I.
Istituzioni, vita politica e relazioni internazionali
2.
Dalla nascita del nuovo Stato federale
alla Grande Guerra
2.1.
Chiesa e Stato in Svizzera: la chiusura dei conventi argoviesi
45
Nel corso degli anni Quaranta si aggravò il dissidio tra i fautori della revisione del Patto federale del 1815, nel senso di un rafforzamento delle prerogative dello
Stato centrale, e coloro che difendevano l’autonomia dei cantoni. Tra gli argomenti su
cui si confrontavano radicali e conservatori, vi era la spinosa questione dei rapporti
tra le istituzioni ecclesiastiche e lo Stato. Il 13 gennaio 1841, il Gran Consiglio argoviese, a maggioranza radicale, decise di sopprimere otto conventi. I cattolici svizzeri
protestarono, giudicando questa decisione in contrasto con lo spirito e la lettera del
Patto federale del 1815, come scriveva anche Il Cattolico, giornale «religioso-letterario» pubblicato a Lugano. La vertenza, sottoposta alla Dieta federale, diventò un affare di stato e i ripetuti tentativi di conciliazione diedero risultati negativi. I cantoni
cattolici, sentendosi minacciati, diedero vita ad un’alleanza separata (il Sonderbund)
contando anche sull’aiuto straniero. Nel luglio del 1847 la Dieta federale dichiarò illegale il Sonderbund; la guerra civile che ne seguì si concluse rapidamente, grazie all’abilità del generale Guillaume Henri Dufour (1787-1875), e spianò la strada alla revisione del Patto federale e all’adozione della Costituzione federale.
Indirizzo dei Vescovi e Conventi della Confederazione Svizzera all’Alta
Dieta ed ai Cantoni Confederati.
I sottoscritti conventi della Svizzera sentonsi tenuti ad appoggiare presso
l’Alta Dieta ed i Cantoni la dimanda dei conventi argoviesi per il loro ristabilimento a
norma del patto federale.
A ciò essi vengono indotti dal comune vincolo ecclesiastico che unisce
le diverse corporazioni religiose della Chiesa cattolica. Gli instituti conventuali sono
uniti scambievolmente da un medesimo scopo religioso, e molti di essi sono anche più
strettamente fra loro vincolati dai medesimi statuti. Il destino di uno di essi non può
dunque lasciar tranquilli gli altri conventi, principalmente quelli dell’ordine stesso: ed
anche questo vincolo puramente ecclesiastico considerato sotto l’aspetto cattolico in-
I.
Istituzioni, vita politica e relazioni internazionali
7. La satira politica anticipò la guerra del Sonderbund: la vignetta raffigura un gesuita aggredito da un soldato.
2.
Dalla nascita del nuovo Stato federale alla Grande Guerra
47
duce i sottoscritti superiori ad adoperarsi per i loro confratelli dell’Argovia presso l’alta
Dieta.
Essi hanno inoltre un’altra ragione speciale, quella della garanzia federale comune a tutti i conventi svizzeri in forza del diritto di stato federale. In quello
stesso modo, cioè, che il patto federale del 1815 obbliga tutti i Cantoni della Confederazione con pari forza, così tutte le disposizioni dello stesso sono obbligatorie, ed a tutela di tutti i confederati.
Ora l’art. 12 del Patto dice: «L’esistenza dei conventi e capitoli e la sicurezza della loro proprietà, per quanto dipende dai governi cantonali, sono garantite». –
Attenendosi a questa non ambigua disposizione del patto, ed appoggiandosi alla stessa,
i sottoscritti conventi dalla Confederazione garantiti si prendono la libertà di pregare
l’alta Dieta di ristabilire i conventi aboliti dal governo cantonale dell’Argovia. Anche i
conventi argoviesi sono sotto la medesima solenne garanzia del patto, come gli altri
conventi della Svizzera, e se il patto federale potesse violarsi in un punto, chi garantirebbe che ciò non avvenga anche in un altro?
Molti dei sottoscritti conventi godono certamente nei loro Cantoni di una
esistenza sin qui inalterata, ed osservano liberamente le pratiche loro prescritte dagli
statuti del proprio ordine; ma appunto per questo devono rammaricarsi che la condizione dei conventi argoviesi non sia altrettanto soddisfacente, e perciò pregano con fiducia nel sentimento del diritto e della fede giurata Svizzera, e con tanto maggiore instanza che l’alta Dieta conduca la quistione de’ conventi argoviesi ad uno scioglimento
conforme alle prescrizioni del patto federale.
Il Cattolico, 15 aprile 1842
2.2.
