno cercato di dare risposte semplici, ma esaurienti e scientificamente rigorose attraverso un opuscolo scritto da Carla Corazza e Stefano Mazzotti del Museo e curata da Monica Palazzini e Maria Vittoria Biondi della Regione Emilia-Romagna. Il volumetto è stato presentato il 17 novembre 2007, in concomitanza con l'inaugurazione della mostra sui maceri del ferrarese; i maceri, infatti, sono habitat molto interessanti per la protezione di tante specie di anfibi, rettili, piccoli mammiferi, insetti, crostacei, ovvero una parte importante delle specie tutelate dalla legge. È possibile scaricare la versione pdf dell’opuscolo al sito http://ww2.comune.fe.it/storianaturale/, Eventi, Archivio notizie. Le foto pubblicate in questo articolo sono di Federico Montanari Farfalla appartenente al genere Licaena. La specie Licaena dispar è tutelata dalla Direttiva Habitat Scarsità idrica e siccità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Scarsità idrica e siccità, verso Expo Saragozza 2008 Il climate change sta portando fenomeni inediti, anche drammatici, come l’intensificazione di uragani e inondazioni che distruggono coltivazioni, contaminano le falde e danneggiano le strutture di conservazione e trasporto dell’acqua. Il riscaldamento globale è il principale responsabile di periodi di siccità sempre più frequenti. A partire da questo scenario, tre regioni europee – Emilia-Romagna, Assia e Aragona – si sono confrontate nell’ottobre scorso a Bologna, nell’ambito del convegno “Water scarcity and drought”, per mettere a punto politiche e azioni integrate finalizzate alla conservazione e alla protezione delle risorse idriche. Il prossimo appuntamento a Saragozza nel 2008, per proseguire un dialogo all’insegna della concretezza. 34 “Il riscaldamento globale è effettivo, sta peggiorando assai rapidamente, è causato in buona parte dalle attività umane… dobbiamo intervenire subito per evitare conseguenze peggiori… Non è troppo tardi”. Queste parole scandiscono l’incipit della relazione della VIII Commissione della Camera, approvata dall’assemblea di Montecitorio il 18 settembre scorso. Il climate change sta portando drammi e problemi inediti, come l’intensificazione di uragani e inondazioni che distruggono coltivazioni, contaminano le falde acquifere e danneggiano le strutture dove si conserva e si trasporta l’acqua. Inoltre, il riscaldamento globale è il principale responsabile di periodi di siccità sempre più frequenti. Se la popolazione mondiale – attestata a 6 miliardi alla fine del secolo scorso – arriverà a 9 miliardi di esseri umani, come stimato dalle Nazioni Unite, si proporrà un enorme problema per l’alimentazione e l’energia. Si immagina un aumento del 15% di consumo d’acqua nel prossimo trentennio. Dunque, o il sistema è sostenibile, oppure è destinato a spegnersi. Una classe dirigente che voglia guardarsi allo specchio e vedere il proprio volto riflesso, non può tenere la testa sotto la sabbia, ma deve affrontare i problemi del pianeta malato, sapendo che occorre passione e ragione, utopia e concretezza per ottenere risultati. Occorre evitare ogni forma di rassegnazione e di fatalismo e creare invece consapevolezza assumendosi, ognuno per la propria parte, responsabilità precise. È quanto si sta facendo in Europa dove l’Unione elabora strategie e direttive sempre più avanzate in ogni settore ambientale impegnando gli Stati membri a decli- nare le proprie politiche su obiettivi cogenti. Appare evidente però che, senza un pieno coinvolgimento di tutte le istituzioni, a partire dalle Regioni e dalle autonomie locali che hanno competenze importanti nel governo del territorio, si rischia di non raggiungere questi obiettivi: perché molte esperienze locali virtuose rimarrebbero isolate e le politiche nazionali senza il protagonismo locale perdono di incisività ed efficacia. Water scarcity and drought è il titolo che abbiamo dato a un convegno di livello europeo e che, lo scorso ottobre, ha fatto il punto sulle azioni nel settore idrico. È lo stesso tema scelto per la giornata mondiale dell’acqua 2007, a sottolineare la sua crescente rilevanza e la necessità di una maggior integrazione e cooperazione, locale e internazionale, per assicurare una gestione sostenibile, efficiente ed equa delle risorse idriche. Tre importanti Regioni europee – Emilia-Romagna, Assia e Aragona – hanno lavorato insieme per molti mesi, hanno portato e confrontato dati ed esperienze e hanno dimostrato che le politiche di conservazione rappresentano un’opportunità strategica e un’azione prioritaria per mitigare gli effetti del cambiamento climatico e della siccità e, in una visione più ampia, della scarsità di acqua. L’intero territorio europeo è investito da questi problemi e simili sono ovunque le ripercussioni ambientali, sociali ed economiche. Soltanto la siccità del 2003 ha interessato più di 100 milioni di persone, con un costo per l’economia comunitaria di almeno 8,7 miliardi di euro. Nel corso del convegno Stephanie Croguennec, della direzione generale Ambiente della Commissione Europea, ha sottoli- neato due aspetti: da una parte un fabbisogno idrico in crescita, soprattutto per le prospettive di sviluppo di diversi Paesi nell’Europa centro-orientale, dall’altra la necessità che gli Stati membri adottino misure incisive sulla tariffazione, per un corretto uso del suolo e della pianificazione territoriale e per promuovere la cultura del risparmio idrico. Tutti gli studi e gli atti più recenti approvati in ambito europeo pongono dunque l’accento su un approccio interdisciplinare e integrato delle politiche, così come su una strategia mirata a un minore e più efficiente uso delle risorse naturali rispetto a un incremento dell’offerta. Vale per l’acqua al pari dell’energia e, del resto, risparmiare la prima significa anche risparmiare la seconda, in quanto l'estrazione, il trasporto e il trattamento dell'acqua comportano costi energetici elevati. Ed è evidente che senza la conservazione e il risparmio delle risorse idriche non c’è integrazione con le altre politiche territoriali e urbanistiche, energetiche e geomorfologiche. La carenza d’acqua di cui soffre il nostro territorio romagnolo conferma la limitatezza di un approccio che punti sulle grandi infra- strutture senza un adeguato e contestuale investimento sull’efficienza delle reti distributive, sulle connessioni e sul contenimento dei consumi. Lo stesso confronto con le altre Regioni europee ci dice che una gestione sostenibile della domanda, lo sviluppo di azioni tecnologiche ed educative, una buona informazione, consentono di ottenere risultati concreti che si consolidano nel tempo e a lungo termine. In ogni caso, il cambiamento climatico richiede un approccio no regret, ovvero l’applicazione di misure il cui tasso di ritorno economico le giustifica senza preoccuparsi dei futuri cambiamenti del clima. European environmental agency (Eea) e Unep hanno stabilito che in Europa il risparmio e l’uso efficiente dell’acqua sono più economici delle nuove forniture. La relazione tra governo della domanda e sviluppo dell’offerta è però ancora da definire nella sua interezza. Se alcune importanti risposte dovrebbero giungere dall’analisi economica della Direttiva quadro sulle acque (WFD), è nel frattempo fondamentale trovare il giusto equilibrio tra sviluppi nuovi e misure di risparmio, continuando a investire su opere sostenibili finalizzate, ad esempio, alla ricarica degli acquiferi, al riuso dei reflui, alla desalinizzazione, alla raccolta di acque piovane. Questo importante momento di confronto con le Regioni europee ha dimostrato che l’Emilia-Romagna ha imboccato per tempo la strada giusta, con il Piano di tutela delle acque e con il varo di una nuova tariffa idrica che rappresenta lo strumento più forte per incentivare i gestori al risparmio e alla conservazione della risorsa. Un semplice meccanismo di conguaglio e l’introduzione nel calcolo di standard qualitativi legati al risparmio e alla riduzione delle perdite rende non solo ininfluente la quantità di acqua erogata, ma conveniente per il gestore il suo migliore e minor consumo. In sintesi, tecnologie, investimenti adeguati, una gestione industriale orientata all’efficienza e alla tutela, il radicamento sul ter- FOTO ARCH. REGIONE EMILIA-ROMAGNA ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Dal convegno “Water scarcity and drought”, Bologna 25-26 ottobre 2007; da sinistra il ministro all'Europa della Regione Assia Volker Hoff, il direttore generale di Arpa Emilia-Romagna Alessandoro Bratti, l’assessore all’Ambiente della Regione Emilia-Romagna Lino Zanichelli e il ministro all'ambiente della Regione Aragona Alfredo Boné Pueyo. ritorio, un’informazione capillare agli utenti supportata da forti campagne comunicative. “L'acqua è la vita ed è una risorsa condivisa fra i Paesi della conca idrografica del Mediterraneo, per cui è necessario gestirla congiuntamente al di là delle frontiere politiche e amministrative”. Sono le parole del presidente di Expo Saragozza 2008, una grande manifestazione mondiale sull’acqua in programma dal prossimo giugno. Proprio in quell’occasione ci ritroveremo nella capitale dell’Aragona per proseguire un dialogo all’insegna della concretezza. Lino Zanichelli Assessore all’Ambiente e sviluppo sostenibile Regione Emilia-Romagna Premio nazionale Pianeta Acqua Promosso dal Forum nazionale per il risparmio e la conservazione della risorsa idrica, il Premio nasce con l'obiettivo di valorizzare le buone pratiche nel campo del risparmio e della conservazione dell'acqua. La conservazione e l’uso razionale di questa risorsa esauribile è una priorità e le tante esperienze realizzate – in Italia e in altri paesi nel campo civile, agricolo e industriale – dimostrano che risparmiare acqua ed energia è possibile, grazie alle nuove tecnologie e a comportamenti più consapevoli. Tra i fattori che rallentano la diffusione delle esperienze positive c’è sicuramente una carenza comunicativa. Per questo tra gli obiettivi primari del Forum c’è la valorizzazione http://www.forumrisparmioacqua.it/ delle esperienze virtuose, anche tramite una comunicazione più efficace. L’istituzione di un Premio si muove proprio in questa direzione. Il Premio si suddivide in 4 ambiti: 1. Esperienze in campo agricolo, industriale, civile e di governance. Esperienze concrete finalizzate a risparmiare, riutilizzare o conservare la risorsa idrica nei tre campi di utilizzo o esperienze che tramite innovazioni della governance della risorsa consentano di conseguire risparmi idrici significativi. 2. Esperienze educative. Progetti per l’infanzia e i giovani tesi a sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza e la scarsità della risorsa idrica e a educarle a un suo uso razionale. 3. Campagne di comunicazione. Iniziative e campagne di comunicazione rivolte a tutti i cittadini o a categorie particolari per informarli sulle criticità relative alla risorsa idrica e per invitarli a un suo corretto utilizzo. 4. Esperienze di solidarietà Esperienze internazionale. volte ad affrontare il tema della quantità e qualità della risorsa idrica in realtà estere che presentano particolari criticità. Il Premio è rivolto alle istituzioni, public utility, aziende, associazioni, centri di educazione ambientale, scuole, agenzie di pubblicità e altri soggetti che hanno realizzato azioni finalizzate al risparmio e alla conservazione della risorsa idrica. Per partecipare è sufficiente compilare il modulo di partecipazione scaricabile dal sito www.forumrisparmioacqua.it e inviarlo seguendo le istruzioni contenute nel bando scaricabile dallo stesso sito entro il 31 gennaio 2008. I premi saranno assegnati durante una manifestazione pubblica dedicata da tenersi nell’ambito della Giornata mondiale dell’acqua 2008. 35 Scarsità idrica e siccità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 L’impegno dell’Europa Almeno l’11% della popolazione e il 17% del territorio europeo sono stati interessati da carenza idrica. Negli ultimi trent’anni i fenomeni di siccità nella Ue sono aumentati drasticamente in frequenza e intensità: tra il 1976 e il 2006 il numero di zone e persone colpite da siccità è aumentato di quasi il 20%, con un costo totale pari a circa 100 miliardi di euro. Nell’articolo una sintesi delle opzioni strategiche proposte di recente dalla Commissione europea e le azioni messe in campo dalla Regione Emilia-Romagna per un utilizzo più efficiente delle risorse idriche e per il risparmio. 36 “Fronteggiare la scarsità d’acqua” è il tema della Giornata mondiale dell’acqua per il 2007, che sottolinea la crescente rilevanza mondiale della scarsità d’acqua e la necessità di una maggior integrazione e cooperazione locale e internazionale per assicurare una gestione sostenibile, efficiente ed equa delle già scarse risorse idriche. La Commissione europea ha recentemente fatto il punto su come affrontare il problema della carenza idrica e della siccità nell’Unione europea, con una comunicazione del 18 luglio 2007 (COM 2007/414, definitiva) che delinea il percorso verso l’adozione di un Piano d’azione europeo, previsto per settembre 2008. Mentre il termine siccità indica una diminuzione temporanea della disponibilità di acqua dovuta, ad esempio, a minori precipitazioni, si parla di carenza idrica quando la domanda di acqua è superiore alle risorse idriche utilizzabili in condizioni sostenibili. A tutt’oggi almeno l’11% della popolazione e il 17% del territorio europeo sono stati interessati da fenomeni di carenza idrica che, secondo le tendenze in atto, tendono a diffondersi in tutta Europa (figura 1). Negli ultimi trent’anni i fenomeni di siccità nella Ue sono aumentati drasticamente in frequenza e intensità, tanto che tra il 1976 e il 2006 il numero di zone e persone colpite da siccità è aumentato di quasi il 20%, con un costo totale pari a circa 100 miliardi di euro. Uno dei fenomeni di siccità di maggiore portata si è verificato nel 2003 e ha interessato più di 100 milioni di persone e un terzo del territorio della Ue, con un costo per l’economia Ue di almeno 8,7 miliardi di euro. La carenza idrica e la siccità, oltre fig. 1 Scarsità idrica in Europa, scenario al 2030. Fonte: EEA Technical report n. 2/2007 “Climate change and water adaptation issues” (http://reports.eea.europa.eu/technical_report_2007_2/en/eea_technical_report_2_2007.pdf) a esercitare un impatto diretto sui cittadini e i settori economici che utilizzano l’acqua (agricoltura, turismo, industria, energia e trasporti), hanno anche un forte impatto sulle risorse naturali in generale, in quanto esercitano effetti collaterali negativi sulla biodiversità e sulla qualità dell’acqua e aumentano i rischi di incendi boschivi e di impoverimento del suolo (v. foto). In queste circostanze la definizione di strategie efficaci di gestione del rischio siccità è diventato un obiettivo prioritario per la Commissione. Il 10 gennaio 2007 la Commissione ha adottato un pacchetto integrato sull’energia e il clima per guidare l’UE verso una politica energetica sostenibile, competitiva e sicura. Uno dei temi centrali è la capacità di affrontare la sfida energetica cercando di utilizzare l’energia in modo più efficiente, prima ancora di cercare alternative. Questo approccio vale anche nei casi di carenza idrica e siccità. Per affrontare i problemi di carenza idrica e siccità è prioritario virare verso un’economia che consenta il risparmio di risorse idriche e un loro utilizzo più efficiente. Risparmiare acqua significa anche risparmiare energia in quanto l’estrazione, il trasporto e il trattamento dell'acqua comportano costi energetici elevati. In questo ambito è essenziale migliorare la gestione della domanda di acqua. Sarà necessario pertanto prendere in considerazione una pluralità di opzioni strategiche. Alla luce di quanto precede, la Commissione ha presentato una prima serie di opzioni strategiche a livello europeo, nazionale e regionale per affrontare e ridurre i problemi di carenza idrica e siccità all'interno dell'Unione europea. La Commissione continuerà ad affrontare la questione nelle sedi internazionali, in particolare nell'ambito della convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta contro la desertificazione e della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. La Comunicazione della Commissione risponde anche all’invito ad adottare interventi contro la carenza idrica e la siccità formulato dal Consiglio “Ambiente” del giugno 2006. I focal point individuati (e sviluppati nella Comunicazione) sono: - procedere verso la piena attua- FOTO ARCH. REGIONE EMILIA-ROMAGNA ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 zione della Direttiva quadro sulle acque - analizzare criticamente e modificare le politiche tariffarie ritenute inefficaci: il principio secondo cui “l’utente paga” è raramente attuato al di fuori degli ambiti della fornitura di acqua potabile e del trattamento delle acque reflue; introdurre questo principio consentirebbe di mettere fine agli sprechi e alle perdite inutili, garantendo la disponibilità di acqua per gli usi essenziali in tutta Europa e in particolare nei bacini idrografici transfrontalieri - pianificare correttamente l'uso del suolo è uno dei fattori che maggiormente incidono sull’uso dell’acqua; una ripartizione inadeguata delle risorse idriche tra settori economici si traduce in situazioni di squilibrio tra fabbisogno di acqua e risorse idriche esistenti; è necessaria una svolta pragmatica per modificare gli approcci strategici e passare a una pianificazione più efficace dell’uso del suolo ai livelli opportuni - incentivare e promuovere il risparmio idrico offre enormi potenzialità: esso deve diventare una priorità e, pertanto, devono essere esplorate tutte le possibilità per migliorare l’efficienza in questo ambito; le scelte strategiche nel settore idrico dovrebbero essere basate su una chiara “gerarchizzazione”: la costruzione di ulteriori infrastrutture per l’approvvigionamento idrico dovrebbe essere presa in considerazione solo dopo avere esplorato tutte le altre opzioni (tra cui un’efficace politica tariffaria e alternative con un buon rapporto costi-benefici) - promuovere una cultura del risparmio idrico attraverso l'integrazione delle problematiche idriche nelle politiche settoriali attinenti - approfondire e ampliare conoscenze e informazioni di alto livello sull'entità dei problemi e sulle evoluzioni previste; i programmi di valutazione e monitoraggio europei non sono né integrati né completi; è pertanto essenziale porre rimedio alle lacune conoscitive e garantire la comparabilità dei dati a livello della Ue; in questo ambito la ricerca può svolgere un ruolo significativo nel fornire informazioni e sostegno al processo decisionale. LE POLITICHE DI CONSERVA- EMILIA-ROMAGNA Sviluppare e applicare politiche di conservazione appare essere una strategia di base per affrontare la scarsità d’acqua, soprattutto attraverso un approccio twin-track (“doppio binario”: governo della domanda e sviluppo dell’offerta): interventi mirati in tutti i settori idroesigenti, associati a un “pacchetto” di misure istituzionali che promuovano una maggiore efficienza e conservazione della risorsa, possono ridurre sensibilmente i problemi derivanti dalla water scarcity e assicurare una migliore sostenibilità ambientale. Più in dettaglio: - misure per una maggiore effiZIONE IN cienza e conservazione della risorsa: riduzione delle perdite, riuso delle acque, programmi speciali di mitigazione degli effetti derivanti dagli “eventi estremi” collegati all’acqua, diffusione di nuove tecnologie e utilizzo di risorse idriche non-convenzionali, educazione e informazione (campagne) ecc. - azioni di governo della domanda: riduzione delle connessioni, miglioramento delle tecnologie irrigue, miglioramento delle tecnologie di riuso, valutazione della water bank e del sistema delle quote, sistema tariffario incentivante il risparmio ecc. - sviluppo dell’offerta: tutela dei serbatoi naturali e recupero di quelli perduti/compromessi, miglioramento dell’uso efficiente delle infrastrutture (invasi, trasferimento inter-bacino ecc.), obbligo di un’analisi costi/benefici di soluzioni alternative per i progetti inerenti l’uso di nuove fonti idriche ecc. Nel Piano di tutela delle acque dell’Emilia-Romagna, approvato dall’Assemblea legislativa con Deliberazione 40/2005, sono sviluppate ed espresse le strategie di risparmio e conservazione della risorsa acqua che la Regione intende applicare sul proprio territorio; tali strategie si basano principalmente su un approccio integrato, che concilia misure tipicamente infrastrutturali e misure di risparmio e conservazione. Inoltre, il legame tra risparmio dell’acqua e risparmio dell’energia è già stato affrontato e sviluppato dalla Regione Emilia-Romagna, non solo nel Piano di tutela delle acque che, attraverso le misure in esso previste, dovrebbe consentire un risparmio energetico di circa 90.000 tep, ma anche LINK in progetti pilota e dimostrativi (ad esempio Bagnacavallo). In Italia, lo sviluppo e l’applicazione di politiche di conservazione e risparmio presentano maggiori difficoltà rispetto ad altri paesi. Le principali ragioni sono: - una “consueta” disponibilità d’acqua (almeno al nord e centro), che ha attenuato la consapevolezza del problema - una maggiore difficoltà a sviluppare politiche integrate - una forte propensione alla realizzazione di opere infrastrutturali ed edili come volano anche per la ripresa e l’occupazione - una politica di risparmio che risulta “orfana” di interessi concentrati e organizzati. La diffusione delle esperienze positive e significative viene solitamente rallentata dall’elevata frammentazione territoriale delle stesse e dalla grave carenza comunicativa. In questo contesto, l’istituzione di un Forum nazionale sul risparmio e la conservazione potrebbe portare a un importante contributo, sostenendo meglio le iniziative condotte e in atto, e riducendo sensibilmente i tempi di adozione e diffusione delle stesse in altre realtà territoriali. L’Emilia-Romagna ha di recente promosso il Forum nazionale sul risparmio e sulla conservazione della risorsa acqua, basandosi su: validità, efficacia e forza delle politiche di risparmio e conservazione (esempi internazionali e locali), necessità di dialogo e confronto, diffusione di notizie ed esperienze (“vetrina telematica”). Rosanna Bissoli Emanuele Cimatti Katia Raffaelli Regione Emilia-Romagna UTILI: - Water policy in European Union - Communication on Water Scarcity and Droughts ec.europa.eu/environment/water/quantity/scarcity_en.htm - L’acqua in Emilia-Romagna www.ermesambiente.it/ermesambiente/acque/servizio_acqua/ - Forum nazionale sul risparmio e la conservazione della risorsa acqua: www.forumrisparmioacqua.it - La campagna regionale “Acqua, risparmio vitale” www.acquarisparmiovitale.it 37 Scarsità idrica e siccità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Misure straordinarie e sinergie efficaci contro la grande sete della Romagna Negli ultimi dodici mesi si è registrata una riduzione di precipitazioni sul bacino imbrifero di Ridracoli di oltre il 30% e una riduzione degli afflussi all'invaso di circa il 50%. Si tratta di una situazione anomala e particolarmente critica che ha richiesto interventi straordinari per garantire l’approvvigionamento in Romagna. Romagna Acque ed Hera, con il supporto di Arpa, hanno programmato e realizzato azioni di massimizzazione delle produzioni idriche dai campi pozzi e importanti interventi infrastrutturali. 