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LA DOMANDA E' ADESSO : QUANDO ISRAELE ATTACCHERA' L'IRAN ?
Con il passare del tempo e senza che si intraveda una soluzione negoziata alla sospensione del
programma nucleare iraniano, la determinazione israeliana ad attaccare l'Iran diventa ogni giorno
sempre piu' impellente e piu' manifesta.
Pressioni diplomatiche, sanzioni, minacce piu' o meno velate, sabotaggi, attentati, guerra
cibernetica, non sono altro che il prologo di quello che nel prossimo futuro potra' essere uno scontro
armato tra Tel Aviv e Teheran.
Netanyahu non ha mai fatto mistero delle sue intenzioni, appoggiato dal Ministro della Difesa Ehud
Barak e da una serie di personaggi politici come Avigdor Lieberman e da formazioni politiche di
estrema destra. Ha nominato il 14 agosto al Ministero della difesa interna un altro interventista
come Ben Avi Ditcher, ex capo dello Shin Bet ("Servizio di Sicurezza Generale" ovvero Servizio
Interno). Nelle sue linee essenziali, la recente creazione di un governo di unita' nazionale e
l'appoggio ottenuto del "Kadima" di Shaul Mofaz (altro interventista) rendono maggioritaria la
fazione interventista da chi invece si oppone ad un'ulteriore avventura militare paventandone i
pericoli.
Nella Knesset il Premier ha adesso una maggioranza che gli garantisce un'ampia discrezionalita' e
per questo, almeno sul piano politico interno, non incontra seri ostacoli. Peraltro, modificando in
agosto alcune procedure governative, adesso il Primo Ministro potra' ordinare una operazione
militare senza il parere dell'Esecutivo o dei vertici militari.
Tuttavia, ci sono anche una serie di personalita' importanti che sono ostili ad un intervento armato:
l'ex Capo di Stato Maggiore (dal 2007 fino al febbraio 2011) Gavriel Ashkenazi, l'ex Capo Capo
dello Shin Bet (dal 2005 fino al maggio 2011) Yuval Diskin, l'ex Capo del Mossad Meir Dagan, l'ex
Capo dei Servizi Militari Amos Yadlin, l'ex consigliere Uzi Arad. Tutte persone altamente
qualificate e del cui parere Netanyahu non sta tenendo assolutamente conto.
I preparativi della popolazione
Nel gennaio di quest'anno e' stata condotta in Israele una esercitazione che prefigurava un attacco
missilistico con ordigni radioattivi e/o chimici. L'esercitazione denominata "Nube oscura" aveva lo
scopo di addestrare la cittadinanza ad affrontare una emergenza di questo tipo in caso di ostilita'. La
dualita' della minaccia (chimica o radioattiva) configurava un pericolo proveniente alternativamente
dalla Siria e dall'Iran.
In giugno ha avuto luogo un'altra esercitazione, la "Turning point 5", sullo scenario di un possibile
attacco missilistico da parte di forze ostili vicine (Hamas e Hezbollah ) e lontane (Iran). Pur essendo
una esercitazione di routine (e' dal 2006 che viene riproposta annualmente), quest'anno ha avuto
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particolare enfasi nel coinvolgimento della popolazione.
Intanto sta continuando la distribuzione di maschere antigas alla popolazione (siamo sull'ordine del
70% delle consegne), sono stati distribuiti opuscoli dove vengono spiegate le modalita' di
comportamento in caso di attacco, le rappresentanza diplomatiche sono state informate sui rifugi
dove devono recarsi, sono in costruzione nuovi rifugi ed ospedali sotterranei, per il Governo e' stata
approntata una sede alternativa protetta in Giudea (costo di 250 milioni di dollari, puo' ospitare
centinaia di persone), e' stato predisposto un sistema di comunicazione di immediato pericolo con
lancio di messaggi su tutti i telefonini, sono stati aggiornati i piani di evacuazione, e' in via di
completamento un nuovo sistema di allarme nel Negev che calcolando in tempo reale la traiettoria
dei missili in arrivo da' poi informazioni e disposizioni alla popolazione per favorirne la protezione.
Ma a parte i preparativi tecnici, la popolazione viene adesso psicologicamente preparata, in modo
sistematico, ad un prossimo intervento armato. L'opzione militare viene presentata come
ineludibile. Netanyahu ricorre in continuazione, nelle sue esternazioni pubbliche, sul pericolo
rappresentato dall'Iran, paragona la minaccia nucleare di Teheran all'Olocausto, pone in
correlazione l'opzione militare alla sopravvivenza della popolazione. E molte volte, sotto questo
aspetto, i suoi discorsi acquistano toni messianici perche' volutamente alterna il destino degli
israeliani a quello degli ebrei.
Anche Ehud Barak, che asseconda il Premier in questi scenari apocalittici, quando accenna alla
possibilita' che da una ipotetica reazione missilistica iraniana possano scaturire vittime tra la
popolazione sull'ordine di circa 500 persone (in realta' lo studio al riguarda ipotizza dalle 500 alle
3000 vittime) per un conflitto che potrebbe durare 30 giorni, mette in atto una strategia psicologica
allo scopo di rendere ancora piu' immanente l'opzione militare quantificandone, in anticipo, i costi
umani e la durata (quindi si tratta di un progetto in avanzato stato di attuazione). Secondo
indiscrezioni di alcuni giornali israeliani, sarebbe anche stato stimato il costo giornaliero di una
operazione militare contro l'Iran: 375 milioni di dollari (spese militari) a cui aggiungere il costo di
un bloccaggio temporaneo dell'economia (250 milioni di dollari al giorno).
La preparazione militare
Vi sono, da parte di Israele, tutte una serie di iniziative e predisposizioni che postulano una
prossima avventura militare: batterie missilistiche approntate per offesa missilistica e difesa
antimissile ("Iron Dome", il sistema "Homa"), acquisizione di bombe e testate di profondita' per
colpire installazioni sotterranee (da montare sui missili "Jericho"), la configurazione del drone
"Heron" per il trasporto di sistemi di disturbo elettronico, le ripetute esercitazioni di aerei da
combattimento israeliani per attacchi al suolo, l'acquisizione di aerei cisterna per rifornimenti in
volo, esercitazioni nell'utilizzo di munizioni in fibra di carbonio per mettere fuori uso la rete ed il
sistema elettrico iraniano, acquisizione ed impiego di sistemi ed armamenti elettronici, l'impiego di
satelliti spia ("Ofeq", "Tecsar" "Blue and White"), l'approntamento – con l'aiuto tedesco – di testate
nucleari sui sottomarini Dolphin.
Ma nonostante tutto questo Israele ha bisogno anche di altri supporti americani: l'utilizzo dei sistemi
radar dislocati in Qatar, altri dispositivi tecnologici per arrivare sugli obiettivi in modo simulato,
accesso alle intercettazioni delle comunicazioni che gravitano nel Golfo, accesso alla raccolta di
intelligence in modo continuativo e non filtrato, ausilio dei drone che girano sopra l'Iran.
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Il rapporto con gli Stati Uniti
I grossi problemi che Netanyahu sta affrontando sono soprattutto con gli Stati Uniti. Il Presidente
Barack Obama e' particolarmente ostile ad avventurarsi in un'altra guerra dagli esiti incerti non solo
sul piano militare, ma soprattutto sul piano della stabilita' della regione. L'ondata di risentimento
che ultimamente si e' riversata contro gli Stati Uniti in molti Paesi musulmani per il film blasfemo
su Maometto e' sicuramente il campanello d'allarme di una tensione sociale che si configura in
chiave anti-americana e che quindi potrebbe ulteriormente accentuarsi se Washington affiancasse
Tel Aviv in un'altra avventura militare.
Israele vorrebbe ottenere dagli U.S.A. la definizione di una linea temporale rossa oltre la quale, in
assenza di risultati tangibili, dovrebbe automaticamente scattare un attacco alle infrastrutture
nucleari iraniane. Si tratta di una concessione che gli Stati Uniti non intendono fare, soprattutto in
questo momento in cui e' in corso la campagna per il mandato presidenziale. Netanyahu, che nel
tempo e per i suoi atteggiamenti provocatori, si e' guadagnato l'antipatia del Presidente americano (e
non solo visto che l'ex Presidente francese Sarkozy lo definiva un bugiardo) ha cercato di inserire,
meglio dire interferire, nella campagna elettorale americana portando avanti il problema del
nucleare iraniano abbinato alla fedelta' statunitense verso il maggiore alleato mediorientale. Nella
piattaforma elettorale del Partito Democratico si e' dovuto in fretta apporre una correzione laddove
non si citava Gerusalemme come capitale di Israele.
Ovviamente, il Premier israeliano ha ottenuto l'appoggio del candidato repubblicano (che gia' a
luglio ha visitato Israele mentre Obama non l'ha mai fatto. Romney e Netanyahu si conoscono bene
per aver lavorato in passato in una stessa societa' americana), ha attivato la lobby ebraica per
appoggiare Mitt Romney, ma cosi' facendo ha sicuramente peggiorato i rapporti inter-personali con
il Presidente Obama che tra l'altro imputa all'intransigenza israeliana i mancati progressi nei
negoziati con i palestinesi.
La diretta conseguenza di questa situazione e' che il previsto incontro tra Netanyahu e Obama ai
margini dell'assemblea generale dell'ONU a New York non avra' piu' luogo. Netanyahu incontrera'
solo il Segretario di Stato Hillary Clinton. C'e' poi anche il rischio che se Obama verra' riconfermato
per un secondo mandato presidenziale, questa frattura tra Israele e Stati Uniti possa ulteriormente
allargarsi.
