N.20 IV Anno
HISTORIAE LIBELLI XXXI MARTIUS - MMVI
De…
…Legione romana
Pauca verba
Giorgio Romano
C.P. 4 – 25075 Nave (BRESCIA)
C.P. 74 - 24121 BERGAMO centro
C.P. 19 – 71016 SAN SEVERO (FG)
[email protected]
C. Corr. Postale n. 21882766
Intestato a Ezio Sangalli
Prefazione
Ecco un altro giovane studente che ci conduce nel mitico mondo della Legione Romana,
spiegandoci come, oltre 2.000 anni fa, i nostri Avi fossero avanti a tutti anche nell’organizzazione
dell’esercito e nella strategia militare. Il loro esercito, la Legione, era un’efficientissima macchina
da guerra, in un tempo dove la guerra era quasi quotidiana.
I romani inventarono l’esercito moderno, diviso in reparti regolari con compiti diversi e comandati
da ufficiali e sottufficiali preparati. Essi non si scagliavano agli assalti simili ad una torma di lupi
inferociti, come facevano i coraggiosissimi germani. I legionari vinsero battaglie che li vedevano 10
volte numericamente inferiori al nemico, grazie appunto all’organizzazione ed alla disciplina. Ma
ciò che soprattutto li rendeva quasi invincibili era la fede che essi avevano nella missione
civilizzatrice a cui gli Dei li avevano chiamati. Furono crudeli solo quando fu necessario e in linea
con gli usi di quei tempi; cercarono sempre di rispettare i costumi dei paesi conquistati e,
concedendo la cittadinanza romana, cercarono di dar vita ad una federazione di stati e di innalzare
su di essa l’aquila romana.
Una cosa assolutamente fondamentale li distingueva da noi moderni: essi credevano che gli uomini
fossero stati creati dagli Dei; credevano che gli Dei vegliassero su di loro o li punissero quando
sbagliavano; credevano soprattutto di essere depositari di una grande e sacra missione, e
credevano nel significato spirituale del sangue che scorreva nelle loro vene.
Ecco la fondamentale differenza tra il mondo moderno e il mondo che noi vorremmo restaurare.
Oggi non si crede più a niente; non esiste più una fede, non ci sono più ideali. Le azioni che
compiamo quotidianamente non sono più commisurate alla fedeltà ad un’Idea o ad un Credo
religioso, anche se le chiese si riempiono la domenica mattina. I nostri pensieri sono rivolti a ciò
che dobbiamo comprare, vendere o produrre; il nostro egoismo sta raggiungendo livelli
preoccupanti e i telegiornali ci raccontano storie aberranti, dove l’unico denominatore comune è
sempre il denaro.
Occorrerebbe ritrovare l’unità nazionale e popolare, mettere l’interesse comune sopra di quello
individuale, cacciare gli stranieri e per primi quegli americani che ci invasero nel 1943 e ci
imposero pian piano uno stile di vita materialista ed individualista.
Dobbiamo ritrovarci noi italiani per primi e darci una guida politica onesta, che abbia a cuore il
bene di tutta la Comunità; che valorizzi e sfrutti le risorse nazionali a beneficio di tutti gli italiani,
difendendole dalla rapacità finanziaria e dalle cosche nostrane.
Il popolo di Roma si cibava di pesce come di un alimento accessibile a tutti; ora nel nostro bel paese
circondato dal mare, per acquistare del pesce occorre fare un mutuo!
Ne ha di risorse la nostra bella Patria; sì Patria! Spieghiamolo ai nostri ragazzi questo termine
ridicolo, quest’Idea per la quale si sono sacrificati milioni di nostri antenati. Riprendiamoci la
nostra Terra, le nostre belle tradizioni; non vergogniamoci di parlare il dialetto, ma piuttosto
l’inglese, quasi ci vergognassimo di essere italiani.
Gli operai, i contadini, tutti coloro che percepiscono un salario, devono poter vivere dignitosamente
con esso, permettendo alla moglie di occuparsi dei figli. Occorre impedire a pochi di arricchirsi
smisuratamente a scapito dei molti. Le botteghe vanno difese; i commercianti debbono poter
vendere i loro prodotti ad un prezzo equo, così che la gente possa fare la spesa sotto casa e avere un
rapporto diretto e umano con il negoziante. Dobbiamo abbattere gli abnormi ipermercati e sostituirli
con impianti ricreativi e sportivi gestiti dallo Stato
Non abbiamo nulla da invidiare a nessuno. Cacciamo gli stranieri che ci hanno invaso e colonizzato
nel 1945 importando malattie fisiche e mentali, la droga, e imponendoci i loro costumi; Aiutiamo
gli altri stranieri, quelli poveri che ci stanno invadendo adesso, a tornare nella Terra dei loro padri;
cacciamo via invece, senza pietà quelli di loro che sfruttano la disperazione, la fame e la
degradazione morale per compiere ogni sorta di nefandezze in casa nostra. Sposiamo le nostre
donne e i nostri uomini. Non possiamo diventare un’umanità di meticci, perché quando fossimo
tutti uguali, i padroni del mondo ci sfrutterebbero meglio.