38 Per monitorare la difficile situazione idrica il Servizio IdroMeteo regionale (ArpaSim) ha istituito un osservatorio sulla siccità dal quale emerge la criticità della situazione. Le condizioni meteo sono risultate fra le peggiori degli ultimi decenni: infatti rispetto ai valori medi storici, negli ultimi dodici mesi si è registrata una riduzione di precipitazioni su tutto il territorio regionale (figura 1); sul bacino imbrifero di Ridracoli la riduzione delle precipitazioni è di oltre il 30% e la riduzione degli afflussi all’invaso è di circa il 50%. L'invaso non è riuscito a completare il proprio ciclo risultando all'inizio della stagione estiva non completamente pieno (circa 27 Mmc - milioni di metri cubi rispetto ai 33 Mmc di massimo invaso, figura 2). L’importanza dell’invaso per l’approvvigionamento dell’area romagnola è evidenziata dalla seguente tabella 1 che mostra la percentuale dell’acqua acquistata da Romagna Acque sul totale di quella immessa in rete. L’azione immediata messa in campo fin dall’ottobre 2006 è stata la riduzione dei prelievi dall’Acquedotto della Romagna; in particolare per la Provincia di Rimini si è aumentata la produzione locale da pozzo. Negli anni 2004 e 2005 (che possono essere assunti come anni medi) il prelievo da falda si attestava nei primi dieci mesi attorno ai 23 Mmc; nel 2006 esso è stato pari a 25 Mmc (+9% circa) e nel 2007 a 26 Mmc (+13% circa). In ottobre il prelievo si attestava attorno a 1,9 Mmc; quest’anno è stato pari a 2,7 Mmc (+44%). Un’altra considerazione che scaturisce dall’analisi dei prelievi da falda è che negli ultimi 12 mesi l’emungimento è stato pari a 31 Mmc, mentre il prelievo da Romagna Acque solo 10 Mmc. Quest’azione di contenimento dei consumi è stata poi estesa alle altre province romagnole e programmata in vista dell’estate: alla fine dell'aprile scorso infatti, tenuto conto delle condizioni dell'invaso di Ridracoli, Romagna Acque ed Hera hanno definito un programma di prelievi estivi dall'acquedotto della Romagna basato sulle seguenti ipotesi cautelative: - che gli apporti naturali all'invaso fossero uguali a quelli minimi registrati nell'estate 2003 - che i fabbisogni fossero in linea con quelli registrati negli ultimi anni - che le produzioni dalle fonti gestite da Hera fossero mantenute al più alto livello possibile, per ridurre al minimo i prelievi dall’Acquedotto della Romagna. I volumi programmati per il periodo considerato sono molto al di sotto dei valori mediamente forniti dall'Acquedotto della Romagna: - inferiori di oltre 3,4 Mmc (-12%) rispetto all'anno siccitoso 2003 (27.7 Mmc) - inferiori di oltre 4,0 Mmc (-20%) rispetto al 2006 (30,4 Mmc). Fig 1 Anomalie di precipitazione in Emilia-Romagna, periodo 1/9/2006-8/10/2007, clima di riferimento 1991-2005. Il programma dei prelievi è stato sostanzialmente rispettato, malgrado ciò apparisse arduo. Le condizioni meteorologiche favorevoli hanno mantenuto elevati i fabbisogni di rete per effetto di: - temperature e umidità elevate che hanno sostenuto gli usi domestici e per il mantenimento del verde - elevate richieste del settore turistico della riviera. Non essendo stata decisa e attuata alcuna azione di limitazione dei consumi d’utenza, il rispetto di tale programma è stato reso possibile: - dalla massimizzazione delle produzioni idriche dalle altre fonti, con particolare riferimento ai campi pozzi - dall'attuazione di alcuni interventi infrastrutturali finalizzati a garantire tali livelli di produzione e Tab.1 - Acqua acquistata da Romagna Acque sul totale di quella immessa in rete 2004 SOT Immessa in rete 2005 Romagna Acque Immessa in rete 2006 Romagna Acque Immessa in rete Romagna Acque Imola 22.793.288 3.164.892 13,89% 22.697.890 3.164.892 13,94% 22.500.551 3.172.792 14,10% Ravenna 31.882.808 18.294.632 57,38% 31.884.617 19.541.287 61,29% 31.486.427 17.895.995 56,84% Forlì-Cesena 34.124.281 22.765.360 66,71% 33.223.379 23.871.288 71,85% 33.700.868 22.439.646 66,58% Rimini 42.103.354 12.742.366 30,26% 42.366.880 12.732.956 30,05% 43.191.973 11.047.128 25,58% ottimizzare il sistema di adduzione/distribuzione, attivando dove necessario nuove interconnessioni di rete che verranno illustrate nel seguito (questi lavori hanno consentito di ridurre progressivamente il prelievo da Romagna Acque). Già a fine 2006 era chiaro che i segnali di un “cambiamento climatico” rispetto alle medie degli ultimi anni avrebbero potuto portare a situazioni critiche nei mesi estivi e soprattutto nei mesi autunnali del 2007. Poichè era altrettanto chiaro che sarebbe stato necessario continuare l’azione di contenimento dei prelievi da Romagna Acque e che le falde, a causa del notevole utilizzo, sarebbero calate, Hera Rimini ha pensato di programmare interventi ad hoc per la stagione estiva e per l’autunno 2007. In particolare si è prioritariamente voluto assicurare lo stesso emungimento dai pozzi in corrispondenza del prevedibile calo di piezometrica. Si doveva quindi ipotizzare – in uno scenario sfavorevole di bassi apporti meteorici e di alti consumi – quali fossero i pozzi più stressati e bisognosi di interventi di manutenzione straordinaria. Nell’ambito del progetto denominato Studio della conoide alluvionale del fiume Marecchia: analisi qualiquantitativa a supporto della gestione ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Tab.2 - Opere realizzate nel 2007 Intervento Mantenimento e potenziamento della portata emungibile da pozzi (fornitura e posa di elettropompe, inverter e potenziamento di sollevamento per trasferimenti portata) Portata aggiuntiva (l/s) Costo totale (€) 90 510.000 Collegamenti fra reti di acquedotto nei comuni di Montescudio e San Clemente (realizzazione tratti di condotte per il collegamento di zone a rischio nei due comuni finalizzato all’approvvigionamento idrico) 37.000 Potenziamento della centrale di Miramare per trasferimento portata verso la zona sud della Provincia (vettoriamento della portata emunta dai pozzi della falda di Rimini in sostituzione dei prelievi da Romagna Acque) 40 60.000 Filtri a carboni attivi presso il potabilizzatore della diga sul Conca per il raddoppio della portata trattabile 60 50.000 Connessione della rete di Verucchio alla rete di Rimini (posa in opera di pompaggio governato da inverter e realizzazione di un tratto di condotta di collegamento alla rete di Verucchio) 10 366.000 Rifacimento di condotta di adduzione dai pozzi di Bellaria (sostituzione per obsolescenza della condotta e contestuale potenziamento della stessa per circa 1,8 km) 5 550.000 Attivazione pozzo Brancona nuovo (messa in funzione di un nuovo pozzo mediante realizzazione di clorazione e condotta di trasporto) 30 231.000 Totale 1.804.000 Diga di Ridracoli Curva volumi invaso Acqua potabilizzata Fig 2 m.s.l.m. negli eventuali lavori di manutenzione straordinaria sui pozzi volti al mantenimento della stessa portata in corrispondenza degli abbassamenti della tavola liquida (inserimenti di inverter, sostituzione pompe ecc.). Le attività dell’incarico sono state organizzate sostanzialmente in due fasi: 1. attualizzazione e aggiornamento del modello portandolo dal 2003 (fine periodo di taratura dello studio originale) al 2007, ciò al fine di creare una valida configurazione del sistema da utilizzare come stato iniziale per il successivo sviluppo degli scenari. 2. definizione delle ipotesi di scenario e delle specifiche necessità di restituzione delle informazioni da parte del modello numerico (dove, quando ecc.) Sono stati ipotizzati tre scenari (dal più pessimistico a quello più ottimistico): 1 - prelievi + nessuna ricarica 2 - prelievi + ricarica fluviale 3 - prelievi + ricarica fluviale + ricarica meteorica milioni m3 sostenibile della risorsa idrica, ArpaIngegneria ambientale ha curato la modellistica numerica per la simulazione del flusso dell’acqua e del trasporto di nitrati. Il progetto ha visto coinvolti, quali firmatari del protocollo di intesa per la sua realizzazione, oltre alla Regione Emilia-Romagna (Servizio tutela e risanamento risorsa acqua e Servizio geologico, sismico e dei suoli), la Provincia di Rimini, l’Autorità di bacino interregionale del Marecchia-Conca, Hera e Romagna Acque. Tra i risultati del lavoro risultava disponibile un modello numerico per la simulazione del flusso delle acque utilizzabile che ha orientato la scelta sugli interventi da attuare. Hera Rimini ha quindi affidato un nuovo incarico ad Arpa-Ingegneria ambientale per la simulazione del flusso delle acque sotterranee della Conoide del Marecchia, inserendo diversi scenari meteo con proiezioni per la primavera-estate 2007, allo scopo di verificare i livelli di falda e quindi orientare i tecnici 2006 Sono state fatte alcune simulazioni che hanno permesso di confrontare i risultati relativi ai diversi scenari (quali il confronto del carico idraulico nello scenario 1 con il carico idraulico minimo misurato nella serie storica). Si sono così individuati i pozzi con i maggiori abbassamenti di falda e su questi si è intervenuti con la sostituzione delle elettropompe e l’inserimento di inverter. Sempre a marzo 2007, sono stati approvati dal Consiglio di amministrazione una serie di lavori individuati come strategici per superare per quanto possibile lo stato di emergenza, avvalendosi degli artt. 75 e 84 del Disciplinare tecnico allegato alla convenzione del servizio idrico integrato Ato 9 che danno la possibilità al Gestore (informato l’Ato stesso) di eseguire per motivi urgenti lavori non previsti dal Piano d’ambito. Queste opere – per un totale di 1.804.000 euro – sono state realizzate prima e durante la stagione estiva (tabella 2). Meritano menzione gli interventi che hanno consentito il trasferimento di risorsa autoprodotta dai pozzi della conoide del Marecchia verso altre aree altrimenti alimentate per la gran parte o quasi totalmente da Romagna Acque (Verucchio, zona sud della provincia: Riccione, Misano, Cattolica). Con questi lavori il territorio della Provincia di Rimini gestito da Hera è riuscito a essere praticamente autonomo da Romagna Acque per quasi tutti i suoi comuni (a eccezione di Torriana, Poggio Berni e parte di Verucchio). All’acuirsi della crisi nei mesi autunnali di quest’anno Hera Rimini è riuscita, grazie alle opere sommariamente richiamate, a limitare i prelievi da Ridracoli agli attuali 60 l/s (80 l/s, ottobre) contro 2007 i 250 l/s dell’ottobre 2006 e i 330 l/s dell’ottobre 2005. Questi prelievi così bassi nel territorio riminese stanno consentendo di limitare a circa 55.000 mc/giorno (per la SOT, società operativa territoriale Hera di Rimini, circa 5.000 mc/giorno) il prelievo complessivo delle SOT di Hera permettendo, in alcune delle altre province fornite in maniera quasi esclusiva da Romagna Acque, di evitare drastiche azioni di contenimento dei consumi alle utenze (razionamenti a fasce orarie ecc.). Non sono mancati gli incontri con le istituzioni per coordinare le diverse azioni di intervento illustrate in precedenza sia a livello regionale, sia a livello locale. In particolare nell’ultimo incontro tenuto in Provincia, il presidente della Giunta ci ha comunicato di aver contattato il Vescovo di Rimini affinché anche la Chiesa, con le capacità di penetrazione nei confronti dei propri fedeli, facesse propria la campagna di sensibilizzazione/informazione sul grave stato di crisi idrica. La risposta del Vescovo non si è fatta attendere, tanto che ha organizzato una preghiera per il 22 ottobre alla Madonna dell’acqua (insieme a San Gaudenzo, protettrice di Rimini) nella Basilica Cattedrale. Beh, proprio in quei giorni ci sono state piogge abbondanti come non si vedevano da tempo (in un solo giorno a Rimini 40 mm di pioggia) e nell’invaso di Ridracoli il volume è aumentato in pochi giorni di alcuni milioni di mc! Edolo Minarelli Pierangelo Pratelli Società operativa territoriale Rimini, Gruppo Hera 39 ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Con la siccità migliora lo stato dell’Adriatico 40 È noto che l’apporto di acque fluviali rappresenta un fattore molto importante nell’innesco dei fenomeni che possono incidere sullo stato qualitativo dell’ecosistema marino-costiero. In tale contesto assume un ruolo importante l’innesco dei processi di eutrofizzazione indotti dai carichi di sostanze a effetto eutrofizzante quali l’azoto e il fosforo (si aggiungano microelementi e composti organici di diversa origine e composizione). Le portate del fiume Po, e in maniera proporzionata tutti gli altri fiumi minori, nel 2007 hanno registrato un andamento caratterizzato da modeste portate. A tal riguardo va evidenziato che il valore medio annuale di portata del Po (dati all’11 novembre) è stato straordinariamente basso con soli 709 m3/sec; la metà rispetto al valore medio annuale di 1472 m3/sec calcolato sul periodo 1917-2006. Un’evidente anomalia che da alcuni anni si sta riproponendo e che, pertanto, si sta affermando come tendenza. Forse un segnale di quel processo che viene da molti definito come sintomo di desertificazione le cui ricadute già si misurano in termini di carenza idrica nei settori connessi alle necessità civili e produttive. EUTROFIZZAZIONE Dal punto di vista dei fenomeni di eutrofizzazione, il 2007 è stato, per quanto riguarda la qualità ambientale delle acque costiere, un anno straordinario. Si riconferma anche una condizione che da tempo si sta riproponendo e che evidenzia un significativo e progressivo miglioramento rispetto alle critiche condizioni che hanno caratterizzato gli anni 70 e 80. Tra fine febbraio e la metà del mese di aprile si sono manifestate fioriture algali sostenute da Diatomee in vaste aree di mare prospicienti la nostra Regione. È importante ricordare che tali fioriture non hanno mai provocato, nel periodo invernale e primaverile, ricadute sull'ambiente (anossie nelle acque di fondo, morie di pesce di fondo ecc.), sono al contrario necessarie all'innesco di quella catena alimentare che rende particolarmente pescoso l'alto e il medio Adriatico. Segue un periodo che si protrae fino all’autunno in cui la scarsità degli apporti fluviali si ripropone con riflessi positivi sulla trasparenza delle acque. Fanno eccezione brevi tratti di mare davanti a Riccione e a Cervia dove si sono manifestate locali fioriture microalgali di Fibrocapsa japonica. A Riccione nelle giornate del 2 e del 18 e 20 luglio e a Cervia il 14 e 17 agosto. Questi eventi negli anni precedenti, laddove si sono presentati, hanno avuto persistenze di 2-3 settimane con pesanti ricadute nei confronti del turismo balneare. Si ricorda che questo tipo di fioritura non genera anossie nelle acque di fondo ma solo alterazione del colore, le acque appaiono brune e torbide. Anche i fenomeni di ipossia e anossia (carenza o mancanza di ossigeno) nelle acque di fondo sono stati di scarso rilievo e in tutti i casi inferiori per durata ed estensione a distrofie analoghe verificatesi nel passato. Nel merito della questione legata alla parola chiave “trasparenza”, termine che viene normalmente associato a un buon stato di qualità ambientale, penso sia necessario riflettere sul fatto che l’Adriatico non può e non potrà mai avere le stesse caratteristiche del mare di Sardegna. La sua conformazione geomorfologica e la quantità di apporti fluviali che riceve, conferiscono a questo mare uno stato idrologico che, FOTO A. RINALDI Le evidenze più rilevanti che caratterizzano lo stato ambientale delle acque marino-costiere in Emilia-Romagna nel 2007 sono la diminuzione degli apporti fluviali dal Po, la modesta entità dei fenomeni di eutrofizzazione e dei casi di anossia e ipossia delle acque di fondo, la presenza di mucillagini solo nel periodo invernale, le fioriture di Fibrocapsa japonica con estensioni e tempi di permanenza minori rispetto al 2005 e al 2006, un innalzamento termico delle acque che favorisce fenomeni di “tropicalizzazione” e “meridionalizzazione”. Bussatella leachi anche in condizioni di massima naturalità, non potrà mai avere acque incolori e dalla straordinaria trasparenza. L’Adriatico “mare verde” veniva così descritto da Gabriele Dannunzio oltre un secolo fa; credo si possa affermare che la sua fertile opacità sia da considerare una sua fisiologica peculiarità. MUCILLAGINI Nel 2007 non si sono avute presenze massive di aggregati mucillaginosi nel periodo estivo. In maniera del tutto anomala e nuova la loro presenza ha interessato il periodo invernale, dal novembre 2006 all’aprile 2007. Il primo evento invernale nella sequenza dei casi che si sono verificati negli ultimi 20 anni. Lo stato di aggregazione del materiale mucillaginoso a forma di reticoli, filamenti e masse di più grandi dimensioni ha interessato soprattutto la colonna d’acqua mentre gli affioramenti sono stati limitati e del tutto sporadici. L’impatto conseguente al manifestarsi del fenomeno ha generato ricadute soprattutto nel settore della pesca, particolarmente nelle zone centrali e meridionali dell’Adriatico occidentale. Diverse marinerie di quei terri- tori hanno avuto difficoltà oggettive nello svolgimento delle loro attività. Le reti si intasavano, si appesantivano fino a rompersi. Lo stesso ministero alle Politiche agricole e forestali istituì un Gruppo di crisi per seguire l’evolversi del fenomeno e assistere il settore. Da comunicazioni provenienti da alcuni Istituti di ricerca collocati sulle sponde del Tirreno (e dai canali mediatici), pare che il fenomeno si sia ripresentato nei mesi di agosto e settembre nel medio e basso Tirreno, Sicilia compresa. Tornando al caso Adriatico è parere diffuso, tra l’altro da noi condiviso, che l’evento invernale sia stato favorito dalla stabilità meteo-marina e dalla rilevante anomalia termica delle acque (temperature superiori alla media del periodo di 3-4 °C). Come negli eventi che si sono verificati in epoca recente (9 casi dal 1988 a oggi) è stata riscontrata la presenza di flagellate del genere Gonyaulax spp. Un organismo unicellulare capace di generare massive quantità di essudati mucillaginosi. ALTRE CONDIZIONI Ricompare la medusa Carybdea marsupialis nel periodo luglio- settembre, anche se in quantità inferiori rispetto all’estate 2006. Si tratta di una specie con potere urticante medio che predilige le acque strettamente costiere. Nel 2007 sono state registrate nuove specie animali provenienti da mari extramediterranei. Tra queste merita d’essere segnalata la Bursatella leachi, un mollusco originario del mar Rosso sino a ora non segnalato nelle acque dell’Adriatico nord-occidentale. Significativa la presenza di specie ittiche (lampuga, pesce serra) provenienti dal Mediterraneo meridionale. Sono soprattutto i pescatori sportivi a segnalare tali catture. Anche in questo caso pare prendere consistenza l’ipotesi che l’innalzamento termico delle acque nei periodi estivi e autunnali favorisca quel fenomeno conosciuto con il termine di “meridionalizzazione”, vale a dire lo spostamento di specie termofile verso aree più settentrionali. FOTO ARCH. DAPHNE ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 In sintesi si può affermare che: - si riconferma la diminuzione degli apporti fluviali, del Po in particolare. La sua portata nel 2007 corrisponde alla metà di quella calcolata sul lungo periodo - i fenomeni di eutrofizzazione sono stati in genere di modesta entità con indici di trofia inferiori a quelli, già bassi, registrati nel 2006 - limitati i casi di anossia e ipossia delle acque di fondo, nessun riflesso negativo sugli organismi bentonici (morie di pesce di fondo, molluschi, crostacei) - le mucillagini, per quanto concerne l’Adriatico, si sono avute nel solo periodo invernale (novembre 2006- aprile 2007). La loro presenza ha interessato soprattutto il versante italiano dell’Adriatico centro-meridionale - permane il problema delle fioriture costiere di Fibrocapsa japo- 41 nica che, anche se con estensioni e tempi di permanenza minori rispetto al 2005 e 2006, hanno interessato aree di mare prospicienti il riccionese e nel cervese - si riconferma l’importanza dell’innalzamento termico delle acque nel favorire i fenomeni di “tropicalizzazione” e “meridionalizzazione”. Attilio Rinaldi Arpa Emilia-Romagna Struttura oceanografica Daphne 2007, trentesimo anno di attività La Struttura oceanografica Daphne dell'Arpa Emilia-Romagna svolge da trent’anni programmi di monitoraggio e di studio nell'area di mare prospiciente l'Emilia-Romagna. Daphne, da sempre parte costituente del Centro ricerche marine di Cesenatico, si avvale di 11 ricercatori con formazione multidisciplinare. Nel 2007 l’attività è incentrata su 18 programmi, gran parte dei quali sono dedicati allo studio dell'ecosistema marino-costiero. Oltre alla parte oceanografica, stimabile in 140-150 giorni nave/anno, viene sviluppata una rilevante attività analitica in laboratori specialistici. Nell'ambito del monitoraggio dell'eutrofizzazione, a frequenza settimanale, vengono controllate 41 stazioni, sia attraverso prelievi di campioni da analizzare nei laboratori specialistici. Solo i dati chimico-fisici (temperatura, salinità, ossigeno disciolto, pH, clorofilla "a" e trasparenza) di 14 stazioni poste a 500 m di distanza da riva vengono utilizzati per la stesura di un bollettino, che viene organizzato immediatamente a fine monitoraggio. I dati vengono mediati per 3 subaree denominate A, B