Cliccare per proseguire Realizzazione editoriale: Edizioni Luì Via Galileo Galilei, 38 Chiusi (Siena) Prodotto in Italia - Made in Italy Simboli usati e azione corrispondente: passa alla pagina seguente torna alla pagina precedente © 1999 Edizioni Luì Testi e immagini tratti dal volume: Enrico Barni - Giacomo Bersotti, La diocesi di Chiusi, Edizioni Luì - Chiusi, 1999 Abbreviazioni usate nel testo: A.C.C. Archivio del Comune di Chiusi A.C.V.C. Archivio della Curia Vescovile di Chiusi i visualizza l’indice per uscire dal programma puntatore del mouse in condizioni normali puntatore del mouse quando tocca una zona interattiva (cliccare per accedere all’azione) Nota (cliccare per leggere) i La Diocesi di Chiusi ENRICO BARNI GIACOMO BERSOTTI Edizioni Luì i «C iascuno è invitato a fare quanto è in suo potere, perché non venga trascurata la grande sfida dell’Anno 2000, cui è sicuramente connessa una particolare grazia del Signore per la Chiesa e per l’intera umanità». Con queste parole Giovanni Paolo II chiude il § IV della Lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente indirizzata alla Chiesa cattolica, il 10 novembre 1994, in merito alla preparazione al Giubileo del 2000. La Banca di Credito Cooperativo di Chiusi, in linea con i principi della cooperazione e della mutualità, “nell’intento di migliorare le condizioni morali e materiali dei soci” – secondo il dettato dell’art. 2 dell’originario Statuto del 1908 – desidera far eco alle parole del Sommo Pontefice. La Bcc infatti è intenzionata ad attivarsi non solo nell’ambito della operatività istituzionale inerente la raccolta e l’impiego delle disponibilità finanziarie della clientela tutta, ma anche in campo culturale dove è presente oramai fin dal luglio 1982. Nei mesi passati la Bcc di Chiusi si è fatta promotrice di un’intensa e qualificata opera di consulenza, organizzando conferenze, producendo materiale illustrativo distribuito sia per posta che presso gli sportelli, e pubblicando il periodico “Bancanostra Informa”. Ha approntato inoltre gli strumenti tecnici necessari per non arrivare impreparata all’Euro, al Duemila, al Giubileo, e a tutti quei risvolti di natura economica che in tali eventi troveranno origine. Oggi, a pochi mesi dall’apertura della Porta Santa nella Basilica di San Pietro che inaugura l’Anno Giubilare, la Bcc di Chiusi pone all’attenzione dei soci, della clientela e degli appassionati la storia de “La Diocesi di Chiusi”, la più antica della Toscana: diocesi “madre”, territorialmente parlando, di Pienza, Montepulciano, Cortona, Montalcino, Città della Pieve. L’opera reca la firma di Enrico Barni che, apprezzato studioso di storia locale a livello sia amatoriale che accademico, si è avvalso delle ricerche effettuate dal compianto don Giacomo Bersotti, archivista della locale cattedrale e autore di testi che illustrano le vicende storiche di Chiusi. L’autore ha ordinato, integrato e redatto tre capitoli che con mirabile equilibrio rendono di particolare interesse e di avvincente lettura l’argomento trattato. Sempre alla competenza di Enrico Barni si deve la composizione del corredo iconografico, che arricchisce egregiamente il testo. La pubblicazione del volume è uno dei contributi che la Bcc di Chiusi vuole dare, nel rispetto di tutte le fedi religiose, i all’evento “Giubileo”, fiduciosa che le istituzioni civili, le associazioni di categoria, gli operatori economici, le aziende di promozione turistica e le tante associazioni che animano il tessuto sociale dei nostri paesi, non indugino anch’esse ad attivarsi. Autorevoli previsioni, infatti, indicano la città di Chiusi e i paesi vicini come direttamente interessati dal flusso migratorio (pellegrini, turisti, curiosi...) messo in moto dal Giubileo: occasione provvidenziale per creare lavoro e risollevare una economia non brillante. Euro, Anno Duemila e Giubileo, tre pietre miliari che segnano il passaggio al terzo millennio, aprendo uno scenario in cui la Banca di Credito Cooperativo di Chiusi gioca per l’ennesima volta la propria credibilità, e in mutuo scambio di professionalità si pone al fianco di quanti (famiglie, aziende, commercianti...) operando nel territorio di sua competenza hanno coscienza di vivere una storia che attraversando i millenni non può restare gelosa custode di se stessa, ma deve protendersi verso un futuro migliore, ricco di laboriosità e di speranza. Banca di Credito Cooperativo di Chiusi Il Consiglio di Amministrazione i Presentazione I n occasione dell’ormai imminente Giubileo del 2000 la Banca di Credito Cooperativo di Chiusi offre a tutti i cittadini ed in particolare agli appassionati di storia ecclesiastica locale questo libro sulla storia della diocesi clusina dalle sue origini fino ai nostri giorni. Frutto delle ricerche documentarie e iconografiche di don Giacomo Bersotti, defunto archivista diocesano, e di Enrico Barni, il lavoro si articola su tre capitoli: nel primo viene tracciato un sintetico, ma esauriente profilo di storia della diocesi; il secondo è dedicato alle vicende della cattedrale di San Secondiano e della chiesa di Santa Mustiola; nel terzo, infine, viene ricostruita sulla base dei dati documentari più attendibili la «cronotassi» dei vescovi clusini da Lucio Petronio Destro (inizi del IV sec. d.C.) fino all’attuale presule di Montepulciano-Chiusi-Pienza, mons. Alberto Giglioli. Un discorso storico, che si dipana per il lungo tratto di diciassette secoli, non può non aprire molteplici vie ad ulteriori approfondimenti; non può non porre infiniti interrogativi, per i quali non siamo ancora pronti per scrivere una risposta esaustiva; non può, infine, non porre anche qualche legittimo dubbio sul senso e sulla sensatezza di tante vicende e di tanti interventi umani. La ricerca storiografica può sperare di reperire i documenti scritti ed i «resti» materiali del passato: come quelle “pietre sporgenti dall’abside centrale del duomo” ricordate a pagina 39, o come la “strana iscrizione” del 1557, spiegata a pagina 44. I documenti ed i residui archeologici aprono squarci di luce in una oscurità, che in parte è dovuta alle condizioni oggettive del tempo (basti qui ricordare le distruzioni tanto della guerra gotica o delle guerre longobarde, quanto – in età a noi più recente – della guerra medicea per la conquista di Siena), ma in parte dipende anche dall’incuria degli uomini nei confronti della sopravvivenza del passato nel presente: un’incuria talora involontaria, ma talora persino voluta e intenzionale, come si può affermare per l’età delle riforme leopoldine e, più in generale, per tutto il secolo e passa del dominio asburgo-lorenese. Quante sopravvivenze materiali e spirituali dei tempi antichi delle Chiese locali furono allora svendute ai privati o distrutte, nel nome di una religiosità adeguata alle regole della «moderna» disciplina ecclesiastica e di una più raffinata devozione spirituale, ma anche sulla scia di un giudizio estetico, che oggi ci appare assai discutibile! Eppure, il recupero della memoria storica rimane un’operazione «civile» fondamentale sia al fine della costruzione di un’identità comunitaria aperta al confronto con gli «altri» sul piano etnico, culturale e religioso, sia nella prospettiva della costruzione i consapevole del futuro individuale e collettivo. Un’analisi serena e lucida delle antiche vicende – e questo è certo un merito che va riconosciuto alla fatica dei nostri autori – consente di interpretare lo svolgersi della nostra storia al di fuori di schemi semplicistici, ricostruendo la complessità dei fattori in gioco pur nella rigorosa unitarietà della vita sociale degli uomini. La comparazione, poi, della storia particolare di questa diocesi con le vicende di altre comunità simili per istituzioni e per ideologie ci aiuta a comprendere la portata e la «direzione» degli eventi con il necessario distacco, senza inciampare in quella facile tentazione dell’«amor patrio», se non addirittura del campanilismo, che pure gli autori hanno saputo evitare. Così, mentre sottolineo la rilevanza nel discorso storiografico di spunti che andranno ripresi in successive ricerche – dall’incidenza della riforma gregoriana e della lotta per le investiture nella vita diocesana dei primi secoli dopo il Mille, all’assenteismo parassitario dei vescovi in epoca rinascimentale, fino al lungo episcopato di Giuseppe Pannilini, un giansenista talmente abile da mantenere il governo episcopale persino nel pieno dell’età della Restaurazione –, vorrei chiudere questa mia succinta presentazione esprimendo una sostanziale adesione al giudizio degli autori di pur cauto dissenso nei confronti dell’annessione della diocesi clusina a quella di Montepulciano in posizione sostanzialmente subalterna. La storia delle istituzioni ecclesiastiche è nel nostro paese «storia civile» assai più di quanto comunemente si creda: ne sono una prova evidentissima le stesse vicende di questa diocesi, tanto nel Medio Evo quanto nell’Età Moderna, sia nell’assoggettamento ai poteri politici, sia nel periodico adattamento della giurisdizione spirituale sul territorio alle mutevoli esigenze della distrettuazione civile. Tuttavia, non sarebbe male che nel presente storico si mantenesse aperto un rapporto dialettico fra le forze in campo ed in questo «gioco» la Chiesa locale potrebbe assumere, pur senza venir meno ai suoi odierni impegni pastorali, il ruolo non irrilevante di testimone della memoria storica più che millenaria di una comunità ancora viva. Gaetano Greco Università degli Studi di Siena i Introduzione Q uesta storia della diocesi di Chiusi, che parte dalle origini del Cristianesimo per arrivare ai nostri giorni, è stata resa possibile dalla elaborazione della enorme mole di dati raccolti in tanti anni dal compianto Giacomo Bersotti e dalle ricerche da mé condotte in merito. Giacomo Bersotti non aveva in mente di scrivere una vera e propria storia della diocesi chiusina, ma, lavorando per anni a riordinare e studiare le carte degli archivi del Comune e della Curia Vescovile di Chiusi, ebbe modo di annotare tante notizie sulla storia religiosa della città che egli pensava di utilizzare nel corpus di un progetto più generale sulla storia di Chiusi. È stata per mé un’esperienza esaltante leggere i suoi appunti e quasi dialogare e lavorare idealmente con lui alla stesura definitiva di questa storia, mettendo a confronto le nostre ricerche e le nostre idee, animati dallo stesso amore per la cultura e la storia della nostra città. Mi sembra dunque che questo lavoro illustri sufficientemente l’importanza storico-religiosa della diocesi di Chiusi e ne metta in risalto non solo le antiche origini, ma lo sviluppo e la continuità storica delle vicende, esaltandone il ruolo all’interno della nuova diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza, soprattutto oggi che ci avviamo all’inizio del terzo millennio. Chiusi, 3 aprile 1999 Enrico Barni Ringrazio vivamente Onedo Meacci, Presidente dell’Opera della Cattedrale di Chiusi; Arnaldo Barbieri, Presidente della Fabbriceria della Cattedrale di Pienza; Anna Romanini, Ispettore della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra per le Catacombe della Toscana e dell’Umbria; gli amici della Libera Associazione di Documentazione Storica della città di Chiusi: Severino Mignoni, Roberto Sanchini, Fausto Lottarini. i CAPITOLO I VICENDE DELLA DIOCESI I.1. Le origini del Cristianesimo e della Diocesi di Chiusi. Il territorio dell’antica lucumonìa di Chiusi, che fu vastissimo all’epoca del maggior splendore della città etrusca, confinava con i territori di Arezzo, Cortona, Perugia, Volsinii (Orvieto), Roselle, Volterra1. Sul finire della repubblica romana e nell’età imperiale questo territorio era stato già da tempo ridotto. Quando, all’epoca di Ottaviano Augusto, fu fondata la colonia di Saena Julia (Siena), il territorio chiusino era stato già privato, da parte di Arezzo, di Sinalunga, Montepulciano, Pienza, S. Quirico d’Orcia, Montalcino. Fu durante l’epoca imperiale che Chiusi vide nascere tra le sue mura la fede cristiana. Rispetto a molti altri centri della Tuscia, Chiusi fu tra i primi ad avere un nucleo di cristiani. Furono forse dei soldati o più probabilmente dei mercanti siriaci, a far nascere la scintilla della fede cristiana, durante l’impero di Adriano (117-138)2. Quel che è certo è che Chiusi ebbe il suo nucleo di paleocristiani prima della stessa Arezzo, tra la metà e la fine del II secolo3. i Ingresso e interno delle catacombe di Santa Caterina. A favorirne la nascita precoce fu certo la posizione strategica che la città occupava nelle vie di comunicazione che da Roma si irradiavano verso Nord. Infatti attraversava il suo territorio la Cassia Seriore o Clodia, l’importante strada romana che fu il veicolo di esportazione del Cristianesimo. Chiusi, più vicina a Roma, fu anche la prima città ad assorbire quei nuovi semi. L’affermazione del Cristianesimo a Chiusi, come negli altri antichi centri della Tuscia, non fu immediata e senza ostacoli. Nella città persistevano certamente culti pagani che sarebbero rimasti ancora per secoli. Del resto erano i culti che si adattavano alle classi popolari e che più coincidevano con le tradizioni culturali e religiose etrusche che Roma aveva assorbito nel suo sincretismo greco-romano. I culti pagani dovettero in effetti permanere a lungo nel territorio chiusino, giustificati dal tradizionalismo delle classi popolari, specie nelle campagne ove meno frequenti erano i contatti con le altre classi4. L’estensione del territorio chiusino e la presenza di una miriade di piccole comunità agricole ostacolarono dunque un’espansione veloce e sistematica del Cristianesimo, come avvenne nella gran parte dei pagi dell’impero romano. Dall’altra parte le persone di media cultura, i soldati, i mercanti e gli schiavi colti, vennero attratti e furono gli agenti di propaganda dei culti orientali, che in tutto l’impero si diffusero con grande vigore. Il culto di Iside e Serapide sviluppatosi al tempo di Silla, quello di Mithria, furono tra i maggiori avversari del Cristianesimo5. Sicuramente anche a Chiusi, come in tutto l’impero romano, la libertà di culto creò un’estrema confusione religiosa: nella città prevalevano i culti orientali e pagani mentre si affacciava il Cristianesimo; nelle campagne gli uomini innalzavano le loro are seguendo ancora consuetudini millenarie. i Ingresso e interno delle catacombe di Santa Mustiola, e lapide di Lucio Petronio Destro. Questa estrema promiscuità religiosa è ravvisabile in uno dei due cimiteri cristiani che esistono nelle vicinanze di Chiusi: le catacombe di Santa Caterina. Esse, che vengono fatte risalire al III secolo e che sono stimate più antiche di quelle di Santa Mustiola, mostrano sepolture cristiane accanto ad altre con emblemi pagani6. Ciò starebbe a dimostrare che almeno per un certo periodo la libertà di culto non provocò contrasti insanabili tra i seguaci delle varie religioni, che probabilmente facevano anche parte delle stesse famiglie7. Non mancarono tuttavia atti di fanatismo, come dimostrano i motti epicurei che il canonico Antonio Mazzetti vi trovò graffiti probabilmente da antichi profanatori e che per troppo zelo cristiano cancellò all’atto della scoperta delle catacombe, nel 18488. Leggermente più tarde rispetto a quelle di Santa Caterina sono probabilmente le catacombe di Santa Mustiola. Esse rappresentarono per secoli il luogo di maggiore venerazione cristiana dell’intero territorio chiusino. Esistevano già sulla fine del III secolo, come si desume dalla iscrizione - DEPOSITIO REDEMTE DIOCLETIANO AVG IIII ET MAXIMIANO III CONS XVII KAL FEB9. La data consolare di Diocleziano e Massimiano corrisponde all’anno 290. In queste catacombe trovò sepoltura la martire Mustiola, che morì nell’anno 274 sotto l’impero di Aureliano. In questo caso i primi cristiani di Chiusi scelsero per le proprie sepolture un terreno che da secoli veniva usato a scopo cemeteriale. Tale era stato per gli Etruschi, come dimostrano i tanti ritrovamenti ivi avvenuti sin dal XVIII secolo e che fecero dire, nel 1759, all’erudito Luigi Antonio Paolozzi: Questo poggio tutto poco men che tufaceo rimane contiguo alla strada, che dalla Città all’antica Chiesa di S. Mustiola conduce, la quale è situata colle sue Catacombe famose quasi alle falde del suddetto poggio verso la parte orientale, ed alle Chiane vicina, onde questo degno di osservazione si rende; imperciocché non può i negarsi che non sia stato un luogo particolare dagli antichi chiusini per la loro sepoltura destinato, e prescelto10. All’epoca della costruzione delle catacombe, il terreno apparteneva con ogni probabilità alla nobile famiglia dei Pomponi. Nel secolo IV i parenti della martire Mustiola vivevano ancora a Chiusi, come attesta l’iscrizione funebre di Giulia Asinia Felicissima Ex genere Mustiolae Sanctae.11 Forse proprio Giulia ed il marito Pomponio Felicissimo furono gli edificatori, sullo stesso terreno delle catacombe, della prima basilica paleocristiana di Santa Mustiola, della cui storia ci occuperemo in seguito. Chiusi ebbe dunque i suoi martiri che hanno il nome di Mustiola, Ireneo Diacono, Ulpia Vittoria, Quinto Velio ed altri sepolti nelle due catacombe che indicano l’importanza della chiesa chiusina quando, secondo la Passio Sanctae Mustiolae (secolo V) l’imperatore Aureliano nell’anno 274 mandò a Chiusi Turcio Aproniano per stroncare il fenomeno religioso che si era fatto sempre più evidente12. La comunità cristiana di Chiusi crebbe di numero e d’importanza tra la fine del III e l’inizio del IV secolo. Non è un caso che la prima memoria certa della presenza di un vescovo la troviamo, nelle catacombe di Santa Mustiola, nella lapide incisa che ricorda Lucio Petronio Destro, morto nel 32213, solo pochi anni dopo il famoso editto di Costantino (313) col quale l’imperatore riconobbe ai cristiani piena libertà di culto. Proprio dal 313 vi sono notizie di vescovi toscani che parteciparono al primo sinodo romano14. Considerata la prima notizia di un vescovo di Chiusi pervenutaci, quella ricordata di Lucio Petronio Destro, e avuta presente la precocità dello sviluppo del Cristianesimo nel territorio chiusino, dobbiamo pensare che l’organizzazione ecclesiastica chiusina fosse già in atto e articolata alla fine del III secolo. Come nelle altre parti della Tuscia, essa si modellò sulla preesistente organizzazione amministrativa dell’impero romano15. Nella sede della civitas risiedeva l’episcopus, che aveva giurisdizione fino ai confini diocesani modellati su quelli dell’impero romano. Lo stesso nome di diocesi richiama l’organizzazione imperiale, di cui il vescovo cristiano fu il sovrintendente, assistito da un collegio sacerdotale (i presbiteri) presieduto da un arcidiacono. Dalla civitas sede del vescovo il suo potere si irradiava sull’intero territorio di giurisdizione e sui pagi (unità amministrative dei municipi romani). Nelle sedi principali dei pagi, i vici, sorsero le prime pievi, dal latino plebs (popolo) le cui principali sedi furono una statio o una mutatio lungo la Cassia e le sue diramazioni16. i Spilla in rame del V secolo trovata tra Chiusi e Sarteano. I.2. I Longobardi e il Cristianesimo. Nei secoli IV e V nuclei di cristiani si erano certamente formati anche nelle zone più vicine a Chiusi, come si può rilevare da un reperto archeologico, oggi smarrito, trovato casualmente anni or sono tra Chiusi e Sarteano in zona Astrone. Si trattava di una spilla in rame, databile al V secolo, sormontata da croce greca, che aveva in alto una piccola colomba. Con tali caratteristiche la diocesi chiusina dovette mantenersi fino alla guerra goticobizantina (535-553) che distrusse gran parte dei monumenti romani che erano rimasti a ricordo dell’impero. Da quella distruzione sorse, al termine della guerra, la cattedrale di San Secondiano edificata dal vescovo Florentino (558-560). Dopo la conquista bizantina l’Italia venne divisa in circoscrizioni i cui confini ricalcavano quelli delle antiche province. In esse i vescovi ebbero particolari poteri, legati però a quelli dei dominatori greci. Insieme alla costruzione della cattedrale, di cui parleremo in seguito, nel periodo bizantino vennero costruite a Chiusi, a mezzo