Il sistema elettorale ticinese
Anche dopo l’adozione della Costituzione liberale del 1830 (doc. A), i
diritti politici erano riservati a una parte degli adulti maschi che adempivano in particolare a due condizioni: essere patrizi e possidenti. Queste clausole escludevano
buona parte della popolazione adulta dall’esercizio del diritto di voto e vennero abolite rispettivamente nel 1855 e nel 1863, perché contrarie al diritto federale. Anche il
modo di esprimere il voto, nel Ticino dell’Ottocento, era ben diverso da quello odierno.
Durante gran parte del secolo, per scegliere i loro rappresentanti nel parlamento cantonale, gli elettori ticinesi si riunivano nel capoluogo del circolo. Il voto ai candidati
veniva espresso per alzata di mano o per separazione dell’assemblea elettorale in
gruppi distinti. Il presidente dell’ufficio elettorale prendeva nota del risultato e proclamava gli eletti, mentre il segretario stendeva il relativo verbale. Non c’era la segretezza del voto e il sistema si prestava ad ogni sorta di abuso; spesso il confronto si faceva estremamente animato e degenerava in scontri violenti tra i più facinorosi. Questi
inconvenienti erano denunciati con veemenza in un articolo (doc. B) pubblicato nel
1842 dal giornale politico di indirizzo radicale Il Repubblicano della Svizzera italiana,
diretto da Carlo Battaglini (1812-1888); il voto segreto per comune venne però introdotto solo nel 1875 dai conservatori.
I.
Istituzioni, vita politica e relazioni internazionali
Documento A
Art. 16. Per esercitare i diritti di cittadino attivo è necessario:
a) essere patrizio di qualche comune del Cantone;
b) aver l’età d’anni venticinque compiti;
c) possedere beni stabili pel valore di franchi duecento, o l’usufrutto di franchi trecento, costituito su beni stabili nel Cantone;
d) essere, da un anno almeno, domiciliato stabilmente, ed inscritto nel registro civico del comune in cui intende di esercitare il diritto di cittadinanza. Oltre di
ciò sono ritenute in pieno vigore le condizioni relative al domicilio volute dalla legge
10 dicembre 1819.
Art. 17. Un estero che voglia conseguire la cittadinanza cantonale deve:
a) avere acquistato il patriziato; l’acquisto d’un patriziato non potrà farsi
che per contratto volontario con un Comune del Cantone, mediante l’assenso di tre
quarti dei patrizi che hanno il diritto di voto;
b) avere ottenuta la naturalizzazione cantonale con un atto legislativo, dalla
quale nessun estero può essere dispensato, qualunque sia il tempo che dimora nel Cantone;
c) avere rinunciato a qualunque altra cittadinanza;
d) nessun estero naturalizzato potrà esercitare i diritti di cittadino che dopo
cinque anni dalla data del decreto di naturalizzazione.
Costituzione del Cantone Ticino del 4 luglio 1830
Documento B
Le votazioni aperte, non sono infatti che catene dorate per il popolo, perché sotto l’apparenza della più gran libertà, egli è il più delle volte obbligato a fare
quello che non crede buono e giusto. L’artigiano che si trova a fronte del ricco che lo fa
lavorare, il modesto casalingo che sta dirimpetto al suo creditore, il dipendente, non importa il come, il conterraneo, il parente, l’amico, come potranno superare tanti riguardi,
se in essi è in conflitto la convenienza con l’intimo convincimento? Eppure l’alternativa è decisiva, o bisogna votare contro coscienza, o bisogna rompere ogni rapporto di
parentela, d’amicizia, d’interesse. Un’anima ben fatta e fortemente temperata è capace
di superare tutto questo, ma, per mala ventura, quelle son poche, e il maggior numero
è composto di gente timida e cedevole alle suggestioni dell’interesse. La legge non deve
tollerare che un cittadino si trovi in questo cimento, ma deve invece agevolargli tutti i
mezzi che lo rendono indipendente.
Un cittadino che mette la sua mano nell’urna non teme né il corruccio
del potente, né la vendetta del facoltoso, né la perdita dell’amico, né il malgarbo del
conterraneo. La palla del suffragio cade in silenzio nel sì o nel no, la sua mano e il suo
cuore soltanto lo sanno. Se egli ha obbedito alla voce della coscienza si sente applaudire nel suo secreto, se invece ha obbedito alla corruzione della carne o dello spirito,
sente in secreto la sua condanna. Ma egli fu libero, nessuno gli ha potuto imporre il voto
perché niuno ha potuto mirare il movimento della sua mano.
E perché nessuno può mirare il movimento della mano, sarà meno frequente il vergognoso mercato, che abbiamo avuto a deplorare, in non pochi circoli, per
lo passato. L’ambizioso paga un voto il centuplo del suo valore relativo, quando fa al
2.
Dalla nascita del nuovo Stato federale alla Grande Guerra
49
suo scopo, e quando ne sia sicuro; ma se togli la sicurezza, il valore è tolto, perché, in
questi casi, nessuno si fida dell’incerto.