e C. Tale suddivisione non è artificiale, ma scaturisce dall'individuazione nella fascia costiera (nel corso di 20 anni di elaborazioni dati) di tre zone omogenee che si diversificano tra loro per condizioni chimicofisiche. Il bollettino rappresenta una sintesi dei dati settimanali rilevati, corredata da breve commento. A integrazione dello stesso bollettino tutti i dati di temperatura, salinità, clorofilla "a" e ossigeno sul fondo rilevati durante il monitoraggio vengono elaborati per la produzione di mappe tematiche. Alcune mappe dal Bollettino settimanale del 19-20 novembre 2007 - www.arpa.emr.it/daphne Qualità dell’aria e salute ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 L’aria inquinata delle città fa male, sulle ultrafini resta il bisogno di saperne di più 42 Gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute sono di tipo acuto e cronico. Gli effetti acuti sono associati all’aumento degli inquinanti atmosferici con un breve intervallo (ore o pochi giorni) tra l’esposizione e l’insorgenza del danno. Numerosi studi epidemiologici riportano un aumento della mortalità generale e per cause cardio-vascolari e respiratorie, l’insorgenza di patologie acute quali l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale, le infezioni delle vie respiratorie (polmoniti e bronchiti), l’esacerbazione di patologie croniche quali la broncopneumopatia cronico ostruttiva (BPCO) e l’asma bronchiale [1]. Gli aumenti della mortalità generale e specifica e l’aumento della ospedalizzazione per patologie respiratorie e cardiovascolari sono stati riportati negli Stati Uniti [2-4] e in Europa [5, 6]. In Italia, è stato documentato l’aumento della mortalità per cause naturali e delle ospedalizzazioni per malattie cardiache e respiratorie in seguito all’aumento degli inquinanti atmosferici [7]. Infarto del miocardio e patologie coronariche sono direttamente influenzate dall’aumento degli inquinanti [8, 9]. Gli effetti cronici sono dovuti a esposizioni prolungate agli inquinanti atmosferici: sono stati riportati sintomi respiratori, quali la tosse e il catarro, riduzione della funzionalità polmonare, bronchite cronica e tumore polmonare [10]. Studi recenti su animali da esperimento suggeriscono che i processi di arteriosclerosi possono essere facilitati dalla esposizione a inquinanti ambientali. I disturbi respiratori cronici dell’infanzia si sono confermati come importanti conseguenze dell’inquinamento [11]. FOTO ARCH. ARPA EMILIA-ROMAGNA L’inquinamento atmosferico rappresenta un rischio per la salute umana, con un impatto di sanità pubblica elevato per il grande numero di persone esposte soprattutto in ambiente urbano. Numerosi studi hanno dimostrato aumenti della mortalità generale e specifica e l’aumento dell’ospedalizzazione per patologie respiratorie e cardiovascolari. Servono ulteriori indagini per affinare la conoscenza, in particolare sulla frazione ultrafine del particolato atmosferico. Nel complesso si è osservata una riduzione della speranza di vita in chi vive in città più inquinate [1]. Tra i vari inquinanti ambientali, il materiale particolato di dimensione inferiore ai 10 micron (PM10) e il particolato fine (dimensione inferiore 2,5 micron, PM2,5) sono ritenuti responsabili dei danni osservati nei diversi studi. L’attenzione è anche rivolta alla frazione di particolato con diametro inferiore a 0.1 micron, le polveri ultrafini. Altri importanti inquinanti sono quelli di natura gassosa, quali il biossido di azoto (NO2), l’anidride solforosa (SO2), l’ossido di carbonio (CO) e l’ozono (O3) [1, 12]. Meccanismo principale del danno attribuibile al particolato atmosferico è l’induzione e il successivo mantenimento dell’infiammazione. Tale meccanismo è stato dimostrato nell’uomo, negli animali da esperimento e in cellule di coltura [13]. L’attività cancerogena dell’inquinamento atmosferico è attribuita soprattutto ai composti chimici aromatici, i più importanti dei quali sono gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) [14]. L’intensità degli effetti sulla salute umana è direttamente proporzionale alla concentrazione degli inquinanti, e la relazione è di tipo lineare senza soglia. L’Organizzazione mondiale della sanità ha recentemente indicato dei “valori guida” per gli inquinanti ambientali [15] al fine della protezione della popolazione. Per il PM10 e il PM2,5 sono stati raccomandati i seguenti valori medi annuali: 20 µg/m3 per il PM10 e 10 µg/m3 per il PM2,5. Anche se le conoscenze acquisite sugli effetti dell’inquinamento sono molteplici, diversi aspetti devono essere approfonditi. Maggiori conoscenze sono necessarie sulla frazione del PM responsabile degli effetti sulla salute. La frazione ultrafine (UF) (PM0,1) presenta un interesse particolare per la capacità di queste particelle di indurre un danno ossidativo e per la loro maggiore probabilità di traslocare dai polmoni al sangue e agli organi interni [1, 13]. Di particolare importanza è l’effetto cardiovascolare delle polveri ultrafini [16]. La composizione chimica del particolato, oltre alla dimensione delle particelle, sembra avere un ruolo importante nella determinazione del danno all’organismo umano. Crescente è l’interesse per i metalli di transizione (nickel, zinco, cadmio e mercurio) per la loro capacità di indurre uno stress ossidativo [17]. Alcuni autori hanno sottolineato l’opportunità di approfondire gli effetti dei metalli, delle frazioni volatili e semi-volatili anche in termini di potere mutageno e cancerogeno [14]. L’ozono è un irritante delle vie respiratorie superiori; sono stati riportati effetti più importanti sull’apparato respiratorio, quali l’aumento della ospedalizzazione per polmoniti e BPCO [18] e l’aumentato ricorso al pronto soccorso per episodi di asma pediatrica [19]. Non è chiaro l’effetto dell’ozono su altri sistemi dell’organismo oltre l’apparato respiratorio. Si è osservato anche un aumento della mortalità totale [20] in rapporto alle concentrazioni ambientali di ozono. Occorre un’attenta valutazione del ruolo delle condizioni climatiche durante il periodo primaverileestivo. Studi epidemiologici in Italia [7] hanno segnalato un maggiore effetto del PM10 durante il periodo aprile- settembre. Le ragioni di questo maggiore effetto vanno approfondite in ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 rapporto alle diverse caratteristiche degli inquinanti e anche della possibile combinazione di PM10, ozono e alta temperatura. Per ragioni di sanità pubblica è estremamente importante caratterizzare il rischio sanitario e individuare le persone particolarmente vulnerabili agli effetti dell’inquinamento [21]. Oltre alla suscettibilità innata, legata a fattori genetici, la suscettibilità agli effetti dell’inquinamento atmosferico è caratteristica di alcune fasce d’età. Nei neonati, gli effetti si manifestano con l’aumento della mortalità perinatale e della frequenza del basso peso alla nascita [22]; in età pediatrica, l’esposizione a inquinanti peggiora lo stato di malattia in bambini affetti da compromissione cronica delle vie aeree e provoca un incremento dei ricoveri per asma e bronchiti [23]. Negli anziani sono stati riportati aumenti di mortalità [3,24] e di ricoveri per patologie cardiovascolari [25]. Una maggiore vulnerabilità agli effetti dell’inquinamento atmosferico si manifesta in condizioni di deprivazione socio-economica [26] e per la presenza di patologie pregresse, quali il diabete [27], la BPCO [28-30], lo scompenso cardiaco congestizio [31], l’infarto pregresso [32], le aritmie cardiache [33]. Le conoscenze su questi aspetti sono ancora molto limitate. Dev’essere potenziata la ricerca sui meccanismi biologici e tossicologici che possono spiegare gli effetti riscontrati in studi epidemiologici. I possibili meccanismi molecolari della infiammazione sono riconducibili allo stress ossidativo indotto dai radicali liberi e responsabile della infiammazione. Oltre alla infiammazione, si è ipotizzato che le alterazioni del processo di coagulazione del sangue siano i meccanismi d’azione responsabili degli effetti cardio-vascolari, ma sono ancora poco chiari i meccanismi a livello molecolare [34]. Francesco Forastiere Annunziata Faustini Azienda sanitaria locale Roma E BIBLIOGRAFIA 1. Pope CA III & Dockery DW. Health effects of fine particulate air pollution: lines that connect. J Air & Waste Manage Assoc 2006; 56: 709-742. 2. Schwartz J. Airborne particles and daily deaths in 10 US cities. In Revised analyses of time-series studies of air pollution and health. Boston, Health Effects Institute. 2003, pp 211-218, http://www.healtheffects.org/Pubs/TimeSeries.pdf) 3. Ostro B et al. Fine particulate air pollution and mortality in nine California counties: results from CALFINE. Environ Health Perspect 2006; 114: 29-33. 4. Dominici F et al. Fine particulate air pollution and hospital admission for cardiovascular and respiratory diseases. JAMA 2006; 295: 1127 – 1134. 5. Analitis A et al. Short-term effects of ambient particles on cardiovascular and respiratory mortality. Epidemiology. 2006 Mar;17: 230-233. 6. Atkinson RW et al. Acute effects of particulate air pollution on respiratory admissions: results from APHEA 2 project. Air Pollution and Health: a European Approach. Am J Respir Crit Care Med. 2001 Nov 15;164(10 Pt 1):1860-6., 2001 7. Biggeri A et al. Metanalisi italiana degli studi sugli effetti a breve termine dell’inquinamento atmosferico 1996-2002. Epid prev 2004; 28: 4-100. 8. D’Ippoliti D, Forastiere F, Ancona C, Agabiti N, Fusco D, Michelozzi P et al. Air pollution and myocardial infarction in Rome: a case-crossover analysis. Epidemiology 2003; 14:528-35. 9. Forastiere F et al. A case-crossover analysis of out-of-hospital coronary deaths and air pollution in Rome, Italy. Am J Respir Crit Care Med 2005 172(12):1549-55. 10. American Thoracic Society. What constitutes an adverse health effect of air pollution? Am J Respir Crit Care Med, 2000; 161: 665-673. 11. Galassi C et al. SIDRIA Phase 1 Collaborative Group. Environment and respiratory diseases in childhood: the Italian experience. Int J Occup Environ Health 2005; 11:103-6.* 12. Marconi A: Materiale particellare aerodisperso: definizioni, effetti sanitari, misura e sintesi delle indagini ambientali effettuate a Roma. Ann Ist Super Sanità 2003; 39: 329-342. 13. Donaldson K et al. Current hypotheses on the mechanisms of toxicity of ultrafine particles. Ann Ist Super Sanità 2003; 39: 405-10 14. Claxon LD et al. A review of the mutagenicity and rodent carcinogenecity of ambient air. Mutat Res 2007; Epub 2007 Mar 18 15. WHO Air quality guidelines for particulate matter, ozone, nitrogen dioxide and sulfur dioxide - Global update 2005. http://www.who.int/phe/health_topics/outdoorair_aqg/en/ 16. Wickmann HE et al Daily mortality and fine and ultrafine particles. Erfurt (Germany) Res Rep Health Eff Inst 2000]. 17. MacNee W. Mechanism of lung injury caused by PM10 and ultrafine particles with special reference to COPD. Eur respir j suppl 2003: 40: 47s-51s. 18. Medina-Ramon M et al. The effect of ozone and PM10 on hospital admissions for pneumonia and chronic obstructive pulmonary disease: a national multicity study. Am J Epidemiol. 2006 Mar 15;163(6):579-88. Epub 2006 Jan 27., 2006 19. Babin SM et al. Pediatric patient asthma-related emergency department visits and admissions in Washington, DC, from 20012004, and associations with air quality, socio-economic status and age group. Environ Health. 2007 Mar 21. 20. Bell ML, Dominici F, Samet JM. A meta-analysis of time-series studies of ozone and mortality with comparison to the national morbidity, mortality, and air pollution study. Epidemiology. 2005 Jul;16(4):436-45. 21. WHO. Health aspect of air pollution, answer to follow-up questions from CAFE Regional Office for Europe, 2004. 22. Schwartz J. Air pollution and children’s health. Pediatrics 2004; 113: 1037-1043. 23. Pope CA 3rd Respiratory disease associated with community air pollution and a steel mill, Utah Valley. Am J Public Health1989; 79: 623-628 24. Aga E, Samoli E, Touloumi G, Anderson HR, Cadum E, Forsberg B, Goodman P,Goren A, Kotesovec F, Kriz B, Macarol-Hiti M, Medina S, Paldy A, Schindler C,Sunyer J, Tittanen P, Wojtyniak B, Zmirou D, Schwartz J, Katsouyanni K. Short-term effects of ambient particles on mortality in the elderly: results from 28 cities in the APHEA2 project. Eur Respir J Suppl. 2003 May;40:28s-33s. 25. Koken PJM, Temperature, air pollution, and hospitalization for cardiovascular diseases among elderly people in Denver. Environ Health Perspect 2003; 111: 1312-1317. 26. Forastiere F et al. Socioeconomic status, particulate air pollution, and daily mortality: differential exposure or differential susceptibility. Am J Ind Med. 2007; 50: 208-16. 27. Zanobetti A, Schwartz J. Are diabetics more susceptible to the health effects of airborne particles? Am J Respir Crit Care Med 2001; 164: 831-833 28. Lagorio S et al. Air pollution and lung function among susceptible adult subjects: a panel study. Environ Health 2006;5:11. 29. Peel JL et al. Ambient air pollution and cardiovascular emergency department visits in potentially sensitive groups. Am L Epidemiol 2007; 165: 625-633. 30. Sunyer J et al. Patients with chronic obstructive pulmonary disease are at increased risk of death associated with urban particle air pollution: a case-crossover analysis. Am j epidemiol 2000; 151: 50-56. 31. Kwon H-J et al. Effects of ambient air pollution on daily mortality in a cohort of patients with congestive heart failure. Epidemiology. 2001;12: 413-9. 32. von Klot S et al. Health Effects of Particles on Susceptible Subpopulations (HEAPSS) Study Group. Ambient air pollution is associated with increased risk of hospital cardiac readmissions of myocardial infarction survivors in five European cities. Circulation. 2005; 112:3073-9. Erratum in: Circulation. 2006; 113:e71. 33. Rich DQ et al. Association of ventricular arrhythmias detected by implantable cardioverter defibrillator and ambient air pollutants in the St Louis, Missouri metropolitan area. Occup Environ Med. 2006;63: 591-6. 34. Ruckerl R et al. Ultrafine particles and platelet activation in patients with coronary heart disease, results from a prospective panel study. Particle and fibre toxicol 2007; 4:1 43 Qualità dell’aria e salute ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Ripensare le città per una società che vada oltre la cultura del fossile Le conoscenze che la scienza ci fornisce sono sufficienti per comprendere l’entità dei danni alla salute e anche per mettere a punto strategie di uscita dalla cultura del fossile. Deve affermarsi una cultura dell’agire che parta dalla consapevolezza che la spinta propulsiva delle fonti fossili è davvero esaurita. 44 I prezzi sono troppo alti, i rischi troppo grandi Potrebbe non essere ancora trascorsa la sua metà quando la gente si guarderà indietro chiedendosi come si faceva, all’inizio di questo secolo, a sopravvivere nelle nostre città. Ogni 3 persone c’erano 2 automobili, 23 ore al giorno immobili sotto casa, pronte per portare quasi sempre una sola persona nella maggior parte dei casi per un chilometro o due a prendere le sigarette o fare la spesa bruciando nei motori a scoppio petrolio o nel caso migliore metano. Le case erano riscaldate con mini caldaie da 15/20 o 25 kW alimentate da carburanti fossili con controlli solo nominali sulle emissioni di sostanze inquinanti, i rifiuti finivano, salvo qualche giornale, cartone o bottiglia, in cassonetti all’angolo dove i cittadini potevano liberarsi di tutto quello di cui non avevano bisogno, che era “da buttare”, pagando una modica cifra annuale. I 41.500 morti dal traffico motorizzato nell’Unione europea, di cui 5.000 in Italia, i 46.000 morti dall’inquinamento atmosferico in Europa, di cui 8.000 in Italia, erano un prezzo da pagare al progresso, al benessere, ai posti di lavoro. Guardando indietro sarà difficile dire quale era la causa principale per la svolta verso una società sostenibile: gli sconvolgenti scenari economici del rapporto di Nicolas Stern sui costi dell’ignorare i cambiamenti climatici? la resistenza diffusa contro l’aria irrespirabile nelle città? il quarto rapporto dell’Ipcc? Certo le conoscenze non mancano. Sappiamo tutto. Conosciamo i problemi e conosciamo le soluzioni. Il quarto rapporto dell’Ipcc non lascia dubbi: i cambiamenti climatici sono in atto e le conseguenze di uno scenario business as usual sono inaccettabili in Italia e ancora di più nel sud del mondo. È vero che si tratta di affermazioni probabilistiche, ma è anche vero che le probabilità di conseguenze gravi causa lo spostamento delle zone vegetazionali, l’aumento degli eventi meteorologici estremi, dei periodi di siccità, delle inondazioni sono così alte che le rimanenti insicurezze non possono servire come pretesto per non fare. Sull’ordine del giorno è l’uscita dal fossile, meno non basterà Si comprende facilmente l’esitazione, se non la resistenza, di imboccare in modo deciso una politica del clima, perché mentre qualche associazione ambientalista, ma anche qualche programma dell’Unione europea, fanno credere che si tratti di modifiche abbastanza contenute nello stile di vita, nel nostro modo di fare – usare un po’ meno la macchina e gonfiare un po’ di più le gomme, spegnere la luce e lo stand-by quando si esce, abbassare la temperatura di un grado in casa – diventa sempre più chiaro che per affrontare con successo la minaccia dei cambiamenti climatici ci vuole di più. Molto di più. Gli addetti ai lavori preferiscono usare il gergo inglese e parlare di una società low carbon, che è un altro modo per dire che dobbiamo uscire dal fossile. Impossibile dire oggi fino a che punto si arriverà entro la metà di questo secolo in un tale percorso. La Svizzera punta sulla società a 2.000W, cioè ridurre il consumo di fonti fossili di due terzi entro il 2050, lo scenario di Greenpeace prevede di dimezzare globalmente l’uso del fossile. Obiettivi ambiziosi che giustamente fanno sorgere dei dubbi se la minaccia dei cambiamenti climatici potrebbe non bastare come forza propulsiva per una trasformazione così drammatica della nostra cultura fossile. I cambiamenti climatici, infatti, sono solo una ragione per uscire dal fossile e sarebbe da discutere se è quella più imminente o se non ci sarebbe da preoccuparsi più dell’insicurezza dell’approvvigionamento, delle vicissitudini dei prezzi o degli effetti sulla salute, nel territorio d’estrazione e nei territori di combustione del petrolio, del carbone e del metano. L’insicurezza dell’approvvigionamento e la crescente dipendenza dell’Unione europea dall’importazione di fonti fossili da paesi geopoliticamente instabili era il leitmotiv del libro verde del commissario Layola nel novembre 2000. Sette anni dopo questa preoccupazione non ha perso minimamente di attualità. Anzi. È falsa la naturalezza con la quale si presume che i metanodotti dalla Russia e dall’Algeria ci porteranno anno dopo anno il metano di cui abbiamo bisogno in Italia. Può essere, anzi ce lo auguriamo, ma fidarsene ciecamente è leggero e irresponsabile. O viceversa, una responsabile politica energetica territoriale oggi promuove la produzione di energia sul luogo anche in una prospettiva di possibili restrizioni nel flusso per esempio del metano. Lo scenario dell’Autonomia energetica Altotevere del 2006 era un tentativo di dare consistenza e plausibilità a una prospettiva di crescente indipendenza in un determinato territorio dall’arrivo di energia da lontano. Più vicino al principio di realtà è per esempio un progetto come quello di costruire a Città di Castello una centrale a biomassa legnosa proveniente dai 38.000 ettari di boschi del territorio per procurare caldo, freddo ed elettricità all’ospedale. Un’idea rassicurante per i cittadini sapere che il proprio ospedale rimarrà funzionante anche nell’eventualità che l’arrivo di metano in Italia dovesse subire qualche oscillazione. Lontani dalle visioni catastrofiche Vanno ripensate le nostre città in una prospettiva di uscita dal fossile, dell’efficienza energetica, delle energie rinnovabili e di rifiuti zero. Non in chiave catastrofica – le catastrofi non sono da escludere, ma sono un pessimo punto di partenza per uno sviluppo capace di futuro –, ma nella consapevolezza che il pro- gresso tecnologico permette di garantire forme di trasporto di beni e merci, di servizi energetici per le case e le industrie ad alta efficienza energetica rinunciando progressivamente alle energie fossili per evitare i danni che causano al clima, alla salute e all’economia. Potrebbe rivelarsi un importante punto di svolta la sentenza del Tar della Baviera del giugno di quest’anno che ha dato ragione a un cittadino che aveva fatto causa al Comune di Monaco e al Land della Baviera per l’elevato carico di polveri sottili sotto casa sua nella “Landshuter Allee”, parte del raccordo anulare di Monaco. I giudici hanno sottolineato che l’interesse alla salute di questo e di altri cittadini ha la precedenza sulla libera circolazione di automobili e camion e che non è sufficiente che il Comune e il Land abbiano elaborato dei piani per abbassare le polveri sottili. Il cittadino ha il diritto alla protezione della sua salute con delle azioni immediate e non con dei piani che potrebbero avere effetto chissà quando. Con piccoli passi in avanti e frequenti passi indietro è partito un processo probabilmente irreversibile: l’eliminazione del tra- http://www.utopieconcrete.it sporto motorizzato individuale dai territori urbani, se non con qualche eccezione per i veicoli a emissione zero. Potrebbe sorprendere che un’esperienza d’avanguardia della prima città senz’auto sta per nascere in un paese arabo dove il petrolio non manca: Abu Dhabi. L’ecocity di Masdar, progettata da Norman Foster e Partners sarà la prima città a emissioni e rifiuti zero; nascerà su 600 ettari nello stile delle antiche città murate e con le moderne tecnologie disponibili per garantire un rapido spostamento con il trasporto pubblico a energie rinnovabili, con fermate mai a più di 200 metri di distanza, con strade strette e ombreggiate. Si svilupperà in questo emirato arabo, con i soldi ricavati dalla vendita del petrolio, quello che si potrebbe fare in tante “antiche città murate” dell’Italia. Per concludere Sono reali i segnali di crisi del fossile che ci impongono le nostre città, il modo di produrre e distribuire, i nostri stili di vita. Ma è anche vero che i danni alla salute e all’ambiente della cultura fossile, le minacce dei cambiamenti climatici, della volati- FOTO G. NALDI ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 45 lità del prezzo del petrolio, delle insicurezze geopolitiche di approvvigionamento sono solo un lato della medaglia. L’altro è che tutte le conoscenze, le politiche e le misure per uscire dal fossile esistono. Il nuovo va verso il no carbon anche se nel pacchetto potrebbero trovarsi alcune soluzioni low carbon come quella del sequestro del carbonio. Negli ultimi 150 anni il fossile era il carburante dell’innovazione, oggi le soluzioni innova- http://www.climatealliance.it/ tive puntano sul fare meglio con meno e con il solare. Karl-Ludwig Schibel Alleanza per il clima Alleanza per il Clima è la rete più grande di enti locali e territoriali impegnati nella salvaguardia del clima. Hanno aderito 1500 enti in Europa, 170 in Italia. I partner dell’Alleanza sono i popoli indigeni delle foreste pluviali del bacino amazzonico. Qualità dell’aria e salute ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Piani di risanamento, il quadro nazionale delle misure adottate L’analisi delle misure di risanamento, individuate dalle autorità competenti per il 2004, rivela che la maggior parte degli interventi previsti o realizzati riguarda il settore dei trasporti (54%) e che il livello amministrativo è quello regionale (47%). La scala temporale di riduzione degli inquinanti prevista in seguito all’adozione di tali misure è la combinazione dei tre parametri “breve - medio - lungo termine”. 