del materiale degli antichi edifici romani distrutti, anche altre due chiese: quella dedicata alle SS. Marta e Maddalena, oggi non più esistente, e quella dedicata a S. Maria Novella detta anche della Morte. Al periodo bizantino è da ricollegarsi anche la costruzione a Chiusi di una modesta basilica dedicata a S. Apollinare, il cui culto ebbe all’epoca la sua capitale in Ravenna. La chiesa fu poi completamente ristrutturata nel XVIII secolo. Vennero i Longobardi a spazzare via il debole governo bizantino. Chiusi fu Ducato longobardo fin dall’occupazione della città, avvenuta fra il 571 e il 592. La conversione dei Longobardi al Cristianesimo determinò il consolidamento del potere dei vescovi chiusini sul loro territorio. Il duca Gregorio fece costruire la grande basilica di Santa Mustiola, nell’anno 728, che i divenne uno dei massimi centri di venerazione all’interno della diocesi. I confini della diocesi chiusina all’epoca longobarda sono rintracciabili in uno degli atti più antichi della lite di giurisdizione tra le chiese di Arezzo e Siena: la discussione avvenuta a Vicovallari nell’anno 71417. Dagli atti di Vicovallari vediamo che i confini della diocesi di Chiusi con Arezzo andavano da sotto Montepulciano fino alla pieve dei santi Modesto e Vito in Corsignano (Pienza) ed esclusa Fabbrica (Palazzo Massaini) e Monticchiello appartenenti a Chiusi, per l’Orcia si giungeva fino sotto Montalcino. S. Antimo e Villa a Tolli appartenevano a Chiusi che estendeva il suo territorio fino quasi alla confluenza dell’Orcia con l’Ombrone. I confini verso l’Umbria dovevano partire da sotto Cortona fino al Trasimeno e da qui, lungo il fiume Nestore, giungere alla confluenza col Tevere abbracciando tutto il territorio della successiva diocesi di Città della Pieve e quanto se ne trova dentro la riva del Tevere, a destra di chi lo discende verso Roma, perché sulla sinistra era il ducato di Spoleto. I confini più incerti erano quelli verso il ducato romano sulla linea Amelia, Orte, Sutri, Civitavecchia. Bagnorea almeno nell’anno 600 doveva essere sotto la giurisdizione del ducato chiusino. Di Orvieto non si ricorda alcun gastaldo regio, e può darsi che fosse sotto il duca di Chiusi, tanto più che nel secolo VIII vi troviamo un longobardo di nome Farolfo il cui anello fu ritrovato in territorio di Chiusi18. Questa delimitazione territoriale la ritroviamo in un diploma di Lodovico il Pio dell’anno 81319. In esso vediamo che i confini della diocesi di Chiusi erano all’epoca sotto Montalcino, A mezzogiorno del passo dell’Orcia per la strada che conduce sotto Montalcino (allora diocesi di Arezzo) e da Montalcino fino alla strada di S. Antimo (diocesi di Chiusi) e a nord dalla terra di Petrone Gastaldo (di Chiusi) per la via pubblica fino al ponte dell’Ombrone con i due oratori, posti dentro lo stesso confine di S. Cristina (presso Montalcino) e di S. Madre Chiesa (S. Maria in Matrichese a un miglio da Montalcino, distrutta nel 1786) con tutto ciò che appartiene alla detta corte e dentro i luoghi ricordati, terre coltivate e incolte, sul confine chiusino20. Questi confini di Chiusi nell’anno 813 non erano dunque molto diversi da quelli del ducato longobardo. Paolo Diacono racconta che in quasi tutte le città ai tempi di Rotari C’erano due vescovi, uno cattolico e l’altro ariano. L’esistenza dell’antico battistero di San Secondiano di rito cattolico non esclude dunque l’esistenza di un altro in diversa chiesa di rito ariano. Probabilmente furono chiese di culto ariano a Chiusi S. Silvestro e S. Fedele. La prima i non può essere identificata con la pieve di San Silvestro in Lauciniano di cui parlano i documenti amiatini dell’anno 79021, che è localizzabile invece nei pressi del Salarco. Osservando il disegno eseguito da Baldassarre Peruzzi nel 1529 per realizzare una migliore fortificazione della città di Chiusi, notiamo che egli pone la chiesa di San Silvestro in fondo all’attuale Via della Pietriccia, a destra di chi scende verso il lago. Nell’attuale quartiere dei Forti e Pietriccia si era installata una fara longobarda, dalla cui curtis si sviluppò in seguito il Terziere di San Silvestro. Con ogni probabilità la curtis appartenne ad una tra le più potenti famiglie longobarde di Chiusi e forse allo stesso duca longobardo, da cui passò ai gastaldi e ai conti chiusini. La chiesa di San Silvestro dunque fu certamente costruita dai Longobardi quando la devozione a San Silvestro papa si diffuse per lo zelo di S. Anselmo abate di Nonantola. Certamente la chiesa era già officiata nel maggio dell’anno 765, poiché viene ricordata in un antico documento22. La chiesa di San Fedele, la cui esistenza è soltanto supposta da un documento amiatino23, sorgeva probabilmente dove oggi sorge la chiesa di San Francesco, nella zona nord della città abitata dai Longobardi e poi inclusa nel Terziere di S. Angelo. I Longobardi si installarono anche in questo punto, il più alto della città, sin dalla loro venuta a Chiusi, in quanto da esso potevano dominare il territorio circostante e difendersi da eventuali sommosse della popolazione etrusco-latina, che si era ristretta nella zona che poi divenne il Terziere di S. Maria. I.3. L’affermazione del monachesimo. I benedettini vennero a Chiusi sin dal secolo VIII-IX e probabilmente officiarono la chiesa di San Fedele costruendo anche un loro monastero, o almeno una priorìa, dove poi sorse il convento francescano. Grande fu la loro potenza nel territorio della diocesi di i La cripta ed il chiostro dell’abbazia di S. Salvatore di Monte Amiata. I.3.1. La contesa tra il monastero di San Salvatore di Monte Amiata e il vescovo di Chiusi. Chiusi, testimoniata dalla nascita e dallo sviluppo di tre grandi monasteri: San Salvatore sul Monte Amiata, S. Antimo e Farneta. A questi tre monasteri, che per la loro potenza e le loro ricchezze si resero subito esenti da ogni giurisdizione del vescovo di Chiusi, se ne aggiunsero molti altri senza contare le priorìe e gli eremi da essi dipendenti. Il più potente di tutti fu certamente il monastero di San Salvatore di Monte Amiata, fondato nel secolo VIII, i cui abati furono per secoli in lotta coi vescovi chiusini per questioni di giurisdizione su varie chiese della diocesi. In effetti i monaci di San Salvatore affermarono presto la loro giurisdizione sulle seguenti priorìe, chiese e monasteri: – monastero di S. Benedetto al Sasso Laterone, poi Monte Laterone, cui papa Eugenio III fece molte concessioni nel 1153. Il monastero venne poi unito a quello di S. Salvatore e fu anche parrocchia per la quale si accese, dopo il Concilio di Trento, la lite di giurisdizione tra il vescovo di Chiusi e l’abate amiatino; – priorìa (cella benedettina) di S. Andrea in Radicofani; – chiesa di S. Pietro in Radicofani; i – priorìa di S. Leonardo in S. Casciano dei Bagni; – chiesa di S. Croce in Abbadia S. Salvatore; – chiesa di Monticello; – chiesa di S. Leonardo, di S. Andrea in Arcidosso; – chiesa di S. Leonardo in Castel del Piano; – chiesa di S. Maria in Lamule. La prima testimonianza sulla grossa lite di giurisdizione tra i monaci amiatini e i vescovi chiusini risale al tempo del vescovo Liutprando (861). Se ne occupò il re e imperatore Guido di Spoleto e anche, nell’anno 896, il re imperatore Arnolfo. A spuntarla furono sempre i potenti monaci di San Salvatore, mentre i vescovi chiusini Cristiano (911) e Luto (967-968) ebbero la peggio24. Il vescovo Arialdo, successore di Luto, si oppose con maggior vigore all’abate di San Salvatore, il tedesco Winizo, il quale si sentiva non solo capo spirituale del suo monastero, ma anche grande feudatario di numerose terre e castelli. Winizo si oppose al vescovo Arialdo che voleva conservare il diritto sulle pievi cadute nelle mani dei monaci e si appellò a papa Gregorio V il quale emanò, il 30 maggio dell’anno 996, una breve a favore dei monaci amiatini. Arialdo reagì accordandosi con Ildebrando Aldobrandeschi di Sovana e Santa Fiora e minacciando l’invasione delle proprietà del monastero. Winizo cercò allora di calmare il conte Ildebrando e si appellò all’imperatore Enrico II che ordinò al vescovo di Chiusi e al conte Ildebrando di cessare ogni ostilità e citò al suo tribunale le parti contendenti insieme all’abate di S. Antimo, che si trovava per le stesse ragioni in urto con il vescovo di Chiusi. Era l’aprile dell’anno 1006. I grandi feudatari d’Italia parteggiavano chi per il re Arduino d’Ivrea, chi per l’imperatore Enrico II. La Toscana era dalla parte dell’imperatore e dinanzi a lui convennero al placito, che fu tenuto a Newburg, molti vescovi e conti d’Italia in qualità di assessori. Furono presenti, tra gli altri, Alderico vescovo di Trento, Ivizzone abate di Leone nel bresciano, Ugo abate di Farfa, Buono abate di Ravenna, Idilberto abate di Siena, Giovanni abate di Lucca, i vicedomini dei vescovi di Siena e Arezzo, Ildebrando, Ardingo e Ranieri conti di Chiusi. Anche stavolta il vescovo di Chiusi ebbe la peggio 25. Tuttavia la lite continuò nei secoli, prima davanti a papa i L’abbazia di S. Antimo. L’abbazia di Farneta. L’abbazia della SS. Trinità di Spineto. Benedetto VIII nel 1016, per riaccendersi poi con più vigore dopo il Concilio di Trento che ridette ai vescovi pieni poteri spirituali sulle chiese delle diocesi. Il giudizio definitivo, favorevole al vescovo di Chiusi Lucio Borghesi e al suo successore Gaetano Maria Bargagli, fu dato dalla Sacra Congregazione del Concilio il 28 marzo 170526. I.3.2. Gli altri monasteri. Altri monasteri e priorìe fiorirono numerosi nel territorio della diocesi. Tra quelli indipendenti dal monastero di San Salvatore possiamo ricordare: – l’abbazia di S. Antimo in Val di Starcia, fondata (come si crede) da Carlo Magno nell’anno 800 e di cui parlano diplomi e privilegi di Lodovico il Pio, Carlo il Calvo, Lotario II, Enrico III ed Enrico V, che le conferirono immunità varie dal vescovo di Chiusi. Ebbe anche, sin dal secolo X, molti privilegi da parte dei papi, e i suoi abati furono conti del S. R. Impero; – l’abbazia di S. Maria di Farneta fondata tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo dai fratelli Griffone, Orso e Gignello; – l’eremo di San Benedetto del Vivo fondato da San Romualdo nel 1015, in cui vivevano i camaldolesi27; – il monastero di San Piero in Campo, da cui dipesero le priorìe di S. Andrea in Castiglioncello del Trinoro e di S. Vittoria in Sarteano; – l’abbazia di San Pietro in Argnano, dal toponimo latino medievale del predio romano i Arnianum. È il nome del luogo dove sorse il monastero, poi abbazia di Argagno o di Montepulciano. I conti di Chiusi Bernardo di Ranieri e Ardingo, nel 1084-1085, confermarono all’abate del monastero un bosco (oggi Fattoria della Corona) dove i monaci fondarono una cella col titolo di S. Ilario, oggi parrocchia di Argiano28; – l’eremo di S. M. Maddalena di Monte Carcese o Scanciano (forse Chianciano)29; – il monastero di Pietro di Petroio, da non confondere con Petroio nel Comune di Trequanda, e con la Villa Petroio antico castello nel Comune di Montepulciano detto anche Villa della Parcia. Sorgeva invece in località Petroio, poco fuori da Chianciano, in fondo all’attuale Via Risorgimento o dei Macelli; – l’abbazia della SS. Trinità di Spineto, fondata nel 1085 e affidata nel 1112 ai monaci vallombrosani di Coltibuono30; – l’eremo di San Giovanni in Monte Herili, che dipese probabilmente dalla propositura di Santa Mustiola31; – il monastero di San Benedetto alla Tresa presso Moiano32; – l’abbazia di San Cristoforo, dipendente da Farneta33; – l’eremo di Santa Maria del Tillio34; – l’eremo di San Galgano de Catasta35; – l’eremo di San Guglielmo in Acerona, presso San Casciano dei Bagni36. Tutto ciò dimostra l’importanza raggiunta dal monachesimo nella allora diocesi di Chiusi, che comprendeva buona parte delle successive diocesi di Pienza, Montalcino, Montepulciano, Cortona e Città della Pieve. I grandi monasteri della diocesi, che avevano affermato la loro indipendenza dal vescovo di Chiusi mediante i privilegi e le donazioni ricevute, dovettero tuttavia difendersi dai loro stessi benefattori locali, i conti, che a loro volta tendevano ad affermare mediante le donazioni il diritto di patronato sui monasteri. Il patronato dei conti Farolfi sul monastero di San Piero in Campo è indicato come probabile da una donazione di molte terre che fecero al monastero, il 28 marzo 1055, il conte Pepone I e i suoi fratelli Farolfo III e Ranieri II, figli del conte Winigildo e di Teodora.37 Nel marzo del 1126 Manente I figlio di Pepone II donò al monastero di San Piero in Campo la metà di Castiglioncello del Trinoro, la cui chiesa di S. Andrea ne fu priorìa dipendente38. Per difendere i monasteri e le chiese della sua diocesi dalle pretese dei conti San Piero in Campo. i e dei monaci di San Salvatore, nel 1146 il vescovo chiusino Martino affidò ai camaldolesi del Vivo la riforma dei monasteri di San Piero in Campo, San Benedetto alla Tresa di Moiano e San Pietro in Argiano39. La riforma fu confermata da papa Eugenio III con una bolla del 13 gennaio 114740. Allo stesso scopo di difendersi dalle pretese dei monaci amiatini, l’abbazia di Spineta si era già unita, nel 1112, ai vallombrosani di Coltibuono. Dopo la riforma introdotta dai camaldolesi nel monastero di San Piero in Campo (1146), il monastero stesso ampliò il suo raggio d’azione su diversi piccoli monasteri della diocesi e soprattutto sul distretto di Chianciano. Così i camaldolesi divennero ricchi e potenti nel territorio della diocesi di Chiusi. I.3.3. L’arrivo e l’espansione dei francescani. I francescani spesso si inserirono nelle chiese e monasteri già appartenuti ai benedettini. Secondo San Bonaventura e Tommaso da Celano, nel gennaio del 1212 San Francesco venne e si trattenne a Sarteano (Romitorio di San Bartolomeo) e a Cetona. Il Wadding, cronista francescano, accenna alla probabilità che San Francesco, per tornare a predicare ad Assisi in occasione della quaresima dello stesso anno, sia passato da Chiusi e vi abbia lasciato alcuni suoi frati in un eremo41. Il Padre Niccolò Papini nella sua Etruria Francescana scritta sul finire del secolo XVIII, al II tomo inedito, dopo aver detto che San Francesco, personalmente o per mezzo di uno dei suoi compagni, fondò il convento di Chiusi, aggiunge: Certo è che fino dai tempi di San Francesco fu questo Convento fuori di città. In qual anno e per qual motivo (forse per le guerre e forse ancora per l’aria malsana) lo abbandonarono i nostri Padri ed erigessero altro Convento, entro le mura con chiesa grande dedicata a San Francesco, non si sa... A questo convento, quando morì San Francesco il i La chiesa di S. Francesco a Chiusi. 4 ottobre 1226, si ritirò il Beato Egidio ed ivi ebbe gran visioni42. Non sappiamo su quale tradizione il Padre Papini abbia potuto scrivere come cosa certa che il primitivo convento francescano di Chiusi fosse fuori di città. Che San Francesco preferisse luoghi appartati come residenza dei suoi frati è cosa certa, ma nessuna tradizione locale conferma per Chiusi quanto scrive il Papini. Nessuna località intorno a Chiusi porta il nome San Francesco come per esempio San Francesco Vecchio a Radicofani. Esiste solo una località detta Romitorio che potrebbe, ma con molta incertezza, favorire tale opinione. Comunque, come dice lo stesso autore dell’Etruria Francescana, Successivamente, non so se per l’antichità, piuttosto per ragione della sede episcopale, vi fu costituito un Custode43. Le Custodie erano una specie di suddivisioni delle Province di cui si componeva l’ordine francescano. Il Papini cita come Custode della Custodia chiusina, nell’anno 1269, il Padre Ubaldo da Pistoia che il 16 dicembre dello stesso anno prese possesso della chiesa e convento di Santa Margherita di Montepulciano. Più di un secolo dopo, le Tavole Capitolari del 1399 e quelle del 1408 (Capitolo di Piombino) ricordano che la Custodia chiusina ebbe alle sue dipendenze fino a 14 conventi44. Anche entro le mura di Chiusi furono costruiti una chiesa ed un convento francescano. L’epoca precisa della costruzione della chiesa tutt’oggi dedicata a San Francesco non è facilmente verificabile. Ancora dagli scritti del Papini veniamo a conoscere che Si ha dal libro delle Memorie dell’Ordine che, essendo stata abbassata (scesa dal campanile), l’anno 1689, la campana piccola per voltarla (sostituirla) con altra grande, vi si trovò notato che fu fatta l’anno 125345. Ciò tuttavia non esclude che essa sia stata riutilizzata in data successiva e provenga dunque da un’altra chiesa. i I.4. Il vescovo Uberto e la riforma del clero secolare. A San Agostino si attribuisce la prima istituzione dei canonici regolari che poi si diffuse nel mondo cristiano. I canonici regolari furono così chiamati dopo la divisione tra secolari e riformati. Essi vivevano in comune sotto l’obbedienza al vescovo, presso una chiesa, osservando una forma di vita religiosa. Papa Niccolò II nel sinodo lateranense del 1059, cui partecipò anche il vescovo chiusino Giovanni, e soprattutto San Pier Damiani furono i promotori della riforma. Essi criticavano le proprietà private dei canonici, ma gli si opposero i capitoli di varie cattedrali e chiese. Forse tra gli oppositori vi furono anche i canonici di Chiusi, sia della basilica di Santa Mustiola che della cattedrale di San Secondiano. Ne è sintomo la condanna del proposto di Santa Mustiola, Guidone. In Santa Mustiola la riforma entrò subito, mentre in San Secondiano rimasero i canonici che seguivano le vecchie costituzioni basate sia sulle tradizioni locali che sulle disposizioni del sinodo imperiale di Acquisgrana tenuto da Lodovico il Pio, che aveva ammesso la proprietà privata da parte dei canonici.Si ebbe così anche in Chiusi quel grande scisma tra canonici regolari e secolari di cui parla Francesco Liverani. All’inizio del secolo XII, la vita comune riformata la troviamo a Città di Castello e più tardi a Perugia e a Gubbio. In questo stesso tempo è introdotta anche nella cattedrale di Chiusi per volontà del vescovo Uberto (1155-1159). Mediante una bolla del 1159 di papa Adriano IV, l’amministrazione della cattedrale di San Secondiano fu affidata al proposto Niger di Santa Mustiola. Con la riforma del capitolo della cattedrale, il proposto e i canonici di Santa Mustiola ebbero in amministrazione spirituale e temporale dieci pievi, ventitré chiese, sei cappelle, il castello e Borgo del Ponte (forse di Valiano di Montepulciano), le Selve di Sanguineto e della Cornia e la cattedrale di Montepulciano. La riforma rese possibile la rinascita religiosa nella diocesi di Chiusi. i Essa fu un duro colpo anche per i patroni, i conti Farolfi46, che vantavano diritti sulla basilica di Santa Mustiola, sulla cattedrale di San Secondiano e su altre chiese della diocesi. Tanto emerge dal diploma imperiale di Enrico VI del 1196 dove si legge: Il Vescovo di Chiusi avrà piena giurisdizione per la sua chiesa nella città di Chiusi distretto perché è provato che egli e i suoi antecessori l’hanno sempre tranquillamente avuta senza molestie da parte di Manente, dei suoi figli ed eredi, i quali perciò cesseranno di dar molestia alla chiesa di Chiusi e alla chiesa di Santa Mustiola e a tutte le altre chiese, agli uomini e alle loro proprietà e lasceranno libere le case del Vescovo47. La lotta delle investiture, che si era chiusa col trattato di Worms del 1122, aveva ancora i suoi ritorni di fiamma nell’ambito delle singole diocesi, dove i vescovi godevano di completa autonomia dai signori laici mentre questi erano duri a cedere le loro vecchie prerogative. La bolla di Adriano IV e il diploma di Enrico VI furono dunque due duri colpi per la potenza feudale dei conti di Chiusi, per le loro pretese sui beni ecclesiastici e per le relative investiture dei benefici. I.5. Il primo vescovo-conte e i confini della diocesi nel 1191. Col vescovo Teobaldo (1191-1196) si concluse la lunga lite con i signori locali, i conti Farolfi, che durava da circa l’anno 1124. Come già accennato, i Farolfi pretendevano la giurisdizione su alcuni monasteri e chiese della diocesi chiusina in forza delle donazioni fatte. L’applicazione del trattato di Worms tra papa e imperatore trovò nella pratica attuazione, tra vescovi e feudatari