CIVIELLE
Cantine della Valtènesi e della Lugana
Presentazione
Civielle - Cantine della Valtènesi e della Lugana, società agricola cooperativa fondata nel 1979,
è ubicata a Moniga del Garda, sulla sponda occidentale del Lago di Garda, in una storica
Cantina, al centro di una zona di antiche tradizioni vitivinicole.
Finalità della Cooperativa, che non ha scopi di lucro, è lo sviluppo della viticoltura territoriale a
difesa dell’integrità dell’ambiente tramandato nei millenni, del reddito delle imprese agricole
nel cotesto di un’economia particolarmente orientata al turismo.
L’attività si esplica nei vari segmenti della produzione, della trasformazione e nel
confezionamento dei prodotti vitivinicoli, sia presso la sede aziendale che presso le oltre 150
aziende vitivinicole che ne utilizzano le tecnologie nel territorio regionale e nelle regioni
limitrofe.
I viticoltori soci della cooperativa - 80 le aziende rappresentate - condividono rigorosi
protocolli volontari di coltivazione e di raccolta delle uve, e la cooperativa opera in
ottemperanza alle norme per la certificazione di qualità UNI EN ISO 9001:2008 e la sicurezza
alimentare UNI EN ISO 22000:2005. La cooperativa applica inoltre i metodi di produzione
dell’agricoltura biologica secondo gli standard dell’Unione Europea e I.F.O.A.M. e N.O.P. del
Nord America. I terreni coltivati, certificati per l’agricoltura biologica, ad oggi sono oggi l’80%
del totale con l’obiettivo di giungere al più presto al 100%.
Fin dal 1987 la cooperativa è accreditata dall’Amministrazione Provinciale di Brescia e dalla
Regione Lombardia per l’attuazione di progetti di assistenza tecnica e organizza
periodicamente importanti convegni, seminari, visite guidate, incontri tecnici, produce
materiale come dispense, opuscoli e bollettini periodici per informare gli operatori del mondo
vitivinicolo sulle tematiche tecniche, normative ed economiche riguardanti il settore.
In trent’anni di esperienza Civielle ha accumulato un considerevole bagaglio di conoscenze che
si estendono anche ad una problematica di rilevante interesse collettivo come quella della
sicurezza sul lavoro.
Per questo, grazie anche al contributo dell’Unione Europea e della Direzione Generale
Agricoltura della Regione Lombardia, ha ritenuto utile riassumere in questa pubblicazione, il
complesso delle informazioni necessarie alle imprese vitivinicole per porre nel giusto rilievo il
tema della sicurezza alimentare nel settore vitivinicolo.
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INDICE
Pagina
INTRODUZIONE
3
FITOFARMACI: EFFETTI SULLA SALUTE UMANA
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FITOFARMACI: EFFETTI SULL’AMBIENTE
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CONCIMI CHIMICI: EFFETTI SULL’AMBIENTE
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EFFETTI DEI PRINCIPI ATTIVI PIÙ DIFFUSI SU UOMO E AMBIENTE
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LA NORMATIVA VIGENTE SUI FITOFARMACI
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RISULTATI DELLE ANALISI DI PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI CONDOTTI
DAI LABORATORI PUBBLICI REGIONALI NEL 2012
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CONCLUSIONI
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INTRODUZIONE
Fitofarmaco è un termine generico per indicare quelle sostanze che caratterizzano
l’agricoltura su base industriale impiegati per difendere le colture da insetti, acari, batteri,
virus, funghi, malerbe. I fitofarmaci quindi comprendono un gruppo vasto e diversificato di
sostanze che possono essere classificate in numerose categorie a seconda dell'azione
esplicata. Si distinguono, ad esempio, gli insetticidi, gli acaricidi, i fungicidi, gli erbicidi, i
larvicidi, i repellenti.
I fitofarmaci possono essere semplici sostanze inorganiche come zolfo o solfato di rame,
oppure composti organometallici, o composti organici volatili come il tetracloruro di carbonio,
il bromuro di metile, o composti organici semivolatili come pentaclorofenolo, diazinone, o,
infine composti organici non volatili. I fitofarmaci più comuni sono rappresentati soprattutto
dai composti organici semivolatili e dai composti organici non volatili.
Il numero di fitofarmaci sul mercato è elevatissimo. Circa il 95% dei fitofarmaci è utilizzato
in agricoltura, tuttavia una via di esposizione è l'ambiente indoor (ambiente chiuso). Mentre
l'utilizzo in agricoltura è strettamente regolato, negli ambienti indoor non vi è nessun tipo di
regolamentazione. Inoltre tali sostanze vengono utilizzate in molti prodotti di uso domestico,
ad esempio per preservare il legno, per la protezione delle piante da appartamento.
Secondo Agrofarma, le colture per le quali si registra un maggior consumo di fitofarmaci,
sono: al primo posto la vite, a causa dei numerosi parassiti che possono comprometterne il
raccolto; poi, in quantità via via decrescenti, le pomacee, il mais, le orticole, le barbabietole, il
frumento, le floricole, i vivai forestali, il riso le drupacee, la soia, l’olivo e, agli ultimi posti, il
pomodoro e gli agrumi.
I fitofarmaci si sono imposti negli anni come parte insostituibile dell'agricoltura. La
monocoltura, cioè la coltivazione di una sola specie di piante, adottata in vaste aree, e
l'omologazione delle varietà di piante destinate alla coltivazione sono tutti elementi che hanno
reso più vulnerabile l'ecosistema delle zone coltivate, rendendo di fatto indispensabile l'uso
della chimica. L'uso di fitofarmaci garantisce una produzione senza perdite e una migliore
qualità commerciale dei prodotti.
I fitofarmaci sono per la massima parte costituiti da sostanze tossiche, persistenti,
bioaccumulabili che hanno un impatto sulle proprietà fisiche e chimiche dei suoli ed
estremamente nocive non solo per la salute dell’uomo, ma per tantissimi organismi viventi
utilissimi: basti pensare alla recente moria delle api attribuita a fitofarmaci neonicotinoidi a
base di imidacloprid.
Spesso gli effetti dei fitofarmaci sulla salute umana si scoprono troppo tardi, quando ormai le
molecole hanno invaso le varie matrici ambientali. Si pensi a quanto accaduto per il DDT; si
pensi anche che i fitofarmaci che hanno sostituito il DDT non sono meno pericolosi. Gli
organofosforici sono i fitofarmaci sintetici più utilizzati sia in agricoltura sia per uso
domestico in quanto a largo spettro e caratterizzati da una forte tossicità nei confronti degli
insetti. I più comuni sono il chlorpyrifos ed il diazinon. In ambienti esterni a contatto con luce
e acqua, questi composti si degradano relativamente in fretta; tuttavia, se usati in ambienti
chiusi, rimangono stabili molto più a lungo e potenzialmente sono una fonte di esposizione per
gli adulti e soprattutto per i bambini.
Il capostipite di tali sostanze è un erbicida tristemente famoso usato massicciamente durante
la guerra del Vietnam per irrorare le boscaglie e conosciuto come “agente orange” dal colore
delle strisce presenti sui fusti usati per il suo trasporto.
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Gli effetti dell’ “agente orange” sono purtroppo ancora presenti sulle popolazioni, sui reduci di
guerra e sui loro discendenti a distanza di oltre 40 anni dal suo spargimento.
Di fatto fitofarmaci si ritrovano in circa la metà della frutta e verdura che ogni giorno arriva
nei nostri piatti ed essi contaminano diffusamente le matrici ambientali, comprese le acque,
arrivando fino alle falde: un’indagine dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale (ISPRA) ha identificati nelle acque italiane ben 131 di queste sostanze, compresi
inquinanti vietati da molto tempo come l’atrazina e ha dimostrato che il 36.6% dei campioni di
acqua analizzati nel nostro paese è contaminato da fitofarmaci in quantità superiore ai limiti
di legge.
L'esposizione diretta o indiretta delle persone e dell'ambiente a tali sostanze, può avere
effetti negativi, quali disturbi cronici e a lungo termine, particolarmente preoccupanti nei
bambini, nelle persone anziane e nei lavoratori esposti spesso a tali sostanze (gli operatori che
lavorano in agricoltura).
Sul piano ambientale possono essere causa di contaminazione dell'acqua, dell'aria o del suolo.
Le molecole chimiche delle miscele possono disperdersi nell’aria e colpire anche organismi non
bersaglio. Inoltre, raggiungendo le falde acquifere o penetrando nel suolo possono provocare
danni alle vegetazioni spontanee o agli insetti utili. Per i piccoli mammiferi o gli insetti, infatti,
queste molecole chimiche sono spesso molto tossiche.
Alla luce di queste considerazioni e nell’ambito del Sesto programma d'azione per l'ambiente,
adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 22 luglio 2002, è stata prevista
l'elaborazione di una strategia tematica per l'uso sostenibile dei fitofarmaci.
Il quadro normativo è molto complesso e sottoposto a costanti modifiche, per la sostituzione
delle sostanze attive (s.a.) ritenute pericolose per la salute dell’ambiente e dell’uomo e la
definizione di nuovi limiti massimi di residuo (LMR) ossia il livello più alto di residuo per un
fitofarmaco legalmente tollerato negli alimenti o nei mangimi. Tuttavia, la strada da
percorrere per raggiungere un uso sostenibile dei fitofarmaci è ancora molto lunga.
Nonostante gli sforzi tesi a una riduzione dell’uso della chimica di sintesi in agricoltura,
infatti, la quantità di residui di fitofarmaci rilevati nei campioni di ortofrutta e derivati analizzati dai laboratori pubblici italiani delle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale
(ARPA) - risulta elevata.
Nel confronto con i dati del 2011, le irregolarità si tengono al di sotto l’1% (0,6%) e anche i
campioni con un solo residuo ruotano sempre attorno al 18%. Invece, i campioni multi residuo
diminuiscono di un punto percentuale circa (17,1% nel 2012 rispetto al 18,5% del 2011).
La normativa vigente ha portato sicuramente ad un maggiore controllo delle sostanze attive
impiegate nella produzione dei formulati e l’armonizzazione europea dei limiti massimi di
residuo consentito (LMR) negli alimenti, intervenuta nel 2008, ha rappresentato senz’altro un
importante passo in avanti, ma manca una regolamentazione specifica rispetto al simultaneo
impiego di più principi attivi nella produzione dei formulati, come pure sulla rintracciabilità di
più residui in un singolo prodotto alimentare. La normativa, almeno per il momento, come
Legambiente segnala da anni, non si esprime rispetto al cosiddetto multi residuo cioè, al
quantitativo di residui che si possono ritrovare negli alimenti e la definizione stessa dei limiti
di massimo residuo (LMR) si basa solo sui singoli residui.
Un altro problema è poi rappresentato dalla rintracciabilità di fitofarmaci revocati oltre il
termine fissato per lo smaltimento delle scorte. Non sono pochi, infatti, i casi in cui
determinati fitofarmaci vengono rintracciati ben oltre il termine di smaltimento. Esiste un
complesso sistema di deroghe di cui ogni stato membro della comunità, può avvalersi per
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regolamentare l’uso di specifici fitofarmaci in campo e questo, se da un lato può
rappresentare un vantaggio, dato che le coltivazioni e le problematiche annesse sono diverse
da Paese a Paese, rendono il quadro normativo complesso e di difficile interpretazione.
Infine, bisogna considerare che ogni norma dovrebbe scaturire da un’approfondita conoscenza
dei rischi in cui si incorrerebbe senza la loro presenza. Oggi il lavoro di ricerca, che è alla
base di ogni modifica normativa, è sicuramente intenso: il lavoro dell’EFSA, pur rimanendo
ampiamente al di sotto del livello necessario, nel tempo ha iniziato a considerare nelle sue
ricerche sul rischio alimentare le diverse fasce di età della popolazione e le diverse abitudini
alimentari dei vari popoli europei. Resta però un gigantesco traguardo da raggiungere:
mettere a punto delle concrete metodologie d’analisi per i formulati in uso e conoscere gli
effetti sinergici che possono derivare dall’uso simultaneo di più fitofarmaci. E’ necessario
capire i rischi a cui sono esposti in primis i bambini, ma anche gli adulti a causa della presenza
sempre crescente di prodotti multi residuo, cioè di prodotti alimentari contenenti più di un
residuo di fitofarmaco.
Infatti, anche se a piccole dosi e sotto i limiti stabiliti dalla legge, l’azione sinergica di diverse
sostanze assunte dall’ambiente possono avere un effetto cancerogeno. Negli Stati Uniti, per
esempio, dopo cinque anni di studi sulla tossicità dei fitofarmaci - in cui sono stati censiti e
analizzati 289 fitofarmaci dei quali si può trovare traccia negli alimenti, nell’acqua da bere o
nell’aria - è stato verificato che 54 di quelle sostanze erano agenti cancerogeni. Molte di
queste molecole, oltre ad essere dei probabili cancerogeni, sono anche degli interferenti
endocrini.
Va rivolta poi maggiore attenzione anche al problema della contaminazione ambientale. Solo
controllando questo problema si può sperare di limitare la presenza di fitofarmaci sulle nostre
tavole.
