Monitoraggio Corte EDU febbraio 2012‐monitoraggio di sentenze e decisioni della Corte EDU rilevanti in materia penale‐DPC.IT [Andrea Giliberto | Pier Francesco Poli] Prosegue il monitoraggio mensile delle sentenze e delle più importanti decisioni della Corte EDU che interferiscono con il diritto penale sostanziale. La scheda mensile è, come di consueto, preceduta da una breve introduzione contenente una presentazione ragionata dei casi decisi dalla Corte, nella quale vengono segnalate al lettore le pronunce di maggiore interesse. Tutti i provvedimenti citati sono agevolmente reperibili sul database ufficiale della Corte EDU. SOMMARIO 1. Introduzione 2. Articolo 2 Cedu 3. Articolo 3 Cedu 4. Articolo 5 Cedu 5. Articolo 7 Cedu 6. Articolo 8 Cedu 7. Articolo 10 Cedu * * * 1. Introduzione a) Sul fronte dell'art. 2 Cedu merita menzione la sentenza Shumkova c. Russia, nella quale la Corte ha ravvisato la violazione degli obblighi di protezione rafforzata discendenti da detta norma in relazione ad un episodio di suicidio in carcere: l'evento‐morte doveva infatti ritenersi prevedibile ed evitabile, poiché il detenuto, affetto da gravi disturbi comportamentali, aveva già in precedenza tentato di togliersi la vita. Particolarmente interessante l'affermazione secondo cui non può considerarsi sufficiente il rifiuto solo verbale delle cure perché le autorità dello Stato vengano esentate dal compito di prestare adeguata assistenza medica. Presenta profili di interesse anche la sentenza Eremiasova e Pechova c. Repubblica Ceca, in cui i giudici di Strasburgo sono giunti a conclusioni analoghe in relazione alla morte di un giovane che, dopo essere stato arrestato e condotto negli uffici di pubblica sicurezza, era saltato da una finestra in un disperato tentativo di fuga. L'obbligo di protezione rafforzata sussiste dunque anche a fronte di comportamenti imprudenti o autolesionistici del beneficiario (nel caso di specie, la colpa degli agenti di polizia era consistito nel fatto che gli stessi avevano accompagnato in bagno il giovane senza manette). Ancora, si segnala la pronuncia Kolyadenko c. Russia, in cui la Corte ha riscontrato la violazione sostanziale dell'art. 2 Cedu in relazione al pericolo per la vita cui erano stati esposti i ricorrenti in ragione della decisione delle autorità locali, nel corso di una alluvione, di rilasciare in un fiume ‐ a poca distanza dal quale si trovavano le case dei ricorrenti ‐ un'ingente quantità di acqua, per paura che si rompesse la diga del bacino. b) In tema di art. 3 Cedu si segnala invece la sentenza Cara‐Damiani c. Italia, in cui i giudici europei ‐ con una decisione presa a maggioranza e accompagnata da tre interessanti dissenting opinion ‐ hanno ritenuto che fosse stata superata la soglia minima di gravità necessaria per configurare la violazione di detta norma in riferimento alla detenzione di un anziano disabile in un istituto carcerario all'interno del quale lo stesso non poteva beneficiare delle cure mediche necessarie né di adeguato spazio per il movimento. La questione che si agita sullo sfondo (in merito alla quale va menzionata anche la sentenza G. c. Francia) è quella dell'esigibilità, all'interno degli istituti di detenzione, degli stessi standard di assistenza sanitaria garantiti all'esterno (sul punto cfr. comunque la nota di Andrea Giliberto, già pubblicata in questa Rivista). Altrettanto rilevante è la pronuncia della grande camera nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia ‐ già oggetto di un dettagliato contributo di Luca Masera, pubblicato su questa Rivista ‐ in cui la Corte ha condannato il nostro Paese per i respingimenti in Libia avvenuti nel maggio 2009, riscontrando la violazione non solo dell'art. 3 (secondo la giurisprudenza consolidata in tema di espulsione) ma anche dell'art. 4 Prot. n. 4 Cedu, che vieta i respingimenti collettivi. Tra le pronunce relative ad episodi di police brutality merita poi un cenno la sentenza Hadji c. Moldavia, che mostra come la Corte europea valuti sempre più spesso come decisive ai fini dell'accertamento della violazione dell'art. 3 Cedu le osservazioni espresse dal Comitato per la prevenzione della tortura (CPT) nei suoi rapporti periodici. Paradigmatica, sul versante procedurale dell'art. 3 Cedu, la sentenza Valyayev c. Russia, nella quale la Corte ha affermato che un lasso di tempo pari a undici anni perché le doglianze del ricorrente, vittima di tortura, fossero accolte, dovesse considerarsi eccessivo. Per quel che concerne le condizioni della detenzione, pare opportuno segnalare infine la sentenza Melnitis c. Lettonia, in cui i giudici europei hanno accertato una violazione dell'art. 3 Cedu sub specie di trattamento inumano e degradante in relazione alla detenzione del ricorrente in una cella in cui il water non era separato dal resto dell'ambiente e ai detenuti non erano stati forniti presidi igienici minimi come sapone e spazzolini da denti. Giova infine ricordare la sentenza I.M. c. Francia in tema di espulsione, in cui la Grande Camera ‐ esclusa una violazione diretta dell'art. 3 Cedu riguardo all'espulsione del ricorrente verso il Darfour in ragione della sospensione del suddetto provvedimento in forza dell'intervento di una interim measure ex art. 39 Cedu ‐ ha tuttavia ravvisato una violazione dell'art. 13 Cedu in relazione all'art. 3 Cedu a causa del fatto che la domanda d'asilo presentata dal ricorrente era stata affrontata nel quadro di una procedura accelerata o d'urgenza nella quale non era stato adeguatamente garantito il suo diritto a non essere espulso. La Corte ha quindi ordinato di non procedere all'espulsione del ricorrente fino a al momento in cui la sua sentenza sia divenuta definitiva o la Corte abbia reso un'altra sentenza sull'argomento. c) Numerose sono le pronunce rese dalla Corte europea nel mese di febbraio in tema di art. 5 Cedu, le quali rivestono profili di interesse per il diritto penale. Tra queste, si segnala anzitutto la sentenza Proshkin c. Russia, in cui la Corte ha riscontrato una violazione di detta norma in relazione all'internamento in carcere del ricorrente, prosciolto per infermità mentale: i giudici europei hanno in quest'occasione ribadito che, per ritenersi legittima, ai sensi della lett. e) della citata norma convenzionale, la detenzione di un infermo di mente deve essere eseguita in una struttura idonea a fornire un supporto adeguato alla condizioni psichiche dell'internato, e non in un normale istituto penitenziario. E ancora, bisogna ricordare la sentenza Al Husin c. Bosnia Erzegovina in cui la Corte europea ‐ riscontrata una potenziale violazione del principio di non refoulement, discendente dall'art. 3 Cedu, riguardo all'espulsione del ricorrente verso la Siria ‐ ha altresì concluso ‐ ed è questo l'aspetto che qui interessa ‐ che la detenzione amministrativa del medesimo per generiche esigenze di difesa sociale non poteva ritenersi compatibile con l'art. 5 Cedu. Nello stesso senso, si segnala altresì la sentenza Al Hamadi resa sempre contro la Bosnia Erzegovina, in cui la Corte è giunta sulla base delle medesime considerazioni ad affermare una violazione dell'art. 5 Cedu in relazione alla privazione della libertà personale del ricorrente, un cittadino iracheno, sospettato di coinvolgimento in attività terroristiche. Di particolare importanza è, inoltre, la sentenza Creanga c. Romania in cui la Grande Camera ha ravvisato una duplice violazione dell'art. 