b B - ANNO XLIII N. 1 GENNAIO 1995 MENSILE DELL'AICCRE ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMLINI PROVINCE REGIONI dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale Par condicio in margine al commiato di Delors Dunque, stavamo nel giusto L'asino: «Torno volentieri in redazione, dopo che espressi lo sdegno perché, durante le ultime elezioni europee, sia le forze politiche e i candidati che i media avevano dimenticato di informare gli elettori sulle questioni europee, su cui dovevano decidere. Ora tutti invocano la par condicio: ma la vogliono per loro, perché nord e sud, destra centro e sinistra, conservatori e progressisti, gli operatori della corporazione .a dei media - tutti -, la negano senza eccezioni al partito europeo e alle sue articolazioni. Infatti il partito europeo non fa parte né del Palazzo storico n é del nuovo Palazzo gattopardesco: quindi non vogliono far sentire la sua voce alla gente. Anzi: perché non distruggere il partito europeo?» C% L'AICCRE ringrazia l'asino. -$ Anche i più impermeabili ai dubbi o alle seduzioni dell'«euroscetticismo», hanno talvolta bisogno di essere riconfortati e confermati nelle loro convinzioni e nel buon fondamento della loro lunga coerenza di federalisti: non mancano infatti, suila accidentata strada che porta alla costruzione di una democrazia europea in forma federale, gli ostacoli, le difficoltà, i dubbi, le delusioni. Tutte cose perfettamente comprensibili e fisiologiche, sol che si pensi al significato autenticamente rivoluzionario (e pacifico) del processo di integrazione europea, specie in un contesto internazionale instabile e contraddittorio come I'attuale. Anche per questa sua funzione corroborante e «ricostituente», oltre, in primo luogo, per il suo valore intrinseco, va accolto con particolare interesse e riconoscenza l'intervento che il presidente della Commissione europea, Jacques Delors, ha svolto il 19 gennaio scorso dinnanzi al Parlamento europeo riunito in sessione plenaria. Intervento di commiato dopo dieci anni di presidenza, ma tutt'altro che protocollare o semplicemente emotivo. Un intervento di alto profilo politico, franco. non commemorativo della sua presidenza, ma proiettato verso il futuro; un appassionato appello alle incombenti responsabilità che gravano su tutti coloro che sono impegnati nella costruzione di un'Europa capace di agire efficacemente per la pace, la solidarietà tra i popoli, il rispetto dei diritti dell'uomo. I1 discorso di Delors era stato preceduto, nel corso della stessa sessione plenaria del Parlamento europeo, dall'intervento di Mitterrand nella sua qualità di residente della Repubblica francese e di presidente in esercizio del Consiglio europeo per questo primo semestre del 1995. I1 testo di Delors è pubblicato integralmente su questo numero della rivista (così come in inserto quello di Mitterrand). Ciò ci esime dal riassumere il documento, consentendoci di sottolineare solo alcuni dei passaggi salien- ti, mettendoli in contrappunto con gli orientamenti e la linea politica sostenuta dal CCRE e dall'AICCRE, anche recentemente ribadita dagli Stati generali di Strasburgo, e dai suoi organi statutari. Anche se la nostra organizzazione ha sempre rivendicato una larga autonomia sia dalle forze politiche sia dalle istituzioni europee e nazionali e quindi non attende la sua legittimazione da fonti esterne, anche le più prestigiose. Questa constatazione ci spinge ad un doppio ordine di considerazioni. Da un lato, non è privo di significato che vi sia una sostanziale convergenza con le opinioni di due delle maggiori personalità politiche impegnate nel cammino europeo. Abbiamo sempre sostenuto che l'Europa federale va costruita percorrendo simultaneamente cammini complementari: quello dell'azione dei governi, quello delle istituzioni europee, quello dei movimenti di base, europeisti e federalisti, che animano le diverse articolazioni della società, tra cui assumono un rilievo particolare, per la loro diffusione capillare e il contatto coi cittadini, gli enti autonomi territoriali. Dall'altro, i discorsi di Delors e di Mitterrand sono un'autorevole conferma che i federalisti non sono nè scalmanati ideologi, nè sognatori irrecuperabili, innocui ma fastidiosi, nè utopisti che inseguono un partito preso incuranti della realtà e delle sue autentiche esigenze. Un uomo politico avente responsabilità europee, ma che in epoca precedente ha svolto compiti di primaria importanza nel suo paese e un Capo di Stato che ha percorso durante una lunga vita le più disparate esperienze a livello nazionale, convengono nella diagnosi sullo stato di salute dell'Europa e, soprattutto, sulla terapia da adottare: analisi e indicazioni di soluzione che lo ripetiamo - coincidono con le tesi politiche della nostra Associazione. Vediamo qualche esempio. Quali sono alcuni dei nodi significativi da sciogliere per costruire l'Europa federale che il CCRE ha messo sempre in evidenza? La necessità di democratizzare maggiormente il processo di unificazione, il ruolo determinante del Parlamento europeo, la crescente interdipendenza delle società nazionali che va governata e guidata da idonee istituzioni a livello europeo, il fallimento della cooperazione intergovernativa, l'esigenza che l'allargamento dell'unione ad altri membri vada di pari passo col suo rafforzamento politico e istituzionale, i pericolosi limiti di un'Europa identificata solo come un grande mercato, la moneta unica condizione per il funzionamento del libero mercato, l'attenzione (non teorica o culturale soltanto, ma operativa) che deve essere prestata dall'unione all'Europa centro-orientale e al Mediterraneo, l'imprescindibile necessità che l'opinione pubblica sia coinvolta stabilmente in questo (segue a pag. I>) som ma rio COMUNI D'EUROPA dossier revisione di Maastricht - 3 Partiam, partiamo.. . di Pier Virgilio Dastoli L'orologio dell'unione europea, come è noto, batte le ore secondo i ritmi stabiliti dalla vita politica nazionale nei paesi membri: è invece raro che i ritmi della vita politica di un paese membro siano determinati dall'orologio dell'unione europea. Per ricordare la storia più recente; la data di convocazione della Conferenza intergovernativa sull'Unione europea slittò di un anno (dalla fine del 1989 alla fine del 1990), per consentire alla Germania di portare a compimento il processo interno di unificazione ed al cancelliere Kohl di consolidarsi alla testa del governo federale; dopo le elezioni straordinarie e «pantedesche» dell'autunno 1990. Abbiamo già scritto («dossier 1996», n. 1) che il trattato di Maastricht ha irritualmente fissato, fra le sue disposizioni finali, non solo la norma di revisione dello stesso Trattato (e ciò è normale, ma anche il periodo previsto per la sua prima revisione «una conferenza dei rappresentanti degli Stati rpembri sarà convocata nel 1996 per esaminar-e.. ..» E noto che i dodici governi in carica alla fine del 1991 (o almeno una maggioranza di essi) ritenevano che il Trattato di Maastricht fosse la risposta dei Dodici per i Dodici, in particolare per quel che concerne l'Unione economica e monetaria, poiché lo Spazio Economico Europeo (CEE-EFTA) sarebbe stato a medio termine il quadro delle relazioni fra i paesi ricchi dell'Europa mentre gli accordi di associazione sarebbero stati a medio termine il quadro delle relazioni fra i paesi dell'unione europea ed una buona parte dell'Europa ex-comunista. Di ampliamento dell'unione a Nord se ne sarebbe parlato solo dopo aver realizzato gli obiettivi principali del Trattato di Maastricht, in special modo la moneta unica al più tardi nel 1999, mentre l'ampliamento all'Est veniva considerato politicamente «non attuale» (ricordate le proposte di Mitterrand per una «confederazione europea»?). La scadenza del 1996 era dunque considerata dai più come una tappa fisiologica sulla via dell'Unione definita a Maastricht, da realizzare a Dodici per gettare anche le basi delle modifiche da apportare alla «casa comune» in vista dei futuri ampliamenti. " Membro della Direzione deii'AICCRE e del Gruppo di lavoro * La storia successiva al 1991 è andata, come si sa, in modo molto diverso perché l'accelerazione dell'allargamento a Nord ha ampliato da dodici a quindici il numero degli invitati alla tavola dei negoziati nel 1996. Dicevamo all'inizio che l'orologio dell'Unione batte al ritmo delle vite politiche nazionali è così che la scadenza del 1996, giudicata fino ad ora ineluttabile, viene ora messa in discussione in più capitali dell'unione (ed è addirittura oggetto di conversazione alla Casa Bianca fra Clinton e Kohl, fra Clinton e Dehaene: ne hanno parlato anche Clinton e Dini? E, se ne hanno parlato, perché i giornalisti italiani al seguito del nostro presidente del Consiglio non ne hanno informato l'opinione pubblica italiana come hanno puntualmente fatto i loro colleghi belgi e tedeschi?), perché essa contrasta ora con imperative scadenze nazionali: la Spagna ed il Regno Unito andranno alle u r n e e n t r o la primavera del 1997 e , nell'uno, come nell'altro caso, potremmo assistere al rovesciamento di maggioranze al potere da più di un decennio. Sembra dunque maturare a Bonn e Parigi l'ipotesi di un rinvio dell'inizio della conferenza alla primavera del 1997 (con Aznar al p o s t o di Gonzalez e Blair al p o s t o di Major?] ma con l'impegno a concludere i lavori entroJ'autunno del 1998 e cioè prima delle elezioni tedesche. L'ipotesi dello slittamento è poi rafforzata dalla preoccupazione diffusa in tutte le capitali delllEuropa centrale circa un rinvio sine die dell'allargamento ad Est, nonostante l'impegno assunto dai Quindici al Consiglio europeo di Essen - la decisione più significativa assunta ad Essen! - per l'awio dei negoziati di adesione dopo la Conferenza int;rgovernativa del 1996 con l'obiettivo di procedere alle prime adesioni all'inizio del prossimo secolo e di integrare progressivamente nell'Unione undici paesi dell'Europa centrale ed orientale (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Romania, Albania, Lituania, Lettonia, Estonia, Slovenia), dopo l'ingresso nell'unione di Malta e Cipro. L'ipotesi dello slittamento è poi collegata all'opinione di chi afferma che sarà praticamente impossibile rispettare le date del Trattato di Maastricht per quanto riguarda l'inizio della terza fase del'unione economi- dell'AICCFiE per la revisione di Maastricht. (segue a pag 15) - Partiam, partiamo.. ., di Pier Virgilio Dastoli - Di una Europa politica abbiamo bisogno, di jacques Delors - Gemellarsi per una comune crescita civica, di Gianfranco Martini 8 - Ma l'Europa «convince» le donne?, di Maria Teresa Coppo Gavazzi 9 - Donne, politica, democrazia, di Fausta Giani Cecchini 10 - La sfida è sostenere le strategie comunitarie, di Luigi Badiali 11 - Riflessioni del Gruppo «Ardenne» in vista deila revisione di Maastricht 13 - I sindacati europei si interrogano, di Silvana Paruolo GENNAIO 1995 una nuova Unione si va delineando Di una Europapolitica abbiamo bisogno di Jacques Delors * Signor Presidente, Onorevoli Deputati, Cari Colleghi e Colleghe, è con grande emozione, come potete immaginare, che oggi mi rivolgo a voi. Innanzitutto per ringraziarvi, a nome mio personale, ma anche a nome di tutti i miei colleghi che hanno lavorato nella Commissione dal 1985. In secondo luogo per esprimervi la mia gratitudine e quella di tutti i militanti europei per l'azione che il Parlamento ha portato avanti posso ben dirlo in sintonia con la Commissione. Infine per riaffermare la mia fede immutata negli ideali che hanno ispirato i padri fondatori dell'Europa, anche nel contesto radicalmente nuovo come quello attuale e futuro. Auguro inoltre ogni successo per il futuro lavoro del Parlamento e della nuova Commissione. rito di solidarietà che deve awicinare i popoli e portarli a lavorare insieme. Come non vedere il legame esistente fra l'opera di Spinelli e i vostri lavori successivi per la preparazione del Trattato sull'unione europea. Senza il rapporto Martin del novembre 1990 sull'unione Politica, basato anch'esso su un lavoro collettivo, da cui il rapporto di Giscard d'Estaing sulla sussidiarietà; senza il " Come non ricordare, infine, quei momenti storici legati alla riunificazione tedesca; e anche qui, ancora una volta, il vostro ruolo decisivo. Penso: &W IL" L i mWII0 i* M, wr*i* Wra mqwio W u i i i Cui""""!, M , .<III*WPs Um*~"ZMiiU* l~*lixnixn"Wns5%?4 Eunipai ,W&,ac innovativa " In primo luogo, il carattere innovativo dell'ispirazione del Parlamento in relazione alla costruzione europea. Il nome di Spinelli è strettamente legato al suo progetto di Trattato sull'unione europea, che consiglio di rileggere a tutti coloro che dovranno impegnarsi nelle difficili riflessioni sul 1996. Ma vi è stato anche un rapporto Spinelli del 1986 sull'Atto Unico, che ci incoraggiava nel nuovo slancio derivante dalla creazione di uno spazio senza frontiere e che ne approvava il metodo di attuazione. Tuttavia Spinelli ci metteva in guardia contro i rischi e in definitiva contro l'impasse derivanti da una concezione dell'Europa esclusivamente mercantile e liberoscambista, priva di quello spi* Discorso pronunciato dinanzi al Parlamento Europeo il 19 gennaio in occasione del passaggio di consegne al nuovo Presidente della Commissione europea. GENNAIO 1995 - ai lavori della vostra Commissione temporanea, relatore Donally, a partire dal febbraio 1990; - all'incontro Kohl/de Maizière, proprio qui, nel maggio del 1990; I. Il Parlamento Europeo, istituzione Sono trascorsi dieci anni dal mio primo intervento, davanti a questa assemblea, in qualità di Presidente della Commissione. In quell'occasione affermai che il Parlamento sarebbe divenuto un «luogo d'iniziativa» e di tale impegno, assunto nel gennaio del 1985, gran parte del merito è da attribuire al nostro amico Altiero Spinelli, del quale avevo sotto gli occhi la bozza di Trattato, pubblicata poco tempo prima. I dieci anni trascorsi da allora hanno confermato, ogni anno di più, il ruolo innovatore che io attribuivo al Parlamento europeo. Tanto di positivo si può dire sulla vostra Istituzione, ma in quest'occasione vorrei focalizzare il mio intervento sulla capacità che essa ha dimostrato nell'anticipare le riforme, nell'intuire certi movimenti di fondo. A testimonianza di ciò potrei fare un lungo elenco, ma mi limiterò a tre esempi che mi hanno particolarmente colpito. soltanto un pio desiderio e che era dunque necessario passare all'azione, peché nulla si sarebbe realizzato senza quel «patto di famiglia». So che questa idea, con la creatività e la flessibilità necessarie, sarà al centro delle vostre aspirazioni. In quanto la coesione economica e sociale, per non parlare d'altro, è divenuta uno dei fondamenti del contratto di matrimonio fra gli Stati membri. - alla vostra pronta decisione di accogliere fra voi degli osservatori dell'ex-RDT; - e infine, all'intensa attività dell'estate del 1990, quando tutti insieme abbiamo disciplinato, con rapidità ma con accuratezza, tutte le conseguenze giuridiche e legislative derivanti dall'unificazione. rapporto Herman sull'unione economica e monetaria, il Parlamento non avrebbe ricevuto quella consacrazione legittima che il Trattato sull'unione europea ha confermato. E assai di più, sarebbe mancata, durante i lavori delle due conferenze intergovernative, una spinta essenziale. So che il vostro Parlamento attualmente sta preparandosi alla prossima Conferenza Intergovernativa e non ho alcun dubbio che si tratterà di un contributo sostanziale, fatto di visione del futuro, di esperienza e di fedeltà ai principi ispiratori. Quei principi che, contrariamente a quanto taluni proclamano, non hanno perso la loro validità, né il valore di speranza per i nostri popoli. " Come non ricordare anche l'azione del Parlamento nell'elaborazione degli orientamenti con la successiva adozione dei «Pacchetti I e II». Mi riferisco ai lavori della Commissione temporanea presieduta da Lord Plumb che hanno portato all'accordo sul pacchetto I, e successivamente all'accordo sulla normativa in materia di bilancio, del luglio 1988. E mi riferisco anche ai lavori della Commissione temporanea presieduta da Van der Vring che hanno portato all'accordo sulle prospettive, del febbraio 1993. Da molto tempo il Parlamento aveva compreso che la solidarietà non poteva essere H o scelto questi tre esempi perché mi hanno particolarmente colpito. Ma, dalla questione ambientale, per la quale si può dire che tutto ciò che è stato fatto è partito da qui, alla Carta Sociale, che trova il suo fondamento nella vostra risoluzione del marzo 1989, passando per le lotte a favore dei diritti dell'uomo, la promozione della donna, la lotta contro il razzismo, è stato determinante l'impulso dato dalla vostra assemblea. Più in generale, il solo vero Parlamento multinazionale al mondo deve sapere che, trovate le forme adeguate e la perseveranza nell'azione, la sua parola è ascoltata ovunque. In questo modo, per parte sua, esso testimonia la lotta mai conclusa in favore della libertà, dei diritti dell'uomo e del pluralismo spirituale, ideologico e politico. E non è un caso se il Trattato dell'unione europea ne ha tratto un insegnamento: vi si riconosce questo ruolo ispiratore, di cui io volevo semplicemente ricordare che esso si era già concretizzato ancor prima di Maastricht, con dei risultati che non avrebbero potuto che favorire il recente rafforzamento dei poteri della vostra istituzione. Nel corso di questi 10 anni alcuni hanno notato una certa intesa fra l'istituzione che Hansch presiede, dopo Pflimlin, Plumb, Crespo e Klepsch, e la Commissione europea. I1 motivo è che la Commissione ha voluto rispondere agli appelli e alle speranze di tutti coloro che, in questo Parlamento, alimentano la fiamma dell'ideale europeo e arricchiscono la sua forza propositiva. COMUNI D'EUROPA Il. La dinamica dell'integrazione europea Grazie alla vostra capacità d'iniziativa e al vostro appoggio mai venuto meno, l'integrazione europea h a fatto passi da gigante nel corso di questi ultimi dieci anni. Mentre agli inizi degli anni '80 il clima era ancora quello di una situazione sclerotizzata, al mio arrivo a Bruxelles il cielo si era già schiarito, in particolare dopo il Consiglio europeo di Fontainebleau che, grazie al personale intervento del Presidente M i t t e r r a n d , aveva risolto quelle questioni che da anni ostacolavano il cammino degli Stati membri. Promosso nel gennaio '85 in questo emiciclo, l'obiettivo 1992 ha consentito di rilanciare la costruzione europea riportando il dibattito su delle realizzazioni economiche concrete, facilmente comprensibili d a p a r t e dell'opinione pubblica e al tempo stesso stimolanti per gli imprenditori. I tempi sono stati rispettati, il mercato unico è una realtà. Nonostante la recente recessione economica, gli Stati membri sono più forti rispetto a 10 anni fa, tanto da poter meglio affrontare la competizione internazionale. I1 legame tra il grande mercato e il quadro istituzionale veniva prontamente realizzato; in tempi record veniva preparato e adottato l'Atto unico, il vero acceleratore dell'integrazione, non soltanto perché rimuoveva l'ostacolo dell'unanimità, ma anche perché formalizzava le politiche comuni, contropartita indispensabile del grande mercato. In particolare, esso rappresenta il pilastro della coesione economica e sociale i cui tre elementi fondamentali caratterizzano, a mio avviso, il modello europeo: la competizione che stimola, la cooperazione che rafforza, la solidarietà che unisce. Espressione della solidarietà fra Stati e regioni che non hanno lo stesso livello di sviluppo, e strumento in grado di offrire a ciascuno la propria opportunità e al tempo stesso di rafforzare la competitività dell'insieme, la politica di coesione è divenuta, in term i n i d i b i l a n c i o , la s e c o n d a politica dell'unione. I mezzi assegnati alle politiche strutturali sono stati raddoppiati in due riprese, nel 1988 e nel 1992: attualmente tali stanziamenti ammontano in media a 26 miliardi di ECU per anno, contro i 5 miliardi del 1984. I1 loro impatto è tangibile: sebbene esso dipenda in grande misura dalla politica economica messa in atto dallo Stato membro beneficiario, tali stanziamenti hanno favorito una concreta convergenza. Questa politica ha inoltre consentito il «radicarsi» della costruzione europea per il fatto stesso che essa comporta delle azioni assai visibili per i cittadini. A partire dall'Atto unico e a fortiori dopo Maastricht, la Comunità ha anche affermato il suo ruolo in due settori particolari. Innanzitutto, quello della politica della competitività, con in particolare la politica della concorrenza e un maggior sforzo di ricerca, peraltro più concentrato sulle priorità la cui realizzazione condiziona la nostra prosperità economica. Al raggiungimento d i questa nuova tappa hanno in parte contribuito i miei sforzi miranti alla promozione di cooperazioni industriali al livello comunitario. Ma, devo riconoscerlo, è ancora lungo il cammino da percorrere. In secondo luogo, la politica ambientale, con l'accento posto sulle oli ti che di prevenzione, sulla definizione di programmi d'intervento pluriennali, sul riconoscimento del principio «chi-inquina-paga». E su questa base e sul vostro puntuale controllo che una strategia per il miglioramento del rendimento energetico ha potuto essere elaborata e che sulla scena internazionale l'Unione europea ha potuto impegnarsi nelle convenzioni sul clima o sulla biodiversità. Tutte queste azioni potevano concretizzarsi soltanto disponendo, la Comunità, di un efficace strumento di gestione. Per questo motivo, dinanzi aiia vostra assemblea, già dal 1989 sollecitavo la creazione di un'agenzia e u r o p e a p e r l'ambiente. C i ò è avvenuto nell'ottobre del 1994 e da parte mia sono molte le aspettative. Se vi è una riforma, fra quelle attuate nel corso di questi dieci anni, di cui ritengo essere il promotore insieme a tutta la Commissione, essa è senz'altro quella della politica agricola comune, portata a termine nel 1992. Tale riforma era divenuta indispensabile perché la produzione agricola aumentava ad un ritmo di molto superiore rispetto all'evoluzione dei mercati interni ed esteri. Gli stock accumulati raggiungevano livelli senza precedenti. La riforma decisa nel 1992 è la più imp o r t a n t e fra quelle a t t u a t e nell'arco d e i trent'anni di politica agraria. Essa difende il reddito degli agricoltori in un contesto d i stabilità e prevedibilità, controllando la produzione e assicurando un reddito ragionevole anche agli agricoltori più svantaggiati. Ma soprattutto essa garantisce il mantenimento di un n u m e r o sufficiente di agricoltori e mantiene l'equilibrio del mondo rurale nel rispetto dell'ambiente. Essa incoraggia e stimola la competitività dell'agricoltura europea nel rispetto delle regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. I primi due anni della riforma hanno prodotto risultati soddisfacenti. G l i stock si sono ridotti. I mercati si sono riassestati, tanto che si sono potuti ridurre di tre punti i tassi del maggese. Infine, per effetto della riforma, il reddito degli agricoltori interessati, in media, è cresciuto a partire dal 1993. Al punto che riesco quasi a dimenticare la valanga di demagogia che aveva travolto