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ANNO XLIII N. 1
GENNAIO 1995
MENSILE DELL'AICCRE
ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMLINI PROVINCE REGIONI
dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale
Par condicio
in margine al commiato di Delors
Dunque, stavamo
nel giusto
L'asino: «Torno volentieri in redazione, dopo che espressi lo sdegno perché, durante le ultime elezioni
europee, sia le forze politiche e i candidati che i media avevano dimenticato di informare gli elettori sulle
questioni europee, su cui dovevano decidere. Ora tutti invocano la par condicio: ma la vogliono per loro,
perché nord e sud, destra centro e sinistra, conservatori e progressisti, gli operatori della corporazione
.a dei media - tutti -, la negano senza eccezioni al partito europeo e alle sue articolazioni. Infatti il partito europeo non fa parte né del Palazzo storico n é del nuovo Palazzo gattopardesco: quindi non vogliono
far sentire la sua voce alla gente. Anzi: perché non distruggere il partito europeo?»
C% L'AICCRE ringrazia l'asino.
-$
Anche i più impermeabili ai dubbi o alle
seduzioni dell'«euroscetticismo», hanno talvolta bisogno di essere riconfortati e confermati nelle loro convinzioni e nel buon fondamento della loro lunga coerenza di federalisti:
non mancano infatti, suila accidentata strada
che porta alla costruzione di una democrazia
europea in forma federale, gli ostacoli, le difficoltà, i dubbi, le delusioni. Tutte cose perfettamente comprensibili e fisiologiche, sol
che si pensi al significato autenticamente rivoluzionario (e pacifico) del processo di integrazione europea, specie in un contesto internazionale instabile e contraddittorio come I'attuale.
Anche per questa sua funzione corroborante e «ricostituente», oltre, in primo luogo, per
il suo valore intrinseco, va accolto con particolare interesse e riconoscenza l'intervento
che il presidente della Commissione europea,
Jacques Delors, ha svolto il 19 gennaio scorso
dinnanzi al Parlamento europeo riunito in
sessione plenaria. Intervento di commiato dopo dieci anni di presidenza, ma tutt'altro che
protocollare o semplicemente emotivo. Un intervento di alto profilo politico, franco. non
commemorativo della sua presidenza, ma
proiettato verso il futuro; un appassionato appello alle incombenti responsabilità che gravano su tutti coloro che sono impegnati nella
costruzione di un'Europa capace di agire efficacemente per la pace, la solidarietà tra i popoli, il rispetto dei diritti dell'uomo.
I1 discorso di Delors era stato preceduto,
nel corso della stessa sessione plenaria del
Parlamento europeo, dall'intervento di Mitterrand nella sua qualità di residente della
Repubblica francese e di presidente in esercizio del Consiglio europeo per questo primo
semestre del 1995.
I1 testo di Delors è pubblicato integralmente su questo numero della rivista (così come
in inserto quello di Mitterrand). Ciò ci esime
dal riassumere il documento, consentendoci
di sottolineare solo alcuni dei passaggi salien-
ti, mettendoli in contrappunto con gli orientamenti e la linea politica sostenuta dal CCRE e
dall'AICCRE, anche recentemente ribadita
dagli Stati generali di Strasburgo, e dai suoi
organi statutari. Anche se la nostra organizzazione ha sempre rivendicato una larga autonomia sia dalle forze politiche sia dalle istituzioni europee e nazionali e quindi non attende la sua legittimazione da fonti esterne, anche le più prestigiose.
Questa constatazione ci spinge ad un doppio ordine di considerazioni. Da un lato, non
è privo di significato che vi sia una sostanziale
convergenza con le opinioni di due delle maggiori personalità politiche impegnate nel cammino europeo. Abbiamo sempre sostenuto
che l'Europa federale va costruita percorrendo simultaneamente cammini complementari:
quello dell'azione dei governi, quello delle
istituzioni europee, quello dei movimenti di
base, europeisti e federalisti, che animano le
diverse articolazioni della società, tra cui assumono un rilievo particolare, per la loro diffusione capillare e il contatto coi cittadini, gli
enti autonomi territoriali. Dall'altro, i discorsi
di Delors e di Mitterrand sono un'autorevole
conferma che i federalisti non sono nè scalmanati ideologi, nè sognatori irrecuperabili,
innocui ma fastidiosi, nè utopisti che inseguono un partito preso incuranti della realtà e
delle sue autentiche esigenze. Un uomo politico avente responsabilità europee, ma che in
epoca precedente ha svolto compiti di primaria importanza nel suo paese e un Capo di
Stato che ha percorso durante una lunga vita
le più disparate esperienze a livello nazionale,
convengono nella diagnosi sullo stato di salute dell'Europa e, soprattutto, sulla terapia da
adottare: analisi e indicazioni di soluzione che
lo ripetiamo - coincidono con le tesi politiche della nostra Associazione.
Vediamo qualche esempio. Quali sono alcuni dei nodi significativi da sciogliere per costruire l'Europa federale che il CCRE ha messo sempre in evidenza? La necessità di democratizzare maggiormente il processo di unificazione, il ruolo determinante del Parlamento
europeo, la crescente interdipendenza delle
società nazionali che va governata e guidata
da idonee istituzioni a livello europeo, il fallimento della cooperazione intergovernativa,
l'esigenza che l'allargamento dell'unione ad
altri membri vada di pari passo col suo rafforzamento politico e istituzionale, i pericolosi limiti di un'Europa identificata solo come un
grande mercato, la moneta unica condizione
per il funzionamento del libero mercato, l'attenzione (non teorica o culturale soltanto, ma
operativa) che deve essere prestata dall'unione all'Europa centro-orientale e al Mediterraneo, l'imprescindibile necessità che l'opinione
pubblica sia coinvolta stabilmente in questo
(segue a pag. I>)
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COMUNI D'EUROPA
dossier revisione di Maastricht - 3
Partiam, partiamo.. .
di Pier Virgilio Dastoli
L'orologio dell'unione europea, come è
noto, batte le ore secondo i ritmi stabiliti
dalla vita politica nazionale nei paesi membri: è invece raro che i ritmi della vita politica di un paese membro siano determinati
dall'orologio dell'unione europea.
Per ricordare la storia più recente; la data
di convocazione della Conferenza intergovernativa sull'Unione europea slittò di un
anno (dalla fine del 1989 alla fine del 1990),
per consentire alla Germania di portare a
compimento il processo interno di unificazione ed al cancelliere Kohl di consolidarsi
alla testa del governo federale; dopo le elezioni straordinarie e «pantedesche» dell'autunno 1990.
Abbiamo già scritto («dossier 1996», n.
1) che il trattato di Maastricht ha irritualmente fissato, fra le sue disposizioni finali,
non solo la norma di revisione dello stesso
Trattato (e ciò è normale, ma anche il periodo previsto per la sua prima revisione «una
conferenza dei rappresentanti degli Stati
rpembri sarà convocata nel 1996 per esaminar-e.. ..»
E noto che i dodici governi in carica alla
fine del 1991 (o almeno una maggioranza di
essi) ritenevano che il Trattato di Maastricht
fosse la risposta dei Dodici per i Dodici, in
particolare per quel che concerne l'Unione
economica e monetaria, poiché lo Spazio
Economico Europeo (CEE-EFTA) sarebbe
stato a medio termine il quadro delle relazioni fra i paesi ricchi dell'Europa mentre
gli accordi di associazione sarebbero stati a
medio termine il quadro delle relazioni fra i
paesi dell'unione europea ed una buona
parte dell'Europa ex-comunista. Di ampliamento dell'unione a Nord se ne sarebbe
parlato solo dopo aver realizzato gli obiettivi principali del Trattato di Maastricht, in
special modo la moneta unica al più tardi
nel 1999, mentre l'ampliamento all'Est veniva considerato politicamente «non attuale»
(ricordate le proposte di Mitterrand per una
«confederazione europea»?).
La scadenza del 1996 era dunque considerata dai più come una tappa fisiologica
sulla via dell'Unione definita a Maastricht,
da realizzare a Dodici per gettare anche le
basi delle modifiche da apportare alla «casa
comune» in vista dei futuri ampliamenti.
" Membro della Direzione deii'AICCRE e del Gruppo di lavoro
*
La storia successiva al 1991 è andata, come si sa, in modo molto diverso perché l'accelerazione dell'allargamento a Nord ha ampliato da dodici a quindici il numero degli
invitati alla tavola dei negoziati nel 1996.
Dicevamo all'inizio che l'orologio dell'Unione batte al ritmo delle vite politiche
nazionali è così che la scadenza del 1996,
giudicata fino ad ora ineluttabile, viene ora
messa in discussione in più capitali
dell'unione (ed è addirittura oggetto di conversazione alla Casa Bianca fra Clinton e
Kohl, fra Clinton e Dehaene: ne hanno parlato anche Clinton e Dini? E, se ne hanno
parlato, perché i giornalisti italiani al seguito
del nostro presidente del Consiglio non ne
hanno informato l'opinione pubblica italiana come hanno puntualmente fatto i loro
colleghi belgi e tedeschi?), perché essa contrasta ora con imperative scadenze nazionali: la Spagna ed il Regno Unito andranno alle u r n e e n t r o la primavera del 1997 e ,
nell'uno, come nell'altro caso, potremmo assistere al rovesciamento di maggioranze al
potere da più di un decennio.
Sembra dunque maturare a Bonn e Parigi
l'ipotesi di un rinvio dell'inizio della conferenza alla primavera del 1997 (con Aznar al
p o s t o di Gonzalez e Blair al p o s t o di
Major?] ma con l'impegno a concludere i lavori entroJ'autunno del 1998 e cioè prima
delle elezioni tedesche.
L'ipotesi dello slittamento è poi rafforzata dalla preoccupazione diffusa in tutte le
capitali delllEuropa centrale circa un rinvio
sine die dell'allargamento ad Est, nonostante l'impegno assunto dai Quindici al Consiglio europeo di Essen - la decisione più significativa assunta ad Essen! - per l'awio
dei negoziati di adesione dopo la Conferenza int;rgovernativa del 1996 con l'obiettivo
di procedere alle prime adesioni all'inizio
del prossimo secolo e di integrare progressivamente nell'Unione undici paesi dell'Europa centrale ed orientale (Ungheria, Polonia,
Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Romania, Albania, Lituania, Lettonia, Estonia,
Slovenia), dopo l'ingresso nell'unione di
Malta e Cipro.
L'ipotesi dello slittamento è poi collegata
all'opinione di chi afferma che sarà praticamente impossibile rispettare le date del
Trattato di Maastricht per quanto riguarda
l'inizio della terza fase del'unione economi-
dell'AICCFiE per la revisione di Maastricht.
(segue a pag 15)
- Partiam, partiamo.. ., di Pier Virgilio Dastoli
-
Di una Europa politica abbiamo bisogno, di jacques Delors
- Gemellarsi per una comune crescita civica, di Gianfranco Martini
8 - Ma l'Europa «convince» le donne?, di Maria Teresa Coppo Gavazzi
9 - Donne, politica, democrazia, di Fausta Giani Cecchini
10 - La sfida è sostenere le strategie comunitarie, di Luigi Badiali
11 - Riflessioni del Gruppo «Ardenne» in vista deila revisione di Maastricht
13 - I sindacati europei si interrogano, di Silvana Paruolo
GENNAIO 1995
una nuova Unione si va delineando
Di una Europapolitica abbiamo bisogno
di Jacques Delors *
Signor Presidente, Onorevoli Deputati,
Cari Colleghi e Colleghe,
è con grande emozione, come potete immaginare, che oggi mi rivolgo a voi. Innanzitutto per ringraziarvi, a nome mio personale,
ma anche a nome di tutti i miei colleghi che
hanno lavorato nella Commissione dal 1985.
In secondo luogo per esprimervi la mia gratitudine e quella di tutti i militanti europei per
l'azione che il Parlamento ha portato avanti
posso ben dirlo in sintonia con la Commissione.
Infine per riaffermare la mia fede immutata negli ideali che hanno ispirato i padri fondatori dell'Europa, anche nel contesto radicalmente nuovo come quello attuale e futuro. Auguro inoltre ogni successo per il futuro
lavoro del Parlamento e della nuova Commissione.
rito di solidarietà che deve awicinare i popoli e portarli a lavorare insieme.
Come non vedere il legame esistente fra
l'opera di Spinelli e i vostri lavori successivi
per la preparazione del Trattato sull'unione
europea.
Senza il rapporto Martin del novembre
1990 sull'unione Politica, basato anch'esso
su un lavoro collettivo, da cui il rapporto di
Giscard d'Estaing sulla sussidiarietà; senza il
" Come non ricordare, infine, quei momenti storici legati alla riunificazione tedesca; e anche qui, ancora una volta, il vostro
ruolo decisivo.
Penso:
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innovativa
" In primo luogo, il carattere innovativo
dell'ispirazione del Parlamento in relazione
alla costruzione europea.
Il nome di Spinelli è strettamente legato al
suo progetto di Trattato sull'unione europea, che consiglio di rileggere a tutti coloro
che dovranno impegnarsi nelle difficili riflessioni sul 1996.
Ma vi è stato anche un rapporto Spinelli
del 1986 sull'Atto Unico, che ci incoraggiava
nel nuovo slancio derivante dalla creazione
di uno spazio senza frontiere e che ne approvava il metodo di attuazione. Tuttavia Spinelli ci metteva in guardia contro i rischi e in
definitiva contro l'impasse derivanti da una
concezione dell'Europa esclusivamente mercantile e liberoscambista, priva di quello spi* Discorso pronunciato
dinanzi al Parlamento Europeo il
19 gennaio in occasione del passaggio di consegne al
nuovo Presidente della Commissione europea.
GENNAIO 1995
- ai lavori della vostra Commissione
temporanea, relatore Donally, a partire dal
febbraio 1990;
- all'incontro Kohl/de Maizière, proprio
qui, nel maggio del 1990;
I. Il Parlamento Europeo, istituzione
Sono trascorsi dieci anni dal mio primo
intervento, davanti a questa assemblea, in
qualità di Presidente della Commissione. In
quell'occasione affermai che il Parlamento
sarebbe divenuto un «luogo d'iniziativa» e di
tale impegno, assunto nel gennaio del 1985,
gran parte del merito è da attribuire al nostro amico Altiero Spinelli, del quale avevo
sotto gli occhi la bozza di Trattato, pubblicata poco tempo prima. I dieci anni trascorsi
da allora hanno confermato, ogni anno di
più, il ruolo innovatore che io attribuivo al
Parlamento europeo.
Tanto di positivo si può dire sulla vostra
Istituzione, ma in quest'occasione vorrei focalizzare il mio intervento sulla capacità che
essa ha dimostrato nell'anticipare le riforme,
nell'intuire certi movimenti di fondo. A testimonianza di ciò potrei fare un lungo elenco,
ma mi limiterò a tre esempi che mi hanno
particolarmente colpito.
soltanto un pio desiderio e che era dunque
necessario passare all'azione, peché nulla si
sarebbe realizzato senza quel «patto di famiglia».
So che questa idea, con la creatività e la
flessibilità necessarie, sarà al centro delle vostre aspirazioni. In quanto la coesione economica e sociale, per non parlare d'altro, è divenuta uno dei fondamenti del contratto di
matrimonio fra gli Stati membri.
- alla vostra pronta decisione di accogliere fra voi degli osservatori dell'ex-RDT;
- e infine, all'intensa attività dell'estate
del 1990, quando tutti insieme abbiamo disciplinato, con rapidità ma con accuratezza,
tutte le conseguenze giuridiche e legislative
derivanti dall'unificazione.
rapporto Herman sull'unione economica e
monetaria, il Parlamento non avrebbe ricevuto quella consacrazione legittima che il
Trattato sull'unione europea ha confermato.
E assai di più, sarebbe mancata, durante i lavori delle due conferenze intergovernative,
una spinta essenziale.
So che il vostro Parlamento attualmente
sta preparandosi alla prossima Conferenza
Intergovernativa e non ho alcun dubbio che
si tratterà di un contributo sostanziale, fatto
di visione del futuro, di esperienza e di fedeltà ai principi ispiratori. Quei principi che,
contrariamente a quanto taluni proclamano,
non hanno perso la loro validità, né il valore
di speranza per i nostri popoli.
" Come non ricordare anche l'azione del
Parlamento nell'elaborazione degli orientamenti con la successiva adozione dei «Pacchetti I e II».
Mi riferisco ai lavori della Commissione
temporanea presieduta da Lord Plumb che
hanno portato all'accordo sul pacchetto I, e
successivamente all'accordo sulla normativa
in materia di bilancio, del luglio 1988. E mi
riferisco anche ai lavori della Commissione
temporanea presieduta da Van der Vring che
hanno portato all'accordo sulle prospettive,
del febbraio 1993.
Da molto tempo il Parlamento aveva compreso che la solidarietà non poteva essere
H o scelto questi tre esempi perché mi
hanno particolarmente colpito.
Ma, dalla questione ambientale, per la
quale si può dire che tutto ciò che è stato fatto è partito da qui, alla Carta Sociale, che
trova il suo fondamento nella vostra risoluzione del marzo 1989, passando per le lotte a
favore dei diritti dell'uomo, la promozione
della donna, la lotta contro il razzismo, è stato determinante l'impulso dato dalla vostra
assemblea.
Più in generale, il solo vero Parlamento
multinazionale al mondo deve sapere che,
trovate le forme adeguate e la perseveranza
nell'azione, la sua parola è ascoltata ovunque. In questo modo, per parte sua, esso testimonia la lotta mai conclusa in favore della
libertà, dei diritti dell'uomo e del pluralismo
spirituale, ideologico e politico.
E non è un caso se il Trattato dell'unione
europea ne ha tratto un insegnamento: vi si
riconosce questo ruolo ispiratore, di cui io
volevo semplicemente ricordare che esso si
era già concretizzato ancor prima di Maastricht, con dei risultati che non avrebbero potuto che favorire il recente rafforzamento dei
poteri della vostra istituzione.
Nel corso di questi 10 anni alcuni hanno
notato una certa intesa fra l'istituzione che
Hansch presiede, dopo Pflimlin, Plumb,
Crespo e Klepsch, e la Commissione europea. I1 motivo è che la Commissione ha voluto rispondere agli appelli e alle speranze di
tutti coloro che, in questo Parlamento, alimentano la fiamma dell'ideale europeo e arricchiscono la sua forza propositiva.
COMUNI D'EUROPA
Il. La dinamica dell'integrazione europea
Grazie alla vostra capacità d'iniziativa e al
vostro appoggio mai venuto meno, l'integrazione europea h a fatto passi da gigante nel
corso di questi ultimi dieci anni. Mentre agli
inizi degli anni '80 il clima era ancora quello
di una situazione sclerotizzata, al mio arrivo
a Bruxelles il cielo si era già schiarito, in particolare dopo il Consiglio europeo di Fontainebleau che, grazie al personale intervento
del Presidente M i t t e r r a n d , aveva risolto
quelle questioni che da anni ostacolavano il
cammino degli Stati membri.
Promosso nel gennaio '85 in questo emiciclo, l'obiettivo 1992 ha consentito di rilanciare la costruzione europea riportando il dibattito su delle realizzazioni economiche concrete, facilmente comprensibili d a p a r t e
dell'opinione pubblica e al tempo stesso stimolanti per gli imprenditori. I tempi sono
stati rispettati, il mercato unico è una realtà.
Nonostante la recente recessione economica,
gli Stati membri sono più forti rispetto a 10
anni fa, tanto da poter meglio affrontare la
competizione internazionale.
I1 legame tra il grande mercato e il quadro
istituzionale veniva prontamente realizzato;
in tempi record veniva preparato e adottato
l'Atto unico, il vero acceleratore dell'integrazione, non soltanto perché rimuoveva l'ostacolo dell'unanimità, ma anche perché formalizzava le politiche comuni, contropartita indispensabile del grande mercato. In particolare, esso rappresenta il pilastro della coesione economica e sociale i cui tre elementi fondamentali caratterizzano, a mio avviso, il modello europeo: la competizione che stimola,
la cooperazione che rafforza, la solidarietà
che unisce. Espressione della solidarietà fra
Stati e regioni che non hanno lo stesso livello
di sviluppo, e strumento in grado di offrire a
ciascuno la propria opportunità e al tempo
stesso di rafforzare la competitività dell'insieme, la politica di coesione è divenuta, in term i n i d i b i l a n c i o , la s e c o n d a politica
dell'unione. I mezzi assegnati alle politiche
strutturali sono stati raddoppiati in due riprese, nel 1988 e nel 1992: attualmente tali
stanziamenti ammontano in media a 26 miliardi di ECU per anno, contro i 5 miliardi
del 1984. I1 loro impatto è tangibile: sebbene
esso dipenda in grande misura dalla politica
economica messa in atto dallo Stato membro
beneficiario, tali stanziamenti hanno favorito
una concreta convergenza. Questa politica
ha inoltre consentito il «radicarsi» della costruzione europea per il fatto stesso che essa
comporta delle azioni assai visibili per i cittadini.
A partire dall'Atto unico e a fortiori dopo
Maastricht, la Comunità ha anche affermato
il suo ruolo in due settori particolari.
Innanzitutto, quello della politica della
competitività, con in particolare la politica
della concorrenza e un maggior sforzo di ricerca, peraltro più concentrato sulle priorità
la cui realizzazione condiziona la nostra prosperità economica. Al raggiungimento d i
questa nuova tappa hanno in parte contribuito i miei sforzi miranti alla promozione di
cooperazioni industriali al livello comunitario. Ma, devo riconoscerlo, è ancora lungo il
cammino da percorrere. In secondo luogo, la
politica ambientale, con l'accento posto sulle
oli ti che di prevenzione, sulla definizione di
programmi d'intervento pluriennali, sul riconoscimento del principio «chi-inquina-paga». E su questa base e sul vostro puntuale
controllo che una strategia per il miglioramento del rendimento energetico ha potuto
essere elaborata e che sulla scena internazionale l'Unione europea ha potuto impegnarsi
nelle convenzioni sul clima o sulla biodiversità. Tutte queste azioni potevano concretizzarsi soltanto disponendo, la Comunità, di
un efficace strumento di gestione. Per questo
motivo, dinanzi aiia vostra assemblea, già dal
1989 sollecitavo la creazione di un'agenzia
e u r o p e a p e r l'ambiente. C i ò è avvenuto
nell'ottobre del 1994 e da parte mia sono
molte le aspettative.
Se vi è una riforma, fra quelle attuate nel
corso di questi dieci anni, di cui ritengo essere il promotore insieme a tutta la Commissione, essa è senz'altro quella della politica
agricola comune, portata a termine nel 1992.
Tale riforma era divenuta indispensabile perché la produzione agricola aumentava ad un
ritmo di molto superiore rispetto all'evoluzione dei mercati interni ed esteri. Gli stock
accumulati raggiungevano livelli senza precedenti. La riforma decisa nel 1992 è la più imp o r t a n t e fra quelle a t t u a t e nell'arco d e i
trent'anni di politica agraria. Essa difende il
reddito degli agricoltori in un contesto d i
stabilità e prevedibilità, controllando la produzione e assicurando un reddito ragionevole anche agli agricoltori più svantaggiati. Ma
soprattutto essa garantisce il mantenimento
di un n u m e r o sufficiente di agricoltori e
mantiene l'equilibrio del mondo rurale nel
rispetto dell'ambiente. Essa incoraggia e stimola la competitività dell'agricoltura europea nel rispetto delle regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. I primi due
anni della riforma hanno prodotto risultati
soddisfacenti. G l i stock si sono ridotti. I
mercati si sono riassestati, tanto che si sono
potuti ridurre di tre punti i tassi del maggese. Infine, per effetto della riforma, il reddito
degli agricoltori interessati, in media, è cresciuto a partire dal 1993. Al punto che riesco
quasi a dimenticare la valanga di demagogia
che aveva travolto alcuni paesi.