Altra conseguenza e' che, nelle prevista esercitazione congiunta israelo-americana di ottobre (la
"Austere challenge 2"), il contingente U.S.A. sara' fortemente ridimensionato (1500 uomini anziche'
5000, un solo incrociatore anziche' 2, i sistemi anti-missile Patriot arriveranno probabilmente senza
personale americano di sostegno). L'esercitazione che nei fatti doveva evidenziare l'impegno
comune contro l'Iran , mostrera' invece una divergenza tra i due alleati.
Ma tutte queste manifestazioni di contrarieta' ad un intervento armato – almeno in questo momento
- sembrano non distogliere Benjamin Netanyahu dal proseguire nelle sue velleita' militari. C'e' stato
nei giorni scorsi anche uno scontro verbale tra l'ambasciatore americano a Tel Aviv, Dan Shapiro, e
il Premier israeliano che accusava gli U.S.A. di inadempienza nei riguardi del programma nucleare
iraniano. E questo atteggiamento provocatorio di Netanyahu continua a preoccupare fortemente gli
americani che temono un colpo di testa da parte di Israele.
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Il capo della C.I.A. Petraeus ha visitato Israele ai primi di settembre per un incontro con i capi
dell'intelligence israeliani, ci sono state pregresse telefonate della Cancelliera tedesca Angela
Merkel per convincere Netanyahu a lasciare spazio ad attivita' diplomatiche e alle sanzioni, il Capo
di Stato Maggiore americano Gen. Martin Dempsey (anche lui corso a Tel Aviv nei giorni scorsi)
aveva reso noto a fine agosto che gli Stati Uniti non sarebbero stati complici di un attacco israeliano
contro l'Iran, ma il leader israeliano ha dichiarato pubblicamente che per la salvaguardia di Israele,
non esistono vincoli morali.
Quando potra' essere fatto quest'attacco?
La scelta del momento dell'attacco gira sostanzialmente intorno a due tipi di valutazioni: di ordine
militare (quando viene supposto che il programma iraniano sia vicino alla realizzazione) e di
opportunita' politica.
Sul primo fattore, Israele ha fatto recentemente divulgare documenti di intelligence americani in cui
si sottolineavano i progressi iraniani nel portare avanti il programma nucleare. A parte la
scorrettezza di una simile iniziativa e la conseguente accusa di manipolare le informazioni, rimane
il fatto che gli iraniani vanno avanti nell'acquisizione della bomba atomica. Secondo alcuni esperti,
sempre israeliani, entro ottobre l'Iran dovrebbe raggiungere quello che tecnicamente viene indicato
come il punto di non ritorno, cioe' il momento in cui - avendo a disposizione oltre 200 kg di uranio
arricchito al 20% - potrebbe in poche settimane (5 -7) ottenere la sua bomba nucleare. Poi pero' agli
iraniani occorrerebbe altro tempo tecnico per riuscire a installare le testate nucleari sui missili
"Shebab 3", una testata di media gittata (1280 km) che pero' nella versione migliorata puo' arrivare
a quasi 2000 km.
Sulla base di questi dati puo' essere stabilita, da parte israeliana, la citata "linea rossa", cioe'
l'evento che postula l'intervento armato. Un altro elemento e' da tener conto e lo ha citato
recentemente l'ex capo del Mossad, Efrain Halevyal: Israele per ragioni climatiche e
meteorologiche e' contrario ad attacchi nel periodo invernale. Se si sommano tutti questi elementi si
potrebbe ipotizzare un intervento armato nei prossimi 2-3 mesi. Comunque le pregresse operazioni
israeliane contro i siti nucleari iracheni e siriani sono avvenute tutte in Settembre e quest'anno le
festivita' dello Yom, Kippur terminano il 26 settembre.
Ma, come accennato, c'e' una valutazione di opportunita' politica. Qui entrano in gioco i rapporti
con gli Stati Uniti. Conviene fare l'attacco prima delle elezioni presidenziali americane del 6
novembre, quindi con la palese ostilita' dell'amministrazione U.S.A., oppure conviene aspettare che
venga eletto il nuovo Presidente? Ma se il prossimo Presidente e' sempre Obama, qual e' il
guadagno per un Netanyahu che comunque non gode della simpatia della controparte? Ovviamente
l'ipotesi relazionale peggiore si avrebbe con un attacco precedente alle elezioni (quindi osteggiato
dall'attuale Presidente ) ed una riconferma di Obama. In quel caso l'esistente scarsa simpatia si
trasformerebbe in ostilita'.
Poi c'e' da valutare l'opportunita' nel contesto regionale, dove gia' l'insorgere della cosiddetta
primavera araba ha gia' creato molta instabilita' sociale. Israele ha perso il sostegno quasi acritico
dell'Egitto di Mubarak e ha un rapporto alquanto difficile con il neo-presidente Morsi. Quest'ultimo
e' stato recentemente a Teheran al vertice dei Paesi non allineati (e ci sono stati anche contatti
recenti tra i rispettivi Servizi di Informazione). Con la primavera araba sono sorti maggioranze
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islamiche in molte altre nazioni, il cui collante principale e' l'ostilita' verso Israele. La Siria si sta
avviando verso scenari analoghi, la Turchia non e' piu' l' alleato di una volta, i palestinesi diventano
sempre piu' insofferenti di fronte a negoziati inutili. Sono tutte situazioni che creano per Israele il
senso dell'isolamento e dell'accerchiamento e conseguentemente di pericolo. Un sentimento che
puo' portare alla prudenza, ma anche ad una dimostrazione di forza.
Come potrebbe realizzarsi l'attacco
Israele non e' nuovo ad attacchi improvvisi verso installazioni nucleare di Paesi limitrofi. Lo ha
fatto nel settembre del 1980 contro le strutture di Osiraq in Iraq (operazione "Babilonia"), lo ha
fatto piu' recentemente, nel settembre del 2007, contro il sito nucleare siriano di Deir el Zor
(operazione "Orchard"). Delle due operazioni quella che rappresenta caratteristiche operative simili
e' quella irachena perche' si riferisce ad un obiettivo lontano che implica il passaggio sopra altri
Paesi con tutte le limitazioni e precauzioni che tale circostanza comporta.
Intanto, ora come allora, l'operazione fu preceduta da una serie di operazioni clandestine (la
distruzione in Francia di materiale in partenza per l'Iraq, l'eliminazione di personaggi legati al
programma nucleare iracheno come lo scienziato egiziano Yehia al Mashad, sabotaggi, l'invio di
minacce a tecnici e societa' straniere implicate nel progetto). L'unica differenza, tra ora e allora, e'
l'utilizzo di una guerra cibernetica che allora non si configurava tecnologicamente. Quindi niente
spyware o malware come "Flame", "Stuxnet", "Duqu" o "Stars". Sono cambiate, tra allora ed ora,
anche gli strumenti tecnologici per bloccare i sistemi di comando e controllo della controparte.
Anche allora, alla decisione del Primo Ministro Begin e di Ariel Sharon di attaccare l'Iraq si erano
elevate posizioni contrarie di altri esponenti politici (Dayan, Ezer Weizman, Yagzel Yadin) che non
vennero tenute in debito conto.
Nel 1980 la distanza dell'obiettivo era sull'ordine dei 1600 km e questo implicava sia la violazione
dello spazio aereo giordano e saudita, nonche' la necessita' di un rifornimento in volo per gli aerei
da combattimento. Furono impiegati 8 F-16A per l'attacco (dotati di missili "Mark-84") e 6 F-15
per la copertura. In totale 14 aerei.
Per superare lo spazio aereo di Giordania e Arabia Saudita, i piloti usarono conversare in arabo con
accento saudita con le varie torri di controllo durante l'attraversamento della Giordania (dando
l'idea di essere aerei sauditi sconfinati nel Paese vicino), e poi, al contrario, usando linguaggio
giordano (nonche' segnali radio e frequenze) per confondere i sauditi.
L'attacco fu condotto di domenica per evitare l'eventuale presenza di tecnici stranieri (e qui, invece,
per l'Iran potrebbe essere utilizzato un venerdi' per sfruttare un giorno di minore vigilanza).
Una volta raggiunto lo spazio aereo iracheno, gli F-16A volarono verso l'obiettivo con volo radente
per non essere intercettati dai radar o dalla difesa aerea, mentre gli F-15 si sparpagliarono nello
spazio aereo per confondere il nemico. L'attacco duro' circa 2 minuti, 8 missili (dei 16 lanciati)
colpirono la struttura, dopodiche' gli aerei israeliani fecero ritorno alle loro basi viaggiando ad alta
quota.
Nel presumibile prossimo attacco, Israele dovra' affrontare gli stessi problemi: non farsi riconoscere
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durante il raggiungimento dell'obiettivo (anche se l'Arabia Saudita potrebbe essere disponibile a non
"vedere" il loro passaggio) ed il rifornimento in volo (vedasi il coinvolgimento di aerei cisterna o
l'utilizzo di serbatoi piu' grandi che comunque inciderebbero sulla maneggevolezza dei velivoli).
Poi si aggiungono altri grossi problemi. Il piu' grosso e' che questa volta l'obiettivo non e'
puntiforme: ci sono varie strutture da colpire. Le alternative sono sostanzialmente due: fare una
operazione chirurgica solo su quei siti che possano maggiormente ritardare il programma iraniano, o
optare per un impiego massiccio di aerei. Probabilmente la prima opzione e' la piu' verosimile.
Un altro problema e' che alcune strutture sono sotterranee, occorrono quindi bombe di profondita' e
dopo il lancio di missile non sara' possibile verificare se si sono raggiunti i risultati sperati.
Per controbilanciare la reazione iraniana, nel momento dell'attacco Israele ha bisogno di poter
usufruire di una grossa potenza di fuoco che potrebbe essere assicurata posizionando i suoi
sommergibili nelle acque del Golfo. E' possibile farlo senza che gli iraniani se ne accorgano?
