Master professionalizzante
in
Gestione
della
Formazione
per dirigenti
di istituzioni formative
Certificazione Modulo 12
Laboratorio di gestione istituzionale e aziendale
Relatori: Prof. Germano Cipolletta e Prof. Massimo Balducci
Le competenze distintive dei formatori: rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Marco Ricci
Formatore aziendale dipl. fed. Titolare della Clic, formazione e consulenza formativa di M. Ricci
[email protected]
Walter Seghizzi
Formatore aziendale dipl. fed. Responsabile del Servizio per le procedure di qualificazione degli adulti della
DFP (SPQA), già direttore del Centro di Formazione Formatori (CFF) della DFP [email protected]
Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Indice
1.
PREMESSE
2
2.
DEFINIZIONI DI COMPETENZE
7
2.4
Dalla giornata FSEA sulla validazione delle competenze
2.2
Dal quaderno dell’Istituto Svizzero di pedagogia dedicato alle competenze
2.3
Dal dizionario VA
2.4
Le competenze di soglia, distintive e di eccellenza
3.
BASE DI CONFRONTO: PROGRAMMA MODULI FFA
3.1
Suddivisione per moduli
3.2
Suddivisione per competenze
4.
AUTOVALUTAZIONI
8
8
9
11
13
14
15
58
4.1
L’autovalutazione di Walter Seghizzi
58
4.2
L’autovalutazione di Marco Ricci: «Come possiamo fare qualcosa di impossibile?
Con entusiasmo!»
82
5.
VALUTAZIONI DI COLLEGHE E COLLEGHI
5.1
Raccolte al corso CFF
5.2
Rilevamento a distanza
93
93
101
6.
ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL SONDAGGIO CFF CON I FORMATORI IN
AZIENDA
110
7.
VALUTAZIONE DEI RISULTATI RACCOLTI
120
8.
DEFINIZIONE DI CRITERI ED ELEMENTI DI OSSERVAZIONE
123
9.
PROPOSTE
124
10.
CONCLUSIONI
125
11.
BIBLIOGRAFIA E PAPER DI RIFERIMENTO
126
12.
ALLEGATI
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
1. Premesse
di Marco Ricci e Walter Seghizzi
L’affermazione di Huberman (Rethinking the quest for school improvement : Some
findings from the DESSI study. Teachers College Record ), trattata nel Modulo 3
“Innovazione e gestione di progetti d'ingegneria della formazione”, secondo la quale a fronte di una ricca formazione pedagogica si denota un impoverimento nella
qualità dell’insegnamento erogato, ci ha molto colpiti, interessati e motivati. Così
come tutto il modulo 4 “Gestione e conduzione del personale” che ci ha fatto capire come esista la necessità di una classificazione delle competenze e che, apparentemente, nelle istituzioni formative del Canton Ticino questo aspetto sia ancora
poco applicato. Il Modulo 5 “Evoluzione del mondo professionale e formazione” ci
ha permesso di strutturare un paragone tra quello che viene attualmente proposto
a livello teorico e quanto invece richiesto dal mercato, così come il Modulo 6 “Apporti della ricerca alla pratica pedagogica/didattica e gestionale” ci ha permesso di
strutturare meglio il nostro lavoro di ricerca. Il Modulo 7 “La gestione della comunicazione” ci ha fornito elementi per comprendere, sia da un punto di vista interno
sia da quello esterno all’organizzazione formativa, l’importanza di una corretta
comunicazione e come la percezione, molte volte, sia lontana dagli intenti di chi
vuole comunicare. Il Modulo 8 “Valutazione e gestione della qualità” ci ha permesso di comprendere l’importanza della gestione della qualità nei diversi processi
che vengono attuati dagli Istituti formativi e di renderci conto come, a livello di percezione dei vari coinvolti, questo aspetto sia visto ancora come un “gravame burocratico” poco utile non solo al proprio lavoro ma anche per una costante evoluzione professionale. Con il modulo 9 “La gestione e la supervisione degli aspetti relazionali e didattici” siamo riusciti a meglio comprendere l’importanza della relazione
all’interno dell’organizzazione e a costruire modelli di comportamenti utili nella
propria realtà professionale. I nostri lavori di certificazione per i singoli Moduli che
hanno attinenza con il presente lavoro finale di certificazione sono stati utilizzati
quali riferimenti bibliografici e vengono allegati al documento. Ringraziamo tutte le
relatrici e tutti i relatori che si sono succeduti nei vari moduli per il loro lavoro di incremento delle nostre conoscenze. Siamo convinti che anche i due Moduli mancanti potranno apportarci elementi importanti per la realizzazione del presente lavoro: sarà nostra cura rielaborare eventuali passaggi, specificando la pertinenza
con i contenuti trattati dopo la prima stesura.
A nostra volta attivi quali formatori nell’ambito della formazione professionale e
continua, abbiamo ritenuto di compiere un’attività di verifica, di analisi e di restituzione sui contenuti dell’affermazione citata e, conseguentemente, sulla situazione
che si presenta giornalmente. Il rilevamento che abbiamo cercato di realizzare in
modo oggettivo dovrà, indipendentemente dai risultati, costituire un riferimento per
la riflessione da parte degli enti di formazione e dei formatori stessi.
Già una prima domanda si pone: cosa significa essere formatori e quali percorsi
ha a disposizione chi vuole occuparsi di formazione professionale o continua?
Secondo il sito www.orientamento.ch che rileva tutte le professioni riconosciute in
Svizzera “il formatore e la formatrice di adulti insegnano ad un pubblico adulto a
diversi livelli.
I bisogni di formazione e di aggiornamento professionale sono crescenti in tutti i
settori, determinati dai cambiamenti socio-economici e dalle esigenze del mercato
del lavoro. La formazione oggi non si ferma ai banchi di scuola, ma continua tutta
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la vita, per poter affrontare cambiamenti professionali, disoccupazione o riqualificazione o semplicemente per crescere ed aggiornarsi nella propria professione.
La formazione degli adulti risponde quindi all'esigenza di aggiornare e sviluppare
ulteriori competenze professionali, di migliorare l'integrazione sociale e professionale, di favorire lo sviluppo delle competenze personali e sociali.
L'attività dei formatori di adulti si svolge a livelli diversi, determinati dalle competenze e dalle certificazioni ottenute dello stesso formatore e dal tipo di offerta formativa. Inoltre, può indirizzarsi verso un pubblico omogeneo (all'interno di un'azienda o di un settore professionale, per esempio su una tematica particolare, sul
lavoro in team, ecc.), verso un gruppo con un obiettivo comune (per esempio per
acquisire nozioni linguistiche o di informatica) oppure verso un pubblico eterogeneo, con basi ed obiettivi diversi (disoccupati, persone in riqualifica, ecc.).
Si distinguono diverse figure di formatori di adulti:
• formatori che tengono corsi nella propria disciplina di competenza, quindi promuovono prevalentemente l'aggiornamento professionale;
• formatori specializzati in corsi per lo sviluppo di competenze personali e sociali;
• formatori attivi nel campo dei corsi orientati su attività del tempo libero.
In generale, i formatori per adulti si occupano di:
• progettare corsi sulla base di una efficace indagine dei bisogni formativi in un
determinato contesto (azienda, amministrazione, associazione, centro di formazione, ecc);
• organizzare percorsi di formazione con precisi obiettivi, strutturando un piano
didattico;
• animare e condurre efficacemente gruppi di apprendimento;
• informare sulle opportunità di formazione;
• valutare i risultati del corso;
• riconoscere ed analizzare le dinamiche dei gruppi in formazione e intervenire
adeguatamente per assistere gli allievi durante l'apprendimento.”
La formazione dei formatori e delle formatrici viene così illustrata: “Formazione a
più livelli, in forma modulare, parallelamente all'esercizio della professione. La
Commissione svizzera formazione dei formatori è l’organo che in Svizzera e in Ticino certifica enti e scuole che rilasciano i moduli facenti parte del curriculum per
l’ottenimento dell’Attestato professionale federale di formatore/trice, (elenco degli
enti certificati: http://www.alice.ch).
•
•
•
Livello 1: formazione di base per formatori in ambito specifico a tempo parziale; modulo "animare corsi per adulti". Durata: circa 100 ore-lezione + 165 ore di
lavoro individuale. Si ottiene il Certificato di formatore/trice FSEA 1 con la certificazione del modulo e lo svolgimento di una pratica professionale della durata
minima di 150 ore sull'arco di 2 anni.
Livello 2: formazione che permette di assumere anche compiti di responsabilità nel lavoro di formazione: Livello 1 + 4 moduli di specializzazione nel campo
della formazione. Durata: 150 ore-lezione + 300 ore di lavoro individuale. Si ottiene l'Attestato professionale federale (APF) di formatore/trice con la certificazione dei moduli e lo svolgimento della pratica professionale di almeno 300 ore
sull'arco di 4 anni. (Regolamento del 3 settembre 1999).
Livello 3: (non offerto nella Svizzera italiana): formazione al Diploma federale
di Responsabile della formazione. Durata: 1’800 ore complessive (incluse le
ore del Livello 1 e del Livello 2). Si ottiene il Diploma federale di Responsabile
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della formazione (EPS) dopo una pratica professionale di almeno 4 anni e almeno 2’000 ore (Regolamento dell’11 novembre 2005).
•
Studi accademici: studi all'Università di Ginevra, facoltà di psicologia e scienze dell'educazione; durata: 4-5 anni; licenza con menzione Formatore/trice
d'adulti; oppure, per persone con titolo accademico, certificati di formazione
continua.”
I requisiti per poter accedere alla formazione per diventare formatore/formatrice
sono invece così descritti:
“Ammissione al livello 1 (prepara al certificato base per tenere corsi per adulti):
formazione generale o professionale almeno triennale (AFC o equivalente) e competenze specifiche nella propria disciplina.
Ammissione al livello 2 (preparazione all'APF di Formatore/trice):
formazione generale o professionale almeno triennale (AFC o equivalente) e competenze specifiche nella propria disciplina.
Ammissione al livello 3 (preparazione al Dipl. federale di responsabile della formazione): formazione generale o professionale almeno triennale (AFC o equivalente)
e competenze specifiche nella propria disciplina + 4 anni di esperienza pratica nell'ambito dell'educazione degli adulti e APF di formatore/trice o equivalente.”
I campi esplorabili nell’ambito di questo lavoro sono pertanto riconducibili a questi
settori:
• formatore/formatrice in azienda
• formatore/formatrice per adulti
• formatore/formatrice aziendale
• formatore di formatori.
La nostra prima intenzione era quella di rilevare particolarmente le competenze
previste, insegnate e applicate nell’ambito della formazione professionale, con riferimento principale alle formatrici e ai formatori in azienda. Uno studio più approfondito della situazione ci ha convinti che un simile lavoro non sarebbe stato possibile in quanto si sarebbero dovuto coinvolgere un numero sproporzionato di formatori in azienda (oltre diecimila persone formate dal Centro Formazione Formatori –CFF– della Divisione per la Formazione Professionale), con il rischio che i
dati raccolti non sarebbero stati confrontabili per i seguenti motivi:
• il nuovo programma quadro è stato introdotto unicamente con la nuova Legge
sulla formazione professionale (LFPr) del 2004
• molte formatrici e molti formatori in azienda (con la vecchia denominazioni di
maestri di tirocinio e di istruttori di pratica) sono stati formati prima di questa introduzione
• alcuni formatori in azienda non sono costantemente attivi in questa funzione: in
ogni caso, spesso, si tratta di una funzione a tempo accessorio e non riconosciuta completamente nei loro compiti
Da rilevare inoltre che l’applicazione pratica delle nostre proposte si sarebbe scontrata con una definizione “a tutta Svizzera” sulla base di un rilevamento eseguito
solo nel Canton Ticino che spesso è un “Sonderfall”, poco indicativo quindi di una
realtà globale nazionale.
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Abbiamo però studiato i risultati del sondaggio promosso dallo stesso CFF nella
primavera 2008, estrapolando quei passaggi che risultano utili sia a una migliore
comprensione del “sistema formazione professionale” sia per la formulazione di
proposte concrete applicabili anche in altri settori della formazione.
Altro settore che nostro modo di vedere poteva fornire poche indicazioni è quello
dei formatori e delle formatrici aziendali per i seguenti motivi:
• il diploma federale di formatore aziendale non è più erogato come tale dal
2007. A seguito di una decisione della Federazione Svizzera per la Formazione Aziendale (FSFA) e della Federazione Svizzera per l’Educazione degli Adulti (FSEA) l’Ufficio Federale per la Formazione e la Tecnologia (UFFT) ha
accettato un unico diploma (EPS) di “Responsabile della formazione”. Per i detentori del vecchio diploma c’è la possibilità di ottenere il nuovo assoggettandosi unicamente a un assessment (Modulo 9 del nuovo percorso formativo, offerto in Ticino dallo IUFFP)
• in Ticino si contano 46 titolari del vecchio diploma, in massima parte occupati
in strutture pubbliche e non necessariamente con il compito di formatore
• le attitudini richieste sono, in pratica, quelle previste per il formatore/la formatrice di adulti, così come le competenze che possono essere acquisite e messe
in pratica.
Abbiamo optato quindi per una ricerca dedicata alle competenze definite per le
formatrici e i formatori d’adulti, al termine del percorso che li porta a ottenere
l’attestato federale. Di conseguenza anche chi si occupa della formazione dei formatori è confrontato con la stessa “dotazione di competenze”.
All’inizio del nostro lavoro abbiamo provveduto a formulare alcune
Domande
1. Esiste la possibilità di classificare le competenze di soglia, distintive e di eccellenza nell’ambito della formazione?
2. In che misura le competenze rilevate coincidono con le competenze attese?
3. Come è possibile che, anche ricevendo la stessa formazione, i formatori e le
formatrici pur erogando la stessa formazione per quanto attiene a contenuti,
tempi, luoghi e modalità, non trasmettono detta formazione in modo standard,
ma in modo diversificato?
4. Quali processi, nell’ambito dell’ingegneria della formazione e legati alle teorizzazioni soggettive, favoriscono questa trasformazione?
5. Quale riscontro, in un ambito definito, ha l’affermazione di Huberman sull’impoverimento dell’erogazione pedagogico/andragogico – didattica?
In un primo tempo abbiamo formulato le seguenti
Ipotesi
1. I formatori agiscono praticando principi teorici che loro stessi hanno coniato e
collaudato nel tempo (rappresentazioni e teorie soggettive).
2. Il cambiamento nel loro modo di fare presuppone la presa di coscienza dei
principi teorici che guidano/ispirano la loro azione/attività di insegnamento.
3. Il cambiamento nel loro modo di fare è frutto solo di una “reattività” alla situazione contingente (partecipanti, contenuti, tempo, luogo, ecc.).
Sarà soprattutto su queste ipotesi che ci concentreremo e che svilupperemo il nostro lavoro di ricerca.
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Metodologia
1. Lettura e studio di testi sulla tematica (vedere bibliografia allegata)
2. Rilevamento/osservazione, tramite questionari e interviste alle formatrici e ai
formatori e ad alcuni responsabili della formazione dei formatori
3. Rilevamento tramite un’autovalutazione degli autori
4. Restituzione delle risultanze ed elencazione oggettiva delle competenze e delle buone pratiche rilevate in aula, a seguito di teorizzazioni soggettive dei formatori
5. Allestimento di un modello di competenze suddivise tra competenze di soglia,
distintive e di eccellenza valido per le formatrici e i formatori per adulti e aziendali
6. Strutturazione di processi comunicativi orientati alla presa di coscienza delle
risultanze dello studio di approfondimento (sotto forma papers e workshop).
Ricadute del progetto in rapporto a un contesto reale
Siamo convinti che un rilevamento e una successiva analisi, benché parziale, possa costituire un importante tappa all’interno del percorso avente quale obiettivo il
miglioramento continuo delle prestazioni formative offerte. L’aspetto innovativo del
progetto attiene alla creazione di papers con le risultanze da noi ottenute, a disposizione di chi si occupa di formazione professionale. Non è esclusa, a priori, la
possibilità di offrire al mercato, corsi di perfezionamento/aggiornamento con cui i
formatori potranno affinare le loro capacità di gestione della formazione e di gestione d’aula.
Tempi di attuazione
• settembre – dicembre 2006: allestimento del progetto
• gennaio – agosto 2007: elaborazione dei documenti necessari per il rilevamento, osservazioni dirette, raccolta dati
• agosto – dicembre 2007: analisi ed elaborazione dei dati raccolti
• da settembre 2007: redazione del documento finale,
• da settembre 2008: presentazione e difesa, nei termini indicati dalla Direzione
del MaGF2.
Ripartizione dei compiti nell’ambito del progetto
1. Marco Ricci si occuperà particolarmente di rilevare le “buone pratiche”
nell’ambito della formazione continua, con l’obiettivo di riconoscere le motivazioni dei comportamenti (rappresentazioni e teorie soggettive)
2. Walter Seghizzi analizzerà i programmi di formazione per formatori, con
l’obiettivo di riconoscere le abilità cognitive, affettive e sociali previste nei programmi quadro
3. ognuno dei due partecipanti provvederà ad allestire la propria autovalutazione
4. assieme si analizzeranno i dati e si provvederà alla redazione della presentazione finale.
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2. Definizioni di competenze
di Marco Ricci e Walter Seghizzi
La prima difficoltà è stata quella di riuscire a dare una definizione di competenze!
Molti ricercatori hanno una visione diversa della “competenza” in quanto tale, così
come il loro inserimento in una categoria (per esempio il sapere, piuttosto che il
saper fare o il sapere essere). L’evoluzione avuta nel mondo professionale, con
particolare riferimento alla formazione per adulti, ha fatto si che certe attitudini,
approcci, modi di fare, conoscenze, ecc. facciano ormai parte di “una competenza”
e non siano più scindibili da essa1.
Il ragionamento dal quale siamo partiti è stato ricostruito graficamente in questo
modo2:
Neotemia
Area psicologica dell'Istituzione
Ansie
Difese da ansie psicotiche
Area culturale o antropologica
Elementi istituenti
Linguaggio
Idea aziendalistica
Area socio-economica
Area praxeologica
Rappresentazioni dell'uomo/ del cittadino
Mercato
Metodologie
Epistemologie
Forte correlazioni tra le singole aree:
se qualcosa non funziona da una parte,
si ripercuote anche dall'altra
Manifesta
Istituzione
ed elementi
istituenti
Latente
15.10.2006
sogno
Rappresentazione
Correlazione
Che cosa separa un'Istituzione formativa da un'altra?
Valori organizzativi (strategie/leggi) gestiti dal Manager
"Anima" della regione
Percorso di co-educazione e non "prodotti"
Sviluppa metodologie per "mettere in forma" quello che c'è
Formatore
Genera competenze
Altre componenti
Ha e trasmette valori
Operatori formativi
Educatore
Cura la tradizione
Genera innovazione
Insegnante
Riempie "il vaso vuoto" dell'allievo...
Valori di orientamento (visione) gestiti del leader
La base di partenza è stata determinata da una discussione sui nostri percorsi rispettivi che ci hanno portato a ottenere il diploma superiore di formatore aziendale. Ci siamo così resi conto che la certificazione ottenuta viene vissuta in modo diverso dai due autori3 (confronta anche la parte “elementi costituenti dell’immagine
riportata sopra): questo va a confermare l’ipotesi 1, riportata a pag. 6, con la quale
1
confronta anche Richard Sennet „L’uomo flessibile“ quando parla dell’evoluzione della panetteria oggetto della propria ricerca (pagg. 68-70)
2
confronta appunti sul modulo 4, parte Martignoni, realizzati da Marco Ricci e non rivisti dal relatore
3
confronta anche le rispettive autovalutazioni riportate al capitolo 4
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si sostiene che “i formatori agiscono praticando principi teorici che loro stessi hanno coniato e collaudato nel tempo (rappresentazioni e teorie soggettive)”.
Ma come possiamo definire le competenze? Di seguito riportiamo alcune definizioni che abbiamo trovato sulla base di partecipazione a progetti o giornate di studio o sulla base di documentazione consultata.
2.4
Dalla giornata FSEA sulla validazione delle competenze
Il 9 novembre 2006 la Federazione Svizzera per l’Educazione degli Adulti (FSEA)
ha organizzato a Bellinzona una giornata di studio sul tema della validazione degli
apprendimenti acquisiti4. Uno dei relatori5 ha portato la seguente definizione:
“Attitudine a mettere in atto il sapere, il saper fare e il saper essere in una situazione di lavoro abituale o nuova.
Sono definite in termini di obiettivi, d’autonomia, d’iniziativa, di responsabilità, di
contesto razionale o di cooperazione, di risorse utilizzate, di prestazioni richieste.”
Ritorneremo su questa definizione in quanto non legata a dei contenuti particolari
ma legata in modo indissolubile a un aspetto professionale della messa in pratica.
2.2 Dal quaderno dell’Istituto Svizzero di pedagogia dedicato alle competenze6
Il sostantivo competenza deriva dal verbo competere. Quest’ultimo, di origine latina (cum-petere), sta nel complesso ad indicare un’azione di “andare insieme, far
convergere in un medesimo punto”7 ; anche nell’accezione di incontrarsi, finire insieme, corrispondere, coincidere, gareggiare o di mirare ad un medesimo obiettivo.
Inoltre, non è da considerare l’uso del termine anche con un secondo significato:
“competente” è anche colui che ha autorità in un certo ambito; la “competenza”
era infatti anche tradotta in latino con il termine merces, che significa “onorario per
una prestazione professionale”. In effetti già il diritto romano contempla l’aggettivo
competens quale qualità di qualcuno che è responsabile, autorizzato, qualificato,
che ha facoltà di giudicare e dispone di legittima giursdizione. E’ questo il signficiato che ritroviamo ancora oggi nel diritto.
Nella linguistica il termine è stato introdotto all’inizio degli anno ’60 da Chmosky
(Chomsky, 1975) e definisce un principio generativo, vale a dire l’insieme delle regole e degli elementi di cui dispone ogni soggetto per comprendere ed esprimersi
attraverso un numero potenzialmente infinito di significati e di frasi. In questo senso la competenza intesa come potenziale si contrappone alla performanza, l’atto
cioè del comunicare concreto. Muovendo da queste prime considerazioni
sull’etimologia e sull’uso della noazione, potremmo dire che la competenza è una
qualità che fa convergere e mette insieme alcune proprietà in maniera adeguata e
4
per gli atti completi della giornata, confronta il sito http://www.alice.ch/
Atti della giornata di studio sulla validazione delle competenze organizzata dalla FSEA, Bellinzona 9 novembre 2006, intervento di Valerio Agustoni
6
Competenza, compétence, competence, Kompetenz. - Alcuni spunti sul concetto di competenza a partire da
un approccio linguistico e visto con gli occhi di Prometeo di Elena Boldrini e Gianni Ghisla
7
http://www.etimo.it
5
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funzionale allo svolgimento di una determinata attività, di un compito o
all’ottenimento di un certo obiettivo.
Tale qualità comporta, quando esercitata, ad una certa auctoritas in un determinato contesto, e ha quindi la facoltà di legittimare l’azione stessa, e potendole conferire, a certe condizioni, anche un valore monetario.
Alla base di questo aspetto d’autorità ci preme segnalare almeno altri due aspetti:
la volontà/motivazione e la responsabilità. Al fine di mettere in atto un comportamento competente occorre che vi sia una disposizione volizionale di fondo, ovvero
una motivazione: l’azione competente, quindi si identifica come non casuale, ma
voluta dal soggetto, che ne è quindi responsabile8.
2.3
Dal dizionario VA9
Nel 2006 l’UFFT (Ufficio Federale per la Formazione e la Tecnologia), in collaborazione con il SECO (Segretariato per l’Economia), i Cantoni e le Associazioni professionali ha messo in circolazione un progetto per la “Validazione degli apprendimenti acquisiti”. Con questo progetto, che si fonda sulla Legge per la Formazione Professionale (LFPr) si intende riconoscere la formazione acquisita attraverso
diverse vie, da una parte con offerte formative organizzate e strutturate, dall’altra
individualmente nella professione, nel lavoro domestico e familiare oppure durante
il tempo libero. Si parla in questo caso di formazione acquisita in modo non formale. Questa formazione sta assumendo sempre maggior importanza: gli attuali curriculum vitae non sono più caratterizzati da una successione di fasi chiaramente
distinte di formazione e di attività professionale. Oggi la metà delle persone attive
svolge una professione diversa da quella inizialmente appresa. Si presta maggior
attenzione all’inserimento o al reinserimento nel mercato del lavoro e in questo
contesto assume grande valore il computo degli apprendimenti acquisiti. La legge
sulla formazione professionale (LFPr) rende possibile tutto questo grazie alla separazione fra percorso di formazione e procedura di qualificazione. Gli adulti con
un’esperienza professionale di almeno cinque anni possono accedere ai titoli federali di formazione professionale. Vengono loro adeguatamente computate sia
l’esperienza professionale o extraprofessionale sia la formazione specifica o di
cultura generale.
La procedura di riconoscimento viene descritta come segue10:
8
[(Weinert, 2001), p.45] ci conferma questa caratterizzazione del concetto: “if one considers the Latin roots
and historical variations in meanings ascribed to competence, it is also understood to mean ‘cognizance’ or
‘responsibility’”.
9
tratto da http://www.bbt.admin.ch/themen/berufsbildung/00106/00404/index.html?lang=it
10
estratto dal documento praesentation_i.pdf rintracciabile al sito
http://www.bbt.admin.ch/themen/berufsbildung/00106/00404/00525/index.html?lang=it
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In questo ambito è stato allestito anche un “glossario” che alla voce “competenza”
recita:
“Nell’ambito del presente glossario e della procedura di validazione degli apprendimenti acquisiti, indica l’attivazione e la combinazione delle risorse al fine di gestire con successo determinate situazioni, azioni e problemi.”
Il glossario indica anche i seguenti termini collegati:
• risorse
• potenziale
• sapere
• saper fare
• saper essere
• competenze operative
• competenze professionali
• competenze metodologiche
• competenze personali
• competenze sociali
• conoscenze
• capacità
• abilità
• competenze di base
• competenze chiave
• competenze trasversali.
Come si vede, e come indicato nel glossario VA, il termine “competenza” genera
molteplici definizioni e classificazioni che si riferiscono a logiche e fondamenti teorici differenti.
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Nella colonna “Fonti e osservazioni” il glossario riporta: “Nella formazione professionale di base si distinguono per esempio le forme di classificazione seguenti:
• Piano Quadro Maturità Professionale: atteggiamenti (saper essere) conoscenze (saperi dichiarativi, saperi) capacità (saperi procedurali, saper fare)
• Manuale delle ordinanze - Fasi e passi per l’allestimento di un’ordinanza sulla
formazione professionale di base: Scopo della formazione professionale di base è la trasmissione di competenze: queste ultime permettono alla persona in
formazione di far fronte a situazioni operative professionali e generali. Le competenze (dette anche competenze operative) attese da professionisti formati
sono descritte nel piano di formazione sotto forma di obiettivi di formazione.
• Nuova Formazione Commerciale di base: competenze professionali (saperi,
saperi specifici o dichiarativi) competenze metodologiche (saper fare) competenze personali e sociali (saper essere)”.
2.4
Le competenze di soglia, distintive e di eccellenza
Per la nostra ricerca ci siamo avvalsi della distinzione dataci dal prof. Massimo
Balducci11:
• competenze di soglia: le devo per forza avere altrimenti non posso operare sono necessarie, non minime)
• competenze distintive: se ho anche quelle lo faccio meglio
• competenze di eccellenza: mi permettono di fare qualcosa di più.
Non va confuso con il livello di competenza: competenze da acquisire, competenze in via di acquisizione, competenze acquisite. Una volta acquisita la competenza
è acquisita e le competenze di soglia devono essere completamente acquisite. Nel
mestiere del docente è difficile stabilire quali sono le competenze di soglia e stabilire se uno le ha acquisite o no.
Nel suo Paper “GESTIONE DELLE RISORSE UMANE E NUOVI CONTESTI ORGANIZZATIVI: L’ORIENTAMENTO ALLE COMPETENZE” il prof. Balducci spiega
con questi termini cosa si intende per competenze.
“Definizione del concetto di competenza
Tra le numerose interpretazioni del concetto di competenza presenti in letteratura,
una delle più esaurienti è quella proposta da Boyatzis il quale descrive la competenza come un “insieme di capacità, abilità e qualità che influiscono positivamente
sulla performance aziendale. Esse possono riguardare capacità tecniche, innovative, commerciali, di flessibilità, di rapidità o, in senso più ampio, di capacità organizzative che rappresentano un comportamento organizzativo osservabile come
casualmente collegato a prestazioni superiori”.
Componenti delle competenze sono, quindi, le conoscenze professionali, le capacità e gli orientamenti gestionali richiesti dal business e dai suoi processi ed espressi dalle persone in comportamenti che determinano una prestazione efficace
e competitiva.
Due approcci alle competenze
I numerosi approcci alle competenze possono essere sintetizzati in due filoni concettuali distinti: il filone psicologico/comportamentale ed il filone razionale/strategico/sistemico.
11
da appunti personali di Marco Ricci sulla lezione del 26 ottobre 2006 non rivisti dal relatore
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Il filone psicologico si basa sui comportamenti organizzativi, sulle capacità operative e sulle attitudini personali.
E’ un sistema che analizza i comportamenti che nel passato hanno conseguito
prestazioni di successo e che non può quindi predire cosa accadrà nel futuro.
In questo approccio il processo di definizione delle competenze si basa quindi su
fatti che riguardano il passato e si focalizza sulla dimensione individuale e psicologica.
Il filone razionale/strategico considera, invece, le conoscenze organizzative ed ha
come obiettivo l’identificazione delle competenze distintive e necessarie a sviluppare il business.
E’, quindi, un processo centrato sul cambiamento del proprio business al fine di
individuarne i fattori critici di successo.
Il vantaggio di questo metodo sta nell’anticipare le esigenze e le competenze necessarie per affrontarle, tuttavia, ha il suo punto debole nel non prendere a sufficienza in considerazione le capacità e gli orientamenti gestionali che influenzano il
ruolo individuale.
I due approcci arrivano a due diverse descrizioni del concetto di competenza: il
modello psicologico, infatti, prende in considerazione le competenze individuali
mentre quello razionale le competenze distintive.
Competenze individuali e competenze distintive
Come abbiamo visto, attorno alle competenze individuali ruota l’approccio psicologico.
Le competenza individuale è una caratteristica intrinseca di un individuo che conduce ad una performance efficace o superiore nella mansione.
Una competenza può essere un tratto della personalità, una motivazione, una skill,
un aspetto dell’immagine di sé e del ruolo sociale, o un corpo di conoscenze.
Le competenze individuali sono quindi costituite da una combinazione di conoscenze professionali, capacità e comportamenti che vanno rispettivamente a costituire il sapere, il saper fare ed il saper essere.
Più precisamente:
• le conoscenze costituiscono ciò che le persone sanno in seguito sia all’ apprendimento istituzionale che nell’organizzazione (il sapere);
• le capacità sono ciò che un individuo ha appreso in seguito all’esperienza e
all’applicazione delle conoscenze (il saper fare);
• i comportamenti costituiscono il modo di agire delle persone a seconda del
contesto in cui sono inserite e delle relazioni che si vengono a creare (il saper
essere).
In questo caso, quindi, la competenza diviene una componente profonda
dell’individuo che può predirne il comportamento in una varietà di differenti situazioni”.
La nostra ricerca tende quindi non solo a valutare se le competenze apprese dai
formatori e dalle formatrici sono applicate nell’esplicitazione del loro compito ma
anche valutare se le cosiddette competenze di soglia possono trasformarsi in
competenze distintive.
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
3.
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Base di confronto: programma moduli FFA
di Marco Ricci e Walter Seghizzi
12
Tra la documentazione che abbiamo potuto visionare, quella più completa e che,
in fondo, fissa le competenze di soglia necessarie a una formatrice/un formatore
per adulti, è il programma dei moduli per formatori/trici di adulti. Per ogni modulo,
cinque in totale, vengono definiti non solo i contenuti ma anche quali competenze
vengono aumentate.
La suddivisione è sviluppata su sei livelli:
Competenza sociale e istituzionale
Competenza nella progettazione e nel management dei corsi
Competenza didattica generale
Competenza didattica specifica
Competenza sociale
Competenza personale
Come vedremo nei sottocapitoli seguenti, non è detto che per ogni modulo ogni
classe abbia uno sviluppo di competenza, ma la ripartizione viene mantenuta in
modo da poter avere sempre elementi di confronto.
A nostro modo di vedere, anche se siamo consci di anticipare una conclusione,
l’acquisizione di queste competenze viene data per scontata da chi, in seguito, assume una persona in possesso dell’attestato professionale di formatore/trice per
adulti e l’effettiva padronanza di queste competenze non viene verificata. Il limite
emerge in quanto i requisiti di base per seguire i moduli non sono, a nostro modo
di vedere, sufficientemente definiti. È abbastanza che una persona si sia dedicata
alla formazione per un minimo di 160 ore (preparazione, aula, correzione, valutazione, ecc.) nei due anni precedenti al conseguimento del certificato del primo
modulo per ottenere la certificazione al primo livello. Una persona, per esempio,
che interviene mensilmente un’ora in un modulo di introduzione dei nuovi collaboratori per parlare del proprio tema specifico può così diventare formatore/trice per
adulti.
12
Marco Ricci ha realizzato le mappe mentali e scritto l’introduzione. Walter Seghizzi ha redatto la decodifica delle singole
competenze
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
3.1
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Suddivisione per moduli
Conoscere la propria istituzione di formazione
e sapere informare gli allievi
Competenza sociale e istituzionale
Conoscere gli strumenti di
qualificazione/certificazione del corso
specifico e saperne informare gli allievi
Competenza nella progettazione e nel management dei corsi
Possedere nozioni di base sull'apprendimento
in età adulta e saperle applicare
Saper spiegare agli allievi i programmi previsti
per i propri corsi
Competenza didattica generale
Sapere impegare un repertorio metodologico adeguato
Sapere applicare metodi semplici di valutazione
sistematica per imput, svolgimento e output della
propria offerta
Sapere utilizzare media e supporti didattici
Modulo 1
Competenza didattica specifica
Possedere una terminologia specifica adeguata e
saperla formulare in modo comprensibile per gli allievi
Saper riconoscere il livello degli allievi nella
propria disciplina e valutarne i progressi
Possedere nozioni di base sulla comunicazione, saper analizzare
processi comunicativi e moderare discussioni con sicurezza
Competenza sociale
Conoscere modelli di dinamica di gruppo e possedere un repertorio
essenziale d'interventi per guidare gruppi in formazione
Essere consci dei propri modelli comportamentali e saperli
modificare in modo adatto alla situazione
Saper riconoscere difficoltà/conflitti e gestirli con strategie
adeguate
In base al proprio curricolo di discenti conoscere la propria
concezione dell'apprendimento
Competenza personale
Competenza sociale e istituzionale
-
Competenza nella progettazione e nel management dei corsi
Competenza didattica generale
Competenza didattica specifica
Competenze richieste a
un formatore per adulti
(suddivisione per moduli)
Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di
formatori, saper analizzare il proprio comportamento e
ampliare il proprio repertorio di ruoli
Saper reagire in modo flessibile a cambiamenti
Saper seguire l'evoluzione di gruppi in varie
fasi dell'insegnamento/apprendimento
-
Possedere nozioni teoriche sulla comunicazione, saperle
applicare in modo adatto a situazioni concrete di discussione
e a processi comunicativi di gruppo
Modulo 2
Competenza sociale
17.08.2006
Conoscere i punti forti/deboli del proprio comportamento
comunicativo
Conoscere teorie della dinamica di gruppo e possedere un
repertorio adeguato d'interventi per la conduzione di gruppi
Saper guidare gruppi in processi collettivi complessi e prolungati
Essere consci dei propri punti forti/deboli e delle proprie potenzialità
evolutive, saper perfezionare i punti forti e migliorare quelli deboli o
ammettere i propri limiti
Competenza personale
Competenza sociale e istituzionale
Conoscere a grabdi lineee le strutture e le condizioni quadro
della formazione in Svizzera e averne una visione globale
Saper consigliare gli allievi sui loro bisogni di perfezionamento e
sulle possibilità di qualificazione/certificazione
Competenza nella progettazione e nel
management dei corsi
Competenza didattica generale
Modulo 3
Competenza didattica specifica
Competenza sociale e istituzionale
Capire l'importanza sociale della formazione e
dell'apprendimento permanente, saper valutare il valore sociale
della propria offerta
Competenza sociale
Riconoscere le correnti e le tendenze sociali, saper analizzare il
loro influsso sulla propria attività
Competenza personale
Saper confrontare varie offerte di perfezionamento nella propria
disciplina
Saper consigliare gli allievi nel loro processo di apprendimento individuale
Conoscere le possibilità di qualificazione/certificazione della propria
disciplina e in campi vicini e saper orientare gli allievi
Saper consigliare individualmente gli allievi sui loro obiettivi realistici di
formazione, sugli iter formativi adeguati e sulle possibilità di progresso
Possedere nozioni di teoria della comunicazione utili ai fini della consulenza,
saperle applicare in colloqui concreti di consulenza e feedback
-
Saper valutare le possibilità e l'importanza delle iniziative di
perfezionamento nel processo evolutivo di un'organizzazione
Saper dare un contributo costruttivo in progetti didattici
complessi e in team di formazione
Competenza nella progettazione e nel
management dei corsi
Saper sviluppare in forma autonoma piani generali per i propri
corsi tenendo conto delle condizioni quadro
Conoscere fattori finanziari importanti e sapere interpretare
benchmark, possedere nozioni essenziali di contabilitàper corsi,
conoscere le possibilità di finanziamento della propria offerta
Saper allestire, leggere e interpretare preventivi e rendiconti
Saper motivare piani generali, misure, progetti
Modulo 4
Conoscere e applicare le basi per l'amministrazione di corsi
Conoscere metodi per accertare i bisogni e per analizzare gruppi di allievi e
condizioni-quadro
Competenza didattica generale
Saper motivare scopi e obiettivi didattici di propri corsi nonché saperli
formulare in modo comprensibile agli allievi
Saper progettare interventi di valutazione sotto vari aspetti
Competenza didattica specifica
Competenza sociale
Competenza personale
Vagliare e aggiornare regolarmente le proprie nozioni professionali teoriche e
pratiche, colmare quelle mancanti
In base alle proprie conoscenze professionali saper definire obiettivi didattici in
modo realistico e rilevante per i destinatari
Promuovere la propria riflessione ed evoluzione operando sul piano interdisciplinare e
sovraistituzionale
Saper affrontare in modo flessibile condizioni-quadro diverse
Competenza sociale e istituzionale
-
Competenza nella progettazione e nel
management dei corsi
Saper descrivere competenze concrete e sviluppare offerte tenendo
presenti le attese dei committenti e degli allievi
Possedere nozioni di psicologia dello sviluppo e dell'apprendimento in età
adulta, saperle impiegare nel concepire i propri corsi
Conoscere metodi di acertamento dei bisogni e saperli impiegare nello
strutturare i propri corsi
Saper definire contenuti didattici e strutturare i propri corsi in sintonia con
gli obiettivi prefissati
Competenza didattica generale
Conoscere le caratteristiche e le possibilità di varie forme d'insegnamento/
apprendimento, saperle impiegare in modo adatto ai destinatari e coerente
con gli scopi e obiettivi didattici
Saper scegliere in modo mirato materiali didattici, completarli e adattarli a
gruppi speciali di destinatari
Saper scegliere media ai fini del processo di apprendimento, motivando la
scelta
Modulo 5
Vagliare e aggiornare regolarmente le proprie nozioni professionali teoriche
e pratiche e sapersi procurare quelle mancanti
Competenza didattica specifica
In base alle proprie conoscenze professionali saper definire obiettivi didattici
in modo realistico e rilevante per i destinatari
Avere familiarità con forme d'insegnamento/apprendimento efficaci,
adeguate alla materia insegnata e ai contenuti didattici
Avere una visione globale dei supporti didattici adatti alla propria disciplina
e saperli valutare
Competenza sociale
Competenza personale
Conoscere modelli della dinamica di gruppo, conoscere l'interazione fra strutture per lo
svolgimento di un corso e processi della dinamica di gruppo
In base a un'analisi del proprio curricolo di discenti conoscere la propria concezione
dell'apprendimento e capire il suo rapporto col curricolo stesso
Essere consci dei vari ruoli dei formatori, saper analizzare il proprio comportamento e
allargare il proprio repertorio di ruoli
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MaGF 2 - Modulo 12
3.2
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Suddivisione per competenze
A. Competenza sociale e istituzionale
A.1 Conoscere la propria istituzione di formazione e sapere informare gli allievi
il formatore che conosce la propria istituzione si identifica con essa e la rappresenta. In ogni momento, anche se molto spesso inconsciamente, dialoga virtualmente
con i propri riferimenti istituzionali e li traspone mostrando sicurezza e motivando
scelte, principi e soluzioni. I discenti traggono da questo comportamento molta sicurezza e aumentano il grado di “benessere” formativo, a tutto vantaggio
dell’apprendimento.
A.2 Conoscere gli strumenti di qualificazione/certificazione del corso specifico e
saperne informare gli allievi
questa conoscenza specifica presuppone la conoscenza dell’intero sistema formativo a livello federale. L’approfondimento dell’aspetto docimologico – certificativo
della formazione si esprime, anche, con un adeguato comportamento metodologico – didattico in relazione ai temi e al grado di approfondimento di quest’ultimi in
funzione dell’esame o del controllo dell’apprendimento.
A.3 Conoscere a grandi linee le strutture e le condizioni quadro della formazione in
Svizzera e averne una visione globale
vedi anche commento del pto. 1.2. Il formatore che conosce il sistema è anche in
grado di conoscere ed evidenziare le alternative, nonché consigliare i discenti in
modo corretto ed efficace.
A.4 Saper consigliare gli allievi sui loro bisogni di perfezionamento e sulle possibilità di qualificazione/certificazione
anche in questo caso, la competenza necessaria è quella relativa alla conoscenza
del tessuto di riferimento e delle realtà specifiche. Una indispensabile esperienza
è riferita al mondo aziendale e lavorativo; consigliare certificazioni e perfezionamenti non possono prescindere dalla loro spendibilità concreta all’interno del contesto socio – economico di riferimento.
A.5 Capire l'importanza sociale della formazione e dell'apprendimento permanente, saper valutare il valore sociale della propria offerta
ci riallacciamo, anche in questo caso, al punto precedente. Dal punto di vista del
comportamento del formatore, è, a mio avviso, piuttosto evidente l’esperienza precedente e/o attuale del formatore in contesti economici “reali”. L’offerta formativa,
da par suo, non può essere costituita che tenendo conto della trasferibilità dei contenuti e del livello certificativo proposto. Non è raro che percorsi formativi vengano
confezionati in modo uniforme su tutto il territorio, senza tenere in necessaria considerazione le peculiarità regionali riferite alla lingua, alla cultura e al tessuto economico regionale. Nascono così dei corsi di formazione potenzialmente interessanti e spendibili sono in contesti specifici.
A.6 Riconoscere le correnti e le tendenze sociali, saper analizzare il loro influsso
sulla propria attività
detto con altre parole, ci si riferisce qui alle capacità del formatore nei termini di
flessibilità e capacità di reazione. L’azione formativa esercitata dal formatore non
può infatti prescindere dall’attualità e dagli avvenimenti che caratterizzano il campo di riferimento (nel breve e nel medio periodo). Decisioni politiche, socio – economiche e culturali devono essere conosciute, analizzate, fatte proprie e quindi
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MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
trasposte nell’attività corrente del formatore. La sterile ripetizione di lezioni preconfezionate o elaborate dal formatore nel passato non possono che vanificare
l’apprendimento e quindi la possibilità, dei discenti, di approfittare di detto apprendimento.
B. Competenza nella progettazione e nel management dei corsi
B.1 Saper confrontare varie offerte di perfezionamento nella propria disciplina
il perfezionamento professionale è, soprattutto per i formatori, un aspetto fondamentale. Non è un “accessorio” come potrebbe essere definito in altre professioni.
Per i formatori il perfezionamento è una parte integrante della formazione “di base”, soltanto che si prolunga su tutto l’arco della vita professionale. All’interno
dell’offerta di perfezionamento, che è, anche nella nostra piccola realtà, immensa,
è vieppiù importante saper navigare con coscienza e competenza per poter poi
approdare alla meta desiderata. Questo processo è molto complesso, non solo,
come detto, per la complessità e la vastità dell’offerta, bensì per la soggettiva difficoltà di analizzare e valutare le proprie necessità. “Cosa mi serve” è diverso dal
“Cosa mi piacerebbe” o dal “Cosa mi interesserebbe”. Per ovviare a questo dilemma, una delle possibilità è costituita dall’auditing / shadowing, peer revew interno all’istituzione formativa.
B.2 Saper valutare le possibilità e l'importanza delle iniziative di perfezionamento
nel processo evolutivo di un'organizzazione
valgono le stesse osservazioni del punto precedente, riferite però al contesto professionale / aziendale. L’ente che, più e meglio di altri, riuscisse a predisporre
un’offerta formativa per i propri dipendenti partirebbe sicuramente avvantaggiato e
godrebbe di questo vantaggio per tutto il percorso storico ed evolutivo
dell’azienda. Il formatore deve avere fra le proprie competenze pure quella legata
alla capacità di elaborare precise e puntuali analisi dei bisogni, formulare delle
diagnosi e proporre delle soluzione (anche) formative.
B.3 Saper dare un contributo costruttivo in progetti didattici complessi e in team di
formazione
si tratta di una competenza ambivalente perché permette di affrontare due aspetti
fondamentali. Da un lato si evidenzia la componente legata al sapere individuale
spendibile a livello di contributo concreto nella costruzione di un progetto. Dall’altro
vi è la capacità di fornire detto contributo specialistico all’interno di un team, tenuto
conto quindi del ruolo ricoperto nel gruppo e tenendo conto delle dinamiche presenti nel gruppo stesso. Non è raro osservare, purtroppo, che col crescere delle
competenze individuali si evidenzi una certa reticenza nel mettere a disposizione
tale sapere. L’impressione che si avverte è di una sorta di timore nel condividere
le competenze, come se vi fosse un diritto acquisito di proprietà intellettuale individuale. Il formatore, invece, dovrebbe misurare il proprio sapere attraverso il confronto diretto e l’appartenenza a gruppi d’interesse.
B.4 Saper sviluppare in forma autonoma piani generali per i propri corsi tenendo
conto delle condizioni quadro
il costrutto semantico legato all’affermazione in oggetto potrebbe apparire contraddittorio al suo interno. L’autonomia richiesta al formatore – progettista si scontra inevitabilmente con le condizioni quadro e con tutta un’altra serie di vincoli.
Rappresenta però bene, a nostro avviso, la realtà con la quale il progettista si confronta sovente. A fronte di una dichiarata e promessa libertà concettuale, il formaPagina 16 di 128
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
tore che, dopo l’analisi dei bisogni, dell’analisi della situazione e dei dati raccolti e
della conseguente formulazione di una diagnosi formativa, volesse proporre un
percorso formativo appropriato dovrebbe confrontarsi con la politica aziendale,
con la disponibilità di risorse (finanziarie e temporali) e con la necessità della misurazione oggettiva delle ricadute a seguito dell’intervento. Il formatore, quindi,
deve dimostrare di possedere un’ulteriore componente fondamentale, ossia quella
legata alle competenze negoziali (che verranno trattate in seguito).
proposta formativa e formulazione di
obiettivi generali
richiesta e 1°
colloquio con
il committente
negoziazione
con la committenza
formulazione
prima ipotesi
analisi dei dati
e formulazione di diagnosi
analisi dei bisogni e raccolta dei dati
B.5 Conoscere fattori finanziari importanti e sapere interpretare benchmarking,
possedere nozioni essenziali di contabilità per corsi, conoscere le possibilità di
finanziamento della propria offerta
l’aspetto economico nelle attività di formazione è fondamentale. Il finanziamento di
queste attività ne è una parte altrettanto fondamentale. I diversi testi di legge13 di
riferimento prevedono, per alcuni progetti, delle importanti possibilità di finanziamento. L’elenco di queste possibilità si limita però a progetti formativi innovativi e
solo dopo che sia stato analizzato e comprovato questo aspetto. Tutte le restanti
attività formative, che sono la stragrande maggioranza, devono sopperire ai fabbisogni economici attraverso l’autofinanziamento (tasse d’iscrizione) oppure attraverso il finanziamento del committente (investimento vs ricaduta misurabile sul
comportamento degli attori).
B.6 Saper allestire, leggere e interpretare preventivi e rendiconti
si è affermato per anni (e noi continuiamo a crederci) che un minimo di formazione
commerciale stia alla base di qualsiasi attività professionale, anche quella del for-
13
cfr. ad esempio gli art. 54 e 55 della LFPr (2003)
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Le competenze distintive dei formatori:
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matore. La pura formazione pedagogico – didattica, maggiormente se considerassimo quella accademica, evidenzia, da questo punto di vista, alcune aree migliorabili.
B.7 Saper motivare piani generali, misure, progetti
la padronanza della lingua di riferimento (sia orale che scritta) è fondamentale.
Non si può avere delle idee e poi non saperle esprimere, giustificare o motivare.
Oltre a ciò è importante che la conoscenza della materia specifica sia approfondita
e non frutto di sommarie letture. In altre parole: “quando non è farina del tuo sacco, si vede subito…”. In altre parole, il formatore progettista deve conoscere, al di
la dei dettagli contenutistici del progetto, anche le riflessioni, i dati, i processi analitici, le negoziazioni effettuate, le risorse necessarie a sostegno del progetto nonché le ipotesi di ricaduta sui fruito a processo ultimato. In caso di necessità deve
essere in grado di sostenere le proprie idee e i propri progetti di fronte a un commitment critico, esigente e, molto spesso, con relativamente scarse conoscenze
specifiche.
B.8 Conoscere e applicare le basi per l'amministrazione di corsi
essendo una parte integrante della formazione, anche l’aspetto operativo legato
all’amministrazione dei corsi riveste grande importanza. Tutte le procedure legate
all’iscrizione, alla convocazione, al materiale didattico da preparare e distribuire,
alla contabilità dei partecipanti, all’attestazione e alla fatturazione determinano
molto (forse inaspettatamente) la percezione di qualità, l’efficacia e l’efficienza del
percorso formativo. Il formatore non può quindi esimersi dal conoscere o
dall’esercitare direttamente ruoli o procedure di tipo amministrativo. Anche in questo caso, come già evidenziato, le conoscenze o le formazioni commerciali pregresse, costituiscono un tangibile vantaggio.
B.9 Saper descrivere competenze concrete e sviluppare offerte tenendo presenti
le attese dei committenti e degli allievi
dal profilo della descrizione delle competenze, credo che si pari davanti al formatore un compito di difficile svolgimento; il presente lavoro di approfondimento, proprio su questo tema, ne è una testimonianza. Nell’attività corrente del formatore è
di grande aiuto la padronanza della corretta formulazione degli obiettivi e della relativa tassonomia. Porsi empaticamente la domanda sui comportamenti attesi al
termine del corso rappresenta, a nostro avviso, uno dei primi passi. A questa risposta va accomunata la riflessione sulle attese del commitment e dei discenti. Il
formatore deve quindi nuovamente riprendere i contenuti dell’analisi dei bisogni e
trovare il giusto compromesso fra le diverse necessità. L’offerta formativa va sviluppata tenendo conto delle diverse componenti.
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Le competenze distintive dei formatori:
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analisi dei
bisogni
comportamenti
attesi secondo il
formatore
OFFERTA
FORMATIVA
attese dei partecipanti
attese del
commitment
C. Competenza didattica generale
C.1 Possedere nozioni di base sull'apprendimento in età adulta e saperle applicare
fortunatamente, da qualche anno, abbiamo la possibilità di compiere una decisa
differenziazione fra pedagogia e andragogia. Importanti testi di riferimento14 danno
la possibilità di evidenziare gli approcci, le metodologie e la misurazione dei risultati, a tutto vantaggio dell’apprendimento e, quindi, dell’efficacia della formazione.
L’applicazione passa forzatamente attraverso questa conoscenza. Cambiano le
ipotesi di programmazione, la formulazione degli obiettivi (e relativa misurazione),
le metodologie e le dinamiche da utilizzare in aula. Lo sfruttamento dell’esperienza
presente nel gruppo, la trasferibilità dei concetti e la diversa leva motivazionale su
cui agire, vengono maggiormente considerate e il costrutto “globale” generato e
condiviso dai discenti.
C.2 Saper spiegare agli allievi i programmi previsti per i propri corsi
essendo, generalmente, il formatore l’artefice della stessa programmazione, non
dovrebbe essere difficoltoso l’approccio esplicativo e motivazionale nei confronti
dei discenti. Un corso di formazione nasce da un bisogno che è, nei casi normali,
sondato e verificato dal formatore. La diagnosi che esso propone tiene conto del
problema (che va discusso con la committenza) e della possibilità che possa venir
risolto attraverso un corso di formazione. Nella spiegazione il formatore deve elencare i passi intrapresi e le azioni che gli permetteranno di svolgere il proprio
mandato.
C.3 Sapere impiegare un repertorio metodologico adeguato
considero questo aspetto decisamente centrale nell’attività del formatore. Ogni attività formativa deve tener conto dei fruitori che vanno posti al centro
dell’attenzione. Gli elementi che concorrono, quindi, alla scelta del repertorio me-
14
cfr. ad esempio “Quando l’adulto impara”, M. Knowles, Franco Angeli
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Le competenze distintive dei formatori:
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todologico, passano attraverso all’analisi della soluzione voluta (in termini di obiettivo), nonché della varietà costituente il gruppo dei discenti. In questo caso le
componenti importanti da considerare sono:
- le teorie della PNL15
- la durata complessiva delle giornate e del corso16
- il luogo dove si tiene il corso
- la provenienza17 e il livello cognitivo dei partecipanti
- il materiale, gli strumenti e le apparecchiature a disposizione
C.4 Sapere applicare metodi semplici di valutazione sistematica per input, svolgimento e output della propria offerta
Valutazione formativa
Tipo di valutazione che ha lo scopo di migliorare l'efficacia dell'intervento formativo
e in particolare dei materiali didattici utilizzati. La valutazione formativa viene svolta durante l'intervento formativo e risponde alla domanda "come stiamo andando?".
Valutazione sommativa
Tipo di valutazione che ha lo scopo di giudicare l'efficacia dell'intervento formativo
e in particolare l’apprendimento e le prestazioni dei discenti. La valutazione sommativa viene svolta alla fine dell'intervento formativo e risponde alla domanda
"come siamo andati?".
Valutazione confermativa
Tipo di valutazione che ha lo scopo di giudicare l'efficacia nel tempo dell'intervento
formativo e in particolare il trasferimento dell'apprendimento sul lavoro. La valutazione confermativa viene svolta dopo un certo periodo di tempo, ad esempio tre o
sei mesi, dalla fine dell'intervento formativo.
Le definizioni di valutazione18, tipicamente utilizzate in ambito formativo, che abbiamo trovato, non sono altro che un esempio di struttura cronologica di attività di
monitoraggio della formazione. Ogni formatore sviluppa le proprie competenze
15
La PNL (programmazione neurolinguistica, inglese “nlp”) è un’evoluzione dell’ipnosi e risale alle tecniche e insegnamenti
dei ricercatori degli anni '80 R. Bandler J. Grinder che avevano ripreso ricerche precedenti abbozzando una nuova maniera
di approcciarsi alle scienze umane. Ma in realtà, come ogni cosa valida, è andata molto oltre ai fondatori.. La PNL è attualmente quella che viene definita un'invenzione dell'Umanità, qualcosa che appartiene a tutti, tante sono le persone che
hanno contribuito. Questa e una storia magica. È una storia di maghi e di rane che si trasformano in principi. È
un’avventura, una magia che accade ogni giorno nella neuro-linguistica umana, una storia che riguarda tutti noi.
La magia la possiamo sprigionare da noi stessi, e per Pnl intendiamo il modo con cui voi potete far funzionare efficacemente il vostro cervello. Per magia, intendiamo, come usare il proprio cervello efficacemente per raggiungere i nostri scopi. Sia
che vogliamo diventare un abile venditore, o un buon padre, o migliorare i nostri risultati nello studio che nello sport, se usiamo una strategia adatta otterremo tutto questo. La PNL si occupa di sviluppare strategie vincenti! La PNL è il modellamento dell'eccellenza. E quando padroneggiano questi strumenti, allora si possono conoscere i segreti di questa magia.
Magia? Sì, la magia di ottenere ciò che uno desidera, la magia di forgiare e costruire il proprio futuro, la magia di entrare nel
rapport con altri, eliminando i conflitti, scoprendo i valori di un’ altra persona sulle cose, ecc. Usiamo il termine “magia” in
Pnl per parlare di una struttura stessa ed esperienza in merito. Così quando qualcuno fa qualcosa veramente bene, in qualsiasi campo, sappiamo che quell’ esperienza ha una struttura e che possiamo imparare e replicarla. Questa è la Pnl. Letteralmente con Pnl intendiamo un sistema mente-corpo che possiamo programmare, molto simile a come possiamo programmare il software per un computer. Possiamo programmare una strategia per fare molti amici, imparare in fretta, rimanere in buona salute, fare soldi ecc. Noi rappresentiamo il mondo attraverso i nostri sensi: Visivo (occhi) — per le immagini,
viste. Uditivo (orecchi) — per i suoni, disturbi, toni, volumi. Cinestesico (tatto/corpo) — per le sensazioni, tocco, la pressione, ecc. Quando pensiamo a qualcosa, mettiamo i nostri “pensieri in codice” che usano i nostri “sensi.”Qui nasce un altro
concetto importante,i nostri sistemi sensoriali o modalità. Ciò rende i nostri “pensieri” molto più specifici. Da una combinazione dei nostri sistemi sensoriali, nascono le strategie.
16
In corsi brevi l’ostentazione di metodologie esasperatamente socio costruttiviste potrebbe essere vissuta dai partecipanti
quale “perdita di tempo”
17
È ormai chiaro che alcune “popolazioni” hanno maggiore piacere, abitudine e dimestichezza con metodologie legate al
coinvolgimento attivo dei partecipanti. Esperienze personali, per esempio con gruppi italiani, ha evidenziato che l’abitudine
di costoro (anche in ambito accademico) verte maggiormente su approcci semplici e frontali. Al contrario, nella Svizzera
interna, da ormai vent’anni e più, varrebbe l’esatto contrario. Il Ticino, anche per una questione di posizionamento “mediano”, predilige un approccio che definirei misto e prudentemente innovativo.
18
cfr: http://www.simulware.it/glossario/gloss_pag.htm
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MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
anche in questo ambito. Molto spesso – e sempre più – gli enti di formazione e le
strutture dove avviene la formazione, dispongono di un sistema per la gestione
della qualità19. In questo caso il percorso valutativo è previsto, strutturato e dotato
dei necessari strumenti.
C.5 Sapere utilizzare media e supporti didattici
I supporti didattici possono migliorare la qualità delle lezioni, se usati ponderatamente. Ne esistono di tutti i tipi, per tutti i gusti e capacità e sono particolarmente
utilizzati durante i corsi di formazione dedicati agli adulti. Le nuove prospettive aprono nuovi mercati multimediali non competono più solo al docente interessato,
bensì ad un intero gruppo di lavoro. Tutto ciò dimostra chiaramente che l’interesse
nei confronti di supporti didattici nuovi e adatti ad ogni esigenza è in piena espansione. I docenti desiderano, in generale, di poter disporre di maggiori informazioni.
La didattica dei supporti multimediali e il bisogno di formazione continua
A differenza di qualche anno fa, periodo in cui le nuove tecnologie facevano capolino nei luoghi di formazione, oggi vi è senza dubbio una certa generalizzazione. Il
rischio di tale situazione sfiora situazioni d’abuso delle tecnologie. C’è ancora la
sensazione che di debba, per forza, utilizzare per principio le risorse tecnologiche
a disposizione; sempre e in ogni caso. Molto spesso, questo porta a delle forzature. La formazione continua dei docenti e dei formatori, quindi, è assolutamente
necessaria. A differenza di quanto di potrebbe pensare, tale formazione dovrebbe
evidenziare l’uso in situazioni specifiche, più che spiegare il funzionamento delle
apparecchiature.
C.6 Saper seguire l'evoluzione di gruppi in varie fasi dell'insegnamento/ apprendimento
In un’ottica di organizzazione dell’insegnamento/apprendimento che tenga conto
delle differenze individuali e della valorizzazione dei talenti e delle esperienze pregresse, il ruolo dell’insegnante diventa quello di facilitatore e mentore, non più meramente di detentore di una conoscenza (contenuti) da trasmettere in modo passivo. L’insegnante è qui visto come un professionista dell’insegnamento / apprendimento, che, attraverso la creazione in classe di un adeguato ambiente di apprendimento, mette in atto strategie e tecniche per la gestione efficace degli apprendimenti nel rispetto dell’individualità di ciascun discente, visto come persona con
delle risorse da sviluppare. Il suo ruolo è quello di guidarlo nel suo personale percorso di conoscenza, fornendogli gli strumenti per imparare. La responsabilità
dell’apprendimento è quindi condivisa e si basa anche sul rapporto di collaborazione reciproca tra insegnante e soggetto che apprende: in classe viene creato un
clima positivo, di fiducia e di valorizzazione e sviluppo dei talenti individuali e della
sfera affettiva. Questo cambiamento si applica tanto più a situazioni in cui studenti
provenienti da società ed ambienti educativi diversi si inseriscono nelle nostre
classi: una cultura dell’accoglienza continuativa, che miri e porti esiti formativi positivi, non può infatti prescindere dal riconoscimento di tali differenze e dalla loro
valorizzazione come arricchimento reciproco. In questo panorama si rende necessaria una riflessione da parte dell’insegnante sulla propria storia personale di insegnamento e soprattutto sul proprio stile di insegnamento, costruito nel corso degli anni e sui modelli di apprendimento della sua storia personale, che sugli atteggiamenti e convinzioni sviluppati e quindi impiegati nel lavoro quotidiano in classe
19
P. es.: eduqua, ISO, ECFM, CAF ecc.
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Le competenze distintive dei formatori:
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con i propri discenti. La valorizzazione della persona nella sua interezza, il riconoscimento delle competenze cognitive ed esperienziali pregresse, che stanno alla
base di qualsiasi apprendimento, è di fondamentale importanza in questo caso per
lo sviluppo di un senso di appartenenza alla comunità, scolastica in primis, che
sostenga l’autostima, la motivazione e il successo scolastico.
L’insegnante, per promuovere in ciascun allievo un apprendimento efficace, dovrebbe offrire un menu vario ed equilibrato di compiti e attività che possano raggiungere e sviluppare le differenze individuali. Tenendo conto delle diversità negli
stili cognitivi, nei canali sensoriali e nelle diverse intelligenze, la proposta di una
‘dieta bilanciata’ nelle attività in classe può offrire a ciascun soggetto che apprende la possibilità di costruire un senso personale nel proprio percorso di conoscenza, e quindi di crescere e di sentirsi accolto, non escluso, dal processo di apprendimento. Una didattica integrata pone quindi in primo piano lo sviluppo della persona, promovendone allo stesso tempo una crescita cognitiva, affettiva e relazionale, attraverso un’offerta molteplice e differenziata di attività e tecniche didattiche.
C.7 Saper consigliare gli allievi nel loro processo di apprendimento individuale
Occorre pensare a un sistema di formazione “aperta”, ossia un sistema di apprendimento che, a differenza di corsi erogati con modalità tradizionali, ponga il partecipante al centro del sistema e gli permetta di svolgere un ruolo attivo nella definizione del proprio percorso di apprendimento. Ciò significa introdurre una maggiore
flessibilità nell’offerta formativa. Questa flessibilità può riguardare diverse dimensioni, quali i contenuti dei corsi , i luoghi dove questo è organizzato, le modalità e i
tempi di erogazione, così come i ritmi di apprendimento, le forme di supporto, gli
strumenti e i momenti di valutazione. Il processo di insegnamento/apprendimento
costituisce una realtà complessa in cui, oltre alla interazione diretta tra docente e
discente, occorre progettare una pluralità di attività. Alternando diverse situazioni
didattiche in modo coerente con gli obiettivi didattici e le caratteristiche cognitive
dello studente. Nell’ambito di tale processo, il sistema di monitoraggio e di controllo permette una continua e puntuale verifica dell’efficacia didattica delle scelte effettuate e permette di apportare le opportune modifiche. In un sistema tradizionale
di insegnamento viene privilegiata la modalità orale nella comunicazione: il docente spiega, illustra, sintetizza e approfondisce il contenuto della sua disciplina.