alcuni paesi. Così come sono state create le condizioni di una organizzazione economica più efficace, l'Atto unico e poi Maastricht hanno affermato la dimensione sociale della Comunità e hanno consentito i progressi che hanno dato vita, nel corso degli ultimi anni, al modello sociale europeo. È sulla base di tali disposizioni che hanno preso corpo i principali contenuti della carta sociale dei diritti fondamentali dei lavoratori, adottata d a undici Stati membri nel dicembre 1989. Non dispiaccia ai pessimisti o ai tattici raffinati, ma l'Europa sociale non è un vuoto slogan, né un'illusione. È già una realtà. Certo, molto resta da fare, ma l'Unione europea introduce via via delle normative che garantiscono una protezione di base ai lavoratori e prevengono gli abusi di un «dumping sociale». Promuovere la libera circolazione dei lavoratori, garantire parità d i trattamento fra uomini e donne, migliorare le condizioni igieniche e di sicurezza nei luoghi di lavoro, fissare infine dopo quindici anni di esitazioni le condizioni per facilitare l'informazione e la consultazione dei dipendenti nelle società multinazionali: ecco alcuni risultati che non si sarebbero p o t u t i o t t e n e r e s e n z a il r a f f o r z a m e n t o dell'integrazione europea e senza l'appoggio dinamico del Parlamento europeo. Essi non avrebbero potuto neanche concretizzarsi, se a partire dal 1985 non fosse stato rilanciato per mia iniziativa il dialogo fra le parti sociali, poi consacrato dal Trattato di Maastricht. Tutte queste politiche comuni adattate o nuove sono state messe in atto dopo il 1988 e saranno perseguite fino al 1999, in un contesto finanziario stabile, grazie all'adozione dei pacchetti I e I1 e alla conclusione di accordi interistituzionali. Questo nuovo quadro interistituzionale in campo finanziario rappresenta un risultato considerevole se si ricordano le crisi di bilancio che hanno costellato la storia della Comunità nel corso degli ultimi decenni. In tale contesto, il l'arlamento ha saputo dare prova di coraggio assumendosi la responsabilità delle proprie scelte al fine di consolidare l'Unione europea. Tale cooperazione finanziaria, l'equilibrio così ottenuto, la cooperazione fra le istituzioni costituiscon o un risultato che deve assolutamente essere mantenuto e arricchito in futuro. In breve, le politiche comuni della Comunità di ieri, dell'unione di oggi, si sono sviluppate considerevolmente nel corso di questi ultimi anni. Certamente, non quanto le nostre due istituzioni avrebbero voluto, tuttavia in m o d o sufficiente p e r costruire e strutturare un'Europa che già d a ora è ben più di un semplice spazio di libero scambio. Le fondamenta della Casa Europa sono state gettate e sono molto solide. Stiamo attenti a non lasciarle intaccare. In ogni caso, se l'obiettivo 92 ha provocato una dinamica nuova, è il 1989 a rappresentare, per tutti gli europei, la data storica del passato decennio, io direi senza poter essere facilmente smentito degli ultimi cinquant'anni. Con il crollo dell'impero sovietico è stato rimesso in discussione il rapporto della Comunità con il resto del mondo. La caduta del muro di Berlino, nel novembre 89, ha provocato il vero aggiornamento della Comunità. H a modificato profondamente le connotazioni politiche e psicologiche della costruzione europea. L a Comunità, figlia della guerra fredda, doveva dissolversi con la fine della guerra fredda medesima? No, è stata la nostra risposta decisa. Abbiamo volut o andare avanti, agire sull'evento, dotare la Comunità di una vera identità politica: 1'Europa era divenuta polo di attrazione, essa doveva anche essere artefice di una stabilizzazione politica per l'intero continente. Tale ruolo è stato ad essa riconosciuto dal vertice dell'Arche, nel luglio '89, con il coordinamento degli aiuti ai paesi delllEst. L'avvio dei programmi PHARE e TACIS, la firma degli accordi europei, la preparazione dell'adesione dei paesi dell'Europa centrale e orientale hanno segnato la storia del «ritorno all'Europa» dei nostri fratelli dell'Est. Conosco quanto voi le critiche mosse a questa politica: noi avremmo mancato d'iniziativa e di ambizione politica, non avremmo in sostanza mostrato coraggio nel momento in cui, per la p r i m a volta d o p o mezzo secolo, i paesi dell'Europa centrale e orientale aspiravano a GENNAIO 1995 riawicinare la loro geografia e la loro storia, la loro cultura e la loro appartenenza politica. Io potrei rispondere citando cifre e fatti che mostrerebbero come l'Unione ha risposto rapidamente e generosamente, malgrado l'handicap della recessione economica. Ma l'importante è che il quadro sia chiaramente definito, che la prospettiva sia tracciata senza ambiguità: una strategia d'integrazione si sostituisce alla strategia assolutamente necessaria dei primi cinque anni, ovvero quella dell'appoggio in tutti i sensi alla transizione. Una nuova Unione si va delineando. Una Unione allargata a quindici membri dopo che, al termine di negoziati condotti con rapidità, essa ha accolto la richiesta di adesione di altri tre Stati, portatori anch'essi di una lunga tradizione democratica e in grado di arricchire il modello sociale che l'Unione vuole difendere, rinnovare e promuovere. Un'Unione che ha imboccato il percorso che ritengo tanto vitale quanto irreversibile della moneta unica. Un'Unione che si è affermata da molto tempo quale prima potenza commerciale e che ha saputo riunire la sue forze per portare felicemente a termine i negoziati dell'Uruguay Round e per impiantare la nuova Organizzazione Mondiale del Commercio. L'Europa cerca di rafforzarsi per poter essere generosa, tanto che è aumentato nel corso degli ultimi dieci anni il suo impegno in favore dei paesi in via di sviluppo: nel 1986 nasce una vera politica per l'America Latina; nel 1989 viene rinnovata la Convenzione di Lomé; nel 1991 viene rinnovata la politica mediterranea, con prospettive più ambiziose a partire dal 1996; nel 1992 la creazione dell'ECHO che rende più visibile e coerente l'azione umanitaria dell'unione, al primo posto nel mondo per gli aiuti forniti. Tutto ciò sarebbe stato impossibile senza un rinnovamento dei contenuti e delle strategie, e il Parlamento europeo vi ha contribuito con le sue analisi, le sue iniziative, le sue proposte. L'influenza dell'Europa al livello internazionale è dunque cresciuta in conseguenza e al ritmo dei progressi economici compiuti. Ma se è giusto ricordare i progressi, è altrettanto corretto ricordarne anche i limiti: la libertà di circolazione delle persone, segno per i cittadini più tangibile del grande mercato, tarda ad essere effettiva e l'Europa degli affari interni e della giustizia è ancora in una fase molto embrionale. Gli sviluppi previsti dopo Maastricht in materia di politica estera e di sicurezza comune restano, di fatto, estremamente limitati. Ma, assai grave è la realtà della disoccupazione che insidia l'Europa più dei nostri grandi partner; la disoccupazione che indebolisce la fiducia dei popoli, senza la quale nessun progetto collettivo è possibile; la disoccupazione di cui sappiamo che non vi si può porre rimedio soltanto mediante una migliore ripartizione dei benefici della ripresa economica in atto, ma anche mediante una diversa concezione dello sviluppo economico e dell'organizzazione sociale. Rimanendo sul tema del lavoro, consentitemi un breve accenno al Libro bianco da me presentato al Consiglio europeo di BruxeUes nel dicembre '93. I1 suo obiettivo è duplice: affrontare la mondializzazione senza timori e rimediare alla debolezza specifica GENNAIO 1995 dell'Europa nei confronti degli Stati Uniti e del Giappone, e cioè l'Europa crea meno posti di lavoro a pari tasso di crescita. Voi avete condiviso la nostra diagnosi, avete appoggiato l'azione intrapresa, avete auspicato più volte una maggiore determinazione e una maggiore rapidità nell'attuazione, in particolare per quanto concerne i grandi programmi infrastrutturali, i progetti relativi alla società dell'informazione e alle biotecnologie, le nuove iniziative in materia di occupazione. Non posso che condividere, e sempre ho esortato in tal senso i capi di Stato e di governo e i loro ministri delle finanze. Conservare delle economie sane, puntare ad una maggiore competitività, ad una maggiore occupazione, anticipare gli sconvolgimenti nell'organizzazione del lavoro e della società, sono questioni che non possono più essere di un solo paese, considerata l'entità delle risorse da mobilitare. Non tutto va così in fretta come vorremmo, tuttavia la rotta è ormai fissata e le decisioni prese a Corfù lo confermano. Occorre soltanto metterle in atto, pienamente e in tempi brevi. I1 Libro bianco è pertanto estremamente attuale. Esso costituisce un quadro di riferimento per la riflessione, il dialogo sociale e l'azione, sia a livello nazionale sia a livello europeo. La sua presentazione ha dato nuovo impulso nel momento in cui la credibilità della costruzione europea diminuiva sotto i colpi congiunti della recessione economica, degli attacchi mossi nel 1992 e nel 1993 al sistema monetario europeo, della tragedia iugoslava ... ma anche dei disaccordi chiaramente emersi fra gli Stati membri durante la preparazione del Trattato di Maastricht. Sicuramente l'awenire si annuncia incerto nonostante i progressi. Prioritaria è senz'altro l'attuazione di quanto stabilito nel trattato sull'unione europea, ma pensando sin da ora al contesto della grande Europa e alla sua compatibilità con il perseguimento del nostro ideale che non è cambiato: l'Unione politica dei paesi europei che vogliono questa unione senza riserve. Ed è questo il nodo. Vi occorrerà, ci occorrerà molta iniziativa, grande capacità tecnica e forza di convinzione, molto coraggio e molta coerenza per poter rispondere alle sfide del futuro. st-guerra fredda. Vi è la tentazione di rimettere in discussione le posizioni acquisite e le frontiere; si assiste ad un risveglio degli integralismi e ad un'improwisa ricomparsa dei nazionalismi ... Come non ricordare a tale proposito il messaggio che ci ha trasmesso il Presidente della Repubblica Francese: i nazionalismi significano guerra. Dunque dobbiamo affrontare i pericoli che incombono sul mondo e che minacciano, in maniera diretta o indiretta, le nostre conquiste in favore della pace e della comprensione reciproca. L'Unione europea non può tirarsi indietro di fronte a queste realtà del resto difficili da circoscrivere. Ad est, a sud, in Africa, in Medio Oriente si attendono dall'Europa delle posizioni chiare e decise, un'assunzione di responsabilità senza equivoci e delle azioni coerenti con gli ideali da essa affermati. I1 bisogno d'Europa, in sintesi, è questo. Ma come rispondere senza avere una visione chiara di ciò che per noi stessi vogliamo: una zona di libero scambio oppure uno spazio organizzato? Come poter essere all'altezza delle sfide se, ad esempio, gli Stati membri come attualmente accade si mostrano troppo spesso incapaci di dotarsi di un dispositivo efficace ai fini del processo decisionale e della messa in atto di interventi comuni in politica estera? Che cosa manca? La volontà politica, certo, ma non è tutto. Perché manca anche una valida procedura nel dibattito e nella presa di decisione come quella esistente nella Comunità soprattutto dopo l'entrata in vigore dell'Atto unico. In altri termini, il rispetto della diversità che è la nostra ricchezza e il crescente numero dei paesi membri non devono portare a fare dell'unione una sorta di Gulliver incatenato, per mancanza di istituzioni valide ed efficaci e in grado di dar risalto e sviluppare le nostre identità culturali. La fuga in avanti non può rappresentare in nessun caso la via in grado di consentire all'Europa, a tutta l'Europa di organizzarsi in uno spazio di pace, di scambio e di cooperazione. Essa porterebbe soltanto al dissolvimento dell'esperienza comunitaria e al declino dell'Europa come protagonista della Storia. 111. Perché lottiamo Eppure la storia non ha cessato di dispensarci lezioni e avvertimenti. Guai a coloro che non sanno farsi rispettare. Guai ai popoli che si abbandonano ai piaceri della società del consumo, alla nostalgia di un passato ormai concluso o a un mondialismo senza coscienza! Di fronte a questo futuro pieno di pericoli, solo l'unione politica delle nazioni europee può consentire a queste non soltanto di difendere i propri legittimi interessi, ma anche di affermare la loro presenza nel mondo al servizio degli ideali che hanno segnato i momenti migliori della storia europea. La nostra credibilità non dipende soltanto dalle nostre solenni dichiarazioni di principio. Essa è e sarà funzione della nostra capacità di tradurre gli obiettivi stabiliti in atti concreti a favore della pace, della solidarietà fra i popoli, del rispetto dei diritti dell'uomo. Noi non riusciremo a tanto se non attra- Molte volte è stata prevista la fine o il declino dell'awentura europea. Eppure essa ha resistito, ha superato le crisi e ha trovato la forza necessaria per uscire da periodi di stagnazione. Oggi il discorso è diverso. Si vogliono opporre i sostenitori dell'Europa tradizionale ai profeti della novità radicale. È vero che alcuni di noi ritengono che l'eredità dei padri dell'Europa conservi ancora tutta la sua forza e tutta la sua attualità. Mentre altri vogliono portarci su strade pretese nuove in nome delle trasformazioni che il mondo ha subito, in particolare, negli ultimi vent'anni. Di che cosa si tratta esattamente? L'istanza di pace e di sicurezza. La richiesta di pace e di sicurezza è ancora qui, imperiosa, come nel 1945-50, all'indomani del conflitto mondiale. Certo essa si presenta sotto forme diverse nel periodo po- L'esigenza di essere forti ( s q i i e u pug COMUNI D'EUROPA 7) una democrazia partecipe Gemellarsi per una comune crescita civica di Gianfranco Martini Non è necessario far parte della schiera degli «euroscettici» per constatare che l'attuale realtà europea appare molto poco entusiasmante. Basti infatti ricordare alcuni episodi più recenti - i due referendum danesi, quello francese e, negli ultimi mesi, quello finlandese e svedese - per comprendere quanto numerosi siano ancora i cittadini appartenenti (si noti) a paesi già membri da tempo dell'unione europea o disponibili ad entrarvi, che manifestano forti riserve, incomprensioni, vera e propria ostilità e, nella migliore delle ipotesi, indifferenza verso l'attuale processo di unificazione europea. Varie ne sono le ragioni, alcune certamente legate a situazioni nazionali particolari (l'Europa come tema di politica interna), ma molte altre connesse invece con alcuni aspetti caratteristici dell'attuale processo di unificazione; la distanza abissale che lo separa dalla comprensione corretta di gran parte della pubblica opinione, la sua insufficiente o distorta informazione sui temi europei, l'inadeguato spazio che la scuola, di ogni ordine e grado, riserva all'educazione civica non solo nazionale ma europea, la colpevole distrazione che il sistema dei mass-media, nel suo complesso, mostra dinnanzi ai gravi e essenziali problemi dello sviluppo politico e democratico del processo di unificazione, specie in rapporto ai poteri del Parlamento europeo, alla politica estera e di sicurezza comune, alle conseguenze dell'allargamento ai nuovi Stati, in primo luogo dell'Europa centrale. Questa preoccupante situazione è destinata a pesare ulteriormente in modo negativo, se non sarà rapidamente corretta, in occasione della prossima revisione del Trattato di Maastricht, vero e proprio momento di svolta dell'Europa, sul quale incideranno non solo l'atteggiamento dei governi e dei parlamentari nazionali e, ovviamente, «in prirnis», quello delle istituzioni europee, ma anche le reazioni, la sensibilità, la consapevole partecipazione della pubblica opinione e dei mezzi di informazione. Infatti dalla revisione del Trattato di Maastricht dipenderà se l'Unione europea che ne uscirà sarà più democratica, più compatta nel rispetto delle sue insopprimibili diversità, più politica, più equilibrata, più efficace per i propri cittadini e per il resto del mondo, più partecipata, più capace di divenire, come abbiamo detto e scritto più volte, un vero «soggetto» unitario: in una parola, più sovranazionale e federale. Battaglia difficile, basti pensare, tra l'altro, alle resistenze alla moneta unica, alle recenti dichiarazioni del Premier britannico Major pronto a sacrificare ogni progresso europeo alla preoccupazione di sopravvivenza del suo governo, alle vischiosità tradizionali dei paesi * I1 Segretario generale dell'AICCRE dal 2 dicembre 1994 è diventato responsabile politico di tutti i gemellaggi del CCRE COMUNI D'EUROPA nordici, d i vecchia e nuova adesione all'unione, di fronte ad ogni esigenza sovranazionale e di sviluppo «politico». Come reagire a questi rischi? Non vi è una sola ricetta: occorre una strategia complessa e coerente, in varie sedi, da parte degli Stati membri e nelle rispettive società, ma alla base vi è una comune esigenza, quella di far penetrare in profondità nella coscienza degli individui e dei vari gruppi ed organizzazioni sociali (e quindi anche dei cittadini elettori, dei cittadini che esercitano il controllo democratico, dei cittadini che leggono i giornali e vedono la TV e li giudicano), la consapevolezza dell'importanza essenziale di una Europa unita, di una democrazia partecipe, di un comune «progetto politico». I1 Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa e quindi la sua Sezione italiana, I'AICCRE, da sempre ritengono che un contributo valido a questo risultato, non sufficiente ma certamente necessario, possa essere la creazione e l'ampliamento di una fitta rete di gemellaggi tra comuni, città, enti territoriali intermedi e, con caratteristiche alquanto diverse, tra Regioni. Utopia? Ingenuità ideologizzata? Sogni federalisti? Proviamo a verificare senza pregiudizi e senza prevenzioni. Cos'è veramente un gemellaggio nella concezione del CCRE? Precisazione opportuna dato che attualmente il vocabolo «gemellaggio» appare inflazionato, usato a torto e a ragione, e sotto il quale si celano realtà molto diverse, talune ambigue e non certo inquadrabili in quella «risposta europea» alla quale sopra si accennava. Varie riunioni promosse dal CCRE, da ultimo a Kecskemet (Ungheria) e a Bruxelles (anche un dialogo con la Commissione europea) hanno approfondito questa concezione. Nessuno sottovaluta l'importanza dei gemellaggi per stabilire legami permanenti di comprensione reciproca, di amicizia e di solidarietà in quanto scuola di incontro, occasione di scambi di esperienze, fonte di fraternità e di solidarietà: condizioni di una pedagogia concreta per vivere insieme pacificamente, tra l'Est e l'Ovest e tra l'Europa e il bacino del Mediterraneo. Tuttavia bisogna riconoscere francamente che tutte queste iniziative hanno un riferimento solamente indiretto al grande disegno che deve essere ben presente ai nostri occhi: quello di fare dell'Europa una grande comunità solidale che, senza ignorare le particolarità nazionali, le differenti culture, tradizioni storiche, mentalità, sia finalizzata a darsi delle istituzioni per gestire in comune le sovranità nazionali nei settori dove i problemi concreti superano ormai, certamente, la capacità di un'azione efficace in ogni paese preso singolarmente. I1 grande mercato unico ha contribuito molto a realizzare un «background» comune e a rinforzare la cooperazione a livello economico, ma il mercato ha bisogno di * regole e dunque di istituzioni politiche per governare, al tempo stesso, questa interdipendenza. Quando si sottolinea il significato politico dei gemellaggi nella tradizione del CCRE, si deve ben comprendere che non si tratta di forzare la realtà o di fare delle discussioni ideologiche, ma di constatare che questa Europa, che noi siamo in procinto di costruire, è ancora molto lontana da una corretta comprensione da parte dell'opinione pubblica: essa è poco conosciuta, spesso ambigua nella sua immagine. Ne deriva un'enorme indifferenza dei nostri concittadini verso il processo d'integrazione o, a volte, un'ostilità appena dissimulata. Noi crediamo che questi fatti siano negativi per noi tutti, in un mondo frammentato, contraddittorio, dove la solidarietà stenta ad affermarsi. In questo caso, bisogna fare tutti gli sforzi per informare e sensibilizzare i cittadini al profondo significato di questa impresa storica di unificare l'Europa: i gemellaggi, se rispondono a queste condizioni, possono essere uno degli strumenti (e non di certo i minori) per raggiungere questi obiettivi. Questa esigenza irrinunciabile è sintetizzata d'altronde nel «giuramento della fraternità» che deve accompagnare, nella concezione del CCRE, ogni vero gemellaggio. Per riassumere e concludere c'è dinnanzi all'AICCRE un vasto campo di azione che, con le opportune diversificazioni (ma non sulle esigenze e sulle ispirazioni di fondo) sarà applicabile anche a tutto il CCRE. Esso comporta: - una chiara definizione di gemellaggio come scelta di significato europeo: senza indulgere alla magniloquenza, esso può divenire, come scriveva Pacilli, nella guida del1'AICCRE ai gemellaggi, un vero laboratorio politico; - una distinzione da altre forme di contatti, scambi, relazioni del tutto legittime, perchè creano legami umani profondi ed essenziali, ma che sono meno «mirati» a far partecipare il cittadino alla costruzione di un'Europa federale; - una collaborazione tra gemellaggi e «partenariato». Gli uni e gli altri sono di estrema importanza per permettere ai cittadini di cogliere le sfide poste dai problemi europei ed internazionali. Tuttavia, i «gemellaggi» e il «partenariato» sono complementari: l'obiettivo dei gemellaggi è di favorire incontri tra popolazioni differenti al fine di sensibilizzarle ai vantaggi della costruzione di una Europa unita, mentre l'obiettivo del partenariato tra collettività territoriali è di promuovere gli scambi di esperienza, il trasferimento di conoscenza e la cooperazione economica al fine di promuovere una più grande coesione sociale ed economica in Europa; - la volontà e la capacità di inserire opportunamente, nel quadro di un gemellaggio GENNAIO 1995 p r o p r i a m e n t e d e t t o , queste iniziative d i scambi, di confronto di esperienze, di cooperazione tra enti territoriali di paesi diversi, assistiti o meno da programmi comunitari di co-finanziamento e dai progetti conseguenti; - la comunità locale interessata deve essere coinvolta globalmente nelle sue diverse articolazioni: il gemellaggio non è rapporto tra due amministrazioni locali ma tra due o più comunità civiche; - il gemellaggio tra piccoli e medi comuni assume spesso una potenzialità particolare perchè in essi è più facile suscitare l'attenzione e l'impegno dei vari gruppi sociali. Il gemellaggio non rischia così di essere «cosa altrui» nei confronti della quale rimanere solo spettatori, se pur interessati e incuriositi; - il gemellaggio p u ò nascere dalle più svariate occasioni e preferenze: l'importante è che queste scelte iniziali, talvolta casuali, sappiano evolvere verso gli obiettivi sopra enunciati e i relativi contenuti; - a proposito d i contenuti, anch'essi possono spaziare su una larga gamma frutto delle esigenze locali, della fantasia e della creatività degli enti