46 La Direttiva 96/62/CE1, recepita in Italia tramite il Dlgs 351/992, definisce i criteri per la valutazione e la gestione della qualità dell’aria ambiente. Essi si basano su una serie di passaggi che vanno dalla valutazione della qualità dell’aria all’elaborazione di piani e programmi di tutela (piani d’azione, piani di risanamento, piani di mantenimento), i cui contenuti riguar- dano, tra gli altri aspetti, i provvedimenti volti alla tutela della qualità dell’aria e al rispetto dei valori limite imposti per gli inquinanti alla luce delle caratteristiche del territorio e delle sorgenti emissive. L’elaborazione di un piano o programma di risanamento avviene attraverso le seguenti fasi: - fase conoscitiva, che comprende l’analisi del quadro normativo, delle Tab. 1 - Trasmissione dei questionari sui Piani o Programmi di risanamento. Anni 2001-2005. Fonte: elaborazione Apat su dati forniti dalle Regioni/Province autonome Anno di riferimento del piano 2001 2002 2003 2004 2005a Anno trasmissione questionario 2003 2004 2005 2006 2007 Piemonte SI SI SI SI SI Valle d’Aosta * * * * NO Lombardia SI SI SI SI SI Bolzano * * * SI NO Trento * * * SI SI Veneto SI SI SI SI NO Friuli Venezia Giulia * SI SI SI SI Liguria SI SI SI SI SI Emilia-Romagna SI SI SI SI SI Toscana SI SI SI SI SI Umbria SI SI SI SI NO Marche SI SI SI SI SI Lazio SI SI SI SI SI Abruzzo SI SI SI SI NO Molise * * NO ** ** Campania SI SI SI SI SI Puglia SI SI SI SI NO Basilicata * * * * NO Calabria * * * NO * Sicilia SI SI NO NO NO Sardegna SI SI SI SI NO Legenda: a Dati provvisori: l’invio da parte delle regioni è ancora in corso * Assenza di superamenti, nessun obbligo di piano ** Mancata comunicazione di informazioni caratteristiche del territorio, delle fonti di emissione degli inquinanti in aria (inventari delle emissioni), delle condizioni climatiche e meteorologiche tipiche del territorio - fase valutativa, che consiste nella valutazione della qualità dell’aria effettuata mediante misure puntuali di concentrazione fornite dalla rete di rilevamento e mediante tecniche di modellazione - fase propositiva, che comprende l’analisi degli scenari e i provvedimenti o “misure” di risanamento che la regione ha individuato e adottato. Secondo quanto contenuto nel Dlgs 351/1999 (art. 12, comma 3) le regioni e le province autonome devono trasmettere, per il tramite Apat, i piani e/o i programmi di risanamento della qualità dell’aria al ministero della Salute (MINSAL) e al ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM) entro diciotto mesi dalla fine dell’anno durante il quale è stato registrato il superamento del VL + MDT3; il MATTM a sua volta, trasmette i piani e i programmi di risanamento alla Commissione europea entro due anni dalla fine di ciascun anno in cui si è registrato il superamento del VL + MDT. Le informazioni sui piani o programmi vengono trasmesse secondo le modalità stabilite dalla Decisione 2004/224/CE, attraverso un questionario, indicato come questionario sui piani e programmi di risanamento o questionario PPs, costituito da sette moduli in cui vengono riportate in modo sintetico tutte le informazioni contenute nei piani: “il modulo 1 fornisce informazioni generali sul piano o sul programma in questione; nei moduli da 2 a 6 ogni colonna descrive una situazione di superamento presa in considerazione dal piano o dal programma, mentre ogni riga contiene un elemento descrittivo della situazione di superamento; nei moduli 5, 6 e 7 sono descritte sinteticamente le singole misure” [Decisione 2004/224/CE]. In tabella 1 è stata rappresentata la situazione relativa alla trasmissione delle informazioni (questionari) sui piani di risanamento dall’anno 2001 al 2005 (per quest’ultimo anno la trasmissione da parte delle Regioni è ancora in corso). Il Dlgs 351/1999 impone a Regioni e Province autonome di prevedere e adottare misure di risanamento atte a garantire il miglioramento della qualità dell’aria nelle zone in cui i livelli di uno o più inquinanti superano i valori limite fissati dalla normativa. Il formato stabilito dalla Decisione 2004/224/CE richiede che ogni provvedimento adottato venga identificato, in base alla sua tipologia, secondo la seguente classificazione: A - economico/fiscale B - tecnico C - educazione/informazione D - altro Dall’analisi (figura 1) è risultato che per il 2004 su un totale di 221 misure il 27% è di tipo tecnico, mentre il 23% dei provvedimenti non è stato classificato secondo una delle quattro tipologie sopra indicate, ma con una “combinazione” di queste (es: A-B-C, A-B, B-D, ecc.) e infine il 32% è classificato sotto la voce altro. All’interno del questionario per ogni provvedimento è riportato il livello amministrativo al quale è possibile adottarlo. Dalla figura 2 si osserva che, sempre per il 2004, il 47% delle misure è stato attuato a livello regionale (B), il 39% a livello locale (A) e solo l’1% a livello nazionale (C). Da notare che nel 12% dei casi le misure sono state adottate da più amministrazioni a diversi livelli. Un altro dato interessante ai fini della descrizione delle misure di risanamento adottate è la scala temporale di riduzione degli inquinanti, ossia il periodo di tempo previsto affinché quel dato provvedimento determini una riduzione ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 all’interno delle singole regioni: l’Emilia-Romagna, risulta la regione che ha realizzato il maggior numero di interventi a favore della mobilità sostenibile (22), seguita dalla Lombardia (21). Fig. 1 Tipologia di misure adottate Fig. 2 Livello amministrativo della misura adottata Fig. 3 Scala temporale delle riduzioni delle concentrazioni di inquinanti in aria. La scala temporale può essere a breve termine (A), medio termine (circa un anno) (B) o lungo termine (C). Dall’analisi effettuata è risultato che nel 35% dei casi non è stata indicata un’unica scala temporale ma una combinazione di “scale”; gli interventi a lungo termine (C) rappresentano il 30% dei casi, mentre quelli a medio e a breve termine rispettivamente il 17% e il 15% (figura 3). Per ogni provvedimento deve poi essere individuato il settore in cui esso ricade: Trasporti, Industria, Agricoltura, Attività commerciali e domestiche, Altro; si è rilevato che il 54% dei provvedimenti riguarda il settore dei Trasporti. Disaggregando i dati al livello regionale dal 2001 al 2005 risulta che la Lombardia è la regione che ha adottato il numero maggiore di provvedimenti (62 nel 2005), seguita da Emilia-Romagna (36), Piemonte (32) e Lazio (19). 9. Utilizzo di sistemi telematici di supporto per la mobilità sostenibile 10. Redazione Piano urbano del traffico (PUT) 11. Redazione del Piano urbano della mobilità (PUM) 12. Regolamentazione della distribuzione delle merci nei centri urbani. Un approfondimento è stato dedicato alle misure che riguardano il settore Trasporti (le più adottate dalle regioni), e in particolare quelle che promuovono la mobilità sostenibile4 e cioè: 1. Il controllo dei parametri emissivi dei gas di scarico di tutti gli autoveicoli - Bollino blu 2. Interventi a favore della mobilità alternativa5 3. Provvedimenti di limitazione del traffico 4. Misure di carattere strutturale per la mobilità 5. Incentivi per l’utilizzo del trasporto pubblico locale (TPL) 6. Promozione e diffusione di mezzi di trasporto merci a Basso Impatto Ambientale (BIA) 7. Promozione e diffusione di mezzi di trasporto privato a BIA 8. Promozione e diffusione di mezzi di trasporto pubblico a BIA Dal quadro complessivo (anno 2004) delle misure attuate nell’ambito della mobilità sostenibile a livello nazionale – suddivise per le 12 tipologie individuate – emerge che le iniziative più adottate dalle regioni (16%) sono risultate quelle a favore della mobilità alternativa, seguite dai provvedimenti di promozione e diffusione di mezzi di trasporto privato a basso impatto ambientale (15%) e da quelli di limitazione del traffico e di promozione e diffusione di mezzi di trasporto pubblico a BIA (14%). La figura 4 mostra la ripartizione delle misure di mobilità sostenibile Legenda Numero di misure adottate 25 Regolamentazione della distribuzione delle merci Redazione del piano urbano della mobilità 20 Redazione del piano urbano del traffico (PUT) 15 Realizzazione di sistemi telematici di supporto per la mobilità sostenibile Promozione e diffusione di mezzi di trasporto pubblico a BIA 10 Promozione e diffusione di mezzi di trasporto privato a BIA Promozione e diffusione di mezzi di trasporto merci a BIA 5 Misure di carattere strutturale per la mobilità Fig. 4 Misure di risanamento nell’ambito della mobilità sostenibile per regione Puglia Campania Abruzzo Lazio Marche Umbria Toscana Emilia Romagna Liguria Friuli Venezia Giulia Veneto Provincia di Trento Provincia di Bolzano Piemonte Lombardia 0 Limitazione del traffico Interventi a favore della mobilità alternativa Incentivi per l’utilizzo del TPL Bollino blu Concludendo dall’analisi delle misure di risanamento, che le autorità locali competenti hanno individuato per il 2004, è emerso che la maggior parte degli interventi riportati nei questionari riguarda il settore Trasporti (54%); il livello amministrativo a cui è possibile ricondurli è in genere di tipo regionale (47%); inoltre, la scala temporale di riduzione degli inquinanti, prevista in seguito all’adozione di tali misure è da ricondursi, soprattutto (35%), a una combinazione dei tre parametri “breve - medio lungo termine”. Analizzando in particolare i provvedimenti che promuovono la mobilità sostenibile, le iniziative più adottate dalle regioni (16%) sono risultate quelle a favore della mobilità alternativa (car sharing, car pooling, taxi collettivo, servizi a chiamata, ciclomobilità), seguite dai provvedimenti di promozione e diffusione di trasporto privato a basso impatto ambientale. In questo caso l’Emilia-Romagna, si è dimostrata, la regione più sensibile a tali interventi, seguita dalla Lombardia. Patrizia Bonanni Maria Carmela Cusano Roberto Daffinà Cristina Sarti Settore Piani di risanamento e impatti, Apat NOTE 1 Direttiva 1996/62/CE del Consiglio del 27 settembre 1996 in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente - Gazzetta ufficiale L 296 del 21/11/1996 2 Attuazione della direttiva 96/62/CE in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente - G.U. 13 Ottobre 1999, n.241 3 VL + MDT: valore limite di concentrazione di inquinante aumentato del margine di tolleranza 4 Con l’espressione mobilità sostenibile si intende “un sistema di trasporto e movimentazione di merci e persone che sia capace di assicurare a ciascuno l'esercizio del proprio diritto alla mobilità e che tenga conto degli aspetti economici e sociali, del consumo delle risorse e dell’impatto sull’ambiente”. 5 Esempi di interventi a favore della mobilità alternativa: iniziative per la ciclomobilità, sistemi di trasporto collettivo, car sharing, car pooling, servizi a chiamata, taxi collettivo. 47 Qualità dell’aria e salute ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Accordo di programma 2006-2009, oltre gli interventi di breve termine 48 L’Accordo di programma sulla qualità dell’aria per il triennio 2006-2009 – il cui aggiornamento 2007-2008 è stato sottoscritto il 31 luglio 2007 – costituisce il proseguimento di un percorso avviato dal sistema Regione-Enti locali fin dal 2002 e che si esaurirà, presumibilmente, alla fine del 2009. Gli Accordi di programma, sottoforma di strumenti volontari, nascono dall’esigenza di dare concreta attuazione all’art. 7 del Dlgs 351/99 (Piani d’azione), in attesa della definizione dei Piani provinciali di tutela e risanamento della qualità dell’aria (art. 8) che, proprio in questi giorni, hanno completato il processo di approvazione. Si fa riferimento, in particolare, ai commi 2 e 3 in cui si prevede “l’adozione di misure da attuare nel breve periodo, affinché sia ridotto il rischio di superamento dei valori limite e delle soglie di allarme e, se del caso, prevedere misure di controllo e di sospensione delle attività, ivi compreso il traffico veicolare”. In verità lo strumento messo in campo dalla Regione EmiliaRomagna, in accordo con gli Enti locali, è molto più di un piano d’azione vero e proprio, avendo stanziato anche cospicue risorse per interventi strutturali di medio e lungo periodo, che hanno, successivamente, trovato coerenza e sinergia con quelli previsti nei piani provinciali di tutela e risanamento della qualità dell’aria. Infatti, nel triennio 2003- 2005 la Regione Emilia-Romagna ha stanziato risorse proprie per oltre 94 milioni di euro per la realizzazione di oltre 215,5 milioni di euro di investimenti. Gli Accordi più recenti infatti sono stati redatti anche sulla base delle linee indicate dalla Commissione europea in tema di ambiente urbano, sintetizzati nella Comunicazione Verso una strategia tematica sull'ambiente urbano. In tale Comunicazione si afferma che l'ambiente urbano costituisce una priorità le cui strategie di intervento vanno integrate con tutte le altre azioni che riguardano, più in generale, l’intero territorio regionale. I settori prioritari nei quali è possibile ottenere i progressi più significativi sono rappresentati da: • trasporto urbano sostenibile e logistica urbana • edilizia sostenibile ed energia • produzione sostenibile. Sul primo punto, anche il recente Accordo, sottoscritto il 31/07/2007, ha confermato e implementato importanti iniziative alcune delle quali vengono di seguito elencate: 1. il consolidamento del controllo annuale dei gas di scarico (bollino blu) dei veicoli dei cittadini regionali 2. la promozione e il sostegno all’uso del Trasporto pubblico locale (TPL), in coerenza con l’ Atto di indirizzo triennale 20072009 in materia di programmazione e amministrazione del trasporto pubblico regionale, mediante: a) un aumento del 20% dei servizi ferroviari e un incremento delle risorse per il TPL di almeno il 5% da raggiungere nel triennio b) il potenziamento e ammodernamento dei veicoli del Trasporto pubblico, anche mediante la riqualificazione del parco esistente, per il miglioramento dell’accessibilità e l’utilizzazione di mezzi a basso impatto ambientale FOTO: WWW.SFM.PROVINCIA.BOLOGNA.IT L’Accordo di programma sulla qualità dell’aria per il triennio 2006-2009 prosegue un percorso avviato dalla Regione Emilia-Romagna e dagli enti locali fin dal 2002. Oltre alle azioni a breve termine è previsto lo stanziamento di cospicue risorse per interventi strutturali di medio e lungo periodo nei settori prioritari: trasporto urbano sostenibile e logistica urbana, edilizia sostenibile ed energia, produzione sostenibile. Per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Ue è necessaria un’azione concertata tra tutte le Regioni coinvolte. L’Accordo stipulato tra tutte le Regioni padane e le Province autonome di Trento e Bolzano è un passo importante in questa direzione. c) la realizzazione di infrastrutture che favoriscano l'uso del mezzo pubblico, come le corsie riservate e controllate, i sistemi di preferenziamento semaforico e di gestione delle flotte del Trasporto pubblico. 3. interventi negli ambiti territoriali interessati con misure, finalizzate: - al governo degli accessi e dei percorsi, per regolare nel modo migliore l’uso delle infrastrutture viarie, mediante definizione di finestre orarie, realizzazione e riserva di corsie e piazzole dedicate, definizione di percorsi ottimizzati da consigliare o imporre a determinate categorie di veicoli - alla riduzione delle emissioni prodotte dai veicoli commerciali, mediante azioni di stimolo alla sostituzione o alla trasformazione del parco mezzi, verso veicoli a basso impatto. Sul versante dell’edilizia sostenibile e del risparmio energetico si richiama: a) il miglioramento del rendimento energetico in campo residenziale anche proseguendo la campagna “calore pulito” avviata dalla Regione per il controllo degli impianti di riscaldamento domestico b) l’introduzione nei regolamenti edilizi comunali, di rigorosi standard di prestazione di rendimento energetico c) la previsione per i nuovi insediamenti abitativi, accanto alle tradizionali opere di urbanizzazione, di nuove "reti energetiche" per il teleriscaldamento e la cogenerazione. Queste sono solo alcune delle azioni previste negli Accordi che hanno trovato una maggiore declinazione nei Piani provinciali di tutela e risanamento della qualità dell’aria e in coerenza con la pianificazione sovraordinata (Piano energetico regionale e Piano regionale integrato dei trasporti). Non va sottovalutato il fatto che pur operando in settori prioritari, anche attraverso una sinergia di intervento dei vari Piani regionali e provinciali, la problematicità meteoclimatica dell’intero bacino padano non consente il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla Ue senza un’azione concertata e resa sistemica da parte di tutte le Regioni del bacino. Da qui la stipula dell’Accordo tra tutte le Regioni padane e le Pro- ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 vince autonome di Trento e Bolzano per sviluppare alcune tematiche di primario interesse quali: a) condivisione dell’inventario delle emissioni, con l’utilizzo del modello INEMAR e in successione il confronto dei risultati della modellazione mediante l’ottimizzazione delle catene di modelli, la valutazione di scenari per piani/programmi b) definizione dei contenuti dell’autorizzazione in via generale per impianti termici civili da adottare entro il 29 luglio 2007, come disposto dall’art. 281, c. 3 del Dlgs 152/2006 c) definizione di standard emissivi comuni per le sorgenti puntuali, con particolare riferimento ai grandi impianti tesi alla riduzione delle emissioni di ossidi di azoto d) definizione di una regolamentazione per l’utilizzo a fini energetici della “risorsa” legna da ardere e biomassa e) individuazioni di criteri comuni sulla certificazione energetica degli edifici a partire dalle esperienze già consolidate sui vari territori. Il tavolo di bacino, inoltre, intende formalizzare al Governo la richiesta di avviare un tavolo di concertazione per affrontare organicamente il problema del- l’inquinamento originato dal traffico autostradale sia nell’immediato, con misure di riduzione della velocità massima, sia in prospettiva, con interventi fiscali sui mezzi più inquinanti. Sul versante delle azioni a breve termine, anche sulla base della positiva esperienza dell’Accordo 2006-2007, sono state confermate le limitazioni dei veicoli Euro 0 e diesel Euro 1 dal lunedì al venerdì in tutto il semestre che va da ottobre a marzo e la limitazione della circolazione il giovedì nel periodo gennaio-marzo. In particolare il blocco program- Quadro della pianificazione regionale in materia di qualità dell’aria Affidamento alle Province delle competenze in materia di qualità dell’aria. La Regione mantiene il coordinamento e le linee di indirizzo in materia. Artt. 121 e 122 - LR 3 del 21/04/’99 “Valutazione preliminare della qualità dell’aria” a livello provinciale e “zonizzazione” del territorio di ogni Provincia Accordo di programma sulla qualità dell’aria “Per la gestione delle emergenze da PM10 e per il progressivo allineamento ai valori fissati dalla UE al 2005 di cui al DM 02/04/2002, n.60” Piano di azione Nel periodo invernale. 