locali, notevoli difficoltà in quanto i conti non intendevano cedere i loro diritti. La ricordata bolla di papa Adriano IV (1159)48 dette il primo colpo ai conti di Chiusi, ma il colpo definitivo lo assestarono la bolla Miserati Inopiam di papa Celestino III (27 i dicembre 1191) indirizzata al vescovo Teobaldo II e il ricordato diploma imperiale di Enrico VI del 1196 che gli conferì piena autorità temporale. A seguito di tali provvedimenti il vescovo di Chiusi ebbe giurisdizione piena e riconosciuta su un vastissimo territorio. La bolla di papa Celestino III ha grande importanza anche perché in essa vengono fissati i confini dell’allora diocesi chiusina49. Non è facile identificare tutti i luoghi in essa menzionati, anche perché non pochi nomi, sia dei luoghi stessi sia dei titoli delle chiese, oggi non esistono più o sono cambiati col tempo, mentre altre chiese con relativo titolo sono sorte in seguito. Elenco località elenco Il lungo elenco ci dà l’esatta dimensione della notevole estensione della diocesi chiusina nel 1191. Come ha osservato il Maroni riferendosi alle pievi nominate nella bolla di Celestino III, I Santi titolari di queste pievi, tutti venerati in età prelongobardica e l’ampiezza dei territori al centro dei quali furono edificate, ci stanno ad indicare che l’elenco riflette un’organizzazione ecclesiastica del territorio chiusino, che si è mantenuta sostanzialmente integra dal IV-V secolo quando le pievi vennero fondate fino al 119150. i I.6. Tra Orvieto e Perugia. La creazione della diocesi di Cortona. Il dominio di Orvieto sul territorio di Chiusi condizionò, all’inizio del XIII secolo, anche le vicende della diocesi chiusina. Di Orvieto fu il vescovo Gualfredo I che però fu più favorevole alla politica imperiale che a quella papale e proprio per questo il papa Innocenzo III, nel 1215, lo rimosse dalla sede vescovile sostituendolo con un altro orvietano fedele alla fazione papale, il vescovo Ermanno di Simone della famiglia Monaldeschi51. Fu probabilmente durante l’episcopato di questi due vescovi orvietani che venne costruita a Chiusi la chiesa dei Santi Faustino e Beatrice, in quanto la devozione a San Faustino (martire romano con Simplicio e Beatrice) era diffusa anche in Orvieto dove esisteva una chiesa dedicata a questo santo52. La chiesa, ricordata dalle Decime del 1275-1276, fu soppressa nel 1683 ed oggi è usata come privata abitazione e si trova in Via Ascanio Dei, nella piazzetta che fino al 1901 era detta ancora di San Faustino53. Dopo gli orvietani fu la volta dei perugini Benedetto e Frigerio che si alternarono al governo della diocesi tra il 1238 e il 1254 essendo il primo favorevole ai perugini, il secondo fedele agli orvietani e alle truppe pontificie. La città, assediata dagli eserciti e dalla malaria, attraversò un periodo di grande decadenza e ne risentì anche il potere dei vescovi chiusini. Infatti, proprio sotto l’episcopato di Benedetto e Frigerio finì a Chiusi l’autorità temporale del vescovo-conte, iniziata solo cinquanta anni prima col diploma di Enrico VI (1196). Ad attuare il colpo di mano furono i ghibellini delle milizie di Federigo II54. La progressiva decadenza della città fece sì che si giungesse al primo smembramento della diocesi, per la creazione della diocesi di Cortona. All’epoca (1325) Chiusi non aveva neanche un vescovo, ma la diocesi era governata da un amministratore apostolico, il vescovo Leonardo di Catania. i Al fine di creare la nuova diocesi di Cortona, furono smembrate da quella di Chiusi le parrocchie di Cerreto, Creta, Cignano, Fasciano, Gabbiano, Centoia, Ronzano, Frutticciola e forse Farneta55. I.7. Lo Scisma d’Occidente e l’antivescovo Ottone. Anche nella diocesi chiusina si fecero pesantemente sentire gli effetti del grande Scisma d’Occidente. Il papa Urbano VI aveva nominato vescovo di Chiusi Matteo III (1388), ma l’antipapa Clemente VII lo sostituì con l’antivescovo Oddone (Ottone). Questi morì nel 1389 mentre Matteo III si era già ritirato da quella assurda guerra d’incarichi. Ma lo scisma fece a Chiusi altre vittime. Dopo pochi anni, fu infatti la volta del vescovo Antonio Boccali a fare le spese della intricata situazione che in quel momento vedeva contemporaneamente in carica ben tre papi: Gregorio XII, Benedetto XIII e Alessandro V. Fu quest’ultimo a deporlo e a nominare come sostituto frate Elia da Siena (14 marzo 1410), il quale però non coprì mai di fatto tale incarico56. L’antipapa Alessandro V chiamò allora a sostituirlo Biagio Ermanno da Foligno (28 aprile 1410). In suo favore papa Martino V emanò una bolla-privilegio, il 2 febbraio 1418. La copia del documento doveva esistere, almeno fino al secolo XVIII, nell’Archivio della Curia Vescovile di Chiusi, ma oggi è scomparso. Don Giacomo Bersotti ne ha trovata una copia nell’Archivio Bandini di Sarteano, fatta nel Settecento dall’erudito e appassionato di storia locale Rev. Giovan Paolo Fraticelli, priore della chiesa di Santa Vittoria in Sarteano. La bolla di Martino V è una ripetizione integrale di quella di papa Celestino III al vescovo Teobaldo II del 1191, ripresa dalla bolla emanata il 7 aprile 1218 da papa Onorio III a favore del vescovo chiusino Gualfredo I. In essa viene riconfermata la giurisdizione del vescovo chiusino sulle pievi e chiese della diocesi57. i I.8. Il declino della diocesi di Chiusi e la creazione delle diocesi di Pienza, Montalcino, Montepulciano e Città della Pieve. Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II. Con Pietro Paolo Bertini (1418-1437) comincia un periodo di ulteriore decadenza della diocesi chiusina. Con lui inizia anche una lunga serie di vescovi senesi, provenienti dalle nobili famiglie della città cui Chiusi era assoggettata. Inizia inoltre la prassi dell’assegnazione dell’episcopato chiusino a prelati per i quali l’incarico era più un titolo onorifico che una missione pastorale. Il clima della città era reso malsano dai miasmi che si sprigionavano dalle paludi che ne coprivano gran parte del piano sottostante e, dunque, anche la permanenza nella sede vescovile non era gradita ai vescovi. Inoltre essi erano distratti dagli incarichi di rappresentanza che la Santa Sede spesso conferiva loro. Il Bertini elesse la sua residenza in Chianciano e il suo successore, Alessio Cesarei (1437-1460), a Chiusi non venne quasi mai. Tutto ciò provocò gravi contrasti tra la popolazione chiusina e i propri vescovi, visti come pastori che abbandonavano con troppa frequenza il proprio gregge. Il pientino Enea Silvio Piccolomini, divenuto papa Pio II, approfittò di questa situazione per creare le nuove diocesi di Pienza e Montalcino, il 13 agosto 1462. Visto che Alessio Cesarei era in contrasto con la gente di Chiusi, nel marzo del 1462 lo trasferì a Benevento sostituendolo con Giovanni Cinughi che di lì a poco fu dirottato proprio a Pienza. Era il secondo smembramento della diocesi dopo quello del 1325 per la creazione della diocesi di Cortona. Le parrocchie smembrate da Chiusi e assegnate alla nuova diocesi di Pienza furono le seguenti: Tintinnano, Bagno Vignoni, Castiglion d’Orcia, Campiglia d’Orcia, Bagni San Filippo, San Piero in Campo, Castel Vecchio, Vignoni, Monticchiello, Fabbrica (Castelluccio della Foce), Contignano, Perignano. Furono anche assegnate alla nuova diocesi di Montalcino: Montenero, S. Angelo in Colle, Castel Nuovo dell’Abbate e S. Antimo, Seggiano, Ripa d’Orcia58. i Vedute di Pienza e Montepulciano (1777). Disegno a lapis dal “Viaggio nel Granducato di Toscana” del padre Francesco Antonio De Greyss, pittore miniaturista e domenicano priore del convento di S. Spirito di Siena (Collezione privata). Altro smembramento la diocesi di Chiusi dovette subirlo un secolo dopo, nel 1561, quando venne creata quella di Montepulciano59. Furono trasferite a quest’ultima, secondo il Repetti, undici chiese parrocchiali: San Giovanni a Villanuova (Totonella), San Vincenzo a Castelnuovo, San Vittorino d’Acquaviva, San Pietro all’Abbadia dei Caggiolari, San Silvestro presso Borgo Vecchio sulla Chiana, S. Albino in Parcia, S. Ilario d’Argiano, San Lorenzo a Valiano, San Egidio a Gracciano Vecchio, S. Andrea di Cervognano e Santa Mustiola a Caggiole60. Ma non era ancora finita. Altre città che un tempo facevano parte del territorio chiusino erano cresciute d’importanza, mentre Chiusi a causa della sua situazione ambientale ma soprattutto per essersi schierata dalla parte della perdente Siena nella guerra contro Firenze, non poteva che accentuare il suo declino. Fu così che dovette perdere anche il cosiddetto Chiusi Perugino, che sin dall’antichità era stato sempre sotto la sua giurisdizione. Il vescovo chiusino Lodovico Martelli (1597-1601) fu uno dei maggiori artefici di quest’ultimo smembramento, iniziando a preparare il progetto sin dal tempo in cui (1587) i non era ancora vescovo di Chiusi ma coadiutore del vescovo Masseo Bardi (1581-1597) anche lui assente per lunghissimi periodi dalla sua diocesi. Un documento inedito dell’anno 1587 ( foto documento ) dimostra la stretta relazione esistente sin da allora tra Masseo Bardi e la famiglia Martelli di Firenze, che aveva da lui ricevuto in affitto i beni del vescovado chiusino. Fu una lunga storia che lasciò l’amaro in bocca ai Chiusini, che per anni si opposero a quel disegno rivolgendo suppliche al Governatore dello Stato di Siena. Ma ormai tutto era deciso ed essi videro lo smembramento dalla loro antica diocesi di quel territorio ormai umbro, che in tempi più antichi era stato anche sotto la giurisdizione civile della loro città. Il Chiusi Perugino fu staccato così definitivamente anche dalla giurisdizione ecclesiastica chiusina, ultimo residuo del secolare dominio di Chiusi fino al lago Trasimeno. Con la bolla di papa Clemente VIII del 9 novembre 1601, con la quale fu creata la diocesi di Città della Pieve61. ( Elenco pievi e chiese della diocesi di Chiusi passate alla nuova diocesi di Città della Pieve) I.9. La riunificazione con la diocesi di Pienza. Per tutto il Seicento e buona parte del Settecento i rapporti tra la gente di Chiusi e i vescovi che tennero l’episcopato chiusino furono turbati dalla questione plurisecolare della residenza del vescovo. Ormai era consuetudine, oltre che necessità dovuta al rischio della malaria, che il vescovo risiedesse nel palazzo di Chianciano. La depressione economica della città di Chiusi, unita all’impoverimento demografico, rendevano certo difficile la vita per coloro che ancora abitavano entro le sue mura. L’assenza dell’unica autorità che potesse in qualche modo alleviare le pene materiali e spirituali fece più d’una volta assumere posizioni intransigenti nei confronti dei vescovi alla popolazione ed ai suoi rappresentanti. Ne fecero in particolare le spese i vescovi i Orazio Spannocchi (1609-1620), Ippolito Campioni (1637-1647) e soprattutto Antonio Marescotti (1664-1681), che arrivò persino a chiedere al papa di essere trasferito altrove, e Gaetano Maria Bargagli (1706-1729) che per un anno tentò di abitare a Chiusi ma presto si trasferì a Chianciano. Nell’ultima parte del secolo XVII avvenne la riunificazione tra le diocesi di Chiusi e Pienza. Fu una circostanza contingente a far prendere la decisione (1772) a papa Clemente XIV. L’allora vescovo di Pienza, Francesco Piccolomini, ebbe una controversia con la Reggenza lorenese perché si rifiutò di rispettare la tradizione di donare una somma di denaro in occasione delle nozze di Giuseppe II. La lite si concluse naturalmente a sfavore del vescovo, che nel 1764 fu anche fatto arrestare e bandire dalla Toscana dal granduca Francesco Stefano62. La diocesi di Pienza era vacante e il pontefice Clemente XIV, il 17 giugno 1772, l’assegnò al vescovo di Chiusi Giustino Bagnesi (1748-1774), riunificando così le due diocesi. Da allora il vescovo di Chiusi ebbe anche il titolo di vescovo di Pienza. Con lo stesso provvedimento del 17 giugno 1772 Clemente XIV ridisegnò i confini tra le diocesi di Siena, Montalcino, Pienza e Chiusi. Pienza cedette a Siena la parrocchia di Percenna e alcune case vicine a Buonconvento, e cedette a Montalcino Montegiovi, Campiglia d’Orcia, San Quirico d’Orcia, Vignoni con Bagni e Rocca d’Orcia. Chiusi cedette a Montalcino Monticello, Montelaterone, Castel del Piano e Arcidosso63. In pratica, dunque, vi fu un ulteriore smembramento della diocesi di Chiusi a favore soprattutto di Montalcino. I.10. I contrasti con la Reggenza lorenese. Lo stesso vescovo chiusino Giustino Bagnesi che nel 1772 vide la riunificazione nella sua persona delle diocesi di Chiusi e Pienza, era stato pochi anni prima protagonista di un altro episodio spiacevole nei confronti della Reggenza lorenese. i Veduta di Chiusi (1777). Disegno a lapis dal “Viaggio nel Granducato di Toscana” del padre Francesco Antonio De Greyss, pittore miniaturista e domenicano priore del convento di S. Spirito di Siena (Collezione privata). i Ritratto del vescovo Giustino Bagnesi (Sala d’Arte della Cattedrale di Chiusi) I primi provvedimenti della Reggenza, in particolare la Costituzione sulle Manimorte del febbraio 1751, provocarono di certo il risentimento della parte del clero che vedeva messe in discussione alcune sue prerogative secolari. La resistenza al regime lorenese si fece più viva in alcune diocesi all’estremità del Granducato, situate al confine con lo Stato Pontificio. Cominciò così una serie di dispettucci e di ripicche verso il potere granducale in cui furono in particolare coinvolti, e ne fecero le spese, il vescovo chiusino Giustino Bagnesi e soprattutto, come abbiamo visto, l’ultimo vescovo pientino Francesco Piccolomini. La situazione in cui venne coinvolto Giustino Bagnesi ebbe origine da un fatto di per sé poco significativo. Un canonico di Arcidosso, tale Grifoni, nel 1753 fu trovato dalle guardie granducali mentre cacciava senza il permesso laicale; ne nacque un litigio durante il quale il canonico si ferì leggermente a un dito della mano64. Il vescovo Bagnesi scomunicò le guardie e, con una lettera circolare violentissima, intimò ai suoi canonici, sotto pena di scomunica, di munirsi esclusivamente della patente da lui rilasciata per il porto delle armi. Giulio Rucellai, politico granducale, scrisse al Bagnesi perché revocasse le scomuniche e ritirasse la lettera circolare, ma il vescovo gli rispose in malo modo. Ne nacque addirittura una questione tra la Reggenza e papa Benedetto XIV, cui venne comunicato che se il Bagnesi entro un mese non avesse chiesto scusa per il suo comportamento, sarebbe stato esiliato dalla Toscana e le rendite episcopali sequestrate. Benedetto XIV, al quale premeva che fossero ripristinati i tribunali del S. Offizio, inviò un nunzio a Radicofani per convincere il vescovo chiusino a desistere da quel comportamento. Giustino Bagnesi si assoggettò e scrisse una lettera di scuse a Francesco Stefano di Lorena, il 30 agosto 175365. Tuttavia l’umiliazione subìta gli fece assumere anche in seguito un atteggiamento ostruzionistico nei confronti del governo granducale. i I.11. La riconciliazione col potere granducale. Ritratto del vescovo Giuseppe Pannilini in una incisione del XVIII secolo (Collezione privata). I rapporti col potere granducale cambiarono radicalmente quando divenne vescovo di Chiusi Giuseppe Pannilini (1775-1823)66. Non è escluso che la sua nomina venisse favorita proprio dalla necessità di inviare ad amministrare la diocesi di Chiusi e Pienza un vescovo che facesse dimenticare i negativi precedenti di Giustino Bagnesi e Francesco Piccolomini. Ma l’accelerazione impressa da Pietro Leopoldo alle sue riforme anche in campo religioso trovò proprio nel Pannilini uno dei puntelli più saldi. L’abolizione di molte istituzioni pie e di confraternite laicali, stabilita da provvedimenti granducali, ebbe nel vescovo di Chiusi e Pienza un fedele e puntuale esecutore. Ma il vescovo Pannilini andò più in là, aderendo al giansenismo toscano di cui fu a capo Scipione de’ Ricci vescovo di Pistoia e che ricevette le simpatie del granduca. Venne così a ribaltarsi la situazione che si era avuta solo pochi anni prima, e la diocesi di Chiusi divenne un punto di forza del potere granducale in campo ecclesiastico e fonte di polemiche con Roma. L’episcopato di Giuseppe Pannilini si contraddistinse tuttavia anche per l’impulso fornito alla rinascita economica della città di Chiusi. Infatti il vescovo, che nella propria mensa aveva molti terreni situati nel piano di Chiusi, partecipò attivamente a quell’opera di bonifica che, iniziata nell’ultimo ventennio del secolo XVIII, si protrasse poi per tutta la prima parte dell’Ottocento. Il risultato fu la scomparsa della malaria e la rinascita delFrontespizio di un opuscolo del l’agricoltura in tutta la zona. vescovo Giuseppe Pannilini. i I.12. Le contraddizioni e i fermenti del XIX secolo. L’Ottocento fu un secolo pieno di contraddizioni, ma fu anche la fucìna della nostra civiltà. Nella prima parte del secolo XIX la vita della comunità religiosa di Chiusi, come di tante altre zone rurali della Toscana, era in parte caratterizzata da usi che si avvicinavano più alle credenze etrusco-romane, mediante superstizioni e venerazioni le più disparate, che alla semplicità della vita cristiana. Permanevano cioè tutte quelle credenze caratteristiche di un mondo contadino che, come abbiamo visto, erano state anche il più grande ostacolo ad una veloce e generale espansione del Cristianesimo. Ne è testimonianza curiosa, ma fedele, un librettino stampato a Montepulciano nel 1833 dal titolo I doveri civili dei Curati. Questi ultimi erano l’unità di base dell’organizzazione ecclesiastica, che in un territorio come quello chiusino, fiorente di una miriade di piccole comunità rurali, rappresentavano la volontà del vescovo nelle pievi appartenenti alla diocesi. Nel librettino citato troviamo scritto: In molte cure della stessa nostra Toscana sono tuttora in vigore non poche superstizioni popolari. Per non parlare delle streghe, le quali purtroppo esercitano la loro possanza sui teneri fanciulletti, esistono anche ai dì nostri i pranzi funerali, le prefiche trasformate in inferrajolati vecchioni che piangendo accompagnano alla chiesa i cadaveri, la credenza nell’uovo dell’Ascensione, e nel bagno di San Giovanni, ed altre simili pratiche, avanzi di gentilesimo, errori nati dall’ignoranza, dei quali non ha certamente bisogno la religione nostra purissima67. Di fronte a questo mondo contadino ancorato a tradizioni in parte ancora pagane, l’organizzazione ecclesiastica poneva il curato, Un uomo che i fanciulli si avvezzano ad amare a venerare a temere; un uomo che finalmente sa tutto, e che ha il diritto di dir tutto. Il curato ha dei rapporti amministrativi con il governo, colle autorità municipali, colla sua fabbrica. I suoi rapporti al governo sono semplici. Ei gli deve quello, che gli deve ogni altro cittadino, né più né meno: obbedienza nelle cose giuste. Ritirato nel suo umile presbiterio, all’ombra i Ritratto del vescovo Giacinto Pippi in una incisione del XIX secolo (collezione privata). della sua chiesa, egli deve uscire assai raro. Gli è permesso di avere una vigna, un giardino, un pomario, qualche volta un piccolo campo da coltivarsi colle proprie mani68. Il curato, dunque, era anche un piccolo proprietario in un mondo in cui esserlo era un privilegio di pochi, perché la maggioranza dei contadini era formata di semplici pigionali, che venivano assunti a giornata per il lavoro nei campi. Questa posizione trovò anche i suoi assertori nel clero; tale fu ad esempio il canonico Ignazio Malenotti, pievano di Montauto, autore nel 1815 di una interessante pubblicazione intitolata Il Padrone Contadino. Il libro era dedicato in particolare proprio ai curati delle pievi della campagna toscana: Che è sempre un cattivo Ecclesiastico quello, che trascura la coltura dei beni della sua chiesa, e che il Parroco di poca scienza, ma agricola, ha ricavato sempre maggiori profitti anche nello spirituale, del parroco dotto, ma trascurato nell’agricoltura69. Proprio a causa di questo suo isolamento culturale il curato o pievano come dir si voglia, finì spesso con l’identificarsi con il suo gregge, giustificando chiusure al mondo che all’esterno stava rapidamente cambiando. Un esempio politico c’era stato alla fine del