coinvolti: scambi di persone e d i famiglie, esperienze associative, confronto di istituzioni e metodi amministrativi, cooperazione tra operatori economici e sociali, tra scuole, organizzazioni di volontariato, ecc.; - particolare attenzione va rivolta ai gemellaggi con gli enti dei paesi dell'Europa centrale, che sono da tempo in attesa di poter entrare a pieno titolo nella Unione europea e mostrano preoccupazione per una certa svogliatezza di quest'ultima a tradurre in concreti atti politici ed economici la sua conclamata solidarietà verso questa parte d'Europa. Altrettanto può dirsi per il bacino mediterraneo. In entrambe queste aree agiscono programmi comunitari interessanti: ECOS, OUVERTURE, PHARE, MED-URBS, ecc. che possono opportunamente inserirsi nel quadro di un gemellaggio, pur conservando la loro specifica autonomia; - l'aiuto ai gemellaggi d a p a r t e della Commissione europea va fatto conoscere, utilizzato su larga scala ed ampliato nella sua dotazione finanziaria tenendo conto del continuo incremento quantitativo dei gemellaggi, dell'allargamento dell'unione ad altri Stati, dell'intensificazione delle relazioni di cooperazione con l'Europa centrale e l'area mediterranea; - il ruolo del Parlamento europeo nei confronti dei gemellaggi, da esso sostenuti efficacemente dal punto di vista politico e finanziario. I1 Parlamento europeo dovrà predisporre al più presto un apposito Rapporto in questo campo per rilanciare autorevolmente il necessario sviluppo; - il Comitato delle Regioni e degli Enti locali, nell'esercizio del suo potere di iniziativa, non legato a specifici pareri su determinati temi, potrà dedicare un'attenta riflessione e una decisa presa di posizione per sottolineare alle istituzioni dell'unione e al mondo delle autonomie locali e regionali il ruolo insostituibile dei gemellaggi. L'AICCRE rimane cerniera fondamentale GENNAIO 1995 attorno alla quale ruotano i gemellaggi: dalla sc.elta del partner (si veda, in particolare, la mensile Lettera dei gemellaggi, inserto di EuropaRegioni), alla sensibilizzazione politica sul significato e sulla portata dei gemellaggi; dall'assistenza ai Comuni ed altri enti - tramite il suo Servizio gemellaggi - sotto il profilo organizzativo e finanziario (in particolare, per ottenere l'aiuto comunitario), ai contatti sistematici con le altre Sezioni nazionali del CCRE e con le varie rappresentanze diplomatiche in Italia; dai numerosi Convegni, Giornate di informazioni, incontri regionali per contattare e dialogare con gli amministratori locali alla partecipazione alle periodiche riunioni europee indette dal CCRE tra i responsabili nazionali dei gemellaggi e con la Commissione europea, dai rapporti con gli europarlamentari, alla diffusione delle sue pubblicazioni, periodiche o meno (opuscoli, guide, ecc.). W Di una Europa politica.. . (segue da pag. 5 ) verso un patto senza equivoci tra quei paesi europei che sono pronti ad impegnarsi e ad agire di conseguenza sul piano politico, economico e istituzionale. Tale patto dovrà essere definito con chiarezza nel corso della prossima conferenza intergovernativa. Chiarezza negli obiettivi politici, ambiziosi ma realistici, che l'Unione europea p u ò porsi. Chiarezza negli impegni economici e sociali delle nazioni che intendono rafforzare la coesione dell'insieme europeo. Chiarezza nello schema istituzionale, in grado di portare, in tempo utile, alle decisioni e alle azioni necessarie. In sostanza, io direi che la moneta unica e la difesa comune dovrebbero tradurre questa volontà dell'Europa di esistere e di agire. La moneta unica, per i suoi vantaggi intrinseci, ma anche perché essa non potrà esistere senza la contropartita di un governo economico dell'Europa che traduca le finalità dello sviluppo economico e sociale secondo la volontà dei nostri popoli e dei loro rappresentanti. La difesa comune, perché essa costringerà l'Europa a precisare la sua strategia e le sue priorità in materia di politica estera e a definire il modo in cui essa intende contribuire al rafforzamento delle istituzioni internazionali. In occasione del cinquantesimo anniversario delle Nazioni Unite occorrerà che l'Unione europea presenti i suoi progetti finalizzati al raggiungimento d i un ordine economico mondiale più pacifico, più giusto, più rispettoso dei diritti dell'uomo e del pianeta Terra. L'imperativo democratico H o accennato alla volontà dei popoli e dei loro rappresentanti, per una semplice ragione. Un'avventura collettiva non p u ò aver successo senza la promozione dei cittadini, ovvero senza un rinnovamento della vitalità democratica. E ormai passato il tempo in cui la costruzione europea poteva progredire in parallelo con le storie politiche nazionali. L'Europa è ormai entrata nella vita di ogni cittadino europeo. In altri termini, abbiamo bisogno di un modo di procedere innanzitutt o politico. Certo, l'Unione europea è lontana dai cittadini; certo, noi possiamo fare meglio in termini di trasparenza e di sussidiarietà. Ma da lì a fare della costruzione europea il capro espiatorio della nostra malinconia democratica, vi è un margine che non deve essere oltrepassato. 11 male è in noi, nelle nostre società, nei difetti delle nostre vite politiche nazionali: la distanza che aumenta fra governanti e governati, il consumo frenetico dei fatti e l'immediato oblio che ne segue, l'epidemia galoppante dei sondaggi ... ecco i mali perniciosi che ostacolano i nostri vecchi paesi. Come il Libro bianco voleva essere di stimolo allo sviluppo della potenza economica e contro il declino, allo stesso modo il risveglio politico delllEuropa sarà di sprone all'approfondimento democratico contro l'abbandono e l'inerzia. E pertanto ancora una volta, al di là delle passioni e delle incomprensioni, devo ricordare i meriti dell'approccio federale in materia istituzionale. Soltanto questo permette di determinare chi fa che cosa e chi è responsabile davanti a chi. Soltanto questo può definire in maniera chiara i trasferimenti di sovranità e i loro limiti. Soltanto questo autorizza procedure di controllo democratiche e sanzioni degli abusi di potere. Soltanto questo garantisce il rispetto delle identità nazionali e delle diversità regionali. Per questi motivi h o proposto la formula contraddittoria in apparenza della federazione di Stati nazionali, al fine di conciliare la realizzazione di ambizioni comuni con lo sviluppo delle nostre nazioni forgiate dalla stoiia, dal sangue e dal contratto che uniscono ciascuno dei nostri popoli e da cui nasce il sentimento di appartenenza dei nostri cittadini. Nessun paese europeo è escluso a priori da questa avventura collettiva. L a Casa è aperta a tutti. Tuttavia occorre ancora che non sia rallentato il passo di coloro che vogliono condividere il loro destino, per essere allo stesso tempo più forti e più solidali. È in questo spirito, onorevoli deputati, che come ciascuno di voi io intendo contribuire a questa formidabile e unica awentura collettiva, rappresentata dalla costruzione di un'Europa politicamente unita. Fedele in ciò a coloro che ci hanno consentito di partecipare insieme a questa awentura e di continuare a sperare. Ma, anche consapevole degli adattamenti che dobbiamo accettare affinché si possa perpetuare la vocazione storica e umanistica dell'Europa. Per questa motivo, noi dobbiamo definire e organizzare il nostro spazio politico, costruire sul terreno solido della solidarietà tra le nostre nazioni e i nostri popoli, tendere al raggiungimento della potenza, non fine a se stessa, ma per poter disporre dei mezzi necessari a servire i nostri ideali comuni. Allora, coraggio, la Primavera dell'Europa M è sempre davanti a noi! in un convegno sulle pari opportunità Ma l'Europa ««convince»le donne? di Maria Teresa Coppo Gavazzi «J'en ai mare de l'égalité de chances, j'en ai mare!» (Ne ho abbastanza delle pari opportunità, ne ho proprio abbastanza). Può sembrare l'esclamazione di un maschilista ad oltranza, di una casalinga vecchio stampo senza voler offendere le donne che attualmente contribuiscono a rivalutare questa scelta troppo spesso emarginata e vilipesa -, di una accesa femminista delusa dai risultati ottenuti, di una nuova rampante politica di oggi - e non sono poche - che, non conoscendo il lungo e difficile percorso delle donne in politica, pensa che basti adeguarsi al gioco - maschile - per arrivare. Niente di tutto questo, si tratta dell'esclamazione di un'eurodeputata belga all'uscita di un interessantissimo convegno organizzato dall'università di Lovanio in collaborazione con la V Direzione generale della Commissione europea, quella dei programmi tesi alla costruzione dene pari opportunità. Non si tratta nè di una esclamazione di resa, nè di stanchezza o rifiuto, ma piuttosto di una seria presa di coscienza di quanto l'uguaglianza tra i sessi, anche in politica, la si debba raggiungere non solo e non tanto continuando a ricercare strumenti (normativi o meno) per superare la democrazia imperfetta - dal punto di vista della rappresentanza che stiamo vivendo. Era un convegno centrato sull'esame di un'ampia indagine - condotta da parte dell'università di Lovanio, appunto - tra le donne iscritte alle associazioni che aderiscono alla Lobby delle donne. Tre giorni di ampio dibattito con le rappresentanti di tutte - o quasi - le associazioni femminili più significative del panorama europeo, tre giorni di dibattito di addette ai lavori che ha oscillato tra una lunga sequela di lamentazioni - se pur giuste - sulla mancata parità e il confronto (a volte scontro) di differenti tesi circa l'opportunità di pretendere in maniera generalizzata l'applicazione delle «quote» (quasi una riserva femminile) come strumento per giungere ad una società in cui i due sessi contribuiscano in pari misura alle responsabilità sociali, civili e politiche. Quote che - tra l'altro - sono state applicate anni orsono in quegli stati, come la democrazia del Nord, in cui la parità - almeno in politica - è un dato acquisito. Le rappresentanti di questi paesi presenti al Convegno hanno sottolineato come uno dei rischi - che avrebbero potuto pregiudicare il risultato dei referendum di adesione all'unione europea - avrebbe potuto essere la paura delle donne di perdere la parità ottenuta; e forse in Svezia questa paura ha inciso sulla scelta. Ne ho abbastanza di parlare e ascoltare discorsi circa le pari opportunità, mi viene fatto di ripetere alla luce dei risultati dell'inchiesta su menzionata. Dall'esame dei dati (che in parte riportiamo) appare evidente come una delle cause di carenza di donne in politica - si pensi anche alla difficoltà in- contrata dai differenti partiti durante le ultime elezioni nel trovare un numero di donne sufficiente per coprire il 30% dei candidati previsti dalla legge - possa risultare essere anche un certo vuoto di cultura politica nell'universo femminile. Non è che le leggi non servano, anzi è una fortuna essere riusciti, sia a livello di elezioni nazionali che comunali, ad ottenere almeno la certezza di uno congrua - anche se non ancora paritaria - rappresentanza di donne, ed uguale battaglia va condotta oggi per la legge elettorale regionale che il Parlamento sta elaborando. Ma le leggi e gli sforzi per la parità non bastano, è anche necessario che le donne pur mantenendo e rivendicando come indi- 1 spensabile la propria specificità che (forse) meglio si esplica in determinati settori della politica - sappiano assumere per intero la complessità attuale della stessa, escano da una quasi autoghettizzazione settoriale per sapere e cercare di interpretare globalmente i processi - a cominciare da quelli istituzionali e socio-economici - che tanto investono e influenzano i settori per ora considerati specificatamente «femminili», quali la salute, la scuola, la qualità della vita, l'assistenza e, ultimo arrivato in ordine cronologico, l'ambiente. Saper interpretare i processi della politica sembra essere il ruolo futuro del variegato e vivissimo mondo delle associazioni delle donne - a cominciare da quella delle elette loca- Campi prioritari per l'integrazione europea e l'azione in favore delle donne I Una parte importante della nostra inchiesta verte sui settori della politica da considerare come prioritari per l'integrazione europea e per un'azione che mira a migliorare lo stato delle donne e le loro condizioni di vita quotidiana. Scegliendo tra una trentina d i settori politici, le donne intervistate erano invitate ad indicare i cinque che ritenevano prioritari, sotto tre diverse angolazioni, e cioè: - i cinque settori che, secondo loro, avrebbero dovuto essere prioritari al momento del lancio delle Comunità europee, cioè della negoziazione del Trattato d i Roma; - i cinque settori che avrebbero dovuto avere la precedenza durante la negoziazione del Trattato di Maastricht; - i cinque settori a loro avviso pizi suscettibili di generare u n impatto sulla vita quotidiana delle donee. Le tre tavole seguenti mostrano, in ordine d'importanza decrescente, i cinque settori pizi spesso citati come prioritari sotto le tre angolazioni sopra indicate. (Le cifre tra parentesi indicano il numero d i risposte che comprendono il settore citato). T A V O L A 1: Cinque settori prioritari per il lancio dell'Ez~ropa 1. Pari opportunità tra uomo e donna 2. Tmpiego e lotta alla disoccupazione 3. Insegnamento 4. Crescita economica e competitività 5. Ambiente e qualità della vita T A V O L A 2: Cinque settori prioritari per il Trattato di Maastricht I . Lavoro e lotta alla disoccupazione 2. Pari opportunità tra uomo e donna 3. Ambiente e qualità della vita 4. Lotta all'emarginazione sociale e alla povertà 5. Sicurezza sociale T A V O L A 3: Cinque settori pizi suscettibili d i migliorare la vita quotidiana delle donne 1. Lavoro e lotta alla disoccupazione (244) 2. Pari opportunità tra uomo e donna (1 78) 3. Insegnamento (1 72) 4. Salute (148) 5. Lotta all'emarginazione sociale e alla povertà (146) Come si può vedere le risposte si concentrano principalmente su sette settori, citati in ordin i differenti e tra i quali ricorre il lavoro e la lotta alla disoccupazione rosi come le pari opportunità tra uomo e donna. GENNAIO 1995 Pubblichiamo, nelle pagine seguenti di questo nostro primo inserto del 1995, facendola precedere da un commento del nostro direttore, la trascrizione dell'in tervento che Francois Mitt errand, in qualità di Presidente in carica del Consiglio dell'Unione europea, ha progunciato il 17 gennaio 1995 difronte al Parlamento europeo federalismo e coerenza Il testamento di Mitterrand Nel giudizio della ragione è la radice della nostra libertà, afferma S. Tommaso, ma formalmente essa consiste in un atto di volontà (cito dal mio maestro Bruno Nardi). E per S. Tommaso la libertà consiste nel potere che ha la volontà di «volgere la ragione a compiacere il talento». Tommaso «non solo ritiene che l'electio è substantialiter un atto della volontà e non della ragione, sebbene presupponga il consilium e il giudizio pratico dell'intelletto, ma inoltre afferma che l'intelletto è mosso dalla volontà nell'esercizio del suo atto: «Intelligo enim quia volo». Ora, quando si tratta di pronunziare un giudizio intorno ad una realtà contingente come l'operare umano, basta che la volontà diriga l'inquisitio e il consilium su una circostanza o un aspetto di questa realtà piuttosto che su un altro, perchè ne risulti quel giudizio pratico che alla volontà è gradito, ed è perciò.. . un ccgiudizio voluto». Come si vede siamo lontani da Socrate (si pecca per ignoranza) e si sviluppa la parte centrale dell'Etica Nicomachea di Aristotele -dristotele maturo, antropologo, che ha abbandonato il platonismo, ancora presente all'inizio e alla fine dell'Etica Nicomonea (la Nicomachea è una raccolta di lezioni di diversi periodi, accostati talvolta anche arbitrariamente, del pensiero del Maestro) -. Perchè, si dirà, introduciamo tanta dotta filosofia? Perchè sembra pensata su misura per impostare l'analisi della moralità di uomini politici, intellettuali, dirigenti «sociali» dei Paesi occupati e occupanti (Francia, Germania, Italia.. .) durante la seconda guerra mondiale, mentre molti (troppi?) storici si soffermano - soprattutto per i filosofi politici - a un giudizio socratico sul positivo e il negativo delle <<premesse»(premesse?) filosofiche, e trascurano la moralità dei comport?menti: quelli che ora vogliamo afirontare. E il problema della coerenza; del come e perchè si volge la ragione «a compiacere il proprio tulento»; se il «talento» mira a fini buoni quando mira a fini buoni -, è per amore della bontà in sè e per sè o, sotto sotto, perchè il fine buono coincide col proprio interesse, con GENNAIO 1995 la previsione del successo e della propria conquista di potere.. . Certo, non è di moda la ricerca della moralità assoluta: ma in sede di rivoluzione federalista e di costruzione di una Europa esemplare ci sembra, al contrario, necessaria. Un rivoluzionario deve seguire gli obiettivi (etici) della rivoluzione senza secondi fini, garantendo di essere sempre disponibile, nella buona e nella cattiva stagione. Il discorso di Mitterrand, che riportiamo, è in qualche modo un testamento morale di un uomo, che ha avuto una evoluzione di comportamenti (o di scelta via via radicalmente differenziata degli obiettivi dei propri comportamenti) in una lunga vita di impegno culturale, sociale e politico. Ci siamo già occupat i d i un altro europeo, che apparentemente era coerente con sè stesso (e non è vero): Giovanni Gentile. Ci si occupa da un po' di tempo in Italia di un altro caso contestato: quello del tedesco Ernst Junger. Rivediamoli, prima di venire a Mitterrand. Semplifichiamo una volta tanto il discorso: cioè la valutazione delle loro <<premesse»filosofiche come va fatta? L'ignoranza, a cui Socrate attribuisce le colpe, in che senso è a sua volta ignoranza colpevole nei nostri soggetti? E poi vediamo subito come la volontà dei due abbia diretto l'inquisitio e il consilium sui vari aspetti della realtà (per seguire S. Tommaso). Gentile, abbiamo visto altra volta in questo giornale, è arrivato in un momento della sua vita di filosofo <dascista» (sulle cui premesse per il momento non vogliamo eccepire), in cui il suo personale cdascismo» era confrontato - per sua stessa dichiarazione con alcuni convincimenti autonomi - d i Giovanni Gentile -, sui quali non riteneva lecito aver dubbi: no al razzismo, basato su pseudoconcetti biologici, sì all'alterità dei soggetti empirici che si risolve nell'unità superindividuale del soggetto universale (in funzione del quale si attua ogni effettiva vita morale). Dunque no al naturalismo del razzismo, si in definitiva allo Stato etico. Questi concetti sono stati ribaditi dalla cattedra nell'anno universitario 1937-'38, cioè alle soglie dello sca- tenamento della campagna razzista del Regime fascista: col quale non solo si è imboccata una via impraticabile per un Gentile fedele a sè stesso, ma si sarebbe dovuto imporre brutalmente per la prima volta - a Gentile - il problema di chi era il rappresentante legittimo dello Stato etico (cioè l'io empirico, l'individuo, o, se volete, il gruppo di individui, che di fatto legittimassero la moralità, in nome del soggetto universale, d i determinati atti della comunità umana). Prevalse l'adesione del Regime all'Olocausto: a Gentile non vimaneva che o rinnegare il fascismo - questo fascismo - o sè stesso. Perchè rinnegò sè stesso? e, a parte alcuni suoi addolcimenti spiccioli (sintomatici) della campagna razzista, perchè ribadì la sua fedeltà al Regime e optò poi per la Repubblica di Salò? Si invoca la sua «coerenza»: coerenza col suo io profondo - certamente no - o con lo schema filosofico, pur dimostratosi a lui stesso falìzmentare, sul quale si basava purtroppo la sua «maschera» di onorato filosofo? non sarebbe forse nel secondo caso un atto disperato, luciferino di orgoglio? la corresponsabilità in un assassinio, indubbiamente tale (coonestando il Regime), di chi non vuol perdere la sua storica maschera? un autocongelamento morale? Del pensiero di Junger si può dire tutto il male possibile e lo stesso nazismo pensò a un certo momento - a torto? - di poterselo unnettere: ma ]unger ubbidiva a sè stesso, era coerente col suo io profondo, e disse no, col rischio che si correva in Germania, all'annessione. In questi giorni di polemica italiana su di lui, un quotidiano ha riportato opportunamente parole d i un giudice insospettabile, Hannah Arendt: «I diari di guerra di Ernst Junger offrono forse l'esempio migliore e più onesto dell'immane difficoltà a cui I'individuo si espone quando vuole conservare intatti i suoi valori e il suo concetto di verità in un mondo in cui verità e morale hanno perduto ogni espressione riconoscibile.. .». Due c~mportamenti- Gentile e Junger - diversi, anzi opposti: e ora torniamo a Mitterrand. Un caso, apparentemente, del tutto diverso: tecnicamente, si dirà, due pensatovi, coerenti o meno nel loro agire, e un uomo d'azione, che non è legato in partenza a una particolare «visione del mondo»: ma tutti e particolarmente non tanto i <<politicanti»di mestiere ma gli autentici «stat/rti» - sono filosofi e insieme uomini d'azzone, a parte il dosaggio. Gli uomini cosiddetti d'azione sono per cosi dire, filosofi in eundo, e occorre, nei loro riguardi, verificare casomai se la loro filosofia «in progresso» è adattata a obiettivi di «presa del potere» oppure ha uno sviluppo personale autonomo, cioè morale, e l'azione di adegua via ad esso, concludendosi poi qui stiamo di fronte, con Mitterrand, a un testamento -in senso moralmente positivo e con la coincidenza tra filosofia morale e lascito politico. Mitterrand - dando a Machiauelli l'interpretazione europea corrente, che dà poi vita all'aggettivo deteriore, sbagliato, di «machiavellirmo» - respinge il soprannome di «le Florentin». Ha un singolare interesse il libro (un librone di 614 pagine), che ha avuto e ha un grande successo in Francia, di Pierre Péan: «Une jeunesse frangaise. Frangois Mitterrand 19341947)). È un libro che ha la pretesa di essere obiettivo, ma che dà anche la sensazione di essere stato faticosamente costruito con la supervisione, discreta e dietro le quinte, dello stesso Mitterrand. A prima vista sembra un ritratto - malgrado gli sforzi di Péan - di un tipo levantino, frequente e ben conosciuto in Italia, di «politicunte» che riesce a camminare sempre sulla cresta delle onde, insomma di un autentico «florentin»: ma poi rzflettendoci - anche se il sospetto della supervisione di Mitterrand rimane - si è portati a dare un giudizio favorevole allo statista. Mitterrand è, agli esordi e in sintonia con la sua famiglia, un cattolico di destra. Sua madre è molto amica di Mauriac: Frangois per parte sua non è u n militante dellJAction francaise («]'ai été élevé dans I'horreur de I'Action frangaise, non parce qu'elle était de droite, ma pavce qu'elle était excommeuniée>>),ma certamente ammira Charles Maurras. E un uomo della destra sociale, apprezza il corporativismo. Nella guerra etiopica Francois è tra i francesi (nella fattispecie, tra gli studenti di diritto) che «non vedono perchè si voglia impedire a Mussolini di prendere l'Etiopia» (e sembra accogliere le tesi dei cattolici giustficazionisti): ma una sua noticina rivela una sua riserva d i fondo ( « I l est