La votazione secreta è poi una garanzia delle vere maggioranze ed un
mezzo d’impedire il broglio. Tutti gli altri mezzi di alzata e seduta, levata di mani, separazione, acclamazione ecc. non garantiscono punto il maggior numero. Si sono vedute
delle nomine per acclamazione, ma chi acclamava? un partito esaltato da bevande e cibi
che circondando il burò della presidenza, con grida da spiritati soffocava le grida dei
più lontani cui si impediva l’accesso. Il levare delle mani, che si usa in alcuni circoli
delle valli superiori, non presenta nessuna certezza. Un presidente scaltro, assistito da
scrutatori devoti, ha con questo mezzo la facoltà di eleggere chi più gli piace. La separazione presenta tutti gli sconci delle altre votazioni palesi, più quello di prestarsi all’intrigante a seconda delle località. Con questo metodo la violenza può essere mezzo di
riuscita e l’inganno può accaparare suffragi. Si è visto più di una volta, i fautori d’un
candidato trascinar giù del pendio i votanti dell’altro partito che salivano, e in Gran
Consiglio siede un consigliere (ed è un sacerdote) il quale cogliendo il punto della sua
votazione col mezzo d’un acquedotto del circostante mulino, inondò la destra ove si appartavano in gran numero gli elettori a lui contrari, e gli spinse a sinistra a confondersi
coi suoi favorevoli. In questo istante egli veniva proclamato eletto e lo era alla unanimità.
Al contrario colla votazione secreta ogni cosa procede con calma e con
necessaria regolarità, e con quest’unico mezzo si possono fare le elezioni simultaneamente. Non vi ha quistione preventiva su cui si possono eccitare gli spiriti; il risultato
non può essere chiamato in dubbio se non nei rarissimi casi di parità o quasi parità di
voti; ogni cittadino resta convinto dell’ordine e nel risultato la volontà del popolo si manifesta chiaramente e i broglioni hanno chiuso il campo alle loro ribalderie.
Supplimento al Repubblicano della Svizzera italiana, 15 giugno 1842
2.3.
Il Ticino e la Costituzione federale del 1848
Prima ancora della fine della guerra del Sonderbund, una commissione
nominata dalla Dieta federale elaborò un progetto di Costituzione federale. Le rivoluzioni scoppiate in Europa a partire dal mese di febbraio evitarono alla Confederazione un intervento diretto delle grandi potenze con lo scopo di condizionare i lavori
commissionali. Il progetto venne quindi sottoposto a votazione popolare e ottenne il
sostegno di quindici cantoni e mezzo (doc. A). Il 12 settembre 1848, prima di sciogliersi definitivamente, la Dieta proclamò l’accettazione della nuova Costituzione, che segna l’atto di nascita della Svizzera contemporanea. In Ticino, il Gran Consiglio espresse parere parzialmente favorevole ma subordinato a tali riserve che il suo voto venne
considerato negativo. Il voto dei cittadini riuniti nelle assemblee di circolo risultò nettamente contrario; come risulta dal secondo articolo del Repubblicano della Svizzera
italiana (doc. B), la paura di perdere la propria autonomia e, soprattutto, i proventi derivanti dai dazi doganali prevalse sull’impegno profuso dai dirigenti radicali, favorevoli al rafforzamento dei legami tra i cantoni quale garanzia di maggiore libertà e democrazia.
I.
Istituzioni, vita politica e relazioni internazionali
Documento A
La votazione sul progetto di riforma del Patto federale incomincia con i
migliori pronostici. Berna, Zurigo e Soletta, con maggioranza grandissime, si sono già
pronunziate per l’accettazione. Fra quindici giorni la gran quistione sarà dunque decisa,
e, speriamo, decisa nel vero interesse della nazione. I Gran Consigli hanno nella maggior
parte annunciati i loro preavvisi, e tutti favorevoli al progetto; nessun dubbio adunque
che la maggioranza degli Stati e dei popoli sarà concorde ed unanime nell’accettazione.
Sul Patto, in genere, noi abbiamo ripetutamente manifestata la nostra opinione. Se i principii democratici non vi trovano sempre la più esatta e piena applicazione, convien pur dire che in tanta disparità d’interessi, di opinioni e di condizioni politiche e morali degli Stati confederati, l’accordo fu ancor grande e mirabile. Se la
costituzione svizzera, quale è proposta, ha da invidiare non pochi perfezionamenti all’americana, gli è però vero e certo che furono vinti e superati tali pregiudizi che pochi
anni fa sarebbe stato follia lo sperare. D’altra parte è questo il primo parto della nazione. Prima del 1798 la Svizzera non aveva un Patto scritto, ma l’alleanza riposava
unicamente sopra tradizioni e costumanze ereditarie, sopra dichiarazioni e atti singoli
di diete erranti. La costituzione della repubblica unitaria, l’atto di Mediazione, il Patto
del 1815 furono o dettati dallo straniero, o raffazzonati sotto la di lui influenza.