Settecento, proprio in Val di Chiana, con il movimento del Viva Maria70, ma la posizione conservatrice del mondo contadino ebbe a manifestarsi anche a metà del secolo XIX, quando la strada ferrata giunse in Val di Chiana. I contadini se la presero col vapore, reo a loro giudizio di provocare lo sviluppo della crittògama delle viti. I parroci, che in effetti vivevano in simbiosi con le popolazioni rurali, in più di una occasione si schierarono sulle stesse posizioni del loro gregge, e il vescovo di Chiusi dovette richiamarli più d’una volta alla ragione, indirizzando loro alcune pastorali (18531854) che volevano convincerli a non cadere in sciocche superstizioni71. Questo fu l’ambiente in cui prestarono la loro opera al comando della diocesi due importanti vescovi chiusini: Giacinto Pippi (1824-1839) e Giovan Battista Ciofi (1842-1870). i Soprattutto quest’ultimo si trovò a gestire un periodo assai difficile, in cui le idee risorgimentali della borghesia fecero in qualche modo sentire il loro effetto anche in un territorio rurale come quello chiusino. Nonostante le sue benemerenze per l’opera prestata durante la terribile carestìa degli anni 1853-1854 e per aver donato alla comunità di Chiusi la raccolta archeologica vescovile, Giovan Battista Ciofi dovette subire la sorte che tocca a chi ha la disgrazia di schierarsi dalla parte dei perdenti. La sua opposizione al passaggio di Garibaldi nel 184972 e forse ancor più una certa propaganda contraria all’annessione, in occasione del plebiscito del 1860, fecero sì che dopo la sua morte (1870) vi fosse quasi la parola d’ordine di dimenticarlo. Negli ultimi anni del secolo, la nascita del movimento socialista acuì i contrasti tra la sede vescovile e coloro che, propugnatori delle nuove ideologie, rammentavano ancora le contrapposizioni con i clericali seguite all’unità d’Italia e alla Questione Romana. Anche i cattolici si organizzarono per affrontare le questioni sociali e, sotto l’episcopato di Giovanni Bellucci, nel 1905, sorsero i Comitati Parrocchiali e il Comitato Diocesano dell’Azione Cattolica. I.13. Gli ultimi vescovi del XX secolo e la fusione con la diocesi di Montepulciano. Durante i due conflitti mondiali la diocesi chiusina fu centro di assistenza attivissimo nei confronti della popolazione. Nel corso e immediatamente dopo la prima guerra mondiale furono assistite le molte famiglie che avevano perso i loro cari, in un periodo di razionamenti di viveri e di grande indigenza. Poi vi fu il difficile rapporto col regime fascista, durante il quale tuttavia, sotto l’episcopato di Giuseppe Conti (1927) fu organizzato il Primo Congresso Eucaristico Diocesano. i Il vescovo Carlo Baldini: – insieme ad alcuni giovani sul Monte Amiata, in una foto del 1964; – benedizione al lago di Chiusi, in una foto dell’inizio degli anni Sessanta. L’ultimo vescovo chiusino, Carlo Baldini, si trovò a vivere, all’inizio del suo episcopato (1941), uno dei periodi più difficili della storia di Chiusi, culminato con le gravi distruzioni del giugno 1944. Questo vescovo, indimenticabile per tutti coloro che ebbero la fortuna e la gioia di conoscerlo, riuscì a salvare dalla fucilazione tante persone della sua diocesi, recandosi ovunque a portare parole di pace e di conforto73. Nel dopoguerra egli fu l’animatore della vita religiosa della città e della diocesi di Chiusi e Pienza, che si accompagnò alla rinascita civile. La guerra aveva semidistrutto la cattedrale di Pienza e danneggiato quella di Chiusi. Il Baldini si mise all’opera con vigore e in pochi anni la ricostruzione fu completata. Per sua volontà furono erette le croci sul Monte Amiata (1945) e sul Monte Cetona (1969), simbolo della religiosità della diocesi. Con lui, ultimo vescovo della diocesi di Chiusi e Pienza, si chiuse nel modo migliore la lunga teoria degli oltre ottanta pastori che era iniziata circa diciassette secoli prima. Alla sua morte (1970), la Santa Sede nominò amministratore apostolico l’arcivescovo di Siena Mons. Mario Ismaele Castellano, che nominò a sua volta vescovo ausilia- i Le croci sul Monte Amiata e sul Monte Cetona. re Mons. Renato Spallanzani che fece il suo ingresso nella cattedrale di Chiusi il 24 maggio 1970. Ma ci si avviava ormai alla definitiva soppressione della diocesi, secondo quel processo di accorpamento delle sedi vescovili che già il pontefice Paolo VI aveva prospettato sin dal giugno 1966 in un discorso all’episcopato italiano. L’eccessiva frammentazione delle diocesi in Italia consigliava di ridurne il numero, attraverso un processo di fusione che avvicinasse il rapporto vescovi/popolazione a quello di tanti altri paesi europei. La fusione fu preparata con grande anticipo, e molte sedi vescovili che avevano perso il loro pastore non ne ebbero nominato altro esclusivo, ma furono rette dal vescovo della città che poi sarebbe stata la sede della nuova diocesi. È stato così anche per Chiusi e Pienza, assegnate al vescovo di Montepulciano, Mons. Alberto Giglioli, prima di essere definitivamente fuse con la diocesi di Montepulciano. Il provvedimento di fusione, emanato il 30 settembre 1986, coinvolse 97 diocesi italiane. Nel complesso le diocesi in Italia passarono da 325 a 228. Nella provincia senese venne operata anche la fusione tra le diocesi di Siena, Colle Val d’Elsa e Montalcino. I fedeli di molte delle città interessate insorsero contro il provvedimento, ravvisando in esso un’offesa alla dignità storica di paesi e popolazioni che potevano vantare origini cristiane che si identificavano con i primi secoli della storia del Cristianesimo. Non mancarono gli eccessi e le proteste clamorose a Larino, a Monopoli, a Gallipoli, ad Alatri, a Gravina dove addirittura la popolazione murò le porte di accesso alle chiese parrocchiali. Anche a Chiusi non mancarono le proteste, che furono però misurate ed estremamente responsabili. Esse culminarono in un Ordine del Giorno approvato all’unanimità dal Consiglio Comu- i Il vescovo Alberto Giglioli. nale di Chiusi il 3 novembre 1986, che fu inviato al cardinale Bernardin Gantin, Prefetto della Sacra Congregazione per i Vescovi e ad altre autorità religiose e civili. In esso si faceva cenno alla tradizione religiosa nel territorio chiusino, che ne attestava un’origine tra le più antiche dell’intera Toscana. Ai Chiusini rispose Mons. Lucas Moreira Neves, Segretario della Congregazione per i Vescovi, con una lettera del 29 novembre 1986. Il prelato giudicava il provvedimento come Dettato da fattiva adesione a precise indicazioni conciliari, da prudenza e determinazione pastorali, da indiscusso senso ecclesiale a beneficio, anche se non immediatamente percepibile, della Chiesa in Italia. Mons. Moreira Neves precisava inoltre che non andava confuso il concetto di sede della diocesi con quello di residenza del vescovo. Come sede della diocesi di MontepulcianoChiusi-Pienza erano da intendersi le cattedrali delle tre città, che assumevano dunque il titolo di concattedrali. La residenza del vescovo, fissata a Montepulciano, era soltanto dovuta ad una scelta di opportunità e utilità pastorale. Lo stesso vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, Mons. Alberto Giglioli, in un articolo apparso su un giornale locale il 19 ottobre 1986 pose l’accento sull’evento religioso, invitando i fedeli a non farsi coinvolgere dal campanilismo esasperato, ma a rivolgere i propri sforzi alla risoluzione dei veri problemi della Chiesa: Nel Vangelo non trovo nessun motivo per cui i fedeli di Chiusi e Pienza debbano cadere in costernazione e quelli di Montepulciano debbano montarsi la testa. Se qualcuno nel suo inconscio si sentisse portato a leggere questo evento ecclesiale in chiave di acquistato o perduto domicilio, dimostrerebbe che la sua fede è rimasta allo stadio infantile (omissis) Il provvedimento della S. Sede non mira a sottomettere un capoluogo a un altro, ma a cementare le nostre comunità parrocchiali in una vera e più intensa comunione dell’unica chiesa locale e a sottometterci tutti insieme a Cristo e alle esigenze del i bene comune. Le situazioni storiche non sono un assoluto e non lo sono neanche le strutture diocesane. In un domani più o meno lontano, tutto può essere rimesso in discussione. Perciò non è il caso di allarmarsi della riduzione numerica delle diocesi e farne un problema. Anche perché da noi la già realizzata unità pastorale nelle tre diocesi non lascia spazio a sostanziali mutamenti. Ben altri sono i problemi che fanno appello al nostro fraterno e responsabile impegno: la troppo scarsa evangelizzazione, la diffusione delle sette, le molteplici sfide del secolarismo, il disorientamento e l’emarginazione dei giovani74. Abbiamo voluto riportare le parole del vescovo Giglioli perché esse sono un invito alla riflessione ed a ricercare il bene comune. Eppure, giunti al termine di questo, speriamo, appassionante viaggio attraverso i secoli della storia religiosa del territorio chiusino, rimane una sensazione di amarezza, come se le ultime vicende avessero in qualche modo spezzato un filo. È vero, la Storia ha il suo corso e le città nascono, diventano vive e potenti per poi spesso decadere e qualche volta risorgere. Tuttavia ciò che in qualche maniera lascia perplessi è che Chiusi abbia visto la sua diocesi fusa a quella di Montepulciano proprio in uno dei momenti più interessanti della sua storia economica e sociale, oltreché religiosa. È innegabile, infatti, il suo costante sviluppo degli ultimi decenni nell’artigianato, nel commercio, nella piccola industria, come sono innegabili i fermenti religiosi sviluppatisi dall’inizio degli anni sessanta per mezzo dell’Azione Cattolica locale che è stata punto di riferimento anche per Montepulciano e Pienza. Queste considerazioni avrebbero potuto consigliare che la residenza del vescovo fosse fissata proprio nella città che può tra l’altro vantare una tra le chiese più antiche della Toscana. Ma probabilmente la scelta fatta ha risentito dell’esistenza in Montepulciano di alcuni centri di riferimento dell’aministrazione civile della zona. Tuttavia queste sono soltanto considerazioni marginali, che cadono proprio di fronte alla certezza che la storia della diocesi come della città di Chiusi, oltre ad avere un importante passato, hanno anche un solido presente e, crediamo, un fulgido futuro. ––––––– i CAPITOLO II LE CHIESE DI SAN SECONDIANO E SANTA MUSTIOLA II.1. La questione della prima basilica di Chiusi. Pavimento a mosaico scoperto nel 1970. La storia della diocesi di Chiusi per secoli ruotò intorno ai due grandi centri della cristianità costruiti all’interno della città e fuori delle sue mura: rispettivamente la chiesa di San Secondiano e la chiesa di Santa Mustiola. In realtà le due chiese vennero costruite sui resti di più antiche e piccole basiliche paleocristiane, sorte a loro volta su una domus ecclesiae messa a disposizione da privati cittadini convertiti al Cristianesimo. Non è facile stabilire quale delle due basiliche originarie sia stata costruita prima. I lavori eseguiti nel 1970 nella cattedrale di San Secondiano portarono alla scoperta, a sessanta centimetri di profondità, di un bel pavimento a mosaico appartenuto probabilmente alla domus ecclesiae originaria, che potrebbe far pensare ad essa quale chiesa più antica della diocesi1. Ma anche la originaria basilichetta paleocristiana di Santa Mustiola sorse con ogni probabilità in un fondo messo a disposizione da una famiglia cristiana. Dunque potremmo pensare ad una costruzione pressoché coeva delle due originarie basilichette paleocristiane. Tuttavia fu tradizione delle prime comunità cristiane quella di erigere le basiliche al di fuori delle mura delle città. Fu così a Fiesole, dove la prima cattedrale fu costruita ai piedi i del colle, fuori della cinta delle mura della civitas. Nel caso della basilica originaria di Santa Mustiola la circostanza sarebbe confermata dal fatto che essa sorse sullo stesso fondo già destinato a cimitero cristiano sicuramente dal III secolo.Propendiamo, dunque, per una precedenza di costruzione della basilica paleocristiana di Santa Mustiola. Alcuni scrittori del passato hanno anche essi variamente argomentato che la prima cattedrale di Chiusi fu quella di Santa Mustiola. Jacopo Gori scrisse che Nell’anno 986 il Bossolo per l’estrazione degli ufficiali del Comune di Chiusi fu riposto dentro la sacrestia di Santa Mustiola2 e il Repetti accennò a favore di Santa Mustiola ad una lettera di Gregorio VII ai Conti di Chiusi del 1075, nella quale è detto: La chiesa di Dio e Vostra Madre, mentre La prima volta che trovasi designata la chiesa di S. Secondiano col titolo di Cattedrale di Chiusi è nella Bolla del pontefice Celestino III del 27 dicembre 11913. A parte alcuni errori in cui incorsero tali storici, in effetti nelle catacombe di Santa Mustiola vi fu, come tutt’ora esiste, la cattedra vescovile, semplicemente costruita in mattoni. Quando però venne costruita (558-560) dal vescovo Florentino la chiesa di San Secondiano, questa fu da allora in poi l’unica cattedrale di Chiusi. Qui infatti, e non nella basilica di Santa Mustiola, esistevano le dignità di arciprete, primicerio, arcidiacono e vicedomino, come chiaramente appare dalla bolla Officii nostri di papa Adriano IV del 1159. II.2. La chiesa di San Secondiano. L’odierna chiesa di San Secondiano fu edificata da un vescovo chiusino, Florentino, tra il 554 e il 560. Per la costruzione vennero impiegati i resti di edifici romano-imperiali particolarmente abbondanti nella zona. Erano gli anni immediatamente successivi alla guerra gotico-bizantina (535-553), che aveva procurato gravissimi danni alla città di Chiusi. La dedica a San Secondiano, nobile romano martirizzato a Centocelle insieme agli amici Marcelliano e Veriano e il cui corpo fu trasferito a Tuscania4, non è chiaramente i Veduta esterna della cattedrale di S. Secondiano a Chiusi. Pulvino con iscrizione relativa al vescovo Florentino. spiegabile se non con una particolare devozione da parte del vescovo Florentino. Nella cattedrale si conservava anche una reliquia (due frammenti di ossa) trovati nel XVII secolo in un panno di seta rosso insieme ad una piccola pergamena che ne chiariva l’appartenenza. Furono conservati per ordine del vescovo Marcantonio Marescotti (20 aprile 1670) e racchiusi nella base di una statuetta d’argento raffigurante Gesù Cristo legato alla colonna5. L’attribuzione della costruzione dell’odierna basilica al VI secolo deriva da considerazioni storiche ed artistiche. L’indicazione dell’edificatore, il vescovo Florentino, è scolpita nel pulvino della terza colonna a sinistra entrando nella chiesa. In una cornice, formata da due piante di vite, ai cui piedi stanno due colombe come simboli del ministero episcopale, si legge l’iscrizione SCS EPC FLO RENTINVS FICIT (il Santo Vescovo Florentino fece)6. Il vescovo Florentino non è il Florentius che sottoscrisse al sinodo di Roma di papa Ilaro nell’anno 465, ma è veramente un vescovo di Chiusi vissuto certa- i Cattedrale di S. Secondiano, interno. mente tra il 558 e il 5607. Lo prova una lettera di papa Pelagio I a lui indirizzata, con la quale gli veniva concesso di ordinare a diacono della chiesa un vedovo, a causa della penuria di individui idonei a ricoprire l’incarico. La lettera fu copiata da Graziano da Chiusi e pubblicata nel suo Decretum nel 15958. Che la costruzione della chiesa sia avvenuta nel secolo VI è provato anche da alcune caratteristiche dei pulvini che a mò di cuscini sovrastano i capitelli delle splendide e antiche 18 colonne. Fu un uso in particolare bizantino quello di porre i pulvini sopra i capitelli, ispirato dalla necessità di valersi di un piccolo capitello come base di un arco di maggiore larghezza rispetto a quello per il quale era stato in origine costruito. Sui pulvini troviamo varie figure scolpite piuttosto rozzamente, probabilmente incise dallo stesso artigiano che scolpì anche l’iscrizione relativa al vescovo Florentino. Queste figure simboliche sono esempi di quella tradizionale iconografica-simbolistica che troviamo dapprima nelle catacombe e che rimase per secoli nell’arte cristiana. Sono presenti colombe, pavoni, coppe, gli angeli Raffaele e Michele. Lo stile architettonico della cattedrale è sicuramente paleocristiano, ultima espressione dell’arte romana con gli in- i Cattedrale di S. Secondiano, abside. flussi dell’arte bizantina che negli stessi anni costruì a Ravenna le chiese di S. Apollinare e di S. Vitale. Le sei grandi finestre monofore che si aprono nella navata centrale erano state chiuse in alcuni restauri e trasformazioni avvenuti nel secolo XV, ma furono riaperte nei grandi restauri della fine del XIX secolo. Furono dunque chiuse quando fu deciso di sopraelevare le navate laterali, alla fine del XV secolo. Lo possiamo confermare dalla lettura di alcuni documenti dell’Archivio Comunale di Chiusi. Sin dal 1440 (2 febbraio) i Priori del Consiglio di Credenza della città si preoccuparono di mettersi d’accordo col vescovo perché la cattedrale di San Secondiano fosse riedificata e restaurata9. I termini usati nell’occasione fanno capire chiaramente che i lavori da fare erano di notevole dimensione. Ma tutto rimase fermo fino al 1464. Il 16 dicembre di tale anno, su proposta del vescovo Gabriele Piccolomini, il Consiglio Generale decise di eleggere un Operaio o Santese che insieme ad un altro, eletto dal vescovo, avrebbe dovuto occuparsi da allora in poi della conservazione e del restauro della cattedrale10. In questa deliberazione riconosciamo l’origine dell’Opera della Cattedrale, che da allora in poi fu sempre più controllata dal Comune e divenne un’Opera laicale. I restauri tuttavia tardarono ad essere realizzati per una serie di motivi, tra cui la situazione politica generale che coinvolse anche Chiusi. Fu data così la priorità a lavori d’urgenza di carattere militare11. Il 6 novembre 1463 il Comune deliberò la costruzione di un torrione addossato all’abside della cattedrale, utilizzando le pietre della diruta chiesa di San Silvestro12. La fortificazione della cattedrale era necessaria perché essa poggiava sulle antiche mura della città, e ad ogni assalto rimaneva danneggiata. Del torrione, demolito nel 1579, restano tutt’oggi tracce nelle pietre sporgenti dall’abside centrale del duomo. Per i lavori di restauro dovette così attendersi la fine del secolo, quando il vescovo Lorenzo i Battistero della cattedrale di San Secondiano. Mancini ed i Priori del Comune trovarono l’accordo su come finanziare la spesa. I lavori, che compresero la ricopertura del tetto, il rialzamento delle navate laterali e la chiusura delle finestre della navata centrale, iniziarono sul finire del 1492. La chiesa, salvata dal definitivo degrado, ebbe a subire altri danni dalla Guerra di Siena (1554-1559). Iniziò allora per essa un altro periodo di difficoltà. Era difficile provvedere anche alla sua manutenzione ordinaria perché le finanze del Comune e della Diocesi erano sempre più povere. La parete a sinistra entrando, specialmente nell’angolo verso il campanile, minacciava continuamente rovina anche perché confinava con il terrapieno del cimitero allora ivi esistente (oggi giardinetti del duomo), che aveva un’altezza superiore a quella degli altari addossati all’interno della parete13. Nel 1650 il vescovo Carlo de Vecchi fece eseguire a sue spese vari lavori, tra cui l’apertura di due finestroni rotondi e di altre finestre14. A nulla valse una richiesta al Granduca da parte del Comune, il 25 aprile 1673, al fine di un suo interessamento per alcuni interventi urgenti di restauro 15. Ma ormai pioveva sul bagnato. La sera dell’8 aprile 1676 venne forzata la porta della cattedrale e profanato e rovinato l’altare maggiore. Il vescovo interdisse l’altare e ordinò che fosse demolito e rifatto ex novo16. Fu il famoso vescovo Giuseppe Pannilini, nel primo ventennio del XIX secolo, che operò una serie di interventi sull’antica cattedrale, per adattarla al gusto del suo tempo. Fece sistemare i tetti, eseguire dall’architetto Luigi Vegni di Chianciano i Stampa settecentesca del Terreni illustrante la piazza della cattedrale di Chiusi. le volte delle navate laterali, il cassettonato della navata centrale e una nuova orchestra, nonché un nuovo