La qualità della nostra vita dipende soprattutto dall’ambiente in cui viviamo. Se l’ambiente
circostante è inquinato, le risorse potenzialmente sfruttabili dall’uomo deperiscono a discapito
della salute stessa dell’uomo e delle specie viventi in genere. Si pensi ad esempio alla
scomparsa di specie e quindi alla perdita di biodiversità che si sta oggi realizzando anche a
causa dell’uso non sostenibile dei fitofarmaci. Si pensi all’utilizzo dei neonicotinoidi, gli
antiparassitari che negli anni scorsi avevano causato una moria di api senza precedenti. A
questo punto però serve una risoluzione chiara e definitiva, che vieti per sempre l'impiego dei
neonicotinoidi per la concia delle sementi del mais, visto l'ormai conclamato effetto negativo
sulla salute delle api anche perché l’incidenza dei parassiti e delle patologie del mais nelle tre
stagioni in cui era in vigore il divieto d'uso dei concianti sistemici è stata di poco conto. Il
ripristino della rotazione e delle buone pratiche agronomiche uniti all'approccio di lotta
integrata è da una tecnica oggi da perseguire visto l’ottimo effetto ed efficacia in questo
periodo di “transizione” tra l’uso ed il non uso dei neonicotinoidi.
L’agricoltura italiana in questi anni, nel quadro della scelta di “qualità” che è l’unica che può
garantire la sopravvivenza stessa degli agricoltori, ha fatto importantissimi sforzi rivolti al
raggiungimento dell’uso sostenibile dei fitofarmaci.
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FITOFARMACI: EFFETTI SULLA SALUTE UMANA
I fitofarmaci ancorché impiegati con le opportune precauzioni e dispositivi di protezione
individuale possono avere effetti sugli operatori agricoli che, soprattutto se ripetutamente, li
impiegano sulle colture. Possono inoltre avere effetti sulle persone che indirettamente
vengono a contatto con i fitofarmaci perché ad esempio vivono nelle vicinanze di aree agricole
trattate oppure perché bevono acque derivanti da falde inquinate. I fitofarmaci infatti
contaminano diffusamente le matrici ambientali, comprese le acque, arrivando fino alle acque
sotterranee.
I fitofarmaci inoltre si ritrovano come residui sulla superficie ed all’interno degli alimenti
trattati con i medesimi. Anche se il limite di carenza è stato rispettato nei trattamenti del
prodotto agricolo che viene consumato direttamente o trasformato, residui possono essere
ritrovati. Di fatto residui di fitofarmaci si ritrovano nella frutta e nelle verdure che
quotidianamente arrivano sulle nostre tavole.
Premettendo che gli effetti di queste molecole sugli organismi, e in particolare sull’uomo, sono
molto complessi e difficili da valutare, molti laboratori si stanno occupando della valutazione
degli effetti di queste molecole sulla salute anche perché la trasmissibilità del danno
attraverso le generazioni crea preoccupazioni per la parte più vulnerabile della popolazione
(feti, neonati, bambini).
Tali effetti si manifestano spesso tardivamente (anche dopo decenni) e variano non solo in
base alla durata, al tipo di sostanza e alla loro quantità, ma anche a seconda del momento in
cui avviene l’esposizione. Gravidanza, allattamento, vita fetale, infanzia e pubertà sono
momenti cruciali in cui il contatto con queste sostanze può comportare effetti gravi. La
letteratura al riguardo è abbondante ed è pertanto impossibile enumerare e descrivere in
modo esaustivo tutti gli studi effettuati fino ad oggi. Un recente articolo revisiona gli ultimi
studi effettuati e descrive i danni da esposizione che possono essere a carico di vari sistemi,
da quello immunitario al riproduttivo, all’endocrino fino al neurologico, per non parlare dei
danni al feto (malformazioni, diminuzione della crescita).
Nessun organo è esente da rischio. In uno studio sono stai indagati 66 rischi ed è stata
dimostrata un’associazione positiva e spesso statisticamente significativa tra esposizione ad
alcuni fitofarmaci ed insorgenza di tutti i tumori, tumore al polmone, al pancreas, al colon, al
retto, alla vescica, alla prostata, al cervello e melanomi, leucemie, tutti i tipi di linfoma,
linfomi non Hodgkin, mielosa multiplo.
Gli LMR stabiliti per legge sono limiti sicuri per il consumatore, ma ancora poco si conosce
sulle interazioni tra residui di fitofarmaci diversi e sui possibili effetti legati all’assunzione
ripetuta e prolungata dei fitofarmaci anche se in minime dosi, anche se in quantità rispettose
dei limiti di legge. Il tempo di esposizione e l’azione combinata di più fitofarmaci oltre alla
quantità ed il tipo di fitofarmaci sono fattori di rischio da tenere in considerazione quando si
parla di relazioni tra fitofarmaci e salute umana.
Ma, ad oggi, si è ancora troppo incentrati a studiare i rischi relativi a singoli principi attivi, e
su tali studi si basa anche la definizione dei limiti massimi di residuo (LMR) sanciti
dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). Invece, sarebbe fondamentale che
le indagini sui rischi annessi all’uso di fitofarmaci riguardassero anche l’azione combinata di
più principi attivi e tanto più di quelli che più frequentemente vengono utilizzati in sincrono o
che magari sono miscelati. Infatti, anche se a piccole dosi e sotto i limiti stabiliti dalla legge,
l’azione sinergica di diverse sostanze assunte dall’ambiente possono avere un effetto
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cancerogeno. Negli Stati Uniti, per esempio, dopo cinque anni di studi sulla tossicità dei
fitofarmaci - in cui sono stati censiti e analizzati i fitofarmaci dei quali si può trovare traccia
negli alimenti, nell’acqua da bere o nell’aria, è stato verificato che 54 di queste sostanze erano
agenti cancerogeni. Molte di queste molecole, oltre ad essere dei probabili cancerogeni, sono
degli interferenti endocrini.
L'esposizione ai fitofarmaci può essere di diversi tipi:
• diretto, per chi li usa nelle operazioni agricole;
• indiretto, per chi vive o frequenta l'ambiente circostante a quello in cui vengono utilizzati;
• alimentare, che è quella cui potenzialmente sono sottoposti tutti i consumatori attraverso
l'ingestione di alimenti che contengono residui di fitofarmaci.
Poiché queste sostanze sono velenose non soltanto per gli organismi bersaglio, ma anche per
l'uomo e l'ambiente, tutti i fitofarmaci sono tenuti sotto controllo e devono essere
autorizzati per legge prima dell'immissione in commercio. Inoltre l'agricoltore non può farne
un uso libero, ma deve attenersi strettamente ad alcune regole precise, come la registrazione
di tutti i trattamenti effettuati, il divieto di usare determinati fitofarmaci in alcune colture,
o ancora il rispetto dei tempi di carenza, cioè il lasso di tempo che deve intercorrere tra il
trattamento chimico e il raccolto, per far sì che i fitofarmaci usati abbiano il tempo di
degradarsi prima che frutta e verdura arrivino sulle nostre tavole.
Anche rispettando tutte queste precauzioni, però, il rischio nell'uso dei fitofarmaci rimane
molto alto.
Le modalità con cui si può verificare l’esposizione del lavoratore agricolo sono:
- durante la dispersione del prodotto (vapori, aerosol, particolato);
- mancato o errato utilizzo dei D.P.I. (maschere, tute, guanti ecc.);
- procedure di utilizzo ed immagazzinamento scorrette;
- nel caso di lavori in serra (esposizione “indoor”).
L’intossicazione del lavoratore agricolo può avvenire per:
- inalazione;
- ingestione;
- contatto dermico.
Il lavoratore agricolo che utilizza i fitofarmaci e chi vive o frequenta l'ambiente circostante a
quello in cui vengono utilizzati sono esposti ad essi anche attraverso l’ambiente. Nel caso, in
cui l’ambiente di lavoro coincide con la residenza del lavoratore, come avviene in molte aziende
agricole a conduzione familiare, la presenza di fitofarmaci può essere anche riscontrata anche
nell’ambiente domestico, se l’agricoltore non è sufficientemente attento ad alcune norme di
prevenzione.
L’esposizione ai fitofarmaci, può avvenire, infine, attraverso l’ambiente (per dispersione
diretta della sostanza, per mobilità della stessa, per ripartizione, per bioaccumulo,
persistenza, trasformazione e degradazione). Le modalità possono essere:
- inalazione;
- ingestione di alimenti contaminati;
- contatto dermico.
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L’esposizione può riguardare il consumatore nei casi di:
- uso domestico di insetticidi;
- assunzione di alimenti con residui di fitofarmaci;
- presenza in ambienti contaminati.
Esistono tre tipi tossicità:
- quella acuta, che si manifesta in caso di incidenti nelle persone che ne fanno uso, come gli
agricoltori. L'inalazione e il contatto diretto con i fitofarmaci possono provocare disturbi
immediati, che si manifestano a poche ore dall'esposizione. Molti fitofarmaci, infatti,
penetrano anche attraverso la cute. I sintomi possono essere più o meno gravi, dall'irritazione
della pelle ai problemi respiratori, e richiedono un trattamento tempestivo.
- quella a lungo termine, sempre nelle persone che per lavoro entrano in contatto con queste
sostanze tossiche, di cui si stanno studiando tutte le possibili manifestazioni.
- quella a lungo termine dovuta all'assunzione occasionale o ripetuta di residui nei cibi, di cui si
sa ancora molto poco.
I fitofarmaci non costituiscono un rischio immediato per la salute, ma ciò non significa che si
debba sottovalutare la loro presenza, anche in minima quantità, in ciò che si mangia. Esistono
limiti consentiti dalla legge, entro i quali gli studi dimostrano che non ci sono pericoli per la
salute, ma essi sono calcolati in tutto il mondo in base alla pericolosità del loro consumo da
parte di una persona adulta. Ciò non tiene conto di alcuni fattori molto importanti:
- gli effetti calcolati su organismi diversi da quello dell'adulto, in particolare sui bambini, che
assorbono maggiori quantità di residui perché mangiano di più in proporzione al loro peso
corporeo e i cui organi sono ancora in fase di sviluppo, quindi più vulnerabili;
- la compresenza di residui di più fitofarmaci contemporaneamente, detta tecnicamente
multiresiduo, che produce un effetto cocktail dalle conseguenze ancora sconosciute.
Le caratteristiche fisiche generalmente lipofiliche dei fitofarmaci ne permettono
l'assorbimento attraverso la pelle, il tratto gastrointestinale ed i polmoni ma ne ostacolano la
loro eliminazione, che dipende principalmente dalla loro conversione in sostanze chimiche
solubili in acqua, attraverso un processo di biotrasformazione. La biotrasformazione di queste
sostanze avviene attraverso reazioni catalizzate da enzimi presenti nel fegato e in altri
tessuti. Se il processo di biotrasformazione non avvenisse, i fitofarmaci sarebbero eliminati
dal corpo così lentamente da divenire tossici per l'organismo.
Il metabolismo degli xenobiotici si può schematicamente suddividere in due fasi:
Reazioni di fase 1, dette anche di funzionalizzazione, consistono in idrolisi, riduzioni o
ossidazioni delle sostanze esogene, con il compito di introdurre un gruppo funzionale (p.e. un
gruppo amminico, idrossilico o carbossilico) che ne aumenti l'idrofilicità e quindi l'eliminazione.
Queste reazioni costituiscono la cosiddetta fase di attivazione poiché alcune volte portano
alla formazione di metaboliti particolarmente reattivi che possono reagire con le
macromolecole
biologiche
con
conseguente
effetto
tossico
e
cancerogeno.
Reazioni di fase 2, o di coniugazione, includono glucuronidazione, solfonazione, acetilazione,
metilazione, coniugazione con glutatione o amminoacidi e sono responsabili dell'escrezione dei
composti dal corpo. Tali reazioni rappresentano la cosiddetta fase di detossificazione in
quanto favoriscono l'eliminazione dei composti attraverso i liquidi biologici.
La biotrasformazione di fase 2, non sempre è preceduta da quella di fase 1; in particolare le
sostanze esogene sono trasformate direttamente in prodotti idrosolubili quando tali molecole
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sono resistenti agli enzimi di fase 1 o hanno già di per sé caratteristiche idrofiliche.
In base a quello che abbiamo detto sopra quindi i fitofarmaci una volta arrivati nell'organismo
vengono metabolizzati dagli enzimi e possono dare origine a molecole tossiche e cancerogene.
Gli effetti esercitati sugli organismi superiori e quindi anche sull’uomo dai fitofarmaci sono
molto complessi, difficili da valutare singolarmente, presenti anche a dosi infinitesimali (per
l’atrazina sono descritti effetti a dosi 30.000 volte inferiori ai limiti di legge). Tali effetti si
manifestano spesso tardivamente (anche dopo decenni) e variano anche a seconda del
momento in cui avviene l’esposizione: gravidanza, allattamento, vita fetale, infanzia e pubertà
sono momenti cruciali in cui il contatto con tali agenti può comportare effetti particolarmente
gravi.
Prima di esporre i principali rischi per la salute umana correlati a fitofarmaci ed emersi dagli
studi epidemiologici è bene tuttavia ricordare i limiti che caratterizzano questo tipo di
indagini; questi limiti sono di particolare rilievo in patologie croniche, multifattoriali, che
insorgono a decenni dall’esposizione ed in cui assume sempre più importanza l’esposizione
intrauterina e nelle prime fasi della vita, come avviene per il cancro. Inoltre la diffusione
ormai ubiquitaria degli agenti inquinanti rende molto difficile identificare una popolazione di
controllo realmente non esposta: pertanto non va mai dimenticato che la mancata evidenza del
rischio non corrisponde affatto ad una reale assenza del rischio!
Bisogna inoltre essere consapevoli che anche l’epidemiologia non è immune dalla crescente
influenza che la grande industria esercita anche su questa disciplina, offuscandone talvolta
obiettività e scientificità. Tali problematiche sono state affrontate da numerosi autori che
hanno segnalato come condizionamenti economici e conflitti di interesse influiscono sulle
conclusioni degli autori e sulla valutazione che si dà dei risultati ottenuti.