Questa volta il Patto sarà una produzione svizzera, unicamente svizzera,
perché nata dal voto spontaneo della nazione, elaborato dalla legittima sua rappresentanza, e perché sarà accettato dal suffragio espresso e libero del popolo svizzero.
Noi fummo alquanto esitanti circa la quistione economica, e sopra di
questa terremo un’altra volta discorso; ma – a fronte delle vicissitudini dei popoli confini, nel pericolo che questa bella occasione di fare da noi ci possa sfuggire; nel pericolo che la diplomazia sempre avversa, sempre desiosa di spegnere le libertà popolari
ovunque sorgano, intervenga a turbare l’opera pacifica della nazione – noi non esitiamo
a dichiarare che il Patto deve essere nel Ticino accettato. Alle necessità finanziarie si
può provvedere col tempo, colla economia, colla sagacia de’ magistrati; ma le necessità politiche hanno termini fatali, trascorsi i quali se ne spera invano il ritorno.
Comunque sian per sciogliersi le grandi complicazioni europee, la Svizzera deve cogliere il momento per organizzarsi più fortemente che possa, onde prendere una posizione a sé, resistere alle smodate pretese altrui e portare la sua influenza
dove l’interesse proprio e quello della causa comune dei popoli lo riclama. Divisa e
sparpigliata in tante picciole unità, la Svizzera fu sempre l’ancella e il mancipio dei potenti; ma organizzata in modo che tutte le sue forze s’uniscano in un sol punto, la Svizzera non detterà ad alcuno, ma non accetterà neppure da nessuno la legge.
Il Repubblicano della Svizzera italiana, 11 agosto 1848
Documento B
Non conosciamo ancora intieramente l’esito delle votazioni dei circoli
transcenerini, ma è facile presumere che la nuova Costituzione federale non sia stata
accettata. […]
Il Cantone Ticino si confonde adunque per un istante coi residui del Sonderbund; ma noi abbiam fede che ciò sarà per breve ora. La gran quistione del Patto non
fu sufficientemente intesa dal nostro popolo, e da ciò ripetiamo unicamente le ragioni del
2.
Dalla nascita del nuovo Stato federale alla Grande Guerra
51
rifiuto. Il popolo geloso della sua libertà e della sovranità cantonale prestò fede alle suggestioni, alle false insinuazioni e stimò miglior partito il negare il suo voto a ciò che non
comprese. Si crede più facilmente al male che al bene, e la nostra educazione, anzi la nostra esperienza è tale che la diffidenza è posta ben di frequente siccome regola e norma
di condotta. D’altronde le voci messe intorno dagli avversari del Patto e la discussione
avvenuta in Gran Consiglio avevano esagerato i timori del popolo circa le conseguenze
del Patto nei rapporti della finanza cantonale. Un falso allarme ha effetto simile ad una
valanga. Le proposizioni dette in Gran Consiglio ricevettero nella loro propagazione figura e proporzioni così diverse che più non si riconoscevano. Si credeva da taluno che
non solo la Confederazione avrebbe avocato a sé ogni prodotto dei nostri dazi, senza nessuna indennità; ma che si sarebbe appropriata ogni altro prodotto della finanza cantonale, e non accontentandosi di questa, avrebbe anche imposto al Cantone altre contribuzioni dirette ed indirette al segno da ridurre alla miseria il paese (!)
Comunque sia, il Patto è adottato dalla grandissima maggioranza del popolo svizzero, e quelli che furono nel Cantone colla minoranza, sono colla maggioranza
della Svizzera. Nel precedente numero abbiam detto che appena un sesto della popolazione (presa sui Cantoni) si sarebbe manifestato negativo, e i nostri calcoli toccarono
nel vero. Il Patto è accettato, e l’esperienza insegnerà quali siano stati gl’ingannatori e
quali gl’ingannati. Ma intanto noi avremo sempre il dolore di non aver partecipato per
nulla a questo grande rivolgimento politico, e dovremo per lungo tempo accusarci di
aver respinto quasi senza esame una legge che ci dava, nostro malgrado, forza e stabilità nelle istituzioni interne e voce nella famiglia degli Stati di Europa.
Il Repubblicano della Svizzera italiana, 4 settembre 1848
2.4.