pavimento.17 Da una stampa del Terreni eseguita alla fine del Settecento, abbiamo l’immagine di come si presentava la facciata esterna della cattedrale.18 Il portale centrale era in pietra e probabilmente lo erano anche quelli laterali. Del portale centrale rimangono solo gli stipiti laterali, che il Toesca ricorda tra le sculture di fattura variamente rustica ed eseguite tra il secolo XI e il XIV19. Sarebbero cioè espressioni dell’arte romanica. In effetti la parte anteriore dello stipite di sinistra per chi entra in chiesa presenta un i Particolare dello stipite di sinistra del portale centrale di S. Secondiano. grande festone floreale che si sviluppa, in basso, da un semirosone, mentre nella parte interna il tralcio floreale sale staccandosi dalla bocca di un mostruoso drago alato. La decorazione richiama gli stipiti del portale del duomo di Rieti che il Lavagnino assegna al secolo XII-XIII, come opera dei cosiddetti Cosmati20. Però, a ben guardare, lo stipite di destra ha decorazione diversa da quello di sinistra ed è composto da tre frammenti di marmo. Dei tre, solo la decorazione di quello inferiore è simile a quella dello stipite di sinistra, anche se all’interno manca il drago alato. La parte interna è tutta coperta da incrostazioni calcaree che fanno pensare ad un prolungato scorrervi di acque. Ciò farebbe dunque pensare che esso sarebbe nato come uno stipite o architrave di un edificio d’epoca romano-imperiale e che ebbe il suo secondo impiego come fontana in quanto sono tutt’ora visibili, ad equa distanza dalle estremità, due grossi fori dentro i quali c’è un tubo di piombo schiacciato. Il terzo impiego del pezzo fu dunque come stipite della porta della cattedrale. Nella rammentata incisione del Terreni la porta centrale della cattedrale è fornita anche di un protiro composto da due leoni stilofori; le colonne che vi poggiano sono sormontate da un arco che sorregge un frontone. I leoni sono di epoca etrusca. Il protiro venne demolito tra il 1830 e il 1832 da Federigo Sozzi, nobile chiusino allora Operaio della cattedrale21. La chiesa che oggi vediamo prese tale aspetto a seguito dei restauri effettuati tra il 1881 e il 189422. Essi furono eseguiti dall’architetto Partini che nel 1889 disegnò la facciata eseguita con travertino di Rapolano. I restauri cambiarono in parte l’aspetto della cattedrale. Ad esempio, furono aggiunte le due piccole absidi alle navate laterali. Inoltre furono eseguiti dal pittore senese Arturo Viligiardi gli affreschi che decorano l’interno della cattedrale, che simulano i mosaici delle chiese ravennati. Le fitte decorazioni furono invece opera del decoratore senese Loli Piccolomini. i II.3. La chiesa di Santa Mustiola. Portale della chiesa di S. Mustiola. Sullo stesso terreno in cui, sul finire del III secolo, furono scavate le catacombe della gente cristiana di Chiusi, sorse, nel secolo IV o V, la basilica paleocristiana dedicata alla martire patrona della città. Di quella primitiva basilica rimane oggi soltanto una bella iscrizione incisa sul nuovo sepolcro della Santa, quando essa fu trasferita nella basilica paleocristiana. L’iscrizione fu dettata da un diacono della chiesa chiusina, di nome Anastasio. Dell’iscrizione rimangono oggi solo alcuni frammenti conservati nel Museo della Cattedrale23. Agli inizi del secolo VIII la basilichetta originaria era già fatiscente. Gregorio, duca longobardo di Chiusi sollecitato dal vescovo chiusino Arcadio, nell’anno 728 demolì la vecchia basilica ed iniziò la costruzione di una grande chiesa a tre navate24. Gregorio lasciò al fratello Agiprando, che gli successe, il completamento dell’opera, perché fu trasferito al ducato di Benevento.25 La prima parte ad essere ricostruita fu il ciborio che, sostenuto da quattro colonne, stava sopra l’altare e tomba di Santa Mustiola. L’antico ciborium era di legno e fu rifatto di marmo. Due delle quattro colonne allora usate sono quelle che oggi sostengono il ciborio che copre il battistero della cattedrale di San Secondiano. Queste colonne di epoca romano-imperiale con altre due oggi disperse (di una esiste un troncone che sorregge la pila dell’acqua santa nella chiesa di Santo Stefano) erano sormontate dagli archi su cui poggiava l’architrave che le congiungeva e che recava anche una parte delle iscrizioni longobarde tutt’oggi esistenti26. La basilica costruita da Gregorio fu una costruzione maestosa che resse per secoli alle ingiurie del tempo e degli uomini. Ancora nel 1610 il senese Teofilo Gallacini la vide a tre navate e la descrisse con poche parole, scrivendo il 22 luglio ad un suo anonimo amico chiusino. Parlando del duomo di San Secondiano e della basilica di Santa Mustiola, scrisse: Le colonne del Duomo sono i Architrave del portale della chiesa di S. Mustiola. antiche e furono cavate da più edifici antichi come sono quelle delle Basiliche di Roma, cioè da parti di templi e dalle facciate e da altre fabbriche e la maggior parte sono di pietre orientali. Così ancho sono le colonne di S. Mustiola27. Anche il senese Girolamo Carli, nel 1762, facendo in una sua lettera il resoconto di una visita a Chiusi, scrisse: Vidi molte colonne di marmi antichi nel Duomo e nella chiesa di S. Mustiola28. Il Carli scriveva quando da più di un secolo la basilica era stata ridotta da tre ad una sola navata, e le colonne che le dividevano erano rimaste incorporate nei nuovi muri perimetrali, dai quali furono fatte estrarre dal vescovo Giuseppe Pannilini all’atto della demolizione della basilica, avvenuta alla fine del Settecento29. Forniti questi particolari sull’architettura della chiesa ricostruita dai Longobardi, possiamo dire che la più antica memoria di un suo restauro risale al 1295, quando il proposto Martino Tini fece rifare il portale d’ingresso alla navata centrale. Questo portale con arco a sesto acuto introdusse un elemento gotico, secondo lo stile già in uso in quel tempo, all’architettura primitiva della basilica. Per fortuna il portale fu conservato nell’ultima demolizione della chiesa e, smontato, fu ricostruito come ingresso al cimitero ricavato dagli orti che circondavano l’ex chiesa e convento30. Gli stipiti del portale terminano con una mensola curvata in basso sostenente un grosso architrave monolitico, in cui con caratteri gotici è l’iscrizione: A. D. MCCLXXXXV TPEPPOSITI MR TINI (Anno Domini millesimo ducentesimo nonagesimo quinto tempore Propositi Martini Tini). Sul finire del secolo XI vi era stata la condanna del proposto Guidone, simoniaco. Dopo di lui rimane memoria di un altro Guido, proposto nel 1126. In una bolla di papa Adriano IV del 1179 si parla di decime testamentarie e offerte che i canonici di Santa Mustiola riscuotevano dalle pievi e chiese loro sottoposte. Le decime erano una delle risorse fondamentali per la vita economica della basilica. A quell’epoca la zona doveva essere già fortificata. Nel 1288 furono i Guelfi a rifugiarsi entro le sue i Particolare di un dipinto del 1640 raffigurante una processione che si dirige verso la chiesa di S. Mustiola mura fortificate, dopo una furente battaglia con i Ghibellini31. Tutt’oggi rimangono alcune vestigia di quelle antiche fortificazioni che sono visibili negli avanzi di un grande muro di cinta. Di queste fortificazioni faceva parte una possente torre-campanile, bene evidenziata in una tela ad olio conservata nella sagrestia della cattedrale di Chiusi, fatta dipingere per grazia ricevuta nel 164032. Notevole fu la giurisdizione del convento di Santa Mustiola negli anni intorno al Mille. Nella bolla di papa Adriano IV del 1179 si parla delle due Selve di Sanguineto e della Cornia e del Campo di Montevenere. La bolla indirizzata nel 1191 da Celestino III al vescovo Teobaldo II pose la chiesa di Santa Mustiola al secondo posto dopo la cattedrale di San Secondiano. Nel 1207 papa Innocenzo III (1198-1216) ordinò la restituzione della Villa di Tavernelle al monastero di Chiusi33. La potenza economica dei canonici di Santa Mustiola è ancora più evidente dall’entità della decima per il sussidio alla Terra Santa che pagò nel 1275-1276, superando essa l’entità di quella versata dalla mensa vescovile34. Tuttavia il Comune di Chiusi vantava sulla basilica il diritto di patronato, come un’eredità pervenutagli dai duchi longobardi, attraverso i conti e infine il vescovo-conte, al quale aveva tolto con la giurisdizione civile sulla città anche i diritti di patronato sulla basilica. Con la bolla Officii nostri di papa Adriano IV del 12 maggio 1159, che non fece che confermare quanto già concesso dai vescovi Martino e Uberto al proposto Niger, fu affidata al proposto di Santa Mustiola l’amministrazione di una gran quantità di terre coltivate e incolte. Numerose pievi e chiese, compresa la pieve di San Gervasio col Borgo, cioè l’attuale Città della Pieve, vennero così a trovarsi sotto l’amministrazione spirituale e temporale del proposto di Santa Mustiola. i Dalle pievi delle Pupille e Cignano, alle chiese di Mongiovino, Panicale, Acquaviva, San Egidio (oggi Montepulciano), da San Lorenzo e San Martino di Sarteano a S. Angelo di Cetona, da Santo Stefano di Castiglion d’Orcia e forse fino a Bagno Vignoni, a Seggiano e Santa Fiora, dove troviamo delle canoniche regolari sul finire del secolo XIII, era riconosciuta l’autorità del proposto di Santa Mustiola. Numerosi erano anche i territori appartenenti ai canonici di Santa Mustiola ed esistenti nel Comune di Chiusi. Dal Libro della Lira (catasto) del Comune di Chiusi del secolo XIV abbiamo riferimenti a Querce al Pino, al Colle, a Pian di Ponte (sulle Chiane), in Val Marzone (sotto la basilica), in Val d’Acqua, e una casa dentro la città nel Terziere di S. Angelo. Dal Libro Entrata-Uscita del monastero di santa Maria degli Angeli di Siena risulta che la propositura di Santa Mustiola possedeva terre e poderi nel Comune di Chiusi, le Vigne di Chiusi, e in territorio perugino a Panicale, Paciano e Vaiano35. Possiamo chiaramente identificare i seguenti possedimenti: il Ceraseto (Panicale)36; la tenuta di Scornobecco presso Mongiovino; Monte Erile (Montelera) 37; la tenutella del Vaiano38; il podere di Santa Mustiola nello stesso terreno della basilica. Col passare dei secoli la potenza economica dei canonici di Santa Mustiola si ridimensionò in maniera consistente e molti beni passarono alla mensa vescovile di Chiusi e a quelle delle altre diocesi che vennero create smembrando la diocesi originaria di Chiusi. Circa i proposti di Santa Mustiola, abbiamo notizie certe di: Guglielmo (1297); Martino che ne fu a capo almeno fino al 1324 e che operò importanti lavori di restauro; Petruccio (1325-1326); Guido (1326-1384); Francesco che nel luglio 1429 chiese al Consiglio Generale del Comune di Chiusi di poter abitare nella città, a causa della malaria che infestava il piano vicino alla basilica39. Chiusi era ormai in definitiva accomandigia con Siena fin dal 1415 ma i Perugini, che nel passato avevano più volte tentato di estendere il loro dominio sulla città, profittando della sua decadenza politica cercarono di appropriarsi dei vistosi beni temporali di cui era ancora ricca la basilica di Santa Mustiola, valendosi del fatto che tanto i canonici di essa, quanto quelli della cattedrale di Perugia, appartenevano alla congregazione di S. Agostino. Trovarono un alleato in papa Eugenio I, che deliberò l’unione della propositura di Santa Mustiola alla canonica della cattedrale di San Lorenzo di Perugia. Il proposto di Santa Mustiola, Francesco Guidolotti, il 19 dicembre 1439 si rivolse alle autorità comunali perché i lo aiutassero a resistere a quell’unione.40 Il proposto si era nel frattempo ritirato entro la città perché temeva che i Perugini gli usassero violenza41. Vari interventi operati presso le autorità di Siena scongiurarono l’unione. Il proposto Francesco aveva resistito all’unione con la cattedrale di Perugia soprattutto per conservare il proprio titolo, e la cosa fu evidente quando papa Eugenio IV, con una bolla data in Firenze il 16 giugno 1442, sottomise la propositura di Santa Mustiola ai canonici regolari di S. Agostino, che avevano la loro chiesa in Santa Maria degli Angeli in Siena. A Francesco Guidolotti fu riconosciuto, vita natural durante, il titolo di proposto e un terzo delle rendite della chiesa e canonica chiusina. Il proposto, cieco e malato, visse entro le mura di Chiusi almeno fino al 1448, ma presto ebbe a pentirsi delle sue iniziative in favore dell’unione alla chiesa senese, in quanto il pagamento del terzo delle rendite cominciò a ritardare. Così si fece appoggiare dal Comune presso papa Niccolò V perché la propositura fosse ripristinata al suo antico stato. Ma non fu questa la soluzione della vertenza. Morto papa Eugenio IV ed eletto Niccolò V, si rifecero avanti gli interessi dei Perugini. Ser Domenico di Tommaso, canonico della Chiesa di Perugia, aspirava alla propositura di Santa Mustiola. Nella Biblioteca Comunale di Siena esiste un Codice di 162 pagine che tratta della causa (1447-1448) tra i canonici regolari di Siena e Ser Domenico di Tommaso. Quest’ultimo accusava i Senesi di trascuratezza nell’officiatura e manutenzione della basilica42. Papa Niccolò V si schierò dalla sua parte e fece decidere a suo favore la causa, trattata dal vescovo di Todi Bartolomeo Alaleoni. Nel 1462 papa Pio II soppresse definitivamente la propositura di Santa Mustiola. Fu una soppressione strumentale, per compensare la mensa vescovile di Chiusi, cui passò la massima parte dei numerosi e vasti possessi della propositura di Santa Mustiola, della perdita di molte parrocchie passate alle diocesi appena istituite di Pienza e Montalcino43. Il Comune di Chiusi tentò di opporsi a questa operazione, ma il papa trasferì il proposto Domenico di Tommaso all’eremo di Monte Erili assegnandogli, vita natural durante, anche una certa quantità dei beni della soppressa propositura44. Dopo la soppressione, la basilica rimase pressoché abbandonata e si avviò alla definitiva decadenza. Pochi anni dopo, nel maggio del 1474, fu riesumato il corpo di Santa Mustiola. Fu deciso anche di eleggere due Santesi, uno per il vescovo e uno per il Comune, che, tra le altre cose, avrebbero dovuto preoccuparsi della manutenzione della basilica45. A capo della basilica era un canonico, che assunse il nome di rettore. i Iscrizione appartenuta alla chiesa di S. Mustiola. All’inizio del Cinquecento vi furono liti tra il rettore, Sallustio, e il Comune perché non c’era accordo su chi dovesse provvedere, e in che misura, al restauro del tetto della basilica46. Così, per la cattiva manutenzione, la chiesa degradò e soffrì ancor più durante la Guerra di Siena. È riferibile a tale periodo una strana iscrizione rimasta sulla parete della chiesa che oggi fa parte di un podere ivi esistente: Oratio Da Siena a Dì 5 Decem/re......Fecit 1557 A Diru....IIW F2 RE. Forse questo Orazio da Siena era un maestro muratore che riparò la chiesa danneggiata da qualche cannonata. La guerra, nel 1557, non era ancora finita a Chiusi. Dentro la rocca e in città c’era un presidio di Francesi, e le truppe della Repubblica di Siena si erano ritirate a Montalcino. Come interpretare il W.F.2.R che chiude l’enigmatica iscrizione? In quell’anno il solo che avesse il nome con l’iniziale F era Filippo II di Spagna. Dobbiamo perciò credere che le truppe spagnole e medicee, assedianti Chiusi, si erano già attestate nei fortilizi di Santa Mustiola. Il maestro muratore Orazio poteva dunque essere un senese al seguito delle truppe, in i I resti del portale della chiesa di S. Mustiola prima dell’ultima sistemazione. quanto la città di Siena era già stata occupata fin dal 1555. Filippo II aveva avuto Siena dal padre Carlo V subito dopo l’occupazione ma, diversamente dalla politica paterna che non vedeva volentieri i Medici di Siena, il nuovo re di Spagna (1556) l’aveva ceduta fin dal 3 luglio 1557 a Cosimo I. Forse il muratore Orazio preferì dunque scrivere Viva Filippo II Re anziché Viva Cosimo dei Medici. Le condizioni della chiesa peggiorarono ancora fino al 1623, quando fu concessa ai frati minori osservanti riformati di San Francesco. Inizialmente essi erano dodici, ma già nel 1647 erano scesi a sette. Fu così che il convento di Santa Mustiola rientrò nel numero dei così detti conventini, soppressi da papa Innocenzo X con la bolla Instaurandae regularis disciplinae del 31 ottobre 1652. I frati dovettero così lasciare il convento. Poco prima, nel 1634, nello scavare un pozzo avevano scoperto le catacombe cristiane e nel fare lavori di restauro alla chiesa ne avevano profondamente alterato la struttura architettonica, riducendola da tre navate ad una. Nonostante il progressivo abbandono, l’Opera di Santa Mustiola nel 1779 aveva un movimento finanziario ancora piuttosto consistente. In quell’anno il camerlengo Marcello Dei rese i conti con entrate di Lire 7.961 ed uscite di lire 6.717. i Sul finire del secolo XVIII, nel quadro della generale riforma leopoldina, il vescovo di Chiusi Giuseppe Pannilini ebbe dal Granduca i mezzi finanziari per il restauro della cattedrale di San Secondiano. In una lettera del Pannilini al granduca Ferdinando III, in data 6 settembre 1822, è scritto: Questi mezzi furono le varie leggi sovrane per i Cimiteri a sterro, la soppressione di queste antiche Compagnie e quella del Convento dei Riformati situato nelle vicinanze di questo Lago, nella cui chiesa esistevano varie colonne serrate nelle muraglie, per essere stata ridotta d’una sola navata. Ed essendosi degnato (S.A.R.) di rilasciare a mé all’oggetto ridetto (restauro cattedrale) tutta la fabbrica di detto Convento, con formale contratto ne feci vendita a Pietro Casuccini, destinando l’orto per Cimitero a sterro di questa Comunità a gran risparmio della medesima e riserbandomi in favore di detta Cattedrale le diverse colonne che vi si trovavano etc.47. Un documento del 14 settembre 1784 ci ricorda una perizia fatta per ordine del Pannilini da Antonio Giannone di Lugano, relativa alla chiesa e al convento. Escluse le colonne e le pietre in marmo con iscrizioni antiche, il valore complessivo era di Scudi 1.705. La sola chiesa fu valutata Scudi 356 e aveva ancora il coro e l’orchestra. La torre fu valutata Scudi 229. Il convento era composto da 44 stanze e 8 corridoi. Tutto fu demolito e il materiale fu venduto e in parte, specialmente con le pietre dell’ex campanile, il vescovo fece costruire il porticato tra il palazzo vescovile e la cattedrale di San Secondiano nonché i muri di sostegno dell’orto dell’episcopio48. Il 2 maggio 1787 il nobile chiusino Pietro Bonci Casuccini acquistò il portale in pietra della ex chiesa di Santa Mustiola, che fu posto come portale d’ingresso al nuovo cimitero49. Ebbe così fine la storia secolare della basilica e convento di Santa Mustiola, la cui parte residua fu in seguito trasformata in casa colonica tutt’oggi esistente. ––––––– i CAPITOLO III ELENCO RAGIONATO E NOTIZIE DEI VESCOVI DI CHIUSI DA LUCIO PETRONIO DESTRO (A. 322) AD ALBERTO GIGLIOLI Lucio Petronio Destro (morto nell’anno 322) Corretto l’errore di Francesco Liverani che individuò in Marco Giovenzio Dionisio il primo vescovo di Chiusi, ricordato da un cippo funebre esistente nelle catacombe di Santa Mustiola certamente proveniente da una tomba pagana, tale fu invece, per gli elementi di cui disponiamo, Lucio Petronio Destro la cui iscrizione marmorea, sempre nelle catacombe di Santa Mustiola, ci ricorda che morì nell’anno 322. Florentino (552-560) Di lui, che edificò l’attuale cattedrale di San Secondiano, abbiamo testimonianza dall’iscrizione scolpita nel pulvino di una colonna del duomo di Chiusi. Ecclesio (599-604) Nell’anno 604 papa Gregorio scrisse al vescovo Venanzio di Perugia ricordando ancora vivo il vescovo Ecclesio di Chiusi1. i Marcellino (649)2 Intervenne al sinodo romano di papa Martino contro i Monoteliti. Teodoro (676-680) Ricordato negli atti del sinodo romano tenuto da S. Agatone nell’anno 680. Arcadio (728-743) Fu presente al Concilio Romano tenuto da papa Zaccaria3. Gisulfo (752) Nominato in una bolla di papa Stefano II dell’anno 7524. Fu uno dei quattro vescovi che discussero la causa di confine tra le diocesi di Siena e Arezzo. Andrea (826) Sottoscrisse al sinodo romano raccolto nell’anno 826 da papa