Così come sono state create le condizioni
di una organizzazione economica più efficace, l'Atto unico e poi Maastricht hanno affermato la dimensione sociale della Comunità e
hanno consentito i progressi che hanno dato
vita, nel corso degli ultimi anni, al modello
sociale europeo. È sulla base di tali disposizioni che hanno preso corpo i principali contenuti della carta sociale dei diritti fondamentali dei lavoratori, adottata d a undici
Stati membri nel dicembre 1989. Non dispiaccia ai pessimisti o ai tattici raffinati, ma
l'Europa sociale non è un vuoto slogan, né
un'illusione. È già una realtà. Certo, molto
resta da fare, ma l'Unione europea introduce
via via delle normative che garantiscono una
protezione di base ai lavoratori e prevengono
gli abusi di un «dumping sociale». Promuovere la libera circolazione dei lavoratori, garantire parità d i trattamento fra uomini e
donne, migliorare le condizioni igieniche e di
sicurezza nei luoghi di lavoro, fissare infine
dopo quindici anni di esitazioni le condizioni
per facilitare l'informazione e la consultazione dei dipendenti nelle società multinazionali: ecco alcuni risultati che non si sarebbero
p o t u t i o t t e n e r e s e n z a il r a f f o r z a m e n t o
dell'integrazione europea e senza l'appoggio
dinamico del Parlamento europeo. Essi non
avrebbero potuto neanche concretizzarsi, se
a partire dal 1985 non fosse stato rilanciato
per mia iniziativa il dialogo fra le parti sociali, poi consacrato dal Trattato di Maastricht.
Tutte queste politiche comuni adattate o
nuove sono state messe in atto dopo il 1988 e
saranno perseguite fino al 1999, in un contesto finanziario stabile, grazie all'adozione dei
pacchetti I e I1 e alla conclusione di accordi
interistituzionali. Questo nuovo quadro interistituzionale in campo finanziario rappresenta un risultato considerevole se si ricordano le crisi di bilancio che hanno costellato la
storia della Comunità nel corso degli ultimi
decenni. In tale contesto, il l'arlamento ha
saputo dare prova di coraggio assumendosi
la responsabilità delle proprie scelte al fine
di consolidare l'Unione europea. Tale cooperazione finanziaria, l'equilibrio così ottenuto,
la cooperazione fra le istituzioni costituiscon o un risultato che deve assolutamente essere mantenuto e arricchito in futuro.
In breve, le politiche comuni della Comunità di ieri, dell'unione di oggi, si sono sviluppate considerevolmente nel corso di questi ultimi anni. Certamente, non quanto le
nostre due istituzioni avrebbero voluto, tuttavia in m o d o sufficiente p e r costruire e
strutturare un'Europa che già d a ora è ben
più di un semplice spazio di libero scambio.
Le fondamenta della Casa Europa sono state
gettate e sono molto solide. Stiamo attenti a
non lasciarle intaccare.
In ogni caso, se l'obiettivo 92 ha provocato una dinamica nuova, è il 1989 a rappresentare, per tutti gli europei, la data storica
del passato decennio, io direi senza poter essere facilmente smentito degli ultimi cinquant'anni. Con il crollo dell'impero sovietico è stato rimesso in discussione il rapporto
della Comunità con il resto del mondo. La
caduta del muro di Berlino, nel novembre
89, ha provocato il vero aggiornamento della
Comunità. H a modificato profondamente le
connotazioni politiche e psicologiche della
costruzione europea. L a Comunità, figlia
della guerra fredda, doveva dissolversi con la
fine della guerra fredda medesima? No, è
stata la nostra risposta decisa. Abbiamo volut o andare avanti, agire sull'evento, dotare la
Comunità di una vera identità politica: 1'Europa era divenuta polo di attrazione, essa doveva anche essere artefice di una stabilizzazione politica per l'intero continente.
Tale ruolo è stato ad essa riconosciuto dal
vertice dell'Arche, nel luglio '89, con il coordinamento degli aiuti ai paesi delllEst. L'avvio dei programmi PHARE e TACIS, la firma degli accordi europei, la preparazione
dell'adesione dei paesi dell'Europa centrale e
orientale hanno segnato la storia del «ritorno
all'Europa» dei nostri fratelli dell'Est. Conosco quanto voi le critiche mosse a questa politica: noi avremmo mancato d'iniziativa e di
ambizione politica, non avremmo in sostanza
mostrato coraggio nel momento in cui, per la
p r i m a volta d o p o mezzo secolo, i paesi
dell'Europa centrale e orientale aspiravano a
GENNAIO 1995
riawicinare la loro geografia e la loro storia,
la loro cultura e la loro appartenenza politica. Io potrei rispondere citando cifre e fatti
che mostrerebbero come l'Unione ha risposto rapidamente e generosamente, malgrado
l'handicap della recessione economica. Ma
l'importante è che il quadro sia chiaramente
definito, che la prospettiva sia tracciata senza
ambiguità: una strategia d'integrazione si sostituisce alla strategia assolutamente necessaria dei primi cinque anni, ovvero quella
dell'appoggio in tutti i sensi alla transizione.
Una nuova Unione si va delineando. Una
Unione allargata a quindici membri dopo
che, al termine di negoziati condotti con rapidità, essa ha accolto la richiesta di adesione
di altri tre Stati, portatori anch'essi di una
lunga tradizione democratica e in grado di
arricchire il modello sociale che l'Unione
vuole difendere, rinnovare e promuovere.
Un'Unione che ha imboccato il percorso che
ritengo tanto vitale quanto irreversibile della
moneta unica. Un'Unione che si è affermata
da molto tempo quale prima potenza commerciale e che ha saputo riunire la sue forze
per portare felicemente a termine i negoziati
dell'Uruguay Round e per impiantare la nuova Organizzazione Mondiale del Commercio. L'Europa cerca di rafforzarsi per poter
essere generosa, tanto che è aumentato nel
corso degli ultimi dieci anni il suo impegno
in favore dei paesi in via di sviluppo: nel
1986 nasce una vera politica per l'America
Latina; nel 1989 viene rinnovata la Convenzione di Lomé; nel 1991 viene rinnovata la
politica mediterranea, con prospettive più
ambiziose a partire dal 1996; nel 1992 la
creazione dell'ECHO che rende più visibile
e coerente l'azione umanitaria dell'unione, al
primo posto nel mondo per gli aiuti forniti.
Tutto ciò sarebbe stato impossibile senza un
rinnovamento dei contenuti e delle strategie,
e il Parlamento europeo vi ha contribuito
con le sue analisi, le sue iniziative, le sue proposte.
L'influenza dell'Europa al livello internazionale è dunque cresciuta in conseguenza e
al ritmo dei progressi economici compiuti.
Ma se è giusto ricordare i progressi, è altrettanto corretto ricordarne anche i limiti: la libertà di circolazione delle persone, segno per
i cittadini più tangibile del grande mercato,
tarda ad essere effettiva e l'Europa degli affari interni e della giustizia è ancora in una fase
molto embrionale. Gli sviluppi previsti dopo
Maastricht in materia di politica estera e di
sicurezza comune restano, di fatto, estremamente limitati. Ma, assai grave è la realtà della disoccupazione che insidia l'Europa più
dei nostri grandi partner; la disoccupazione
che indebolisce la fiducia dei popoli, senza la
quale nessun progetto collettivo è possibile;
la disoccupazione di cui sappiamo che non vi
si può porre rimedio soltanto mediante una
migliore ripartizione dei benefici della ripresa economica in atto, ma anche mediante
una diversa concezione dello sviluppo economico e dell'organizzazione sociale.
Rimanendo sul tema del lavoro, consentitemi un breve accenno al Libro bianco da
me presentato al Consiglio europeo di
BruxeUes nel dicembre '93. I1 suo obiettivo è
duplice: affrontare la mondializzazione senza
timori e rimediare alla debolezza specifica
GENNAIO 1995
dell'Europa nei confronti degli Stati Uniti e
del Giappone, e cioè l'Europa crea meno posti di lavoro a pari tasso di crescita. Voi avete
condiviso la nostra diagnosi, avete appoggiato l'azione intrapresa, avete auspicato più
volte una maggiore determinazione e una
maggiore rapidità nell'attuazione, in particolare per quanto concerne i grandi programmi
infrastrutturali, i progetti relativi alla società
dell'informazione e alle biotecnologie, le
nuove iniziative in materia di occupazione.
Non posso che condividere, e sempre ho
esortato in tal senso i capi di Stato e di governo e i loro ministri delle finanze. Conservare delle economie sane, puntare ad una
maggiore competitività, ad una maggiore occupazione, anticipare gli sconvolgimenti
nell'organizzazione del lavoro e della società,
sono questioni che non possono più essere di
un solo paese, considerata l'entità delle risorse da mobilitare. Non tutto va così in fretta
come vorremmo, tuttavia la rotta è ormai fissata e le decisioni prese a Corfù lo confermano. Occorre soltanto metterle in atto, pienamente e in tempi brevi.
I1 Libro bianco è pertanto estremamente
attuale. Esso costituisce un quadro di riferimento per la riflessione, il dialogo sociale e
l'azione, sia a livello nazionale sia a livello europeo. La sua presentazione ha dato nuovo
impulso nel momento in cui la credibilità
della costruzione europea diminuiva sotto i
colpi congiunti della recessione economica,
degli attacchi mossi nel 1992 e nel 1993 al sistema monetario europeo, della tragedia iugoslava ... ma anche dei disaccordi chiaramente emersi fra gli Stati membri durante la
preparazione del Trattato di Maastricht.
Sicuramente l'awenire si annuncia incerto
nonostante i progressi. Prioritaria è senz'altro l'attuazione di quanto stabilito nel trattato sull'unione europea, ma pensando sin da
ora al contesto della grande Europa e alla
sua compatibilità con il perseguimento del
nostro ideale che non è cambiato: l'Unione
politica dei paesi europei che vogliono questa unione senza riserve. Ed è questo il nodo.
Vi occorrerà, ci occorrerà molta iniziativa,
grande capacità tecnica e forza di convinzione, molto coraggio e molta coerenza per poter rispondere alle sfide del futuro.
st-guerra fredda. Vi è la tentazione di rimettere in discussione le posizioni acquisite e le
frontiere; si assiste ad un risveglio degli integralismi e ad un'improwisa ricomparsa dei
nazionalismi ... Come non ricordare a tale
proposito il messaggio che ci ha trasmesso il
Presidente della Repubblica Francese: i nazionalismi significano guerra. Dunque dobbiamo affrontare i pericoli che incombono
sul mondo e che minacciano, in maniera diretta o indiretta, le nostre conquiste in favore
della pace e della comprensione reciproca.
L'Unione europea non può tirarsi indietro
di fronte a queste realtà del resto difficili da
circoscrivere. Ad est, a sud, in Africa, in Medio Oriente si attendono dall'Europa delle
posizioni chiare e decise, un'assunzione di
responsabilità senza equivoci e delle azioni
coerenti con gli ideali da essa affermati.
I1 bisogno d'Europa, in sintesi, è questo.
Ma come rispondere senza avere una visione
chiara di ciò che per noi stessi vogliamo: una
zona di libero scambio oppure uno spazio
organizzato? Come poter essere all'altezza
delle sfide se, ad esempio, gli Stati membri
come attualmente accade si mostrano troppo
spesso incapaci di dotarsi di un dispositivo
efficace ai fini del processo decisionale e della messa in atto di interventi comuni in politica estera? Che cosa manca? La volontà politica, certo, ma non è tutto. Perché manca
anche una valida procedura nel dibattito e
nella presa di decisione come quella esistente
nella Comunità soprattutto dopo l'entrata in
vigore dell'Atto unico.
In altri termini, il rispetto della diversità
che è la nostra ricchezza e il crescente numero dei paesi membri non devono portare a
fare dell'unione una sorta di Gulliver incatenato, per mancanza di istituzioni valide ed
efficaci e in grado di dar risalto e sviluppare
le nostre identità culturali. La fuga in avanti
non può rappresentare in nessun caso la via
in grado di consentire all'Europa, a tutta
l'Europa di organizzarsi in uno spazio di pace, di scambio e di cooperazione. Essa porterebbe soltanto al dissolvimento dell'esperienza comunitaria e al declino dell'Europa come
protagonista della Storia.
111. Perché lottiamo
Eppure la storia non ha cessato di dispensarci lezioni e avvertimenti. Guai a coloro
che non sanno farsi rispettare. Guai ai popoli
che si abbandonano ai piaceri della società del consumo, alla nostalgia di un
passato ormai concluso o a un mondialismo
senza coscienza!
Di fronte a questo futuro pieno di pericoli, solo l'unione politica delle nazioni europee può consentire a queste non soltanto di
difendere i propri legittimi interessi, ma anche di affermare la loro presenza nel mondo
al servizio degli ideali che hanno segnato i
momenti migliori della storia europea. La
nostra credibilità non dipende soltanto dalle
nostre solenni dichiarazioni di principio. Essa è e sarà funzione della nostra capacità di
tradurre gli obiettivi stabiliti in atti concreti a
favore della pace, della solidarietà fra i popoli, del rispetto dei diritti dell'uomo.
Noi non riusciremo a tanto se non attra-
Molte volte è stata prevista la fine o il declino dell'awentura europea. Eppure essa ha
resistito, ha superato le crisi e ha trovato la
forza necessaria per uscire da periodi di stagnazione. Oggi il discorso è diverso. Si vogliono opporre i sostenitori dell'Europa tradizionale ai profeti della novità radicale. È
vero che alcuni di noi ritengono che l'eredità
dei padri dell'Europa conservi ancora tutta
la sua forza e tutta la sua attualità. Mentre altri vogliono portarci su strade pretese nuove
in nome delle trasformazioni che il mondo
ha subito, in particolare, negli ultimi vent'anni.
Di che cosa si tratta esattamente?
L'istanza di pace e di sicurezza.
La richiesta di pace e di sicurezza è ancora
qui, imperiosa, come nel 1945-50, all'indomani del conflitto mondiale. Certo essa si
presenta sotto forme diverse nel periodo po-
L'esigenza di essere forti
( s q i i e u pug
COMUNI D'EUROPA
7)
una democrazia partecipe
Gemellarsi per una comune crescita civica
di Gianfranco Martini
Non è necessario far parte della schiera
degli «euroscettici» per constatare che l'attuale realtà europea appare molto poco entusiasmante. Basti infatti ricordare alcuni episodi più recenti - i due referendum danesi,
quello francese e, negli ultimi mesi, quello
finlandese e svedese - per comprendere
quanto numerosi siano ancora i cittadini appartenenti (si noti) a paesi già membri da
tempo dell'unione europea o disponibili ad
entrarvi, che manifestano forti riserve, incomprensioni, vera e propria ostilità e, nella
migliore delle ipotesi, indifferenza verso l'attuale processo di unificazione europea.
Varie ne sono le ragioni, alcune certamente legate a situazioni nazionali particolari
(l'Europa come tema di politica interna), ma
molte altre connesse invece con alcuni aspetti
caratteristici dell'attuale processo di unificazione; la distanza abissale che lo separa dalla
comprensione corretta di gran parte della
pubblica opinione, la sua insufficiente o distorta informazione sui temi europei, l'inadeguato spazio che la scuola, di ogni ordine e
grado, riserva all'educazione civica non solo
nazionale ma europea, la colpevole distrazione che il sistema dei mass-media, nel suo
complesso, mostra dinnanzi ai gravi e essenziali problemi dello sviluppo politico e democratico del processo di unificazione, specie in rapporto ai poteri del Parlamento europeo, alla politica estera e di sicurezza comune, alle conseguenze dell'allargamento ai
nuovi Stati, in primo luogo dell'Europa centrale.
Questa preoccupante situazione è destinata a pesare ulteriormente in modo negativo,
se non sarà rapidamente corretta, in occasione della prossima revisione del Trattato di
Maastricht, vero e proprio momento di svolta dell'Europa, sul quale incideranno non solo l'atteggiamento dei governi e dei parlamentari nazionali e, ovviamente, «in prirnis»,
quello delle istituzioni europee, ma anche le
reazioni, la sensibilità, la consapevole partecipazione della pubblica opinione e dei mezzi
di informazione. Infatti dalla revisione del
Trattato di Maastricht dipenderà se l'Unione
europea che ne uscirà sarà più democratica,
più compatta nel rispetto delle sue insopprimibili diversità, più politica, più equilibrata,
più efficace per i propri cittadini e per il resto del mondo, più partecipata, più capace di
divenire, come abbiamo detto e scritto più
volte, un vero «soggetto» unitario: in una parola, più sovranazionale e federale.
Battaglia difficile, basti pensare, tra l'altro,
alle resistenze alla moneta unica, alle recenti
dichiarazioni del Premier britannico Major
pronto a sacrificare ogni progresso europeo
alla preoccupazione di sopravvivenza del suo
governo, alle vischiosità tradizionali dei paesi
*
I1 Segretario generale dell'AICCRE dal 2 dicembre
1994 è diventato responsabile politico di tutti i gemellaggi del CCRE
COMUNI D'EUROPA
nordici, d i vecchia e nuova adesione all'unione, di fronte ad ogni esigenza sovranazionale e di sviluppo «politico».
Come reagire a questi rischi? Non vi è una
sola ricetta: occorre una strategia complessa
e coerente, in varie sedi, da parte degli Stati
membri e nelle rispettive società, ma alla base vi è una comune esigenza, quella di far penetrare in profondità nella coscienza degli individui e dei vari gruppi ed organizzazioni
sociali (e quindi anche dei cittadini elettori,
dei cittadini che esercitano il controllo democratico, dei cittadini che leggono i giornali e
vedono la TV e li giudicano), la consapevolezza dell'importanza essenziale di una Europa unita, di una democrazia partecipe, di un
comune «progetto politico».
I1 Consiglio dei Comuni e delle Regioni
d'Europa e quindi la sua Sezione italiana,
I'AICCRE, da sempre ritengono che un contributo valido a questo risultato, non sufficiente ma certamente necessario, possa essere
la creazione e l'ampliamento di una fitta rete
di gemellaggi tra comuni, città, enti territoriali intermedi e, con caratteristiche alquanto
diverse, tra Regioni.
Utopia? Ingenuità ideologizzata? Sogni federalisti? Proviamo a verificare senza pregiudizi e senza prevenzioni.
Cos'è veramente un gemellaggio nella concezione del CCRE? Precisazione opportuna
dato che attualmente il vocabolo «gemellaggio» appare inflazionato, usato a torto e a ragione, e sotto il quale si celano realtà molto
diverse, talune ambigue e non certo inquadrabili in quella «risposta europea» alla quale
sopra si accennava.
Varie riunioni promosse dal CCRE, da ultimo a Kecskemet (Ungheria) e a Bruxelles
(anche un dialogo con la Commissione europea) hanno approfondito questa concezione.
Nessuno sottovaluta l'importanza dei gemellaggi per stabilire legami permanenti di comprensione reciproca, di amicizia e di solidarietà in quanto scuola di incontro, occasione
di scambi di esperienze, fonte di fraternità e
di solidarietà: condizioni di una pedagogia
concreta per vivere insieme pacificamente,
tra l'Est e l'Ovest e tra l'Europa e il bacino
del Mediterraneo.
Tuttavia bisogna riconoscere francamente
che tutte queste iniziative hanno un riferimento solamente indiretto al grande disegno
che deve essere ben presente ai nostri occhi:
quello di fare dell'Europa una grande comunità solidale che, senza ignorare le particolarità nazionali, le differenti culture, tradizioni
storiche, mentalità, sia finalizzata a darsi delle istituzioni per gestire in comune le sovranità nazionali nei settori dove i problemi concreti superano ormai, certamente, la capacità
di un'azione efficace in ogni paese preso singolarmente. I1 grande mercato unico ha contribuito molto a realizzare un «background»
comune e a rinforzare la cooperazione a livello economico, ma il mercato ha bisogno di
*
regole e dunque di istituzioni politiche per
governare, al tempo stesso, questa interdipendenza.
Quando si sottolinea il significato politico
dei gemellaggi nella tradizione del CCRE, si
deve ben comprendere che non si tratta di
forzare la realtà o di fare delle discussioni
ideologiche, ma di constatare che questa Europa, che noi siamo in procinto di costruire,
è ancora molto lontana da una corretta comprensione da parte dell'opinione pubblica:
essa è poco conosciuta, spesso ambigua nella
sua immagine. Ne deriva un'enorme indifferenza dei nostri concittadini verso il processo
d'integrazione o, a volte, un'ostilità appena
dissimulata. Noi crediamo che questi fatti
siano negativi per noi tutti, in un mondo
frammentato, contraddittorio, dove la solidarietà stenta ad affermarsi.
In questo caso, bisogna fare tutti gli sforzi
per informare e sensibilizzare i cittadini al
profondo significato di questa impresa storica di unificare l'Europa: i gemellaggi, se rispondono a queste condizioni, possono essere uno degli strumenti (e non di certo i minori) per raggiungere questi obiettivi. Questa
esigenza irrinunciabile è sintetizzata d'altronde nel «giuramento della fraternità» che deve
accompagnare, nella concezione del CCRE,
ogni vero gemellaggio.
Per riassumere e concludere c'è dinnanzi
all'AICCRE un vasto campo di azione che,
con le opportune diversificazioni (ma non
sulle esigenze e sulle ispirazioni di fondo)
sarà applicabile anche a tutto il CCRE. Esso
comporta:
- una chiara definizione di gemellaggio
come scelta di significato europeo: senza indulgere alla magniloquenza, esso può divenire, come scriveva Pacilli, nella guida del1'AICCRE ai gemellaggi, un vero laboratorio
politico;
- una distinzione da altre forme di contatti, scambi, relazioni del tutto legittime,
perchè creano legami umani profondi ed essenziali, ma che sono meno «mirati» a far
partecipare il cittadino alla costruzione di
un'Europa federale;
- una collaborazione tra gemellaggi e
«partenariato». Gli uni e gli altri sono di
estrema importanza per permettere ai cittadini di cogliere le sfide poste dai problemi europei ed internazionali. Tuttavia, i «gemellaggi» e il «partenariato» sono complementari:
l'obiettivo dei gemellaggi è di favorire incontri tra popolazioni differenti al fine di sensibilizzarle ai vantaggi della costruzione di una
Europa unita, mentre l'obiettivo del partenariato tra collettività territoriali è di promuovere gli scambi di esperienza, il trasferimento
di conoscenza e la cooperazione economica
al fine di promuovere una più grande coesione sociale ed economica in Europa;
- la volontà e la capacità di inserire opportunamente, nel quadro di un gemellaggio
GENNAIO 1995
p r o p r i a m e n t e d e t t o , queste iniziative d i
scambi, di confronto di esperienze, di cooperazione tra enti territoriali di paesi diversi, assistiti o meno da programmi comunitari di
co-finanziamento e dai progetti conseguenti;
- la comunità locale interessata deve essere coinvolta globalmente nelle sue diverse
articolazioni: il gemellaggio non è rapporto
tra due amministrazioni locali ma tra due o
più comunità civiche;
- il gemellaggio tra piccoli e medi comuni assume spesso una potenzialità particolare
perchè in essi è più facile suscitare l'attenzione e l'impegno dei vari gruppi sociali. Il gemellaggio non rischia così di essere «cosa altrui» nei confronti della quale rimanere solo
spettatori, se pur interessati e incuriositi;
- il gemellaggio p u ò nascere dalle più
svariate occasioni e preferenze: l'importante
è che queste scelte iniziali, talvolta casuali,
sappiano evolvere verso gli obiettivi sopra
enunciati e i relativi contenuti;
- a proposito d i contenuti, anch'essi
possono spaziare su una larga gamma frutto
delle esigenze locali, della fantasia e della
creatività degli enti coinvolti: scambi di persone e d i famiglie, esperienze associative,
confronto di istituzioni e metodi amministrativi, cooperazione tra operatori economici e
sociali, tra scuole, organizzazioni di volontariato, ecc.;
- particolare attenzione va rivolta ai gemellaggi con gli enti dei paesi dell'Europa
centrale, che sono da tempo in attesa di poter entrare a pieno titolo nella Unione europea e mostrano preoccupazione per una certa svogliatezza di quest'ultima a tradurre in
concreti atti politici ed economici la sua conclamata solidarietà verso questa parte d'Europa. Altrettanto può dirsi per il bacino mediterraneo. In entrambe queste aree agiscono
programmi comunitari interessanti: ECOS,
OUVERTURE, PHARE, MED-URBS, ecc.
che possono opportunamente inserirsi nel
quadro di un gemellaggio, pur conservando
la loro specifica autonomia;
- l'aiuto ai gemellaggi d a p a r t e della
Commissione europea va fatto conoscere,
utilizzato su larga scala ed ampliato nella sua
dotazione finanziaria tenendo conto del continuo incremento quantitativo dei gemellaggi,
dell'allargamento dell'unione ad altri Stati,
dell'intensificazione delle relazioni di cooperazione con l'Europa centrale e l'area mediterranea;
- il ruolo del Parlamento europeo nei
confronti dei gemellaggi, da esso sostenuti efficacemente dal punto di vista politico e finanziario. I1 Parlamento europeo dovrà predisporre al più presto un apposito Rapporto
in questo campo per rilanciare autorevolmente il necessario sviluppo;
- il Comitato delle Regioni e degli Enti
locali, nell'esercizio del suo potere di iniziativa, non legato a specifici pareri su determinati temi, potrà dedicare un'attenta riflessione e
una decisa presa di posizione per sottolineare
alle istituzioni dell'unione e al mondo delle
autonomie locali e regionali il ruolo insostituibile dei gemellaggi.