I disturbatori endocrini
Molti dei fitofarmaci rientrano fra gli “endocrin disruptor”, ovvero “inferenti” o “disturbatori
endocrini”, si tratta cioè molecole in grado di interferire, anche a dosi bassissime, con
funzioni delicatissime quali quelle ormonali, immunitarie, metaboliche, riproduttive: la
diminuzione della fertilità maschile con diminuzione sia nel numero che nella motilità degli
spermatozoi, disturbi alla pubertà, endometriosi, malformazioni (in particolare a carico
dell’apparato genitale), patologie neurodegenerative come il Parkinson, disfunzioni tiroidee
sono solo alcuni degli effetti segnalati. Tutto ciò dà ragione della crescente attenzione e
preoccupazione circa gli effetti di queste molecole da parte delle più importanti istituzioni a
livello nazionale ed internazionale.
Effetti sulla salute umana riconducibili all’azione di Endocrin Disruptors:
1. disfunzioni ormonali (specie alla tiroide
2. sviluppo puberale precoce
3. diminuzione fertilità maschile
4. aumento abortività spontanea e di gravidanza extrauetrina
5. disturbi autoimmuni
6. aumentato rischio di criptorchidismo e ipospadia
7. diabete/ alcune forme di obesità
8. elevato rischio di tumori
9. deficit cognitivi e disturbi comportamentali
10. patologie neurodegenerative
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Tali effetti si manifestano spesso tardivamente (anche dopo decenni) e variano anche a
seconda del momento in cui avviene l’esposizione: ad es. si è di recente dimostrato che
l’esposizione a DDT ( un insetticida in uso negli anni ‘50 che - anche se bandito da anni - ancor
oggi è presente nelle matrici ambientali) è correlato ad un aumentato rischio di cancro
mammario se l’esposizione è avvenuta in età prepubere.
Gravidanza, allattamento, vita fetale, infanzia e pubertà sono quindi momenti cruciali in cui il
contatto con tali agenti può comportare effetti particolarmente gravi. Ancora più sgomento
desta la segnalazione che tali effetti possono essere trans-generazionali, ovvero trasmettersi
attraverso la linea germinale anche se viene a cessare l’esposizione!
I principali gruppi di fitofarmaci con potenziali effetti di Endocrin Disruptors sono:
- Insetticidi clorurati (lindano, dieldrin)
- Insetticidi organofosforici
- Fungicidi ( vinclozolin, linorun)
- Trazoli ( ciproconazolo)
- Imidazoli ( imizalil)
- Triazine ( atrazina, simazina)
- Etilene bisditiocarbammatil ( mancozeb)
- Coformulanti( alchifenoli)
La caratterizzazione dei possibili rischi per la salute umana associati all'esposizione a
"interferenti endocrini" è una delle priorità per la sicurezza degli alimenti e dell'ambiente.
La valutazione del rischio degli interferenti endocrini è una componente importante per la
sicurezza alimentare sostenibile, cioè per l'insieme delle azioni volte a minimizzare le
conseguenze avverse sulla salute anche della generazione futura associate alla presente
sicurezza e qualità nutrizionale dell'alimento. Per questo motivo, la UE ha recentemente
predisposto un database in cui è presente l'elenco prioritario delle sostanze di cui occorre
valutare il ruolo nel processo di alterazione del sistema endocrino. Il database comprende non
solo le sostanze classificate in termini di priorità, ma anche le informazioni scientifiche che
ne definiscono la priorità.
Agenti con azione mutagena e cancerogena
Possiamo con ragionevole certezza affermare che la relazione fra fitofarmaci e tumori umani,
in particolare linfomi, mielomi e leucemie, ma anche diversi tumori solidi, è stata ormai
dimostrata in modo inequivocabile per gli agricoltori o per i lavoratori esposti; la
dimostrazione che l’esposizione a dosi “ambientali” sia parimenti pericolosa è certamente più
ardua (anche perché è ormai difficile trovare popolazioni di controllo veramente non esposte),
tuttavia è difficile pensare di poter “assolvere” queste molecole, ormai entrate nel nostro
habitat, anche se assunte a dosi inferiori rispetto alle esposizioni lavorative.
E’ ormai assodato che molti di questi agenti, alcuni dei quali rientrano anche nella precedente
categoria, hanno anche una azione mutagena e cancerogena e numerosissimi sono i tipi di
cancro messi in relazione col loro uso per esposizioni professionali, in particolare segnalati
aumenti di: tumori cerebrali, tumori alla mammella, al pancreas, ai testicoli, al polmone,
sarcomi e soprattutto leucemie, linfomi non Hodgkin (LNH) e mielomi.
E’ ampiamente documentato un aumentato rischio specie per patologie oncoematologiche quali
leucemie e linfomi.
Una recente revisione che ha preso in esame 104 studi selezionandone 83, ha mostrato i rischi
di cancro qui descritti:
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Polmone: in 2 studi su 4 esaminati emerge associazione positiva.
Mammella: in 5 studi su 6 esaminati emerge associazione positiva.
Pancreas: in 3 studi su 3 esaminati emerge associazione positiva.
Linfomi Non Hodgkin: in 23 studi su 27 esaminati emerge associazione positiva.
Leucemie: in 14 studi su 16 esaminati emerge associazione positiva.
Cervello: in 11 studi su 11 esaminati emerge associazione positiva.
Prostata: in 8 studi su 8 esaminati emerge associazione positiva.
Stomaco: in 1 studio su 1 esaminati emerge associazione positiva.
Ovaio: nell’unico studio esaminato non viene riscontrata associazione.
Rene: in 6 studi su 7 esaminati emerge associazione positiva.
Agenti che provocano malattie del sangue
Come detto sopra si documenta un aumentato rischio di leucemie per esposizione a
fitofarmaci in 14 su 16 degli studi esaminati ed un aumentato rischio di linfomi non Hodgkin in
23 dei 27 studi esaminati.
Un recentissimo studio condotto in Francia su un gruppo di agricoltori esposti a fitofarmaci e
seguito per 9 anni ha mostrato una drammatica espansione di cloni di linfociti con la
traslocazione, primo passaggio per la successiva evoluzione linfomatosa. Questo studio è di
fondamentale importanza perché per la prima volta viene fatta luce sui meccanismi molecolari
che mettono in relazione l’esposizione ai fitofarmaci con le malattie del sangue. Ha
evidenziato un rischio elevato anche per il linfoma di Hodgkin, prima raramente emerso: in
particolare per esposizione a triazolo (fungicida) e per esposizione ad erbicidi a base di urea il
rischio aumenta in modo statisticamente significativo (cioè non attribuibile al caso)
rispettivamente di oltre il 700% ed oltre il 900%.
Ulteriori informazioni provengono da studi molto ampi condotti sulla salute degli agricoltori in
U.S.A.. Tali indagini hanno confermato quanto già emerso da precedenti studi ed in particolare
è emerso un aumentato rischio di:
- leucemie: per esposizione ad agenti organocloruralti quali aldrin, chlordane, DDT, heptachlor,
lindane (per questi due ultimi incremento del 100%) e per esposizione a mancozeb e toxaphene
incremento rispettivamente del 120% e 135%;
- linfomi Non Hodgkin: incremento del 160% per esposizione a lindane, del 25% per
esposizione a cynazina, del 280% per esposizione a 2-4D (acido-2,4-diclorofenossiacetico);
- mieloma multiplo: incremento del 34% fra esposti a svariate molecole e del 160% per esposti
al glifosate.
L’azione dei fitofarmaci sulla salute ed in particolare l’azione sulle malattie del sangue è stata
messa in relazione al fatto che alcuni di tali agenti, a cominciare dall’agente “orange”, sono
spesso contaminati da diossine ed inoltre queste molecole spesso presentano con la diossina:
nel 1976 a Seveso, da un impianto della Roche, fuoriuscì una grande quantità di diossina (
TCDD = 2,3,7,8 tetra clorodibenzodiossina): a distanza di 25 anni i neonati nati da madri
esposte da bambine nell’ area più contaminata, presentano alla nascita Rischio Relativo (RR)
pari ad 1.66 per aumento dell’ ormone tireotropo (TSH) – indice di ipofunzione tiroidea e
sempre nell’area più inquinata (zona A) il rischio di morte per emolinfopatie (RR) è pari a 5.38.
Proprio da studi sulla popolazione esposta all’incidente di Seveso sono anche giunte importanti
osservazioni circa il meccanismo di azione esercitato dalla diossina sui linfociti: si è visto che
negli individui in cui era più alta la presenza di TCDD nel sangue, aumentava proporzionalmente
11
nei linfociti circolanti la presenza della traslocazione. La traslocazione rappresenta un evento
cruciale nella linfomagenesi e la si ritrova in oltre il 70% dei linfomi Non Hodgkin
centrofollicolari e con minor frequenza anche in altri istotipi.
Questa alterazione cromosomica è stata ritrovata anche nei linfociti circolanti di individui in
buona salute e non può ritenersi pertanto indicatore certo di malattia; tuttavia essa
rappresenta sicuramente un primo gradino nel processo di trasformazione tumorale ed il netto
incremento di linfociti portatori della traslocazione in seguito a massiccia esposizione a
diossina suggerisce che la diossina comporti una sorta di “facilitazione” all’espansione del
clone traslocato.
Possiamo senza dubbio affermare che l’esposizione a fitofarmaci rappresenta un rischio per la
salute umana in quanto queste molecole, anche a dosi bassissime, interferiscono con complesse
funzioni ormonali, essenziali per l’omeostasi dell’organismo e che tali rischi sono ovviamente
più consistenti per esposizioni che si realizzano durante le prime fasi della vita.
Di particolare rilievo è inoltre il documentato rischio cancerogeno, in particolare linfomi,
mielomi e leucemie.
Si pensi che l’incremento annuo in Italia per linfomi e leucemie da 0 a 14 anni è
rispettivamente del 4.6% e dell’1.6% rispetto ad un incremento in Europa rispettivamente
dello 0.9%, e dello 0.6% e che complessivamente l’incremento di cancro nell’infanzia è doppio
rispetto alla media europea (+ 2% rispetto a +1,1%).
Tutto ciò deve farci seriamente riflettere: certamente tanti altri agenti sono coinvolti, basti
pensare al benzene, alle radiazioni – ionizzanti o non ionizzanti – e su tutti questi bisogna agire
per una loro drastica riduzione, ma ciò non toglie che sia del tutto legittimo pretendere di
sapere anche cosa c’è nel nostro piatto, nel cibo che mangiamo, nell’acqua che beviamo e
soprattutto cosa arriva sul desco dei nostri bambini.
Di fatto la probabilità di ricevere una diagnosi di cancro nell’arco della vita in Italia è ormai
del 50% sia per i maschi che per le femmine, ovvero ad un uomo su due ed a una donna su due
verrà fatta una diagnosi di cancro nel corso della vita. Sempre più emerge nella letteratura
internazionale che i fattori comunemente ritenuti responsabili del cancro (invecchiamento,
stile di vita, tabagismo ecc.) possono spiegare non più del 40% dei casi ed altri fattori, in
primis quelli ambientali, devono essere invocati; d’altra parte non possiamo sperare certo di
risolvere il problema del cancro con farmaci costosissimi che il più delle volte possono
prolungare un po’ la vita, ma che non comportano una guarigione definitiva.
Di fronte a queste considerazioni appare sempre più urgente imboccare l’unica strada che fino
ad ora non è stata percorsa nella guerra contro il cancro, ovvero la strada della Prevenzione
Primaria, cioè una drastica riduzione della esposizione a tutti quegli agenti chimici e fisici già
ampiamente noti per la loro tossicità e cancerogenicità. La dimostrazione di quanto sia
vincente la strada della Prevenzione Primaria viene proprio, nel campo dei fitofarmaci, da
quanto è stato fatto in Svezia dove, grazie alle ricerche di un coraggioso medico Lennart
Hardell, negli anni ’70 furono messi al bando alcuni fitofarmaci: ora, a distanza di trenta anni,
in quel paese si sta registrando una diminuzione nell’incidenza dei linfomi.
E’ nell’interesse di tutti e soprattutto di chi verrà dopo di noi passare dalle parole ai fatti,
adottare precise norme a tutela della salute pubblica e pretendere l’applicazione delle leggi
già esistenti, perchè come ha detto Sandra Steinberg: “dal diritto di conoscere e dal dovere
di indagare discende l’obbligo di agire”.
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FITOFARMACI: EFFETTI SULL’AMBIENTE
La ricerca di una maggiore produttività e di elevati standard dei prodotti ha portato da tempo
ad un uso indiscriminato di fitofarmaci per difendere le colture da patogeni e infestanti.
Sempre più evidenti risultano i danni per l'ambiente derivanti da una eccessiva e crescente
"chimicizzazione" dell'agricoltura, sia in termini di accumulazione di residui tossici e
cancerogeni nel tessuto adiposo di uomini e animali, che di avvelenamento dei suoli, delle acque
sotterranee e di superficie.
La nostra agricoltura detiene il record europeo di quantità d’impiego di fitosanitari: 5,6 chili
per ettaro (dati Istat), 350 sostanze tossiche diverse, 140.000 tonnellate all’anno, che da
sole fanno il 33 per cento del totale usato in tutta l’Unione europea.
I fitofarmaci sono importanti per la difesa dei raccolti ma possono provocare effetti sulla
struttura e sulle funzioni degli ecosistemi riducendo le popolazioni di un certo numero di
specie; alterano il comportamento normale degli animali, stimolano o inibiscono la crescita di
animali e piante, incrementano o deprimono la capacità riproduttiva degli animali.
Se da una parte è vero che non si possono sottovalutare i benefici economici sulla produttività
e sulla "commerciabilità" del prodotto, dall'altra vi sono moltissimi lavori scientifici che
evidenziano gli effetti nocivi che fitofarmaci hanno determinato sull'ambiente.