5 Cedu: innanzitutto, la Corte ha ritenuto illegittimo il trattenimento del ricorrente, per dieci ore, presso la stazione di polizia presso la quale era stato convocato per rendere sommarie informazioni senza che nei suoi confronti fosse stato preso alcun provvedimento formale; in secondo luogo, essa ha concluso per l'incompatibilità della custodia cautelare del ricorrente in quanto i rimedi previsti nell'ordinamento romeno non permettono di contestare efficacemente la legittimità della medesima. d) Per quel che concerne invece l'art. 7 Cedu, merita un cenno la sentenza Alimuçaj c. Albania relativa alla condanna del ricorrente, in violazione della citata norma convenzionale, per una fattispecie di truffa aggravata introdotta successivamente al tempo del fatto commesso. e) Sul fronte dell'art. 8 Cedu, si segnala per importanza la sentenza resa dalla Grande Camera nel caso von Hannover c. Germania, relativo alla pubblicazione da parte di due settimanali tedeschi di un articolo, accompagnato da alcune fotografie della Principessa Carolina con il marito e la figlia, nel quale s'insinuava una certa noncuranza della Principessa per lo stato di salute del proprio padre, il Principe Ranieri, che all'epoca era gravemente malato. La Grande Camera ‐ discostandosi dalla propria precedente pronuncia resa nei confronti dei ricorrenti nel caso von Hannover del 2004, in cui la Corte aveva ravvisato una violazione dell'art. 8 Cedu in relazione alla pubblicazione di alcune foto di Carolina di Monaco insieme ai propri figli, allora minorenni ‐ ha escluso in questa occasione una violazione dell'art. 8 Cedu in ragione del ruolo pubblico dei ricorrenti e soprattutto della considerazione che l'articolo in questione aveva a oggetto lo stato di salute di un capo di stato e, dunque, un tema d'indubbio interesse generale. Giova ricordare inoltre la sentenza Antwi e a c. Norvegia in tema di espulsione amministrativa dello straniero irregolare in possesso di un documento d'identità falso: nel caso di specie la Corte ha ritenuto legittima l'espulsione del ricorrente, cittadino del Ghana, per esigenze di ordine pubblico, nonostante questi abbia una figlia minorenne, la quale è cittadina norvegese e non ha alcun legame culturale con il Ghana. Per quanto riguarda, invece, il diritto del detenuto ai colloqui con i propri familiari presenta profili d'interesse la sentenza Trosin c. Ucraina nella quale la Corte ha ravvisato una violazione dell'art. 8 Cedu riguardo alle limitazioni ai colloqui che nell'ordinamento ucraino conseguono automaticamente alla sentenza di condanna a una pena detentiva. Merita, infine, un cenno la sentenza Romet c. Olanda in cui i giudici europei hanno riscontrato una violazione dell'art. 8 Cedu in relazione al ritardo con cui le autorità olandesi avevano proceduto all'annullamento della patente del ricorrente a seguito del furto della medesima (oltre un anno dal giorno in cui questi aveva sporto regolare denuncia). f) Tra le numerose sentenze rese dalla Corte europea in questo mese in tema di art. 10 Cedu, si segnala anzitutto la sentenza resa dalla Grande Camera nel caso Axel Springer AG c. Germania, relativo alla condanna per diffamazione della casa editrice del quotidiano Bild in relazione alla pubblicazione della notizia della condanna penale di un attore della televisione tedesca per detenzione di stupefacenti. Nel caso di specie i giudici europei hanno ravvisato una violazione della citata norma convenzionale affermando che la scarsa notorietà dell'attore in questione e la lieve tenuità dei fatti per i quali questi era stato condannato non escludevano l'interesse generale per la notizia pubblicata, la quale tra l'altro era veritiera e non aveva superato la dose di esagerazione consentita secondo la giurisprudenza di Strasburgo. Particolare importanza riveste inoltre la sentenza Vejdeland c. Svezia in cui la Corte non ha ritenuto violato l'art. 10 Cedu in relazione alla condanna penale dei ricorrenti, ad una pena non detentiva, per aver distribuito volantini omofobi in una scuola (sul punto si rinvia alla nota di Pierfrancesco Poli, già pubblicata in questa Rivista). In tema di diffamazione e lieve entità della sanzione inflitta, si segnalano infine le sentenze Gasior c. Polonia ‐ in cui la Corte ha escluso la violazione dell'art. 10 Cedu con riferimento alla condanna della ricorrente a scusarsi pubblicamente per aver scritto due lettere a un giornale accusando un politico di fatti non accertati, ponendo l'accento in particolare sulla tenuità della sanzione inflitta ‐ e Antonescu c. Romania ‐ nella quale la Corte è giunta a conclusioni simili in relazione alla condanna ad una pena pecuniaria del ricorrente per la pubblicazione di notizie il cui contenuto diffamatorio non era stato diligentemente accertato. (Introduzione a cura di Lodovica Beduschi e Angela Colella) * * * 2. Articolo 2 Cedu C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 14 febbraio 2012, ric. n. 9296/06, Shumkova c. Russia (importance level 2) La ricorrente, cittadina russa, lamenta la violazione dell'art. 2 Cedu in relazione al suicidio del proprio figlio, avvenuto la notte del 4 agosto 2001 in una cella di sicurezza del carcere russo di Ust‐Kuta. Il figlio della ricorrente affetto da disturbi del comportamento (psychopathic personality disorder) e carattere violento, aveva tentato il suicidio il 1 agosto 2001 tagliandosi le vene del polso sinistro. La notte del 4 agosto 2001 si era tagliato vene e arterie delle cavità di entrambi i gomiti, aveva chiamato aiuto rifiutando per l'assistenza medica delle guardie: all'arrivo del medico di guardia era già caduto nella semicoscienza che lo aveva poi condotto alla morte per dissanguamento. La Corte accoglie il ricorso sia sotto il profilo sostanziale sia sotto quello procedurale. Dal punto di vista sostanziale la Corte precisa di dover accertare se le autorità sapessero o potessero sapere che il detenuto correva rischi di suicidio e se abbiano fornito adeguata assistenza sanitaria: nel caso di specie, le autorità dovevano essere allarmate dal precedente episodio di tentato suicidio ed intensificare i controlli sulle lamette da rasoio nella disponibilità del detenuto; in ogni caso, non è stata fornita adeguata assistenza medica, dato che le guardie accorse alla cella si sono limitate ad accettare il rifiuto di cure ‐ solo verbale ‐ della vittima. la Corte dichiara la violazione anche dell'aspetto procedurale dell'art. 2 Cedu, osservando che la prima inchiesta aperta dal direttore del carcere era stata tempestiva ma non indipendente, mentre le successive inchieste giudiziarie erano state lente e avevano mancato di ricercare i necessari mezzi di prova. C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 16 febbraio 2012, ric. n. 23944/04, Eremiasova e Pechova c. Repubblica Ceca (importance level 2) Le ricorrenti sono la compagna e la madre di V.P., morto poco dopo essere stato arrestato e condotto negli uffici di pubblica sicurezza. In particolare egli, accompagnato al bagno senza manette da due agenti della polizia dopo che gli erano state prelevate le impronte digitali, era saltato da una finestra che dava su un cortile e, a causa della caduta, era morto il giorno seguente in ospedale. Lamentano la violazione sostanziale e procedurale dell'art. 2 Cedu. La Corte ritiene sussistenti entrambe le violazioni. Con riguardo alla prima i giudici di Strasburgo osservano come spetti allo