toujours utile de connaitre l'histoire de peuples si particuliers en mtme temps si pareils aux autres, cav, au fond, ce n'est pus la couleur ou la forme des cheveux qui ont donné quelque valeur aux imes»). Il resto del periodo prima della guerra mostra un Mitterrand più irrequieto che con idee chiave: direi che la caratteristica fondamentale - e positiva - è proprio quella di non lasciarsi incolonnare. Attacca la classe politica -ovviamente più la sinistra che la destra -, attacca «la plupart de grands auteursx (Gide, Valery, Girandoux e anche Mourras e perfino Mauriac). Probabilmente commette anche sbagli, ha qualche momentanea amicizia discutibile. Poi la vita militare, la guerra, la prigionia in Germania e, infine, l'evasione: è una grande esperienza, sia come lenta tabula rasa di una serie di pregiudiziali ideologiche COMUNI D'EUROPA sia come acquisizione di una serie di punti di rzferimento personali o convinzioni maturate in una pluralità aperta di rapporti umani. Rimane la socialità ma è autonoma dalla destra né si lega a una sinistra ideologica,fermo particolarmente nell'avversione intransigente agli stalinists non assume, almeno per un certo percorso, atteggiamenti rivoluzionari, ma confida in un Pétain «padre della patria», osteggiando - lui evaso - ogni collaborazionismo e respingendo, proprio facendo leva sugli ex combattenti, Laval e i suoi accoliti; detesta i servi dei tedeschi, degli occupanti, ma non si nota nessuna avversione per i tedeschi come tali; conserva (e, a mio avviso, conserverà sino in fondo, fino a oggi) alcuni valori cristiani, ma ormai è un laico. Il problema: in questa costruzione autonoma di sè stesso, lui che ama l'azione e ha una irrefrenabile voglia di emergere, fino a che punto spinge i compromessi, considerando da parte nostra una situazione come quella di un paese occupato, dove facile è confondere il doppio giuoco con la prudenza ovvia e necessaria? Qui sembra che, sia pure nell'opinabilità - sul terreno dell'efficienza - di tutte le scelte operative, egli strategicamente spinga «quel giudizio pratico che alla volontà è gradito» (siamo tornati a S. Tommaso) in coerenza con le sue convinzioni morali e non, in primo luogo, dell'immediato successo personale. Pétain, malgrado tutto, delude ormai unche il francese più naif ed è giucoforza abbandonare, sia pure con delusione, l'idea di una autosufficienza nazionale o addirittura legalitaria, nel bloccone il collaborazionismo e preparare pazientemente la «rzicossa». Il resto dell'evoluzione di Mitterrand è, nelle grandi linee, noto: l'assunzione di una irrinunciabile clandestinità, il legame con Algeri e Giraud, il faticoso superamento dell'ostilità dei gollisti (lui considerato un ambiguo «v'ichyste» o «vichysrois>>).Ma un punto è abitualmente vicordato e non adeguatamente valutato: il legame stretto con Henri Frenay. Andiamo a rileggere le «Mémoires» d i ]ean Monnet: «Mais j'avais encore à découvrir la Résistence dans les individualités dont le tempérement sortait du commun, tel Henry Frenay.. . Ce qu'il a fait, avec d'autres, plus que d'autres, et autant que les meilleurs, me remplit d'admiration. Sa force inébranlable et sa générosité survecurent aux drames q u i les avaient révélées et ne trouverent plus leur mesure entière dans le milieu politique de l'aprés-guerre». In effetti quando nell'immediato dopoguerra (1946) rientrai in Europa e incontrai Spinelli, il leader del federalismo europeo francese era considerato Frenay: che usci presto dalla scena politica francese, angoloso, incapace di compromessi, in qualche modo simile ai più candidi degli «azionisti>>italiani. Del resto Frenay è stato l'ispiratore di un nuovo partito, fuori della tradizione, l'Union démocratique et socialiste de la Résistence (UDSR), che ebbe come pratico creatore Eugenio Claudius - Petit (il grande ammiratore de Le Corbusier) e membro eminente Pléven: del primo molti federalisti ricorderanno il saggio «Aménagement du territoire dans une perspectiue européenne>>,pubblicato sulla rivista della «Gauche européenne» prima dei Trattati di Roma, e di Pléven ricorderanno, a Parigi, la presidenza del congresso del 1955 dell'union européenne des fédéralistes. Mitterrand ha militato nell'UDSR e solo quando si è rinnovato è entrato nel partito socialista. Più politico di Frenay, si è alleato quando occorreva con dei bastardi, ma l'Europa, l'unità sovranazionale culturale, sociale, politica e democratica è diventata per lui non una scelta di opportunità quanto la soluzione morale di una sua tormentata ricerca, che va onestamente richiamata tutta, includendovi l'esordio di cattolico di destra. In tutto il dopoguerra tutte le volte che era in giuoco l'unità democratica dell'Europa Mitterrand si è trovato al posto giusto: per la prima metà vale la pena di riprendere le «Memoires>>di Monnet (dove si rilevaho viceversa le incertezze e le contraddizioni dei socialisti della SFIO). l o stesso poi non posso dimenticare che quando, sotto il regno del restaurato De Gaulle (il confederalista della «sedia vuota>>),organkzammo come federalisti a l'arigi, in maniera garibaldina, un controvertice (contre-sommet) europeo ricordo che nel grande comizio conclusivo avevo al fianco il portoghese Soares e lo spagnolo Tierno Galvan, allora esuli -, Mitterrand partecipò al banchetto politico finale e si impegnò. Il 24 maggio 1984 Mitterrand a Strasburgo appoggiò «in nome della Francia» il progetto costituzionale di Spinelli. Nell'ottobre 1993, rientrato poche ore prima dal Vicino Oriente, stanco e terreo in volto, intervenne alla seduta di apertura degli Stati generali del CCRE: aveva in mano i foglietti che la burocrazia si era data la pena di preparare al Capo dello Stato, li mise ostentatamente e quasi con dispetto da parte, e parlò cinquanta minuti a braccio, invitandoci a portare avanti l'Europa popolare. Questo suo parlare col cuore in mano di un uomo cosi segnato dalla malattia non era una ruse del veterano politico, che ama accattivarsi l'uditorio, ma una confessione che vogliamo ricordare, proprio come introduzione al discorso, che riportiamo quale testamento. Lo so, taluni amici federalisti di tipo scolastico osserveranno che sul terreno istituzionale non dice granchè - salvo l'enfasi sul ruolo del Parlamento Europeo, che lo ospitava - e che non ha pronunziato penso che abbia sotla parola «federazione>>: tolineato con onestà, al di fuori di ogni lenocinio retorico, le premesse culturali e morali per cui si deve essere federalisti PS. Nell'introduzione al discorso-testamento di Mitterrand abbiamo citato le «Memoires>>di Jean Monnet: ebbene, non ci è facile commentare il fatto che nell'lndex delle «Memoires>>,tra una folla di persone grandi, piccole e mediocri, apparse nel lungo cammino della vita di Monnet, non compaia Altiero Spinelli, che ebbe a collaborare con Monnet fino a scrivergli alcuni discorsi. Purtroppo la meschinità della gente non ha limiti. l'entourage di Monnet detestava Spinelli e ha operato in modo che venisse cancellato dalle «Memoires» (nelle quali si citano diversi altri italiani). In compenso, quando Mitterrand ha presenziato alla cerimonia per il trasferimento dei resti mortali di Monnet aux Invalides, nel discorso celebrativo non ha dimenticato di vicordare, fra i padri dell'Europa e della sua unificazione, Altiero. U.S. GENNAIO 1995 Il discorso Signor Presidente, Signore e Signori, come sapete, dal primo gennaio di quest'anno, la Francia presiede l'Unione europea. Così, ho tenuto, ancora una volta, a presentarmi alla vostra Assemblea per esporvi il programma che la Presidenza francese si è prefissato. H o considerato che era un dovere nei vostri confronti, cioé nei confronti della rappresentanza popolare. Dopo tutto, non era questo il modo migliore per sottolineare sia l'importanza che la Francia attribuisce alla costruzione dell'Europa, di un'Europa sempre più unita, sia il posto eminente che spetta al Parlamento europeo in questa grande impresa. È un argomento di cui si parla spesso. P e r quanto mi riguarda, sono guidato da un'idea semplice: le competenze e i diritti del Parlamento debbono accompagnare il rafforzamento delle strutture dell'Europa. Più ci sarà Europa, più questa Europa deve essere democratica, più deve essere parlamentare. Allora lavoriamoci. (Applausi) Non è semplicemente per seguire le usanze, ma io renderei prima omaggio, poichè è anche rendergli giustizia, a Jacques Delors e alla precedente Commissione, di cui l'azione, nel corso di tutti questi anni, è stata determinante. E sono convinto che Jacques Santer non intervengo nei vostri dibattiti - perché lo conosco bene e lo apprezzo, alla testa della nuova Commissione, saprà proseguire questo impegno. Voglio salutare ugualmente l'azione della presidenza tedesca che ci ha preceduto. Infine, voglio dare ai tre nuovi Stati membri, un caloroso benvenuto fra voi e fra noi. Con loro, l'Unione europea si sente più forte, più rappresentativa e dunque ancora più legittima, nei confronti del grande progetto storico che essa rappresenta. Poiché, Signor Presidente, Signore e Signori, ciò di cui dobbiamo parlare, è di assicurare all'Europa il posto e il ruolo che gli competono in un mondo da costruire. Un'Europa potente economicamente, commercialmente, unita monetariamente, attiva sul piano internazionale, capace di assicurare la propria difesa, feconda e varia nella sua cultura. Questa Europa sarà tanto più attenta agli altri popoli quanto più sarà sicura di se stessa. Allora, le nostre priorità vi sembreranno banali e spero che lo siano perché ciò significherà semplicemente la continuità delle presidenze, - ieri la Germania, domani la Spagna e gli altri - la cui missione è contribuire, per quanto possibile, alla riuscita della nostra impresa. Preciserò tali priorità, ma forse ci sarà una specificità francese. Starà a voi giudicarlo. Le nostre priorità, che vi dirò in dettaglio, tendono a favorire la crescita e creare posti di lavoro. Esse tendono ad affermare, nella loro diversità, l'identità culturale dell'Europa. Insisterò su questo punto. Esse hanno lo scopo di garantire una maggior sicurezza agli europei, sul piano esterno come sul piano interno, e intraprendere in condizioni migliori, o perGENNAIO 1995 lomeno nelle migliori condizioni possibili, la preparazione della conferenza intergovernativa del 1996. Tali priorità sono state definite tenendo presente il doppio imperativo al quale l'Unione dovrà far fronte nei prossimi anni. Primo imperativo: mettere pienamente in applicazione il Trattato sull'Unione europea che i nostri Parlamenti e i nostri popoli hanno solennemente ratificato. In quanto a me, contavo che il popolo francese fosse protagonista in questo grande avvenimento della nostra storia. Non sottovalutiamo l'importanza dello strumento di cui disponiamo, anche se possiamo criticarne molti aspetti, soprattutto il linguaggio amministrativo un pò complesso e un pò tecnocrate. Elaborare un testo così lungo e così complesso, con dei partecipanti e delle lingue così diverse, non è neanche la maniera migliore per costruire un capolavoro letterario. Ma è un trattato che vale la pena studiare. Esso esiste, è stato adottato, è importante e desidero che venga applicato. Non dico che non abbia bisogno di essere modificato, ma desidero che venga prima applicato. D'altronde l'abbiamo sottoscritto, che si tratti dell'istituzione di una moneta unica, dell'attuazione di una vera politica straniera comune, della progressiva costruzione di una difesa indipendente, ciò non vuol dire libera dagli impegni nei confronti dei suoi alleati. L'Europa che abbiamo costituito ha le sue preferenze e noi vi restiamo fedeli realizzando ad esempio la libera circolazione degli uomini, oppure l'affermazione della cittadinanza europea. Secondo imperativo, prepararsi agli ulteriori allargamenti dell'unione. Esiste un legame logico tra questi due imperativi: più 1'Europa si afferma sul piano interno e più la sua forza di attrazione si esercita sugli altri Paesi democratici d'Europa. Purché questi d u e obiettivi non si contraddicano. Questa è la difficoltà, poiché occorre allargare, ma occorre anche rafforzare l'Unione esistente. L'allargamento non deve indebolire ciò che esiste e ciò che esiste non deve impedire l'allargamento dell'Unione ai limiti dell'Europa democratica. È un problema difficile da risolvere, ma vi chiedo di prestarvi attenzione. È la questione forse più difficile che avrete da risolvere nel corso degli anni a venire. I1 primo campo d'azione riguarda l'economia e il mercato del lavoro. I nostri Paesi stanno vivendo una crisi economica senza precedenti per la sua importanza nella nostra storia recente. Sono persuaso che se non fosse esistita la Comunità europea, l'intensità del fenomeno sarebbe stata più forte e i suoi effetti sulla coesione interna delle nostre Società, molto più gravi. In effetti, ci ha preservato dalle politiche rischiose dell'«ognuno per sé», dall'isolazionismo. Dove saremmo, Signore e Signori, se avessimo dovuto attraversare questa crisi senza poter contare l'uno sull'altro? L'obiettivo adesso, è queilo di accompagnare con un approccio volontario la ripresa dellattivià, e migliorare il mercato del lavoro. È comportan- doci in maniera coordinata che noi saremo più efficaci. La Presidenza francese si adopererà per favorire tale coerenza per la quale ci siamo collettivamente impegnati ad Essen, alla luce delle conclusioni del Libro Bianco sulla crescita e l'impiego. Ma al di là del coordinamento necessario delle nostre politiche, occorre anche preparare, a p ù l u n g o termine, i fondamenti di un'Europa nella quale si eserciterà una nuova forte espansione economica: lo spero; sana, lo spero; durevole, lo spero. E possibile, se noi sappiamo utilizzare pienamente tre delle no,stre carte maggiori. Qual'è la prima carta? E la dimensione del nostro mercato. Noi siamo, fino ad oggi, riusciti per la maggior parte ad eliminare gli ostacoli amministrativi, doganali, normativi, che dividevano questo grande spazio. È l'opera che è stata compiuta grazie all'Atto unico. Ci rimane da eliminare o ridurre gli altri ostacoli, che non sono piccoli, ivi compresi gli ostacoli fisici che frenano ancora la fluidità della circolazione degli uomini, delle merci e delle idee. A questo è destinato, per esempio, il programma delle reti transeuropee e che, dal Nord al Sud, dall'Est ad Ovest, gli Europei siano collegati tra di loro con mezzi moderni, rapidi, sicuri - rotaia, strada, aereo - che le energie scorrano le nostre Regioni, che le informazioni si scambino grazie alle tecniche e alle infrastrutture più avanzate. Quale progresso, Signore e Signori, e come ci sentiremo più forti e più fieri se noi ci riusciremo; piuttosto che tagliare, al limite delle nostre frontiere, i nostri mezzi di comunicazione. La seconda carta è, certamente, l'unione economica e monetaria: ai miei occhi, complemento naturale e indispensabile del Mercato unico, senza la quale il Mercato, che ho tanto voluto, insieme ad altri naturalmente, che è stato così laborioso, sarebbe una Carta dell'anarchia e delle concorrenze più illecite. Le tensioni monetarie che abbiamo avuto e che abbiamo oggi, in particolar m o d o da qualche settimana, dimostrano la necessità di progredire il più rapidamente possibile verso la moneta unica. So che se ne parla sempre, che non si è convinti. In ogni caso, vi comunico la mia personale convinzione, che credo di dividere con la maggior parte dei responsabili francesi: è l'unico modo di fare dell'Europa una grande potenza economica e monetaria e il modo migliore di assicurare alle nostre economie una crescita sostenuta. (Applausi) È imperativo, anche se so che altri hanno parlato in modo diverso - ma sono qui per esprimere il mio pensiero e quello della Francia - è quindi imperativo, anche se ne conosco la difficoltà, forse anche l'aspetto illusorio, stando allo stato di spirito di molti, di rispettare il calendario che ci siamo fissato e di fare in modo di poter pervenire alla moneta unica a partire dal 1997. (Applausi) Naturalmente, poiché ci siamo dati una certa ampiezza di tempo - 1997, 1999 - e che, nei discorsi privati, si parla anche di aspettare l'inizio del secolo prossimo saremo tentati di optare per la soluzione più facile, vale a dire quella che farà durare le cose, complicandole. Mi auguro quindi che le cose seguano il loro corso. La Presidenza francese farà il massimo per preparare questa scadenza e in questa prospettiva, utilizzerà al meglio tutte le procedure di coordinamento delle nostre politiche economiche. Da qui all'anno prossimo, tra l'altro, noi le rafforzeremo ancora. Spero che questa dichiarazione di principio si tradurrà in fatti, e che la nostra diplomazia vi lavori attivamente. Occorrerà ugualmente sistemare i problemi legati all'introduzione dell'ecu. È assolutamente essenziale, oppure parliamo per non dire niente. Infine, ci auguriamo che l'Istituto monetario europeo, che rappresenta ciò che sarà la Banca centrale europea, possa giocare pienamente il suo ruolo. Il nostro augurio è che tutti gli Stati che hanno sottoscritto a questi stessi obiettivi possano, se possibile nei termini previsti, superare la rotta della terza fase dell'unione monetaria. La porta resterà aperta agli Stati che hanno ritenuto di non potersi ancora impegnare sulla moneta unica. Io comprendo le loro difficoltà. Ce le siamo poste anche noi; non credete che sia facile per la Francia: le condizioni sono rigorose, severe. I1 problema è quello della volontà politica. Ebbene, sono sicuro che coloro che non sono ancora fra noi ci raggiungeranno, a condizione che noi stessi non cediamo durante il cammino. Infine, la terza carta di cui disponiamo, è la nostra eccellente tecnologia. Innumerevoli sono le invenzioni nate dallo spirito dei nostri ricercatori. Questo capitale non chiede altro che fruttificare, se noi sapremo sfruttarlo come conviene, e alla dimensione del nostro Continente. Non dirò nient'altro, ma nel vostro spirito si impone senza alcun dubbio la serie straordinaria di successi tecnologici, scientifici, inventivi, innovativi che sono accaduti dalla metà del XIX secolo, e tutto questo in Europa, e con l'Europa, senza naturalmente escludere coloro che, altrove, hanno contribuito al progresso generale. So quanto voi, Signore e Signori Parlamentari, siate attenti a questa questione. Conosco l'importanza che ha, ai vostri occhi, il programma-quadro di ricerca e di sviluppo. E avete ragione! Occorre quindi convincerne tutti i Governi. E vi assicuro che, in accordo naturalmente con la Commissione, la Presidenza francese veglierà all'attuazione di questo programma e alla sua articolazione con le necessità del mercato. Accanto a questi vasti obiettivi, avremo cura di non trascurare altri compiti: il progresso del mercato interno, la condotta delle politiche comuni, il rispetto per gli impegni presi in materia di ambiente. Penso in particolare alla lotta contro l'aumento dell'effetto serra, o semplicemente, in un campo del tutto diverso, alla protezione dei consumatori. Gli esempi potrebbero essere moltiplicati. Un argomento dovrebbe anche, a nostro avviso, fare oggetto di proposte concrete, quello - e so che non tutti saranno d'accordo con me, ma siamo venuti per esprimere il nostro pensiero - quello, dico, del servizio pubblico o del servizio di utilità pubblica. Se tali servizi venissero inquadrati da una regola comune, edita, per esempio, sotto forma di Carta europea, contribuirebbero utilmente agli obiettivi che ci siamo fissati. Un'Europa economica e monetaria forte, ecco la condizione del benessere degli Europei. Ma è necessario sostenere di fronte a voi, che siete gli eletti dei popoli europei (no, lo faccio per rigor di logica nel mio esposto), che la costruzione di quell' Europa sarà possibile soltanto con l'adesione reale dei cittadini stessi? Una delle maggiori difficoltà che abbiamo incontrato per ottenere l'accordo dei nostri concittadini a proposito del Trattato di Maastricht, è stato l'effetto sorpresa: un certo numero di persone informate, di persone che viaggiano, di persone che hanno scambi internazionali, oppure la parte del pubblico che legge, che s'informa, che studia, era devota all'Europa. Ci si era forse un pò troppo adagiati su questo. Il popolo, nel suo intimo, era per l'accordo, ma ignorava le condizioni necessarie per pervenirci, le quali condizioni potevano apparire costrittive e sembrano costrittive. Dall'origine della Comunità, ho difeso, come molti di voi, l'idea che dovevamo costruire un'Europa sociale. I1 Fondo sociale europeo, lo Spazio sociale europeo, la Carta sociale, l'accordo sulla politica sociale - allegato al trattato dell'unione europea - la presa d'atto delle norme sociali nella preferenza europea sono altrettanti passi avanti, ma non nasconderò che a Maastricht, avrei preferito che si andasse più in là e che si riprendesse nel Trattato la totalità della Carta sociale. (Applausi) Non illudiamoci: i mercati sono soltanto dei mezzi, dei meccanismi dominati troppo spesso dalla legge del più forte, dei meccanismi che possono generare l'ingiustizia, l'esclusione, la dipendenza, se non vengono posti dei contrappesi necessari da coloro che possono contare sulla legittimità democratica. Accanto ai mercati, c'è posto per le attività economiche e sociali fondate sulla solidarietà, la cooperazione, l'associazione, la mutualità, l'interesse generale, cioè, il servizio pubblico. Se oggi dunque abbiamo tracciato il contorno dell'Europa sociale, manca il contenuto. E non è un'opera esaltante, appassionante, quella di mettere questo contenuto? Non è il lavoro dei prossimi mesi e dei prossimi anni? In quel momento osserverò dall'esterno i progressi sociali, e mi rallegrerò ogni volta che vedrò l'insieme dei rappresentanti europei associarsi, al di là delle loro visioni naturali e delle loro diverse opinioni, affinché l'Europa da costruire non sia un gioco di meccanica, ma sia l'opera potente di uomini che costruiscono la loro storia. Oggi, dunque, è un pò difficile, e mi auguro che in collegamento con i partners sociali, noi prendiamo delle iniziative nei campi della formazione, dell'educazio.ne, dell'organizzazione del lavoro, della lotta contro le esclusioni. Niente si farà veramente se i partners sociali non troveranno il posto che gli spetta nella costruzione dell'Europa. (Applausi) Con questo spirito, la Presidenza francese prepara, in sintonia con gli Stati membri e le organizzazioni sindacali e professionali, una conferenza per rinnovare il dialogo sociale. L'accordo sulla politica sociale allegato al Trattato di Maastricht prevedeva che il dialogo tra i partners sociali potrebbe aprirsi su degli accordi europei. Credo che è il momento per gli uni e per gli altri di considerare il negoziato di contratti sociali europei che prefigureranno un nuovo diritto sociale. I1 lavoro svolto dal Presidente Delors e dalla Commissione, con le organizzazioni sociali e professionali, sarà a questo riguardo molto utile. Uno dei primi temi di negoziato potrebbe essere l'esplorazione di una proposta del Libro Bianco; È già un documento conosciuto, che tende all'organizzazione della formazione nel corso della vita. Che mi sia ugualmente permesso, Signore e Signori, di porre l'accento sul tema della dimensione sociale degli scambi, per ricordare la