Il rapporto 2010 sull’uso delle sostanze chimiche in agricoltura del NASS-USDA, il Servizio
Statistico statunitense del Dipartimento dell’Agricoltura, mostra un aumento soprattutto in
campi di mais e cotone del ricorso al Glyphosate, uno dei principi attivi più conosciuti usato
come diserbante. Da questa relazione risulta così un aumento nell’uso di varietà di mais
resistenti a prodotti a base di Glyphosate. Inoltre, l’uso di atrazina, un comprovato
interferente endocrino, si afferma al secondo posto tra i fitofarmaci più utilizzati in USA,
benché sia nella lista nera degli agenti cancerogeni.
L’utilizzo di quantità consistenti di questi prodotti ha fatto sì che tali sostanze siano
rintracciabili anche nelle principali matrici ambientali, oltre che ovviamente nei prodotti
agricoli trattati, anche a distanza di molti anni dal loro ritiro dal commercio.
La qualità della nostra vita dipende soprattutto dall’ambiente in cui viviamo. Se l’ambiente
circostante è inquinato, le risorse potenzialmente sfruttabili dall’uomo deperiscono a discapito
della salute stessa dell’uomo e delle specie viventi in genere.
L’inquinamento dell’acqua
Metà delle acque di laghi e fiumi italiani è contaminata da pesticidi. E aumenta il numero di
sostanze pericolose trovate nelle acque, sia superficiali che sotterranee: nel 2010 sono stati
individuati ben 166 tipi diversi di pesticidi, a fronte dei 118 del biennio 2007-2008 secondo i
dati raccolti dall’Ispra sulla base dei monitoraggi delle acque effettuati dalle Regioni e dalle
Agenzie regionali e provinciali per la protezione ambientale.
Il 55,1 per cento delle acque superficiali (fiumi, laghi e paludi) e il 28,2 per cento di quelle
sotterranee sono contaminati. A rischio sono sia gli organismi acquatici che l’uomo, esposto ai
contaminanti attraverso il cibo e l’acqua. Le acque utilizzate per scopo potabile spesso
attingono agli stessi corpi idrici degli ecosistemi acquatici e superano i livelli massimi di
pesticidi consentiti per le acque potabili (secondo la direttiva 98/88 CE, la concentrazione
massima di agrofarmaci ammessa nelle acque potabili è di 0,1 µg/l) il 34,4 per cento delle
acque superficiali analizzate e il 12,3 di quelle sotterranee.
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Nelle acque italiane vengono rinvenute sostanze fuori commercio da anni, come le triazine
atrazina e simazina. Non si può escludere che vengano ancora impiegate illegalmente, ma è più
probabile che la loro rilevazione sia dovuta alla loro persistenza.
I fitofarmaci si diffondono nell’ambiente facilmente durante le fasi d’irrorazione dei prodotti
ortofrutticoli e possono così contaminare anche le acque, e non solo quelle interne, anche a
grandi distanze dai luoghi in cui vengono applicati.
Per valutare i livelli di contaminazione nel bacino del Mediterraneo occidentale, recentemente
è stato finanziato un progetto all’interno del Programma di Iniziativa Comunitaria Interreg
IIIB Meddoc che prevede l’uso di mitili (Mytilus galloprovincialis L.) per il monitoraggio
marino-costiero. L'adozione di metodologie condivise con lo scopo di costruire una rete
comune di sorveglianza è parte del progetto che coinvolge Italia, Francia, Spagna, Marocco,
Algeria e Tunisia, tra cui l'ambiente costiero delle Baleari, Sicilia, Sardegna e Corsica.
L’inquinamento dell’aria
Negli Stati Uniti sono stati effettuati dei campionamenti per studiare il rapporto tra i livelli
di inquinanti organici persistenti nelle cortecce degli alberi (campionatori passivi) e quelli in
aria e nelle precipitazioni. In questi campioni sono state misurate le concentrazioni di Etere di
difenile Polibromurato, Dechlorano plus, Decabromodifeniletano, Policlorobifenili, Ddt e
Chlordano ed è risultato che, in generale, le loro concentrazioni nelle cortecce sono
significativamente legati alla concentrazione di questi composti in aria e nelle precipitazioni
raccolte nelle vicinanze dell'albero campionato. In questo studio, le più alte concentrazioni di
inquinanti sono state osservate in aree urbane, mentre concentrazioni più basse di 3-4 ordini
di grandezza sono state rilevate negli altri siti. Per questo motivo è importante monitorare
l’uso dei fitofarmaci in quanto il trasporto tramite aria, acqua e suolo può avvenire facilmente
anche in aree in cui non vengono utilizzate.
Effetti sulla biodiversità e il caso delle api
Un altro effetto negativo legato all'uso di fitofarmaci e in generale di prodotti chimici per
l'agricoltura si produce sulla biodiversità.
L'uso non sostenibile dei fitofarmaci ha alterato gli ecosistemi sia relativamente alla fauna
che alla flora e le conseguenze più rilevanti sono state:
- la riduzione della variabilità genetica dei sistemi viventi,
- i processi di eutrofizzazione delle acque dolci e di quelle marine,
- l'alterazione chimico-fisica e biologica dei suoli.
L’uso di molecole di cui non si conosce l’effetto sull’ambiente può provocare la persistenza e
l’accumulo nelle matrici ed il successivo bioaccumulo nelle specie viventi e la biomagnificazione
lungo la catena trofica di queste sostanze o dei loro metaboliti e probabili danni all’interno
delle popolazioni con conseguente impoverimento nel numero delle specie.
Inoltre, la gran parte delle sostanze oggi utilizzate come fitofarmaci è a largo spettro per cui
può colpire anche organismi non bersaglio, cioè insetti utili come ad esempio le api.
Nell’ambito della salvaguardia e della sopravvivenza degli ecosistemi le api sono un importante
indicatore di salute e qualità dell’ambiente in cui viviamo e rappresentano l’apporto principale
al mantenimento di un equilibrio naturale, svolgendo un ruolo più che centrale
nell’impollinazione. Basti pensare che il 22,6% di tutta la produzione agricola nei paesi in via di
sviluppo e il 14,7% della produzione agricola nel mondo sviluppato sono direttamente
dipendenti dall'impollinazione delle api. Questa dipendenza è nettamente superiore
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all’aumento globale del numero di colonie d'api e suggerisce che in un futuro prossimo questi
impollinatori possano limitare la produzione di colture impollinatore-dipendente. Allo stato
attuale il numero totale di colonie d'api in tutto il mondo è stimato in 72,6 milioni, tuttavia, se
in Europa e Nord America tra il 1961 e il 2006 si è verificata una diminuzione di colonie del
76%, si sono registrati aumenti in Asia (426%), Africa (130%), Sud America (86%) e Oceania
(39%). La perdita di api domestiche nei mercati occidentali è senza dubbio legata a diversi
fattori tra loro molto eterogenei come malattie (per esempio la varroa) parassiti, fitofarmaci,
ambiente e fattori socio-economici. A tale proposito, il quadro proposto all'Iucn, World
Conservation Congress di Jeju mette in luce una forte correlazione tra la perdita di
biodiversità animale, particolarmente concentrata tra gli insetti, e lo sviluppo di attività
legate all'agricoltura intensiva. Senza dubbio l’uso massiccio di agrofarmaci ha modificato
profondamente l’assetto ambientale e la biodiversità degli ecosistemi e ha giocato un ruolo più
che rilevante nella perdita di molti invertebrati tra cui, in prima linea, le api. Queste ultime
sono frequentemente esposte a sostanze chimiche presenti nell'ambiente come conseguenza
della loro attività di foraggiamento e gli effetti di questa continua esposizione sono evidenti
sia a livello di intossicazione acuta che in casi di esposizioni a breve e a lungo termine. Effetti
come paralisi, disorientamento o cambiamenti comportamentali (apprendimento,
comportamento, comunicazione), sebbene sub-letali, influenzano profondamente le fasi di vita
ed i livelli organizzativi delle popolazioni, determinando a lungo termine effetti disastrosi
sull’equilibrio ambientale e sulla stessa produttività agricola, soprattutto nel caso di colture
con impollinazione api-dipendenti. Il modello di difesa fitosanitaria delle colture basato
sull’approccio chimico ha dimostrato di causare notevoli costi ambientali senza, del resto,
apportare un’efficace contropartita nella lotta alle infestazioni parassitarie. Un caso tra tutti
è quello testimoniato dalla pluriennale ricerca finanziata dal Ministero dell’Agricoltura italiano
sugli effetti dei concianti sistemici e sul contrasto alla diabrotica del mais. Questo studio,
attraverso molteplici e importanti accertamenti scientifici, ha individuato quali killer di
alveari e insetti utili le sostanze attive sistemiche neonicotinoidi. Come conseguenza di questi
studi, a partire dal 2008, si è proceduto alla sospensione periodica di alcune sostanze
concianti. Secondo l’Unione Nazionale Associazione Apicoltori italiani (Unaapi), i danni più
significativi provocati dal coleottero, infatti, si sono verificati proprio nella stagione
produttiva del 2008, ovvero quando il trattamento chimico delle semine era ancora
autorizzato. A partire dagli anni successivi, invece, si sono avuti danni molto limitati: nel 2010
il parassita ha provocato problemi solo sullo 0,1 della superficie coltivata e nel 2011 si è avuta
una produzione di mais senza alcun danni. Gli effetti benefici della sospensione sono, con
molta probabilità, correlati a una sostituzione dell’utilizzo dei concianti con la scelta di
elementari regole di agronomia, più classiche ma meno dannose, come il semplice ricorso alla
rotazione delle colture. Contemporaneamente, dopo la moria delle api degli ultimi anni,
l'apicoltura italiana ha mostrato una forte ripresa negli areali coltivati a mais e interessati dal
divieto d’uso dei concianti neonicotinoidi, dato confermato dal rapporto Inea 2011.
Se gli effetti benefici di questa sospensione a livello nazionale sono più che manifesti, gli
apicoltori italiani denunciano sempre più frequenti stragi e fenomeni di avvelenamento di
alveari in stagione, provocati da nuovi insetticidi. Gli esempi più gravi di spopolamento sono
stati accertati dalla Valtellina per la difesa del melo, al sud Italia su agrumi, mentre casi simili
sono stati denunciati in Piemonte con danni provocati da trattamenti insetticidi continui su
coltivazioni di vite. Anche in questo caso il rapporto costo/benefici ha messo in luce la scarsa
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efficacia dei trattamenti chimici, ottenendo risultati scarsamente significativi nella difesa
dei vigneti dal virus della flavescenza dorata.
A fronte di queste considerazioni e delle richieste dell’apicoltura italiana, si mostra
necessaria una risoluzione definitiva nella sospensione dell’uso dei concianti per le sementi del
mais, richiedendo lo stop definitivo nell’utilizzo di queste sostanze e, parallelamente, una
rigorosa rivalutazione del loro uso su altri tipologie di colture. Parallelamente si mostra più
che doverosa la valutazione degli effetti di altri fitofarmaci a largo uso sulla salute delle api.
L’efficacia del ripristino della rotazione ha messo in luce come l’utilizzo di buone pratiche
agronomiche unito all'approccio di lotta integrata siano tecniche da perseguire per migliorare
la qualità dei prodotti, della salute umana e dell’ambiente.
Infine, non bisogna dimenticare che con l’uso dei fitofarmaci possono insorgere delle
resistenze all’uso di erbicidi o insetticidi che possono finire per favorire le specie dannose
piuttosto che quelle utili.
Oggi, le usuali procedure per la stima del rischio ecotossicologico, basate sul rapporto tra
indicatori di effetto e di esposizione, spesso mancano di realismo ecologico, poiché le
situazioni che si vengono a trovare in campo sono molto diverse da quelle di laboratorio. La
situazione reale è infatti quella di una comunità, e non di una sola popolazione, esposta ad una
miscela di contaminanti, non ad un solo xenobiotico, e alla fluttuazione dei parametri
ambientali, e non nelle condizioni controllate del laboratorio. Con queste premesse risulta di
grande importanza lo studio in campo degli effetti reali dei fitofarmaci sulle comunità.
Recentemente è stato svolto un’indagine di una comunità naturale di microartropodi del suolo
in un vigneto soggetto all’applicazione di fitofarmaci. Il monitoraggio, durato un anno (da
giugno 2008 a giugno 2009), indica che i microartropodi sono più sensibili ai fitofarmaci
rispetto ai lombrichi, non solo per quanto riguarda gli insetticidi, ma anche i fungicidi e gli
erbicidi. Sembra quindi che sia più opportuno non considerarli come organismi da testare in
indagini di primo livello, ma la comunità effettiva su cui eseguire la valutazione del rischio nel
comparto suolo.
Gli indicatori di rischio
Utili strumenti che possono aiutare tecnici ed agricoltori nella scelta del fitofarmaco da
utilizzare, perché prendono in considerazione numerosi elementi, sono gli indicatori di rischio,
cui merita dedicare un cenno. Oltre all’efficacia contro il patogeno ed alle autorizzazioni
all’uso, è infatti fondamentale valutare anche la tossicità per l’uomo e per l’ambiente in senso
lato (acque, terreni, organismi viventi). Attraverso il calcolo di un indice rappresentativo del
rischio d’uso di uno specifico fitofarmaco, è possibile capire quanto quella sostanza può
rappresentare un rischio per la salute e l’ambiente. La Direttiva CE 128/2009 fra l’altro
prevede l’uso obbligatorio di servizi di assistenza tecnica territoriale finalizzati
all’introduzione delle strategie di lotta integrata e dell’uso sostenibile dei fitofarmaci, nonché
proprio degli indicatori di rischio. Con l’uso di questi indicatori i tecnici e gli agricoltori che
lavorano in programmi di lotta integrata, possono associare gli effetti ambientali con
l’efficacia ed il costo del prodotto nella fase decisionale. Per esempio, tra i diversi
fitofarmaci utilizzabili contro un dato parassita, si potrà scegliere quello meno tossico.