1. Fermo auto inquinanti 2. Fermo scooter inquinanti 3- Blocco totale del traffico programmato almeno un giorno a settimana Azioni strutturali per il risanamento della qualità dell’aria - Mobilità sostenibile e logistica della distribuzione merci (11 linee di indirizzo) - edilizia sostenibile e risparmio energetico (6 linee di indirizzo) - attività produttive e aziende di servizi (7 linee di indirizzo) Definizione degli obiettivi regionali di miglioramento e individuazione degli scenari tra cui quello di riduzione minima degli inquinanti per raggiungere gli obiettivi fissati nella normativa Accordo di Bacino Padano Le azioni già attuate o in fase di sviluppo si inseriscono tra quelle dei piani di azione e quelle strutturali L’efficacia delle azioni individuate nei piani provinciali e di quelle individuate in ambito regionale, classificate per macroaree, viene valutata all’interno dell’intero bacino. Avvio del processo di realizzazione dei piani provinciali per il risanamento della qualità dell’aria da parte della Regione Nove piani provinciali adottati È stato seguito un percorso che prevede il coinvolgimento della società civile e la verifica da parte della Regione degli obiettivi previsti Le azioni individuate - previste nelle linee di indirizzo e negli accordi di programma - relative a specifiche criticità presenti nell’area (es. comparto ceramiche, petrolchimico e altro) Scenari qualità aria Scenario di piano regionale Costi mato della circolazione il giovedì, revocato solo in particolari situazioni meteo (neve ecc.) è risultato maggiormente incisivo, così come confermato dalle analisi statistiche effettuate da Arpa a fine campagna, per cui si è ritenuto opportuno confermarne la validità anche per la stagione 2007-2008. Inoltre, a partire dal 7 gennaio e fino a fine marzo, è stata introdotta una ulteriore limitazione della circolazione dal lunedì al venerdì dei veicoli diesel Euro 2. I sottoscrittori dell’Accordo hanno voluto, infine, ribadire che fino al termine di validità del medesimo – e fino alla fine della legislatura – non verranno introdotti ulteriori provvedimenti di limitazione della circolazione. Sul versante degli incentivi, occorre ricordare che anche nel bilancio 2008 saranno stanziati gli ultimi 5 milioni di euro dei 15 previsti per le conversioni dei veicoli a benzina, fino a Euro 3, con metano e gpl, per raggiungere così l’obiettivo previsto di oltre 30.000 trasformazioni. Il processo di adeguamento della rete di rilevamento della qualità dell’aria, che vede un investimento regionale di 3 milioni di euro, è in fase di avanzata attuazione così che, a partire dal 2008, si potrà cominciare a monitorare anche il PM2,5. Occorre ricordare, in conclusione, che è in corso di perfezionamento l’Accordo di programma tra ministero dell’Ambiente e Regione Emilia-Romagna, ai sensi del Dm 16/10/2006 Programma di finanziamenti per le esigenze di tutela ambientale connesse con il miglioramento della qualità dell'aria e la riduzione di materiale particolato in atmosfera nei centri urbani” che prevede il cofinanaziamento da parte del ministero dell’Ambiente di interventi previsti nei Piani provinciali di tutela e risanamento della qualità dell’aria, per un importo di 15 milioni di euro. Sergio Garagnani Regione Emilia-Romagna 49 Qualità dell’aria e salute ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Arpa, l’attività di supporto alla Regione per la gestione della qualità dell’aria Parlare di qualità dell’aria oggigiorno significa sicuramente parlare di qualcosa di differente rispetto a solo qualche anno fa: le competenze, le conoscenze e gli strumenti di valutazione sono sicuramente cambiati e migliorati, come differente è l’inquinamento che misuriamo. Nel discorrere comune siamo infatti sempre portati a considerare l’inquinamento come un’entità unica che soggiace sempre alle medesime regole più che alla somma di inquinanti che, oltre a interagire tra di loro, rispondono a leggi differenti. Questo porta inevitabilmente, per giungere alla comprensione delle regole che governano la sua produzione e diffusione, a valutare con attenzione le caratteristiche chimico-fisiche e le interazioni in atmosfera di ciascun inquinante. L’elemento determinante che ci consente di governare i fenomeni che cerchiamo di contrastare è inevitabilmente il fattore di scala inteso come la corretta comprensione dell’estensione del fenomeno e dell’entità delle azioni necessarie per contrastarlo. Gli inquinanti che oggi sono predominanti nell’aria che respiriamo risultano avere grosse componenti secondarie e quindi interagire su ampie aree del territorio. Se la maggior parte degli inquinanti primari risulta sotto controllo – grazie al lavoro di riduzione delle emissioni, attuato con le varie politiche per la qualità dell’aria adottate nel corso degli anni – relativamente a questa forma di inquinamento non possiamo utilizzare l’ambito locale, ma dobbiamo necessariamente ragionare su aree di territorio che, sostanzialmente, includono l’intero bacino padano. I piani di risanamento della qualità dell’aria sviluppati a livello locale non possono che vedere il successo nella loro integrazione mediante l’applicazione di azioni comuni su scale più grandi come quelle regionali o, nel caso della pianura padana, di bacino. Insediamenti di grossi impianti di combustione – siano essi volti alla produzione di energia o d’altro – possono avere ripercussioni su aree più vaste del territorio di quelle semplicemente previste nella loro insediazione. Azioni con finalità differenti, se non governate nella loro complessità, possono indurre risultati differenti. La combustione di biomasse – sebbene produca effetti positivi per la riduzione dell’anidride carbonica, come previsto dal protocollo di Kyoto – se non è completamente governata, imbocca una strada sicuramente contraria alla risoluzione del problema delle emissioni di PM10, a causa dell’elevato fattore di emissione specifico dell’attività di combustione della legna. Coerenza deve diventare la parola chiave di tutto il processo: coerenza spaziale, ovvero azioni integrate su ampie aree di territorio, e coerenza gerarchica delle azioni previste come integrazione dei vari gradi di responsabilità necessari al governo del processo, dal livello nazionale al comunale. Servono nuovi strumenti tecnici che ci consentano di capire e governare una materia così complessa: questa è la sfida che Arpa Emilia-Romagna si trova a dover affrontare. Riuscire ad avere strumenti di valutazione efficaci per l’individuazione e la valutazione delle politiche necessarie al risanamento della qualità dell’aria è ormai indispensabile. Le attività di Arpa diventano, quindi, fondamentali per cercare la massima integrazione delle azioni ai vari livelli e sulle differenti scale su cui si articola il fenomeno. Un’agenzia quindi non più esclusivamente impegnata nella misurazione dello stato – area in cui il supporto continua comunque a essere fondamentale, come testimonia il progetto di ristrutturazione della rete di misura regionale attualmente in corso – ma anche in prima linea nella messa a punto di strumenti di valutazione delle proposte e delle azioni decisive per il risanamento dell’aria. Arpa diventa sempre più importante nel supporto alle Province nella definizione dei Piani di risanamento della qualità dell’aria, alla Regione nella definizione del Piano regionale derivante dall’intersezione dei nove piani provinciali, partecipando nel contempo alle attività del Tavolo di bacino padano, al Tavolo tecnico del ministero dell’Ambiente sulla qualità dell’aria e collaborando con Apat per individuare una lettura del territorio nazionale, con l’obiettivo di creare scenari di risanamento congrui e integrati. Le attività finora svolte hanno permesso ad Arpa, grazie alle competenze dei tecnici delle varie Sezioni provinciali, di essere presente in ciascuna provincia e di fornire il necessario supporto in fase di realizzazione del quadro conoscitivo sulla qualità dell’aria, ma anche di mettere a punto strumenti di valutazione delle singole azioni locali più significative. Sono state sviluppate metodologie d’analisi per la stima del risparmio in termini di “inquinanti non emessi”, valutando sia i determinanti più significativi in ciascuna area del territorio, sia gli effetti di strutture di valenza sovra provin- ciale quali le autostrade o gli impianti di produzione di energia. Nel contempo è stato attivato a livello regionale un gruppo di lavoro – formato dall’Eccellenza Valutazione e gestione della qualità dell’aria, dall’Area Modellistica ambientale del Servizio IdroMeteo, che ha messo a punto la modellistica regionale per la qualità dell’aria, e dall’Area Atmosfera e rumore di Ingegneria ambientale, che si occupa degli inventari regionali delle emissioni in atmosfera – per mettere a punto un’analisi integrata dei piani di risanamento provinciali. Questo contributo è stato ritenuto necessario per elaborare un piano regionale delle azioni previste per il risanamento della qualità dell’aria che illustrasse, oltre che i finanziamenti necessari alla realizzazione delle attività, anche una stima dei benefici ottenibili. Lo sviluppo tecnico raggiunto ha posto Arpa Emilia-Romagna tra le più avanzate realtà nel campo della valutazione e stima degli scenari sulla qualità dell’aria, al punto da essere individuata come capofila nell’ambito dei progetti interagenziali di Apat per la parte di modellazione della qualità dell’aria nell’area del nord Italia. La competenza sviluppata si è t 50 FOTO ARCH. ARPA EMILIA-ROMAGNA Le conoscenze e gli strumenti di valutazione della qualità dell'aria sono migliorati sensibilmente nel giro di pochi anni. Questo ha portato alla necessità di valutare un elemento essenziale per la comprensione dell'inquinamento: l'ampiezza di scala dei fenomeni osservati. Gli inquinanti predominanti nell’aria che respiriamo risultano avere significative quantità di componenti secondarie che ci obbligano a ragionare considerando l’intero bacino padano. Servono nuovi strumenti tecnici per capire e governare una materia così complessa: questa è la sfida che Arpa Emilia-Romagna sta affrontando. Fornire uno strumento unico di analisi della matrice che comprenda i modelli, gli inventari e le azioni è l’obiettivo di un progetto presentato di recente al ministero dell’Ambiente. ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 La rete regionale di monitoraggio verso la configurazione definitiva degli interventi di tutela, risanamento e miglioramento della qualità dell’aria. Perseguendo quindi tali obiettivi e nel contempo volendo fornire ai cittadini il massimo delle informazioni possibili in materia, la Regione Emilia-Romagna, in accordo con i Comuni e le Province del territorio, e con il supporto tecnico di Arpa, ha predisposto quella che sarà la nuova rete di monitoraggio della qualità dell’aria per gli anni futuri. L’evoluzione necessaria è stata progettata individuando i punti di misura più significativi all’interno delle stazioni esistenti sul territorio e individuando nuovi siti ad hoc che consentano una lettura uniforme dell’inquinamento dell’aria sul territorio sia per la protezione della salute, sia per la protezione degli ecosistemi naturali. Questo è stato possibile grazie alla consapevolezza maturata, anche a livello normativo, che un approccio troppo localistico al problema – e nel nostro caso prioritariamente provinciale e comunale – crea reti con punti di misura ridondanti e poco distribuiti sul territorio. Ciò determina maggiori costi operativi e valutazioni non omogenee sul territorio. La rete deve essere rappresentativa delle singole realtà, che devono poter essere confrontate e lette sull’intero territorio; non può essere la semplice somma di stazioni comunali e provinciali, ma deve essere una rete omogenea e integrata. t (segue a pag. successiva) quindi dimostrata utile anche per supportare la Regione EmiliaRomagna nel Tavolo tecnico del bacino padano sulla qualità dell’aria. Il Tavolo, creato a supporto dell’accordo siglato agli inizi del 2007, ha definito una serie di attività – quali l’individuazione di modalità di autorizzazione comparabili, relativamente a determinati impianti produttivi – e la valutazione di una serie di azioni di risanamento della qualità dell’aria, definite in modo comune, in cui Arpa Emilia-Romagna ha potuto garantire la competenza e la capacità di elaborare strumenti che, oltre che essere significativi dal punto di vista tecnico, hanno permesso d’individuare alcune indicazioni sull’entità degli interventi da porre in atto fruibili a tutte le scale. Le attività di Arpa a supporto della Regione proseguono anche nella definizione di un progetto di bilancio ambientale degli Accordi di programma sulla qualità dell’aria siglati tra Regione, Province, Comuni capoluogo e con più di 50.000 abitanti. La novità è costituita dalla consapevolezza di quanto sia fondamentale il processo di rendicontazione, cioè la capacità di verificare se le azioni messe in atto abbiano migliorato l’ambiente, e di misurare tali eventuali miglioramenti. La “rendicontazione ambientale” è applicabile anche a piani e programmi di attività e, insieme alla conoscenza dei dati e all’applicazione modellistica per la costruzione di scenari, costituisce un formidabile strumento di controllo dell’efficacia delle azioni proposte. Tali strumenti diventano assolutamente necessari in un contesto pubblico caratterizzato da limitate risorse da investire, nel quale dunque è necessario scegliere – fra tutte le attività possibili – quelle in grado di fornire i risultati più significativi di miglioramento ambientale. Il ruolo svolto da Arpa è essenziale, in questa prospettiva di focalizzazione su metodi, dati e scenari, e l’Agenzia potrà svolgere con sempre più efficacia il proprio ruolo di supporto per consentire ai decisori politici scelte sempre più coerenti con i criteri della sostenibilità. In conclusione, la sfida più complessa al momento progettata è quella di mettere a regime, in un contesto fruibile e integrato, tutte le attività finora realizzate su modelli, inventari, azioni, in modo da fornire uno strumento unico di analisi della matrice che consenta un utilizzo dello schema DPSIR (Determinanti, Pressioni, Stato, Impatti, Risposte) non tanto a scopo esclusivamente accademico, quanto operativo e incisivo nell’in- 51 dividuazione di politiche che consentano a tutti i cittadini di vivere meglio, in un territorio in cui l’attenzione per la qualità dell’aria non sia limitata al dato misurato, ma si sposti sempre più sugli interventi da realizzare e sulla loro efficacia. Questo, in sostanza, il contenuto di un progetto integrato messo a punto da Arpa recentemente presentato dalla Regione EmiliaRomagna al ministero dell’Ambiente, ai sensi del decreto ministeriale del 16/10/2006 “Programma di finanziamenti per le esigenze di tutela ambientale connesse al miglioramento della qualità dell'aria e alla riduzione delle emissioni di materiale particolato in atmosfera nei centri urbani”. Eriberto de’ Munari Arpa Emilia-Romagna t L’evoluzione degli strumenti atti a monitorare lo stato dell’ambiente ha seguito un percorso parallelo al mutamento delle caratteristiche dell’inquinamento atmosferico e della normativa a esso associata (tabella 1). Punti chiave dell’attuale impianto normativo sono: • la suddivisione del territorio regionale in Zone, aree omogenee per caratteristiche di qualità dell’aria • la valutazione della qualità dell’aria, intesa come un processo che – attraverso metodologie di misura, calcolo e stima – è in grado di stimare il livello di un inquinante nell’aria ambiente • la gestione della qualità dell’aria, l’insieme delle azioni intraprese alle diverse scale istituzionali finalizzate ad affrontare in modo sistematico e dinamico la programmazione e la pianificazione FOTO ARCH. ARPA EMILIA-ROMAGNA Definito lo schema di configurazione definitiva della rete regionale di monitoraggio della qualità dell’aria, il 29 maggio è stato firmato il contratto per la realizzazione della prima fase di ristrutturazione, che corrisponde a un finanziamento di 1.549.000 euro; rispetto al progetto originale, resta invariato il numero delle stazioni di misura (63). I 207 analizzatori previsti sono individuati secondo criteri volti a ottenere informazioni più rappresentative di realtà territoriali omogenee e meglio confrontabili. Qualità dell’aria e salute ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Tab. 1 - Sintesi dell’evoluzione degli strumenti di monitoraggio, della conoscenza sulle caratteristiche dell’inquinamento atmosferico e della normativa associata Periodo Normativa Monitoraggio Prodotto dai grandi impianti industriali e in particolare dai grandi impianti di combustione e dalle raffinerie, PTS, SO2 Legge 615/1966, la cosiddetta legge antismog e successivo decreto di attuazione Dpr 322/1971. L’esigenza primaria era il controllo del rispetto dei limiti dell’inquinamento prodotto dal singolo impianto in determinate aree del territorio nazionale Fine anni 70-80 PTS, SO2, CO Dpcm del 28 marzo 1983: concetto di SQA, non limiti dovuti al contributo del singolo impianto, ma limiti e valori guida derivanti dal contributo globale delle diverse sorgenti, validi su tutto il territorio nazionale. Nascita delle prime reti locali Anni 90 miglioramento della qualità dei combustibili e, limitazioni alle emissioni,crescita incontrollata del numero di veicoli circolanti PTS, NO2, CO, O3, microinquinanti Nascita del ministero dell’Ambiente nel 1986: Dpcm 1991 + numero incontrollato di decreti e ordinanze ministeriali Creazione di tutte le reti provinciali in regione Fine anni 90 a oggi NO2, PM10, PM2,5, O3, IPA, metalli pesanti Anni 60-70 52 Inquinamento Non solo, rispetto alla configurazione attuale – in cui sono sostanzialmente analizzate esclusivamente le criticità dei sistemi urbani più grandi, tipicamente i capoluoghi di provincia – si è passati a misure più diffuse per ottenere informazioni anche sulle Zone A e Zone B del territorio. Nella progettazione del nuovo assetto regionale è prevista una configurazione di base, che vede una struttura della rete analoga per ciascuna provincia rispondente alle precise necessità del territorio indagato; a tal fine sono state individuate almeno 3 stazioni (Fondo urbano, Fondo residenziale e Traffico) per ciascun Agglomerato, almeno 2 stazioni (Fondo suburbano e Fondo rurale) per le Zone A e almeno una stazione di Fondo remoto ogni due province, situate nelle aree appenniniche o nelle aree verdi del delta del Po. Dalla prima ipotesi si è proceduto a un ulteriore adattamento della rete mediante confronti a livello provinciale e comunale che hanno portato alla configurazione definitiva proposta. Il 29 maggio 2007 è stato firmato il contratto per la realizzazione della prima fase relativa alla ristrutturazione della rete regionale di moni- Zonizzazione del territorio, redazione di un progetto regionale per la costituzione di un sistema integrato di monitoraggio Dlgs 351/1999 Dm 60/2002 Dlgs 183/2004 richieste per le centraline (si va dai parchi naturali ai centri storici). Nonostante il forte impegno finanziario sostenuto della Regione per l’attuazione di tale progetto, una fonte importante di preoccupazione risulta essere l’anzianità strumentale della rete regionale. Il processo di gestione della rete attualmente in essere non ha mai visto infatti attivare processi di revamping e aggiornamento della strumentazione presente, se non in caso di rotture manifeste e palesi degli strumenti. Questo ha portato nel tempo sostanzialmente a un aumento delle stazioni presenti, ma non a un rinnovo delle esistenti cosicché attualmente sulla toraggio della qualità dell’aria, corrispondente a un finanziamento di 1.549.000 euro; per la seconda fase (fondi previsti pari a 2.032.400 euro) in accordo con la Regione, si è ipotizzato un avvio nel 2008, al termine della realizzazione della prima tranche, che dovrebbe attuarsi entro il 31.12.2007 o al più tardi nel primo trimestre 2008. La principale criticità riscontrata in questa prima fase è stata l’allungamento dei tempi e le differenti modalità nell’espletamento delle procedure autorizzatorie da parte dei soggetti istituzionali; sono infatti diverse le procedure adottate dai Comuni, anche in funzione delle differenti collocazioni rete sono attualmente presenti circa l’80% di strumenti con più di 10 anni di funzionamento e ciò si ripercuote sulla frequenza della manutenzione e conseguentemente sulla percentuale di dati validi. Si è così giunti alla conclusione di rivedere l’assetto strumentale delle stazioni giungendo alla proposta seguente (v. anche tabella 2), valutando costantemente varie economie di scala e considerando che inquinanti come monossido di carbonio e biossido di zolfo sono talmente diminuiti da rasentare la non rilevabilità da parte degli strumenti: • misura del monossido di carbonio e del benzene solo nelle stazioni Traffico della rete: 1 per ciascun Agglomerato + Bologna Zona A (14 stazioni contro le 38 del progetto originario) • mantenimento della misura di biossido di zolfo su tutti i mezzi mobili e in due siti significativi per ciascuna delle Zone di Ravenna e Ferrara (4 stazioni fisse contro le 14 del progetto originario) • misure di PM10 relativamente alle stazioni Fondo rurale esclusivamente nelle stazioni della Zona A relative a Parma-Badia Torrechiara, Bologna-S. Pietro Capofiume, Ferrara - Iolanda di Savoia, Forlì-Cesena-Santa Sofia (4 stazioni contro 9 previste) • misura di PM10 orario nelle stazioni di S. Pietro Capofiume e Iolanda di Savoia, a soli fini modellistici • misure di PM2,5 in tutte le stazioni Fondo rurale e Fondo urbano (nessuna variazione di progetto) Carla Nizzoli Arpa Emilia-Romagna Tab. 2 - Ipotesi di configurazione definitiva della rete regionale di monitoraggio della qualità dell’aria in Emilia-Romagna Provincia Stazioni Pm10 Pm2.5 NOx CO BTX SO2 O3 Piacenza 6 4 2 6 1 1 - 4 18 Parma 5 4 2 5 1 1 - 3 16 Reggio Emilia 7 5 2 7 2 2 - 4 22 Modena 9 7 4 9 2 2 - 5 29 Bologna 11 10 4 11 3 3 - 6 37 Forlì-Cesena 6 5 2 6 1 1 - 4 19 Ferrara 6 5 3 6 1 1 2 4 22 Ravenna 7 6 3 7 2 2 2 4 26 Rimini 6 4 2 6 1 1 - 4 18 Totale 63 50 24 63 14 14 4 38 207 Totale ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Gli scenari futuri, quali obiettivi minimi di riduzione? Quali azioni sono necessarie per raggiungere il rispetto degli standard di qualità dell’aria in Emilia-Romagna? Per rispondere a questa domanda sono stati analizzati gli impatti sull’inquinamento atmosferico di 4 scenari di riduzione delle emissioni simulati utilizzando il sistema modellistico Ninfa (network dell´Italia del Nord per previsioni di smog fotochimico e aerosol), gestito da Arpa Emilia-Romagna. L’azzeramento ipotetico di tutte le emissioni in regione porterebbe a una riduzione della media annuale del PM10 del 40-50% nella zona centrale della regione, mentre in prossimità dei confini, a causa del trasporto di inquinanti dalle regioni vicine, la riduzione sarebbe compresa tra il 20% e 30%. ritorio regionale possono ottenere risultati significativi. Scenari emissivi realistici sono stati costruiti sulla base delle indicazioni fornite nell’ambito del programma Clean Air For Europe dell’Ue. Lo scenario CLE2010 – nell’ipotesi di un’applicazione rigorosa di tutte le norme che si presumono essere in vigore al 2010 – prevede riduzioni delle emissioni del 30%-40%. Se applicate su tutto il Nord Italia, consentirebbero di ottenere il rispetto dei limiti di qualità dell’aria (QA) per NO2 e PM10 in quasi in tutta l’Emilia-Romagna, mentre l’ozono continuerà ad avere un numero di superamenti ampiamente oltre il valore obiettivo per la protezione della salute. Tuttavia in questo scenario si otterrebbe il rispetto dei limiti di QA con uno scarso margine di sicurezza: le zone immediatamente a nord dell’Emilia-Romagna e parte della provincia di Piacenza