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ESTERI
Domenica 18 - Lunedì 19 Febbraio 1979
lotta continua 4
"L'esercito devono ricostruirlo
solo coloro che l'hanno distrutto
(Dal nostro inviato)
Teheran, 17 — La carcassa di un carro armato Cideftam davanti al
portwie di ingresso dell'
università è ài bottino più
grosso che è esposto. Sopra l'arco una bandiera
dei « mojaedin del pt^o10 », denteo, in questa cittadelte dove nell'ultimo
mese sono arrivati a migliaia da tutto il paese,
si dà lezicKie sull'uso delle armi. Nei viali camminano e si recano nelle
varie aule una massa enorme di giovani, ragazze in blue jeans e scarpe da tennis con il tchador nero e la fascia di
riconoscimento al braccio, giovani, visitatori. E'
11 nuovo esercito, quello
che ha sconfitto in due
giorni di insurrezione 1'
armata dello scià, ma non
riesce ad essere marziale; facce stanche, pose
tutt'alteo che guerresche,
moitissimi ritratti dei martiri, indicazioni, volantini ed opuscoli.
Gli istituti universitari
SCHIO divisi tra quelli oc-
cupati dai « mojaedin isl amici » e dai « f edain »
•marxisti, e in tutti si fanno «lezioni» prifaiiche e
teoriche del funzionamento di pistole, miteagliatrici, fijciM, esposti sulle
cattedre con tanto di stemma dell'eserato imperiale. La lezione di Kalatchnikov, che dovrebbe dimostrare l'armamento sovietico, non esiste, perché di questi fucili mitragliatori non ne esistono.
Assisto, aggregandomi a
una classe, ad una di
queste lezioni in un'aula
dell'istituto di chimica, dove sulla lavagna verde
ci sono ancora le formule delle passate lezioni, insieme ad un gruppo di giovani, maschi e
femmine, e vigilati da un
divertitissimo mollah seduto in fondo. E' l'immagine migliore per smentire quanto detto dalla
stampa intemazionale sulla richiesta di restituaone delle armi. In realtà
le armi che sono richieste
in restituzione sono solamente quelle date a tito-
lo personale e non quelle
affidate a gruppi organizzati.
Le armi devono essere
gestite solo dalle strutture
popolari organizzate, dai
comitati rivoluzionari, questa è la consegna. Solo
coloro che le hanno ricevute individualmente nei
giorni scorsi, nel fuoco
della battaglia, si devono preservare — non certo
all'esercito — ma alle moschee. Qui le strutture di
organizzazione di massa
del movimento decidono.
Si sono formati comitati
a cui presenziano i < combattenti più conosciuti
le strutture di decisione
popolare del quartiere,
spesso, ma non sempre, i
mullah che decidono caso
per caso se si può avere fiducia o meno nel
candidato. L'arma viene
considerata in fco-za al comitato di moschea e data
per i servizi di opere pubbliche, di caccia alla Savak, 0 di altro, di volta
in volta ai militanti. E'
così chiaro che nessuno si
sogna di chiedere indietro
le armi alle migliaia di
Mojaedin o alle centinaia
di fedain che sono anzi
ufficialmente riconosciuti
dalla radio come « esercito rivoluzionario » e rfie
sono l'-unica autorità armata ohe da giorni ha il
potere nella città — calma e tranquilla come non
mai — mentre d resti dell'esercito continuano ad
essere consegnati in caserma, o a disposizione
nelle loro abitazioni.
Certo non tutto è ancora definito, il jM-oblema del nuovo esercito è
di non piccole dimensioni. Soprattutto perché 1'
esercito che è morto non
era neanche un esercito
ma una incredibile accozzaglia di capi barbari, corrotti, sanguinari,
inefficaci e cretini. La
decisione del governo di
nominare un nuovo capo
di stato maggiore è stata
immediatamente contrastata comunque dai mojaedin e dal fedain: « L'
esercito devono ricostruirlo solo coloro che l'hanno distrutto », è stata la
loro parola d'òrdine, e
venerdì in decine di mi-
gliaia hanno marciato
verso la casa dell'Imam
per portargli questo
messaggio. La risposta di
Khomeini che ancora
una volta ha bellamente
scavalcato il governo è
stata sinora positiva. Ha
chiarito che il nuovo comandante deli' esercito,
della vecchia guardia
mossadeqiana con anni di
carcere alle spalle e da
tem'po in civile, è da
considerarsi solo provvisorio. Ha abbozzato 1'
idea di un processo di
elezione dal basso dei
comandanti dei reparti e
delle caserme. Ha infine
suggerito al governo che
ha immediatamente eseguito lo scioglimento definitivo della guardia imperiale, la degradazione
di un grado di tutti i
suoi ufficiali, la dislocazione delle truppe presso
un reparto di fanteria.