L'attacco aereo contro Osiraq del 1980 fu condotto quando l'Iraq era distratto da una guerra contro
l'Iran. Qui invece il fattore sorpresa ha una valenza minore. Gli iraniani sanno che Israele li vuole
attaccare, hanno gia' predisposto le contromisure e soprattutto hanno uno strumento militare di
assoluto rispetto. Proprio per evitare il collasso del sistema di comando e controllo il dispositivo
militare e' stato decentralizzato e diviso in 31 distretti, ognuno con una propria autonomia operativa.
Sulla eventuale condotta di un attacco c'e' oggi l'impatto delle tecnologie. Le due guerre del Golfo
sono state precedute da un disturbo ("jamming") dei sistemi di comunicazione, dalla successiva
distruzione dei sistemi di comando e controllo, da un black out della rete elettrica, dalla distruzione
dei piu' importanti centri militari dei siti missilistici e dei loro depositi. Senza queste precauzioni il
rischio di un velivolo di essere intercettato e abbattuto sono molte alte perche' rimarrebbe operativa
la difesa aerea ed altrettanto alte sono le probabilita' di una immediata reazione missilistica. Nella
pratica, oggi, un attacco israeliano alle strutture nucleari iraniane comporta una serie di
predisposizioni tipiche di una guerra totale.
A questo punto e' bene domandarsi se un'operazione cosi' complessa possa essere condotta solo da
Israele senza il supporto o il coordinamento con gli U.S.A..
Conclusioni
Un prevedibile attacco israeliano alle strutture nucleari iraniane pone una serie di problemi ed una
serie di conseguenti risposte.
Benche' riluttanti e magari non consenzienti, in caso di conflitto anche gli Stati Uniti sarebbero
costretti a dare aiuto a Israele. Ma a questo punto il problema e' configurare quale sarebbe il tipo di
reazione da parte di Teheran: circoscritto ad un lancio di missili contro Israele ? Allargato ad un
lancio di missili anche contro gli altri Paesi del Golfo e le loro strutture petrolifere (nel 2011 Arabia
saudita, Emirati Arabi Uniti e Oman hanno triplicato i loro acquisti di armamenti americani)? Lo
stretto di Hormuz verra' minato o bloccato dall'Iran strozzando l'export dei prodotti energetici?
Hezbollah (accreditati di circa 1600 missili) apriranno un nuovo fronte armato contro Israele
(Nasrallah ha gia' minacciato di colpire anche altri Paesi)? Altrettanto fara' Hamas? L'Egitto
blocchera' l'afflusso di petrolio a Israele nel Sinai? Cosa succedera' nelle varie pseudo-teocrazie che
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si stanno sviluppando dopo la primavera araba?
Gli scenari su cui confrontarsi sono tanti e altrettante potrebbero essere le contromisure. Ma, a fattor
comune, rimane la deflagrazione di una regione vitale per gli interessi economici dell'Occidente. E
poi trattandosi comunque di un'operazione non risolutiva, mirata molto probabilmente a ritardare
ma non a bloccare il programma nucleare iraniano, il gioco vale la posta?
Ed anche qui si sollevano le questioni collaterali: un peggioramento della recessione economica
mondiale, i rifornimenti petroliferi, la stabilita' dei Paesi del Golfo Persico, una possibile alleanza
sunnita-sciita in chiave anti-americana e anti-israeliana, la diffusione del terrorismo di al Qaeda con
il presumibile contagio ad altri gruppi salafiti, le ripercussioni in Afghanistan.
Pur nella comune valutazione di un pericolo rappresentato dall'Iran in possesso di ordigni atomici,
la sostanziale differenza di vedute tra Israele e gli Stati Uniti e' nella soluzione del problema:
operazione militare massiva nel primo caso, sanzioni + diplomazia + eventuale intervento armato
nel secondo. Tel Aviv ne fa un problema di sopravvivenza (che confonde spesso con la supremazia
militare), Washington ne antepone un approccio geo-strategico con valutazioni di convenienza ora
soprattutto che il mondo musulmano e' percorso da sentimenti anti-americani.
Al momento le due posizioni si confrontano in una posizione di apparente stallo. Unico segnale
mandato da Washington e' stato un grosso dispiegamento di mezzi navali nel Golfo
nell'esercitazione "International Mine Countermeasures Excercise 2012" che vede il coinvolgimento
di molti Paesi dell'area e che durera' fino alla fine di settembre. Sicuramente un monito a Teheran,
ma niente di piu'. Benjamin Netanyahu invece si sta dedicando ad una serie di interviste sulle
maggiori emittenti americane per ribadire il pericolo iraniano e portare su posizioni interventiste
l'opinione pubblica statunitense. Sulla base di chi prevarra' tra queste due visioni antitetiche del
problema iraniano, si stabilira' la data dell'intervento militare.
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RUSSIA – LA “STAFFETTA” MEDVEDEV-PUTIN AL VERTICE DEL POTERE
L'avvicendamento nella carica di Presidente della Federazione Russa tra Medvedev e Putin, la
cosiddetta "staffetta", e' avvenuto il 7 maggio scorso con la cerimonia di insediamento di Vladimir
Putin (Putin III, dopo i due precedenti mandati: 2000-2004 e 2004-2008); Medvedev dal giorno
successivo (8 maggio 2012) ha assunto nuovamente l'incarico di Primo Ministro, ricostituendo, sia
pure a ruoli scambiati, il tandem al vertice del potere in Russia.
In relazione alla composizione, da piu' parti si parla di nuovo governo, o meglio di "due governi"
ovvero il governo ufficiale di Medvedev e quello piu' autorevole di Putin: sembra quasi un
sottinteso invito ad approfondire i rapporti tra le due formazioni istituzionali (un rapporto di
dipendenza oppure di separazione tra le competenze).
Si potrebbe, a questo punto, concludere in modo sbrigativo: "tutto come prima" (in riferimento ai
precedenti mandati); ma gli elementi di valutazione non sono ancora sufficienti per una corretta
valutazione e il periodo di tempo dall'insediamento dei due esponenti di vertice e' troppo breve!
Conviene, a piu' modesto avviso, prima di impegnarsi in una risposta definitiva, considerare altri
aspetti: i termini del mandato, l'eredita' di Medvedev in relazione a quanto attuato nel corso del suo
periodo di presidenza (2008-2012), i criteri e le iniziative poste in atto fin qui da Putin in politica
estera e in economia e soprattutto lo spazio operativo affidato/delegato da Putin alla responsabilita'
di Medvedev, propio in considerazione della composizione dei due ipotizzati governi:
-
-
governo ufficiale di Medvedev, i "volti nuovi" ovvero giovani sui 40 anni; tra
questi il "ventinovenne" Nikolaj Nikiparov, Ministro delle Telecomunicazioni,
orientato verso l'informatizzazione e l'accesso via internet a tutti gli uffici
dell'Amministrazione russa;
governo piu' autorevole di Putin che ha riunito nello speciale "Consiglio di
Presidenza" gli ex ministri del governo Putin (in pratica, usciti dalla porta e
rientrati dalla finestra), responsabili dei criteri e delle principali linee di governo tra
le quali alcuni osservatori gia' individuano la riduzione e l'indebolimento del potere
decisionale di Medvedev (assegnazione della "presidenza di imprese per le risorse
energetiche"; abolizione del divieto di attribuire incarichi politici ai dirigenti di
grandi aziende ecc.).
Il mandato presidenziale
A partire dal 2008 ne e' stata modificata la durata da 4 a 6 anni, ferma restante la possibilita' di
mantenere tale ruolo per due mandati consecutivi: Putin in concreto potrebbe rivestire la carica di
Presidente della Federazione Russa dal 2012 al 2024, un periodo di "leader" della Russia, in
continuazione, superato solamente da Stalin dal 1924 al 1953 (29 anni) e da Breznev che fu
Segretario del Partito Comunista dell'Unione Sovietica dal 1964 al 1982 (18 anni).
Putin comunque e' in condizione di raggiungere i 20 anni di presidenza(se pure con soluzione di
continuita') se si considerano gli otto anni dei due mandati precedenti (2000-2004; 2004-2008).
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Le elezioni presidenziali (4 marzo 2012) seguono a distanza di pochi mesi quelle parlamentari (4
dicembre 2011): queste ultime hanno valenza ai fini della cosiddetta "staffetta al vertice del potere
russo" tra Medvedev e Putin , in quanto al Congresso del Partito di governo "Russia Unita" del 24
settembre 2011, il Presidente della Federazione Russa Dmitrij Medvedev ha proposto il Primo
Ministro Vladimir Putin, suo predecessore, per la carica di Presidente Federale; Putin ha accettato,
offrendo a Medvedev di partecipare insieme a lui alle elezioni parlamentari, assicurandosi cosi' la
carica di Primo Ministro al termine del suo mandato presidenziale.
In base alla Costituzione, il Presidente della Federazione Russa nomina il Primo Ministro, e'
responsabile della politica estera, e' Capo delle F.A., dichiara la legge marziale, controlla i Servizi di
sicurezza e gli organi di sorveglianza dell'informazione, ha il potere di sciogliere il Parlamento
(composto da Duma/Camera "bassa" – 450 membri – e dal Consiglio della Federazione/Camera
"alta" – 166 membri).
Le elezioni 2011-2012
Il Partito di governo "Russia Unita", alle elezioni parlamentari per la Duma del 4 dicembre 2011,
ha registrato un netto calo rispetto alle precedenti del 2007 (da 315 a 238 seggi); gli altri partiti – il
Partito Comunista, "Russia Giusta", e il Partito Liberal-democratico –hanno ottenuto
rispettivamente 92, 64 e 56 seggi.
Non hanno superato lo "sbarramento" del 7%, gli altri tre partiti ammessi alla consultazione: il
Partito Social-liberale "Yabloko", "Giusta Causa", un Partito pro- governo, il Partito Liberaldemocratico (di orientamento nazionalista).