Eugenio II5. Teobaldo I (845) Nell’anno 845 fornì magnifici Codici alla biblioteca del monastero amiatino. Fu compagno di Mauro Rabano alla corte di Ludovico il Pio6. Taceprando (853) Sottoscrisse al sinodo romano di papa Leone IV. Liutprando (861) Fu presente al sinodo romano di papa Niccolò I. i Hispanus (870-900) Ricordato da antiche iscrizioni incise su tre pezzi di lastra di marmo bianco rinvenuti nei lavori per il restauro della cattedrale di Chiusi (1888)7. Era profugo dalla Spagna dove, sotto l’Emirato di Abd-ar-Rahman (851-852) e sotto il suo successore Muhammad I (852-886) i cristiani furono perseguitati. Governò la diocesi per 21 anni e 8 mesi. La lapide ricorda che elevava a Dio l’animo dei fedeli con le sacre melodie, Incessantemente rendendo gloria al Signore con canti e lodi. Cristiano (911) Un diploma già dell’archivio amiatino ricorda che nell’anno 911 l’episcopato di Chiusi era tenuto dal vescovo Cristiano, che concesse all’abate Pietro tutte le decime delle chiese che si trovavano nel territorio del monastero8. Luto (967-968) Fu presente al sinodo romano nel gennaio dell’anno 967 tenuto da papa Giovanni XIII, presenti l’imperatore Ottone I e suo figlio Ottone II che poi seguirono il papa a Ravenna, dove anche Luto si recò. Arialdo (996-1016) Gli abati amiatini erano fedeli all’Impero e tedesco fu l’abate Winizo che, sul finire del secolo X (996), troviamo in urto col vescovo Arialdo successore di Luto, per una questione che si protrasse per vari secoli, relativamente alla giurisdizione su varie chiese della diocesi di Chiusi pretese dai monaci amiatini. Durante il suo episcopato fu portato a Chiusi il famoso anello nuziale della Madonna9. i Wido (1036-1037)10 Pietro I (1049-1058) Anche lui ebbe contrasti con i monaci amiatini, tanto che San Pier Damiani raccolse la storiella che Pietro fosse colpito da una paralisi facciale un mercoledì delle ceneri quando, dimentico della penitenza della Quaresima, beveva e mangiava allegramente 11. Difese i diritti della sua chiesa nel placito, benché a lui contrario, che Goffredo marchese di Toscana tenne al Palazzo di San Pellegrino (Palazzone sotto Fighine di San Casciano dei Bagni) il 16 maggio 1058. Giovanni (1059) Partecipò e sottoscrisse al sinodo romano tenuto da papa Niccolò II contro i simoniaci e i concubinari12. Lanfranco (1063-1098) Si sottoscrisse nel 1063 alla bolla emanata da papa Alessandro II per la nomina di Graziano vescovo di Ferrara. Lo stesso papa, nel 1068, trattò nel Concilio una questione relativa alle decime vescovili, insorta tra il vescovo di Chiusi e il suo clero. Nel maggiogiugno del medesimo anno il papa, in viaggio per Lucca, si fermò a Chiusi per la questione delle decime. Di ritorno da Lucca, nel dicembre 1068, si fermò di nuovo a Chiusi e definì la questione, presenti Lanfranco, il clero, il popolo e i conti Ranieri di Bulgarello e Bernardo di Ordingo13. Prima della fine dell’anno 1068 il papa spedì da Perugia la bolla Quoniam divinae in cui confermò quanto già deciso. Nel 1072 Lanfranco ebbe torto in una questione con l’abate amiatino Mauro14. Nel 1073-1074 papa Gregorio VII gli ordinò di scacciare e sostituire dalla propositura di Santa Mustiola il proposto Gui- i done, simoniaco 15. Nel novembre 1076 il papa gli ordinò, insieme agli altri vescovi di Toscana, di scomunicare il vescovo di Siena Rodolfo, che aveva aderito allo scomunicato imperatore Enrico IV. Nell’aprile 1094 Lanfranco concesse all’abate Gerardo di Monte Amiata le decime di Monte Pinsutolo. Nel giugno 1098 concesse allo stesso abate una parte e le decime della chiesa di Santa Maria in Ricoburgo (Ponte a Rigo). Lanfranco, che fu punito da papa Gregorio VII perché non aveva allontanato dal suo ufficio lo scomunicato Guidone proposto di Santa Mustiola, fu spesso in contrasto con i Chiusini. Tutto ciò sembra attestato da alcuni resti di costruzioni da lui erette e che un’iscrizione, incisa su una lapide conservata nel museo della cattedrale, ricorda: Hoc opus extruxit - Lanfrancus fieri iussit, pro quo, lector, dic: parce, redemptor, huic = Quest’opera costruì Lanfranco - comandò fosse fatta per il quale, o lettore, dì: perdona, o Redentore, a costui. La pietra su cui incisa è stata scalpellata come per cancellare il ricordo di Lanfranco. Tra le grosse pietre che formano il campanile di San Secondiano vi sono alcune grandi iscrizioni che in qualche modo ricordano Lanfranco. Ecco il loro elenco: – nella parete che guarda verso l’orto dell’episcopio ci sono tre pietre con le seguenti iscrizioni a grandi lettere: a) S D I; b) TIO (capovolta); c) FRAN; – nella parete che guarda verso il palazzo vescovile ci sono tre pietre con le seguenti iscrizioni a grandi lettere: a) ANFR; b) GRA; c) INCARNATI; – nella parete che guarda verso il giardinetto del duomo vi sono due pietre: a) un’iscrizione di epoca romano-imperiale in posizione capovolta; b) un’altra iscrizione conserva le lettere seguenti in posizione verticale: RDIN; – nella parete verso Via Porsena vi sono due pietre nell’angolo verso il palazzo vescovile: a) NODNILE (capovolta); b) ANEVS.SI oppure ANCVS.SI. Come è evidente, le lettere non sono tutte tra loro legate da un nesso storico-logico. Comunque è ipotizzabile che Lanfranco non scelse la parte giusta in quegli anni di continue lotte tra papato e impero. La fazione avversa ai conti di Chiusi e al vescovo, che si era schierato con loro, in un momento di predominio rase al suolo le loro case e le loro torri. i Gregorio (1104) È ricordato in un testamento del 7 settembre 1104 relativo alla fondazione dell’eremo di Camaldoli16. Pietro II Ebbe alcune grosse questioni relative ai privilegi e alle giurisdizioni dei monasteri di San Salvatore del Monte Amiata, di S. Antimo e Farneta appartenenti alla diocesi di Chiusi. Tra il conte Manente I e il vescovo Pietro II nacque, tra il 1124 e il 1130, una questione di cui non si conosce la precisa natura. Il vescovo si rivolse a papa Onorio II (1124-1130) che emanò una bolla-privilegio a suo favore. Martino (1146-1147) Il 7 maggio 1146 affidò ai monaci del monastero del Vivo la riforma dei monasteri di San Piero in Campo, San Benedetto alla Tresa di Moiano e San Pietro in Argiano. Il 13 gennaio 1147 papa Eugenio III confermò con una sua bolla quanto deciso da Martino17. Ebbe contrasti con i conti di Chiusi che cercavano di far prevalere le loro ragioni sul monastero di San Piero in Campo e sulle altre chiese della diocesi. Uberto (1155-1159)18 È ricordato in una bolla di papa Adriano IV indirizzata a Niger proposto di Santa Mustiola, il 12 maggio 115919. Di lui parla anche una breve memoria esistente nell’Archivio della Curia Vescovile di Chiusi. Si tratta di una copia autentica trascritta nel volume II delle Visite Pastorali. Il vescovo Orazio Spannocchi, il 28 giugno 1604, fece una visita pastorale alla chiesa di San Michele Arcangelo a Cetona. Visitando le reliquie, trovò una piccola carta nella quale si leggevano a fatica alcune parole, che ordinò di i trascrivere: Ad honorem Dei omnipotentis patris et filii et spiritus sancti et B.V. Mariae et omnium Sanctorum Dei haec Ecclesia aedificata est sub vocabulo B. Michaelis Arcangeli et Philippi et Jacobi Sanctique Quirici et Sanctae Ceciliae Virginis. Tertio Kaled. Octobris OI TOA.CV inditio tertia ab Uberto Clusino Episcopo20. Purtroppo le cifre trascritte dell’anno non sono facilmente leggibili. Forse corrispondono a: AN(no) DO(mini) MC(L)V. È da supporre che Uberto fu vescovo di Chiusi dal 1155 al 1159. Egli, a seguito della riforma del clero secolare, affidò ai canonici regolari di Santa Mustiola l’amministrazione spirituale e temporale della cattedrale di San Secondiano e di molte pievi e chiese della diocesi di Chiusi. Lanfranco II di Metula La sua esistenza come vescovo chiusino è dubbia. C’è un solo documento probabilmente autentico, del 1171, che riguarda l’arbitrato fatto da Lanfranco II tra Orvieto e Acquapendente21. Ranieri I (1176) È ricordato in un documento in cui dette il consenso al sacerdote Dono e a Cabiano suo fratello per la cessione in affitto al monastero di San Piero in Campo di un pezzo di terra della chiesa di San Michele di Sellena presso Chianciano22. Leone (1179) Sottoscrisse al Concilio romano tenuto da papa Alessandro III nel marzo 117923. Teobaldo II (1191-1196)24 Fu il primo Vescovo-Conte. Con lui si concluse la lunga lite con i conti Farolfi, che i durava dal 1124 circa. I conti Farolfi, a seguito delle donazioni fatte, avevano pretesa di giurisdizione su alcuni monasteri e chiese della diocesi chiusina. Teobaldo II si rivolse al papa Celestino III che emanò a suo favore la bolla-privilegio del 27 dicembre 1191 in cui riconfermò al vescovo di Chiusi la piena giurisdizione sulla sua diocesi. Nell’anno 1196 l’imperatore Enrico VI tolse ai conti Farolfi (Manente II, figli ed eredi) il dominio sulla città di Chiusi trasferendolo al vescovo. Fu il primo vescovo chiusino che, a causa della malaria, pensò di trasferirsi altrove (Montepulciano). Gualfredo I (1200-1210-1227)25 Nel 1200 sottomise la città di Chiusi ad Orvieto. Ottone IV lo riconobbe, il 13 dicembre 1209, come grande vassallo alle dirette dipendenze dell’imperatore. Ciò dimostra che, dopo aver aderito nel 1200 alla parte chiesastica di Orvieto, passò nel 1209 a quella imperiale. Nel 1210 fu presente ad un diploma concesso ai monaci amiatini dall’imperatore. La rottura tra papa Innocenzo III e l’imperatore Ottone IV segnò la fine dell’imperatore nel 1212 con la Dieta di Norimberga. Ottone IV morì nel 1218. Il vescovo Gualfredo ne condivise le sorti. Nel 1215 Gualfredo fu rimosso dalla sede vescovile di Chiusi e sostituito da Ermanno di Simone, orvietano di fazione papale. Tuttavia Gualfredo, trasferitosi sotto la protezione dei Senesi di parte imperiale, continuò ad emanare i suoi decreti vescovili. Morì a Siena nel 1227. Ermanno I26 Della famiglia orvietana dei Monaldeschi, sostituì solo parzialmente il vescovo Gualfredo tra il 1215 e il 1227. Dal 1216 al 1221 fu a Roma come Cappellano del Sacro Palazzo. Un documento attesta che fu presente a Chiusi il 14 gennaio 1225. Si tratta di un decreto col quale Ermanno I concesse a Valentino, monaco e prete camaldolese di i San Piero in Campo e priore di Santa Vittoria in Sarteano, l’officiatura della Pieve Vecchia di San Lorenzo (presso la cartiera di Sarteano) e la chiesa di San Pietro del Castello di Sarteano. Morì nel 1230. Pisano (1231-1237)27 Benedetto (Benaudito) e Frigerio (1238-1253; 1243-1254) Già arcidiacono della cattedrale di Perugia, Benedetto28 fu trasferito a Chiusi poco dopo il 1243 e sostituito con un altro perugino, il vescovo Frigerio che a sua volta fu trasferito a Perugia l’11 maggio 1248. Benedetto, forse già vescovo di Chiusi prima del 1240 e probabilmente dal 1238, lo era ancora il 16 ottobre 1243 quando papa Innocenzo IV gli affidò di risolvere la questione tra il capitolo della cattedrale di Todi e i templari di Perugia e Assisi29. In quello stesso anno Perugia si ribellò al papa e anche Chiusi cadde poco dopo nelle mani del capitano imperiale Simone Estense che la consegnò ai Perugini. Quando fu ripresa, nel 1244, dai Guelfi orvietani e dalle truppe pontificie, il vescovo Benedetto dovette lasciare Chiusi e tornare a Perugia. Sotto l’episcopato di Benedetto e Frigerio avvenne il colpo di mano dei Ghibellini di Chiusi col quale tolsero al vescovoconte l’autorità temporale concessa da Enrico VI nel 1196. Pietro III De Predio (1248-1260)30 Fu presente alla dedizione di Castel della Pieve al Comune di Perugia il 13 maggio 1250. Probabilmente il suo episcopato iniziò dal 1248 quando il vescovo Frigerio tornò a Perugia. Ebbe gravi contrasti con i Ghibellini di Chiusi. Il vescovo scomunicò i Chiusini che non volevano restituire i beni sottratti alla sua giurisdizione. La lite fu risolta alla fine del XIII secolo. i Ranieri II (1260-1272) Pietro IV (1273-1299) Da arciprete della cattedrale di Chiusi, Pietro IV fu promosso vescovo di Chiusi da papa Gregorio X il 17 aprile 1273. Non ebbe contrasti coi monaci amiatini e morì nel 129931. Matteo I Medici (1299-1313)32 Il suo episcopato è dubbio, in quanto dopo la morte di Pietro IV la sede vescovile rimase vacante fino al 1315 e vi prestò opera il vicario capitolare Angelo. Matteo II Orsini (1317-1322) Fratello del cardinale Napoleone Orsini, fu trasferito a Chiusi da Imola il 14 luglio 1317. Morì a Roma il 15 giugno 1322 e fu sepolto nella chiesa di San Francesco a Ripa33. Il vescovo di Catania Leonardo (1322-1327)34 Alla morte del vescovo Matteo II Orsini (1322) la lotta fra papa Giovanni XXII e Lodovico il Bavaro era nel suo pieno svolgimento e le sommosse ereticali degli spirituali ebbero forse anche in Chiusi qualche eco, per cui non fu facile ai canonici di San Secondiano procedere all’elezione di un vescovo. Perciò fu dato alla diocesi un amministratore apostolico nella persona del vescovo di Catania, Leonardo, che la tenne fino al 1327. In questo periodo fu creata la diocesi di Cortona, e Chiusi le dovette cedere alcune parrocchie. Ranieri III (1327-1342)35 Nobile di Montepulciano e priore del monastero vallombrosano di San Pietro di Petroio i nella diocesi di Chiusi, fu eletto vescovo il 26 settembre 132736. Ebbe alcune liti, che perse, con gli abati amiatini tra il 1328 e il 1330. Angelo di Guglielmo (1343-1348) Pievano della chiesa di San Silvestro in Lauciniano, eletto dal capitolo della cattedrale di Chiusi sin dal tempo di papa Benedetto XII (1334-1342), fu confermato da papa Clemente VI il 3 marzo 1343. Contrastò l’abate Remigio di Monte Amiata per la giurisdizione sulla chiesa di Santa Maria in Piancastagnaio. Francesaco De Aptis (1348-1353) Nobile di Todi, insigne canonista, fu trasferito a Chiusi dalla sede vescovile di Corfù il 17 settembre 1348. Il 15 luglio 1353 venne trasferito alla diocesi di Cassino37. Biagio I (1353-1357) Abate cistercense del monastero dei SS. Vito e Salvio in diocesi di Tiene, fu promosso vescovo di Chiusi il 13 agosto 135338. Biagio II Geminelli (1357-1386) Fu promosso al vescovado di Chiusi il 21 agosto 1357, dalla sede vescovile di Pesaro. Di lui rimane una lettera alla Repubblica di Siena del 24 novembre 138639. A Pesaro esiste una chiesa dedicata a Santa Mustiola in cui si conserva la reliquia di un omero della Santa. Forse la reliquia, già estratta nel secolo V-VI quando il corpo di Santa Mustiola era stato trasferito dalle catacombe nella basilica che ebbe il nome della Santa, fu trasferito a Pesaro durante l’episcopato di Biagio II. i Matteo III (1388-1393) e l’Antivescovo OTTONE (1388-1389) 40 Durante il grande Scisma d’Occidente, nel 1377, Santa Caterina da Siena aveva riportato a Roma da Avignone il papa Gregorio XI (1370-1378). Alla sua morte era successo Urbano VI (13781389). Questi ebbe notevoli contrasti con i cardinali francesi, che nel 1378 elessero il cardinale Roberto di Ginevra che prese il nome di Clemente VII. Al legittimo vescovo di Chiusi, Matteo III41, l’antipapa Clemente VII sostituì in Chiusi un antivescovo di nome Oddone che morì prima del 1389. Nello stesso anno Clemente VII mandò in Italia il cardinale di Santa Prisca al quale comandò anche di nominare un nuovo vescovo a Chiusi42. Il vescovo Matteo III, che si era già ritirato dalla sua sede, morì nel 1393. Odoardo Michelozzi (1393-1404) Papa Bonifacio IX (1389-1404), successo a Urbano VI, elesse a vescovo di Chiusi, il 5 settembre 1393, il perugino Odoardo Michelozzi già vescovo di Assisi che rimase a Chiusi fino al 27 febbraio 1404, quando fu trasferito alla diocesi di Perugia43. Antonio Boccali (1404-1410-1415) Abate benedettino di San Pietro in Perugia, fu eletto vescovo di Chiusi il 27 febbraio 1404. Lo Scisma lo travolse. Nel 1404 al legittimo papa Bonifacio IX era successo Innocenzo VII (1404-1406) e a questi Gregorio XII (1406-1415) cui Antonio Boccali era fedele. Nel Concilio di Pisa Gregorio XII e l’antipapa Benedetto XIII furono considerati decaduti e venne eletto papa il cardinale arcivescovo di Milano Pietro Filargi che prese il nome di Alessandro V (1409-1410). Si ebbero così tre papi. Il nuovo antipapa Alessandro V depose il vescovo di Chiusi Antonio Boccali, il 14 marzo 1410, sostituendolo con frate Elia da Siena dei minori francescani che però non coprì di fatto tale funzione44. Antonio Boccali rimase vescovo di Chiusi fino al 10 ottobre 141545. i Biagio III Ermanno (1410-1418) Intervenne al Concilio di Costanza (1410-1418) e ottenne nel 1418 una bolla-privilegio da papa Martino V. Visto che frate Elia non si decideva a sostituire Antonio Boccali, l’antipapa Alessandro V il 28 aprile 1410 elesse vescovo di Chiusi Biagio Ermanno da Foligno46. Egli va dunque considerato illegittimo vescovo di Chiusi almeno fino al 10 ottobre 1415, data di morte di Antonio Boccali. Mentre Biagio III Ermanno si trovava al Concilio di Costanza, il governatore senese della Chiana Cherubino Armani occupò la diocesi di Chiusi non tanto per farsene riconoscere vescovo, quanto per prendersi le rendite della mensa vescovile. Papa Martino V, in una bolla emanata il 2 febbraio 1418, gli confermò piena giurisdizione sulla sua diocesi47. Morì il 16 novembre 1418. Pietro Paolo Bertini (1418-1437) Fu figlio di Francesco Bertini dei Guinosi, cittadino e canonico senese e fu eletto vescovo di Chiusi da papa Martino V, il 14 dicembre 141848. Anche lui ebbe il titolo di Conte Palatino, già concesso ai vescovi di Chiusi, e in particolare al vescovo Teobaldo II dall’imperatore Enrico VI nel 1196. La sua venuta a Chiusi, il 7 agosto 1435, insieme al vescovo di Perugia, fu onorata dai Priori del Comune con l’acquisto di otto fiaschi di vino e otto paia di polli49. Ebbe contrasti con i Chiusini perché aveva eletto per sua dimora Chianciano 50.. Ebbe una grossa questione a causa della custodia del S. Anello della Madonna. Morì nel 1437 e fu sepolto nella cattedrale chiusina51. Alessio Cesarei (1437-1460) Nacque a Siena nel 1395 da Antonio Cesarei. Il 7 gennaio 1437 Eugenio IV lo nominò vescovo di Chiusi52. Consacrato a Roma in Santa Maria Maggiore l’8 gennaio 1438, il 4 febbraio successivo inviò a Chiusi come suoi procuratori, per prendere possesso della i cattedrale e diocesi, l’abate camaldolense di San Vigilio e i canonici senesi Sebastiano di Domenico e Conte di Martino. A loro il messo dei Signori di Siena, Tommaso da Cetona, dette l’investitura dell’episcopato, Cum mazza argenti53. La presenza del vescovo Alessio Cesarei a Chiusi fu solo saltuaria e poco gradita alla popolazione. Nel 1439 partecipò al Concilio di Firenze. Il 4 marzo 1447 consacrò sacerdote Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II. Nel 1451 papa Niccolò V lo nominò referendario apostolico e commendatario del vescovo di Palestrina54. Nel 1454 fu nominato dalla Repubblica Senese ambasciatore presso la Santa Sede. Il 5 marzo 1462 papa Pio II lo trasferì all’arcivescovado di Benevento55. Morì il 31 luglio 1464 e fu sepolto a Siena, nella chiesa di San Francesco. Giovanni Cinughi (7 aprile 1462 - 1 settembre 1462) Nobile senese, figlio di Giovanni di Cecco e di Caterina de’ Rossi. I Chiusini mandarono ambasciatori a Siena ad ossequiarlo ed egli giunse a Chiusi il 12 maggio 146256. Fu per breve tempo vescovo di Chiusi perché il 1° settembre dello stesso anno fu trasferito alla nuova sede vescovile di Pienza57. Infatti durante il suo breve episcopato avvenne, con la creazione delle diocesi di Pienza e Montalcino, il secondo smembramento della ancor vasta diocesi di Chiusi, dopo quello del 1325 per la creazione della diocesi di Cortona. Pio II, il 5 marzo 1462, aveva trasferito da Chiusi a Benevento il vescovo Cesarei probabilmente perché con la sede vacante poteva più liberamente attuare il suo piano per l’erezione delle nuove diocesi. Lo smembramento avvenne con una bolla papale emanata il 13 agosto 1462. Giovanni Cinughi Gabriele Piccolomini (1° settembre 1462 - 1483) Appartenne alla nobile famiglia dei Piccolomini e fu frate dell’Ordine dei Minori Osservanti di San Francesco58. A lui si deve la prima costruzione dell’attuale palazzo ve- i scovile di Chiusi. Morì a Siena nel 1483 e fu sepolto dinanzi all’altare maggiore della chiesa di San Francesco di Siena dove si legge il suo epitaffio59. Lorenzo Mancini (1483 - 1487) Nobile senese, fu eletto vescovo di Chiusi il 22 ottobre 148360. Gli furono riservati, come benefici, oltre la mensa vescovile di Chiusi, anche la pieve di San Giovanni Battista in Chianciano e altre chiese delle diocesi di Chiusi e Arezzo. Antonio di Sergio Corsignani (1487-1497) Fu con ogni probabilità nominato ausiliare del vescovo Mancini quando questi fu dal papa impiegato in uffici della curia romana, tra cui quello di tesoriere della Marca Anconitana nel 1492-1493. Che il Mancini fosse ancora vescovo di Chiusi è infatti attestato da una bolla da lui emanata per la nomina del rettore della Chiesa campestre di San Marco de Castroveteri distretto di Montepulciano, allora in diocesi di Chiusi61. Morto il Mancini, il vescovo Corsignani rimase forse come amministratore apostolico a reggere la chiesa di Chiusi fino al 1497. Sinolfo dei Conti di Castel Ottieri (1497 - 1503) La sua famiglia ebbe nome dal castello omonimo. Si estinse nel 1796 con Isabella, che sposò Giovan Battista della Ciaia nobile chiusino e patrizio senese. Il loro figlio Enrico aggiunse al cognome paterno quello della madre e dal medesimo discesero le ultime rappresentanti della famiglia, passate a nozze con le famiglie di Chiusi Lucioli, Galeotti e Dei. Sinolfo fu eletto vescovo di Chiusi l’8 marzo 1497 dopo essere stato protonotario apostolico e chierico di camera sotto papa Sisto IV. Morì a Roma il 14 gennaio 1503 e fu sepolto nella chiesa di Santa Maria del Popolo62. i Bonifacio dei Conti di Castel Ottieri (1503 - 1504) Nipote di Sinolfo, fu sepolto nel 1504 vicino allo zio63. Niccolò Bonafede (1504 - 1533)64 Una sua biografia fu pubblicata dal conte Monaldo Leopardi65. Fu più uomo politico che vescovo. Distratto dai suoi impegni politici, fu a Chiusi negli anni 1507, 1511 e 151766. Protonotario apostolico e governatore di Roma sotto Giulio II, fu eletto vescovo di Chiusi il 12 luglio 1504. Morì il 6 gennaio 1534. Bartolomeo Ferratini (1534) Nativo di Amelia e già vescovo di Sora, maestro di camera di papa Clemente VII Medici, fu dallo stesso trasferito alla diocesi di Chiusi il 14 gennaio 153367. Morì nel 1534. Gregorio Malagotti (1534 - 1537) Romano ma di famiglia originaria di Orvieto, fu trasferito dalla sede di Lipari a Chiusi da papa Clemente VII il 20 agosto 153468. Fu anche governatore della Marca Anconitana e di Bologna (1537). Morì nel settembre 1537 a Bologna e le sue spoglie furono trasferite, nel 1538, a Roma e inumate nella chiesa di Santa Cecilia. Forse non venne mai a Chiusi. L’Amministratore apostolico Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora (18 febbraio 1538 14 ottobre 1538)69. Giorgio Andreassi (1538 - 1544) Nacque a Mantova e fu eletto vescovo di Chiusi il 20 marzo 1538. Fu adibito da papa i Paolo III a vari uffici di Stato. Fu trasferito alla sede vescovile di Reggio Emilia il 2 aprile 1544. L’Amministratore apostolico cardinale Bartolomeo Guidaccione (1544-1545) Lo stesso giorno del trasferimento a Reggio Emilia dell’Andreassi, fu eletto amministratore apostolico di Chiusi il cardinale Bartolomeo Guidaccione da Lucca70. Lasciò l’amministrazione della diocesi il 20 febbraio 1545, riservandosi una pensione annua di 300 scudi sulle rendite della mensa vescovile. Le memorie locali ricordano che i Chiusini gli mandarono in regalo, il 4 gennaio 1545, 25 paia tra capponi e galline per i benefici da lui ricevuti. Forse si adoperò per l’ampliamento dell’edificio del monastero di Santo Stefano71. L’Amministratore apostolico cardinale Giovanni Ricci (1545 - 1554) Era di Montepulciano. Il 20 febbraio 1545 sostituì Bartolomeo Guidaccione, rinunciatario. Lasciò l’amministrazione della diocesi il 19 novembre 1554. Figliuccio Figliucci (1554 - 1558) Nobile senese, fu eletto vescovo di Chiusi da papa Paolo III nel 155472. Nel 1557 si occupò di restaurare il palazzo vescovile e le case dei poderi della mensa vescovile. Morì nel 1558. Salvatore Pacini (1558 - 1581) Fu il primo vescovo che, dopo il Concilio di Trento, portò a Chiusi lo spirito di riforma ivi scaturito. Favorì la ripresa economica di Chiusi, provata duramente dalla Guerra di Siena. Esiste un suo ritratto nella cattedrale di Chiusi. Nacque a Boscona di Colle Val i Salvatore Pacini d’Elsa il 14 agosto 150673. Il papa Paolo III Farnese nel 1543 lo nominò governatore di Parma ove rimase nove anni. Papa Paolo IV Caraffa nel 1556 lo fece commissario a Gualdo e a Norcia. Fu in seguito governatore di Ancona e Perugia e, nel 1558, governatore di Roma74. Morto a Chiusi il vescovo Figliucci, fu eletto vescovo della città da papa Paolo IV il 24 agosto 155875. Dal 1558 al 1560 fu in Spagna come collettore delle decime papali, inquisitore e nunzio apostolico presso il re di Spagna Filippo II76. Nel 1560 fu nunzio apostolico in Belgio. Partecipò al Concilio di Trento, ove si recò il 26 febbraio 156377. Tuttavia non trascurò la sua diocesi. Nel 1559 si occupò dei danni subiti da Chiusi durante la Guerra di Siena e fece restaurare il Molino dell’Astrone sotto Querce al Pino 78. Il 14 gennaio 1560 il Consiglio Generale del Comune informò il Governatore di Siena sui danni subiti dal palazzo vescovile e dai poderi della mensa e concesse, il 16 ottobre 1560, al vescovo Pacini di abitare fino a tutto l’aprile 1561 nel Palazzo dei Priori annesso al palazzo vescovile, essendo questo inabitabile79. Nel 1569 ottenne dal Governatore di Siena, Federico di Montauto, molte cose utili alla rinascita della città 80. Nel 1574 il Consiglio Generale approvò la proposta di cedere al vescovo Pacini la cancelleria da alto in basso per fabbricare un palazzo per il vescovado. Il Comune poté così comprare la casa degli eredi di Fernando Nardi, molto più comoda. Probabilmente questa è la casa Dei (oggi Ricci) in Via Lavinia81. Il vescovo in questo modo ampliò il palazzo vescovile. Tuttavia non poté evitare, nel 1561, un nuovo smembramento territoriale per la creazione della diocesi di Montepulciano82. Fu prudente nei rapporti con l’abate amiatino. Dal vescovo Salvatore Pacini inizia la regolare conservazione degli atti della curia vescovile di Chiusi con le visite pastorali e i bollari 83, mentre purtroppo sembra che i documenti più antichi siano stati bruciati durante la Guerra di Siena. Morì il 20 marzo 1581. i Masseo Bardi (1581 - 1597) Della nobile famiglia fiorentina dei Bardi, fu frate minore osservante di San Francesco e professore di teologia. Venne eletto vescovo di Chiusi il 29 maggio 158184. Costruì la cella campanaria sulla torre di San Secondiano. Nel 1585 venne eletto come suo coadiutore il nobile fiorentino Lodovico Martelli. Il 18 giugno 1581 il Consiglio Generale deliberò di spedirgli un ambasciatore per pregarlo di intervenire presso il nunzio apostolico, al fine di ottenere per il duomo gli argenti lasciati dal vescovo Pacini85. Un suo ricordo si ha nel santuario della Madonna di Mongiovino, allora diocesi di Chiusi e poi di Città della Pieve. Il vescovo fu guarito da orribile e spaventosa cancrena nella faccia che lo rendeva deforme86. Proprio per questo risiedé poco a Chiusi. Morì nel 1597 a Firenze87. Fu sepolto nella cattedrale di Chiusi e lasciò alla stessa i suoi beni88. Lodovico Martelli (1597 - 1601) Della nobile famiglia fiorentina dei Martelli. Gli atti della Curia Vescovile di Chiusi ce lo presentano vescovo di Joppe di Palestina e coadiutore del vescovo Bardi con diritto di successione89, che avvenne nel 1597 e durò fino al 1601. Dai documenti dell’Archivio Comunale di Chiusi la sua presenza nella città risulta fin dal 4 agosto 1585, quando a sua istanza, ma non come vescovo di Chiusi, il Comune nominò come predicatore per la Quaresima del 1586 il frate domenicano Tommaso Rasoni di Perugia90. Ebbe forti contrasti con i Chiusini per i suoi stretti rapporti con Città della Pieve. Il 6 dicembre 1587 il Comune di Chiusi inviò a Firenze come ambasciatori Fulvio Sozzi e Bartolomeo Bonci alle esequie del granduca Francesco I, dandogli anche l’incarico Che siano col Rev.mo Mons. Bardi, al quale espongano come il Rev.mo Mons. Martelli, con disgusto e danno della nostra città, ha trattenuto la giurisditione civile e fiscale in Castel della Pieve più tempo, privando la nostra città di superiorità e giurisditione nel tenerla i in stato alieno e non conforme a quello che faceva la buona memoria di Mons. Pacini91. Tutto ciò non fu che il prologo allo smembramento dalla diocesi di Chiusi del suo territorio esistente nell’Umbria e sin dall’antichità facente parte della sua giurisdizione. Nel novembre 1589 i Chiusini Deliberorno scriversi al detto Magistrato dei Quattro Conservatori di Siena come la Comunità nostra ha presentito che Castel della Pieve cerca fare un Vescovado da per se et Mons. Nostro Vescovo di Chiusci li presta ogni aiuto et favore, tenendo ordinariamente in detto luogo l’animo et agitandoci molte cause civili criminali et turbando la Iurisdictione della città nostra et è di gran pregiuditio di più della metà92. Lodovico Martelli cercò di convincere i Chiusini della sua buona fede, ma non poté evitare che il papa Clemente VIII, il 9 novembre 1601, emanasse una bolla con la quale fu creata la diocesi di Città della Pieve. Fausto Malari (1601-1607) Morto il vescovo Martelli, il 22 aprile 1601 fu nominato vescovo Fausto d’Alessandro Malari (o Molari), nobile senese e canonico della Chiesa Metropolitana di Siena. Così Chiusi ebbe di nuovo un vescovo senese. Dopo i tentativi dei vescovi Pacini e Bardi di riprendere la giurisdizione sulle chiese parrocchiali sulle quali vantavano diritti gli abati amiatini, Fausto Malari volle fare una visita pastorale in quelle chiese come gli ordinavano i canoni del Concilio di Trento. L’opposizione dei monaci cistercensi si fece allora viva oltre ogni limite93. Essi sarebbero riusciti a tirare avanti nelle loro pretese fino al 28 maggio 1705, quando la Sacra Congregazione del Concilio dette loro torto, e le due ultime parrocchie di Santa Croce in Abbadia San Salvatore e di S. Angelo in Monticello tornarono nella giurisdizione del vescovo di Chiusi 94. Anche il Consiglio Comunale di Chiusi deliberò, il 12 novembre 1604, in aiuto dei diritti dell’episcopato chiusino95. Fausto Malari fece eseguire alcuni lavori nel palazzo vescovile di Chiusi e abbassare, i nel 1602-1603, le mura castellane che chiudevano il giardino, includendo nel medesimo il terrapieno e le carbonaie esterne e facendovi un loggiato solo in parte esistente96. Nella notte del 17 aprile 1605 un incendio bruciò la sacrestia del duomo con tutti gli arredi sacri, liquefacendo gli argenti e distruggendo l’archivio capitolare. Il Malari morì nel 1607 e fu sepolto nella cattedrale di Chiusi97. Orazio Spannocchi (1609 - 1620) Nobile senese, fu nominato vescovo di Chiusi a 55 anni, il 12 gennaio 160998. Era stato segretario del nunzio apostolico in Spagna e uditore della Rota fiorentina. Nel 1613 non dimorava a Chiusi e i cittadini se ne lamentarono con il granduca99. Morì il 5 settembre 1620 e fu sepolto nella cattedrale di Chiusi, alla quale aveva lasciato varie suppellettili100. Alfonso Petrucci (1620 - 1633) Alfonso di Anton Maria Petrucci, nobile senese, aveva circa 40 anni e 14 di sacerdozio quando fu fatto vescovo di Chiusi, il 16 novembre 1620101. Nel 1631 fece costruire in cattedrale la cappella di Santa Caterina da Siena, oggi detta della Madonna. Sotto il pavimento della cappella fece costruire una piccola cripta dove pose un antico sarcofago in travertino sull’esterno del quale fece scolpire lo stemma della sua famiglia e ove fu deposto il suo corpo 102. Nella stessa tomba fu sepolto il vescovo Giacinto Pippi, nel 1839. Morì nel marzo 1633 e la cattedrale ereditò da lui vari paramenti sacri103. Giovan Battista Piccolomini (1633 - 37) Dottore in legge, fu il primo primicerio della chiesa metropolitana di Siena. Venne nominato vescovo di Chiusi il 20 giugno 1633. Nel 1634 tentò di far esentare i mezzadri della mensa vescovile dall’antico obbligo di portare legna e paglia nella Rocca per uso i del capitano della fortezza, ma i Quattro Conservatori di Siena non glielo concessero104. Il 30 settembre 1634 intercesse presso il granduca, che allora si trovava a Siena, a favore della misera città di Chiusi105. Morì il 14 luglio 1637 e fu sepolto nella chiesa di San Francesco a Siena, lasciando al capitolo della cattedrale di Chiusi due pianete e un calice106. Ippolito Campioni (1637 - 1647) Nobile senese e monaco olivetano, fu fatto vescovo di Chiusi il 14 dicembre 1637107, all’età di 36 anni. Nel 1638 ebbe dalla S. Sede la facoltà di impiegare una somma di denaro per restaurare la cattedrale di Chiusi, il palazzo vescovile e i poderi della mensa108. Negli ultimi tempi del suo episcopato sorse tra lui e i Chiusini una questione relativa alla sua residenza in Chiusi. Da secoli, infatti, i vescovi a causa della malaria abitavano a Chianciano e i Chiusini non ne erano soddisfatti. I Priori della città intervennero in merito, il 13 novembre 1644109, presso i Quattro Conservatori di Siena e ancora, il 13 ottobre 1646, presso il granduca, Attesa l’assenza da mesi ed anni del Vescovo110. Ippolito Campioni, da tempo malato, morì a Chianciano il 27 gennaio 1647 all’età di 46 anni. Venne sepolto nella cattedrale di Chiusi111. Carlo De Vecchi (1647-1657) Nobile senese, prese possesso della diocesi il 23 marzo 1648. Eresse in Chiusi, nel 1648, il seminario vescovile112. Il Comune gli inviò una lettera, il 16 ottobre 1647, con la quale lo pregava di ottenere dal papa una benedizione e assoluzione generale della città Che per li prossimi passati moti di guerra (Barberina) e per altri tempi passati si pretendeva scomunicata113. Il 12 marzo 1657 rinunciò alla diocesi di Chiusi e il 27 aprile dello stesso anno fu nominato arcivescovo titolare di Atene114. Nel 1660 era ancora vivo e i risiedeva a Roma, come risulta da una sua lettera ai canonici di Chiusi, in cui accusa ricevuta dell’avviso datogli dai medesimi circa la già eseguita costruzione del coro ligneo della cattedrale, per il quale aveva donato vari mezzi finanziari115. Alessandro Piccolomini (1657 - 1661) Fu eletto il 12 marzo 1657. Curò la definitiva sistemazione del nuovo seminario vescovile e l’inaugurazione del coro. Era di salute cagionevole e sin dal 19 settembre 1661 nominò suo vicario sostituto il canonico Giovan Battista Dei 116. Morì a Chiusi il 6 novembre 1661 e fu sepolto nella cattedrale. Marco Antonio Marescotti (1664 - 1681) Senese, nacque il 29 aprile 1625. Si distinse negli studi di diritto. Professore dell’Archiginnasio della Sapienza di Siena e avvocato in Roma, fu fatto vescovo di Chiusi l’11 febbraio 1664117. Le sue relazioni con i Chiusini, buone nei primi anni, si fecero tempestose circa il 1668 e anni seguenti. La causa era sempre quella che i Chiusini desideravano che il loro vescovo risiedesse nella città mentre invece, a causa della malaria, risiedeva in Chianciano. Nel 1668, una notte, ignoti fecero uno scasso nel palazzo vescovile, ruppero le porte e devastarono e sporcarono le stanze. Il vescovo se la prese con le autorità locali che non sapevano tutelare il buon ordine, e per punire la città si astenne dal fare il pontificale per la notte e il giorno di Natale. Nel rispondere, il 16 gennaio 1669, alle rimostranze della popolazione, il Marescotti rispose avere sperimentato l’aria di detta città in tutti i tempi dannosa a se medesimo, oltre ad essergli stata attestata tale dalla gloriosa memoria di papa Alessandro VII quando gli conferì detto Vescovado, consigliandolo a non vi stare, ma ad abitare a Chianciano118. Il vescovo, visto che la situazione era divenuta insostenibile, si rivolse alla S. Sede per essere i trasferito da Chiusi a Massa. Gli stessi Priori della città appoggiarono la sua proposta119. Tuttavia rimase vescovo di Chiusi finché morì, l’8 dicembre 1681. Lucio Borghesi (1682 - 1705) Nobile senese, fu promosso vescovo di Chiusi il 25 maggio 1682, all’età di 40 anni 120. Riprese con energia la causa di giurisdizione contro gli abati amiatini sulla parrocchia di Santa Croce in Abbadia San Salvatore e di S. Angelo in Monticello. Al riguardo, ebbe all’inizio noie col granduca, tanto che nel 1688 il cardinale Medici lo attaccò121. In ultimo vinse la causa pur non avendo la possibilità di prendere possesso delle due parrocchie, per la morte sopraggiunta122. Morì in Chianciano il 31 luglio 1705 e il suo corpo fu sepolto nella cattedrale di Chiusi. Gaetano Maria Bargagli (1706 - 1729) Nobile senese e monaco olivetano, divenne vescovo di Chiusi all’età di 36 anni, il 22 febbraio 1706 123. Nella visita ad limina apostolorum del 1717 descrisse la cosiddetta piscina etrusco-romana trovata sotto la piazza del duomo124. Fu particolarmente sensibile alle ricerche archeologiche e alla bellezza dei vasi dipinti che erano stati scoperti, in discreta quantità, in vari sepolcri rinvenuti nei terreni vescovili nei primi decenni del Settecento. Molti di essi furono da lui donati al cardinale Gualtieri, che a sua volta li donò al Museo Vaticano125. Tentò per un anno di abitare a Chiusi, ma a causa della malaria anche lui si trasferì a Chianciano126. Ebbe contrasti con la popolazione e il clero chiusini, che lamentavano la chiusura della cancelleria della curia e la mancanza del vicario generale, nonché la non accettazione gratuita di quattro alunni nel seminario vescovile127. La questione si trascinò per anni128. Ebbe anche contrasti col Capitolo della Cattedrale per il futile motivo di aver fatto mettere un baldacchino di legno, che i tuttora lo ricopre, sopra lo stallo centrale del coro riservato al vescovo129. Pavimentò con 20.000 mattoni e pietre e per 90 canne quadrate la grande Piazza dalla porta dell’episcopio fino alla porta della Cattedrale e fino alla torre, terminando alla via pubblica (Via Porsena). Fu in questa occasione che ritrovò la piscina etrusco-romana. Morì a Chiusi il 30 giugno 1729 e il suo corpo fu sepolto nel monastero di Monte Oliveto Maggiore. Giovan Battista Tarugi (1730 - 1735) Nobile poliziano e patrizio senese, nacque a Montepulciano il 17 luglio 1690. Da una lettera di Desiderio Maggi da Chianciano al canonico Giovan Battista Pasquini, del 5 dicembre 1820, leggiamo che Il Magistrato della Biccherna di Siena, che aveva il diritto di presentare una terna di nomi al Granduca per la Provisione dei Vescovati dello stato senese, riconoscendolo per nobile Patrizio di detta città, lo pose in nota per Ordinario di Chiusi130. Un suo ritratto si conservava a Montepulciano, nel 1820, presso il suo parente Giuseppe. Sempre dal Maggi: Era di carattere piacevole, frugale nel vitto e popolare nel tratto e tutto opposto al suo bisbetico antecessore, onde i Chiancianesi lo amavano assai, come mi ha anche asserito il fu dottor Giuseppe Marsi, morto anch’esso con quasi un secolo addosso. Solo la natura era stata matrigna al Tarugi nella voce, che aveva femminile, benché fosse di bello aspetto. Si lusingava di esser fatto cardinale. Fu promosso vescovo di Chiusi il 23 dicembre 1729. Ancora dal Maggi: Questo Prelato trovò il palazzo vescovile di Chianciano, in cui risiedeva, male in arnese, onde spostando l’entrata, oltre altri lavori, vi fece in volta il nuovo atrio e nell’antiporta esiste anche adesso (1820) dipinta la sua arma. Siccome la spesa la fece con multe pecuniarie di preti (omissis) quando i Chiancianesi gli davano il mi rallegro di aver fatto tale spesa, esso rispondeva: - Fabricaverunt pecatores -. Passò così in proverbio131. Donò un calice d’argento alla i Collegiata di Chianciano132. Anche a lui i Chiusini rimproverarono, nel 1734, di non risiedere nella loro città e gli chiesero la sistemazione del seminario133. Morì a Chianciano il 14 settembre 1735 e fu sepolto nella cattedrale di Chiusi. Nel 1760 fu posta alla sua memoria una lapide (oggi non più esistente) nella cattedrale di Chiusi, il cui testo si conserva manoscritto nella Biblioteca Comunale di Siena134. Pio Magnoni (1736 - 1747) Nacque nel 1682. Conseguì la laurea in sacra teologia nella università di Siena il 5 maggio 1709135. Fu nominato vescovo di Chiusi il 9 luglio 1736136. Fu trasferito da papa Benedetto XIV alla sede vescovile di Montepulciano, il 4 settembre 1747137. Giustino Bagnesi Giustino Bagnesi (1748 - 1774) Nacque a Firenze il 