necessità di costruire le relazioni economiche internazionali sul rispetto dei diritti fondamentali. Faccio degli esempi: quello dei lavoratori, quello delle donne in alcune società, quasi dappertutto quello dei bambini, delle organizzazioni sociali, professionali, dei detenuti. Abbiamo fatto dei progressi in questo senso in Europa, e, grazie al Presidente Clinton, con gli Stati Uniti d'America. Il mio desiderio sarebbe che tutti i Paesi europei possano parlare con una sola voce, soprattutto in seno all'organizzazione internazionale del lavoro, della nuova Organizzazione mondiale del commercio, ispirandosi dai testi che esistono e, in particolare, dal rapporto che voi avete adottato. Ecco una base di lavoro e di riflessione, non occorre inventarla! È fatta! Questo lavoro, voi l'avete compiuto. Andiamo avanti adesso. Ad ogni modo, la Francia proporrà un promemoria in tal senso. Infine, mi sembra indispensabile che il mondo sociale apporti il suo contributo alle riflessioni in corso sul funzionamento dell'unione. Progetto quindi, dopo aver parlato a più riprese con i rappresentanti delle forze sociali europee, di proporre che un piccolo gruppo di personalità sociali indipendenti sia incaricato di stabilire un rapporto sui mezzi per far progredire questa Europa. Tale rapporto verrebbe a completare quelli che sono stati o saranno stabiliti da voi stessi, dal Consiglio, dalla Commissione, per l'esecuzione del trattato esistente. E voi capite fino a che punto è indispensabile che i negoziatori possano disporre, quando si aprirà la conferenza intergovernativa del 1996, del punto di vista e dei suggerimenti degli attori sociali sull'evoluzione auspicabile dell'unione. L'Europa, ho detto, deve incontrare l'adesione dei cittadini. I grandi spazi aperti possono generare, generano un sentimento di angoscia. E occorre stare attenti a non far installare nei nostri concittadini una specie di rifiuto dell'altro, di rifiuto dello straniero, oppure una specie di agorofobia europea. Esiste! Per evitarla, diamo pieno accordo alle disposizioni previste nel Trattato sull'Unione europea. Occorre constatarlo, non è ancora il caso. Non nego il carattere delicato dei problemi trattati, le precauzioni a prendere per assicurarsi che un'azione europea non sia meno efficace delle azioni nazionali, l'augurio con il quale ci si deve di proteggere le libertà dell'individuo e le regole protettive del diritto non deve essere indebolito dalla creazione dell'Europa. Ma i nostri concittadini, in questi campi, si aspettano molto da noi, credeteGENNAIO 1995 mi, anche se spesso provano paura o diffidenza. Perciò occorre vigilare - lo faremo, noi, con il Primo Ministro della Repubblica francese, i ministri francesi in carica per questi affari - affinché la nostra Presidenza mandi avanti diverse pratiche importanti. Credo anzitutto - e non insisterò, poiché la Francia è stata un attore in questo dibattito, ma comunque, vi espongo il mio pensiero credo anzitutto alla Convenzione che crea Europol. (Applausi) Occorre che sia rapidamente conclusa e che sia attuato l'organismo preposto. Così è stato deciso ad Essen. Non si possono eternamente ritardare le decisioni per ragioni spesso di buon senso, ma che tenderebbero a sostituirsi, secondo le nostre capitali, alla regola generale che vuole che noi procediamo in comune, soprattutto per la sicurezza. Per il diritto di asilo e d'immigrazione, rimane molto da fare: non è facile armonizzare le cose! Penso in modo particolare all'entrata in vigore della Convenzione di Dublino sulla determinazione dello Stato responsabile di una richiesta d'asilo e l'adozione del regolamento che stabilisce la lista comune dei Paesi i cui connazionali sono sottoposti al visto. Son o addentro da troppo tempo agli affari pubblici per ignorare la difficoltà di questi dibattiti e per non sapere che occorre avere un gran senso civico e una forte convinzione europea per superare un certo numero di preferenze nazionali. Ma, veramente, vi prego, fatelo capire ai vostri dirigenti. L'Europa sarà quella dei cittadini se i cittadini si sentono al sicuro in Europa e grazie all'Europa. (Forti applausi) Potrei dire altrettanto - ma non voglio allungare all'eccesso questo esposto - della cooperazione giudiziaria, dell'azione coordinata contro il traffico di droga, del terrorismo internazionale, del crimine organizzato. Chi di noi, tra i nostri Paesi - vi pongo la domanda - potrebbe pretendere di trattare e risolvere isolatamente uno di questi flagelli? Chi ne avrebbe la forza? Infine, sarebbe soltanto un vantaggio se paragonassimo e confrontassimo le nostre esperienze nazionali in materia di politica d'immigrazione e d'integrazione e che fosse continuata e completata la lotta contro il razzismo e la xenofobia. Questa Europa, la nostra, ha bisogno di incarnarsi in ben altro che bilanci economici e tonnellaggi di carico. Direi, ma non voglio gonfiare il mio linguaggio, che ha bisogno di un'anima, per esprimere (perciò, siamo più modesti) la sua cultura, il suo modo di pensare, le strutture dei nostri cervelli, il frutto di secoli di civilizzazione di cui siamo gli eredi. Le espressioni del nostro genio proteiforme sono ricche e diverse, e possiamo far dividere, come in passato, al mondo intero - senza volerle imporre, perché cambierebbe un pò del passato - le nostre idee, i nostri sogni e, in ciò che hanno di buono, le nostre passioni. I negoziati del GATT, un anno fa, avevano fatto prevalere il principio dell'eccezione culturale. Era l'idea che le opere dello spirito non erano merci come le altre. Era la convinzione che l'identità culturale delle nostre Nazioni, il diritto per ogni popolo allo sviluppo della propria cultura erano in ballo. Era la voGENNAIO 1995 lontà di difendere il pluralismo'e la libertà per ogni Paese, di non abbandonare ad altri questi mezzi di rappresentazione, cioé i mezzi per rendersi presente ad esso stesso. Da allora abbiamo progredito poco, e diventa necessario, ve lo assicuro, dare alla dimensione culturale della costruzione europea il posto che gli spetta. Faccio parte di coloro che n e sono risolutamente sostenitori. Rappresento la Francia, che conosce le minacce che la circondano su questo piano, che conosce molto bene la rivalità delle lingue. Ma, se penso ad altri Paesi, altrettanto rispettabili, le cui lingue non hanno la dimensione geografica della Francia che, essa stessa, non ha la dimensione geografica d i altri Paesi, cosa n e sarà del fondo dell'anima, dell'espressione, del gaelico, del fiammingo, dell'olandese? (Applausi) E se non voglio sembrare di isolare i più piccoli o i più deboli, perché i meno numerosi (questa non è demografia) direi che in realtà, se ne fossimo veramente coscienti l'Italia, la Germania, la Francia sono altrettanto minacciate. Rimane, oggi, solo la cultura inglese e americana, la cultura spagnola, che siano in grado di affrontare queste sfide. E, con tutta l'amicizia che h o per questi Paesi, mi piace parlare la mia langue piuttosto che la loro. (Applausi) In primo luogo, pensiamo al campo audiovisivo. Credete che sia prova di un eccessivo settarismo? Spero di no. Nel campo audiovisivo, sappiamo bene che la coscienza, l'immaginario, il sapere sono sempre più plasmati dalllimmagine e che non ci sarà l'Europa senza immagine europea. Mentre si celebra il centenario del cinema, l'arte più popolare del secolo non è mai stata così minacciata in ognuno dei nostri Paesi. Non ha d'altronde neanche più bisogno di essere minacciato in alcune di questi Paesi, poiché è già scomparso. Gli aiuti comunitari non hanno permesso di evitarne il declino. Non hanno saputo suscitare la nascita di un vero spazio audiovisivo europeo né dare alle imprese dei nostri Paesi in questo settore una dimensione internazionale. E urgente aumentare l'attrattiva e la circolazione delle opere realizzate in seno all'unione. Non chiedo misure protettive. Non voglio rifiutare l'apporto considerevole e spesso notevole delle altre culture, ma comunque, il pubblico europeo ha tutto il diritto di vedere le opere dei propri artisti. Non può esserne privato da decisioni arbitrarie prese altrove, o dalla logica di un mercato cieco o la logica cieca di un mercato. Non vorrei scontentare nessuno. Quest'obiettivo esige una riforma ambiziosa, resa inevitabile dal nuovo contesto tecnologico e economico. Mettiamo fine alla dispersione degli sforzi. Concentriamo gli aiuti su qualche priorità, soprattutto sulla distribuzione. Adattiamo la natura e il volume dei mezzi all'ampiezza del compito. Sappiamo che i 200 milioni di ECUconcessi al programma MEDIA rappresentano le spese comunitarie di un solo giorno? La Presidenza francese tenterà di realizzare una parte di questa ambizione. Ma sei mesi, che cosa sono sei mesi? Questo dovrebbe farci riflettere sulla durata dei mandati consentiti alle varie presidenze, anche se non chiedo nessun prolungamento della mia. (Risate e applausi) Occorre evitare le confusioni. Non dico questo per voi, ma ciò che viene detto qui, verrà risaputo in Francia. (Risate) La Presidenza francese sosterrà la rifusione del quadro giuridico della diffusione audiovisiva. Favorirà lo sviluppo delle nuove tecnologie e la l o r o applicazione alla c u l t u r a e all'educazione. S'incarica di riorganizzare a fondo il sistema di aiuto alle industrie di programma. Insisto. Questo ci stà a cuore. Non si può essere soddisfatti dei mezzi esistenti. A maggior ragione, non si può tornare indietro in rapporto a ciò che è stato realizzato nel 1989, con la direttiva «Televisione senza frontiere» e nel 1993, con le risoluzioni d e l GATT, Intendo dire, qui o là, che bisognerebbe rinunciare a tutto, in nome di non so quale liberalismo. Abbandonare la percentuale di diffusione. Non cambiare niente nelle medie, insomma lasciar correre. Questa non è l'opinione della Francia. Ma l'immagine non è l'unico terreno di costruzione dell'Europa delle culture. L'Europa ha bisogno di essere meglio conosciuta degli Europei e oso dire, meglio amata degli europei. Riprendo qui una parte del mio esposto d i prima. Occorre che gli Europei amino l'Europa. Perché hanno difeso la loro patria, e continueranno a difenderla se occorre? Perché l'amano. Perché amano la loro patria? Perché é il loro focolare, il loro orizzonte, il loro paesaggio, sono i loro amici, é la loro identità. Se tutto ciò venisse a mancare all'Europa, non ci sarà Europa. Invece noi sentiamo che è a portata di mano, se noi sapremo tenderla con abbastanza audacia e, nell'eventualità, con molta prudenza. Lo ripeto, l'immagine non è l'unico terreno di costruzione dell'Europa delle culture! Per fortificare il nostro approccio, riscopriamo i luoghi e gli oggetti delle nostre memorie comuni. Mi auguro che sia concepito e messo in atto un vasto progetto di sviluppo di questi luoghi d i memoria e u r o p e i . I n s e g n i a m o ugualmente l'Europa. Insegniamola ai nostri figli. Che la scuola li prepari a diventare dei cittadini. Che essa sviluppi l'insegnamento della storia, della geografia e della cultura. Poniamo l'accento sui gemellaggi scolastici, universitari, sugli scambi di alunni e di studenti. Insistiamo sul plurilinguismo. La Francia presenterà, a questo proposito, il progetto di una convenzione intergovernativa sullo studio di almeno due lingue straniere. Nello stesso modo, amplifichiamo i nostri sforzi a favore della traduzione delle opere. H o sempre notato che i francesi, miei compatrioti, si lamentavano, ad esempio, che i loro grandi autori fossero così poco tradotti in alcuni Paesi dell'Europa centrale e orientale. H o notato che in effetti, eravamo noi, i francesi, che non traducevamo le loro opere e che ci lamentavano di un male del quale eravamo noi stessi responsabili, poiché l'Europa delle culture é l'Europa intera. (Applausi) Se esiste un campo in cui la distinzione tra l'Europa dell'unione e l'Europa dell'Est non ha nessun senso è proprio questo. È per questo che mi permetto di fare di fronte a voi le seguenti due proposte. La prima, modesta ma concreta, pratica, può essere applicata subito. COMUNI D'EUROPA Allarghiamo all'insieme dei Paesi europei, all'insieme di questi Paesi, le manifestazioni culturali emblematiche dell'Europa dei Quindici. Premi letterari, premi di traduzione, orchestre di giovani, capitale europea della cultura, per citare alcuni esempi. La seconda è più ambiziosa, l'Unione dovrebbe, secondo me, prendere una grande iniziativa per aiutare i nostri vicini dell'Est a riparare, soprattutto nel campo della cultura, gli effetti dell'isolamento nel quale hanno vissuto per mezzo secolo. Una fondazione o un'agenzia europea della cultura potrebbe concepire, con mezzi significativi, un programma originale di cooperazione con questi Paesi per promuovere la salvaguardia del loro patrimonio, il rinnovo delle loro biblioteche, dei loro musei, la ricostituzione delle loro capacità di produzione e di diffusione audiovisive, lo sviluppo della creazione e dello spettacolo vivente. Sono ricchi di creatori. Lo strumento si è rotto nelle loro mani, non per colpa loro, semplicemente per il dominio di potenti che non si interessavano a queste cose. Tocca a noi venir in loro aiuto per il tempo che occorrerà. E poi? Dategli fiducia, se la caveranno benissimo da soli. Non dobbiamo insegnar loro nulla, ma dobbiamo tenerlo a mente. È così che dimostreremo che, lungi dal cancellare l'identità culturale delle nazioni, la costruzione europea cerca di affermarla. L'Europa delle culture, Signore e Signori, è l'Europa delle nazioni contro quella dei nazionalismi. (Forti applausi) Prima di preparare questo discorso, mi sono informato sulla lunghezza desiderata. Naturalmente, tutto si può fare. Mi è stato detto «occorre reggere per tre quarti d'ora». Vedo che ci sono. Oltrepasserò leggermente, ma di poco. (Applausi) I1 Trattato sull'unione europea ha previsto una politica comune straniera e di sicurezza, È una grande ambizione e un obiettivo che può sembrare ad alcuni irrealizzabile, ad ogni modo di lungo respiro. Esigerà uno sforzo perseverante. Ma, dopo tutto, ci è voluta una generazione per realizzare il grande mercato dei beni, dei servizi, dei capitali. Non sarà più facile, e forse più difficile, armonizzare gli interessi politici che sono stati fabbricati da secoli e secoli di lotte, di combattimenti militari, d'influenze diplomatiche e culturali, d'inimicizia, a volte di odio, fra i nostri popoli. Eppure, occorrerà farlo. Abbiamo deciso, sì o no, di superare una tappa superando il secolo? I1 fatto che più azioni comuni - anche se occorre parlarne con modestia - siano già state definite, tra le altre un progetto di ordinamento in Bosnia, oppure il lancio del patto di stabilità, costituisce comunque un primo risultato. È un tentativo che rimarrà utile. Inoltre, la presidenza francese non ha lesinato i suoi sforzi affinché l'Unione sostenga, come doveva essere, gli sforzi dell'OCSE di fronte alla crisi in Cecenia. È un soggetto molto difficile. Si tratta della parte di un territorio riconosciuto. Si tratta di un Paese che esiste come tale e che è sovrano. Tuttavia si pongono dei problemi umani, etnici di ogni sorta e di grande gravità. L'OCSE offriva veramente il quadro ideale per intervenire in modo più utile possibile, e debbo dire che la nostra diplomazia si è impegnata in questa direzione senza perdere un istante. COMUNI D'EUROPA Trattandosi del patto di stabilità, la presidenza francese spera che la conferenza di chiusura, che si svolgerà a Parigi il 20 e 21 marzo prossimo, permetterà di registrare i risultati positivi di un anno di accordi particolarmente attivo fra i partecipanti. È la stessa preoccupazione di stabilità che traduce la rete molto fitta di accordi di cooperazione, di partenariato, di associazione, che l'Unione europea ha saputo tessere e continua a tessere con i Paesi che costituiscono il suo ambiente internazionale. Adoperiamoci a completare e a concludere i negoziati laddove è possibile, a lanciarli dove necessario. Credo in particolare agli accordi di associazione con la Tunisia, il Marocco, Israele, in corso di negoziato; all'accordo d'unione doganale con la Turchia; al proseguimento del ravvicinamento con Malta e Cipro in vista della loro futura adesione; agli accordi da concludere con l'Egitto, la Giordania, e altro ancora; alla preparazione della grande conferenza euromediterranea, così difficile da organizzare e che, in effetti, si svolgerà, credo, lo spero, sotto la presidenza della Spagna. Penso al negoziato dell'ottavo Fondo europeo di sviluppo a favore degli ACP che la Francia è determinata a concludere sotto la sua presidenza. Una strategia è stata definita ad Essen per i Paesi dell'Europa centrale e orientale. Dobbiamo continuare a dare il nostro sostegno, ugualmente, al processo di pace nel Medio Oriente. Voi vedete che i punti, i soggetti sono numerosi, sui quali, a dispetto della storia che ci ha così spesso divisi, noi potremmo adoperare un linguaggio comune e preparare delle soluzioni comuni. A proposito dell'ultimo punto, voglio parlare del Medio Oriente, mi auguro che l'Unione europea prenda le iniziative necessarie per far fronte alle difficoltà che incontrano i Paesi del Medio Oriente per quanto riguarda l'educazione e la formazione alle tecniche informatiche, in accordo con i responsabili politici, universitari, finanziari e i rappresentanti delle imprese. Trattandosi di relazioni esterne dell'unione, non posso non menzionare l'organizzazione mondiale del commercio. Quest'ultima sarà il quadro che ci p e r m e t t e r à d i d i f e n d e r e gli interessi dell'Europa, in particolare nelle negoziazioni future su settori specifici come l'aeronautica, l'acciaio e i servizi. L'Unione è quindi già attiva sulla scena diplomatica mondiale. Si tratta adesso di porre le basi di una vera politica straniera comune. Non ne nascondo la difficoltà, occorre superarla. N e sentite la necessità impellente. Guardate tutte queste crisi che scoppiano intorno a noi, drammatiche, omicide: l'Algeria, la Bosnia, il Caucaso, e il seguito! Potete ben dire, come lo dico questo pomeriggio, e il seguito! Se volete ricordarvi la storia dell'Europa, del suo vicino ambiente, senza contare il seguito che ci aspetta, ci chiede di mettere in comune le nostre analisi e le nostre informazioni, di confrontare le nostre previsioni, di definire i nostri obiettivi e le nostre forme di azione. Ebbene, mi auguro che la Presidenza francese, ma anche, poiché è un programma che i prossimi mesi non permetterebbero di assolvere, le successive presidenze siano particolarmente vigili sul rispetto delle obbligazioni alle quali abbiamo sottoscritto. L'altro sportello sul quale occorre andare avanti è quello della politica di sicurezza. Creare delle analisi comuni; rafforzare il ruolo dell'UE0, soprattutto le sue capacità operative; dare un'ampiezza crescente al corpo europeo, così come alle altre forze plurinazionali europee; favorire senza tardare la costituzione di una vera industria moderna dell'armamento; creare l'agenzia prevista in questo campo; spingere la cooperazione nel campo dell'osservazione con satelliti: questi sono i compiti per i quali la Francia chiede ai suoi partners di unirsi. Capisco bene che ciò possa urtare dei Paesi che hanno tenuto a preservare tutti gli aspetti propri alla loro neutralità. Chiedo semplicemente ad ognuno di loro, senza volere in alcun modo sconfinare il loro diritto sovrano, di capire bene che il nostro compito comune è assai esaltante e che i progressi dell'uno saranno anche i progressi dell'altro. Verrà un giorno in cui questi sforzi, un pò dispersi oggi, si riuniranno in seno ad una difesa europea. Ad ogni modo, esprimo il mio augurio, di cui l'evidente necessità, nel rispetto delle alleanze, si imporrà a tutti. Prima di finire, voglio dire una parola sulle istituzioni. Dovremo, in tanto che Presidenza, stare attenti all'istituzione del rapporto del Consiglio sull'esecuzione d e l T r a t t a t o sull'Unione europea. Poi, i rappresentanti degli Stati membri si riuniranno, a partire dal mese di giugno prossimo, per preparare la conferenza intergovernativa del 1996. Non voglio anticipare un appuntamento di tale importanza, ma poiché non sarò più un attore diretto, desidero farvi parte di due semplici idee. La prima, ciò che occorre, a mio avviso, guardarsi dalla fuga in avanti. Le potenzialità del Trattato sull'unione europea sono considerevoli. Il suo equilibrio è ragionevole. Fare evolvere la costruzione, migliorarne il funzionamento per permettere i futuri allargamenti, completarla per continuare a rafforzare la sua legittimità democratica, e insisto su questo punto, nel suo processo di decisione. Facciamo avanzare l'Europa per fare avanzare la democrazia. È una massima tanto forte tanto quella che consiste nel dire che senza la democrazia, non ci sarà Europa! (Applausi) Tutto ciò s'impone e so che sarete molto vigili su questo punto, perché seguo i vostri dibattiti con abbastanza attenzione per non ignorare le prese di posizione della grande maggioranza di voi. Dopotutto, una democrazia suppone un Parlamento. Più sarà completa, più i diritti del Parlamento debbono essere, anche loro, completi. Non si può accantonare un Parlamento in un dominio riservato, a seconda dei gusti e delle idee del momento degli esecutivi che sceglieranno sempre la comodità. E la comodità, potrei riassumerla in una frase che sembrerà forse iconoclastica, visto che non esprime il mio pensiero: come sarebbe piacevole una democrazia senza Parlamento! E meglio ancora senza elezioni! (Risate) Ma, malgrado tutto, non sarebbe saggio che il timbro ancora umido servito per le ratifiche sia subito riformato. Occorre preservare i grandi equilibri istituzionali e riflettete, poiché sarete voi a farlo, riflettete bene prima di agire. L'Europa si è fatta passo dopo passo. Non si può allungare l'andatura, ma non si GENNAIO 1995 p u ò prendere un'andatura che non sia conforme alla nostra natura. I1 secondo appunto, é che i nostri futuri negoziatori sbaglierebbero - sempre secondo la mia opinione - se, per impazienza o stanchezza, lasciassero fare gli allargamenti in condizioni che indebolissero la coesione e le discipline dell'unione. Insisto su questo punto: sono completamente d'accordo per l'allargamento a tutta l'Europa democratica. (Applausi) Ma, nello stesso tempo, non vorrei che quando giungerà l'ultimo aderente, aderisse a qualcosa che non esiste già più, perché rovinato dall'interno. (Applausi) E un'ambizione politica immensa che vi appartiene, un'immensa ambizione politica. Riuscire in ciò che è molto più di una scommessa, riuscire in questo obiettivo storico; ebbene, sta a voi dimostrare che ne siete capaci, e io farò lo stesso discorso ai governi europei. Signor Presidente, Signore e Signori Deputati, è necessario assicurarvi, ancora una volta, deila volontà della presidenza francese di cooperare pienamente con la vostra istituzione per il successo della nostra impresa comune, edificare un'Europa sempre più unita e più vicina ai cittadini? Vi faccio veramente tanti auguri per la riuscita dei vostri lavori. Vi ringrazio per la pazienza e l'attenzione con le quali mi avete ascoltato, e terminerò con alcune parole più personali. I1 caso della GENNAIO 1995 vita ha voluto che io nascessi durante la Prima Guerra mondiale e che