Gli esuli italiani in Ticino e l’espulsione dei Ticinesi dalla Lombardia
Il Cantone Ticino, governato dai radicali, aveva accolto gli esuli italiani
che lottavano per la causa risorgimentale; tuttavia le autorità federali cercavano di moderare il comportamento troppo unilaterale del Consiglio di Stato ticinese, che metteva
in pericolo la neutralità. Nel 1848, dopo le prime sconfitte subite dai patrioti lombardi e
dall’esercito regolare piemontese e il ritorno a Milano degli austriaci, si riversarono in
Ticino diverse centinaia di rifugiati, tra i quali alcuni nomi illustri come Carlo Cattaneo.
I rapporti stilati dai commissari federali suscitarono un ampio dibattito all’Assemblea
federale, dove le voci ostili nei confronti del Ticino erano in maggioranza. Il primo documento attesta la decisione di allontanare i profughi italiani dal Cantone e trasferirli
all’interno della Confederazione (doc. A). Già in questa occasione, il governatore austriaco di Milano, generale Radetzky, aveva accusato le autorità ticinesi di tollerare sul
territorio cantonale la preparazione di azioni di forza contro la Lombardia e aveva minacciato pesanti ritorsioni. Le minacce vennero messe in atto nel 1853 con la decisione
di chiudere la frontiera ed espellere tutti i Ticinesi dalla Lombardia, come risulta dal proclama emanato dal Consiglio di Stato (doc. B). In seguito alla disastrosa situazione venutasi a creare con l’arrivo di circa 6’000 profughi, vennero organizzati i primi soccorsi
e il Cantone mise in cantiere opere pubbliche, come i «fortini della fame», per aiutare coloro che avevano perso il lavoro e tutto quanto possedevano.
I.
Istituzioni, vita politica e relazioni internazionali
Documento A
L’Assemblea Federale della Confederazione Svizzera
Avuto conoscenza degl’inconvenienti sorti nel Cantone Ticino rispetto ai
rifuggiti Italiani, che ivi si trovano;
Nell’intendimento, da un lato, di conservare i diritti di cui nella Svizzera
si fece costante applicazione, d’accordare asilo ai rifuggiti politici; e dall’altro per impedire che i rifuggiti Italiani nel Cantone Ticino non abbiano in avvenire ad abusare
dell’asilo accordato,
decreta
Art. 1. È approvato il disposto dal Vorort e dai Rappresentanti Federali nel Cantone Ticino, in forza del quale i rifuggiti Italiani vengono allontanati dal Cantone Ticino e mandati all’interno della Svizzera. Nell’esecuzione di questo provvedimento è
inteso che si avranno i riguardi comandati dall’umanità e che si avrà considerazione all’età, al sesso ed allo stato delle persone. Il Governo del Ticino è invitato ad uniformarsi
a questa disposizione, della cui esecuzione egli è mallevadore.
2. Fino a nuovo ordine dell’Assemblea Federale o del Consiglio Federale,
è egualmente vietato al Cantone Ticino, sotto risponsabilità sua, di accordare a rifuggiti Italiani soggiorno sul suo territorio, eccetto il caso che i riguardi per l’umanità giustificassero una contraria condotta.
3. Vi saranno nel Cantone Ticino dei Rappresentanti Federali per vegliare
agli interessi della Confederazione fino a che il Consiglio Federale lo reputerà conveniente. Questo è pure autorizzato, quando l’Assemblea Federale non sarà riunita, ad accettare la dimissione che a caso potesse essere data dai Rappresentanti ed all’uopo sostituir loro de’ Commissari.
4. Il Consiglio Federale è autorizzato a licenziare in tutto o in parte le truppe
federali in servizio nel Cantone Ticino; secondo le circostanze potrà pure accrescerne
il numero. I rappresentanti, in caso d’urgenza, hanno la medesima autorità.
5. Il Consiglio Federale è incaricato di agire vigorosamente onde i provvedimenti ordinati contro il Cantone Ticino dal Feldmaresciallo Radetzky, comandante
della Lombardia, sieno tolti in quanto ancora sussistessero.
6. L’Assemblea Federale ringrazia i Rappresentanti Federali nel Cantone
Ticino pel modo col quale adempirono i loro doveri.
7. Il Consiglio Federale è incaricato dell’esecuzione del presente decreto.
Berna, 27 novembre 1848
Bullettino officiale della Repubblica e Cantone del Ticino, 1848, vol. XXIV, p. 178-180
Documento B
Il Consiglio di Stato della Repubblica e Cantone del Ticino al popolo!
I tempi si sono fatti gravi. Discussioni esistenti da lunga mano con uno
Stato vicino furono vòlte in serie complicazioni internazionali all’occasione del subitaneo movimento insurrezionale successo or ora in Milano.
Un cordone militare austriaco chiude il nostro confine verso la Lombardia già dall’11, e quell’I. R. Governo, con notificazione del 16, ordinava l’espulsione
dei Ticinesi da quella provincia, dando per motivo la soppressione dei Seminari di Pollegio e di Ascona e il rimando di alcuni Cappuccini lombardi avvenuto il 21 novembre
2.