Diventa possibile stimare rapidamente l’impatto ambientale dei diversi fitofarmaci e delle
varie strategie di lotta prima della loro applicazione, con il vantaggio di un miglioramento nei
programmi di difesa integrata dell’approccio riguardo all’attenzione ambientale.
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I programmi di lotta integrata possono anche usare gli indicatori come alternativa per
misurare l’impatto ambientale di diverse strategie di controllo. Se verranno messi sul mercato
fitofarmaci con valori di indice più bassi e si darà maggior spazio ai fattori di contenimento
nei programmi di lotta integrata, i valori di rischio per l’uso in campo continueranno a
diminuire, con ovvii vantaggi per ambiente, consumatore ed operatori.
Negli ultimi anni si stanno sviluppando numerosi metodi di valutazione, che, partendo dai dati
delle banche dati sui fitofarmaci, in sintesi considerano gli elementi di seguito esposti. Essi
sono strumenti di pratica utilità che in alcuni casi si possono rivelare insostituibili.
Gli indicatori di rischio (il rischio è la probabilità che l’effetto pericoloso si manifesti e
dipende dall’interazione “pericolo x esposizione”) per i fitofarmaci combinano le informazioni
su pericolo (pericolo è il potenziale effetto indesiderato che una sostanza può provocare) ed
esposizione (è la probabilità di entrare in contatto con la sostanza indesiderata per
esposizione dell’operatore durante l’uso delle sostanze, ricaduta atmosferica dopo
l’irrorazione, volatilizzazione, deriva durante i trattamenti, ridistribuzione dopo i trattamenti
nei diversi comparti ambientali per scorrimento, percolamento, lisciviazione, ruscellamento,..).
Tra i numerosi indicatori di rischio, il EPRIP viene usato anche a livello sperimentale dal
sistema esperto SuSAP WEB messo a punto da ERSAF e Regione Lombardia in collaborazione
con l’Università Cattolica di Piacenza e il Centro Internazionale per gli Antiparassitari e la
Prevenzione sanitaria di Milano ed è un indicatore di rischio per la valutazione della
pericolosità nei quattro comparti ambientali (acque sotterranee, acque superficiali, suolo e
aria) relativamente all'uso di fitofarmaci. EPRIP può essere usato per identificare colture ove
l'uso dei prodotti fitosanitari ponga i rischi più elevati per gli organismi non bersaglio (uccelli,
pesci, ecc.), per classificare tali prodotti secondo una valutazione di impatto ambientale e per
aiutare gli agricoltori nella scelta.
L'indicatore EPRIP si basa come detto sul rapporto della concentrazione ambientale prevista,
stimata su scala locale (campo e vicinanze), con i parametri di tossicità a breve termine.
Rifletterà perciò lo scenario più pessimistico dal momento che si assume che gli organismi
siano soggetti ad una massima esposizione sia nello spazio che nel tempo. Si prende in
considerazione il rischio potenziale per organismi non bersaglio come lombrichi, pesci, alghe e
crostacei; poiché per organismi non bersaglio nelle acque sotterranee e nell'aria non ci sono
dati attendibili, in riferimento a tali comparti si considera per il momento l'uomo.
EPRIP si calcola usando una procedura a stadi. Anzitutto si calcolano le PEC (concentrazioni
ambientali previste) e le soglie di tossicità o eco-tossicità per ciascun comparto. In
particolare, si calcolano due diverse PEC per le acque superficiali (uno per contaminazione da
deriva e una da ruscellamento) e si usano tre diversi valori di eco-tossicità per alghe,
crostacei e pesci. Poi, nel terzo stadio, si calcola l' ETR (esposizione – PEC - in rapporto alla
soglia di tossicità) nel seguente modo: ETR=PEC/tossicità
In seguito, si trasformano gli ETR in punti di rischio (RP) usando una scala da 1 a 5; finalmente
si ottiene il valore di EPRIP moltiplicando i valori di RP dei diversi comparti come contributi al
rischio ambientale - ovvero acque superficiali (sw) e sotterranee (gw), suolo (s) e aria (a)- e
aggiungendo gli opportuni fattori di correzione. I valori di EPRIP variano tra 1 e 825 e sono
assegnati a diverse classi di rischio potenziale sulla base di valutazioni di esperti.
Valore EPRIP e classificazione del rischio potenziale
EPRIP 1: rischio potenziale nullo
EPRIP 82-256: rischio potenziale moderato
EPRIP 2-16: rischio potenziale trascurabile
EPRIP 257-400: rischio potenziale elevato
EPRIP 17-81: rischio potenziale basso
EPRIP >400: rischio potenziale molto elevato
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CONCIMI CHIMICI: EFFETTI SULL’AMBIENTE
Apriamo una piccola parentesi sui concimi chimici di sintesi che insieme ai fitofarmaci, se
impiegati in modo non sostenibile apportano danni ingenti all’ambiente.
I fertilizzanti chimici si aggiungono al suolo per mantenerne o aumentarne la produttività e
quindi la resa delle colture. Le elevate concimazioni modificano profondamente i cicli degli
elementi (del carbonio, dell'azoto, del fosforo, etc.) che costituiscono meccanismi delicati per
il mantenimento degli equilibri biologici e chimici in un ecosistema e tra gli ecosistemi della
biosfera. L'eccesso di fertilizzanti minerali favorisce una veloce metabolizzazione della
sostanza organica presente nel terreno da parte dei batteri.
Il fenomeno è connesso con le lavorazioni profonde e con le monocolture di cereali che non
riescono a ripristinare il contenuto di sostanza organica. In questo modo il terreno viene
impoverito di materiale organico. Il materiale organico, che nei metodi di lavorazione agricola
meno intensiva rimane sul terreno, viene decomposto dai microorganismi del suolo e convertito
in un complesso di composti organici (l'humus) essenziali per i suoli perché controllano la
ritenzione e il movimento dell'acqua e dell'ossigeno contenendo le strutture del suolo stesso.
Dal materiale organico, dunque, si forma un complesso chimico-microbiologico di base, dove
attraverso la metabolizzazione dinamica del materiale stesso, si rendono disponibili i nutrienti
delle piante. Infatti i microrganismi mineralizzano le sostanze organiche con produzione di
nitrati, fosfati, sali di potassio e solfati. A causa della complessità dei meccanismi che lo
producono, il complesso minerale nutritivo è rilasciato gradualmente secondo le naturali
richieste delle piante.
Quando invece il contenuto di sostanza organica è basso, la fertilizzazione minerale è
necessariamente effettuata in eccesso rispetto alle richieste fisiologiche delle piante e alle
capacità di ritenzione del terreno.
In particolare, il sovraccarico ambientale di azoto si verifica nel momento in cui gli apporti con
le concimazioni superano la capacità di metabolizzazione da parte della vegetazione e della
microflora terricola. Da qui la necessità di limitare l’impiego di azoto solo per le quantità
assorbibili dalla vegetazione ed apportarlo solo vicino ai momenti di intenso assorbimento da
parte delle colture.
Una parte consistente del prodotto viene rilasciata allo stato solubile nel suolo e nelle acque,
dove si accumulano insieme alle impurità contenute nei fertilizzanti (per esempio i metalli
pesanti). Alcune di queste sostanze, come i nitrati, i fosfati e il potassio, possono inoltre
immettersi nelle acque sotterranee e raggiungere successivamente le acque superficiali.
I danni principali che si producono sono:
- l'inquinamento delle acque sotterranee con seri rischi per la qualità delle acque potabili,
- elevati contenuti di azoto nel suolo possono tradursi in eccessive concentrazioni di nitrati
nei vegetali, soprattutto negli ortaggi, con conseguenti rischi per la salute del consumatore.
- eutrofizzazione delle acque superficiali: un processo degenerativo delle acque indotto da
eccessivi apporti di sostanze ad effetto fertilizzante (azoto, fosforo ed altre sostanze
fitostimolanti) trasportate dai corsi d’acqua superficiali che si manifesta con alterazione del
colore e della trasparenza delle acque per le alte concentrazione di microalghe (il cosiddetto
fitoplancton) in sospensione, con ricadute sull’ambiente molto negative perché provoca
carenze di ossigeno nelle acque di fondo con stati di sofferenze per pesci, molluschi,
crostacei, ecc..
- rilascio di ossidi si azoto nella stratosfera con interferenza sul chimismo dell’ozono.
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EFFETTI DEI PRINCIPI ATTIVI PIÙ DIFFUSI SU UOMO E AMBIENTE
Benomyl. Possibile cancerogeno per l 'uomo secondo l 'Epa. Sostanza organofosforica molto
usata nella coltura della mela. Tracce di benomyl possono rimanere sulla buccia del frutto. E'
una sostanza altamente tossica soprattutto a carico del fegato, teratogena e genotossica,
causando danni a livello dei cromosomi. Anche le disfunzioni della tiroide sono molto comuni in
presenza di un’esposizione prolungata agli organoclorurati. Secondo un recente studio, la
probabilità che si manifesti l’ipotiroidismo in contadini che usano il Benomil è elevata.
Boscalid. E' una sostanza attiva fungicida di contatto, molto attivo nei confronti di numerosi
funghi patogeni. Nella pianta viene assorbito dalle foglie e viene trasportato per via
translaminare attraverso i tessuti fino a raggiungere la lamina opposta. Durante questo
processo un a parte della sostanza attiva penetra in profondità nel tessuto e raggiunge la
circolazione linfatica seguendo un andamento acropeto fino a raggiungere l'apice ed i margini
fogliari. Il Boscalid presenta evidenze di carcinogenicità, ma non sufficienti al momento per
valutare con certezza il potenziale cancerogeno nei confronti dell’uomo.
Captan. Possibile cancerogeno per l’uomo secondo l’Epa. Fungicida utilizzato in varie specie
frutticole, soprattutto nella coltura della mela, presenta una bassa tossicità nei mammiferi.
Lavoratori esposti ad alte concentrazioni di captano sono soggetti ad irritazioni oculari, con
bruciori, prurito e lacrimazione. In alcuni casi si riscontrano irritazioni dermiche. Non sono
conosciuti effetti acuti, cronici, riproduttivi, mutageni e teratogeni. Ci sono invece forti
evidenze sulla capacità cancerogena del captano in topi esposti ad alte concentrazioni dello
stesso. È facilmente assorbito dal tratto gastrointestinale e metabolizzato. Non risulta
tossico per gli uccelli, ma lo è invece per pesci e organismi acquatici. Ha comunque una
tendenza moderata all'accumulazione nei tessuti.
Clordano. Le disfunzioni della tiroide sono molto comuni in presenza di un’esposizione
prolungata agli organoclorurati. Secondo un recente studio, la probabilità che si manifesti
l’ipotiroidismo in contadini che usano insetticidi organoclorurati (Clordano) è elevata.
Clorotalonil. Fungicida ad ampio spettro. Leggermente tossico per i mammiferi; in alcune
formulazioni può causare forti irritazioni all'occhio e alla pelle. Forti dosi possono causare
perdita della coordinazione muscolare, respiro affannoso, sangue dal naso, vomito, iperreattività e morte. Si segnalano irritazioni a occhi e pelle negli agricoltori che lo usano.
Abortivo nei conigli, probabilmente non teratogeno, non mutageno, forse cancerogeno. In studi
su ratti e conigli risulta tossico per i reni. E' velocemente escreto e non si accumula nei
tessuti. Il Clorotalonil e i suoi metaboliti sono fortemente tossici per pesci, microrganismi
acquatici e invertebrati marini. E' moderatamente persistente nel suolo. I suoi residui possono
permanere sulle messi raccolte a contatto col suolo, ma viene degradato col tempo.
Chlorpirifos. Insetticida organofosforico ad ampio spettro. Utilizzato contro una vasta
gamma di insetti. Ha effetti moderatamente tossici per l'uomo singolarmente, ma assunto
attraverso la dieta con altri organofosforici (Diazinone e Piretroidi) per effetto cumulativo
può esplicare la sua tossicità sul sistema nervoso soprattutto dei bambini. Agisce sul sistema
nervoso centrale, sistema cardiovascolare e respiratorio. Effetti cronici sono stati riscontrati
in lavoratori ripetutamente esposti all'uso del Clorpirifos. Tra questi: perdita di memoria e
concentrazione, disorientamento, depressione, emicrania, insonnia o sonnambulismo.
Abbastanza tossico per gli uccelli, risulta fortemente tossico per pesci d'acqua dolce,
invertebrati acquatici e marini. A causa della sua tossicità e della sua persistenza nei
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sedimenti il Clorpirifos rappresenta un pericolo per i fondali marini. Pericoloso anche per la
fauna selvatica e le api da miele.
Il Clorphyrifos è riconosciuto da diversi studi scientifici come un interferente endocrino,
perché altera il funzionamento del sistema endocrino causando danni all’organismo,
compromettendo il normale funzionamento del sistema ormonale, fondamentale per la
sopravvivenza. L’esposizione può anche avvenire in altre fasi della crescita e dello sviluppo:
anche un’esposizione prenatale può provocare un aumento del rischio per lo sviluppo di disturbi
affettivi e ritardi nello sviluppo mentale dei bambini mentre un’esposizione post-natale può
determinare problemi comportamentali, una diminuzione delle capacità motorie e dei tempi di
reazione.