L'AICCRE rimane cerniera fondamentale
GENNAIO 1995
attorno alla quale ruotano i gemellaggi: dalla
sc.elta del partner (si veda, in particolare, la
mensile Lettera dei gemellaggi, inserto di EuropaRegioni), alla sensibilizzazione politica
sul significato e sulla portata dei gemellaggi;
dall'assistenza ai Comuni ed altri enti - tramite il suo Servizio gemellaggi - sotto il
profilo organizzativo e finanziario (in particolare, per ottenere l'aiuto comunitario), ai
contatti sistematici con le altre Sezioni nazionali del CCRE e con le varie rappresentanze
diplomatiche in Italia; dai numerosi Convegni, Giornate di informazioni, incontri regionali per contattare e dialogare con gli amministratori locali alla partecipazione alle periodiche riunioni europee indette dal CCRE tra
i responsabili nazionali dei gemellaggi e con
la Commissione europea, dai rapporti con gli
europarlamentari, alla diffusione delle sue
pubblicazioni, periodiche o meno (opuscoli,
guide, ecc.).
W
Di una Europa politica..
.
(segue da pag. 5 )
verso un patto senza equivoci tra quei paesi
europei che sono pronti ad impegnarsi e ad
agire di conseguenza sul piano politico, economico e istituzionale.
Tale patto dovrà essere definito con chiarezza nel corso della prossima conferenza intergovernativa. Chiarezza negli obiettivi politici, ambiziosi ma realistici, che l'Unione europea p u ò porsi. Chiarezza negli impegni
economici e sociali delle nazioni che intendono rafforzare la coesione dell'insieme europeo. Chiarezza nello schema istituzionale,
in grado di portare, in tempo utile, alle decisioni e alle azioni necessarie.
In sostanza, io direi che la moneta unica e
la difesa comune dovrebbero tradurre questa
volontà dell'Europa di esistere e di agire. La
moneta unica, per i suoi vantaggi intrinseci,
ma anche perché essa non potrà esistere senza la contropartita di un governo economico
dell'Europa che traduca le finalità dello sviluppo economico e sociale secondo la volontà dei nostri popoli e dei loro rappresentanti. La difesa comune, perché essa costringerà l'Europa a precisare la sua strategia e le
sue priorità in materia di politica estera e a
definire il modo in cui essa intende contribuire al rafforzamento delle istituzioni internazionali. In occasione del cinquantesimo
anniversario delle Nazioni Unite occorrerà
che l'Unione europea presenti i suoi progetti
finalizzati al raggiungimento d i un ordine
economico mondiale più pacifico, più giusto,
più rispettoso dei diritti dell'uomo e del pianeta Terra.
L'imperativo democratico
H o accennato alla volontà dei popoli e dei
loro rappresentanti, per una semplice ragione. Un'avventura collettiva non p u ò aver
successo senza la promozione dei cittadini,
ovvero senza un rinnovamento della vitalità
democratica. E ormai passato il tempo in cui
la costruzione europea poteva progredire in
parallelo con le storie politiche nazionali.
L'Europa è ormai entrata nella vita di ogni
cittadino europeo. In altri termini, abbiamo
bisogno di un modo di procedere innanzitutt o politico.
Certo, l'Unione europea è lontana dai cittadini; certo, noi possiamo fare meglio in termini di trasparenza e di sussidiarietà. Ma da
lì a fare della costruzione europea il capro
espiatorio della nostra malinconia democratica, vi è un margine che non deve essere oltrepassato. 11 male è in noi, nelle nostre società,
nei difetti delle nostre vite politiche nazionali: la distanza che aumenta fra governanti e
governati, il consumo frenetico dei fatti e
l'immediato oblio che ne segue, l'epidemia
galoppante dei sondaggi ... ecco i mali perniciosi che ostacolano i nostri vecchi paesi.
Come il Libro bianco voleva essere di stimolo allo sviluppo della potenza economica
e contro il declino, allo stesso modo il risveglio politico delllEuropa sarà di sprone all'approfondimento democratico contro l'abbandono e l'inerzia.
E pertanto ancora una volta, al di là delle
passioni e delle incomprensioni, devo ricordare i meriti dell'approccio federale in materia istituzionale. Soltanto questo permette di
determinare chi fa che cosa e chi è responsabile davanti a chi. Soltanto questo può definire in maniera chiara i trasferimenti di sovranità e i loro limiti. Soltanto questo autorizza procedure di controllo democratiche e
sanzioni degli abusi di potere. Soltanto questo garantisce il rispetto delle identità nazionali e delle diversità regionali.
Per questi motivi h o proposto la formula
contraddittoria in apparenza della federazione di Stati nazionali, al fine di conciliare la
realizzazione di ambizioni comuni con lo sviluppo delle nostre nazioni forgiate dalla stoiia, dal sangue e dal contratto che uniscono
ciascuno dei nostri popoli e da cui nasce il
sentimento di appartenenza dei nostri cittadini.
Nessun paese europeo è escluso a priori
da questa avventura collettiva. L a Casa è
aperta a tutti. Tuttavia occorre ancora che
non sia rallentato il passo di coloro che vogliono condividere il loro destino, per essere
allo stesso tempo più forti e più solidali.
È in questo spirito, onorevoli deputati,
che come ciascuno di voi io intendo contribuire a questa formidabile e unica awentura
collettiva, rappresentata dalla costruzione di
un'Europa politicamente unita. Fedele in ciò
a coloro che ci hanno consentito di partecipare insieme a questa awentura e di continuare a sperare. Ma, anche consapevole degli
adattamenti che dobbiamo accettare affinché
si possa perpetuare la vocazione storica e
umanistica dell'Europa. Per questa motivo,
noi dobbiamo definire e organizzare il nostro
spazio politico, costruire sul terreno solido
della solidarietà tra le nostre nazioni e i nostri popoli, tendere al raggiungimento della
potenza, non fine a se stessa, ma per poter
disporre dei mezzi necessari a servire i nostri
ideali comuni.
Allora, coraggio, la Primavera dell'Europa
M
è sempre davanti a noi!
in un convegno sulle pari opportunità
Ma l'Europa ««convince»le donne?
di Maria Teresa Coppo Gavazzi
«J'en ai mare de l'égalité de chances, j'en
ai mare!» (Ne ho abbastanza delle pari opportunità, ne ho proprio abbastanza). Può
sembrare l'esclamazione di un maschilista ad
oltranza, di una casalinga vecchio stampo senza voler offendere le donne che attualmente contribuiscono a rivalutare questa
scelta troppo spesso emarginata e vilipesa -,
di una accesa femminista delusa dai risultati
ottenuti, di una nuova rampante politica di
oggi - e non sono poche - che, non conoscendo il lungo e difficile percorso delle donne in politica, pensa che basti adeguarsi al
gioco - maschile - per arrivare. Niente di
tutto questo, si tratta dell'esclamazione di
un'eurodeputata belga all'uscita di un interessantissimo convegno organizzato dall'università di Lovanio in collaborazione con la V
Direzione generale della Commissione europea, quella dei programmi tesi alla costruzione dene pari opportunità.
Non si tratta nè di una esclamazione di resa, nè di stanchezza o rifiuto, ma piuttosto di
una seria presa di coscienza di quanto l'uguaglianza tra i sessi, anche in politica, la si debba raggiungere non solo e non tanto continuando a ricercare strumenti (normativi o
meno) per superare la democrazia imperfetta
- dal punto di vista della rappresentanza che stiamo vivendo.
Era un convegno centrato sull'esame di
un'ampia indagine - condotta da parte dell'università di Lovanio, appunto - tra le
donne iscritte alle associazioni che aderiscono alla Lobby delle donne.
Tre giorni di ampio dibattito con le rappresentanti di tutte - o quasi - le associazioni femminili più significative del panorama europeo, tre giorni di dibattito di addette
ai lavori che ha oscillato tra una lunga sequela di lamentazioni - se pur giuste - sulla
mancata parità e il confronto (a volte scontro) di differenti tesi circa l'opportunità di
pretendere in maniera generalizzata l'applicazione delle «quote» (quasi una riserva femminile) come strumento per giungere ad una
società in cui i due sessi contribuiscano in
pari misura alle responsabilità sociali, civili e
politiche. Quote che - tra l'altro - sono
state applicate anni orsono in quegli stati, come la democrazia del Nord, in cui la parità
- almeno in politica - è un dato acquisito.
Le rappresentanti di questi paesi presenti
al Convegno hanno sottolineato come uno
dei rischi - che avrebbero potuto pregiudicare il risultato dei referendum di adesione
all'unione europea - avrebbe potuto essere
la paura delle donne di perdere la parità ottenuta; e forse in Svezia questa paura ha inciso
sulla scelta.
Ne ho abbastanza di parlare e ascoltare discorsi circa le pari opportunità, mi viene fatto di ripetere alla luce dei risultati dell'inchiesta su menzionata. Dall'esame dei dati
(che in parte riportiamo) appare evidente come una delle cause di carenza di donne in
politica - si pensi anche alla difficoltà in-
contrata dai differenti partiti durante le ultime elezioni nel trovare un numero di donne
sufficiente per coprire il 30% dei candidati
previsti dalla legge - possa risultare essere
anche un certo vuoto di cultura politica nell'universo femminile.
Non è che le leggi non servano, anzi è una
fortuna essere riusciti, sia a livello di elezioni
nazionali che comunali, ad ottenere almeno
la certezza di uno congrua - anche se non
ancora paritaria - rappresentanza di donne,
ed uguale battaglia va condotta oggi per la
legge elettorale regionale che il Parlamento
sta elaborando.
Ma le leggi e gli sforzi per la parità non bastano, è anche necessario che le donne pur mantenendo e rivendicando come indi-
1
spensabile la propria specificità che (forse)
meglio si esplica in determinati settori della
politica - sappiano assumere per intero la
complessità attuale della stessa, escano da
una quasi autoghettizzazione settoriale per
sapere e cercare di interpretare globalmente i
processi - a cominciare da quelli istituzionali e socio-economici - che tanto investono
e influenzano i settori per ora considerati
specificatamente «femminili», quali la salute,
la scuola, la qualità della vita, l'assistenza e,
ultimo arrivato in ordine cronologico, l'ambiente.
Saper interpretare i processi della politica
sembra essere il ruolo futuro del variegato e
vivissimo mondo delle associazioni delle donne - a cominciare da quella delle elette loca-
Campi prioritari per l'integrazione europea e l'azione in favore delle donne
I
Una parte importante della nostra inchiesta verte sui settori della politica da considerare
come prioritari per l'integrazione europea e per un'azione che mira a migliorare lo stato delle
donne e le loro condizioni di vita quotidiana.
Scegliendo tra una trentina d i settori politici, le donne intervistate erano invitate ad indicare i cinque che ritenevano prioritari, sotto tre diverse angolazioni, e cioè:
- i cinque settori che, secondo loro, avrebbero dovuto essere prioritari al momento del
lancio delle Comunità europee, cioè della negoziazione del Trattato d i Roma;
- i cinque settori che avrebbero dovuto avere la precedenza durante la negoziazione del
Trattato di Maastricht;
- i cinque settori a loro avviso pizi suscettibili di generare u n impatto sulla vita quotidiana delle donee.
Le tre tavole seguenti mostrano, in ordine d'importanza decrescente, i cinque settori pizi
spesso citati come prioritari sotto le tre angolazioni sopra indicate. (Le cifre tra parentesi indicano il numero d i risposte che comprendono il settore citato).
T A V O L A 1: Cinque settori prioritari per il lancio dell'Ez~ropa
1. Pari opportunità tra uomo e donna
2. Tmpiego e lotta alla disoccupazione
3. Insegnamento
4. Crescita economica e competitività
5. Ambiente e qualità della vita
T A V O L A 2: Cinque settori prioritari per il Trattato di Maastricht
I . Lavoro e lotta alla disoccupazione
2. Pari opportunità tra uomo e donna
3. Ambiente e qualità della vita
4. Lotta all'emarginazione sociale e alla povertà
5. Sicurezza sociale
T A V O L A 3: Cinque settori pizi suscettibili d i migliorare la vita quotidiana delle donne
1. Lavoro e lotta alla disoccupazione
(244)
2. Pari opportunità tra uomo e donna
(1 78)
3. Insegnamento
(1 72)
4. Salute
(148)
5. Lotta all'emarginazione sociale e alla povertà
(146)
Come si può vedere le risposte si concentrano principalmente su sette settori, citati in ordin i differenti e tra i quali ricorre il lavoro e la lotta alla disoccupazione rosi come le pari opportunità tra uomo e donna.
GENNAIO 1995
Pubblichiamo, nelle pagine seguenti di questo nostro primo inserto del 1995, facendola precedere da un commento del nostro direttore, la trascrizione dell'in tervento che Francois Mitt errand,
in qualità di Presidente in carica del Consiglio dell'Unione europea, ha progunciato il 17 gennaio 1995 difronte al Parlamento europeo
federalismo e coerenza
Il testamento di Mitterrand
Nel giudizio della ragione è la radice della
nostra libertà, afferma S. Tommaso, ma formalmente essa consiste in un atto di volontà
(cito dal mio maestro Bruno Nardi). E per S.
Tommaso la libertà consiste nel potere che ha
la volontà di «volgere la ragione a compiacere
il talento». Tommaso «non solo ritiene che
l'electio è substantialiter un atto della volontà e non della ragione, sebbene presupponga il consilium e il giudizio pratico dell'intelletto, ma inoltre afferma che l'intelletto è
mosso dalla volontà nell'esercizio del suo atto:
«Intelligo enim quia volo». Ora, quando si
tratta di pronunziare un giudizio intorno ad
una realtà contingente come l'operare umano,
basta che la volontà diriga l'inquisitio e il
consilium su una circostanza o un aspetto di
questa realtà piuttosto che su un altro, perchè
ne risulti quel giudizio pratico che alla volontà
è gradito, ed è perciò.. . un ccgiudizio voluto».
Come si vede siamo lontani da Socrate (si
pecca per ignoranza) e si sviluppa la parte
centrale dell'Etica Nicomachea di Aristotele
-dristotele maturo, antropologo, che ha abbandonato il platonismo, ancora presente
all'inizio e alla fine dell'Etica Nicomonea (la
Nicomachea è una raccolta di lezioni di diversi periodi, accostati talvolta anche arbitrariamente, del pensiero del Maestro) -. Perchè,
si dirà, introduciamo tanta dotta filosofia?
Perchè sembra pensata su misura per impostare l'analisi della moralità di uomini politici,
intellettuali, dirigenti «sociali» dei Paesi occupati e occupanti (Francia, Germania, Italia.. .) durante la seconda guerra mondiale,
mentre molti (troppi?) storici si soffermano
- soprattutto per i filosofi politici - a un
giudizio socratico sul positivo e il negativo
delle <<premesse»(premesse?) filosofiche, e
trascurano la moralità dei comport?menti:
quelli che ora vogliamo afirontare. E il problema della coerenza; del come e perchè si
volge la ragione «a compiacere il proprio tulento»; se il «talento» mira a fini buoni quando mira a fini buoni -, è per amore della bontà in sè e per sè o, sotto sotto, perchè il
fine buono coincide col proprio interesse, con
GENNAIO 1995
la previsione del successo e della propria conquista di potere.. . Certo, non è di moda la ricerca della moralità assoluta: ma in sede di rivoluzione federalista e di costruzione di una
Europa esemplare ci sembra, al contrario, necessaria. Un rivoluzionario deve seguire gli
obiettivi (etici) della rivoluzione senza secondi fini, garantendo di essere sempre disponibile, nella buona e nella cattiva stagione.
Il discorso di Mitterrand, che riportiamo, è
in qualche modo un testamento morale di un
uomo, che ha avuto una evoluzione di comportamenti (o di scelta via via radicalmente
differenziata degli obiettivi dei propri comportamenti) in una lunga vita di impegno culturale, sociale e politico. Ci siamo già occupat i d i un altro europeo, che apparentemente
era coerente con sè stesso (e non è vero): Giovanni Gentile. Ci si occupa da un po' di tempo in Italia di un altro caso contestato: quello
del tedesco Ernst Junger. Rivediamoli, prima
di venire a Mitterrand. Semplifichiamo una
volta tanto il discorso: cioè la valutazione delle loro <<premesse»filosofiche come va fatta?
L'ignoranza, a cui Socrate attribuisce le colpe,
in che senso è a sua volta ignoranza colpevole
nei nostri soggetti? E poi vediamo subito come la volontà dei due abbia diretto l'inquisitio e il consilium sui vari aspetti della realtà
(per seguire S. Tommaso).
Gentile, abbiamo visto altra volta in questo giornale, è arrivato in un momento della
sua vita di filosofo <dascista» (sulle cui premesse per il momento non vogliamo eccepire), in cui il suo personale cdascismo» era confrontato - per sua stessa dichiarazione con alcuni convincimenti autonomi - d i
Giovanni Gentile -, sui quali non riteneva
lecito aver dubbi: no al razzismo, basato su
pseudoconcetti biologici, sì all'alterità dei soggetti empirici che si risolve nell'unità superindividuale del soggetto universale (in funzione
del quale si attua ogni effettiva vita morale).
Dunque no al naturalismo del razzismo, si in
definitiva allo Stato etico. Questi concetti sono stati ribaditi dalla cattedra nell'anno universitario 1937-'38, cioè alle soglie dello sca-
tenamento della campagna razzista del Regime fascista: col quale non solo si è imboccata
una via impraticabile per un Gentile fedele a
sè stesso, ma si sarebbe dovuto imporre brutalmente per la prima volta - a Gentile - il
problema di chi era il rappresentante legittimo dello Stato etico (cioè l'io empirico, l'individuo, o, se volete, il gruppo di individui, che
di fatto legittimassero la moralità, in nome
del soggetto universale, d i determinati atti
della comunità umana). Prevalse l'adesione
del Regime all'Olocausto: a Gentile non vimaneva che o rinnegare il fascismo - questo
fascismo - o sè stesso. Perchè rinnegò sè
stesso? e, a parte alcuni suoi addolcimenti
spiccioli (sintomatici) della campagna razzista, perchè ribadì la sua fedeltà al Regime e
optò poi per la Repubblica di Salò? Si invoca
la sua «coerenza»: coerenza col suo io profondo - certamente no - o con lo schema filosofico, pur dimostratosi a lui stesso falìzmentare, sul quale si basava purtroppo la sua
«maschera» di onorato filosofo? non sarebbe
forse nel secondo caso un atto disperato, luciferino di orgoglio? la corresponsabilità in un
assassinio, indubbiamente tale (coonestando
il Regime), di chi non vuol perdere la sua storica maschera? un autocongelamento morale?
Del pensiero di Junger si può dire tutto il
male possibile e lo stesso nazismo pensò a un
certo momento - a torto? - di poterselo unnettere: ma ]unger ubbidiva a sè stesso, era
coerente col suo io profondo, e disse no, col
rischio che si correva in Germania, all'annessione. In questi giorni di polemica italiana su
di lui, un quotidiano ha riportato opportunamente parole d i un giudice insospettabile,
Hannah Arendt: «I diari di guerra di Ernst
Junger offrono forse l'esempio migliore e più
onesto dell'immane difficoltà a cui I'individuo si espone quando vuole conservare intatti
i suoi valori e il suo concetto di verità in un
mondo in cui verità e morale hanno perduto
ogni espressione riconoscibile.. .».
Due c~mportamenti- Gentile e Junger
- diversi, anzi opposti: e ora torniamo a Mitterrand. Un caso, apparentemente, del tutto
diverso: tecnicamente, si dirà, due pensatovi,
coerenti o meno nel loro agire, e un uomo
d'azione, che non è legato in partenza a una
particolare «visione del mondo»: ma tutti e particolarmente non tanto i <<politicanti»di
mestiere ma gli autentici «stat/rti» - sono filosofi e insieme uomini d'azzone, a parte il
dosaggio. Gli uomini cosiddetti d'azione sono
per cosi dire, filosofi in eundo, e occorre, nei
loro riguardi, verificare casomai se la loro filosofia «in progresso» è adattata a obiettivi di
«presa del potere» oppure ha uno sviluppo
personale autonomo, cioè morale, e l'azione
di adegua via ad esso, concludendosi poi qui stiamo di fronte, con Mitterrand, a un testamento -in senso moralmente positivo e
con la coincidenza tra filosofia morale e lascito politico. Mitterrand - dando a Machiauelli l'interpretazione europea corrente, che dà
poi vita all'aggettivo deteriore, sbagliato, di
«machiavellirmo» - respinge il soprannome
di «le Florentin».
Ha un singolare interesse il libro (un librone di 614 pagine), che ha avuto e ha un grande successo in Francia, di Pierre Péan: «Une
jeunesse frangaise. Frangois Mitterrand 19341947)). È un libro che ha la pretesa di essere
obiettivo, ma che dà anche la sensazione di
essere stato faticosamente costruito con la supervisione, discreta e dietro le quinte, dello
stesso Mitterrand. A prima vista sembra un
ritratto - malgrado gli sforzi di Péan - di
un tipo levantino, frequente e ben conosciuto
in Italia, di «politicunte» che riesce a camminare sempre sulla cresta delle onde, insomma
di un autentico «florentin»: ma poi rzflettendoci - anche se il sospetto della supervisione
di Mitterrand rimane - si è portati a dare un
giudizio favorevole allo statista.
Mitterrand è, agli esordi e in sintonia con
la sua famiglia, un cattolico di destra. Sua madre è molto amica di Mauriac: Frangois per
parte sua non è u n militante dellJAction
francaise («]'ai été élevé dans I'horreur de
I'Action frangaise, non parce qu'elle était de
droite, ma pavce qu'elle était excommeuniée>>),ma certamente ammira Charles Maurras. E un uomo della destra sociale, apprezza
il corporativismo. Nella guerra etiopica
Francois è tra i francesi (nella fattispecie, tra
gli studenti di diritto) che «non vedono perchè si voglia impedire a Mussolini di prendere
l'Etiopia» (e sembra accogliere le tesi dei cattolici giustficazionisti): ma una sua noticina
rivela una sua riserva d i fondo ( « I l est
toujours utile de connaitre l'histoire de peuples si particuliers en mtme temps si pareils
aux autres, cav, au fond, ce n'est pus la couleur ou la forme des cheveux qui ont donné
quelque valeur aux imes»).