Tali risultati, il 10 dicembre 2011 hanno portato in piazza la protesta contro Putin di migliaia di
manifestanti per irregolarita' nelle operazioni di scrutinio cui si e' aggiunto l'invito di Michail
Gorbaciov rivolto a Putin di dimettersi.
Anche alle elezioni presidenziali del 4 marzo 2012 si registrano risultati elettorali definiti
"irregolari" dalla Commissione di Controllo dell'OSCE – Organizzazione per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa – in quanto il conteggio dei voti non si e' svolto correttamente in un terzo
dei seggi.
Di seguito, alcuni dati d'interesse sulle responsabilita' ai fini del processo elettorale, sui candidati,
sui votanti, le sedi elettorali, i sistemi di controllo, i risultati delle elezioni presidenziali e la loro
diffusione.
Il Consiglio della Federazione e' responsabile della convocazione delle elezioni presidenziali, in
base alla Costituzione; il Ministero della Giustizia e le sue Agenzie territoriali sono responsabili
delle decisioni in fatto di registrazione dei partiti politici.
La Commissioni Elettorale Centrale (CEC) e' responsabile del processo elettorale a partire dalla
notifica ai cittadini fino alla compilazione dei risultati e all'annuncio degli stessi; e' composta da 83
Commissioni Elettorali di Soggetto Amministrativo (SEC), una per ciascun soggetto federale
(21 repubbliche, 47 province/oblast, 9 territori/krai, 4 circondari e 2 citta': Mosca e San
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Pietroburgo), 2746 Commissioni Elettorali Territoriali (TEC) e 94.300 Commissioni Elettorali di
Circoscrizione (PEC).
CEC, SEC e TEC sono commissioni permanenti, nominate ogni cinque anni; mentre i nuovi PEC
sono nominati per ciascuna elezione.
Le PEC si riuniscono non piu' tardi di 50 giorni prima della data di ciascuna elezione.
Ogni cittadino che abbia raggiunto il 18° anno di eta' puo' partecipare al controllo dell'esercizio di
voto e della condotta delle Commissioni delle elezioni presidenziali su nomina di ciascun candidato,
di ciascun partito politico o dei mass media: ciascun addetto al controllo e' coinvolto nel
monitoraggio della campagna elettorale, dell'organizzazione delle linee telefoniche e dei siti web
attraverso i quali ciascun cittadino puo' riferire sulle varie irregolarita' rilevate.
Ciascuna sede elettorale dispone di due "web cam" e relativo computer per il controllo e la
registrazione delle operazioni di voto.
L'Associazione GOLOS ha addestrato circa 6000 osservatori capaci di monitorare le elezioni in
tutta la Russia; altre associazioni si sono "aggiunte" a seguito degli sviluppi irregolari verificatisi
alle elezioni della Duma del 2011.
L'OSCE, come si e' detto, si occupa del monitoraggio dello sviluppo delle elezioni; dispone a
Mosca di 15 esperti osservatori e di 40 altri osservatori gia' addestrati: e' in condizione di schierarne
altri 160; l'impegno per le elezioni presidenziali e' andato dal 26 gennaio al 15 marzo 2012.
Il sistema elettorale e' maggioritario, con un secondo turno qualora non si raggiunga la
maggioranza al primo turno, caso non molto frequente (e' capitato a Eltsin nel 1996).
Il contesto delle irregolarita' dello svolgimento del voto e' garantito da leggi specifiche che
riguardano la democrazia, le liberta' costituzionali del Paese ed anche il sistema di automazione
della Federazione, noto come "GAS Vybory".
Per le elezioni presidenziali e' chiamato al voto ogni cittadino che abbia compiuto i 18 anni ed e'
eleggibile il cittadino russo che abbia compiuto 35 anni, che non abbia gia' ottenuto due mandati
presidenziali consecutivi e che non sia stato condannato per "grave o estremistico crimine".
I partiti politici che sostengono i vari candidati non possono avere basi professionali, razziali,
nazionali o religiose; devono avere le proprie sedi all'interno degli 83 soggetti amministrativi gia'
indicati, meta' di queste sedi con almeno 100 membri e devono aver raggiunto complessivamente un
totale di 10.000 membri.
Non sono ammesse contribuzioni volontarie per un importo superiore a 10 volte il minimo del
mensile stabilito il 1° marzo 2011, prima del giorno delle elezioni.
Le votazioni in 817 sedi elettorali dislocate in aree molto lontane iniziano due settimane prima.
Apposite attrezzature (scanner per il voto e macchine con schermo sensibile al tatto) sono state
dislocate in 5566 stazioni, 411 in piu' rispetto a quelle delle elezioni della Duma del 2011.
Di seguito, uno schema sintetico relativo ai cinque candidati ammessi all'elezione, con
l'indicazione del partito che li sostiene, il numero di voti ottenuto e la relativa percentuale:
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CANDIDATO
PUTIN
VLADIMIR
ZJUGANOV
GHENNADIJ
PROKHOROV
MIKHAIL
ZIRINOVSKIJ
VLADIMIR
MIRONOV
SERGEIJ
VOTI VALIDI
VOTI
NON
VALIDI
TOTALE
PARTITO CHE LO SOSTIENE
E ORIENTAMENTO
"RUSSIA UNITA"
(partito di governo)
PARTITO COMUNISTA
(in opposizione al partito di governo)
INDIPENDENTE
N° DI VOTI
45.513.001
PERCENTUALE
%
63,64
12.288.624
17,18
5.680.558
7,94
PARTITO
LIBERALDEMOCRATICO
(di opposizione, nazionalistico)
"RUSSIA GIUSTA
(Partito Democratico Socialista)
4.448.959
6,22
2.755.642
3,85
70.686.784
833.191
98,84
1,46
71.519.975
100
In sintesi:
-
su un totale di 109.610.812 aventi diritto, l'affluenza alle urne e' stata del 65,25%;
Putin ha ottenuto: un numero di voti inferiore al 50% nel DF(Distretto Federale)
Centrale(Mosca) ; tra il 50 e il 56% nel DF Nord-Occidentale
(S. Pietroburgo) e intorno al 70% negli altri cinque DF.
Le elezioni e l'opposizione
Come gia' il 10 dicembre 2011, dopo l'esito delle elezioni parlamentari della Duma, migliaia di
manifestanti hanno protestato in piazza chiedendo elezioni pulite e senza brogli, anche il 5 marzo
2012, il giorno dopo le elezioni presidenziali, e' scattata la protesta per le irregolarita' evidenziate
dall'OSCE in un terzo dei seggi elettorali.
La manifestazione era stata autorizzata dallo stesso Putin come espressione di "governo
democratico" che non avrebbe dovuto comportare il ricorso all'uso della forza nella Piazza Pushkin
di Mosca da parte degli agenti del Ministero dell'Interno, gli "Omon", in tenuta antisommossa
(parastinchi, giubbotto antiproiettile, casco integrale e vistosi auricolari di collegamento).
Agli slogan anti-regime ("elezioni vere", "via i ladri e i truffatori" ecc.), nel tardo pomeriggio, dal
palco al centro della manifestazione, si aggiungevano gli inviti di una
annunciatrice della TV alla folla dei manifestanti a non creare disordini e a rientrare alle proprie
case pacificamente – invito che in effetti veniva attuato.
Ma l'alleggerimento della piazza era solo la premessa per l'intervento piu' agevole degli agenti ai
fini del controllo e del fermo degli "organizzatori" di maggiore rilievo,
individuati in precedenza; quasi una nuova strategia che portava a centinaia di "fermati", avviati
agli uffici giudiziari di periferia con l'accusa di disobbedienza alle Forze dell'Ordine, anche in
relazione al numero dei manifestanti preventivato (inferiore a quello dei partecipanti): il caso
comporta l'arresto per due settimane!
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Tra gli arrestati:
-
il blogger anti-corruzione Aleksej Navalny;
il leader del "Fronte di Sinistra" Sergej Udaltsov, militante a favore dei "diritti
civili";
il leader del "Movimento Solidarnosh", Ilya Yashin, tra i piu' accaniti contro il
nuovo vertice Putin-Medvedev;
lo scrittore Edvard Limonov, arrestato alcune ore prima nella Piazza Lubianka,
dove hanno sede i Servizi Informazioni della Federazione.
Di fronte alla nuova strategia della Polizia, anche l'opposizione cerca un adeguamento della propria
condotta contro il regime, in base agli appelli di Michail Gorbaciov ("qui nessuno deve morire per
la patria; ma tutti dobbiamo vivere per conquistare la democrazia"), del campione mondiale di
scacchi Garry Kasparov ("il regime non e' in grado di difendersi; alla fine perdera' la testa") ed il
giornalista Oleg Kashin, gia' vittima del regime (pestato a sangue da due sconosciuti dopo la
pubblicazione di un suo articolo contro gli oligarchi) il quale invita a considerare che nel corso di
una rissa, se si finisce a terra colpiti dall'avversario, e' inutile agitare i pugni…ci si rialza soltanto
quando sono state recuperate le forze e se si e' in condizioni di reagire!
In sintesi, l'opposizione incontra notevoli difficolta' a organizzarsi contro un "nemico" straripante e
a superare un momento di stanca e di ridotto entusiasmo operativo:
-
i leader seguono gli umori della piazza, tenendosi a distanza dal "palco", con ampio
ricorso ai siti web;
gli slogan, anche quelli contro il potere ("Putin ladro" ecc.), fanno meno effetto, per
assuefazione;
si avverte il bisogno di dare maggiore spazio e potenziare la macchina informativa
sui crimini del regime, diradando le riunioni e scendendo in piazza nel corso di
ricorrenze significative: in coincidenza del corteo del 1° maggio, come ai tempi
dell'Unione Sovietica (presenti Putin e Medvedev), della cerimonia di insediamento
al Cremlino di Putin (7 maggio), della festa nazionale del 12 giugno, cui si
aggiunge la manifestazione dell'opposizione contro la "legge anti-proteste", entrata
in vigore il 9 giugno.