Stato proteggere le persone che si trovano in una situazione di privazione della libertà e pertanto che gli agenti avrebbero dovuto prevedere, in quelle condizioni, il tentativo di fuga del sig. V.P. Quanto all'aspetto procedurale, la Corte osserva che le indagini su quanto accaduto ‐terminate con l'archiviazione nei confronti dei presunti responsabili ‐ erano state condotte da personale non imparziale sussistendo così la violazione in parola. C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 28 febbraio 2012, ric. n. 14662/07, Edilova c. Russia (importance level 3) Tipico caso di sparizione di cittadino ceceno. La ricorrente è la madre di un soggetto che è stato visto essere portato via da casa da alcuni uomini armati in divisa senza essere più visto da allora. La Corte ravvisa la violazione dell'art. 2 Cedu sotto il profilo sostanziale (rilevando come, in assenza di una diversa prova da parte delle autorità, doveva ritenersi che essi fossero stati uccisi dai soldati russi) e procedurale, per ineffettività dell'inchiesta interna. Ravvisa, altresì, la violazione dell'art. 13 con riferimento all'art. 2 Cedu perché l'ineffettività delle indagini penali condotte non aveva consentito alcun rimedio adeguato alla circostanza. Ritiene inoltre sussistente la violazione procedurale dell'art. 3 Cedu con riferimento al fatto che la mancanza di indagini da parte delle autorità e la conseguente incapacità di fornire risposte alla ricorrente aveva determinato una sofferenza mentale nella stessa costituente trattamento inumano e degradante ai sensi della disposizione convenzionale. Ritiene inoltre violata la disposizione di cui all'art. 5 Cedu con riguardo alla detenzione patita dal figlio della ricorrente. C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 28 febbraio 2012, ric. n. 31682/07, Khamzatov e al. c. Russia (importance level 3) Altro caso di sparizione di un cittadino ceceno in cui la Corte riconosce la violazione sostanziale e procedurale dell'art. 2, nonché la violazione dell'art. 13 con riferimento all'art. 2 Cedu con riguardo alla mancanza di un rimedio interno effettivo. C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 28 febbraio 2012, ric. n. 17423/05, Kolyadenko e al. c. Russia (importance level 2) I ricorrenti sono sei cittadini russi i quali vivono in prossimità del fiume Pionerskaya in Vladivostok e di una riserva idrica situata nei pressi. Nel corso di una grossa alluvione le cui precipitazioni in un solo giorno erano state superiori a quelle che di norma si verificavano nell'intero mese, le autorità, per paura della rottura della diga del bacino, decidevano di rilasciare nel fiume un'ingente quantità d'acqua cagionando così l'allagamento delle zone circostanti. Le case dei sei ricorrenti venivano in seguito a tale azione danneggiate e tre di loro, uno dei quali disabile, rischiavano la vita venendo salvati solo con difficoltà. Le indagini penali che si erano in seguito aperte, miranti ad accertare sia la correttezza della decisione di scaricare l'acqua nel fiume che la corretta esecuzione degli adempimenti di pulizia di rami ed alberi caduti dentro al fiume che avevano impedito il corretto scorrimento dell'acqua causando l'allagamento, erano state archiviate sulla base del fatto che, in considerazione delle ingenti precipitazioni, le scelte delle autorità erano state corrette. Lamentano i ricorrenti la violazione degli artt. 2, con riferimento al pericolo di perdere la vita occorso, 8 e 1 prot. 1, con riguardo al danneggiamento delle proprie abitazioni e 13 con riguardo alle disposizioni appena citate con riferimento alla mancanza di un rimedio efficace. La Corte accoglie le doglianze riguardanti l'art. 2, 8 ed 1 prot. 1 Cedu. Sulla prima disposizione osserva che il pericolo di vita subito dai ricorrenti era stato dovuto alla negligenza delle autorità. Con riferimento agli artt. 8 ed 1 prot. 1 osserva che la medesima negligenza avesse causato i danni alle abitazioni, intaccando così il diritto alla vita privata e familiare dei ricorrenti di cui all'art. 8 ed il diritto di proprietà garantito dall'art. 1 prot. 1. Non ritiene invece sussistente la violazione dell'art. 13 cedu. * * * 3. Articolo 3 Cedu C.eur. dir. uomo, sez. V, sent. 2 febbraio 2012, ric. n. 9152/09, I.M. c. Francia (importance level 2) Il ricorrente, cittadino sudanese della regione del Darfour, lamenta la violazione degli articoli 3 e 13 Cedu, per essere stato sottoposto, in quanto straniero irregolare, a procedura di espulsione e per essersi visto respingere la domanda di asilo per carenza di prova della sua provenienza darfouriana, allegando di aver subito violenze e persecuzioni politiche ed etniche in patria. Esaurita la violazione dell'art. 3 per il sopravvenuto intervento di sospensione della procedura di espulsione e accoglimento della domanda di asilo, la Corte rileva la sussistenza della violazione dell'art. 13, in relazione al diritto alla tutela giurisdizionale nei procedimenti in materia di immigrazione. Ribadendo che il proprio sindacato si limita alle modalità di attuazione della procedura di asilo, la Corte evidenzia come taluni indici (e segnatamente: la ristretta tempistica di presentazione di domande e documentazioni, la carenza di potere sospensivo dei mezzi di impugnazione, gli ostacoli pratici alla presentazione della domanda di asilo per i carcerati, la mancanza di interprete nominato dal giudice ‐ cfr. parr. 134 ss.) portano a qualificare come sostanzialmente non effettiva la tutela giurisdizionale offerta al migrante dalla legge francese. La pronuncia si segnala altresì per l'intervento volontario dello UNHCR. C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 7 febbraio 2012, ric. n. 31298/05, Cemal Yilmaz c. Turchia (importance level 3) Il ricorrente, cittadino russo, lamenta di aver subito violenze durante il suo arresto, avvenuto il 1 gennaio 2004; lamenta inoltre l'ineffettività delle indagini condotte a seguito della sua denuncia. La Corte rileva innanzitutto l'incompletezza e contraddittorietà dei tre rapporti medici redatti in prossimità dei fatti, e la contraddittorietà delle testimonianze dei poliziotti coinvolti. Premesso che quando l'uso della forza contro un privato non sia oggetto di contestazione da parte dello Stato convenuto incombe su quest'ultimo l'onere della prova della sua legittimità, e rilevato che le contraddizioni segnalate, nonché l'assenza di approfondimenti istruttori in sede di indagini non consentono di ritenere provata la legittimità dell'uso della forza da parte della polizia, la Corte accoglie il ricorso. C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 7 febbraio 2012, ric. n. 2447/05, Cara‐Damiani c. Italia (importance level 2) Il ricorrente, cittadino italiano, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu con riferimento alla propria detenzione in una sezione ordinaria del carcere di Parma nonostante le sue gravi condizioni di salute, peggiorate nel corso della detenzione. Egli, infatti, soffre di una paraparesi agli arti inferiori, nonché di disturbi cardiaci e intestinali, e ha subito dal 2003 al 2010 diversi interventi, anche d'urgenza. Inoltre, il ricorrente era stato trasferito a Parma proprio per poter usufruire della nuova sezione per portatori di handicap, inaugurata con forti limitazioni di accesso solo anni dopo. In conseguenza del peggioramento delle sue condizioni, il ricorrente ha goduto della detenzione domiciliare