Il resto del periodo prima della guerra mostra un Mitterrand più irrequieto che con idee
chiave: direi che la caratteristica fondamentale
- e positiva - è proprio quella di non lasciarsi incolonnare. Attacca la classe politica
-ovviamente più la sinistra che la destra -,
attacca «la plupart de grands auteursx (Gide,
Valery, Girandoux e anche Mourras e perfino
Mauriac). Probabilmente commette anche
sbagli, ha qualche momentanea amicizia discutibile. Poi la vita militare, la guerra, la prigionia in Germania e, infine, l'evasione: è
una grande esperienza, sia come lenta tabula
rasa di una serie di pregiudiziali ideologiche
COMUNI D'EUROPA
sia come acquisizione di una serie di punti di
rzferimento personali o convinzioni maturate
in una pluralità aperta di rapporti umani. Rimane la socialità ma è autonoma dalla destra
né si lega a una sinistra ideologica,fermo particolarmente nell'avversione intransigente
agli stalinists non assume, almeno per un certo percorso, atteggiamenti rivoluzionari, ma
confida in un Pétain «padre della patria»,
osteggiando - lui evaso - ogni collaborazionismo e respingendo, proprio facendo leva sugli ex combattenti, Laval e i suoi accoliti; detesta i servi dei tedeschi, degli occupanti, ma
non si nota nessuna avversione per i tedeschi
come tali; conserva (e, a mio avviso, conserverà sino in fondo, fino a oggi) alcuni valori
cristiani, ma ormai è un laico. Il problema: in
questa costruzione autonoma di sè stesso, lui
che ama l'azione e ha una irrefrenabile voglia
di emergere, fino a che punto spinge i compromessi, considerando da parte nostra una
situazione come quella di un paese occupato,
dove facile è confondere il doppio giuoco con
la prudenza ovvia e necessaria? Qui sembra
che, sia pure nell'opinabilità - sul terreno
dell'efficienza - di tutte le scelte operative,
egli strategicamente spinga «quel giudizio
pratico che alla volontà è gradito» (siamo tornati a S. Tommaso) in coerenza con le sue
convinzioni morali e non, in primo luogo,
dell'immediato successo personale.
Pétain, malgrado tutto, delude ormai unche il francese più naif ed è giucoforza abbandonare, sia pure con delusione, l'idea di una
autosufficienza nazionale o addirittura legalitaria, nel bloccone il collaborazionismo e preparare pazientemente la «rzicossa». Il resto
dell'evoluzione di Mitterrand è, nelle grandi
linee, noto: l'assunzione di una irrinunciabile
clandestinità, il legame con Algeri e Giraud,
il faticoso superamento dell'ostilità dei gollisti (lui considerato un ambiguo «v'ichyste» o
«vichysrois>>).Ma un punto è abitualmente vicordato e non adeguatamente valutato: il legame stretto con Henri Frenay. Andiamo a rileggere le «Mémoires» d i ]ean Monnet:
«Mais j'avais encore à découvrir la Résistence
dans les individualités dont le tempérement
sortait du commun, tel Henry Frenay.. . Ce
qu'il a fait, avec d'autres, plus que d'autres, et
autant que les meilleurs, me remplit d'admiration. Sa force inébranlable et sa générosité
survecurent aux drames q u i les avaient
révélées et ne trouverent plus leur mesure entière dans le milieu politique de l'aprés-guerre». In effetti quando nell'immediato dopoguerra (1946) rientrai in Europa e incontrai
Spinelli, il leader del federalismo europeo
francese era considerato Frenay: che usci presto dalla scena politica francese, angoloso, incapace di compromessi, in qualche modo simile ai più candidi degli «azionisti>>italiani. Del
resto Frenay è stato l'ispiratore di un nuovo
partito, fuori della tradizione, l'Union démocratique et socialiste de la Résistence (UDSR), che ebbe come pratico creatore Eugenio
Claudius - Petit (il grande ammiratore de
Le Corbusier) e membro eminente Pléven:
del primo molti federalisti ricorderanno il
saggio «Aménagement du territoire dans une
perspectiue européenne>>,pubblicato sulla rivista della «Gauche européenne» prima dei
Trattati di Roma, e di Pléven ricorderanno, a
Parigi, la presidenza del congresso del 1955
dell'union européenne des fédéralistes. Mitterrand ha militato nell'UDSR e solo quando
si è rinnovato è entrato nel partito socialista.
Più politico di Frenay, si è alleato quando occorreva con dei bastardi, ma l'Europa, l'unità
sovranazionale culturale, sociale, politica e
democratica è diventata per lui non una scelta
di opportunità quanto la soluzione morale di
una sua tormentata ricerca, che va onestamente richiamata tutta, includendovi l'esordio di cattolico di destra. In tutto il dopoguerra tutte le volte che era in giuoco l'unità democratica dell'Europa Mitterrand si è trovato
al posto giusto: per la prima metà vale la pena
di riprendere le «Memoires>>di Monnet (dove
si rilevaho viceversa le incertezze e le contraddizioni dei socialisti della SFIO). l o stesso poi
non posso dimenticare che quando, sotto il regno del restaurato De Gaulle (il confederalista della «sedia vuota>>),organkzammo come
federalisti a l'arigi, in maniera garibaldina,
un controvertice (contre-sommet) europeo ricordo che nel grande comizio conclusivo
avevo al fianco il portoghese Soares e lo spagnolo Tierno Galvan, allora esuli -, Mitterrand partecipò al banchetto politico finale e si
impegnò. Il 24 maggio 1984 Mitterrand a
Strasburgo appoggiò «in nome della Francia»
il progetto costituzionale di Spinelli. Nell'ottobre 1993, rientrato poche ore prima dal Vicino Oriente, stanco e terreo in volto, intervenne alla seduta di apertura degli Stati generali del CCRE: aveva in mano i foglietti che
la burocrazia si era data la pena di preparare
al Capo dello Stato, li mise ostentatamente e
quasi con dispetto da parte, e parlò cinquanta
minuti a braccio, invitandoci a portare avanti
l'Europa popolare. Questo suo parlare col
cuore in mano di un uomo cosi segnato dalla
malattia non era una ruse del veterano politico, che ama accattivarsi l'uditorio, ma una
confessione che vogliamo ricordare, proprio
come introduzione al discorso, che riportiamo
quale testamento. Lo so, taluni amici federalisti di tipo scolastico osserveranno che sul terreno istituzionale non dice granchè - salvo
l'enfasi sul ruolo del Parlamento Europeo,
che lo ospitava - e che non ha pronunziato
penso che abbia sotla parola «federazione>>:
tolineato con onestà, al di fuori di ogni lenocinio retorico, le premesse culturali e morali
per cui si deve essere federalisti
PS. Nell'introduzione al discorso-testamento di Mitterrand abbiamo citato le «Memoires>>di Jean Monnet: ebbene, non ci è facile commentare il fatto che nell'lndex delle
«Memoires>>,tra una folla di persone grandi,
piccole e mediocri, apparse nel lungo cammino della vita di Monnet, non compaia Altiero
Spinelli, che ebbe a collaborare con Monnet
fino a scrivergli alcuni discorsi. Purtroppo la
meschinità della gente non ha limiti. l'entourage di Monnet detestava Spinelli e ha operato in modo che venisse cancellato dalle «Memoires» (nelle quali si citano diversi altri italiani).
In compenso, quando Mitterrand ha presenziato alla cerimonia per il trasferimento
dei resti mortali di Monnet aux Invalides, nel
discorso celebrativo non ha dimenticato di vicordare, fra i padri dell'Europa e della sua
unificazione, Altiero.
U.S.
GENNAIO 1995
Il discorso
Signor Presidente, Signore e Signori, come
sapete, dal primo gennaio di quest'anno, la
Francia presiede l'Unione europea. Così, ho
tenuto, ancora una volta, a presentarmi alla
vostra Assemblea per esporvi il programma
che la Presidenza francese si è prefissato.
H o considerato che era un dovere nei vostri confronti, cioé nei confronti della rappresentanza popolare. Dopo tutto, non era questo il modo migliore per sottolineare sia l'importanza che la Francia attribuisce alla costruzione dell'Europa, di un'Europa sempre più
unita, sia il posto eminente che spetta al Parlamento europeo in questa grande impresa. È
un argomento di cui si parla spesso. P e r
quanto mi riguarda, sono guidato da un'idea
semplice: le competenze e i diritti del Parlamento debbono accompagnare il rafforzamento delle strutture dell'Europa. Più ci sarà
Europa, più questa Europa deve essere democratica, più deve essere parlamentare. Allora
lavoriamoci.
(Applausi)
Non è semplicemente per seguire le usanze, ma io renderei prima omaggio, poichè è
anche rendergli giustizia, a Jacques Delors e
alla precedente Commissione, di cui l'azione,
nel corso di tutti questi anni, è stata determinante. E sono convinto che Jacques Santer non intervengo nei vostri dibattiti - perché
lo conosco bene e lo apprezzo, alla testa della
nuova Commissione, saprà proseguire questo
impegno.
Voglio salutare ugualmente l'azione della
presidenza tedesca che ci ha preceduto. Infine, voglio dare ai tre nuovi Stati membri, un
caloroso benvenuto fra voi e fra noi. Con loro, l'Unione europea si sente più forte, più
rappresentativa e dunque ancora più legittima, nei confronti del grande progetto storico
che essa rappresenta. Poiché, Signor Presidente, Signore e Signori, ciò di cui dobbiamo
parlare, è di assicurare all'Europa il posto e il
ruolo che gli competono in un mondo da costruire. Un'Europa potente economicamente,
commercialmente, unita monetariamente, attiva sul piano internazionale, capace di assicurare la propria difesa, feconda e varia nella
sua cultura. Questa Europa sarà tanto più attenta agli altri popoli quanto più sarà sicura
di se stessa.
Allora, le nostre priorità vi sembreranno
banali e spero che lo siano perché ciò significherà semplicemente la continuità delle presidenze, - ieri la Germania, domani la Spagna
e gli altri - la cui missione è contribuire, per
quanto possibile, alla riuscita della nostra impresa. Preciserò tali priorità, ma forse ci sarà
una specificità francese. Starà a voi giudicarlo.
Le nostre priorità, che vi dirò in dettaglio,
tendono a favorire la crescita e creare posti di
lavoro. Esse tendono ad affermare, nella loro
diversità, l'identità culturale dell'Europa. Insisterò su questo punto. Esse hanno lo scopo
di garantire una maggior sicurezza agli europei, sul piano esterno come sul piano interno,
e intraprendere in condizioni migliori, o perGENNAIO 1995
lomeno nelle migliori condizioni possibili, la
preparazione della conferenza intergovernativa del 1996. Tali priorità sono state definite
tenendo presente il doppio imperativo al quale l'Unione dovrà far fronte nei prossimi anni.
Primo imperativo: mettere pienamente in
applicazione il Trattato sull'Unione europea
che i nostri Parlamenti e i nostri popoli hanno
solennemente ratificato. In quanto a me, contavo che il popolo francese fosse protagonista
in questo grande avvenimento della nostra
storia. Non sottovalutiamo l'importanza dello
strumento di cui disponiamo, anche se possiamo criticarne molti aspetti, soprattutto il linguaggio amministrativo un pò complesso e un
pò tecnocrate. Elaborare un testo così lungo
e così complesso, con dei partecipanti e delle
lingue così diverse, non è neanche la maniera
migliore per costruire un capolavoro letterario. Ma è un trattato che vale la pena studiare.
Esso esiste, è stato adottato, è importante e
desidero che venga applicato. Non dico che
non abbia bisogno di essere modificato, ma
desidero che venga prima applicato. D'altronde l'abbiamo sottoscritto, che si tratti dell'istituzione di una moneta unica, dell'attuazione
di una vera politica straniera comune, della
progressiva costruzione di una difesa indipendente, ciò non vuol dire libera dagli impegni
nei confronti dei suoi alleati. L'Europa che
abbiamo costituito ha le sue preferenze e noi
vi restiamo fedeli realizzando ad esempio la libera circolazione degli uomini, oppure l'affermazione della cittadinanza europea.
Secondo imperativo, prepararsi agli ulteriori allargamenti dell'unione. Esiste un legame logico tra questi due imperativi: più 1'Europa si afferma sul piano interno e più la sua
forza di attrazione si esercita sugli altri Paesi
democratici d'Europa. Purché questi d u e
obiettivi non si contraddicano. Questa è la
difficoltà, poiché occorre allargare, ma occorre anche rafforzare l'Unione esistente. L'allargamento non deve indebolire ciò che esiste e
ciò che esiste non deve impedire l'allargamento dell'Unione ai limiti dell'Europa democratica. È un problema difficile da risolvere, ma
vi chiedo di prestarvi attenzione. È la questione forse più difficile che avrete da risolvere
nel corso degli anni a venire.
I1 primo campo d'azione riguarda l'economia e il mercato del lavoro. I nostri Paesi
stanno vivendo una crisi economica senza
precedenti per la sua importanza nella nostra
storia recente. Sono persuaso che se non fosse
esistita la Comunità europea, l'intensità del
fenomeno sarebbe stata più forte e i suoi effetti sulla coesione interna delle nostre Società, molto più gravi. In effetti, ci ha preservato dalle politiche rischiose dell'«ognuno per
sé», dall'isolazionismo.
Dove saremmo, Signore e Signori, se avessimo dovuto attraversare questa crisi senza
poter contare l'uno sull'altro? L'obiettivo
adesso, è queilo di accompagnare con un approccio volontario la ripresa dellattivià, e migliorare il mercato del lavoro. È comportan-
doci in maniera coordinata che noi saremo
più efficaci. La Presidenza francese si adopererà per favorire tale coerenza per la quale ci
siamo collettivamente impegnati ad Essen, alla luce delle conclusioni del Libro Bianco sulla crescita e l'impiego.
Ma al di là del coordinamento necessario
delle nostre politiche, occorre anche preparare, a p ù l u n g o termine, i fondamenti di
un'Europa nella quale si eserciterà una nuova
forte espansione economica: lo spero; sana, lo
spero; durevole, lo spero. E possibile, se noi
sappiamo utilizzare pienamente tre delle no,stre carte maggiori. Qual'è la prima carta? E
la dimensione del nostro mercato. Noi siamo,
fino ad oggi, riusciti per la maggior parte ad
eliminare gli ostacoli amministrativi, doganali,
normativi, che dividevano questo grande spazio. È l'opera che è stata compiuta grazie
all'Atto unico. Ci rimane da eliminare o ridurre gli altri ostacoli, che non sono piccoli, ivi
compresi gli ostacoli fisici che frenano ancora
la fluidità della circolazione degli uomini, delle merci e delle idee.
A questo è destinato, per esempio, il programma delle reti transeuropee e che, dal
Nord al Sud, dall'Est ad Ovest, gli Europei
siano collegati tra di loro con mezzi moderni,
rapidi, sicuri - rotaia, strada, aereo - che le
energie scorrano le nostre Regioni, che le
informazioni si scambino grazie alle tecniche
e alle infrastrutture più avanzate. Quale progresso, Signore e Signori, e come ci sentiremo
più forti e più fieri se noi ci riusciremo; piuttosto che tagliare, al limite delle nostre frontiere, i nostri mezzi di comunicazione.
La seconda carta è, certamente, l'unione
economica e monetaria: ai miei occhi, complemento naturale e indispensabile del Mercato unico, senza la quale il Mercato, che ho
tanto voluto, insieme ad altri naturalmente,
che è stato così laborioso, sarebbe una Carta
dell'anarchia e delle concorrenze più illecite.
Le tensioni monetarie che abbiamo avuto e
che abbiamo oggi, in particolar m o d o da
qualche settimana, dimostrano la necessità di
progredire il più rapidamente possibile verso
la moneta unica. So che se ne parla sempre,
che non si è convinti. In ogni caso, vi comunico la mia personale convinzione, che credo di
dividere con la maggior parte dei responsabili
francesi: è l'unico modo di fare dell'Europa
una grande potenza economica e monetaria e
il modo migliore di assicurare alle nostre economie una crescita sostenuta.
(Applausi)
È imperativo, anche se so che altri hanno
parlato in modo diverso - ma sono qui per
esprimere il mio pensiero e quello della Francia - è quindi imperativo, anche se ne conosco la difficoltà, forse anche l'aspetto illusorio, stando allo stato di spirito di molti, di rispettare il calendario che ci siamo fissato e di
fare in modo di poter pervenire alla moneta
unica a partire dal 1997.
(Applausi)
Naturalmente, poiché ci siamo dati una
certa ampiezza di tempo - 1997, 1999 - e
che, nei discorsi privati, si parla anche di
aspettare l'inizio del secolo prossimo saremo
tentati di optare per la soluzione più facile,
vale a dire quella che farà durare le cose,
complicandole. Mi auguro quindi che le cose
seguano il loro corso. La Presidenza francese
farà il massimo per preparare questa scadenza
e in questa prospettiva, utilizzerà al meglio
tutte le procedure di coordinamento delle nostre politiche economiche. Da qui all'anno
prossimo, tra l'altro, noi le rafforzeremo ancora. Spero che questa dichiarazione di principio si tradurrà in fatti, e che la nostra diplomazia vi lavori attivamente.
Occorrerà ugualmente sistemare i problemi legati all'introduzione dell'ecu. È assolutamente essenziale, oppure parliamo per non
dire niente. Infine, ci auguriamo che l'Istituto
monetario europeo, che rappresenta ciò che
sarà la Banca centrale europea, possa giocare
pienamente il suo ruolo. Il nostro augurio è
che tutti gli Stati che hanno sottoscritto a
questi stessi obiettivi possano, se possibile nei
termini previsti, superare la rotta della terza
fase dell'unione monetaria. La porta resterà
aperta agli Stati che hanno ritenuto di non
potersi ancora impegnare sulla moneta unica.
Io comprendo le loro difficoltà. Ce le siamo
poste anche noi; non credete che sia facile per
la Francia: le condizioni sono rigorose, severe.
I1 problema è quello della volontà politica.
Ebbene, sono sicuro che coloro che non sono
ancora fra noi ci raggiungeranno, a condizione che noi stessi non cediamo durante il cammino.
Infine, la terza carta di cui disponiamo, è la
nostra eccellente tecnologia. Innumerevoli sono le invenzioni nate dallo spirito dei nostri
ricercatori. Questo capitale non chiede altro
che fruttificare, se noi sapremo sfruttarlo come conviene, e alla dimensione del nostro
Continente. Non dirò nient'altro, ma nel vostro spirito si impone senza alcun dubbio la
serie straordinaria di successi tecnologici,
scientifici, inventivi, innovativi che sono accaduti dalla metà del XIX secolo, e tutto questo
in Europa, e con l'Europa, senza naturalmente escludere coloro che, altrove, hanno contribuito al progresso generale.
So quanto voi, Signore e Signori Parlamentari, siate attenti a questa questione. Conosco
l'importanza che ha, ai vostri occhi, il programma-quadro di ricerca e di sviluppo. E
avete ragione! Occorre quindi convincerne
tutti i Governi. E vi assicuro che, in accordo
naturalmente con la Commissione, la Presidenza francese veglierà all'attuazione di questo programma e alla sua articolazione con le
necessità del mercato.
Accanto a questi vasti obiettivi, avremo cura di non trascurare altri compiti: il progresso
del mercato interno, la condotta delle politiche comuni, il rispetto per gli impegni presi
in materia di ambiente. Penso in particolare
alla lotta contro l'aumento dell'effetto serra, o
semplicemente, in un campo del tutto diverso, alla protezione dei consumatori. Gli esempi potrebbero essere moltiplicati. Un argomento dovrebbe anche, a nostro avviso, fare
oggetto di proposte concrete, quello - e so
che non tutti saranno d'accordo con me, ma
siamo venuti per esprimere il nostro pensiero
- quello, dico, del servizio pubblico o del
servizio di utilità pubblica. Se tali servizi venissero inquadrati da una regola comune, edita, per esempio, sotto forma di Carta europea,
contribuirebbero utilmente agli obiettivi che
ci siamo fissati. Un'Europa economica e monetaria forte, ecco la condizione del benessere
degli Europei. Ma è necessario sostenere di
fronte a voi, che siete gli eletti dei popoli europei (no, lo faccio per rigor di logica nel mio
esposto), che la costruzione di quell' Europa
sarà possibile soltanto con l'adesione reale dei
cittadini stessi? Una delle maggiori difficoltà
che abbiamo incontrato per ottenere l'accordo dei nostri concittadini a proposito del
Trattato di Maastricht, è stato l'effetto sorpresa: un certo numero di persone informate, di
persone che viaggiano, di persone che hanno
scambi internazionali, oppure la parte del
pubblico che legge, che s'informa, che studia,
era devota all'Europa. Ci si era forse un pò
troppo adagiati su questo. Il popolo, nel suo
intimo, era per l'accordo, ma ignorava le condizioni necessarie per pervenirci, le quali condizioni potevano apparire costrittive e sembrano costrittive.
Dall'origine della Comunità, ho difeso, come molti di voi, l'idea che dovevamo costruire un'Europa sociale. I1 Fondo sociale europeo, lo Spazio sociale europeo, la Carta sociale, l'accordo sulla politica sociale - allegato
al trattato dell'unione europea - la presa
d'atto delle norme sociali nella preferenza europea sono altrettanti passi avanti, ma non nasconderò che a Maastricht, avrei preferito che
si andasse più in là e che si riprendesse nel
Trattato la totalità della Carta sociale.
(Applausi)
Non illudiamoci: i mercati sono soltanto
dei mezzi, dei meccanismi dominati troppo
spesso dalla legge del più forte, dei meccanismi che possono generare l'ingiustizia, l'esclusione, la dipendenza, se non vengono posti
dei contrappesi necessari da coloro che possono contare sulla legittimità democratica.
Accanto ai mercati, c'è posto per le attività
economiche e sociali fondate sulla solidarietà,
la cooperazione, l'associazione, la mutualità,
l'interesse generale, cioè, il servizio pubblico.
Se oggi dunque abbiamo tracciato il contorno
dell'Europa sociale, manca il contenuto. E
non è un'opera esaltante, appassionante, quella di mettere questo contenuto? Non è il lavoro dei prossimi mesi e dei prossimi anni? In
quel momento osserverò dall'esterno i progressi sociali, e mi rallegrerò ogni volta che
vedrò l'insieme dei rappresentanti europei associarsi, al di là delle loro visioni naturali e
delle loro diverse opinioni, affinché l'Europa
da costruire non sia un gioco di meccanica,
ma sia l'opera potente di uomini che costruiscono la loro storia. Oggi, dunque, è un pò
difficile, e mi auguro che in collegamento con
i partners sociali, noi prendiamo delle iniziative nei campi della formazione, dell'educazio.ne, dell'organizzazione del lavoro, della lotta
contro le esclusioni. Niente si farà veramente
se i partners sociali non troveranno il posto
che gli spetta nella costruzione dell'Europa.
(Applausi)
Con questo spirito, la Presidenza francese
prepara, in sintonia con gli Stati membri e le
organizzazioni sindacali e professionali, una
conferenza per rinnovare il dialogo sociale.
L'accordo sulla politica sociale allegato al
Trattato di Maastricht prevedeva che il dialogo tra i partners sociali potrebbe aprirsi su
degli accordi europei. Credo che è il momento per gli uni e per gli altri di considerare il
negoziato di contratti sociali europei che prefigureranno un nuovo diritto sociale. I1 lavoro
svolto dal Presidente Delors e dalla Commissione, con le organizzazioni sociali e professionali, sarà a questo riguardo molto utile.
Uno dei primi temi di negoziato potrebbe essere l'esplorazione di una proposta del Libro
Bianco; È già un documento conosciuto, che
tende all'organizzazione della formazione nel
corso della vita.