Alle voci dei blogger di opposizione come il gia' citato Navalny, si aggiungono quelle dei moderati
come Michail Gorbaciov, che tenta di evitare "una svolta tirannica" che trasferisca la Russia tra i
Paesi che non rispettano il diritto dei cittadini a manifestare la propria opinione (articolo 31 della
Costituzione), cui si aggiungono multe pesantissime, fino al valore corrispondente a 12.000 euro,
per "manifestazione non autorizzata" specie in relazione al basso reddito dei cittadini e all'obbligo
di scontare in carcere la pena per chi non possa pagare.
La legge prende di mira altresi' le feste cosiddette "spontanee" e i raduni nei parchi degli oppositori,
anche se, in queste circostanze, non si parli di politica e non si espongano insegne/cartelli con
slogan anti-regime…basta riunirsi in massa; peraltro, la legge non specifica quando la riunione e'
da considerarsi "di massa".
Alla marcia contro la legge "anti-proteste" hanno preso parte 70.000 persone, sotto gli occhi di
giovani poliziotti dal comportamento insolitamente "gentile", mentre gli Omon ne controllavano, da
strade laterali, gli sviluppi.
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Si potrebbe trattare, anche in questo caso, di una nuova strategia del regime contro le
manifestazioni; strategia che passerebbe dal controllo "discreto" degli agenti di polizia alla
provocazione da parte di infiltrati ed alla reazione violenta degli agenti speciali (gli Omon) con
conseguenti fermi/arresti di esponenti dell'opposizione di maggiore interesse; a questa fase potrebbe
seguire il rilascio dei fermati/arrestati di minore interesse, anche attraverso atti di apparente
clemenza.
Nel corso della cerimonia per la festa nazionale del 12 giugno lo stesso Putin, per la prima volta,
ha commentato la manifestazione di protesta contro di lui, mettendo l'accento sull'importanza di
ascoltare quanto dicono gli altri su argomenti di interesse, precisando altresi' che "non si puo'
tollerare, per contro, cio' che divida o danneggi lo stato!"
Tutto questo mentre Aleksej Navalny, il blogger anti-corruzione, viene interrogato per
responsabilita' negli scontri del 6 maggio precedente e i suoi uffici perquisiti dalla Polizia, alla
ricerca di memorie su tangenti ed altri atti di corruzione del gruppo di potere che ruota intorno a
Putin!
Significativo anche l'invito di Ilya Ponomarov, deputato di "Russia Giusta", per una svolta della
protesta: in concreto si propone l'elezione di un "gruppo dirigente" della protesta, se del caso
attraverso una sorta di elezioni primarie!
L'eredita' di Medvedev
Riguarda essenzialmente la politica estera, nel ruolo di Medvedev quale Presidente della
Federazione Russa (2008-2012); il mandato e' stato svolto in un periodo problematico per
l'economia cui si aggiungono, sul piano interno, la lotta alla corruzione, considerevole ostacolo
alla modernizzazione del sistema politico e sul piano regionale (area del Mar Nero), la guerra dei
"cinque giorni" con la Georgia dell'agosto 2008, sviluppatasi poi in termini di contrasto anche tra
Russia e Occidente.
In sintesi, una situazione di possibile isolamento della Russia sul piano internazionale, a seguito del
peggioramento delle relazioni con gli Stati Uniti e con l'Unione Europea.
Due eventi hanno contribuito ad alleggerire il clima: il piano di pace approntato dall'UE, sotto la
Presidenza della Francia, sottoscritto da Medvedev e dal Presidente georgiano Saakashvili e poi, la
crisi finanziaria "globale" che hanno fatto passare in secondo piano la questione georgiana, come
si e' riscontrato nel corso della "Conferenza per la politica internazionale" dell'ottobre successivo
ad Evian (Francia) e a novembre con il "Summit Russia-UE" a Nizza.
Il miglioramento delle relazioni della Russia con l'Occidente ha avuto ulteriore evidenza nel corso
del Vertice NATO di Lisbona del 2010, quando il Presidente Medvedev propose agli Stati Uniti di
organizzare un "sistema comune di difesa anti-missile": Mosca d'altro canto non crede alle finalita'
dello "scudo spaziale antimissile" (esclusivamente contro l'Iran) anche in considerazione del fatto
che il Senato USA ha trasformato in legge la "proposta di divieto" di trasferire ad altri informazioni
sul sistema in questione.
Permane, per contro , quale segnale di reciproca fiducia, il cosiddetto "fuori onda" tra Obama e
Medvedev, a margine del Vertice nucleare di Seul del marzo 2012:
Obama ha chiesto a Medvedev di dargli una mano sui missili ("questa e' la mia
ultima elezione, dopo avro' maggiore flessibilita'");
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-
Medvedev ha risposto: "capisco; trasmettero' il messaggio a Vladimir!".
I rapporti tra le due "superpotenze" riguardano altresi' la riduzione degli armamenti strategici, gli
accordi START (Strategic Arms Reduction Treaty); in particolare il problema dello scambio dei
dati telematici sui missili:
gli Stati Uniti erano per lo scambio di questi dati;
la Russia riteneva che non dovessero figurare nell'accordo.
Fu specificato alla fine, come segnale di "intesa raggiunta", che ciascuna delle parti stabilisse in
proprio i dati da segnalare (lanci missilistici; dati telematici; test effettuati sui nuovi missili ecc.).
L'accordo apri' la strada a una posizione di maggiore flessibilita' della Russia sia per la firma del
Trattato di Praga del 2010 a differenza della precedente "tensione" durante il mandato di George
Bush e sia per l'appoggio di Mosca alla Risoluzione ONU n. 1929 (sanzioni contro l'Iran), ivi
compreso il divieto di trasferire a Teheran i complessi missilistici S-300.
Da non trascurare infine la decisione di Mosca di "astenersi", in occasione dell'intervento militare
contro la Libia: fu valutato infatti che non valeva la pena di sacrificare le buone relazioni con gli
USA per il bene di Tripoli !
Sul piano economico, l'evento di maggiore evidenza e' stato l'adesione della Russia alla "World
Trade Organization" (WTO): gli Stati Uniti hanno valutato piu' opportuno l'ingresso della
Russia nel WTO durante il mandato di Medvedev quale riconoscimento dell'impegno profuso da
quest'ultimo a favore della distensione.
La cerimonia dell'insediamento (7 maggio 2012)
Dopo i precedenti due mandati (2000-2004; 2004-2008), la cerimonia di insediamento di Putin per
il terzo mandato ha evidenziato l'austerita' del "tempo degli zar", se pure senza il "bagno di folla",
come rilevano i mass media.
Tra gli applausi degli ospiti (3000 partecipanti, tra i quali 1000 invitati a partecipare anche alla cena
serale), si distinguono l'espressione "contenuta" di Gorbaciov il quale aveva in precedenza invitato
Putin a "farsi da parte" e l'aria rinfrancata di Medvedev che dall'8 maggio 2012 ha costituito con
Putin il "tandem del potere" nell'incarico di Primo Ministro, gia' a suo tempo ricoperto.
Dopo il giuramento sulla Costituzione e il ritiro della ben nota "valigetta atomica", il cerimoniale ha
previsto anche la firma, da parte di Putin, di alcuni provvedimenti a favore del popolo:
-
una sovvenzione "una tantum" per i veterani e gli invalidi di guerra, per un importo
corrispondente a 130 euro;
un decreto per la creazione, entro il 2020, di 25 milioni di nuovi posti di lavoro.
e' stato inviato altresi' un messaggio agli Stati Uniti riguardante lo "scudo missilistico" che, in
stretta sintesi, evidenzia la disponibilita' a trattare sull'argomento, esigendo rispetto e non ingerenza
negli affari interni della Federazione Russa, da parte degli Stati Uniti.
Di circostanza, prevedibilmente di difficile attuazione, alcune promesse di Putin come la lotta alla
corruzione, la modernizzazione dell'economia e una societa' libera e determinata: quest'ultima, in
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contrasto con il rinvio della legge sull' "elezione democratica" dei governatori e dei sindaci delle
grandi citta', attualmente di "nomina diretta" da parte del Presidente della Federazione.
Il "biglietto da visita" di Putin III
Risulta gia' ben delineato dopo alcuni giorni (a un mese dall'insediamento):
l'attenzione
allo smisurato territorio russo in relazione alla popolazione (145 milioni, appena);
potenziamento dell'economia (essenzialmente le risorse energetiche);
i "paletti" all'Occidente e alla Cina nel settore strategico;
il nazionalismo, la stampa e l' "intellighentia" piu' in generale.
il
Per chi ha seguito i precedenti due mandati (2000-2004; 2004-2008) si tratta di un "gia' visto",
specie se alla profondita' delle terre sotto il Polo Nord si sostituisce l'inospitalita' della tundra e dei
ghiacciai della Siberia: le une e le altre, al fine della ricerca e dello sfruttamento di ulteriori
giacimenti di risorse naturali.
Si parla al riguardo di una "Societa' per lo sviluppo della Siberia Orientale e dell'Estremo
Oriente russo", con sede a Vladivostok, capoluogo del territorio di Primorje e capolinea della
Ferrovia Transiberiana (9300 km tra Mosca e Vladivostok).
La Societa' jn questione, con poteri illimitati, sarebbe alle dirette dipendenze del Presidente della
Federazione; il suo scopo e' quello di riportare la vita in Siberia ("la terra che dorme"), popolare
10.000 kmq di ghiacciai e di taiga (la foresta di conifere con suolo acquitrinoso), sfruttarne le
risorse minerarie (oro, ferro, carbone e petrolio) che tanto interessano gli oligarchi russi e arrestare
il flusso delle colonie cinesi, le quali si garantiscono la proprieta' dei luoghi e della relativa
produzione attraverso la stipula di contratti di affitto pluridecennali (come si e' verificato in
Africa), utilizzando manodopera locale per lo sfruttamento delle risorse.