Il Clorphyrifos e i suoi metaboliti, oltre ad agire come interferenti endocrini, hanno una
spiccata attività neurotossica, con potenziali effetti a lungo termine sulla regolazione neuroendocrina e sullo sviluppo psicosociale. Questo è confermato dagli studi, uno dei quali è stato
pubblicato nel 2010 sulla rivista scientifica Pediatrics e ha evidenziato che in un campione
rappresentativo di bambini americani tra gli 8 ed i 15 anni, coloro che hanno alti livelli di
metaboliti dei fitofarmaci organofosforici nelle urine hanno una maggiore probabilità di avere
deficit di attenzione/iperattività (ADHD) rispetto ai bambini con livelli più bassi. Un aumento
di 10 volte la concentrazione urinaria dei metaboliti organofosforici è associato ad un aumento
della probabilità che va dal 55% fino al 72 % di essere affetti da disturbi
dell’attenzione/iperattività. Associato all’esposizione appaiono anche l’aumentato rischio di
patologie neurodegenerative quali il morbo di Parkinson nell’adulto in seguito al consumo di
acqua contaminata da fitofarmaci compreso il chlorpyrifos ed i danni alla tiroide per
esposizione a mancozeb. L’esposizione a questo ultimo agente risulta essere correlata sia ad
iper- che ad ipotiroidismo, a testimonianza della complessità dell’azione degli interferenti
endocrini.
Cyprodinil. Ci sono ancora poche informazioni relative agli effetti del Cyprodinil sulla salute
dell’uomo. La sostanza può essere assorbita dall’organismo attraverso gli occhi, la pelle,
l’ingestione e l’inalazione. Non vi sono evidenze di pericolosità genetica. È classificato come
lievemente tossico, non cancerogeno, ma inquinante per il suolo e le acque, fattore che implica
una maggiore persistenza nell’ambiente.
DDT. E’ stato recentemente dimostrato che l’esposizione a DDT, un insetticida messo al
bando negli anni ’50 ed ancor oggi presente nelle matrici ambientali sotto forma
prevalentemente di DDE, aumenta il rischio di cancro mammario se l’esposizione avviene in età
pre-puberale.
Deltametrina. Piretroide che uccide gli insetti per contatto o attraverso digestione. Ha uno
spettro d'azione molto ampio ed è considerato il piretroide più potente. Può causare
intossicazioni con convulsioni, fibrillazione muscolare, paralisi, dermatiti, edemi, diarrea,
dispnea, tremori, vomito e morte dovuta a insufficienza respiratoria. Può provocare fortissime
reazioni allergiche con shock anafilattico, broncospasmo, iper reattività e tachicardia.
L’intossicazione avviene anche per via dermica nel caso in cui il prodotto sia maneggiato senza
precauzione. Problemi cronici sono stati accertati in lavoratori che usavano il prodotto. Ha
bassa tossicità nei fenomeni riproduttivi, non è mutageno né teratogeno; ha effetti
neurotossici cumulativi con gli organofosforici (vedi Clorpirifos); non sono disponibili dati sulla
cancerogenicità. Leggermente tossica per gli uccelli, molto tossica per gli organismi acquatici.
In special modo la Deltametrina è tossica per gli insetti acquatici erbivori con conseguente
aumento della quantità di alghe. Tossica per le api. Nel suolo si degrada in 1-2 settimane.
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Nell'acqua stagnante è rapidamente assorbita per la maggior parte dal sedimento, inoltre è
metabolizzata dalle piante e in parte torna in aria per evaporazione. Dieci giorni dopo l'uso
non si osservano residui di Deltametrina sulle piante.
Dimetoato. Possibile cancerogeno per l’uomo secondo l’Epa. Insetticida organofosfato usato
per una larga gamma di insetti su un’ampia tipologia di colture. Moderatamente tossico per
esposizione dermica, inalazione e ingestione. Gli effetti dell’esposizione sono quelli tipici degli
organofosfati sia per quanto riguarda intossicazioni acute che croniche. Nei ratti sono stati
riscontrati problemi riproduttivi perché il Dimetoato oltrepassa la placenta. Effetti
teratogeni a dosi mediamente alte anche nel gatto e nel cane. Mutageno nel topo. Nell’uomo, in
condizioni normali, non sembra essere né mutageno, né teratogeno. Può essere da
moderatamente a molto tossico per gli uccelli, presenta tossicità moderata per gli organismi
acquatici. Molto tossico per le api. Ha una bassa persistenza nel suolo: emivita media di circa
20 giorni.
Ditiocarbammati. I ditiocarbammati sono utilizzati in agricoltura come anticrittogamici e
comprendono diversi principi attivi quali Maneb, Zineb and Mancozeb. Queste sostanze hanno
in genere una tossicità acuta classificata come “bassa”. Sono scarsamente assorbiti dal tratto
gastrointestinale, ma possono esserlo per via dermica e per inalazione. A differenza dei
carbammati, i ditiocarbammati non agiscono inibendo la colinesterasi, bensì svolgono la loro
azione irritativa a carico delle mucose e della cute e possono provocare disturbi
gastroenterici, con nausea, vomito e diarrea. A seguito di intossicazione sistemica può
comparire una insufficienza respiratoria anche grave.
In lavoratori esposti si è rilevata rottura cromosomica, quindi effetti rilevabili sul DNA. Le
disfunzioni della tiroide sono molto comuni in presenza di un’esposizione prolungata ai
ditiocarbammati. Secondo un recente studio, la probabilità che si manifesti l’ipotiroidismo in
contadini che usano Maneb, Zineb and Mancozeb è elevata. A maneb e mancozeb è stato
associato sia ipertiroidismo che ipotiroidismo.
Fosmet. E’ un composto eterociclico della categoria dei fosforganici impiegato come
insetticida in agricoltura. Può essere assunto per inalazione, per assorbimento attraverso la
pelle e per ingestione. L'inalazione provoca vertigine, nausea, difficoltà respiratoria,
debolezza e crampi muscolari. L'ingestione provoca un avvelenamento più grave che si
manifesta con vomito, crampi addominali, diarrea, convulsioni, perdita della conoscenza.
L'impatto ambientale è notevole: ha un'azione dannosa sull'entomofauna utile, in particolare
nei confronti delle api verso le quali mostra una tossicità elevata, ed è nocivo nei confronti
degli organismi acquatici.
Glifosate. Trattasi di un erbicida, non selettivo impiegato sia su colture arboree che erbacee
e aree anche non destinate alle colture agrarie (industriali, civili, argini, scoline, ecc.),
appartenente alla classe chimica dei fosforganici-fosfonati.
Questo erbicida agisce inibendo la sintesi dell’EPSP sintasi essenziale per la sintesi degli
aminoacidi aromatici nel cloroplasto. Diversi studi hanno dimostrato una contaminazione
diffusa delle acque da parte di questo erbicida. L’EPA pone soprattutto l’attenzione sui casi di
intossicazione che possono derivare da un abituale consumo di acqua contaminata da glifosate
(in quantità superiore al massimo livello di contaminazione ammesso): si possono avere danni ai
reni e al sistema riproduttivo.
Il glifosate risulta tossico per la maggioranza degli organismi acquatici, in particolare un
recente studio pubblicato sul Journal of Applied Ecology mostra l’effetto letale che questo
erbicida può avere su alcuni pesci, il cui tasso di sopravvivenza è ridotto anche per via della
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maggiore vulnerabilità ai parassiti. Ultimamente si è inoltre constatato un potenziale rischio
genotossico annesso all’uso di questo fitofarmaco. Infatti uno studio condotto in Colombia
mette in evidenza che dove l’uso del glifosate è maggiore, si rileva una maggiore genotossicità
nei soggetti sottoposti ad analisi del sangue e quindi a opportuni test sui linfociti per rilevare
effetti cito e genotossici.
Guazatina La Guazatina è un fungicida appartenente alla classe delle guanidine, utilizzato per
la concia dei cereali e in particolare sul grano e talvolta sull’orzo. E’ classificato dal Ministero
della Salute come “nocivo” ed è “pericoloso per l’ambiente” oltre ad essere altamente tossico
per gli ambienti acquatici. In un rapporto del 2003, l’assessorato all’ambiente della provincia
di Firenze indica la Guazatina tra i fitofarmaci più pericolosi in riferimento al rischio
complessivo per l’ambiente (indice ICRA).
Residui di Guazatina sono stati talvolta rilevati in agrumi provenienti dal Nord Africa, in
particolare dal Marocco, ma anche su agrumi nazionali. Nella UE è autorizzata per la concia
dei cereali, ma non sugli agrumi. Pur essendo unanimemente considerata una sostanza nociva, la
Guazatina è raccomandata come antidoto migliore contro la fusariosi del piede dei cereali,
soprattutto se associata al triticonazolo. Non ci sono evidenze per affermare – ma non si può
neanche escludere – che la Guazatina è cancerogena, né che sia pericolosa per i sistemi
endocrino e riproduttore. Non influisce sulla colinesterasi, ma è comunque definita “tossica”.
Imazalil. Fungicida sistemico imidazolico ad ampio spettro ed utilizzato su una vasta gamma di
colture. In condizioni normali non induce resistenza come altri fungicidi. Presenta bassa
tossicità nei mammiferi dopo esposizione orale e bassissima dopo esposizione dermica.
Intossicazioni acute provocano negli animali mancata coordinazione muscolare, abbassamento
della pressione arteriosa e vomito. Non presenta effetti da esposizione cronica, non dà
problemi riproduttivi, non sembra essere né mutageno, né teratogeno né cancerogeno.
Generalmente non tossico per gli uccelli, lo è invece in maniera moderata per pesci e organismi
acquatici. Ha un’alta persistenza nel suolo con una vita da 120 a 190 giorni. Fortemente legato
al terreno non si diffonde nelle falde acquifere. Persistente a lungo sui frutti raccolti. Si
ferma prevalentemente sulla buccia, ma si può trovare anche nella polpa sebbene in quantità
molto limitate.
Lamda cialotrina. Insetticida piretroide dotato di ampio spettro di azione ed elevata
efficacia. Agisce essenzialmente per contatto e secondariamente per ingestione; è molto
tossica per gli insetti utili e per gli organismi acquatici, mentre per i mammiferi la tossicità
risulta essere più bassa (DL50 orale acuta su ratto: 96 mg/Kg).
Paraquat. Il Paraquat, che non è più autorizzato in Europa, mostra sempre maggiori evidenze
scientifiche sulla correlazione tra lo sviluppo del morbo di Parkinson causata dall’esposizione
prolungata a questo erbicida. Ad oggi, ci sono più di 50 studi che associano l’uso di
fitofarmaci/diserbanti ad un maggiore rischio di sviluppare il morbo di Parkinson.
L’esposizione prolungata ai fitofarmaci può essere correlata anche allo sviluppo di altre forme
di demenza. Le disfunzioni della tiroide sono molto comuni in presenza di un’esposizione
prolungata agli organoclorurati. Secondo un recente studio, la probabilità che si manifesti
l’ipotiroidismo in contadini che usano l'erbicida Paraquat è elevata..
Parathion. Possibile cancerogeno secondo l ‘agenzia per la protezione ambientale (Epa). E' un
organofosforico ad ampio spettro che agisce attraverso l'ingestione e/o il contatto.
Fortemente tossico in tutte le forme di esposizione dà gli stessi sintomi degli altri
organofosforici, ma ne basta una quantità molto minore. Persone con disturbi cardiovascolari,
al fegato o ai reni, con glaucoma o problemi al sistema nervoso sono a rischio di conseguenze
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più gravi dopo esposizione al paration. L'esposizione continua può provocare disturbi del
sistema nervoso, insonnia e depressione. Può attraversare la placenta con conseguenze sul
feto. Non è teratogeno ma ha effetti mutageni ed è un possibile cancerogeno. Il fegato
trasforma il paration in paraoxone a sua volta metabolizzato in altri composti velocemente
eliminati con le urine. Si può immagazzinare nel grasso corporeo. Estremamente tossico per i
volatili; moderatamente tossico per i pesci e gli invertebrati acquatici. Tossico per le api.
Residui di paration possono persistere al suolo per anni fermandosi nello strato più
superficiale mentre il sole lo riduce a paraoxone, ancora più tossico.
Pirimifos metile. Insetticida-acaricida a vasto spettro d'azione attivo per contatto ed
asfissia, il suo effetto translaminare è rapido e presenta una scarsa persistenza sulle piante
ed una lunga durata sulle superfici inerti. Combatte i parassiti (adulti e larve) che infestano
magazzini e depositi. Molto tossico sia per gli uccelli che per i pesci. A dosi molto elevate può
causare i sintomi tipici dell’intossicazione da organofosforici, così come se assunto in dosi
minori insieme ad altre sostanze di questo tipo (vedi quanto riportato per il Clorpirifos). Non
sono documentati effetti cronici nell’uomo. Non è teratogeno, né mutageno né cancerogeno.
Non vi sono effetti a carico dell’apparato riproduttore.
Procimidone. Possibile cancerogeno per l’uomo secondo l’Epa. Fungicida ad ampio spettro. Nei
ratti risulta cancerogeno, procura problemi riproduttivi, mancata discesa dei testicoli ed
epatoblastoma. Non risulta mutageno. E’ rapidamente metabolizzato ed escreto via urina e
feci. Procura perturbazioni epatiche nei pesci. Persiste per parecchie settimane al suolo con
pericolo di contaminazione delle falde acquifere.
Propargite. Acaricida, che combatte organismi adulti e uova. Si tratta di un principio attivo
dotato di lunga persistenza nell’ambiente.