Che mi sia ugualmente permesso, Signore e
Signori, di porre l'accento sul tema della dimensione sociale degli scambi, per ricordare
la necessità di costruire le relazioni economiche internazionali sul rispetto dei diritti fondamentali. Faccio degli esempi: quello dei lavoratori, quello delle donne in alcune società,
quasi dappertutto quello dei bambini, delle
organizzazioni sociali, professionali, dei detenuti. Abbiamo fatto dei progressi in questo
senso in Europa, e, grazie al Presidente Clinton, con gli Stati Uniti d'America. Il mio desiderio sarebbe che tutti i Paesi europei possano parlare con una sola voce, soprattutto in
seno all'organizzazione internazionale del lavoro, della nuova Organizzazione mondiale
del commercio, ispirandosi dai testi che esistono e, in particolare, dal rapporto che voi
avete adottato. Ecco una base di lavoro e di
riflessione, non occorre inventarla! È fatta!
Questo lavoro, voi l'avete compiuto. Andiamo avanti adesso. Ad ogni modo, la Francia
proporrà un promemoria in tal senso.
Infine, mi sembra indispensabile che il
mondo sociale apporti il suo contributo alle
riflessioni in corso sul funzionamento
dell'unione. Progetto quindi, dopo aver parlato a più riprese con i rappresentanti delle
forze sociali europee, di proporre che un piccolo gruppo di personalità sociali indipendenti sia incaricato di stabilire un rapporto sui
mezzi per far progredire questa Europa. Tale
rapporto verrebbe a completare quelli che sono stati o saranno stabiliti da voi stessi, dal
Consiglio, dalla Commissione, per l'esecuzione del trattato esistente. E voi capite fino a
che punto è indispensabile che i negoziatori
possano disporre, quando si aprirà la conferenza intergovernativa del 1996, del punto di
vista e dei suggerimenti degli attori sociali
sull'evoluzione auspicabile dell'unione.
L'Europa, ho detto, deve incontrare l'adesione dei cittadini. I grandi spazi aperti possono generare, generano un sentimento di angoscia. E occorre stare attenti a non far installare nei nostri concittadini una specie di rifiuto
dell'altro, di rifiuto dello straniero, oppure
una specie di agorofobia europea. Esiste! Per
evitarla, diamo pieno accordo alle disposizioni previste nel Trattato sull'Unione europea.
Occorre constatarlo, non è ancora il caso.
Non nego il carattere delicato dei problemi
trattati, le precauzioni a prendere per assicurarsi che un'azione europea non sia meno efficace delle azioni nazionali, l'augurio con il
quale ci si deve di proteggere le libertà
dell'individuo e le regole protettive del diritto
non deve essere indebolito dalla creazione
dell'Europa. Ma i nostri concittadini, in questi campi, si aspettano molto da noi, credeteGENNAIO 1995
mi, anche se spesso provano paura o diffidenza. Perciò occorre vigilare - lo faremo, noi,
con il Primo Ministro della Repubblica francese, i ministri francesi in carica per questi affari - affinché la nostra Presidenza mandi
avanti diverse pratiche importanti.
Credo anzitutto - e non insisterò, poiché
la Francia è stata un attore in questo dibattito,
ma comunque, vi espongo il mio pensiero credo anzitutto alla Convenzione che crea Europol.
(Applausi)
Occorre che sia rapidamente conclusa e
che sia attuato l'organismo preposto. Così è
stato deciso ad Essen. Non si possono eternamente ritardare le decisioni per ragioni spesso
di buon senso, ma che tenderebbero a sostituirsi, secondo le nostre capitali, alla regola
generale che vuole che noi procediamo in comune, soprattutto per la sicurezza.
Per il diritto di asilo e d'immigrazione, rimane molto da fare: non è facile armonizzare
le cose! Penso in modo particolare all'entrata
in vigore della Convenzione di Dublino sulla
determinazione dello Stato responsabile di
una richiesta d'asilo e l'adozione del regolamento che stabilisce la lista comune dei Paesi
i cui connazionali sono sottoposti al visto. Son o addentro da troppo tempo agli affari pubblici per ignorare la difficoltà di questi dibattiti e per non sapere che occorre avere un
gran senso civico e una forte convinzione europea per superare un certo numero di preferenze nazionali. Ma, veramente, vi prego, fatelo capire ai vostri dirigenti. L'Europa sarà
quella dei cittadini se i cittadini si sentono al
sicuro in Europa e grazie all'Europa.
(Forti applausi)
Potrei dire altrettanto - ma non voglio allungare all'eccesso questo esposto - della
cooperazione giudiziaria, dell'azione coordinata contro il traffico di droga, del terrorismo
internazionale, del crimine organizzato. Chi
di noi, tra i nostri Paesi - vi pongo la domanda - potrebbe pretendere di trattare e
risolvere isolatamente uno di questi flagelli?
Chi ne avrebbe la forza?
Infine, sarebbe soltanto un vantaggio se paragonassimo e confrontassimo le nostre esperienze nazionali in materia di politica d'immigrazione e d'integrazione e che fosse continuata e completata la lotta contro il razzismo
e la xenofobia.
Questa Europa, la nostra, ha bisogno di incarnarsi in ben altro che bilanci economici e
tonnellaggi di carico. Direi, ma non voglio
gonfiare il mio linguaggio, che ha bisogno di
un'anima, per esprimere (perciò, siamo più
modesti) la sua cultura, il suo modo di pensare, le strutture dei nostri cervelli, il frutto di
secoli di civilizzazione di cui siamo gli eredi.
Le espressioni del nostro genio proteiforme
sono ricche e diverse, e possiamo far dividere,
come in passato, al mondo intero - senza volerle imporre, perché cambierebbe un pò del
passato - le nostre idee, i nostri sogni e, in
ciò che hanno di buono, le nostre passioni.
I negoziati del GATT, un anno fa, avevano
fatto prevalere il principio dell'eccezione culturale. Era l'idea che le opere dello spirito
non erano merci come le altre. Era la convinzione che l'identità culturale delle nostre Nazioni, il diritto per ogni popolo allo sviluppo
della propria cultura erano in ballo. Era la voGENNAIO 1995
lontà di difendere il pluralismo'e la libertà per
ogni Paese, di non abbandonare ad altri questi mezzi di rappresentazione, cioé i mezzi per
rendersi presente ad esso stesso.
Da allora abbiamo progredito poco, e diventa necessario, ve lo assicuro, dare alla dimensione culturale della costruzione europea
il posto che gli spetta. Faccio parte di coloro
che n e sono risolutamente sostenitori. Rappresento la Francia, che conosce le minacce
che la circondano su questo piano, che conosce molto bene la rivalità delle lingue. Ma, se
penso ad altri Paesi, altrettanto rispettabili, le
cui lingue non hanno la dimensione geografica della Francia che, essa stessa, non ha la dimensione geografica d i altri Paesi, cosa n e
sarà del fondo dell'anima, dell'espressione,
del gaelico, del fiammingo, dell'olandese?
(Applausi)
E se non voglio sembrare di isolare i più
piccoli o i più deboli, perché i meno numerosi
(questa non è demografia) direi che in realtà,
se ne fossimo veramente coscienti l'Italia, la
Germania, la Francia sono altrettanto minacciate. Rimane, oggi, solo la cultura inglese e
americana, la cultura spagnola, che siano in
grado di affrontare queste sfide. E, con tutta
l'amicizia che h o per questi Paesi, mi piace
parlare la mia langue piuttosto che la loro.
(Applausi)
In primo luogo, pensiamo al campo audiovisivo. Credete che sia prova di un eccessivo
settarismo? Spero di no. Nel campo audiovisivo, sappiamo bene che la coscienza, l'immaginario, il sapere sono sempre più plasmati
dalllimmagine e che non ci sarà l'Europa senza immagine europea. Mentre si celebra il
centenario del cinema, l'arte più popolare del
secolo non è mai stata così minacciata in
ognuno dei nostri Paesi. Non ha d'altronde
neanche più bisogno di essere minacciato in
alcune di questi Paesi, poiché è già scomparso. Gli aiuti comunitari non hanno permesso
di evitarne il declino. Non hanno saputo suscitare la nascita di un vero spazio audiovisivo
europeo né dare alle imprese dei nostri Paesi
in questo settore una dimensione internazionale.
E urgente aumentare l'attrattiva e la circolazione delle opere realizzate in seno all'unione. Non chiedo misure protettive. Non voglio
rifiutare l'apporto considerevole e spesso notevole delle altre culture, ma comunque, il
pubblico europeo ha tutto il diritto di vedere
le opere dei propri artisti. Non può esserne
privato da decisioni arbitrarie prese altrove, o
dalla logica di un mercato cieco o la logica
cieca di un mercato. Non vorrei scontentare
nessuno. Quest'obiettivo esige una riforma
ambiziosa, resa inevitabile dal nuovo contesto
tecnologico e economico. Mettiamo fine alla
dispersione degli sforzi. Concentriamo gli aiuti su qualche priorità, soprattutto sulla distribuzione. Adattiamo la natura e il volume dei
mezzi all'ampiezza del compito. Sappiamo
che i 200 milioni di ECUconcessi al programma MEDIA rappresentano le spese comunitarie di un solo giorno?
La Presidenza francese tenterà di realizzare
una parte di questa ambizione. Ma sei mesi,
che cosa sono sei mesi? Questo dovrebbe farci riflettere sulla durata dei mandati consentiti
alle varie presidenze, anche se non chiedo
nessun prolungamento della mia.
(Risate e applausi)
Occorre evitare le confusioni. Non dico
questo per voi, ma ciò che viene detto qui,
verrà risaputo in Francia.
(Risate)
La Presidenza francese sosterrà la rifusione
del quadro giuridico della diffusione audiovisiva. Favorirà lo sviluppo delle nuove tecnologie e la l o r o applicazione alla c u l t u r a e
all'educazione. S'incarica di riorganizzare a
fondo il sistema di aiuto alle industrie di programma. Insisto. Questo ci stà a cuore. Non si
può essere soddisfatti dei mezzi esistenti. A
maggior ragione, non si può tornare indietro
in rapporto a ciò che è stato realizzato nel
1989, con la direttiva «Televisione senza frontiere» e nel 1993, con le risoluzioni d e l
GATT, Intendo dire, qui o là, che bisognerebbe rinunciare a tutto, in nome di non so
quale liberalismo. Abbandonare la percentuale di diffusione. Non cambiare niente nelle
medie, insomma lasciar correre. Questa non è
l'opinione della Francia.
Ma l'immagine non è l'unico terreno di costruzione dell'Europa delle culture. L'Europa
ha bisogno di essere meglio conosciuta degli
Europei e oso dire, meglio amata degli europei. Riprendo qui una parte del mio esposto
d i prima. Occorre che gli Europei amino
l'Europa. Perché hanno difeso la loro patria,
e continueranno a difenderla se occorre? Perché l'amano. Perché amano la loro patria?
Perché é il loro focolare, il loro orizzonte, il
loro paesaggio, sono i loro amici, é la loro
identità. Se tutto ciò venisse a mancare all'Europa, non ci sarà Europa. Invece noi sentiamo che è a portata di mano, se noi sapremo
tenderla con abbastanza audacia e, nell'eventualità, con molta prudenza.
Lo ripeto, l'immagine non è l'unico terreno
di costruzione dell'Europa delle culture! Per
fortificare il nostro approccio, riscopriamo i
luoghi e gli oggetti delle nostre memorie comuni. Mi auguro che sia concepito e messo in
atto un vasto progetto di sviluppo di questi
luoghi d i memoria e u r o p e i . I n s e g n i a m o
ugualmente l'Europa. Insegniamola ai nostri
figli. Che la scuola li prepari a diventare dei
cittadini. Che essa sviluppi l'insegnamento
della storia, della geografia e della cultura.
Poniamo l'accento sui gemellaggi scolastici,
universitari, sugli scambi di alunni e di studenti. Insistiamo sul plurilinguismo. La Francia presenterà, a questo proposito, il progetto
di una convenzione intergovernativa sullo studio di almeno due lingue straniere. Nello stesso modo, amplifichiamo i nostri sforzi a favore della traduzione delle opere. H o sempre
notato che i francesi, miei compatrioti, si lamentavano, ad esempio, che i loro grandi autori fossero così poco tradotti in alcuni Paesi
dell'Europa centrale e orientale. H o notato
che in effetti, eravamo noi, i francesi, che non
traducevamo le loro opere e che ci lamentavano di un male del quale eravamo noi stessi responsabili, poiché l'Europa delle culture é
l'Europa intera.
(Applausi)
Se esiste un campo in cui la distinzione tra
l'Europa dell'unione e l'Europa dell'Est non
ha nessun senso è proprio questo. È per questo che mi permetto di fare di fronte a voi le
seguenti due proposte. La prima, modesta ma
concreta, pratica, può essere applicata subito.
COMUNI D'EUROPA
Allarghiamo all'insieme dei Paesi europei,
all'insieme di questi Paesi, le manifestazioni
culturali emblematiche dell'Europa dei Quindici. Premi letterari, premi di traduzione, orchestre di giovani, capitale europea della cultura, per citare alcuni esempi. La seconda è
più ambiziosa, l'Unione dovrebbe, secondo
me, prendere una grande iniziativa per aiutare
i nostri vicini dell'Est a riparare, soprattutto
nel campo della cultura, gli effetti dell'isolamento nel quale hanno vissuto per mezzo secolo. Una fondazione o un'agenzia europea
della cultura potrebbe concepire, con mezzi
significativi, un programma originale di cooperazione con questi Paesi per promuovere la
salvaguardia del loro patrimonio, il rinnovo
delle loro biblioteche, dei loro musei, la ricostituzione delle loro capacità di produzione e
di diffusione audiovisive, lo sviluppo della
creazione e dello spettacolo vivente. Sono ricchi di creatori. Lo strumento si è rotto nelle
loro mani, non per colpa loro, semplicemente
per il dominio di potenti che non si interessavano a queste cose. Tocca a noi venir in loro
aiuto per il tempo che occorrerà. E poi? Dategli fiducia, se la caveranno benissimo da soli. Non dobbiamo insegnar loro nulla, ma
dobbiamo tenerlo a mente. È così che dimostreremo che, lungi dal cancellare l'identità
culturale delle nazioni, la costruzione europea
cerca di affermarla. L'Europa delle culture,
Signore e Signori, è l'Europa delle nazioni
contro quella dei nazionalismi.
(Forti applausi)
Prima di preparare questo discorso, mi sono
informato sulla lunghezza desiderata. Naturalmente, tutto si può fare. Mi è stato detto «occorre reggere per tre quarti d'ora». Vedo che
ci sono. Oltrepasserò leggermente, ma di poco.
(Applausi)
I1 Trattato sull'unione europea ha previsto
una politica comune straniera e di sicurezza,
È una grande ambizione e un obiettivo che
può sembrare ad alcuni irrealizzabile, ad ogni
modo di lungo respiro. Esigerà uno sforzo
perseverante. Ma, dopo tutto, ci è voluta una
generazione per realizzare il grande mercato
dei beni, dei servizi, dei capitali. Non sarà più
facile, e forse più difficile, armonizzare gli interessi politici che sono stati fabbricati da secoli e secoli di lotte, di combattimenti militari,
d'influenze diplomatiche e culturali, d'inimicizia, a volte di odio, fra i nostri popoli. Eppure, occorrerà farlo. Abbiamo deciso, sì o
no, di superare una tappa superando il secolo? I1 fatto che più azioni comuni - anche se
occorre parlarne con modestia - siano già
state definite, tra le altre un progetto di ordinamento in Bosnia, oppure il lancio del patto
di stabilità, costituisce comunque un primo
risultato. È un tentativo che rimarrà utile.
Inoltre, la presidenza francese non ha lesinato
i suoi sforzi affinché l'Unione sostenga, come
doveva essere, gli sforzi dell'OCSE di fronte
alla crisi in Cecenia. È un soggetto molto difficile. Si tratta della parte di un territorio riconosciuto. Si tratta di un Paese che esiste come
tale e che è sovrano. Tuttavia si pongono dei
problemi umani, etnici di ogni sorta e di grande gravità. L'OCSE offriva veramente il quadro ideale per intervenire in modo più utile
possibile, e debbo dire che la nostra diplomazia si è impegnata in questa direzione senza
perdere un istante.
COMUNI D'EUROPA
Trattandosi del patto di stabilità, la presidenza francese spera che la conferenza di
chiusura, che si svolgerà a Parigi il 20 e 21
marzo prossimo, permetterà di registrare i risultati positivi di un anno di accordi particolarmente attivo fra i partecipanti. È la stessa
preoccupazione di stabilità che traduce la rete
molto fitta di accordi di cooperazione, di partenariato, di associazione, che l'Unione europea ha saputo tessere e continua a tessere con
i Paesi che costituiscono il suo ambiente internazionale. Adoperiamoci a completare e a
concludere i negoziati laddove è possibile, a
lanciarli dove necessario. Credo in particolare
agli accordi di associazione con la Tunisia, il
Marocco, Israele, in corso di negoziato; all'accordo d'unione doganale con la Turchia; al
proseguimento del ravvicinamento con Malta
e Cipro in vista della loro futura adesione; agli
accordi da concludere con l'Egitto, la Giordania, e altro ancora; alla preparazione della
grande conferenza euromediterranea, così difficile da organizzare e che, in effetti, si svolgerà, credo, lo spero, sotto la presidenza della
Spagna. Penso al negoziato dell'ottavo Fondo
europeo di sviluppo a favore degli ACP che la
Francia è determinata a concludere sotto la
sua presidenza. Una strategia è stata definita
ad Essen per i Paesi dell'Europa centrale e
orientale. Dobbiamo continuare a dare il nostro sostegno, ugualmente, al processo di pace
nel Medio Oriente.
Voi vedete che i punti, i soggetti sono numerosi, sui quali, a dispetto della storia che ci
ha così spesso divisi, noi potremmo adoperare
un linguaggio comune e preparare delle soluzioni comuni. A proposito dell'ultimo punto,
voglio parlare del Medio Oriente, mi auguro
che l'Unione europea prenda le iniziative necessarie per far fronte alle difficoltà che incontrano i Paesi del Medio Oriente per quanto riguarda l'educazione e la formazione alle
tecniche informatiche, in accordo con i responsabili politici, universitari, finanziari e i
rappresentanti delle imprese. Trattandosi di
relazioni esterne dell'unione, non posso non
menzionare l'organizzazione mondiale del
commercio. Quest'ultima sarà il quadro che
ci p e r m e t t e r à d i d i f e n d e r e gli interessi
dell'Europa, in particolare nelle negoziazioni
future su settori specifici come l'aeronautica,
l'acciaio e i servizi.
L'Unione è quindi già attiva sulla scena diplomatica mondiale. Si tratta adesso di porre
le basi di una vera politica straniera comune.
Non ne nascondo la difficoltà, occorre superarla. N e sentite la necessità impellente.
Guardate tutte queste crisi che scoppiano intorno a noi, drammatiche, omicide: l'Algeria,
la Bosnia, il Caucaso, e il seguito! Potete ben
dire, come lo dico questo pomeriggio, e il seguito! Se volete ricordarvi la storia dell'Europa, del suo vicino ambiente, senza contare il
seguito che ci aspetta, ci chiede di mettere in
comune le nostre analisi e le nostre informazioni, di confrontare le nostre previsioni, di
definire i nostri obiettivi e le nostre forme di
azione. Ebbene, mi auguro che la Presidenza
francese, ma anche, poiché è un programma
che i prossimi mesi non permetterebbero di
assolvere, le successive presidenze siano particolarmente vigili sul rispetto delle obbligazioni alle quali abbiamo sottoscritto.
L'altro sportello sul quale occorre andare
avanti è quello della politica di sicurezza.
Creare delle analisi comuni; rafforzare il ruolo
dell'UE0, soprattutto le sue capacità operative; dare un'ampiezza crescente al corpo europeo, così come alle altre forze plurinazionali
europee; favorire senza tardare la costituzione
di una vera industria moderna dell'armamento; creare l'agenzia prevista in questo campo;
spingere la cooperazione nel campo dell'osservazione con satelliti: questi sono i compiti
per i quali la Francia chiede ai suoi partners
di unirsi. Capisco bene che ciò possa urtare
dei Paesi che hanno tenuto a preservare tutti
gli aspetti propri alla loro neutralità. Chiedo
semplicemente ad ognuno di loro, senza volere in alcun modo sconfinare il loro diritto sovrano, di capire bene che il nostro compito
comune è assai esaltante e che i progressi
dell'uno saranno anche i progressi dell'altro.
Verrà un giorno in cui questi sforzi, un pò dispersi oggi, si riuniranno in seno ad una difesa europea. Ad ogni modo, esprimo il mio augurio, di cui l'evidente necessità, nel rispetto
delle alleanze, si imporrà a tutti.
Prima di finire, voglio dire una parola sulle
istituzioni. Dovremo, in tanto che Presidenza,
stare attenti all'istituzione del rapporto del
Consiglio sull'esecuzione d e l T r a t t a t o
sull'Unione europea. Poi, i rappresentanti degli Stati membri si riuniranno, a partire dal
mese di giugno prossimo, per preparare la
conferenza intergovernativa del 1996. Non
voglio anticipare un appuntamento di tale importanza, ma poiché non sarò più un attore
diretto, desidero farvi parte di due semplici
idee.
La prima, ciò che occorre, a mio avviso,
guardarsi dalla fuga in avanti. Le potenzialità
del Trattato sull'unione europea sono considerevoli. Il suo equilibrio è ragionevole. Fare
evolvere la costruzione, migliorarne il funzionamento per permettere i futuri allargamenti,
completarla per continuare a rafforzare la sua
legittimità democratica, e insisto su questo
punto, nel suo processo di decisione. Facciamo avanzare l'Europa per fare avanzare la democrazia. È una massima tanto forte tanto
quella che consiste nel dire che senza la democrazia, non ci sarà Europa!
(Applausi)
Tutto ciò s'impone e so che sarete molto
vigili su questo punto, perché seguo i vostri
dibattiti con abbastanza attenzione per non
ignorare le prese di posizione della grande
maggioranza di voi. Dopotutto, una democrazia suppone un Parlamento. Più sarà completa, più i diritti del Parlamento debbono essere, anche loro, completi. Non si può accantonare un Parlamento in un dominio riservato,
a seconda dei gusti e delle idee del momento
degli esecutivi che sceglieranno sempre la comodità. E la comodità, potrei riassumerla in
una frase che sembrerà forse iconoclastica, visto che non esprime il mio pensiero: come sarebbe piacevole una democrazia senza Parlamento! E meglio ancora senza elezioni!
(Risate)
Ma, malgrado tutto, non sarebbe saggio
che il timbro ancora umido servito per le ratifiche sia subito riformato. Occorre preservare
i grandi equilibri istituzionali e riflettete, poiché sarete voi a farlo, riflettete bene prima di
agire. L'Europa si è fatta passo dopo passo.
Non si può allungare l'andatura, ma non si
GENNAIO 1995
p u ò prendere un'andatura che non sia
conforme alla nostra natura.
I1 secondo appunto, é che i nostri futuri
negoziatori sbaglierebbero - sempre secondo la mia opinione - se, per impazienza o
stanchezza, lasciassero fare gli allargamenti in
condizioni che indebolissero la coesione e le
discipline dell'unione. Insisto su questo punto: sono completamente d'accordo per l'allargamento a tutta l'Europa democratica.
(Applausi)
Ma, nello stesso tempo, non vorrei che
quando giungerà l'ultimo aderente, aderisse a
qualcosa che non esiste già più, perché rovinato dall'interno.
(Applausi)
E un'ambizione politica immensa che vi
appartiene, un'immensa ambizione politica.
Riuscire in ciò che è molto più di una scommessa, riuscire in questo obiettivo storico; ebbene, sta a voi dimostrare che ne siete capaci,
e io farò lo stesso discorso ai governi europei.
Signor Presidente, Signore e Signori Deputati, è necessario assicurarvi, ancora una volta,
deila volontà della presidenza francese di cooperare pienamente con la vostra istituzione
per il successo della nostra impresa comune,
edificare un'Europa sempre più unita e più
vicina ai cittadini? Vi faccio veramente tanti
auguri per la riuscita dei vostri lavori.