facessi la Seconda. H o quindi vissuto la mia infanzia in un ambiente di famiglie distrutte, che piangevano tutte per i loro morti, e che provavano un rancore, a volte anche odio, contro il nemico del giorno prima, il nemico tradizionale. Ma, Signore e Signori, il nemico è cambiato, secolo dopo secolo, le tradizioni sono sempre cambiate. H o già avuto l'occasione di dirvi che la Francia aveva combattuto tutti i Paesi dell'Europa, credo, ad eccezione della Danimarca. Ci si chiede perché. (Applausi) Ma la mia generazione termina il suo corso, sono gli ultimi atti pubblici, ed è uno dei miei ultimi. Occorre quindi assolutamente trasmettere. Siete voi stessi molto numerosi a seguire l'insegnamento dei vostri padri, ad aver provato le ferite dei vostri Paesi, ad aver conosciuto il dispiacere, il dolore della separazione, la presenza della morte, semplicemente a causa dell'inimicizia degli uomini dell'Europa tra di loro. Non occorre trasmettere quest'odio. Trasmettiamo invece la fortuna che abbiamo per le riconciliazioni, a coloro che, nel 1944-1945, insanguinati loro stessi, straziati nella loro vita personale, hanno avuto il più delle volte l'audacia di concepire come poteva essere un awenire più radioso fondato sulla riconciliazione e sulla pace. È ciò che abbiamo fatto. (Applausi) Allora, io non ho acquisito la mia convinzione così, per caso; non l'ho acquisita nei campi tedeschi dove ero prigioniero, o in un Paese esso stesso occupato, situazione che molti di voi hanno conosciuto, ma comunque, ricordo che, in famiglie con virtù di umanità, di benevolenza, quando si parlava dei tedeschi, se ne parlava con astio. E mi sono reso conto, quando ero prigioniero di guerra, evaso, cioé che stavo per evadere, in corso di evasione (ho incontrato dei tedeschi, e poi ho vissuto per qualche tempo a BadeWurtemberg, in una prigione, e parlavo con la gente che era lì, tedeschi) mi sono accorto, dicevo, che amavano più la Francia che non noi la Germania. Dico ciò senza voler opprimere il mio Paese, che non è il più nazionalista, al contrario; lo dico per far capire che ciascuno ha visto il mondo dal posto in cui si trovava, e i suoi punti di vista erano generalmente deformanti. Occorre vincere i propri pregiudizi. Ciò che vi chiedo è quasi impossibile, poichè occorre vincere la nostra storia, eppure, se non si vince, dovete sapere che una regola s'imporrà. Signore e Signori: il nazionalismo, è la guerra! (Forti applausi) La guerra non è soltanto il passato, essa può essere il nostro awenire! E siamo noi, siete voi, Signore e Signori Deputati, ad essere ormai i guardiani della nostra pace, della nostra sicurezza e di questo awenire! Grazie. (Applausi prolungati) AICCRE SEZIONE ITALIANA DEL CONSIGLIO DEI COMUNI E DELLE REGIONI DIEUROPA ASSOCIAZIONE EUROPEA DEI COMUNI, DELLE PROVINCE, DELLE REGIONI E DELLE ALTRE COMUNITÀ LOCALI 00187 ROMA COMUNI D'EUROPA i PIAZZA DI TREVI, 86 i TELEFONO (06) 699.40.461 (6 LINEE) - FAX (06) 6793275 GENNAIO 1995 li e regionali del CCRE che celebrerà la propria assemblea europea a Dublino nel prossimo luglio (come si può leggere in maniera più dettagliata e completa in queste stesse pagine del giornale). Sembra arrivato il momento di non più centrare l'attenzione sugli strumenti (leggi, quote, speriamo limitate nel tempo) per raggiungere una parità che risulterebbe ancora fittizia, per passare alla fase di costruzione di una diffusa coscienza e responsabilità politica nell'universo femminile. Anche il fatto che siano poche le donne che «scelgono» una donna al momento del voto può in parte essere ricondotto ad una mancanza di fiducia in una persona che nell'opinione comune a volte più che nei fatti - non sembra sufficientemente esperta e preparata, o meglio non sufficientemente capace di essere «in medias res». Nell'inchiesta in questione erano presentati una trentina di ambiti politici tra i quali le donne interrogate erano chiamate a scegliere i cinque settori prioritari per: a) favorire il progresso dell'Europa, b) una idonea revisione del Trattato di Maastricht, C) l'influenza dell'UE sul miglioramento della vita quotidiana delle donne, cinque risposte per ognuno dei tre settori. Analizzando le quindici scelte si ricava che le stesse si concentrano tutte su sette dei trenta ambiti proposti. E tra queste sette priorità assolute figurano: le pari opportunità, il lavoro, l'assistenza, la scuola, la salute, e come dicevamo l'ambiente, nessuna menzione circa l'importanza dell'assetto istituzionale dell'Europa, la moneta unica, il mercato, l'economia, che attualmente sembrano essere la più difficile scommessa per un'Europa unita, senza nulla togliere all'importanza del sociale. (Per un'analisi più dettagliata di quanto esposto rimandiamo alle tabelle). A conferma di quanto detto sembra utile fare riferimento anche ad un'altra domanda del questionario che riguardava in modo specifico l'assetto politico che le donne preferirebbero per la futura Europa, ossia se federale o intergovernativa, cioè basata - come attualmente su trattati sottoscritti all'unanimità da tutti gli Stati aderenti al1'U.E. La maggior parte ha risposto che preferisce il mantenimento dello statu quo, a dimostrazione che il rischio politico della costruzione di un'Europa più democratica non coinvolge la maggior parte delle cittadine dell'unione alle quali sembra che sia sufficiente un'Europa in grado di rispondere a precise quotidiane esigenze, resta Un dovere Abbonarsi a «Comuni d'Europa» è un dovere individuale per tutti gli amici e i colleghi. Per gli Enti è un dovere abbonare tutti i loro consiglieri eletti. Da questi impegni, in realtà, si verifica la coerenza dell'impegno europeo e federalista: questo impegno «Comuni d'Europa», che si stampa col '95 da 43 anni, lo merita. Lo meritano la sua capacità di informare, la spregiudicatezza dei suoi giudizi, la cultura dei suoi collaboratori, la sua coerenza federalista. GENNAIO 1995 da dimostrare se lo potrebbe essere mantenendo le bocce ferme. Questo quadro piuttosto problematico del rapporto donne e politica appare ancor più «grave» se si pensa che le intervistate appartengono tutte al mondo dell'associazionismo, un mondo che esprime il parere delle donne di norma più impegnate e preparate, avendo scelto di operare in una associazione che le ha senza dubbio aiutate ad essere, se non altro, più attente al contesto in cui vivono ed operano. Si può ¶uindi concludere che dall'esame piuttosto schematico di questi primi risultati dell'inchiesta, ma anche dall'analisi dell'attuale rappresentanza delle donne in politica - escluse poche eccezioni che non fanno testo - appare evidente come la prossima sfida che attende le associazioni femminili debba essere quella di contribuire alla crescita della consapevolezza che la complessità della politica richiede un impegno a tutto campo. m Donne, politica, democrazia Nel direttivo del CCRE tenutosi a Parigi i giorni l e 2 dicembre 1994 si è deciso che la V Conferenza europea delle amministratrici locali e regionali si svolgerà a Dublzko dal 6 ~11'8luglio 1995. E' un appuntamento importante che ha bisogno non solo di essere presentato adeguatamente e per tempo, ma di sollecitare nei paesi membri dell'Unione europea e, nel limite del possibile, anche in quelli delI'Europa centrale e orientale un ampio dibattito preventivo. In occasione delle precedenti quattro conferenze ciò non è stato possibile, ma per la V la possibilità c'è e ogni sforzo sarà fatto affinchè le delegazioni giungano a Dublino avendo già maturato nei paesi di provenienza un punto di vista collettivo. Ciò eviterà la frammentazione in interventi individuali estemporanei o - meglio -fornirà una base articolata e nel contempo solida sulla quale tali interventi potranno assumere un valore particolare e maggiore. Per quanto concerne il nostro paese, l'AICCRE organizzerà in primavera un seminario nazionale, al quale speriamo partecipino molte amministratrici locali e regionali Per questo, fin da ora attraverso la nostra stampa presentiamo la Conferenza; successivamente apriremo con articoli specifici il dibattito che precederà il seminario. La cura che dedichiamo alla preparazione della Conferenza deriva da tre fattori l . La Commissione delle elette locali e regionali del CCRE, al momento della IV Conferenza di Heidelberg nel 1772, era all'inizio della sua attività. Negli ultimi tre anni ha raggiunto una maggiore funzionalità e ha maturato esperienza e prodotto molte attività. Tutto ciò I'ha portata a organizzare con maggiore attenzione questa V Conferenza, dalla quale ci si aspettano risultati importantt. 2. A Dublino sarà presente un numero di delegazionipiu ampio di quello che si ebbe ad Heidelberg: infatti non solo si prevede la partecipazione di quelle austriaca, finlandese e svedese, ma anche delle delegazioni provenienti dai paesi del centro-est Europa, con i quali la Commissione del CCRE ha avuto, specialmente nel 1994, rapporti abbastanza intensi. 3. I1 tema centrale della Conferenza è «Donne, politica, democrazia». Non si dà democrazia là dove il «demos», il popolo, non è rappresentato in modo equo ed equilibrato nei posti di decisione; non si dà dunque vera democrazia là dove le donne, che rappresentano oltre il 50% della popolazione, non sono rappresentate in modo equo ed equilibrato nei posti di decisione, dai governi locali e regionali ai parlamenti nazionali e a quello europeo. Se l'aspirazione a superare il deficit di democrazia di cui I'UE soffre è davvero condivisa dalla maggioranza dei cittadini europei, risulta evidente che i lavori della Conferenza di Dublino non interesseranno solo le donne ma ìnteresseranno tutti, proprio come da sempre affermiamo, che la soluzione dei problemi femminili coinvolge I'intera politica. La Conferenza si articolerà in due parti. Nella prima il tema «Donne, politica, democrazia» sarà affvontato sul piano teorico e su quello pratico. Due specifiche relazioni metteranno a fuoco l'una il nesso tra democrazia e presenza femminile al potere, sul piano storico,filosofico-politico, l'altra i risultati di un esame condotto sulla situazione attuale in varie parti d'Europa, rispetto al rapporto fra il livello di democrazia e la partecipazione delle donne al potere. Nella seconda parte si procederà per gruppi di lavoro, che esamineranno come e in quale misura nei paesi dell'UE siano stati superati gli ostacoli che impediscono o limitano la partecipazione delle donne alla gestione del potere. UnJattenzioneparticolare verrà rivolta alla situazione delle donne nei paesi del centro-est Europa. È prevista la presenza di donne parlamentari europee, membri del Comitato delle Regioni e degli Enti localt; del CPLRE; in tal modo ci si propone di saldare le varie esperienze su un tema cosi importante, soprattutto alla vigilia della revisione del Trattato di Maastricht. Queste le prime sommarie notizie sulla Conferenza di Dublino, che abbiamo voluto dare per tempo in modo da suscitare il prima possibile interesse ed attenzione, con la speranza che su queste pagine cominci ad aprirsi un dibattito con gli amministratori (non solo con le amministratrici) e con quanti troveranno interesse a parteciparvi Fausta Giani Cecchini Presidente della Commissione elette locali del CCRE COMUNI D'EUROPA la Toscana all'avanguardia La sfida è sostenere le strategie comunitarie di Luigi Badiali * Com'è noto, in questi ultimi anni, la Regione Toscana sta sviluppando una presenza molto forte sul versante delle Politiche Comunitarie. Non a caso credo sia una delle poche Regioni d'Italia ad avere un Assessorato alle Politiche Comunitarie, che si dedica quindi completamente alla politica di questo settore. Avendo, inoltre, nell'organigramma della Giunta Regionale, i colleghi che soprintendono ai singoli programmi comunitari, credo che il modello organizzativo che abbiamo stabilito come Regione Toscana sia da perseguire nel resto delle Regioni, tanto più che oggi si fa un gran parlare di una «cabina di regia» governativa che in qualche modo metta insieme i vari livelli nazionali tra loro. Analogo lavoro abbiamo in mente di realizzare sul versante regionale all'interno della Giunta Regionale come pure all'interno dei rapporti con le istituzioni locali e con i soggetti sociali e imprenditoriali a livello territoriale. Dobbiamo pagare tutti un prezzo rispetto all'evoluzione continua dei fondi comunitari soprattutto legati alla dimensione regionale - parlo dei fondi strutturali - che hanno avuto una prima attuazione attraverso i fondi che agivano in modo separato tra loro; Fesr, Feoga, FSE; successivamente con i PIM (Programmi Integrati Mediterranei), sui quali la Toscana ha maturato una forte esperienza, con il DNIC (aiuti per l'arcipelago toscano, in quanto excassa del mezzogiorno), e con il Regolamento 2052/88, si è realizzata una forte esperienza; in pa,rticolare il 2052/88 quale primo regolamento comunitario che riformava profondamente i fondi strutturali. In Toscana si è potuto realizzare con un certo successo il programma, dell'ultimo quinquennio, attorno agli obiettivi 2, 5b, 3 , 4 e 5a. Adesso siamo alla seconda generazione di questo meccanismo finanziario: il 2081/93, che porta ulteriori modifiche, soprattutto perché fa interagire fra di loro in modo più coeso i fondi. Non a caso oltre allo strumento programmatorio, il Quadro di Riferimento di Sostegno, il piano attuativo è diventato un Piano Operativo Plurifondo e i due strumenti si sono fusi tra loro. Questo sul piano tecnico operativo comporta delle modifiche: intanto un'abbreviazione dei tempi, ma soprattutto una diversa corrispondenza tra i contenuti e le risorse, tra gli obiettivi del programma e il modo di spendere le risorse. Io voglio semplicemente far capire che il meccanismo che interessa in particolare le Comunità Montane riguarda il programma legato all'obiettivo 5b. (ci sono alcune aree montane che hanno l'obiettivo 2, ma mi pare che questo si limiti solo al territorio della Comunità Montana delle Apuane che è in via di scioglimento). Per il resto, l'interesse dei territori montani toscani è legato ai destini dell'obiettivo 5b., ma credo anche che vi sia un forte interesse * Assessore alle politiche comunitarie della Regione Toscana. Intervento alla Conferenza regionale Toscana sulla montagna, Firenze 22-23 novembre 1994 da parte delle Comunità Montane delle Apuane al programma obiettivo 5a., che riguarda il potenziamento deìi'agricoltura e della pesca, anche interna. Legato all'obiettivo 5b. abbiamo Leader 11; su questo programma sicuramente siete stati interessati e coinvolti. Vi è la possibilità però di fare agire anche le Iniziative Comunitarie che secondo noi hanno tutte le chances per essere spese nel territorio delle Comunità Montane. Ne cito una per tutte, importantissima: l'iniziativa comunitaria legata alla piccola e media impresa. Sapete che le iniziative comunitarie sono passate da 33 nel quinquennio passato a 13 soltanto in questo; in particolare ce ne sono alcune sul versante sociale: Horizon, Now, Youthstart - che sono legate al versante sociale, al lavoro, alle qualificazioni dei soggetti deboli del mercato del lavoro, alla collocazione dei giovani. Ma in particolare questo versante delle piccole e medie imprese, credo sia una caratteristica assolutamente inscindibile e tipica dell'economia delle Comunità Montane, per cui la partecipazione ai bandi dell'iniziativa comunitaria PMI è molto importante. Ma dov'è la strategia basilare che i fondi comunitari si propongono? Sostanzialmente è nell'effetto volano che essi vogliono assumere: un effetto moltiplicatore di investimenti. Debbo aggiungere che le risorse che arrivano d a Bruxelles, d a spendere all'interno di determinati programmi, si richiamano al Libro bianco di Delors, e alle strategie che vi si ispirano. La politica comunitaria ha portato avanti questa linea nell'attuare sia i programmi legati ai fondi strutturali sia alle iniziative comunitarie. Da sottolineare infine per quanto vi può interessare le linee legate al documento Europa 2000 PIU che evidenziano una strategia urbanistica e di programmazione dell'intero territorio europeo per i prossimi anni. Sarebbe assurdo immaginare ancora specificità o diversità che non tenessero conto di questa dimensione che è un ragionamento politico e programmatorio a livello di sistema Paese Europa. Quello che oggi bisogna acquisire è questo concetto sistema Paese, di mercato interno. Non sarà facile, ma in questi cinque anni ci giocheremo una credibilità a stare o non stare nell'Europa del dopo-Maastricht, a stare forse in un'Europa a due velocità (che non vogliam o ) , ma che rischia di vederci esclusi dal gruppo di testa. Sicuramente ci giochiamo la capacità a stare dentro con molte scommesse: sul piano istituzionale, sul versante dell'economia, sul versante del funzionamento della macchina pubblica. Allora, recuperare su questo terreno, contenuti e strategie, diventa importantissimo. I1 bilancio dell'unione Europea nei prossimi sei anni verrà raddoppiato; ciò vuol dire che gli Stati membri attiveranno un gettito a favore di Bruxelles raddoppiato. Le dimensioni dei fondi che transitano attraverso le Regioni passano dal 35% al 43 % del totale - questo dato è stato comunicato ieri in un convegno a Saarbrucken del Direttore generale Landaburu della DG XVI - quindi crescono in dimensioni rispetto al passato, ma anche rispetto ad un bilancio che si raddoppia in sei anni; la quota di risorse che arriva da Bruxelles attraverso le Regioni comincia a diventare consistente. Basti dire che la Regione Toscana, che è riuscita a farsi riconoscere il d o p p i o della popolazione eligibile nell'obiettivo 2 e nel 5b., si trova per l'effetto del raddoppio delle risorse a quadruplicare, di fatto, le risorse comunitarie nei prossimi sei anni. Seimila miliardi di investimenti, questo è il dato che va registrato. Esiste un'altra quota di finanziamenti, che sarà pure raddoppiata, che non transita attraverso le Regioni, ma che l'Unione Europea assegna ai singoli soggetti (pubblici o privati) attraverso bandi diretti a cui bisogna avere la capacità di partecipare, dopo averne scoperto l'esistenza. È per fornire un'informazione capillare su questo versante che la Regione Toscana si sta adoperando attraverso la realizzazione di un sistema informativo regionale collegato ai Centri Servizi (Bic, Eurosportelli, etc.), al fine di favorire un'opportunità ulteriore di accesso a importantissime risorse. Una informazione che metta in grado il singolo soggetto di conoscere le risposte esistenti al proprio problema e quale tra queste privilegiare. Con questo piccolo valore aggiunto il momento pubblico dovrebbe poter dare un servizio a costi bassissimi a ciascun cittadino toscano. Perciò si sta aiutando la nascita, la crescita e il consolidamento dei Centri Servizi, dei Bic, degli Eurosportelli capaci di dare successivamente l'assistenza tecnica per partecipare a questi bandi europei extra-regionali. Sono convinto che se su questo modello ci concentreremo e lo realizzeremo, il «picco» della presenza ai bandi comunitari e della capacità di portare finanziamenti europei in Toscana crescerà enormemente rispetto alla già alta capacità che abbiamo oggi. In buona sostanza, e concludo, mi pare che credere fino in fondo in queste opportunità dei finanziamenti europei, buttarsi a sperimentare, entrare in questi meccanismi e circuiti, rappresenti sempre più un versante vitale per qualunque Amministratore locale, anche perché nuovi serbatoi di risorse nazionali o regionali (finché non vi saranno le riforme) non potremo averne. Oggi, quelli italiani sono serbatoi pressoché vuoti - al limite possono riuscire a co-finanziare finanziamenti europei che arrivano sul versante dei fondi strutturali -. Ma iinmaginare di avere ancora innumerevoli risorse sul versante nazionale o regionale, credo sia una strada sempre meno percorribile per il prossimo futuro. Quindi diventa strategico arrivare ai finanziamenti europei, imparare come arrivarci e soprattutto farlo bene, perché ripeto, uno dei criteri per la riconferma eventuale, per la riattribuzione di ulteriori finanziamenti è quello non solo di portarli a casa ma di saperli spen(segue a pag. l>) GENNAIO 1995 cosa si muove in Europa? Riflessioni del Gruppo ««Arderne»in vista della revisione di Maastricht I1 Gruppo «Ardenne», costituito nel giugno 1993 da cittadini italiani che operano nell'ambito delle istituzioni dell'unione europea, ha diffuso un anno fa un «Memorandum per la ricostruzione dell'unione europea». In tale memorandum, il Gruppo considerava che la prospettiva dell'ampliamento dell'unione a quattro paesi dell'AELE e - a medio termine l'estensione del processo di integrazione comunitaria all'est dell'Europa richiedeva: - una riflessione urgente su un modello di Unione tale da permettere in futuro l'unificazione democratica del continente europeo; - l'adozione di alcune essenziali riforme «costituzionali» per rendere l'Unione nello stesso tempo democratica ed efficace; - l'esplicita disponibilità di una maggioranza di paesi membri a costituire un nucleo più integrato federale, nel caso in cui non fosse stato possibile raggiungere un accordo unanime fra tutti i paesi membri su tali riforme costituzionali. In quest'ultimo anno e nonostante i segnali positivi di ripresa economica, la coesione interna fra i paesi membri dell'unione europea si è affievolita, i governi hanno agito più volte - individualmente o collettivamente - in contrasto con i principi, le norme o gli obiettivi fissati dal Trattato di Maastricht, mentre a livello internazionale si è confermata drammaticamente l'impotenza dell'unione europea (e delle altre organizzazioni internazionali coinvolte: CSCE, NATO ed O N U ) nei tentativi per porre fine alla guerra civile nella exJugoslavia. Malgrado l'apertura - ancorché timida del Trattato di Maastricht verso la nascita di una vita politica europea, i partiti si sono presentati alle elezioni europee in ordine sparso ed hanno concentrato la loro campagna su contrasti nazionali, anche laddove la realtà politica, sociale ed economica ha messo inequivocabilmente in luce l'inefficacia di azioni statuali e l'urgenza di misure comuni. In questo quadro, l'ulteriore calo della partecipazione dei cittadini alle elezioni europee è stato il segno dell'accentuato allontanamento dell'opinione pubblica dalle istituzioni dell'Unione europea. Nonostante la diffusa consapevolezza dello stato di crisi nel quale versa dunque il processo di integrazione comunitaria, le istituzioni dell'unione europea si erano inizialmente avviate verso la preparazione della revisione di Maastricht nel 1996, irresponsabilmente guidate dalla convinzione che il metodo, il programma ed il calendario della Conferenza intergovernativa avrebbero dovuto ricalcare le orme di quella svoltasi nel 1991. Certo, prima della firma dei trattati di adesione, numerose erano state le dichiarazioni - spesso ultimative - di chi esigeva il rinvio GENNAIO 1995 dell'ampliamento in attesa dell'approfondimento: il Parlamento europeo, il Bundestag, il governo francese, il governo belga, per citare solo quelle più autorevoli. Jacques Delors aveva personalmente condotto una campagna di sensibilizzazione presso i governi nazionali per ottenere una seria riflessione sulle conseguenze dell'allargamento, ma il Consiglio