E’ compreso nel “PAN Bad Actors Chemical”, un elenco redatto dal Pesticide Action Network
(PAN) che comprende i fitofarmaci più tossici. La Propargite infatti è altamente tossica per
l’ambiente in cui è immessa ed è probabilmente cancerogena, ma non genotossica. Inoltre, fa
parte di quelle sostanze note per causare malformazioni al nascituro se il feto è stato esposto
e per interferire con lo sviluppo. Inoltre può avere effetti sulle funzioni endocrine
dell’organismo, causando infertilità.
Tiabendazolo. Cancerogeno per l’uomo ad alte dosi secondo l’Epa. E' un benzimidazolo
sistemico usato come fungicida. Tossico a dosi molto elevate, nell'uomo può provocare, dopo
forte esposizione, capogiri, nausea, inappetenza e vomito. L'esposizione cronica può ritardare
la crescita ed avere effetti sul midollo osseo e gli organi emopoietici. Non ha effetti sulla
riproduzione, non è teratogeno né mutageno. E’ utilizzato come fungicida post raccolta su
agrumi, banane e altri frutti.
Tolclofos metile. Anticrittogamico, geodisinfestante. Fungicida attivo per contatto contro
diverse malattie fungine del terreno, presenta una lunga persistenza ma non manifesta alcuna
azione sistemica o di vapore.
Si tratta di un organofosforico e di un inibitore della colinesterasi. L’esposizione ai
colinesterasi-inibitori è stata collegata ad uno sviluppo irregolare del sistema nervoso nel feto
e nei bambini, a stanchezza cronica e a sintomi tipici del parkinsonismo. Non vi sono evidenze
di teratogenicità e citotossicità.
Il Tolclofos metile è incluso nella lista dei “PAN Bad Actors Chemical”, un elenco che
comprende i fitofarmaci più tossici. Per la sua pericolosità, negli USA non è autorizzato il suo
utilizzo.
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LA NORMATIVA VIGENTE SUI FITOFARMACI
Una corposa legislazione UE disciplina la commercializzazione e l’impiego dei prodotti
fitosanitari e dei loro residui negli alimenti. I fitofarmaci sono regolamentati principalmente
dal Regolamento CE n. 1107/2009, in vigore dal 14 giugno 2011, che ha sostituito la direttiva
91/414/CEE relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari. I prodotti
fitosanitari non possono essere commercializzati o utilizzati se non precedentemente
autorizzati. Si usa un sistema a due livelli in cui la Comunità valuta le sostanze attive
impiegate nei prodotti fitosanitari e gli Stati membri valutano e autorizzano i prodotti a
livello nazionale.
I livelli massimi di residui (LMR) sono i limiti superiori legalmente autorizzati della
concentrazione dei residui di fitofarmaci all’interno o sulla superficie di alimenti o mangimi,
sulla base di buone prassi agricole e della minima esposizione del consumatore necessaria a
tutelare i soggetti vulnerabili. Tutte le questioni riconducibili ai livelli massimi di residui
(LMR) di fitofarmaci nei prodotti alimentari e nei mangimi sono invece disciplinate dal
Regolamento CE n. 396/2005 e successive modifiche ed integrazioni. Tale regolamento inoltre
disciplina il monitoraggio e il controllo dei residui dei fitofarmaci presenti nei prodotti di
origine vegetale e animale, residui che possono derivare dall’impiego dei fitofarmaci per la
protezione dei vegetali. Il regolamento abroga la frammentaria normativa precedente e
sostituisce tutti gli LMR stabiliti a livello nazionale con LMR armonizzati a livello di UE per
tutti i prodotti alimentari. In precedenza ciascuno Stato membro applicava i propri LMR per
le sostanze attive non regolamentate da una specifica legislazione europea sugli LMR. Il
regolamento è pienamente in vigore dal settembre 2008.
Attualmente, il quadro normativo è molto complesso e sottoposto a costanti modifiche, per la
sostituzione delle sostanze ritenute pericolose per la salute dell’ambiente e dell’uomo e la
definizione di nuovi limiti massimi di residuo (LMR) ossia il livello più alto di residuo per un
fitofarmaco legalmente tollerato negli alimenti o nei mangimi. La Commissione europea ha
messo in atto a partire dal 1993 un programma di revisione tra pari, di cui è stato
responsabile dal 2003 l’EFSA, per valutare la sicurezza di tutte le sostanze attive utilizzate
nei prodotti fitosanitari nell’UE. Tra il 2003 e il 2009 l’EFSA ha valutato la sicurezza di oltre
150 sostanze attive. Un ulteriore gruppo di sostanze attive, già sottoposte a valutazione del
rischio da parte degli Stati membri, è stata oggetto di revisione tra pari dell’EFSA nel 2012.
L’attività dell’EFSA sulla valutazione del rischio cumulativo mira a sviluppare metodologie per
valutare gli effetti cumulativi derivanti dall’esposizione dei consumatori ai fitofarmaci.
Vengono esaminati quei gruppi di fitofarmaci dotati di struttura chimica ed effetti tossici
simili per verificare se il loro impatto sulla salute umana debba essere valutato
collettivamente piuttosto che singolarmente. L’EFSA fornisce in tal modo agli addetti alla
gestione del rischio una consulenza scientifica indipendente basata sulle valutazioni del
rischio. La valutazione dei rischi da fitofarmaci mira a determinare se questi prodotti, usati
correttamente, non producano, direttamente o indirettamente, effetti nocivi sulla salute
dell’uomo o degli animali (per esempio, attraverso l’acqua potabile, gli alimenti o i mangimi) e
non compromettano la qualità delle acque sotterranee. Inoltre la valutazione del rischio
ambientale si prefigge l’obiettivo di valutare l’impatto che tali prodotti, se usati
correttamente, potrebbero avere su organismi non bersaglio.
Nonostante gli studi in atto per verificare e rivedere continuamente le sostanze attive vi sono
alcuni aspetti poco chiari che riguardano soprattutto alcune sostanze attive pericolose il cui
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utilizzo seppur limitato viene ancora consentito. Inoltre manca totalmente una
regolamentazione specifica rispetto al simultaneo impiego di più principi attivi nella
produzione dei formulati, come pure circa la rintracciabilità di più residui in un singolo
prodotto alimentare. Quando una sostanza attiva riceve un giudizio negativo, l’Unione europea
emana un provvedimento che i singoli Stati membri devono recepire, nel quale viene fissata la
data per lo smaltimento delle scorte (in genere di 12 mesi).
Alcuni esempi più recenti di questa attività di valutazione delle sostanze attive sono:
Sostanze attive oggetto di recenti direttive: Fipronil (insetticida), Malathion (insetticida),
Methomyl (insetticida), Procimidone (fungicida), Carbossina (fungicida), Dazomet (fumigante),
Metaldeide (molluschicida), Isoxaben (diserbante).
Sostanze attive ad elevato potenziale tossico ancora ammesse: Abamectin
(insetticida/acaricida), Captan (fungicida), Chlorpyrifos (insetticida), Chlorothalonil +
Cymoxanil (fungicida), Ethoprophos (insetticida/geodisinfestante), Fosfuro di Al e Fosfuro di
Mg (insetticidi), Linuron (diserbante), Ziram (fungicida).
Sostanze revocate: Rotenone (insetticida/acaricida), Tolilfluanide (fungicida), Bifenthrin
(insetticida), Paraffin oil (insetticida/acaricida),Chlorthal-dimethyl (diserbante).
Da ricordare due recenti normative europee che sono recentemente entrate in vigore e
riguardano la gestione sostenibile dei fitofarmaci sono:
- la Direttiva 2009/127/CE relativa alle macchine per l’applicazione di pesticidi, che agiunge
una serie di requisiti da soddisfare per le macchine irroratrici (progettazione e costruzione),
legati a soluzioni tecniche e componenti in grado di ridurre i rischi di inquinamento
dell’ambiente come serbatoi pre-miscelatori, sistemi per la pulizia interna ed esterna in campo
e componenti per “gestire” la distribuzione
- la Direttiva 2009/128/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini
dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi: contiene una serie di indicazione sulla gestione degli
agrofarmaci, mirate a ridurne complessivamente i quantitativi usati e a prevenire i possibili
rischi sulla salute dell’uomo e i fenomeni di inquinamento dell’ambiente attraverso l’adozione
della difesa integrata, la formazione specifica degli utilizzatori (distributori e consulenti) e
soluzioni tecniche e attrezzature.
I disciplinari di produzione integrata regionali previsti dalle misure agroambientali del
Programma di Sviluppo Rurale permettono l’impiego solo di una ristretto numero di fitofarmaci
fra quelli registrati sulle colture, scelti per la minore pericolosità per l’operatore, per
l’ambiente e per il consumatore. Tali disciplinari prevedono inoltre limitazioni e precauzioni
d’impiego più restrittive rispetto all’etichetta dei prodotti. Tali disciplinari sono ormai
largamente seguiti perché danno accesso ai contributi ed hanno il grande merito, oltre
naturalmente ai riflessi diretti sulla tutela dell’ambiente, anche di veicolare agli agricoltori le
regole per un corretto impiego dei fitofarmaci, le informazioni sulla loro pericolosità per la
salute loro e dell’ambiente.
I Regolamenti UE 834/07 e 889/08 regolamentano il metodo della lotta biologica e il metodo
biodinamico e risultano ancora più restrittivi rispetto alla lotta tradizionale e integrata e
vietano l’impiego di fitofarmaci di sintesi e limitano l’impiego anche dei fitofarmaci di origine
naturale alcuni dei quali, come il rame, possono avere ripercussioni negative sull’ambiente.
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RISULTATI DELLE ANALISI DI PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI CONDOTTI DAI
LABORATORI PUBBLICI REGIONALI NEL 2012
Dai dati raccolti da Legambiente dai diversi laboratori pubblici regionali nel 2012 si desume
che a fronte di una leggera diminuzione dei campioni analizzati (8.048 nel 2012 rispetto a
8.078 nel 2011) i risultati risultano in linea con il 2011:
- la percentuale di campioni ortofrutticoli irregolari resta ferma allo 0,6%,
- la percentuale dei campioni con un solo residuo è pari al 18,3%,
- i campioni multiresiduo diminuiscono dal 18,5% del 2011 al 17,1%,
- i campioni regolari senza residui che arrivano al 64% (62,9% del 2011).
È nella frutta che si concentra la gran parte del multiresiduo, con presenza di più di un
residuo chimico, pur restando nella regolarità: il 52,4% delle pere, il 44,7% dell’uva, il 43,3%
delle mele, il 42% delle fragole.
Si evidenzia poi un deciso miglioramento nella categoria dei prodotti trasformati, dove si è
registrato:
- un aumento di campioni regolari (da 69,2% del 2011 a 64% del 2012)
- un aumento di campioni con un solo residuo (da 16.5% del 2011 a 17,7% del 2012)
-una diminuzione dei campioni multi residuo (da 14,2% del 2011 a 8,7% del 2012).
A fronte però della lieve diminuzione del multi residuo (pari all’1%), si registra un aumento dei
cosiddetti campioni da record: sono i campioni considerati in regola ma che presentano diverse
sostanze chimiche attive e i cui effetti sinergici sulla salute dell’uomo e sull’ambiente
andrebbero adeguatamente verificati attraverso opportuni studi scientifici.
Casi particolarmente evidenti di questo fenomeno si sono riscontrati in diverse regioni e
spesso riguardano la stessa tipologia di campioni.
In generale, le irregolarità sono dovute principalmente al superamento dei limiti massimi di
residuo (LMR) delle sostanze attive ammesse per legge.
Tra le sostanze attive più frequentemente riscontrate nei campioni regolari multi residuo si
trovano: Boscalid, Captano, Clorphyrifos, Fenaximide, Fludioxonil, Triadimenol, Fosmet,
Penconazolo, Metalaxil.
Anche se i dati presentano un’ampia variabilità che riguarda sia il numero di campioni presi in
esame da regione a regione e sia i risultati stessi, qui di seguito riportiamo un breve resoconto
regione per regione.
Regione Basilicata (Fonte: ARPA Basilicata). Nei campioni analizzati non sono state
riscontrate irregolarità. In un campione di melanzane si è registrata presenza di residui:
Cyprodinil (0,02mg/kg) e Pyridaben (0,04mg/kg). Nella frutta, invece, 1 campione di pere, 2 di
albicocche e 3 di mele sono risultati regolari con 1 residuo, il Boscalid.
Regione Calabria (Fonte: ARPACAL). Sono state registrate due irregolarità: in un campione di
peperoncino sono stati rilevati Myclobutanil e Piridaben, mentre nel campione di pesche
Dimetoato. In entrambi i casi le sostante attive riscontrate, seppure permesse, sono
nettamente oltre il limite consentito.
Regione Campania (Fonte: ARPA Campania). Diminuisce notevolmente rispetto al 2011 la
percentuale di campioni di verdura con presenza di residui mentre aumenta di qualche punto
quella dei campioni di frutta; sempre nella frutta si è riscontrata un'irregolarità in un
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campione di mele. In calo il numero di prodotti derivati analizzati dove, ad eccezione del vino,
risultano tutti regolari senza residui.
Regione Emilia Romagna (Fonte: ARPA Emilia Romagna). Le irregolarità riscontrate nella
verdura hanno interessato 1 campione di bietole da costa e 2 di sedano. Nelle insalate sono
stati trovati gli spinaci con 1 o 2 residui e le lattughe, dove i campioni sono stati trattati
anche con più di 5 sostanze attive differenti. Risultati analoghi si sono riscontrati in sedani e
pomodori. Le irregolarità nella frutta si riscontrano in pere, pesche, fragole, ciliegie, prugne,
susine e melagrane, mentre albicocche e ciliegie sono i campioni in cui sono state riscontrate
più di cinque sostanze attive diverse. Si sottolinea come la provenienza dei campioni non è solo
regionale, bensì anche nazionale e internazionale.