Dalla nascita del nuovo Stato federale alla Grande Guerra
53
prossimo passato. Queste disposizioni si vanno rigorosamente eseguendo. Le comunicazioni colla Lombardia sono cessate e i nostri Concittadini rientrano da tre giorni con
processione non interrotta. [...]
Cittadini che dimenticando un disagevol viaggio e una dannosa dipartita
al toccare questo suolo gridaste: Viva la Patria! voi già deste a divedere come siete maggiori della pruova.
Cittadini tutti del Cantone, non dubitiamo che sarete per essere compatti
in questa pruova, ove ogni interna gara deve tacere per far luogo ad un unico sentimento,
al sentimento della nazionalità! – Date opera al lavoro, l’assiduità compensi l’avvenuto
dissesto: l’intelligenza apra nuove fonti in sostituzione di quelle momentaneamente
chiuse: la beneficenza suggelli l’unione tra i cittadini. – Il vostro Governo farà pur esso
il dover suo: fermo al suo posto prende con calma e con prudenza le provvisioni interne
necessarie: lasciando le vertenze internazionali all’Autorità federale competente, non
cesserà però dall’attivamente secondarne le disposizioni.
Bellinzona, 22 febbraio 1853
Il Cantone Ticino nel nuovo Stato federale 1848-1859, Bellinzona 1981, Tavola VI
2.5.
Lo stato delle finanze cantonali a metà Ottocento
La costruzione di un nuovo Stato, nato poverissimo, aveva portato all’indebitamento del Cantone: le istituzioni politiche e giudiziarie, l’amministrazione
pubblica, i sussidi ai comuni per la scuola pubblica, ma soprattutto la costruzione delle
strade avevano richiesto investimenti e spese correnti ingenti. Per alcuni decenni i politici si erano avvalsi di mezzi straordinari, ricorrendo al debito pubblico e alla vendita
dei beni ecclesiastici. In questo modo si era evitato di affrontare lo spinosissimo problema dell’imposta diretta, che aveva già suscitato violente reazioni popolari al tempo
della Repubblica Elvetica. Con il trasferimento delle dogane alla Confederazione dopo
il 1848, al Cantone Ticino era venuta a mancare un’importante fonte di entrate. Anche
se era diventato Consigliere federale e quindi lontano dal Ticino, Stefano Franscini non
rinunciò a far sentire la sua voce e pubblicò un opuscolo per spiegare alcune «semplici
verità ai ticinesi»: essi dovevano convincersi che non vi erano alternative all’introduzione dell’imposta diretta.
Avanti a tutto dichiariamo, che noi, riandando il nostro passato, troviamo
che, non che essere stati teneri dell’imposta diretta, l’avemmo sempre in ubbìa. Noi
perciò abbiamo fatto plauso ai Consigli cantonali allorché, emancipando poste, dazj,
sali dal monopolio di contratti privati o da appalti, attesero a far godere allo Stato i
profitti che prima toccavano ai monopolisti, e aumentar fecero l’entrata pubblica. Ma
dacché la forza degli avvenimenti ha potuto tanto, che le rendite dello Stato non bastino
ai bisogni d’una soddisfacente azienda pubblica; e dacché un tale stato di cose, per
durare che fa da sette od otto anni, a vece di provar miglioramento, è peggiorato a tal
segno da minacciar le istituzioni di più generale e incontrastabile utilità, – noi crediamo
far opera di buoni e leali cittadini dicendo francamente al Popolo sovrano la verità
intorno alla sua situazione, e la verità intorno al rimedio che, secondo l’intimo nostro
I.
Istituzioni, vita politica e relazioni internazionali
convincimento, è il solo che possa arrecargli salute. Ecco in che senso noi siamo
partigiani dell’imposta, da noi ravvisata oggimai come una necessità di mezzo per
ristabilir l’equilibrio nelle finanze, e per preservare la repubblica dal danno e dal disonore. […]
Noi ci diamo a credere d’aver dimostrato essere una verità, che i mezzi
attuali di rendita pubblica sono assolutamente insufficienti; – una verità che non vi è
luogo a ridur notevolmente le spese senza pregiudizio dell’amministrazione pubblica,
e delle istituzioni di generale utilità; – una verità, che l’avere i supremi Consiglj, a datar dal 1803 e venendo sin qui, accarezzata sempre la fallace lusinga di potere, con tale
o tal altro espendiente, risparmiar al popolo (e ben s’intende, a loro stessi per li proprj
possedimenti e capitali) l’incomodo inerente a un’imposta, – fu causa della primiera
formazione e del progressivo accrescimento del debito pubblico.