L’insegnamento è dunque centrato quasi esclusivamente sulla lezione e il libro di
testo è spesso la principale se non unica risorsa didattica. Nella relazione didattica
l’attenzione è focalizzata sul processo di insegnamento e al centro del sistema di
apprendimento è il docente formatore che definisce gli obiettivi che il gruppo di
studenti dovrà conseguire. Quando la modalità “trasmissione delle conoscenze”
prevale sulle altre modalità possibili, grande attenzione è dedicata alla completezza dei contenuti, la possibilità di scelta degli studenti sono molto limitate e il percorso formativo è unico per tutti ed è sostanzialmente rigido. La motivazione degli
studenti non è considerata elemento indispensabile e le attività applicative sono
presenti quasi esclusivamente nelle discipline che prevedono attività di laboratorio.
In genere, in questo contesto non vengono valorizzate, o lo sono in misura molto
limitata, le precedenti esperienze educative e formative dello studente; le competenze effettivamente possedute e le sue potenzialità di apprendimento sono prese
in considerazione solo nel momento della valutazione; il processo decisionale è
concentrato nella figura del docente che programma, eroga e valuta il corso, mentre il partecipante svolge un ruolo sostanzialmente passivo. In un sistema di apprendimento flessibile e aperto viene superata l’idea di un unico percorso formativo strutturato disciplina per disciplina, in un’ottica sequenziale e centrata prevalentemente sulla documentazione: l’accento si sposta dal sapere, (“sapere la lezioPagina 22 di 128
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Le competenze distintive dei formatori:
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ne”), al saper fare e al saper essere. La progettazione di un sistema di formazione
flessibile personalizzata, in grado di rispondere ai bisogni di una pluralità di destinatari (per esempio la progettazione e lo sviluppo di un corso destinato ad una
specifica figura professionale o la ristrutturazione di uno o più curricoli esistenti o
ancora progettare ed erogare segmenti formativi a sostegno dei curricoli tradizionali) implicherebbe, in primo luogo, un’analisi approfondita del contesto economico
e sociale di riferimento e dei fabbisogni formativi dei gruppi di destinatari primari o
potenziali, oltre che delle loro caratteristiche psicologiche culturali. L’analisi del
contesto e del processo lavorativo permette di evidenziare le necessità e al tempo
spesso di individuare gli elementi di professionalità base per il successivo sviluppo
dei moduli di apprendimento. Tali blocchi sapere/saper fare possono essere chiamate aree tematiche. L’adozione di un approccio modulare permette di suddividere un’area tematica in unità didattiche elementari che possono essere fruite indipendentemente le une dalle altre. In un sistema di apprendimento flessibile e aperto il partecipante è in grado di costruire il proprio percorso formativo articolato
in moduli che consentono di acquisire le capacità e le competenze a lui realmente
necessarie e che rispondono alle sue esigenze. Il partecipante, sulla base delle
competenze già acquisite e dei titolo di studio già posseduti e degli obiettivi professionale, sceglie con il supporto del tutor tra le varie possibilità e definisce il percorso formativo (sequenza dei moduli, piano di lavoro e scadenze temporali, prove
di valutazione). In un sistema aperto e flessibile, la motivazione dell’utente è fondamentale per l’efficacia del processo di apprendimento: essa è connessa
all’interesse personale o al bisogno di ottenere o migliorare la qualificazione professionale, così come al grado di libertà che il partecipante ha nella definizione di
obiettivi didattici e percorso formativo.
C.8 Conoscere metodi per accertare i bisogni e per analizzare gruppi di allievi e
condizioni-quadro
Ha supporti per lo sviluppo della motivazione
Può rivolgersi a un
Centro di competenza
Utilizza in autonomia i
materiali didattici
È soggetto attivo della
propria formazione
discente
Verifica l’apprendimento
mediante
l’autovalutazione
Sceglie un percorso
formativo
È assistito nella formazione da un tutor
Ha la possibilità di usare media diversi
C.9 Saper motivare scopi e obiettivi didattici di propri corsi nonché saperli formulare in modo comprensibile agli allievi
vedi punto C.2
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Le competenze distintive dei formatori:
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C.10 Saper progettare interventi di valutazione sotto vari aspetti
vedi punto C.4
C.11 Possedere nozioni di psicologia dello sviluppo e dell'apprendimento in età
adulta, saperle impiegare nel concepire i propri corsi
vedi punto C.1 e C.3
C.12 Conoscere metodi di accertamento dei bisogni e saperli impiegare nello strutturare i propri corsi
vedi punto B.9 e C.8
C.13 Saper definire contenuti didattici e strutturare i propri corsi in sintonia con gli
obiettivi prefissati
vedi punto B.4
C.14 Conoscere le caratteristiche e le possibilità di varie forme d'insegnamento/
apprendimento, saperle impiegare in modo adatto ai destinatari e coerente
con gli scopi e obiettivi didattici
vedi punto C.3, C.5, C.6 e C.8
C.15 Saper scegliere in modo mirato materiali didattici, completarli e adattarli a
gruppi speciali di destinatari
vedi punto C.5
C.16 Saper scegliere media ai fini del processo di apprendimento, motivando la
scelta20
vedi punto C.5
“Non puoi scegliere il campo di battaglia, ma puoi piantare una bandiera dove una
bandiera non ha mai sventolato” (Stephen Crane)
Le risorse multimediali possono favorire lo sviluppo di abilità specifiche e di competenze trasversali, ma in particolar modo rappresentare utili strumenti per produrre ed elaborare percorsi di studio che integrino i tradizionali metodi di insegnamento, favorendo l’interattività tra i docenti e discenti, la pervasività delle conoscenze e
una maggiore accessibilità al supporto informativo, nonché la fruibilità di dati da
parte di un uditorio più vasto. Senza dubbio le tecnologie didattiche offrono
all’apparato culturale una disponibilità di informazioni, quali video, sonoro e animazioni, inaccessibili dalla tradizionale versione cartacea, ma non autosufficienti a
sostituirla e tanto meno a privarla di valore. A questo proposito gli strumenti a sostegno dell’Informazione e della Comunicazione nella realizzazione di software a
carattere didattico devono avvalersi di strumenti come i CD-ROM ed i DVD in grado di unire dati, voci e suoni in sequenze filmate.
D. Competenza didattica specifica
D.1 Possedere una terminologia specifica adeguata e saperla formulare in modo
comprensibile per gli allievi
esiste un modo molto facile per insegnare il significato di una parola: mostrare
l’oggetto cui essa riferisce. Questo è il modo in cui i bambini apprendono i nomi
degli oggetti. In questo caso il canale di comunicazione è in qualche modo multi-
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ANTONIETTI e ANTOIA (2001), Imparare con il computer, Trento, Eriksson.
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mediale: comprende, oltre alla sequenza che va dalla bocca e dalla voce
dell’insegnante all’orecchio e all’udito dell’allievo, anche la mano dell’insegnante
che tiene l’oggetto, l’oggetto stesso e l’occhio dell’allievo. Può accadere poi che,
invece di un oggetto, l’insegnante debba presentare, debba spiegare un’azione.
Potrà allora, in certi casi, fare ‘vedere come si fa’ – per esempio ad usare uno
strumento. Egli utilizzerà cioè le parole in quanto associate al ‘fare vedere’. Ma
questo non è sempre possibile: o perché non si hanno a disposizione gli oggetti di
cui si parla o perché certi eventi o azioni sono difficili da mostrare. In questo secondo caso risultano preziosi gli strumenti audiovisivi (documentari o ricostruzioni
artificiali). Tra le diverse forme di comunicazione cui si è accennato quella affidata
al linguaggio verbale resta tuttavia la più importante. E ciò sia perché la nostra cultura si serve soprattutto del linguaggio verbale, il quale traduce in simboli (parole,
frasi, discorsi, libri, enciclopedie, biblioteche) l’universo del pensiero umano, sia
perché questo pensiero è di per sé in gran parte astratto e richiede un linguaggio
altrettanto astratto: si pensi alla filosofia, al diritto, alla letteratura, alle scienze fisico-naturali; si pensi alla matematica e al linguaggio matematico. Di qui
l’importanza della competenza linguistica dell’insegnante. Competenza che deve
sempre essere commisurata alle competenze linguistiche dei suoi allievi. Nel senso che la lingua dell’insegnante vale, dal punto di vista educativo, tanto quanto risulta efficace: vale cioè per quanto, di essa, gli allievi possono comprendere ed utilizzare nella costruzione della propria cultura. Si è detto della necessità per chi
insegna di padroneggiare un linguaggio capace di porsi ai livelli di comprensione
degli allievi. Le difficoltà in questo caso concernono il modo in cui l’insegnante codifica le idee che vuole trasmettere in parole e discorsi. Ma una volta che questa
operazione abbia avuto luogo e che il messaggio sia stato emesso, nascono altre
difficoltà. I teorici dell’informazione parlano di ‘rumore sul canale’ riferendosi ad un
canale materiale (ad es. un cavo telefonico) e ai fenomeni fisici che possono disturbare la trasmissione (ronzii, fruscii). Lo stesso può verificarsi in una classe in
conseguenza ad es. del rumore del traffico. Ma altri rumori possono qui intervenire
ad ostacolare la ricezione del messaggio da parte degli allievi: mancanza di interesse, distrazione, stanchezza intellettuale, incapacità di concentrazione. Altri ‘rumori’ sono poi costituiti da difficoltà di tipo emotivo: antipatia, avversione, disistima
per l’insegnante, rifiuto di accettare idee in contrasto con opinioni o credenze personali. Altre difficoltà più propriamente didattiche dipendono dalla gestione della
classe da parte dell’insegnante: situazioni di indisciplina cronica, disorganizzazione del curriculum di insegnamento. Queste difficoltà devono sempre essere tenute
presenti da chi tiene una lezione. Soprattutto se questa è molto lunga, se ha molti
contenuti nuovi o di natura ideologica, se cade dopo molte altre lezioni ecc.
L’attività di insegnamento basata su lezioni frontali soffre molto di disturbi di ricezione del genere. Tali difficoltà possono presentarsi isolatamente, riguardando solo certi alunni oppure possono interessare tutta la classe. In ogni caso essi riducono e talvolta annullano la ricezione del messaggio. A ciascun allievo basta in certi
casi solo un momento di distrazione per "perdere il filo" di un discorso e compromettere la comprensione. Comunque, una volta che il messaggio è in qualche
modo giunto a destinazione, l’allievo deve decodificarlo. Questo compito tocca
esclusivamente a lui e nessuno può sostituirglisi: egli si trova a dovere utilizzare
tutto l’insieme di nozioni e rapporti tra le nozioni di cui dispone in modo autonomo.
Questo chiarisce che quando si dice che l’educazione è una trasmissione di conoscenze, si deve tenere presente che il ‘trasmetterla’ – l’educazione - non consiste
nel ‘consegnarla’, così come si consegna un oggetto da una mano all’altra e che
frasi come ‘ficcare in testa agli alunni qualcosa’ sono senza senso. La mente non
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è un recipiente da riempire: la mente riorganizza di continuo l’esperienza e facendo ciò riorganizza se stessa. Poiché, dunque, ogni allievo riorganizza la propria
esperienza sulla scorta di stimoli esterni, tra i quali, nella scuola, dominano quelli
costituiti dalle comunicazioni degli insegnanti, è evidente che i concetti e i nessi tra
i concetti che egli riesce a costruire sulla base dei messaggi degli insegnanti sono
una sua produzione personale e autonoma. E questo equivale a dire che
l’insegnante non può sapere che cosa è riuscito ad ottenere con la sua comunicazione. L’insegnante deve allora trovare qualche modo per verificare gli effetti della
sua comunicazione. Così è stata inventata l’interrogazione, seguita da tutti gli strumenti di valutazione del rendimento escogitati dagli esperti. Ma queste valutazioni
sono condotte dal punto di vista dell’insegnante. Esiste anche il punto di vista
dell’allievo, che può variare dalla convinzione di avere capito tutto a quella di non
avere capito nulla, con tutte le gradazioni intermedie. Ora, in ogni caso l’allievo
dovrebbe essere interessato a verificare il risultato della comunicazione ricevuta.
Per lui come per l’insegnante è importante una tale verifica ed essa non può avvenire che in un modo: l’allievo a sua volta deve comunicare all’insegnante quello
che ha capito, la propria ricostruzione dei singoli concetti e dei loro nessi come è
riuscito a ricostruirla. In un rapporto educativo ideale – nel quale cioè educatore ed
educando abbiano avuto modo di instaurare una collaborazione mirata al successo della comunicazione – l’allievo si preoccupa di rimandare all’insegnante il messaggio ricevuto nella forma in cui ha potuto ricostruirne i contenuti: instaura con lui
un dialogo attraverso il quale i contenuti del messaggio, anche se ricevuti e ricostruiti in modo molto differente da come erano stati trasmessi, possono essere
corretti, fino a coincidere a sufficienza con quelli originari. In questo caso insegnante e allievo si sono capiti: sono giunti a condividere quel tanto di cultura che
era oggetto del messaggio. Si può parlare in questo caso di ottimizzazione della
comunicazione educativa. L’operazione del capirsi non ha luogo ordinariamente
solo tra l’insegnante ed un allievo: tutti gli allievi sono egualmente destinatari della
comunicazione dell’insegnante, tutti possono reagire verso di lui instaurando il dialogo descritto, per riuscire a capirsi meglio. Se la classe è bene organizzata, ogni
allievo, al modo stesso in cui è destinatario della comunicazione dell’insegnante, è
anche destinatario di ogni comunicazione dei suoi compagni: un dialogo può intrecciarsi tra tutti loro e con l’insegnante. Sta alla didattica spiegare come si può
arrivare in una classe ad un tale risultato e come quell’intreccio di messaggi, adeguatamente disciplinato, può diventare il contenuto di un lavoro di gruppo. Dal
punto di vista pedagogico in questo caso non si ha soltanto una ottimizzazione
dell’apprendimento dei concetti trasmessi dall’insegnante, ma si verifica qualcosa
di più, dovuto a tutti i contributi di pensiero che ogni allievo mette in comune con
gli altri: il ‘di più’ si può descrivere come un lavoro di costruzione comune della cultura della classe21.
D.2 Saper riconoscere il livello degli allievi nella propria disciplina e valutarne i
progressi
Un nuovo approccio potrebbe essere costituito dall’integrazione di un tutor. Il significato della parola tutor in ambito formativo ha assunto nel tempo nuovi e diversi
aspetti. Nel senso comune il tutore è colui che si prende cura di qualcun altro o è
uno strumento che sostiene: in agricoltura o in ortopedia.
Il tutor nella formazione è colui che si rende responsabile di un gruppo, di un aula,
21
TEORIA DELL’EDUCAZIONE E DEI PROCESSI FORMATIVI, (Enza Colicchi, 2005)
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di un percorso formativo. È una figura professionale, distinta dal docente o dal progettista e che spesso viene individuata nei giovani che approcciano il mestiere.
Questo in effetti è in contraddizione con il significato iniziale di sostegno e guida
perché appare invece come un ruolo più segretariale.
Oggi la figura del tutor aggiunge valore all'attività formativa. Tra gli ambiti in cui
trova collocazione la professionalità del tutor ha assunto particolare centralità l'apprendimento con l'E-learning o l'apprendimento in rete.
In questi campi innovativi di apprendimento il ruolo che riveste il tutor diventa centrale, poiché la formazione a distanza con la rete necessità più che mai di attenzione e cura del singolo discente, presidio dei processi e animazione della comunità in apprendimento. Questa figura, infatti, che di recente è stata inserita in una
pluralità di nuovi contesti quali l’apprendistato, alcuni sistemi di formazione in alternanza o anche in alcuni servizi per l’impiego, svolge una funzione cruciale
nell’affiancare giovani ed adulti nel loro percorso di crescita formativa e professionale. Il problema è che questa nuova figura è stata progressivamente data per
acquisita senza che ci sia mai stata una riflessione completa ed organica sul tema.
In particolare non sono mai stati analizzati e quindi resi espliciti tutti quegli aspetti
necessari per uno sviluppo organico e qualificato delle varie funzioni tipiche della
figura in questione. Non solo non si sono prese in esame le aree di presidio, le peculiarità del ruolo a seconda delle diverse filiere formative o le relative strategie
formative, ma non ci si è nemmeno chiesto sulle motivazioni profonde che ne
hanno determinato la sua diffusione proprio nel mondo odierno con questo particolare contesto economico – sociale.
Riassumendo: il termine tutor è di origine latina e deriva dal sostantivo “tutor tutoris” e questo dal verbo tueri, il significato può essere così inteso: colui che cura,
che sostiene, che protegge, che dà sicurezza.
Il tutor, pertanto è:
• un facilitatore dell’ apprendimento
• una guida
• un affiancatore di situazioni da vivere, comprendere, assimilare
• un accompagnatore nell’ambiente di apprendimento
• un garante dello svolgimento del programma di formazione concordato
La funzione di tutoraggio si esplica...
• nell’accoglienza e nell’integrazione degli “studenti”
• nell’individuarne potenzialità e limiti
• nel consigliare gli studenti sulle attività da svolgere
• nel monitorare i progressi individuali
• nel creare le condizioni opportune che consentano di superare difficoltà e ostacoli
• nell’offrire attenzione, ascolto, guida, orientamento
• nell’ascoltare e raccogliere le richieste di aiuto
Il tutor, per essere efficace, deve:
• possedere competenze metodologico - didattiche nella conduzione di gruppi in
apprendimento
• fornire cooperazione costante in funzione “facilitatrice”
• gestire la collaborazione tra i corsisti
• moderare i flussi comunicativi degli altri e propri
• assicurare coerenza ai vari elementi del percorso di apprendimento
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Le funzioni e le azioni del tutor:
• individuare potenzialità: facilitare nel soggetto il riconoscimento di risorse da lui
utilizzabili
• costruire uno scaffolding22 affettivo e motivazionale: incoraggiare, aiutare, approvare
• orientare: mostrare come si fa, rendere espliciti gli obiettivi, delineare delle
possibilità
• comunicare e far comunicare: favorire l'interscambio e le integrazioni di conoscenze teorico-pratiche tra i diversi partner
• motivazione
• animazione
• coordinamento
• organizzazione
• comunicazione
• sostegno
D.3 Conoscere le possibilità di qualificazione/certificazione della propria disciplina
e in campi vicini e saper orientare gli allievi
Le disposizioni sulle procedure di qualificazione sono le più facili da reperire. Ogni
corso, ogni formazione che ne prevede l’uso, dispone di un regolamento23. Quale
esempio, di seguito, quello dell’AFP FSEA (www.alice.ch)
[…]
4 CERTIFICAZIONI DI MODULO RICHIESTE
Art. 10 Moduli
I.
Le certificazioni di modulo richieste per il rilascio dell'attestato professionale
federale sono elencate nella guida annessa a questo regolamento.
II.
I contenuti dei singoli moduli vagliati dalla CRM e le relative competenze da
raggiungere sono fissati rispettivamente nella guida e nei descrittivi di modulo.
Art. 11 Condizioni per il rilascio dell'attestato professionale federale
I.
La commissione GQ verifica le certificazioni di modulo presentate e decide,
in base alle condizioni suddette, se rilasciare o no l'attestato professionale.
II.
Essa rilascia a ogni richiedente un'attestazione di verifica, che deve contenere almeno:
a. la decisione positiva o negativa sul rilascio dell'attestato professionale;
b. la motivazione dell'eventuale decisione negativa;
c.
eventuali ragguagli sui ricorsi.
Art. 12 Ripetizione
I.
Se il richiedente non ottiene l'attestato professionale, la commissione GQ
gli comunica la prima data possibile per la prossima verifica.
[…]
22
Il termine scaffolding, introdotto da Jerome Bruner e altri nel 1976, significa letteralmente "impalcatura" e rappresenta il
tipo di sostegno che l'adulto competente offre al bambino nell'apprendimento di una determinata abilità o competenza. Le
caratteristiche principali dello scaffolding sono da rintracciarsi innanzitutto nell'adeguamento continuo di tale supporto alla
zona di sviluppo prossimale (teorizzata da Lev Vygotskij) che il bambino mostra di possedere in un certo momento dello
sviluppo, e nella sua progressiva riduzione, fino alla sua scomparsa, quando il bambino è in grado di mettere in atto autonomamente l'abilità o la conoscenza appresa.
23
Obbligatorio per i diplomi cantonali e per le certificazioni federali
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Le competenze distintive dei formatori:
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D.4 Saper consigliare individualmente gli allievi sui loro obiettivi realistici di formazione, sugli iter formativi adeguati e sulle possibilità di progresso
Requisiti
Competenza
globale
Competenza specifica nella propria disciplina. L’esperienza
nell’animazione di corsi per adulti è indispensabile.
A fine modulo i partecipanti sono in grado di informare sulle possibilità di formazione continua nella propria disciplina e sanno sostenere
i/le partecipanti nel loro processo di apprendimento.
Valutazione delle competenze
1.) Analisi regolare del processo personale di apprendimento.
2.) Partecipazione attiva nei gruppi con un tempo-presenza minimo
dell'80%.
3.) Analisi di un esempio concreto di consulenza e elaborazione di
un dossier con rappresentazione delle offerte di formazione di base
e continua disponibili nella specifica disciplina. Tali lavori sono valutati dai formatori del modulo.
Livello e modulo
APFFA-M3 / Sistema modulare dell’attestato professionale federale
di formatore/formatrice d’adulti.
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Obiettivi
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I/Le titolari del certificato del modulo 3:
- conoscono a grandi linee le strutture di formazione e perfezionamento e le condizioni generali a livello cantonale e svizzero e, in
particolare, quelle relative alla propria disciplina;
- sanno classificare le offerte di formazione e di perfezionamento e
distinguerne il livello e i titoli per poterne informare chiaramente i/le
partecipanti;
- conducono colloqui di consulenza sulla formazione basandosi su
modelli di comunicazione conosciuti;
- sono in grado di valutare le competenze dei/delle partecipanti rispetto alla formazione e al perfezionamento e possono informarli/le
sulle offerte disponibili.
D.5 Vagliare e aggiornare regolarmente le proprie nozioni professionali teoriche e
pratiche, colmare quelle mancanti
La formazione dei formatori accompagna in parallelo l'evoluzione in atto nel sistema formativo. Da un lato vi è l'esigenza di una crescente formalizzazione delle "figure professionali" della formazione, delle loro competenze e della validità dei loro
curricoli; si tratta di una esigenza che procede da diverse istanze, che attengono
ad esempio alla necessità di maggiore riconoscimento sociale del sistema formativo e della professione di formatore, anche attraverso le forme dell'accreditamento
o della certificazione professionale. Dall'altro vi è un sistema formativo che è evoluto negli ultimi anni in modo rapido, nel senso di una forte flessibilizzazione:
- dei sistemi di offerta (si pensi alla fortissima evoluzione normativa avvenuta negli
ultimi anni, che ha aperto in rapida successione nuovi "fronti" formativi come la
formazione continua, l'apprendistato, la formazione integrata, l'alta formazione,
etc.);
- delle fonti di finanziamento (tema che già si propone nel ricorso a fondi strutturali
a programmazione regionale e nazionale, ma anche con lo sviluppo delle iniziative
europee, dei modelli "privatistici" dei fondi interprofessionali, dei voucher e in generale con lo sforzo di aumentare l'area "a mercato"; e si tratta di aspetti che dopo
il 2006 non potranno che porsi in modo ancora più forte e stressato al sistema);
- dei modelli organizzativi e quindi dei modelli di rapporto contrattuale con le professionalità della formazione, necessità che conseguono obbligatoriamente per
reggere un mercato che si diversifica, che è più saturo, che è più incerto in prospettiva per le fonti di finanziamento.
E' indubbio che queste professionalità sono andate evolvendo, complicandosi sia
nel "numero" che nei sistemi di competenze posseduti e negli ambiti di attività presidiati: a fronte di un oggettivo e positivo arricchirsi dei processi formativi, si assiste, infatti, alla diffusione di figure che presidiano in modo forte aree in gran parte
ancora innovative come quelle dell'orientamento, del sostegno psico-pedagogico,
dell'assessment delle competenze e della valutazione, del tutorato, dei processi
formativi "in situazione" e meno formalizzati (coaching, mentoring, tutorati aziendali, etc.). A fronte di questa crescente complessità è il paradigma stesso di "figura
professionale" a rischiare di sfibrarsi, e gli strumenti di job description e le declaratorie finora utilizzate faticano sempre più a "fotografare" e descrivere fedelmente
un range di attività e professionalità così complesso e così intrecciato con processi
dirigenziali, organizzativi, progettuali, etc. Per contro, paradigmi come quello dei
sistemi di competenze appaiono più "comprendenti", anche se spesso non più agevoli da utilizzare per la formalizzazione dei ruoli, il riconoscimento professionale
ed economico, la certificazione ecc. In questo quadro crescono sicuramente le ePagina 30 di 128
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sigenze di formazione formatori (in riferimento sia a nuove figure che ad aggiornamento delle competenze esistenti), ma si complicano anche e rischiano di frammentarsi in una pluralità di profili professionali da formare, di ambiti di competenza
da presidiare, di approcci metodologici da saper utilizzare, etc.
D.6 In base alle proprie conoscenze professionali saper definire obiettivi didattici in
modo realistico e rilevante per i destinatari
Possiamo utilizzare alcuni suggerimenti che provengono da Quaglino e Carrozzi
che hanno messo a punto alcuni strumenti e metodologie per la rilevazione dei bisogni formativi in organizzazioni complesse del mondo del lavoro24. In particolare,
possiamo fare nostra una loro considerazione: " I bisogni di formazione sono contemporaneamente dell’organizzazione e degli individui, nel senso che l’attività di
formazione si sviluppa all’interno di un contesto istituzionale che li comprende entrambi"; la difficoltà sta proprio nell’armonizzare i due aspetti. Gli strumenti di rilevazione proposti da questi autori ci rimandano ,da un lato ad un’analisi degli elementi strutturali dell’organizzazione, dall’altro ad una analisi dei bisogni individuali.
Nell’analisi strutturale vengono raccolti dati generali utili ad una descrizione della
realtà organizzativa (strategie, obiettivi, funzionamenti , processi, vincoli), con una
particolare attenzione alle risorse umane , sia nelle loro caratteristiche oggettive
(età, titolo di studio, iter professionale, anzianità nell’organizzazione e nella funzione) che in quelle legate al cosiddetto ‘comportamento organizzativo’ (assenteismo, dimissioni, turnover); rientrano nell’analisi dell’organizzazione anche i dati
sulla formazione già effettuata. Per quanto riguarda la sfera dei bisogni individuali
di formazione, che secondo i nostri autori si configura maggiormente come
un’attività di ricerca vera e propria, vengono identificate alcune aree di analisi che
attengono alle attività svolte, al ruolo e alle relazioni interpersonali di autorità, agli
eventi critici che si presentano con una certa frequenza nello svolgimento delle attività, fino all’analisi del sistema di attese reciproche e i bisogni ad esse collegati.
Non riteniamo utile in questa sede descrivere in maniera particolareggiata gli elementi di questo modello di rilevazione, ci interessa, però, sottolineare due aspetti
forse già evidenziati:
a. la rilevanza della struttura e delle persone nell’analisi dei bisogni , e conseguentemente nella definizione dei fabbisogni formativi;
b. la circostanza che l’analisi dei bisogni di formazione si presenta come una
vera e propria attività di ricerca.
Quanto detto sull’analisi dei bisogni, e sul fatto che la definizione del fabbisogno
formativo possa diventare essa stessa momento di formazione, porta quasi naturalmente ad una scelta metodologica sulle tecniche da utilizzare all’interno delle
organizzazioni: si tratta delle cosiddette "metodologie di ricerca d’aula", descritte e
spiegate con cura da Massimo Bruscaglioni in uno dei suoi testi25. Le "metodologie di ricerca d’aula" comprendono una famiglia ampia di tecniche o metodologie
didattiche operative; tutti i tipi di ricerca d’aula utilizzano come materiale
l’esperienza reale dei partecipanti, "riportata" da essi stessi in aula. Il termine "riportata", sottolinea Bruscaglioni, pone l’accento sul fatto che non si lavora su dati
oggettivamente rilevati, ma sulla percezione che i partecipanti hanno della loro esperienza come fatto concreto. Questa metodologia si ispira alla ricerca psicosociale, la quale a sua volta si muove su un asse metodologico fondamentale che è
24
Quaglino G. P., Carrozzi G.P., Il Processo di formazione. Dall'analisi dei bisogni alla valutazione dei risultati, Franco Angeli, Milano, 1998.
25
Bruscaglioni Massimo, La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Franco Angeli, Milano, 1997
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quello dello "strutturato poco – molto"; questo significa che anche le tecniche di
"metodologia di ricerca d’aula" possono risultare molto o poco strutturate rispetto
al metodo di generazione e raccolta del materiale di riflessione (dal giro di tavolo a
seguito di un input generico alla predisposizione di una griglia più o meno rigida),
oppure rispetto al contenuto (definito, delimitato a priori o inizialmente libero), o infine rispetto alla modalità proposta per la riflessione e la elaborazione dei dati emergenti. In generale, questa famiglia di tecniche è ritenuta opportuna in ambiti e
materie in cui "rilevante è la soggettività: degli individui, dei gruppi, delle aziende",
ed è fortemente indicata per tematiche relative al comportamento organizzativo
(relazioni interpersonali, conduzione di collaborazioni, comunicazione, problemi di
ruolo, cultura organizzativa, rapporti tra gruppi e settori) e per la formazione su
tematiche applicative specifiche. Fa parte di questa famiglia anche il più conosciuto "metodo degli autocasi", dove appunto si lavora in formazione su un caso effettivamente verificatosi, con il senso metodologico di ricercare il significato di ciò che
è avvenuto, e nel quale l’apprendimento consiste nella possibilità di riorganizzare
più efficacemente i dati del problema. L’obiettivo è "imparare dall’esperienza", imparare cioè ad utilizzare le proprie potenzialità soggettive relazionandole ai dati di
realtà immediatamente meno percepibili; nel processo formativo attivato con questo metodo, si è portati ad utilizzare anche modelli di concezione della realtà meno
semplicistici, meno difensivi, meno arbitrari di quelli che utilizzeremmo in prima
battuta26. Il ‘metodo degli autocasi’ è ritenuto particolarmente efficace in quelle situazioni in cui "risultano cruciali gli aspetti soggettivi e in particolare quelli relazionali, i vissuti degli individui, i loro modi di organizzare mentalmente ciò che succede intorno a loro"27.
D.7 Avere familiarità con forme d'insegnamento/apprendimento efficaci, adeguate
alla materia insegnata e ai contenuti didattici
vedi punto C.3, C.5, C.6, e C.14
D.8 Avere una visione globale dei supporti didattici adatti alla propria disciplina e
saperli valutare
vedi punto C.5 e C.15
5. Competenza sociale
E.1 Possedere nozioni di base sulla comunicazione, saper analizzare processi
comunicativi e moderare discussioni con sicurezza
Paul Watzlawick e colleghi (1967) hanno introdotto una differenza di fondamentale
importanza nello studio della comunicazione umana: ogni processo comunicativo
tra esseri umani possiede due dimensioni distinte: da un lato il contenuto, ciò che
le parole dicono, dall'altro la relazione, ovvero quello che i parlanti lasciano intendere, a livello verbale e più spesso non verbale, sulla qualità della relazione che
intercorre tra loro. In epoca recente, lo psicologo di Amburgo Friedemann Schulz
26
Il processo di apprendimento che si realizza attraverso le metodologie di ricerca d'aula, dal punto di vista del soggetto in
formazione, prevede il passaggio dalle seguenti fasi: a) si tende ad usare e a confermare i propri schemi interpretativi; b) si
ricevono dagli altri partecipanti degli stimoli, delle nuove informazioni e proposte di significati che possono non essere coerenti con quelli organizzati secondo il proprio schema; c) ci si trova nella impossibilità di 'dare senso' ad informazioni e dati
che l'aula ci presenta (tale situazione di 'perdita di senso' è più tollerata perché ci si trova nella situazione di formazione); d)
la 'perdita di senso' stimola a produrre nuovo senso: si possono adottare nuovi schemi di interpretazione, assumere il punto
di vista dell'altro, organizzare i dati del problema diversamente dall'approccio iniziale, individuare nuovi percorsi operativi,
cambiare.
27
Vedi nota 14
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von Thun (1981) ha proposto un modello di comunicazione interpersonale che distingue quattro dimensioni diverse, nel cosiddetto "quadrato della comunicazione":
• contenuto: di che cosa si tratta? (lato blu del quadrato, in alto)
• relazione: come definisce il rapporto con te, che cosa ti fa capire di pensare di
te, colui che parla? (lato giallo, in basso)
• rivelazione di sé: ogni volta che qualcuno si esprime rivela, consapevolmente o
meno, qualcosa di sé. (lato verde, a sinistra)
• appello: che effetti vuole ottenere chi parla? Ciò che il parlante chiede, esplicitamente o implicitamente, alla controparte di fare, dire, pensare, sentire. (lato
rosso, a destra).
Queste quattro dimensioni si possono tener presenti sia nel formulare messaggi
che nell'ascolto e nell'interpretazione dei messaggi di altri. In questo secondo caso
la "scuola di Amburgo" parla delle "quattro orecchie" (corrispondenti ai "quattro lati
del quadrato della comunicazione") su cui ci si può sintonizzare. Ad esempio, per
riuscire a "prendermela", ad offendermi nell'ascoltare la comunicazione x, dovrò
assegnare ad essa significato sintonizzandomi sull'orecchio "giallo", quello che
tende a vedere nella comunicazione degli altri il loro soppesarci, il segno cioè di
quanto questi ci rispettino. Questo modello visualizza come noi si sia sempre liberi
di assegnare a qualsiasi comunicazione un significato oppure un altro, evidenzia
così il potere di chi ascolta nel contribuire a definire la qualità di una interazione.
Con un poco di allenamento è possibile, ad esempio, sintonizzarci sull'orecchio
verde, invece che su quello giallo, e chiederci, dentro di noi, di fronte ad una comunicazione che ci pare irritante (e lo farà solo se siamo sintonizzati sull'orecchio
giallo!): "come si sente, la persona che parla, per sentire il bisogno di parlarmi in
questo modo?"
Generalmente si distinguono diversi elementi che concorrono a realizzare un singolo atto comunicativo:
• emittente: la fonte delle informazioni effettua la codifica di queste ultime in un
messaggio
• ricevente: accoglie il messaggio, lo decodifica, lo interpreta e lo comprende
• codice: parola parlata o scritta, immagine, tono impiegata per "formare" il messaggio
• canale: il mezzo di propagazione fisica del codice (onde sonore o elettromagnetiche, scrittura, bit elettronici)
• contesto: l'"ambiente" significativo all'interno del quale si situa l'atto comunicativo
• contenuto: l'oggetto della comunicazione.
Come si è detto, il processo comunicativo ha una intrinseca natura bidirezionale,
quindi il modello va interpretato nel senso che si ha comunicazione quando gli individui coinvolti sono a un tempo emittenti e riceventi messaggi.
In realtà, anche in un monologo chi parla ottiene dalla controparte un feedback
continuo, fosse'anche il messaggio non verbale "parla quanto vuoi, io non ti ascolto". Questo fenomeno è stato riassunto con l'assioma (tornando a Paul Watzlawick) secondo il quale, in una situazione in presenza di persone, "non si può non
comunicare": perfino in una situazione anonima come in un vagone della metropolitana noi emettiamo per i nostri vicini continuamente segnali non verbali (che significano pressappoco "anche se sono a pochi centimetri da te, non ti minaccio e
non intendo immischiarmi nella tua sfera intima"), e i nostri compagni di viaggio
accolgono il messaggio, lo confermano e lo rinforzano ("bene; lo stesso vale per
me nei tuoi confronti").
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Già da questo semplice modello possiamo individuare diversi aspetti potenzialmente problematici del processo comunicativo:
a) Il processo di comunicazione, pur essendo formalmente cosa separata dal
mezzo attraverso il quale avviene, ne è altamente influenzato: se utilizzo il codice
Morse, cercherò di limitare il messaggio allo stretto necessario, se utilizzo una lettera userò un tono tendenzialmente più formale rispetto ad una telefonata. Il mezzo influenza la comunicazione, ciascuno in un modo diverso, e quindi si potranno
individuare dei mezzi di comunicazione particolarmente adatti a trattare un certo
argomento, ma inadatti ad un altro.
b) Non è detto che il gran numero di singoli messaggi, verbali e non verbali, emessi in un dato momento (vedi oltre), siano sempre congruenti tra loro. Posso dire due cose diverse con le parole e con i gesti (ad esempio dire al mio rivale in
amore "lieto di conoscerti" con un'espressione del volto assai contrariata).
c) Non è detto che l'interpretazione del contesto all'interno del quale avviene lo
scambio comunicativo sia sempre identica o congruente. Nell'aula di una scuola, il
docente potrà pensare di avere uno stile partecipativo e "democratico", mentre lo
studente potrà sentirsi parte di una relazione asimmetrica e autoritaria.
Da quanto appena detto emerge chiaramente che la comunicazione non sempre
"funziona"; questo dato viene confermato innumerevoli volte dalla nostra esperienza quotidiana.
E.2 Conoscere modelli di dinamica di gruppo e possedere un repertorio essenziale
d'interventi per guidare gruppi in formazione
28
In sociologia e psicologia sociale si definisce gruppo un insieme di persone che
interagiscono le une con le altre in modo ordinato sulla base di aspettative condivise riguardanti il rispettivo comportamento. È un insieme di persone i cui status e
i cui ruoli sono interrelati. Dato che gli esseri umani sono fondamentalmente animali portati a cooperare, i gruppi sono una parte vitale della struttura sociale. I
gruppi si formano e si trasformano costantemente; non è necessario che siano autodefiniti e spesso sono identificati dall'esterno.
In base al tipo di relazione il gruppo può essere primario o secondario.
• Il gruppo primario è composto da almeno tre persone che interagiscono per un
periodo di tempo relativamente lungo, sulla base di rapporti intimi faccia a faccia (es: famiglia, gruppi di pari, piccole comunità).
• Il gruppo secondario è composto da un numero di persone che interagiscono
su basi temporanee, anonime e impersonali. I suoi membri non si conoscono
personalmente o si conoscono in relazione a particolari ruoli formali anziché
come persone nella loro completezza. Solitamente conseguono finalità specifiche e meno emotivamente impegnate come ad es. nelle aziende, nei partiti politici, nelle burocrazie statali.
Si possono classificare i gruppi in base al numero di componenti.
• La diade è un gruppo composto da due elementi, come madre-figlio, mogliemarito, due amiche del cuore. Ciò che caratterizza la relazione, nella diade, è il
legame affettivo. Anche se la comunicazione si interrompe per qualche motivo
e quindi non si hanno più interazioni (come nel caso della assenza di uno dei
due componenti, oppure nel caso di una separazione dopo un brusco litigio) la
relazione permane. Tuttavia affinché la diade continui ad esistere nella comunicazione vi è la necessità di un'attenzione reciproca la quale venendo meno
28
Da www.wikipedia.com
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interrompe l'interazione tra i due componenti e pone fine all'atto comunicativo.
Nella Diade due persone stanno insieme perché si sono scelte, perché hanno
interessi in comune o per compensazione. L'una trova nell'altra quello che pensa gli manchi. Si tratta di due persone che rinnovano la loro scelta nella volontà
di continuare lo scambio comunicativo.
• La triade è un gruppo composto da tre membri. Un classico esempio è la classica famiglia padre - madre - figlio. La comunicazione nella triade si modifica
perché, pur rimanendo nell'ambito della relazione intima, due dei tre elementi
possono temporaneamente interagire tra di loro escludendo il terzo. Ad esempio il padre ama andare a pesca con il figlio e diventa per loro una possibilità di
comunicazione, mentre la madre non è coinvolta da questa esperienza che riguarda solo loro; allo stesso modo il bambino può essere escluso dalla scelta
dell'acquisto di una casa e in tal caso l'interazione riguarda e coinvolge solo i
genitori. Possiamo quindi dedurre che l'interazione, che riguarda solo la dimensione spazio/temporale del qui e ora, nella triade si articoli sempre su due
dei membri, a seconda dello spostamento del centro di interesse. Risulta ovvio
che, se la comunicazione si concentra sempre nella stessa coppia, esistono
dei problemi di relazione nella triade. Si deduce, quindi, che sempre per questo
stesso motivo nella triade è possibile la formazione delle coalizioni.
• Il Piccolo Gruppo è un gruppo costituito solitamente da 4 a 10-12 membri. È
uno dei modelli di interazione sociale fondamentali, e molte attività sociali e
funzionali avvengono in o attraverso gruppi di tali dimensioni. Gruppi più ampi
tendono a dare luogo alla formazione spontanea di sottogruppi di questa dimensione, sia in ambito socio relazionale che operativo - lavorativo.
• Il Gruppo Mediano è un gruppo costituito di solito da 10-12 a 25-30 membri.
Col passaggio dal piccolo gruppo al gruppo mediano le relazioni personali divengono meno strette, ed in caso di interazione prolungata quest'ultimo tende
a segmentarsi informalmente in piccoli gruppi.
• Il Grande Gruppo, o Large Group, conta dai 30 membri in su. In tali tipi di
gruppo le interazioni sono meno dirette e personali, e l'individuo è più soggetto
alla dialettica di polarizzazione tra fenomeni di massificazione/individuazione.
In linea teorica, le comunità, le organizzazioni sociali e le collettività sono forme
particolari di very large group.
Con l'espressione dinamica di gruppo si indica l'evolversi delle relazioni nel gruppo. Lo psicologo sociale Bruce Tuckman propose nel 1965 un modello di evoluzione della vita di gruppo che consiste in cinque fasi sequenziali:
• Formazione (forming). I membri del gruppo si orientano e comprendono quale
debba essere il comportamento nei riguardi del coordinatore e degli altri membri.
• Conflitto (storming). Si sviluppa un clima di ostilità verso gli altri membri del
gruppo e/o verso il leader, soprattutto per l'incertezza dovuta a mancanza di direttive e di sostegno psicologico, per la mancanza di strutturazione e per la resistenza alla struttura. Si sviluppa una resistenza emotiva di fronte alle esigenze del compito da svolgere come espressione alla propria indisponibilità.
• Strutturazione (norming). I membri si accettano vicendevolmente, e si sviluppano delle norme di gruppo alle quali tutti si sentono impegnati.
• Attività (performing). I membri del gruppo accettano il loro ruolo e lavorano per
raggiungere i fini preposti.
• Aggiornamento (adjourning). I membri del gruppo decidono una sospensione
delle attività al fine di valutare il modus operandi e i risultati eventualmente ottenuti.
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La coesione di gruppo definisce il livello di solidarietà fra i membri, ma anche la
condivisione di norme e il relativo senso di appartenenza. Questa coesione è determinata anche da fattori emotivi.
E.3 Essere consci dei propri modelli comportamentali e saperli modificare in modo
adatto alla situazione
Il comportamentismo nasce agli inizi del XX secolo, dalla tradizione scientifica della psicologia sperimentale. Si propose di costruire una scienza psicologica che si
avvalesse delle caratteristiche di esattezza e obiettività tipiche delle scienze più
avanzate, come la biologia e la fisica. A tal fine operò un radicale capovolgimento
nell'assunzione dell'oggetto di studio della psicologia, spostando l'attenzione sul
comportamento ossia sul complesso delle manifestazioni esteriori, direttamente
osservabili, di un individuo e quindi valutabili. Il comportamentismo è interessato a
stabilire le associazioni tra gli stimoli recepiti dal soggetto e le sue risposte, considerate le unità di base del comportamento umano, mettendo tra parentesi tutto ciò
che intercorre tra i due elementi sia che si tratti di processi mentali che fisiologici.
L'apprendimento avviene in base all'esperienza di tali associazioni, l'uomo vien visto come un animale che reagisce agli stimoli ambientali, ed il suo comportamento
si riduce ad un insieme di processi biochimici ed attività sistemiche. Sulla scia degli esperimenti, condotti in laboratorio da Pavlov, numerosi studiosi elaborarono
modelli d'apprendimento e condizionamento fondati su tale associazionismo pensando fosse possibile studiare così anche i comportamenti più complessi. Lo psicologo americano Watson elaborò uno degli assunti base dell'approccio comportamentista, il "condizionamento classico", in base al quale l'associazione ripetuta
di uno stimolo, detto stimolo neutro, con una risposta non ad esso direttamente
correlata, farà si che, a tale stimolo corrisponda una risposta condizionata. Successivamente Skinner fornì nuovi spunti al modello comportamentista passando
dal più semplice modello del condizionamento classico a quello operante introducendo il concetto di rinforzo. Osservò che una risposta seguita da rinforzo si presentava con maggiore frequenza, in questo modo fornì una nuova chiave di lettura
in grado di spiegare ogni forma di apprendimento, soprattutto quello più complesso.
Il comportamento assertivo, ad esempio, si riconosce da alcune espressioni corporali particolarmente aperte, cordiali e coerenti nei vari livelli della comunicazione. Presupposto fondamentale dell'assertività è il saper ascoltare ovvero prestare
attenzione non solo al contenuto razionale ma anche a quello emotivo della comunicazione, riassumere e dare feedback e chiedere chiarimenti. La riduzione dell'ansia e l'emergere delle convinzioni positive conseguenti al comportamento assertivo permettono lo sviluppo e la crescita della fiducia in sé stessi. La componente cognitiva comprende tutti i pensieri che condizionano il nostro comportamento. Esistono persone talmente esigenti nei propri confronti da negarsi una
possibilità di essere assertivi o che rinunciano a farsi valere per mancanza di fiducia in se stessi sconfinando in atteggiamenti rinunciatari. Sarebbe invece utile l'atteggiamento opposto: credere nella propria capacità di affermarsi e di immaginarsi
nell'atto di riuscire. La componente emotiva comprende il livello di emotività e il tono e il volume della voce. È importante trasmettere il proprio messaggio al livello
emotivo più adatto alla situazione, perché il tono di voce ha un ruolo decisivo nell'opera di persuasione. La componente non verbale è estremamente importante.
Gran parte della comunicazione avviene infatti non verbalmente, e la comunicazione non verbale ha un forte impatto sull'interlocutore. Un'analisi dei vari comportamenti non verbali può essere basata sul contatto visivo, sulle espressioni del volPagina 36 di 128
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to, sul silenzio, sul tono, volume e inflessione della voce, sui gesti e sul linguaggio
del corpo.
E.4 Saper riconoscere difficoltà/conflitti e gestirli con strategie adeguate
Vivere all'interno dell'organizzazione implica la necessità, da parte del formatore,
di confrontarsi efficacemente con la moltitudine di conflitti che covano al suo interno. Può trattarsi di conflitti riguardanti gli stessi obiettivi del percorso da lui condotto, attriti interpersonali, incapacità di competere seguendo le regole ecc. In ognuno
di questi casi, il formatore dovrà giocarsi al meglio facendo ricorso alle abilità
suindicate, con particolare riferimento alla comunicazione e al controllo delle emozioni negative. A ciò dovrà aggiungersi una conoscenza, la più approfondita possibile, sugli stadi attraverso i quali si sviluppa il conflitto e sulle tecniche utili a trasformare il conflitto in confronto. Il primo di questi ha quasi sempre effetti devastanti, basandosi sulla logica "Io vinco, tu perdi"; il secondo, al contrario, effetti altamente motivanti, basandosi sulla logica "Io vinco, tu vinci". E' questo il cuore della negoziazione, strumento quanto mai utile in situazioni conflittuali.
Saper comunicare in modo assertivo, significa instaurare e mantenere un rapporto
interpersonale, che ne massimizza gli aspetti positivi, quali il rispetto reciproco, un'interazione aperta, la prevenzione di eventuali conflitti interpersonali ecc. A ciò si
aggiunge l'assenza di trappole manipolative e di critiche distruttive, il cui vero scopo è quello di esercitare sull'altro un potere moralmente criticabile e alla lunga privo d'efficacia. I dati (Burley - Ann, 1989) dimostrano che la comunicazione assertiva, quando viene usata dal formatore, presenta molti più vantaggi che costi. Anzi,
di costi in realtà sembra essercene solo uno, vale a dire lo sforzo ad assimilare un
nuovo stile interpersonale che può cozzare con quelli già presenti nella persona.
Inoltre, saper controllare le emozioni negative, ossia quelle emozioni che producono inutile sofferenza alla persona e a quelle che con essa interagiscono. La
conseguenza organizzativa? Quella di minare il clima sociale del team o del gruppo e di abbassare lo standard qualitativo del prodotto o del servizio erogato. Delle
numerose emozioni negative che possono gravare sul formatore, ve ne sono due
che hanno attirato l'attenzione dei ricercatori e dei formatori aziendali: lo stress e
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la collera. Il primo in quanto produttore, nel lungo periodo, di uno stato di sofferenza che tende ad aprire le porte a numerosi disturbi psicosomatici; la seconda, in
quanto causa in grado di produrre sofferenza in chi la culla e la manifesta e contro-aggressività in chi la subisce. Quest'ultima, a sua volta, si può manifestare mediante conflitti aperti o subdoli, come il pettegolezzo che può pervenire fino alla calunnia e infine il boicottaggio.
E.5 Possedere nozioni teoriche sulla comunicazione, saperle applicare in modo
adatto a situazioni concrete di discussione e a processi comunicativi di gruppo
vedi punto E.1
E.6 Conoscere i punti forti/deboli del proprio comportamento comunicativo
Nonostante viviamo in piena era tecnologica e nonostante la ormai acquisita consapevolezza della valenza comunicativa del linguaggio non verbale e
dell’importanza del linguaggio scritto, è ancora il linguaggio verbale al centro del
con-vivere ovvero del co-municare. Per questo motivo su di esso e non su altre
forme di linguaggio si incentra lo studio di Ivana Padoan29 nel suo Agire comunicativo: da sempre infatti il linguaggio verbale si presenta come il linguaggio più frequentato nel mondo comunicativo così come nel mondo formativo. E proprio questa duplice applicazione del linguaggio verbale è al centro del lavoro con cui
l’autrice si propone di "coniugare alcuni appunti di riflessione epistemologica del
campo comunicativo con la realtà complessa della formazione e dell’educazione".
Comunicazione e formazione, dunque. Ma in che modo sono connessi i due concetti? La Padoan parte da alcune definizioni di comunicazione che, pur non avendo la pretesa di essere esaustive di una nozione di tale portata, pure ci introducono alla sua natura, facendocene intravedere tutta la complessità. La comunicazione è un accadimento inerente alla vita. Se da un lato infatti è comunicazione quella tra le cellule umane mediante il linguaggio del DNA, in termini più allargati si
può affermare che "la vita è un fatto comunicativo, continuo, ininterrotto, vivo e inarrestabile, soggetto a continuo adattamento e apprendimento. La comunicazione si situa dunque come elemento costitutivo di un tutto ben più complesso e globale, essa ha le sue radici nell’essenza stessa della vita e costituisce il fondamento stesso della cultura e del sistema di vita della società umana, dall’infanzia alla
morte". C’è di più. Oggi ci si stupisce molto sentendo parlare di crescita esponenziale delle possibilità comunicative. La costante pressione della quantità, del tempo, del grado di velocità e di efficienza richiedono infatti all’uomo comune un continuo processo di "attualizzazione", mettendo a dura prova la sua capacità di adattamento ai ritmi e ai cambiamenti richiesti dalla complessità del mondo moderno.
La Padoan interviene su questo aspetto della riflessione riscontrando in realtà "solo uno spostamento epistemologico graduale dell’essere umano, dalla presenza
costante a sé, propria della civiltà antica, verso una identità, sempre più altro, tipica del mondo della parcellizzazione e della crescente complessità dei giorni nostri". Le linee di tendenza del mondo attuale sono cioè quelle di una "modalità comunicativa esasperata, proiettata sempre oltre, al di là, una dimensione temporale
da ora a infinito", in una "concezione della durata da meno a più dove il più non ha
limite e tutto, pur essendo dentro, parla e comunica verso l’esterno". Per capire il
mondo in cui viviamo dunque non si può prescindere dalla comunicazione: qualsiasi agire è un agire comunicativo come qualsiasi sapere è un sapere comunica-
29
Da Laura Marinelli sul testo di Ivana Padoan, L'agire comunicativo, Roma, Armando (2000)
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tivo. E partendo da questa considerazione assieme a quella, ad essa correlata,
che il fatto comunicativo si estrinseca come comprensione di…, la Padoan fa un
rapido ma pregnante excursus della storia della cultura per meglio comprendere
gli elementi che caratterizzano la nostra società attuale. E lo fa a partire da un’idea
centrale: che la comunicazione, come fondamento della cultura, è un atteggiamento creativo e dinamico verso il mondo, operante nel continuum della tradizione. Ripercorrere le tappe salienti della civiltà umana la porta a enucleare concetti ognuno dei quali spalanca veri e propri universi di possibili interrogazioni riguardanti il
rapporto con l’idea di comunicazione. Uno su tutti: la teoria dei quanti e
l’investigazione sperimentale degli atomi rivelano come a livello subatomico la materia non esiste con certezza in posti definiti, ma tende ad esistere come probabilità di interconnessioni. Per cui non si ha a che fare con cose ma con relazioni; e di
conseguenza l’universo non può mai essere scomposto in unità minime indipendenti, apparendo invece come un tessuto di eventi in cui i rapporti di diverso tipo si
alternano e combinano determinando la struttura del tutto. Uno spostamento da
oggetti a rapporti che ha fatto dire a Bateson che "i rapporti dovrebbero essere
usati come base per tutte le definizioni e questa nozione dovrebbe essere insegnata ai nostri bambini nelle scuole elementari" e sottolineare alla Padoan che la
teoria della relatività rivela il carattere intrinsecamente dinamico della materia la
cui attività ed essenza finiscono per coincidere. Parafrasando Cartesio: comunico
dunque sono? Una visione dunque, questa della fisica moderna, sistemica, in accordo con gli approcci sistemici nati frattanto in altri campi. Dalla medicina, in cui
l’orientamento olistico analizza il sintomo patologico come risultante dell’interazione mente - corpo - ambiente; al mondo della produzione dove l’insoddisfazione
professionale di chi finisce per fare delle attività ricreative il centro d’interesse della
propria vita, richiama l’urgenza di un superamento del rapporto meccanicistico
prestazione-salario per vedere recuperata la centralità della persona all’interno del
mondo del lavoro e il proprio posto nell’ordine armonico dell’ecosistema. Occorrerà allora una nuova teoria che integri principi teorici costitutivi della biologia, filosofia, psicologia, politica con l’economia. Si chiarisce così un po’ di più quanto dicevamo all’inizio circa il rapporto comunicazione-formazione: ricondurre il tutto disperso nel probabile o possibile educando, unificando, aiutando e formando potrebbe essere il ruolo di una società educativa. Prospettiva che presuppone una
visione globale che leghi il tutto entro una rete di significati, connessioni, interessi,
sinergie: quindi una visione sistemica della realtà, la sola che non blocchi il pensiero in un universo chiuso. "La concezione sistemica è essenzialmente un fatto di
relazione tra energie e quindi essenzialmente a base comunicativa". E in campo
umano la comunicazione è un processo fondativo della comprensione della realtà.
Per comprendere occorre cioè comunicare. Ancora: comunicazione è passaggio di
informazione. Ma l’informazione non è qualcosa che si trova nel mondo esterno ed
è successivamente elaborata dal sistema vivente nella cognizione; ma il sistema
vivente è autonomo e, specificando quali cambiamenti provenienti dall’ambiente
innescano i propri cambiamenti, genera un mondo. Il fatto comunicativo è dunque
parte costitutiva della creazione del mondo. Esistiamo in un dominio semantico
creato dal nostro operare nel linguaggio, tessiamo continuamente la rete linguistica di cui facciamo parte. In altri termini essere uomini è esistere nel linguaggio: è
nel linguaggio che coordiniamo i comportamenti e generiamo insieme il nostro
mondo. La sfida è dunque una società pedagogica, formativa e comunicativa, intesa come ipotesi di auto-regolazione e auto-sviluppo e giustificata a livello cognitivo. La Padoan prende in prestito questa definizione traducendo alla lettera Beillerot che ha dato questo titolo a un suo studio, ultimato nel1982, in cui si interroga
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sulla proliferazione della "cosa pedagogica". E lo integra commentando come
quest’ultima si genera e si accompagna storicamente con un’inflazione comunicativa. Ella osserva infatti come le nuove pratiche formative siano "ad alto tasso comunicativo, sì che in rapporto al tempo esse sono permanenti, iniziali e continue,
mentre in rapporto allo spazio sono evolutive, professionali, adulte, istituzionali,
organizzate e libere". Ora, si tratta solo di una moda o di un cambiamento profondamente rivoluzionario nel modo di pensare la pedagogia? In realtà questa fase di
così grande interesse per la pedagogia non può spiegarsi esclusivamente con la
diffusione della comunicazione e della conoscenza né come effetto del ruolo sociale della scuola. Tanto più che la formazione è diventata molto più frequentata
fuori dalla scuola, frazionata in quella miriade di atti educativi che costituiscono la
maggior parte delle situazioni della vita: dalla sessualità, al cibo, al lavoro, allo stare con gli altri, la maggior parte delle azioni si riveste di frequenze formative. Fino
al punto che la scuola non rappresenta più la cultura né ricopre il ruolo o esaurisce
il senso della formazione. Questo processo quasi totalizzante obbliga a una riflessione. Beillerot ha individuato, e la Padoan le riprende in blocco, tre "tematiche
moderne che permettono di comprendere come i processi di conoscenza e di azione contribuiscono al processo di pedagogizzazione". Esse sono:
• l’alternanza
• l’intervento dinamico
• la telematica.
La prima unisce all’apprendimento tradizionale la pratica sul campo e si presenta
come luogo privilegiato per la creazione di nuovi processi di apprendimento e di
insegnamento. L’intervento dinamico agisce sulla natura stessa di questi processi
e sulla loro organizzazione didattica: al processo di "far fare" viene privilegiata la
soggettivizzazione; e dunque i vari processi di interpretazione, che
nell’insegnamento tradizionale risultavano fissi e appannaggio solo di un polo della
relazione, diventano dinamiche interattive coinvolgenti anche l’apprendente. Affermatasi come la tecnologia più importante del nostro secolo per la produzione e
diffusione dei segni, la telematica infine rivoluziona, con l’introduzione della macchina, il rapporto insegnante allievo. "Con essa si hanno processi di maggiore individualizzazione (auto-responsabilità), di metodologia di apprendimento (distanza
e non faccia a faccia), di apprendimento collaborativo in rete, che modificano il sistema binario dell’ apprendimento come pure il ruolo, le funzioni e la didattica del
processo di insegnamento. Se in precedenza l’apprendimento era governato prevalentemente dal processo duale e il sapere faceva da terzo escluso, con la telematica il sapere si disancora dall’insegnante in quanto fonte di informazione, per
tradursi secondo altri modelli comunicativi: significazione, riflessione, feedback".
Diminuisce dunque la funzione educativa tradizionale legata alla relazione diretta
con l’altro, emergendo, in tutta la sua valorialità, il rapporto al sapere, che diventa
prioritario far emergere affinché ogni membro si definisca nella sua soggettività
euristica: anche l’insegnante, che deve dimostrare in quale rapporto rispetto al sapere si situa, per poter interagire con il rapporto al sapere da parte dell’allievo.
L’unità di misura diventa cioè il rapporto al sapere. Infine anche il campo di influenza della formazione muta:
• non è più il "principe" che ammaestra ma l’utenza che fa richiesta di una comunicazione reciprocante;
• l’educazione non accompagna più soltanto il momento della crescita
dell’individuo ma lo segue per l’intero arco della vita, rispondendo non più a finalità ma a processi di continuità, discontinuità, rotture e ricorsività;
• il senso di formazione si fa più complesso.
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Su questo terzo punto la sfida sembra farsi più difficile: è qui che si incontrano i
campi d’azione di discipline tradizionali come l’educazione, l’istruzione e quelli di
altre discipline come la sociologia, la psicologia, la filosofia. Al centro della formazione si pongono continuamente problematiche basiche riguardanti, paradossalmente, le condizioni stesse della comunicazione. E se nel sistema del dominio
umano la comunicazione è la forza base, è comunque la formazione che permette
all’uomo di reggere verso il cambiamento e la complessità. Allora la prova è andare oltre il semplice incontro formazione-comunicazione, mettendole in relazione
vera, in quanto una formazione pensata esclusivamente in termini di informazione
– insegnamento - istruzione non ha colto il senso della formatività. Quando si tratta di persone, cioè, la dinamica comunicativa dà senso all’informazione,
all’istruzione e all’insegnamento. In altri termini non si ha formazione al di fuori degli orizzonti della comunicazione. Nel comunicare, infatti, i soggetti rendono comune lo scambio: in quello spazio di interazione che è la relazione tra i due membri
del rapporto, il discorso di ognuno prende vita. Non in senso astratto, ma fisicamente, è come se i discorsi dei soggetti prendessero corpo diventando elementi
costituenti il processo di riconoscimento dei soggetti stessi e della loro evoluzione.
Pensato in questi termini il processo diventa il punto di partenza fondativo su cui
programmare i dispositivi delle competenze di istruzione, educazione e formazione. Competenze non semplicemente di linguaggi ma di una dimensione comunicativa comprendente la pluralità e la diversità dei linguaggi umani, tecnici e naturali.
E allora la Padoan dedica tutta la seconda parte del suo lavoro ad alcune riflessioni sulle competenze formative della comunicazione e nello specifico, come si
diceva all’inizio, della comunicazione verbale. La comunicazione verbale, cioè,
può essere educativa. Il nucleo del discorso diventa allora metterne a punto, evidenziandole, le caratteristiche specifiche, quelle che determinano una relazione
docente-allievo differente e rivoluzionaria rispetto a quella costitutiva
dell’insegnamento tradizionale. Si arriva così al culmine della questione, quella
che, da insegnanti, ci riguarda di più. La riflessione della Padoan si fa stringente e
pratica snodandosi attraverso quattro punti, ognuno analizzato nei suoi elementi
costitutivi. La prima nota è propedeutica a tutte le altre e riguarda il formatore.