Vi ringrazio per la pazienza e l'attenzione
con le quali mi avete ascoltato, e terminerò
con alcune parole più personali. I1 caso della
GENNAIO 1995
vita ha voluto che io nascessi durante la Prima
Guerra mondiale e che facessi la Seconda. H o
quindi vissuto la mia infanzia in un ambiente
di famiglie distrutte, che piangevano tutte per
i loro morti, e che provavano un rancore, a
volte anche odio, contro il nemico del giorno
prima, il nemico tradizionale. Ma, Signore e
Signori, il nemico è cambiato, secolo dopo secolo, le tradizioni sono sempre cambiate. H o
già avuto l'occasione di dirvi che la Francia
aveva combattuto tutti i Paesi dell'Europa,
credo, ad eccezione della Danimarca. Ci si
chiede perché.
(Applausi)
Ma la mia generazione termina il suo corso,
sono gli ultimi atti pubblici, ed è uno dei miei
ultimi. Occorre quindi assolutamente trasmettere. Siete voi stessi molto numerosi a seguire l'insegnamento dei vostri padri, ad aver
provato le ferite dei vostri Paesi, ad aver conosciuto il dispiacere, il dolore della separazione, la presenza della morte, semplicemente
a causa dell'inimicizia degli uomini dell'Europa tra di loro. Non occorre trasmettere quest'odio. Trasmettiamo invece la fortuna che
abbiamo per le riconciliazioni, a coloro che,
nel 1944-1945, insanguinati loro stessi, straziati nella loro vita personale, hanno avuto il
più delle volte l'audacia di concepire come
poteva essere un awenire più radioso fondato
sulla riconciliazione e sulla pace. È ciò che abbiamo fatto.
(Applausi)
Allora, io non ho acquisito la mia convinzione così, per caso; non l'ho acquisita nei
campi tedeschi dove ero prigioniero, o in un
Paese esso stesso occupato, situazione che
molti di voi hanno conosciuto, ma comunque, ricordo che, in famiglie con virtù di
umanità, di benevolenza, quando si parlava
dei tedeschi, se ne parlava con astio. E mi sono reso conto, quando ero prigioniero di
guerra, evaso, cioé che stavo per evadere, in
corso di evasione (ho incontrato dei tedeschi,
e poi ho vissuto per qualche tempo a BadeWurtemberg, in una prigione, e parlavo con
la gente che era lì, tedeschi) mi sono accorto,
dicevo, che amavano più la Francia che non
noi la Germania.
Dico ciò senza voler opprimere il mio Paese, che non è il più nazionalista, al contrario;
lo dico per far capire che ciascuno ha visto il
mondo dal posto in cui si trovava, e i suoi
punti di vista erano generalmente deformanti.
Occorre vincere i propri pregiudizi. Ciò che
vi chiedo è quasi impossibile, poichè occorre
vincere la nostra storia, eppure, se non si vince, dovete sapere che una regola s'imporrà.
Signore e Signori: il nazionalismo, è la guerra!
(Forti applausi)
La guerra non è soltanto il passato, essa
può essere il nostro awenire! E siamo noi,
siete voi, Signore e Signori Deputati, ad essere ormai i guardiani della nostra pace, della
nostra sicurezza e di questo awenire! Grazie.
(Applausi prolungati)
AICCRE
SEZIONE
ITALIANA
DEL
CONSIGLIO
DEI
COMUNI
E
DELLE
REGIONI
DIEUROPA
ASSOCIAZIONE EUROPEA DEI COMUNI, DELLE PROVINCE, DELLE REGIONI E DELLE ALTRE COMUNITÀ LOCALI
00187 ROMA
COMUNI D'EUROPA
i
PIAZZA DI TREVI, 86
i
TELEFONO (06) 699.40.461 (6 LINEE) - FAX (06) 6793275
GENNAIO 1995
li e regionali del CCRE che celebrerà la propria assemblea europea a Dublino nel prossimo luglio (come si può leggere in maniera
più dettagliata e completa in queste stesse
pagine del giornale). Sembra arrivato il momento di non più centrare l'attenzione sugli
strumenti (leggi, quote, speriamo limitate nel
tempo) per raggiungere una parità che risulterebbe ancora fittizia, per passare alla fase di
costruzione di una diffusa coscienza e responsabilità politica nell'universo femminile.
Anche il fatto che siano poche le donne
che «scelgono» una donna al momento del
voto può in parte essere ricondotto ad una
mancanza di fiducia in una persona che nell'opinione comune a volte più che nei fatti
- non sembra sufficientemente esperta e
preparata, o meglio non sufficientemente capace di essere «in medias res». Nell'inchiesta
in questione erano presentati una trentina di
ambiti politici tra i quali le donne interrogate
erano chiamate a scegliere i cinque settori
prioritari per:
a) favorire il progresso dell'Europa,
b) una idonea revisione del Trattato di
Maastricht,
C) l'influenza dell'UE sul miglioramento
della vita quotidiana delle donne,
cinque risposte per ognuno dei tre settori.
Analizzando le quindici scelte si ricava che le
stesse si concentrano tutte su sette dei trenta
ambiti proposti. E tra queste sette priorità assolute figurano: le pari opportunità, il lavoro,
l'assistenza, la scuola, la salute, e come dicevamo l'ambiente, nessuna menzione circa
l'importanza dell'assetto istituzionale dell'Europa, la moneta unica, il mercato, l'economia, che attualmente sembrano essere la
più difficile scommessa per un'Europa unita,
senza nulla togliere all'importanza del sociale. (Per un'analisi più dettagliata di quanto
esposto rimandiamo alle tabelle). A conferma
di quanto detto sembra utile fare riferimento
anche ad un'altra domanda del questionario
che riguardava in modo specifico l'assetto
politico che le donne preferirebbero per la
futura Europa, ossia se federale o intergovernativa, cioè basata - come attualmente su trattati sottoscritti all'unanimità da tutti
gli Stati aderenti al1'U.E. La maggior parte ha
risposto che preferisce il mantenimento dello
statu quo, a dimostrazione che il rischio politico della costruzione di un'Europa più democratica non coinvolge la maggior parte
delle cittadine dell'unione alle quali sembra
che sia sufficiente un'Europa in grado di rispondere a precise quotidiane esigenze, resta
Un dovere
Abbonarsi a «Comuni d'Europa» è un
dovere individuale per tutti gli amici e i
colleghi. Per gli Enti è un dovere abbonare tutti i loro consiglieri eletti.
Da questi impegni, in realtà, si verifica
la coerenza dell'impegno europeo e federalista: questo impegno «Comuni d'Europa», che si stampa col '95 da 43 anni, lo
merita. Lo meritano la sua capacità di
informare, la spregiudicatezza dei suoi
giudizi, la cultura dei suoi collaboratori,
la sua coerenza federalista.
GENNAIO 1995
da dimostrare se lo potrebbe essere mantenendo le bocce ferme.
Questo quadro piuttosto problematico del
rapporto donne e politica appare ancor più
«grave» se si pensa che le intervistate appartengono tutte al mondo dell'associazionismo,
un mondo che esprime il parere delle donne di
norma più impegnate e preparate, avendo scelto di operare in una associazione che le ha senza dubbio aiutate ad essere, se non altro, più
attente al contesto in cui vivono ed operano.
Si può ¶uindi concludere che dall'esame
piuttosto schematico di questi primi risultati
dell'inchiesta, ma anche dall'analisi dell'attuale rappresentanza delle donne in politica
- escluse poche eccezioni che non fanno testo - appare evidente come la prossima sfida che attende le associazioni femminili debba essere quella di contribuire alla crescita
della consapevolezza che la complessità della
politica richiede un impegno a tutto campo.
m
Donne, politica, democrazia
Nel direttivo del CCRE tenutosi a Parigi i giorni l e 2 dicembre 1994 si è deciso che la V Conferenza europea delle amministratrici locali e regionali si svolgerà a Dublzko dal 6 ~11'8luglio
1995. E' un appuntamento importante che ha bisogno non solo di essere presentato adeguatamente e per tempo, ma di sollecitare nei paesi membri dell'Unione europea e, nel limite del possibile, anche in quelli delI'Europa centrale e orientale un ampio dibattito preventivo.
In occasione delle precedenti quattro conferenze ciò non è stato possibile, ma per la V la possibilità c'è e ogni sforzo sarà fatto affinchè le delegazioni giungano a Dublino avendo già maturato
nei paesi di provenienza un punto di vista collettivo. Ciò eviterà la frammentazione in interventi
individuali estemporanei o - meglio -fornirà una base articolata e nel contempo solida sulla
quale tali interventi potranno assumere un valore particolare e maggiore. Per quanto concerne il
nostro paese, l'AICCRE organizzerà in primavera un seminario nazionale, al quale speriamo partecipino molte amministratrici locali e regionali
Per questo, fin da ora attraverso la nostra stampa presentiamo la Conferenza; successivamente
apriremo con articoli specifici il dibattito che precederà il seminario. La cura che dedichiamo alla
preparazione della Conferenza deriva da tre fattori
l . La Commissione delle elette locali e regionali del CCRE, al momento della IV Conferenza
di Heidelberg nel 1772, era all'inizio della sua attività. Negli ultimi tre anni ha raggiunto una
maggiore funzionalità e ha maturato esperienza e prodotto molte attività. Tutto ciò I'ha portata a
organizzare con maggiore attenzione questa V Conferenza, dalla quale ci si aspettano risultati importantt.
2. A Dublino sarà presente un numero di delegazionipiu ampio di quello che si ebbe ad Heidelberg: infatti non solo si prevede la partecipazione di quelle austriaca, finlandese e svedese, ma
anche delle delegazioni provenienti dai paesi del centro-est Europa, con i quali la Commissione
del CCRE ha avuto, specialmente nel 1994, rapporti abbastanza intensi.
3. I1 tema centrale della Conferenza è «Donne, politica, democrazia». Non si dà democrazia là
dove il «demos», il popolo, non è rappresentato in modo equo ed equilibrato nei posti di decisione; non si dà dunque vera democrazia là dove le donne, che rappresentano oltre il 50% della popolazione, non sono rappresentate in modo equo ed equilibrato nei posti di decisione, dai governi
locali e regionali ai parlamenti nazionali e a quello europeo.
Se l'aspirazione a superare il deficit di democrazia di cui I'UE soffre è davvero condivisa dalla
maggioranza dei cittadini europei, risulta evidente che i lavori della Conferenza di Dublino non
interesseranno solo le donne ma ìnteresseranno tutti, proprio come da sempre affermiamo, che la
soluzione dei problemi femminili coinvolge I'intera politica.
La Conferenza si articolerà in due parti. Nella prima il tema «Donne, politica, democrazia»
sarà affvontato sul piano teorico e su quello pratico. Due specifiche relazioni metteranno a fuoco
l'una il nesso tra democrazia e presenza femminile al potere, sul piano storico,filosofico-politico,
l'altra i risultati di un esame condotto sulla situazione attuale in varie parti d'Europa, rispetto al
rapporto fra il livello di democrazia e la partecipazione delle donne al potere.
Nella seconda parte si procederà per gruppi di lavoro, che esamineranno come e in quale misura nei paesi dell'UE siano stati superati gli ostacoli che impediscono o limitano la partecipazione
delle donne alla gestione del potere. UnJattenzioneparticolare verrà rivolta alla situazione delle
donne nei paesi del centro-est Europa.
È prevista la presenza di donne parlamentari europee, membri del Comitato delle Regioni e
degli Enti localt; del CPLRE; in tal modo ci si propone di saldare le varie esperienze su un tema
cosi importante, soprattutto alla vigilia della revisione del Trattato di Maastricht.
Queste le prime sommarie notizie sulla Conferenza di Dublino, che abbiamo voluto dare per
tempo in modo da suscitare il prima possibile interesse ed attenzione, con la speranza che su queste pagine cominci ad aprirsi un dibattito con gli amministratori (non solo con le amministratrici)
e con quanti troveranno interesse a parteciparvi
Fausta Giani Cecchini
Presidente della Commissione elette locali del CCRE
COMUNI D'EUROPA
la Toscana all'avanguardia
La sfida è sostenere le strategie comunitarie
di Luigi Badiali *
Com'è noto, in questi ultimi anni, la Regione Toscana sta sviluppando una presenza
molto forte sul versante delle Politiche Comunitarie. Non a caso credo sia una delle poche
Regioni d'Italia ad avere un Assessorato alle
Politiche Comunitarie, che si dedica quindi
completamente alla politica di questo settore.
Avendo, inoltre, nell'organigramma della
Giunta Regionale, i colleghi che soprintendono ai singoli programmi comunitari, credo
che il modello organizzativo che abbiamo stabilito come Regione Toscana sia da perseguire nel resto delle Regioni, tanto più che oggi
si fa un gran parlare di una «cabina di regia»
governativa che in qualche modo metta insieme i vari livelli nazionali tra loro. Analogo lavoro abbiamo in mente di realizzare sul versante regionale all'interno della Giunta Regionale come pure all'interno dei rapporti con le
istituzioni locali e con i soggetti sociali e imprenditoriali a livello territoriale. Dobbiamo
pagare tutti un prezzo rispetto all'evoluzione
continua dei fondi comunitari soprattutto legati alla dimensione regionale - parlo dei
fondi strutturali - che hanno avuto una prima attuazione attraverso i fondi che agivano
in modo separato tra loro; Fesr, Feoga, FSE;
successivamente con i PIM (Programmi Integrati Mediterranei), sui quali la Toscana ha
maturato una forte esperienza, con il DNIC
(aiuti per l'arcipelago toscano, in quanto excassa del mezzogiorno), e con il Regolamento
2052/88, si è realizzata una forte esperienza;
in pa,rticolare il 2052/88 quale primo regolamento comunitario che riformava profondamente i fondi strutturali. In Toscana si è potuto realizzare con un certo successo il programma, dell'ultimo quinquennio, attorno
agli obiettivi 2, 5b, 3 , 4 e 5a. Adesso siamo alla seconda generazione di questo meccanismo
finanziario: il 2081/93, che porta ulteriori modifiche, soprattutto perché fa interagire fra di
loro in modo più coeso i fondi. Non a caso oltre allo strumento programmatorio, il Quadro
di Riferimento di Sostegno, il piano attuativo
è diventato un Piano Operativo Plurifondo e i
due strumenti si sono fusi tra loro.
Questo sul piano tecnico operativo comporta delle modifiche: intanto un'abbreviazione dei tempi, ma soprattutto una diversa corrispondenza tra i contenuti e le risorse, tra gli
obiettivi del programma e il modo di spendere le risorse. Io voglio semplicemente far capire che il meccanismo che interessa in particolare le Comunità Montane riguarda il programma legato all'obiettivo 5b. (ci sono alcune aree montane che hanno l'obiettivo 2, ma
mi pare che questo si limiti solo al territorio
della Comunità Montana delle Apuane che è
in via di scioglimento).
Per il resto, l'interesse dei territori montani
toscani è legato ai destini dell'obiettivo 5b.,
ma credo anche che vi sia un forte interesse
* Assessore alle politiche comunitarie della Regione Toscana. Intervento alla Conferenza regionale Toscana sulla
montagna, Firenze 22-23 novembre 1994
da parte delle Comunità Montane delle Apuane al programma obiettivo 5a., che riguarda il
potenziamento deìi'agricoltura e della pesca,
anche interna. Legato all'obiettivo 5b. abbiamo Leader 11; su questo programma sicuramente siete stati interessati e coinvolti. Vi è la
possibilità però di fare agire anche le Iniziative Comunitarie che secondo noi hanno tutte
le chances per essere spese nel territorio delle
Comunità Montane. Ne cito una per tutte,
importantissima: l'iniziativa comunitaria legata alla piccola e media impresa. Sapete che le
iniziative comunitarie sono passate da 33 nel
quinquennio passato a 13 soltanto in questo;
in particolare ce ne sono alcune sul versante
sociale: Horizon, Now, Youthstart - che sono legate al versante sociale, al lavoro, alle
qualificazioni dei soggetti deboli del mercato
del lavoro, alla collocazione dei giovani. Ma
in particolare questo versante delle piccole e
medie imprese, credo sia una caratteristica assolutamente inscindibile e tipica dell'economia delle Comunità Montane, per cui la partecipazione ai bandi dell'iniziativa comunitaria PMI è molto importante. Ma dov'è la strategia basilare che i fondi comunitari si propongono? Sostanzialmente è nell'effetto volano che essi vogliono assumere: un effetto moltiplicatore di investimenti. Debbo aggiungere
che le risorse che arrivano d a Bruxelles, d a
spendere all'interno di determinati programmi, si richiamano al Libro bianco di Delors, e
alle strategie che vi si ispirano. La politica comunitaria ha portato avanti questa linea nell'attuare sia i programmi legati ai fondi strutturali sia alle iniziative comunitarie. Da sottolineare infine per quanto vi può interessare le
linee legate al documento Europa 2000 PIU
che evidenziano una strategia urbanistica e di
programmazione dell'intero territorio europeo per i prossimi anni. Sarebbe assurdo immaginare ancora specificità o diversità che
non tenessero conto di questa dimensione che
è un ragionamento politico e programmatorio
a livello di sistema Paese Europa.
Quello che oggi bisogna acquisire è questo
concetto sistema Paese, di mercato interno.
Non sarà facile, ma in questi cinque anni ci
giocheremo una credibilità a stare o non stare
nell'Europa del dopo-Maastricht, a stare forse
in un'Europa a due velocità (che non vogliam o ) , ma che rischia di vederci esclusi dal
gruppo di testa. Sicuramente ci giochiamo la
capacità a stare dentro con molte scommesse:
sul piano istituzionale, sul versante dell'economia, sul versante del funzionamento della
macchina pubblica. Allora, recuperare su
questo terreno, contenuti e strategie, diventa
importantissimo. I1 bilancio dell'unione Europea nei prossimi sei anni verrà raddoppiato;
ciò vuol dire che gli Stati membri attiveranno
un gettito a favore di Bruxelles raddoppiato.
Le dimensioni dei fondi che transitano attraverso le Regioni passano dal 35% al 43 % del
totale - questo dato è stato comunicato ieri
in un convegno a Saarbrucken del Direttore
generale Landaburu della DG XVI - quindi
crescono in dimensioni rispetto al passato, ma
anche rispetto ad un bilancio che si raddoppia in sei anni; la quota di risorse che arriva
da Bruxelles attraverso le Regioni comincia a
diventare consistente. Basti dire che la Regione Toscana, che è riuscita a farsi riconoscere
il d o p p i o della popolazione eligibile nell'obiettivo 2 e nel 5b., si trova per l'effetto del
raddoppio delle risorse a quadruplicare, di
fatto, le risorse comunitarie nei prossimi sei
anni. Seimila miliardi di investimenti, questo
è il dato che va registrato. Esiste un'altra quota di finanziamenti, che sarà pure raddoppiata, che non transita attraverso le Regioni, ma
che l'Unione Europea assegna ai singoli soggetti (pubblici o privati) attraverso bandi diretti a cui bisogna avere la capacità di partecipare, dopo averne scoperto l'esistenza.
È per fornire un'informazione capillare su
questo versante che la Regione Toscana si sta
adoperando attraverso la realizzazione di un
sistema informativo regionale collegato ai
Centri Servizi (Bic, Eurosportelli, etc.), al fine
di favorire un'opportunità ulteriore di accesso
a importantissime risorse. Una informazione
che metta in grado il singolo soggetto di conoscere le risposte esistenti al proprio problema e quale tra queste privilegiare. Con questo
piccolo valore aggiunto il momento pubblico
dovrebbe poter dare un servizio a costi bassissimi a ciascun cittadino toscano. Perciò si sta
aiutando la nascita, la crescita e il consolidamento dei Centri Servizi, dei Bic, degli Eurosportelli capaci di dare successivamente l'assistenza tecnica per partecipare a questi bandi
europei extra-regionali.
Sono convinto che se su questo modello ci
concentreremo e lo realizzeremo, il «picco»
della presenza ai bandi comunitari e della capacità di portare finanziamenti europei in Toscana crescerà enormemente rispetto alla già
alta capacità che abbiamo oggi.
In buona sostanza, e concludo, mi pare che
credere fino in fondo in queste opportunità
dei finanziamenti europei, buttarsi a sperimentare, entrare in questi meccanismi e circuiti, rappresenti sempre più un versante vitale per qualunque Amministratore locale, anche perché nuovi serbatoi di risorse nazionali
o regionali (finché non vi saranno le riforme)
non potremo averne.
Oggi, quelli italiani sono serbatoi pressoché vuoti - al limite possono riuscire a co-finanziare finanziamenti europei che arrivano
sul versante dei fondi strutturali -. Ma iinmaginare di avere ancora innumerevoli risorse
sul versante nazionale o regionale, credo sia
una strada sempre meno percorribile per il
prossimo futuro.
Quindi diventa strategico arrivare ai finanziamenti europei, imparare come arrivarci e
soprattutto farlo bene, perché ripeto, uno dei
criteri per la riconferma eventuale, per la riattribuzione di ulteriori finanziamenti è quello
non solo di portarli a casa ma di saperli spen(segue a pag. l>)
GENNAIO 1995
cosa si muove in Europa?
Riflessioni del Gruppo ««Arderne»in vista
della revisione di Maastricht
I1 Gruppo «Ardenne», costituito nel giugno
1993 da cittadini italiani che operano nell'ambito delle istituzioni dell'unione europea, ha
diffuso un anno fa un «Memorandum per la ricostruzione dell'unione europea». In tale memorandum, il Gruppo considerava che la prospettiva dell'ampliamento dell'unione a quattro paesi dell'AELE e - a medio termine l'estensione del processo di integrazione comunitaria all'est dell'Europa richiedeva:
- una riflessione urgente su un modello
di Unione tale da permettere in futuro l'unificazione democratica del continente europeo;
- l'adozione di alcune essenziali riforme
«costituzionali» per rendere l'Unione nello
stesso tempo democratica ed efficace;
- l'esplicita disponibilità di una maggioranza di paesi membri a costituire un nucleo
più integrato federale, nel caso in cui non fosse stato possibile raggiungere un accordo
unanime fra tutti i paesi membri su tali riforme costituzionali.
In quest'ultimo anno e nonostante i segnali
positivi di ripresa economica, la coesione interna fra i paesi membri dell'unione europea
si è affievolita, i governi hanno agito più volte
- individualmente o collettivamente - in
contrasto con i principi, le norme o gli obiettivi fissati dal Trattato di Maastricht, mentre a
livello internazionale si è confermata drammaticamente l'impotenza dell'unione europea (e delle altre organizzazioni internazionali
coinvolte: CSCE, NATO ed O N U ) nei tentativi per porre fine alla guerra civile nella exJugoslavia.
Malgrado l'apertura - ancorché timida del Trattato di Maastricht verso la nascita di
una vita politica europea, i partiti si sono presentati alle elezioni europee in ordine sparso
ed hanno concentrato la loro campagna su
contrasti nazionali, anche laddove la realtà
politica, sociale ed economica ha messo inequivocabilmente in luce l'inefficacia di azioni
statuali e l'urgenza di misure comuni. In questo quadro, l'ulteriore calo della partecipazione dei cittadini alle elezioni europee è stato il
segno dell'accentuato allontanamento dell'opinione pubblica dalle istituzioni dell'Unione europea.
Nonostante la diffusa consapevolezza dello
stato di crisi nel quale versa dunque il processo di integrazione comunitaria, le istituzioni
dell'unione europea si erano inizialmente avviate verso la preparazione della revisione di
Maastricht nel 1996, irresponsabilmente guidate dalla convinzione che il metodo, il programma ed il calendario della Conferenza intergovernativa avrebbero dovuto ricalcare le
orme di quella svoltasi nel 1991.