I popoli non sono tutti uguali. Dio li ha creati diversi perché ognuno di essi avesse il suo compito
nel disegno universale. Piuttosto aiutiamo i popoli più poveri a liberarsi dalle schiavitù economiche
delle grandi multinazionali che li sfruttano e quindi mettiamoli in grado di creare sulla loro Terra
una loro civiltà autonoma. Riprendiamoci l’Italia prima, e poi uniamo l’Europa; non attraverso le
banche ma all’insegna di un ideale comune: la CIVITAS.
L’esercito romano è stato oggetto di ammirazione da parte di molti studiosi in tempi antichi e
più recenti come una delle migliori, se non la migliore, forza combattente che il mondo abbia mai
conosciuto.
“I Romani dovettero la loro conquista del mondo non ad altro che al costante addestramento
militare, all’esatta e ferrea osservanza della disciplina nei loro accampamenti e all’instancabile
pratica delle altre arti della guerra. In mancanza di queste virtù guerriere, quali speranze
avrebbero avuto gli eserciti romani, con il loro numero limitato di soldati, contro le moltitudini di
Galli e Germani? Gli Iberici ci superavano non soltanto in numero, ma anche in forza fisica.
Fummo sempre inferiori agli Africani in ricchezza, meno abili di loro negli inganni e negli
stratagemmi. I Greci ci erano incontestabilmente molto superiori nell’abilità artistica e in ogni
genere di conoscenza”, scrive Vegezio.
Dopo la prima guerra sannitica, nel 341 a.C., Roma si trovò in guerra contro i latini, trovandosi in
serie difficoltà, e anche in quel momento soccorsero le sue severissime virtù militari: il console Tito
Manlio Torquato, per dare un esempio di disciplina, condannò a morte il proprio figlio che,
disobbedendo all’ordine di non muoversi, era uscito dai ranghi per rispondere all’oltraggio di
un ufficiale latino.
E Vercingetorige, sconfitto, lamenta: ”La nostra nazione in armi può schierare un milione
d’armati, eppure siamo stati sottomessi da non più di 50.000 soldati romani”.
Quali le ragioni di questo predominio ?
Un’organizzazione tecnica tattica perfetta, un quotidiano addestramento ed una disciplina ferrea.
La legione (legio da legere=scegliere, perché i soldati erano scelti nella leva militare) fu l’armata
romana sin dai tempi di Romolo. Questi, secondo la tradizione, divise il popolo nelle tre tribù dei
Tities, Ramnes e Luceres; ogni tribù doveva fornire 1.000 fanti, divisi in 10 centurie (gruppi di 100
uomini), e 100 cavalieri (1 centuria), perciò la primitiva legione romulea era costituita da 3.000
fanti e 300 cavalieri. I 3.000 fanti erano comandati da tre tribuni militum; i 300 cavalieri da tre
tribuni celerum.
Dopo la riforma di Servio Tullio, che divise i cittadini in cinque classi censitarie basate sull’avere di
ciascuno, in virtù della quale i più ricchi costituirono la prima classe e gli altri, proporzionalmente
al censo, le altre quattro classi, la fanteria pesante dell’esercito romano fu formata dalle prime tre
classi di censo. Erano i più ricchi a combattere ed i più poveri n’erano esentati.
Le classi erano divise in un certo numero di centurie, di cui metà di juniores (giovani), addetti alle
armi, e metà di seniores (anziani), assegnati alla difesa della città.
Con Servio Tullio fu introdotta la tattica oplitica, in base alla quale gli opliti, aventi la pesante
armatura di bronzo, combattevano in schieramento serrato, creando la famosa falange, gli scudi a
contatto l’uno con l’altro e le lunghe lance sporgenti.