Questo dovrebbe essere quasi un terapeuta per l’allievo, assicurandogli una presenza costante e condividendo il suo vissuto quotidiano. L’obiettivo sta nel partire
dal reciproco sentire, anche se asimmetrico, per favorire lo sviluppo
dell’autonomia del soggetto e la risoluzione dei problemi. Questa relazione di reciprocazione, come la definisce la Padoan, autentica e efficace in ordine al progetto
formativo comune, è lo strumento principe e come tale richiede la messa a punto
di alcuni dispositivi di fondo. Essi sono in primo luogo l’ascolto e l’empatia: due
concetti vicini eppure distinti. L’uno si riconosce in quanto disponibilità per i messaggi o le azioni dei soggetti apprendenti, con lo scopo di trasmettergli in primis la
certezza del proprio valore e subito dopo risposte interagenti che riformulino il
problema, decodificando eventuali latenze. L’altra si definisce più precisamente
come capacità di accogliere l’altro condividendone l’emozione e si concretizza in
agevolazione dello sviluppo personale e in aiuto affinché l’altro tragga profitto dalle
proprie esperienze. Ascoltare, accogliere, dunque accettare senza condizioni date
a priori. Il soggetto in formazione non deve cioè guadagnarsi la simpatia del formatore ma registrare uno spazio aperto nel quale esprimersi e da cui partire per
creare un rapporto di reciprocazione pur nell’asimmetria dell’azione. Per ovviare a
un rapporto statico con gli allievi che sterilizzi le aspettative dell’insegnante, questo deve inoltre individuare strategie comunicative e didattiche di trasformazione al
fine di scoprire le risorse dell’altro, anche le più nascoste. Obiettivo che presuppoPagina 41 di 128
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ne la consapevolezza dell’evoluzione del soggetto apprendente e necessita della
capacità di mantenere una lucidità percettiva della situazione. Nella stessa prospettiva, un adulto sufficientemente sicuro, empatico e distanziato emotivamente e
cognitivamente può affiancare l’allievo nel processo d’apprendimento dando nome
ai problemi, senso ai messaggi diversi e indicibili, contenendo così in maniera
produttiva il suo universo in fieri. Tutti i dispositivi visti finora, tesi, per così dire, a
"lanciare" lo studente non possono comunque essere disgiunti dalla necessità di
delimitare uno spazio nel quale la cose permesse o non siano definite in modo
chiaro, cosicché i soggetti possano prenderne coscienza anticipatamente. In altri
termini il formatore deve poter affermare la legge fissando il limite; dato in sé frustrante ma non castrante: proprio sul limite infatti si sviluppa l’attività onirica, il gioco del come se, le realizzazioni simboliche che potranno sviluppare potenzialità
creative. Diversamente, l’assunzione del ruolo del lasciar fare in nome di una neutralità o deresponsabilizzazione istituzionale, consente in realtà all’allievo lo spazio
di mantenimento del suo status. Altro elemento indispensabile al formatore è la
capacità di assumere un doppio sguardo: uno rivolto al problema, l’altro a se stesso, distanziandosi rispetto al problema e contemporaneamente facendosi attraversare da questo filtro per non cadere in trappole proiettive, portatrici di riduzionismi,
spostamenti, transfert. Il controllo del proprio atteggiamento da parte del formatore
è prioritario soprattutto in quanto elemento del sistema. L’allievo infatti non è mai
l’unico attore nei processi di sviluppo ma la sua recita si dispiega in un contesto interpretabile come potenziale dinamico. Il formatore ha la funzione di attivatore
(medium) del sistema finché l’allievo non assume un ruolo completamente autonomo diventando medium di se stesso. Questa prospettiva sistemica ci introduce
alla seconda riflessione riguardante le funzioni dell’educatore inteso come elemento del sistema formativo. La funzione di accompagnamento si situa nella mediazione tra il soggetto, il contesto ambientale e il sapere e corrisponde a
un’implicazione da parte del formatore nella situazione continuamente interagita,
deliberata e contrattata. Ma ancora prima, proprio all’inizio del processo formativo,
risulta fondamentale la funzione di aiuto al farsi dell’identità dei soggetti. L’autrice
dà forza al suo discorso richiamando a questo proposito i lavori di Propp sui racconti di magia e quelli di Greimas e Derrault sulla semiotica e psicosemiotica sottolineando come anche questi autori avessero individuato come fondamentale la
presenza di sostegni nei momenti di crisi, cambiamento, ristrutturazione delle identità dei soggetti. In formazione la strategia di orientamento verso attività rassicuranti, accompagnata da un intenso sostegno emotivo e intellettuale, aiuta la ricomposizione delle distintività di soggettività e di ruolo. Nell’insegnamento tradizionale formazione equivale a valutazione nel senso di valutazione quantitativa.
L’alternativa proposta parte dall’ascolto, da un’osservazione attenta e
dall’esplicitazione delle problematiche, per arrivare all’identificazione dei criteri che
permettano di padroneggiare una funzione valutativa senza cadere nelle trappole
della misurazione. Stante l’enorme distanza dell’ambiente educativo dal vissuto di
base dei soggetti, il formatore dovrebbe essere inoltre "lo specchio di un processo
di continuità, di impegno personale, di autenticità sul piano dell’effettiva esperienza dei soggetti" per giungere così a lavorare sui comportamenti degli stessi. La
funzione di modificazione del comportamento si presta in realtà a diverse riserve
ideologiche e psicologiche. Lungi dal voler esercitare una forma di condizionamento, l’educatore dovrà concorrere alla modifica delle relazioni persona-ambiente con
l’obiettivo di un adattamento inteso come processo cognitivo pensato, autorizzato
dal soggetto e reversibile. Non solo: il piano di adattamento va continuamente rilanciato mediante la funzione organizzativa che non si esprime semplicemente
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nella strutturazione di materiali e di spazi o di regole e norme, ma va intesa come
costruzione temporale di situazioni comunicativo - relazionali complesse e pertinenti, capaci di rinforzare la partecipazione e l’organizzazione del soggetto al piano di realtà. Soggetto dunque da tenere sempre, per così dire, in movimento; nel
senso di mobilitarlo alla ricerca dell’auto-organizzazione di sé come sistema capace di interagire con l’ambiente esterno. Il suggerimento per il formatore è di farsi
medium (la cui radice è appunto movimento), individuando le condizioni migliori
perché il soggetto possa trarre vantaggio dalle molteplici occasioni della vita quotidiana. Allora il presupposto è che le condizioni ci siano già, ma – come dice Pirsig - siano ostruite dai pensieri resi stantii dal quotidiano. Bachelard sottolinea come i cambiamenti riescano difficilmente a rompere la "corazza" dell’individuo, perché i saperi precedenti, le credenze e le attitudini premono contro le innovazioni,
determinando una situazione di disagio. La Padoan conclude allora la carrellata
delle funzioni educative sottolineando la necessità da parte del formatore di non
sottovalutare malesseri e difficoltà comunicative nei soggetti, cercando invece di
fargli individuare le aree deboli del loro sistema per porvi rimedio. La terza riflessione prende in esame la situazione "classe". E’ il luogo idealmente rappresentativo della complessità, del gruppo e ospita status, ruoli e comportamenti condivisi e
non. Abitudini semplici di pronuncia, intercalari, fraseologie, idiosincrasie, modi di
interazione e strategie comunicative vengono in essa più o meno consapevolmente trasmesse: una sorta di "curricolo nascosto" di modelli e criteri di comportamento implicito destinati all’allievo, in cui i fatti verbali hanno il peso maggiore. Su questi indici verbali di interazione si concentra allora l’indagine. Obiettivo: dare al formatore uno strumento di analisi del proprio comportamento in vista della realizzazione di una comunicazione più efficace. L’interazione verbale di una classe tradizionale è solitamente rigida e rivelante una fissità di ruoli. Vi sono azioni linguistiche, come l’attribuzione dei turni, quasi solo permesse all’insegnante (asimmetria)
così come fenomeni di sedimentazione e irrigidimento che fanno sì che uno studente sia fissato in un giudizio che permane fino alla fine ("ha un carattere difficile", "è intelligente ma non si applica"). Inoltre la maggior parte degli atti linguistici si
sviluppa prevedendo già domande e risposte (comunicazione artificiosa) col risultato di una riduzione delle funzioni comunicative, in particolare di quella fatica,
fondamentale all’elaborazione dell’identità e della socialità dei soggetti comunicanti. Pensiamo ai due momenti tipo in classe: la spiegazione dell’insegnante, cui deve corrispondere automaticamente un ascolto meccanico, e l’interrogazione, strutturata secondo catene elocutorie in cui si presume già una risposta speculare alla
domanda. Altra espressione di scollamento rispetto all’interazione verbale fuori
della classe è l’uso di azioni comunicative con un valore diverso, se non addirittura
antitetico, rispetto all’uso quotidiano sociale. E’ il caso del silenzio: il comportamento che nella vita sociale crea disagio è quello maggiormente auspicato in classe. Per l’allievo tradizionale infatti la maggior parte delle interazioni è affidata alla
scrittura (silenziosa) e ciò in disarmonia con l’insegnante, il soggetto "parlante". La
Padoan approfondisce questo punto individuando ulteriori asimmetrie: il linguaggio
orale, confinato quasi esclusivamente alle comunicazioni interpersonali spontanee, difficilmente assume qualità di linguaggio esperto e resta atrofizzato; lo stesso
vale per il linguaggio interpersonale e sociale, lasciato solo ai momenti di pausa.
Nella formazione tradizionale l’applicazione, ossia l’esplicitazione dell’insegnante o
del testo, supera di gran lunga l’apprendimento per ricerca, col risultato che si persegue il conformarsi al modello piuttosto che lo sviluppo di un linguaggio personalizzato. La differenza è che il linguaggio dell’applicazione è prevalentemente descrittivo e a sistema chiuso, mentre l’altro è un linguaggio aperto, problematico, inPagina 43 di 128
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terpersonale e meta-cognitivo. La prevalenza di una verbalizzazione elaborata da
parte dell’insegnante, oltre a marcare la distinzione tra il suo ruolo e quello degli
allievi, inibisce nei medesimi la capacità di costruzione di un linguaggio esperto: il
divario asimmetrico si allarga, sviluppando un alto grado di dipendenza e sottoelaborazione formale. L’alternativa sarebbe che lessico e verbalizzazione, indipendenti dal processo informativo, si costruissero progressivamente nell’interazione,
dato che il significato non è mera opera dell’informazione ma della comunicazione
di essa: il linguaggio strutturato sarebbe allora il risultato di un processo comunicativo e non un modello da riprodurre. La cura e la vigilanza del linguaggio verbale
sono gli elementi della quarta riflessione. La duplice valenza del linguaggio verbale che ne fa il veicolo non solo del processo di interazione ma anche di istruzione
e sviluppo dell’identità personale e sociale degli individui, lo colloca in una posizione di enorme rilevanza. Per questo è necessario tenerlo sotto controllo, per
cercare di limitare i danni provocati da errori nel suo impiego, errori di comunicazione che possono lasciare il segno. Sempre più numerosi infatti sono i riferimenti
che spiegano l’insuccesso scolastico con la scarsa preparazione cognitiva e linguistica che gli allievi ricevono. E la formazione, anziché compensare eventuali
deficit dell’esperienza sociale familiare, li aggrava quando si dimostra inadeguata
nell’organizzazione ristretta degli ambienti comunicazionali. Il concetto di codice
ristretto la Padoan lo mutua da uno studio di B. Bernstein degli anni Settanta in cui
si sostiene che è la struttura sociale a determinare diverse forme di uso del linguaggio. Quando in una situazione viene data più importanza sul piano verbale
agli aspetti comuni e concreti piuttosto che individuali e astratti; e a quelli immediati piuttosto che all’individuazione delle cause e delle intenzioni, il contesto orienta
verso un codice ristretto anziché elaborato: è la situazione scolastica tradizionale,
caratterizzata da una prevalenza di condizioni posizionali, vale a dire, secondo M.
Ippolito, che la formazione educativa ha una struttura simile a quella militare. E’
necessario adeguarsi ad un unico modello; difficilmente è promossa una comunicazione personalizzata; la facoltà di esprimere giudizi dipende dallo status dei
membri e le decisioni non sono suscettibili di aperta discussione. La formazione
tradizionale agisce allora in modo profondamente contraddittorio: esige l’uso di un
linguaggio ristretto mentre si dà come finalità l’insegnamento di un linguaggio personalizzato e plurale; e impone una divisione rigida dei ruoli prescindendo dalla
possibilità che gli allievi assumano invece ruoli autonomi. In un simile contesto un
soggetto già fragile sul piano comunicativo lo diventerà maggiormente, tanto più
se tale è il modello familiare e sociale di appartenenza. Date queste premesse, si
fa urgente la necessità di analizzare i comportamenti espressivi e comunicativi,
prendendo coscienza degli errori e degli atteggiamenti devianti, primo passo per
promuovere lo sviluppo delle competenze comunicative degli allievi, spendibili
dentro e fuori la formazione. Strumento principe dell’analisi: l’osservazione sistematica, da parte del docente, delle dinamiche nel "suo ambiente", per attuare poi
una ristrutturazione del sistema comunicativo. Osservazione che non può che essere partecipante: l’osservatore osserva il contesto comunicazionale osservando
se stesso, in quanto parte integrante dei rapporti che vi intercorrono. E’ obbligato
alla percezione della globalità della situazione: punti di vista diversi, contraddizioni,
problemi. Esperito nella sua globalità, l’evento può essere schematizzato nei suoi
componenti elementari, poi contestualizzato mediante la storicizzazione di precedenti, per giungere ad una prima sintesi del problema e a un’ipotesi di ristrutturazione del modello formativo. Ma queste strategie osservative risulterebbero invalidate qualora non si tenesse conto di alcuni indici molto potenti e molto ambigui utilizzati frequentemente nei processi di comunicazione. Sono indici prevalentemente
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inconsci, che si sono costruiti lungo tutta la storia di vita delle persone e dunque
probabilmente molto radicati. Vanno tenuti sotto controllo perché sono la principale causa delle cattive comunicazioni. La Padoan riporta i principali:
•
•
•
•
"Sii spontaneo!" In frasi come questa la meta-comunicazione toglie valore denotante alla comunicazione informando che in realtà non denota ciò che dovrebbe denotare: in questo caso la spontaneità.
"Meriterebbe otto ma meglio dargli sette così impara a comportarsi". Spesso si
confonde il contenuto con la relazione: i due ordini di significazione sono in reciprocazione ma non possono essere alibi per l’uno o l’altro comportamento
osservativo.
"Sono certa che sei stanco, tesoro, e che hai voglia di andare a letto non è vero?" La mistificazione è un modo per far fare all’altro quanto si desidera senza
dargliene l’impressione, attribuendogli un pensiero o un sentimento che non
sono i propri. Si controlla così il comportamento comunicativo altrui.
La maestra al bambino che le mostra una lumaca appena raccolta: "Corri a lavarti la mani!" oppure "Disegnala subito sull’album!" La risposta tangenziale
dimostra una difficoltà di trasparenza e assertività comunicativa da parte
dell’insegnante che accentua un aspetto marginale della situazione anziché
concentrarsi sull’esperienza centrale della comunicazione accettando o rifiutando.
E.7 Conoscere teorie della dinamica di gruppo e possedere un repertorio adeguato
d'interventi per la conduzione di gruppi
vedi punti E.2 ed E.3
E.8 Saper guidare gruppi in processi collettivi complessi e prolungati
Alfine di agevolare la comprensione di questa competenza, i proponiamo due distinte piste interpretative:
• La prima attiene, ma è nella testa e nella memoria di tutti, alla similitudine con
l’allenatore di una nazionale di calcio. A fronte di un obiettivo conosciuto e
condiviso, il Mister deve condurre un intero gruppo, attraverso un lungo e duro
percorso di preparazione, alla prestazione in un contesto predefinito.
• La seconda, più vicina al mondo della formazione, verrà descritta a mezzo del
seguente schema.
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Valutare il percorso formativo nella
sua interezza
Fissare obiettivi
SMART
Generali e specifici
Programmare ed
elaborare un piano
di formazione
generale
Verificare obiettivi generali
Verificare il
raggiungimento di
obiettivi parziali
Elaborare piani
lezione specifici
Produrre la necessaria documentazione
E.9 Possedere nozioni di teoria della comunicazione utili ai fini della consulenza,
saperle applicare in colloqui concreti di consulenza e feedback
vedi punto E.1
E.10 Conoscere modelli della dinamica di gruppo, conoscere l'interazione fra strutture per lo svolgimento di un corso e processi della dinamica di gruppo
vedi punti E.2 e E.3
F. Competenza personale
F.1 In base al proprio curricolo di discenti conoscere la propria concezione dell'apprendimento
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Lo schema che M. Polito30 propone e che personalmente ho utilizzato molto frequentemente in aula, è, a mio avviso, eloquente, semplice e completo. Ciò costituisce la base e va trasposta, di volta in volta, nonché messa in relazione con i
profili dei discenti. Un aiuto, che può rivelarsi anche piuttosto divertente e stimolante, è costituito dai test, strumenti semplici e facilmente reperibili. Qui siamo di
fronte a un vero e proprio universo; le librerie reali e quelle virtuali, sono colme
d’esempi. Per una questione di opportunità, conoscenza e condivisione, utilizzo
spesso i test raccolti da R. Provana in una specifica pubblicazione.31
30
31
M. Polito, Guida allo studio: la memoria, Ed. riuniti (2002)
Van Rhopa, Nuovi test psicologici, Lupetti (1998)
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F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper
analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli
Diffondere apprendimenti è un mestiere antico ed affascinante, generativo e complesso. Da tempi lontani è diffuso il corretto convincimento che divulgare e trasferire efficacemente conoscenze, abilità ed atteggiamenti necessiti del correlato possesso di specifiche ed articolate competenze. Il processo di facilitazione degli apprendimenti non può comunque ridursi alla semplice acquisizione di pur importanti
metodi, tecniche e strumenti, ma richiede, per essere vissuto e percepito come
un’azione congruente ed integrata, un chiaro riconoscimento valoriale che rappresenti la manifestazione della propria identità di formatore.
Per trasferire e sviluppare competenze occorre pertanto anche una adeguata integrazione ed introiezione dei Saperi che sono oggetto dell’apprendere.
Saperi che hanno visto negli ultimi anni un’evoluzione generativa ed un costante
arricchimento interpretativo. Ai Saperi e alle Competenze acquisite nei contesti
professionali si assimilano, senza soluzione di continuità, quelli vissuti ed integrati
nella vita e nell’esperienza soggettiva quotidiana. Secondo un’accezione, per la
quale NON SI INSEGNA CIÒ CHE SI SA MA SI INSEGNA CIÒ CHE SI È, il Formatore, ai fini del rispetto della congruenza del processo di trasferimento degli apprendimenti, deve lavorare per l’integrazione e la condivisione valoriale degli apprendimenti diffusi, ferma restando ovviamente la possibilità di descrivere e trasferire, da una terza posizione percettiva, altre e diversificate dottrine, teorie e discipline. Il ruolo del Formatore è quindi sempre più caratterizzato dalla gestione di
criticità che spaziano attraverso tutte le dimensioni del percorso formativo:
dall’analisi alla valutazione delle attività di apprendimento. La consapevolezza
dell’identità del Formatore, composta e rappresentata dalle differenti identità di
ruolo agite nei diversi contesti personal-professionali, costituisce quindi il presupposto per la diffusione di una conoscenza pertinente nonché il propulsore e
l’amalgama per la manifestazione ed il trasferimento delle proprie competenze. Il
presente modulo sarà quindi finalizzato ad analizzare i Saperi, le Competenze e i
Ruoli agiti dal Formatore nelle organizzazioni, con particolare riferimento alla congruenza e alla certificazione di coloro che svolgono professionalmente un’attività
connessa ai processi di apprendimento32.
Per altri versi, la definizione completa potrebbe essere:
Nella nuova cultura organizzativa del sistema formativo il formatore è un docente
che opera in ambiti pluralistici (agenzie formative, strutture aziendali, società di
consulenza e di formazione). In altri termini, il ruolo del Formatore è di costruire
e/o consolidare i legami tra formazione e lavoro, nel qualificare, riqualificare e aggiornare le forze di lavoro. Il Formatore può assumere funzioni più o meno ampie
o specializzate a seconda della richiesta, delle sue competenze e dell'ampiezza e
differenziazione funzionale presente nell'équipe in cui opera. In ragione della organizzazione necessaria al perseguimento degli obiettivi formativi può cioè, occuparsi solo della gestione didattica oppure dell'analisi dei fabbisogni, della progettazione, della selezione dei candidati, della valutazione, del monitoraggio, ecc. Un
Formatore può trovarsi a realizzare iniziative di formazione anche molto diverse
tra di loro (quanto a contenuti, destinatari, etc.) e deve essere in grado di individuare le metodologie e gli strumenti più adeguati per fronteggiare le necessità della committenza e dell'utenza. Il Formatore deve essere in grado di riconoscere e
32
‘Il Ruolo del Formatore intervento di Pier Sergio Caltabiano, in occasione della Giornata inaugurale Corso Formazione
Formatori AIF Lazio Roma, 22 marzo 2006
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individuare modalità formative finalizzate a mettere in relazione le dinamiche qualitative della domanda e dell'offerta di lavoro. Questa figura professionale elabora,
realizza e controlla le azioni formative individuando e attuando obiettivi, contenuti,
metodologie, procedure, strumenti e forme di verifica delle attività di formazione,
collegandole all'evoluzione del panorama professionale e del mercato del lavoro.
Può curare direttamente il progetto formativo (assumendo le funzioni e i compiti
del progettista di formazione), il coordinamento tecnico e pedagogico del progetto
(assumendo i compiti e le funzioni del coordinatore della formazione), la gestione
delle azioni formative (lezioni, esercitazioni, etc.) e la valutazione dei risultati. Partecipa, inoltre, in collaborazione con lo staff di gestione, progettazione ed analisi
alla elaborazione di progetti formativi nonché alla gestione delle attività formative
in aula relativamente all'erogazione di competenze trasversali e di base previste
nel progetto formativo. Qualora tali funzioni e compiti siano distinte, il Formatore
(cui spetta il compito specifico della gestione didattica degli interventi) deve essere
in grado di entrare in relazione con gli altri esperti e specialisti della formazione. I
compiti del Formatore - qualora non intervengano altri specialisti nelle diverse fasi
del processo di programmazione, gestione e valutazione degli interventi - consistono nel:
• comprendere e interpretare le esigenze della committenza ed effettuare una
analisi dei bisogni formativi dei destinatari;
• predisporre un progetto formativo coerente con le finalità, i tempi e le risorse
disponibili;
• identificare e contattare le persone necessarie per realizzare il progetto, discutere e decidere con i formatori e gli esperti i tipi e le modalità degli interventi, i
sussidi didattici, gli strumenti di valutazione e deve predisporre quanto necessario in termini di articolazione didattica e di valutazione dei risultati.
Egli interviene, in situazione reale, in qualità di formatore o esperto di un particolare settore. Inoltre ha il compito di:
• verificare la coerenza delle risorse e predisporre, se necessario, un rendiconto
amministrativo;
• stendere una relazione pedagogico - didattica sull'andamento e i risultati dell'intervento formativo;
• utilizzare, a scopo di autoformazione e come sussidi per la professione, reti di
informazione nazionali ed internazionali, selezionare documenti e bibliografie,
utilizzare riviste specializzate;
• curare i rapporti interpersonali con i responsabili e i singoli componenti dell'équipe o del Centro di formazione.
Il Formatore può operare come libero professionista (in maniera del tutto autonoma oppure all'interno di una società di consulenza e di formazione o, ancora, collaborando con enti e istituti pubblici di formazione) oppure alle dipendenze (di un'impresa, di un'agenzia formativa, di una società - anche a carattere cooperativo specializzata): attualmente, circa metà dei formatori lavora all'interno di una organizzazione mentre l'altra metà opera come consulente, cioè come libero professionista. I dipendenti di imprese private sono spesso inquadrati a livelli elevati (anche nelle fasce dirigenziali) a cui corrisponde una retribuzione piuttosto consistente. Per quanto riguarda i liberi professionisti, i livelli retributivi dipendono dal volume d'affari e dalla quotazione individuale di mercato. In ogni caso, l'attività svolta
dal Formatore richiede uno stretto contatto con gli altri componenti dell'équipe di
lavoro, i committenti e, ovviamente, i destinatari finali della propria azione (gli utenti). Il carico e gli orari di lavoro dipendono dal tipo di impegno. Il Formatore deve
possedere una buona cultura metodologico-didattica e competenze ed abilità spePagina 49 di 128
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cifiche di carattere sociale, economico e pedagogico. Questo richiede il possesso
di competenze disciplinari (in pedagogia, andragogia, elementi di psicologia) e
multidisciplinari (in scienze organizzative, discipline "mercatolavoristiche"). In generale, il Formatore ha padronanza degli strumenti di progettazione formativa, conoscenza del quadro normativo - locale, nazionale e comunitario - in materia di
formazione professionale, capacità di svolgere ricerca scientifica e capacità relazionali (con gli altri esperti di formazione, con gli utenti, con la committenza, con i
soggetti istituzionali ecc.). Egli deve inoltre:
• saper leggere la realtà economica e sociale del territorio in cui opera; possedere elementi di conoscenza dell'organizzazione aziendale e del lavoro; possedere strumenti di analisi della professionalità;
• conoscere le procedure e gli strumenti di analisi dei bisogni di formazione;
• essere a conoscenza delle metodologie di progettazione formativa, della didattica e della valutazione;
• conoscere le caratteristiche essenziali del processo formativo.
Se incaricato della progettazione, deve essere in grado di definire degli obiettivi
formativi, tradurli in un progetto coerente con le finalità, i tempi e le risorse disponibili; deve conoscere il sistema di formazione professionale a livello regionale,
nazionale e comunitario (ad esempio, deve conoscere gli strumenti di finanziamento e gestione degli interventi formativi). In particolare il Formatore impegnato
in attività diretta possiede, oltre le competenze sopra descritte, conoscenze :
• professionali, relative al proprio ambito, e ne cura l'aggiornamento sullo sviluppo storico ed epistemologico, ne pianifica e programma i contenuti e le auspicabili articolazioni modulari, con responsabilità e deontologia professionale,
con dinamica capacità di presa di decisioni e soluzioni di problemi;
• operative, concorrendo alla pianificazione, programmazione, organizzazione,
realizzazione e valutazione del processo formativo con capacità metodologica didattica, con disponibilità al rinforzo rispetto ai bisogni ed ai tempi di apprendimento, collaborando per la realizzazione e utilizzazione dei supporti didattici
e applicando adeguate valutazioni ex ante, in itinere ed ex post del processo di
apprendimento;
• procedurali, aggiornando le proprie conoscenze in ordine all'esecuzione di
normative e procedure rispondenti alla specificità dei singoli progetti di orientamento e formazione.
In relazione alla centralità del soggetto in formazione e mediante processi di formazione personale permanente e di aggiornamento, il formatore esercita la propria attività:
1. nell'ambito della formazione iniziale con iniziative rivolte ai giovani in uscita
dalla scuola dell'obbligo o destinatari di progetti di interazione ai diversi gradi
del curriculum della scuola secondaria superiore;
2. nell'ambito della formazione superiore, con azioni, con azioni rivolte a giovani
diplomati, laureati o con titoli equipollenti;
3. nell'ambito della formazione continua, con azioni relative alla formazione ricorrente per il mantenimento delle conoscenze ed il perfezionamento in accompagnamento dei processi produttivi e lavorativi, anche al fine di prevenire
l'espulsione dal mercato del lavoro33.
33
Tratto da www.isfol.it
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F.3 Saper reagire in modo flessibile a cambiamenti
Breve decalogo per affrontare il cambiamento:
Scoprite le ragioni della vostra resistenza al cambiamento - le cose che temete di
perdere. Le persone oppongono resistenza al cambiamento quando che questo,
come risultato, produrrà delle perdite per loro. Le cose che più tipicamente si ha
paura di perdere sono il controllo, la sicurezza, il prestigio, l'auto-stima, l'amor
proprio, i privilegi, la posizione, le relazioni interpersonali, la libertà, la comodità, la
prevedibilità, il benessere e il denaro. Quali di queste cose elencate nella
newsletter del mese scorso costituisce il nucleo della vostra resistenza?
Definite quanto, di queste temute perdite, possa essere immaginario o esagerato. Scrivete su un foglio di carta tutte le indicazioni che possono effettivamente far
pensare che la perdita da voi temuta si verificherà. Che livello di probabilità avete
stabilito? Parlatene con qualcun altro per essere sicuri di avere un punto di vista
obiettivo. Vi è mai capitato prima di reagire in modo esagerato?
Determinate quanto tali perdite, pur essendo reali, possano essere attutite per
rendere il cambiamento a voi tollerabile. Sempre sullo stesso foglio di carta, scrivete tutte le cose che potreste fare per ridurre la probabilità che si verifichi una
qualche perdita per voi o per ridurne l'impatto.
Provate a vedere se e quanto le perdite che temete potrebbero rivelarsi vantaggiose per voi. Scrivete per ognuna delle perdite che temete le potenzialità che essa possiede di trasformarsi in un vantaggio - qualcosa cioè che un giorno voi potrete valutare, o almeno tollerare, senza difficoltà. Ripensate a quei cambiamenti
che avete temuto in passato e che poi hanno invece dato ottimi risultati. Parlatene
con altre persone per cogliere altri tipi di vantaggi che forse voi non avete preso in
considerazione.
Identificate le possibili tristi conseguenze del non effettuare il cambiamento. Dopo
aver identificato i vantaggi potenziali che il cambiamento può portare, provate a
pensare quali svantaggi comporterebbe il non effettuare il cambiamento in questione. Siete disposti a pagare un prezzo molto alto per opporre resistenza al
cambiamento che avete identificato?
Non compromettete i vostri valori. Dopo aver completato questa analisi dovreste
essere in grado di cooperare con il cambiamento che vi si è reso necessario. Se è
così, comunque, assicuratevi che tale cooperazione non agisca a scapito dei vostri valori fondamentali e delle cose in cui credete.
Agite. Non abbiate paura di affermare pubblicamente che avete cambiato idea circa questo cambiamento e che lo sosterrete.
Il comportamento proattivo34:
La proattività è, secondo Covey35, la prima "buona abitudine" dell'indipendenza, in
quanto consente di uscire dalla consueta logica di dipendenza dagli eventi e dagli
altri tipicamente identificata da frasi come: "Non mi ha lasciato scelta… E' colpa
sua se mi sono comportato così!… Con questa sfortuna, che altro posso fare?…
Sono fatto così"…
Il modello reattivo risponde alla classica logica deterministica. Che si rifaccia all'idea che siamo quel che siamo per colpa dei geni, o dei genitori e della loro educazione, o ancora dell'ambiente (famiglia, amici, lavoro, ecc), comunque ci condanna ad essere il cane di Pavlov. Ad uno stimolo, una risposta. Nessuna scelta.
34
35
http://www.ipfor.it/proattivita/corpo.htm
Dr. Stephen R. Covey, from The 8th Habit: From Effectiveness to Greatness
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Ma l'uomo può fare di meglio. La frase di Eleanor Roosevelt ("Nessuno può farvi
del male senza il vostro consenso") è affascinante, provocatoria, innovativa: significa che possiamo scegliere se vivere una vita emotiva positiva o rassegnarci ad
essere in balia di emozioni negative. E' proprio per non perdere mille importanti
occasioni che vale la pena di imparare e tentare di fare propria l'abitudine della
proattività. Quando abbiamo una reazione negativa rispetto ad un evento o ad una
persona, ovvero una sensazione spiacevole o comunque fastidiosa, nel senso che
non ci piace come ci sentiamo, o come - se volete - quell'evento o persona ci fa
sentire - allora ci scatta un campanello. Capita più o meno a tutti. La grande differenza tra chi è reattivo e chi invece è proattivo, sta nella domanda che automaticamente ci si pone allo squillo del campanello.
Il reattivo si chiede il "perché accade", e trova immediatamente mille risposte che
non fanno che confermare ed accrescere il senso di negatività già in essere. Il
meccanismo della dissonanza cognitiva gli viene in aiuto, cosicché tutto diventa
coerente, logico, evidente, ovvio: non esistono altre reazioni possibili ad un evento
o ad una persona così oggettivamente spiacevole se non quella di crogiolarsi nella
sensazione di "aver ragione" a fare così. Vediamo invece il proattivo. Egli si chiede
immediatamente "cosa altro potrebbe accadere", automatizzando il processo verso strade alternative, verso stati d'animo più ecologici, lasciandosi ampia varietà di
scelta sulle possibili azioni. In sintesi, trasforma la reazione automatica in "responsabilità dell'azione" (letteralmente "abilità di risposta"), riappropriandosi della capacità di scegliere la reazione più adeguata. Effettuando, quindi, un'immediata ristrutturazione in senso positivo.
La natura proattiva o meno di un individuo è facilmente individuabile dal suo linguaggio: quello dei reattivi tipicamente esplicita la loro assoluzione da ogni responsabilità. Il problema è che il linguaggio reattivo "diventa una predizione che
tende ad auto realizzarsi" (Covey), per il meccanismo della dissonanza cognitiva,
per cui il reattivo tenderà a trovare infinite prove a sostegno della sua convinzione
di dipendere dagli altri o dagli eventi, perdendo sempre di più il controllo sulla propria vita e sul proprio destino. Molto spesso a rivelarci la natura reattiva ci sono
degli operatori modali di necessità, dei rapporti di causa-effetto, o anche delle nominalizzazioni. Diciamo: "C'è astio fra noi", come se esistesse obiettivamente ed
indipendentemente dalla nostra volontà un'entità (= sentimento) dotata di vita autonoma, e non fossimo noi a crearlo ed alimentarlo (anche semplicemente percePagina 52 di 128
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pendolo): la nominalizzazione fa dimenticare che alla base c'è un verbo, e quindi
un nostro agire più o meno consapevole che determina una situazione di astio.
Solo riappropriandoci del verbo, e quindi dell'azione e della responsabilità relativa,
possiamo decidere di fare altrimenti. Come tutti le "abitudini" di Covey, non si impara da un giorno all'altro. E' necessario un grande allenamento, che addestri la
mente a svincolarsi dalla reazione automatica, operata senza responsabilità. Un
buon metodo è quello di "uscire da se stessi", balzando fuori e guardandosi come
in un film (la dissociazione visivo - cenestesica della PNL): come osservatori esterni, ci è più facile farci domande alternative, cercare di capire l'intenzione positiva dell'altro o decidere di trovare del buono in una data situazione spiacevole, magari addirittura immedesimandosi nell'interlocutore. La proattività implica autoconsapevolezza (una delle abilità fondamentali dell'intelligenza emotiva di Goleman) e
capacità di iniziativa. L'autoconsapevolezza ci consente di riflettere sul nostro
stesso processo di pensiero, di esaminare dal di fuori il modo in cui noi percepiamo noi stessi, indipendentemente da come ci vedono gli altri. L'iniziativa presuppone immaginazione, volontà autonoma e coscienza. Grazie all'immaginazione,
possiamo imparare da esperienze mai vissute e creare nuovi programmi d'azione
e circostanze, se lo vogliamo. Grazie alla volontà autonoma ed alla coscienza,
possiamo decidere in modo indipendente e secondo i nostri valori il nostro comportamento, e non condizionarlo agli eventi, all'ambiente o alle sensazioni degli altri. In altri termini, possiamo far sì che i nostri valori (profondi ed interiorizzati) prevalgano sempre e comunque sulle circostanze. La proattività consente non soltanto di recuperare risorse a livello personale, ma anche di gestire al meglio le situazioni di relazione. Dimostrarsi responsabili delle proprie azioni, in grado di controllare le nostre reazioni emotive e la qualità delle nostre interazioni, si riflette sulla
nostra stessa comunicazione e quindi sulle nostre relazioni. Agli occhi degli altri,
un proattivo è una fonte di risorse e soluzioni, mentre il reattivo genera solo problemi; il primo prende l'iniziativa per far sì che le cose accadano, il secondo attende che gli crollino addosso, positive o negative che siano. La proattività, nel senso
di volontà di agire, è il presupposto per la crescita di qualunque individuo. E' diversa dal pensiero positivo, in quanto questo, per definizione, segue una certa direzione, che può talvolta far allontanare dalla realtà impedendo di affrontare i problemi. La proattività invece ci rende consapevoli del nostro potere di scegliere la
risposta più adeguata ad una data situazione. Un modo per capire se la nostra natura è reattiva o proattiva, oltre all'analisi del linguaggio, è quello di diventare consapevoli su dove focalizziamo prevalentemente la nostra attenzione. Tutto ciò che
ha un interesse per noi, sia sul piano mentale che emotivo - dalla fame nel mondo
al capo despota - rientra nella nostra sfera di coinvolgimento: all'interno di questa,
possiamo ipotizzare un'altra sfera, detta di influenza, che racchiude tutto ciò su cui
possiamo intervenire. Nella sfera d'influenza troviamo ciò che ricade sotto il nostro
controllo sia direttamente, ovvero i nostri comportamenti - che possiamo modificare agendo su noi stessi e sulle nostre abitudini - sia indirettamente, ovvero i comportamenti degli altri: su questi possiamo comunque agire con i vari metodi di influenza, tenendo conto che ne esistono moltissimi tutti da imparare (dato che ognuno di noi purtroppo ne utilizza solo alcuni, e non sempre adeguati alle circostanze). I proattivi investono la maggior parte del loro tempo e delle loro energie
su ciò che è possibile modificare con la loro iniziativa, estendendo in tal modo
sempre più la loro sfera d'influenza. I reattivi, invece, consumano tempo ed energie nella sfera di coinvolgimento, immersi in sentimenti negativi di frustrazione ed
impotenza, indifferenti e confusi rispetto a ciò che potrebbero invece cambiare, se
lo volessero. In realtà, anche gli eventi incontrollabili possono essere gestiti positiPagina 53 di 128
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vamente da un proattivo, modificando il suo modo di vederli e percepirli, quindi
convivendoci serenamente, evitando così di esserne a sua volta controllato. E' difficile e faticoso assumersi la responsabilità di trovarsi in un ambiente e in circostanze sfavorevoli per propria scelta, capire che il problema non esiste di per sé,
al di fuori, ma sta proprio in questa percezione di "impossibilità di controllo". Chi
vive per l'avere, e non per l'essere, dipenderà sempre da circostanze esterne. Solo essendo diversi, si potranno operare dei cambiamenti positivi in ciò che sta all'esterno. "Scegliendo la nostra reazione di fronte ad una circostanza noi esercitiamo un influsso potente sulla circostanza stessa". Anche la felicità e l'ottimismo
sono scelte proattive. Scegliere le proprie azioni comporta in automatico scegliere
anche le conseguenze del proprio operato. Quando le conseguenze non ci piacciono, nel senso che se potessimo tornare indietro faremmo di tutto per evitarle, le
chiamiamo errori. Il proattivo sa che gli errori passati ricadono nella sfera di coinvolgimento, e non in quella di influenza: non può annullare ciò che è accaduto, ma
può imparare da essi, può agire per correggerli. Non a caso, T. J. Watson, fondatore dell'IBM, considerava il successo l'altra faccia del fallimento. Ancora una volta
è la risposta che conta, anche quella che diamo ai nostri errori. E' questa che influisce sulla qualità dei momenti successivi. Una caratteristica tipica dei proattivi è
quella di prendersi degli impegni e di mantenerli. Gli impegni con gli altri si chiameranno promesse; quelli con se stessi, obiettivi. Gli effetti sono gli stessi, poiché
entrambi sono utili sistemi per realizzare il controllo sulla nostra vita, in quanto attivano un processo di miglioramento delle aree deboli ed una crescita interiore,
basandosi sull'autoconsapevolezza, l'immaginazione e la volontà.
F.4 Essere consci dei propri punti forti/deboli e delle proprie potenzialità evolutive,
saper perfezionare i punti forti e migliorare quelli deboli o ammettere i propri
limiti
Per affrontare questo punto ritengo basilare approfondire la teoria delle intelligenze multiple di H. Gardner36
Il punto di partenza della concezione di Gardner è la convinzione che la teoria
classica dell'intelligenza, basata sul presupposto che esista un fattore unitario, misurabile tramite il QI, sia errata.
Dopo aver effettuato indagini sull'intelligenza dei bambini e su adulti colpiti da ictus, egli giunse alla conclusione che gli esseri umani non sono dotati di un determinato grado di intelligenza generale, che si esprime in certe forme piuttosto che
in altre, quanto piuttosto che esiste un numero variabile di facoltà relativamente
indipendente tra loro, Gardner arriva a identificare almeno sette differenti tipologie
di intelligenza:
1. Intelligenza logico-matematica, abilità implicata nel confronto e nella valutazione di oggetti concreti o astratti, nell'individuare relazioni e principi.
2. Intelligenza linguistica, abilità che si esprime nell'uso del linguaggio e delle
parole, nella padronanza dei termini linguistici e nella capacità di adattarli alla natura del compito.
36
Howard Gardner, psicologo americano nato nel 1943, è considerato il principale rappresentante della teoria delle intelligenze multiple. Entrò all'Università di Harvard nel 1961, conseguendo il dottorato, specializzandosi successivamente in psicologia dell'età evolutiva e in neuropsicologia. Nel 1986 ha cominciato ad insegnare alla Facoltà di Scienze a Harvard, collaborando contemporaneamente al Progetto Zero, un gruppo di ricerca sulla formazione della conoscenza, che riconosce
grande importanza alle arti. Nel corso degli anni, Gardner, oltre ad elaborare la teoria delle intelligenze multiple, si è occupato dello sviluppo delle capacità artistiche nei bambini e dell'ideazione di strumenti per migliorare l'apprendimento e la creatività attraverso forme di insegnamento e di valutazione maggiormente personalizzati. Gardner ha ricevuto molti riconoscimenti, tra i quali alcune lauree ad honorem, tra cui quella dell'Università di Tel Aviv. Nel 1990, per le sue ricerche, è stato
insignito del prestigioso premio Grawemayer dell'Università di Louisville.
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3. Intelligenza spaziale, abilità nel percepire e rappresentare gli oggetti visivi,
manipolandoli idealmente, anche in loro assenza.
4. Intelligenza musicale, abilità che si rivela nella composizione e nell'analisi di
brani musicali, nonché nella capacità di discriminare con precisione altezza dei
suoni, timbri e ritmi.
5. Intelligenza cinestesica, abilità che si rivela nel controllo e nel coordinamento
dei movimenti del corpo e nella manipolazione degli oggetti per fini funzionali o
espressivi.
6. Intelligenza interpersonale, abilità di interpretare le emozioni, le motivazioni e
gli stati d'animo degli altri.
7. Intelligenza intrapersonale, abilità di comprendere le proprie emozioni e di incanalarle in forme socialmente accettabili.
A questi tipi di intelligenza, Gardner ha aggiunto successivamente un'ottava intelligenza, quella naturalistica, relativa al riconoscimento e la classificazione di oggetti naturali; ipotizzando inoltre la possibilità dell'esistenza di una nona intelligenza, l'intelligenza esistenziale, che riguarderebbe la capacità di riflettere sulle questioni fondamentali concernenti l'esistenza e più in generale nell'attitudine al ragionamento astratto per categorie concettuali universali.
La teoria delle intelligenze multiple comporta che i diversi tipi di intelligenza siano
presenti in tutti gli esseri umani e che la differenza tra le relative caratteristiche intellettive e prestazioni vada ricercata unicamente nelle rispettive combinazioni.
In pratica, non esistono due persone che abbiano esattamente la stessa combinazione di intelligenze: qualcuno è più forte nell'intelligenza linguistica, qualcuno in
quella spaziale e così via. Ovviamente lo sviluppo di queste abilità dipende moltissimo dal tipo di educazione che si è ricevuta e dagli stimoli offerti dall’ambiente in
cui si vive. Tutti, secondo Gardner, possono sviluppare le diverse intelligenze di
cui sono dotati, se messi nelle condizioni adatte (possibilità di ricevere una formazione adeguata, incoraggiamento ecc. La cosa più importante di questa teoria delle intelligenze multiple è che ogni individuo ha la possibilità, se messo nelle condizioni adatte, di brillare in certo tipo di intelligenza e ciò vale anche per i soggetti
tradizionalmente considerati poco portati per le materie scolastiche insegnate a
scuola. Per questo, secondo Gardner, l’educazione va individualizzata, anche attraverso l’uso delle tecnologie, in primis il computer e soprattutto Internet, il cui utilizzo insegna alle persone la conoscenza attualmente più importante: procurarsi il
maggior numero di informazioni possibile.
Ogni occasione in cui, in aula, si utilizza e si propone questa teoria appare chiaramente che ogni partecipante sa riflettere e auto valutare il proprio potenziale.
Ciò permette di dire che tale consapevolezza possa aiutare, anche il formatore,
nell’adeguarsi e nel recuperare abilità, conoscenze e, non da ultimo, sfruttare appieno le proprie potenzialità.
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F.5 Promuovere la propria riflessione ed evoluzione operando sul piano interdisciplinare e sovra – istituzionale
Metodo di analisi e di approccio scientifico o sociologico che vede il coinvolgimento e la collaborazione di più discipline per l'analisi di un fenomeno; metodo adottato principalmente per studiare i fenomeni e complessi sistemi complessi con un
approccio interdisciplinare e globale; tale approccio è (in parte) in antitesi con la
metodologia tradizionale analitica (che si propone di studiare separatamente le varie componenti dei fenomeni).
Sviluppo del personale: non solo un fattore di costo37
Dalla valutazione della prestazione possono essere ricavati anche i provvedimenti
nell’ambito dello sviluppo del personale. Quest’ultimo costituisce un importante fattore di successo che nessun'impresa può trascurare e comprende tutte le misure
volte ad incrementare le qualifiche dei collaboratori.
Mediante uno sviluppo del personale conseguente si migliora la competitività
dell’impresa nonché la flessibilità del team, che grazie a conoscenze più ampie e
approfondite può essere impiegato in maniera più mirata.
Naturalmente aumenta anche la motivazione del personale, cosa che inoltre può
portare a una fluttuazione minore. Pertanto, lo sviluppo del personale non dovrebbe essere considerato solo come un fattore di costo ma come un investimento
proficuo nel capitale umano della propria impresa.
Un elemento centrale è costituito dalle possibilità di formazione e formazione continua. Si può iniziare con la frequentazione di corsi di formazione continua e seminari fino all’orientamento a una nuova attività attraverso una formazione corrispondente. Se i processi di produzione lo permettono, è possibile introdurre un sistema di rotazione del personale e supplenze, così che i collaboratori possono essere impiegati anche in altri reparti.
Pianificazione mirata
Prima di offrire possibilità di formazione continua, il datore di lavoro deve valutare
in maniera mirata la necessità di formazione confrontando la situazione attuale
con le presunte esigenze future. Le lacune che ne emergono dovrebbero essere
colmate attraverso provvedimenti di formazione continua. Prima però conviene ve-
37
Dal sito: www.kmu.admin.ch
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rificare se i collaboratori dispongono del potenziale di sviluppo corrispondente. Infatti, non tutti gli ingegneri sono adatti per i colloqui di vendita.
Controllare il successo
Lo sviluppo del personale costa. Pertanto si consiglia di verificare se il collaboratore in questione abbia realmente raggiunto gli obiettivi stabiliti e se i ricavi abbiano
legittimato le spese. Il successo d’apprendimento può essere controllato per mezzo di test concreti o mediante feedback che dimostrino che le conoscenze acquisite siano realmente impiegate nella pratica.
Il successo dei provvedimenti di formazione continua, però, può essere espresso
anche in altro modo che non solo in numeri: ad esempio a cosa può essere ricondotto il successo di un’entrata sul mercato di successo - al training di vendita o alla
qualità del prodotto? Inoltre, il tema della formazione e della formazione continua
non riguarda esclusivamente i collaboratori ma anche l’imprenditore. Anche i responsabili necessitano di formazione continua.
Maggiore sicurezza in sé
e nelle proprie abilità
Crescita personale
Aumento del
proprio benessere e di
chi ci sta attorno
Evoluzione
personale
Aumento della motivazione
Leadership e
autostima
Maggiore efficienza personale e professionale
F.6 Saper affrontare in modo flessibile condizioni quadro diverse
vedi punto 6.3
F.7 In base a un'analisi del proprio curricolo di discenti conoscere la propria concezione dell'apprendimento e capire il suo rapporto col curricolo stesso
vedi punto 6.1
F.8 Essere consci dei vari ruoli dei formatori, saper analizzare il proprio comportamento e allargare il proprio repertorio di ruoli
vedi punto F.2
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4.
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Autovalutazioni
Nella nostra attività comune di elaborazione del presente documento abbiamo più
volte discusso di valutazione e di autovalutazione. I molteplici riferimenti durante
l’intero percorso del MaGF2 – citiamo, a esempio su tutti, il modello CAF – ci hanno indotti a cimentarci autonomamente nell’attività di autovalutazione. Dapprima in
modo del tutto naturale, ci siamo dati unicamente degli obiettivi temporali: “va preparata entro il …”. Pronti? Via! Il foglio bianco ha subito suscitato in noi reazioni
molto diverse e, sempre molto naturalmente, abbiamo avvertito l’esigenza di riconfrontarci sul tema. “Tu come fai?” Fu la domanda che reciprocamente ci siamo posti. Discutiamo, accordiamoci per un modello comune, prepariamo una traccia…
Ben presto siamo giunti a qualche interessante conclusione:
• siamo diversi sia nell’approccio sia nell’argomentazione
• apparteniamo a percorsi professionali antecedenti molto lontani
• non abbiamo la stessa età
• ci riferiamo, solitamente, a pubblici differenti
• non affrontiamo le stesse materie, le stesse lezioni
• abbiamo obiettivi dissimili
A fronte di ciò abbiamo deciso di sperimentare due distinte modalità autovalutative:
• Walter Seghizzi, che ha maggiormente bisogno (in generale) di struttura affronta l’autovalutazione per items e per definizioni precise e condivise, alfine di
creare un costrutto frutto di un percorso costituito da un complesso di elementi.
• Marco Ricci, che ha maggiormente evidenziato l’attitudine e la passione per
l’approccio narrativo e autobiografico, affronta l’autovalutazione ripercorrendo
gli eventi, le tappe e i cambiamenti che hanno caratterizzato e reso significativa
la vita professionale (ma non solo) del formatore.
Già, perché siamo entrambi formatori, ma proprio perché così legati da questo
“marchio” professionale, abbiamo “intelaiature e impianti” personali, molto personali... Questa conclusione, peraltro molto aderente alle ipotesi che svilupperemo
nel continuum del documento, ci ha fatto capire che l’approccio personale non avrebbe costituito un problema, bensì una risorsa e un arricchimento notevole. Piena libertà, quindi! Al termine del capitolo e/o del documento nella sua interezza, la
rilettura ci darà ragione, o meno, delle nostre convinzioni. E anche dalle nostre
storie possono emergere “competenze distintive”…
4.1
L’autovalutazione di Walter Seghizzi
Uno dei requisiti del lavoro di Diploma (MaGF2), che la ricerca sperimentale ha inteso verificare, consiste, in premessa, nella sua idoneità a “formare” i formatori alla
capacità di “auto-accertamento obiettivo e responsabile delle competenze acquisite”.
L’azione di monitoraggio intende pertanto porre l’accento iniziale sulla verifica del
livello e delle modalità della maturazione della competenza trasversale della “autovalutazione” .
Obiettivo questo non facile a raggiungersi, in quanto non assimilabile a quello di
un mero accrescimento delle competenze, ma proprio per tale motivo meritevole
di essere perseguito ai fini dell’obiettivo generale.
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Imparare ad autovalutarsi implica, da parte del formatore, la capacità di comprendere come egli stesso apprende, e precisamente:
• i livelli di competenza da cui parte;
• i traguardi a cui mira;
• le tappe superate e quelle da superare;
• le proprie potenzialità, i propri ritmi e stili di apprendimento;
• le difficoltà incontrate ed i mezzi esperiti per farvi fronte;
• i risultati raggiunti e quelli da perseguire ulteriormente;
• le dimensioni e le caratteristiche di un percorso continuo, sempre superabile,
sempre diverso, quantitativamente e qualitativamente sempre più elevato.
Riflettere sui tempi e sui modi, sulle potenzialità e sulle difficoltà del proprio apprendere equivale, in buona sostanza, ad acquisire un’attitudine alla metacognizione.
La competenza metacognitiva si forma progressivamente, in forme e con ritmi diversi da soggetto a soggetto, e tanto maggiormente si rafforza in quanto la si esperisce in età (intesa professionalmente) precoce, prima che prenda forma e sostanza quell’atteggiamento di acquiescenza che il formatore tende non di rado ad
acquisire nei confronti della valutazione formale: una valutazione che soggiace a
regole, criteri, presupposti nei confronti dei quali l’ente di formazione non sempre
sollecita la condivisione e la partecipazione del soggetto.
Il concetto d’autovalutazione è stato usato per molto tempo all’interno del sistema
educativo. Recentemente, tuttavia, è sempre più usato nell’istruzione universitaria,
specialmente in relazione alla valutazione e all’apprendimento, nell’ambito di modelli per creare un insegnamento orientato ad una partecipazione più attiva dello
studente.
Innanzi tutto stabiliamo il significato del termine.
Il Collins-Birmingham University International Language Database definisce la parola “valutazione” nel modo seguente:
Valutare una situazione, un problema ecc., significa prendere in esame tutti i suoi
aspetti, esprimere su questi un’opinione, un giudizio, ed esprimere un parere su
quel che è probabile accada
Perciò autovalutazione significa prendere in esame qualcosa che si è prodotto ed
esprimere un giudizio su questo. Nella formazione questo concetto si riferisce
all’autovalutazione, da parte degli studenti, dei differenti tipi di apprendimento e
dei processi di apprendimento. Secondo Boud la ricerca che si occupa
d’autovalutazione si può dividere in quantitativa, pragmaticamente qualitativa e
concettuale.
Ricerca quantitativa
La ricerca quantitativa che si occupa d’autovalutazione appartiene soprattutto alla
tradizione americana. I primi studi, dagli anni trenta ai più tardi anni sessanta, si
focalizzano principalmente sul mettere a confronto la valutazione del profitto fatta
dagli studenti e quella fatta dagli insegnanti.
E’ questo il tipo di ricerca prevalente in questo campo. Gli studiosi calcolano quanti sono i giudizi che concordano e analizzano le eventuali valutazioni superiori o inPagina 59 di 128
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feriori. I risultati non sono interamente chiari e possono essere non facilmente
comparati tra loro, poiché variano piani di studio e prerequisiti. Nondimeno, molti
studi mostrano che gli studenti esprimono per sé valutazioni inferiori rispetto a
quelle che danno gli insegnanti. A questo riguardo, sappiamo anche che gli insegnanti tendono a giudicare gli studenti in modo globale, il che implica che tutte le
variabili soggette a valutazione sono state prese in considerazione quasi nella
stessa misura. Gli studenti, dal canto loro, tendono a giudicare se stessi in modo
più settoriale, variabile per variabile.
Tutto considerato, quindi, quel che si può ricavare da questo tipo di ricerca è il fatto che le previsioni degli studenti, circa i voti che riceveranno dagli insegnanti, si
avvicinano abbastanza ai voti che gli insegnanti realmente assegneranno.
Dagli anni settanta l'autovalutazione (e la possibilità di inserirla a livello
d’istruzione universitaria) è andata incontro ad un interesse crescente e tuttavia direzione e scopi della ricerca sono alquanto cambiati, come vedremo.
Ricerca concettuale
L'autovalutazione è considerata parte del processo in cui i formatori in formazione
sono condotti a pensare, agire e vedersi come professionisti. E' stato detto anche
che la disposizione ad apprendere lungo tutto l'arco della vita è essenziale per lo
sviluppo professionale di una persona. In questo, inoltre è stata messa in rilievo la
competenza metacognitiva. La metacognizione è definita come l’atto del pensiero
il cui oggetto è l'apprendere, il pensare, la percezione della persona stessa. Quindi, la capacità metacognitiva implica che il pensiero possa essere oggetto di riflessione. Le capacità metacognitive possono essere descritte come capacità di pianificare in modo attivo, monitorare e valutare l'apprendimento. Più la capacità metacognitiva per la riflessione si sviluppa, maggiore sarà la probabilità che il formatore
sviluppi un'attitudine riflessiva verso i contenuti che va apprendendo.
Ricerca pragmaticamente qualitativa
La ricerca pragmaticamente qualitativa si occupa prevalentemente dei processi e
dell'introduzione della pratica dell'autovalutazione nella formazione. Affinché l'introduzione dell'autovalutazione abbia l'effetto desiderato sull'apprendimento dei
formatori, si è evidenziato come sia necessario che essi abbiano un ruolo attivo
nello sviluppo dei criteri da applicare alla valutazione. Alcune osservazioni mostrano anche che è importante tenere separata la valutazione dello sviluppo personale dalla valutazione delle competenze professionali e tecniche. Per valutare
queste ultime dovrebbero essere usati criteri derivati dal tipo di conoscenza delle
tecniche e dei valori legati alla professione in questione.
Autovalutazione- esempi pratici
Formule di autovalutazione
Una formula di autovalutazione è un documento in cui si indica il proprio obiettivo
e che cosa si è raggiunto in un certo campo, insieme con un giudizio su questo. E'
una dichiarazione che deve contenere un numero d’informazioni sufficienti per
permettere, ad un esperto della materia in questione, di valutare a quali attività
d’apprendimento si è partecipato e che cosa si è letto. Quindi presentare l'autovalutazione nel modo che sembra più opportuno ma che comunque deve contenere i
seguenti punti:
• specificare gli obiettivi perseguiti
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• definire criteri da utilizzare per valutare fino a che punto si sono raggiunti gli obiettivi prefissati, per esempio lo standard usato per l’autovalutazione in quanto
tale
• per ogni singolo risultato e criterio, definire il modo di procedere che deve essere utilizzato per ottenere risultati positivi
• calibrare la propria valutazione su come ci si ripromette di ottenere ciò che si è
scelto. Tale valutazione deve essere di tipo qualitativo e basata su criteri propri,
non sui voti che si potrebbe aver ricevuto o su qualsiasi altro tipo di giudizio
• se ci si rende conto che gli obiettivi fissati all’inizio non sono stati raggiunti in
modo soddisfacente, si deve individuare quali sono gli ulteriori bisogni
d’apprendimento e come fare per raggiungerli.
Continua necessità di sviluppo
Basandoci sulle conoscenze che abbiamo è possibile stabilire in che modo
l’autovalutazione si caratterizza in modelli di buona e di cattiva pratica
nell’istruzione. La tabella seguente mostra i due modelli.
Al momento, vi sono pochi esempi di autovalutazione che rispecchiano tutte le caratteristiche di una buona pratica, e questi esempi, per di più, possono essere
considerati l’indicazione della necessità che esiste di sviluppare questo campo
della ricerca.
Aspetti che identificano le buone pratiche e le pratiche meno buone
nell’autovalutazione dell’apprendimento e dei processi di apprendimento
(Boud, 1995) (fonte: Internet)
Buona pratica
l’apprendimento degli studenti è al centro
della valutazione
esiste un obbiettivo ben definito, per introdurre l’autovalutazione, discusso con gli
studenti
l’idea che gli studenti hanno del processo
viene presa in considerazione prima di introdurre l’autovalutazione
gli studenti vengono coinvolti nel definire i
criteri di valutazione
Cattiva pratica
la valutazione viene influenzata da richieste
esterne o di tipo istituzionale
l’autovalutazione è considerata una risposta
alle esigenze legate al corso
gli studenti possono influenzare il processo
di valutazione
il modo di procedere viene elaborato in ogni
fase del processo di valutazione
gli studenti valutano il loro apprendimento in
relazione ad un settore specifico della disciplina in questione
gli studenti esprimono l’autovalutazione in
termini qualitativi
il processo di valutazione viene imposto agli
studenti
l’autovalutazione è condotta in modo impressionistico
l’autovalutazione viene usata unicamente
per valutare capacità generali come per esempio le capacità comunicative
l’autovalutazione viene condotta in base a
scale di valutazione le cui tappe non sono
esplicitamente definite
si dà per scontato che i metodi usati altrove
possano essere introdotti nel proprio programma senza alcuna modifica
gli studenti usano i criteri stabiliti unicamente dagli altri
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Buona pratica
si usano giudizi specifici e ben fondati
Cattiva pratica
vengono accettati giudizi generici e non motivati
i risultati della valutazione sono usati per de- i dati della valutazione non vengono usati
terminare certi tipi di processi decisionali
l’autovalutazione è una delle molte strategie l’autovalutazione è legata ad un ambito specomplementari per stimolare all’apprendicifico senza connessioni con altre strategie
mento e alla pianificazione autonomi
l’autovalutazione investe l’intero corso
l’autovalutazione resta confinata a discipline
considerate secondarie
gli insegnanti sono disposti a condividere il gli insegnanti controllano tutti gli aspetti delcontrollo con gli studenti
la valutazione
il feedback qualitativo degli altri studenti è
l’autovalutazione è subordinata ad una valuuna parte della valutazione
tazione di tipo quantitativo
l’autovalutazione è parte di un processo
la valutazione è fatta dall’esterno e non tiecreativo in cui gli studenti sono attivi
ne in alcuna considerazione le valutazioni
espresse dagli studenti
l’autovalutazione viene introdotta graduall’autovalutazione è un caso isolato e non è
mente insieme a una migliorata capacità
stata preparata in alcun modo
negli studenti di apprendere in modo autonomo
sono prese in considerazione le differenze
si presume che la strategia scelta abbia gli
di sesso e di modo di lavorare degli studenti stessi effetti su tutti
si presume che il processo possa guidare al la strategia scelta è relativa solo al soggetto
miglioramento delle capacità di autovaluta- che viene valutato
zione
i dati della valutazione vengono raccolti per i risultati dell’autovalutazione rimangono inumigliorare e monitorare l’apprendimento de- tilizzati
gli studenti
Prendendo spunto da quanto precede, tenuto conto del preciso indirizzo autovalutativo da parte degli studenti, trasponiamo il concetto nella prospettiva del formatore, del docente, dell’insegnante, approfondendo la distinzione fra autoanalisi e autopercezione.
L’autovalutazione può definirsi quindi una misurazione di percorso, anche riferita
alle prestazioni professionali in campo didattico, speculare rispetto all'iter che
l’ente di formazione realizza.
Un altro concetto di autovalutazione è quello dell'autopercezione - non abbiamo
parlato di autoanalisi ma di autopercezione - su tutto quello che attiene al proprio
operato, sul modo di percepirsi come professionista nella formazione.
È da considerarsi autovalutazione la capacità di prendere delle decisioni e anche
di mantenerle in un determinato contesto formativo
Ancora: autovalutazione significa consapevolezza da parte del formatore dell'incidenza della propria capacità relazionale su quelli che sono i risultati, non solo in
termini di apprendimento ma di comportamento dei discenti. Non si agisce solo sul
fronte didattico per cambiare gli apprendimenti, ma anche i comportamenti di vita
e gli atteggiamenti. Bisogna prendere consapevolezza di questa incidenza.
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
In definitiva il gruppo ha concordato che comunque il concetto di autovalutazione
nasce sempre da un confronto interazionale ed è quindi un prodotto della collettività.
Il concetto di competenza
McClelland (1973) e Boyatzis (1982) sono gli autori a cui si deve la nuova concezione di gestione delle risorse umane basata sulle competenze. Nella loro visione
la centralità è del soggetto piuttosto che dell'oggetto (job). Quindi l'attore principale
è l'individuo che possiede e utilizza un sistema di competenze caratterizzato da
conoscenze e capacità, motivazioni e valori e immagine di sé che gli consentono
di esprimere comportamenti professionali competenti.
White (1959) considera la competenza come una generale capacità dell'organismo di interagire efficacemente con l'ambiente. Quindi competenza è anche abilità, possibilità, capacità, efficienza, skill. La motivazione alla competenza consente
agli individui di sviluppare la generale capacità per interagire efficacemente con
l'ambiente. Gli individui sviluppano un desiderio innato ed universale verso tale
capacità attraverso l'esplorazione e la sperimentazione per rendere se stessi capaci di produrre eventi desiderati e prevenire quelli indesiderati. Un altro presupposto fondamentale è la considerazione che la competenza non sia una proprietà
fissa, infatti implica una capacità generativa nella quale le abilità cognitive, sociali
e comportamentali potrebbero essere organizzate per raggiungere più scopi.
Boyatzis (1982) definisce la competenza come una caratteristica intrinseca di un
individuo causalmente collegata a una performance eccellente in una mansione e
che si compone di motivazioni, tratti, immagine di sé, ruoli sociali, conoscenze e
abilità.
Battistelli (1995) puntualizza quanto la competenza professionale sia il risultato di
una complessa dinamica articolazione di conoscenze, abilità, atteggiamenti, immagini di sé, motivazioni e caratteristiche di personalità che permette all'individuo
di comprendere le richieste e mettere in atto comportamenti professionali adeguati
per rispondere alle esigenze lavorative nel contesto organizzativo.
Favretto (1996) sottolinea come un'accurata conoscenza di sé, con valutazioni
scrupolose delle proprie abilità, abbia un considerevole valore adattativo; essa è in
grado di mettere in condizioni gli individui di regolare il proprio comportamento secondo le richieste dell'ambiente e permette di evitare le situazioni nelle quali essi
potrebbero sentirsi inadeguati.
Si apre qui il campo al concetto di autovalutazione delle proprie performance nel
campo professionale che si possono considerare come una componente psicologica della competenza . La valutazione soggettiva della propria abilità è correlata
alla capacità di svolgere un'attività diretta al raggiungimento di un obiettivo e all'efficacia del comportamento.
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•
Il concetto di competenza riguarda
•
•
La competenza professionale
•
•
Un sistema di comportamenti potenziali
La capacità "trasformativa" di utilizzare conoscenze e abilità modificando i pattern comportamentali
elaborati così come gli stili cognitivi
È una caratteristica intrinseca di
una persona...un motivo, tratto,
abilità, aspetto dell'immagine di
sé o ruolo sociale, o corpo di conoscenze che la persona usa...
collegata ad una performance efficace e superiore in una mansione o situazione e che è misurata
in base ad un criterio prestabilito
(Boyatzis 1982)
Il soggetto può non essere consapevole di essere "competente",
cioè non essere in grado di renderla esplicita a sé e agli altri e
quindi di descriverla
La competenza professionale e
relativa a ciò che un soggetto può
fare, ma non necessariamente a
cosa è in grado di fare o farà
Il concetto di competenza professionale è ampio e articolato e in letteratura numerosi sono gli approcci teorici e operativi di cui oggi disponiamo. Tuttavia si può rintracciare un elemento comune: il punto di osservazione è il soggetto che percepisce la sua competenza intesa nella sua espressione contestuale o contingente.