Si tratta di dare corso al progetto che a suo tempo non riusci' a Stalin attraverso le deportazioni;
questa volta si ricorre a incentivi che riguardano:
-
-
lavoratori russi cui vengono offerte condizioni vantaggiose (il rimborso delle spese
di alloggio; una mensilita' extra);
lavoratori stranieri, in particolare quelli che affollano le grandi citta', provenienti dai
Paesi della "Comunita' degli Stati Indipendenti" (CSI); a questi vengono offerti
permessi di soggiorno e facilitazioni per la "cittadinanza russa";
le aziende che costruiranno impianti per lo sfruttamento di materie prime; queste
ultime beneficeranno di incentivi fiscali.
In sintesi, l'invito "tutti in Siberia", per dare una risposta al malcontento popolare e alla crisi
economica.
Altro intervento di Putin riguardante il miglioramento dell'economia e' l' "accordo russo-cinese
sull'energia e lo sviluppo".
Questa volta la circostanza o l'appiglio e' dato dal vertice della SCO- Organizzazione per la
Cooperazione di Shangai- un'organizzazione intergovernativa nata il 15 giugno 2001 a Shangai,
allo scopo di fronteggiare il terrorismo nelle aree di confine cui si e' aggiunta la cooperazione
economica, in modo particolare nel settore energetico.
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La SCO comprende Cina, Russia e quattro Paesi ex sovietici (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e
Uzbekistan); hanno lo status di osservatori della SCO l'India, l'Iran, la Mongolia e il Pakistan.
La SCO ha sede a Tashkent ed il segretariato a Pechino.
Il 5 giugno scorso, tra Cina e Russia e' stato sottoscritto un "Accordo su energia e sviluppo" da
parte del Presidente Putin e di quello cinese Hu Jintao, durante un vertice SCO (allargato a Iran,
Afghanistan, Bielorussia e Turchia) che riunisce le potenze energetiche, alternative al Medio
Oriente.
L'accordo Mosca-Pechino sposta l'equilibrio verso oriente dei flussi globali di gas e petrolio.
L'accordo non e' stato ufficializzato ma c'e' l'approvazione di Cina e Russia.
Al vertice hanno partecipato anche i Ministri dell'Energia dei vari Paesi, i responsabili delle
Agenzie Atomiche nazionali e i capi degli Enti Energetici di Russia e Cina.
Per il gas manca ancora l'accordo sul prezzo, mentre i gasdotti siberiani sono pronti per aggiungersi
a quelli di Turkmenistan, Kazakhstan e Uzbekistan.
Cina e Russia hanno generalmente visioni coincidenti sulle crisi internazionali (situazione in Siria,
in particolare ); il patto sull'energia migliorera' ulteriormente l'interscambio tra Cina e Russia da 100
milioni di dollari entro il 2015, fino a 200 milioni di dollari entro il 2020.
L'intesa oltre al gas e al petrolio riguarda un "fondo di investimento comune" di quattro miliardi di
dollari, aperto ad investitori privati cinesi.
E' stato anche annunciato da Putin un piano russo-cinese per una linea elettrica trans-asiatica
attraverso Afghanistan, Pakistan e India, oltre al varo di un'autostrada tra San Pietroburgo e
Shenzhen(Cina) e ad un'alleanza tecnologica che portera' a un'integrazione di aziende hi-tech di
Russia e Cina, con un ritorno agli equilibri mondiali di un'epoca "fortunata", quella di Breznev e
Deng Xiaoping.
Dietro il sogno di Putin e del prossimo leader cinese Zi Jinping, la svolta della "green economy"
che sostiene l'energia pulita, mentre Pechino si avvia al raddoppio dei consumi.
Questo sul piano economico, mentre su un piano strategico, continua il confronto Russia-NATO
sul "sistema missilistico di difesa", in quanto sia gli Stati Uniti sia la NATO rifiutano di fornire
alla Federazione Russa "garanzie legali" che il sistema in questione non prenda di mira le "forze
nucleari" di Mosca, per rappresaglia.
Il Cremlino, al meeting del 24 maggio scorso a Bruxelles tra Russia e NATO, ha proposto misure
per frenare la corsa agli armamenti, come gia' e' stato anticipato a proposito dell' "eredita' di
Medvedev".
Come primo passo, secondo Mosca, la NATO si dovrebbe impegnare a rispettare le leggi
internazionali e a rinunciare all'impiego indipendente della forza, a meno di esplicita autorizzazione
del Consiglio di Sicurezza.
Sul sito del Dipartimento della Difesa russa, il Vice Primo Ministro Dmitri Ragozin, incaricato di
modernizzare il Dipartimento, alla voce "programmi in corso" segnala per contro i fondi assegnati
per i decenni a venire, evidenziando l'orgoglio della popolazione in quanto, se pure le assegnazioni
siano a scapito di altri "programmi sociali", non sussiste critica o irritazione.
Peraltro, anche l'opinione pubblica non si fida degli USA, le cui forze convenzionali in Europa
superano di gran lunga quelle russe, senza considerare la messa a punto di sistemi d'arma di nuovo
tipo che potrebbero cambiare l'equilibrio di potere nella regione.
La NATO inoltre, secondo opinione comune, sta rafforzando la propria presenza in prossimita' dei
confini con la Russia: nuove basi in Polonia, Bulgaria e Romania; come pure in Afghanistan, le
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basi USA rimarranno nel Paese anche dopo il ritiro dell'Alleanza.
Venendo alla Siria, nonostante la dichiarazione di intenti dei due Presidenti russo e statunitense, a
margine del Vertice del G20 a Los Cabos in Messico del 19 giuno u.s. (soluzione politica-non
militare- della crisi), si registra lo scontro a distanza tra i Ministri degli Affari Esteri Hillary Clinton
e Sergej Lavrov , con prospettive di "peggioramento delle relazioni" tra i due Paesi:
-
H. Clinton accusa la Russia di fornire alla Siria elicotteri da combattimento e missili
che le forze di regime potrebbero impiegare contro la popolazione civile;
S. Lavrov sostiene che si tratterebbe di vendita "legale" (armi convenzionali e di
difesa) a differenza delle armi fornite dagli USA agli oppositori, per rovesciare il
governo legittimo di Damasco.
Secondo indiscrezioni, le armi ai "ribelli" sarebbero state pagate dall'Arabia Saudita e dal Qatar, i
due Paesi del Golfo a favore di un intervento militare internazionale contro il regime di Damasco.
A tale ultimo proposito, un intervento militare internazionale appare alquanto improbabile per
contrasti all'interno del Consiglio di Sicurezza; per la prossima seduta del Consiglio di Sicurezza;
inoltre sarebbe all'esame l'istituzione di una "no fly zone" sulla Siria: questo spiegherebbe l'accento
della Clinton sulle forniture militari (appena indicate) alla Siria.
Si aggiunge che il cargo siriano "Mv Alad" con gli elicotteri ed i missili russi destinati alla Siria,
partito da Kaliningrad, e' stato "fermato" nel corso della navigazione in quanto la Societa'
assicuratrice britannica ha cancellato la relativa polizza, costringendo l'imbarcazione a sospendere il
trasporto.
Il cargo avrebbe fatto ritorno al porto di partenza di Kaliningrad.
Considerazioni conclusive, o meglio, prime impressioni
"Tutto come prima", si diceva intuitivamente all'inizio: i fatti, quei pochi osservati se pure in
ristretti termini di tempo, dall'insediamento di Putin, sembrano confermare criteri di gestione del
potere da parte di Putin "in linea" con i due precedenti mandati presidenziali (dal 2000 al 2008); ci
si riferisce ai seguenti aspetti:
-
-
-
-
-
l'economia ancora incentrata su risorse energetiche (petrolio, gas) e sullo
sfruttamento di giacimenti di minerali; in particolare l'accordo con la Cina, anche per
bilanciare eventuali "defaillances" dei Paesi europei, principali clienti della Russia;
il "sogno" di ripopolare le terre siberiane, attraverso la "Societa' per lo sviluppo della
Siberia Orientale russa", sempre allo stesso indicato fine (sfruttamento delle risorse)
ed arrestare il flusso delle colonie cinesi con i loro contratti pluridecennali;
imporre "paletti" a Stati Uniti e NATO in campo strategico (sistema missilistico di
difesa; presenza di contingenti e basi militari NATO-USA ai confini della
Federazione; equilibrio di potere per i piu' sofisticati nuovi sistemi d'arma);
adeguate relazioni con i Paesi della "regione Mar Nero": prima "uscita" di Putin in
Bielorussia; offerta di cure medico-sanitarie all'ex Premier ucraino Yulia
Timoshenko (il Presidente Janukovich si e' opposto, sebbene filo-russo);
nuova strategia nei confronti delle manifestazioni di piazza da parte dell'opposizione:
controllo della "piazza" attraverso agenti "dal volto umano" a distanza ravvicinata;
schieramento degli Omon, a distanza utile per il pronto intervento. Ai fini della
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prevenzione, la legge anti-proteste e' entrata in vigore il 9 giugno: in pratica annulla
l'articolo 31 della Costituzione (diritto dei cittadini di manifestare la propria
opinione), con multe pesantissime (fino all'importo equivalente di 12.000 euro) per
manifestazioni non autorizzate e/o fuori dei limiti di tempo e di luogo previsti
dall'autorizzazione.
A proposito del "nuovo governo anzi dei due nuovi governi" di cui si e' parlato all'inizio, che
cosa risulta?
Anche per questo interrogativo sembra opportuna l'acquisizione di ulteriori dati relativi ai rapporti
tra le due formazioni di governo: dati che ne confermino la possibile interconnessione, con gioco
delle parti a seconda del caso oppure una concreta e reale indipendenza.