dal marzo 2008 al settembre 2010, salvo essere ricondotto in carcere e successivamente (novembre 2010) riammesso a beneficiare della detenzione domiciliare. La Corte, richiamati i propri precedenti in materia, accoglie il ricorso, affermando che supera il minimo di afflittività previsto dalla Convenzione la condotta dello Stato che costringa per lungo tempo un anziano disabile in ambienti carcerari afflitti dalla presenza di barriere architettoniche senza consentirgli cure adeguate e adeguato spazio per il movimento. La decisione si segnala per l'opinione separata conforme dei giudici Jočienė, Berro‐Lefèvre e Karakaş, i quali ritengono che l'affermazione della Corte (par. 66) per la quale lo Stato dovrebbe garantire ai detenuti il medesimo livello di tutela sanitaria garantito all'esterno non tiene sufficientemente conto delle peculiari esigenze dell'ambiente carcerario. C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 14 febbraio 2012, ric. n. 32844/07 e n. 41378/07, Hadji c. Moldavia (importance level 3) Il ricorrente, cittadino moldavo, lamenta di essere stato detenuto in condizioni inumane e degradanti in diversi penitenziari moldavi, e in particolare in due di essi ("Prison n. 13" e "Prison n. 8"): come confermato da due rapporti dell'European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment del 2006 e del 2007, i due stabilimenti erano particolarmente carenti quanto a fornitura di energia elettrica, di acqua corrente e di sistema fognario (anche a causa della collocazione della "Prison n. 8" nella regione separatista della Transnistria). La Corte dichiara inammissibile la domanda nelle parti in cui si riferisce a periodi di detenzione anteriori al termine decadenziale di sei mesi, affermando che se la detenzione risulta suddivisa in più periodi, essi devono a tali fini considerarsi come segmenti separati; la Corte dichiara inoltre manifestamente infondata la domanda per quanto riguarda la "Prison n. 8" in quanto non constano richieste di trasferimento avanzate dal ricorrente. La Corte prosegue a valutare il merito della sola detenzione incorsa nel periodo 1 marzo 2007 ‐ 1 aprile 2008: fondando le proprie valutazioni sulle carenze di acqua e elettricità, nonché di attività ricreative, segnalate dal CPT in tale periodo, la Corte accoglie il ricorso affermando la sussistenza della violazione dell'art. 3 Cedu. C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 14 febbraio 2012, ric. n. 22150/04, Valyayev c. Russia (importance level 3) Il ricorrente, cittadino russo, condannato per diversi reati, lamenta di aver subito violenze durante la detenzione cautelare subita nel luglio 2000, quando alcuni poliziotti, durante un trasferimento, lo avevano ammanettato, incappucciato e sottoposto a circa un'ora di pestaggio, tentando di estorcergli la confessione dei crimini commessi. Dopo essersi sottoposto a visita medica, attestante postumi di violenze, il ricorrente aveva denunciato i fatti all'autorità: le indagini seguite alla denuncia sono sfociate in diversi procedimenti nei quali non sono state prese in considerazioni le risultanze mediche né è stato sentito il ricorrente, con il risultato che a seguito delle numerose impugnazioni solo nel giugno 2010 le sue domande sono state accolte. La Corte richiama la propria giurisprudenza, distinguendo il profilo sostanziale e quello procedurale dell'art. 3 Cedu. Sotto il primo aspetto, la Corte afferma che risulta documentalmente provato che il ricorrente ha riportato gravi lesioni nel periodo in cui si trovava in detenzione cautelare e che incombe pertanto sullo Stato convenuto l'onere di dimostrare le origini di tali lesioni, prova non fornita nel caso di specie. Sotto l'aspetto procedurale, giudicata irreprensibile la condotta del ricorrente (che ha subito denunciato i fatti), la Corte critica la sommarietà, l'imprecisione e la parzialità delle indagini condotte, giudicando inaccettabile il lasso di tempo di undici anni decorso prima che il ricorrente vedesse accolte le sue doglianze. Per tali ragioni la Corte accoglie il ricorso, dichiarando la violazione dell'art. 3 Cedu sia sul piano sostanziale che su quello procedurale. C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 14 febbraio 2012, ric. n. 45202/04, Volodarskiy c. Russia (importance level 3) Il ricorrente, cittadino russo, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu, allegando di aver subito violenze da parte di due uomini a seguito di un tentativo di scippo da lui effettuato e da quelli interrotto. Lamenta inoltre l'ineffettività dell'inchiesta seguita. La Corte rigetta il ricorso: sul piano sostanziale, notando come il ricorrente non abbia dato prova che le violenze siano intervenute nel periodo in cui era sottoposto al controllo dell'autorità di polizia (emergendo invece dall'istruttoria che l'aggressione sia stata perpetrata da soggetti terzi prima dell'intervento della polizia); sul piano procedurale, affermando che l'inchiesta delle autorità è stata tempestiva, breve e completa. C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 23 febbraio 2012, ric. n. 27765/09, Hirsi Jamaa e al. c. Italia (importance level 1) I ricorrenti sono 11 cittadini somali e 13 cittadini eritrei, facenti parte di un gruppo di circa 200 persone che il 6 maggio 2009 erano state intercettate da alcune navi della marina militare italiana, mentre si trovavano a bordo di tre imbarcazioni in acque internazionali a 35 miglia da Lampedusa; trasferiti sui natanti italiani, i ricorrenti erano stati ricondotti in Libia, in attuazione degli accordi bilaterali siglati tra questo paese e l' Italia nel febbraio 2009. Lamentano la violazione di diverse disposizioni convenzionali. Anzitutto dell'art 3 Cedu, con riguardo sia al fatto che essi erano stati riaccompagnati in Libia benchè fosse noto che venivano così sottoposti al concreto rischio di subire trattamenti inumani e degradanti, sia al fatto che da tale Stato rischiavano in ogni caso di essere rimpatriati in Somalia o in Eritrea, correndo il medesimo pericolo. In secondo luogo si assume violata la disposizione di cui all'art. 4 prot. 4 Cedu, norma che vieta i respingimenti collettivi, posto che i ricorrenti erano stati rimandati in Libia senza valutazione alcuna delle singole peculiarità del caso concreto. Da ultimo si contesta la violazione dell'art. 13 Cedu con riguardo alle disposizioni citate in precedenza, in quanto i ricorrenti non avevano avuto alcuna possibilità di contestare le decisioni davanti ad un'autorità che potesse sospendere il provvedimento. La Corte ritiene sussistenti tutte le violazioni. C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 16 febbraio 2012, ric. n. 16984/04, Belayev e Digtyar c. Ucraina (importance level 2) I ricorrenti, Mikhail Belyaev e Aleksandr Digtyar, sono cittadini ucraini nati nel 1981 e del 1979 e stanno attualmente scontando l'ergastolo in un carcere Romny (Ucraina). Lamentano la violazione dell'art. 3 con riferimento alle condizioni di sovraffollamento del carcere in cui, tra il 2002 ed il 2004, sono stati posti in stato di custodia cautelare. Lamentano inoltre, per lo stesso periodo, la violazione dell'art. 8 con riguardo alla circostanza che le autorità carcerarie avevano monitorato le missive inviate a vari istituti internazionali, tra cui la stessa Corte Edu. Il signor Digtyar di duole altresì della reiterazione della medesima violazione anche durante l'espiazione della pena. La Corte