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Chiave delle competenze
Riprendendo la “chiave delle competenze” che ha ispirato dall’inizio il progetto, ho
creduto di elaborare il documento di autovalutazione fornendo, per ogni caratteristica evidenziata, dapprima un approccio teorico e testimonianze raccolte e, solo
in un secondo tempo le mie considerazioni al livello personale (autovalutazione e
commento).
Competenze personali
Motivazione (anche volontà e interesse)
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
Etimologicamente il termine “motivazione” (dal latino motus) indica un movimento,
quindi il dirigersi di un soggetto verso un oggetto desiderato, verso uno scopo: la
dinamica del desiderio implica una spinta, che può essere interpretata come bisogno o pulsione da soddisfare, oppure in un senso più profondo, come tensione sostenuta da aspettative, obiettivi, emozioni. Per quanto riguarda in maniera specifica la motivazione all'apprendimento, tale tensione appare da un lato connessa alle
modalità per cui un soggetto decide che cosa per lui ha senso e che cosa non lo
ha, e dall’altro legata alle attribuzioni di valore dominanti in un determinato contesto (gruppo classe, comunità scolastica, ambiente culturale)
Autovalutazione
Considero alta, in generale, la mia motivazione. A fronte dei molteplici impegni
professionali, famigliari, di formazione continua e aggiornamento personale (cfr.
MaGF) e impegni musicali (orchestra ed ensembles di musica da camera), trovo
poco tempo per pormi la domanda: “chi me lo fa fare?” oppure ancora “dove trovo
la forza per stare dappertutto?”. In realtà la motivazione mia, ma credo che molti
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altri miei conoscenti funzionino come me, deriva da questioni legate (anche)
all’educazione ricevuta. In questo senso sia i miei genitori, sia i genitori di mia moglie, fanno senz’altro parte della generazione che ha sfiorato la seconda guerra
mondiale nella prima infanzia e che ha poi dovuto, fra mille difficoltà, costruirsi una
posizione sociale accettabile. Essere stato cresciuto ed educato in questo contesto, a mio avviso, “alza la soglia”. Diversamente immagino la crescita, soprattutto
motivazionale, dei miei tre figli; finora (e qui mi metto sicuramente spontaneamente in causa) ho fatto si, assieme a mia moglie, che i pargoli non dovessero chiedere o desiderare troppo a lungo. Si sono venuti a creare degli automatismi relazionali e comportamentali dettati dal benessere e dalla (più o meno) recondita volontà di rappresentare in modo diverso il chiedere, l’impegnarsi e ottenere, infine, dei
risultati. Non rientra nel tema e non rientra nemmeno nelle mie competente specifiche, ma sono quasi convinto che il periodo sociale che contraddistingue il comportamento dei giovani scolari in questi anni (e di cui si fa un gran parlare, senza
troppo intervenire) attenga a tutto ciò. E queste erano le riflessioni di base. Nello
specifico professionale il discorso può essere affrontato differentemente. Lavorare,
mantenere una famiglia, guadagnare status e credibilità sono aspetti che ci accomunano. Fortunato è chi riesce a trovare la propria strada, da un lato, e chi,
all’interno del contesto che è riuscito a costruirsi, riesce a farselo piacere,
dall’altro. In fondo, un’altra volta, le questioni legate alla motivazione attengono,
anche in questo caso alle competenze e alle capacità (trattate in seguito). Provo a
spiegarmi meglio; l’aumento del grado di motivazione è direttamente proporzionale
alla riuscita professionale del contesto di riferimento. Quanto più è alta la valutazione del risultato prodotto, tanto più è facile che da ciò scaturisca motivazione.
Visto che ogni soggetto è diverso (e mi vengono in mente i modelli di Maaslow e di
Herzberg), a diversi livelli gli aspetti motivazionali acquistano valore soggettivo e
rappresentano a pieno titolo il motus, il movimento, il motore delle azioni quotidiane esercitate dai soggetti considerati.
Autonomia
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
Indica la libertà e l’indipendenza di un soggetto da qualsiasi altro nell’esercizio di
determinate attività. Di autonomia si parla con riferimento alla capacità politica,
normativa, organizzativa, contabile, finanziaria o gestionale di un soggetto
Autovalutazione
Autonomia; che bel concetto! Libertà e indipendenza sono i termini contenuti nella
definizione che più mi è piaciuta e che, quindi, ho scelto di inserire in questa parte
del documento. In realtà l’autonomia “pura” non esiste. Penso alla vita, quella privata. Forse a eccezione di qualche eremita, dove però la sensazione che vi sia in
gioco una sorta di fuga dalla realtà è piuttosto presente, ognuno di noi, dalla nascita, intreccia relazioni affettive, scolastiche, professionali e private che forzatamente collocano l’individuo in una costellazione di palese eteronomia. Ci si illude di
decidere e di operare scelte autonome che però sono sempre dettate da situazioni
contestuali (dirette e indirette, consce e inconsce). Sono pure dell’idea che il termine di autonomia venga spesso confuso con un altro interessante paradigma,
ossia quello attinente alle scelte discrezionali. In caso di vacatio legis, piuttosto
che in occasione di momenti d’urgenza (dove la reattività del soggetto è messa a
confronto con la responsabilità) si tende a decidere in modo spontaneo (e ci si illude che sia così). Sono convinto, invece, che quella che forse erroneamente definiamo come “autonomia decisionale”, ad esempio, sia frutto di teorizzazioni sogPagina 66 di 128
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gettive, di buone pratiche consolidate dall’esperienza, attuabili in forza e grazie alla dimostrazione di competenze precise (distintive). A fronte di questa premessa,
la mia autovalutazione sul grado soggettivo di autonomia è difficile, per non dire,
dovessi concretizzarla, bassa. Opero giornalmente scelte e decido, certo, pur
sempre tenendo conto dell’ambiente, del campo, del contesto e soprattutto delle
conseguenze che tale comportamento potrebbe evidenziare. La mia autonomia
personale e professionale è quindi relativa alla posizione che rivesto e alla realtà
in cui detta autonomia verrà posta in essere quale espressione individuale.
Cambiamento (anche flessibilità, attitudine al cambiamento)
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
Termine usato per sostituire espressioni come progresso, sviluppo, evoluzione o
rivoluzione, in quanto "neutro" rispetto a concetti che implicano giudizi di valore o
analogie biologiche e fisiologiche. Si distingue fra cambiamenti nel sistema umano, nei sistemi gestionali, strategico - strutturali, tecnologico-organizzativi, socioculturali.
Autovalutazione
Anche questa definizione non è stata scelta a caso. Mi piace molto l’accezione, in
essa contenuta, relativa alla positività che caratterizza il cambiamento. In particolare i termini progresso, sviluppo ed evoluzione, la dicono lunga sulla mia interpretazione del cambiamento. Considero, e lo dico subito, il cambiamento sempre legato al comportamento degli individui. Troppo spesso, anche recentemente, ho
dovuto “combattere” con persone che la pensano decisamente in modo contrario.
Ogni cambiamento destabilizza, crea incertezza e, soprattutto, impone che
l’individuo interessato si dia da fare, ci metta del suo, si impegni. Le persone pigre,
affaticate da anni di immobilismo (per carità, non è colpa loro, …glielo hanno permesso!...) sono spesso terrorizzate da ogni, benché minuscolo, cambiamento.
Rimettersi in discussione e “fare” qualcosa in più o in modo diverso, scompiglia e
destabilizza. Il cambiamento, però, non significa forzatamente fare cose nuove.
Gia Nicolò Macchiavelli38 evidenziò il semplice concetto: “cambiare non significa
fare cose nuove, bensì fare le stesse cose in modo diverso”. Da qui un’altra grande scoperta personale, ossia quella legata alla, a volte, semplicità del cambiamento. Non è necessario stravolgere per travolgere. Piccoli accorgimenti comportamentali portano a cambiamenti proficui, determinati, misurabili e duraturi. Personalmente credo di poter narrare e giustificare il cambiamento; basti scorrere il mio
percorso personale, professionale e, perché no, musicale per rendersi conto delle
piccole / grandi tappe percorse a piccoli passi (non vorrei annoiare raccontando i
dettagli…). Sarà il mio carattere ma, credetemi, non sono ancora “fermo” e mia lascio a mia volta sorprendere dai cambiamenti che vorrò intraprendere.
Efficienza (anche orientamento alla qualità)
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
Rapporto tra i risultati ottenuti e le risorse utilizzate per ottenerli. Processo: Insieme di attività correlate o interagenti che trasformano elementi in entrata in elementi in uscita. Gli elementi trasformati possono essere anche informazioni. Indica il
38
“Donde nacque che Annibale con diverso modo di procedere da Scipione, fece quelli medesimi effetti in Italia che quello
in Ispagna”
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grado di vicinanza del bene/servizio offerto rispetto alle aspettative e alla percezione dei bisogni dell’utente/cliente.
Autovalutazione
Ammetto, in questo caso, di sentirmi debole; cerco di spiegarmi. Da molti anni la
mia posizione lavorativa prevede raramente compiti operativi. Anche quando lo
sono, cioè quando entro in un’aula come formatore, ho qualche difficoltà a misurare il grado di efficienza del mio intervento pedagogico – didattico. Anche se è vero,
senza falsa modestia, che le valutazioni formative espresse dai partecipanti al
termine della lezione sono perlopiù ottime, non ho (e non abbiamo purtroppo) un
riscontro concreto sull’apprendimento e sulla trasposizione di detto apprendimento
nelle singole realtà professionali dei frequentatori del corso stesso. Questa è una
problematica reale, condivisa da chi fa il mio mestiere, alla quale, per diversi motivi, non si è riusciti a porre rimedio. Bisognerebbe investire tempo e risorse economiche per “ritrovare” in azienda i comportamenti attesi, visitando i singoli a medio, lungo termine dopo la fine del corso. Se già in questo contesto ho dei problemi di rappresentazione e di proiezione efficiente, figuriamoci quando mi viene
chiesto di semplicemente partecipare a riunioni, ad assemblee e a congressi. C’è
chi sostiene (e per carità non lo voglio certo contraddire) che anche semplici azioni
di consulenza e di rappresentanza abbiano una grande ricaduta sulla percezione e
quindi sul comportamento delle persone alle quali vengono indirizzate. Anche costoro, però, messi di fronte al problema della misurazione dei risultati, evidenziano
qualche titubanza. Sono quindi, da questo punto di vista, una persona concreta e
vivo, a dipendenza degli stati d’animo, dei momenti di sconcerto. Mi trovo, ogni
tanto, a intimamente invidiare i muratori, i falegnami e tutte quelle figure professionali che, a diverso titolo e forma, possono, al termine della giornata, misurare il risultato del proprio impegno, anche nei termini dell’efficienza. Sarebbe quindi bello
poter stilare giornalmente o settimanalmente un bilancio, quantificando e paragonando al risultato ottenuto (output) le risorse impiegate (input). Nei momenti di
sconforto mi rincuorano il numero dei partecipanti iscritti ai corsi (in costante aumento da 4 anni), il numero dei corsi erogati ogni anno (idem) e, come detto in
precedenza, “il grado di vicinanza del bene / servizio offerto rispetto alle aspettative e alla percezione dei bisogni dell’utente / cliente”
Identificazione con l’”azienda”
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
E' l'elemento attraverso il quale una persona, un gruppo o un’organizzazione riconoscono sé stessi e si vedono riconosciuti dagli altri, all’interno di un contesto aziendale. Ha un diretto legame con i concetti di motivazione, autonomia e efficienza (descritti precedentemente) perché il vicendevole riconoscimento (anche dal
punto di vista gerarchico) consente di gestire nel miglior modo possibile gli spazi
operativi scelti / accordati, con lo scopo e la finalità di operare con i migliori risultati
personali e quindi aziendali.
Autovalutazione
Bastasse contare le ore passate in ufficio per misurare l’identificazione con
l’azienda, sarei a posto. Forse però commetterei l’errore di confondere
l’identificazione con l’azienda con l’attaccamento (senza poi credere che chi passa
troppo tempo a lavorare di fatto ha di fatto dei problemi sia relazionali sia di gestione della delega…). L’identificazione ha più attinenza con la rappresentazione
soggettiva e personale nel contesto professionale in termine di riconoscimento vicendevole top – down e Bottom – up. Ci risiamo (!); il vero cruccio è di nuovo
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Le competenze distintive dei formatori:
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quello della concreta misurazione di quanto, senza ciò, resterebbe al livello della
percezione soggettiva. Come detto, dal 1° gennaio 2003, mi occupo di formazione
di soggetti adulti nel contesto della formazione professionale. In questo mondo,
legato quindi in qualche modo all’apprendistato dei giovani, ho scoperto delle ricchezze incredibili e mi sono ritrovato in diversi momenti a difendere tali ricchezze.
Sono infatti convinto:
• che la mentalità sia ancora votata al considerare di basso profilo la scelta professionale dei giovani al termine della scuola media
• che non sia del tutto nota la profonda trasformazione, avvenuta negli ultimi
vent’anni, relativa alle innumerevoli possibilità di perfezionamento e di sviluppo
formativo, al termine del percorso formativo professionale
• che non vi siano apprendistati facili o banali
• che in presenza di soli accademici il sistema crollerebbe su se stesso
• che la formazione professionale va sostenuta e resa nota nella sua “Vielfalt”
Quando queste mie convinzioni (e succede!) vengono messe in discussione, nasce in me lo stimolo e la motivazione per convincere, argomentando compiutamente e oggettivamente. Credo quindi che la misurazione del mio personale grado
di identificazione possa manifestarsi in questo modo.
Competenze sociali
Lavorare in gruppo (capacità di…)
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
Attività collegiale avente per obiettivo il massimo utilizzo delle competenze di ogni
membro per raggiungere un obiettivo comune. Il lavoro di squadra è il concetto
secondo cui si lavora insieme, cooperativamente, come in una compagine sportiva. “[…] Si ricercano attitudini al lavoro in team con capacità di leadership nella
gestione di progetti in ambiente complesso […]”. Quasi ogni annuncio per la selezione di un candidato alla posizione xy contiene il testo di cui sopra. Sembra quindi essere indispensabile per chiunque potersi “mettere in rete”, dal punto di vista
relazionale e cognitivo.
Autovalutazione
Lavoro bene con il gruppo, se il gruppo lavora bene con me. È un’affermazione
forte che, forse per pudore, difficilmente verrà condivisa da altri. L’aspettativa, infatti, rivolta a ogni soggetto e per ogni ruolo rivestito all’interno del gruppo, è quella
di “mettere giù la testa”, malgrado tutto. Tutti però sanno che non funziona così.
Le dinamiche di gruppo, tanto volentieri trattate in corsi di formazioni e seminari di
teambuilding e di teambonding, producono, per definizione, dei movimenti, delle
forze e delle tensioni interni al gruppo stesso. Queste energie sono (possono essere):
• positive (e tutto va bene)
• negative
• conosciute e condivise
• nascoste
È quindi chiaro che, in modo fortemente dipendente dai componenti del gruppo,
della loro motivazione e onestà “collaborativa”, il gruppo funziona o meno, spesso
indipendentemente dalla coscienza e dalla volontà del singolo, rispettivamente dal
ruolo che questi riveste all’interno del team. Potrei citare gruppi (anche non in
ambito prettamente professionale) dove il risultato (buono) è indipendente dalla
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scarsa capacità di conduzione da parte del “capo” (in questo caso c’è chi riesce a
sopperire a mancanze /debolezze), oppure di gruppi gestiti e condotti da perone
straordinariamente capaci che non riescono a produrre quando da loro atteso e richiesto (in questo caso c’è chi più o meno volontariamente riesce a vanificare le
competenze, gli sforzi e la motivazione del singolo.
Ambientali (anche protezione dell’ambiente)
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
Sistema di competenze complesso in cui i rapporti sono concatenati ed intrecciati
in modo dinamico. Per comprenderne il funzionamento occorre considerare le
connessioni, i rapporti, gli insiemi. Ogni insieme costituisce un sottosistema di un
insieme più vasto. L'ambiente non è costituito da fenomeni naturali soltanto fisici o
chimici o biologici: quando è implicato l'uomo è necessario analizzare e valutare
anche, ad esempio, gli aspetti psicologici, filosofici e sociali.
Autovalutazione
Il concetto di protezione dell’ambiente (“preservazione dell'ambiente da danni inaccettabili provocati da prodotti, processi o servizi”, fonte ISO EN45020: 1998), in relazione alla mia attività specifica, è difficilmente valutabile. La produzione di rifiuti in
aula, la loro eliminazione strutturata e l’utilizzo di prodotti confacenti sembrano essere le uniche variabili. Vero è che, comunque, quale formatore (oltre che responsabile di un Centro di formazione) un atteggiamento orientato alla salvaguardia
dell’ambiente non può che sensibilizzare e creare consenso sulla problematica.
Confesso di non avere ancora (sufficientemente) coscienza sul contributo del singolo.
Sicurezza del e sul lavoro
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
Devono essere attuate da parte dell’azienda tutte quelle misure, previste dalla legge, dai regolamenti e dai contratti, necessarie per tutelare la salute e l’integrità fisica del lavoratore. Ciò significa, per esempio, prevenire possibili incidenti causati
dall’uso degli impianti o da metodi di lavoro pericolosi; oppure prendere dei provvedimenti di "igiene del lavoro", tenendo sotto controllo i fattori fisici e chimici che
possono essere dannosi per la salute dei lavoratori.
Autovalutazione
Vale quanto affermato al punto precedente. Solo in parte, in effetti. Anche in questo caso, soprattutto dal punto di vista legale e disciplinare, è precisa responsabilità del superiore operare in modo da garantire i previsti risultati, anche dal punto di
vista della salute fisica e mentale del collaboratore e del partecipante ai corsi di
formazione. Mi attengo in ogni caso alle disposizioni in materia e la mia autovalutazione è senz’altro almeno sufficiente.
Competenze metodiche
Creatività
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
L'idea di creatività come atteggiamento mentale proprio (ma non esclusivo) degli
esseri umani nasce nel Novecento. I primi studi sul fenomeno risalgono agli anni
'20. Mentre in alcuni campi (la matematica, per esempio) la creatività sembra sviPagina 70 di 128
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Le competenze distintive dei formatori:
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lupparsi meglio in giovane età, in altri (letteratura, musica, arti figurative) continua
per tutto l'arco della vita.
L'atto del creare è stato a lungo percepito come attributo esclusivo della divinità:
Catullo, Dante, Leonardo, infatti, non avrebbero mai definito sé stessi dei creativi.
Propri dell'uomo erano invenzione, genio e, dal 1700, progresso e innovazione. La
parola creatività entra nel lessico italiano solo negli anni '50. Tra le moltissime definizioni di creatività che sono state coniate si segnala per semplicità e precisione
quella fornita dal matematico Henri Poincaré nel 1929: "Creatività è unire elementi
esistenti con connessioni nuove, che siano utili". Le categorie di "nuovo" e "utile"
radicano l'attività creativa nella società e nella storia. Il "nuovo" è relativo al periodo storico in cui viene concepito; l'"utile" è connesso con la comprensione e il riconoscimento sociale. Nuovo e utile illustrano adeguatamente l'essenza dell'atto
creativo: un superamento delle regole esistenti (il nuovo) che istituisca una ulteriore regola condivisa (l'utile). Si individuano anche le due dimensioni del processo
creativo che unisce disordine e ordine, paradosso e metodo. Infine, le categorie di
nuovo e utile ampliano la sfera delle attività creative a tutto l'agire umano a cui sia
riconosciuta un'utilità economica (estetica o etica) e che sviluppi uno dei tre possibili gradi di novità: applicazione nuova di una "regola" esistente, estensione di una
regola esistente a un campo nuovo, istituzione di una regola del tutto nuova. Poiché si fonda sulla profonda conoscenza delle regole da superare, la creatività non
può svilupparsi in assenza di competenze preliminari. Caratteristiche della personalità creativa sono curiosità, bisogno d'ordine e di successo (ma non inteso in
termini economici), indipendenza, spirito critico, insoddisfazione, autodisciplina. La
creatività è espressione tipicamente umana perché si fonda anche sul possesso di
un linguaggio a volte astratto (fatto però di parole, numeri, note musicali) e atto a
compiere discriminazioni sottili. […]39.
Autovalutazione
Come musicista dilettante, non avrei potuto scegliere definizione più appropriata.
Quella fornita dal matematico H. Poincaré nel 1929: "Creatività è unire elementi
esistenti con connessioni nuove, che siano utili", mi sembra davvero confacente al
mio modo di pensare. In altri termini, avendo a disposizione l’intera tessitura dello
strumento, riproduco la realtà creando interconnessioni nuove e ogni volta diverse.
Mi riallaccio pure a una questione linguistica che è stata, tra l’altro, trattata anche
in occasione del modulo animato dal Prof. G. Martignoni. Il verbo italiano “fare” ha
due radici distinte che sono del greco antico. Si divide infatti in prattein, da cui deriva il sostantivo “pratica”, ossia la riproduzione fedele della realtà, e in poiein da
cui deriva il sostantivo “poesia”, ossia la rappresentazione creativa della realtà.
Per definizione un formatore attivo con un pubblico di adulti “forma” e quindi prende dei pezzi di materia, di conoscenza e li assembla, ogni volta in modo diverso,
alfine di facilitare l’apprendimento dei discenti. Mi trovo spesso confrontato con la
domanda sul miglior metodo e sul miglior approccio da utilizzare in aula. Se, da un
lato, il concetto e il relativo obiettivo didattico restano prescritti in ugual modo, è
pur vero, dall’altro, che i soggetti (fruitori dell’apprendimento) mutano in continuazione. La reattività del gruppo a fronte di dinamiche interattive può variare sensibilmente; non è per nulla assodato che l’utilizzo “forzato” di costruttivismo sia
sempre ben percepito. Scuole di pensiero e, perché no, pure un po’ di moda, fanno si che il formatore esasperi spesso modalità d’approccio a fronte di gruppi di al-
39
tratto da it.wikipedia.org/wiki/Creatività
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tro tipo. Tento di riformulare. Credo abbastanza nella teoria secondo la quale i canali comunicativi soggettivi (quindi legati anche all’apprendimento) siano almeno
tre40 e che questa affermazione trovi riscontro, in parti statisticamente uguali, nella
misura del 33.33% dei discenti. Fatta questa considerazione, all’interno di essa,
cerco di muovermi, in modo “creativo” affinché ognuno, probabilmente appartenente a una delle tre categorie, abbia ad approfittare (leggasi, con profitto!)
dell’intervento formativo.
Metodologia lavorativa
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
(gr. mèthodos "strada attraverso", "via"): messi a punto e affinati gli strumenti che
permettono di entrare e di procedere […], il metodo è la traccia, il sentiero che va
prescelto e seguito in modo preciso, dando conto delle difficoltà e degli ostacoli
che si trovano nel percorso. […].
Autovalutazione
Credo di avere già risposto nei precedenti punti. La metodologia lavorativa non è
che l’insieme delle considerazioni già espresse in termini di motivazione, autonomia, efficienza e creatività. Non ne ho di fissi o standard e cerco di adattarmi, utilizzandoli, al contesto e all’interlocutore. Quanto alla definizione che ho scelto,
contrariamente a prima, rappresenta, in parte, proprio la negazione del concetto.
Infatti, l’affermazione secondo la quale il metodo “va prescelto e quindi seguito in
modo preciso” non mi consente di reagire e di operare scelte alternative nella misura in cui la scelta dovesse, in itinere, rivelarsi poco appropriata rispetto alle aspettative dei fruitori.
Capacità d’apprendimento
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
L’apprendimento e il processo di acquisizione di conoscenza o di una particolare
capacità attraverso lo studio, l’esperienza o l’insegnamento. Si tratta di un processo basato sull’esperienza che comporta un cambiamento sul lungo termine del potenziale comportamentale (che descrive e possibilità del comportamento di un individuo, a livello appunto potenziale, in una data situazione, ai fini del raggiungimento di un determinato obiettivo).
Le strategie d’apprendimento sono le operazioni, i passi, le azioni specifiche e
concrete messe in atto da uno studente per facilitare l'acquisizione, la memorizzazione, il recupero e l'uso delle informazioni, e per rendere così l'apprendimento più
facile, veloce, piacevole, autodiretto, efficace e trasferibile a nuove situazioni: ad
esempio, utilizzare le illustrazioni di un libro per comprendere meglio il testo, fare
"mente locale" sull'argomento prima di ascoltare o leggere qualcosa, sfruttare le
occasioni di pratica ...
La capacità (stile) d’apprendimento è costituita dall'approccio generale e preferito
all'apprendimento da parte di una persona, il suo modo tipico e stabile di percepire, elaborare, immagazzinare e recuperare le informazioni. Lo stile è relativamente
indipendente dal contesto e dal contenuto trattato e condiziona la scelta e l'uso di
strategie di apprendimento.
40
secondo la PNL, cfr. Bandler & Grinder; visivo, uditivo e cinestetico
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Autovalutazione
Con lo schema di Therer – Willemart, che uso abbastanza frequentemente nei
miei interventi in aula, ci si presenta una semplice quanto efficace rappresentazione dei principali stili di apprendimento e delle relative metodologie di studio / di insegnamento. Se, da un lato potrebbe sembrare scontato preferire (visto il migliore
rapporto fra interesse per chi apprende vs. l’interesse per la materia) lo stile incitativi, passando attraverso a metodologie dinamiche e di interlocuzione, dall’altro, in
realtà, il tema va riportato sempre alla situazione, agli obiettivi e alla materia. Il
rapporto più basso (1:1), rappresentato dallo stile permissivo, potrebbe quindi essere interpretato quale approccio di basso profilo. Dalla mia esperienza e in considerazione di una mia autovalutazione, ritengo che, al contrario, vi siano
nell’apprendimento autonomo parecchi punti a favore. In più di un’occasione ho
potuto sperimentare che la libertà concessa dall’autonomia (relativa a spazi, tempi
e modalità) abbia arricchito me personalmente e pure, se gestita coscienziosamente, pure i discenti in aula. Trovo quindi, in conclusione, molto limitante ogni
tentativo di catalogazione e di assegnazione di valore in relazione agli apprendimenti soggettivi e ai soggettivi comportamenti ad essi legati.
A
I
P
T
=
=
=
=
Associativo
Incitativo
Permissivo
Trasmissivo
(es. lavori di gruppo)
(es. domande e risposte)
(es. apprendimento autonomo)
(es. metodo dimostrativo)
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Competenze di negoziazione e di azione
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
Potremmo definire la negoziazione come un “sistema per prendere decisioni” che
si concretizza in un processo che, se ha successo, sfocia in una decisione congiunta, presa da più attori contemporaneamente. Fondamentalmente, in tutta la
nostra vita privata e professionale la negoziazione è un’attività molto frequente e
dispendiosa, anche se non sempre siamo in grado di riconoscerla come tale. Se
volessimo identificare della variabili, potremmo dire che in una situazione negoziale sono sempre presenti delle controparti con interessi e obiettivi diversi, ma che
agiscono per concludere qualcosa insieme.
La negoziazione potrebbe essere comunemente definita come l'insieme dei comportamenti tattici che vengono attivati sia dal compratore che dal venditore. Nella
realtà, la negoziazione non può essere limitata a quella commerciale: sono comportamenti che pervadono la nostra vita quotidiana in tutti i suoi ambiti. Esiste anche una negoziazione organizzativa, nei casi per esempio in cui in azienda si debba negoziare un budget tra diverse funzioni e posizioni. Oppure una negoziazione
molto più soft legata ai rapporti tra colleghi.
Se volessimo trovare l’elemento accomunante queste diverse forme, potremmo
identificarlo nel fatto che esiste una forma di trattativa in cui le parti si scambiano
risorse sia a livello materiale sia a livello dialettico. Anche nel caso della relazione
soft tra capo e collaboratore esiste infatti uno scambio: quando il capo chiede al
collaboratore di fare qualcosa, ci troviamo in una situazione negoziale, in cui il capo appunto deve cercare di convincere e motivare la propria risorsa ad agire secondo quanto richiesto.
Due tipi di Strategie: Distributiva e Integrativa
Quando ci troviamo in una situazione negoziale, le strategie che possono essere
attivate sono di due tipi: strategia negoziale distributiva o integrativa.
Nel primo caso, l’attività di negoziazione è simile a un gioco competitivo, in cui le
controparti sostanzialmente “si fanno la guerra” attraverso un continuo gioco di difesa e attacco. Si pone la questione come se si dovesse vincere o perdere (win lose) per massimizzare la soddisfazione. Queste situazioni negoziali sono presenti
nelle relazioni occasionali, meno nelle situazioni ripetute nel tempo o con clienti
consolidati. Sono situazioni negoziali distributive, per esempio, le trattative sul
prezzo di una compravendita in cui i prezzi non sono definiti a priori”. Strategie
negoziali di tipo distributivo possono essere riconosciute anche nella vita quotidiana delle organizzazioni, quando due colleghi adottano delle strategie negoziali con
il proprio capo al fine di poter ottenere l’assegnazione della posizione vacante. In
questo caso, la posizione è unica, non può essere suddivisa ma può essere attribuita a una sola persona: per questo le risorse potrebbe “lottare” fra loro al fine di
ottenere l’assegnazione della posizione tanto ambita. Un elemento caratterizzante
che ci permette di differenziare la strategia distributiva dall’integrativa è il fatto che
essa venga utilizzata quando l’oggetto della negoziazione o “la posta in gioco” non
può essere suddivisa, ma necessariamente deve essere assegnata a una sola
parte, creando appunto vinti e vincitori. A differenza della strategia distributiva, la
strategia integrativa viene utilizzata per i rapporti duraturi e più oggettivi. Questi
casi sono basati sulla collaborazione, in cui alla fine della negoziazione non ci sarà
un vincitore e un vinto, ma due vincitori. È una strategia basata sulla comunicazione e sulla trasparenza: più le persone si espongono nei loro interessi e nei loro obiettivi, più si comunica, più si evidenziano i risultati che ciascuno vuole ottenere.
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“Le controparti si rendono conto che è possibile trovare un accordo integrativo, in
cui si può aumentare il valore dell’accordo stesso prima di dividerlo. Sono situazioni che a differenza delle strategie distributive, non hanno un unico oggetto del
contendere e in cui la relazione deve essere protratta nel tempo: pensiamo, ad
esempio, alle partnership tra cliente/fornitore, le riunioni sindacali, le grandi commesse di lavoro, le fusioni e le acquisizioni, le alleanze strategiche tra aziende gli
accordi diplomatici tra stati. In ognuna di queste situazioni, gli oggetti della trattativa sono diversi (tempi, costi, modalità di pagamento, specifiche di progetto, impatti
economici, politici e sociali a breve e lungo termine) e quindi è possibile trovare
almeno un elemento di scambio che permetta a ciascuna della controparti di trovare soddisfazione nella relazione. Oggi è molto diffusa una tendenza a interpretare
la trattativa in un’ottica competitiva, ritenendo che per poter ottenere risultati da
uno scambio sia fondamentale “farsi le scarpe”: “Così situazioni tendenzialmente
integrative come per esempio la discussione di un budget aziendale diventano
trattative distributive. Oppure nel rapporto tra clienti e fornitori, si cerca di “strozzare” con le richieste il fornitore, al fine di ottenere migliori condizioni di pagamento.
È un atteggiamento molto pericoloso, perché alla fine alimenta rancori e chi ha
subito, cercherà appena si presenta l’occasione di vendicarsi o di compensare in
qualche modo le perdite percepite. Il rischio intrinseco di una strategia distributiva
è l’escalation della competizione che porta inevitabilmente al conflitto e alla rottura
dei rapporti.
Autovalutazione
Grazie alla mia esperienza e alla mia maturità professionale, nonché ai ruoli che
nel corso di questi anni sono stato chiamato a sostenere, ritengo di aver acquisito
buone capacità negoziali. Per iniziare a redigere questa autovalutazione (per questo specifico punto) ho riflettuto parecchio sulle informazioni teoriche che ho potuto ricevere in occasione di passati corsi di formazione. Non ho difficoltà a citare le
differenze fra le negoziazioni integrative e distributive e, da questo punto di vista,
sono potenzialmente un buon negoziatore. Non basta. Ho allora cercato di elencare le occasioni importanti nelle quali questa competenza ha dovuto essere posta in
essere. Benissimo, mi sono detto, ce ne sono state molte. Se è vero che le medaglie si appuntano solo dopo la battaglia, da questa angolatura posso scorgere
quasi solo dei successi; quando ho dovuto negoziare l’ho fatto principalmente in
forma distributiva non immediata. Non voglio certo coniare dei nuovi termini o creare dei corollari azzardati alle teorie conosciute, in uso e quindi riconosciute. Mi
sono accorto, però, di aver potuto stilare un bilancio delle negoziazioni solo parecchio tempo dopo la “trattativa”. In effetti il famoso concetto di win – win si è spesso
confermato solo in negoziazioni successive, relativamente molto lontane nel tempo fra di loro. Intendo dire che prese singolarmente due diverse negoziazioni avrebbero potuto essere confuse con altrettanti win – lose, in modo alternativo fra i
negoziatori. Visto però che il risultato della negoziazione è spesso frutto di compromessi e di do ut des, alla fine del processo, fatti i dovuti investimenti, si tende a
voler bilanciare il rapporto negoziale.
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Competenze tecniche
Qualità del lavoro
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
E’ lavoro di qualità il lavoro regolare, sicuro e prestato in aziende che vogliono aggiungere altro “valore” a questi parametri, nell’ottica di un miglioramento continuo.
Promuovere la qualità del lavoro può significare introdurre meccanismi di misurazione, rendicontazione e certificazione della responsabilità sociale dell’impresa,
valorizzare le esperienze di eccellenza, promuovere la formazione e la diffusione
di una cultura d’impresa socialmente responsabile.
Autovalutazione
Le definizioni di qualità, lo sanno tutti, si sprecano, anche nei contesti più disparati.
Non è per nulla facile, quindi, scegliere una definizione che possa caratterizzare la
mia personale accezione del concetto. Ho scelto questa perché si fa riferimento in
modo preciso alla questione del valore “aggiunto” e alla produzione di valore per i
fruitori. Il campo si presta molto alle percezioni soggettive ma questo, in fondo, è
proprio il vero spirito e la vera unità di misura utilizzabile. Lasciamo perdere per il
momento i sistemi di gestione della qualità e le relative certificazioni e facciamo un
esempio: come si misura la qualità di un’orchestra sinfonica che si produce in un
concerto pubblico? Ho posto la domanda a diverse persone e provo a sintetizzare
le risposte:
• se sono intonati
• se le sezioni sono coordinate (in gergo “vanno assieme”)
• se ci sono o si sentono errori (note sbagliate)
• e così via
Quasi sempre le risposte, fornitemi da persone con scarse competenze musicali,
fondano sull’errore o sulla non conformità.
Posta la stessa domanda a persone competenti (anche a dei musicisti) le risposte
che arrivano sono diverse:
• se provo sensazioni
• se vi è adeguata presenza scenica
• se emerge l’interpretazione innovativa e la personalità del direttore
• e così via
Trovo interessantissimo, a questo punto, insinuare una correlazione fra competenza del “valutatore” e qualità misurata (parametri e criteri di misurazione). Di
questo argomento riparlerò in un capitolo specifico all’interno del documento.
Capacità specifiche
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
Questo concetto è tanto centrale, nella formazione, quanto ancora oscuro e impreciso. Si verifica intorno alle "capacità” qualcosa di simile a quanto si è verificato
in fisica per gli atomi, in chimica per le molecole, in biologia per le cellule. Per i secoli si è parlato e si è lavorato intorno a oggetti che solo verso la metà dell'Ottocento hanno trovato una definizione e descrizione precise. Gli atomi e le cellule
sono entità complesse, a loro volta composte da elementi più piccoli, che fungono
da mattoni aspecifici della natura. Ogni oggetto naturale è tuttavia costruito da particolari insiemi di atomi e cellule, detti molecole, che assumono il ruolo di mattoni
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specifici. Atomi di idrogeno e ossigeno composti a caso non danno origine a nulla:
ma una molecola fatta di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, legati in modo
particolare fra di loro, costituisce la unità base dell'acqua.
Circa le capacità, abbiamo problemi simili, ma siamo ancora al livello pre - scientifico. In particolare:
1. non esiste una definizione accreditata del concetto;
2. non conosciamo gli elementi che compongono le capacità;
3. non conosciamo quali sono le capacità basiche.
La cosa interessante è che, malgrado queste oscurità, facciamo formazione e
spesso riusciamo a ottenere visibili incrementi di capacità. È interessante la disamina della lingua inglese che dispone del termine "hability" o "skill". Il primo indica
"potere sufficiente, capacità di fare qualcosa, abilitazione, destrezza, talento, potere mentale". Il secondo sta per "esperienza, abilità pratica, facilità nell'azione, abilità, tatto". Le habilities sarebbero le capacità ad ampio raggio come quella verbale,
spaziale, matematica, ecc. Le skills sarebbero componenti attualizzate delle habilities, che possono essere oggetto di addestramento. Per analogia potremmo paragonare le habilities agli atomi e le skills alle molecole.
In direzione simile può essere letto il contributo di I.Matte Blanco41 che enfatizza
l'accezione di capacità come "capienza". In questo senso le capacità sarebbero
contenitori aspecifici che si riempiono, con l'esperienza e la formazione, di "poteri
operativi" cioè skills.
Autovalutazione
Anche questo tema sarà oggetto di approfondimento nel documento principale, in
un capitolo dedicato. In particolare verranno evidenziate le nostre idee, rilevazioni
e conclusioni sulle differenze fra capacità, intese come competenze, di soglia, distintive e d’eccellenza. Ognuno di noi ha seguito formazioni specifiche e abilitanti,
al termine delle quali ha pure conseguito attestati e diplomi (cfr. concetto di competenze di soglia). Grazie all’esperienza e alle teorizzazioni soggettive, vengono
poi sviluppate altre competenze individuali (distintive) che, opportunamente curate, sviluppate ed esercitate si trasformano, crescendo sia di livello che di intensità,
in competenze d’eccellenza (all’interno del settore distintivo del soggetto). La mia
autovalutazione, a questo soggetto, attiene alle seguenti riflessioni:
41
Matte Blanco I. "L'INCONSCIO COME INSIEMI INFINITI" Einaudi, Torino, 81
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Competenze di soglia
Scuola dell’obbligo
Scuola media
Scuola superiore
Apprendistato
Corsi di abilitazione e di
perfezionamento aziendali
Formatore aziendale con
Diploma federale
Formatore con Attestato
professionale federale
Competenze distintive
Applicazione pratica
dei saperi
Approfondimento
personale
Opportunità di sviluppo
Competenze d’eccellenza
Studi e pubblicazioni sui temi
specifici
Ulteriori approfondimenti
Riconoscimento professionale e personale in relazione ai
temi
Schematicamente, come riportato alla pagina successiva:
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pubblicazioni
articoli
seminari
auto - formazione
docenza
Eccellenza
scarto
distanza
Distintive
Soglia
pedagogia
andragogia
docimologia
relazione
apprendimento
tecniche di ricerca
impiego
autoimprenditorialità
ricerca e selezione
placement
coaching
DIPLOMA x
VISSUTO y
Obiettivi generali
Aree tematiche
Obiettivi specifici
Piano di formazione
Erogazione formativa
Valutazione certificativa
VISSUTO z
Prestazioni
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
Dal latino PRE = avanti e STANTEM = stare; stare quindi davanti agli altri, qualora
la prestazione fosse, come in realtà è pensata nel nostro contesto, riferita a un individuo prestante (ossia in grado di produrre prestazioni). La definizione appare
quindi interpretabile e non si può fare a meno di riferirsi ai concetti di:
• confronto prestazionale rispetto ad altri soggetti (competizione)
• confronto prestazionale rispetto alla formulazione di precisi obiettivi
• difficoltà di misurazione delle prestazioni
• difficoltà di rapport dei risultati delle misurazioni
Non è, inoltre, del tutto casuale e/o sbagliato riferirsi alle prestazioni nei termini di
efficienza e di efficacia dei comportamenti soggettivi; termini questi peraltro già
trattati in questa autovalutazione.
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Autovalutazione
Stare davanti agli altri, sempre che inteso come riconoscimento, credo sia il motore di ognuno di noi. L’aspetto competitivo invece, come normalmente inteso dal
punto di vista prestazionale, non mi interessa molto. Preferisco il confronto e la
prestazione con me stesso e con gli aspetti che mi danno l’impressione di essere
“a posto”. J.J. Rousseau, quasi 300 anni fa ebbe ad esprimere il seguente concetto: “Val molto di più avere la costante attenzione degli uomini che la loro occasionale ammirazione.” In questo senso l’aspetto delle prestazioni, del rendimento e
del relativo impegno, deve a mio avviso essere costante. Il livello delle prestazioni
è soggettivo ed è frutto / conseguenza (anche) delle competenze che l’individuo
vuole mettere in campo. Deciso ciò, va salvaguardato detto livello, pensando alla
costante tendenza verso l’alto e evitando cali.
Conoscenze
Descrizione, definizione, approcci teorici e testimonianze
La conoscenza è la consapevolezza e la comprensione di fatti, verità o informazioni ottenuti attraverso l'esperienza o l'apprendimento (a posteriori), ovvero tramite l'introspezione (a priori). La conoscenza è l'autocoscienza del possesso di informazioni connesse tra di loro, le quali, prese singolarmente, hanno un valore e
un'utilità inferiori.
"Conoscenza" è un termine che ha significati diversi a seconda del contesto, ma
che ha in qualche modo ha a che fare comunque con i concetti di significato, informazione, istruzione, comunicazione, rappresentazione, apprendimento e stimolo mentale.
L'aspetto sostanziale della conoscenza è che, mentre l'informazione può esistere
indipendentemente da chi la possa utilizzare, e quindi può in qualche modo essere
preservata su un qualche tipo di supporto (cartaceo, informatico, ecc...), la conoscenza esiste solo in quanto esiste una mente in grado di contenerla. In effetti,
quando si afferma di aver esplicitato una conoscenza, si sta in realtà preservando
le informazioni che la compongono e parte delle correlazioni fra loro, ma la conoscenza vera e propria torna a esser tale solo a fronte di un utilizzatore che riassoci
tali informazioni alla propria esperienza personale. Fondamentalmente la conoscenza esiste solo in quanto esiste un'intelligenza che possa utilizzarla. La conoscenza è qualcosa di diverso dalla semplice informazione. Entrambe si nutrono di
affermazioni vere, ma la conoscenza è una particolare informazione, dotata di una
sua utilità.
Autovalutazione
La definizione mi permette di distinguere i termini di sapere o di informazione e
conoscenza. Se è vero che la conoscenza si manifesta solo se vi è la contemporanea presenza di utilità (scopo) e del veicolo (rappresentato dall’intelligenza), la
differenza con il semplice sapere diventa importante perché costituisce a pieno titolo uno degli elementi fondamentali della competenza e dell’analisi che, in questo
contesto e con parte di questo documento si vuole compiere. Rimando quindi più
compiutamente al relativo passaggio dedicato.
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Competenze distintive
+
Attive
Competenze
individuali
Latenti
Ridondanza
Integrazione
sinergica
Irrilevanza
Sviluppo del
potenziale
_
_
Marginali
Rilevanti
Competenze contestuali
+
L’organizzazione delle relazioni di lavoro
Strumenti
Analisi organizzativa delle competenze
distintive formalizzate, quantitative e qualitative
(ad esempio, i programmi di qualità, il reengineering) orientate al controllo dei risultati.
Analisi delle competenze relazionali progettate nella prospettiva dell’equità organizzativa
(trasparenza, controllo del cliente interno, reciprocità).
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4.2 L’autovalutazione di Marco Ricci: «Come possiamo fare
qualcosa di impossibile? Con entusiasmo!»42
Un po’ di storia e qualche considerazione…
La mia “passione” per l’insegnamento è nata piuttosto, o relativamente, tardi: e
pensare che i miei nonni avevano messo su un libretto di risparmio i soldi per farmi studiare da maestro…
Tutto è incominciato frequentando il corso che portava agli esami per il conseguimento del diploma federale in materia bancaria. Diversi formatori e docenti incontrati in questo ambito mi hanno portato a formulare un’idea molto decisa: “qualora
un giorno decidessi di insegnare, non farò certamente come loro!”. Qualche esempio, che ancora mi porto dentro, di cosa facevano e che, secondo me, non si
doveva fare:
leggere unicamente quanto c’è sul libro di testo utilizzato ed evitare ogni complemento
non rispondere alle domande dei partecipanti
“perdersi” nella costruzione di esempi
utilizzare documentazione non più aggiornata
usare termini non conosciuti al grande pubblico, senza spiegarli
non avere rispetto dei partecipanti: e questo vale per le battute e i commenti “ironici”, ma anche non considerando che avevano davanti, innanzitutto delle
PERSONE, ma poi gente che in banca ricopriva anche funzioni di responsabilità e che, in ogni caso, potevano saperne di più in altri settori
“improvvisare” la lezione.
All’ottenimento del diploma (1989), mi è stato chiesto dal presidente della Commissione, se fossi stato interessato a insegnare i crediti documentari. Si trattava di
10 ore, con una valutazione finale, che dovevano servire a rendere più comprensibile questo argomento. Sono stato subito attratto da questa sfida e, dato che avevo circa un anno a disposizione per prepararmi, ho allestito un “piano d’azione”
che più o meno prevedeva i seguenti passaggi:
analisi dei testi a disposizione
elaborazione della documentazione alternativa, se necessaria
suddivisione della materia e preparazione delle lezioni
preparazione del test finale.
Con l’analisi dei testi a disposizione mi sono trovato subito davanti a una situazione che nessuno finora aveva considerato: i testi erano scritti o per chi doveva operare all’interno di una banca con i crediti documentari o per i clienti che dovevano
avere le conoscenze sufficienti per preparare e gestire un credito documentario.
Nessuna delle due categorie corrispondeva però a quella con la quale mi sarei
dovuto confrontare. Da qui, il passaggio al secondo “step” è stato molto breve: avrei dovuto scrivere un libro sui crediti documentari a carattere divulgativo (il mio
primo e, finora, unico libro e procurandomi una tendinite al braccio sinistro!).
42
Paulo Coelho, Monte cinque
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Trovandomi per la prima volta davanti a una classe e non più dentro una classe,
nel preparare le mie lezioni ho tenuto conto di tutti gli aspetti citati prima e che non
mi erano piaciuti frequentando il corso precedente. Mi sono messo a costruire tabelle su tabelle, con ripartizioni dei temi e dei tempi e costruendo una quantità di
lucidi (unico sussidio tecnico riconosciuto a quel momento…). Al momento della
tenuta del modulo sui crediti documentari, mi sono accorto però che avevo esagerato con i contenuti o, visto dall’altra parte, ero stato troppo stretto con i tempi!
Questo comportamento l’ho riscontrato anche in altri colleghi: fin quando non hai
acquisito sufficiente esperienza, non solo risulta difficile ripartire i contenuti sui
tempi, ma si ha sempre paura non di aver materiale abbastanza da presentare ai
partecipanti. Di regola succede il contrario: hai troppo materiale e non riesci a sviluppare il tutto…
L’approccio avuto con questi primi partecipanti è stato molto razionale: dovevo
spiegare, spiegare e spiegare in quanto si trattava di una materia sterile, che doveva essere imparata così, senza fronzoli. Non ho mai saputo se a quella sessione d’esame i miei partecipanti hanno incontrato domande sui crediti documentari:
a distanza di anni, mi rendo conto che avrei potuto comportarmi in modo molto diverso.
Mi ha aiutato, in quel periodo, partecipare a una giornata di tecniche di presentazione organizzata dalla Commissione con Mario Acierno. Grazie al suo aiuto e alle
sue spiegazioni, ho cominciato a rendermi conto che dovevo tenere molto in più in
considerazioni i partecipanti e meno la materia. Ma eravamo molto distanti ancora
da quello che ho imparato dopo, dalla pratica…
Non è che il mio corso non abbia avuto successo: sono cambiate le modalità. Finalmente, perché di questo me n’ero già accorto preparandomi agli esami. Si è
passati da un approccio al tema a un approccio al sistema. Questo capita ancora
sovente in certi ordini di scuola: si parla non di “aree tematiche” ma di temi, così
che ti ritrovi a parlare della stessa cosa in più momenti e non ti rendi conto che
l’oggetto è sempre quello ma visto sotto angolazioni diverse.
Per circa tre anni sono rimasto “disoccupato” in qualità di formatore. Nel 1992 mi è
stato chiesto se fossi stato interessato a insegnare organizzazione contabile ai
partecipanti al corso di preparazione all’esame per l’attestato professionale federale di contabile. Qui la situazione di partenza era ancora peggiore: non esistevano
disposizioni e obiettivi d’esame! La materia d’insegnamento veniva “dedotta” dagli
esami degli anni precedenti, ma nessuno poteva garantire che sarebbe servita per
quelli successivi.
Questa offerta è comunque arrivata in un momento molto particolare della mia vita: stavo uscendo, dopo un ricovero di un mese in una clinica specializzata, da
una depressione durata circa un anno e mezzo. Questo obiettivo è stata la migliore medicina che potessi trovare per riconquistare autostima e motivazione, risultati
che la medicina tradizionale e l’analisi non erano riusciti a raggiungere. Da questa
malattia nasce anche un percorso evolutivo che mi ha portato a scoprire nuove
“cose” su di me: dal potenziale ai comportamenti, dagli interessi ai valori, dai miei
rapporti con il lavoro e con gli altri alla ricerca di una vita più “spirituale”, nel senso
più ampio del termine. Ma di questo parlerò più avanti, al momento di estrapolare
le mie competenze distintive.
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Per tornare al corso di organizzazione contabile, posso dire che sono stato facilitato da una serie di eventi:
in primis, il mio interesse per la materia organizzazione e la mia adesione
all’ASIO (Associazione della Svizzera Italiana di Organizzazione)
poi, il fatto che avevo dal giugno 1990 cambiato lavoro ed ero responsabile del
gruppo di contabilità finanziaria della succursale di Lugano dell’UBS (l’allora
Unione di Banche Svizzere)
inoltre potevo avere a disposizione un nuovo testo di organizzazione non ancora pubblicato ma già utilizzato in corsi analoghi
in pratica non c’era concorrenza (anche se non sono mai riuscito a conoscere
chi altri in Ticino insegnasse questa materia, perché qualcuno c’era…)
La collaborazione con l’ACF è durata circa sei anni, dal 1993, e mi ha dato la possibilità di realizzare altri corsi e di occuparmi della certificazione EduQua per la
stessa Associazione. Per non perdermi in descrizioni di corsi, voglio evidenziare
quali sono stati i passaggi che mi hanno portato ad evolvere come formatore:
una delle mie “fisime” è sempre stata, per un lungo periodo, quella di ritenere
che il docente doveva “essere attivo” in aula. Non potevo concepire che si potesse rimanere in silenzio a guardare i partecipanti mentre svolgevano un esercizio. Il mio approccio non permetteva però ai partecipanti di apprendere:
tutti (o quasi…) si limitavano a riportare la soluzione da me prospettata e non
facevano niente per appropriarsi dei metodi di risoluzione dei problemi. Il problema era, ed è, che all’esame ci devono andare loro…
i partecipanti a questo genere di corso sono, prevalentemente, persone con
una forte dominante razionale (altrimenti come farebbero ad appassionarsi della contabilità?!?!). Una delle caratteristiche di queste persone è che non si può
rispondere con un “dipende…” alle loro domande: vogliono avere una risposta
precisa, razionale, appunto. La scienza dell’organizzazione, anche se riferita
alla contabilità, non può avere, che raramente, un’unica risposta: solitamente
tutte quelle soluzioni che si avvicinano molto agli obiettivi definiti, è da considerare valida
l’organizzazione richiede anche uno studio nozionistico dei termini: se da una
parte, come detto prima, i partecipanti non si accontentavano di non ricevere
“la soluzione”, dall’altra facevano fatica a memorizzare i termini e i concetti organizzativi.
Per l’ACF ho anche una tenuto una giornata di corso su didattica e pedagogia:
questo mi è servito per conoscere a livello teorico, quegli aspetti che, fino a quel
momento o quasi, avevo potuto sperimentare sul piano pratico.
La svolta e qualche considerazione…
L’8 dicembre 1997 venne annunciata la fusione tra le due più grandi banche svizzere: l’Unione di Banche Svizzere (UBS) e la Società di Banca Svizzera (SBS)
diedero vita alla UBS SA. Tra le tre offerte di lavoro che mi sono state sottoposte
la più stuzzicante è stata quella di diventare formatore a tempo pieno presso il
centro di formazione della Regione Ticino. La Banca aveva bisogno di un “senior”
(un vecchio…) che riequilibrasse il gruppo dei nuovi formatori provenienti, non solo dalle due banche, ma anche da altre esperienze. Infatti il responsabile e quasi
tutti i vecchi formatori avevano “scelto” di non proseguire nell’ambito della formazione. Mi ricordo che quando mi sottoposero l’offerta, risposi “Io insegno perché mi
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
diverto: se mi pagate per divertirmi, ancora meglio…”. È questo un aspetto molto
importante della mia dedizione all’insegnamento e ci ritornerò.
In un primo momento fui designato responsabile della formazione professionale,
grazie anche al diploma conseguito. Fortunatamente, molti corsi erogati dovevano
essere condotti da due formatori, così che con il collega Matteo, lavoravamo al
50% nell’ambito della formazione professionale e al 50% nell’ambito della conduzione e della comunicazione, con lui responsabile per quest’ultimo settore e io per
il primo. Questo modo di operare mi ha permesso si acquisire una grossa esperienza non solo nei settori specifici ma anche nella concezione dei corsi: pur ricevendo i corsi direttamente da Zurigo, non abbiamo mai erogato un corso che non
portasse la nostra firma…
Con UBS ho potuto seguire molti corsi interni e anche qualche esterno di perfezionamento: quello che però mi sono reso conto dopo che mi mancava, era una
preparazione teorica di base che mi permettesse di avere un sostegno a quanto
sviluppavo in pratica. Tra i corsi che più mi sono serviti cito:
trainer del metodo Stuttogramma, metodo che permette con poca formazione
di riconoscere gli stili di comunicazione e le dominanti e i deficit delle persone
practitioner di PNL, che mi ha permesso e mi permette di usare il linguaggio in
modo più responsabile e orientato all’ottenimento degli obiettivi
corso per quadri intermedi, con il quale ho potuto misurarmi non solo con i vari
stili di leadership e di scegliere il mio, ma anche di avvicinarmi alla formazione
esperienziale grazie alle modalità presentate dalla società esterna che gestiva
il corso.
L’esperienza come responsabile del gruppo di formazione in Ticino mi ha poi permesso di occuparmi anche di molti aspetti amministrati e negoziali che, in altre
strutture o situazioni non avrei potuto sperimentare. Il mio rapporto di lavoro era
quindi al 50% come responsabile del gruppo e al 50% come formatore (e in questa veste riuscivo a tenere oltre 100 giornate d’aula all’anno quando a Zurigo i colleghi che lavoravano al 100% come formatori ne tenevano 80/90). Ma si sa, le aspettative delle aziende mon sempre collimano con quelle dei singoli collaboratori:
quando mi proposero un rapporto di lavoro al 70% come responsabile e al 30%
come formatore ho valutato e deciso che era arrivato il momento di separarci e di
mettermi in proprio.
Nel periodo a cavallo tra l’esperienza di formatore UBS e la mia esperienza da
freelance ho assunto anche la funzione di responsabile della formazione
dell’ASIO, l’Associazione per la Svizzera Italiana di Organizzazione e management. In questo ambito ho curato la realizzazione dei corsi base di organizzazione
e ho gettato le basi per portare in Ticino il corso che porta al conseguimento
dell’attestato federale professionale di organizzatore.
La svolta 2 e qualche considerazione…
Dal 1° luglio 2001 mi sono reso indipendente, e non solo dal profilo professionale.
Al momento della presa di decisione non avevo che una promessa verbale da parte di uno dei direttori di UBS SA che la banca mi avrebbe dato da tenere i corsi per
la divisione Private Banking, corsi che già erogavo in qualità di interno, sui temi
della comunicazione e della vendita. Pur ammettendo che questa promessa è staPagina 85 di 128
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
ta, almeno in parte, mantenuta, mi sono subito reso conto che non mi sarebbe stato possibile vivere unicamente con questo cliente e con questi corsi.
Mi sono trovato subito davanti a una scelta: quali corsi dare? che settori coprire?
cosa mi interessava veramente? Per una questione di credibilità sul mercato, non
potevo, e non posso, essere bravo in tutto! Qui mi ha aiutato il nome “di battaglia”
che mi ero scelto: clic e più precisamente
c – comunicazione
l – leadership
i – innovazione
c – creatività.
Questo voleva dire mettere da parte, almeno parzialmente, la formazione professionale ma, anche, garantirsi un mercato sufficientemente ampio, facendo leva
sull’innovazione e sulla creatività. Mi sono messo a concepire corsi, ma senza veramente mettermi sul mercato aperto: non potevo e non posso permettermi di entrare in concorrenza con Istituti e Agenzie formative. Quello che posso fare è lavorare direttamente con le aziende, costruendo per loro, e solo per loro, i corsi che
possono soddisfare i loro bisogni nell’ambito della comunicazione, della vendita,
della leadership e dell’evoluzione personale.
Altro problema che mi si è presentato subito è stato quello di non possedere una
certificazione. Se all’interno di UBS il posto che occupavo mi riconosceva una certificazione, sul mercato aperto, a seguito anche dell’introduzione di EduQuà, dovevo, e al più presto, essere certificato. L’occasione mi si è presentata conoscendo e collaborando con Nicola Giambonini: la Labor Transfer iniziava un corso
FFA1 nel mese di gennaio e sarebbe durato solo 4 mesi.
Purtroppo (?) le iscrizioni non furono sufficienti e, all’inizio di dicembre 2001 ricevetti la conferma che il corso non sarebbe iniziato. Una rapida indagine sul mercato mi portò a scoprire che l’ISPFP aveva appena iniziato questo corso e, grazie
all’interessamento della responsabile, Elena Mock, venni ammesso recuperando
da privatista i due incontri persi.
Questa esperienza formativa mi dette buona parte di quelle basi teoriche che solo
“il mio buonsenso” – nel senso di mettermi in discussione quando non ero soddisfatto io della mia prestazione o non lo erano i partecipanti – mi avevano permesso di intuire e di applicare.
Ma questo corso è stato anche l’inizio di una serie di incontri e di opportunità di lavoro che mai mi sarei aspettato. Il primo gradino è stato il corso di formatore nella
nuova formazione commerciale, che mi ha permesso di conoscere Nadia Fioroni,
Claudia Sassi, Alberto Traversari, Fabrizio Masella e Remo Colombini, oltre ad
avermi fatto conoscere altre persone interessanti e ritrovare ex-colleghe ed expartecipanti ai miei corsi.
Con Nadia Fioroni non solo sono stato coinvolto nella formazione dei maestri di Tirocinio, ma mi ha permesso di entrare in contatto con il CFF, centro di formazione
per formatori della DFP (e con il collega ed amico Walter Seghizzi).
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Le competenze distintive dei formatori:
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Claudia Sassi ha marcato la mia vita con un duplice intervento: da una parte assegnandomi corsi interaziendali con gli apprendisti del commercio e dall’altra mettendomi in contatto con ECAP-SEI (ora ECAP Ticino – Unia) che cercava formatori per tenere i corsi di tecniche di ricerca d’impiego e sostegno al collocamento
(TRIS), per conto dell’ufficio misure attive (UMA) della Sezione cantonale del lavoro.
A maturare l’esperienza necessaria per poter iniziare questo lavoro mi ha aiutato
Alberto Traversari e la sua assistente Sabrina Martini. Con loro ho gestito le simulazioni dei colloqui di selezione presso l’APC Prêt-à-porter di Locarno e ho iniziato
a costruire un corso TRIS, progetto poi abbandonato per gli impegni assunti con
ECAP e anche per le scelte politiche adottate dall’UMA (due soli enti erogatori in
Ticino: Labor Transfer per il Sopraceneri e Ecap-Sei per il Sottoceneri).
Fabrizio Masella e Remo Colombini mi hanno invece trascinato nell’avventura
AFASI, di cui faccio parte del comitato direttivo per la seconda volta. Questa appartenenza mi ha portato si anche qualche mandato remunerato, ma, soprattutto,
la possibilità di presentarmi all’esame per l’ottenimento del diploma federale di
formatore aziendale. Ottenendo questa certificazione sono passato direttamente
dal livello 1 di formatore di adulti al 3 del diploma professionale superiore, e questo mi ha permesso di essere ammesso al MaGF su presentazione del dossier.
L’esperienza con ECAP Ticino – Unia (durata dal marzo 2003 a giugno 2006) mi
ha permesso di accumulare una grande esperienza non solo nelle relazioni d’aiuto
con le persone, ma anche nel rimanere a contatto con i partecipanti per 20 incontri
sull’arco di 6 settimane. In pratica il corso TRIS non può (e sono fermamente convinto di quello che dico al punto di rompere ipso facto il rapporto di mandato) essere considerato “unicamente” un corso di formazione che insegna ai partecipanti a
scrivere le lettere di ricerca d’impiego e di allestire Curriculum Vitae rappresentativi! È, soprattutto, un “laboratorio” dove i partecipanti possono, assistiti, mettersi in
discussione, analizzare la propria vita e le proprie aspettative. Molte volte sono
stato confrontato con situazioni personali quasi drammatiche che sarebbero peggiorate se il o la partecipante avessero trovato lavoro: da qui la “consulenza” a
chiarire prima di tutto la propria situazione e poi cercare un lavoro che ti desse
soddisfazione e il necessario per vivere. Il “bene” della persona, il ritrovare una
sana autostima e una motivazione ad accettare il cambiamento e a ricominciare,
per me, vengono messi al primo posto.
Con questo approccio al corso vengono messi in discussione, ne sono ben conscio, certe teorie: per esempio la tassonomia di Blum, gli obbiettivi quantitativi in
opposizione a quelli qualitativi, la misurabilità del raggiungimento degli obiettivi
(SMART), che viene a cadere sia perché non si ottenevano le informazioni necessarie sia perché il trovare un posto di lavoro non dipende solo dalla formazione ricevuta su come effettuare la ricerca.
Lo cito solo adesso, ma per scelta: quando incominciai a lavorare come formatore
in UBS, mi capitò tra le mani una copia della rivista dell’AIF, Associazione Italiana
Formatori. In quel numero c’era un bellissimo (e il superlativo è ancora poco…) articolo che parlava di come il benessere dei partecipanti ai corsi venisse regolarmente negletto: da qui la mia “scelta di vita” di occuparmi prima del benessere dei
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Le competenze distintive dei formatori:
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partecipanti piuttosto che del raggiungimento (di regola automatico perché aumenta la motivazione) degli obiettivi del corso.
La svolta 3 e qualche considerazione…
Da luglio 2006 si riparte! Se prima potevo contare su un rinnovo costante dei
mandati, il fatto di non collaborare più con Ecap mi apre nuove opportunità che, finora, proprio a causa degli impegni con questo ente, non avevo potuto considerare. La ripartizione in modo irregolare delle 20 lezioni del corso TRIS su sei settimane faceva si che diverse volte non potevo accettare altri mandanti in quanto la
settimana era già occupata con una o due giornate a Lamone.
Questo vuol dire aprirsi al mercato, offrire corsi interaziendali e non più solo aziendali, ricercare e valutare collaborazioni e/o ampliamenti di rete (network).
Questo vuol dire anche che, in previsione, ci saranno più corsi personalizzati e
meno corsi ripetitivi, più argomenti da sviluppare e più competenze da affinare.
Quali? Per il momento è prematuro rispondere.