Certo, prima della firma dei trattati di adesione, numerose erano state le dichiarazioni
- spesso ultimative - di chi esigeva il rinvio
GENNAIO 1995
dell'ampliamento in attesa dell'approfondimento: il Parlamento europeo, il Bundestag, il
governo francese, il governo belga, per citare
solo quelle più autorevoli.
Jacques Delors aveva personalmente condotto una campagna di sensibilizzazione presso i governi nazionali per ottenere una seria
riflessione sulle conseguenze dell'allargamento, ma il Consiglio europeo di Lisbona, nel
giugno 1992, aveva ignorato i consigli di Delors e le dichiarazioni degli stessi governi nazionali e del Parlamento europeo.
I1 calendario deciso a Lisbona è stato pienamente rispettato, se si esclude il risultato
negativo del referendum in Norvegia; ma la
preparazione della revisione di Maastricht ha
assunto un carattere molto diverso dopo la
diffusione ufficiale del documento «Rlfiession i sulla politica europea della Germania», elaborato dal gruppo parlamentare CDU/CSU al
Bundestag.
L'iniziale visione di una «piccola» revisione
del Trattato di Maastricht è stata così messa
in discussione dalla presa di posizione tedesca, che preannuncia un confronto politico di
fondo sul futuro modello di Unione europea e
che ha già provocato le reazioni sostanzialmente positive di Jacques Delors (in una serie
di interviste a «Libération», «Der Spiegel» e
«Les E c h o s » ) , d e l p r i m o ministro belga
Dehaene e del suo ministro degli esteri Vandenbroucke (in una relazione alla Camera dei
Rappresentanti del Belgio), e sostanzialmente
negative dei primi ministri francese Balladur e
britannico Major e dei ministri degli esteri tedesco Kinkel e italiano Martino.
Pur respingendo l'idea di un nucleo predeterminato di paesi, il Parlamento europeo ha
ribadito nello scorso settembre il principio secondo cui uno Stato membro non potrà ostacolare la volontà di una maggioranza di partners di approfondire l'integrazione politica a
livello sovranazionale.
L'analisi e le proposte dei democristiani tedeschi non sono né una novità in Germania
( l ) , né per l'Europa (2) ed anzi - se limitate
al settore monetario - trovano già applicazione nelle procedure previste dal Trattato di
Maastricht per l'avvio della terza fase dell'Unione economica e monetaria, prendendo
in esame la questione più ampia dell'integazione politica e del quadro «quasi-costituzionale» destinato a governarla.
Già nell'autunno 1993, il Gruppo «Ardenne» - richiamandosi alle idee ed all'azione di
Altiero Spinelli - aveva sostenuto l'ipotesi di
un nucleo federale limitato ad un primo gruppo di paesi, sottolineando tuttavia che il numero di tali paesi non poteva essere predeterminato fin dall'inizio.
Ad un anno di distanza, il G r u p p o «Ardenne» ribadisce oggi tale ipotesi, sottolineando:
- che essa dovrà costituire non il punto
di partenza del negoziato per la revisione di
Maastricht, ma la via obbligata nel caso in cui
una minoranza di paesi non voglia sottoscrivere una riforma costituzionale dell'unione in
senso federale;
- che l'eventuale nucleo ristretto deve
fondarsi su un patto per gestire in comune in seno ad un'organizzazione sovranazionale
della democrazia - la politica economica e
monetaria, la sicurezza esterna ed interna, la
solidarietà sociale, la protezione dei diritti
dell'uomo, la qualità della vita e dell'ambiente;
- che, pur non escludendo a priori l'ipotesi di un'unione alla quale aderiscano progressivamente tutti i paesi democratici dell'Europa (che partecipino alle stesse istituzioni comuni, che condividano gli stessi obiettivi
fondamentali ma che accettino di realizzarli
secondo un sistema transitorio di partecipazione differenziata), debba essere valutata in
tutti i suoi aspetti positivi l'ipotesi (già avanzata nel progetto Spinelli del 1984 e rilanciata
all'indomani del primo referendum danese):
di un cerchio ristretto ed integrato di
paesi, dotato di istituzioni comuni sovranazionali ed aperto a tutti coloro che ne condividon o gli obiettivi e la struttura costituzionale
(primo cerchio);
con un cerchio più largo che comprenda
tutti i partners della Comunità-Unione eventualmente ampliata ai paesi candidati (secondo cerchio);
un cerchio che comprenda tutti i paesi
d'Europa, escluse le Repubbliche della CE1
(terzo cerchio);
ed un cerchio che si estenda a tutto il
continente, ivi comprese le Repubbliche della
CE1 (quarto cerchio) (3).
I1 Gruppo «Ardenne» è tuttavia convinto
che sia necessaria una riflessione su talune
«idee-forza» della società europea, preliminare all'identificazione ed ail'elaborazione delle
soluzioni costituzionali capaci di garantire la
governabilità ed il carattere democratico dell'Unione europea. Tale necessità appare evidente se si considerano:
- la prospettiva di un processo di unificazione, potenzialmente aperto a tutti i paesi
democratici del continente europeo;
- l'esigenza di sostituire all'ordine europeo dettato dall'equilibrio bi-polare ed al disordine europeo succeduto alla rivoluzione
del 1989 un nuovo ordine basato sui principi
della democrazia, della solidarietà e della sicurezza;
- l'esigenza di mobilitare l'interesse di
quell'opinione pubblica formata da generazioni che non hanno visto la guerra, né il do-
po-guerra, né la nascita delle prime Comunità
europee.
I1 Gruppo «Ardenne» intende contribuire
a questa riflessione, approfondendo in particolare, in un proprio documento che sarà diffuso nella prossima primavera:
- la frammentazione delle «grandi» identità collettive (gli Stati-nazione, le classi, i partiti.. .), l'emergere di identità diverse, come le
regioni, ed il contemporaneo riemergere di
spinte verso l'esasperazione degli interessi nazionali e di rifiuto degli «estranei» (la xenofobia ed il razzismo);
- i problemi della nuova convivenza in
una società multietnica e multirazziale;
- le sfide derivanti dallo sviluppo della
società dell'informazione e dai mutamenti nei
settori della formazione e della ricerca;
- le risposte all'alto livello di disoccupazione ed all'aumento dell'esclusione sociale;
- le misure per rendere efficace la lotta
alla degradazione della qualità della vita e
dell'ambiente;
- i mutamenti nelle relazioni internazionali e l'urgenza di gettare le basi di un nuovo
ordine, non solo per garantire la sicurezza nel
continente europeo ma anche per rispondere
all'esigenza di un «governo» dell'economia,
del commercio, dello sviluppo e della protezione dei diritti dell'uomo a livello mondiale.
P u r non avendo l'ambizione di indicare
una soluzione adeguata a tutti questi problemi, il Gruppo «Ardenne» vuole tuttavia mettere l'accento sulla necessità di radicare le
scelte costituzionali che dovranno essere effettuate nel 1996 all'interno di un contesto di
principi e di obiettivi fondamentali che devon o caratterizzare la nascita e la vita del nuovo
modello di società europea.
La prima condizione per garantire il rispetto di tali principi e lo sviluppo di politiche comuni per raggiungere tali obiettivi risiede nel
rafforzamento delle regole democratiche a livello del sistema costituzionale sovranazionale. Si tratta di «aggiungere» alla difesa della
democrazia all'interno degli Stati la definizione di alcune fondamentali regole democratiche che impegnino gli Stati, le istituzioni dell'Unione ed i cittadini che ne fanno parte.
L'organizzazione della democrazia a livello
dell'unione deve porre al suo centro - a giudizio del gruppo «Ardenne» - la questione
della funzione di governo e quindi della governabilità del processo di integrazione politica, economica, monetaria e militare. E questo
un principio che tocca l'interesse e l'attenzione dei cittadini, molto più di clualunque discorso di ingegneria istituzionale.
L'Europa ha bisogno di un forte sistema
politico di governo a livello sovranazionale.
Tale sistema deve comprendere in particolare
e nello stesso tempo:
- la procedura uniforme di elezione del
Parlamento europeo;
- una procedura di nomina della Commissione europea ed una sua composizione
che ne consolidino il carattere di Esecutivo
politico dell'unione;
- una composizione delle funzioni del
Consiglio dei Ministri, che accentuino il carattere di autorità legislativa dell'unione (su
un piede di eguaglianza con il Parlamento europeo) e la natura di Camera degli Stati (la
Camera Alta nei sistemi federali).
Al centro del sistema di governo deve esserci - a giudizio del Gruppo «Ardenne» un Esecutivo politico, con poteri limitati ma
reali sia sul piano interno che su quello internazionale.
Sulla questione del «governo» europeo, si è
già manifestato un dissenso profondo fra gli
orientamenti espressi dai tedeschi (il documento della CDU) e dai belgi (soprattutto la
relazione del ministro degli esteri Vandenbrouke alla Camera dei Rappresentanti), da
una parte, e le posizioni di Major, Balladur ed
Antonio Martino, dall'altra.
I1 Parlamento europeo dovrà fare una chiara scelta su questo punto in vista della revisione nel 1996.
L'organizzazione della democrazia a livello
europeo è stata da tempo identificata con
l'esigenza di assicurare un effettivo equilibrio
di poteri fra il Parlamento europeo - che
rappresenta gli interessi dei cittadini dell'Unione nel loro insieme - ed il Consiglio
dei Ministri - che rappresenta gli interessi di
ciascuno Stato: dopo oltre quarant'anni di esistenza del Parlamento europeo e di fronte aila
massa crescente di «leggi» europee che incidono sulla vita di tutti i cittadini, qualunque
ipotesi riduttiva rispetto al raggiungimento di
tale effettivo equilibrio non potrà più essere
accettata. I principi democratici esigono inoltre che l'eguaglianza dei poteri si estenda dal
settore legislativo a quello finanziario ed a
quello delle modifiche costituzionali.
Ciò vuol dire che la Conferenza del 1996
dovrà essere fatta scartando l'ipotesi di un
tradizionale negoziato diplomatico, ma riconoscendo alla Commissione europea (la cui
legittimità politica e democratica uscirà
rafforzata dal voto di fiducia del Parlamento
europeo) il diritto di iniziativa «costituzionale» ed applicando alla revisione di Maastricht
i principi e le procedure previste dal trattato
nella codecisione legislativa.
I1 Parlamento europeo deve rivendicare tale diritto di codecisione «costituzionale», considerandolo l'atto preliminare nella preparazione del 1996 e preannunciando che non voterà il proprio parere sulla convocazione della
Conferenza intergovernativa fino a quando i
governi n ~ n ' ~riconosceranno
li
tale diritto.
L'organizzazione della democrazia a livello
europeo non si può tuttavia fermare al raggiungimento dell'equilibrio di poteri fra il
Parlamento europeo ed il Consiglio. Essa deve estendersi alla definizione di norme comuni che consentano lo sviluppo di una vera cittadinanza dell'unione, agiscano come correzione delle distorsioni sociali, creino nuovi diritti nei settori della società dell'informazione
e della cultura.
Accanto al «deficit democratico» deve essere inoltre superato anche il «deficit sociale»,
attraverso lo sviluppo dei diritti sociali fondamentali - inclusi quelli di associazione e di
azione sociale a livello europeo.
Poiché la democrazia sarà organizzata a vari livelli - locale, regionale, nazionale ed europeo - occorrerà prevedere procedure e regole di partecipazione reale dei vari livelli alle
decisioni ed al controllo. I1 Gruppo «Ardenne» ritiene che debba essere percorsa priori-
tariamente la via di una modifica della composizione del Consiglio. A partire dalla situazione attuale, che vede due Stati (la Germania
ed il Belgio) rappresentati anche da «delegati» dei Lander o delle Comunità e Regioni,
occorre prevedere la presenza ~costituzionalizzata» di delegazioni permanenti che rappresentino gli «Stati-ordinamento» e quindi
anche le regioni laddove esse fanno parte delle articolazioni costituzionali dello Stato.
Ciò è essenziale per garantire maggiore efficacia alla rappresentatività delle istanze regionali, confinata per il momento ad un ruolo
consultivo nel Comitato delle Regioni e degli
Enti Locali. Un'attenzione particolare dovrà
essere inoltre rivolta verso i poteri locali e le
grandi aree urbane, il cui ruolo deve essere
definito in modo autonomo rispetto a queilo
deile regioni.
Per quanto riguarda i parlamenti nazionali,
il Gruppo «Ardenne» è fortemente preoccupato della volontà in atto in alcuni Stati membri, che tende ad attribuire all'espressione
deile legittimità democratiche nazionali compiti legislativi e di controllo che devono appartenere invece al dominio esclusivo dell'espressione della legittimità democratica a liveil? europeo.
E tuttavia indispensabile garantire l'effettiva partecipazione dei parlamenti nazionali alla definizione delle «regole» fondamentali
dell'organizzazione deila democrazia europea.
In questo spirito, si potrebbe riflettere sull'ipotesi deila creazione di una sorta di «Conferenza interparlamentare» dell'unione (4)
(composto per metà da parlamentari europei
e per metà da parlamentari nazionali e suddiviso al suo interno in gruppi politici e non in
delegazioni nazionali) i cui compiti potrebbero riguardare: le adesioni di nuovi Stati membri; le modifiche alla costituzione dell'unione; la fissazione delle prospettive finanziarie
pluriannuali e quindi il livello delle risorse
proprie attribuito all'unione. Le decisioni
dalla Conferenza interparlamentare d e l l'Unione a maggioranza qualificata permetterebbero di superare l'ostacolo delle ratifiche
(unanimi) a livello nazionale.
Sulla base di queste prime riflessioni, il
gruppo «Ardenne» intende promuovere nelle
prossime settimane la costituzione di un «Osservatorio 1996», come luogo informale di incontro e di proposta per esponenti delle forze
economiche, sociali e politiche italiane.
Bruxelles, 8 dicembre 1994.
(1) Basta ricordare la tesi di Brandt per un'Europa a due velocità, avanzata nel 1974; i risultati di una ricerca condotta da
Christoph Casse e Eberhard Grabitz sull'Europa a due velocità
come soluzione di ricanibio al concetto di integrazione tradizionale, pubblicati nel 1984; la risoluzione di Klaus Hansch sul
nuovo ordine europeo. approvata dal Parlamento europeo nel
gennaio 1993 e. soprattutto, il dociimento elaboraro dal parlamentare tedesco Laniors sulla «responsabiiità della Germania in
politica estera», esaminato dal gruppo parlanientare della
CDUiCSU del settembre 1994.
(2) Se si considerano le proposte di Tindemans del 1976. le
idee di Delors sull'Europa a geometria variabile del 1980 e sui
cerchi concentrici del 1989, la proposra di Mitterrand nel maggio 1984 per un'Europa politica aentre ceux qui voudrontn e,
soprattutto, il progetto Spinelli del febbraio 1984 ed in parricoIaie il suo artiFoIo82.
13) L'Europa dei cerchi «concentrici» di Jacques Delors e
non auella dei ccrchi «olim~ici»(l'uno intrecciato all'altroi di
~ a l l a d uer Malor.
(4) Sul modello di quella prevista in Francia per la modifica
della costiruzione (il Congresso di Versailles) o delle relazioni
che esistono fra le due Camere in alcuni sistemi federali (Germania).
GENNAIO 1995
riduzione dell'orario di lavoro e lotta alla disoccupazione
I sindacati europei si interrogano
di Silvana Paruolo *
I sindacati d'Europa si interrogano sulle
correlazioni tra riorganizzazione/riduzione
dell'orario di lavoro e lotta alla disoccupazione/e qualità della vita e dello sviluppo.
Quali i quesiti sul tappeto? Esiste un modello europeo di riduzione dell'orario del lavoro? E uno slogan comune a tutti i sindacati
d'Europa? È giunto il momento di un'Europa che punti su un nuovo progetto di società?
A differenza degli Usa e del Giappone, in
materia di politica del tempo di lavoro, in
Europa non esiste un vero e proprio modello europeo. Una cosa è comunque certa i
sindacati non possono e non vogliono restare spettatori delle iniziative in materia di
riorganizzazione del tempo di lavoro dei datori di lavoro, che siano queste collettive o
risultati di compromessi individuali con i salariati.
«Un tempo per lavorare, un tempo per vivere» questo il titolo della Conferenza CesIse tenutasi a Dusseldorf il 7 - 8 dicembre
1994: vera e propria occasione di un dibattito aperto e immaginativo per far fronte a disoccupazione e parità uomo-donna, per cogliere piste di azioni comuni, e per individuare quanto già avviato.
Si può dire che c'è già uno slogan comune a sostituzione delle 35 ore? Forse no. Comunque i suggerimenti non mancano. C'è
chi promuove la «settimana di 4 giorni». C'è
chi constata che non c'è una ricetta unica
(perché ci sono situazioni differenziate) ma
c'è un obiettivo comune: puntare a una graduale riduzione per ricadute occupazionali.
C'è chi ritiene che l'obiettivo delle 35 ore è
addirittura superato dalle esperienze già realizzate, ad esempio l'accordo Wolsvaghen-Ig
metal. E c'è chi considera più opportuno le
28-32 ore se si pensa all'introduzione di un
quinto turno.
Da parte sua, I'Unice (il padronato europeo) non crede in una riduzione generalizzata degli orari, né che una persona accetterebbe una riduzione di salario, né che le imprese siano disponibili a più spese. Considera però interessante l'adattamento rivendicato dai sindacati sull'arco di vita.
Nelle sue conclusioni, Emilio Gabaglio
(Segretario generale della Confederazione
europea dei sindacati) ha sottolineato: «La
questione dell'orario di lavoro è una questione di società. È una rivoluzione culturale
non solo dell'organizzazione del lavoro ma
di moderni negoziati del sindacato. La riduzione degli orari e la riorganizzazione del
tempo, sono un elemento forte della nostra
strategia per l'occupazione e una migliore
qualità della vita. Non c'è contraddizione
tra rilancio della crescita economica, appog-
* Dipartimento internazionale della CGIL. Esperta del
Comitato economico e sociale dell'Unione europea.
GENNAIO 1995
giata da una buona politica di formazione, e
la politica della riduzione degli orari. Occorre uscire dalla logica nominale di Maastricht
per mirare a una politica di convergenza
reale cercando di limitare l'inflazione. Crescita e riduzione degli orari sono complementari. Da tempo i datori di lavoro pongono l'accento su flessibilità e riduzione degli
oneri sociali. Qui i toni dell'unice sono stati
un po' sfumati. Occorre vedere se i fatti seguiranno le parole. Occorre essere immaginativi e creativi. Quali sono gli elementi per
una possibile strategia d'equilibrio tra tempo di lavoro e tempo libero e privato? La
prima esigenza è la creazione di posti di lavoro. Non è detto che la riduzione di orario
si traduca in riduzione di salario.
«La compensazione salariale, totale o relativa è comunque un problema. Per garantire le non-rotture durante la vita attiva c'è
una cassetta di strumenti: pre-pensionamenti progressivi, ecc. Occorre liberare gli elementi di quello che alcuni chiamano nuovo
accordo sociale per una crescita durevole, e
per la creazione di nuovi posti di lavoro.
«Approfitto della situazione per un messaggio della Ces: il fatto che il Protocollo di
Maastricht abbia aperto la via convenzionale
per l'Europa sociale non significa deresponsabilizzazione legislativa. L'ho sottolineato
anche durante l'incontro con il cancelliere
Kool sì alla promozione del part-time, ma
deve essere un part-time garantito per i la-
voratori, attraverso una legislazione europea
del part-time».
In un contesto di forte aumento della disoccupazione, e in particolare della disoccupazione di lunga durata, uno studio della
Ces «Durata e Organizzazione del tempo di
lavoro: la tensione tra regolamentazione collettiva e scelte individuali», rileva un doppio
movimento:
1. riduzione dell'orario previsto dalle
norme collettive (benché l'obiettivo delle 35
ore si stia concretizzando solo in Germania),
controbilanciata da un aumento della durata
effettiva del lavoro tramite lo straordinario
(Regno Unito, Francia, Spagna, Italia) o ancora tramite la tendenza a scivolare dal parttime (tempo parziale) corto verso un part-time lungo;
2. uno sviluppo importante di misure di
flessibilità che hanno indotto una profonda
diversificazione di ritmi, durata e orari di lavoro degli individui. Basti pensare all'estensione e diversificazione di ritmi, durata e
orari di lavoro degli individui. Basti pensare
all'estensione e diversificazione del lavoro in
equipe; alla differenziazione degli statuti di
occupazione implicanti temporalità diverse
(tempo parziale, contratti a durata determinata e altre forme di lavoro temporaneo),
modulazione e annualizzazione del tipo di
lavoro, i collettivi di lavoro con prassi di durata diversa nella stessa fabbrica ecc.
Fernand Léger (1881-1955), Les Loisirs. Dipinto negli ultimi anni della vita dell'artista (1948-491, è evidente il proposito di celebrarvi limpidamente la dignità della forza, del lavoro, della gioia.
Le esperienze più recenti di accordi di riduzione dell'orario di lavoro, in Europa,
hanno avuto un carattere prevalentemente
difensivo. In altri termini, sono stati concepiti per evitare licenziamenti. È realistico
pensare ad una riorganizzazione e riduzione
generalizzata ed offensiva dell'orario di lavoro? In che misura può essere anche uno
strumento di lotta contro la disoccupazione,
oltre che uno strumento di miglioramento
delle condizioni di lavoro e della qualità
della vita? In che misura può essere anche
uno strumento di lotta contro la disoccupazione, oltre che uno strumento di miglioramento delle condizioni di lavoro e della
qualità di vita? come e di quanto ridurre
l'orario di lavoro? In che misura può essere
anche uno strumento di lotta contro la disoccupazione, oltre che uno strumento di
miglioramento delle condizioni di lavoro e
della qualità di vita? Come e di quanto ridurre l'orario di lavoro? Ridurlo con o senza compensazione salariale? Con una compensazione totale o relativa? Come finanziarlo? I1 sindacato ha dimostrato di essere
disponibile a un minimo di riduzione di salario, se utile per evitare licenziamenti e per
creare nuovi posti di lavoro. E ancora come
ripartire gli utili di produttività tra nuovi investimenti e produzione di ricchezza (formazione, innovazione, R-ST, sviluppo ecc.),
riduzione dell'orario del lavoro e/o aumento dei salari?
Come articolare meglio i tempi di vita e
di lavoro?
Come governare la flessibilità? È possibile una politica europea, data la diversità di
risposte diverse da parte dei sindacati?
Manca una visione globale dell'economia
mondiale? I1 cambiamento dell'orario deve
essere concordato? E i suoi effetti sul sociale? Come conciliare esigenza di maggiore
competitività e disoccupazione?
Sulla base di uno studio di S. Palidda, a
Dusseldorf, del caso Zanussi e la sua sperimentazione dell'autogestione, è stato dato
un giudizio negativo: «non solo dobbiamo
fare un lavoro di merda, ma dobbiamo anche organizzarci per farlo». L'iniziativa delle
donne del Pds e il Programma del governo
dei tempi della città sono stati invece rievocati - da più relatori stranieri - con interesse.