Regione Friuli Venezia Giulia (Fonte: Friuli Venezia Giulia). Nelle verdure l'irregolarità dei
peperoni è dovuta alla presenza di Tetradifon (acaricida) e riguarda una partita proveniente
dalla Turchia. Nei campioni di verdura notiamo un aumento percentuale di regolari con più di
un residuo. L’83,3% dei campioni di mele sono multi residuo e più frequentemente si ritrovano i
residui di Boscalid, Clorphyrifos (insetticida volatile), Captano ed Etofenprox (insetticida); nel
95% degli agrumi invece si trovano tracce di Clorphyrifos (insetticida), Fenexamid (fungicida),
mentre Imazalil (fungicida) è risultato poco frequente ma in quantità abbondanti.
In generale, nella frutta si osserva un notevole decremento percentuale nella frequenza di
campioni con 1 o più residui. Oltre il 96% dei campioni di vini analizzati dai laboratori pubblici
in Friuli Venezia Giulia sono regolari multi residuo. Un campione di vino presenta fino a 7
residui chimici diversi (Boscalid, Cyprodinil, Azoxistrobin, Dimethomorph, Iprovalicarb,
Metalaxil, Procimidone), 2 campioni con 6 residui chimici diversi e altri 5 con altrettanti
residui chimici rispettivamente.
Regione Lazio (Fonte: ARPA Lazio). Anche nel 2012 si sono riscontrate delle irregolarità:
Clorpirifos nei campioni di peperone e grano e Propizamide nella bietina. Nei prodotti derivati
l'irregolarità ha riguardato mais per popcorn con la presenza di Pirimifos metile. Nella frutta
si riscontra un aumento generale nella percentuale di campioni con uno o più residui. Non è
stato possibile avere ulteriori informazioni sulla provenienza dei vari campioni.
Regione Liguria (Fonte: ARPA Liguria). Per questa regione non sono state riscontrate
irregolarità tuttavia, come andamento generale, si osserva un aumento nella percentuale di
campioni risultanti con uno o più residui. Le sostanze attive risultate con più frequenza sono
Boscalid, Imazalil (negli agrumi) e Clorpirifosetile. Anche in questo caso la provenienza dei
campioni non è esclusivamente regionale.
Regione Lombardia (Fonte: ASL Lombardia - U.O.G. prevenzione e tutela sanitaria). In
leggero calo, ma sempre molto abbondante, il numero di campioni analizzati per l’anno 2011. Le
irregolarità riguardano un campione di bietole da costa per presenza di Exitiazox, gli agrumi
per presenza di Dimetoato e le prugne per presenza di Indoxacarb e Metossifenozide. I
campioni irregolari sono tutti di provenienza italiana, le prugne, in particolare, provengono
dalla Lombardia. Tra i campioni regolari contenenti più residui spiccano carote e insalata per la
verdura e mele, pere e pesche nella frutta. Nei prodotti derivati i campioni di vino, tutti di
provenienza lombarda, risultano regolari ma con molti residui.
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Marche (Fonte: ARPA Marche). Buono il numero di campioni analizzati per questa
con nessuna irregolarità riscontrata. In leggero calo la percentuale di campioni
senza residui nella frutta mentre aumenta nel caso della verdura. Tra i prodotti
evidenziamo i campioni di vino, di provenienza italiana, in cui si riscontrano Boscalid,
Fenexamid, Pirimetanil e Metalaxil. Stesso quantitativo di sostanze attive si sono riscontrate
in campioni di mele con Boscalid, Clorpirifos, Captano e Iprodione. Tra cereali sono stati
riscontrati fino a due sostanze attive (Pirimifos metile e Deltametrina) nel caso del grano.
Regione
regione,
regolari
derivati
Regione Piemonte (Fonte: ARPA Piemonte). In leggero calo il numero di campioni analizzati
rispetto al 2011, non si riscontrano irregolarità. Le distribuzioni percentuali dei campioni di
frutta e verdura restano simili a quelle del 2011, si registra un aumento di campioni regolari
senza residui del 5% della verdura e di circa il 10% nella frutta. Nei prodotti derivati si
mantiene alto il numero di campioni senza residui, evidenziamo tuttavia il caso di un campione
di vino in cui si sono riscontrate fino a cinque sostanze attive diverse e uno di farina con tre
diversi residui. Negli agrumi da evidenziare un campione di arance con Clorpirifos,
Difenilammina, Fenexamide, Ortofenilfenolo e Tebuconazolo. Casi analoghi si riscontrano nei
risultati analitici prodotti dai laboratori piemontesi, dove in un campione di arance sono state
rintracciate fino a 5 residui chimici (Clorphyrifos, Difelinnamina, Fenexamide,
Ortofenilfenolo, Tebuconazolo), un campione di finocchi con 4 residui (Ciprodinil, Fenexamide,
Fludioxonil, Metalaxil), un campione di fragole con 6 residui chimici (Boscalid, Bupirimate,
Cyprodinil, Fludioxonil, Iprodione, Pirimetanil), un campione di pere con 5 residui chimici
(Carbendazim, Azoxistrobina, Fludioxonil, Iprodione, Cyprodinil), 2 campioni di uva
rispettivamente con 4 e 6 residui (Clorphyrifos, Cyprodinil, Metalaxil, Penconazolo,
Pirimetamil, Trifloxystrobina), un vino con 5 residui chimici (Boscalid, Cyprodinil, Fenexamide,
Fludioxonil, Lambdacialotrina).
Regione Puglia (Fonte: ARPA Puglia). Ancora molto abbondanti,anche se leggermente in calo, il
numero di campioni analizzati per l'anno 2012. Si riscontrano delle irregolarità in 1 campione
di pomodori, 2 di pesche e 1 di agrumi, sempre nella frutta diminuisce il numero di campioni
irregolari rispetto allo scorso anno. Non è stato possibile risalire alla provenienza dei campioni
irregolari, né avere informazioni sul motivo delle irregolarità riscontrate.
Regione Sardegna (Fonte: ARPA Sardegna). Il numero di campioni analizzati è simile a quello
del 2011. Si riscontrano due irregolarità: in un campione di bietole, per la presenza di
Ciflutrin, e in campioni di albicocche per la presenza di Clorpirifos e Fosmet; in entrambi i casi
le sostanze sono state rilevate in quantità superiore al limite consentito.
Regione Sicilia (Fonte: Assessorato alla Salute Regione Sicilia). I risultati pervenutici non
sono riconducibili alla matrice di raccolta dati da noi usata. Infatti non è possibile distinguere
tra campioni regolari con un residuo e regolari con più di un residuo. Per questi motivi non è
stato possibile inserire i dati nella tabella finale.
Regione Toscana (Fonte: ARPA Toscana). In netto calo il numero di campioni analizzati per
questa regione nell'anno 2012. Si riscontrano due irregolarità: in un campione di bietola per
presenza di Propizamide e in uno di insalata per Procimidone, in entrambi i case le sostanze
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risultano oltre il limite consentito. Tra i campioni multiresiduo si segnalano un campione di
fragole, uno di mele e uno di pomodori che arrivano ad avere fino a cinque diverse sostanze
attive.
Regione Trentino Alto Adige - Provincia di Bolzano (Fonte: APPA Bolzano). In netto calo il
numero di campioni analizzati per il 2012, anche per questo anno non si riscontrano campioni
irregolari. In generale segnaliamo un aumento del numero di campioni senza residui, mentre si
riduce notevolmente il numero di campioni multi residuo. È il caso della Provincia di Bolzano
dove il 65% dei campioni di mele sono multi residuo. Un campione di mele locale è regolare ma
con sei residui chimici diversi (Boscalid, Captano, Clorphyrifos, Irodione, Clorantraniliprolo) e
altri 6 campioni di mele locali sono regolari ma ciascuno con 4 residui chimici. Su 22 vini
analizzati, 13 sono multi residuo e, di questi, 2 vini hanno rispettivamente 8 residui chimici
diversi, altri 2 vini ne hanno 6 e ancora 3 con 5. Nella frutta, si segnalano 3 campioni di uva
con 9 residui chimici attivi contemporaneamente. Tra i principi attivi più diffusi si ritrovano il
Captano, Boscalid e Dodina.
Regione Trentino Alto Adige – Provincia Trento (Fonte: APPA Trentino). In leggero calo il
numero di campioni analizzati, anche nel 2012 non si riscontrano irregolarità. Gran parte dei
campioni sono di provenienza italiana, di cui molti del Trentino. Le mele risultano avere fino a
tre diverse sostanze attive (Boscalid, Captano, Iprodione) mentre le fragole, di provenienza
italiana, fino a quattro. Il campione di carote regolare con presenza di Boscalid è, invece, di
provenienza francese. Il vino, di provenienza italiana, risulta regolare con Fenhexamid.
Regione Umbria (Fonte: ARPA Umbria). Soddisfacente e pari al 2011 il numero di campioni
analizzati per questa regione. Non si riscontrano campioni irregolari, si mantengono basse le
percentuali di campioni multi residui e il numero di sostanze attive presenti
contemporaneamente nei campioni. Tra questi troviamo un campione di mele con Clorpirifos
etile e metile e uno di Arance con Clorpirifos etile e Imazalil.
Regione Valle d'Aosta (Fonte: ARPA Valle D’Aosta). In lieve calo il numero di campioni
analizzati rispetto al 2011, non si evidenziano irregolarità. Negli agrumi risultanti con uno o più
residui frequente è l’uso di Imazalil, Pirimetanil e Clorpirifos; nella lattuga, invece, si
riscontrano residui di Iprodione e Propamocarb.
Regione Veneto (Fonte: Unità di Progetto Veterinaria Regione Veneto). Il numero di campioni
analizzati da questa regione risulta anche nel 2012 molto abbondante, ed è in aumento il
numero di irregolarità. In 5 campioni di peperoncino, 1 di cipollotti, caffè, riso, piselli secchi e
frutti di bosco sono state rilevate sostanze attive sopra il limite stabilito. In 1 campione di
fragole, aneto e pisellini primavera, invece, le sostanze attive riscontrate risultano oltre al
limite europeo consentito e l'uso non è autorizzato in Italia per queste colture (Oxamil,
Flusilazolo, Monocrotofos, Boscalid). In altre verdure riscontriamo l'irregolarità dell'Okra in
cui si è riscontrata presenza di Monocrotofos, acaricida dall'utilizzo non autorizzato.
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CONCLUSIONI
Alla luce di quanto descritto in queste pagine, non possiamo che auspicare per il bene del
nostro pianeta e per tutti gli organismi che lo popolano, incluso l’uomo, un agricoltura più
sostenibile, ossia che faccia sempre meno uso di sostanze chimiche, i cui effetti non sono mai
completamente controllabili né prevedibili, un’agricoltura che fondi la sua forza sulla
biodiversità.
Per fare questo bisogna mirare ad un’agricoltura che miri alla diversificazione delle colture,
attraverso la pratica delle rotazioni, del sovescio e delle consociazioni, alla coltivazione di
piante congiunta con l’allevamento e non alle monocolture né alle monosuccessioni, ai metodi
per un’agricoltura sostenibile dell’agricoltura integrata, biologica e biodinamica .
A conclusione di questo breve, ma non esaustivo , si vuole lasciare al lettore qualche regola
d’oro per tutelare nel miglior modo la salute propria e degli altri dai rischi legati al contatto
diretto o indiretto con i fitofarmaci, per i rischi reali già conosciuti e per quelli che devono
ancora essere approfonditi o scoperti in tutta la loro reale e complessiva entità.
DECALOGO
PER TUTELARE LA SALUTE DAI RISCHI LEGATI AI FITOFARMACI
1. PROTEGGERE DALL’ESPOSIZIONE AI FITOFARMACI E GARANTIRE ALIMENTI NON
CONTAMINATI ALLE CATEGORIE PIÙ SENSIBILI: LE DONNE IN GRAVIDANZA E IN
ALLATTAMENTO E I BAMBINI SOPRATTUTTO FINO ALLA PRIMA INFANZIA
2. IMPIEGARE
SEMPRE ADEGUATI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE
PRECAUZIONI PER L’AMBIENTE NELL’APPLICAZIONE DEI FITOFARMACI
3. PROMUOVERE L’ADOZIONE IN AGRICOLTURA
BIOLOGICA E/O BIODINAMICA E IL CONSUMO
BIOLOGICA E/O BIODINAMICA
DEI METODI
DI PRODOTTI
INDIVIDUALE
E
DELL’AGRICOLTURA
DA AGRICOLTURA
4. EVITARE L’USO DOMESTICO DI FITOFARMACI SOSTITUENDOLI CON I PRINCIPI
ATTIVI DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA E/O BIODINAMICA
5. ACQUISTARE PRODOTTI DI STAGIONE, PREFERIBILMENTE LOCALI E DA PICCOLI
COLTIVATORI CHE DIANO LE MASSIME GARANZIE CIRCA L’ASSENZA DI FITOFARMACI
6. ESERCITARE AZIONE DI CONTROLLO SULLE MENSE SCOLASTICHE
7. RICHIEDERE UNA VERIFICA PERIODICA
CONTAMINANTI IN ESSA CONTENUTI
DELLA
QUALITA’
DELL’ACQUA
E
DEI
8. LEGGERE, INFORMARSI, DOCUMENTARSI PER RESPONSABILIZZARSI NEI CONFRONTI
DELLA SALUTE
9. EDUCARE I FIGLI AD UNA SANA ALIMENTAZIONE INNANZI TUTTO CON L’ESEMPIO
10. NON DELEGARE AD ALTRI LA TUTELA DELLA PROPRIA SALUTE
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i fitofarmaci, diserbanti e concimi chimici