Solo qualche considerazione…
Prima di entrare nel merito dell’autovalutazione delle mie competenze quale formatore, voglio riportare una digressione sulla «percezione», tolta da un articolo di
Doriano Fasoli, intitolato “Riflessioni in forma di conversazioni - Il mestiere di
capire. Conversazione con Emilio Garroni” trovato sul sito www.riflessioni.it.
Questo articolo mi è servito per rimanere, per quanto possibile, obbiettivo nella
mia ricerca.
«Percezione, termine usato da Cartesio, Locke, Leibniz e altri pensatori moderni
per designare ogni atto di conoscenza. In questo significato più ampio è oggi però
usato solo il verbo corrispondente (per esempio: «percepire» la verità di una proposizione). Assai più diffuso è invece il senso più ristretto del termine, introdotto
dagli stoici e poi conservatosi nel corso di tutta la storia della filosofia: quello di atto o funzione di conoscenza che si riferisce immediatamente a un oggetto reale,
sia esso mentale o fisico. Quando il termine viene usato in questo secondo significato si distingue generalmente percezione da sensazione: la percezione è un processo conoscitivo complesso che comprende, unificandole, una molteplicità di
sensazioni (intese come fatti o dati elementari della coscienza sensibile) e le riferisce a un oggetto distinto dal percipiente e dagli altri oggetti. È questo il concetto di
percezione esterna, da cui si suole distinguere la percezione dei propri stati interiori (sebbene l'uso dell'espressione «percezione interiore» sia oggi piuttosto raro).
Della conoscenza percettiva si hanno sostanzialmente due interpretazioni: quella
empiristico-associazionistica, che considera la percezione un prodotto dei meccanismi dell'associazione psicologica (Hume, J.S. Mill); e quella trascendentalistica,
che vede invece nella percezione un prodotto della spontaneità spirituale del soggetto giudicante: l'oggetto della percezione è una elaborazione dei dati sensoriali
operata dalla coscienza secondo forme a priori.
Estensione di questa interpretazione kantiana è quella idealistica che, abbandonato ogni riferimento al materiale sensibile esterno, concepisce il rapporto tra sensazione e percezione come la tappa iniziale dello sviluppo dello spirito da forme di
conoscenza astratte e povere a forme sempre più ricche e concrete (così in Hegel
e nella tradizione neohegeliana).
Contro l'interpretazione associazionistica si pronunciarono, alla fine del secolo
scorso e all'inizio del nostro, varie scuole che peraltro non condividevano neppure
l'interpretazione idealistica: in particolare Il pragmatismo (Peirce e James), il neoPagina 88 di 128
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realismo (Whitehead), lo spiritualismo evoluzionistico (Bergson), la fenomenologia (Husserl). Questi indirizzi, e soprattutto la corrente fenomenologica, prepararono in tal modo il terreno alla Gestaltpsychologie, o psicologia della forma (Wertheimer, Kohler, Koffka), che condusse un attacco a fondo contro l'associazionismo largamente diffusosi nell'ambiente positivistico e recepito dai primi manuali di
psicologia. Gli psicologi della forma sostengono che nella percezione si ha coscienza immediata di un tutto strutturato, il cui comportamento non è determinato
dai suoi supposti elementi, ma da leggi strutturali interne al tutto (Wertheimer, Sulla teoria della forma, 1925). La percezione non si sviluppa dunque per una sintesi
di elementi atomici o di sensazioni particolari, che risultano essere pure entità immaginarie, astrazioni artificiali e teoriche costruite dall'intelletto filosofico. La psicologia della forma confortò queste sue critiche con una serie imponente di prove
sperimentali, in base alle quali cercò anche di determinare le condizioni dell'apparire delle forme o totalità e le leggi delle loro trasformazioni. Il limite della Gestalt,
più volte rilevato, sembra però essere quello di intendere la percezione come
qualcosa di autosufficiente, senza tenere conto delle «prestazioni» del soggetto
percipiente in cui occorre reintegrarla; è questo il punto di vista del «funzionalismo
percettivo» sviluppatosi verso la metà del nostro secolo (Bruner, Postman, Allport). Pur facendo propria la critica gestaltistica dell'associazionismo, esso sottolinea particolarmente le disposizioni soggettive, i bisogni, i fini ecc., come fattori codeterminanti l'atto percettivo. In questo quadro si è poi molto insistito sul carattere
ipotetico della percezione: le percezioni sono punti di vista, ipotesi, sull'oggetto,
suscettibili di modificazioni, approfondimenti, correzioni. Su questa scuola ebbe
larga influenza il pragmatismo americano per la sua interpretazione della vita psichica come «transazione» tra organismo e ambiente. L'atteggiamento oggi prevalente tende a sviluppare questi punti di vista sul piano strettamente sperimentale e
in ambiti rigorosamente delimitati che non pretendono di pervenire a visioni d'insieme ed esaustive. In questo quadro vanno anche ricordate le recenti applicazioni della cibernetica alla comprensione del processi conoscitivi.
Le mie competenze distintive sono veramente tali o sono unicamente il frutto della
mia percezione?
Un test basato sulla teoria junghiana proposto da www.altamira.it mi descrive così:
«Tipo psicologico: ENF
OrientaFunzione
Funzione
Funzione
Funzione in- Tendenza
mento
dominante d'appoggio
terza
feriore
EstroIntuizione Sentimento Pensiero
Sensazione Percettiva
verso
Questo tipo è motivato dalle novità e dalle possibilità che la sua intuizione riesce a
cogliere. È curioso, entusiasta e pieno di interessi. Ha molti amici che lo apprezzano per le sue doti. È empatico, spesso divertente, capace di capire le motivazioni delle persone. È anche sensibile ai bisogni e ai sentimenti degli altri che
spesso riesce a captare o a anticipare. Generalmente ama circondarsi di persone
piuttosto che rimanere da solo. Attribuisce molta importanza al calore dei sentimenti ed è molto leale nei confronti dei suoi amici. È una persona sensibile che rischia a volte di prendere le cose in maniera troppo personale. È sensibile agli elogi di cui ha occasionalmente bisogno. Cerca di evitare le situazioni che comportano delle tensioni: fa fatica a sopportarle, a meno che non riesca a vederle come un
problema interessante da risolvere. Ama infatti, come tutti i tipi intuitivi, affrontare e
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risolvere i problemi. Ai suoi occhi non c'è niente che non abbia una qualche soluzione! È dotato di molta fantasia e immaginazione e riesce spesso a trovare delle
soluzioni brillanti e originali. È indipendente e non è un conformista. Difficilmente si
lascia impressionare dall'autorità e dalle regole. Anzi, spesso usa la sua creatività
per aggirare le regole se le considera inutili o superflue! La sua funzione inferiore
è la sensazione. Questa situazione lo espone al pericolo di non avere i piedi per
terra. Ha una gran quantità di idee ma può non essere in grado di valutare se sono
realistiche e realizzabili. La sua incuranza nei confronti dei dettagli e dei fatti concreti può portarlo a essere disordinato e a non trovare quello che cerca. Non è generalmente una persona precisa. Detesta la routine e le procedure complicate.
Appena una cosa diventa ripetitiva, ha tendenza ad annoiarsi. Ha quindi bisogno
di variare le sue attività. Appoggiandosi più al sentimento che non al pensiero,
questo tipo rischia di non dedicare tempo sufficiente all’analisi dei problemi, saltando troppo rapidamente alle conclusioni e andando incontro a degli errori. Sul
piano del lavoro è più adatto ad avviare dei progetti che a stabilizzarli o consolidarli. È comunque spesso una persona molto dotata, in grado di fare bene quello che
le interessa. Sul piano delle relazioni di lavoro non incontra particolari difficoltà. È
un entusiasta, è interessato ai rapporti interpersonali e sa trattare con le persone.»
Mi ci riconosco e molto. Forse non completamente dove parla del tempo da dedicare all’analisi, ma tutto dipende molto dal tempo che ho a disposizione. Quello
che manca è invece l’indicazione sul fatto che sono un “generalista a oltranza”,
particolarità emersa anche dal test Struktogramm, che fa si che, in fondo, tutto mi
interessi e tutto mi possa affascinare.
È anche interessante descrivere quali sono gli elementi che intervengono, in maniera conscia o inconscia (perché me ne sto rendendo conto adesso), nel momento in cui mi accingo a preparare o a ridare un corso. Non è necessariamente il
contenuto, il tema oggetto del mio corso a “condizionare” il mio approccio. E (forse…) neanche tanto gli obiettivi che mi vengono definiti dai committenti o il luogo
(che in ogni caso preferisco scegliere io…).
Il mio primo interrogativo che mi pongo è sicuramente: “come posso far si che i
miei partecipanti vivano bene questi momenti che passeremo assieme e approfittino di questo corso per la loro evoluzione personale e professionale?”.
Un elemento di valutazione al quale do particolare importanza è infatti proprio
quello che si riferisce a come il gruppo si è trovato assieme e come hanno potuto
interagire, anche se questo, solitamente, è un obiettivo non condiviso con i partecipanti e quasi sempre non è dichiarato, se non a corso concluso.
È chiaro che la durata del corso condiziona, e di molto, la costruzione e la compattezza del gruppo. Ma anche solo un paio d’ore d’aula per spiegare come funziona
una banca dati in Internet, mi “impongono” questo obiettivo. Ogni partecipante
“deve” uscire con l’impressione che non sia stato tempo perso e che quanto ha
potuto apprendere, anche se dovrà essere approfondito, gli è servito perché in
ogni caso si è trovato bene e potuto esprimersi e ottenere non solo risposte ma,
soprattutto, considerazione.
La metodologia da utilizzare va quindi ricercata, secondo la mia visione, in due direzioni:
1. che il “messaggio formativo” possa essere traslato con le minori difficoltà possibili o, visto dall’altra parte, possa essere appreso in modo non pesante
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2. che tutto concorra a “far uscire dai soliti schemi” i partecipanti e dar loro la
possibilità di acquisire al più presto nuovi schemi di comportamento (anche se
non necessariamente quelli richiesti dal committente…)
Una considerazione sulla partecipazione ai corsi, la prendo a prestito da “L’arte di
ascoltare” di Plutarco43: “14. Altri pensano che chi parla abbia dei doveri da assolvere e chi ascolta, invece, nessuno; pretendono che quello si presenti dopo aver
meditato ed essersi preparato con cura, mentre loro invadono la sala liberi da ogni
pensiero e riflessione, e prendono posto esattamente come se andassero a un
banchetto, a spassarsela, mentre altri faticano. Eppure, se perfino un bravo convitato ha dei doveri da assolvere, molti di più ne ha chi ascolta, perché è coinvolto
nel discorso ed è chiamato a cooperare con chi parla, e non è giusto che stia a
esaminarne con severità le stonature e a vagliarne criticamente ogni parola e ogni
gesto, mentre lui, senza doverne rispondere, s’abbandona per tutta la durata
dell’ascolto a un contegno scomposto e variamente scorretto. …”. Molti partecipanti non hanno mai letto Plutarco…
Autoanalisi…
Prendo come base quanto richiesto ai colleghi che hanno avuto la bontà di rispondere al nostro questionario.
1. Reputo siano fondamentali per la riuscita di un mio corso le seguenti
competenze:
Mi sono reso conto, più volte, che la componente razionale, contenutistica dei miei
corsi, passa in secondo piano rispetto all’approccio che io ho con il gruppo. I partecipanti, di regola, danno per scontato che il formatore conosce i contenuti che va
a insegnare: in pochissimi casi mi sono trovato a dover gestire delle obiezioni da
parte di partecipanti che ritenevano “sbagliato” quanto io andavo dicendo. È pur
vero che la costruzione del corso da me eseguita mi permette di richiamare e approfondire i contenuti previsti: diverso è il caso in cui devo dare un corso concepito
da qualcun altro, anche se, alla fine, riesco sempre a inserire qualcosa di mio…
Le competenze (attitudini, modalità, comportamenti, ecc.) che metto in atto sono
principalmente le seguenti:
grande motivazione nell’affrontare l’attività
pieno rispetto dei partecipanti
“sfruttamento” dell’energia emessa dal gruppo
adattamento ai ritmi e agli interessi dei partecipanti (quale formatore ho un “fil
rouge” da seguire ma i tempi e gli approfondimenti sono lasciati al gruppo)
condivisione, di conseguenza, di quanto viene costruito in aula, con
l’inserimento di elementi teorici
utilizzo di modalità esperienziali (giochi di ruolo, giochi attivi, attività outdoor,
casi pratici, modalità interattive tra gruppi di partecipanti, ecc.) per marcare i
momenti salienti del nostro incontro
responsabilizzazione dei partecipanti
2. In un/una collega ammiro le seguenti competenze:
Contrariamente a quanto sostenuto da diversi formatori44, non necessariamente
ricerco nelle e nei colleghi, quanto utilizzo nei miei corsi. In una/un collega ricerco
43
44
Plutarco, L’arte di ascoltare, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori
Per esempio da Mario Polito in un corso tenuto sulla gestione d’aula il 20 aprile 2007 presso lo IUFFP
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spesso delle conferme sui contenuti, delle nuove modalità d’aula da poter elaborare e “personalizzare” per una proposta sempre più attiva dell’apprendimento (e
non dell’insegnamento…). La mia spiegazione a questo approccio l’ho trovata nel
fatto che lavorando spesso solo e non potendomi confrontare con altri membri di
una struttura, ho bisogno di capire se le mie modalità di approccio, se i miei contenuti, se quanto propongo, in poche parole, è valido o meno. Non sempre il feedback dei partecipanti e/o del committente sono utili per un potenziale miglioramento. È infatti confermato che molto dipende dalle persone che compongono il gruppo, dal momento che stanno vivendo, da molteplici “cose” che possono modificare
il feedback tra un gruppo e l’altro.
Se torno agli inizi del mio percorso quale formatore, la mia principale preoccupazione era quella di essere sempre attivo in aula. Mi sembrava di non guadagnarmi
l’onorario quando facevo svolgere degli esercizi ai partecipanti durante le lezioni.
Questo primo approccio si è rivelato subito non adatto a un insegnamento a degli
adulti (ma ancora non avevo frequentato tutti i corsi per formatori che ho frequentato in seguito…): in particolare le persone “razionali”, come per esempio i partecipanti ai corsi per il conseguimento dell’attestato federale di contabile, erano poche
propense a lavorare metodologicamente ma esigevano delle risposte univoche.
questo approccio non li aiutava nella loro preparazione: agli esami si sarebbero
magari trovati gli stessi contenuti, ma non sicuramente con le medesime correlazioni viste durante le varie lezioni.
Modificando il mio approccio all’insegnamento, che in questo periodo era piuttosto
di carattere tecnico/professionale, mi sono accorto che tutte le competenze acquisite al di fuori del campo tecnico erano quelle che più mi aiutavano a trasmettere il
mio messaggio. Forte di questa esperienza e degli interessi sempre più marcati
nel settore della comunicazione, ho incrementato le mie conoscenze e le mie
competenze nelle relazioni umane.
Il fatto che da oltre sette anni riesca a vivere di quello che produco e che ho un ritorno di clientela costante, mi sostiene nell’idea che la scelta si è rivelata pagante.
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5.
Le competenze distintive dei formatori:
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Valutazioni di colleghe e colleghi
di Marco Ricci
5.1
Raccolte al corso CFF
Su richiesta del responsabile del Centro Formazione Formatori (CFF) della Divisione per la Formazione Professionale (DFP), il collega e co-autore Walter Seghizzi, Marco Ricci è stato incaricato di preparare un corso45 per le formatrici e i
formatori che intervengono nell’erogazione regolare di corsi promossi in ambito
professionale da questo centro.
Questo corso doveva servire, da una parte a raccogliere le impressioni delle e dei
colleghi e dall’altra a condividere modalità d’aula che non fossero quelle utilizzate
in modo più frequente e che non necessariamente risultano essere quelle più efficaci. Di seguito la rappresentazione grafica della giornata proposta:
Risorse
Obiettivi del corso:
- al termine i partecipanti
dispongono di alcuni elementi che possono loro
permettere di diventare consapevoli dei loro "Fattori
critici di successo" nella formazione di giovani e
adulti
- durante il corso i partecipanti possono condividere
metodi e modalità esercitati
Potenziale
Sapere
Cosa sono le competenze
(attivazione e combinazione di
risorse al fine di gestire con
successo determinate situazioni,
azioni e problemi)
Saper fare
Saper essere
Competenze operative
Competenze professionali
Competenze sociali
Competenze personali
Conoscenze
Capacità
La realtà e l'illusione
Il gioco dell'oca
L'aspetto ludico
Il labirinto
Abilità
Le competenze distintive dei formatori
(argomenti)
Competenze di base
Competenze chiave
Competenze trasversali
Il pro e il contro
La sua costruzione
La sua utilizzazione
La mappa mentale
Quando usarli
Come usarli
La narrazione
Contenuti
Le modalità d'aula alternative
alla lezione frontale
La ricerca
La lezione come "progetto"
Come usarli
Quando usarli
La costruzione
I giochi di ruolo
Contenuti
La realizzazione
Compiti del formatore
Modalità
Supporti
Come usarli
Quando usarli
Modalità
Supporti
Compiti del formatore
I lavori di gruppo
Compiti del formatore
Nella prima parte del corso, dopo una spiegazione di obiettivi e programma, nonché di una messa in comune dell’idea di competenze, si è provveduto a raccogliere le indicazioni delle e dei partecipanti.
La nostra intenzione era di quella di sottoporre delle competenze di soglia (confronta la raccolta delle competenze previste dal piano di formazione per formatori
di adulti riportato da pag. 15 a pag. 58) secondo lo schema riportato di seguito,
chiedendo alle e ai colleghi di valutare se a loro modo di vedere queste competenze fossero utili o meno nella tenuta di un corso, erano da considerarsi di soglia,
distintive o d’eccel-lenza e se potevano essere apprese durante i corsi di formazione o in modo informale/non formale46. La nostra visione era pertanto riproducibile nella tabella sottostante47 (in giallo le nostre scelte):
45
Questo corso è stato oggetto del lavoro di certificazione del Modulo 4 che il relatore Prof. Dott. Graziano Martignoni ha
valutato con il commento “Questo lavoro mostra un’eccellente interiorizzazione delle categorie teoriche trattate nel Modulo e
si presenta con una buona e adeguata bibliografia di riferimento. Anche sul piano metodologico è buono. Risultati convincenti. Acquisito.“ e che viene allegato integralmente al termine del presente lavoro quale allegato
46
Riportiamo le definizioni ufficiali dell’Unione Europea (ISFOL 2003) dei diversi tipi di apprendimento. Apprendimento
formale: è l’apprendimento erogato tradizionalmente da un’istituzione di istruzione o formazione, strutturato (in termini di
obiettivi di apprendimento e tempi o risorse per l’apprendimento) e sfociante in una certificazione. L’apprendimento formale
è intenzionale dal punto di vista del discente. Apprendimento informale: apprendimento risultante dalle attività della vita
quotidiana legate al lavoro, alla famiglia o al tempo libero. Non è strutturato (in termini di obiettivi di apprendimento, di tempi
o di risorse) e di norma non sfocia in una certificazione. L’apprendimento informale può essere intenzionale, ma nella maggior parte dei casi non lo è (ovvero è “fortuito” o casuale). Apprendimento non formale: Un apprendimento che non è eroPagina 93 di 128
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Competenza individuale
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Utili
Non
utili
Indifferenti
Competenze
di soglia
Competenze
distintive
Competenze di
eccellenza
Acquisite
con la
formazione
Acquisite in
modo informale/ non
formale
Creatività
Metodologia lavorativa variata
Capacità di apprendimento personale
Volontà, interesse personale
Autonomia d’azione
Flessibilità, attitudine al cambiamento
Orientamento alla qualità, efficienza
Orientamento al raggiungimento degli
obiettivi
Identificazione con l’azienda
Capacità di lavorare in gruppo
Protezione dell’ambiente
Sicurezza del lavoro
Capacità di negoziare e agire
Capacità tecniche specifiche
Prestazioni misurabili
Conoscenze generali e culturali
Tecniche di presentazione
Organizzazione del tempo e del lavoro
Empatia
Applicazione del potere del ruolo
Orientamento alla valutazione
Capacità di gestire gli spazi
Questa “convinzione” deriva dal fatto che, pur avendo adoperato delle parole chiave, le espressioni utilizzate sono riconducibili a delle competenze che un formatore ha (o dovrebbe) aver acquisito frequentando i vari moduli FFA, secondo la tabella seguente (che non vuole essere esaustiva):
gato da un’istituzione d’istruzione o formazione e che non sfocia di norma in una certificazione. Esso è peraltro strutturato
(in termini di obiettivi di apprendimento, di tempi o di risorse per l’apprendimento). L’apprendi-mento non formale è intenzionale dal punto di vista del discente.
47
parzialmente tratto da Maurizio Castagna, La lezione nella formazione degli adulti, AIF-FrancoAngeli
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MaGF 2 - Modulo 12
Competenze
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Obiettivi FFA
Creatività
C.3 Sapere impiegare un repertorio metodologico
adeguato
C.15 Saper scegliere in modo mirato materiali didattici,
completarli e adattarli a gruppi speciali di destinatari
C.16 Saper scegliere media ai fini del processo di apprendimento, motivando la scelta
F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli
Metodologia lavorativa variata
C.3 Sapere impiegare un repertorio metodologico adeguato
C.5 Sapere utilizzare media e supporti didattici
C.14 Conoscere le caratteristiche e le possibilità di varie forme d'insegnamento/ apprendimento, saperle impiegare in modo adatto ai destinatari e coerente con gli
scopi e obiettivi didattici
C.15 Saper scegliere in modo mirato materiali didattici,
completarli e adattarli a gruppi speciali di destinatari
C.16 Saper scegliere media ai fini del processo di apprendimento, motivando la scelta
F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli
Capacità di apprendimento personale
C.1 Possedere nozioni di base sull'apprendimento in
età adulta e saperle applicare
D.5 Vagliare e aggiornare regolarmente le proprie nozioni professionali teoriche e pratiche, colmare quelle
mancanti
F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli
F.7 In base a un'analisi del proprio curricolo di discenti
conoscere la propria concezione dell'apprendimento e
capire il suo rapporto col curricolo stesso
Volontà, interesse personale
D.5 Vagliare e aggiornare regolarmente le proprie nozioni professionali teoriche e pratiche, colmare quelle
mancanti
E.3 Essere consci dei propri modelli comportamentali e
saperli modificare in modo adatto alla situazione
F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli
F.4 Essere consci dei propri punti forti/deboli e delle
proprie potenzialità evolutive, saper perfezionare i punti
forti e migliorare quelli deboli o ammettere i propri limiti
F.5 Promuovere la propria riflessione ed evoluzione
operando sul piano interdisciplinare e sovra - istituzionale
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Competenze
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Obiettivi FFA
Autonomia d'azione
B.4 Saper sviluppare in forma autonoma piani generali
per i propri corsi tenendo conto delle condizioni quadro
F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli
Flessibilità, attitudine al cambiamento
E.3 Essere consci dei propri modelli comportamentali e
saperli modificare in modo adatto alla situazione
F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli
F.3 Saper reagire in modo flessibile a cambiamenti
F.6 Saper affrontare in modo flessibile condizioni quadro diverse
Orientamento alla qualità, efficienza
B.5 Conoscere fattori finanziari importanti e sapere interpretare benchmarking, possedere nozioni essenziali
di contabilità per corsi, conoscere le possibilità di finanziamento della propria offerta
B.6 Saper allestire, leggere e interpretare preventivi e
rendiconti
B.8 Conoscere e applicare le basi per l'amministrazione di corsi
Orientamento al raggiungimento degli
obiettivi
B.5 Conoscere fattori finanziari importanti e sapere interpretare benchmarking, possedere nozioni essenziali
di contabilità per corsi, conoscere le possibilità di finanziamento della propria offerta
B.6 Saper allestire, leggere e interpretare preventivi e
rendiconti
B.8 Conoscere e applicare le basi per l'amministrazione di corsi
C.13 Saper definire contenuti didattici e strutturare i
propri corsi in sintonia con gli obiettivi prefissati
Identificazione con l'azienda
A.1 Conoscere la propria istituzione di formazione e
sapere informare gli allievi
Capacità di lavorare in gruppo
C.6 Saper seguire l'evoluzione di gruppi in varie fasi
dell'insegnamento/apprendimento
E.7 Conoscere teorie della dinamica di gruppo e possedere un repertorio adeguato d'interventi per la conduzione di gruppi
Protezione dell'ambiente
A.6 Riconoscere le correnti e le tendenze sociali, saper
analizzare il loro influsso sulla propria attività
Sicurezza del lavoro
A.6 Riconoscere le correnti e le tendenze sociali, saper
analizzare il loro influsso sulla propria attività
Capacità di negoziare e agire
E.1 Possedere nozioni di base sulla comunicazione,
saper analizzare processi comunicativi e moderare discussioni con sicurezza
E.2 Conoscere modelli di dinamica di gruppo e possedere un repertorio essenziale d'interventi per guidare
gruppi in formazione
Capacità tecniche specifiche
D.1 Possedere una terminologia specifica adeguata e
saperla formulare in modo comprensibile per gli allievi
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Competenze
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Obiettivi FFA
Prestazioni misurabili
A.2 Conoscere gli strumenti di qualificazione / certificazione del corso specifico e saperne informare gli allievi
Conoscenze generali e culturali
A.3 Conoscere a grandi linee le strutture e le condizioni
quadro della formazione in Svizzera e averne una visione globale
A.5 Capire l'importanza sociale della formazione e dell'apprendimento permanente, saper valutare il valore
sociale della propria offerta
Tecniche di presentazione
C.3 Sapere impiegare un repertorio metodologico adeguato
C.5 Sapere utilizzare media e supporti didattici
Organizzazione del tempo e del lavoro
B.4 Saper sviluppare in forma autonoma piani generali
per i propri corsi tenendo conto delle condizioni quadro
C.13 Saper definire contenuti didattici e strutturare i
propri corsi in sintonia con gli obiettivi prefissati
Empatia
C.1 Possedere nozioni di base sull'apprendimento in
età adulta e saperle applicare
F.7 In base a un'analisi del proprio curricolo di discenti
conoscere la propria concezione dell'apprendimento e
capire il suo rapporto col curricolo stesso
Applicazione del potere del ruolo
C.2 Saper spiegare agli allievi i programmi previsti per i
propri corsi
E.2 Conoscere modelli di dinamica di gruppo e possedere un repertorio essenziale d'interventi per guidare
gruppi in formazione
E.8 Saper guidare gruppi in processi collettivi complessi e prolungati
E.10 Conoscere modelli della dinamica di gruppo, conoscere l'interazione fra strutture per lo svolgimento di
un corso e processi della dinamica di gruppo
F.2 Essere consapevoli dei vari requisiti legati al proprio ruolo di formatori, saper analizzare il proprio comportamento e ampliare il proprio repertorio di ruoli
F.8 Essere consci dei vari ruoli dei formatori, saper analizzare il proprio comportamento e allargare il proprio
repertorio di ruoli
Orientamento alla valutazione
A.4 Saper consigliare gli allievi sui loro bisogni di perfezionamento e sulle possibili-tà di qualificazione/certificazione
C.4 Sapere applicare metodi semplici di valutazione sistematica per input, svolgimento e output della propria
offerta
C.6 Saper seguire l'evoluzione di gruppi in varie fasi
dell'insegnamento/apprendimento
C.10 Saper progettare interventi di valutazione sotto
vari aspetti
D.2 Saper riconoscere il livello degli allievi nella propria
disciplina e valutarne i progressi
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Competenze
Capacità di gestire gli spazi
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Obiettivi FFA
C.14 Conoscere le caratteristiche e le possibilità di
varie forme d'insegnamento/ apprendimento, saperle
impiegare in modo adatto ai destinatari e coerente
con gli scopi e obiettivi didattici
Abbiamo dato anche per scontato, ma la realtà non ce ne da la dimostrazione, che
almeno i formatori siano consci non è più possibile scindere la formazione tra
quella formale e quella informale/non formale.
Va pur detto che la nostra prima valutazione non tiene conto delle particolarità operative di un formatore o di una formatrice d’adulti per esempio un insegnamento
della religione non richiederà, presumibilmente, una grande capacità di gestire gli
spazi o di avere un grande orientamento alla valutazione. Così come, anche per la
particolarità sopradescritta, che certe competenze di soglia possano trasformarsi
in competenze distintive o addirittura d’eccellenza (per esempio la grande capacità
di gestire gruppi difficili e demotivati, compito demandato a un formatore “esperto”).
Come introduzione è stato richiesto alle e ai colleghi di indicare delle risposte alle
seguenti domande:
Reputo siano fondamentali per la riuscita di un mio corso le seguenti competenze
In un/una collega ammiro le seguenti competenze
Per motivi di discrezione i formulari erano anonimi; veniva unicamente chiesto di
indicare l’età e il sesso. Qualora si fosse impegnati nei due ambiti della formazione
professionale e nella formazione continua è stato richiesto di allestire un formulario per ogni settore.
Di seguito le indicazioni raccolte in risposta alla prima domanda:
Partecipante A (età 41 anni, sesso F, FP48): Conoscenza approfondita della
materia. Capacità di mettere in relazione vari ambiti, portare esempi da altre
realtà (per esempio psicologia per parlare di motivazione). Conoscenza di
quanto accade in altri contesti (per esempio ai Maestri di tirocinio saper spiegare quanto accade con gli apprendisti e viceversa).
Partecipante B (età 41 anni, sesso F, FA): Conoscenza approfondita della
materia. Dialettica. Impostazione di base: pacatezza ma comunque dimostrazione di know-how. Capacità di concentrazione per capire le sfumature (obiezioni, dinamiche di gruppo) in modo da portare il giusto esempio (quello che
convince e non annoia). Rispetto del discente (per es. chiamandolo per nome).
Didattica uso di strumenti diversi per non annoiare (aneddoti, giochi di ruolo,
riflessioni, ecc.). Cura del materiale distribuito.
Partecipante C (età non indicata, sesso F, FP): Conoscenze di vita e professionali anteriori. poter/saper spaziare in ematiche che possono uscire dai contenuti specifici del corso ma che hanno un’importanza e un senso a un preciso
momento/contesto del corso. Saper ridere con i partecipanti. La “teatralità” dei
miei corsi. La passione che trasmetto.
48
FP = formazione professionale, FA = formazione per adulti
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Partecipante D (età 44 anni, sesso F, FP): Oltre alla buona conoscenza della
materia, ritengo indispensabile saper adattare l’approccio in relazione al pubblico presente (apprendisti o adulti). La gestione dell’aula, la relazione con i
partecipanti, è un aspetto a cui tengo molto perché ritengo sia molto importante
per la buona riuscita di un corso. Professionalità, ma anche una buona dose di
spontaneità e istintività. Spazio per tutti, ascolto attivo.
Partecipante E (età 44 anni, sesso M, FP): Capacità di mantenere vivi attenzione e interesse. Porre domande adeguate e finalizzare a incentivare la partecipazione della platea. L’alternanza “pertinente” di metodologie didattiche che
permettano ai partecipanti di confrontarsi, stimolati da “angolazioni” differenti.
Partecipante F (età non indicata, sesso F, settore non indicato): Rispetto.
saper creare un clima positivo. Favorire interventi spontanei. Ascolto attivo.
Creare collegamenti tra pratica e teoria. Flessibilità nel passare da un argomento all’altro. Passione. Valorizzazione delle esperienze.
Partecipante G (età 43 anni, sesso F, settore FP): Sicuramente oltre a quelle
specifiche, reputo fondamentali quelle competenze che mi permettono di creare una relazione con i discenti per il raggiungimento degli obiettivi.
Partecipante H (età 48 anni, sesso M, settore FP): Sicuramente una solida
conoscenza della materia erogata, teorica e pratica e il saper dimostrare praticamente. Un programma definito con obiettivi definiti. Ciò mi consente di eventualmente improvvisare o di adattarmi a esigenze impreviste. La pazienza e un
certo rigore devono permettermi di verificare ciò che il discente ha appreso (lavori pratici, scritti): osservando il suo modo di operare mi consente di effettuare
interventi mirati. Do molta importanza alla formulazione delle frasi, dei concetti,
affinché non vi siano interpretazioni distorte. Per me è molto importante portare
motivazione ed entusiasmo, energia, anche se non sempre è facile. Devo causare apprendimento, in modo diretto o indiretto.
Partecipante I (età 43 anni, sesso M, settore FP): padronanza della materia
principale che tratterò. Capacità di dimostrare i concetti con modelli teorici e riferimenti etimologici. Prevedere le aspettative e saper reagire a stimoli “diversi”. Saper contestualizzare i concetti con esempi, situazioni e aneddoti (esperienza/vissuto). Cogliere le differenze e adattare il livello dell’erogazione al
pubblico di riferimento. Lasciare il mondo e i condizionamenti personali fuori
dall’aula.
Queste, invece, le indicazioni ricevute alla seconda domanda (abbiamo ritenuto utile riportare le indicazioni riferite a età, sesso e settore di formazione):
Partecipante A (età 41 anni, sesso F, FP): Usare il gioco per insegnare materie “ostiche”. Es: quale gioco usare per far allestire un programma di formazione? Si può fare?
Partecipante B (età 41 anni, sesso F, FP): Capacità di giocare
Partecipante C (età non indicata, sesso F, FP): l’equilibrio tra conoscenze
mirate e contesto formativo adattabilità. Capacità di sintesi e linearità del
pensiero. La capacità di essere professionali senza “prendersi sul serio”.
Partecipante D (età 44 anni, sesso F, FP): Seguire i colleghi in aula mi permette sempre di apprendere cose nuove o trovare conferme e/o smentite. Ognuno di loro ha le proprie modalità con le quali è sempre utile mettersi a confronto
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Partecipante E (età 44 anni, sesso M, FP): A quelle indicate prima, aggiungo:
Capacità di “valorizzare” i contributi fortemente critici dei partecipanti. Capacità
di “mostrare” disponibilità sincera all’ascolto. Capacità di utilizzare “Case History” adeguate (metafore analogiche) anche per stimolare riflessioni e identificazione.
Partecipante F (età non indicata, sesso F, settore non indicato): Abilità nel
creare immagini che facilitano la comprensione. Creare situazioni/giochi di ruolo che aiutino a riflettere. Sintesi dei contenuti. Teatralità. Valorizzazione degli
utenti.
Partecipante G (età 43 anni, sesso F, settore FP): Capacità di porsi nei confronti del gruppo. Abilità nel saper affrontare gruppi prevenuti e poco motivati.
Partecipante H (età 48 anni, sesso M, settore FP): La preparazione
sull’argomento, la capacità di motivare i giovani e di ascoltarli, di entrare in comunicazione con loro. Però anche un certo rigore e la capacità di portare loro
dei valori.
Partecipante I (età 43 anni, sesso M, settore FP): Non lasciarsi coinvolgere
dalle provocazioni. Mantenere un alto grado di motivazione anche in situazioni
difficili (con gruppi difficili e demotivati). Saper esercitare (quando è necessario) il giusto equilibrio tra “potere istituzionale” del formatore e classe demotivata/problematica/ostile.
Questi i risultati del rilevamento effettuato con il contributo delle e dei colleghi (la
differenza dei titoli è data dal fatto che non tutte le posizioni sono state valutate
secondo le disposizioni impartite):
Competenza individuale
Utili
Non
utili
Indifferenti
Competenze di
soglia
Competenze distintive
Competenze di
eccellenza
Acquisite
con la
formazione
Acquisite in
modo informale/ non
formale
1
5
5
1
2
7
1
7
1
5
Creatività
7
7
Metodologia lavorativa variata
7
4
2
Capacità di apprendimento personale
5
3
2
Volontà, interesse personale
7
5
2
Autonomia d’azione
6
4
2
Flessibilità, attitudine al cambiamento
7
2
4
3
1
5
Orientamento alla qualità, efficienza
4
2
3
1
4
2
Orientamento al raggiungimento degli
obiettivi
7
5
1
6
2
Identificazione con l’azienda
5
1
1
2
2
1
Capacità di lavorare in gruppo
5
1
3
3
5
5
Protezione dell’ambiente
2
4
1
2
2
Sicurezza del lavoro
2
4
1
1
1
Capacità di negoziare e agire
7
6
6
Capacità tecniche specifiche
6
6
2
1
1
1
1
1
1
1
1
2
1
1
1
4
4
2
3
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Competenza individuale
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Utili
Non
utili
Prestazioni misurabili
4
2
Conoscenze generali e culturali
7
Tecniche di presentazione
Indifferenti
Competenze di
soglia
1
1
Competenze distintive
Competenze di
eccellenza
2
Acquisite
con la
formazione
Acquisite in
modo informale/ non
formale
3
1
4
2
1
5
5
7
4
3
1
6
3
Organizzazione del tempo e del lavoro
7
4
3
4
6
Empatia
5
4
7
Applicazione del potere del ruolo
4
Orientamento alla valutazione
3
Capacità di gestire gli spazi
6
6
2
3
2
2
1
1
2
4
2
2
1
4
4
Questo primo rilevamento, pur di per se già indicativo, è stato da noi ampliato per
il fatto che si sarebbe potuto opinare che sette formatrici e formatori sono poco
rappresentativi del settore. Abbiamo provveduto quindi a coinvolgere colleghe e
colleghi via e-mail per raccogliere ulteriori dati.
5.2
Rilevamento a distanza
In un primo tempo ci siamo rivolti direttamente a colleghi con i quali esistono contatti frequenti. Una decina ha dato seguito al nostro invito: ancora una volta, a nostro giudizio, troppo pochi per essere indicativi. Abbiamo richiesto la collaborazione agli enti erogatori di formazione per formatori d’adulti (IUFFP, Labor Transfer
SA, Scuola Club Migros ed ECAP Ticino – Unia) e alla Direzione operativa del
MaGF2 per raggiungere un numero sufficiente alto di formatori. Non essendo a
conoscenza di quanti esattamente sono stati contattati, possiamo però stimare
che circa 250 persone hanno ricevuto il nostro mail che, volutamente, abbiamo allestito in questa forma:
“Gentile Collega,
Egregio Collega,
siamo due formatori che frequentano il Master professionalizzante in gestione della
formazione (MaGF). Per il lavoro finale di certificazione abbiamo scelto di effettuare
uno studio sulle competenze dei formatori. Per questo motivo e per il tramite del (ente
erogatore), siamo a chiedere la sua collaborazione nell’allestire l’allegato questionario
e ritornarcelo via e-mail a uno dei seguenti indirizzi, possibilmente entro la fine di aprile 2008:
[email protected] oppure
[email protected]
L’elaborazione dei risultati avverrà in forma anonima: la distinzione per sesso e per
età ci serve solo per verificare se questi elementi possono determinare una diversa visione della tematica.
Le siamo già sin d’ora molto grati per la sua collaborazione e, in attesa della sua risposta, la salutiamo cordialmente
Walter Seghizzi
Marco Ricci”
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4
Marco Ricci e Walter Seghizzi
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Appositamente non abbiamo indicato istruzioni speciali, con l’intenzione di verificare
• se i formatori e le formatrici sono consci di aver ricevuto una specifica formazione “in competenze” frequentando i 5 Moduli FFA
• se l’applicazione di queste competenze può rientrare nell’operatività quotidiana
di questi formatori.
E qualcuno ci ha fatto notare che l’uso di un questionario deve essere assistito da
una presenza o da istruzioni dettagliate.
Senza entrare ancora nel merito del rilevamento, ma solo per riportarlo come dato
da analizzare, ci è capitato di incontrare colleghe e colleghi ci hanno dichiarato di
non aver allestito e ritornato il questionario per il fatto che “non avevano capito di
cosa stessimo parlando e cosa avrebbero dovuto fare…”
“Le istruzioni” erano contenute nella frase riportata all’inizio della tabella: “reputo le
seguenti competenze, rispettivamente, utili, non utili, indifferenti per la tenuta di un
corso e le ho maturate o meno in un corso di formazione formatori49”. Ex post ci
viene da dire che, molto probabilmente, sarebbe stato più indicato scrivere un manuale di istruzione.
In totale abbiamo ricevuto 65 questionari, di cui 3 in bianco, con la spiegazione
che i colleghi oramai non esercitano più l’attività di formatore.
Di seguito riportiamo le suddivisioni emerse dal primo rilevamento statistico: la ripartizione tra i sessi e tra la formazione per adulti e quella professionale, nonché
la scala dell’età dei partecipanti
Ripartizione percentuale tra uomini e donne
40%
60%
Uomini
49
Donne
parzialmente tratto da Maurizio Castagna, La lezione nella formazione degli adulti, AIF-FrancoAngeli
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Ripartizione percentuale secondo settori di occupazione
46%
54%
Formazione per adulti
Formazione professionale
Ripartizione dell'età dei partecipanti
70
60
Età
50
40
30
20
10
0
1
3
5
7
9
11
13
15
17
19
21
23
25
27
29
31
33
35
37
Numero
Uomini
Donne
Tra le donne abbiamo un range compreso tra 29 e 58 anni, mentre tra gli uomini il
più giovane ha 35 anni e il più vecchio 55, con una media d’età di quasi 40 anni
per le donne e 45 per gli uomini.
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Presentiamo il rilevamento nella duplice forma: i valori espressi e raggruppati sotto
forma di grafici. Sull’utilità di queste competenze, i partecipanti hanno così risposto:
Competenza individuale
Utili
Non utili
Indifferenti
Creatività
28
Metodologia lavorativa variata
28
Capacità di apprendimento personale
24
Volontà, interesse personale
25
Autonomia d’azione
24
Flessibilità, attitudine al cambiamento
26
Orientamento alla qualità, efficienza
22
Orientamento al raggiungimento degli obiettivi
25
1
1
Identificazione con l’azienda
26
1
8
Capacità di lavorare in gruppo
24
Protezione dell’ambiente
21
4
11
Sicurezza del lavoro
21
3
10
Capacità di negoziare e agire
24
2
Capacità tecniche specifiche
21
3
Prestazioni misurabili
22
Conoscenze generali e culturali
23
Tecniche di presentazione
22
Organizzazione del tempo e del lavoro
24
2
Empatia
23
4
Applicazione del potere del ruolo
16
10
10
Orientamento alla valutazione
23
2
4
Capacità di gestire gli spazi
23
4
1
3
4
6
4
4
2
5
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o
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10
15
20
25
30
Valutazione della competenza
Utili
Non utili
Indifferenti
Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Sulla ripartizione delle competenze abbiamo avuto le seguenti indicazioni:
Competenza individuale
Competenze di soglia
Competenze distintive
Competenze di eccellenza
Creatività
8
13
9
Metodologia lavorativa variata
6
17
9
Capacità di apprendimento personale
13
14
8
Volontà, interesse personale
11
8
14
Autonomia d’azione
11
15
5
Flessibilità, attitudine al cambiamento
7
17
10
Orientamento alla qualità, efficienza
6
7
17
Orientamento al raggiungimento degli obiettivi
11
10
12
Identificazione con l’azienda
8
14
9
Capacità di lavorare in gruppo
13
13
8
Protezione dell’ambiente
8
8
7
Sicurezza del lavoro
11
10
6
Capacità di negoziare e agire
6
9
17
Capacità tecniche specifiche
5
12
11
Prestazioni misurabili
12
10
10
Conoscenze generali e culturali
7
8
17
Tecniche di presentazione
12
13
10
Organizzazione del tempo e del lavoro
13
14
9
Empatia
4
14
17
Applicazione del potere del ruolo
8
13
7
Orientamento alla valutazione
9
16
7
Capacità di gestire gli spazi
17
11
6
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8
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12
14
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18
Ripartizione delle competenze
Competenze distintive
Competenze di eccellenza
Competenze di soglia
Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Per quanto riguarda le modalità di acquisizione delle competenze, abbiamo invece
i seguenti valori:
Competenza individuale
Acquisite con la formazione
Acquisite in modo informale/
non formale
Creatività
11
20
Metodologia lavorativa variata
26
11
Capacità di apprendimento personale
14
19
Volontà, interesse personale
10
17
Autonomia d’azione
10
16
Flessibilità, attitudine al cambiamento
13
15
Orientamento alla qualità, efficienza
17
13
Orientamento al raggiungimento degli obiettivi
20
6
Identificazione con l’azienda
9
12
Capacità di lavorare in gruppo
14
16
Protezione dell’ambiente
6
14
Sicurezza del lavoro
12
7
Capacità di negoziare e agire
16
15
Capacità tecniche specifiche
21
9
Prestazioni misurabili
18
4
Conoscenze generali e culturali
18
16
Tecniche di presentazione
24
10
Organizzazione del tempo e del lavoro
19
13
Empatia
18
18
Applicazione del potere del ruolo
13
9
Orientamento alla valutazione
17
8
Capacità di gestire gli spazi
17
11
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Acquisizione delle competenze
Capacità di gestire gli spazi
Orientamento alla valutazione
Applicazione del potere del ruolo
Empatia
Organizzazione del tempo e del lavoro
Tecniche di presentazione
Conoscenze generali e culturali
Prestazioni misurabili
Capacità tecniche specifiche
Capacità di negoziare e agire
Sicurezza del lavoro
Protezione dell’ambiente
Capacità di lavorare in gruppo
Identificazione con l’azienda
Orientamento al raggiungimento degli obiettivi
Orientamento alla qualità, efficienza
Flessibilità, attitudine al cambiamento
Autonomia d’azione
Volontà, interesse personale
Capacità di apprendimento personale
Metodologia lavorativa variata
Creatività
0
Acquisite con la formazione
5
10
15
20
25
30
35
Acquisite in modo informale/non formale
Per riassumere gli elementi evidenziati dal rilevamento possiamo dire:
1. il questionario, così come allestito, non ha permesso a tutti i formatori di comprendere esattamente cosa si volesse rilevare
2. non è possibile sapere esattamente il valore del campione al quale il questionario è stato sottoposto
3. non abbiamo voluto richiedere, espressamente, la qualifica professionale dei
colleghi, in quanto l’attestato professionale di formatore/formatrice di adulti ti
autorizza a “formare” in qualunque campo.
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40
Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
6. Alcune considerazioni sul sondaggio CFF con i formatori in azienda
di Walter Seghizzi
50
Il sistema scolastico elvetico prevede, dopo le scuole medie, accanto ai percorsi
formativi classici (licei, magistrali, ecc.) un percorso formativo professionalizzante,
altamente riconosciuto, della durata media di tre anni51 durante i quali i giovani,
una volta scelta la professione nella quale specializzarsi, alternano momenti
d’istruzione teorica a scuola ad un vero e proprio “lavoro pratico” nell’azienda del
ramo prescelto. Per poter essere accompagnati ed istruiti nel tempo di lavoro i
giovani vengono seguiti da quello che viene definito un formatore di apprendista
che oltre ad essere specializzato nella sua professione, ha seguito una formazione
obbligatoria, erogata dal Centro di Formazione per Formatori (CCF).
La valutazione dei corsisti e l’autovalutazione dei relatori sono state la base per
un’analisi più attenta e metodologicamente più appropriata per valutare i bisogni
emergenti in tale ambito.
Il presente studio è quindi nato da due esigenze: una esterna e di più ampio respiro e una interna, più specifica. La prima si riferisce alla necessità valutare quali
siano i reali bisogni dei formatori di apprendisti in azienda, area mai esplorata sperimentalmente nella regione, almeno in una forma così sistematizzata. La seconda, relativa ad aspetti attinenti il Centro, di valutare se la formazione rivolta al formatore di apprendisti in azienda risponda realmente alle esigenze di un ruolo così
complesso.
Tyler (1971), che è tra i primi precursori dell’analisi dei bisogni, afferma che una
tale indagine sia sempre utile in quanto, anche la sola presentazione di questioni
di interesse per l’utente, aiutino il processo di apprendimento; indagare i bisogni
dei destinatari quindi, avrebbe quale conseguenza, un’autoanalisi e
un’autovalutazione. Questa visione però non è condivisa da tutti e a tal proposito
Grant (2002) afferma che l’analisi dei bisogni è insufficiente se unico strumento sul
quale basarsi e dovrebbe essere parte di un progetto più ampio. Effettuare
un’analisi dei bisogni certamente permette un processo di autoanalisi e autovalutazione ma dovrebbe essere anche svolta perché l’istituzione erogatrice di servizi
ha il dovere di porsi in relazione con il cliente (Rossett, 1993). Le ragioni sono diverse, e tra queste, le più importanti sono:
1. aiutare a comprendere il vero bisogno;
2. comprendere e servire i clienti e le aziende;
3. migliorare il servizio offerto;
4. coinvolgere gli utenti e raccogliere informazioni.
L’analisi dei bisogni, soprattutto in ambito formativo, non è una pratica ricorrente e
Sork e Caffarella (1989, p. 237-238) rispondono in modo molto chiaro a chi la definisce “un effetto boomerang creatrice di bisogni”:
50
Articolo scritto in collaborazione con E. Faggiano e F. Doga (coautori del sondaggio) e proposto per la pubblicazione sulla rivista FOR
51
In Svizzera la durata dell’apprendistato obbligatorio è regolamentato a livello nazionale e regionale per ogni categoria
professionale.
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
«Gli esperti sostengono che raramente hanno il tempo di effettuare l’analisi dei bisogni. Spesso, giustificandosi sull’offrire programmi basati sulla domanda potenziale o sulla base della disponibilità delle risorse a disposizione. Un’analisi di solito
può produrre più bisogno di quello che può essere affrontato con le risorse esistenti. Quando ciò accade, ci deve essere una qualche tecnica per determinare le
priorità… lo scopo di fissare delle priorità è quella di fornire una razionale allocazione di base delle risorse, che sarà ritenuta accettabile dal responsabile».
Edwards, Ranson e Strain (2002) affermano che, mentre ampio risalto sia stato
dato alla natura, alla portata ed al significato di apprendimento permanente, vi sia
stato ancora poco dibattito teorico sul tipo di richiesta di apprendimento e quindi
su quanto essa si debba adeguare ai cambiamenti in corso. La formazione continua e un’analisi dei bisogni dei formatori fa parte di quel processo a cui ogni paese, prima o poi, verrà chiamato a dare delle risposte (Schuller e Field, 1998). La
Commissione Europea (2002) ha definito un insieme di indicatori per una formazione permanente di qualità e alcuni paesi hanno attuato delle indagini specifiche
per verificarne la situazione territoriale. L’Italia, in collaborazione con l’Area Politiche e Offerte Formazione Iniziale e Permanente dell’ISFOL, ha condotto
un’indagine nazionale sui percorsi e le aspettative della popolazione adulta, attraverso interviste telefoniche ad un campione italiano di 4.000 individui (ISFOL 2003
a); 2003 b), 2005). Brooks e Everett (2008) si sono invece dedicati
all’approfondimento dei bisogni formativi dei laureati come gruppo specifico e, in
particolare, hanno messo in evidenza come l’esperienza di un’istruzione superiore
(ad esempio l’acquisizione di un titolo di laurea) influenzi l’atteggiamento verso
l’apprendimento negli anni a venire. In questo caso il metodo adottato è stato quello di una serie di colloqui approfonditi con 90 laureati provenienti da sei diversi istituti di istruzione superiore del Regno Unito.
Witkin (1984) afferma che, per fare un’analisi dei bisogni, occorra considerare diverse caratteristiche tra le quali: (a) esaminare le priorità delle azioni future, (c)
ascoltare diverse fonti e (d) utilizzare un approccio sistemico. L’autore prende ispirazione dalla teoria della complessità che permette di avere un quadro più completo della situazione, o “sistema”, ma allo stesso tempo ha quale punto debole il fatto che tanto più complesso è un sistema, maggiori variabili sono necessarie per la
sua parametrizzazione e descrizione. La teoria è da anni usata anche nelle organizzazioni, considerate oramai come sistemi complessi (Usai, 2002). La complessità di un sistema non è considerata una proprietà intrinseca, ma si riferisce sempre ad una sua rappresentazione; dipende quindi dal modello utilizzato nella descrizione e dalle variabili prese in considerazione.
Dalle riflessioni fatte, il presente studio non ha voluto considerare solamente
l’analisi dei bisogni formativi, ma proprio seguendo un approccio più sistemico e
complesso, ha cercato di aprire una finestra più ampia sul mondo dei formatori di
apprendisti in azienda. Questa scelta non vuole avere la pretesa di dare una descrizione ultima della tematica ma, dal punto di vista esplorativo, vorrebbe fornirne
una visione più ampia, attraverso la valutazione di altre variabili connesse al mondo del formatore di apprendisti. I formatori di apprendisti in azienda vivono, il più
delle volte, nella micro-realtà della loro piccola e media azienda, partecipano ai dibattiti politici e hanno un’idea specifica della situazione generale. Questa microrealtà è foriera di voci sommerse e di bisogni poco conosciuti che con la presente
ricerca si è cercato di esprimere.
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
La ricerca
In Svizzera sono presenti 372'546 aziende (USTAT, 2005); di queste 20.7% sono
attive nel settore secondario e il 79.3% nel settore terziario. In quest’ultimo una
grande porzione è attiva nel commercio e nelle attività immobiliari, mentre il 4%
nell’istruzione.
Nel Canton Ticino operano 19’118 aziende (USTAT, 2005); di queste il 99.8% sono PMI - piccole e medie imprese e solo lo 0.2% sono grandi imprese.
Nell’istruzione operano il 3.4% delle aziende attive nel settore terziario.
Nel 2006 nelle aziende ticinesi sono stati occupati circa 6'700 apprendisti (DFP,
2006), dei quali il 65% nel settore commerciale, il 20% in quello industriale, agrario
e artigianale e il rimanente 15% nel sanitario e nel sociale.
Partendo da questo scenario sono state identificate alcune ipotesi di partenza, sottoposte a prova nella presente ricerca, svoltasi nella primavera del 2008. La ricerca si è svolta attraverso una prima fase in cui sono state analizzate le osservazioni
espresse dai partecipanti nella valutazione del corso di base di formatori di apprendisti. Una seconda fase ha permesso di identificare diverse aree sensibili e
correlate. L’ipotesi che è alla base dell’intera ricerca è che il bisogno di formazione
potrebbe essere solo la punta dell’iceberg di altri bisogni, come ad esempio un
mancato dialogo con gli organi direttivi, o ancora, una difficoltà nella gestione di
casi difficili. L’area formativa è stata così affiancata da altre come, a titolo di esempio, quella finanziaria: un’azienda forma al proprio interno o invia i propri formatori a formarsi se ha le capacità finanziarie, o ancora, se ha la possibilità di organizzarsi per la sostituzione del dipendente assente per formazione.
L’aula di formazione diventerebbe quindi più che un luogo di scambio di opinioni e
di conoscenze, un contenitore in cui si esprimerebbero questi altri bisogni, tra i
quali:
-
il bisogno di incontro e scambio di opinioni tra formatori (che potrebbe concretizzarsi anche solamente attraverso forum di discussione on-line); questo bisogno nasce dal fatto di non avere a disposizione momenti di incontro formali e
riconosciuti come tempo di lavoro. Il ricercare l’appoggio o lo scambio di opinioni potrebbe, ad un’analisi più approfondita, essere dovuto anche ad altre
necessità quali:
il non riconoscimento della figura professionale del formatore di apprendisti a livello sociale e lavorativo;
il mancato dialogo con gli organi direttivi, soprattutto in situazioni di difficoltà con l’apprendista;
-
il bisogno di un supporto diverso da quello dell’ispettore di tirocinio. La figura
del docente sarebbe investita, secondo la nostra ipotesi, da un ruolo non prettamente formativo, ma più attinente alla figura professionale dello psicologo o
del pedagogista, cui richiedere pareri d’intervento personale;
-
il bisogno di maggiore dialogo tra formatore e famiglia del giovane apprendista;
questo bisogno sarebbe dovuto alla mancanza di una direttrice educativo formativa comune. L’impostazione educativa familiare si scontra quindi con
quella formativa aziendale, avendo come conseguenza un rimpallo di responsabilità, soprattutto quando si ha a che fare con apprendisti minorenni. I formaPagina 112 di 128
Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
tori potrebbero sentire il bisogno di un maggior contatto con la famiglia, per definire alcune linee guida comuni.
Finora i bisogni evidenziati sono soprattutto nel contesto lavorativo e la formazione
è stata considerata solo la punta dell’iceberg di altre necessità. Queste prime ipotesi hanno quindi cercato di rispondere a quella che è stata definita un’esigenze
esterna e di più ampio respiro, mentre per quanto riguarda l’esigenza interna e più
specifica al settore formativo, sono state identificate e definite altre ipotesi. Vediamole nel dettaglio:
-
gli uomini richiedono più formazione didattica e meno formazione psicologica,
al contrario delle donne che invece sarebbero più attente al lato relazionale;
-
i giovani formatori di apprendisti esprimerebbero maggiormente il bisogno di
investire in una formazione continua rispetto ai colleghi più anziani;
-
ci sarebbe il bisogno emergente di richieste formative specifiche legate a tematiche di attualità come ad esempio:
il consumo di sostanze psicotrope;
i comportamenti a rischio;
i disturbi alimentari quali, ad esempio, anoressia e bulimia;
-
i formatori delle aziende operanti nel settore sanitario e sociale, proprio perché
già in possesso di una buona preparazione di base rispetto alle problematiche
psicologiche, sarebbero più centrati su un tipo di formazione più approfondita
oppure ancora più centrata su aspetti tecnici o di regolamentazione giuridico–
legale;
-
il bisogno di formazione è sentito soprattutto da formatori con un livello di scolarizzazione inferiore, a causa, probabilmente, della minore formazione svolta e
ai minori strumenti a disposizione;
-
i formatori che hanno già conseguito l’attestato di formatore di apprendisti, visto il bagaglio formativo già ricevuto, richiederebbero corsi di perfezionamento
più attinenti a nuovi modelli d’insegnamento, per migliorare l’efficacia e
l’efficienza dell’apprendista in azienda.
Come anticipato attraverso le osservazioni fatte da coloro che hanno concluso il
corso di base di formatore di apprendista e la letteratura sull’argomento, si sono
individuate dieci aree di indagine. Accanto a ogni area è stato inserito un breve
esempio degli aspetti toccati. Le aree sono così suddivise:
1. Area finanziaria (ad es. sussidi alle famiglie, sgravi all’azienda, ecc…)
2. Area dell’innovazione (piattaforme on-line, creazione di siti ad hoc, ecc…)
3. Area organizzativa (ad es. organizzazione di eventi sociali e professionali)
4. Area giuridico - legale (ad es. l’aumento della durata dell’apprendistato)
5. Area della formazione (psicologica, pedagogica, didattica, ecc…)
6. Area della verifica istituzionale (ad es. promozione di maggiori visite ispettive)
7. Area del supporto (ad es. affiancamento di figure diverse dagli ispettori,
come psicologi, pedagogisti, coach, ecc…)
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
8. Area dell’integrazione e della multiculturalità (ad es. integrazione degli apprendisti stranieri)
9. Area del confronto e del dialogo (ad es. maggior dialogo con gli organi direttivi)
10. Area del rapporto tra famiglia e apprendistato (ad es. modalità di educazione/formazione dell’apprendista).
Materiali e metodi
Per attuare un’analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda si è cercato di interrogare la letteratura scientifica che non annovera modelli e metodi accettati all’unanimità. Ogni tecnica di rilevazione e metodo accluso, sono relativi a singoli studi di settore. In letteratura sono state utilizzate diverse tecniche per raccogliere i dati (Brooks e Everett, 2008; Goodwin J. e O'connor H., 2007; Walker C.,
2007; Barbazette, 2006; Ascenzi e Corsi, 2005; ISFOL, 2005; ISFOL 2003 a); ISFOL, 2003 b); Baldassarre, 2001; McArdle, 2000; Yves Clot, 1999; Peterson,
1998; Geay, 1985), tra cui: questionari, interviste, focus group, valutazione delle
necessità sul posto di lavoro, riflessione sulle azioni, autovalutazione, peer review,
osservazione diretta, recensione critica, analisi del divario (gap) o della discrepanza. La metodologia scelta nella presente ricerca è stata quella del questionario online costruito su scala Likert a sette punti (1=per niente d’accordo;
7=completamente d’accordo).
Il campione, costituito da 343 formatori di apprendisti, ha un’età media di circa 40
anni ed è costituito da 131 femmine e 212 maschi, di nazionalità soprattutto svizzera (86%) e italiana (12%); il rimanente 2% – di nazionalità differenti – è stato
raggruppato in «altra» nazionalità. Per quanto riguarda il titolo di studio la distribuzione è la seguente: il 56.6% ha ottenuto un diploma di Scuola professionale, il
29.2% quello di Scuola media superiore, il 12% ha un titolo universitario ed un
2.3% ha solamente un titolo di Scuola media.
Campione dei formatori di apprendisti in azienda
Numero
Età media
Età min.
Età max
Dev. St.
Femmine
131
37,37
20
58
9,05
Maschi
212
42,13
21
65
8,90
Totale
343
40,31
20
65
9,24
Il genere dei formatori è distribuito in modo relativamente equo nei vari livelli di
scolarizzazione, soprattutto tra coloro che hanno ottenuto un diploma di Scuola
professionale. La differenza rilevata è nel numero di formatori maschi laureati
(14.2%) rispetto alle femmine (8.4%), con una leggera controtendenza in coloro
che hanno un diploma di Scuola media superiore.
La maggior parte del campione è composto da responsabili di reparti, uffici ecc.,
un formatore su tre è un dipendente senza responsabilità manageriali, mentre il
22% dei rispondenti sono direttori e un 4% vicedirettori.
Di coloro che hanno risposto al sondaggio, il 70% segue apprendisti in azienda
contro un 30% che momentaneamente non segue alcun apprendista.
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Coloro che hanno già seguito e ottenuto l’attestato di formatore di apprendista in
azienda (82%) sono soprattutto donne con diploma di Scuola media superiore o
diploma di Scuola professionale.
Risultati
I risultati verranno presentati seguendo lo schema delle aree di indagine summenzionate.
Per quanto riguarda l’area finanziaria si è valutato sia il bisogno di sgravio lavorativo per i formatori di apprendisti ed agevolazioni finanziarie per le aziende, sia il
bisogno di sussidi alla famiglia dell’apprendista. Il presupposto di tale scelta era di
verificare se il formatore percepisse che sostenere la famiglia, soprattutto con reddito modesto, potrebbe permettere al ragazzo di scegliere un apprendistato più
consono alle proprie potenzialità e non legato solo al ritorno finanziario, avendo
come conseguenza un giovane maggiormente motivato sul posto di lavoro.
Per quanto riguarda il fornire più sgravi a coloro che seguono apprendisti in azienda e in particolare a chi spetti erogarli, emerge che quasi un formatore su tre si
trova completamente d’accordo (29%) su questo tipo di provvedimento, e che lo
stesso sia da attuare a livello istituzionale. Per quel che concerne il fornire finanziamenti alle aziende, otto formatori su dieci (80%) sentono in modo preponderante questo bisogno; pur non riscontrando una grande differenza, i rispondenti affermano che sono d’accordo soprattutto sul fatto che tali finanziamenti vengano
erogati a livello nazionale (82%), il 79% ritiene che vengano erogati a livello regionale. Due formatori su tre sono d’accordo sul fornire alle famiglie con reddito modesto dei sussidi e in particolare due su dieci di loro si definiscono completamente
d’accordo con questa iniziativa, mentre altri due non hanno un opinione in merito;
solo un formatore su dieci afferma di non essere per niente d’accordo con questo
tipo di intervento. Si può quindi concludere che è sentita una generale necessità di
sgravio per il formatore che segue apprendisti, ma, ancor di più è avvertita la necessita di un’agevolazione finanziaria dell’azienda formatrice. Dall’altro lato, seppur in minor misura, i formatori si sono trovati tutti d’accordo nel prevedere sussidi
alle famiglie di apprendisti con un reddito modesto.
Nell’area dell’innovazione si è voluto indagare l’interesse per lo scambio di informazioni o di opinioni attraverso piattaforme on-line istituzionali, quali siti
internet, blog o forum di discussione. Il web negli ultimi anni è diventato un mezzo
di comunicazione molto diffuso sia in ambito professionale sia sociale e diverse
associazioni di categoria hanno un loro sito con informazioni più o meno generiche
sulla professione; poche, al contrario, offrono forum di discussione in cui poter interagire confrontandosi e scambiando opinioni. Dai risultati su tale area emerge
che un formatore su quattro (27%) è completamente d’accodo
sull’implementazione di una piattaforma on-line. Questo conferma l’ipotesi secondo cui il formatore sente la necessità di scambio di opinioni con i colleghi
sull’attività formativa di cui è responsabile; una piattaforma on-line è ben vista come “ambiente” di comunicazione.