verrebbero a trovarsi in condizioni ancora critiche. Lo scenario CLE2020, relativo a un orizzonte temporale più lungo, prevede riduzioni delle Fig. 2 Rispetto dei limiti di legge sulla media giornaliera del PM10 in alcune città ed in località rurali nello scenario base, CLE2010 e CLE2020. Le stime tengono conto del bias del modello. PM10, Long 4 UB, apr 2003 - mar 2004 Number of days with daily average exceeding 50 µg/m3 53 5160 5130 5100 5070 5040 5010 4980 4950 4920 4890 4860 4830 4800 300 360 420 5 480 10 540 20 35 600 50 660 65 720 80 780 840 95 Fig. 1 Rispetto dei limiti di legge sulla media giornaliera del PM10 caso base. La linea rossa delimita le aree in cui i limiti non sono rispettati. Le stime tengono conto del bias del modello. emissioni del 50%-60%. In questo caso si otterrebbe il rispetto dei limiti di QA in tutto il territorio regionale, con un buon margine di sicurezza, per tutti gli inquinanti, a esclusione dell’ozono, che presenterebbe comunque riduzioni apprezzabili. Solamente alcuni grandi agglomerati urbani a nord del Po resterebbero prossimi al limite relativo alla media giornaliera di PM10. Infine è stato definito uno scenario (EMR1) risultante dall’adozione di ulteriori azioni, rispetto al CLE2010, nel solo territorio dell’Emilia-Romagna, tecnicamente fattibili, ma molto impegnative dal punto di vista dell’attuazione pratica quali: Fig. 3 Rispetto dei limiti di legge sulla media giornaliera del PM10 nei capoluoghi dell’Emilia - Romagna, nello scenario base ed EMR1 Le stime tengono conto del bias del modello. (segue a pag. successiva) t Per stimare il massimo grado di riduzione della concentrazione di inquinanti ottenibile in EmiliaRomagna attraverso l’applicazione di misure limitate al solo territorio regionale, è stato studiato uno scenario puramente ipotetico (EmrZero) corrispondente all’azzeramento di tutte le emissioni in regione. In questo caso la riduzione della concentrazione della media annuale del PM10 sarebbe approssimativamente del 40-50% nella zona centrale della regione, mentre in prossimità dei confini regionali, a causa del trasporto di inquinanti dalle regioni vicine, la riduzione sarebbe compresa tra il 20% e 30%. Meno marcato invece l’impatto sulle concentrazioni di ozono: il numero di superamenti del livello di protezione della salute subirebbe una riduzione massima del 20%, rimanendo ben al di sopra dei 25 superamenti consentiti. Ciò suggerisce che per l’O3 occorrono politiche a scala almeno di bacino padano, mentre per NO2 e PM10 azioni incisive di riduzione delle emissioni che interessino l’intero ter- Qualità dell’aria e salute ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 I fattori di pressione sulla qualità dell’aria, le emissioni da traffico veicolare L’Italia è il secondo Paese europeo per numero di autovetture per abitante e nelle aree urbane più dell’80 % degli spostamenti avviene attraverso l’uso del mezzo privato. Il peso dei trasporti, in termini di consumi finali d’energia, è passato dal 16% del 1971 a valori superiori al 30% dal 2000 in poi. Un altro elemento di criticità è il progressivo incremento delle auto di grossa cilindrata. Dal Bilancio ambientale dell’Accordo di programma alcune valutazioni sugli interventi di mitigazione dell’inquinamento atmosferico in Emilia-Romagna. viene soddisfatta attraverso l’uso del mezzo privato (più dell’80 % degli spostamenti). Il peso dei trasporti in termini di consumi finali di energia in Italia è passato dal 16% del 1971 a valori sempre superiori al 30% dopo il 2000 e questo si riflette anche nel suo rilevante contributo alle emissioni in atmosfera dei diversi inquinanti. Un'altra fonte di preoccupazione è rappresentata dal progressivo incremento della consistenza del parco auto di grossa cilindrata, caratterizzato da maggiori con- Fig. 1 PM10, fattori di emissione medi delle autovetture sumi ed emissioni e più elevato ingombro rispetto alle auto di cilindrata inferiore a 1400 cc. In molte città del Nord Italia tra il 2000 e il 2005 tale incremento è stato superiore al 40%, mentre le auto di cilindrata intermedia sono cresciute da pochi punti percentuali a più del 30% (G.Cattani, L. Di Matteo in La qualità dell’aria in Italia: dati, problemi, prospettive, Apat, 2006). Il disaccoppiamento fra crescita economica e incremento del traffico è diventato quindi un obiettivo ambizioso, ma irrinunciabile. Sul fronte degli interventi risulta essenziale integrare strategie ambientali e politiche per il trasporto con spostamento di quote significative di mobilità dal trasporto stradale al trasporto su rotaia e dal trasporto privato al trasporto collettivo. A questi interventi si associano quelli relativi al miglioramento delle prestazioni ambientali del parco circolante con riduzione dei fattori di emissione sia per gli inquinanti primari (cioè emessi direttamente), sia per i precursori d’inquinanti secondari (che si formano in atmosfera per reazione degli inquinanti primari) - passaggio a Euro5 di tutto il parco circolante, promozione e sostegno del trasporto pubblico urbano (azioni previste nell’ambito dell’accordo regionale sulla qualità dell’aria) ed extraurbano - completa trasformazione a metano delle centrali esistenti e nessuna nuova centrale - interventi di riqualificazione energetica degli edifici e riduzione dell’uso della legna per il riscaldamento. In questo caso, a fronte di una riduzione delle emissioni nel ter- Nel caso base risultano oltre il limite tutti i capoluoghi dell’Emilia e anche diverse aree industriali (il distretto delle ceramiche di Sassuolo, i poli industriali di Ferrara e Ravenna). In tutti gli scenari le concentrazioni medie annuali in regione sono inferiori al limite. La metodologia e l’analisi approfondita dei risultati sono descritti nel rapporto tecnico “Individuazione degli obiettivi minimi di riduzione delle emissioni regionali per il rispetto dei limiti di qualità dell’a- PM10 - Fattori di emissione medi (autovetture) Usura freni e pneumatici + abrasione strade Combustione ritorio regionale del 40%-50%, si otterrebbe un rispetto generalizzato dei limiti per il PM10, mentre rimane la possibilità che il limite sulla media annuale di NO2 sia superato in aree circoscritte in prossimità dei grandi impianti industriali. Anche in questo caso i valori obiettivo per l’ozono non sarebbero rispettati. Per completare il quadro è stato esaminato anche il PM2.5, considerando la soglia di 25 µg/m3 per la media annuale, come proposto nella bozza di direttiva europea. Considerato che il grado medio di riempimento di un’autovettura è pari a circa 1,2 persone (in auto viaggiamo quasi sempre soli), per lo spostamento di una persona del peso medio di 60-90 kg usiamo l’energia necessaria a spostare un’automobile il cui peso va da 0.8 a 2.5 tonnellate! quali O3 e PM secondario e i gas a effetto serra (CO2). Va anche sottolineata l’importanza della sensibilizzazione e della responsabilizzazione individuale: ogni singola azione che porta alla riduzione delle emissioni è da ritenersi corretta. Tutti i motori che utilizziamo sono fonte di emissione, indipendentemente dal combustibile utilizzato (e una parte delle emissioni di particolato deriva dall’usura dei freni e dei pneumatici e dall’abrasione della strada: la componente definita non exhaust). La Regione Emilia-Romagna – ria per gli inquinanti ozono, biossido di azoto, PM10 nella regione Emilia– Romagna” disponibile in Arpaweb all’indirizzo: http://www.arpa.emr.it/sim/, sezione Qualità dell’aria, pagina Scenari futuri di qualità dell’aria. Marco Deserti Michele Stortini Giovanni Bonafé Enrico Minguzzi Arpa Emilia-Romagna t 54 Nei paesi industrializzati il sistema dei trasporti risulta strettamente legato allo sviluppo economico; all’incremento della domanda di mobilità è corrisposto in generale un aumento del numero di mezzi circolanti e delle percorrenze con conseguente crescita dell’importanza del settore dei trasporti come fonte di inquinamento atmosferico. Attualmente l’Italia è il secondo Paese europeo per numero di autovetture per abitante e nelle aree urbane gran parte della domanda di mobilità ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Autovetture diesel - caratterizzazione del PM 5,50 E+10 EuroIll DPF 6,71 E+10 7,90 E+13 EurollI 1,64E+14 <50 nm Total PM Euroll 7,60 E+13 2,12 E+14 8,50 E+13 Eurol 4,04 E+14 (n° particelle/km) t Fig. 2 Caratterizzazione del particolato emesso (autovetture diesel) DPF= filtro anti particolato attraverso gli accordi di programma sulla qualità dell’aria firmati a partire dal 2002 da Regione, Province e Comuni capoluogo e con più di 50.000 abitanti – ha previsto diversi interventi rivolti alla riduzione dell’impatto del settore dei trasporti. Dal 2006 l’Accordo di Programma è stato accompagnato da un importante strumento di rendicontazione, il Bilancio ambientale, che ha consentito di effettuare una valutazione quantitativa degli effetti di alcuni interventi per la riduzione delle emissioni da traffico. Nell’ambito del Bilancio è stato valutato, ad esempio, l’intervento di blocco della circolazione privata nella giornata del giovedì (Comune di Bologna). Sulle arterie cittadine, nelle fasce orarie di validità del provvedimento, è stata registrata una riduzione media dei flussi di traffico pari a circa il 40% e la stima delle emissioni “risparmiate” risulta di circa 50 kg/g di PM10, 610 kg/g di NOx, 1190 kg/g di NMVOC. Un altro intervento oggetto di valutazione è stato quello relativo alla conversione dei veicoli da benzina a Gpl/metano. La conversione risulta avere un effetto positivo nella riduzione delle emissioni di composti organici volatili (che sono fra i precursori del PM secondario) e di CO2, grazie al minor contenuto di carbonio di Gpl e metano Regione Emilia-Romagna Emissioni % per categorie di veicoli e alimentazione mc-pes-diesel mc-pes-benzina mc-legg-diesel mc-legg-benzina auto-metano auto-GPL auto-diesel auto-benzina Fig. 3 Emissioni per categoria di veicoli e alimentazione. Fonte Inventario regionale delle emissioni in atmosfera, Regione Emilia-Romagna e Arpa, 2003. rispetto alla benzina, mentre non apportano miglioramenti rispetto alle emissioni di PM10 primario e NOx. Per il PM10 le informazioni sui fattori di emissione (FE) da combustione di veicoli a benzina convertiti a gas sono scarse. I pochi dati sperimentali disponibili (Grechi, 2006) mostrano come le emissioni risultino dello stesso ordine di grandezza dei veicoli a benzina di partenza. In particolare le emissioni di PM10 dei veicoli Euro risultano in entrambi i casi (benzina o gas) molto basse e rappresentate prevalentemente (98%) dalle emissioni da usura e abrasione. La sostituzione del parco diesel con veicoli nuovi a gas risulta invece efficace anche per la riduzione delle emissioni di PM10 primario e NOx. Il trend in crescita del parco veicolare diesel (in Emilia-Romagna dal 2000 al 2004 le autovetture immatricolate alimentate a gasolio sono passate da circa 300.000 a 600.000 unità) rappresenta, da questo punto di vista, un problema, in quanto i veicoli diesel sono caratterizzati da fattori di emissione mediamente più elevati per NOx e PM10. In particolare per quest’ultimo inquinante, come evidenziato in figura 1, gli autoveicoli diesel Euro 3 ed Euro 4 hanno FE medi simili a quelli dei benzina pre Euro, mentre i benzina Euro hanno FE estremamente bassi e composti quasi esclusivamente dalla componente non exhaust. Va detto che l’avanzare della tecnologia ha portato nei diesel una forte riduzione del numero di particelle emesse, in particolare di quelle con diametro maggiore di 50 nm (figura 2). Inoltre il filtro antiparticolato (FAP) riduce in modo significativo le emissioni di polveri, soprattutto quelli montati di serie sulle autovetture di nuova costruzione. Il peso delle particelle emesse viene ridotto di circa 42 volte, mentre il numero di particelle di circa 10.000 volte. I sistemi di filtrazione installati su veicoli già in circolazione presentano rendimenti inferiori (dal 30% al 60% e oltre con riferimento alla massa del particolato). I fattori di emissione specifici e le elevate percorrenze dei veicoli alimentati a gasolio determinano, secondo le elaborazioni condotte nell’ambito dell’inventario regionale delle emissioni dell’EmiliaRomagna, la distribuzione delle emissioni per tipologia di veicolo riportate in figura 3, da cui si evidenzia come i mezzi alimentati a gasolio abbiano un ruolo determinante nelle emissioni di PM10, NOx e SOx. Cristina Regazzi Simonetta Tugnoli Arpa Emilia-Romagna 55 Qualità dell’aria e salute ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 I “veleni” dell’aria, morbilità e mortalità allo studio L’apparato respiratorio rappresenta la più importante interfaccia dell’uomo con l’ambiente e il polmone è bersaglio privilegiato dei tossici atmosferici. Ogni giorno nelle nostre città respiriamo un aerosol composto da 0,7 a 1 gr di “veleni” per m3 di aria inspirata; nelle 24 ore inaliamo mediamente da 7 a 12 gr di sostanze pericolose. Un bolognese su 5 soffre di tosse persistente per circa tre mesi l’anno. La stretta correlazione tra aerocontaminanti, morbilità e mortalità – sia per patologie respiratorie, sia cardiovascolari – è un fatto dimostrato da numerosi studi. 56 È noto come il polmone sia il “bersaglio privilegiato” dell’inquinamento e una serie di episodi ambientali – Valle della Mosa (Belgio-1930), Londra ( Inghilterra-1952), Los Angeles (Usa1960), Indonesia, Malesia, Borneo, Filippine (settembre-ottobre 1997) – hanno messo in luce gli effetti nocivi dei tossici atmosferici, stimolando la ricerca scientifica in questo campo. È indubbio che i processi di industrializzazione, urbanizzazione e soprattutto l’aumento del traffico veicolare, abbiano alterato in maniera progressiva e profonda l’aria che si respira e la qualità della nostra vita, soprattutto nelle città. I dati che emergono dai più recenti studi epidemiologici relativi agli effetti nocivi degli inquinanti, concordano nell’esistenza di una stretta correlazione tra aerocontaminanti e morbilità e mortalità, non solo per patologie respiratorie, ma anche cardiovascolari. INQUINANTI ATMOSFERICI Il tipo e l’entità di effetto prodotto degli inquinanti atmosferici sulla salute umana è multifatto- riale e dipende dalla loro natura chimica, dalla loro concentrazione, dalle condizioni climatiche, e da fattori costituzionali. Gli inquinanti più frequentemente coinvolti nel causare i danni alla salute dell’uomo, in particolar modo all'apparato respiratorio (ogni giorno inaliamo da 10 a 20.000 litri di aria) sono: - anidride solforosa o biossido di zolfo (S02) - il particolato totale sospeso (PTS): PM10 e PM2.5 - il biossido di azoto (NO2) - l’ozono (O3) Fino a qualche anno fa il ruolo predominante nell'inquinamento outdoor veniva svolto dalle particelle aerosolizzate di acido e dai prodotti della combustione del carbone. Attualmente prevalgono gli inquinanti prodotti dal traffico stradale, quelli fotochimici e l'ozono. Nelle aree urbane si possono distinguere due diversi tipi di inquinamento: • da smog di tipo invernale, caratterizzato prevalentemente da un aumento dei livelli di SO2 e PTS; • da smog di tipo estivo, caratterizzato soprattutto da un aumento dei livelli di O3 e NO2. Tab. 1 - Meccanismo di azione degli inquinanti atmosferici 1. Alterano la frequenza del battito ciliare aumentando il danno epiteliale e la permeabilità; questo comporta: • Una ridotta clearance muco-ciliare. • Una facilitazione per gli agenti irritanti aerodispersi di interagire a livello mucosale con cellule infiammatorie attivate quali mastociti, macrofagi, cellule dendritiche. 2. Riducono i livelli antiossidanti fisiologici quali la glutatione, che rivestono particolare importanza nel mantenere l’integrità di membrana della cellula epiteliale. 3. Favoriscono il rilascio dalle cellule epiteliali di citochine proinfiammatorie e l’espressività di molecole di adesione cellulare che mediano il danno tissutale prodotto dalla attivazione di cellule infiammatorie quali eosinofili , mastociti e linfociti. Molti altri inquinanti (metalli, idrocarburi ecc.) possono poi essere presenti e causare effetti a lungo termine, tra questi, di particolare interesse è l’ossido di carbonio (CO) per i possibili effetti sull’apparato cardiovascolare. Il problema dell’inquinamento ambientale, con il conseguente rischio di danno respiratorio prevede il coinvolgimento non solo di aerocontaminanti esterni ma anche di agenti irritanti presenti indoor e di molteplici sostanze presenti in ambito lavorativo. LE POLVERI Tra i molteplici inquinanti che interessano i centri urbani, una particolare e crescente attenzione viene rivolta alle cosiddette “polveri sottili”. Studi epidemiologici condotti in numerose città americane ed europee, nel corso degli ultimi 20 anni, documentano una stretta relazione fra concentrazione ambientale di polveri sottili e problematiche respiratorie. Le polveri atmosferiche definite come PTS (polveri totali sospese) o PM (materiale particolato), sono un’insieme molto eterogeneo di particelle solide o liquide che, a causa delle ridotte dimensioni, restano in sospensione nell’aria. Il diametro delle particelle può variare da 0.005 µm a un massimo di 100 µm. Si definiscono PM10 quelle polveri con un diametro inferiore a 10 µ; queste comprendono un sottogruppo PM2.5 avente un diametro inferiore a 2.5 µ. Tanto più piccola è la dimensione della particella, tanto maggiore è la capacità di penetrare nei polmoni e produrre effetti dannosi per la salute. Per questo le PM10 e soprattutto le PM2.5 presentano un interesse sanitario superiore rispetto alle PTS nel loro complesso. Le polveri PM10 sono dette anche “ina- labili”, in quanto sono in grado di giungere nel tratto superiore dell’apparato respiratorio (nasolaringe). Le polveri PM2.5 sono definite “respirabili” in quanto sono in grado di penetrare in profondità fino agli alveoli. Una volta prodotte, le polveri PM10, possono rimanere in sospensione nell’aria fino a 12 ore, mentre le PM2.5 anche settimane e questo le rende particolarmente insidiose. Le sorgenti di PM10 nei centri urbani, sono essenzialmente i veicoli con motore a combustione interna, alcuni insediamenti produttivi e gli impianti di riscaldamento a gasolio. Tra i motori attualmente in uso, il motore diesel è il maggior responsabile della produzione di materiale particolato. Le auto con motori diesel vengono generalmente pubblicizzate come “ecologiche”, dal momento che producono fino al 25% in meno di CO2, che contribuisce in maniera considerevole all’effetto serra. Rispetto ai motori a benzina senza piombo producono però da 10 a 100 volte più NO2, aldeidi e PM respirabili. EFFETTI SULLA SALUTE L’apparato respiratorio rappresenta la più importante interfaccia dell’uomo con l’ambiente, dunque è quello che maggiormente risente dei fattori ambientali di usura e invecchiamento (superficie respiratoria 60 m2 + albero broncopolmonare 70 m2 =130 m2). Ogni giorno nelle nostre città siamo sottoposti a un aerosol di agenti inquinanti da 0,7 a 1 gr di “veleni” per m3 di aria inspirata, nelle 24 ore inaliamo mediamente da 7 a 12 gr di sostanze pericolose. La quantità (concentrazione) di particolato aereo disperso è l'indicatore di inquinamento atmosfe- ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Tab. 2 - Effetti principali dell’esposizione a inquinanti ambientali sulle vie respiratorie - irritazione e infiammazione delle vie aeree intra ed extra toraciche riduzione della funzione polmonare riacutizzazioni asmatiche o bronchitiche in pazienti cronici aumento delle infezioni delle vie aeree inferiori aumento della frequenza di crisi asmatiche aumento delle visite e dei ricoveri ospedalieri aumento della mortalità aumento della prevalenza di tumori polmonari rico maggiormente associato agli effetti dannosi per la salute. Numerosi studi epidemiologici condotti sia in Italia, sia a livello internazionale ne hanno dimostrato gli effetti a breve (acuti) e a lungo termine (cronici). Un agente atmosferico viene considerato inquinante quando è in grado di danneggiare una funzione dell’organismo umano, innescando una catena di eventi che conducono a una alterazione funzionale. Per il PM10, le conoscenze attuali indicano che non esiste un valore di concentrazione al di sotto del quale non siano attesi effetti per la salute; si tratta cioè di un inquinante caratterizzato da un andamento “dose-risposta senza soglia”. In altre parole, gli effetti nocivi aumentano per frequenza e gravità con l'aumentare delle concentrazioni di polveri fini e non è dimostrabile, comunque, un livello di concentrazione al di sotto del quale non si manifestino effetti sulla salute. Il meccanismo d’azione del particolato si svolge sia mediante una compromissione della clearance mucociliare, sia attraverso un’azione ossidante (tabella 1). Le principali cellule coinvolte nelle risposte proinfiammatorie iniziali al particolato sono i macrofagi e le cellule epiteliali. L’ipotesi centrale per l’induzione dell’infiammazione da PM10 si basa sull’induzione di uno stress ossidativo causato dalle interazioni con gli ossidanti derivanti dai metalli di transizione e l’ampia superfice del particolato ultrafine proveniente dalla combustione. Tuttavia possono avvenire anche interazioni con altri componenti di PM10 soprattutto l’endotossina (costituente della parete dei Gram-negativi, molto potenti nel causare infiammazione). Il PM10 può semplicemente provocare, soprattutto se associato al fumo di sigaretta, disturbi di tipo irritativo al sistema respiratorio. Può però causare problemi di salute più gravi in “persone particolarmente sensibili” quali bambini e anziani, nonché in sottogruppi di popolazione cosiddetti a rischio (broncopneumopatici, cardiopatici, diabetici); ben documentata è l’associazione fra aumento di PM10 e attacchi di asma e BPCO. I dati raccolti su numerosi inquinanti (monossido di carbonio, biossido di azoto, ozono, benzene e polveri sospese) sono stati impiegati per misurare il trend dell'inquinamento negli anni, mentre la stima dell'impatto sulla salute dei vari studi epidemiologici si è avvalsa delle concentrazioni di PM10, che viene utilizzato come indicatore/tracciante affidabile per lo studio degli effetti sulla salute dell'inquinamento atmosferico. Va evidenziato come l'inquinamento funga non solo da fattore scatenante in soggetti già affetti da problematiche