Al momento sussiste la sola e gia' citata evidenza del "fuori-onda" tra Obama e Medvedev al vertice
di Seul: alla richiesta di aiuto di Obama, ai fini della soluzione del problema dei missili, Medvedev
lo rassicura: portera' la richiesta a Putin!
L'affermazione potrebbe gia' significare una dipendenza dei due governi, con gioco delle parti e con
limitazioni nell'assunzione delle decisioni.
Anche per questo aspetto, tuttavia, e' opportuno prendere in considerazioni ulteriori evidenze del
"tandem di vertice", senza rassegnarsi alla valutazione dello scrittore-regista francese Emmanuel
Carrere, appassionato studioso di letteratura e politica russa il quale, intervistato su quanto e'
possibile aspettarsi dalle elezioni presidenziali del 4 marzo 2012, ha risposto (come riportato dal
quotidiano "la Repubblica"del 18 marzo 2012):
la politica non ha alcuna importanza in Russia;
il vero potere e' nelle mani delle "mafie"; queste ultime si comportano come gli azionisti che nel
momento in cui l'Amministratore Delegato perde popolarita', lo sostituiscono senza problemi con un
altro piu' presentabile e, all'apparenza, piu' democratico. In concreto, il problema della Russia non e'
Putin; se ci sara' malcontento Putin sara' "cacciato", il suo posto sara' preso da un altro "esponente
di facciata": tutto continuera' come prima;
la direzione del Paese non riguarda i cittadini che al limite potranno accumulare "patrimoni", come
fanno le mafie;
tutto questo ci sara' fino a quando non si compira' una "rivoluzione autentica" che al momento
non ci puo' essere, in quanto nessuno la vuole ne' qualcuno si sogna di farla !
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LIBIA - CACCIA GROSSA AGLI UOMINI DI GHEDDAFI
Abdallah Senussi, cognato di Gheddafi, rappresentava piu' di ogni altro l'aspetto piu' sanguinario
del regime libico. Era l'uomo della repressione, quella piu' nota della rivolta del carcere di Abu
Salim (1200 morti nel 1996), ma anche di tanti oppositori fatti sparire o eliminati in patria e
all'estero. Era l'uomo del terrorismo contro l'Occidente come dimostra il suo coinvolgimento
nell'abbattimento di un volo della Compagnia U.T.A. sui cieli del Niger nel 1989 e anche in quello
della Pan Am su Lockerbie nel dicembre dell'anno prima.
Condannato in contumacia all'ergastolo dalle autorita' francesi, aveva sulla sua testa un mandato di
cattura internazionale. Il 16 maggio del 2011, su presentazione di un dossier da parte del C.N.T.
libico, il Tribunale Criminale Internazionale de L'Aia aveva emesso un altro mandato di cattura
internazionale per crimini contro l'umanita'.
Scappato in Mali attraversando il deserto e passando attraverso il Niger dopo l'uccisione di
Gheddafi con il fattivo aiuto delle tribu' tuareg si era portato dietro anche grosse quantita' di denaro
e di oro per rendere piu' gradevole ed anche piu' sicura la sua latitanza.
Senussi, negli anni di potere, si era creato tutta una ragnatela di contatti e connivenze sia nel nord
Africa che nella fascia sub-sahariana: Niger, Mali, Mauritania, Marocco, Egitto, Ciad erano, nella
sua percezione e convinzione, Paesi di sicuro approdo o transito. Con le tribu' tuareg del Mali e del
Niger aveva poi un rapporto preferenziale, consolidato nel tempo dai supporti politici, ma
soprattutto finanziari elargiti dal regime, nel tempo, alle varie rivendicazioni e movimenti
autonomisti. Aveva rafforzato un legame particolare con il Movimento Nazionale per la Liberazione
dell'Azawad (M.N.L.A.) e soggiornava nella regione del Kidal sotto la protezione di questa
formazione che, forse, non casualmente, anche con l'aiuto dei soldi di Senussi, potra'
successivamente estendere il suo controllo militare ad una buona parte del territorio maliano.
Ma Senussi ambiva anche a ricostruire una filiera di ex del regime che potesse nel tempo riprendere
la lotta armata in Libia. E per questo intendeva contattare i maggiorenti del regime che si erano
rifugiati in altri Paesi della regione. In Marocco soggiornava Kweldi al Humaidi, membro del
Consiglio Rivoluzionario, uno degli uomini piu' vicini a Gheddafi, suo partner nella rivoluzione del
1969, peraltro poi imparentatosi con il Rais per il matrimonio di sua figlia con Saadi al Gheddafi.
Oltre a Kweldi in Marocco stazionavano altri rifugiati libici legati al regime scappati dalla rivolta.
Senussi decide quindi di fare un viaggio a Casablanca, ha un passaporto del Mali di copertura
(giusto una precauzione formale in quanto tutti lo conoscono nell'area per la sua intensa attivita'
relazionale negli ultimi 40 anni), con barba e capelli piu' lunghi del normale per rendersi meno
identificabile, arriva nella capitale mauritana scortato da membri del M.N.L.A. e si imbarca a
Nouakchott con un volo della Air Marocco. Della Mauritania non teme niente: il Presidente Ould
Abdulaziz aveva un grosso debito di riconoscenza verso Gheddafi essendo stato il leader libico
l'unico a far riammettere il regime mauritano nell'African Union dopo il colpo di Stato militare
dell'agosto 2008.
Ma i Servizi francesi non avevano mai abbandonato l'idea di catturare Senussi dopo l'attentato del
1989 anche se poi i propri rappresentanti in Tripoli avevano relazioni stabili con gli omologhi libici
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e quindi anche lo stesso Senussi in quanto Direttore dell'Intelligence Militare. La caccia a Senussi
pero' aveva adesso ripreso vigore in quanto il Presidente Sarkozy, dopo aver guidato il sostegno
internazionale alla rivolta libica, aveva anche bisogno di un altro argomento di prestigio nella
tenzone elettorale contro Hollande. Una soffiata segnala ai francesi la presenza di Senussi a
Casablanca.
Nonostante le pressione di Parigi, le autorita' marocchine non fermano Senussi, non vogliono
intromettersi nelle vicende libiche. La Direction Ge'ne'rale des Etudes et de la Documentation (il
controspionaggio marocchino) controlla i movimenti di Senussi, ma non cede alle richieste di
arresto/estradizione. Con Gheddafi hanno sempre avuto un rapporto abbastanza corretto salvo le
divergenze per l'appoggio libico al Polisario della R.A.S.D. (una delegazione marocchina, aveva
abbandonato le celebrazioni del 40ennale della rivoluzione libica a Tripoli quando si era accorta che
sul palco delle autorita' stazionava anche una delegazione di quel movimento).
Le pressioni francesi si spostano allora sulla Mauritania. Il 17 marzo 2012, scendendo dal volo che
da Casablanca lo riportava a Nouakchott accompagnato da un familiare, Abdallah Senussi viene
fermato dalle autorita' mauritane. Subito la Libia ne chiede l'estradizione, la Francia rivendica la
consegna al Tribunale Criminale Internazionale, ma il regime militare mauritano prende tempo,
combattuto tra la riconoscenza e simpatia verso il regime di Gheddafi e le pressioni esercitate da
Paesi terzi (ai francesi adesso si uniscono anche le pressioni americane).
Senussi viene sistemato in un residence sotto sorveglianza, gli viene risparmiato il carcere. Non
essendoci un accordo di estradizione tra la Libia e la Mauritania, esistono anche cavilli giuridici per
bloccare il trasferimento del personaggio in altre nazioni in quanto, almeno formalmente, dovrebbe
essere processato in Mauritania per ingresso illegale.
Da marzo a settembre si susseguono le pressioni e le visite di delegazioni francesi e libiche per
ottenere il trasferimento di Senussi. Il 5 settembre la giunta militare mauritana cede. Viene
preannunciato a Senussi l'incontro con un'importante autorita' libica. Viene quindi prelevato (lui
vestito in modo formale per questo presunto incontro di alto livello ) e portato in aeroporto. Quando
si rendera' conto di essere stato raggirato, tentera' una reazione ma e' troppo tardi. Ad aspettarlo,
per l'estradizione, c'era comunque una delegazione libica guidata dal Ministro delle Finanze Hassan
Zaglam e composta anche da membri dei neo-Servizi di sicurezza. Un volo privato lo porta subito
all'aeroporto di Mitiga (quello che ai tempi di Gheddafi veniva utilizzato per l'arrivo di importanti
delegazioni) in Tripoli dove sbarchera' alle ore 14:45. Viene subito trasferito, in elicottero, nella
prigione di Al Hadbah al Khadra, dove sono reclusi altri esponenti del regime in attesa di processo.
Nonostante le tempestive e rassicuranti dichiarazioni del Primo Ministro Abdurrahim al Kib che
Senussi subira' un processo equo, non esistono margini di dubbio che Abdallah Senussi e'
tecnicamente un morto che cammina. Tali e tante sono le brutalita' accreditate al personaggio che un
processo potra' concludersi solo con la sua condanna alla pena capitale. Ed il Premier al Kib ha
voluto anche ribadire, come nel caso delle richieste per Seif al Islam, che non si procedera'
all'estradizione del detenuto a L'Aia.
I motivi per cui la giunta militare mauritana ha alla fine ceduto alle richieste libiche sono
prosaicamente da riferirsi ai 200 milioni di dollari che le autorita' di Tripoli hanno promesso
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(secondo altri gia' versati in una banca) di investire in Mauritania. E non viene neanche escluso che
altrettanti benefici possano arrivare da Parigi a Nouakchott per la stessa circostanza. In un Paese
povero come la Mauritania una somma del genere ha un forte impatto persuasivo. E poco importa
se la decisione di Nouakchott implichera' la morte di Senussi.