europeo di Lisbona, nel giugno 1992, aveva ignorato i consigli di Delors e le dichiarazioni degli stessi governi nazionali e del Parlamento europeo. I1 calendario deciso a Lisbona è stato pienamente rispettato, se si esclude il risultato negativo del referendum in Norvegia; ma la preparazione della revisione di Maastricht ha assunto un carattere molto diverso dopo la diffusione ufficiale del documento «Rlfiession i sulla politica europea della Germania», elaborato dal gruppo parlamentare CDU/CSU al Bundestag. L'iniziale visione di una «piccola» revisione del Trattato di Maastricht è stata così messa in discussione dalla presa di posizione tedesca, che preannuncia un confronto politico di fondo sul futuro modello di Unione europea e che ha già provocato le reazioni sostanzialmente positive di Jacques Delors (in una serie di interviste a «Libération», «Der Spiegel» e «Les E c h o s » ) , d e l p r i m o ministro belga Dehaene e del suo ministro degli esteri Vandenbroucke (in una relazione alla Camera dei Rappresentanti del Belgio), e sostanzialmente negative dei primi ministri francese Balladur e britannico Major e dei ministri degli esteri tedesco Kinkel e italiano Martino. Pur respingendo l'idea di un nucleo predeterminato di paesi, il Parlamento europeo ha ribadito nello scorso settembre il principio secondo cui uno Stato membro non potrà ostacolare la volontà di una maggioranza di partners di approfondire l'integrazione politica a livello sovranazionale. L'analisi e le proposte dei democristiani tedeschi non sono né una novità in Germania ( l ) , né per l'Europa (2) ed anzi - se limitate al settore monetario - trovano già applicazione nelle procedure previste dal Trattato di Maastricht per l'avvio della terza fase dell'Unione economica e monetaria, prendendo in esame la questione più ampia dell'integazione politica e del quadro «quasi-costituzionale» destinato a governarla. Già nell'autunno 1993, il Gruppo «Ardenne» - richiamandosi alle idee ed all'azione di Altiero Spinelli - aveva sostenuto l'ipotesi di un nucleo federale limitato ad un primo gruppo di paesi, sottolineando tuttavia che il numero di tali paesi non poteva essere predeterminato fin dall'inizio. Ad un anno di distanza, il G r u p p o «Ardenne» ribadisce oggi tale ipotesi, sottolineando: - che essa dovrà costituire non il punto di partenza del negoziato per la revisione di Maastricht, ma la via obbligata nel caso in cui una minoranza di paesi non voglia sottoscrivere una riforma costituzionale dell'unione in senso federale; - che l'eventuale nucleo ristretto deve fondarsi su un patto per gestire in comune in seno ad un'organizzazione sovranazionale della democrazia - la politica economica e monetaria, la sicurezza esterna ed interna, la solidarietà sociale, la protezione dei diritti dell'uomo, la qualità della vita e dell'ambiente; - che, pur non escludendo a priori l'ipotesi di un'unione alla quale aderiscano progressivamente tutti i paesi democratici dell'Europa (che partecipino alle stesse istituzioni comuni, che condividano gli stessi obiettivi fondamentali ma che accettino di realizzarli secondo un sistema transitorio di partecipazione differenziata), debba essere valutata in tutti i suoi aspetti positivi l'ipotesi (già avanzata nel progetto Spinelli del 1984 e rilanciata all'indomani del primo referendum danese): di un cerchio ristretto ed integrato di paesi, dotato di istituzioni comuni sovranazionali ed aperto a tutti coloro che ne condividon o gli obiettivi e la struttura costituzionale (primo cerchio); con un cerchio più largo che comprenda tutti i partners della Comunità-Unione eventualmente ampliata ai paesi candidati (secondo cerchio); un cerchio che comprenda tutti i paesi d'Europa, escluse le Repubbliche della CE1 (terzo cerchio); ed un cerchio che si estenda a tutto il continente, ivi comprese le Repubbliche della CE1 (quarto cerchio) (3). I1 Gruppo «Ardenne» è tuttavia convinto che sia necessaria una riflessione su talune «idee-forza» della società europea, preliminare all'identificazione ed ail'elaborazione delle soluzioni costituzionali capaci di garantire la governabilità ed il carattere democratico dell'Unione europea. Tale necessità appare evidente se si considerano: - la prospettiva di un processo di unificazione, potenzialmente aperto a tutti i paesi democratici del continente europeo; - l'esigenza di sostituire all'ordine europeo dettato dall'equilibrio bi-polare ed al disordine europeo succeduto alla rivoluzione del 1989 un nuovo ordine basato sui principi della democrazia, della solidarietà e della sicurezza; - l'esigenza di mobilitare l'interesse di quell'opinione pubblica formata da generazioni che non hanno visto la guerra, né il do- po-guerra, né la nascita delle prime Comunità europee. I1 Gruppo «Ardenne» intende contribuire a questa riflessione, approfondendo in particolare, in un proprio documento che sarà diffuso nella prossima primavera: - la frammentazione delle «grandi» identità collettive (gli Stati-nazione, le classi, i partiti.. .), l'emergere di identità diverse, come le regioni, ed il contemporaneo riemergere di spinte verso l'esasperazione degli interessi nazionali e di rifiuto degli «estranei» (la xenofobia ed il razzismo); - i problemi della nuova convivenza in una società multietnica e multirazziale; - le sfide derivanti dallo sviluppo della società dell'informazione e dai mutamenti nei settori della formazione e della ricerca; - le risposte all'alto livello di disoccupazione ed all'aumento dell'esclusione sociale; - le misure per rendere efficace la lotta alla degradazione della qualità della vita e dell'ambiente; - i mutamenti nelle relazioni internazionali e l'urgenza di gettare le basi di un nuovo ordine, non solo per garantire la sicurezza nel continente europeo ma anche per rispondere all'esigenza di un «governo» dell'economia, del commercio, dello sviluppo e della protezione dei diritti dell'uomo a livello mondiale. P u r non avendo l'ambizione di indicare una soluzione adeguata a tutti questi problemi, il Gruppo «Ardenne» vuole tuttavia mettere l'accento sulla necessità di radicare le scelte costituzionali che dovranno essere effettuate nel 1996 all'interno di un contesto di principi e di obiettivi fondamentali che devon o caratterizzare la nascita e la vita del nuovo modello di società europea. La prima condizione per garantire il rispetto di tali principi e lo sviluppo di politiche comuni per raggiungere tali obiettivi risiede nel rafforzamento delle regole democratiche a livello del sistema costituzionale sovranazionale. Si tratta di «aggiungere» alla difesa della democrazia all'interno degli Stati la definizione di alcune fondamentali regole democratiche che impegnino gli Stati, le istituzioni dell'Unione ed i cittadini che ne fanno parte. L'organizzazione della democrazia a livello dell'unione deve porre al suo centro - a giudizio del gruppo «Ardenne» - la questione della funzione di governo e quindi della governabilità del processo di integrazione politica, economica, monetaria e militare. E questo un principio che tocca l'interesse e l'attenzione dei cittadini, molto più di clualunque discorso di ingegneria istituzionale. L'Europa ha bisogno di un forte sistema politico di governo a livello sovranazionale. Tale sistema deve comprendere in particolare e nello stesso tempo: - la procedura uniforme di elezione del Parlamento europeo; - una procedura di nomina della Commissione europea ed una sua composizione che ne consolidino il carattere di Esecutivo politico dell'unione; - una composizione delle funzioni del Consiglio dei Ministri, che accentuino il carattere di autorità legislativa dell'unione (su un piede di eguaglianza con il Parlamento europeo) e la natura di Camera degli Stati (la Camera Alta nei sistemi federali). Al centro del sistema di governo deve esserci - a giudizio del Gruppo «Ardenne» un Esecutivo politico, con poteri limitati ma reali sia sul piano interno che su quello internazionale. Sulla questione del «governo» europeo, si è già manifestato un dissenso profondo fra gli orientamenti espressi dai tedeschi (il documento della CDU) e dai belgi (soprattutto la relazione del ministro degli esteri Vandenbrouke alla Camera dei Rappresentanti), da una parte, e le posizioni di Major, Balladur ed Antonio Martino, dall'altra. I1 Parlamento europeo dovrà fare una chiara scelta su questo punto in vista della revisione nel 1996. L'organizzazione della democrazia a livello europeo è stata da tempo identificata con l'esigenza di assicurare un effettivo equilibrio di poteri fra il Parlamento europeo - che rappresenta gli interessi dei cittadini dell'Unione nel loro insieme - ed il Consiglio dei Ministri - che rappresenta gli interessi di ciascuno Stato: dopo oltre quarant'anni di esistenza del Parlamento europeo e di fronte aila massa crescente di «leggi» europee che incidono sulla vita di tutti i cittadini, qualunque ipotesi riduttiva rispetto al raggiungimento di tale effettivo equilibrio non potrà più essere accettata. I principi democratici esigono inoltre che l'eguaglianza dei poteri si estenda dal settore legislativo a quello finanziario ed a quello delle modifiche costituzionali. Ciò vuol dire che la Conferenza del 1996 dovrà essere fatta scartando l'ipotesi di un tradizionale negoziato diplomatico, ma riconoscendo alla Commissione europea (la cui legittimità politica e democratica uscirà rafforzata dal voto di fiducia del Parlamento europeo) il diritto di iniziativa «costituzionale» ed applicando alla revisione di Maastricht i principi e le procedure previste dal trattato nella codecisione legislativa. I1 Parlamento europeo deve rivendicare tale diritto di codecisione «costituzionale», considerandolo l'atto preliminare nella preparazione del 1996 e preannunciando che non voterà il proprio parere sulla convocazione della Conferenza intergovernativa fino a quando i governi n ~ n ' ~riconosceranno li tale diritto. L'organizzazione della democrazia a livello europeo non si può tuttavia fermare al raggiungimento dell'equilibrio di poteri fra il Parlamento europeo ed il Consiglio. Essa deve estendersi alla definizione di norme comuni che consentano lo sviluppo di una vera cittadinanza dell'unione, agiscano come correzione delle distorsioni sociali, creino nuovi diritti nei settori della società dell'informazione e della cultura. Accanto al «deficit democratico» deve essere inoltre superato anche il «deficit sociale», attraverso lo sviluppo dei diritti sociali fondamentali - inclusi quelli di associazione e di azione sociale a livello europeo. Poiché la democrazia sarà organizzata a vari livelli - locale, regionale, nazionale ed europeo - occorrerà prevedere procedure e regole di partecipazione reale dei vari livelli alle decisioni ed al controllo. I1 Gruppo «Ardenne» ritiene che debba essere percorsa priori- tariamente la via di una modifica della composizione del Consiglio. A partire dalla situazione attuale, che vede due Stati (la Germania ed il Belgio) rappresentati anche da «delegati» dei Lander o delle Comunità e Regioni, occorre prevedere la presenza ~costituzionalizzata» di delegazioni permanenti che rappresentino gli «Stati-ordinamento» e quindi anche le regioni laddove esse fanno parte delle articolazioni costituzionali dello Stato. Ciò è essenziale per garantire maggiore efficacia alla rappresentatività delle istanze regionali, confinata per il momento ad un ruolo consultivo nel Comitato delle Regioni e degli Enti Locali. Un'attenzione particolare dovrà essere inoltre rivolta verso i poteri locali e le grandi aree urbane, il cui ruolo deve essere definito in modo autonomo rispetto a queilo deile regioni. Per quanto riguarda i parlamenti nazionali, il Gruppo «Ardenne» è fortemente preoccupato della volontà in atto in alcuni Stati membri, che tende ad attribuire all'espressione deile legittimità democratiche nazionali compiti legislativi e di controllo che devono appartenere invece al dominio esclusivo dell'espressione della legittimità democratica a liveil? europeo. E tuttavia indispensabile garantire l'effettiva partecipazione dei parlamenti nazionali alla definizione delle «regole» fondamentali dell'organizzazione deila democrazia europea. In questo spirito, si potrebbe riflettere sull'ipotesi deila creazione di una sorta di «Conferenza interparlamentare» dell'unione (4) (composto per metà da parlamentari europei e per metà da parlamentari nazionali e suddiviso al suo interno in gruppi politici e non in delegazioni nazionali) i cui compiti potrebbero riguardare: le adesioni di nuovi Stati membri; le modifiche alla costituzione dell'unione; la fissazione delle prospettive finanziarie pluriannuali e quindi il livello delle risorse proprie attribuito all'unione. Le decisioni dalla Conferenza interparlamentare d e l l'Unione a maggioranza qualificata permetterebbero di superare l'ostacolo delle ratifiche (unanimi) a livello nazionale. Sulla base di queste prime riflessioni, il gruppo «Ardenne» intende promuovere nelle prossime settimane la costituzione di un «Osservatorio 1996», come luogo informale di incontro e di proposta per esponenti delle forze economiche, sociali e politiche italiane. Bruxelles, 8 dicembre 1994. (1) Basta ricordare la tesi di Brandt per un'Europa a due velocità, avanzata nel 1974; i risultati di una ricerca condotta da Christoph Casse e Eberhard Grabitz sull'Europa a due velocità come soluzione di ricanibio al concetto di integrazione tradizionale, pubblicati nel 1984; la risoluzione di Klaus Hansch sul nuovo ordine europeo. approvata dal Parlamento europeo nel gennaio 1993 e. soprattutto, il dociimento elaboraro dal parlamentare tedesco Laniors sulla «responsabiiità della Germania in politica estera», esaminato dal gruppo parlanientare della CDUiCSU del settembre 1994. (2) Se si considerano le proposte di Tindemans del 1976. le idee di Delors sull'Europa a geometria variabile del 1980 e sui cerchi concentrici del 1989, la proposra di Mitterrand nel maggio 1984 per un'Europa politica aentre ceux qui voudrontn e, soprattutto, il progetto Spinelli del febbraio 1984 ed in parricoIaie il suo artiFoIo82. 13) L'Europa dei cerchi «concentrici» di Jacques Delors e non auella dei ccrchi «olim~ici»(l'uno intrecciato all'altroi di ~ a l l a d uer Malor. (4) Sul modello di quella prevista in Francia per la modifica della costiruzione (il Congresso di Versailles) o delle relazioni che esistono fra le due Camere in alcuni sistemi federali (Germania). GENNAIO 1995 riduzione dell'orario di lavoro e lotta alla disoccupazione I sindacati europei si interrogano di Silvana Paruolo * I sindacati d'Europa si interrogano sulle correlazioni tra riorganizzazione/riduzione dell'orario di lavoro e lotta alla disoccupazione/e qualità della vita e dello sviluppo. Quali i quesiti sul tappeto? Esiste un modello europeo di riduzione dell'orario del lavoro? E uno slogan comune a tutti i sindacati d'Europa? È giunto il momento di un'Europa che punti su un nuovo progetto di società? A differenza degli Usa e del Giappone, in materia di politica del tempo di lavoro, in Europa non esiste un vero e proprio modello europeo. Una cosa è comunque certa i sindacati non possono e non vogliono restare spettatori delle iniziative in materia di riorganizzazione del tempo di lavoro dei datori di lavoro, che siano queste collettive o risultati di compromessi individuali con i salariati. «Un tempo per lavorare, un tempo per vivere» questo il titolo della Conferenza CesIse tenutasi a Dusseldorf il 7 - 8 dicembre 1994: vera e propria occasione di un dibattito aperto e immaginativo per far fronte a disoccupazione e parità uomo-donna, per cogliere piste di azioni comuni, e per individuare quanto già avviato. Si può dire che c'è già uno slogan comune a sostituzione delle 35 ore? Forse no. Comunque i suggerimenti non mancano. C'è chi promuove la «settimana di 4 giorni». C'è chi constata che non c'è una ricetta unica (perché ci sono situazioni differenziate) ma c'è un obiettivo comune: puntare a una graduale riduzione per ricadute occupazionali. C'è chi ritiene che l'obiettivo delle 35 ore è addirittura superato dalle esperienze già realizzate, ad esempio l'accordo Wolsvaghen-Ig metal. E c'è chi considera più opportuno le 28-32 ore se si pensa all'introduzione di un quinto turno. Da parte sua, I'Unice (il padronato europeo) non crede in una riduzione generalizzata degli orari, né che una persona accetterebbe una riduzione di salario, né che le imprese siano disponibili a più spese. Considera però interessante l'adattamento rivendicato dai sindacati sull'arco di vita. Nelle sue conclusioni, Emilio Gabaglio (Segretario generale della Confederazione europea dei sindacati) ha sottolineato: «La questione dell'orario di lavoro è una questione di società. È una rivoluzione culturale non solo dell'organizzazione del lavoro ma di moderni negoziati del sindacato. La riduzione degli orari e la riorganizzazione del tempo, sono un elemento forte della nostra strategia per l'occupazione e una migliore qualità della vita. Non c'è contraddizione tra rilancio della crescita economica, appog- * Dipartimento internazionale della CGIL. Esperta del Comitato economico e sociale dell'Unione europea. GENNAIO 1995 giata da una buona politica di formazione, e la politica della riduzione degli orari. Occorre uscire dalla logica nominale di Maastricht per mirare a una politica di convergenza reale cercando di limitare l'inflazione. Crescita e riduzione degli orari sono complementari. Da tempo i datori di lavoro pongono l'accento su flessibilità e riduzione degli oneri sociali. Qui i toni dell'unice sono stati un po' sfumati. Occorre vedere se i fatti seguiranno le parole. Occorre essere immaginativi e creativi. Quali sono gli elementi per una possibile strategia d'equilibrio tra tempo di lavoro e tempo libero e privato? La prima esigenza è la creazione di posti di lavoro. Non è detto che la riduzione di orario si traduca in riduzione di salario. «La compensazione salariale, totale o relativa è comunque un problema. Per garantire le non-rotture durante la vita attiva c'è una cassetta di strumenti: pre-pensionamenti progressivi, ecc. Occorre liberare gli elementi di quello che alcuni chiamano nuovo accordo sociale per una crescita durevole, e per la creazione di nuovi posti di lavoro. «Approfitto della situazione per un messaggio della Ces: il fatto che il Protocollo di Maastricht abbia aperto la via convenzionale per l'Europa sociale non significa deresponsabilizzazione legislativa. L'ho sottolineato anche durante l'incontro con il cancelliere Kool sì alla promozione del part-time, ma deve essere un part-time garantito per i la- voratori, attraverso una legislazione europea del part-time». In un contesto di forte aumento della disoccupazione, e in particolare della disoccupazione di lunga durata, uno studio della Ces «Durata e Organizzazione del tempo di lavoro: la tensione tra regolamentazione collettiva e scelte individuali», rileva un doppio movimento: 1. riduzione dell'orario previsto dalle norme collettive (benché l'obiettivo delle 35 ore si stia concretizzando solo in Germania), controbilanciata da un aumento della durata effettiva del lavoro tramite lo straordinario (Regno Unito, Francia, Spagna, Italia) o ancora tramite la tendenza a scivolare dal parttime (tempo parziale) corto verso un part-time lungo; 2. uno sviluppo importante di misure di flessibilità che hanno indotto una profonda diversificazione di ritmi, durata e orari di lavoro degli individui. Basti pensare all'estensione e diversificazione di ritmi, durata e orari di lavoro degli individui. Basti pensare all'estensione e diversificazione del lavoro in equipe; alla differenziazione degli statuti di occupazione implicanti temporalità diverse (tempo parziale, contratti a durata determinata e altre forme di lavoro temporaneo), modulazione e annualizzazione del tipo di lavoro, i collettivi di lavoro con prassi di durata diversa nella stessa fabbrica ecc. Fernand Léger (1881-1955), Les Loisirs. Dipinto negli ultimi anni della vita dell'artista (1948-491, è evidente il proposito di celebrarvi limpidamente la dignità della forza, del lavoro, della gioia. Le esperienze più recenti di accordi di riduzione dell'orario di lavoro, in Europa, hanno avuto un carattere prevalentemente difensivo. In altri termini, sono stati concepiti per evitare licenziamenti. È realistico pensare ad una riorganizzazione e riduzione generalizzata ed offensiva dell'orario di lavoro? In che misura può essere anche uno strumento di lotta contro la disoccupazione, oltre che uno strumento di miglioramento delle condizioni di lavoro e della qualità della vita? In che misura può essere anche uno strumento di lotta contro la disoccupazione, oltre che uno strumento di miglioramento delle condizioni di lavoro e della qualità di vita? come e di quanto ridurre l'orario di lavoro? In che misura può essere anche uno strumento di lotta contro la disoccupazione, oltre che uno strumento di miglioramento delle condizioni di lavoro e della qualità di vita? Come e di quanto ridurre l'orario di lavoro? Ridurlo con o senza compensazione salariale? Con una compensazione totale o relativa? Come finanziarlo? I1 sindacato ha dimostrato di essere disponibile a un minimo di riduzione di salario, se utile per evitare licenziamenti e per creare nuovi posti di lavoro. E ancora come ripartire gli utili di produttività tra nuovi investimenti e produzione di ricchezza (formazione, innovazione, R-ST, sviluppo ecc.), riduzione dell'orario del lavoro e/o aumento dei salari? Come articolare meglio i tempi di vita e di lavoro? Come governare la flessibilità? È possibile una politica europea, data la diversità di risposte diverse da parte dei sindacati? Manca una visione globale dell'economia mondiale? I1 cambiamento dell'orario deve essere concordato? E i suoi effetti sul sociale? Come conciliare esigenza di maggiore competitività e disoccupazione? Sulla base di uno studio di S. Palidda, a Dusseldorf, del caso Zanussi e la sua sperimentazione dell'autogestione, è stato dato un giudizio negativo: «non solo dobbiamo fare un lavoro di merda, ma dobbiamo anche organizzarci per farlo». L'iniziativa delle donne del Pds e il Programma del governo dei tempi della città sono stati invece rievocati - da più relatori stranieri - con interesse. La delegazione italiana ha puntualizzato in particolare la necessità di governare la flessibilità, l'opportunità di una disincentivazione degli straordinari, di strumenti adeguati per un controllo degli orari effettivi, di una revisione del part-time «all'italiana» per renderlo più appetibile per gli imprenditori; e ancora, un ruolo maggiore per la Ces, l'esigenza di progressi concreti nella legislazione europea per i lavori atipici e nuovi come per il lavoro notturno e i congedi parentali, e l'opportunità di una revisione della direttiva europea sull'orario di lavoro. Sul rapporto riduzione dell'orario di lavoro e compensazione salariale totale o relativa (tramite l'intervento della fiscalità, e un riproporzionamento del salario con un intervento esterno) almeno per i salari più bassi, il dibattito resta tuttora aperto. Stessa cosa per l'opportunità di una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, piuttosto che di COMUNI D'EUROPA una massima flessibilità