ritiene sussistenti tutte le violazioni. C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 16 febbraio 2012, ric. n. 34725/08, Savin c. Ucraina (importance level 2) Il ricorrente è un cittadino russo nato nel 1972 e residente in Ucraina. La sera del 18 ottobre 1999, il sig Savin è stato convocato in qualità di persona informata sui fatti per un caso di frode. Alla stazione di polizia, un ufficiale gli avrebbe legato le mani dietro la schiena e tirato pugni su tutto il corpo, in particolare alla testa, al fine di fargli confessare il delitto. Il ricorrente era stato quindi trattenuto presso la stazione di polizia sino al mattino seguente. In seguito a tale episodio, che gli aveva causato problematiche anche a livello fisico, come accertato da un dottore, il ricorrente aveva proceduto a denunziare i fatti, senza tuttavia ricevere soddisfazione. Lamenta la violazione dell'art. 3, sotto il profilo sostanziale e procedurale, nonché la violazione dell'art. 5 par. 1, con riguardo al trattenimento non giustificato presso la stazione di polizia. I giudici di Strasburgo accolgono le doglianze del ricorrente. C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 21 febbraio 2012, ric. n. 52643/07, Buzilo c. Moldova (importance level 2) Il ricorrente, Serghei Buzilo, è un cittadino moldavo nato nel 1972, residente a Chişinău. Lamenta la violazione dell'articolo 3 sotto il profilo procedurale in quanto, nel novembre 2006, la polizia lo avrebbe duramente picchiato in una stazione ove era stato condotto dopo essere stato preso per un sospetto di furto. In seguito alle sue denunzie per l'accaduto non si era aperta alcuna indagine efficace. La Corte, che non analizza il merito della vicenda poiché le vie di ricorso interne sul caso non si erano ancora esaurite, ritiene comunque inadeguate le indagini effettuate e quindi sussistente la succitata violazione sulla base del fatto che le stesse erano state lente ed inefficaci. C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 23 febbraio 2012, ric. n. 27244/09, G. c. Francia (importance level 2) Il ricorrente è un cittadino francese con disturbi psichici attualmente ristretto in un ospedale psichiatrico di Marsiglia. Nel 2005 egli venne imprigionato dopo aver causato danni in una struttura sanitaria per malati mentali. Dopo essere stato trasportato in prigione diede fuoco ad un materasso; dall'incendio che ne scaturì morì il suo compagno di cella. Fu trattenuto fino al 2009 in carcere con la motivazione che la carcerazione preventiva fosse l'unico strumento idoneo ad evitare l'inquinamento probatorio sub specie di pressione sui testimoni. Respinta ogni domanda di trasferimento al di fuori del carcere, nel 2008 fu condannato a dieci anni di reclusione per vari reati tra cui omicidio colposo aggravato, sentenza riformata nel corso dell'appello, avvenuto appunto nel 2009, che aveva escluso che l'imputato fosse capace di intendere e di volere a causa della sua grave malattia mentale, ordinando contestualmente il suo ricovero in una struttura psichiatrica. Si duole il ricorrente delle sue condizioni di detenzione, totalmente inadeguate alla patologia della quale soffriva, che costituirebbero una forma di trattamento inumano e degradante ai sensi dell'art. 3 Cedu. I giudici di Strasburgo, richiamando i propri precedenti in materia, osservano che i detenuti con patologie psichiche necessitino di cure e luoghi adeguati alla loro condizione integrando la loro mancanza un trattamento inumano e degradante ai sensi della disposizione di cui all'art. 3 Cedu. Accolgono pertanto il ricorso. C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 28 febbraio 2012, ric. n. 30779/05, Melnitis c. Lettonia (importance level 2) Il ricorrente è un cittadino lettone che vive a Renceni. In data 19 maggio 2005 fu posto in stato di custodia cautelare in quanto aveva resistito ad un pubblico ufficiale. Condannato nell'ottobre dello stesso anno a tre anni di reclusione gli fu tolta la misura cautelare e venne quindi subito liberato. Lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu ritenendo di aver subito trattamenti inumani e degradanti con riguardo alle condizioni della detenzione patita. In particolare asserisce di essersi sempre sentito sporco e umiliato in quanto non gli erano stati forniti presidii igenici quale sapone e spazzolino da denti ed il water non era separato dal resto della cella costringendo il ricorrente ad espletare i suoi bisogni fisiologici di fronte agli altri detenuti. I giudici di Strasburgo accolgono le doglianze del ricorrente considerando i fatti così come descritti trattamenti inumani e degradanti ai sensi della disposizione convenzionale citata. C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 28 febbraio 2012, ric. n. 11463/09, Samaras e al. c. Grecia (importance level 2) I ricorrenti sono 12 cittadini greci ed un somalo che a più riprese, dal 2007 in avanti, erano stati reclusi nel carcere di Loannina per periodi compresi da dieci mesi a oltre quattro anni. Lamentano la violazione dell'art. 3 Cedu per il fatto di aver soggiornato e dormito in celle piccole e sovraffollate con meno di un metro quadrato a disposizione per ciascuno, senza lo svolgimento di alcuna attività ricreativa, senza sedie né tavoli all'interno dello spazio loro destinato, stando per diciotto ore al giorno reclusi nei dormitori e sui loro letti e senza cure adeguate per i malati di HIV. La Corte, osservando che la detenzione è legittima se le condizioni della stessa non comportino uno stress superiore a quello normalmente conseguente allo stato di restrizione, ritiene che le sopra esposte situazioni di reclusione costituiscano trattamento inumano e degradante ai sensi della disposizione convenzionale. C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 16 febbraio 2012, ric. n. 75345/01, Yatsenko c. Ucraina (importance level 3) Il ricorrente è un cittadino ucraino che era stato posto in stato di custodia cautelare in seguito all'accusa di estorsione. Racconta di aver ricevuto, nel corso di tale privazione della libertà, pugni, calci, minacce di stupro nonché colpi alle parti intime. Ritiene che tali condotte siano qualificabili come trattamenti inumani e degradanti e lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu da un punto di vista procedurale in quanto le indagini, protrattesi per oltre sette anni senza raggiungere risultati, non sarebbero state adeguate. I giudici di Strasburgo accolgono il ricorso. C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 23 febbraio 2012, ric. n. 30671/04, Klishin c. Ucraina (importance level 3) Il ricorrente, cittadino ucraino, sostiene di essere stato picchiato in una stazione di polizia dopo essere stato arrestato in seguito alla denuncia per un accoltellamento. Lamenta la violazione dell'art. 3, da un punto di vista sostanziale e, quanto all'inefficacia delle indagini espletate, procedurale. I giudici di Strasburgo ritengono integrate entrambe le violazioni. *** 4. Articolo 5 Cedu C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 7 febbraio 2012, ric. n. 28869/03, Proshkin c. Russia (importance level 2) Il ricorrente, cittadino russo, processato e condannato per accuse di violenze, minacce ed estorsione, lamenta la violazione degli artt. 5 § 1, 3 e 4, e 6 § 1, Cedu, con riferimento alla legittimità della sua detenzione, condotta prima in forza di titolo cautelare e poi in base alla condanna che lo aveva riconosciuto