Noi pertanto, mentre ripetiamo di credere alla difficoltà non ordinaria di
un voto d’imposta, non possiamo però non tener conto de’ motivi che alla perfine esercitar dovrebbero un’influenza decisiva sul supremo Consiglio del nostro Cantone, come
circostanze analoghe l’esercitarono sui Consigli di tanti altri Cantoni, e non ha guari
sul Popolo stesso delle antiche democrazie del Vallese e di Svitto.
Questa tal quale nostra speranza, che alla fine il Gran Consiglio possa ridur la navicella della repubblica in un sicuro porto, s’invigorisce per un riflesso molto
ovvio. Il quale si è, che l’adottamento dell’imposta, chi ben lo consideri, non è meno
conforme all’interesse del partito governamentale, che a quello dell’opposizione. Infatti nell’ipotesi che l’opposizione venisse a restar superiore nella lotta politica, che farebbero i suoi uomini entrando al maneggio degli affari, e trovandovi ancora spalancata
la voragine del deficit? Qual partito prenderebbero per chiuderla? Noi oseremmo sfidarli a trovar altri partiti che l’uno di questi due: o provvedere coll’imposta, o andar in
cerca di espedienti e di ripieghi a pregiudizio della pubblica azienda. Nel primo caso
l’opposizione s’esporrebbe al pericolo di perdere sino dal bel principio quella popolarità di cui ha dato a vedere così ardente brama.
Nel secondo caso non isfuggiranno i suoi uomini la taccia di apportatori
d’una reazione, più o meno pronunziata, più o meno ostile al liberalismo, ma in ogni
modo in contraddizione col progresso civile, e sì il nuovo ordine di cose sarà sotto il
peso dell’animavversione di tutto il liberalismo ticinese, – di quel partito, pieno d’anima e di vita, sotto i colpi del quale fuggì e soccombè il partito reazionario, sorto dalle
elezioni del febbrajo e del maggio 1839. Vi è dunque luogo a supporre che, se non la
massa dell’opposizione coalizzata, almeno un certo numero di membri, o meno pertinaci ne’ loro pregiudizj e negli odj di parte, o più accorti nel calcolare le probabilità dell’avvenire, finiranno per riconoscere quel che v’è d’imprudente nel contrariar l’accettazione di un’imposta atta a procurar i mezzi necessarj per l’azienda pubblica, e nel
prolungare per tal modo lo stato di crisi e renderlo sempre più pericoloso.
S. Franscini, Semplici verità ai ticinesi sulle finanze e su altri oggetti di ben pubblico,
Lugano 1854, p. 154-159
2.
Dalla nascita del nuovo Stato federale alla Grande Guerra
2.6.
I partiti storici ticinesi
55
La vita politica ticinese, a partire dalla riforma costituzionale del 1830,
fu caratterizzata dal confronto e spesso dallo scontro tra i due partiti oggi definiti «storici»: il partito liberale-radicale e il partito conservatore. Le questioni sulle quali più
vivacemente si confrontavano le due correnti riguardavano il rapporto tra la Chiesa
cattolica e lo Stato, la realizzazione della scuola pubblica, la libertà di stampa, il diritto
d’asilo in particolare applicato ai patrioti italiani in esilio e, prima del 1848, la riforma
del Patto federale. Lo strumento principe dell’azione politica era il giornale, impiegato
per diffondere idee e programmi politici, lanciare campagne elettorali e, quasi sempre,
per denigrare gli avversari. Molto numerosi e spesso di vita breve furono i periodici
politici nel Cantone. Proponiamo due stralci che testimoniano la vivacità della lotta
politica: uno ricavato dalla Democrazia (doc. A), di chiaro indirizzo radicale e uno dal
Credente Cattolico (doc. B), molto vicino agli ambienti ecclesiastici e su posizioni conservatrici.