La delegazione italiana ha puntualizzato
in particolare la necessità di governare la
flessibilità, l'opportunità di una disincentivazione degli straordinari, di strumenti adeguati per un controllo degli orari effettivi, di
una revisione del part-time «all'italiana» per
renderlo più appetibile per gli imprenditori; e ancora, un ruolo maggiore per la Ces,
l'esigenza di progressi concreti nella legislazione europea per i lavori atipici e nuovi come per il lavoro notturno e i congedi parentali, e l'opportunità di una revisione della
direttiva europea sull'orario di lavoro. Sul
rapporto riduzione dell'orario di lavoro e
compensazione salariale totale o relativa
(tramite l'intervento della fiscalità, e un riproporzionamento del salario con un intervento esterno) almeno per i salari più bassi,
il dibattito resta tuttora aperto. Stessa cosa
per l'opportunità di una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, piuttosto che di
COMUNI D'EUROPA
una massima flessibilità contrattata del lavoro e dei regimi di orari, ed un'articolazione
delle iniziative sugli orari. Nel quadro della
sperimentazione del part-time e della necessità di conciliare le esigenze, Eduardo Guarino (Cgil-chimici) - ribadita la necessità
di un governo della flessibilità - ha rievocato un accordo sperimentale per l'utilizzo di giovani laureati per 16-24 ore per
settimana. La crisi - ha sottolineato Franca
Donaggio (Presidente del Comitato delle
donne della Ces) - ha accellerato la questione del rapporto tra il tempo di lavoro
e il tempo di non lavoro: problema che
si sarebbe comunque imposto anche per
la crisi demografica. I tre tempi: tempo dello studio, tempo del lavoro, tempo del riposo sono saltati. Va qualificato il tempo del
lavoro nero. Vanno definiti i nuovi lavori,
indirizzati alla qualità di vita individuale e
collettiva. Vanno ripartiti gli oneri familiari
e il lavoro per la famiglia. I tempi di cura
hanno sessualizzato e precarizzato il lavoro
delle donne. Dove finisce il lavoro? C'è tutta una serie di lavori a metà strada tra disoccupazione e lavoro: il lavoro a domicilio, il
lavoro a chiamata, il telelavoro. Siamo di
fronte a fasce sociali di lavoro precarizzato e
allargamento in prospettiva di fasce di povertà.
«La strategia sindacale per ridurre la disoccupazione - ha precisato Gabriele Onidi (Cisl) - è centrata su due assi:
1. una crescita che comporti creazione di
posti di lavoro;
2. e la riduzione dell'orario di lavoro.
«La politica degli orari di lavoro aiuta a
gestire meglio i periodi di crisi: l'accordo
Volkswagen e i contratti di solidarietà in Italia lo dimostrano».
L'Ig meta1 ha ricordato il carattere difensivo dell'accordo Volkswagen siglato per
non licenziare. Dieter Schulte (presidente
del Dgb) ha dato dei segnali di «flessibilità»
anche da parte del suo sindacato. «I1 modello delle 25/30 ore settimanali dipenderà anche dai desiderata di chi lavora. I1 ricorso alla flessibilità presuppone il ricorso a tale nozione e da parte dei lavoratori, e da parte
dei datori di lavoro. Per ridistribuire il lavoro, occorre utilizzare le altre possibilità. Ad
esempio, invece di licenziare le persone più
anziane, si può immaginare un piano che le
awii piano piano verso il pensionamento.
Inoltre il tempo di qualifica va visto come
un utile tempo di lavoro. Per ristrutturare
determinati settori e ridurre i costi, il tempo
parziale va ridefinito affinché non presenti
tutti gli svantaggi attuali. Anche se è difficile
parlarne con chi ha dovuto cedere o condividere con altri, è uno degli strumenti per
distribuire in modo più equo il lavoro esistente».
«Molti pre-pensionati - ha sottolineato
G. Lebrun (Belgio) - si ritrovano in una situazion-o difficile, e di colpo emarginati ed
esclusi: Si potrebbe immaginare un mix di
pensione a metà tempo e lavoro part-time, e
così si assumono dei giovani.
«In tutti i paesi - ha sottolineato il
sociologo Jean-Yves Boulin - è evidente un'evoluzione che va nel senso della pre-
sa in conto anche delle aspirazioni individuali. C'è il passaggio da un concetto difensivo a uno offensivo che rivendica autonomia e organizzazione sociale del tempo. La
politica del lavoro spinge ad accellerare
l'uscita dei più anziani e l'entrata dei giovani. Ma non siamo in una società di tempo libero. I1 tempo liberato dal lavoro non si traduce in un tempo libero: faccende domestiche, costrizioni familiari, e infine loisir. I1
tempo libero va aumentato. Alla libera utilizzazione del tempo, si oppone anche il
problema dell'articolazione dei sistemi di
orari: una questione affrontata soprattutto
in Italia con il programma dei tempi della
città, una legge di decentralizzazione per organizzare gli orari, e il manifesto delle donne del Pds, e il loro progetto di legge per
cambiare i tempi di vita». Svbille Xaasch
(Corte costituzionale tedesca) si è soffermata sui tempi di lavoro opzionali piuttosto
che normali. «C'è bisogno - ha affermato
con forza - di una qualità di vita maggiore;
di una ri-regolamentazione per spazi di tempi opzionali, e di una loro gestione con saldi
attivi di tempi tutelati come conti bancari.
Per assistere i malati e i vecchi, finora i costi
sono stati accollati al privato e alle donne. È
opportuno socializzare questi costi con lavori socialmente utili, e con disoccupati. Le
P.m.i. non hanno il problema della rigidità.
Si potrebbe creare un pane1 di imprese per
sostituire donne in maternità, o chi va in vacanza. Si potrebbero costituire dei fondi da
cui attingere, se necessario, nuove spese».
«Per creare posti di lavoro - ha ribadito
l'economista francese D. Taddei - la riduzione dell'orario di lavoro è utile a due condizioni: 1) capacità di finanziarla; 2) e modalità di organizzazione. Come finanziarla?
Ci vuole una ripartizione del reddito nazionale tra profitti e salari. Occorre una migliore sistemazione e suddivisione degli utili di
produttività. Sarebbe utile un accordo e
contratto sociale in tale senso. È un progetto di società quello di ridurre l'orario di lavoro.
Nella memoria collettiva si ritrovano le
battaglie per le 8 ore, per le ferie pagate, per
le domeniche festive. Ed è sempre stata vinta questa lotta, perciò da 4-5 mesi si insiste
su una settimana di 4 giorni, che potrebbe
essere un tema comune, e su un contratto
sociale per generalizzare in modo pragmatico ma differenziato questa settimana di 4
giorni. «Contro la disoccupazione - ha ribadito M. Rocard partigiano della settimana
di 4 giorni - una sola arma non basta. Per
la creazione diretta o indiretta di posti di lavoro ci sono varie piste. Le ore supplementari dovrebbero essere compensate con riposo e non con denaro. Sport, e pratiche associative, sono migliori di consumi passivi. E
la ripartizione dei compiti va insegnata a
scuola». «I1 vantaggio comparativo dell'Europa nei confronti degli Usa e del Giappone
- ha sottolineato J. Vignon della Cellula di
prospettiva della Comunità - è un movimento sociale strutturato. Quattro i fattori
che aprono nuovi campi negoziali:
I. l'arrivo delle donne sul mercato che
continuerà ad aumentare: oggi rappresenta il
17 % in Spagna contro i1 50% in Danimarca;
GENNAIO 1995
2. le attuali aspettative di durata di vita;
Dunque, stavamo nel giusto
3. diminuzione dei tempi di trasporto;
( ~ e g u da
e pag. 21
4. la disponibilità dell'opinione pubblica
a considerare la riduzione dell'oiario del lavoro come creazione di nuovi posti di lavoro.
Vignon auspica un patto sociale, che instauri un trade off tra la sicurezza del salariato e la flessibilità richiesta dagli imprenditori, e la qualità della vita e della vita familiare.
Certo un governo della flessibilità resta
indispensabile. Tuttavia, a mio avviso, la vera sfida cui oggi ci si trova confrontati è di
dover essere visionari ed immaginativi nel
pragmatismo del realismo. Mi chiedo se
l'Unione europea non debba puntare su un
nuovo progetto di società, incentivando
un'industria (e sottolineo industria) del tempo libero (tempo di non lavoro), e grandi reti infrastrutturali transeuropee anche per il
tempo libero, e non solo - come indica il
Libro bianco di Delors - per trasporti,
energia e telecomunicazioni.
In prospettiva, questa ipotesi è uno strumento di lotta alla disoccupazione, e fonte
di nuovi posti di lavoro per i giovani.
Ma è anche uno strumento di creazione
di ricchezza, attraverso un miglioramento
dell'«offerta» per il tempo libero (tempo di
non lavoro), che prenda in conto - sia pure
in modo differenziato - anche un miglioramento della qualità di vita dei - futuri ed
attuali - giovani pre-pensionati, siano essi
più o meno ricchi, con mezzi o non.
Tenendo conto della concorrenza dei
paesi dell'Est e dei PVS nei settori tradizionali, e dell'esigenza/opportunità europea di
puntare su high tech e innovazione, questa
ipotesi mi sembra più che realistica.
Che si tratti di sport, di pratiche associative, e perché no anche di assistenza a malati
e vecchi, di reti europee di asili nido sperimentali, di reti europee di beauty farm
d'avanguardia, di lotta all'insonnia e alla depressione, di iniziative culturali, di articolazione dei sistemi di orari, di vacanze, per
l'Europa c'è un ampio spazio, tuttora inesplorato, per dar vita a'un nuovo progetto di
società basato innanzitutto sulla qualità della vita.
H
La sfida è sostenere...
(segue da pag. 101
dere. Servono pertanto progetti cantierabili e
non idee per partecipare a questi canali finanziari.
Altro aspetto è legato alle caratteristiche
politiche di fondo delle strategie comunitarie;
il libro bianco dice: occupazione, crescita e
competività ma con caratteristiche sociali;
l'Europa ha scelto questo terreno. Dall'altro:
capacità, efficienza, trasparenza nella spesa e
capacità quindi di rispondere appieno all'obiettivo dichiarato e al modo con cui viene
realizzato.
È su questo terreno che è stata lanciata una
sfida importante, che credo tutti voi vorrete
accettare e alla quale noi come Regione siamo
sicuramente disposti a partecipare.
GENNAIO 1995
grande impegno che deve essere sentito dai
cittadini come cosa propria, il coraggio di andare avanti verso l'Europa con coloro che
condividano il cammino da percorrere, senza
subire i rallentamenti e gli arresti, talvolta
perfino gli arretramenti che alcuni membri
vorrebbero imporre.
Al centro di tutto ciò c'è l'appuntamento
decisivo con la revisione del Trattato di Maastricht che dovrà concludersi nel 1996, ma la
cui preparazione è già in atto. Questa revisione non è un'operazione di puro aggiustamento giuridico o di chiarificazione e semplificazione di un documento molto complesso, ma
è un'appuntamento decisivo per l'avvenire
dell'Europa. Delors ne è pienamente consapevole e ciò che egli ha detto in proposito ai
parlamentari europei è più che sufficiente per
togliere ogni equivoco. Innanzitutto il richiamo ad Altiero Spinelli, al ruolo da lui svolto
nel 1984 col Progetto di Trattato sull'unione
europea, la cui lettura è consigliata a tutti coloro che dovranno impegnarsi nelle difficili riflessioni del 1996. Collegato a questo richia-,
mo, quello del ruolo di pioniere che spetta al
Parlamento europeo e del quale questa istituzione deve essere maggiormente consapevole
per tradurlo in azioni concrete. Delors denuncia i rischi di una concezione dell'Europa solamente mercantile e libero-scambista, priva
di quello spirito di solidarietà che deve amicinare i popoli e condurli a lavorare insieme:
sottolinea l'ampliamento e la necessità di
estendere e rafforzare politiche comuni per
strutturare unlEuropa che già ora è molto di
più di un semplice spazio di libero scambio:
richiama l'attenzione suila nuova realtà che si
è aperta col 1989, che sta ancora faticosamente maturando soprattutto nelllEuropa centrale ed orientale e che reclama il passaggio da
una strategia di appoggio alla transizione ad
una strategia di autentica integrazione. Delors
è convinto che la moneta unica costituisce un
cammino vitale e irreversibile per l'Europa e
della necessità di dare risposte adeguate alla
gente che è in cerca di motivazioni per l'impegno europeo che le viene richiesto: la pace, la
sicurezza, l'imperativo democratico, una maggiore trasparenza dell'unione europea e delle
sue finalità, una capacità di influenza più diretta sui cittadini europei, una corretta applicazione del principio di sussidiarietà. Per fare
tutto e per evitare il rischio che l'Unione divenga una specie di Gullz'ver incatenato, occorrono istituzioni valide ed efficaci: Delors
sostiene esplicitamente la scelta federale in
materia istituzionale, la sola che permetta non
solo di precisare chi fa che cosa e chi è responsabile dinnanzi a chi, ma anche di realizzare i necessari trasferimenti di sovranità definendone i limiti e le adeguate procedure di
controllo democratico e di sanzione degli
abusi di potere, nonchè di garantire il rispetto
delle identità nazionali e delle diversità regionali. Un'Europa politica - ed è un'affermazione estremamente importante alla vigilia
della revisione di Maastricht - che non può
accettare che la sua marcia possa essere rallentata o bloccata da coloro che non vogliono
condividere questa grande impresa.
Mitterrand aveva un altro compito, quello
di indicare le priorità del semestre di presidenza francese. Lo ha fatto con grande determinazione, con l'impegno di rafforzare il ruolo della Francia a servizio dell'unione europea, con un'attenzione del tutto particolare
alle esigenze di un'Europa sociale e alla sua
dimensione culturale, al rapporto che gli europei devono avere con l'Europa («gli europei
devono amare l'Europa», è stato l'appello di
Mitterrand), alle condizioni di ulteriori auspicati allargamenti dell'unione, alla dura condanna dei nazionalismi («il nazionalismo è la
guerra», ha affermato senza mezzi termini il
presidente francese).
Se vi è motivo di rallegrarsi della consonanza tra queste prese di posizione e quelle del
CCRE, non possiamo accontentarci di contemplarla estatici. Al CCRE è richiesto invece,
a sua volta, un atteggiamento - a livello di
Presidenza e di Segreteria europea e delle singole Sezioni nazionali - coerente, che significa maggiore sensibilità e azione politica, presenza autorevole nelle varie sedi istituzionali
europee e nazionali, autonomia di posizioni,
coesione sulla linea dettata dallo Statuto e dai
pronunciamenti degli organi, efficienza e tempestività operativa, non confondendo il fare
politico col semplice commento a posteriori
delle decisioni altrui.
E l'Italia, che fa il nostro paese in questa
fase cruciale? Purtroppo le difficoltà di politica interna, i nodi della situazione economica e
di bilancio, la forte disoccupazione, la confusione che ancora caratterizza gli schieramenti
politici, la perdurante indifferenza dei massmedia, non favoriscono certo la nostra consapevolezza - a livello di opinione pubblica che tutto ciò che awiene in Europa, nel bene
e nel male, si ripercuote su di noi irrimediabilmente, e che è nostro interesse partecipare
attivamente alla costruzione dell'unità europea nella linea ricordata da Delors. I1 governo
Dini sembra aver colto correttamente questa
necessità e il nuovo Ministro degli Esteri ha
giustamente ripreso il filone tradizionale della
nostra politica europea dopo alcuni episodi e
sperimentazioni che avevano allarmato non
solo la classe politica ed economica del nostro
paese più sensibile alla persistenza del grande
disegno di unificazione, ma anche gran parte
dei nostri partners europei. Ci auguriamo che
i prossimi appuntamenti della politica nazionale consolidino questa scelta che non ha alcuna valida alternativa.
H
Partiam, partiamo.. .
(segue da pag 21
ca e monetaria (1999, al più tardi). Se quest'opinione - per ora minoritaria - prevalesse, cadrebbe immediatamente la pressione esercitata da chi condiziona l'awio della
terza fase dell'UEM alla revisione di Maastricht: le ratifiche della revisione e l'awio
della terza fase slitterebbero così all'inizio
del 2000.
I1 gruppo di riflessione, costituito a Corfù
e convocato per il prossimo 2 giugno, assumerebbe - neil'ipotesi dello slittamento una funzione negoziale ancor maggiore di
quella, puramente preparatoria, che ad esso
è attualmente affidata. La successione delle
presidenze del Consiglio, decisa dai Quindici il 19 dicembre 1994, diventa inoltre molto
significativa.
Scorriamo dunque insieme il calendario
dell'unione:
l o semestre 1995: presidenza francese, con
elezioni presidenziali in Francia e comunali in
Spagna;
2" semestre 1775: presidenza spagnola, con
elezioni in Portogallo, in Belgio e, molto probabilmente in Italia. I1 Consiglio europeo di
dicembre dovrebbe procedere, in teoria, alla
convocazione della Conferenza intergovernativa;
l o semestre 1776: presidenza italiana - la
conferenza intergovernativa dovrebbe iniziare
sotto la presidenza italiana;
2' semestre 1796: presidenza irlandese - il
Consiglio europeo potrebbe stabilire la data di
inizio della terza fase dell'uem, se una maggioranza (8) di paesi membri rispetta le condizioni previste dal Trattato - tale data può essere
fissata entro la fine del 1997 (presidenze olandese o lussemburahese);
1 semestre 1997: presidenza olandese con
elezione del nuovo presidente del PE (gennaio) ed elezioni nel Regno unito ed in Spagna
(se non saranno anticipate) - se prevalesse
l'ipotesi dello slittamento della Conferenza intergovernativa, essa potrebbe iniziare nella primavera del 1997 - se venisse rispettata la scadenza del 1996, la revisione di Maastricht potrebbe essere firmata sotto presidenza olandese (Maastricht-bis?) o potrebbero iniziare le
procedure di ratifica (possibili referendum in
Francia, Danimarca, Germania, Irlanda, Regno
Unito, Austria, Finlandia, Svezia);
2" semestre 1777: presidenza lussemburghese;
1' semestre 1978: oresidenza britannica entro questo semestre, il Consiglio europeo
dovrebbe confermare quali Stati rispettano le
condizioni necessarie per l'adozione della moneta unica o prendere le disposizioni necessarie per l'inizio della terza fase dell'UEM (nel
caso in cui non sia stata rispettata la scadenza
del 1997) - possibili referendum sull'UEM in
Francia e Regno Unito;
2' semestre 1778: presidenza austriaca, con
elezioni in Germania - i lavori della Conferenza intergovernativa dovrebbero concludersi
prima delle elezioni tedesche (nel caso dello
slittamento);
1" semestre 1999: presidenza tedesca - inizio della terza fase dell'UEM ed inizio della ratifica della revisione di Maastrich (nel caso dello slittamento) - elezioni del Parlamento eu-
ropeo ($ugno) e designazione del nuovo presidente della Commissione europea (idem);
2" semestre 1777: presidenza finlandese designazione della nuova Commissione europea;
1' semestre 2000: presidenza portoghese eventuale entrata in vigore della revisione di
Maastricht ed awio dei negoziati di adesione
con i paesi dell'Europa centrale;
2" semestre 2000: presidenza svedese
Come abbiamo ricordato nei precedenti
dossiers, tutte le istituzioni europee sono
impegnate nella preparazione del «1996» o
meglio dei rapporti che dovranno essere
esaminati dal gruppo di riflessione. Nel Parlamento europeo, mentre proseguono le discussioni nella commissione affari istituzionali e nelle commissioni competenti per parere, molti gruppi politici hanno avviato
proprie discussioni interne per mettere a
p u n t o una posizione d i «partito» p e r il
1996. Al contrario del 1984 (progetto Spinelli) e del 1991 (trattato di Maastricht),
quando le posizioni dei gruppi sono state
definite a partire da orientamenti comuni
dell'assemblea (i gruppi hanno dovuto decidere il loro atteggiamento su un «compromesso democratico»), le burocrazie dei
gruppi tentano oggi di far prevalere l'idea
c h e il m i n i m o c o m u n e d e n o m i n a t o r e
dell'Assemblea dovrà essere determinato a
partire dai minimi comuni denominatori
che saranno definiti - ideologicamente dai gruppi (sic!).
È così che, nel gruppo socialista, il documento di Elisabeth Guigou è stato contestato a «sinistra» (ci vogliono più politiche comuni di sinistra, perché l'opinione pubblica
non si interessa delle istituzioni) ed a «destra» (l'opinione pubblica vuole meno Europa e dunque istituzioni europee più deboli ed istituzioni nazionali più forti); nel grupp o PPE, il documento Pottering è stato rinviato.. . in laboratorio in attesa di nuovi esami ed in vista di un incontro con i gruppi
nazionali (slittato da marzo a maggio); nel
gruppo GUE, la rigidità ideologica di comunisti francesi e portoghesi sembra travolgere
le deboli resistenze degli ex-comunisti spagnoli.. . Per porre un argine e trovare il filo
conduttore di tali e tante iniziative politiche,
i «vertici» del P E (presidenza e segreteria
generale) hanno deciso di costituire una task-force, sotto la responsabilità del direttore
generale delle commissioni parlamentari
(Karl-Heinz Neunreither e coordinata da
mensile dell'AICCRE
Direttore responsabile: Umberto Serafini
Condirettore: Maria Teresa Coppo Gavazzi
Redazione: Mario Marsala
Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma
Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma
tel. 69940461-2 -3-4-5, fax 6793275
Questo numero è stato finito di stampare nel mese di marzo 1995
ISSN 0010-4973
Abbonamento annuo per la Comunità europea, inclusa l'ltalia L. 30.000 Estero
L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. 1.000.000
Jean-Guy Giraud, già capo-divisione della
commissione affari istituzionali nel periodo
spinelliano e cancelliere della Corte di Giustizia della CE). Auguri!
La task-force-mania travolge tutte le istituzioni, perché - dopo il Parlamento e la
Commissione (che ne ha creata una sotto la
diretta responsabilità del presidente Santer
e del commissario Oreja, affidandone il
coordinamento al deloriano Miche1 Petite)
- anche il segretario generale del Consiglio
(il tedesco Trumpf, a suo tempo autorevole
consigliere nel Comitato Dooge) ha costituito una sua «équipe», incaricata - per ora
- di raccogliere tutti i documenti esistenti
sul 1996 e di coordinare il lavoro del Consiglio in vista del rapporto che dovrà essere
adottato dal Consiglio «affari esteri» del 2930 maggio. Nel Comitato delle Regioni e degli Enti Locali, la «voce» del CCRE è autorevolmente rappresentata dal sindaco Enzo
Bianco - coordinatore degli italiani nella
commissione istituzionale (il rapporto sarà
elaborato - ahimé - da Jordi Pujol, leader
dell'ARE), mentre nel Comitato Economico
e Sociale, i consiglieri si sono affidati alla
saggezza del presidente Carlos Ferrer, membro autorevole del Movimento Europeo Internazionale.
Abbiamo già informato i nostri lettori
della tendenza prevalente nelle altri capitali p e r q u a n t o riguarda la composizione
del g r u p p o riflessione. Poiché una fase
importante nei negoziati sarà effettuata proprio da questo gruppo, le prime nomine effettuate dai governi mostrano l'evidente volontà d i essere rappresentati dagli stessi
«plenipotenziari» che siederanno nella conferenza intergovernativa e cioè dai ministri o
dai segretari di Stato agli affari europei. Così
la Spagna - che avrà la presidenza del
gruppo - la Germania, la Grecia, il Regno
Unito.. .
Appena insediato e d o p o aver proclamato (nell'aula di Montecitorio, per bocca
dello stesso Dini, ed a Bruxelles, per bocca
del ministro Agnelli) la volontà di riprend e r e la t r a d i z i o n a l e p o l i t i c a e u r o p e a
dell'Italia (chiudendo così, diciamo noi, la
sfortunata parentesi Martino-Caputo), il
governo di tregua ci ha fatto provare qualche emozione. Confidiamo che il problema
sia risolto non a favore della prima o della
seconda Repubblica, ma nella linea per cui
l'Italia è uno dei partner1 affidabili della costruzione europea: che, anche senza correre, non può che avere un esito federale.
Una copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000)
I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 300.008 intestato:
AICCRE c/o Istituto bancario San Paolo d i Torino sede di Roma, Via della
Stamperia, 64 - 00187 Roma, specificando la causale del versamento;
2) sul c.c.p. n. 38276002 intestato a "Comuni d'Europa1',piazza di Trevi, 86-00187 Roma;
3) a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a: AICCRE, specificando la
causale del versamento.
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Fotocomposizione: Graphic Art 6 s.r.l., Roma, Via Ludovico Muratori 11/13
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GENNAIO 1995
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Anno XLIII Numero 1 - renatoserafini.org