Sicuramente Abdallah Senussi e' la preda piu' grossa di una caccia che le autorita' libiche hanno
intrapreso per portare davanti alla giustizia membri del passato regime. Lo scopo e' anche quello di
legittimare, attraverso un processo pubblico di questi personaggi, la nuova dirigenza del Paese , di
sancirne contemporaneamente il potere e di scoraggiare eventuali rigurgiti nostalgici di personaggi
legati a Gheddafi. Il pericolo e' che le tribu' tuareg del Mali e del Niger ne possano ancora subire il
fascino.
Con lo stesso sistema persuasivo applicato alla Mauritania, la Libia e' riuscita a fare estradare dalla
Tunisia l'ex Primo Ministro Mahmoud al Baghdadi.
Scappato in Tunisia dopo il crollo del regime era stato processato dal tribunale tunisino, ma poi
assolto, per immigrazione illegale. Una promessa di significativi investimenti libici in quel Paese
accompagnati da una vendita di prodotti petroliferi a prezzi agevolati ha convinto Tunisi a estradare
Al Baghdadi a Tripoli il 24 giugno scorso. Il personaggio e' detenuto nello stesso carcere di Senussi
in attesa di processo. In questo caso la vittima sacrificale e' piu' un simbolo del vecchio regime e
non un carnefice come Senussi.
Di altri personaggi di spessore che affronteranno il processo in Libia, oltre a Senussi e Baghdadi,
siederanno sul banco degli imputati anche Seif al Islam (accusato come Senussi di crimini contro
l'umanita', ma piu' per gli aspetti politici che materiali e ora detenuto nel carcere di Zintan) e Abu
Zeid Durda, capo dell'External Security Service dal 2009. L'ironia della sorte vuole che Durda, che
era stato designato alla guida di quella struttura per “ripulirla” dalle efferatezze del passato, si
trovera' sul banco degli imputati mentre Moussa Koussa, il suo predecessore (aveva guidato l'E.S.S.
dal 1994) che quelle efferatezze aveva compiuto, e' rifugiato e sotto protezione in Inghilterra. Ma
Koussa avra' ora ripagato l'ospitalita' inglese con un forte contributo informativo su fatti e misfatti
del passato.
Ma nel carniere libico mancano all'appello ancora altri personaggi di spessore. Uno e' Khaled
Tuhami, capo dell'Internal Security Service, un organismo anch'esso dedito al lavoro sporco contro
gli oppositori del regime. Tuhami si e' rifugiato in Egitto e, nonostante le richieste libiche, le
autorita' del Cairo non hanno sinora concesso l'estradizione. Il Maresciallo Tantawi, proprio per
questo rifiuto egiziano, era stato oggetto di una contestazione a Tripoli nel gennaio scorso. Ma la
richiesta libica riguarda circa 40 esponenti del vecchio regime tra cui il cugino di Gheddafi, Ahmed
Gheddafi al Dam, l'ex ministro degli esteri Ali al Treki, un ex capo dell'Intelligence militare, Al
Jabou Abu Zeid. Ma anche il Presidente Morsi, sinora, non si e' manifestato al riguardo.
Poi c'e' la caccia a quei pochi superstiti della famiglia di Gheddafi. Uccisi Mutassim (nella battaglia
di Sirte il 20.10.2011), Khamis (29 agosto 2011), Seif al Arabi (30.11.2011), rimangono all'appello
Saadi, Hannibal, Mohammed e la figlia Aisha.
Saadi era scappato in Niger nel settembre 2011 dopo un tentativo, peraltro fallito, di negoziare la
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sua resa con i ribelli libici. Aveva ottenuto l'asilo politico da parte delle autorita' di Niamey che nel
frattempo avevano respinto varie richieste di estradizione da parte della Libia. Scappato con molti
soldi al seguito si era comprato la solidarieta' delle autorita' nigerine, ma si era anche dedicato ad
una dolce vita dispendiosa millantando, in interviste televisive, di essere in contatto con
l'opposizione armata contro le nuove autorita' libiche (e per questo aveva avuto anche qualche
problema con le autorita' del Paese ospitante). Con la estradizione dello zio Senussi in Libia, Saadi
ha subito fiutato che le cose potevano cambiare in peggio per lui. Infatti i soldi libici, come hanno
facilmente convinto la Mauritania, potrebbero fare altrettanto con un Paese povero come il Niger.
Questo nonostante gli stretti legami intercorsi nel passato tra il Presidente Mahamadou Issoufou e
Gheddafi stesso.
Saadi ha fatto subito chiedere, attraverso il suo avvocato israeliano Nick Kaufman, l'autorizzazione
a lasciare il Paese. Autorizzazione gia' concessa da parte di Niamey, ma occorre anche quella
dell'ONU per poter prendere un volo di linea (esiste una interdizione internazionale ai viaggi sia per
lui che gli altri familiari). Probabilmente dovrebbe trasferirsi in Sud Africa, dove sembra siano gia'
state accantonate risorse finanziarie della famiglia. Peraltro le autorita' di Pretoria durante la guerra
avevano piu' volte intercesso per salvare Gheddafi dalla sconfitta ed avevano poi riconosciuto il
C.N.T. solo dopo la conquista di Tripoli da parte dei ribelli.
Il resto della famiglia (la madre Safiyah, la sorella Aysha, il fratello Hannibal ed il fratellastro
Mohammed ed altri parenti al seguito con nutrita scorta) sono ancora sotto l'ala protettrice
dell'Algeria. Vi erano scappati il 30 agosto dello scorso anno attraversando il deserto libico-algerino
nei pressi di Ghadames per poi dirottare verso Djanet per consentire ad Aysha di partorire una
bambina. Da li', con un aereo privato messo a disposizione delle autorita' algerine, erano stati
trasferiti nei pressi di Algeri. La concessione di asilo e' stata giustificata per motivi umanitari.
Anche per loro sta maturando il tempo di andarsene altrove.
Il presidente algerino Bouteflika ed il suo governo, sempre abbastanza critici sulla rivolta libica, un
po' per paura dell'effetto contagio, un po' per la presenza di estremisti islamici nei ranghi dei ribelli,
hanno adesso interesse a ripristinare un dialogo costruttivo con Tripoli. La partenza della famiglia
Gheddafi aiuta sicuramente a riportare serenita' nei rapporti bilaterali. Anche qui, stante il divieto
ONU (su richiesta della Corte Criminale Internazionale che comunque Algeri non riconosce come
autorita' non essendo firmataria dell'accordo di Roma) a fare volare i familiari del dittatore, ogni
prossimo trasferimento e' subordinato ad una autorizzazione internazionale. Ancora una volta
ricorre come meta finale il Sud Africa.
Quando i ribelli sono riusciti ad entrare nel fortino di Bab Azizya in Tripoli, tra gli incartamenti
ritrovati e' comparsa una documentazione riferita a Hana Gheddafi, il suo passaporto e i suoi studi
in medicina. Hana era la figlia adottiva del Rais ed era stata indicata come uccisa dai
bombardamenti americani del 1986. Dove si trovi adesso questa persona (in Algeria con il resto
della famiglia o altrove) non e' dato di sapere. Comunque le autorita' svizzere hanno poi accertato
che Hana aveva un conto intestato a suo nome nella Confederazione.
Un altro personaggio legato al vecchio regime era Shukri Ghanem. Primo Ministro dal 2003 al
2006, poi Ministro del Petrolio fino al 2011, impersonava l'aspetto finanziario di tutta l'elite che
circondava il regime.
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Nel maggio dello scorso anno Ghanem scappa in Tunisia con la famiglia, passa poi per l'Italia (a
suo tempo con le benevole intercessioni dell'ENI gli era stata proposta la cittadinanza italiana, poi
rifiutata dopo un intervento del Rais) infine si stabilisce a Vienna, dove gia' in passato lui
trascorreva molto tempo per le sue incombenze in ambito O.P.E.C.. Durante l'esilio Ghanem aveva
tentato di solidarizzare con la ribellione, ma era apparso ai piu' come mossa dettata piu'
dall'opportunismo che dalle convinzioni.
Il 29 aprile 2012 il suo corpo viene ripescato nel Danubio. Morte accidentale dovuta ad un malore o
morte procurata? E, nel secondo caso, chi poteva avere interesse a eliminarlo? L'unica cosa certa e'
che Ghanem era e rimaneva un simbolo del vecchio establishment, ma era anche detentore di tanti
segreti, soprattutto finanziari, che qualcuno aveva intenzione di fare sparire.
Sul problema dei segreti si giocheranno in futuro anche i destini di molti uomini legati a Gheddafi
che alternativamente sono scappati all'estero o che si sono opportunamente riposizionati a fianco dei
ribelli. Uno che sa molto e che potrebbe parlare e' lo stesso Senussi. Gia' in Nouakchott una
delegazione libanese lo aveva avvicinato per saperne di piu' sulla sparizione dell'Imam sciita
Sheykh Musa Sadr arrivato in Libia nel 1978 su invito di Gheddafi per partecipare alle celebrazioni
della Rivoluzione e mai piu' ritrovato.
Le autorita' libiche stanno adesso preparando altri dossier sui personaggi dell'ex regime per
determinarne l'accusa di crimini contro l'umanita'. Si parla di Khaled Tuhami, dello stesso Moussa
Koussa e di altri maggiorenti, molti tra quei sopravvissuti di una lista di 26 personalita' libiche che
l'Unione Europea, nel marzo dello scorso anno, aveva redatto per applicare sanzioni.
Piu' persone del passato regime libico verranno perseguite, catturate, condannate o eliminate
fisicamente, piu' verra' accreditata la nuova dirigenza che sta guidando adesso il Paese. La caccia
quindi e' ancora aperta.
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Edizione # 9 Settembre 2012 Italiano