infermo di mente, nonché con riferimento alla mancata partecipazione a gran parte delle udienze penali che lo avevano riguardato. Il ricorrente lamenta che la detenzione cautelare subita dal 27 gennaio al 18 febbraio 2003 fosse fondata su due provvedimenti giudiziali di pari data e contenuto, l'uno che ne imponeva la detenzione in un ospedale psichiatrico e l'altro in un carcere: la Corte, soffermandosi sul concetto di "legalità" della detenzione, afferma che la compresenza di due provvedimenti contrastanti non solo viola la legge nazionale (e con essa la Cedu) ma viola direttamente la Convenzione nella parte in cui persegue finalità di certezza e di tutela dall'arbitrio. Per quanto riguarda poi la detenzione subita dal ricorrente dal 18 febbraio al 18 agosto 2003, essa avrebbe dovuto svolgersi in un ospedale psichiatrico e invece, per carenze amministrative delle Autorità russe, si è svolta presso un carcere comune: la Corte rinviene una violazione dell'art. 5 § 1, dichiarando che la detenzione di un malato psichiatrico è legale solo se persegue i fini del sottoparagrafo (e) ed è effettuata in struttura idonea e non in carcere; la Corte afferma che un ritardo di sei mesi nel trasferimento del malato nella struttura è intollerabile. Il ricorrente lamenta poi la violazione dell'art. 5 § 4 Cedu per non essere stato esaminato un suo appello avverso la sentenza dichiarativa di incapacità di agire proprio sul presupposto della sua sopravvenuta incapacità a stare in giudizio: la Corte afferma che la malattia mentale non è di per sé una ragione sufficiente a limitare il diritto ad un effettivo ricorso giurisdizionale. Il ricorrente lamenta infine la violazione dell'art. 6 § 1 Cedu per non aver potuto partecipare a gran parte delle udienze che lo avevano riguardato: la Corte accoglie il ricorso, affermando che quando si discute di aspetti essenziali della responsabilità dell'imputato ‐ come il suo stato mentale al tempo dei fatti ‐ la sua presenza avanti al Giudice è imprescindibile. C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 7 febbraio 2012, ric. n. 3727/08, Al Husin c. Bosnia Erzegovina (importance level 2) Il ricorrente, cittadino siriano, allega di aver svolto attività militari e propagandistiche nelle formazioni mujaheddin bosniache e di essere stato successivamente privato della cittadinanza bosniaca per tale ragione e quindi detenuto come straniero irregolare in vista dell'espulsione verso il Paese di origine. Lamenta la violazione dell'art. 3 per il rischio di subire trattamenti inumani e degradanti in Siria a causa della propria appartenenza politica e religiosa, e la violazione dell'art. 5 § 1 per l'illegalità della propria detenzione pendente il procedimento di espulsione. Accertata la violazione dell'art. 3 attraverso il riscontro di numerosi rapporti internazionali sull'impiego della tortura in Siria avverso ‐ fra le altre ‐ la categoria politico‐religiosa di appartenenza del ricorrente, la Corte esamina la censura inerente l'art. 5 § 1, osservando che per un lungo periodo (dal 6 ottobre 2008 al 31 gennaio 2011) la detenzione del ricorrente è stata fondata solo sulla circostanza della sua ritenuta pericolosità per la sicurezza nazionale: la Corte, rammentato che l'elencazione dei sottoparagrafi dell'art. 5 § 1 è tassativa ed esaustiva, afferma in proposito che una detenzione non può mai essere giustificata sulla sola base della pericolosità di un soggetto, né sulla base del sub (c) né su quella del sub (f). Accoglie pertanto il ricorso limitatamente a detto periodo. C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 7 febbraio 2012, ric. n. 31098/10, Al Hamdani c. Bosnia Erzegovina (importance level 3) Il ricorrente, cittadino iracheno, allega di aver svolto attività militari e propagandistiche nelle formazioni mujaheddin bosniache e di essere stato successivamente privato della cittadinanza bosniaca anche per tale ragione e quindi detenuto come straniero irregolare in vista dell'espulsione verso il Paese di origine. Lamenta la violazione dell'art. 3 per il rischio di subire trattamenti inumani e degradanti in Iraq a causa della propria appartenenza etnica e religiosa, e la violazione dell'art. 5 § 1 per l'illegalità della propria detenzione pendente il procedimento di espulsione. Per quanto riguarda la violazione dell'art. 3, la Corte rigetta il ricorso, in quanto appare dimostrata solo una generale situazione di violenza senza che vi siano specifici collegamenti con la categoria di appartenenza del ricorrente. La Corte esamina poi la censura inerente l'art. 5 § 1, osservando che per un lungo periodo (dal 23 giugno 2009 al 8 novembre 2010) la detenzione del ricorrente è stata fondata solo sulla circostanza della sua ritenuta pericolosità per la sicurezza nazionale: la Corte, rammentato che l'elencazione dei sottoparagrafi dell'art. 5 § 1 è tassativa ed esaustiva, afferma in proposito che una detenzione non può mai essere giustificata sulla sola base della pericolosità di un soggetto, né sulla base del sub (c) né su quella del sub (f). Accoglie pertanto il ricorso limitatamente a detto periodo. C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 23 marzo 2012, ric. n. 29226/03, Creanga c. Romania (importance level 1) Il ricorrente è un cittadino rumeno, nato nel 1956, residente in Bucarest (Romania). Era un investigatore del dipartimento di polizia criminale della medesima città. In data 16 luglio fu informato da un suo superiore che doveva recarsi presso gli uffici della procura nazionale anticorruzione per rendere delle dichiarazioni. Qui, dopo più di dieci ore di attesa, fu informato che era stato spiccato un mandato di custodia cautelare temporanea della durata di tre giorni. Egli venne quindi trasferito in una prigione di una località vicina assieme a 13 coimputati. Questa custodia avvenne dalle 10 di sera del 16 giugno alle 10 del 18 giugno. In data 25 giugno il ricorrente era quindi stato posto in detenzione preventiva venendo rilasciato, con divieto di espatrio, in data 29 giugno 2004. Fu in seguito condannato in data 22 luglio 2010 a tre anni di reclusione con pena sospesa per aver preso tangenti al fine di coprire l'esecuzione di alcuni reati. Lamenta il ricorrente la violazione del diritto alla libertà di cui all'art. 5 par. 1 Cedu con riguardo alla detenzione di dieci ore patita il 16 luglio nonché a quelle durate dal 16 al 18 luglio e dal 25 luglio in poi. La Corte ritiene integrata la violazione di cui all'art. 5 par. 1 con riguardo al trattenimento negli uffici della procura dalle prime ore del mattino fino a sera del 16 luglio, in quanto il procuratore seppe della situazione sin dalla mattina ma decise di comunicare lo stato di custodia cautelare solo a tarda sera. Non ritiene invece sussistente la violazione della medesima norma con riguardo alla successiva custodia di tre giorni in quanto vi era il fondato rischio di inquinamento probatorio. Ritiene inoltre integrata la violazione con riferimento allo stato di custodia dal 25 giugno in poi in quanto l'espressione "contraria alla legge" con la quale la norma del codice romeno prevede la possibilità di annullare una decisione di custodia cautelare risulta essere troppo vaga per soddisfare lo standard di legalità richiesto dalla norma convenzionale. * * * 5. Articolo 7 Cedu C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 7 febbraio 2011, ric. n. 20134/05, Alimuçaj c. Albania (importance level 2) Il