Nell’area organizzativa sono state incluse domande relative all’impegno da parte
delle istituzioni nel curare determinati aspetti organizzativi, sociali e professionali
del formatore di apprendisti. Le ipotesi erano basate sul non riconoscimento del
lavoro svolto dal formatore, considerato di facile gestione e quindi senza necessità
di riconoscimenti formali. Rilevare un bisogno di eventi sociali e professionali,esprimerebbe, secondo le nostre ipotesi, un bisogno di riconoscimento ricercato
nella collettività e tra i colleghi. Le risposte alle domande si sono concentrate soPagina 115 di 128
Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
prattutto sui punteggi centrali della scala mettendo in evidenza come tale tema
non sia certamente prioritario o, al contrario, il formatore senta di essere già riconosciuto a livello sociale e professionale.
L’area giuridico–legale include alcuni aspetti attinenti alla regolamentazione
dell’apprendistato e alle sue possibili modifiche. Tale area è fortemente legata
all’attività quotidiana del formatore, in quanto identifica i suoi diritti e i suoi doveri,
senza prescindere da una responsabilità formativa sull’apprendista. Tali aspetti
sono imprescindibili dalla relazione che si instaura tra formatore e apprendista,
come ad esempio la regolamentazione della presenza/assenza in azienda
dell’apprendista, che ha come conseguenza diretta un maggior/ minor tempo di relazione per una conoscenza reciproca, sia in ambito professionale sia personale.
Dai risultati è emerso che relativamente all’aumento obbligatorio dell’apprendistato
i formatori sono d’accordo nel non aumentarne la durata (60%). Solo due formatori
su dieci sarebbero d’accordo su questo provvedimento. Un altro aspetto emerso è
che quasi la metà dei formatori (47%) è d’accordo nel modificare la direttiva concernente il permettere all’allievo che è all’inizio del suo apprendistato, maggiore
presenza a scuola e solo in seguito maggiore presenza sul posto di lavoro. È solo
un formatore su tre che non si è dichiarato d’accordo su questa possibilità.
L’area della formazione raccoglie una serie di domande relative alla formazione
necessaria o auspicata per il formatore di apprendisti. Le domande hanno cercato
di sondare soprattutto quale specifica tematica fosse più richiesta, quante dovrebbero essere, secondo i formatori, le ore di formazione annuali, la loro obbligatorietà, ecc. Dai dati emerge che il 70% dei rispondenti dichiara che dovrebbero essere
aumentate le ore di formazione per i formatori di apprendisti, ma sono soprattutto
quelli più giovani che avvertono maggiormente il bisogno di una formazione continua. Un’altra differenza importante è stata riscontrata anche riguardo ad una richiesta di maggiore formazione relativa al consumo di sostanze psicotrope (69%)
da parte dei giovani, soprattutto da parte di coloro che non seguono ancora apprendisti in azienda, mentre per i formatori che hanno già conseguito l’attestato di
formatore di apprendisti si registra un bisogno più attinente a seguire corsi che
forniscano nuovi modelli di insegnamento volti a migliorare l’efficacia e l’efficienza
dell’apprendista in azienda. Relativamente a quest’ultimo punto, il bisogno di formazione è sentito soprattutto da formatori con un livello di scolarizzazione inferiore. Riguardo alle tematiche di approfondimento della formazione psicologica, risultano particolarmente importanti quelle sui comportamenti antisociali o a rischio
(76%), soprattutto per quei formatori con un diploma di formazione professionale.
L’area della verifica istituzionale raggruppa quelle domande volte a identificare
la presenza dello Stato, che in questo caso è rappresentato dagli ispettori del tirocinio. La visita ispettiva è sia un momento di confronto sia di scambio di informazioni istituzionali, come ad esempio novità legali o formative. L’ispettore del tirocinio interviene anche quando l’azienda o l’apprendista non adempiono alle esigenze prescritte. Dai dati emerge che i formatori di apprendisti non avvertono la necessità di aumentare le visite in azienda da parte degli ispettori del tirocinio. Infatti
è solo un 13% che afferma di essere completamente d’accordo con l’aumento, evidenziando che tale presenza è abbastanza sentita, oltre al fatto che sanno di poter fare richieste specifiche quando lo ritengono opportuno.
Nell’area del supporto sono state inserite domande che sondassero le relazioni
tra apprendista, formatore e azienda. Il supporto è stato investigato soprattutto
chiedendo se i formatori sentano la necessità di figure specialistiche, come ad esempio psicologi e pedagogisti. Dai risultati è emersa, in tal senso, una richiesta di
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Le competenze distintive dei formatori:
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supporto quale sostegno soprattutto in momenti di difficoltà. Il 60% circa dei formatori avverte questa esigenza come un bisogno importante; questo indica che
l’affiancamento di altre tipologie di professionisti, oltre quella già presente
dell’ispettore, è un bisogno alquanto sentito, soprattutto se si considera che quasi
la stessa percentuale di formatori (57%) riferisce di essere d’accordo nel trovare,
per quegli allievi difficili o con problemi di comportamento, un collocamento diverso dall’apprendistato (ad esempio: comunità protette), e, in particolare, più di due
formatori su dieci, risponde di essere completamente d’accordo su questo tipo di
intervento da parte dell’autorità. Con un’analisi più approfondita si è constatato
che non sono identificabili differenze di sesso, età e nazionalità nelle risposte fornite.
L’area dell’integrazione e della multiculturalità raggruppa una serie di domande relative all’apprendista straniero, cercando di rilevare quanto le differenze culturali possano avere un peso nell’integrazione professionale e aziendale, soprattutto
perché nel Cantone Ticino, già nel 2006/07, si registravano nelle scuole professionali, quasi un quarto di allievi stranieri. La presenza dell’apprendista straniero in
azienda è quindi un aspetto molto vicino alla realtà territoriale. In generale si può
affermare che quasi la metà dei formatori sono d’accordo (39%) di far seguire corsi speciali agli apprendisti stranieri, contro quasi un’altra metà che è in disaccordo
(41%). La metà dei formatori (51%) ha anche affermato di non essere per niente
d’accordo sul collocare gli apprendisti stranieri in aziende con formatori di apprendisti della stessa nazionalità, dimostrando un’apertura alla multiculturalità. Si può
quindi affermare che l’apprendista straniero è vissuto come una risorsa, ma a priori occorre che questa risorsa sia maggiormente a conoscenza del territorio in cui
opera, seguendo corsi speciali (ad esempio corsi di lingua). È una tematica controversa e, a volte, foriera di molte sfaccettature, che apre un piccolo spiraglio e
che dovrebbe permettere in futuro uno studio più specifico.
Nell’area del confronto e del dialogo, si è cercato di identificare le relazioni esistenti tra formatori e direzione, per valutare l’esistenza di un bisogno di maggior
dialogo o se il formatore si trova a dover gestire da solo l’apprendista e quello che
ne consegue. Dalle analisi effettuate emerge la necessità che l’azienda li faccia
più partecipi della scelta (selezione/assunzione) del proprio apprendista (70%),
così come ritengono che l’azienda debba imporre un periodo obbligatorio di stage
prima della scelta (73.5%), per valutarne le conoscenze e le capacità sociali. Altro
aspetto importante è che quasi nove formatori su dieci vorrebbero che l’azienda
fornisse al formatore più sostegno quando si trova a gestire apprendisti difficili (ad
esempio con problemi di comportamento). Tale necessità nasce certamente dalla
constatazione che il formatore si trova, il più delle volte, da solo nel gestire questi
casi. Questo dato è un’ulteriore conferma delle risposte fornite alle domande sui
corsi in ambito psicologico, in cui è emersa la necessità di approfondire tematiche
sui comportamenti antisociali o a rischio. Un’aspettativa presente tra i formatori è
legata soprattutto alla richiesta di organizzare momenti formativi riconosciuti durante l’orario lavorativo (75.5%). In sintesi si può rilevare un’importante bisogno di
maggior dialogo con gli organi direttivi dell’azienda formatrice, richiesto soprattutto
durante la gestione di situazioni difficili, nonché di momenti istituzionali riconosciuti.
L’ultima area è quella relativa al rapporto tra famiglia e apprendistato, in cui
si è cercato di approfondire come il formatore viva la presenza/assenza della famiglia dell’apprendista. Le domande di quest’area hanno cercato di identificare sia
il lato duale della relazione formatore-genitore che il lato più sistemico formatorePagina 117 di 128
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
apprendista-famiglia. Dai risultati emerge che il formatore ha la visione di una famiglia poco attenta all’apprendistato del figlio. Quasi quattro formatori su dieci sono completamente d’accordo che la famiglia dovrebbe investire più tempo nella
conoscenza del mondo dell’apprendistato. Altro aspetto è che l’80% dei formatori
dichiara che la famiglia dovrebbe aiutare maggiormente il proprio figlio ad inserirsi
nel mondo del lavoro, delegandogli non più solo responsabilità educative, ma anche professionali. Ancora maggiore è il numero di formatori (90%) che asserisce
che la famiglia non vigili abbastanza sul giovane quando non è sul posto di lavoro,
compromettendone il rendimento in azienda. Questo dato fa trasparire come i formatori avvertano la famiglia distante dalla crescita professionale del giovane attribuendole anche ruoli non prettamente educativi.
Discussione
Le aree considerate fanno emergere bisogni tra loro collegati che, se letti nella
prospettiva della teoria della complessità, permettono di fornire una visione più
completa e sfaccettata.
Nell’area formativa, i bisogni dei formatori di apprendisti in azienda sono condizionati dal livello di istruzione e dall’età: minor livello scolastico e minor età determinano maggiore richiesta di formazione soprattutto in ambiti specifici come l’uso di
sostanze psicotrope e comportamenti antisociali o a rischio. La sola lettura di questa informazione dovrebbe avere, come conseguenza, un aumento di corsi di formazione continua rivolta soprattutto a questo target di formatori, ma la correlazione di altri bisogni quali:
-
avere la possibilità di essere supportati da specialisti, quali psicologi o pedagogisti,
-
sentire l’esigenza di piattaforme on-line in cui scambiare opinioni,
-
essere coinvolti maggiormente nella scelta dell’apprendista,
-
avere maggiore sostegno da parte degli organi direttivi nei momenti di difficoltà
con l’apprendista,
-
avvertire il bisogno di far svolgere all’apprendista un periodo obbligatorio di
stage per valutarne le conoscenze e le capacità sociali,
non fanno che confermare la nostra ipotesi, secondo cui la maggior richiesta di
formazione continua è solo la punta dell’iceberg di altre esigenze più profonde. La
formazione diviene quindi il ricettacolo di bisogni che andrebbero gestiti su più livelli, ma nello stesso tempo unico e solo momento istituzionale in cui potersi incontrare con colleghi e specialisti del settore.
La tematica della gestione degli apprendisti difficili o con problemi di comportamento, affiora spesso nei momenti formativi, tant’è che metà dei rispondenti si dice – in generale – d’accordo nel far svolgere attività diverse dall’apprendistato a
questa tipologia di apprendisti, rilevando una difficoltà gestionale e relazionale. Tali difficoltà si sono manifestate in maniera indipendente dal sesso, dall’età e dalla
nazionalità evidenziando una difficoltà generale nel gestire questi apprendisti. La
conseguenza di questi vissuti da parte del formatore determina una visione della
famiglia dell’apprendista poco vicina al giovane e al suo mondo lavorativo, delegandole compiti non solamente educativi ma anche lavorativi, come vigilare di più
sul ragazzo per non compromettere il suo rendimento in azienda. Se a questo si
aggiunge anche il fatto che i formatori riferiscono di non volere però maggior contatto con la famiglia del giovane in apprendistato, si può desumere che la stessa
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
venga solo usata come causa dei problemi lavorativi e relazionali vissuti con il ragazzo.
Tra le tematiche di approfondimento invece è emersa quella collegata agli apprendisti stranieri; metà dei formatori sarebbero d’accordo nel far seguire loro corsi
speciali, mentre l’altra metà non lo è. Questa tematica rimane un ambito di approfondimento per il futuro, soprattutto perché metà dei formatori hanno anche affermato di non essere per niente d’accordo sul collocare gli apprendisti stranieri in aziende con formatori di apprendisti della stessa nazionalità, dimostrando che
l’incontro di culture diverse sia un processo positivo e arricchente, seppur a certe
condizioni.
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
7. Valutazione dei risultati raccolti
di Marco Ricci e Walter Seghizzi
Prima di passare alla valutazione dei risultati, vogliamo riprendere lo schema della
formazione in Svizzera52, dal quale si evince (confronta anche la premessa iniziale
a pagina 5) che si arriva al primo livello di formatore per adulti (FFA1) dopo aver
maturato una formazione professionale.
52
tratta dal sito http://www.edk.ch/dyn/16237.php
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Detto altrimenti, non esiste un periodo di apprendistato con la possibilità di certificazione ufficiale a livello di attestato federale di capacità (AFC) ma la “specializzazione” di formatore, se non avviene attraverso un curriculum accademico, è possibile solo dopo aver svolto un’altra professione.
Questo aspetto spiega il fatto che l’età media dei formatori è piuttosto alta (40 per
le donne, 45 per gli uomini).
I rilevamenti effettuati devono essere confrontati con le ipotesi formulate a pag. 6
e più precisamente:
• I formatori agiscono praticando principi teorici che loro stessi hanno coniato e
collaudato nel tempo (rappresentazioni e teorie soggettive).
• Il cambiamento nel loro modo di fare presuppone la presa di coscienza dei
principi teorici che guidano/ispirano la loro azione/attività di insegnamento.
• Il cambiamento nel loro modo di fare è frutto solo di una “reattività” alla situazione contingente (partecipanti, contenuti, tempo, luogo ecc.).
7.1
I formatori agiscono praticando principi teorici che loro
stessi hanno coniato e collaudato nel tempo (rappresentazioni e teorie soggettive)
Da quanto abbiamo rilevato, le competenze apprese durante i corsi di formazione
non sono recepite dai formatori se non in minima parte. Le persone rimangono
piuttosto sulle loro modalità didattiche e di gestione d’aula senza essere consapevoli di averle adottate e del perché le hanno adottate.
A questo punto nascono tre ipotesi subordinate:
• durante la formazione non vengono espressamente definite le competenze ottenibili seguendo il curriculum scelto; pertanto non sono riconosciute dai partecipanti
• l’acquisizione di competenze viene data per scontata da parte degli enti erogatori di formazione per formatori e, spesso, non viene verificata alla fine del percorso formativo stesso
• un sistema di gestione della qualità non è implementato o non sostiene i formatori impiegati nel miglioramento delle proprie modalità formative (per esempio
l’applicazione sistematica dell’autovalutazione)
7.2
Il cambiamento nel loro modo di fare presuppone la presa di
coscienza dei principi teorici che guidano/ispirano la loro
azione/attività di insegnamento
Il concetto può essere altrimenti detto con la seguente espressione inglese:
know-how vs know-why
che in italiano potrebbe suonare più o meno così:
so come farlo / so perché lo faccio
Un esempio per rendere meglio questo concetto è dato dallo sviluppo artistico di
Picasso: per arrivare a scegliere consapevolmente lo stile che lo ha contraddistinto negli ultimi anni della sua carriera, non ha potuto esimersi dallo sperimentare,
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esercitare, perfezionare e personalizzare la tavolozza delle possibilità artistiche
dell’arte figurativa classica, impressionista e descrittiva.
Desnudo reclinado (1932), Pablo Picasso
Paul vestito da Arlecchino (1924), Pablo Picasso
Ipotesi subordinata: l’acquisizione di competenze non sempre riflette questo costrutto. La teoria spiegata può anche essere messa in pratica ma non necessariamente il formatore sa perché lo ha fatto.
7.2
Il cambiamento nel loro modo di fare è frutto solo di una
“reattività” alla situazione contingente (partecipanti, contenuti, tempo, luogo ecc.)
Dai dati rilevati emerge come diverse formatrici e diversi formatori indichino certe
competenze come non attinenti all’attività svolta. A nostro giudizio questo approccio porta a una situazione di “fossilizzazione” delle modalità adottate. Il limite della
situazione sta nel fatto che la qualifica di “formatore/formatrice” abilita
all’insegnamento di qualsiasi materia. In altre parole ancora, i formatori non adottano un modello comportamentale proattivo bensì si limitano alla reazione, vivendo, il più delle volte tale costrizione in modo negativo, frustrante, complicato e non
condiviso.
Ipotesi subordinata: fino al momento in cui non si modifica la situazione contingente non si applicano altre modalità didattiche, con il rischio di perdere competenze
importanti per il mantenimento della professionalità.
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8. Definizione di criteri ed elementi di osservazione
di Walter Seghizzi
Come indicato, nei lavori di certificazione dei Moduli 4, 8 e 9, da Walter Seghizzi le
modalità d’osservazione dei comportamenti e delle prestazioni dei formatori attivi
in attività didattiche, passa attraverso a procedure e a modelli strutturati. Nei citati
lavori di approfondimento, si è infatti proposto un percorso – a tutto tondo – che
tenesse in considerazione:
• una peer – review (modulo 4 – prof. M. Balducci)
• un’autovalutazione del formatore (modulo 8 – prof. A. Claude)
• uno scambio di pratiche condivise fra professionisti sperimentati (modulo 9 –
prof. V. Cesari Lusso)
Per completezza d’informazione, i testi dei relativi lavori compongono la documentazione visionabile nel capitolo “Allegati”.
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Le competenze distintive dei formatori:
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9. Proposte
di Marco Ricci e Walter Seghizzi
Sulla base del lavoro di ricerca effettuato, senza giudizio di valore su quanto realizzato e adottato finora, ma nell’ottica del miglioramento continuo, possiamo formulare le seguenti proposte:
Alle organizzazioni del
mondo del lavoro
Definire in modo più pragmatico le competenze, le
definizioni e le modalità di
osservazione
Agli enti erogatori di formazione
Attenersi alla definizione di
competenze attese, formulate dalle OdL53
Verificare l’acquisizione effettiva delle competenze
previste nei singoli moduli
(controllo dell’apprendimento)
Definire un sistema di gestione della qualità adeguato all’attività e alla struttura
Ai colleghi e alle colleghe
impegnate nella formazione
Autovalutazione
Formazione continua
Scambio di pratiche
Peer Review
Definire il profilo del formatore, valutando anche la
possibilità di creare sottocategorie operative
Collaborare con la OdL nella definizione dei profili dei
formatori
Scegliere con coscienza le
aree nelle quali si intende
operare
Monitorare i bisogni effettivi
del mercato in merito alle
caratteristiche richieste a un
formatore
Collaborare con la OdL nella definizione dei profili dei
formatori
Segnalare agli enti formativi
e alle OdL le carenze e/o le
nuove necessità
Valutare la possibilità di implementare un sistema di
“mantenimento della certificazione” (come per esempio il pilota aereonautico).
Domande esemplificative:
• eserciti ancora?
• in che ambiti?
• con quali risultati?
• hai acquisito altre certificazioni?
• hai seguito corsi di formazione continua?
• hai pubblicato testi o
sviluppato concetti che
potrebbero rappresentare l’interesse dei colleghi?
Offrire corsi di perfezionamento professionale e aggiornamento in parallelo
con la formazione di base
Formazione continua (anche oltre ai minimi richiesti,
che oggi non esistono)
53
OdL = Organizzazione del mondo Del Lavoro
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
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Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
10. Conclusioni
di Marco Ricci e Walter Seghizzi
Il lavoro da noi compiuto ha portato, a nostro modo di vedere, elementi nuovi nel
campo della formazione dei formatori. Formatori ai quali, pur se impiegati nel ruolo
di “magister”, non viene sempre riconosciuto lo statuto di docente.
Nella diversità lavorativa svizzera sono molteplici e diverse le figure che operano
nel settore della formazione: come abbiamo visto dal formatore di apprendisti in
azienda al formatore per formatori, passando dal formatore aziendale al formatore
per adulti. In generale non viene richiesto un titolo di studio, salvo nei casi previsti
dalla certificazione eduQua. Altra particolarità: lo stesso titolo abilità a coprire più
settori, dal corso professionale al corso hobbistico.
Abbiamo potuto appurare che le “competenze distintive” da noi ricercate dipendono molto dalla visione che ogni singolo formatore o formatrice ha del proprio compito, così come dal settore nel quale esso/essa viene impiegato/a.
Ringraziamo tutti coloro che ci hanno aiutati, sostenuti, stimolati e difesi nel processo d’elaborazione del presente documento, in particolare i prof. Massimo Balducci e Germano Cipolletta, relatori e attenti valutatori dei nostri sforzi.
L’intero Master ha rappresentato per noi una sfida avvincente e arricchente: ci auguriamo che questa nostra ricerca possa essere utile a chi, non solo in Ticino, si
occupa di formazione.
Marco Ricci
Walter Seghizzi
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
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11. Bibliografia e paper di riferimento
Il modello costruttivista nella formazione, analisi del modello Dougiamas e
sperimentazione di Moodle, Arcolin e Gomirato, ECIPA, Venezia 2002
(http://formatori.net/materiali/Modello_costruttivista.pdf)
Programmi quadro d’insegnamento per responsabili della formazione
professionale, BBT maggio 2006 (http://www.bbt.admin.ch/index.html?lang=it)
L' arte della formazione. Metafore della formazione esperienziale, Emilio Rago, FrancoAngeli Editore, 2006
L’approccio psicosocioanalitico allo sviluppo delle organizzazioni, Forti
D. e Varchetta G., FrancoAngeli Editore,
Insegnare e apprendere la Leadership, a cura di Claudia Piccardo, Edizioni
Guerini e associati
Image. Le metafore dell`organizzazione, Morgan G., a cura di M. Balducci,
Franco Angeli
Leadership riflessive. La ricerca di anima nelle organizzazioni, Vitullo A.,
Apogeo
L’uomo flessibile, Sennett R., Saggi Universale Economica Feltrinelli
Psicologia del lavoro, Guido Sarchielli, il Mulino - Manuali
Voglia di fare, Gian Piero Quaglino, Edizioni Guerini e associati
La foresta delle decisioni, Alberto Gandolfi, Edizioni Casagrande
La lezione nella formazione degli adulti, Maurizio Castagna, FrancoAngeli
Editore
tutti i testi citati nei vari lavori di certificazione allegati
tutti i testi citati nelle note a piè di pagina
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Le competenze distintive dei formatori:
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12. Allegati
Marco Ricci
Lavoro di certificazione del Modulo 4 MaGF2 Gestione e conduzione del personale (Relatore Prof. Dott. Graziano Martignoni)
Le competenze di soglia, distintive e d’eccellenza dei formatori: come rilevarle?
Walter Seghizzi
Lavoro di certificazione del Modulo 4 MaGF2 Gestione e conduzione del personale (Relatore Prof. Massimo Balducci)
Auditing interno delle attività pedagogiche - Approfondimento in forma di
presentazione e documento di lavoro
Walter Seghizzi
Lavoro di certificazione del Modulo 5 MaGF2 Evoluzione del mondo professionale
e formazione
(Relatore Prof. Dott. Guido Sarchielli)
Il contratto psicologico: la percezione degli obblighi reciproci.
Marco Ricci
Lavoro di certificazione del Modulo 7 MaGF2 La gestione della comunicazione
(Relatore Prof. Francesco Lurati)
Le aspettative degli stakeholders dei corsi interaziendali nella Nuova Formazione Commerciale: un’analisi empirica e una proposta concreta di nuova
comunicazione per un aumento della percezione positiva.
Marco Ricci
Lavoro di certificazione del Modulo 8 MaGF2 Valutazione e gestione della qualità
(Relatore Prof. Armand Claude)
Lavoro di certificazione: il Sistema di Gestione della Qualità nel nuovo corso
TRIS
Walter Seghizzi
Lavoro di certificazione del Modulo 8 MaGF2 Valutazione e gestione della qualità
(Relatore Prof. Armand Claude)
Auditing interno delle attività pedagogiche - 2
L’auto - valutazione formativa espressa dai relatori - Approfondimento in
forma di presentazione e documento di lavoro
Marco Ricci
Lavoro di certificazione del Modulo 9 MaGF2 La supervisione dell’insegnamento
nell’ambito della gestione della formazione
(Relatrice Prof.sa Vittoria Cesari Lusso)
Creazione e sperimentazione di un modello applicabile nel rilevamento di situazioni relazionali in ambito di consulenza formativa e aziendale
Walter Seghizzi
Lavoro di certificazione del Modulo 9 MaGF2 La supervisione dell’insegnamento
nell’ambito della gestione della formazione
(Relatrice Prof.sa Vittoria Cesari Lusso)
Scambio di pratiche fra professionisti sperimentati
Quadro metodologico di comunicazione e proposta d’intervento
Approfondimento in forma di presentazione e documento di lavoro
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Marco Ricci e Walter Seghizzi
MaGF 2 - Modulo 12
Le competenze distintive dei formatori:
rilevamento e applicazione nel Canton Ticino
Enrico Faggiano, Walter Seghizzi e Ferruccio Doga
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda – Rapporto Interno
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Master professionalizzante
in
Gestione
della
Formazione
per dirigenti
di istituzioni formative
Certificazione Modulo 4
Gestione e conduzione del personale
Relatore Prof. Dott. Graziano Martignoni
Le competenze di soglia, distintive e d’eccellenza dei formatori: come rilevarle?
Marco Ricci
Formatore aziendale diplomato. Titolare della Clic, formazione e consulenza formativa di M. Ricci
[email protected]
Marco Ricci, 6825 Capolago
MaGF 2
Lavoro di certificazione per il Modulo 4 - Gestione e Conduzione del personale
1. Premesse
1.1 Lavoro utile per il Modulo 12
Il presente lavoro di certificazione del Modulo 4 rientra nel concetto presentato alla Direzione
Scientifica del MaGF 2 quale lavoro di certificazione dell’intero percorso formativo.
Ho ritenuto che, non essendo impiegato presso un centro di formazione pubblico o privato ma
svolgendo solo saltuariamente collaborazioni con enti formativi, fosse per me più rilevante occuparmi di un aspetto trattato nel Modulo 4 che potesse essere utilizzato nell’ambito del lavoro di
certificazione finale.
1.2 Gruppo di lavoro "Validation des Acquis"
Contemporaneamente alla frequenza del Modulo 4, ho avuto l’opportunità di poter espletare un
mandato che prevedeva uno studio di fattibilità dell’implementazione in Ticino della procedura
per la validazione degli apprendimenti acquisiti, ai sensi della LFPr e della OFPr1. Questo compito
mi è servito, da una parte a conoscere le procedure che sono già state implementate (per esempio Qualification+ a Ginevra o ValForm in Vallese), ma anche per capire come agire per meglio rilevare gli apprendimenti, formulandoli in un concetto di competenza. Anche la FSEA (Federazione Svizzera per l’educazione degli adulti) ha lanciato un progetto pilota per il rilevamento e
la convalida delle competenze acquisite e ha tenuto, lo scorso 9 novembre, un convegno sul tema a Bellinzona (per gli atti della giornata, confronta il sito http://www.alice.ch/).
1.3 Corso CFF
Dal responsabile del Centro Formazioni Formatori, ufficio della Divisione per la Formazione Professionale che si occupa della formazione dei formatori e delle formatrici in azienda, ho ricevuto
il mandato di organizzare una giornata di studio che potesse aiutare i formatori che operano
nella formazione di maestri di tirocinio e istruttori di pratica, a mettersi in discussione e a ricercare nuove modalità d’insegnamento. Questo corso, di cui più avanti evidenzierò il programma e
gli obiettivi didattici, servirà anche quale base di rilevamento per il lavoro di certificazione di cui
in entrata.
2. Definizioni
2.1 Formatore quale leader dell'aula
Come discusso nel corso del Modulo 4, il “Magister”, sia esso docente o formatore in ambito professionale, si trova ad essere leader dell’aula. Mi piace la definizione che definisce leader “… chi
è in grado di svolgere una funzione genitoriale; chi sa lavorare sul metabolismo dell’energia riuscendo ad esempio a fare uscire una persona da un colloquio con più carica; chi ha un’attitudine
positiva ed è capace di organizzare la speranza (“il capo di buona speranza” come suggerisce di
chiamarlo Gino Pagliarani, 1985 e 1990); chi sa contenere le paure, i dubbi, le ansie; alimentare, rielaborare, far cambiare prospettiva; fare riconoscere che “si, la vita è dura, ma ce la si può
fare”. Il leader che viene descritto non è tanto un leader eccezionale quanto un leader capace di
rischiare e costruire qualcosa assieme agli altri, una persona della quale ci si può fidare, alla
quale si possono portare i problemi e le ansie, capace di cura e di far crescere, in grado di riconoscere le identificazioni, elaborare le ambivalenze e l’invidia distruttiva.”2. In altre parole un/a
consulente che riesce ad “… aiutare le persone ad aiutare se stesse, ad acquisire un metodo di
lavoro riflessivo con e su se stesse, in grado di emanciparle dal consulente in un arco di tempo
1
2
Legge federale sulla formazione professionale (LFPr, 13.12.2002) e Ordinanza federale sulla formazione
professionale (OFPr, 19.11.2003)
Insegnare e apprendere la Leadership, a cura di Claudia Piccardo, Edizioni Guerini e associati, pag. 77
Pagina 2 di 8
Marco Ricci, 6825 Capolago
MaGF 2
Lavoro di certificazione per il Modulo 4 - Gestione e Conduzione del personale
definito (…).”3. E avrà cura che “… un problema, la cui soluzione non è affidata al consulente, il
quale, da un lato, avrà l’accortezza di fare in modo che il problema rimanga nelle mani del cliente e, dall’altro, lo sosterrà nel processo di ricerca di soluzioni alternative. Il lavoro del consulente
è teso a trasferire un metodo di interrogazione della situazione, nell’ottica di rendere visibili al
soggetto le componenti di una decisione consapevole per il soggetto, quali elementi per allargare le possibilità, scoprire nuove risorse e alternative a partire dagli elementi che sono stati resi
visibili.”4.
2.2 Competenze
Attitudine a mettere in atto il sapere, il saper fare e il saper essere in una situazione di lavoro
abituale o nuova. Sono definite in termini di obiettivi, d’autonomia, d’iniziativa, di responsabilità,
di contesto razionale o di cooperazione, di risorse utilizzate, di prestazioni richieste5.
Competenze di soglia (le devo per forza avere altrimenti non posso operare Î sono necessarie, non minime), distintive (se ho anche quelle lo faccio meglio), di eccellenza (mi permettono di fare qualcosa di più). Non va confuso con il livello di competenza: competenze da acquisire, competenze in via di acquisizione, competenze acquisite. Una volta acquisita la competenza
è acquisita e le competenze di soglia devono essere completamente acquisite. Nel mestiere del
docente è difficile stabilire quali sono le competenze di soglia e stabilire se uno le ha acquisite o
no6.
3. Approccio tramite un corso di formazione formatori
3.1 L'approccio psicosocioanalitico è applicabile anche a un rilevamento delle competenze?
Considerato come non esiste un “competences detector”7, rilevare quali possono essere le competenze distintive di un/una formatore/trice in ambito professionale non risulta facile. A mio
modo di vedere, entrano in gioco tutte le componenti legate alla persona, come ben illustrato
nella finestra di Pagliarani che riporto di seguito.
La misurazione delle competenze dei formatori e delle formatrici non è rilevabile che in modo
approssimativo in entrata e alla fine di un percorso formativo quali formatori in ambito professionale: non è detto che il/la docente applichi nella sua pratica, tutto quanto ha appreso e così
3
Ibidem, pag. 139
Ibidem, pag. 139
5
Atti della giornata di studio sulla validazione delle competenze organizzata dalla FSEA, Bellinzona 9 novembre 2006, intervento di Valerio Agustoni
6
Confronta appunti personali sul Modulo 4 con il Prof. Balducci in data 27.10.2006, non rivisti dal relatore
7
Confronta appunti personali sul Modulo 4 con il Prof. Balducci in data 27.10.2006, non rivisti dal relatore
4
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MaGF 2
Lavoro di certificazione per il Modulo 4 - Gestione e Conduzione del personale
come è stato appreso. Solitamente intervengono, al momento dell’erogazione, visioni e teorizzazioni soggettive, l'ingegneria, anche personale, della formazione e le interazioni non formalizzate di questi aspetti sulle dinamiche di campo, legate al loro ruolo, ai partecipanti e al luogo
d'erogazione formativa.
3.2 Rilevamento e valorizzazione delle esperienze
Da quanto ho potuto rilevare con il progetto di validazione degli apprendimenti acquisiti del quale ho fatto parte, la parte principale del rilevamento si basa sulle esperienze personali acquisite
non necessariamente in modo formale, ma, soprattutto, in modo non formale e informale.
Molte volte le difficoltà sorgono al momento di trasformare le esperienze in competenze.
3.3 Rilevamento e valorizzazione delle competenze
La persona può essere aiutata a trasformare le esperienze avute in competenze, per esempio,
confrontandosi con una lista di obiettivi di prestazioni e di comportamenti definiti (confronta
processo ValForm sulla certificazione delle competenze commerciali al sito www.validacquis.ch).
Per questo motivo, d’accordo con il collega Seghizzi, ho preparato un formulario che viene proposto al prossimo capitolo.
4. Modalità di rilevamento
Grazie all’opportunità offertami dal collega direttore del Centro di Formazione Formatori (CFF)
della Divisione per la Formazione Professionale (DFP), ho concepito un corso tramite il quale rilevare queste competenze. La mappa mentale concettuale del corso figura allegata al presente
lavoro. A mio modo di vedere, anche se non rappresentativo, il rilevamento empirico dell’opinione dei colleghi ci può dare una base di partenza per sviluppare la nostra ricerca. Il lavoro di
certificazione sarà completato da un’autovalutazione degli autori, da osservazioni sul campo di
formatori/trici in aula e da incontri già definiti con altre realtà organizzative impegnate nella formazione professionale.
4.1 Formulario individuale8
Il formulario prevede, dopo la raccolta dei dati personali e del settore principale d’impiego (formatore professionale o per adulti), una prima parte libera dove ai colleghi partecipanti la loro
opinione su
¾
quali competenze da loro detenute reputino fondamentali per la riuscita di un loro corso
¾
quali competenze ammirino in un/una collega.
Sulla base della descrizione dei colleghi, ci aspettiamo di ricevere indicazioni più orientate alle
competenze distintive e di eccellenza che non a quelle di soglia. Per questo motivo il formulario
sarà completato dalla tabella riportata nella pagina seguente:
8
già preparato nell’ottica del lavoro di certificazione del Modulo 12
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MaGF 2
Lavoro di certificazione per il Modulo 4 - Gestione e Conduzione del personale
Competenza individuale
Utili
Non
utili
Indifferenti
Competenze di
soglia
Competenze
distintive
Competenze di
eccellenza
Acquisite
con la formazione
Acquisite in
modo informale/ non
formale
Creatività
Metodologia lavorativa variata
Capacità di apprendimento
personale
Volontà, interesse personale
Autonomia d’azione
Flessibilità, attitudine al
cambiamento
Orientamento alla qualità,
efficienza
Orientamento al raggiungimento degli obiettivi
Identificazione con
l’azienda
Capacità di lavorare in
gruppo
Protezione dell’ambiente
Sicurezza del lavoro
Capacità di negoziare e
agire
Capacità tecniche specifiche
Prestazioni misurabili
Conoscenze generali e culturali
Tecniche di presentazione
Organizzazione del tempo e
del lavoro
Empatia
Applicazione del potere del
ruolo
Orientamento alla valutazione
Capacità di gestire gli spazi
4.1.1 Competenze di soglia
È già oggi ipotizzabile che tra le competenze di soglia bisognerà inserire le “competenze professionali” riferite non solo al saper fare ma alle conoscenze tecniche della materia insegnata.
Competenze di soglia potranno inoltre essere:
¾
organizzazione del tempo e del lavoro
¾
tecniche di presentazione
¾
capacità di lavorare in gruppo
¾
capacità di gestire gli spazi
¾
orientamento alla valutazione
¾
ecc.
Molto probabilmente (al momento è solo un’ipotesi) emergerà che il fatto di lavorare con dei
giovani apprendisti piuttosto che con un gruppo di maestri di tirocinio modifichi il “basket” delle
competenze di soglia e che, pertanto, anche i disposti giuridici applicabili nella formazione professionale (per esempio i “Programmi quadro d’insegnamento per responsabili della formazione
professionale”) potrebbero richiedere una “rivisitazione” delle competenze proposte.
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MaGF 2
Lavoro di certificazione per il Modulo 4 - Gestione e Conduzione del personale
4.1.2 Competenze distintive
Più difficile appare, al momento, una netta distinzione tra competenze distintive e competenze
d’eccellenza. Sulla base dell’esperienza personale posso già stilare una proposta che potrebbe
emergere:
¾
capacità di negoziare e agire
¾
empatia
¾
autonomia d’azione
¾
metodologia lavorativa variata
¾
ecc.
4.1.3 Competenze di eccellenza
Personalmente, in questa categoria, metto piuttosto competenze e comportamenti che vanno
oltre quanto riguarda l’aspetto professionale e di contenuto professionale ma che entrano nella
sfera motivazionale dell’individuo e nella sua filosofia di vita. Sarà comunque interessante vedere quali competenze evidenzieranno i colleghi e le colleghe come competenze di eccellenza.
5. Continuazione del corso: proposta di condivisione per
modelli di gestione d’aula e d’utilizzo di artefatti
Nella pianificazione dell’incontro abbiamo ritenuto che fosse anche interessante parlare di modalità di gestione d’aula e dell’utilizzo d’artefatti, sia per, in qualche modo, ringraziare i colleghi e
le colleghe per il loro contributo sia per condividere informazioni e modalità che possono servire
a rafforzare lo spirito di gruppo dei formatori e delle formatrici CFF.
5.1 Modelli di gestione d'aula
In particolare, si è pensato di proporre delle alternative alle lezioni frontali che troppo spesso
vengono utilizzate nei corsi professionali. Come indicato nella mappa mentale allegata, i parlerà
in particolare di
¾
lavori di gruppo
¾
formazione esperienziale
¾
narrazione
¾
ecc.
5.2 Modalità d'utilizzo di artefatti
Abbiamo richiesto ai partecipanti che interverranno alla giornata di portare “artefatti” da loro
utilizzati nell’ambito formativo. Da parte mia metterò a disposizioni strumenti quali:
¾
le carte della vita, per le presentazioni all’inizio dei corsi
¾
carte e cartoline per la costituzione dei gruppi
¾
il “gioco dell’oca” per le ripetizioni
¾
il labirinto
¾
ecc.
6. Conclusioni
Il collega Walter Seghizzi e io siamo fermamente convinti che l’approccio all’appren-dimento finora utilizzato (e insegnato nella maggior parte dei corsi per formatori della formazione professionale) tenga conto solo in parte delle competenze distintive della formatrice/del formatore
chiamato a erogare la formazione. Detto altrimenti, aver frequentato il miglior corso di formazione per formatori non significa automaticamente diventare un ottimo formatore.
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Lavoro di certificazione per il Modulo 4 - Gestione e Conduzione del personale
La nostra convinzione parte sia dall’esperienza diretta, sia dall’osservazione di colleghe e colleghi che, pur erogando la stessa formazione per quanto attiene a contenuti, tempi, luoghi e modalità non trasmettono detta formazione in modo standard, ma fanno passare la conoscenza
della materia in modo diversificato.
Quali sono allora le competenze che, al di là di quelle professionali, riescono a “far passare il
messaggio” in modo efficace? Con il nostro lavoro di certificazione del Master vogliamo dare una
risposta a questo interrogativo e suggerire metodologie innovative per il riconoscimento e
l’acquisizione di queste competenze.
Ringrazio già sin d’ora il Prof. Dott. Martignoni per i suggerimenti che mi vorrà dare in merito a
questo argomento.
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Lavoro di certificazione per il Modulo 4 - Gestione e Conduzione del personale
Bibliografia:
•
Il modello costruttivista nella formazione, analisi del modello Dougiamas e
sperimentazione di Moodle, Arcolin e Gomirato, ECIPA, Venezia 2002
(http://formatori.net/materiali/Modello_costruttivista.pdf)
•
Programmi quadro d’insegnamento per responsabili della formazione
professionale, BBT maggio 2006 (http://www.bbt.admin.ch/index.html?lang=it)
•
L' arte della formazione. Metafore della formazione esperienziale, Emilio Rago, FrancoAngeli Editore, 2006
•
L’approccio psicosocioanalitico allo sviluppo delle organizzazioni, Forti
D. e Varchetta G., FrancoAngeli Editore,
•
Insegnare e apprendere la Leadership, a cura di Claudia Piccardo, Edizioni
Guerini e associati
•
Image. Le metafore dell`organizzazione, Morgan G., a cura di M. Balducci,
Franco Angeli
•
Leadership riflessive. La ricerca di anima nelle organizzazioni, Vitullo A.,
Apogeo
•
L’uomo flessibile, Sennett R., Saggi Universale Economica Feltrinelli
Allegato:
• Schema corso per formatori CFF
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Obiettivi del corso:
- al termine i partecipanti
dispongono di alcuni elementi che possono loro
permettere di diventare consapevoli dei loro "Fattori
critici di successo" nella formazione di giovani e
adulti
- durante il corso i partecipanti possono condividere
metodi e modalità esercitati
La realtà e l'illusione
Il gioco dell'oca
Il labirinto
Il pro e il contro
La sua costruzione
La sua utilizzazione
Quando usarli
Come usarli
Compiti del formatore
Come usarli
Quando usarli
Compiti del formatore
Come usarli
Quando usarli
Compiti del formatore
Cosa sono le competenze
(attivazione e combinazione di
risorse al fine di gestire con
successo determinate situazioni,
azioni e problemi)
Le competenze distintive dei formatori
(argomenti)
L'aspetto ludico
Risorse
Potenziale
Sapere
Saper fare
Saper essere
Competenze operative
Competenze professionali
Competenze sociali
Competenze personali
Conoscenze
Capacità
Abilità
Competenze di base
Competenze chiave
Competenze trasversali
La mappa mentale
La narrazione
Le modalità d'aula alternative
alla lezione frontale
I giochi di ruolo
La ricerca
La lezione come "progetto"
Contenuti
Modalità
Supporti
La costruzione
La realizzazione
I lavori di gruppo
Le competenze distintive dei formatori (argomenti).mmp - 02.10.2006 - Marco Ricci - [email protected]
Contenuti
Modalità
Supporti
Master professionalizzante
in
Gestione
della
Formazione
per dirigenti
di istituzioni formative
Certificazione Modulo 4
Gestione e conduzione del personale
Relatore Prof. Massimo Balducci
Auditing interno delle attività pedagogiche
Approfondimento in forma di presentazione e documento di lavoro
Walter Seghizzi – Formatore aziendale dipl. fed. Responsabile del Centro di formazione per formatori (CFF)
della DFP e dei corsi federali per periti d’esame (ISPFP) [email protected]
1
Sommario
ABSTRACT........................................................................................................................................ 3
BREVE PRESENTAZIONE DEL CENTRO....................................................................................... 4
ASSICURAZIONE E SVILUPPO DELLA QUALITÀ......................................................................... 8
Come viene fornita l’immagine della qualità .............................................................................. 8
Persone responsabili della qualità e persone che controllano la qualità................................... 8
Definizione degli obiettivi ........................................................................................................... 8
Provvedimenti adottati per soddisfare i criteri............................................................................ 8
Modo d’agire per sviluppare costantemente la qualità .............................................................. 9
MAPPATURA SEMPLIFICATA DEI PROFILI .................................................................................. 9
PROFILO DELLE QUALIFICHE, DIPLOMI ...................................................................................... 9
ASSICURAZIONE, MANTENIMENTO E SVILUPPO DELLA QUALITÀ DELLE ATTIVITÀ
(EROGAZIONE) FORMATIVE PRESSO IL CFF ............................................................................ 10
CONCETTO E PROCEDURA PER LO SVOLGIMENTO DI AUDITS INTERNI ................................................. 10
IL CORSO DI BASE PER FORMATORI DI APPRENDISTI IN AZIENDA .............................. 10
Introduzione....................................................................................................................................... 10
Vantaggi e svantaggi del concetto proposto ...................................................................................... 10
Procedura .......................................................................................................................................... 11
GESTIONE DELLE EVIDENZE A SEGUITO DELL’AUDIT .......................................................................... 12
Obiettivi formativi ..................................................................................................................... 14
PROGRAMMA (tipo) AUDITS ........................................................................................................... 15
SCELTA DEI CRITERI DA VALUTARE.......................................................................................... 16
ANALISI E SCOMPOSIZIONE DEL FORMULARIO DI VALUTAZIONE ....................................... 17
CONCLUSIONI ................................................................................................................................ 17
SCHEDA AUDIT INTERNO QUALITÀ - ATTIVITÀ PEDAGOGICHE........................................... 18
ALLEGATO 2................................................................................................................................... 31
METODO DI VALUTAZIONE INTERNA .................................................................................................. 31
2
Abstract
Il seguente approfondimento dal titolo “Auditing interno delle attività pedagogiche”,
in forma di presentazione e di documento di lavoro, è stato elaborato per il duplice
scopo di consolidare la certificazione EduQua del Centro di formazione per formatori della Divisione della formazione professionale (CFF della DFP) ottenuta il 26
settembre 2005 e di poter quindi implementare definitivamente l’auditing interno
attraverso un percorso formativo e certificativo in seno al MaGF2. Per quest’ultimo
motivo il presente viene sottoposto al Prof. Massimo Balducci.
L’attività di auditing interno, detta anche di shadowing oppure conosciuta come
presenza di un “amico critico”, viene considerata dalla norma (cfr.
www.eduqua.ch) come indispensabile. A fronte di questa “affermazione istituzionale” ne è seguita una personale e operativa; quali sarebbero stati gli ostacoli
nell’introduzione di tale modalità? Quali i pericoli e quali e vantaggi? Come sarebbe stata vissuta dai colleghi la vicendevole osservazione delle attività didattiche
all’interno della sacralità dell’aula? Ci si è ben presto resi conto che introdurre il sistema in modo semplificato e destrutturato non avrebbe risposto alle domande e
che il clima, a fronte della scarsa soggettiva volontà di comprensione, avrebbe evidenziato unicamente le criticità del sistema. Sono personalmente convinto, al
contrario, che la condivisione dei momenti formativi possa aggiungere valore alle
“prestazioni” dei singoli attori, evidenziare competenze distintive dei formatori e inferire qualità e trasparenza alle attività del CFF.
Per sperimentare l’auditing interno è stato scelto il gruppo dei formatori attivi
nell’erogazione del corso di base interprofessionale per formatori di apprendisti in
azienda.
3
Breve presentazione del Centro
Il centro di formazione per formatori (CFF) è un servizio della Divisione della formazione professionale (DFP) del DECS – Cantone Ticino. Dal 1978, anno d'introduzione della Legge federale sulla formazione professionale (LFP) che lo prescriveva, si occupa dell'organizzazione della formazione degli, allora, denominati
"Maestri di Tirocinio". È del 1980, inoltre, l'emanazione federale di una specifica
ordinanza che, oltre a ribadirne l'obbligatorietà, fissa precisi parametri sulle durate
e sui contenuti minimi, imposti agli enti di formazione cantonali incaricati. Dal 1°
gennaio 2004, data dell'entrata in vigore della nuova LFPr, tale figura è stata rinominata in "Formatori di apprendisti in azienda", mantenendo altresì l'obbligatorietà
di frequenza al corso per tutti coloro i quali intendono assumere e formare un tirocinante.
I partecipanti al corso di base per formatori sono progressivamente aumentati nel
corso degli anni (vedi grafico sottostante), passando in 10 anni da 290 a 400 all'anno. Una massa critica importante quindi, anche quale significativo indicatore
della soddisfazione sui contenuti e sulle modalità d'erogazione.
Partecipanti
450
419
386
357
350
314
318
292
250
399
379
301
303
298
1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Partecipanti 292
314
318
301
303 298
357
386
419
379 399
In adeguata considerazione, alfine di affinare i dettagli ma restando nei parametri
dell'ordinanza precedentemente citata, vengono tenute le valutazioni espresse dai
partecipanti alla fine di ogni corso. Queste vengono statisticate, analizzate e prese
in considerazione in modo puntuale. In occasioni di specifiche riunioni vengono
rese note al plenum dei formatori. Oltre a ciò vengono condotti dal responsabile
colloqui personali con ogni formatore, aventi lo scopo di approfondire gli aspetti
valutativi legati allo specifico docente.
Riportiamo a mo' di esempio la statistica1 relativa all'anno scolastico 2005/2006
1
espressione del valore in base alle note scolastiche (da 1 a 6)
4
Valutazione e aree di miglioramento
o Interesse per l’argomento trattato
o Utilità dell’argomento trattato
o Competenza specifica del formatore
o Capacità d’animazione del formatore
5,23
5,26
5,45
5,12
5,27
o Valutazione media
Solidità e trasferibilità delle conoscenze e competenze acquisite dai partecipanti
Non solo attraverso le valutazioni, già citate, espresse dai partecipanti, bensì anche da frequenti feedbacks rilevati e riportatici dagli Ispettori di tirocinio della DFP,
siamo in grado di affermare che le modalità esercitate durante l'erogazione formativa, facilitano e permettono un'acquisizione di competenze solide ed applicabili
immediatamente nella pratica professionale quotidiana. Oltre a ciò la documentazione consegnata in aula ha proprio lo scopo, per cui così assemblata, di permettere un'efficace consultazione anche dopo la frequenza del corso. Ogni tema, ogni
lezione è supportata in modo chiaramente intelleggibile da supporti cartacei suddivisi per capitolo (area d'intervento) e tema. A partire dallo scorso mese di settembre 2006, viene consegnato in aula anche il nuovo Manuale per la formazione degli apprendisti in azienda (http://hb.dbk.ch/it/index.php) edito dalla DBK
(www.dbk.ch) in collaborazione con la CSFP (www.csfp.ch) e con i Cantoni.
Presentazione trasparente delle offerte di formazione e delle opzioni pedagogiche
Già con la pubblicazione dell'offerta del CFF per l'anno 2005 è stato deciso di optare per una crasi dei precedenti opuscoli. Fino al 2004, infatti, l'offerta formativa
del CFF era suddivisa distintamente in 3 parti:
o corsi di base per Maestri di tirocinio
o corsi di perfezionamento per Maestri di tirocinio
o corsi di base per periti d'esame
Questa operazione ha evidenziato vicendevolmente alle diverse figure professionali gli indirizzi specifici, creando grande interesse. Sia alla fine di gennaio 2005
sia alla fine dello stesso mese del 2006, più del 50% delle offerte formative proposte risultava già completa. Molte richieste d'iscrizione hanno dovuto essere dirottate su altri corsi.
Prestazioni orientate al cliente, economiche, efficaci ed efficienti
Un primo indicatore di leggibilità delle attività del CFF in funzione dell'orientamento
al cliente risulta essere, a nostro avviso, già stato citato in relazione al gradimento
espresso, al termine del corso, dai partecipanti stessi. Un secondo è costituito dalle frequenti e importanti rivisitazioni del contenuto dei vari interventi (programma di
formazione), dall'offerta di molteplici possibilità d'iscrizione ai corsi (diurni, serali, e
in diverse località del Cantone).
5
Per quanto attiene all'economicità dell'offerta, rileviamo che la tassa (CHF 300.fino al 2004, CHF 320.- dal 01.01.05 e ulteriormente modificata in CHF. 350.- dal
1° gennaio 2007) risulta essere un prezzo politico, assolutamente conveniente e
che non copre i costi vivi di progettazione, programmazione ed erogazione del
corso. Vista l'obbligatorietà secondo la LFPr, di cui abbiamo già riferito, il Cantone,
responsabile per l'organizzazione dei corsi, si assume la parte non coperta dal
contributo finanziario degli iscritti. Il costo orario di CHF 5.33 / UD2, per corsi di
breve durata, non ha paragoni e non necessita di ulteriori commenti.
Il parametro legato all'efficacia è misurabile nel seguente modo:
o crescente numero di partecipanti
o feedback ricevuti dagli ispettori del tirocinio
o feedback ricevuti dagli stessi partecipanti, dopo qualche tempo, in occasione della loro partecipazione a corsi di perfezionamento o per periti d'esame
Quello dell'efficienza è evincibile dalla tabella e dal grafico sottostanti. A fronte di
un numero relativamente esiguo di collaboratori che si occupano, a vario titolo,
della progettazione, programmazione ed erogazione del corso, rileviamo che, per
esempio, nel 20043 a fronte di 2.85 collaboratori impiegati, hanno frequentato i
corsi 399 partecipanti, versato CHF 269'000.- il che corrisponderebbe ad un incasso per singolo collaboratore di ben CHF 94'386.Anno
Preventivo
Tasse CMT
Consuntivo
Tasse CMT
Differenza
Unità RU
Partecipanti
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
CHF 60'000
CHF 50'000
CHF 50'000
CHF 60'000
CHF 60'000
CHF 60'000
CHF 70'000
CHF 100'000
CHF 110'000
CHF 120'000
CHF 200'000
CHF 60'000
CHF 65'133
CHF 61'040
CHF 70'350
CHF 100'350
CHF 90'000
CHF 104'380
CHF 110'637
CHF 230'000
CHF 224'745
CHF 269'000
CHF
CHF 15'133
CHF 11'040
CHF 10'350
CHF 40'350
CHF 30'000
CHF 34'380
CHF 10'637
CHF 120'000
CHF 104'745
CHF 69'000
2.00
1.67
1.67
1.67
2.25
2.87
2.10
3.60
3.20
3.35
2.85
292
314
318
301
303
298
357
386
419
379
399
2
Tassa
CMT/Unità
RU
30000
39002
36551
42126
44600
31359
49705
30732
71875
67088
94386
UD: unità didattica di 45 minuti
i dati statistici relativi al tutto il 2005 e a parte del 2006 saranno disponibili ufficialmente nel corso
del mese di febbraio / marzo 2007.
3
6
Evoluzione del contributo tassa CMT per untià lavorativa impiegata dal 1990 al 2004
100000
80000
60000
40000
20000
0
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
Tassa CMT/Unità RU
Formatori impegnati e aggiornati sui più recenti sviluppi metodologici, didattici e nel loro specifico campo d'insegnamento
I formatori attivi vengono invitati ad un corso di aggiornamento ogni anno. Viene
offerta loro una giornata di formazione specifica. Ad esempio:
o anno 2003: Giochi pedagogici per l'aula
o anno 2004: PNL e comunicazione pedagogica
o anno 2005: Atteggiamento e linguaggio durante l'insegnamento
o anno 2006: Il riflesso dell'adulto sul disagio adolescenziale
o anno 2007: La definizione delle competenze distintive4
Alfine di permettere all'intero Team la restituzione e la messa in comune dei risultati in itinere e finali, viene convocata almeno una riunione serale.
La quasi totalità dei docenti del CFF è, inoltre, attiva professionalmente nel proprio
campo d'attività o lo è stata fino a pochi mesi fa. Questo garantisce l'approvvigionamento delle competenze in modo certificabile, automatico ed economicamente
conveniente.
Impegno di garantire e sviluppare la qualità
Abbiamo dimostrato, nel corso degli anni, che il modello attuato in Ticino è di riferimento a molti altri Cantoni. La nostra appartenenza a diversi gruppi di lavoro e
commissioni a livello federale lo dimostra. Per questo motivo un nostro rappresentante non è richiesto unicamente per questioni linguistiche, anzi. L'apprezzamento
in questo ambito travalica gli aspetti formali e la rete di relazioni che si è costituita
a livello intercantonale, permette un ulteriore sviluppo dell'approccio ai sistemi, alla
gestione e al consolidamento dei processi qualitativi.
4
progetto: la data è stata preventivamente fissata per il 13 febbraio 2007 e il tema sarà riferito allo
sviluppo delle competenze distintive dei formatori. Relatore: Marco Ricci
7
Assicurazione e sviluppo della qualità
Come viene fornita l’immagine della qualità
Il CFF organizza e sviluppa durante l’anno diverse riunioni e conferenze per verificare se la qualità proposta ai corsisti professionisti ha raggiunto un buon livello.
Durante queste riunioni vengono espresse critiche, idee, proposte onde migliorare
costantemente la qualità formativa.
Persone responsabili della qualità e persone che controllano la qualità
Il Direttore del CFF ed i suoi collaboratori stabili, sono responsabili del processo di
assicurazione della qualità e sono pure le persone che controllano la qualità tramite regolari verifiche verbalizzate le quali vengono riassunte in un rapporto annuale
e sottoposte alla Direzione della DFP, nonché agli interlocutori privilegiati dell'ISPFP.
I contenuti della qualità vengono definiti come segue5:
•
•
•
•
•
•
L’istituzione considera chiari i seguenti punti per la qualità
Raggiungimento degli obiettivi qualitativi e quantitativi per ogni corso
Valutazione dell’efficacia del corso tramite un formulario di valutazione
Mantenimento di uno standard di qualità adeguato, per rapporto
all’evoluzione nel campo della formazione di base e continua
Continua verifica e adattamento ai bisogni riscontrati o alle difficoltà espresse nelle valutazioni dei partecipanti
NUOVO: auditing interno delle attività pedagogiche6
Definizione degli obiettivi
L’istituzione si impone quale valore di qualità che almeno il 75% dei partecipanti ai
vari corsi abbiano a conseguire il successo.
La frequenza al corso da parte dei partecipanti non può essere inferiore all’85%, di
conseguenza maggiori assenze non danno diritto a conseguire una certificazione
del corso.
Provvedimenti adottati per soddisfare i criteri
Se dalle verifiche eseguite tramite questionari sottoposti ai corsisti risultasse che
la qualità di formazione non è stata raggiunta, i responsabili attiverebbero dei corsi
d’aggiornamento specifici per i formatori mirati a migliorare la qualità di formazione. Ulteriori interventi vengono confrontati e discussi con i responsabili dello stes-
5
6
Cfr. Allegato 2 al presente documento
oggetto di questo lavoro di approfondimento
8
so settore a livello federale nelle diverse commissioni (CRFP, CORTEXIA, DBK,
SBBK ecc.).
Modo d’agire per sviluppare costantemente la qualità
L’istituzione, per il tramite dei collaboratori del CFF all’inizio di ogni anno, attiva le
necessarie verifiche e fissa nuovi obiettivi tendenti ad ottenere un sempre miglior
grado di qualità.
Mappatura semplificata dei profili
Centro di formazione per formatori della DFP
Profilo delle qualifiche, diplomi
Il profilo ideale, richiesto ai nostri formatori, è il seguente:
•
Licenza universitaria conseguita nell'ambito della psicologia rispettivamente
nell'ambito della pedagogia / scienze dell'educazione
•
Diploma federale di formatore aziendale
•
Certificato quale formatore di adulti (FSEA 1)
•
Altre formazioni equivalenti
•
Comprovata esperienza nel campo della formazione di adulti in ambiti attinenti
agli obiettivi del corso / dei singolo modulo / dei singoli interventi formativi
•
Esperienza diretta nel mondo economico – aziendale o in settori specifici di riferimento, precedente e/o attuale
•
Disponibilità all'aggiornamento ed alla formazione continua
•
Buone conoscenze sull'uso dei moderni mezzi interattivi a scopo didattico
•
Attitudine al lavoro in Team e spiccata volontà di tendere al continuo miglioramento dell'offerta formativa
•
Deve essere presente, nelle competenze personali, l'impegno per l'assicurazione e lo sviluppo della qualità
Il profilo ideale, richiesto al responsabile della formazione continua del CFF, è il seguente:
•
Licenza universitaria conseguita nell'ambito della psicologia rispettivamente
nell'ambito della pedagogia / scienze dell'educazione
MaGF, Master professionalizzante in gestione della formazione
•
Diploma federale di formatore aziendale
•
Altre formazioni equivalenti
•
Comprovata esperienza nel campo della formazione di adulti in ambiti attinenti
agli obiettivi del corso / dei singolo modulo / dei singoli interventi formativi
•
Esperienza diretta nel mondo economico – aziendale o in settori specifici di riferimento, precedente e/o attuale
•
9
•
Esperienza comprovata nella progettazione di curricula formativi diversificati
nella forma e nei contenuti, sia di breve sia di lunga durata.
•
Disponibilità all'aggiornamento ed alla formazione continua
•
Buone conoscenze sull'uso dei moderni mezzi interattivi a scopo didattico
•
Attitudine al lavoro in Team e spiccata volontà di tendere al continuo miglioramento dell'offerta formativa
•
Buone conoscenze delle lingue ufficiali, parlate e scritte
•
Deve essere presente, nelle competenze personali, l'impegno per l'assicurazione e lo sviluppo della qualità
Assicurazione, mantenimento e sviluppo della qualità
delle attività (erogazione) formative presso il CFF
Concetto e procedura per lo svolgimento di audits interni
IL CORSO DI BASE PER FORMATORI DI APPRENDISTI IN AZIENDA
Introduzione
Alfine di assicurare, mantenere e sviluppare la qualità delle attività formative (erogazione) presso il CFF, si rende necessaria l'applicazione di uno strumento valutativo sotto forma di audit interno, facendo capo alle soggettive competenze dei formatori. Con un sistema pianificato di vicendevoli supervisioni (audit), infatti, siamo
in grado di sfruttare le risorse interne senza dover far capo ad ulteriori e costosi
contributi esterni.
Vantaggi e svantaggi del concetto proposto
VANTAGGI
Ogni relatore si sente seguito e supportato nella
propria attività didattica
SVANTAGGI
La conoscenza approfondita e il possibile grado
di confidenza fra formatore e auditore potrebbero influenzare negativamente la valutazione
(preconcetti positivi o negativi)
La pianificazione degli audits risulta difficile vista la mole di lavoro riconosciuta ai formatori
attivi nei corsi di formazione considerati
La qualità degli interventi e quindi anche la percezione dei fruitori delle attività formative aumenta, grazie al contributo di colleghi con le
competenze necessarie
Aumenta la sensibilità verso gli aspetti legati all'assicurazione, al mantenimento e allo sviluppo
della qualità
La mole di lavoro aumenta sia per il personale
del CFF (lettura e gestione dei feedbacks) sia
per gli auditori, a loro volta già impegnati in attività formative.
Aumenta il grado di interscambiabilità dei ruoli
attraverso la conoscenza reciproca dei contenuti
e dei metodi utilizzati dai colleghi formatori, in
aula
10
A seguito della lettura dei feedback redatti e
presentati dai formatori è più facilmente interpretabile la necessità di adattare temi, tempi e metodi
È possibile confrontare il risultato degli audits
con il risultato derivante dall'espressione valutativa dei partecipanti
È rafforzato lo spirito del Team dei formatori
Il costo della valutazione è (probabilmente) inferiore facendo capo a risorse interne
È possibile una lettura dei risultati in modo funzionale a uno sviluppo professionale
dell’interessato, nell’ottica di una ripresa dei
contenuti della discussione a livello di direzione
della DFP onde permettere la stesura di precisi
piani di carriera
I risultati dell’audit e la conseguente e prevista
discussione diventano uno strumento prioritario
per la definizione precisa e puntuale dei temi e
degli obiettivi didattici da formulare in occasione
delle sessioni di aggiornamento / formazione
continua organizzate annualmente all’indirizzo
del team dei formatori del CFF
Procedura
CHI
Formatore
QUANDO
Entro fine
7
novembre
COSA
Pianifica gli impegni
nella propria agenda
Formatore
Entro il 15
di dicembre
Responsabile
del CFF
Entro il 20
dicembre
Sceglie fra gli interventi pianificati 2 date
(una nel primo e una
nel secondo semestre) durante le quali
verrà svolto l'audit
Pubblica l'elenco delle date degli audits
Team dei formatori
Entro il 31
dicembre
Ogni formatore rende
nota la propria disponibilità ad effettuare
almeno 2 audits (non
allo stesso collega)
7
COME
Alla ricezione dell'opuscolo con l'offerta dei
corsi CFF per l'anno
successivo
Comunica le date al responsabile del CFF
OSSERVAZIONI
Redige una tabella
riassuntiva con l'elenco
dei formatori attivi e con
l'indicazione delle date
scelte e la espone all'albo
Apponendo il proprio
nome sulla tabella riassuntiva
inteso il mese di ogni anno, la prima volta novembre 2006 (la procedura potrebbe comunque, la
prima volta, essere posticipata di un mese)
11
Responsabile
del CFF
Entro il 10 gennaio
Ufficializza la
pianificazione
degli audits
Formatore
auditato
7 giorni prima
dell'intervento
previsto
Auditato e
auditore
Data prevista
Si accerta della
disponibilità del
collega a svolgere l'audit e si
definiscono gli
ultimi dettagli
Viene svolto
l'audit
Responsabile
CFF
Correntemente
a seguito degli
audits
Responsabile
CFF
Entro fine anno
corrente
Discute con l'interessato (auditato e/o auditore) i contenuti
ritenuti vicendevolmente interessanti
Restituzione dei
risultati globali
Redige la versione
definitiva della tabella e la consegna a tutti gli interessati
Prende contatto
con il collega che
si è messo a disposizione
IMPORTANTE: la responsabilità dell'audit è
dell'auditato e NON
dell'auditore
Presenza simultanea in aula, osservazione e
compilazione degli
strumenti valutativi
previsti, a disposizione degli auditori
Colloquio personale
Al termine dell'audit
viene discusso brevemente fra i due
che, apponendo entrambi la propria firma sulla scheda, confermano l'avvenuto
colloquio conclusivo.
se ritenuto necessario
Riunione conclusiva CFF
Organizzazione delle
sessioni formative e di
aggiornamento pedagogico – didattico per il
team dei formatori del
CFF
Gestione delle evidenze a seguito dell’audit
Come precedentemente affermato, obiettivo precipuo del sistema intervisionale è
attinente alla garanzia, alla gestione e al costante miglioramento qualitativo pedagogico – andragogico – didattico. Il trattamento delle evidenze e delle risultanze,
come si potrà evincere dal formulario, sarà gestito dal responsabile della qualità
del CFF (nel caso concreto dal sottoscritto). Fra le domande più frequenti che mi
sono posto vi è senz’altro quella relativa alla strumentazione necessaria. Uno
spunto interessante è stato evidenziato in occasione del MaGF, quando ci venne
presentato il modello EMTEL (resource package8), scaricabile dal sito
www.crogef.it.