Ma un’altra virtù permise ai legionari romani di vincere ovunque, anche in situazioni di inferiorità:
la Fede assoluta e inattaccabile che tutti i romani nutricavano per la PATRIA, nell’accezione più
spirituale del termine. I legionari non avrebbero mai tollerato che una loro insegna cadesse preda
dei nemici, perché quel vessillo rappresentava l’onore di Roma. Ora si fatica a credere che uomini
normali potessero sacrificare la loro vita per un simbolo, ma succedeva. Ogni legione aveva un suo
vessillo, ed era impegno d’onore d’ogni soldato impedire che esso cadesse in mano al nemico.
Infatti, gli ufficiali, quando se la vedevano brutta, lo impugnavano e si lanciavano avanti. La
truppa, per difenderlo, li seguiva. E molte battaglie che giravano male, furono rimediate così,
all’ultimo momento.
All’inizio della Repubblica nel quinto secolo prima di Cristo, la creazione del consolato impose lo
sdoppiamento della legione, per assegnare a ciascuno dei due consoli un’intera armata. Dalla
legione unica dell’ordinamento serviano si passò alle due legioni consolari, non reclutando un
maggior numero d’uomini, ma raddoppiando i quadri, perciò ogni legione consolare mantenne 60
centurie di fanteria pesante, ma gli effettivi scesero a 3.000 soldati per legione. L’esercito romano
composto di due legioni contava quindi 120 centurie e 6.000 fanti di linea; e questo perché la
centuria della legione consolare non era più formata da 100 uomini, ma da un numero inferiore. In
questo periodo (IV Sec. a.C.) fu abbandonata la lenta e poco manovrabile formazione falangitica
del periodo precedente.
Le 60 centurie della legione si rivelarono tatticamente troppo deboli, perciò furono unite a due a due
a costituire i manipoli, pur conservando il nome di centuria e rimanendo unità amministrative. La
legione ebbe 30 manipoli, distinti in 10 manipoli di hastati, 10 di principes e 10 di triarii; le
centurie degli hastati e dei principes comprendevano, ciascuna, 60 soldati (un manipolo 120),
mentre le centurie dei triarii comprendevano 30 soldati (un manipolo 60).
Il numero dei cavalieri fu fissato a 300, divisi in 10 squadroni ciascuno di 30 uomini, suddivisi a
loro volta in tre decurie di 10 uomini ciascuna.
Non fu più il censo, ma l’età ad assegnare ai soldati il rispettivo posto: infatti, i più giovani
formavano la prima linea di hastati, gli uomini nel pieno vigore alla seconda linea di principes, i
più anziani alla terza linea di triarii.
Il supremo potere militare, l’imperium militiae, era detenuto dai consoli, dai pretori e dal dittatore,
quest’ultimo con un comandante in seconda, il magister equitum. In Età imperiale sarà il principe
ad avere il comando supremo, esercitato per mezzo di delegati, i legati Augusti, di rango e grado
diverso in base all’importanza del dislocamento della legione.
Il comandante aveva di solito grande ascendente sui suoi soldati, che si aspettavano da lui un
esempio di sagacia strategica e di coraggio. Un giorno, nel 211 a.C., Publio Cornelio Scipione
(soprannominato l’africano per la sua vittoria su Cartagine in Africa) inviato in Spagna per
assumere il comando dell’esercito, trovò le legioni impegnate nell’assedio di Cartagena. Si
trattava, per espugnare la città, di attraversare uno stagno che comunicava col mare, e la
profondità dell’acqua era tale che bisognava farlo nuotando; operazione impossibile per
uomini appesantiti dalla corazza, dall’elmo e dalle armi. Una bella mattina Publio Cornelio
convoca i suoi soldati e racconta loro che Nettuno, apparsogli in sogno, gli ha promesso di
dargli aiuto facendo abbassare il livello dello stagno. I soldati ci credono e non ci credono. Ma
quando ad un certo punto vedono il loro generale buttarcisi dentro e attraversarlo di corsa,
urlano al miracolo, gli si lanciano dietro e, per mostrarsi degli di lui e del Dio, conquistano di
slancio l’obiettivo.
In realtà, Publio Cornelio aveva semplicemente appreso, parlando con i pescatori di
Tarragona, il giuoco dell’alta e della bassa marea che i suoi veterani, tutti contadini,
ignoravano.
Fra gli ufficiali, la legione annoverava:
1Tribuni militum, di cui uno di rango senatorio, detto laticlavius, dall’ampia
striscia di porpora (clavus) che orlava la sua tunica, e cinque di rango
equestre, detti angusticlavi. Essi in coppia comandavano la legione per due
mesi, tenendo il comando un giorno per uno od un mese per uno.