ricorrente, cittadino albanese, lamenta la violazione di diverse disposizioni della Cedu con riferimento alla propria vicenda giudiziaria, e particolarmente: degli artt. 2 e 3, per carenza di assistenza medica durante la propria detenzione, cautelare e sanzionatoria; dell'art. 5, per l'eccessiva e ingiustificata durata della propria detenzione cautelare; dell'art. 7, per essere stato condannato per un reato non previsto dalla legge al momento del fatto; dell'art. 6, § 1, per il mancato accoglimento di talune istanze istruttorie avanzate. Dismesse le altre censure per tardività e infondatezza, la Corte accerta la violazione dell'art. 7 Cedu. Il ricorrente è infatti stato giudicato per il reato di truffa (per aver contratto fraudolentemente prestiti con il pubblico, per tramite della propria impresa, con la consapevolezza di non poter adempiere), vigente al momento del fatto, ma condannato per una sua forma aggravata introdotta successivamente. La Corte richiama i propri precedenti in materia, e particolarmente la concezione di "legge" ai sensi della Convenzione, come ricomprendente non solo il diritto positivo ma anche gli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali purché in grado di rendere ragionevolmente prevedibile l'applicazione della sanzione al tempo del fatto. * * * 6. Articolo 8 Cedu C. eur. dir. uomo, Grande Camera, sent. 7 febbraio 2012, ric. n. 40660/08 e n. 60641/08, Von Hannover c. Germania (importance level 1) I ricorrenti, Carolina von Hannover e suo marito Ernst August von Hannover, lamentano la lesione del loro diritto al rispetto della vita privata con riferimento a una fotografia, pubblicata da due settimanali tedeschi, che aveva ritratto la coppia e la loro figlia in vacanza in una nota località di montagna durante l'ultimo periodo di malattia del padre di lei, Principe Ranieri di Monaco; l'articolo correlato evidenziava una certa noncuranza della coppia rispetto allo stato di salute del Principe. I ricorrenti avevano già adito la Corte per un caso analogo, concernente diverse fotografie, lamentando la presenza, nell'ordinamento tedesco, di un'interpretazione particolarmente ampia della libertà di stampa a discapito del rispetto alla vita privata: tale caso, n° 59320/00, sent. 24 giugno 2004, aveva portato a una profonda rivisitazione di tale orientamento, con l'adesione alla giurisprudenza di Strasburgo da parte della Corte Costituzionale e della Corte Suprema tedesche. La Corte ripercorre i criteri di bilanciamento tra libertà di stampa e rispetto della vita privata, così come elaborati dalla propria giurisprudenza:a) contributo a un dibattito di interesse generale, b) notorietà della persona e tema dell'articolo, c) precedente condotta della persona, d) contenuto, forma e conseguenze della pubblicazione, e) circostanze in cui sono state effettuate le fotografie. La Corte, in particolare, osserva che i ricorrenti sono persone di indubbia notorietà, e in parte anche di rilevio istituzionale, e che oggetto delle fotografie era lo stato di salute di un Capo di Stato e pertanto certamente un tema di pubblico interesse. Alla luce di ciò, la Corte non rinviene alcuna violazione dell'art. 8 Cedu nella fattispecie lamentata dai ricorrenti, e pertanto rigetta il ricorso. C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 14 febbraio 2012, ric. n. 7094/06, Romet c. Olanda (importance level 2) Il ricorrente, cittadino olandese, lamenta la violazione dell'art. 8 Cedu per essere stato destinatario di numerose sanzioni amministrative relative agli oltre 1.000 veicoli registrati a suo nome dopo che egli aveva regolarmente denunciato il furto della propria patente, che però non era stata invalidata per oltre un anno e mezzo finché egli non aveva presentato domanda per ottenerne una nuova secondo le previsioni della legge olandese. Premesso che il diniego all'annullamento della patente costituisce un'"interferenza" nel rispetto della vita privata del ricorrente, e che pertanto ricade nell'ambito dell'art. 8 Cedu, la Corte afferma che tale interferenza ha certamente una base nella legge interna e persegue altrettanto certamente legittimi scopi di certezza giuridica. Analizzando invece il terzo requisito previsto dall'art. 8 Cedu, la "necessità in una società democratica", la Corte afferma che a partire dalla denuncia di furto le autorità olandesi erano in condizione di poter impedire che la patente fosse validamente usata come documento di identità, non apparendo necessario l'ottenimento di nuova patente. Per tale motivo la Corte accoglie il ricorso. Quanto alla liquidazione del danno, in carenza di puntuale prova del danno patrimoniale subito dal ricorrente, la Corte determina una somma a solo titolo di danno non patrimoniale. C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 14 febbraio 2012, ric. n. 26940/10, Antwi e a. c. Norvegia (importance level 2) I ricorrenti, un cittadino ghanese, la moglie cittadina ghanese e norvegese, e la loro figlia, cittadina norvegese, lamentano la violazione del diritto al rispetto della vita familiare causata dall'ordine di espulsione del primo ricorrente con divieto di reingresso per cinque anni, deciso a causa dell'irregolare permanenza in Norvegia dello stesso ricorrente sulla base di un falso passaporto recante falsa identità. La Corte, premesso che il caso attiene all'ambito di applicazione dell'art. 8 Cedu per tutti e tre i ricorrenti, analizza diversamente le tre posizioni: chiarito che la condotta del padre rappresenta una grave violazione della legislazione in materia di immigrazione, e considerato che le origini ghanesi della moglie possono costituire solida base per un ricongiungimento della famiglia in Ghana, la Corte ritiene che l'unica posizione sensibile sia quella della figlia minore, la quale mostra di avere un rapporto particolarmente forte col padre e la quale è cittadina norvegese senza alcun legame culturale o linguistico con il Ghana. Nondimeno, la Corte, richiamando il precedente Nunez c. Norvegia, ritiene che il caso non assurga a un livello di gravità tale da superare le normali difficoltà nelle quali potrà incorrere la famiglia, sia che scelga di trasferirsi in Ghana sia che scelga di rimanere in Norvegia. La pronuncia si segnala per l'opinione dissenziente del giudice Sicilianos, con adesione del giudice Lazarova Trajkovska, la quale lamenta che non sia stato preso in considerazione il principio del "miglior interesse del bambino", che dovrebbe essere prevalente in ogni azione riguardante i bambini e che stante la sua diffusione dovrebbe essere considerato un principio generale del diritto internazionale. C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 23 febbraio 2012, ric. n. 39758/05, Trosin c. Ucraina (importance level 2) Il ricorrente è un cittadino ucraino attualmente in stato di reclusione in espiazione di un ergastolo cui era stato condannato per aver commesso un omicidio. Dalla condanna, avvenuta nel 2005, sino al febbraio del 2010 le visite dei parenti venivano limitate ad una ogni 6 mesi. In seguito, gli fu concessa la possibilità di ricevere una visita ogni 3 mesi. Le visite non potevano durare più di quattro ore e non potevano essere presenti più di tre persone per volta, il che aveva anche comportato l'esclusione dai colloqui, a turno, di alcuni dei suoi familiari. Quanto alle modalità degli incontri egli poteva comunicare solamente dietro una parete di vetro e le sue conversazioni venivano