Dal colonnello in su gli
ufficiali vanno ritenuti
tutti sotto processo. Sono
intanto ricomparsi alcuni
poliziotti nelle strade. Ma
la loro divisa non vale
più. da sola. Devono an-
che avere il bracciale de!
comitato KhtTneini, alte
menti non hanno potere.
Insomma, l'unica strj:
tura militare in funziorf
è sempre e ancora la
milizia popolare armati,
n resto è allo sbands,
alla paralisi, oppure terr
ta qua e là nel paesc
e anche a Teheran dm-r
l'altra sera sono stati t
saltati i depositi di aimi di quattro moschef
una impossibile e sanri
naria rivincita.
L'esistenza della mi
zia popolare è una garanzia non da poco si
futuro funzionamento ds:
la dialettica democraticin questo paese, qualsia
siano i progetti di qir
sto governo di mediar>
ne — più rivolto ai pit>
blemi della crisi inter
nazionale, forse, che ca .
pace di affrontare e i
risolvere i problemi ::
terni — a fronte Mi \
forza di un movimen:; ;
di massa. Forza esplK .
va e amplifiuiiia dalia
vittoria, una vittoria ' ;
quelle impossibili.
Giustiziati 4 generali responsabili di almeno 45 mila assassini!
Niente Norimberga per i «cuatros generales»
Teheran. E' venerdì, la
domenica islamica. La più
grande calma che mai si
potesse immaginare dopo
una rivoluzione: migliaia
nei parchi a farsi la
scampagnata, poco traffico fluente, dappertutto
giovani barbuti armati ormai tranquillamente parta
della vita di tutti i giorni.
Mentre nel mondo si guarda ad un paese che si
vuole dilaniato, spasmodico, con fiumi di sangue
da tutti gli angoli, gli iraniani che per loro fortuna non leggono ie agenzie
di stampa intemazionali,
continuano in santa pace
— con flemma verrebbe
quasi da ire — la loro rivoluzione impossibile. Le
agenzie danno circa 600
morti a Tabriz, si inventano movimenti marxisti
seccessionisti nella regione, accusano ancora una
volta i rivoluzionari di
tutte le peggiori atrocità.
Invece gli abitanti della
città hanno un solo torto,
sono riusciti a portare a
termine con alcuni giorni
di ritardo quello che si è
già compiuto a Teheran:
mojaedin, fedayn e una
parte dell'esercito si sono
mossi e hanno scalzato
dopo una dura battaglia
il tentativo dei fedelissimi
deU' ancienne regime di
contrattaccare. 1 morti
probabilmente non sono i
6 comunicati dalla radio,
ma non sono certamente
600. La rivoluzione - scusate la banalità — non è
un pranzo di gala come
diceva uno che se ne intendeva e infatti: pur decapitata la forza dell'impero sconfìtto continua a
sussultare. Tenta la sortita a Tabriz, a Garzin, a
Mashad e nella stessa Teheran dove 4 moschee sono state assaltate jjer rubarvi le armi depositate.