2Legati: ufficiali aggiunti, di solito nominati dal Senato in seguito alle
proposte del comandante, che affiancavano ed assistevano in virtù della loro
esperienza.
360 centuriones: comandanti delle centurie, nominati dai tribuni e provenienti
dalle truppe, erano ufficiali subalterni (duces minores).
Ogni manipolo ne contava due: il centurione che comandava la centuria di destra,
centurio prior, comandava tutto il manipolo e quindi aveva ai suoi ordini il
centurione della centuria di sinistra, centurio posterior.
Gli hastati erano agli ordini di 10 centuriones priores e 10 centuriones posteriores, e così anche i
principes ed i triarii. Il centurione più elevato in grado era il primus pilus.
160 optiones: comandanti in seconda della centuria.
230 decuriones: in ogni turma di 30 cavalieri c’erano tre decurioni, dei quali il più anziano
comandava la turma.
312 praefecti alae: alti ufficiali romani, sei per ognuna della due alae (dextra e sinixtra), in cui
erano aggregati i contingenti degli alleati (i popoli vassalli di Roma),
inquadrati in cohortes di fanteria e in turmae di cavalleria.
Anche gli ufficiali e i sottufficiali hanno grande
importanza nella legione e rappresentano il tramite
materiale e spirituale tra il comandante e i soldati.
Ecco Caio Giulio Cesare raccontare un
significativo episodio: “Un altro centurione
della stessa legione, Marco Petronio, nel
tentativo di forzare le porte era stato sopraffatto
dalla moltitudine dei nemici, e ormai disperando di sopravvivere per le molte ferite ricevute, si
rivolse così agli uomini del suo manipolo, che lo avevano seguito: -Poiché non posso scampare
insieme con voi provvederò almeno alla vostra salvezza, dopo averla messa a repentaglio per
brama di gloria. Pensate a voi stessi finché ne avete la possibilità!- Così detto, si lanciò nel folto
dei nemici, due ne uccise, gli altri fece indietreggiare un poco dalla porta. I suoi soldati
tentarono di soccorrerlo, ma egli: -Invano- disse – tentate di salvare la mia vita; il sangue e le
forze mi stanno venendo meno. Su, andate, finché potete, ripiegate verso la legione – Così, con la
spada in pugno, cadde poco dopo, e salvò i suoi uomini.”
Un aspetto importante dell’esercito romano è spesso messo in secondo piano rispetto alle doti
guerriere, ma ad esse è strettamente connesso, i legionari erano grandi costruttori. Essi portavano
con se una vanga oltre alle armi; costruivano gli accampamenti, fortificazioni, valli, strade e ponti;
talvolta così in fretta da sorprendere nemici esterrefatti di vedersi piombare addosso i soldati romani
all’alba, dopo averli lasciati pochi giorni prima sull’altra sponda, attraversando con le barche un
grande fiume. Successe a Cesare che decise di attraversare il Reno per dare una severa lezione
ai germani che avevano sconfinato.
E che dire dell’epica battaglia di Alesia, dove, ancora Cesare, fa costruire un doppio anello di
fortificazioni per assediare la città e proteggersi le
spalle dai rinforzi nemici; un originalissimo
congegno di guerra tra i più geniali e temerari di
ogni tempo. L’anello esterno, composto come quello
interno da tre fossati profondi 6 metri e larghi
altrettanto, pieni di trabocchetti, da palizzate alte 4
metri e da torri di guardia, raggiungeva la lunghezza di 20 chilometri!
Il ponte di Alcantara, in Spagna, fu costruito
sotto l'Imperatore Marcio Ulpio Traiano (53 d.C.- 117 d.C.)
L’estendersi dei fronti di guerra ed il numero sempre maggiore delle popolazioni nemiche resero
necessario porre in campo sempre più legioni. Dalle due legioni che costituivano di norma l’esercito
consolare romano, si era passati a quattro legioni (due per console) durante la seconda guerra
sannitica (fine IV sec. a.C.), e questo rimase il numero usuale dell’esercito romano, anche se
eccezionalmente, come per esempio durante
la guerra annibalica (fine III secolo. a.C.),
furono arruolate fino a ventitré legioni.
I soldati continuavano ad essere reclutati in
base al censo, anche se il reddito minimo
veniva sempre più abbassato onde permettere
ai meno abbienti di prestare servizio militare.