7 marzo 1692 dalla nobile famiglia dei marchesi Bagnesi. Fu monaco olivetano e professore di filosofia e teologia a Roma, Milano e Firenze. Fu eletto cancelliere generale del suo Ordine nel 1740 e nel 1743 vicario generale. Nel 1746 divenne abate del monastero di San Benedetto in Siena138. Benedetto XIV lo nominò vescovo di Chiusi il 15 luglio 1748. Pietro Leopoldo granduca di Toscana, durante una visita effettuata in Val di Chiana nel 1769, alloggiò nella casa del vescovo e lo definì fervido, di non grande talento e alquanto inquieto. La sua casa era piuttosto cattiva e la diocesi miserabile e non rende che intorno a 500 scudi139. Anch’egli fu presentato al granduca in una terna di nomi dalla Signoria di Siena. Durante il suo episcopato, nel 1772, furono riunite le diocesi di Chiusi e Pienza. All’unione delle due diocesi contribuì una controversia tra il vescovo di Pienza, Francesco Piccolomini, e la Reggenza, perché egli si rifiutava di versare il tradizionale dono in moneta che avrebbe dovuto dare in occasione delle nozze di Giuseppe II. Nel 1764, su ordine del granduca, venne arrestato i e bandito dalla Toscana. La bolla di unione delle due diocesi fu emanata da papa Clemente XIV il 17 giugno 1772, seguita da un decreto esecutoriale del 22 luglio 1774 emanato dal nunzio apostolico in Firenze Giovanni Ottavio Manciforte. La diocesi di Pienza era vacante da quando il vescovo Francesco Piccolomini era stato fatto arcivescovo titolare di Perge, e così il Bagnesi ebbe il titolo di vescovo di Chiusi e Pienza. Con la stessa bolla pontificia furono fissati i nuovi confini tra le diocesi di Siena, Montalcino, Pienza e Chiusi. Il vescovo Bagnesi ebbe anche lui contrasti col potere granducale. Morì all’età di 82 anni a Chianciano, il 10 gennaio 1775 e il suo corpo fu sepolto nella cattedrale di Chiusi. Nella sacrestia si conserva un suo ritratto140. Francesco Piccolomini Giuseppe Pannilini Giuseppe Pannilini (1775 - 1823)141 Segnò la rinascita della città di Chiusi. Nobile senese, vi nacque il 30 dicembre 1742 dal Cav. Girolamo e da Faustina Pecci. Terminati gli studi di diritto civile e canonico nell’università di Siena, nel 1773 fu fatto vicario generale della diocesi di San Miniato. Fu nominato vescovo di Chiusi il 13 novembre 1775. Aderì al movimento giansenista del vescovo di Pistoia, Scipione de’ Ricci, pubblicando il 16 aprile 1786 una Istruzione Pastorale condannata da papa Pio VI. Sostenne la politica ecclesiastica del granduca Pietro Leopoldo, attuandone però anche gli eccessi, facendo demolire la basilica di Santa Mustiola, la chiesa romanica di Santa Vittoria in Sarteano e trasformandone altre tra cui la cattedrale di San Secondiano. Tuttavia i suoi ottimi rapporti col granduca Pietro Leopoldo gli permisero di avviare a risoluzione il secolare problema della bonifica del piano di Chiusi e della malaria. Fece operare scavi nell’orto vescovile, scoprendo interessanti reperti tra cui la famosa testa marmorea d’Augusto. Istituì il seminario vescovile di Pienza. Morì a Pienza il 4 agosto 1823. Di lui rimangono due ritratti, uno molto somigliante nella sala capitolare della cattedrale di Chiusi, un altro a Pienza. i Giacinto Pippi (1824 - 1839) Nacque a Scansano, diocesi di Sovana e Pitigliano, da Lodovico vicario regio e da Rosa Parteni, il 12 marzo 1779. Si laureò in teologia a Siena. Nel 1804 fu nominato rettore del seminario senese e nel 1805 canonico della Metropolitana di Siena. La sua eloquenza lo rese noto in tutta la Toscana e oltre i suoi confini142. Nel 1815 divenne vescovo di Montalcino. Fu trasferito a Chiusi da papa Leone XII il 12 luglio 1824. Con l’omelia del 3 luglio 1828 incitò i Chiusini a iniziare nuove esplorazioni nelle catacombe di Santa Mustiola143. Si trovò ad affrontare una epidemia di vaiolo144. Morì il 30 dicembre 1839. Fu sepolto nella cattedrale di Chiusi, accanto al vescovo Alfonso Petrucci145. Giacinto Pippi Giovan Battista Ciofi Giovan Battista Ciofi (1842 - 1870) Nacque nel 1787 nella contea di Cesa, vescovado di Arezzo. Frequentò il seminario di Arezzo e fu arciprete a Foiano della Chiana. Venne poi nominato proposto della cattedrale aretina e vicario generale. Fu promosso vescovo di Chiusi e Pienza il 27 gennaio 1842146. È ricordato per l’opposizione a Garibaldi, nel 1849147. Il canonico Brogi, in un elogio funebre, ricorda particolarmente l’opera di carità compiuta dal vescovo durante la carestia del 1853-1854148. Morì il 25 marzo 1870 e le sue spoglie furono inumate davanti all’altare del cimitero vecchio presso le catacombe di Santa Mustiola. Fu una ripicca per gli eventi di quegli anni il non farlo seppellire in cattedrale. Donò al Museo Civico l’importante raccolta archeologica vescovile 149. Le circostanze impedirono anche che la sua salma fosse traslata al nuovo cimitero. i Raffaello Bianchi (1872 - 1889) Di Pienza, all’età di 45 anni fu eletto vescovo di Chiusi e Pienza, il 29 luglio 1872. Sotto il suo episcopato ebbero inizio i lavori di restauro della cattedrale di Chiusi. Nel 1889 si dimise per motivi di salute. Morì a Pienza, ove fu sepolto. Giacomo Bellucci (1889 - 1917) Nacque a Scansano il 2 settembre 1832, da Domenico Bellucci e Maddalena Rossi. Laureatosi a Pisa in teologia e diritto canonico, nel 1859 fu nominato arciprete di Capalbio. Il 21 gennaio 1889 papa Leone XIII lo creò protonotario apostolico, e il 30 dicembre 1889 lo nominò vescovo di Chiusi e Pienza. Nel 1894 ebbe la consolazione di riaprire al culto la cattedrale di Chiusi. Promosse l’azione cattolica e i convegni del 1896-1897 tenuti in episcopio. Pensò alla creazione di una chiesa a Chiusi Scalo 150. Morì il 20 febbraio 1917. Fu inumato nel cimitero comunale di Chiusi. Giuseppe Conti Giuseppe Conti (1917 - 1941) Nacque a Cavriglia, provincia di Arezzo e diocesi di Fiesole, il 2 maggio 1871. Studiò nel seminario diocesano e nel 1906 fu eletto vicario generale. Nel concistoro del 22 marzo 1917 papa Benedetto XV lo nominò vescovo di Chiusi e Pienza151. Tra le prime cure pastorali, oltre all’assistenza delle famiglie dei militari caduti e prigionieri di guerra, provvide anche alla riorganizzazione dell’Azione Cattolica con la costituzione delle Giunte Diocesane 152. Nel 1921 iniziò la pubblicazione del Bollettino Diocesano. Poté realizzare il sogno del suo predecessore, costruendo la nuova chiesa parrocchiale di Santa Maria della Pace a Chiusi Stazione, che consacrò l’8 settembre 1925. Nel 1927 realizzò in Chiusi il Congresso Eucaristico Diocesano153. Nel maggio 1935 riaprì al culto la cattedrale di Pienza, da anni sottoposta a restauri. Nel 1939 donò ad Abbadia i San Salvatore una seconda parrocchia, affidandola ai monaci cistercensi, che dopo 157 anni ritornavano nell’antica e gloriosa abbazia amiatina. Restaurò il palazzo vescovile di Chiusi, cui donò una nuova facciata. Morì a Pienza, nella cui cattedrale fu inumato, il 24 aprile 1941154. Carlo Baldini Carlo Baldini (1941 - 1970) Nacque ad Aiola, comune di Fivizzano, il 17 marzo 1901, da Antonio Baldini e Maria Nannoni. Nel 1912 entrò nel collegio di Migliarino in Fasciandora Garfagnana. Nel 1916 prese in Roma l’abito religioso e nel 1923 emise i voti. Nel 1920 conseguì la laurea in filosofia presso la pontificia università gregoriana e nel 1926 vi conseguì quella in sacra teologia. Il 12 luglio 1925 fu ordinato sacerdote e, nel 1932, conseguì la laurea in utroque jure presso il pontificio ateneo romano dell’Apollinare. Nel 1939 fu eletto parroco di Santa Maria in Campitelli a Roma155 e venne eletto vescovo di Chiusi e Pienza il 21 giugno 1941156. Svolse la sua missione nei duri anni della seconda guerra mondiale. Fu anche amministratore apostolico di Montepulciano e Montalcino. Morì il 2 gennaio 1970. Il 4 gennaio 1970 i suoi resti mortali vennero inumati sotto la cappella di Santa Caterina da Siena, nella cattedrale di Chiusi. Proprio negli ultimi giorni della sua vita aveva dato inizio ad importanti lavori per ridonare alla cattedrale un altare che rispecchiasse nella riformata liturgia quella che, nel secolo VI, doveva essere la primitiva mensa del Signore157. L’Arcivescovo di Siena Mario Ismaele Castellano Amministratore Apostolico di Chiusi e Pienza e Mons. Renato Spallanzani Ausiliare dell’Arcivescovo di Siena per l’amministrazione di Chiusi e Pienza Dopo la morte del vescovo Baldini i canonici della cattedrale, in data 8 gennaio 1970, i elessero a vicario capitolare il canonico teologo dott. Lorenzo Francini, recentemente scomparso. In attesa della fusione della diocesi con quella di Montepulciano, la Santa Sede nominò Amministratore Apostolico l’arcivescovo di Siena Mons. Castellano, che prese possesso della diocesi nella cattedrale di Chiusi il 5 maggio 1970 dopo aver nominato, il 30 aprile dello stesso anno, suo vescovo ausiliare Mons. Renato Spallanzani. Quest’ultimo nacque a Scandiano di Reggio Emilia nel 1910 e appartiene alla famiglia che dette i natali allo scienziato Lazzaro Spallanzani. Assistente al vicariato di Roma per la Pontificia Opera della Fede e assistente diocesano dei giovani di Azione Cattolica, ha fondato la Casa Betania per la formazione della gioventù. Nel 1954 venne eletto vescovo titolare di Mazzaca e ausiliare del vescovo di Viterbo per la diocesi di Sovana e Pitigliano. Fece il suo ingresso nella cattedrale di Chiusi il 24 maggio 1970. Alberto Giglioli, primo vescovo della nuova diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza Nato a Buonconvento (Siena) il 4 febbraio 1924, venne consacrato vescovo il 13 giugno 1970 e nominato ausiliare di Siena per Montepulciano. Il 7 ottobre 1975 gli furono affidate le diocesi di Montepulciano e di Chiusi e Pienza. Dal 30 settembre 1986 è divenuto vescovo della nuova diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza. Alberto Giglioli i Carta del territorio della diocesi di Chiusi Elaborazione della carta contenuta nell’opera di M. GIUSTI - P. GUIDI “Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV – Tuscia, II, le decime degli anni 1295-1304”, Città del Vaticano, 1942. il territorio racchiuso nella linea tratteggiata era anch’esso appartenuto alla diocesi di Chiusi. torna al testo vai all’elenco del 1061 INDICE – Frontespizio – Crediti – Presentazione Banca di Credito Cooperativo di Chiusi – Presentazione Gaetano Greco – Introduzione Enrico Barni CAPITOLO I VICENDE DELLA DIOCESI I.1 Le origini del Cristianesimo e della Diocesi di Chiusi I.2 I Longobardi e il Cristianesimo I.3 L’affermazione del monachesimo I.3.1 La contesa tra il monastero di S. Salvatore di Monte Amiata e il vescovo di Chiusi I.3.2 Gli altri monasteri I.3.3 L’arrivo e l’espansione dei francescani I.4 Il vescovo Uberto e la riforma del clero secolare I.5 Il primo vescovo conte e i confini della Diocesi nel 1191 I.6 Tra Orvieto e Perugia. La creazione della diocesi di Cortona I.7 I.8 I.9 I.10 I.11 I.12 I.13 Lo scisma d’Occidente e l’antivescovo Ottone Il declino della Diocesi di Chiusi e la creazione delle Diocesi di Pienza,Montalcino,Montepulciano e Città della Pieve La riunificazione con la Diocesi di Pienza I contrasti con la Reggenza lorenese La riconciliazione col potere granducale Le contraddizioni e i fermenti del XIX secolo Gli ultimi vescovi del XX secolo e la fusione con la Diocesi di Montepulciano CAPITOLO II L E CHIESE DI SAN SECONDIANO E SANTA MUSTIOLA II.1 La questione della prima basilica di Chiusi II.2 La chiesa di San Secondiano II.3 La chiesa di Santa Mustiola CAPITOLO III E LENCO RAGIONATO E NOTIZIE DEI VESCOVI DI CHIUSI Da Lucio Petronio Destro ad Alberto Giglioli Lettera autografa del vescovo Masseo Bardi, del 6 agosto 1587, con la quale dichiara di aver ricevuto il fitto del vescovado di Chiusi da Alessandra della Gherardesca, vedova di Francesco Martelli (Collezione privata). Luoghi menzionati nella bolla di papa Celestino III – Cattedrale di San Secondiano; – chiesa di Santa Mustiola; – ospedale di S. Ireneo; – pieve di Santa Maria del Bagno (San Casciano dei Bagni); – pieve di San Donato a Radicofani (oggi San Pietro Apostolo); – pieve di San Giovanni di Queneto (nei pressi di Cetona); – pieve di Santa Maria de Spino (sull’Amiata), con la cappella di San Giovanni e le sue masserizie; – pieve di San Martino de Fabrica (presso Borghetto) con tutte le cose ad essa appartenenti; – pieve di San Giovanni delle Pupille (San Giovanni di Popelle o Poppelle, presso Cignano); – pieve di San Donato (di Colcelle, oggi podere Badiole presso Petrignano); – pieve di San Martino (oggi podere Pievaccia presso Laviano sul lago di Montepulciano), con la cappella di San Quirico di Castello Algisio (Alghese); – pieve di San Eleuterio (presso Casamaggiore); – pieve di Santa Maria di Peretola (presso Pacciano); – pieve di Santa Maria de Runcano (oggi podere Santa Maria presso Panicarola); – pieve di San Donato (in Ravigliano); – pieve di San Gervasio (oggi cattedrale di Città della Pieve); – pieve di San Severo di Verlano (Monteleone d’Orvieto); – pieve di San Terenziano di Materno (Colle San Paolo); – pieve di Santa Maria di Fighine (oggi San Michele Arcangelo), con le sue cappelle; – pieve di San Cesareo (oggi non più esistente, ma in territorio di Sarteano tra Spineta e Castiglioncello del Trinoro); – pieve dei Santi Cosma e Damiano (a quattro chilometri circa a Est di Chianciano in località Pieparcia); – pieve di San Silvestro (in Lauciniano presso Totona); – pieve di San Vittorino (di Acquaviva), con la cappella di San Martino; – pieve di San Filippo (Bagni San Filippo); – eremo del Vivo; – pieve di Santa Flora (Santa Fiora sul Monte Amiata) con tutte le sue pertinenze; – pieve di San Pietro in Auliano (presso Montelaterone sul Monte Amiata), con la cappella di Lugnole; – chiesa di San Leonardo di Castel del Piano; – pieve di Santa Maria di Muscia (forse Mussona, in Val d’Orcia), con la cappella di Castiglione di Ugone (Castiglion d’Orcia); – pieve di San Lorenzo (Sarteano); – corte di Santa Flora di Noceto (sul Monte Amiata); – corte di Bugnano (Monte Amiata), col castello di Potentino (Monte Amiata) e la sua torre posta sopra il fiume Vivo; – corte di San Clemente (Montelaterone); – cappella di San Paolo di Materlo (Materno); – pieve di S. Ansano (Petrignano) e la corte di Monte Altulo; – corte di Capitino; – corte di Loiano (forse Laviano); – corte di Corvaia con la sua cappella; – monte di Torino; – corte di Bruscaia col castello Ceculo; – corte di Rosavone con la cappella di San Adriano (forse Adriana presso Chianciano); – monastero di San Piero in Campo; – corte di S. Angelo di Cervinaia; – pieve di San Mamiliano in Cignano con le sue pertinenze (oggi San Niccolò); – corte di San Quirico di Pulsiniano (forse Passignano); – cappella di San Paolo; – corte di Pozzuolo (Città della Pieve), con la cappella di San Pietro; – corte di Casa Maggiore, con la cappella; – corte di San Salvatore (Ceraseto presso Panicale); – corte di Caliano (forse Cabbiano); – corte di Mugnano( forse Moiano); – monastero di San Benedetto posto vicino al fiume Tresa; – chiesa di San Paolo di Materno; – chiesa di S. Andrea della Fratta (Grimalda); – chiesa di S. Angelo del Rivo (Panicale); – cappella di S. Crisanto; – Le Tavernelle, con il Roso; – chiesa di S. Onorata con tutte le sue pertinenze; – corte di Petrignano; vai alla pianta – Monte Venere; – corte di Rospista; – corte di Campilli; – corte di San Giovanni di Terminano (forse Trevinano); – corte di Valcalla; – corte di Martiniano; – corte di Rosignano; – corte di Fabbri (forse Palazzo Massaini); – cappella di Santa Maria di Floiano (forse Fasciano di Cortona); – chiesa di Santa Maria di Fortunolo; – corte di Tigliano; – corte di Pistulla; – corte di Valiano (di Montepulciano); – castello di Carraiola (Carnaiola di Orvieto), con tutta la sua corte; – cappella di San Giusto con le sue pertinenze; – corte di Cignano (di Cortona); – chiese di San Pietro e di San Lorenzo (forse le chiese di San Pietro nel castello di Sarteano e la Pieve Vecchia presso la cartiera di Sarteano); – Monte Luculo; – la quarta parte del castello di Asciano per testamento del conte Manente; – castello di Montolle col suo distretto (presso Querce al Pino); – la metà dei beni dalla terra di Sarteano al fiume Chiana; – Colle Francolo; – chiesa di San Pietro (forse in Città della Pieve); – chiesa di San Silvestro (Piegaro); – chiesa di San Pantaleone (forse in Sarteano); – cappella di San Domenico; – chiesa di San Savino; – chiesa di San Giovanni di Guerneto; – chiesa di San Ilario (Argiano), con tutte le sue pertinenze; – corte delle Murelle, con tutte le sue pertinenze; – Le Pescaie nel porto di Casole (Chiane), nel piano di Lingallia (Chiane, nella vena di Arrone, forse Astrone, intorno al ponte della Chiana sotto Chiusi e al di sopra e al di sotto nell’Ulma e nel Volato, località nelle Chiane). Pievi e chiese della diocesi di Chiusi passate alla muova diocesi di Città della Pieve – Castel della Pieve, Collegiata dei SS. Gervasio e Protasio, con le chiese: della Fraternita di San Giovanni decollato, dei SS. Agata e Bernardo, di San Egidio, di San Lorenzo, della Fraternita di Santa Maria Maddalena, della Fraternita di San Sebastiano, della Fraternita di Santa Maria Novella, della Fraternita dei Bianchi, di Santa Lucia col monastero di Santa Chiara, dell’ospedale di San Giacomo, di Santa Caterina, della Fraternita del Santissimo Salvatore e S. Antonio, di San Pietro, di Santa Maria del Fior di Maggio, di Santa Maria fuori Porta, del Santissimo Nome di Gesù, di S. Andrea Apostolo, di San Benedetto; – Piegaro, pieve di San Silvestro con le chiese: di San Giovanni del monastero di Monte Erili, della Fraternita di San Sebastiano, del Buon Gesù, di Santa Croce unita all’abbazia di Fermo, dell’ospedale di San Giacomo, della Madonna; – Castel della Pieve suburbio: parrocchia di San Biagio; – Ravigliano: pieve di San Donato con le chiese di San Benedetto, della Fraternita di San Sebastiano; – Paciano, pieve di Santa Maria, con le chiese di Ospedale, Fraternita della Madonna, San Bartolomeo, Madonna della Stella, S. Andrea; – Castiglion del Lago, chiesa di San Benedetto; – Vaiano, chiesa con battistero di San Egidio; – Porto Filippo, chiesa senza Cura ma con battistero di San Michele Arcangelo; – Gioiella, chiesa curata di Santa Lucia e chiesa senza Cura di San Lorenzo; – Casamaggiore, chiesa curata della Madonna del Soccorso e chiesa della Madonna del Giglio dei Frati; – Petrignano, parrocchia di S. Ansano unita ai monaci olivetani con le chiese della Madonna Grande degli Olivetani di Perugia e della Madonna di Spinalbeto o dell’Acqua; – Laviano, parrocchia dei Santi Vito e Modesto; – Pozzuolo, parrocchia di San Pietro e chiesa della Fraternita del Corpus Domini; – Abbadia San Cristoforo in commenda al Rev.mo Piscatori, divenuta chiesa curata nel 1589; – San Fatucchio, parrocchia di San Felice con la chiesa di San Biagio; – Panicale, parrocchia del Santissimo Salvatore al Ceraseto e chiesa rurale di San Bartolomeo; – Panicale, parrocchia di S. Angelo con le chiese dell’ospedale di San Sebastiano e Fraternita, Madonna della Spera, Madonna della Sbarra; – Mongiovino, pieve di Santa Maria, pieve di San Martino con le chiese della Madonna di Mongiovino e del- la Madonna della Cerqua; – Tavernelle, chiesa dell’ospedale di Santa Maria; – Panicarola, chiesa curata dei Santi Giacomo e Filippo e cappella del Corpus Domini; – Montelera, chiesa curata di San Giorgio e chiesa di Santa Barbara; – Colle San Paolo, chiesa curata di San Pietro e Paolo unita ai canonici di San Lorenzo in Perugia; – Missiano, chiesa curata di San Pietro; – Monteleone, prioria dei Santi Pietro e Paolo con le chiese di Santa Maria delle Tane, Santi Rocco e Lazzaro, San Biagio, San Michele Arcangelo, oratorio della Santissima Annun- ziata, San Lorenzo, S. Antonio, Santa Maria Maddalena, Santa Maria del Balimpetto; – Santa Fiora sull’Amiata, pieve delle Sante Flora e Lucilla con le chiese del Corpus Domini, pieve vecchia di San Giovanni, San Biagio, rurale di San Rocco, Fraternita di San Michele Arcangelo, S. Agostino, Madonna della Piscina; – Trevinano, pieve di Santa Maria e chiesa senza cura di Santa Maria fuori le mura; – Camporsevoli, pieve di San Giovanni e chiesa curata di San Lazzaro alle Piazze; – Salci, parrocchia di San Leonardo.