8
esercitato e utilizzato parzialmente in occasione di un lavoro di gruppo (con relativa restituzione
plenaria) il 27 ottobre 2006.
12
Fra i modelli (le macchinette come io amo definirle, ndr) che potrebbero entrare in
linea di conto, evidenzio i seguenti:
TABELLA n°1
Performance
Inadeguata
Conoscenze
Implicate
Gruppo
Profess- ionale
Abilità Implicate
Gruppo Profess- ionale
Atteggiamenti
Implicati
Gruppo
Professionale
[…]
MATRICE INVENTARIO "A" CONOSCENZE DA MIGLIORARE TABELLA N° 2
Conoscenze da migliorare
Gruppi professionali interessati
[…]
MATRICE INVENTARIO "B" ABILITÀ DA MIGLIORARE TABELLA N° 3
Abilità da migliorare
Gruppi professionali implicati
[…]
MATRICE INVENTARIO "C" ATTEGGIAMENTI DA MODIFICARE TABELLA N° 4
Atteggiamenti da modificare
Gruppi professionali implicati
[…]
13
MATRICE INVENTARIO "D" I BISOGNI FORMATIVI DEI VARI GRUPPI PROFESSIONALI - TABELLA N° 5
Conoscenze da
migliorare
Gruppo professionale interessato
Abilità da miglio- Atteggiamenti da
rare
modificare
[…]
TABELLA n° 6: BISOGNI FORMATIVI STRATEGICI
Performance Inadeguata
Gruppi Professionali coinvolti
Bisogni formativi
Conoscenze Abilità da mida migliorare
gliorare
Atteggiamenti da
modificare
[…]
TABELLA n° 7: OBIETTIVI FORMATIVI STRATEGICI
Cambiamento performance
Gruppo professionale
coinvolto
Obiettivi formativi
Cambiamento
di conoscenze
Cambiamento
abilità
Cambiamento
di atteggiamenti
[…]
con conseguente e, perché no, anche preventiva osservanza dello schema seguente:
SCHEMA n° 1: VANTAGGI E SVANTAGGI
Metodologia didattica
vantaggi
svantaggi
Lettura
Non costosa, permette di
meditare a lungo
Non è interattiva
CBT
Un po' più costoso, parzialmente interattivo
Non completamente interattivo, non
completamente flessibile
Autoistruzione
Seminari autogestiti
Carichi di potenziale mo- Non sempre la competenza necessaria
14
è disponibile
tivazionale, non costosi
Si risparmia sui costi (eCorsi, conferenze organizzati conomia di scala), si posda terzi.
sono avere i migliori esperti
Non perfettamente sintonizzati sui
fabbisogni dell'organizzazione
Corsi, conferenze organizzate
all'interno
Sintonizzati sui bisogni
dell'organizzazione
Molto costosi
Formazione a distanza
Interattiva e non costosa
Difficoltà tecniche e psicologiche
Affiancamento
Completo
Richiede molto tempo
Simulazioni
Risparmia tempo
Gli mancherà sempre il senso del reale
Presentazioni generalistiche /
azioni di indottrinamento
Dà una prospettiva alla
routine quotidiana
Non si mette a fuoco esattamente
quello che va cambiato nel proprio
comportamento
Molto efficaci
I partecipanti corrono il rischio di credere che la formazione non ha niente a
che vedere con la loro situazione concreta
Attività formative di tipo socio-psicologico
completando il tutto con la tabella riassuntiva che segue
TABELLA RIASSUNTIVA: TABELLA N°10
Modulo Scade- Gruppo Cambiano Strumento Cambiano Strumento Cambiano Strumento
formanza
professio- D di co- didattico D di abili- didattico
D di
didattico
tivo
nale (a)
noscen- scelto (c)
tà (d)
scelto (e) compor- scelto (g)
ze (b)
tamenti
(f)
[…]
PROGRAMMA (tipo) AUDITS
DOCENTE
Data
A
xx.xx.2007
B
xx.xx.2007
C
xx.xx.2007
Orario
No. del Corso
Sede
AUDITORE
Il profilo del mio apprendista
xx-2007
Rivera
B
2000-
Insegnare in azienda: gli stru-
xx-2007
2200
menti
Bellinzona
C
Bellinzona
D
18452200
13301645
Argomento /
L’adolescente oggi 2
La promozione della salute sul
posto di lavoro
15
xx-2007
D
xx.xx.2007
15151645
xx-2007
Integrare e motivare
Bellinzona
A
Scelta dei criteri da valutare
La scelta dei criteri da valutare è stata operata sulla scorta di riflessioni personali e
attraverso il coinvolgimento dei colleghi e dei relatori occupati a tempo pieno presso il CFF. Si è voluto, in altre parole, evidenziare e valutare quelle che sono le
competenze di soglia e distintive dei formatori operanti nell’erogazione del corso in
oggetto. I criteri considerati sono:
•
•
•
•
•
•
•
•
9
Approccio / entrata in materia
o contestualizzare l’intervento in funzione del pubblico (eterogeneità dei partecipanti) e tecniche “rompighiaccio” adottate
Metodologia pedagogica in relazione ai temi
o la sfida è quella di rendere sfidante e attrattiva anche la materia più ostica,
quale ad esempio la relazione sugli aspetti legali e contrattuali
Utilizzo della documentazione cartacea
o abbiamo da poco introdotto un nuovo strumento di supporto didattico9 e i
formatori hanno ricevuto il mandato di utilizzarlo opportunamente e parallelamente alla documentazione personale prodotta e distribuita dal relatore
Utilizzo dei supporti didattici a disposizione (lucidi, beamer, ecc.)
o apparentemente banale, la questione dell’uso dei supporti didattici è ritenuta importante dai partecipanti e percepita soggettivamente in modo diverso.
Tenere in debita considerazione l’alternanze di supporti uditivi, visivi e sensoriali costituisce un importante competenza professionale
Reattività del formatore agli stimoli e alle domande dei partecipanti
o da questo parametro si evince la motivazione, la preparazione specifica e
la competenza distintiva del formatore flessibile e attento alle esigenze dei
partecipanti
Credibilità del formatore (anche in relazione al suo atteggiamento non verbale) - Carisma
o tipicamente soggettiva, la percezione dei partecipanti su questo parametro
determina in larga misura il successo dell’intero intervento. Questo non si
impara e rientra nell’insieme delle competenze distintive e d’eccellenza.
Rispetto dei tempi e ritmo dell'intervento
o tecnicamente importante, questo criterio determina e riassume i concetti di
presidio dell’attività da svolgere e delle reazioni proposte dall’auditorium
Valutazione complessiva dell'intervento
o rappresentata dalla percezione soggettiva dell’auditore
Manuale per i formatori di apprendisti in azienda (cfr. http://hb.dbk.ch/it/index.php )
16
Analisi e scomposizione del formulario di valutazione10
A seguito della descrizione dei criteri selezionati, oggetto della valutazione, sono
convinto che l’insieme dei punti contenuti nel formulario sia di facile interpretazione. Mi voglio soffermare però sulla questione “docimologica” e “semiotica” relativa
alla scelta della scala di valutazione. Il formulario ne prevede 2:
• una che si riferisce alla scala delle note (da 1 a 6) riconosciuta e usata in Svizzera in tutti gli ordini si scuola
• l’altra, semplificata e rappresentata simbolicamente, che fa riferimento alla pure molto conosciuta scala di Likert11, liberamente e arbitrariamente limitata a 3
parametri.
Quali sia la migliore scala, rispettivamente quale sarà meglio percepita e valorizzata sia dall’auditore, sia dall’auditato non ci è dato, per il momento di sapere. Intendo lasciarmi guidare dalle prime esperienze in occasione delle quali chiederò
all’auditore di utilizzarle entrambe; solo in seguito mi sarà possibile decidere.
Conclusioni
Sottopongo al Prof. Balducci il lavoro di approfondimento alfine di poter ricevere
importanti feedback sull’applicazione concreta del concetto, nonché di poter acquisire la certificazione del Modulo 4 del MaGF2.
Ringrazio e saluto cordialmente
Walter Seghizzi
10
Cfr. Allegato 1 al presente documento
La scala Likert prevede che una lista di affermazioni (items), semanticamente collegate agli atteggiamenti su cui si vuole indagare, venga sottoposta ad un gruppo di individui assieme a cinque
possibili alternative di risposta: completamente d’accordo, d’accordo, incerto, in disaccordo, in
completo disaccordo (che, nella versione originale utilizzata da Likert vengono così definite:
strongly agree, agree, uncertain, disagree, strongly disagree).
11
17
Allegato 1
Divisione della formazione professionale - Corsi per formatori di apprendisti in azienda
SCHEDA AUDIT INTERNO QUALITÀ - ATTIVITÀ PEDAGOGICHE
Auditore
Auditato
Auditato
Argomento / Criterio
No. corso
Reazione aula osserosser- Valutazione
vata
data
Valutazione semplificata
da 1 a 6
☺
Approccio / entrata in materia
Osservazioni supplementari::
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18
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19
Argomento / Criterio
Reazione aula osserosser- Valutazione
vata
Valutazione semplificata
da 1 a 6
☺
Metodologia pedagogica in
relazione ai temi
Osservazioni supplementari::
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20
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Argomento / Criterio
Reazione aula osserosser- Valutazione
vata
Valutazione semplificata
da 1 a 6
☺
Utilizzo della documentazione cartacea
Osservazioni supplementari::
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21
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22
Argomento / Criterio
Reazione aula osserosser- Valutazione
vata
Valutazione semplificata
da 1 a 6
☺
Utilizzo dei supporti didattici a disposizione (lucidi,
beamer, ecc.)
Osservazioni supplementari::
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23
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Argomento / Criterio
Reazione aula osserosser- Valutazione
vata
Valutazione semplificata
da 1 a 6
☺
Reattività del formatore agli
stimoli ed alle domande dei
partecipanti
Osservazioni supplementari::
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24
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Argomento / Criterio
Reazione aula osserosser- Valutazione
vata
Valutazione semplificata
da 1 a 6
☺
Credibilità del formatore
(anche in relazione al suo
atteggiamento non verbale)
- Carisma
Osservazioni supplementari::
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25
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Argomento / Criterio
Reazione aula osserosser- Valutazione
vata
Valutazione semplificata
da 1 a 6
26
☺
Rispetto dei tempi e ritmo
dell'intervento
Osservazioni supplementari::
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27
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Argomento / Criterio
Reazione aula osserosser- Valutazione
vata
Valutazione semplificata
da 1 a 6
☺
Valutazione complessiva
dell'intervento
Osservazioni supplementari::
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________________________________________________________________________________
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28
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Suggerimenti al formatore auditato
Suggerimenti al responsabile del CFF
Firma dell'auditore
Firma dell'auditato
È necessario / richiesto un colloquio alla presenza del responsabile CFF
29
A seguito della valutazione non è necessario discutere dei risultati dell'audit
Spazio riservato al responsabile del CFF (lasciare in bianco)
Scheda ricevuta il
Colloquio con
Colloquio con
Classificazione /
l'aud
l'auditore
l'audi
l'auditore
trat
trattamento
Data – ora - luogo
Data – ora - luogo
30
Allegato 2
Metodo di valutazione interna
Tipo di corso
Corso per Formatori di Apprendisti (base)
base)
Criteri
Obiettivi e inindica
dicatori
Pertinenza e
compatibilità
Mantenimento della
capacità
dell’intervento formativo di rispondere ai
bisogni reali
dell’utenza.
80% dei formatori
con esperienza
Breve descrizione del metodo e degli strumenti utilizzati
In sede di pianificazione ed organizzazione annuale (giugno /luglio), il responsabile del CFF, d’intesa con il responsabile dei corsi e tenuto conto dei risultati valutativi (formulari audits interni e formulari di valutazione dei partecipanti), riseleziona il team di formatori che animerà i corsi della stagione seguente (il calendario segue l’anno civile).
pluriennale a contatto con la FP in
Ticino
Valutazioni finali
mediamente u-
31
guali o superiori
al 5 (interesse/utilità)
Corrispondenza tra
obiettivi didattici del
corso e risultati concreti in azienda
Valutazioni finali
mediamente u-
Efficacia
guali o superiori
al 5 (interes-
Le modalità di verifica del “transfer” sul posto sono ancora da definire; si profila la possibilità di somministrazione
di un ulteriore formulario che sarà studiato entro la fine del 2005
se/utilità)
Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti
80 % “follow up
sul posto” positivo del transfer a
tre mesi
Efficienza
Conformità e
coerenza
Mantenere un rapporto
Tassa/RU superiore ad
80.000
Conciliare i vincoli legali con la trasferibilità
delle competenze acquisite
Valutazioni finali
Gestione risorse umane in e out sourcing da parte del responsabile del CFF (assegnazione incarichi interni e mandati
esterni) e pianificazione numero di corsi e contingente di partecipanti (risorse logistiche e approccio didattico)
Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti
Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti
mediamente uguali o superiori
al 5 (interesse/utilità)
Accettabilità
Mantenere un elevato
32
grado di soddisfazione
generale dell’utenza
Valutazioni finali
mediamente uguali o superiori
al 5
Garantire la rapidità
d’intervento necessa-
Sincronismo
ria a risolvere i problemi (sia didattici, sia
Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti (segnatamente delle osservazioni “aperte” e della valutazione
relativa al tempo dedicato)
organizzativi) riscontrati
33
Master professionalizzante
in
Gestione
della
Formazione
per dirigenti
di istituzioni formative
Certificazione Modulo 7
La gestione della comunicazione
Relatore Prof. Francesco Lurati
Le aspettative degli stakeholders dei corsi interaziendali nella Nuova Formazione Commerciale: un’analisi empirica e una proposta
concreta di nuova comunicazione per un aumento della percezione positiva.
Marco Ricci
Formatore aziendale diplomato. Titolare della Clic, formazione e consulenza formativa di M. Ricci
[email protected]
Marco Ricci, 6825 Capolago
MaGF 2
Lavoro di certificazione per il Modulo 7 – La gestione della comunicazione
Indice
0
Abstract ...................................................................................... 3
1
Utilità del presente lavoro .............................................................. 4
2
La formazione nel commercio in Svizzera ......................................... 4
3
Gli Stakeholders della Nuova Formazione Commerciale ...................... 5
4
La percezione dei corsi interaziendali............................................... 5
5
Issues......................................................................................... 6
6
Ripercussioni sui CI ...................................................................... 7
7
Scopi e obiettivi del piano di comunicazione ..................................... 7
8
Misure ........................................................................................ 8
9
Messaggi ..................................................................................... 9
10
Pubblico e mezzi di comunicazione utilizzabili ................................... 9
11
Il percorso cognitivo ..................................................................... 9
12
Piano di comunicazione e media ................................................... 10
13
Marketing.................................................................................. 11
14
Conclusioni ................................................................................ 11
15
Bibliografia ................................................................................ 12
Certificazione modulo 7 - Ricci Marco.doc
Pagina 2 di 12
Marco Ricci, 6825 Capolago
MaGF 2
Lavoro di certificazione per il Modulo 7 – La gestione della comunicazione
0
Abstract
Il presente lavoro nasce sia dalla necessità di certificazione del Modulo 7 del MaGF ma anche dal
mandato ricevuto dalla Commissione Cantonale Per la Formazione nel Commercio (CCPFC) di
tenere un workshop per le formatrici e i formatori dei corsi interaziendali (CI) con l’obiettivo di
definire delle “linee guida” che saranno adottate da tutto il gruppo dei formatori per migliorare
l’immagine che i Ci hanno presso gli stakeholders e l’opinione pubblica. In questa sede rinuncio
a illustrare i contenuti e le modalità di questo workshop in quanto troppo particolare per il discorso globale richiesto dal lavoro di certificazione.
Dopo un’introduzione alla nuova formazione commerciale in vigore dal settembre 2003, ho evidenziato quali sono i portatori d’interesse della CCPFC, con particolare riferimento a questi quattro pubblici:
¾
le apprendiste e gli apprendisti
¾
le aziende e i datori di lavoro
¾
la Divisione per la Formazione Professionale (DFP)
¾
le formatrici e i formatori dei CI.
Una ricerca, se pur empirica, dimostra che i CI non godono di molta considerazione. Parte integrante della formazione professionale, nell’apprendistato di commercio non sono ancora riusciti
a ritagliarsi un’immagine positiva: anzi sono visti come una perdita di tempo o una giornata di
vacanza supplementare. Da qui la necessità di definire un piano di comunicazione che abbia lo
scopo di migliorare l’immagine dei CI, tramite un miglioramento della comunicazione interna e
con le aziende, ma anche con misure di coinvolgimento degli stakeholders maggiormente toccati.
Le misure sono state definite per ogni singolo pubblico, coinvolgendo anche i mass-media al fine
di trasmettere un messaggio positivo all’opinione pubblica sull’importanza dei CI nell’ambito della formazione commerciale di base.
Grazie ai diversi interventi del Modulo 7, mi stato più facile definire anche alcuni aspetti del
marketing e prevedere argomentazioni da portare sottoforma di “slogan” facilmente applicabili
nella realtà.
La partecipazione al Modulo 7 del MaGF e l’elaborazione del presente lavoro mi hanno permesso
di analizzare in modo più strutturato la situazione dei corsi aziendali della nuova formazione
commerciale, formazione che mi vede coinvolto nel duplice ruolo di formatore degli apprendisti,
così come in quello di formatore dei formatori in azienda. La mia vuole essere un’analisi critica
della situazione attuale per quanto attiene alle professioni del commercio e portare un contributo a un possibile cambiamento; non vuole essere, certamente, una valutazione dell’attuale modo di gestire la formazione degli apprendisti.
Certificazione modulo 7 - Ricci Marco.doc
Pagina 3 di 12
Marco Ricci, 6825 Capolago
MaGF 2
Lavoro di certificazione per il Modulo 7 – La gestione della comunicazione
1
Utilità del presente lavoro
Premetto che il mio statuto di formatore freelance non mi permette di elaborare un documento
che possa essere adottato dal mio istituto formativo. Il presente lavoro, al di la del fatto che
serve quale certificazione del Modulo 7, vuole essere un’analisi, se pur empirica, della visione
che i vari stakeholders hanno dei corsi interaziendali (CI), attività formativa alla quale collaboro,
su mandato della Commissione Cantonale Per la Formazione nel Commercio (CCPFC).
Questa ricerca è empirica per il fatto che i dati raccolti sono puramente casuali, nel senso che
non erano destinati a un lavoro specifico, ma unicamente il frutto di osservazioni e di colloqui
avuti con apprendisti, maestri di tirocinio, rappresentanti di aziende, colleghe e colleghi formatori. Solo la concomitanza con il mandato ricevuto dalla CCPFC e il Modulo 7 ha fatto si di poter
utilizzare i dati raccolti per una riflessione sul tema proposto.
I risultati del presente studio, che non ha la pretesa di essere esaustivo a causa, soprattutto,
delle risorse attribuite, potranno essere messi a disposizione di chi si occupa sia dell’organizzazione sia dell’erogazione della formazione aziendale.
2
La formazione nel commercio in Svizzera
Dal settembre 2003, dopo una sperimentazione durata quasi 10 anni, in Svizzera è stata introdotta una nuova formazione commerciale, che ha come particolarità principale quella di attribuire una maggiore responsabilità alle Aziende, non solo per quanto riguarda la formazione, ma
anche per la valutazione degli apprendisti.
In questo loro lavoro le Aziende sono sostenute dalla Commissione Cantonale per la formazione
nel commercio (www.ccpfc.ch) che ha anche il compito di organizzare i corsi interaziendali. Questi corsi servono sia quale complemento di informazione per il raggiungimento degli obiettivi di
apprendimento fissati, sia per la preparazione degli apprendisti ad affrontare gli esami.
Se altre professioni già prevedono, da diversi anni, i CI, nel commercio questa modalità di erogare formazione professionale in un ambito che non è riconducibile direttamente alla scuola
(CPC) o all’azienda stessa non è ancora riconosciuto quale componente a pieno titolo di tutto il
percorso di formazione da tutte le parti interessate.
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Lavoro di certificazione per il Modulo 7 – La gestione della comunicazione
3
Gli Stakeholders della Nuova Formazione Commerciale
Per motivi di tempo e per il fatto che il mandato ricevuto riguarda innanzitutto la formazione
delle formatrici e dei formatori che intervengono ai CI, sono stati evidenziati quattro stakeholders di riferimento:
¾
le formatrici e i formatori
¾
l’autorità di vigilanza (la Divisione per la formazione professionale con i servizi a lei subordinati)
¾
le persone in formazione
¾
le aziende, nel duplice ruolo di datori di lavoro e formatrici professionali.
4
La percezione dei corsi interaziendali
Pur conscio di non aver provveduto a una ricerca con criteri scientifici, la percezione dei corsi
interaziendali può essere così riprodotta:
Da queste percezioni vengono estrapolate le issues che necessitano, soprattutto, di un intervento a livello di comunicazione.
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Lavoro di certificazione per il Modulo 7 – La gestione della comunicazione
5
Issues
Se la issue principale può essere riferita al fatto che i CI non sono ancora accettati quale parte
integrante della formazione duale del percorso d’apprendistato, a dipendenza degli attori emergono altre issues che possono essere così riassunte:
A livello organizzativo bisogna inoltre tener conto che sussistono i seguenti aspetti pratici che la
rendono molto più simile a una formazione scolastica che non a una formazione aziendale:
¾
non esiste un laboratorio, come in altri professioni, che riproduca il lavoro d’ufficio
¾
già il fatto che gli apprendisti non devono “indossare una tuta di lavoro” al momento in cui
frequentano un CI fa si che l’identificazione nella professione non sia alta o, in molti casi,
non ci sia del tutto
¾
per ovvi motivi, l’erogazione della formazione è legata a degli aspetti “scolastici”:
o “la stanza” ricorda molto un’aula scolastica anche per i supporti fissi utilizzati (lavagna,
flipchart, beamer, retroproiettore, ecc.)
o il gruppo è, solitamente, composto da 12 a 16 partecipanti con obiettivi e compiti uguali, al contrario di quanto avviene nella loro realtà
o il lavoro in comune è, necessariamente, composto anche da parti teoriche di sostegno
o la figura del formatore è confusa con quella del o della docente della scuola (e alcuni
sono contenti di farsi chiamare “sore” o “soressa”…)
¾
la presenza del “burbero” custode dell’immobile richiama molto la figura del bidello scolastico
¾
i formatori e le formatrici non hanno la possibilità di rilasciare una valutazione riconosciuta
sull’operato dei partecipanti (viene unicamente allestita una valutazione sulla puntualità,
sulla motivazione dimostrata, ecc.).
Sarà soprattutto su questi aspetti che il workshop che sono stato chiamato a preparare e ad animare dovrà discutere.
Da rilevare, tra i successi, il feedback positivo ottenuto con l’organizzazione del primo campionato regionale per impiegati di commercio. In particolare
¾
per gli apprendisti: in generale maggiore motivazione e coinvolgimento
¾
per i datori di lavoro: riconoscimento dello sforzo compiuto per avvicinare di più la formazione al mondo del lavoro
¾
per la DFP: sostegno a un’attività finora pilota nel campo della formazione commerciale
¾
per i formatori: più possibilità di uscire dal ruolo del “docente” per entrare in quello di “direttore d’azienda”
Da rilevare anche l’interesse dei media, giornali, radio e televisioni, con copertura completa
dell’avvenimento.
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Lavoro di certificazione per il Modulo 7 – La gestione della comunicazione
6
Ripercussioni sui CI1
La situazione oggi può essere letta, oltre che nell’issue identificata, anche per il fatto che sono
visti come una “giornata di vacanza” da parte degli apprendisti e “una perdita di tempo” da parte di alcune aziende che, a volte, rinunciano a mandare il proprio apprendista per non meglio
precisati “motivi di lavoro” senza che possano essere sanzionati. Solo da parte delle formatrici e
dei formatori la tenuta di questi corsi viene vista per quello che dovrebbe essere: un’opportunità
di sostegno nel percorso di apprendistato.
7
Scopi e obiettivi del piano di comunicazione
Conscio che la comunicazione si traduce in questi elementi2
lo sforzo principale sta nell’adattare al contesto dei CI le attività e le variabili comunicative così
come rappresentate graficamente negli appunti del prof. Lurati
Scopo di questa azione di comunicazione sarà quello di migliorare l’immagine dei CI, tramite un
miglioramento della comunicazione interna e con le aziende, ma anche con misure di coinvolgimento degli stakeholders maggiormente toccati.
Gli obiettivi dovranno essere pertanto riferiti ai singoli aspetti della comunicazione ma anche ai
singoli pubblici, come meglio appare nella tabella riportata di seguito:
1
e di conseguenza anche sull’immagine della CCPFC quale responsabile dell’erogazione dei corsi
2
tratto dagli appunti personali presi durante la relazione del prof. Eddo Rigotti e non verificati dal relatore
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MaGF 2
Lavoro di certificazione per il Modulo 7 – La gestione della comunicazione
Pubblico destinatario
Obiettivi
Apprendisti
¾
¾
aumentare la consapevolezza presso almeno il 90 % degli
apprendisti che i Ci sono utili per la loro formazione entro la
fine del loro apprendistato
aumentare la disponibilità di almeno il 90 % degli apprendisti a svolgere un’opera di divulgazione positiva sull’importanza dei CI entro giugno 2008
Aziende e datori di lavoro
¾
aumentare del 60% i pareri positivi delle aziende formatrici
e dei datori di lavoro in generale in merito alla validità dei CI
quale strumento di formazione integrata entro i prossimi tre
anni
DFP
¾
assicurarsi entro giugno 2008 che il messaggio sulla validità
dei CI sia diffuso in modo positivo da tutti gli operatori DFP
coinvolti
Formatrici/tori
¾
aumentare nel gruppo dei formatori CI la consapevolezza
dell’importanza di identificarsi nel ruolo di formatori più che
di docenti entro la fine del 2008
aumentare lo scambio di esperienze tra formatrici e formatori CI entro fine 2008
aumentare la proattività delle formatrici e dei formatori
nell’ottica di ottenere nuove modalità di insegnamento nei CI
entro giugno 2008
¾
¾
8
Misure
Sulla base degli obiettivi enunciati sopra, si possono prevedere le seguenti misure3:
¾
organizzare workshop e attività di “coesione” nel gruppo dei formatori CI per ottenere
o un maggiore scambio di esperienze
o un coinvolgimento e un’identificazione maggiori
o delle linee guida adottate da tutti
¾
pubblicizzare presso le aziende, la DFP, gli apprendisti e l’opinione pubblica tramite Newsletters e i mass-media le attività dei CI e ribadire la loro importanza nell’ambito della formazione commerciale
¾
incrementare la “sponsorizzazione” delle aziende tramite la messa a disposizione di strutture
o di casi pratici per rendere più vicina alla realtà la formazione CI
¾
creare nuove modalità di formazione più vicina alla realtà operativa degli apprendisti (laboratori, casi pratici, concorsi, ecc.)
¾
appoggiarsi su gruppi di progetto composti da maestri di tirocinio e formatori per la creazione di “corsi di sostegno” sia inseriti nei CI sia come offerta complementare
¾
istituire incontri regolari tra i formatori CI e i docenti CPC al fine di coordinare meglio
l’insegna-mento delle diverse aree tematiche in ottica più professionale (per esempio con
l’erogazione della teoria a scuola e l’elaborazione pratica nei CI)
3
per il momento si rinuncia a definire più in dettaglio l’adozione di queste misure per motivi di tempo e di
risorse, nonché conscio dell’importanza di una condivisione delle idee di base con il gruppo dei formatori CI
e con la CCPFC.
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9
Messaggi
I messaggi possono essere così formulati e abbinati ai singoli destinatari:
Messaggio
Apprendisti
Aziende
Un sostegno sicuro
X
X
Un’opportunità di crescita professionale
X
Un nuovo modo di vedere il mondo professionale
Per un futuro professionale più gratificante
10
DFP
Formatori
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Pubblico e mezzi di comunicazione utilizzabili
Sulla base degli appunti redatti durante le lezioni del prof. Lurati, posso allestire un rapporto tra
i diversi pubblici destinatari e i mezzi di comunicazione come segue, evidenziando anche
l’impatto che la mia comunicazione può avere su detti pubblici
11
Il percorso cognitivo
Consapevolezza
Interesse
Valutazione
Prova
Adozione
Apprendisti
Aziende
DFP
Formatori CI
Media/Opinione pubblica
Percorso primario
Percorso secondario
Con questo percorso cognitivo si vuole arrivare a toccare prevalentemente i pubblici degli apprendisti e dei formatori, passando dalle aziende. Il sostegno dei media verrà richiesto quando
si sarà arrivati ad avere un buon grado di consapevolezza a livello dei due pubblici primari, così
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Lavoro di certificazione per il Modulo 7 – La gestione della comunicazione
da trasmettere alle Aziende, in modo indiretto e all’opinione pubblica un messaggio positivo su
questa formazione.
12
Piano di comunicazione e media
Una proposta di piano di comunicazione diretta e tramite i media può essere rappresentata come segue:
Apprendisti
Flyer di presentazione dei corsi
Richiamo al momento della convocazione ai corsi
Incontri trimestrali di presentazione delle attività
Aziende
Contatti diretti per ottenere collaborazioni/sponsorizzazioni mirate
Newsletter
Incontro con gli operatori interessati per
presentare le misure di comunicazione
DFP
Creazione di una commissione di coordinamento
con rappresentanti DFP, della scuola e dei CI
Workshop di condivisione e di costruzione
comune per
Formatori
Modalità
Contenuti
Incontri prima dei CI per la preparazione di linee guida comuni
Incontri dopo le finestre dei CI per un feedback
Piano di comunicazione
e media
Comunicato stampa di presentazione (entro fine novembre)
Generico
Conferenza stampa dopo i primi risultati positivi
Editoriali o interviste con le figure di riferimento
Corriere del Ticino
La Regione
Giornale del Popolo
Ticino Management
Giornali e riviste
Illustrazione Ticinese
Ticino Business
Azione
Cooperazione
Interviste con le figure di riferimento
RSI
Partecipazione a "tipi" o "modem" o
"generazioni" o altri spazi utili
Massmedia
Interviste con le figure di riferimento
Radio Fiume Ticino
Radio
Partecipazione a trasmissioni ad hoc
Promozione di uno spazio "apprendista di
commercio"
Interviste con le figure di riferimento
Radio iii
Partecipazione a trasmissioni ad hoc
Promozione di uno spazio "apprendista di
commercio"
Interviste con le figure di riferimento
TSI
Partecipazione a "Buonasera" o ad altro
spazio utile
Televisione
Interviste con le figure di riferimento
Teleticino
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Partecipazione a "Piazza del Corriere" o ad
altro spazio utile
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13
Marketing
Grazie all’intervento del prof. Snehota ho potuto farmi un’idea più precisa di cosa si può intendere come marketing dei servizi. In particolare prendo a prestito questa immagine
Passaparola
(referenze)
Aspettative
Esperienza
(il vissuto)
Interazione
(erogazione)
che ben rappresenta quanto sia importante il fatto che il progetto comunicativo può avere successo solo se esiste un coinvolgimento che porti all’acquisizione di una esperienza, a una interazione positiva che soddisfi le aspettative e, di conseguenza, a un passaparola positivo.
Il fatto poi che l’apprendista, in particolare, ma anche le aziende si trovino in una situazione
come quella rappresentata di seguito, il più delle volte in modo inconsapevole, ci deve portare a
preparare non solo un piano di misure di miglioramento dell’erogazione e della comunicazione
ma fare in modo che la consapevolezza del bisogno raggiunga i destinatari.
La maggior parte degli apprendisti non riesce, infatti, a vedersi come una persona in formazione
che ha dei bisogni che l’azienda, la scuola e i CI possono colmare (le soluzioni) ma come un “operatore” già introdotto nel mondo del lavoro e pertanto già “autosufficiente” per le mansioni
che deve svolgere.
14
Conclusioni
La partecipazione al modulo 7 del MaGF e l’elaborazione del presente lavoro mi hanno permesso
di analizzare in modo più strutturato la situazione dei corsi aziendali della nuova formazione
commerciale, formazione che mi vede coinvolto nel duplice ruolo di formatore degli apprendisti,
così come in quello di formatore dei formatori in azienda. La mia vuole essere un’analisi critica
della situazione attuale per quanto attiene alle professioni del commercio e portare un contributo a un possibile cambiamento; non vuole essere, certamente, una valutazione dell’attuale modo di gestire la formazione degli apprendisti.
Ringrazio già sin d’ora il Prof. Lurati per la sua valutazione e per i suggerimenti che mi vorrà dare in merito a questo argomento.
Lugano, 10 novembre 2007
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MaGF 2
Lavoro di certificazione per il Modulo 7 – La gestione della comunicazione
15
Bibliografia
•
Psicologia del lavoro, Guido Sarchielli, Il Mulino
•
Management e marketing dei servizi, Groonroos C., ISEDI
•
L’approccio psicosocioanalitico allo sviluppo delle organizzazioni, Forti
D. e Varchetta G., FrancoAngeli Editore,
•
Image. Le metafore dell’organizzazione, Morgan G., a cura di M. Balducci, Franco Angeli
•
Leadership riflessive. La ricerca di anima nelle organizzazioni, Vitullo
A., Apogeo
•
Le strategie della comunicazione umana, Mastronardi Vincenzo, FrancoAngeli Editore
•
Appunti personali e documentazione ricevuta dai singoli relatori durante il modulo 7 La gestione della comunicazione, Francesco Lurati,
Eddo Rigotti, Jvan Snehota
•
Lavoro di certificazione del Modulo 5 “Le aspettative dei futuri impiegati di commercio vs le esigenze del mercato del lavoro: un’analisi
empirica partendo dal modello di Leplat e Cuny”, Marco Ricci, relatore
prof. Guido Sarchielli
Certificazione modulo 7 - Ricci Marco.doc
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Master professionalizzante
in
Gestione
della
Formazione
per dirigenti
di istituzioni formative
Certificazione Modulo 8
Relatore Prof. Armand Claude
Lavoro di certificazione: il Sistema di Gestione
della Qualità nel nuovo corso TRIS
Marco Ricci – Formatore aziendale diplomato. Titolare della Clic, formazione e consulenza formativa di M. Ricci
e-mail: [email protected]
Marco Ricci
Certificazione Modulo 8 – MaGF 2
0 Mandato
¾
¾
parte obbligatoria: breve analisi della gestione della qualità nella propria sede:
Cosa esiste già? Quali sono le esperienze fatte finora nella valutazione dell'apprendimento,
dell'insegnamento, di aspetti strutturali o culturali della scuola?
Esiste un'organizzazione specifica all'interno della sede per la gestione e lo sviluppo della qualità? Ci sono delle competenze particolari nel collegio docenti in questa materia?
Quali sono le sfide maggiori, nei prossimi tempi, per uno sviluppo sistematico della qualità
della scuola e dell'insegnamento?
una parte a scelta, ad esempio:
- una bozza di valutazione interna progettata al livello della sede
- un piano per introdurre, nella scuola, il feedback periodico in relazione con l'insegnamento
- l'inserimento di un progetto di sede già iniziato in un concetto più globale di gestione della qualità della stessa sede
- l'inserimento di standards (p. es. della formazione professionale o di HarmoS) in un concetto globale di qualità.
1 Considerazioni generali
La mia posizione di formatore e consulente aziendale freelance, titolare di una ditta individuale di
formazione e di consulenza formativa, non mi permette di sviluppare, in modo completo e basato
sulla realtà di un istituto scolastico, la prima parte del mandato. Pur collaborando con istituzioni
formative, in particolare con la Sic Ticino nei corsi interaziendali per apprendisti di commercio,
con il centro di formazione formatori (CFF) della Divisione per la formazione Professionale e con
altri enti formativi, non ho mai avuto l’occasione di discutere con i responsabili del centro degli
aspetti concernenti la gestione della qualità. Come già annunciato al prof. Claude, rinuncio
all’elaborazione di questa prima parte.
La mia esperienza professionale antecedente alla scelta di seguire la carriera di formatore è stata
però maturata prevalentemente in grandi aziende, in particolare presso l’Unione di Banche Svizzere, poi diventata UBS SA. Nelle varie funzioni ricoperte ho sempre imparato ad applicare il sistema di gestione della qualità, in particolare il TQM, sia nell’operatività bancaria sia nella mia
qualità di formatore e di responsabile della formazione in Ticino. Altre esperienze, più personali
che professionali, mi hanno avvicinato ad altre forme di gestione della qualità quali l’EFQM e il
New Public Management.
A garanzia della qualità per i miei clienti ho comunque pubblicato sul mio sito internet
(www.clic-formazione.ch) la seguente "carta dei principi":
1. Vogliamo offrire ai nostri clienti una consulenza globale nell'ambito della formazione.
2. Vogliamo erogare formazione unicamente nei campi definiti
3. Ci avvaliamo di partner riconosciuti per i campi in cui non possediamo le competenze necessarie
4. Ci impegniamo ad agire in modo trasparente e corretto con tutti i nostri partner
5. Crediamo nel valore della formazione continua: per questo motivo anche noi ci formiamo regolarmente
2 Il percorso TRIS
2.1 Il percorso TRIS
Il percorso TRIS, Tecniche di Ricerca d’Impiego e Sostegno al collocamento, è una formazione
istituita dall’Ufficio Misure Attive della Sezione del lavoro, destinata alle persone che fanno capo
all’assicurazione contro la disoccupazione. Consta di una serie di incontri teorici, durante i quali
vengono spiegati i vari aspetti legati al mondo del lavoro e le modalità da adottare per entrare in
contatto con un possibile datore di lavoro, e di una parte pratica dedicata all’allestimento di Curriculum Vitae, lettere di candidature, allestimenti di strategie, ecc. Il TRIS nella modalità attuale
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Certificazione Modulo 8 – MaGF 2
andrà avanti fino alla fine dell’estate: dal 1° settembre 2008 i due enti erogatori, Fondazione Ecap Ticino – Unia e Labor Transfer SA, dovranno adottare un cambiamento radicale sia per quanto
riguarda i contenuti, ma anche per quanto attiene a modalità e profili di formatori richiesti1.
Nella pagina seguente rappresento graficamente gli stakeholders di questo percorso formativo.
Contrariamente ai corsi per i quali una persona decide volontariamente di partecipare, il percorso
TRIS è una misura solitamente imposta dall’Ufficio di Collocamento Regionale (URC).
Questo aspetto risulta essere fondamentale se paragonato con “I 6 criteri di eduQua” pubblicati
sul sito www.eduQua.ch a beneficio dei consumatori
1. Offerte che, in materia di formazione soddisfano i bisogni generali e i bisogni particolari dei
clienti;
2. Solidità e trasferibilità delle conoscenze e competenze acquisite dai partecipanti;
3. Presentazione trasparente delle offerte di formazione e delle opzioni pedagogiche;
4. Presentazioni orientate alla clientela, economiche, efficaci, efficienti;
5. Formatori impegnati e aggiornati sui più recenti sviluppi metodologici, didattici nel loro specifico campo d’insegnamento;
6. Impegno a garantire e sviluppare la qualità.
Non entro nel merito dei punti che riguardano espressamente elementi di pertinenza dell’ente erogatore, in particolare i punti 3, 4 e 6, è però interessante osservare come nel caso di una formazione imposta la misura della qualità erogata può variare sulla base di situazioni contingenti.
2.2 Elementi difficilmente controllabili all’interno del percorso TRIS
Il principale beneficiario, ma nel contempo anche il principale “interprete” di questa misura attiva,
è sicuramente il/la partecipante2. E richiamo in questa sede i principi illustrati dal prof. Snehota
durante il modulo sulla gestione della comunicazione al MaGF2 secondo i quali la riuscita di un
servizio, costruito alla continua e costante presenza del beneficiario dello stesso, dipende in gran
parte dalla partecipazione del beneficiario stesso. Quali sensazioni/emozioni può vivere il partecipante che si trova iscritto d’ufficio a un simile percorso? È ipotizzabile pensare che:
¾ non si senta motivato “a tornare a scuola”
¾ non si reputi bisognoso di tale formazione
¾ non sia disposto a condividere la propria esperienza con gli altri
¾ non sia disposto a riconoscere “il fallimento” della propria vita
¾ non sia una sua priorità rientrare nel mondo del lavoro3
¾ ecc.
1
confronta capitolo 2.2
per praticità di lettura si userà solo la terminologia al maschile intendo però anche la versione al femminile
3
Ho conosciuto delle signore che se avessero trovato un nuovo posto di lavoro si sarebbero trovate veramente in grosse difficoltà a gestire
il privato
2
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Certificazione Modulo 8 – MaGF 2
Possono esserci però anche dei riscontri positivi:
¾ riavere dei ritmi più regolari
¾ poter condividere la propria esperienza con gli altri
¾ avere grandi aspettative di vero sostegno
¾ ecc.
Altri elementi difficilmente controllabili sono invece da ricondurre alla personalità del formatore
che interviene nel percorso. Già il profilo richiesto non è realizzabile sulla base di una formazione
specifica: necessitano infatti si competenze di gestione d’aula a livello di formatore per adulti, ma,
e soprattutto, conoscenze sulla comunicazione scritta e parlata, conoscenze sulla psicologia umana e, non da ultimo, una approfondita conoscenza del territorio e della sua situazione economica.
Il punto 5 dei criteri di qualità di eduQua prevede che siano impiegati “Formatori impegnati e aggiornati sui più recenti sviluppi metodologici, didattici nel loro specifico campo d’insegnamento”:
se questo è facilmente realizzabile in un contesto “classico” di insegnamento, sia in percorsi formativi sia in corsi estemporanei, risulta più difficile realizzarlo nel contesto TRIS. Per esempio
¾ è sufficiente un attestato professionale federale di formatore per adulti per poter svolgere
questo compito?
¾ come vengono certificate e/o valutate le altre competenze richieste, siano esse emozionali
(empatia, capacità di ascolto, piacere di lavorare in gruppo, ecc.) siano esse più razionali (conoscenza della LADI4, conoscenza del mercato del lavoro, conoscenza delle dinamiche interne
ai singoli settori, ecc.)?
¾ quali offerte di formazione continua, intesa anche come scambio di esperienze tra formatori,
possono essere realizzate?
¾ quanto può essere “impegnato” un formatore in un simile contesto? Ha senso un monte ore di
presenza in sede di 1800 ore annue?
¾ ecc.
2.3 La definizione degli obiettivi
Come ogni percorso formativo che si rispetti, anche nel percorso TRIS devono essere definiti,
condivisi e accettati degli obiettivi5, espressi in un contratto psicologico di formazione. È fuori di
dubbio che l’obiettivo principale del percorso è quello di portare il partecipante a rientrare, al più
presto, nel mondo del lavoro, obiettivo che implica però anche “la buona volontà” di un datore di
lavoro di assumere il partecipante.
Orbene, finora, gli obiettivi erano puramente quantitativi, del genere
¾ realizzare un tot numero di CV
¾ allestire un certi numero di elenchi di possibili datori di lavoro
¾ effettuare un tot di ricerche mensili
¾ ecc.
Risultati del genere
¾ aumento dell’autostima,
¾ maggior visione delle proprie possibilità e dei propri desideri,
¾ recupero della voglia di vivere una vista sociale,
¾ ecc.
sembravano interessare solo la persona coinvolta e alcuni tra i formatori più “impegnati”.
I risultati dimostrano invece che i migliori risultati si sono ottenuti quando la persona è riuscita a
uscire dal “tunnel” della condizione demotivante, a trovare più soluzioni applicabili alla propria situazione, e in non pochi casi, a prendere in mano la propria vita e ad assumersi le proprie responsabilità.
4
legge federale sull’assicurazione contro la disoccupazione
si rimanda in particolare a Massimo Bruscaglioni, La gestione dei processi nella formazione degli adulti, Franco Angeli Editore, cap. 6 “La
sessione di apertura di un corso e la stipulaione del contratto psicologico di formazione.”
5
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Certificazione Modulo 8 – MaGF 2
A questo punto viene da dire che “una soluzione standard” mal si coniuga con quanto enunciato
dal punto 1 dei 6 principi eduQua, nel senso che l’ente erogatore deve proporre “offerte che, in
materia di formazione soddisfano i bisogni generali e i bisogni particolari dei clienti”.
2.4 I cambiamenti che interverranno nel nuovo percorso TRIS
Schematicamente possono essere riassunti in questa immagine (ho usato volontariamente la foto
della schematizzazione uscita in una riunione di valutazione della nuova proposta):
Le figure di riferimento che già avevamo nella precedente soluzione (consulente URC e formatore)
vengono affiancate da un coach che aiuterà il partecipante a migliorare, seguito dal formatore, le
proprie conoscenze “tecniche” (allestimento di un CV personale, creazione di modelli di lettere,
ricerca di possibili datori di lavoro, ecc.), ma altresì a “prendere in mano la propria vita” e a decidere “cosa vuole fare da grande”, indipendentemente dall’età.
Durante i colloqui d’entrata nel percorso citavo sempre al partecipante la seguente frase: “Ognuno di noi è sicuramente un grande professionista nel proprio settore! Il problema è che continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto (ottenendo sempre gli stessi risultati…) credendo
che l’essere in disoccupazione sia una professione. Ma non lo è…”
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Certificazione Modulo 8 – MaGF 2
3 La gestione della qualità nel nuovo percorso TRIS
Anche in questo caso voglio commentare i punti salienti del Sistema di Gestione della Qualità con
l’ausilio dell’immagine precedente
Per la prima fase del Sistema di Gestione della Qualità (SCQ) è, a mio parere, necessario allestire
un documento tipo quello presentato dal signor Marco Quattropani6 durante il modulo, con il titolo
“itinerario di progetto” (vedi allegato). Su questo documento potranno essere indicati sia i passi
proposti, sia gli obiettivi qualitativi e quantitativi che dovranno essere raggiunti (contratto psicologico formativo). Sarà pertanto da considerare un documento “a più mani”: il partecipante, il collocatore, il coach ed eventuali altre persone se le misure proposte dovranno essere autorizzate da
istanze speciali (per esempio il poter seguire uno stage).
Alla fine del percorso si dovranno adottare due tipologie di valutazioni: la prima da parte del partecipante, la seconda da parte del coach e dei formatori intervenuti nel percorso formativo. Per il
partecipante sarà più facile, partendo dal primo formulario “itinerario di progetto”, valutare con
uno strumento tipo la “valutazione dell’attività di formazione continua” (vedi allegato) sia il raggiungimento degli obiettivi, sia gli stati d’animo provati durante il periodo in cui ha seguito il corso.
Per il coach e i formatori è indispensabile allestire un documento tipo “il rapporto del docente”
(vedi allegato) nella forma di autovalutazione della prestazione, da condividere con gli altri intervenuti. Risulta così, quasi naturalmente, applicato il principio della supervisione d’aula tra colleghi.
6
tutti i formulari citati e allegati sono stati presentati durante il modulo dal sig. Quattropani. Trattandosi per il momento di una proposta ho
rinunciato a personalizzare i documenti.
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Certificazione Modulo 8 – MaGF 2
Fondamentale per l’applicazione “integrale” del SCQ che questa operazione sia vissuta non tanto
come una formalità richiesta dalla certificazione eduQua, quanto come una vera opportunità di
mettersi in discussione applicando il seguente principio definito da W. Edwards Deming
Lo stesso principio deve essere applicato anche dall’ente responsabile dell’erogazione della formazione che deve gestire aspetti quali
¾ la qualità dei contenuti proposti
¾ la valutazione dei coach e dei formatori, sia per quanto riguarda le competenze sia per le modalità che vengono adottato nella gestione d’aula e nell’elaborazione dei contenuti
¾ la formazione continua dei coach e dei formatori
oltre, naturalmente, a tutti gli aspetti gestionali che riguardano la struttura.
Diversi sono i documenti che possono essere utilizzati: l’importante è comunque definire in modo
il più preciso possibile gli obiettivi che si vogliono conseguire come ente e misurare il loro raggiungimento. Uno strumento utile è sicuramente il “sinottico indicatori” (vedi allegato).
Altra modalità utile per la gestione della qualità è la seguente
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Certificazione Modulo 8 – MaGF 2
Personalmente utilizzo questo strumento ogni qualvolta mi trovo confrontato con l’analisi dei bisogni di un committente e con il controllo finale con lo stesso mandante del raggiungimento degli
obiettivi definiti.
4 Conclusioni
La partecipazione al modulo 8 del MaGF e l’elaborazione del presente lavoro mi hanno permesso
di analizzare in modo più strutturato la situazione del percorso TRIS, formazione che mi vede
coinvolto nel duplice ruolo di consulente per la versione di base e di formatore per la versione riservata ai quadri medi e superiori. La mia vuole essere una proposta per l’introduzione di SGQ
che possa portare ai seguenti risultati:
¾ maggior sensibilizzazione di tutte le parti alla qualità
¾ maggior considerazione degli aspetti relativi alla relazione, intendendo con questo più la relazione d’aiuto che un semplice rapporto tra docente e discente
¾ una evoluzione personale positiva dei futuri coach e degli attuali formatori del percorso TRIS.
Ringrazio già sin d’ora il Prof. Armand Claude per la sua valutazione e, soprattutto, per i suggerimenti che mi vorrà dare in merito a questo argomento nell’ottica di un’applicazione pratica.
Lugano, 27 marzo 2008
Pagina 8 di 9
Marco Ricci
Certificazione Modulo 8 – MaGF 2
5 Bibliografia
Massimo Bruscaglioni
La gestione dei processi nella formazione degli adulti
Franco Angeli Editore
Emilio Rago
L’arte della formazione – Metafore della formazione esperienziale
Franco Angeli Editore
Bernard Froman, edizione italiana a cura di Maurizio Pincetti Nervi
Il Manuale della qualità
Franco Angeli Editore
James L. Lamprecht
L’applicazione delle norme Uni En ISO 9000 nelle piccole aziende
Franco Angeli Editore
Michael Pearn – Rajvinder Kandola
L’analisi delle mansioni, dei compiti e dei ruoli
Franco Angeli Editore
A. Castiello D’Antonio
Interviste e colloqui in azienda
Raffaello Cortina Editore
Gareth Morgan
Images – Metafore dell’organizzazione
Franco Angeli Editore
Karl Albrecht
Il servizio interno
Franco Angeli Editore
6 Allegati
Itinerario di progetto (esempio DFP)
Rapporto del docente (esempio DFP)
Valutazione attività formativa (esempio DFP)
Sinottico indicatori (esempio DFP)
Pagina 9 di 9
Edizione
Modulo di lavoro
Pagina
: 31.05.07
: 1 di 2
Itinerario di progetto
Denominazione del progetto:
…………………………………………………………………..
…………………………………………………………………..
No. di progetto:
……………………
Capo progetto:
…………………………………………………
Edizione
Modulo di lavoro
Pagina
: 31.05.07
: 2 di 2
Itinerario di progetto
Fase n.
Denominazione
Commenti
1
1.1
1.2
1.3
1.4
1.5
2
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
2.8
2.9
2.10
2.11
2.12
2.13
2.14
2.15
2.16
3
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6
3.7
3.8
3.9
4
4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
4.7
4.8
Fase introduttiva
Nascita idea, o esigenza
Prima valutazione
Decisione (requisiti, possibilità)
Designazione Capo progetto (CP)
Preparazione strumenti gestione
Fase concettuale
Raccolta dati e informazioni
Analisi situazione iniziale
Impostazione obiettivi
Costituzione team di progetto
Sviluppo soluzioni (varianti)
Valutazione varianti
Scelta variante ottimale
Pianificazione risorse finanziarie
Pianificazione infrastrutture
Considerazione aspetti giuridici (ev.)
Definizione timing di progetto
Allestimento rapporto
Presentazione all’istanza competente
Valutazione
Decisione (fattibilità)
Eventuali modifiche
Fase di realizzazione
Assegnazione risorse necessarie
Attività di informazione
Attività di formazione
Coinvolgimento
Attuazione della soluzione scelta
Documentazione dei risultati
Valutazione da parte del CP
Decisione
Eventuali modifiche
Fase conclusiva
Raccolta dati di progetto
Chiusura aspetti contabili (rapporti)
Sviluppo rapporto di riesame progetto
Presentazione risultati al committente
Accettazione / Validazione
Eventuali modifiche
Scioglimento del team di progetto
Archiviazione dossier di progetto
Data
Resp.
Elenco, Itinerario
Il capo progetto allestisce per ogni progetto un itinerario, che può non includere alcune delle attività sopra descritte.
Devono comunque sempre essere presenti:
•
La definizione degli obiettivi del progetto
•
L’analisi di fattibilità
•
La pianificazione
•
Lo sviluppo della fase concettuale
•
Le verifiche della progettazione
•
Le eventuali modifiche
•
Il riesame e la validazione
Data
Nome del Capo progetto
Visto
Edizione : 12.07
Pagina : 1 di 2
Modulo di lavoro
RAPPORTO DEL DOCENTE
Nome e Cognome del docente
Materie di insegnamento
Grado di occupazione nell’istituto
Anni di insegnamento
Luogo e data
Significato delle valutazioni
1
2
3
4
insufficiente, no, non soddisfatto
sufficiente, abbastanza, abbastanza soddisfatto
buono, sì, soddisfatto
eccellente, assolutamente sì, molto soddisfatto
1
Aspetti relativi alla didattica
Sono soddisfatto delle prestazioni e della qualità dell’insegnamento fornito
Il clima generale delle classi è favorevole all’apprendimento nelle mie materie
Alla fine del ciclo formativo ritengo di aver conseguito gli obiettivi pianificati
I programmi di insegnamento sono adeguati alle attuali esigenze
La documentazione didattica soddisfa le esigenze
Le attrezzature didattiche soddisfano le esigenze
Il comportamento delle classi è soddisfacente dal punto di vista della disciplina
Commenti (se necessario)
Aspetti relazionali
Le relazioni personali con le persone in formazione sono ottime
Le relazioni personali con i rappresentanti legali delle PIF sono ottime
Le relazioni personali con i colleghi sono ottime
Le relazioni personali con la direzione sono ottime
Le relazioni personali con il personale amministrativo sono ottime
Commenti (se necessario)
2
3
4
Edizione : 12.07
Pagina : 2 di 2
Modulo di lavoro
RAPPORTO DEL DOCENTE
1
Aspetti organizzativi
La politica e gli obiettivi generali dell’istituto sono assolutamente chiari
L’impostazione organizzativa dell’istituto mi soddisfa pienamente
La struttura logistica dell’istituto soddisfa le esigenze (spazi e infrastrutture)
L’impostazione della griglia oraria è ottima
Le misure di sicurezza sono adeguate (pianificazione, prevenzione, informazione)
Commenti (se necessario)
Servizi
La Segreteria assicura un servizio accurato
La portineria assicura un servizio accurato
Il servizio di pulizia assicura un servizio accurato
La Biblioteca risponde alle esigenze dell’istituto
Il servizio informatico risponde alle esigenze dell’utenza
Commenti (se necessario)
Aspetti personali
Mi identifico con l’istituto
Mi sento considerato dalla direzione e dai colleghi
Il carico di lavoro è adeguatamente dimensionato
Commenti (se necessario)
2
3
4
Edizione : 07.04
Pagina : 1 di 2
Modulo di lavoro
Valutazione attività di formazione continua
Con il presente questionario le chiediamo di aiutarci a capire in che misura il seminario / corso al quale lei
ha partecipato ha risposto alle sue aspettative.
Il documento costituirà un importante feedback per la pianificazione, rispettivamente il miglioramento,
delle future offerte formative del TQ.
Denominazione del seminario / corso
..........................................................................................................................................................
Data, o periodo di svolgimento
..........................................................................................................................................................
Significato delle valutazioni
1
2
3
4
insufficiente, no
sufficiente, abbastanza
buono, sì
eccellente, assolutamente sì
1
Valutazione generale del seminario / corso
Obiettivi
Gli obiettivi del seminario / corso le erano noti e chiari sin dall’inizio
Il tema del seminario / corso era coerente con la sua attuale funzione o attività
Contenuti e argomenti trattati
I contenuti corrispondevano alle sue aspettative
La scelta dei contenuti del seminario / corso era coerente con gli obiettivi
Quali argomenti aggiungere
Quali argomenti ampliare
Quali argomenti ridurre
Quali argomenti sopprimere
Svolgimento
La discussione dei casi e/o le esercitazioni sono state utili
Le discussioni di gruppo e/o in plenum sono state utili
I supporti audio e/o video sono risultati efficaci
La quantità della documentazione era adeguata allo scopo
La qualità della documentazione era ottima
Gli argomenti sono stati trattati con chiarezza dal relatore …..
Gli argomenti sono stati trattati con chiarezza dal relatore …..
Gli argomenti sono stati trattati con chiarezza dal relatore …..
Gli argomenti sono stati trattati con chiarezza dal relatore …..
Il contributo degli altri partecipanti è stato importante
Durante i lavori, i punti di vista dei partecipanti sono stati presi in considerazione
Il tempo previsto per gli esercizi e le esemplificazioni era adeguato alla necessità
La sede del corso è risultata efficace
2
3
4
Modulo di lavoro
Edizione : 07.04
Pagina : 2 di 2
Valutazione attività di formazione continua
Impatto sull’attività
Le conoscenze acquisite sono immediatamente trasferibili nella mia attività
Le conoscenze acquisite saranno trasferibili a medio-lungo termine nella mia attività
Conclusioni
La durata del seminario / corso era adeguata alla necessità
Il seminario / corso ha fatto nascere in lei nuove esigenze
Se sì, quali
Se no, perché
Ulteriori commenti al presente seminario / corso
Suggerimenti relativi ad ev. approfondimenti, oppure proposte per ulteriori attività formative
Edizione : 11.07
Pagina : 1 di 1
Modulo di lavoro
SINOTTICO INDICATORI
Anno scolastico
2005 / 2006
Processo
Indicatore
Fonte dati
Valore ideale
Valore
misurato
MP1
Livello di aggiornamento dei
docenti
ML1-..
50 h/anno
MP2
Livello di successo agli
esami MPx
ML2-..
MP3
Livello minimo di soddisfazione partecipanti corsi FC
MP4
Intensità attività di progetto
MP5
Attività della biblioteca
Data
15 settembre 2006
Indice conseguimento
Provvedimenti
Respopnsabile
35 h/anno
Migliore pianificazione
Sensibilizzazione docenti
D
90%
100%
Temi più impegnativi
Maggior rigore nella val.
RMP
ML3-..
75%
50%
Analisi di dettaglio
feedback → Azioni
RFC
ML4-..
5 prog./anno
7 prog./anno
ML5-..
800 pr./anno
450 pr./anno
Il Gestore della Qualità (GQ)
25%
50%
75%
100%
Migliorare l’informazione
Incrementare att. ricerca
Alessandro Bianchi
RBIB
Docenti
Master professionalizzante
in
Gestione
della
Formazione
per dirigenti
di istituzioni formative
Certificazione Modulo 8
Valutazione e gestione della qualità
Relatore Prof. Armand Claude ([email protected])
Auditing interno delle attività pedagogiche - 2
L’auto - valutazione formativa espressa dai relatori
Approfondimento in forma di presentazione e documento di lavoro
Walter Seghizzi – Formatore aziendale dipl. fed., Direttore del Centro di formazione per formatori (CFF) della DFP e dei corsi federali per periti d’esame (IUFFP) [email protected]
1
Sommario
ABSTRACT ........................................................................................................................................................3
BREVE PRESENTAZIONE DEL CENTRO .......................................................................................................3
ASSICURAZIONE E SVILUPPO DELLA QUALITÀ.........................................................................................7
Come viene fornita l’immagine della qualità ..............................................................................................7
Persone responsabili della qualità e persone che controllano la qualità...................................................7
Definizione degli obiettivi ...........................................................................................................................7
Provvedimenti adottati per soddisfare i criteri............................................................................................8
Modo d’agire per sviluppare costantemente la qualità ..............................................................................8
Valutazione e autovalutazione...................................................................................................................8
MAPPATURA SEMPLIFICATA DEI PROFILI.................................................................................................10
PROFILO DELLE QUALIFICHE, DIPLOMI.....................................................................................................10
ASSICURAZIONE, MANTENIMENTO E SVILUPPO DELLA QUALITÀ DELLE ATTIVITÀ (EROGAZIONE)
FORMATIVE PRESSO IL CFF ........................................................................................................................11
CONCETTO E PROCEDURA PER L’ALLESTIMENTO DI UN’AUTOVALUTAZIONE DEI RELATORI ....................................11
Il corso di base per formatori di apprendisti in azienda ...........................................................................11
Introduzione ........................................................................................................................................................11
Vantaggi e svantaggi del concetto proposto........................................................................................................11
Procedura............................................................................................................................................................11
GESTIONE DELLE EVIDENZE A SEGUITO DELLE AUTOVALUTAZIONI ......................................................................12
SCELTA DEI CRITERI DA VALUTARE..........................................................................................................12
ANALISI E SCOMPOSIZIONE DEL FORMULARIO DI VALUTAZIONE .......................................................12
CONCLUSIONI ................................................................................................................................................13
ALLEGATO 1 ...................................................................................................................................................14
ALLEGATO 2 ...................................................................................................................................................15
METODO DI VALUTAZIONE INTERNA ..................................................................................................................15
ALLEGATO 3 ...................................................................................................................................................17
TABELLA SINOTTICA TEMI E ARGOMENTI / RISPOSTE (PROF. A. CLAUDE FOGLIO LAVORO D’ESAME DEL 25 GENNAIO
2007) ............................................................................................................................................................17
ALLEGATO 4 ...................................................................................................................................................18
DIAGRAMMA DI FLUSSO- PROCESSO DI REDAZIONE DELL’AUTOVALUTAZIONE ......................................................18
2
Abstract
Il seguente approfondimento dal titolo “Auditing interno delle attività pedagogiche - 2”, in
forma di presentazione e di documento di lavoro, è stato elaborato per il duplice scopo di
conseguire la ricertificazione EduQua del Centro di formazione per formatori della Divisione della formazione professionale (CFF della DFP) ottenuta, la prima volta, il 26 settembre
2005 e di poter quindi implementare definitivamente l’auditing interno attraverso un percorso formativo e certificativo in seno al MaGF2. Per quest’ultimo motivo il presente documento viene sottoposto al Prof. Armand Claude.
L’attività di auditing interno, detta anche di shadowing , peer review, oppure conosciuta
come presenza di un “amico critico”, viene considerata dalla norma (cfr. www.eduqua.ch)
come indispensabile. A fronte di questa “affermazione istituzionale” ne è seguita una personale e operativa; quali sarebbero stati gli ostacoli nell’introduzione di tale modalità?