respiratorie, ma favorisca la slatentizzazione, in soggetti predisposti, di risposte infiammatorie e ostruttive delle vie aeree che non si sarebbero espresse in un contesto ambientale diverso (tabella 2). Le evidenze che correlano gli effetti negativi dell’inquinamento atmosferico sull’apparato respiratorio sono sempre più numerose e attendibili. Gli studi attualmente disponibili suggeriscono chiaramente che la salute pubblica beneficia considerevolmente da una migliore qualità dell’aria. È fondamentale quindi che, in questo contesto, i professionisti della salute siano coinvolti nei processi di “decisioni politiche” per supportare attivamente provvedimenti mirati a un miglioramento della qualità dell’aria. UN BOLOGNESE SU CINQUE SOFFRE DI TOSSE Da un recente studio policentrico condotto dall’Associazione italiana per lo studio della tosse (Aist) è emerso come circa il 20% della popolazione soffra di tosse persistente (per almeno 3 mesi all’anno), è singolare come una buona percentuale di questi soggetti siano persone sane, non fumatori, in attività lavorativa. La percentuale sale al 30% se vengono considerate le forme acute/occasionali di breve durata. La ricerca (Studio Iceberg) condotta in collaborazione con l’Api e il Cnr su un campione di circa 10.000 lavoratori della provincia di Bologna ha fornito dati molto interessanti che confermano il costante aumento di sintomi e malattie respiratorie. Questi possono essere così sintetizzati: - le donne rispetto agli uomini 1) hanno una percezione più negativa del loro stato di salute 2) riferiscono una percentuale maggiore di sintomi respiratori, gastrici e fanno maggior uso di farmaci 3) mostrano una prevalenza significativa di asma, rinite e sinusite. - I valori di prevalenza di tosse emersi dallo studio sono sostanzialmente simili nei due sessi e in linea con quanto registrato in altre indagini epidemiologiche. - Chiara è l’associazione fra fumo attivo e sintomatologia respiratoria (tosse, catarro e dispnea), così come ha rilevanza statistica la distribuzione della diagnosi di bronchite cronica e BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) nel gruppo di fumatori. - Un’importante quota di tosse non è in rapporto ad alcuna patologia, si manifesta come un senso di prurito, un vellichio alla gola e viene scatenata da stimoli aspecifici climatico/ambientali quali: nebbia, smog, odori intensi o sgradevoli, ambienti fumosi, ambienti lavorativi insalubri, variazioni climatiche (caldo/freddo) oppure dal ridere o dal parlare intensamente, ma anche da sforzi fisici anche modesti. Questo tipo di tosse è da ricondurre a una “iper-attività aspecifica” dei recettori delle alte vie aeree: sono sempre più numerose le evidenze scientifiche che indicano nell’inquinamento atmosferico una delle cause principali di questo fenomeno. Alessandro Zanasi Presidente Associazione italiana per lo studio della tosse (Aist) Azienda ospedaliera S. OrsolaMalpighi, Bologna Tab. 3 - Prevalenza dei sintomi respiratori stratificati per sesso Soggetti (n) Tosse cronica occasionale Maschi % Femmine% Tot % (505) (242) (261) (503) 19,8 23,8 21,9 7,4 9,2 8,3 (211) (227) (438) cronico 6,6 10,1 8,4 occasionale 3,8 1,3 2,5 (216) (238) (454) 14,4 19,7 17,2 Espettorato Sibili persistenti occasionali Attacchi 2,8 2,1 2,4 (241) (264) (505) attuali 0,8 1,5 1,2 pregressi 7,1 11,4 9,3 Rinite (237) (254) (491) persistente 14,3 18,5 16,5 pregressa 2,5 3,1 2,9 Fonte: Studio Iceberg, condotto dall’Associazione italiana per lo studio della tosse, in collaborazione con Cnr e Associazione piccole e medie imprese (Api) 57 Qualità dell’aria e salute ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Qualità dell’aria in ambiente confinato, più regole e più controllo In Europa, la popolazione impiega circa il 90% del proprio tempo in ambienti confinati o “indoor” e tra questi l’abitacolo dell’auto. Tra gli inquinanti dell’aria indoor di maggiore interesse il particolato, le sostanze chimiche che si liberano dai prodotti per la pulizia e dagli arredi, la componente biologica costituita da batteri, virus, acari, allergeni. Arpa Emilia-Romagna sarà impegnata nel controllo delle condizioni ambientali all’interno di una scuola media, nell’ambito di un progetto internazionale. 58 Gli aspetti fondamentali da tenere in considerazione per quanto riguarda la relazione tra salute e qualità dell’aria in ambienti confinati o “indoor” sono due. Il primo è legato all’importanza dell’ambiente indoor rispetto alla quantificazione dell’esposizione personale agli inquinanti tipici dell’inquinamento outdoor. In questo contesto il discorso diventa molto specifico in rapporto all’inquinante considerato. In generale è però possibile dire che l’ambiente confinato è “protettivo”, nel senso che è contrassegnato da livelli di concentrazione inferiori rispetto all’ambiente outdoor. Esistono tuttavia una serie di ambienti e di attività dove i contributi delle sorgenti indoor sono significativi o addirittura preponderanti. È questo il caso del contributo dell’accensione di una sigaretta che, in un ambiente di piccole dimensioni, induce un aumento immediato di concentrazione di PM10 e PM2,5 di circa 2 ordini di grandezza (fino a 5000 µg/m3 sia per il PM10 che per il PM2,5). È questo anche il caso dell’accensione di candele che provoca un aumento del numero di particelle ultrafini (quelle di diametro inferiore a 0.1µm) pari a 6-7 volte al valore di fondo abituale. Sempre in questo contesto, significativo ma non macroscopico come i due precedenti, è il caso del contributo della cottura dei cibi che comporta l’emissione di ossidi di azoto e particolato. Oggetto di attenzioni crescenti è un ambiente confinato molto particolare: l’automobile. Sulla base di numerosi studi è infatti ormai assodato che spesso all’interno dell’abitacolo si raggiungono concentrazioni elevate di particelle ultrafini e altri inquinanti primari da traffico. Considerato che in media, nelle grandi città europee, il tempo impiegato in spostamenti è pari a circa 2 ore al giorno (altre indagini riportano valori inferiori, ma comunque analoghi, per città di medio-piccole dimensioni), si può intuire Progetto SEARCH Che aria si respira a scuola? Il ministero dell’Ambiente, in collaborazione con il REC (Regional Environmental Center for Central and Eastern Europe), ha promosso uno studio internazionale chiamato SEARCH (School Environment And Respiratory health of CHildren) con lo scopo di valutare l’esposizione ai principali inquinanti atmosferici all’interno degli edifici scolastici. Oggetto dell’indagine sarà un campione di scuole in Albania, Austria, Bosnia-Erzegovina, Norvegia, Ungheria, Italia, Serbia e Slovacchia. Arpa Emilia-Romagna è partner di questo progetto che a livello italiano prevede anche il coinvolgimento delle Agenzie regionali di protezione ambientale di Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania e Sardegna. Il progetto prevede il monitoraggio, oltre che della temperatura e dell’umidità relativa, del biossido di azoto, della formaldeide, del benzene, del toluene, dello xilene, del monossido di carbonio, e del PM10. Al monitoraggio ambientale si affiancherà una valutazione della condizione di salute dei bambini tramite questionari e prove di funzionalità respiratoria. l’importanza di questa particolare tipologia di esposizione. Il secondo aspetto da tenere in considerazione è rappresentato dall’esposizione agli inquinanti tipici dell’ambiente indoor. L’ambiente indoor contiene infatti centinaia di agenti di natura chimica e biologica potenzialmente irritanti e/o sensitivizzanti. L’inquinamento di origine indoor è quindi complesso da definire e da caratterizzare. Quello di tipo chimico – per esempio diversi composti organici e la formaldeide – origina da prodotti utilizzati per le pulizie, per la costruzione degli edifici o degli arredi, dalle già citate attività di cottura e dal riscaldamento degli ambienti. L’inquinamento di natura biologica è invece associato al proliferare di batteri e virus, muffe, acari e allergeni in condizioni che ne favoriscono lo sviluppo (sovraffollamento, alta umidità, scarsa igiene, presenza di moquettes, mobili imbottiti, carte da parati ecc.). Risulta quindi evidente quanto la salvaguardia della salute pubblica, rispetto agli effetti dell’inquinamento atmosferico, si giochi in modo detrminante sull’analisi e gli interventi in qusto ambito. Nel 2003 la Commissione europea ha adottato una nuova strategia su ambiente e salute in cui la qualità dell’aria viene indicata come una delle maggiori cause dei problemi sanitari legati all’ambiente. Alla definizione di questa strategia ha fatto seguito un Piano d’azione comunitario nel quale (azione 12) il problema dell’inquinamento indoor viene riconosciuto come prioritario. A causa del carattere privato della maggior parte degli ambienti confinati, risulta tuttavia evidente come, al riconoscimento dell’importanza della tematica, non possano automaticamente fare seguito provvedimenti di fissazione di limiti di concentrazioni o azioni di abbattimento delle stesse. Cionostante, la consapevolezza dell’importanza della salubrità dell’ambiente indoor sta portando a una maggior regolamentazione nell’uso dei materiali (sia per la costruzione degli edifici, sia per l’arredo) e del controllo delle scuole e degli edifici pubblici. A questo proposito, nell’ambito di un progetto internazionale, la struttura Epidemiologia ambientale di Arpa Emilia-Romagna, con il supporto della Sezione di Modena, sarà presto impegnata nel controllo delle condizioni ambientali in una scuola media (vedi box). Paolo Lauriola Stefano Zauli Arpa Emilia-Romagna LA TESI ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Sviluppo urbano e competitività sostenibile, l’esperienza di Rho A due anni dall’inaugurazione del Nuovo polo fieristico di Rho, la tesi di laurea qui presentata è stata un’occasione per analizzare se e in che misura le nuove pressioni sulla città si siano rivelate compatibili con le dimensioni sociale e ambientale della sostenibilità. L’esperienza della città di Rho, a seguito dell’insediamento del Nuovo polo fieristico (NPF) entro i suoi confini, offre un esempio significativo di un percorso di sviluppo urbano tracciato in corrispondenza di una radicale trasformazione del territorio: il recupero e la riqualificazione di vaste aree dismesse, l’arrivo di funzioni rilevanti su scala territoriale, i flussi di nuove merci e di nuove popolazioni. L’apertura del polo esterno di Fieramilano ha rappresentato insomma un’occasione per la ridefinizione di alcuni grandi sistemi: industriale, infrastrutturale, ambientale, culturale, commerciale, della formazione professionale, del mercato immobiliare; le strategie che la città deciderà di assumere rispetto a queste differenti dimensioni costituiscono gli scenari del suo sviluppo futuro. La sfida per la città di Rho – e, in generale, per tutte le realtà urbane interessate da trasformazioni territoriali di grande portata – è quella di riuscire a governare tali trasformazioni in modo da bilanciare gli obiettivi legati all’esclusiva massimizzazione del ritorno economico con il perseguimento dei principi di uno sviluppo più sostenibile. Il concetto di sostenibilità è accolto in questo caso nella sua accezione più ampia e complessa, in virtù della quale un percorso di sviluppo viene definito sostenibile rispetto alle dimensioni ambientale, economica e sociale (Fusco Girard e Nijkamp, 2004). Di fronte alla significatività della realtà rhodense ci si è chiesti in che modo il territorio urbano si stia attrezzando in risposta al processo di trasformazione perché esso possa innescare un percorso di sviluppo effettivamente sostenibile. A poco più di due anni di distanza dall’inaugurazione del NPF, valutare la capacità di risposta di Rho rispetto alle opportunità e minacce veicolate dall’arrivo della Fiera ha significato partire dall’analisi di dinamiche ancora in corso di formazione: allo stato attuale molte sono le variabili incognite rispetto a cui giudicare se e in che misura le nuove pressioni sulla città si siano rivelate compatibili con una qualità della vita sostenibile anche dal punto di vista sociale e della qualità dell’ambiente. Per questo, è apparso significativo affiancare alla descrizione dello status quo tre possibili scenari di sviluppo urbano in accordo con diverse ipotesi circa la capacità degli attori locali e sovralocali di gestire il cambiamento: • percorso equilibrato • la Fiera come “cattedrale nel deserto” • competitività “a tutti i costi” e, in seconda battuta, proporre un modello di misurazione del livello di sostenibilità dello sviluppo in corso e di quelli delineati in corrispondenza di ogni scenario, per evidenziare le variabili critiche da monitorare. Per il livello di sostenibilità si è fatto riferimento a un modello pro- Tab. 1 - Ipotesi del modello: peso relativo dei macroindicatori e massimo punteggio teorico corrispondente Macrocategorie Peso (%) Ranking # sottoindicatori Massimo punteggio categoria Massimo punteggio ponderato Economia e lavoro 21.5 (2) 5 50 1075 Utilizzo delle risorse 17.5 (5) 5 50 875 Qualità urbana e uso del suolo 18.9 (4) 5 50 945 Trasporti e mobilità 22.1 (1) 5 50 1105 Benefici per la comunità 20.0 (3) 7 70 1400 Massimo punteggio complessivo conseguibile 100 27 250 5400 LO SVILUPPO URBANO TRA COMPETITIVITÀ E SOSTENIBILITÀ: L'ESPERIENZA DI RHO ALLA LUCE DEL NUOVO POLO FIERISTICO Tesi di laurea anno accademico 2006/2007 Università commerciale Luigi Bocconi (Milano), Facoltà di economia Corso di laurea in Economia e management delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni internazionali Autore: Giuliana Cirrincione Relatore: Lanfranco Senn Controrelatore: Marco Percoco posto da Hemphill, Berry e McGreal (“An indicator-based approach to measuring sustainable urban regeneration performance: conceptual foundations and methodological framework”, Urban Studies, Vol. 41, N. 4, 725-755, April 2004), in cui la sostenibilità viene misurata attraverso un set di indicatori riconducibili a cinque macro-aree tematiche: - economia e lavoro - utilizzo delle risorse - qualità urbana e uso del suolo - trasporti e mobilità - benefici per la comunità locale. Le ipotesi alla base dello schema di misurazione – il peso attribuito alle aree tematiche, il numero di indicatori, il massimo punteggio conseguibile da ciascuna macroclasse di indicatori (da 2 a 10 punti per ogni singolo indicatore) sono sintetizzate nella tabella 1. Il punteggio viene attribuito a ciascun indicatore secondo criteri di volta in volta specificamente individuati da un panel di esperti attraverso tecniche Delphi (o riadattati) e la somma dei punteggi conseguiti per ogni macrocategoria sintetizza con un valore numerico la performance registrata. Infine è stato necessario esprimere il valore di sintesi come percentuale del massimo punteggio teoricamente conseguibile e confrontarlo con la seguente griglia di valutazione (tabella 2). Nel caso di Rho il percorso di sviluppo intrapreso è risultato sufficientemente sostenibile, con un punteggio complessivo pari al 57% del massimo punteggio ottenibile. Anche dal confronto con i risultati sintetici dei tre scenari ipotizzati, emerge una situazione attuale di sostenibi- Tab. 2 - Griglia di valutazione sintetica Intervallo % max punteggio raggiungibile (% di 5400) Livello di sostenibilità < 40% Basso 40 – 49% Medio 50 – 59% Medio-buono 60 – 69% Buono 70 – 79% Ottimo > 80% Eccellente lità che si colloca quasi a metà strada tra lo scenario più ottimistico (sviluppo equilibrato) e quello della competitività come obiettivo prioritario a tutti i costi – a suggerire quanto possa essere vicina, proprio in questo stadio iniziale di trasformazione urbana, la deriva verso percorsi di sviluppo meno sostenibili. Questo caso di analisi suggerisce, su un piano più generale, i presupposti indispensabili perchè le nostre città siano in grado di perseguire una competitività davvero sostenibile: • l’assunzione – da parte di amministrazioni pubbliche locali e sovralocali, privati cittadini e operatori economici – di un atteggiamento proattivo e consapevole di fronte ai vantaggi e alle minacce potenziali che una certa scelta (o non scelta) comporta sul percorso di sviluppo di una città • una maggiore centralità della gestione ambientale, in grado di promuovere modelli di produzione e di consumo più puliti. Giuliana Cirrincione Greenmanagement.org 59 Il tempo e il clima ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 Luglio 60 Fig. 1 Mappa media dell’altezza del geopotenziale a 500 hPa. Isolinee ogni 20 dam. La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF) Fig. 2 Mappa media della pressione al livello medio del mare. Isolinee ogni 1 hPa. La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF) assenti, con valori vicino alla norma solo sulle Alpi nord occidentali. 25 25 25 25 Fig. 3 Mappa della pioggia accumulata SITUAZIONE METEOROLOGICA A GRANDE SCALA La mappa del geopotenziale medio nella figura in questa pagina non riesce a mostrare il doppio volto che questo mese ha mostrato: durante la prima metà delle giornate, infatti, ha visto la predominanza di correnti nord occidentali, fresche e asciutte, che hanno mantenuto le temperature su valori inferiori alla media. I temporali sono stati poco frequenti anche sull’Italia settentrionale, salvo che sulle Alpi. A parte sporadici episodi sul resto della penisola, il Centro e il Sud sono rimasti in pratica all’asciutto e non solo durante i primi quindici giorni. E questo perché la seconda metà del mese ha visto la rimonta dell’anticiclone subtropicale, con una persistente ondata di caldo, che è stata meno accentuata al Nord, soprattutto nel suo settore alpino. Al Sud, la fase più acuta del caldo è stata rimarchevole, con temperature che hanno superato i 40 gradi in molte zone. Le punte più alte (45°), come già era successo in giugno, si sono avute in Puglia, probabilmente perché più vicina all’Europa balcanico-danubiana, che ha registrato le anomalie più consistenti a livello europeo. Giorno 30, un fronte freddo irrompe con la Bora sull’Adriatico, portando, oltre a una diminuzione sensibile delle temperature, anche alcuni temporali sulla riviera romagnola e quindi sulle Marche. Le temperature medie mensili, nel complesso, non si sono discostate molto dalla norma, con valori più bassi sul lato tirrenico e più alti su quello Adriatico; la Puglia è stata, invece, la zona che ha visto un’anomalia positiva accentuata fino a + 3°. Precipitazioni virtualmente IL TEMPO IN EMILIA-ROMAGNA Anche in regione le condizioni meteorologiche hanno seguito l’andamento del resto d’Italia: giornate fresche nella prima quindicina del mese, calde o molto calde nella seconda parte. Le giornate più calde sono state quelle del 20 e 21 luglio con massime di 37° a Piacenza e 38,8° a Bologna e del 22 e 23 su Rimini, per via del vento di caduta dai rilievi verso il mare (garbino), con 37°; si sono avute tredici giornate con temperature pari o sopra i 35° a Bologna, quattro a Piacenza e tre a Rimini. Caratteristica del caldo di questo luglio, però, è stata la secchezza dell’aria. Ciò ha provocato una forte escursione termica, con valori alti di giorno, ma ha permesso al calore dovuto Comune PC PR RE MO BO FE RA FC RN Pioggia Pioggia Anom. Tmax osserv. clima pioggia mese 1 10 4 0 1 2 15 7 7 37 39 41 41 40 41 49 52 53 -36 -29 -37 -41 -39 -39 -34 -45 -46 31.8 32.9 33 33.3 33.3 32.6 31.3 31.4 30.6 al riscaldamento solare di disperdersi rapidamente durante la notte. La tabella con i valori medi mostra, infatti, che, se da una parte i valori massimi delle temperature sono stati superiori alla norma di circa 2,5°, i valori minimi sono stati più freddi del normale sulla pianura interna. Tale situazione d’aria secca e notti relativamente fresche ha così provocato poche situazioni con disagio bioclimatico. L’aria secca, inoltre, non ha certamente favorito lo sviluppo dei temporali, tanto che le precipitazioni sono mancate del tutto in buona parte della regione. Gli unici eventi degni di nota riguardano i temporali del 30 luglio che hanno interessato con quantitativi anche superiori ai 25 mm la costa ferrarese e parte della pianura romagnola. Molto scarsi in genere durante il mese gli apporti pluviometrici anche sul crinale appenninico. Tmax clima 29 30.9 30.9 31.3 30 30.1 28.6 29.1 27.9 Anom. Tmax 2.8 2 2.1 2 3.3 2.5 2.7 2.3 2.7 Tmin mese 16.5 17.7 14.8 15.4 19 19.7 17.2 16 18.8 Tmin clima 16.8 18.9 16 16.4 18.6 20.3 17 16 17.9 Anom. Tmin -0.3 -1.2 -1.2 -1 0.4 -0.6 0.2 0 0.9 Valori mensili della temperatura massima, minima e del totale mensile di precipitazione con relativi dati climatici di riferimento (anni 1960-1990) e anomalie rispetto agli stessi, rilevati in alcune località della regione Emilia-Romagna ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 A cura di: Area previsionale e Sala operativa, Arpa-Servizio IdroMeteo Agosto 61 Fig. 1 Mappa media dell’altezza del geopotenziale a 500 hPa. Isolinee ogni 20 dam. La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF) Roma con Pescara, con le significative eccezioni di Emilia-Romagna e zone al confine tra Lombardia e Veneto; completamente secco rimane il Sud. Le temperature saranno inferiori alla media al Centro Nord e superiori al Sud e sull’Abruzzo. 