ascoltate dalle guardie. Lamenta la violazione dell'articolo 8 con riferimento alla violazione della propria vita privata e familiare. La Corte accoglie il ricorso sulla base del fatto che sia diritto fondamentale del detenuto quello di mantenere rapporti con la propria famiglia. Le limitazioni a tale diritto sono consentite unicamente per ragioni specifiche previste ex lege. Il sistema ucraino, in cui le restrizioni sopra descritte conseguono automaticamente alla condanna alla reclusione, lede il diritto in parola. Parimenti lesivo della disposizione in oggetto è la limitazione del numero dei visitatori, il fatto che non venga consentito alcun contatto fisico del detenuto con i parenti nonchè la circostanza che i colloqui fossero ascoltati nella loro integrità da una guardia, fattori che violano l'intimità del contatto con la propria famiglia. * * * 7. Articolo 10 Cedu C. eur. dir. uomo, Grande Camera, sent. 7 febbraio 2012, ric. n. 39954/08, Axel Springer AG c. Germania (importance level 1) La ricorrente, società di diritto tedesco editrice del quotidiano Bild, lamenta la lesione del diritto alla libertà di espressione per aver subito interdizioni e sanzioni da parte delle corti interne per aver pubblicato due articoli aventi ad oggetto la vicenda dell'attore X (che al tempo impersonava un noto eroe televisivo), condannato in recidiva per possesso e consumo di modiche quantità di cocaina. In particolare, le corti nazionali avevano ritenuto che, per la modesta notorietà dell'attore nonché per la ridotta rilevanza penale delle condotte, il rilievo dato alla notizie fosse sproporzionato rispetto all'interesse del pubblico ad essere messo a conoscenza dei fatti. La Corte, premesso che il bilanciamento tra libertà di stampa e diritto alla riservatezza deve essere effettuato sulla base dei medesimi criteri ‐ qualsiasi dei due diritti venga invocato dal ricorrente ‐, richiama i criteri elaborati in proposito dalla propria giurisprudenza: a) contributo a un dibattito di interesse generale, b) notorietà della persona e tema dell'articolo, c) precedente condotta della persona, d) contenuto, forma e conseguenze della pubblicazione, e) circostanze in cui sono state raccolte le informazioni e loro veridicità. Applicando tali criteri al caso di specie, la Corte osserva che il pubblico ha in linea di principi interesse ad essere informato su procedimenti penali, che l'attore X possedeva una notorietà sufficiente a renderlo un "personaggio pubblico", che era stato lui stesso a rilasciare interviste sul proprio consumo di droghe, che la pubblicazione era stata veritiera e non esagerata e che non aveva avuto conseguenze pregiudizievoli per lo stesso X. Alla luce di ciò, la Corte afferma che vi è stata violazione dell'art. 10 Cedu e condanna lo Stato tedesco a rifondere i danni all'editore ricorrente. C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 9 febbraio 2012, ric. n. 1813/07, Vejdeland e a. c. Svezia (importance level 1) I ricorrenti, quattro cittadini svedesi, lamentano la violazione dell'art. 10 Cedu per essere stati condannati a pene non detentive per aver distribuito in una scuola un centinaio di opuscoli che descrivevano l'omosessualità come una "tendenza sessuale deviante" e come una delle cause principali della diffusione dell'AIDS e della pedofilia. La Corte premette che la condanna dei ricorrenti costituisce un'"ingerenza" nella libertà di espressione e quindi ricade nell'ambito dell'art. 10 Cedu, e precisa che sono pacifici tanto il "legittimo fine" quanto la "legalità" dell'ingerenza stessa. In punto di proporzione e necessità dell'ingerenza, la Corte afferma che gli opuscoli diffusi dai ricorrenti, pur non costituendo un diretto incitamento alla violenza, rappresentano accuse serie e pregiudiziali, e che la discriminazione basata sull'orientamento sessuale è altrettanto pericolosa che quella basata su razza, provenienza e etnia; la Corte afferma poi che deve essere considerato anche il contesto in cui le affermazioni sono effettuate e l'afflittività delle sanzioni che siano state irrogate. Pertanto, considerate le lievi sanzioni, il contesto "protetto" della scuola e la serietà delle accuse contenute negli opuscoli, la Corte non ritiene violato l'art. 10 Cedu e all'unanimità rigetta il ricorso. La pronuncia si segnala per tre opinioni concorrenti: la prima, quella del giudice Spielmann con adesione del giudice Nussberger, osserva che avrebbe dovuto essere meglio approfondito il legame tra le affermazioni diffuse negli opuscoli e il presunto fine occulto di incitare all'odio; la seconda, quella del giudice Boštjan Zupančič, operando un confronto con caso Snyder v. Phelps et al (Supreme Court of U.S., 2011), osserva che lo standard di giudizio europeo tende ad accentuare l'importanza del contesto in cui sono effettuate le affermazioni oltre che il loro contenuto; la terza, quella del giudice Yudkivska con adesione del giudice Villiger, ritiene al contrario che le affermazioni de quibus non possano ricadere nell'ambito dell'art. 10 Cedu (ed essere pertanto soggette ad un bilanciamento con un diverso interesse tutelato) ma costituiscano "hate speech" che deve essere in ogni caso contrastato. C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 21 febbraio 2012, ric. n. 34472/07, Gasior c. Polonia (importance level 2) La ricorrente, Wanda Gąsior, è una cittadina polacca nata nel 1931 e residente a Cracovia (Polonia). Nell'agosto 2006 è stata giudicata colpevole di diffamazione con l'ordine di scusarsi pubblicamente, poiché aveva scritto due lettere in cui si lamentava che un politico di primo piano non aveva pagato la compagnia di suo genero per la costruzione della sua villa. Lamenta la violazione dell'art. 10 (libertà di espressione e di informazione). La Corte non ritiene violata la disposizione in parola sulla base della circostanza che la il merito della sanzione cui era stata condannata la ricorrente ‐ l'ordine di scusarsi pubblicamente ‐ per l'affermazione di fatti non accertati non appariva un'interferenza sproporzionata nella libertà di espressione dell'individuo. C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 21 febbraio 2012, ric. n. 31029/05, Antonescu c. Romania (importance level 3) Il ricorrente è un cittadino romeno il quale era stato nominato nel 2001 sottosegretario di Stato alla cultura. Il caso concerne una circolare dallo stesso firmata che era stata in seguito riportata in numerosi articoli di giornale. In essa il ricorrente invitava i direttori di 42 teatri statali a chiedere al sig. I.C. precedente Ministro della cultura nonché presidente dell'Associazione nazionale per il teatro (c.d. Uniter), informazioni sull'utilizzo dei fondi raccolti dalla Uniter per i loro teatri. Il sig. I.C. aveva quindi proposto querela per diffamazione contro il ricorrente che era stato infine condannato all'esito del processo ad un'ammenda corrispondente a circa 800 euro. Lamenta la violazione della propria libertà di espressione garantita dall'articolo 10 Cedu. I giudici di Strasburgo non ritengono integrata la violazione sulla base del fatto che il ricorrente aveva gettato, sia pure mediante un equivoco silenzio sulla destinazione del denaro, un infondato sospetto sull'utilizzo scorretto dei fondi pubblici da parte del sig. I.C.. La mitezza della condanna era stata inoltre tale da non integrare una sproporzionata ingerenza dello Stato nella libertà di espressione dell'individuo.