Fu Gaio Mario (fine II sec. a.C.), il brillante
stratega d’origine contadina, ad abolire il
vecchio sistema di reclutamento censitario e
ad arruolare tutti i volontari in possesso della cittadinanza romana e di qualità fisiche, anche
appartenenti alle popolazioni italiche.
I soldati e l’esercito divennero, di mestiere, devoti ai loro comandanti.
La tradizione attribuisce a Gaio Mario anche la creazione di un’unità tattica più serrata del
manipolo, la cohors, coorte, di 600 uomini, formata dall’unione di tre manipoli, uno di hastati, uno
di principes e uno di triarii, portati ciascuno a 200 uomini. La legione fu pertanto divisa in 10
coorti, numerate da I a X, e gli effettivi salirono a 6.000 uomini. Tutti gli effettivi della legione
coortale erano di fanteria pesante.
I velites (truppe armate alla leggera aventi il compito di schermagliatori) furono aboliti e le truppe
leggere furono costituite dagli ausiliari. Venne meno la distinzione d’età e armamento fra hastati,
principes e triarii. Successivamente, la forza della legione coortale si stabilizzò sui 5.000 armati.
La divisione delle coorti rimase invariata per tutto l’impero; soltanto la prima coorte d’ogni legione
ebbe un numero doppio d’uomini, 1.000 e fu detta cohors millenaria, mentre le altre coorti, di 500
uomini, erano dette cohortes quingenarie. Ai tempi d’Augusto, dopo le guerre civili, vi erano 25
legioni stanziate fuori Italia e nelle province, dove lo richiedevano la difesa dei confini o la
sicurezza interna.
Il successivo maggiore cambiamento delle legioni fu senz’altro l’arruolare sempre più cavalieri
all’interno di questa: poche persone volevano fare il soldato e molti imperatori, infatti, obbligarono
i grandi proprietari terrieri ad arruolare parte degli schiavi dediti a lavorare i campi e le reclute
venivano marchiate a fuoco per evitare diserzioni; erano lontani i tempi in cui la più grande
aspirazione dei cittadini era combattere per Roma. La cavalleria assunse un ruolo sempre più
determinante, sia perché i legionari, essendo per lo più barbari, non dimostravano più vis pugnandi
e disciplina di un tempo, sia perché la cavalleria era molto più mobile e, inoltre, gli eserciti barbarici
del IV-V secolo d.C. erano dotati di abilissimi guerrieri a cavallo.
Sino alla caduta dell’Impero romano nessun’altra novità sostanziale fu introdotta.
Le legioni continuarono ad essere lo strumento di conquista e difesa di nuovi territori, portando le
aquile fino ai confini del mondo allora conosciuto; i baluardi di un impero costruito con il ferro dei
gladi e governato con sapienza e lungimiranza sino all’insorgere ed all’aggravarsi di problemi, quali
l’insostenibile pressione barbarica ed una dilagante corruzione, che ne mineranno irrimediabilmente
le basi.
Giorgio Romano
Elmo 1° sec. a.C.
Elmo imperiale italico
Elmo da Centurione
Ricostruzione originale gladius romano
Da quando esistono i QVADERNI DI STORIA, è la comunicazione più importante che ci
accingiamo a pubblicare.
A San Severo, un gruppo di giovani in Ordine, si è recato nelle scuole cittadine, tra i propri
coetanei, per iniziare una battaglia politica extraparlamentare, che si sentono in dovere di
iniziare, per il riscatto della libertà e dell’indipendenza e della giustizia sociale del proprio
popolo.
Essi, d’ora in avanti, affermeranno la supremazia del Sangue sull’oro!
Ecco il loro comunicato:
“In linea con le idee sostenute finora desidero descrivere la recente prima operazione di militanza
attiva eseguita a nome dei Quaderni di Storia.
Per rendere chiara l’importanza di questa esperienza è necessario ricordare quali erano le aspettative
e le prospettive in relazione alle attività dei Quaderni di Storia appena due anni fa. Ciò che ci
aspettavamo di essere era un “cenacolo politico”, in cui alcuni amanti del passato si sarebbero
riuniti, sostenendosi a vicenda con le proprie utopie. Pensavamo magari di far conoscere a qualcun
altro le nostre idee scrivendo degli opuscoli stampati ogni due mesi e diffusi a nostre spese. La
speranza che altri giovani si potessero unire a noi e darci una mano attivamente era molto astratta.