Documento A
Diciamolo a nostra gloria. Siamo sopra una buona via, quella del progresso, la via la più sicura che condurci possa al conseguimento di tutti i nostri bisogni. Di
questa iniziativa noi siamo debitori agli uomini che già da quasi sei lustri ci rappresentano. Ma la via che ci resta a percorrere è ancora lunga e spinosa. Molto ancor ci resta a fare, perché la nostra patria giunga a sostenere il parallelo coi più cospicui Cantoni confederati. E questo progresso non potrà essere alimentato nel suo sviluppo se non che da
coloro che ne furono gli autori. Imperocché chi ardirebbe presentare come continuatori
del patrio progresso gli attuali avversari del partito liberale i quali involgerebbero la patria nostra nelle più fitte tenebre dell’ignoranza e della superstizione? Che potremmo noi
attendere da essi se, tuttora che non si trovano al potere, commettono cose intaccanti perfino alla pubblica morale? Per verità non finiremmo più se volessimo occuparci delle
scene scandalose ed orribili che si succedono dalla parte dei preti che sono l’organo ed il
nucleo principale del partito oltramontano. In ogni tempo questi messeri abusarono della religione per effettuare le lor mire sinistre, e talor si rivolsero al pergamo2, ma più specialmente alla confessione per imperare sulle coscienze dei penitenti. […]
Come sia pestifera e apportatrice d’ogni male la pretesca influenza, pur
troppo il nostro Cantone lo provò in epoche non lontane. E sappiate che ora le aspirazioni della stampa clericale son nientemeno che quelle di fare del nostro Cantone una copia
dello Stato papale per far godere al libero Ticino i gaudii e le delizie del popolo romano
ove per il fatale dominio dei preti (esseri a tutti noti per la loro smodata ambizione, soprattutto lorché s’immischiano negli affari temporali) non regna che ignoranza e miseria, ed ove si passano cose di sì orribil natura che nel più dispotico paese non si permetterebbero giammai. E in effetto ivi i cardinali ed i preti sono ovunque, essi sono ministri,
governatori, generali, commissari, giudici, poliziotti, bargelli e spie; l’amministrazione
è un orrido guazzo, la giustizia si vende e si compera a peso d’oro, la libertà individuale
e la sicurezza privata sono parole vuote di senso ed il popolo vive d’una vita così prospe2. Il pulpito, piccola piattaforma con parapetto dalla quale il sacerdote si rivolgeva ai fedeli durante la funzione religiosa in chiesa.
I.
Istituzioni, vita politica e relazioni internazionali
ra ed è sì felice che, per eccesso della sua felicità vi si impiccano di quando in quando alcuni cittadini, e sono quelli che aspirar vorrebbero alla libertà intellettuale e alla libertà
del proprio paese. E ancor ponno chiamarsi felici coloro che gemono nelle prigioni dell’Inquisizione perché il potere che ve li racchiude può aprir loro le porte del cielo!!!!
Ecco l’età dell’oro che vi fa sognare il Credente se porgete orecchio ai
suoi consigli, di cui per verità null’altro havvi di più strano e di più insulso.
La Democrazia, 28 gennaio 1859
Documento B
Quando noi scrivemmo che i candidati, che dovranno esser scelti nelle
prossime elezioni generali, debban rifulgere per illimitato attaccamento alla nostra religione, non miravamo punto ad asserire che tutti debban proprio esser ferventi ed ottimi cattolici. Pretender questo sarebbe impossibile, e noi daremmo prova di conoscere
ben poco e gli uomini e i tempi nostri, se dimenticar volessimo il notissimo adagio, che
chi vuol l’ottimo è nemico del bene. Nostro intento è che coloro, che, per l’avvenire,
rappresentar dovranno il paese ed attendere a rialzarlo dall’immiserimento in cui l’han
condotto i sistemi e gli uomini passati, rispettino e facciano rispettare la religione del
Cantone e le di lei leggi. Ecco ciò che in pratica vogliamo e nulla più perché noi non
entriamo nel santuario delle coscienze private, dei cui doveri è solo risponsabile innanzi
a Dio l’individuo, bastandoci, come uomo pubblico l’osservanza di quelle obbligazioni
che da lui esige la coscienza pubblica. […]
Sì, carte in tavola e bando agli equivoci. La secolarizzazione dell’istruzione adottata nel 1852 e la relativa soppressione dei conventi e corporazioni religiose
hanno offeso profondamente la religione del Cantone senza punto migliorarne materialmente la situazione, che era lo scopo apparente dei sedicenti liberali. […]
Nel 1855 il partito che si mantenne in scranna coll’appoggio di un selvaggio pronunciamento, che costò alle finanze cantonali la non esigua somma di cinquecento mila franchi, votando la legge del matrimonio civile senza premunirla delle
necessarie precauzioni per rispettare il sacramento, ha sconsacrato il matrimonio, ha
invaso il campo della Chiesa, ed ha aperto la sorgente di scandalosi concubinati e della
rovina spirituale di tanti ticinesi. […]
La legge civile-ecclesiastica, che a tamburro battente e senza punto considerarne le conseguenze fu adottata nell’anno suddetto, non v’è chi lo ignori, è un conflitto permanente colla Chiesa. […]
Dunque avvertitelo, o elettori ticinesi, i promotori della separazione della
Chiesa dallo Stato per essere essi stessi e lo Stato e la Chiesa, sono indegni della vostra
fiducia, se amate la vostra coscienza e la vostra libertà; e perciò negate loro il vostro
suffragio quando sarete chiamati ad esercitare il vostro diritto di alta sovranità.
Il Credente Cattolico, 29 gennaio 1871
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2. Dalla nascita del nuovo Stato federale alla