75 50 50 75 25 75 25 25 75 25 50 50 50 75 50 50 50 75 75 Fig. 3 Mappa della pioggia accumulata SITUAZIONE METEOROLOGICA A GRANDE SCALA La mappa del geopotenziale medio mostra come le correnti atlantiche, per buona parte del mese, abbiano interessato in profondità l’Europa occidentale e anche l’Italia, con numerosi impulsi d’aria fredda e instabile che già dal giorno 2 portano temporali sul Nord Ovest e il 3 sul Nord Est. Un altro nucleo freddo il 7 genera temporali sulle Alpi e il Piemonte e l’8 sulla Lombardia; temporali forti interessano anche La Spezia, Firenze e la zona prealpina; temperature in sensibile calo. Il 10 i temporali presenti sulle regioni centrali adriatiche si spostano verso nord, andando a interessare il Nord Est. Quindi venti freschi e temporali più localizzati si susseguono al Nord e parte del Centro fino al 14. Nel frattempo al Sud tempo stabile Fig. 2 Mappa media della pressione al livello medio del mare. Isolinee ogni 1 hPa. La mappa è stata calcolata a partire dalle analisi oggettive delle ore 00GMT realizzate dal Centro meteorologico europeo di reading (ECMWF) ma fresco. Giorno 19 un sistema nuvoloso atlantico porta temporali anche forti al Nord (deboli sull’Emilia Romagna) e sulla Toscana settentrionale. Giorno 21, mentre un nuovo impulso freddo porta piogge moderate al Nord, al Meridione inizia la terza invasione calda della stagione, che raggiungerà il suo culmine sulla Sicilia tirrenica dove i forti venti di caduta alimenteranno numerosi incendi. Sul resto d’Italia, invece, il contrasto tra le masse d’arie genera ancora piogge che interesseranno anche la Sardegna. Solo nell’ultima settimana il caldo si spinge più a nord: Roma, complici i venti dall’interno, raggiunge i 40°. Alla fine del mese numerosi temporali interessano il Nord, alcuni intensi tra Milano e Venezia, e il 31 sommergono Ravenna. Nel complesso il mese si presenta piovoso a nord di una linea che congiunge IL TEMPO IN EMILIA-ROMAGNA Il mese di agosto in Emilia Romagna è stato instabile e con temperature inferiori alla media. Le piogge e i temporali che hanno interessato in maniera estensiva le regioni settentrionali e la Toscana, però, non si sono concretizzati in egual misura anche in regione. La mappa con la precipitazione cumulata nel mese mostra, infatti, come soltanto le due parti estreme del territorio, cioè costa adriatica e piacentino occidentale, hanno ricevuto piogge abbondanti. Nel resto della regione le precipitaComune PC PR RE MO BO FE RA FC RN Pioggia Pioggia Anom. Tmax osserv. clima pioggia mese 43 15 22 14 19 16 140 59 84 66 69 57 54 53 56 59 62 58 -23 -54 -35 -40 -34 -40 81 -3 26 29.2 29.6 30.3 30.5 30 29.5 27.8 28.8 28.1 zioni sono state o normali (la Romagna) o addirittura scarse (il resto dell’Emilia e il ferrarese interno). Rilevante l’evento temporalesco del 31 agosto che ha interessato con temporali intensi e stazionari la fascia a ridosso della costa, in particolare l’area urbana di Ravenna dove in poche ore sono caduti 107 mm di pioggia, di cui la metà in poco più di un’ora. In quella stessa giornata a Rimini sono stati misurati 33 mm, mentre, all’altro estremo della regione, forti temporali hanno colpito anche la Val Tidone. Le temperature medie sono state intorno ai valori stagionali per quanto riguarda le massime, prevalentemente inferiori al valor medio nei valori minimi. Poco numerose sono state le giornate, durante l’ultima settimana, in cui le condizioni di umidità e temperatura hanno provocato condizioni di disagio bioclimatico. Tmax clima 28.3 30.1 30.4 30.8 29.6 29.8 28.4 29.1 27.7 Anom. Tmax 0.9 -0.5 -0.1 -0.3 0.4 -0.3 -0.6 -0.3 0.4 Tmin mese 17.3 17.1 14.9 15.2 17.9 18.9 16.6 15.9 18.5 Tmin clima 16.8 18.6 16.1 16.5 18.5 20.3 17.1 16.1 17.8 Anom. Tmin 0.5 -1.5 -1.2 -1.3 -0.6 -1.4 -0.5 -0.2 0.7 Valori mensili della temperatura massima, minima e del totale mensile di precipitazione con relativi dati climatici di riferimento (anni 1960-1990) e anomalie rispetto agli stessi, rilevati in alcune località della regione Emilia-Romagna ARPA Rivista N. 4 luglio-agosto 2007 UNA NUOVA LEGGE ARPA? Camera dei Deputati, proposta di legge 1561 www.parlamento.it Dopo tredici anni dall’approvazione della prima legge istitutiva dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (Anpa), istituita con Decreto legge 496/1993 convertito con modificazioni dalla legge 61/1994, e dopo il completamento da parte di Regioni e Province autonome del quadro istitutivo delle relative agenzie regionali, il sistema agenziale conclude la fase costitutiva avviandosi verso quella di consolidamento. La proposta di legge 1561, di iniziativa dei deputati Realacci e Franceschini, presentata il 2 agosto scorso, ha formalmente iniziato a settembre il proprio iter parlamentare, con l’esame in sede referente presso la Commissione Ambiente della Camera. Lo scorso 4 dicembre si è svolta, presso il Comitato ristretto della Commissione Ambiente della Camera, l’udienza delle Agenzie ambientali, con l’obiettivo di fornire al Comitato una prima base di valutazioni e proposte in merito al provvedimento. L’obiettivo principale della proposta di legge è quello di divenire la nuova legge quadro per il sistema agenziale, dando maggiore corpo a strumenti e logiche di rete, formalizzando l’esistenza di un sistema di soggetti istituzionali autorevole dal punto di vista scientifico. In particolare tale provvedimento attribuisce al sistema l’obiettivo di assicurare omogeneità ed efficacia all’esercizio dell’azione conoscitiva e di controllo a supporto delle politiche di sostenibilità. Altro elemento di grande rilievo è la previsione dei livelli essenziali di tutela ambientale (LETA) che le Agenzie saranno tenute a garantire, a livello nazionale, per assicurare su tutto il territorio un’omogenea azione di prevenzione, controllo e monitoraggio dell’inquinamento ambientale, in analogia a quanto avviene per i LEA in ambito sanitario. Nell’ambito invece di PER LE 62 una maggiore ridefinizione e di un rafforzamento delle attività delle Arpa, la proposta di legge rimarca come l’efficacia e l’efficienza dell’attività di controllo delle Agenzie sia strettamente connessa a un pieno e costante coinvolgimento delle stesse nelle attività istruttorie propedeutiche al rilascio delle autorizzazioni. Non meno significativo, infine, il riconoscimento del carattere di ufficialità, quasi di certificazione, degli elementi conoscitivi prodotti dalle Agenzie tramite le attività di monitoraggio e controllo. È quest’ultima una forte valorizzazione del patrimonio informativo elaborato in continuo dalle Agenzie, le quali potranno tra l’altro divenire soggetti protagonisti nell’applicazione del Dlgs 195/2005 sull’accesso al pubblico dell’informazione ambientale. UNIFICATO CORRETTIVO DLGS 152/2006 APPROVATO DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI www.reteambiente.it Approvato lo scorso 23 novembre dal Consiglio dei ministri in seconda lettura lo schema di Dlgs recante modifiche sulle norme in materia di acque, rifiuti e VIA del Dlgs 152/2006 (cd. Codice ambientale). Lo schema di decreto – nel quale sono confluiti i precedenti schemi di decreto di modifica al medesimo Dlgs 152/2006 caducati dal mancato rispetto dei termini sanciti dalla legge delega 308/2004 – torna ora alle competenti Commissioni parlamentari per il parere definitivo, per poi essere trasmesso nuovamente al Governo per l'approvazione finale. AIA: DIFFERIMENTO TER - MINI Decreto legge 30 ottobre 2007, n. 180 GU 254 del 31 ottobre 2007 È differito al 31 marzo 2008 il termine massimo di legge che le amministrazioni competenti devono assegnare per l’attuazione delle prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) negli impianti esistenti, per i quali tale autorizza- zione è concessa. Nelle more del rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, gli impianti già in esercizio per i quali sia stata presentata nei termini previsti la relativa domanda, possono proseguire la propria attività nel rispetto della normativa vigente o delle condizioni stabilite nelle autorizzazioni ambientali di settore già rilasciate. Tali autorizzazioni si ritengono implicitamente prorogate sino alla scadenza del termine fissato dal provvedimento di autorizzazione integrata ambientale per l’attuazione delle relative condizioni. IL TAR DI BOLOGNA SI PRO- NUNCIA SUI RAPPORTI TRA VIA E AIA Sentenza Tar Bologna, Sezione I n. 3365 del 26 novembre 2007 Solleva diverse e rilevanti problematiche giuridiche questa decisione del giudice amministrativo che ha annullato l’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) rilasciata dalla Provincia di Modena a un impianto di termovalorizzazione di rifiuti. Innanzitutto il Tar ha riconosciuto la legittimazione processuale non soltanto delle associazioni ambientaliste nazionali formalmente riconosciute, ma anche – e questo è un elemento di differenziazione rispetto a recenti Sentenze dello stesso Tribunale (ad esempio la n. 692/2006 e la 3216/2006 – di un Comitato costituito a livello locale e di una parte dei privati cittadini che si sono qualificati come proprietari di immobili nelle vicinanze dell’impianto. Secondo aspetto significativo della pronuncia è quello di aver affrontato il rapporto tra Valutazione di impatto ambientale e AIA. Per il giudice, mentre la VIA investe i profili localizzativi e strutturali, l’AIA incide specificatamente sugli aspetti gestionali dell’impianto, pertanto quest’ultima non può configurarsi come atto strettamente consequenziale rispetto alla prima, ma anzi, in quanto produttiva di specifici effetti, può essere impugnata autonomamente anche in caso di precedente VIA positiva. Infine per il Tar – ed è questo il punto di merito sul quale è stata decisa la causa – la procedura di AIA avrebbe dovuto riguardare non solo il termovalorizzatore vero e proprio, ma anche gli altri impianti, come quello di trattamento chimico-fisico dei rifiuti, presenti sul sito e strettamente connessi a quello principale, una scelta diversa contrasterebbe quindi con la vigente normativa Ippc. È molto probabile che ora la parola passi al Consiglio di Stato. OPERATIVO IL SISTEMA RAEE Decreto del ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 185 del 25 settembre 2007 GU 5 novembre 2007, n. 257 È stato istituito presso il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare il Registro nazionale dei soggetti obbligati al finanziamento dei sistemi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, previsto dal Decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, attuazione della direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE e 2003/108/CE, relative alla riduzione dell’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti. Il registro è predisposto, gestito e aggiornato dal Comitato di vigilanza e di controllo, che si avvale dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Apat). I dati del registro sono raccolti dalle Camere di Commercio, che garantiscono la trasmissione delle informazioni raccolte attraverso l’interconnessione telematica diretta ai sistemi informativi del Comitato di vigilanza e controllo e dell’Apat. L’iscrizione al Registro è effettuata dal produttore presso la Camera di Commercio nella cui circoscrizione si trova il legale rappresentante dell’impresa. A cura di Giovanni Fantini Laura Campanini Arpa Emilia-Romagna Libri LA GESTIONE DEI RIFIUTI EMILIA-ROMAGNA REPORT 07 Regione e Arpa Emilia-Romagna Scaricabile agli indirizzi www.regione.emilia-romagna.it www.arpa.emr.it, Ingegneria ambientale A cura di Laura Padovani ed Ettore Capri ESPOSIZIONE DELLE ACQUE SUPER- IN I dati presentati nel report provengono sia dagli archivi che costituiscono il sistema informativo regionale sui rifiuti (Allegato 1, Dgr 1620/2001), sia da altre fonti quali Istat, Apat, Conai e Consorzi di filiera, Gestori degli impianti, Autorità regionale per la vigilianza dei servizi idrici e di gestione dei rifiuti, Università di Bologna. Nel campo della raccolta differenziata, determinante per il recupero e il riciclaggio, l’Emilia-Romagna si conferma tra le regioni più virtuose a livello nazionale, con un dato medio del 36,3%. Diminuisce progressivamente anche l’indifferenziato smaltito in discarica (dal 77% al 59% in dieci anni). Per contro, sale la produzione di rifiuti (+2,6% rifiuti urbani, +7% rifiuti speciali). Le linee di azione e gli investimenti della Regione tengono conto delle diverse performance e del percorso tracciato dall’Unione europea per una corretta gestione dei rifiuti secondo una precisa gerarchia: prevenzione, riduzione, riciclaggio e smaltimento in sicurezza con recupero energetico. Un’accelerazione verso trend positivi sarà determinata a partire dalla concreta applicazione degli strumenti di contabilità che affiancano gli indicatori sociali e ambientali a quelli economici. Apat - Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici ANNUARIO DEI DATI AMBIENTALI 2007 Scaricabile all’indirizzo www.apat.gov.it Giunto alla sua sesta edizione, l'Annuario Apat si presenta con una veste nuova. L'edizione integrale, con l'intera base conoscitiva, sarà predisposta solo in formato elettronico fruibile sul sito www.apat.gov.it. A stampa sono presentati due nuovi prodotti, con i quali Apat intende analizzare le situazioni di contesto ambientale relative alle tematiche prioritarie di intervento: il volumetto Tematiche in primo piano e il Vademecum, in versione tascabile. Altra novità introdotta con l’edizione 2007 dell’Annuario è costituita dall’istituzione di un premio ai comportamenti più virtuosi nella gestione di una specifica area di intervento ambientale. La performance sarà valutata in base a opportuni indicatori di prestazione. Quest’anno la scelta dell’area tematica è ricaduta sulla gestione della qualità dell’aria. L’Annuario è presentato ufficialmente il 18 dicembre a Roma e l’evento è trasmesso in diretta streaming sul sito di Apat. FICIALI AGLI AGROFARMACI Editore Pitagora, 2006 190 pagine, 30,00 euro Nel volume – una qualificata e autorevole monografia che si colloca all’interno della collana Quaderni di tecniche di protezione ambientale – gli autori prendono in esame gli effetti di contaminazione ambientale prodotta, così come definito dal Dpr 290/01 art. 2, dai prodotti fitosanitari. Si tratta di sostanze chimiche impiegate in agricoltura per la difesa delle piante, delle derrate alimentari, per il diserbo delle coltivazioni o che favoriscono o regolano le produzioni vegetali. I prodotti fitosanitari sono molecole importanti e di rilevante impiego, che con il loro utilizzo consentono la presenza sul mercato di prodotti ortofrutticoli di buona qualità a prezzo ridotto. In altre parole, l’impiego di queste sostanze in agricoltura garantisce, ogni anno, forniture affidabili di prodotti agricoli, in quanto contribuiscono a evitare fluttuazioni nelle rese produttive. I prodotti fitosanitari, attraverso processi dettagliatamente descritti nel volume, possono interessare il comparto ambientale e nel caso specifico le acque superficiali. I monitoraggi effettuati, previsti da norme di settore, servono per studiare l’eventuale presenza dei residui delle sostanze attive e dei loro metaboliti nelle acque, e per valutare l’ impatto ambientale nel breve e lungo termine. La Regione Emilia-Romagna conduce da anni monitoraggi delle acque superficiali e sotterranee, ricercando le sostanze attive prioritarie e quelle più utilizzate nel territorio. I risultati contribuiscono alla realizzazione del Piano nazionale di controllo degli effetti ambientali dei prodotti fitosanitari previsto dal Dlgs 194/1995. I dati emersi dai monitoraggi degli ultimi anni evidenziano una presenza rilevante di residui appartenenti alle classi degli erbicidi, in misura minore per gli insetticidi e i fungicidi (tra questi terbutilazina e desetil terbutilazina, metolaclor, oxadiazon, procimidone, atrazina, etofumesate ecc.). Sembra delinearsi, inoltre, un inquinamento di tipo diffuso dovuto all’utilizzo di prodotti fitosanitari in agricoltura (grandi superfici con dosaggi generalmente ridotti). L’inquinamento di tipo puntiforme (sversamenti, utilizzo non corretto, inadeguate condizioni di conservazione dei prodotti), dove ci si aspetta che la sostanza percoli più rapidamente, e arrivi in falda a concentrazioni più elevate – riportato dagli autori come possibile fonte di inquinamento – dai dati a disposizione in Emilia-Romagna sembra non costituire il problema prioritario. Apat, nel rapporto annuale 2005, riconosce la discordanza di opinioni fra i diversi autori su quale possa essere il peso della contaminazione puntiforme nel complesso della contaminazione derivante dalle pratiche agronomiche (diffusa). Considerando quale esempio la sostanza attiva terbutilazina e il metabolita desetil-terbutilazina, si evidenzia che nella maggioranza dei casi sembra attuarsi un inquinamento di tipo diffuso. Pertanto, prendendo spunto anche dalle indicazioni degli autori, a livello regionale si dovranno eventualmente effettuare approfondimenti per dimensionare il “problema” dell’inquinamento puntiforme. Gli autori riportano anche un intero capitolo su come realizzare un programma di monitoraggio per la tutela delle acque superficiali; ritroviamo in esso molte delle azioni da tempo adottate in Emilia-Romagna per il monitoraggio delle acque superficiali. Marco Morelli, Arpa Emilia-Romagna 63 Memo/Eventi 18 novembre 2007-27 gennaio 2008 Ferrara Mostra temporanea Le stagioni dei maceri: passato, presente e futuro delle nostre "isole d'acqua", presso il Museo civico di storia naturale. I maceri, con il loro attuale elevato valore nella protezione della biodiversità, sono il soggetto del percorso espositivo che si avvale di immagini, mappe, reperti e ricostruzioni tridimensionali. Per informazioni: http://www.comune.fe.it/storianaturale http://ww2.comune.fe.it/ 64 date a “case clima” e impianti di teleriscaldamento. Per informazioni: [email protected] http://www.fierabolzano.it 18-20 gennaio Gonzaga (Mantova) Quinta edizione di FORAGRI EXPO, la fiera dedicata alle aziende del settore della produzione di energia da fonti rinnovabili che guardano al mondo dell’agricoltura e della zootecnia. Per informazioni: http://www.foragriexpo.it/ 10 dicembre 2007-29 febbraio 2008 Bologna Appuntamento al Museo dell’Evoluzione dell’Università di Bologna per la mostra di fotografia e disegno naturalistico Volti di Natura: 50 tracce di biodiversità, realizzata in collaborazione con Sma (Sistema museale d’Ateneo), Wwf e Unione bolognese naturalisti. Si tratta di un percorso espositivo che partendo dal tema "geologia" e passando per il "paesaggio" arriva a descrivere la "vita naturale" e il rapporto "uomo-natura", conducendo così attraverso i vari aspetti della biodiversità. Per informazioni: http://www.ermesambiente.it 29 gennaio Roma Workshop Sindrome dello spopolamento degli alveari in Italia: approccio multidisciplinare alla individuazione delle cause e delle strategie di contenimento, organizzato dal Dipartimento Difesa della naturaServizio Uso sostenibile delle risorse naturali di Apat. Da diversi anni sono stati segnalati fenomeni di mortalità, disorientamento e spopolamento di famiglie di api in numerosi Paesi, tra cui l’Italia. L’incontro sarà l’occasione per una verifica dello stato dell’arte in materia e per individuare possibili strategie di intervento. Per informazioni: http://www.apat.gov.it 16-17 gennaio 2008 Roma Workshop Bioindicatori ed ecotossicologia del suolo e delle altre matrici: ricerca e applicazione, organizzato da Apat. Una finestra di discussione e confronto sul mondo degli indicatori biologici e dell’ecotossicologia, quali cardini fondamentali dell’analisi e della tutela degli ecosistemi. Per informazioni: http://www.apat.gov.it 11-15 marzo Milano NEXT ENERGY, il salone biennale dedicato all’efficienza energetica e alle fonti rinnovabili. Tra gli eventi, un appuntamento-chiave: la mostra Verso la classe A, un percorso interattivo che permetterà di avvicinarsi ai temi del risparmio energetico in modo concreto, per ‘toccare con mano’ prodotti, sistemi e soluzioni capaci di massimizzare l’efficienza energetica di un edificio. Per informazioni: http://www.nextenergy.biz/ 17-20 gennaio Bolzano KLIMAHOUSE 08, fiera internazionale specializzata per l'efficienza energetica e l'edilizia sostenibile. CasaClima propone una nuova cultura edile, quale alternativa alle moderne abitazioni estremamente energivore. Il modello di casa proposto da CasaClima unisce sostenibilitá, drastica riduzione dei costi energetici e una perfetta climatizzazione dell´ambiente. Previsto un nutrito programma di congressi, workshop e visite gui- 1-4 aprile Corvara 14° convegno di igiene industriale Le giornate di Corvara. Già negli incontri degli anni precedenti era stata data particolare rilevanza ai lavori tecnico- scientifici del sistema delle Agenzie ambientali, dedicando sessioni specifiche alle tematiche ambientali e al complesso rapporto ambiente-salute. Quest´anno, per la prima volta, Dicembre-gennaio 2008 Cambiamenti climatici: una prima valutazione economica L’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Apat) realizza uno studio sulla valutazione economica degli impatti dei cambiamenti climatici e relative misure di adattamento in Italia. Allo scopo rivolge un invito alla comunità scientifica di riferimento a proporre suggerimenti e commenti da integrare nella versione di prossima pubblicazione. Eventuali osservazioni dovranno essere inviate entro la fine di gennaio 2008 all’indirizzo [email protected]. Nel sito dell’Agenzia ulteriori informazioni e rapporti scientifici di sintesi. http://www.apat.gov.it sono previste due giornate (articolate in quattro sessioni), esplicitamente dedicate al lavoro delle Agenzie per l´ambiente, su argomenti di particolare rilevanza e attualità: - il Regolamento Reach (ricerca, controlli, metodi, applicazioni) - strumenti integrati di sostenibilità (Via, Vas, Ippc, Emas, Ecolabel, Epd, Gpp, Bilancio ambientale) - monitoraggio e metodi analitici per l´ambiente. Ulteriori dettagli e le modalità / argomenti per eventuali contributi scientifici sono riportati nel “primo annuncio”. Per informazioni: tel. 02/20240956 [email protected], http://www.aidii.it/ 13 aprile Lombardia 17a edizione della Giornata del verde pulito, promossa dalla Regione Lombardia. La manifestazione rappresenta un appuntamento significativo durante il quale le amministrazioni pubbliche e i cittadini organizzano iniziative concrete all'insegna del rispetto e della tutela del verde pubblico. Per informazioni: http://www.ambiente.regione.lom bardia.it 18-20 giugno Modena Congresso mondiale Ifoam dell’Agricoltura biologica, organizzato dal Consorzio ModenaBio 2008. Sarà accompagnato da tre conferenze tematiche che lo anticiperanno nelle giornate del 16 e 17 giugno: conferenza sul vino e viticoltura biologica, coordinata da Aiab e prevista a Vignola (nelle colline modenesi); conferenza sul tessile biologico, coordinata da Icea e prevista a Carpi (in provincia di Modena); conferenza sulla frutta biologica, coordinata da Ishs (International Society for Horticultural Science) a Vignola. Altre conferenze si svolgeranno durante il congresso, organizzato in due filoni principali: presentazione e scambio di esperienze pratiche, esposizione e discussione di importanti ricerche accademiche. Per informazioni: http://www.modenabio2008.org/ Pagine a cura di Daniela Raffaelli e-mail: [email protected] altri eventi alla pagina www.arpa.emr.it/eventi