Io stesso mi ritenevo già abbastanza soddisfatto per la possibilità di essere unito a dei Camerati che
hanno lottato nel passato; adulti, i quali avrebbero potuto trasmettermi la loro esperienza e darmi
coraggio per le mie idee e con i quali condividere delle nostalgie e magari restare chiusi in una
fortezza, isolata dal corrotto mondo esterno. Oggi vedo tutto questo realizzato in buona parte, nella
sua parte migliore: ho dei Camerati grazie ai quali sento di poter vivere in questo mondo, ma in
modo diverso da questo mondo. Ma loro stessi, mi hanno fatto comprendere che ciò non era tutto.
Si può vedere, infatti, che il successo è stato molto più grande se si pensa all’insperata realtà che
lentamente ma gradualmente sta prendendo forma, in cui la forza trasmessami dai Miei Camerati
Veterani, agisce anche sullo spirito d’altri giovani puri di cuore. È per questo, soltanto per questo
che oggi, alcuni di questi, collaborano attivamente al lavoro dei Quaderni di Storia: qualcuno di essi
scrive, qualcuno ci aiuta a distribuire i quaderni e nessuno di loro pretende di vedere
immediatamente realizzati materialmente i suoi sforzi. Questi stessi giovani, e si parla, per quanto
riguarda la zona di San Severo, di soli due ragazzi, sono gli stessi che si sono messi a totale
disposizione con entusiasmo per realizzare il primo volantinaggio dei Quaderni di Storia, un
volantinaggio il cui obbiettivo era dichiarare lo schieramento della nostra Associazione Culturale, o
meglio, del nostro gruppo umano in favore del popolo lavoratore.
La distribuzione di volantini ha avuto più successo di quello che ci aspettavamo. I giovani studenti
delle scuole superiori ne hanno letto il testo ivi contenuto, nonostante fosse piuttosto lungo, a
differenza di quanto fanno con i freddi e noiosi programmi politici. Hanno commentato, in bene ed
in male; qualcuno ha interpretato in modo sbagliato, definendoci anarchici, qualcun altro ha
compreso il nostro spirito Nazional – Popolare. Ci hanno chiesto quali sono le nostre proposte,
rivelando un desiderio di cambiamento, d’iniziativa, ed a questi abbiamo risposto che il nostro
obiettivo, per ora, è quello di metterli a conoscenza di quei mali, descritti nel volantino, che
caratterizzano il mondo moderno. Anche alcuni docenti, spesso politicanti, hanno avuto delle parole
sul “volantino dei Quaderni di Storia”, senza peraltro poter avanzare alcun aspra critica, giacché
non ci siamo presentati come gruppo politico di “destra” o di “sinistra”.
Nonostante questi dati, che noi valutiamo giusti, qualcuno potrebbe chiedersi dove sta l’importanza
di quest’iniziativa, poiché, apparentemente, non ha avuto alcun risultato tangibile.
La risposta è che il vero valore di quest’operazione sta nel suo stesso svolgimento, realizzato da
ragazzi che hanno agito senza alcun interesse materiale, ma solo per un’idea, con entusiasmo,
con umiltà, compostezza, ed in totale coerenza con i principi professati. L’importanza di questo
volantinaggio, che ha avuto già un esito positivo avendo fatto parlare di se, sta nell’esempio che
coloro i quali si sono apprestati a farlo, hanno dato e sempre daranno alla gente che li osserva,
dimostrando che nella vita si può davvero lottare per qualcosa che non necessariamente si tocca.”
I GIOVANI DEI QVADERNI DI STORIA
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Per chi desiderasse approfondire l’argomento trattato, offriamo una breve
bibliografia:
Tito Livio, “ Ab Urbe Condita (libro XXIII) ”, Mursia, Milano 1992
Caio Giulio Cesare, “ DE BELLO GALLICO”, BUR, Milano 2004
Howard H. Scullard, “ STORIA DEL MONDO ROMANO”, BUR, Milano 1997
Indro Montanelli, “ STORIA DI ROMA”, Rizzoli, Milano 1999
Connoly P. “L’esercito romano”, Mondatori 1975
Giuffrè V. “Il diritto militare dei romani”, Patron 1980
IL NOSTRO RICORDO A PICCOLI EROI DELLA NOSTRA TERRA:
Il 16 ottobre 1945, a Fiume, un ragazzo, GIUSEPPE LIBRIO, diede
tutti i suoi diciotto anni, pur di togliere il simbolo di una conquista insopportabile.
Morì semplicemente per aver ammainato in Piazza Dante la bandiera jugoslava.
Lo trovarono il giorno dopo, tra le rovine del molo Stocco, ucciso con diversi colpi
di pistola.
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