Quattromila sono al minimo gli agenti della Savak
ancora in libertà, e sono
armati, hanno depositi di
tutto, hanno contatti con
migliai^ di ufficiali della
vecchia guardia, con le
ambasciate di molti paesi,
ma sono un pericolo, e
non piccolo. Vanno combattuti e la rivoluzione ha
deciso che noEt basta ripeterselo e ha agito: Nassiri, Koshrodat, Rahemi,
Najee, «los quattros generales » dello scià sono
stati passati per le armi
da 4 membri del consiglio
della rivoluzione dopo un
processo a porte chiuse
davanti al consigho delia
rivoluzione stesso durato
dalle 7 cel mattino alle 7
del pomeriggio di giovedL
Niente processo pubblico
quindi, niente Norimberga
per i 4 massacratori — come pareva in una prima
fase — i clandestini, quelli che sperano in una sanguinaria rivincita, quelli
della Savak e di tutti i
corpi speciali, dovevano
sapere, e da oggi sanno,
di non avere più i capi:
Nassiri, per 13 anni capo
della Savak. dopo essere
stato capo della polizia e
avere ricoperto posti di
alta responsabilità in tutto
l'apparato repressivo, non
solo massacratore ma anche un ladro, il mediatore,
tra l'altro, per il colossale
bidone dell'impresa delle
condotte a Bandarabash,
è stato condannato di fronte à due testimoni in rappresentanza di migliaia di
altri, il padre e la madre
dei fratelli Rezai, uccisi
barbaramente dai suoi uomini. E così è stato per
Koshrodat, il boia di Tabriz, comandante dei Rangers che più volte ha minacciato un golpe « anche
se dovesse costar la vita
della metà degh abitanti
di Teheran». Rahemi, responsabile deU'applicazione della legge marziale di
Teheran, mandante di migliaia di assassinii, Najee
il boia di Isfahan, l'uomo
che fece mitragliare le
folle dagli elicotteri, che
fece mitragliare centinaia
e centinaia di manifestanti. Quattro amici deUo scià,
amici intimi, 4 boia. Oggi
le foto dei loro corpi crivellati di colpi stanno stampate sulle edizioni straordinarie dei giornali: per
comprarli bisogna buttarsi in mischie che sono
peggio di quelle del rugby. L'errore di Mossadeq
che aveva per le mani 21
generali, tra cui lo stesiJO
Nassiri, e che fu « clemente » fino a quando questi
non lo deposero con un
golpe, non è stato ripetuto
e dopo i 4 generales sono
stati condannati a morte
altri 20 generali e notabili
dell'impero responsabili di
atroci imprese le cui condanne verranno mano a
mano eseguite. Le colpe?
45 mila assassinii pubblicamente rivendicati. Non
è stata una decisione di
cui sia stato partecipe il
governo Bazargan, che
stamane si è rifiutato
stranamente di fare qualsiasi dichiarazione — ma
è stata presa dal solo consiglio rivoluzionario. I 4
sono stati portati davanti
all'Imam — che evidentemente non aveva presenziato al processo — che
ha letto loro una sura del
Corano: <A.vete agito contro la radice della natura
dell'uomo >.
E' stata quindi la rivo1 u z i 0 n e , attraverso la
sua struttura dirigente e
non il governo ad impostai'e con fermezza la
pratica dell'epurazione dopo aver verificato che la
ferocia della belva agonizzante era tutt'altro che
finita e che la clemenza
che pareva emergere dalle prime ore si sarebbe rivelata probabilmente troppo controproducente. E' il primo atto formale di < limitazione » dei
poteri di un governo —
il più educato e accettabile sulla scena internazionale — che ha ancora tutto da conquistarsi
l'esercizio del potere effettivo all'interno del pae-"
se. E le autorità della rivoluzione ben distinta anche formalmente da quella dello stato, ad un gradino più alto.
Vediamo cosa questo
vorrà dire sabato, giorno, in cui il governo ha
deciso che tutti tornino a
lavorare, giorno in cui si
aprirà il confronto fra chi
ha combattuto e vinto la
rivoluzione — che non è
rappresentato nel governo
— e i rappresentanti dello « stato di necessità »,
i ministri.
I 15 mila operai del petrolio hanno chiarito che
non vogliono andare a! ;
voro prima di avere oUi i
nuto precise garanzie.:così faranno molti ai;.
lavoratori. Insomma, me è nelle cose la 5 :
luzione continua e ce buono che H partito*
l'ha condotta, quef ^
Allah, non sieoe sulle ?
trone dei ministen, nie^
tre chi si siede, per
ordine non ha parti»
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