contrattata del lavoro e dei regimi di orari, ed un'articolazione delle iniziative sugli orari. Nel quadro della sperimentazione del part-time e della necessità di conciliare le esigenze, Eduardo Guarino (Cgil-chimici) - ribadita la necessità di un governo della flessibilità - ha rievocato un accordo sperimentale per l'utilizzo di giovani laureati per 16-24 ore per settimana. La crisi - ha sottolineato Franca Donaggio (Presidente del Comitato delle donne della Ces) - ha accellerato la questione del rapporto tra il tempo di lavoro e il tempo di non lavoro: problema che si sarebbe comunque imposto anche per la crisi demografica. I tre tempi: tempo dello studio, tempo del lavoro, tempo del riposo sono saltati. Va qualificato il tempo del lavoro nero. Vanno definiti i nuovi lavori, indirizzati alla qualità di vita individuale e collettiva. Vanno ripartiti gli oneri familiari e il lavoro per la famiglia. I tempi di cura hanno sessualizzato e precarizzato il lavoro delle donne. Dove finisce il lavoro? C'è tutta una serie di lavori a metà strada tra disoccupazione e lavoro: il lavoro a domicilio, il lavoro a chiamata, il telelavoro. Siamo di fronte a fasce sociali di lavoro precarizzato e allargamento in prospettiva di fasce di povertà. «La strategia sindacale per ridurre la disoccupazione - ha precisato Gabriele Onidi (Cisl) - è centrata su due assi: 1. una crescita che comporti creazione di posti di lavoro; 2. e la riduzione dell'orario di lavoro. «La politica degli orari di lavoro aiuta a gestire meglio i periodi di crisi: l'accordo Volkswagen e i contratti di solidarietà in Italia lo dimostrano». L'Ig meta1 ha ricordato il carattere difensivo dell'accordo Volkswagen siglato per non licenziare. Dieter Schulte (presidente del Dgb) ha dato dei segnali di «flessibilità» anche da parte del suo sindacato. «I1 modello delle 25/30 ore settimanali dipenderà anche dai desiderata di chi lavora. I1 ricorso alla flessibilità presuppone il ricorso a tale nozione e da parte dei lavoratori, e da parte dei datori di lavoro. Per ridistribuire il lavoro, occorre utilizzare le altre possibilità. Ad esempio, invece di licenziare le persone più anziane, si può immaginare un piano che le awii piano piano verso il pensionamento. Inoltre il tempo di qualifica va visto come un utile tempo di lavoro. Per ristrutturare determinati settori e ridurre i costi, il tempo parziale va ridefinito affinché non presenti tutti gli svantaggi attuali. Anche se è difficile parlarne con chi ha dovuto cedere o condividere con altri, è uno degli strumenti per distribuire in modo più equo il lavoro esistente». «Molti pre-pensionati - ha sottolineato G. Lebrun (Belgio) - si ritrovano in una situazion-o difficile, e di colpo emarginati ed esclusi: Si potrebbe immaginare un mix di pensione a metà tempo e lavoro part-time, e così si assumono dei giovani. «In tutti i paesi - ha sottolineato il sociologo Jean-Yves Boulin - è evidente un'evoluzione che va nel senso della pre- sa in conto anche delle aspirazioni individuali. C'è il passaggio da un concetto difensivo a uno offensivo che rivendica autonomia e organizzazione sociale del tempo. La politica del lavoro spinge ad accellerare l'uscita dei più anziani e l'entrata dei giovani. Ma non siamo in una società di tempo libero. I1 tempo liberato dal lavoro non si traduce in un tempo libero: faccende domestiche, costrizioni familiari, e infine loisir. I1 tempo libero va aumentato. Alla libera utilizzazione del tempo, si oppone anche il problema dell'articolazione dei sistemi di orari: una questione affrontata soprattutto in Italia con il programma dei tempi della città, una legge di decentralizzazione per organizzare gli orari, e il manifesto delle donne del Pds, e il loro progetto di legge per cambiare i tempi di vita». Svbille Xaasch (Corte costituzionale tedesca) si è soffermata sui tempi di lavoro opzionali piuttosto che normali. «C'è bisogno - ha affermato con forza - di una qualità di vita maggiore; di una ri-regolamentazione per spazi di tempi opzionali, e di una loro gestione con saldi attivi di tempi tutelati come conti bancari. Per assistere i malati e i vecchi, finora i costi sono stati accollati al privato e alle donne. È opportuno socializzare questi costi con lavori socialmente utili, e con disoccupati. Le P.m.i. non hanno il problema della rigidità. Si potrebbe creare un pane1 di imprese per sostituire donne in maternità, o chi va in vacanza. Si potrebbero costituire dei fondi da cui attingere, se necessario, nuove spese». «Per creare posti di lavoro - ha ribadito l'economista francese D. Taddei - la riduzione dell'orario di lavoro è utile a due condizioni: 1) capacità di finanziarla; 2) e modalità di organizzazione. Come finanziarla? Ci vuole una ripartizione del reddito nazionale tra profitti e salari. Occorre una migliore sistemazione e suddivisione degli utili di produttività. Sarebbe utile un accordo e contratto sociale in tale senso. È un progetto di società quello di ridurre l'orario di lavoro. Nella memoria collettiva si ritrovano le battaglie per le 8 ore, per le ferie pagate, per le domeniche festive. Ed è sempre stata vinta questa lotta, perciò da 4-5 mesi si insiste su una settimana di 4 giorni, che potrebbe essere un tema comune, e su un contratto sociale per generalizzare in modo pragmatico ma differenziato questa settimana di 4 giorni. «Contro la disoccupazione - ha ribadito M. Rocard partigiano della settimana di 4 giorni - una sola arma non basta. Per la creazione diretta o indiretta di posti di lavoro ci sono varie piste. Le ore supplementari dovrebbero essere compensate con riposo e non con denaro. Sport, e pratiche associative, sono migliori di consumi passivi. E la ripartizione dei compiti va insegnata a scuola». «I1 vantaggio comparativo dell'Europa nei confronti degli Usa e del Giappone - ha sottolineato J. Vignon della Cellula di prospettiva della Comunità - è un movimento sociale strutturato. Quattro i fattori che aprono nuovi campi negoziali: I. l'arrivo delle donne sul mercato che continuerà ad aumentare: oggi rappresenta il 17 % in Spagna contro i1 50% in Danimarca; GENNAIO 1995 2. le attuali aspettative di durata di vita; Dunque, stavamo nel giusto 3. diminuzione dei tempi di trasporto; ( ~ e g u da e pag. 21 4. la disponibilità dell'opinione pubblica a considerare la riduzione dell'oiario del lavoro come creazione di nuovi posti di lavoro. Vignon auspica un patto sociale, che instauri un trade off tra la sicurezza del salariato e la flessibilità richiesta dagli imprenditori, e la qualità della vita e della vita familiare. Certo un governo della flessibilità resta indispensabile. Tuttavia, a mio avviso, la vera sfida cui oggi ci si trova confrontati è di dover essere visionari ed immaginativi nel pragmatismo del realismo. Mi chiedo se l'Unione europea non debba puntare su un nuovo progetto di società, incentivando un'industria (e sottolineo industria) del tempo libero (tempo di non lavoro), e grandi reti infrastrutturali transeuropee anche per il tempo libero, e non solo - come indica il Libro bianco di Delors - per trasporti, energia e telecomunicazioni. In prospettiva, questa ipotesi è uno strumento di lotta alla disoccupazione, e fonte di nuovi posti di lavoro per i giovani. Ma è anche uno strumento di creazione di ricchezza, attraverso un miglioramento dell'«offerta» per il tempo libero (tempo di non lavoro), che prenda in conto - sia pure in modo differenziato - anche un miglioramento della qualità di vita dei - futuri ed attuali - giovani pre-pensionati, siano essi più o meno ricchi, con mezzi o non. Tenendo conto della concorrenza dei paesi dell'Est e dei PVS nei settori tradizionali, e dell'esigenza/opportunità europea di puntare su high tech e innovazione, questa ipotesi mi sembra più che realistica. Che si tratti di sport, di pratiche associative, e perché no anche di assistenza a malati e vecchi, di reti europee di asili nido sperimentali, di reti europee di beauty farm d'avanguardia, di lotta all'insonnia e alla depressione, di iniziative culturali, di articolazione dei sistemi di orari, di vacanze, per l'Europa c'è un ampio spazio, tuttora inesplorato, per dar vita a'un nuovo progetto di società basato innanzitutto sulla qualità della vita. H La sfida è sostenere... (segue da pag. 101 dere. Servono pertanto progetti cantierabili e non idee per partecipare a questi canali finanziari. Altro aspetto è legato alle caratteristiche politiche di fondo delle strategie comunitarie; il libro bianco dice: occupazione, crescita e competività ma con caratteristiche sociali; l'Europa ha scelto questo terreno. Dall'altro: capacità, efficienza, trasparenza nella spesa e capacità quindi di rispondere appieno all'obiettivo dichiarato e al modo con cui viene realizzato. È su questo terreno che è stata lanciata una sfida importante, che credo tutti voi vorrete accettare e alla quale noi come Regione siamo sicuramente disposti a partecipare. GENNAIO 1995 grande impegno che deve essere sentito dai cittadini come cosa propria, il coraggio di andare avanti verso l'Europa con coloro che condividano il cammino da percorrere, senza subire i rallentamenti e gli arresti, talvolta perfino gli arretramenti che alcuni membri vorrebbero imporre. Al centro di tutto ciò c'è l'appuntamento decisivo con la revisione del Trattato di Maastricht che dovrà concludersi nel 1996, ma la cui preparazione è già in atto. Questa revisione non è un'operazione di puro aggiustamento giuridico o di chiarificazione e semplificazione di un documento molto complesso, ma è un'appuntamento decisivo per l'avvenire dell'Europa. Delors ne è pienamente consapevole e ciò che egli ha detto in proposito ai parlamentari europei è più che sufficiente per togliere ogni equivoco. Innanzitutto il richiamo ad Altiero Spinelli, al ruolo da lui svolto nel 1984 col Progetto di Trattato sull'unione europea, la cui lettura è consigliata a tutti coloro che dovranno impegnarsi nelle difficili riflessioni del 1996. Collegato a questo richia-, mo, quello del ruolo di pioniere che spetta al Parlamento europeo e del quale questa istituzione deve essere maggiormente consapevole per tradurlo in azioni concrete. Delors denuncia i rischi di una concezione dell'Europa solamente mercantile e libero-scambista, priva di quello spirito di solidarietà che deve amicinare i popoli e condurli a lavorare insieme: sottolinea l'ampliamento e la necessità di estendere e rafforzare politiche comuni per strutturare unlEuropa che già ora è molto di più di un semplice spazio di libero scambio: richiama l'attenzione suila nuova realtà che si è aperta col 1989, che sta ancora faticosamente maturando soprattutto nelllEuropa centrale ed orientale e che reclama il passaggio da una strategia di appoggio alla transizione ad una strategia di autentica integrazione. Delors è convinto che la moneta unica costituisce un cammino vitale e irreversibile per l'Europa e della necessità di dare risposte adeguate alla gente che è in cerca di motivazioni per l'impegno europeo che le viene richiesto: la pace, la sicurezza, l'imperativo democratico, una maggiore trasparenza dell'unione europea e delle sue finalità, una capacità di influenza più diretta sui cittadini europei, una corretta applicazione del principio di sussidiarietà. Per fare tutto e per evitare il rischio che l'Unione divenga una specie di Gullz'ver incatenato, occorrono istituzioni valide ed efficaci: Delors sostiene esplicitamente la scelta federale in materia istituzionale, la sola che permetta non solo di precisare chi fa che cosa e chi è responsabile dinnanzi a chi, ma anche di realizzare i necessari trasferimenti di sovranità definendone i limiti e le adeguate procedure di controllo democratico e di sanzione degli abusi di potere, nonchè di garantire il rispetto delle identità nazionali e delle diversità regionali. Un'Europa politica - ed è un'affermazione estremamente importante alla vigilia della revisione di Maastricht - che non può accettare che la sua marcia possa essere rallentata o bloccata da coloro che non vogliono condividere questa grande impresa. Mitterrand aveva un altro compito, quello di indicare le priorità del semestre di presidenza francese. Lo ha fatto con grande determinazione, con l'impegno di rafforzare il ruolo della Francia a servizio dell'unione europea, con un'attenzione del tutto particolare alle esigenze di un'Europa sociale e alla sua dimensione culturale, al rapporto che gli europei devono avere con l'Europa («gli europei devono amare l'Europa», è stato l'appello di Mitterrand), alle condizioni di ulteriori auspicati allargamenti dell'unione, alla dura condanna dei nazionalismi («il nazionalismo è la guerra», ha affermato senza mezzi termini il presidente francese). Se vi è motivo di rallegrarsi della consonanza tra queste prese di posizione e quelle del CCRE, non possiamo accontentarci di contemplarla estatici. Al CCRE è richiesto invece, a sua volta, un atteggiamento - a livello di Presidenza e di Segreteria europea e delle singole Sezioni nazionali - coerente, che significa maggiore sensibilità e azione politica, presenza autorevole nelle varie sedi istituzionali europee e nazionali, autonomia di posizioni, coesione sulla linea dettata dallo Statuto e dai pronunciamenti degli organi, efficienza e tempestività operativa, non confondendo il fare politico col semplice commento a posteriori delle decisioni altrui. E l'Italia, che fa il nostro paese in questa fase cruciale? Purtroppo le difficoltà di politica interna, i nodi della situazione economica e di bilancio, la forte disoccupazione, la confusione che ancora caratterizza gli schieramenti politici, la perdurante indifferenza dei massmedia, non favoriscono certo la nostra consapevolezza - a livello di opinione pubblica che tutto ciò che awiene in Europa, nel bene e nel male, si ripercuote su di noi irrimediabilmente, e che è nostro interesse partecipare attivamente alla costruzione dell'unità europea nella linea ricordata da Delors. I1 governo Dini sembra aver colto correttamente questa necessità e il nuovo Ministro degli Esteri ha giustamente ripreso il filone tradizionale della nostra politica europea dopo alcuni episodi e sperimentazioni che avevano allarmato non solo la classe politica ed economica del nostro paese più sensibile alla persistenza del grande disegno di unificazione, ma anche gran parte dei nostri partners europei. Ci auguriamo che i prossimi appuntamenti della politica nazionale consolidino questa scelta che non ha alcuna valida alternativa. H Partiam, partiamo.. . (segue da pag 21 ca e monetaria (1999, al più tardi). Se quest'opinione - per ora minoritaria - prevalesse, cadrebbe immediatamente la pressione esercitata da chi condiziona l'awio della terza fase dell'UEM alla revisione di Maastricht: le ratifiche della revisione e l'awio della terza fase slitterebbero così all'inizio del 2000. I1 gruppo di riflessione, costituito a Corfù e convocato per il prossimo 2 giugno, assumerebbe - neil'ipotesi dello slittamento una funzione negoziale ancor maggiore di quella, puramente preparatoria, che ad esso è attualmente affidata. La successione delle presidenze del Consiglio, decisa dai Quindici il 19 dicembre 1994, diventa inoltre molto significativa. Scorriamo dunque insieme il calendario dell'unione: l o semestre 1995: presidenza francese, con elezioni presidenziali in Francia e comunali in Spagna; 2" semestre 1775: presidenza spagnola, con elezioni in Portogallo, in Belgio e, molto probabilmente in Italia. I1 Consiglio europeo di dicembre dovrebbe procedere, in teoria, alla convocazione della Conferenza intergovernativa; l o semestre 1776: presidenza italiana - la conferenza intergovernativa dovrebbe iniziare sotto la presidenza italiana; 2' semestre 1796: presidenza irlandese - il Consiglio europeo potrebbe stabilire la data di inizio della terza fase dell'uem, se una maggioranza (8) di paesi membri rispetta le condizioni previste dal Trattato - tale data può essere fissata entro la fine del 1997 (presidenze olandese o lussemburahese); 1 semestre 1997: presidenza olandese con elezione del nuovo presidente del PE (gennaio) ed elezioni nel Regno unito ed in Spagna (se non saranno anticipate) - se prevalesse l'ipotesi dello slittamento della Conferenza intergovernativa, essa potrebbe iniziare nella primavera del 1997 - se venisse rispettata la scadenza del 1996, la revisione di Maastricht potrebbe essere firmata sotto presidenza olandese (Maastricht-bis?) o potrebbero iniziare le procedure di ratifica (possibili referendum in Francia, Danimarca, Germania, Irlanda, Regno Unito, Austria, Finlandia, Svezia); 2" semestre 1777: presidenza lussemburghese; 1' semestre 1978: oresidenza britannica entro questo semestre, il Consiglio europeo dovrebbe confermare quali Stati rispettano le condizioni necessarie per l'adozione della moneta unica o prendere le disposizioni necessarie per l'inizio della terza fase dell'UEM (nel caso in cui non sia stata rispettata la scadenza del 1997) - possibili referendum sull'UEM in Francia e Regno Unito; 2' semestre 1778: presidenza austriaca, con elezioni in Germania - i lavori della Conferenza intergovernativa dovrebbero concludersi prima delle elezioni tedesche (nel caso dello slittamento); 1" semestre 1999: presidenza tedesca - inizio della terza fase dell'UEM ed inizio della ratifica della revisione di Maastrich (nel caso dello slittamento) - elezioni del Parlamento eu- ropeo ($ugno) e designazione del nuovo presidente della Commissione europea (idem); 2" semestre 1777: presidenza finlandese designazione della nuova Commissione europea; 1' semestre 2000: presidenza portoghese eventuale entrata in vigore della revisione di Maastricht ed awio dei negoziati di adesione con i paesi dell'Europa centrale; 2" semestre 2000: presidenza svedese Come abbiamo ricordato nei precedenti dossiers, tutte le istituzioni europee sono impegnate nella preparazione del «1996» o meglio dei rapporti che dovranno essere esaminati dal gruppo di riflessione. Nel Parlamento europeo, mentre proseguono le discussioni nella commissione affari istituzionali e nelle commissioni competenti per parere, molti gruppi politici hanno avviato proprie discussioni interne per mettere a p u n t o una posizione d i «partito» p e r il 1996. Al contrario del 1984 (progetto Spinelli) e del 1991 (trattato di Maastricht), quando le posizioni dei gruppi sono state definite a partire da orientamenti comuni dell'assemblea (i gruppi hanno dovuto decidere il loro atteggiamento su un «compromesso democratico»), le burocrazie dei gruppi tentano oggi di far prevalere l'idea c h e il m i n i m o c o m u n e d e n o m i n a t o r e dell'Assemblea dovrà essere determinato a partire dai minimi comuni denominatori che saranno definiti - ideologicamente dai gruppi (sic!). È così che, nel gruppo socialista, il documento di Elisabeth Guigou è stato contestato a «sinistra» (ci vogliono più politiche comuni di sinistra, perché l'opinione pubblica non si interessa delle istituzioni) ed a «destra» (l'opinione pubblica vuole meno Europa e dunque istituzioni europee più deboli ed istituzioni nazionali più forti); nel grupp o PPE, il documento Pottering è stato rinviato.. . in laboratorio in attesa di nuovi esami ed in vista di un incontro con i gruppi nazionali (slittato da marzo a maggio); nel gruppo GUE, la rigidità ideologica di comunisti francesi e portoghesi sembra travolgere le deboli resistenze degli ex-comunisti spagnoli.. . Per porre un argine e trovare il filo conduttore di tali e tante iniziative politiche, i «vertici» del P E (presidenza e segreteria generale) hanno deciso di costituire una task-force, sotto la responsabilità del direttore generale delle commissioni parlamentari (Karl-Heinz Neunreither e coordinata da mensile dell'AICCRE Direttore responsabile: Umberto Serafini Condirettore: Maria Teresa Coppo Gavazzi Redazione: Mario Marsala Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma tel. 69940461-2 -3-4-5, fax 6793275 Questo numero è stato finito di stampare nel mese di marzo 1995 ISSN 0010-4973 Abbonamento annuo per la Comunità europea, inclusa l'ltalia L. 30.000 Estero L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. 1.000.000 Jean-Guy Giraud, già capo-divisione della commissione affari istituzionali nel periodo spinelliano e cancelliere della Corte di Giustizia della CE). Auguri! La task-force-mania travolge tutte le istituzioni, perché - dopo il Parlamento e la Commissione (che ne ha creata una sotto la diretta responsabilità del presidente Santer e del commissario Oreja, affidandone il coordinamento al deloriano Miche1 Petite) - anche il segretario generale del Consiglio (il tedesco Trumpf, a suo tempo autorevole consigliere nel Comitato Dooge) ha costituito una sua «équipe», incaricata - per ora - di raccogliere tutti i documenti esistenti sul 1996 e di coordinare il lavoro del Consiglio in vista del rapporto che dovrà essere adottato dal Consiglio «affari esteri» del 2930 maggio. Nel Comitato delle Regioni e degli Enti Locali, la «voce» del CCRE è autorevolmente rappresentata dal sindaco Enzo Bianco - coordinatore degli italiani nella commissione istituzionale (il rapporto sarà elaborato - ahimé - da Jordi Pujol, leader dell'ARE), mentre nel Comitato Economico e Sociale, i consiglieri si sono affidati alla saggezza del presidente Carlos Ferrer, membro autorevole del Movimento Europeo Internazionale. Abbiamo già informato i nostri lettori della tendenza prevalente nelle altri capitali p e r q u a n t o riguarda la composizione del g r u p p o riflessione. Poiché una fase importante nei negoziati sarà effettuata proprio da questo gruppo, le prime nomine effettuate dai governi mostrano l'evidente volontà d i essere rappresentati dagli stessi «plenipotenziari» che siederanno nella conferenza intergovernativa e cioè dai ministri o dai segretari di Stato agli affari europei. Così la Spagna - che avrà la presidenza del gruppo - la Germania, la Grecia, il Regno Unito.. . Appena insediato e d o p o aver proclamato (nell'aula di Montecitorio, per bocca dello stesso Dini, ed a Bruxelles, per bocca del ministro Agnelli) la volontà di riprend e r e la t r a d i z i o n a l e p o l i t i c a e u r o p e a dell'Italia (chiudendo così, diciamo noi, la sfortunata parentesi Martino-Caputo), il governo di tregua ci ha fatto provare qualche emozione. Confidiamo che il problema sia risolto non a favore della prima o della seconda Repubblica, ma nella linea per cui l'Italia è uno dei partner1 affidabili della costruzione europea: che, anche senza correre, non può che avere un esito federale. Una copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000) I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 300.008 intestato: AICCRE c/o Istituto bancario San Paolo d i Torino sede di Roma, Via della Stamperia, 64 - 00187 Roma, specificando la causale del versamento; 2) sul c.c.p. n. 38276002 intestato a "Comuni d'Europa1',piazza di Trevi, 86-00187 Roma; 3) a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a: AICCRE, specificando la causale del versamento. Aut. Trib. di Roma n. 4696 de11'11-6-1955 Arti Grafiche Rugantino S.r.l., Roma, Via Spoleto, 1 Fotocomposizione: Graphic Art 6 s.r.l., Roma, Via Ludovico Muratori 11/13 Associato all'USP1- Unione Stampa periodica italiana GENNAIO 1995