Quali i pericoli e quali e vantaggi? Come sarebbe stata vissuta dai colleghi la vicendevole
osservazione delle attività didattiche all’interno della sacralità dell’aula? Ci si è ben presto
resi conto che introdurre il sistema in modo semplificato e destrutturato non avrebbe risposto alle domande e che il clima, a fronte della scarsa soggettiva volontà di comprensione,
avrebbe evidenziato unicamente le criticità del sistema. Sono personalmente convinto, al
contrario, che la condivisione dei momenti formativi possa aggiungere valore alle “prestazioni” dei singoli attori, evidenziare competenze distintive dei formatori e inferire qualità e
trasparenza alle attività del CFF. L’Auditing interno è stato implementato ed è stato oggetto del lavoro d’approfondimento del modulo 4 del MaGF (rel. Prof. M. Balducci). Il processo funziona e la raccolta dei dati è costante. I risultati vengono discussi con i singoli relatori e complessivamente riportati nel rapporto di direzione annuale.
Per poter completare il discorso legato all’auditing interno - da qui il titolo Auditing interno
delle attività pedagogiche - 2 , sto elaborando un sistema di controllo e di autovalutazione
dei relatori del corso di base interprofessionale per formatori di apprendisti in azienda. Si
tratta, in altre parole, di un nuovo strumento di (auto)-valutazione formativa da utilizzare
nel confronto delle espressioni di valutazione che i partecipanti forniscono al termine del
corso. Lo strumento è volto, quindi, a permettere la raccolta di dati qualitativi per il miglioramento continuo dell’erogazione formativa.
Breve presentazione del Centro
Il centro di formazione per formatori (CFF) è un servizio della Divisione della formazione
professionale (DFP) del DECS – Cantone Ticino. Dal 1978, anno d'introduzione della Legge federale sulla formazione professionale (LFP) che lo prescriveva, si occupa dell'organizzazione della formazione degli, allora, denominati "Maestri di Tirocinio". È del 1980, inoltre, l'emanazione federale di una specifica ordinanza che, oltre a ribadirne l'obbligatorietà, fissa precisi parametri sulle durate e sui contenuti minimi, imposti agli enti di formazione cantonali incaricati. Dal 1° gennaio 2004, data dell'entrata in vigore della nuova
LFPr, tale figura è stata rinominata in "Formatori di apprendisti in azienda", mantenendo
altresì l'obbligatorietà di frequenza al corso per tutti coloro i quali intendono assumere e
formare un tirocinante.
3
I partecipanti al corso di base per formatori sono progressivamente aumentati nel corso
degli anni (vedi grafico sottostante), passando in 10 anni da 290 a 480 all'anno (con il miglior risultato di 520 nel 2006). Una massa critica importante quindi, anche quale significativo indicatore della soddisfazione sui contenuti e sulle modalità d'erogazione.
Partecipanti
600
500
480
400
292 314 318 301 303 298
300
419
357 386
520
480
379 399
200
100
0
1994
1995
1996 1997
1998
1999
2000
2001 2002
2003
2004
2005 2006
2007
Partecipanti 292
314
318
303
298
357
386
379
399
480
480
301
419
520
In adeguata considerazione, alfine di affinare i dettagli ma restando nei parametri dell'ordinanza precedentemente citata, vengono tenute le valutazioni espresse dai partecipanti alla fine di ogni corso. Queste vengono statisticate, analizzate e prese in considerazione in
modo puntuale. In occasioni di specifiche riunioni vengono rese note al plenum dei formatori. Oltre a ciò vengono condotti dal responsabile colloqui personali con ogni formatore,
aventi lo scopo di approfondire gli aspetti valutativi legati allo specifico docente.
Riportiamo a mo' di esempio la statistica1 relativa all'anno scolastico 2006/2007
Valutazione e aree di miglioramento
o Interesse per l’argomento trattato
o Utilità dell’argomento trattato
o Competenza specifica del formatore
o Capacità d’animazione del formatore
5,20
5,20
5,19
5,29
5,21
o Valutazione media
Solidità e trasferibilità delle conoscenze e competenze acquisite dai partecipanti
Non solo attraverso le valutazioni, già citate, espresse dai partecipanti, bensì anche da feedback rilevati e riportatici dagli Ispettori di tirocinio della DFP, siamo in grado di affermare
che le modalità esercitate durante l'erogazione formativa, facilitano e permettono un'acquisizione di competenze solide ed applicabili immediatamente nella pratica professionale
quotidiana. Oltre a ciò la documentazione consegnata in aula ha proprio lo scopo, per cui
così assemblata, di permettere un'efficace consultazione anche dopo la frequenza del
1
espressione del valore in base alle note scolastiche (da 1 a 6)
4
corso. Ogni tema, ogni lezione è supportata in modo chiaramente intelleggibile da supporti
cartacei suddivisi per capitolo (area d'intervento) e tema. A partire dallo scorso mese di
settembre 2006, viene consegnato in aula anche il nuovo Manuale per la formazione degli
apprendisti in azienda (http://hb.dbk.ch/it/index.php) edito dalla DBK (www.dbk.ch) in collaborazione con la CSFP (www.csfp.ch) e con i Cantoni.
Presentazione trasparente delle offerte di formazione e delle opzioni pedagogiche
Già con la pubblicazione dell'offerta del CFF per l'anno 2005 è stato deciso di optare per
una crasi dei precedenti opuscoli. Fino al 2004, infatti, l'offerta formativa del CFF era suddivisa distintamente in 3 parti:
o corsi di base per Maestri di tirocinio
o corsi di perfezionamento per Maestri di tirocinio
o corsi di base per periti d'esame
Questa operazione ha evidenziato vicendevolmente alle diverse figure professionali gli indirizzi specifici, creando grande interesse. Sia alla fine di gennaio 2007 sia alla fine dello
stesso mese del 2008, più del 60% delle offerte formative proposte risultava già completa.
Molte richieste d'iscrizione hanno dovuto essere dirottate su altri corsi.
Prestazioni orientate al cliente, economiche, efficaci ed efficienti
Un primo indicatore di leggibilità delle attività del CFF in funzione dell'orientamento al
cliente risulta essere, a nostro avviso, già stato citato in relazione al gradimento espresso,
al termine del corso, dai partecipanti stessi. Un secondo è costituito dalle frequenti e importanti rivisitazioni del contenuto dei vari interventi (programma di formazione), dall'offerta
di molteplici possibilità d'iscrizione ai corsi (diurni, serali, e in diverse località del Cantone).
Per quanto attiene all'economicità dell'offerta, rileviamo che la tassa (CHF 300.- fino al
2004, CHF 320.- dal 01.01.05 e ulteriormente modificata in CHF. 350.- dal 1° gennaio
2007) risulta essere un prezzo politico, assolutamente conveniente e che non copre i costi
vivi di progettazione, programmazione ed erogazione del corso. Vista l'obbligatorietà secondo la LFPr, di cui abbiamo già riferito, il Cantone, responsabile per l'organizzazione dei
corsi, si assume la parte non coperta dal contributo finanziario degli iscritti. Il costo orario
ammonta a CHF 8.75/UD2.
Il parametro legato all'efficacia è misurabile nel seguente modo:
o crescente numero di partecipanti
o feedback ricevuti dagli ispettori del tirocinio
o feedback ricevuti dagli stessi partecipanti, dopo qualche tempo, in occasione della
loro partecipazione a corsi di perfezionamento o per periti d'esame
o iscrizione alla procedura di qualificazione per l’ottenimento del Diploma di formatore
di apprendisti, riconosciuto dalla confederazione
Quello dell'efficienza è evincibile dalla tabella e dal grafico sottostanti. A fronte di un numero relativamente esiguo di collaboratori che si occupano, a vario titolo, della progettazione, programmazione ed erogazione del corso, rileviamo che, per esempio, nel 2007 a
2
UD: unità didattica di 45 minuti
5
fronte di 4.45 collaboratori impiegati, sono stati incassati CHF 402'980.-, il che corrisponderebbe ad un incasso per singolo collaboratore di ben CHF 90'557.30
Anno
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Consuntivo
entrate CFF
CHF 60'000
CHF 65'133
CHF 61'040
CHF 70'350
CHF 100'350
CHF 90'000
CHF 104'380
CHF 110'637
CHF 230'000
CHF 224'745
CHF 269'000
CHF 442’392
CHF 348’342
CHF 402’980
Unità RU
Partecipanti
Tassa /Unità RU
2.00
1.67
1.67
1.67
2.25
2.87
2.10
3.60
3.20
3.35
2.85
3.85
3.85
4.45
292
314
318
301
303
298
357
386
419
379
399
480
520
480
30000
39002
36551
42126
44600
31359
49705
30732
71875
67088
94386
114907
90478
90557
Formatori impegnati e aggiornati sui più recenti sviluppi metodologici, didattici e
nel loro specifico campo d'insegnamento
I formatori attivi vengono invitati ad un corso di aggiornamento ogni anno. Viene offerta loro una giornata di formazione specifica. Ad esempio:
o anno 2003: Giochi pedagogici per l'aula
o anno 2004: PNL e comunicazione pedagogica
o anno 2005: Atteggiamento e linguaggio durante l'insegnamento
o anno 2006: Il riflesso dell'adulto sul disagio adolescenziale
o anno 2007: La definizione delle competenze distintive
o anno 2008: L’importanza del feedback nelle attività di formazione3
Alfine di permettere all'intero Team la restituzione e la messa in comune dei risultati, in
itinere e finali, viene convocata almeno una riunione annuale.
La quasi totalità dei docenti del CFF è, inoltre, attiva professionalmente nel proprio campo
d'attività o lo è stata fino a pochi mesi fa. Questo garantisce l'approvvigionamento delle
competenze in modo certificabile, automatico ed economicamente conveniente.
Impegno di garantire e sviluppare la qualità
Abbiamo dimostrato, nel corso degli anni, che il modello attuato in Ticino è stato un riferimento importante per altri Cantoni. La nostra appartenenza a diversi gruppi di lavoro e
commissioni a livello federale lo dimostra. Per questo motivo un nostro rappresentante
non è richiesto unicamente per questioni linguistiche, anzi. L'apprezzamento in questo
3
progetto: il corso dovrebbe tenersi entro la metà del mese di giugno 2008. La data non è ancora stata definita.
6
ambito travalica gli aspetti formali e la rete di relazioni che si è costituita a livello intercantonale, permette un ulteriore sviluppo dell'approccio ai sistemi, alla gestione e al consolidamento dei processi qualitativi.
Assicurazione e sviluppo della qualità
Come viene fornita l’immagine della qualità
Il CFF organizza e sviluppa durante l’anno diverse riunioni e conferenze per verificare se
la qualità proposta ai corsisti professionisti ha raggiunto il livello voluto. Durante queste
riunioni vengono espresse critiche, idee, proposte onde migliorare costantemente la qualità formativa.
Persone responsabili della qualità e persone che controllano la qualità
Il Direttore del CFF ed i suoi collaboratori stabili, sono responsabili del processo di assicurazione della qualità e sono pure le persone che controllano la qualità tramite regolari verifiche verbalizzate le quali vengono riassunte in un rapporto annuale e sottoposte alla Direzione della DFP, nonché agli interlocutori privilegiati dell’Istituto universitario federale per
la formazione professionale (EHB / IFFP / IUFFP).
I contenuti della qualità vengono definiti come segue4:
•
L’istituzione considera chiari i seguenti punti per la qualità
o Raggiungimento degli obiettivi qualitativi e quantitativi per ogni corso
o Valutazione dell’efficacia del corso tramite un formulario di valutazione
o Mantenimento di uno standard di qualità adeguato, per rapporto
all’evoluzione nel campo della formazione di base e continua
o Continua verifica e adattamento ai bisogni riscontrati o alle difficoltà espresse nelle valutazioni dei partecipanti
o NUOVO: autovalutazione dei relatori ai corsi di base per formatori di apprendisti in azienda5
Definizione degli obiettivi
L’istituzione si impone quale valore di qualità che almeno l’80% dei partecipanti ai vari corsi abbiano a conseguire il successo.
La frequenza al corso da parte dei partecipanti non può essere inferiore all’85%, di conseguenza maggiori assenze non danno diritto a conseguire una certificazione del corso.
4
5
Cfr. Allegato 2 al presente documento
oggetto di questo lavoro di approfondimento
7
Provvedimenti adottati per soddisfare i criteri
Se dalle verifiche eseguite tramite questionari sottoposti ai corsisti risultasse che la qualità
di formazione non è stata raggiunta, i responsabili attiverebbero dei corsi d’aggiornamento
specifici per i formatori mirati a migliorare la qualità di formazione. Ulteriori interventi vengono confrontati e discussi con i responsabili dello stesso settore a livello federale nelle
diverse commissioni (SDBB, SBBK ecc.).
Modo d’agire per sviluppare costantemente la qualità
L’istituzione, per il tramite dei collaboratori del CFF all’inizio di ogni anno, attiva le necessarie verifiche e fissa nuovi obiettivi tendenti ad ottenere un sempre miglior grado di qualità.
Valutazione e autovalutazione6
Entrambe sono costituite da un insieme di attività conoscitive, finalizzate all’apprendimento
e al miglioramento, le quali:
consentono di esprimere un giudizio valutativo
sono strutturate nell’ambito di una procedura di ricerca e di analisi rigorosa
possono essere un’utile lezione per coloro che affrontano la gestione e il controllo dei
processi dell’istituzione formativa
sono finalizzate al miglioramento continuo dei risultati (dapprima) e dei processi (dopo)
[PDCA].
La valutazione e l’autovalutazione devono essere inseriti in una struttura e una procedura
di ricerca per poter avere un risultato utilizzabile. Questo richiede un apprendimento
da parte di tutti i coinvolti. L’autovalutazione è comunque un ottimo strumento per la
crescita degli attori.
Dopo il processo di valutazione deve aver seguito il piano di miglioramento, altrimenti
non c’è scopo di effettuare una valutazione.
Valutazione
Autovalutazione
È condotta da soggetti esterni (coinvolgimento emotivo minore…)
Spesso è garantita completa autonomia /
indipendenza a chi valuta
È messa in pratica dagli attori coinvolti nei processi
(certi particolari possono sfuggire per “abitudine”)
Non sempre è garantita completa autonomia / indipendenza a chi valuta (per es. la paura di perdere il
posto…)
Talvolta è difficile essere oggettivi (manca p.es. la
competenza nel valutare oppure il confronto con altre realtà)
Talvolta la conoscenza dei processi è approfondita e
diretta
Talvolta è possibile un buon grado di oggettività
Spesso la conoscenza dei processi è superficiale e
indiretta (l’organizzazione può
fargli vedere solo quello che vuole…)
È “estranea” all’organizzazione (che però
paga la valutazione…)
6
“Appartiene” all’organizzazione
dagli appunti del Modulo 8 / MaGF2
8
A fronte delle considerazioni citate, nonché riflettendo ex - post sulle discussioni e sullo
scambio di esperienze avvenute in aula a Lugano, durante l’intero Modulo, ho optato per
un processo di autovalutazione
1. decidere come organizzare e pianificare l’autovalutazione (AV)
far si che la decisione del management sia consapevole e fondata sulla consultazione
dei portatori di interesse
definire ambito e approccio dell’AV
scegliere ilo sistema di punteggio
nominare un responsabile di progetto
2. Comunicare il progetto di autovalutazione
definire e avviare un piano di comunicazione
stimolare il coinvolgimento del personale nell’AV
comunicare con i portatori di interesse durante le varie fasi
3. Formare uno o più gruppi di autovalutazione
decidere il numero dei gruppi di autovalutazione
creare un gruppo di autovalutazione rappresentativo dell’organizzazione in tutti isuoi aspetti attenendosi a criteri predefiniti
scegliere il moderatore del gruppo (i)
decidere se i dirigenti devono essere parte del gruppo
4. Organizzare la formazione
informare e curare la formazione del management (secondo le esigenze)
informare e curare la formazione del gruppo di AV
il responsabile del progetto fornisce un elenco di tutti i documenti ritenuti significativi
definire i principali portatori di interesse, i prodotti e servizi erogati e i processi chiave
5. Condurre l’autovalutazione
condurre la valutazione individuale
raggiungere il consenso nel gruppo
assegnare il punteggio
6. Stendere un report descrittivo dei risultati dell’autovalutazione
7. Delineare un piano di miglioramento basato sui contenuti del rapporto di AV
identificare le priorità di azione
collocare le azioni secondo un piano di sviluppo temporale realistico
integrare il piano nel normale processo di pianificazione strategica
8. Comunicare il piano di miglioramento
9. Attuare il piano di miglioramento
definire un approccio coerente del monitoraggio e valutazione delle azioni di miglioramento basato
sul ciclo PDCA
nominare un responsabile per ciascuna delle azioni previste
inserire nell’attività ordinaria le nuove modalità di gestione risultate appropriate
10.Pianificare la successiva autovalutazione
valutare l’esito delle azioni di miglioramento attraverso una nuova autovalutazione
9
Mappatura semplificata dei profili
Centro di formazione per formatori della DFP
Profilo delle qualifiche, diplomi
Il profilo ideale, richiesto ai nostri formatori, è il seguente:
•
Licenza universitaria conseguita nell'ambito della psicologia rispettivamente nell'ambito della
pedagogia / scienze dell'educazione
•
Diploma federale di formatore aziendale
•
Certificato quale formatore di adulti (FSEA 1)
•
Altre formazioni equivalenti
•
Comprovata esperienza nel campo della formazione di adulti in ambiti attinenti agli obiettivi del
corso / dei singolo modulo / dei singoli interventi formativi
•
Esperienza diretta nel mondo economico – aziendale o in settori specifici di riferimento, precedente e/o attuale
•
Disponibilità all'aggiornamento ed alla formazione continua
•
Buone conoscenze sull'uso dei moderni mezzi interattivi a scopo didattico
•
Attitudine al lavoro in Team e spiccata volontà di tendere al continuo miglioramento dell'offerta
formativa
•
Deve essere presente, nelle competenze personali, l'impegno per l'assicurazione e lo sviluppo
della qualità
Il profilo ideale, richiesto al responsabile della formazione continua del CFF, è il seguente:
•
•
Licenza universitaria conseguita nell'ambito della psicologia rispettivamente nell'ambito della
pedagogia / scienze dell'educazione
MaGF, Master professionalizzante in gestione della formazione
•
Diploma federale di formatore aziendale
•
Altre formazioni equivalenti
•
Comprovata esperienza nel campo della formazione di adulti in ambiti attinenti agli obiettivi del
corso / dei singolo modulo / dei singoli interventi formativi
•
Esperienza diretta nel mondo economico – aziendale o in settori specifici di riferimento, precedente e/o attuale
•
Esperienza comprovata nella progettazione di curricula formativi diversificati nella forma e nei
contenuti, sia di breve sia di lunga durata.
•
Disponibilità all'aggiornamento ed alla formazione continua
•
Buone conoscenze sull'uso dei moderni mezzi interattivi a scopo didattico
•
Attitudine al lavoro in Team e spiccata volontà di tendere al continuo miglioramento dell'offerta
formativa
•
Buone conoscenze delle lingue ufficiali, parlate e scritte
•
Deve essere presente, nelle competenze personali, l'impegno per l'assicurazione e lo
sviluppo della qualità
10
Assicurazione, mantenimento e sviluppo della qualità delle attività (erogazione) formative presso il CFF
Concetto e procedura per l’allestimento di un’autovalutazione dei relatori
Il corso di base per formatori di apprendisti in azienda
Introduzione
Alfine di assicurare, mantenere e sviluppare la qualità delle attività formative (erogazione)
presso il CFF, si rende necessaria l'applicazione di uno strumento autovalutativo, facendo
capo alle soggettive competenze e percezioni dei formatori. Con un sistema pianificato di
autovalutazioni, al termine di ogni intervento, il formatore esprime la propria percezione
sulla lezione che ha appena animato. Questi dati qualitativi, analizzati e messi a confronto
con quelli espressi dai partecipanti al termine di ogni corso (come finora), ci consentono di
arricchire il quadro valutativo e di maggiormente intervenire dove necessario.
Vantaggi e svantaggi del concetto proposto
VANTAGGI
SVANTAGGI
Ogni relatore si sente responsabile della prestazione e della
relativa valutazione (autovalutazione)
La qualità degli interventi e quindi anche la percezione dei
fruitori delle attività formative aumenta, grazie al contributo e
alle autovalutazione dei colleghi
Aumenta la sensibilità verso gli aspetti legati all'assicurazione, al mantenimento e allo sviluppo della qualità
Il relatore deve restare molto distante dagli aspetti emozionali ed esprimere quindi un’autovalutazione corretta
Il formatore, a meno di eventi particolarmente rilevanti, tenderà a redigere “uniformemente” lo strumento di autovalutazione (appiattimento)
La mole di lavoro aumenta sia per il personale del CFF (lettura e gestione dei feedback) sia per i relatori, a loro volta
già impegnati in attività formative.
A seguito della lettura dei feedback redatti e presentati dai
formatori è più facilmente interpretabile la necessità di adattare temi, tempi, metodi, nonché aspetti logistici
È possibile confrontare il risultato delle autovalutazioni con il
risultato derivante dall'espressione valutativa dei partecipanti
Procedura
CHI
QUANDO
COSA
COME
Direttore del
CFF
alla fine di ogni
periodo
redige lo strumento di
autovalutazione
misura e riassume la
valutazione nelle apposite tabelle (statistica)
verifica e analizza i
dati
strumento previsto
Segretariato
dei corsi
alla fine
dell’intervento
alla ricezione del
formulario
Direttore del
CFF
correntemente a
seguito delle autovalutazioni
Direttore del
CFF
entro fine anno
corrente
Formatore
Discute con il formatore interessato i contenuti ritenuti vicendevolmente interessanti
Restituzione dei risultati globali
11
OSSERVAZIONI
tabelle e grafici
redige una ricapitolazione (che è
contenuta nel rapporto di revisione
della direzione del
CFF)
Colloquio personale
Riunione conclusiva CFF
se ritenuto necessario
Organizzazione delle sessioni formative e di aggiornamento pedagogico
– didattico per il team dei
formatori del CFF
Gestione delle evidenze a seguito delle autovalutazioni
Come precedentemente affermato, obiettivo precipuo del sistema autovalutativo è attinente alla garanzia, alla gestione e al costante miglioramento qualitativo pedagogico – andragogico – didattico. Il trattamento delle evidenze e delle risultanze, come si potrà evincere
dal formulario, sarà gestito dal responsabile della qualità del CFF (nel caso concreto dal
sottoscritto).
Scelta dei criteri da valutare
La scelta dei criteri da valutare è stata operata sulla scorta di riflessioni personali e attraverso il coinvolgimento dei colleghi e dei relatori occupati a tempo pieno presso il CFF. Si
è voluto, in altre parole, evidenziare e valutare quelli che sono i parametri distintivi
nell’erogazione del corso in oggetto. I criteri considerati sono:
Logistica
Adeguatezza dell’aula
Sede (posteggi, spazi pause, ecc.)
Materiale didattico
Il materiale didattico è stato preparato (dal segretariato)
Istituzione
Materiale di consumo
Il materiale di consumo era presente e funzionante
Mezzi ausiliari
Le apparecchiature erano a disposizione e funzionanti
Clima, ordine e disciplina del gruppo
Motivazione e partecipazione del gruppo
Gruppo
Livello di comprensione percepito
I partecipanti hanno compreso i temi trattati
Autovalutazione
Chiarezza e precisione nell’esporre i concetti
Capacità di coinvolgere i partecipanti
I temi previsti sono stati trattati, gli obiettivi raggiunti
Gestione delle dinamiche di gruppo
Docente
Valutazione globale del corso
Analisi e scomposizione del formulario di valutazione7
A seguito della descrizione dei criteri selezionati, oggetto della valutazione, sono convinto
che l’insieme dei punti contenuti nel formulario sia di facile interpretazione. Mi voglio soffermare però sulla “semiotica” relativa alla scelta della scala di valutazione. Il formulario ne
prevede, per estensione del concetto, due:
7
Cfr. Allegato 1 al presente documento
12
•
•
una che si riferisce alla lunghezza del tratto (ossia 10 cm) che il formatore interrompe,
tenuto conto del differenziale semantico, evidenziato dai simboli e ☺. Il riferimento
alla teoria di Osgood8 è una mia libera interpretazione.
l’altra, semplificata e non rappresentata in modo strutturato, si presenta come uno spazio libero e aperto per le indicazioni, le suggestioni e i suggerimenti che il formatore
dovesse o volesse comunicare a mezzo del verso del formulario di autovalutazione.
Conclusioni
Sottopongo al Prof. Armand Claude il lavoro di approfondimento alfine di poter ricevere
importanti feedback sull’applicazione concreta del concetto, nonché di poter acquisire la
certificazione del Modulo 8 del MaGF2.
Ringrazio e saluto cordialmente
Walter Seghizzi
8
Il differenziale semantico è una tecnica di valutazione psicologica, ideata da Osgood, Suci e Tannenbaum
nel 1957, per operazionalizzare la misura del "significato implicito" dei termini linguistici.
(fonte: wikipedia)
13
Allegato 1
AUTO - VALUTAZIONE RELATORE DEL CORSO DI BASE
Nome e Cognome:
Data del corso:
Numero del corso:
Luogo:
Caro/a collega,
oggi si è concluso il tuo intervento nel corso in oggetto; ci servirebbe molto conoscere la tua opinione sull'andamento del corso e sulla sua qualità. Di seguito, apponendo una lineetta (si tratta di interrompere la
linea orizzontale nel punto voluto in base alla propria valutazione, v.a. esempio) per ogni tema elencato, ci
darai la possibilità di ottimizzare i processi formativi futuri.
Un sentito grazie per la collaborazione!
Interrompete la linea al punto
ESEMPIO
⏐
☺
Istituzione
Logistica
Adeguatezza dell’aula
☺
Sede (posteggi, spazi pause, ecc.)
☺
Materiale didattico
☺
Il materiale didattico è stato preparato
Materiale di consumo
☺
Il materiale di consumo era presente e funzionante
Mezzi ausiliari
☺
Le apparecchiature erano a disposizione e funzionanti
Clima, ordine e disciplina del gruppo
Gruppo
☺
Motivazione e partecipazione del gruppo
☺
Livello di comprensione percepito
☺
I partecipanti hanno compreso i temi trattati
Docente
Autovalutazione
Chiarezza e precisione nell’esporre i concetti
☺
Capacità di coinvolgere i partecipanti
☺
I temi previsti sono stati trattati, gli obiettivi raggiunti
☺
Gestione delle dinamiche di gruppo
☺
☺
Valutazione globale del corso
Per problemi di spazio, utilizza p.f. il verso di questo formulario per le tue osservazioni; grazie!
14
Allegato 2
Metodo di valutazione interna
Tipo di corso
Corso per Formatori di Apprendisti (base)
Criteri
Pertinenza e
compatibilità
Efficacia
Obiettivi e indicatori
Breve descrizione del metodo e degli strumenti utilizzati
Mantenimento della capacità dell’intervento
formativo di rispondere
ai bisogni reali
dell’utenza.
80% dei formatori
con esperienza pluriennale a contatto
con la FP in Ticino
Valutazioni finali
mediamente uguali
o superiori al 5 (interesse/utilità)
In sede di pianificazione ed organizzazione annuale (giugno /luglio), il responsabile del CFF, d’intesa con il responsabile dei corsi e
tenuto conto dei risultati valutativi (formulari audits interni e formulari di valutazione dei partecipanti), ri-seleziona il team di formatori
che animerà i corsi della stagione seguente (il calendario segue l’anno civile).
Corrispondenza tra obiettivi didattici del corso
e risultati concreti in azienda
Valutazioni finali
mediamente uguali
15
o superiori al 5 (interesse/utilità)
80 % “follow up sul
posto” positivo del
transfer a tre mesi
Efficienza
Conformità e coerenza
Accettabilità
Sincronismo
Mantenere un rapporto
Tassa/RU superiore ad
80.000
Conciliare i vincoli legali
con la trasferibilità delle
competenze acquisite
Valutazioni finali
mediamente uguali
o superiori al 5 (interesse/utilità)
Mantenere un elevato
grado di soddisfazione
generale dell’utenza
Valutazioni finali
mediamente uguali
o superiori al 5
Garantire la rapidità
d’intervento necessaria a
risolvere i problemi (sia
didattici, sia organizzativi) riscontrati
Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti
Analisi delle autovalutazione dei relatori
Le modalità di verifica del “transfer” sul posto sono ancora da definire; si profila la possibilità di somministrazione di un ulteriore
formulario che sarà studiato entro la fine del 2005
Gestione risorse umane in e outsourcing da parte del responsabile del CFF (assegnazione incarichi interni e mandati esterni) e pianificazione numero di corsi e contingente di partecipanti (risorse logistiche e approccio didattico)
Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti
Analisi delle autovalutazione dei relatori
Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti
Analisi delle autovalutazione dei relatori
Analisi dei formulari di valutazione dei partecipanti (segnatamente delle osservazioni “aperte” e della valutazione relativa al
tempo dedicato)
Analisi delle autovalutazione dei relatori
16
Allegato 3
tabella sinottica temi e argomenti / risposte (prof. A. Claude foglio lavoro d’esame del 25 gennaio 2007)
Domanda
Risposta succinta
elemento ripreso e sviluppato nel documento a pagina
Il CFF è stato certificato EduQua il 26 settembre 2005 (SCEF047) e, entro la fine di maggio
2008, deve presentare il dossier completo per la prima ricertificazione. Oltre a ciò, essendo un
istituto scolastico, parificato a una scuola superiore, rientra nel concetto globale di certificazione ISO 9000 della Divisione della formazione professionale, ottenuta il 1 gennaio 2007, di cui
fa parte. L’esperienza condotta e l’applicazione della norma hanno permesso al CFF di ampliare la visione, aumentare la qualità del servizio erogato e di implementare nuovi strumenti
per la gestione corrente della qualità. Ne sia un esempio concreto l’introduzione del sistema di
auditing interno fra i formatori, oggetto pure del lavoro di approfondimento del Modulo 4
MaGF2, rel. Prof. M. Balducci.
Il CFF è composto da un piccolo Team di formatori (440%), all’interno del quale i ruoli e le funzioni sono definiti. Il Direttore del CFF è responsabile della gestione e dello sviluppo della qualità e riferisce sui risultati. Ogni componente del Team, inoltre, è responsabile, a sua volta, di
un prodotto / corso e opera nella gestione parziale e specifica di queste attività. Due collaboratori del CFF, fra cui il sottoscritto Direttore, hanno conseguito un diploma esterno quale “Auditore interno”. Questa formazione supplementare, unitamente a esperienze condotte precedentemente in altre realtà aziendali, permettono una gestione più orientata e favoriscono le procedure di mantenimento e di sviluppo del SGQ.
Nel corso dei prossimi anni una delle principali sfide cui saranno confrontati i sistemi di formazione, sarà il miglioramento formazione professionale degli insegnanti e dei formatori, per far
sì che le loro conoscenze e capacità corrispondano sia all’evoluzione sia alle aspettative della
società, nonché alla composizione diversificata dei gruppi interessati. Gli insegnanti e formatori svolgono un importante ruolo per motivare i discenti e per determinarne il successo. È essenziale che la formazione sia orientata al futuro; la maggior parte degli insegnanti si è formata 25 anni fa o anche prima e l’aggiornamento delle loro capacità in molti casi non è andato di
pari passo con l’evoluzione naturale. Grazie ai sistemi di gestione della qualità - che sempre
prevedono il monitoraggio dell’aggiornamento dei docenti - sono convinto che anche gli istituti
scolastici più conservatori e meno votati / sensibili all’autonomia possano, se non vincere la
sfida, quantomeno parteciparvi con strumenti adeguati e al passo con i tempi.
8, 9 e 10
Parte obbligatoria
Cosa esiste già? Quali sono le esperienze fatte finora nella
valutazione dell’apprendimento, dell’insegnamento, di aspetti strutturali o culturali della scuola?
Esiste un’organizzazione specifica all’interno della sede per
la gestione e lo sviluppo della qualità? Ci sono delle competenze particolari nel collegio docenti in questa materia?
Quali sono le sfide maggiori, nei prossimi tempi, per uno
sviluppo sistematico della qualità della scuola e
dell’insegnamento?
9 e 10
6e7
l’intero documento in oggetto (in particolare da 9 a
11)
Parte a scelta
l’inserimento di un progetto di sede già iniziato, in un concetto più globale di gestione della qualità della stessa sede
17
Allegato 4
Diagramma di flusso- processo di redazione dell’autovalutazione
inizio
Il segretariato prepara
il formulario di
autovalutazione
Al termine della lezione il
formatore redige il formulario di
autovalutazione sull’attività
formativa in aula
Il segretariato
rileva i dati
risultanti dal
formulario
Banca dati:”Valutazioni
del CFF”
Estrazione
statistiche
Redazione del
rapporto annuale della
Direzione
fine
18
Il SQM analizza e
sintetizza i dati nel
rapporto annuale
della Direzione
Master professionalizzante
in
Gestione
della
Formazione
per dirigenti
di istituzioni formative
Certificazione Modulo 9: La supervisione dell’insegnamento
nell’ambito della gestione della formazione
Relatrice Prof.sa Vittoria Cesari Lusso
Creazione e sperimentazione di un modello
applicabile nel rilevamento di situazioni relazionali in ambito di consulenza formativa e
aziendale
Marco Ricci – Formatore aziendale diplomato. Titolare della Clic, formazione e consulenza formativa di M. Ricci, 6825 Capolago
e-mail: [email protected]
Marco Ricci
Certificazione Modulo 9 – MaGF 2
Indice
0
Abstract..................................................................................................................... 3
1
Premesse e contestualizzazioni.............................................................................. 4
2
Presentazione del modello ...................................................................................... 4
3
Sperimentazione pratica .......................................................................................... 7
4
Valutazione della sperimentazione ......................................................................... 8
5
Valutazione su possibili impieghi ........................................................................... 8
6
Considerazioni finali ................................................................................................ 9
7
Bibliografia.............................................................................................................. 10
8
Allegati .................................................................................................................... 10
Pagina 2 di 16
Marco Ricci
Certificazione Modulo 9 – MaGF 2
0 Abstract
La mia posizione di formatore aziendale freelance, titolare di una ditta di formazione e di consulenza formativa, non mi permette di sviluppare, in modo completo e basato sulla realtà di un istituto scolastico, il mandato orientato, per esempio, a una situazione relazionale all’interno di un
collegio di docenti o con allievi. Dopo averne parlato con la Prof.sa Cesari, ho optato per la definizione e la sperimentazione di un modello di rilevamento applicabile in situazioni di consulenza.
Il modello nasce dal presupposto che il compito principale di un consulente sia quello di riuscire a
far emergere dal cliente i suoi bisogni. L’uso dell’intervista di esplicitazione, dall’esperienza diretta
che ho potuto ricavarne utilizzandola nelle (troppo) poche volte che l’ho potuto fare, mi porta a
ritenerne la validità più rivolta a un ambito operativo che “evolutivo”, nel senso che al termine
dell’intervista l’attore era più consapevole non solo del processo lavorativo ma anche delle proprie
competenze, mentre gli aspetti emozionali non venivano quasi mai presi in considerazione.
La mia sfida è quella di abbinare il modello proposto da Andrea Fiorenza e Giorgio Nardone nel libro L’intervento strategico nei contesti educativi al modello QUASSP per utilizzarlo nelle situazioni
di rilevamento dei bisogni in ambito di consulenza formativa e aziendale.
La sperimentazione pratica è avvenuta il 17 giugno 2008. In tale data ho incontrato il gruppo delle Risorse Umane della BPS (SUISSE) SA composto da un responsabile, la sostituta e 3 collaboratrici, di cui una assente. Dopo aver formulato alcune premesse sul gruppo come dispositivo e aver
richiamato Kant, nel senso che la partecipazione a questo momento era da intendere un’azione
disinteressata rivolta alla ricerca del “bene comune” e non doveva essere orientata a un interesse
particolare ed egoistico, ho cominciato a presentare il processo con il documento “Istruzioni per
l’uso” e lo “Schema del processo di evoluzione con supervisione”; successivamente ho distribuito
ai presenti il “Formulario di rilevamento (a uso dell’Attore)”. Dopo l’esposizione del caso da parte
di una persona e le domande chiarificatrici da parte del gruppo, con l’ausilio del formulario “Formulario di rilevamento (a uso del Gruppo)”, siamo arrivati alla definizione di nuove piste d’azione.
Tutti i suggerimenti tenevano conto di questi aspetti:
le strategie e le tecniche devono adattarsi al problema presentato e alla persona che manifesta la difficoltà
davanti a scarsi risultati si deve cambiare strategia
la scelta dell’intervento deve mirare a piccoli cambiamenti.
L’incontro si è concluso con un veloce feedback orale, dopo oltre due ore di lavoro in comune. Da
parte mia ho provveduto a posteriori ad allestire il “Formulario di rilevamento (a uso del Supervisore)”. Il gruppo ha richiesto il mio intervento anche per i temi non elaborati, interventi che avranno luogo a scadenze mensili a partire da luglio 2008.
Sulla base di quanto sperimentato, sicuramente anche grazie alla grande disponibilità dei partecipanti, posso affermare che l’applicazione di un simile modello può essere effettuata in ottica di ottenere risultati non scontati sulle visioni e sui comportamenti dei coinvolti. È pure possibile impiegare questo modello in situazioni formative differenti, così come anche in ambito di consulenza e
coaching aziendale; a livello preventivo quindi, ma anche in itinere con interventi di supervisione.
Da rilevare che questa applicazione richiede un impiego di tempo che non sempre il committente
è disposto a concederti per un intervento di consulenza o formativo: personalmente sono convinto che il rischio di non osare ti porta a ottenere quello che hai sempre ottenuto, proprio perché
continui a fare quello che hai sempre fatto.
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Marco Ricci
Certificazione Modulo 9 – MaGF 2
1 Premesse e contestualizzazioni
La mia posizione di formatore aziendale freelance, titolare di una ditta di formazione e di consulenza, non mi permette di sviluppare, in modo completo e basato sulla realtà di un istituto scolastico, la strutturazione di casi che riguardano l’ambiente scolastico. La mia esperienza, da sette
anni a questa parte, si basa sulla realizzazione di giornate formative, solitamente non collegate
tra di loro e con partecipanti diversi, e sull’accompagnamento del management aziendale
nell’introduzione di cambiamenti all’interno dell’organizzazione.
L’esercizio condotto in classe durante l’incontro del 9 maggio 2008 con la collega Monica Caldelari, pur non avendo potuto seguirlo integralmente, ha sollevato in me molta curiosità. In effetti mi
sono accorto che, nella mia realtà professionale, sia i partecipanti ai corsi sia i rappresentanti della committenza, sono portati facilmente ad avere un’unica rappresentazione di una situazione o di
un problema, visione limitata da:
¾ credenze personali
¾ limiti conoscitivi
¾ esperienze personali (background)
¾ mancanza di tempo per gli approfondimenti
¾ ecc.
Enzo Spaltro1, riportando un brano di Philip Slater, scrive: “Gli esseri umani vivono un tempo
troppo corto per rendersi conto dei cambiamenti culturali. Noi siamo come dei piccoli insetti che
vivono solo poche ore. La metà di loro crede che non esista la notte e l’altra metà è certa che non
esista qualcosa come il giorno. … Come possiamo afferrare istantaneamente (qui e ora)2 il significato della nostra posizione?” Questa realtà è quella con la quale sono prevalentemente confrontato: chi ha raggiunto posti da manager crede che solo quanto abbia attinenza con la “parte professionale” dei collaboratori sia da tenere in considerazione ed, eventualmente, da sviluppare.
Questa visione è descritta anche da Andrea Vitullo3: “Possono davvero le organizzazioni d’oggi,
per come sono vissute e rappresentate, dialogare con nuovi valori e accogliere l’anima?” Tra le
tante risposte, tutte positive che l’Autore da, ho scelto questa: “la figura del coach –interno o esterno all’azienda- è al servizio del manager, della sua crescita sia professionale sia personale4”. E
precisa: “La persona non deve sviluppare solo competenze tecniche, per loro natura trasferibili,
ma talenti e «visioni del mondo» che, per loro natura, non si possono insegnare, ma solo ritrovare e sperimentare, coltivare ed esercitare5”.
La sfida di questo lavoro di certificazione per il Modulo 9 del MaGF è quella di realizzare un modello applicabile nella formazione aziendale, applicarlo in modo sperimentale, valutarlo e, se risulterà
valido, applicarlo nella quotidianità di consulenza e formazione.
2 Presentazione del modello
Il modello nasce dal presupposto che il compito principale di un consulente sia quello di riuscire a
far emergere dal cliente i suoi bisogni. In molti casi i bisogni non sono esplicitati a sufficienza o il
consulente cade nello stesso errore del cliente di “ritenere d’aver capito” qual è il bisogno del proprio cliente. Di conseguenza l’offerta formulata non è corretta e i risultati non sono quelli che il
committente e il consulente/formatore si attendevano.
L’uso dell’intervista di esplicitazione, intesa come “un insieme di comportamenti di interazione
verbale e di ascolto, basati su alcune griglie di riferimento applicabili a quanto viene detto, e di
determinate tecniche di formulazione dei rilanci (domande, riformulazioni, silenzi) destinate a fa-
1
Enzo Spaltro, IL GRUPPO, Sintesi e schemi di psichica plurale, Edizioni Pendragon, pag. 11
il concetto del “qui e ora” già sviluppato dai filosofi stoici nel 300 a. C. (confronta Luc Ferry, Vivere con filosofia, Garzanti
Libri, pag. 17) ancora oggi è spesso ritenuto un concetto non attinente con l’operatività professionale ma unicamente legato alla sfera spirituale dell’uomo
3
Andrea Vitullo, LEADERSHIP RIFLESSIVE, Edizioni Apogeo, pag. I dell’introduzione
4
ibidem, pag.101
5
ibidem, pag. 53
2
Pagina 4 di 16
Marco Ricci
Certificazione Modulo 9 – MaGF 2
cilitare e ad accompagnare la verbalizzazione di un particolare campo dell’esperienza, in relazione
a diversi obiettivi personali e istituzionali”6, dall’esperienza diretta che ho potuto ricavarne utilizzando nelle (troppo) poche volte che l’ho potuto fare7, mi porta a ritenerne la validità più rivolta a
un ambito operativo che “evolutivo”, nel senso che al termine dell’intervista l’attore era più consapevole non solo del processo lavorativo ma anche delle proprie competenze, mentre gli aspetti
emozionali non venivano presi in considerazione. Esemplifico: una persona sapeva come svolgere
un certo compito, quali competenze utilizzava, ma non prendeva in considerazione le emozioni
che viveva durante la realizzazione dell’attività.
La situazione di partenza sulla quale baso il nuovo modello è quella presentataci sin dal primo
giorno dalla professoressa Cesari Lusso:
Come dimostrato durante il Modulo 98 è possibile, a lato del supervisore, posizionare il gruppo,
nel senso che tutto il gruppo coinvolto nell’esperienza interviene ad aiutare l’attore9 a trovare delle vie alternative, altre piste d’azione, alla sua posizione di partenza.
Reputo fondamentale il sostegno del gruppo: per questo ho voluto rappresentare in forma di flow
chart il documento QUASSP e riportarlo alla pagina seguente.
Altro elemento che mi ha colpito durante la frequenza del Modulo 9, anche se non espressamente
trattato, è l’approccio alle situazioni definito dalla Scuola di Palo Alto10. In molti casi, infatti, assistiamo a situazioni come quella del mulo che si trova la strada barrata da un albero e incomincia
a dare testate all’albero fino a morirne piuttosto che cambiare idea11: soprattutto se confrontate a
grossi cambiamenti le persone rimangono “della propria idea” e continuano a “farsi male” piuttosto che cambiare visione di quanto sta succedendo.
6
Pierre Vermersch, DESCRIVERE IL LAVORO, Carocci Faber, pag.17
nei corsi TRIS (Tecniche di Ricerca d’Impiego e Sostegno al collocamento con persone in cerca di lavoro)
8
confronta documento QUASSP e appunti personali non rivisti dalla Relatrice
9
per facilità di lettura è stata adottata unicamente la formulazione al maschile ma è da intendersi anche la forma al femminile
10
Confronta Andrea Fiorenza e Giorgio Nardone, L’INTERVENTO STATEGICO NEI CONTESTI EDUCATIVI, Giuffè Editore,
pagg. 129-141
11
ibidem, pag. 24
7
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Marco Ricci
Certificazione Modulo 9 – MaGF 2
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Marco Ricci
Certificazione Modulo 9 – MaGF 2
Le fasi dell’intervento proposte da Fiorenza e Nardone sono le seguenti:
1. definizione del problema
come viene identificato il problema?
con quali modalità comportamentali osservabili il problema si manifesta?
quando si manifesta di solito, con chi si manifesta e con chi non si manifesta?
dove e in quali situazioni appare?
con quale frequenza e intensità si manifesta?
2. definizione degli obiettivi
3. definizione delle soluzioni tentate
4. definizione delle strategie
le strategie e le tecniche devono adattarsi al problema presentato e alla persona che manifesta la difficoltà
davanti a scarsi risultati si deve cambiare strategia
la scelta dell’intervento deve mirare a piccoli cambiamenti
La mia sfida è quella di costruire un nuovo operativo che abbini quello proposto da Andrea Fiorenza e Giorgio Nardone al modello QUASSP. La mia ipotesi, tutta da verificare, è che unendo i due
modelli ne otteniamo uno che non solo aiuta a uscire dalla situazione che emozionalmente procura dolore ma permette di sviluppare altri approcci che vanno al di là delle soluzione tentate.
3 Sperimentazione pratica
Il data 17 giugno ho incontrato il gruppo delle Risorse Umane della BPS (SUISSE) SA composto
da un responsabile, la sostituta e 3 collaboratrici, di cui una assente. Dopo aver formulato alcune
premesse sul gruppo come dispositivo12 e aver richiamato Kant, nel senso che la partecipazione a
questo momento era da intendere un’azione disinteressata rivolta alla ricerca del “bene comune”
e non doveva essere orientata a un interesse particolare ed egoistico13, ho cominciato a presentare il processo con il documento “Istruzioni per l’uso” (Allegato A) e lo “Schema del processo di
evoluzione con supervisione” (Allegato B); ho quindi distribuito ai presenti il “Formulario di rilevamento (a uso dell’Attore)” (Allegato C).
Ho successivamente chiesto di voler pensare a situazioni con cui fossero stati confrontati e che
avessero lasciato strascichi emozionali. Sono usciti questi temi:
1) Danza: non integrazione nel gruppo e comportamento non professionale della docente
2) Immobilismo: difficoltà a far passare il messaggio di un cambiamento a certi collaboratori
3) Sostegno e supporto ai collaboratori da parte dei consulenti RU
4) Pregiudizi e stereotipi in ambito sportivo
Queste tematiche possono essere utili sia su un piano professionale sia su un piano personale e
sono collegabili tra di loro. Soprattutto per questo aspetto mi è stato chiesto di sviluppare un tema in questo incontro e di programmare altri incontri per elaborare anche gli altri temi proposti;
la signora che non ha potuto partecipare a questo incontro presenterà pure una sua situazione.
I partecipanti hanno deciso di parlare del tema legato all’immobilismo delle persone contro i cambiamenti richiesti dalla struttura e la persona che lo ha proposto ha cominciato a illustrare la situazione. Il processo è stato rispettato punto per punto e i miei interventi si sono limitati a verbalizzare il racconto, lasciando completa libertà d’espressione all’Attore. Ho quindi aiutato i tre partecipanti rimasti in sala a formulare correttamente le domande chiarificatrici, sulla base di quanto
indicato nel “Formulario di rilevamento (a uso del Gruppo)” (Allegato D).
Al rientro dell’Attore il gruppo ha proceduto a porre le domande preparate e, successivamente, a
suggerire altri punti di vista e comportamenti in ottica di modificare i “tentativi di soluzione”, per
dirla con Fiorenza e Nardone, finora adottati.
12
13
confronta G. Contessa, Psicologia di gruppo, capitolo 6, Edizioni La scuola
confronta Luc Ferry, Vivere con filosofia, Garzanti Libri, pag. 116
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Marco Ricci
Certificazione Modulo 9 – MaGF 2
In particolare tutti i suggerimenti tenevano conto di questi aspetti:
le strategie e le tecniche devono adattarsi al problema presentato e alla persona che manifesta la difficoltà
davanti a scarsi risultati si deve cambiare strategia
la scelta dell’intervento deve mirare a piccoli cambiamenti.
L’incontro si è concluso con un veloce feedback orale, dopo oltre due ore di lavoro in comune. Da
parte mia ho provveduto a posteriori ad allestire il “Formulario di rilevamento (a uso del Supervisore)” (allegato E)
4 Valutazione della sperimentazione
Sulla base di quanto sperimentato, sicuramente anche grazie alla grande disponibilità dei partecipanti, posso affermare che l’applicazione di un simile modello può essere effettuata in ottica di ottenere risultati non scontati sulle visioni e sui comportamenti dei coinvolti.
Va rilevato che:
il processo si è svolto così come pianificato
i supporti preparati sono stati utilizzati nei tempi previsti e si sono dimostrati validi per strutturare sia il racconto iniziale sia le fasi successive
i partecipanti hanno dimostrato un grande interesse e una grande motivazione nel mettersi in
discussione dapprima, ma anche nel guardare la situazione presentata con “occhi diversi” tralasciando completamente quelli che erano stati gli approcci precedenti.
La sperimentazione mi è servita, oltre che a testare il modello in se stesso, a rafforzare i rapporti
personali, d’altronde già molto buoni, con il gruppo delle Risorse Umane della BPS (SUISSE).
5 Valutazione su possibili impieghi
Sulla base di quanto sperimentato ritengo che sia possibile impiegare questo modello in momenti
formativi quali:
corsi di team building
corsi di “orientamento al cliente” compresi i corsi di tecniche di vendita e di comunicazione
corsi di evoluzione personale quali la ricerca di autostima e automotivazione.
Ritengo sia possibile utilizzare questo supporto anche in ambito di consulenza e coaching aziendale: ex ante, quindi, ma anche in itinere con interventi di supervisione.
Da rilevare che questa applicazione richiede un impiego di tempo che non sempre il committente
è disposto a concederti per un intervento di consulenza o formativo: personalmente sono convinto che il rischio di non osare ti porta a ottenere quello che hai sempre ottenuto, proprio perché
continui a fare quello che hai sempre fatto.
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Marco Ricci
Certificazione Modulo 9 – MaGF 2
6 Considerazioni finali
La partecipazione al modulo 9 del MaGF e l’elaborazione del presente lavoro mi hanno permesso
di analizzare in un modo nuovo e più strutturato gli aspetti comportamentali e relazionali che toccano le persone. Anche la bibliografia che mi è stata suggerita, unitamente a quella che per stimoli ricevuti sono andato a ricercare, mi hanno permesso di ampliare sia le conoscenze sia le
competenze nell’ambito formativo e professionale che ho scelto.
Ringrazio già sin d’ora la Prof.sa Vittoria Cesari Lusso per la sua valutazione e, soprattutto, per i
suggerimenti che mi vorrà dare in merito a questo argomento, a livello teorico ma, anche e soprattutto, per la sua applicazione pratica.
Lugano, 21 giugno 2008
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Certificazione Modulo 9 – MaGF 2
7 Bibliografia
Vittoria Cesari Lusso
Dinamiche e ostacoli della comunicazione interpersonale
Erickson
Vittoria Cesari Lusso
Quadro metodologico di Accompagnamento alla Supervisione collettiva di Situazioni
Professionali QUASSP – Appunti di lavoro per la giornata del 9 maggio 2008 al MaGF
Pierre Vermersch, edizione italiana a cura di Vittoria Cesari Lusso e Antonio Iannaccone
Descrivere il lavoro – Nuovi strumenti per la formazione e la ricerca: l’intervista di esplicitazione
Carocci Faber
Andrea Fiorenza - Giorgio Nardone
L’intervento strategico nei contesti educativi – Comunicazione e problem-solving per i
problemi scolastici
Giuffrè Editore
Enzo Spaltro
IL GRUPPO - Sintesi e schemi di psichica plurale
Edizioni Pendragon
Contessa G.
Psicologia di gruppo - Cap.6. Il gruppo come dispositivo (estratto)
Ed.La Scuola
Luc Ferry
Vivere con filosofia
Garzanti Libri
Andrea Vitullo
Leadership riflessive - La ricerca dell'anima nelle organizzazioni
Edizioni Apogeo
Appunti personali sul Modulo 9, non rivisti dalla Relatrice
8 Allegati
A.
B.
C.
D.
E.
Istruzioni per l’uso
Schema del processo di evoluzione con supervisione
Formulario di rilevamento (a uso dell’Attore)
Formulario di rilevamento (a uso del Gruppo)
Formulario di rilevamento (a uso del Supervisore)
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Istruzioni per l’uso
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Allegato A
Indicazioni di base
Attore volontario
le parole dell’Attore sono accolte senza giudicare la persona ha fatto il meglio che poteva
accettazione del dispositivo (Modello QUASSP)
possibilità dell’Attore di non rispondere
fiducia
confidenzialità
presenza: non uscire nel corso dell’esercizio; se si esce e si rientra si assumerà la funzione di
osservatore
Svolgimento
vedere diagramma di flusso allegato
Come il gruppo si può rivolgere all’Attore
non devono essere formulate domande che possano mettere l’Attore in una situazione di doversi giustificare (p.es. “perché hai fatto così?” non è una domanda ammessa)
non devono essere espresse considerazioni o poste domande che contengano dei giudizi
nella formulazione di elementi di interpretazione e suggerimenti per (nuove) piste d’azione alternative, il Gruppo può esprimere considerazioni personali
Come l’Attore si rivolge al Gruppo
- primo tempo (narrazione)
racconta liberamente la situazione e i provvedimenti adottati per risolverla o perlomeno attenuarne gli effetti negativi
- secondo tempo (risposte)
al rientro risponde alle domande di precisazione che gli vengono poste: può non rispondere se
ritiene che questo sia il comportamento più indicato al momento
- terzo tempo (formulazione di proposte)
a questo punto l’Attore rimane in silenzio: non deve reagire a ogni proposta che gli viene formulata ma unicamente prenderne atto e in un secondo tempo valutare se è applicabile nella
sua situazione
- quarto tempo (presa di posizione dell’Attore)
comunica al Gruppo le idee e le piste che appaiono, ai suoi occhi, praticabili nella sua situazione
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Schema del processo di evoluzione con supervisione
Allegato B
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Formulario di rilevamento (a uso dell’Attore)
Allegato C
Breve descrizione della situazione/problema
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A che livello mi tocca (personale, a livello di funzione ecc.)
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Quali provvedimenti ho messo in atto per risolvere il problema
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Formulario di rilevamento (a uso del Gruppo)
Allegato D
Come ho compreso la situazione/problema che ho udito
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Quali informazioni mi mancano ancora per avere un’idea più precisa
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Quali suggerimenti mi sento di dare per aiutare l’Attore
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Certificazione Modulo 9 – MaGF 2
Formulario di rilevamento (a uso del Supervisore)
Allegato E
Come ho compreso la situazione/problema che ho udito
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Quali interventi ho dovuto compiere per correggere le domande
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Quali indicazioni posso/devo dare al momento del debriefing
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Master professionalizzante
in
Gestione
della
Formazione
per dirigenti
di istituzioni formative
Certificazione Modulo 9
La gestione e la supervisione degli aspetti relazionali e didattici
Relatrice Prof. ssa Vittoria Cesari Lusso ([email protected])
Scambio di pratiche fra professionisti sperimentati
Quadro metodologico di comunicazione e proposta d’intervento
Approfondimento in forma di presentazione e documento di lavoro
Walter Seghizzi – Formatore aziendale dipl. fed., Esperto della formazione degli adulti e Responsabile del
“Servizio per le procedure di qualificazione degli adulti” (SPQA) della DFP. [email protected]
1
Sommario
ABSTRACT ........................................................................................................................................................3
BREVE PRESENTAZIONE DEL CENTRO .......................................................................................................4
ASSICURAZIONE E SVILUPPO DELLA QUALITÀ ......................................................................................................5
Modo d’agire per sviluppare costantemente la qualità ..............................................................................5
Valutazione e autovalutazione...................................................................................................................5
CONCETTO E PROCEDURA PER L’ALLESTIMENTO DI UNO SCAMBIO DI PRATICHE ....................................................8
Il corso di base per formatori di apprendisti in azienda .............................................................................8
Vantaggi e svantaggi del concetto proposto..............................................................................................8
Procedura del sistema globale di valutazione ...........................................................................................9
Lo strumento per il colloquio......................................................................................................................9
SCELTA DEI CRITERI DA RICORDARE........................................................................................................10
POSSIBILI PISTE PER L’INTERVISTA E LA DISCUSSIONE DI SCAMBIO .....................................................................10
SPERIMENTAZIONE .......................................................................................................................................11
CONCLUSIONI SUL CASO.............................................................................................................................13
CONCLUSIONI SUL LAVORO DI CERTIFICAZIONE....................................................................................13
BIBLIOGRAFIA................................................................................................................................................14
ALLEGATO 1(RIASSUNTO DEL FORMULARIO PREVISTO IN FORMATO A3) .............................................................15
Indice delle figure
Figura 1, dall’opuscolo di presentazione del Master (MaGF) .............................................. 3
Figura 2, fonte: appunti personali ........................................................................................ 6
Figura 3, fonte internet ........................................................................................................ 6
2
Abstract
La supervisione dell’insegnamento nell’ambito della gestione della formazione
Tematica
Responsabili
Preparazione e realizzazione dell’innovazione
Vittoria Cesari, Università della Svizzera italiana, Lugano
Maria Luisa Schubauer-Leoni, Università della Svizzera italiana, Lugano - Università di Ginevra
Obiettivi
Offrire l’opportunità di conoscere le potenzialità, e anche i limiti, di alcuni strumenti e di alcune modalità che
consentono di situare e di valutare l’operato didattico dei docenti.
Contenuti
Si presenteranno, in forma teorica e applicata (vedi situazioni di insegnamento), alcuni strumenti – ad esempio
griglie e criteri di osservazione – per una “lettura” e interpretazione dell’attività didattica. Sarà data particolare
rilevanza all’interpretazione delle osservazioni, ponendo l’accento sulle componenti essenziali, quali: l’analisi del
contesto, il colloquio con l’insegnante, le dinamiche sociali e cognitive, l’organizzazione e la strumentazione didattica, la creazione delle condizioni dello studio in classe e a casa, ecc. Inoltre si approfondirà la nozione di
monitoraggio e di accompagnamento dei nuovi insegnanti e, attraverso l’analisi di casi, si esamineranno alcune
strategie di gestione dell’attività dei docenti in rapporto ai principali partner della scuola: genitori, autorità ecc.
Figura 1, dall’opuscolo di presentazione del Master (MaGF)
Il seguente approfondimento dal titolo “Scambio di pratiche fra professionisti sperimentati”
- Quadro metodologico di comunicazione e proposta d’intervento -, in forma di presentazione e di documento di lavoro, è stato elaborato con lo scopo di conseguire la certificazione del Modulo 9 in seno al MaGF2, riassumere e ristrutturare gli appunti, le riflessioni, i
pensieri e gli apprendimenti personali di tutto il percorso con la relatrice principale e i suoi
collaboratori, nonché per sperimentare l’approccio che andrò a descrivere. Per questi motivi il presente documento viene sottoposto alla Professoressa Vittoria Cesari Lusso.
Dopo aver presentato con le stesse modalità (per le certificazioni dei moduli 4 e 8) e dopo
aver avuto, soprattutto, la possibilità di sperimentare concretamente due strumenti1 di gestione nella supervisione delle attività didattiche, mi è grata l’occasione per “chiudere il
cerchio” nel descrivere, approfondire e proporre un terzo elemento di supervisione gestionale, ossia un evento strutturato di scambio di pratiche professionali. Il centro di formazione, che descriverò in un prossimo capitolo, avrà quindi la possibilità di sperimentare un ulteriore strumento di metodo, di valutazione e d’analisi. Oltre a ciò, nel quadro della preparazione e della redazione del dossier di certificazione finale del MaGF2, questo tema avrà
un’attinenza molto importante. Assieme al collega Marco Ricci affronterò infatti il tema delle “Competenze distintive dei formatori e delle buone pratiche nella formazione degli adulti
e nella formazione professionale nel Cantone Ticino”.
Il numero dei formatori coinvolti (8) è stato definito quale ottimale e le peculiarità professionali nonché le competenze personali si prestano perfettamente alla sperimentazione.
Per questioni di tempo e di “spazio” a disposizione, verrà descritta la sperimentazione riferita all’intervista di un solo collega, ritenuta da me quale rappresentativa dell’esperienza.
1
auditing interno delle attività pedagogiche (Prof. M. Balducci) e Auditing interno delle attività pedagogiche –
2, L’auto - valutazione formativa espressa dai relatori (Prof. Armand Claude)
3
Breve presentazione del Centro
Il centro di formazione per formatori (CFF) è un servizio della Divisione della formazione
professionale (DFP) del DECS – Cantone Ticino. Dal 1978, anno d'introduzione della Legge federale sulla formazione professionale (LFP) che lo prescriveva, si occupa dell'organizzazione della formazione degli, allora, denominati "Maestri di Tirocinio". È del 1980, inoltre, l'emanazione federale di una specifica ordinanza che, oltre a ribadirne l'obbligatorietà, fissa precisi parametri sulle durate e sui contenuti minimi, imposti agli enti di formazione cantonali incaricati. Dal 1° gennaio 2004, data dell'entrata in vigore della nuova
LFPr, tale figura è stata rinominata in "Formatori di apprendisti in azienda", mantenendo
altresì l'obbligatorietà di frequenza al corso per tutti coloro i quali intendono assumere e
formare un tirocinante.
I partecipanti al corso di base per formatori sono progressivamente aumentati nel corso
degli anni, passando in 10 anni da 290 a 480 all'anno (con il miglior risultato di 520 nel
2006). Una massa critica importante quindi, anche quale significativo indicatore della soddisfazione sui contenuti e sulle modalità d'erogazione.
In adeguata considerazione, alfine di affinare i dettagli ma restando nei parametri dell'ordinanza precedentemente citata, vengono tenute le valutazioni espresse dai partecipanti alla fine di ogni corso. Queste vengono statisticate, analizzate e prese in considerazione in
modo puntuale. In occasioni di specifiche riunioni vengono rese note al plenum dei formatori. Oltre a ciò vengono condotti dal responsabile colloqui personali con ogni formatore,
aventi lo scopo di approfondire gli aspetti valutativi legati allo specifico docente.
Solidità e trasferibilità delle conoscenze e competenze acquisite dai partecipanti
Non solo attraverso le valutazioni, già citate, espresse dai partecipanti, bensì anche da feedback rilevati e riportatici dagli Ispettori di tirocinio della DFP, siamo in grado di affermare
che le modalità esercitate durante l'erogazione formativa, facilitano e permettono un'acquisizione di competenze solide ed applicabili immediatamente nella pratica professionale
quotidiana. Oltre a ciò la documentazione consegnata in aula ha proprio lo scopo, così assemblata, di permettere un'efficace consultazione anche dopo la frequenza del corso. Ogni tema, ogni lezione è supportata in modo chiaramente intellegibile da supporti cartacei
suddivisi per capitolo (area d'intervento) e tema. A partire dal mese di settembre 2006,
viene consegnato in aula anche il nuovo Manuale per la formazione degli apprendisti in azienda (http://hb.dbk.ch/it/index.php) edito dalla DBK (www.dbk.ch) in collaborazione con
la CSFP (www.csfp.ch) e con i Cantoni.
Formatori impegnati e aggiornati sui più recenti sviluppi metodologici, didattici e
nel loro specifico campo d'insegnamento
Ai formatori attivi presso il CFF viene proposto un corso di aggiornamento ogni anno. Una
giornata di formazione specifica, ad esempio:
o anno 2003: Giochi pedagogici per l'aula
o anno 2004: PNL e comunicazione pedagogica
o anno 2005: Atteggiamento e linguaggio durante l'insegnamento
o anno 2006: Il riflesso dell'adulto sul disagio adolescenziale
o anno 2007: La definizione delle competenze distintive
4
o anno 2008: L’importanza del feedback nelle attività di formazione2
Alfine di permettere all'intero Team la restituzione e la messa in comune dei risultati, in
itinere e finali, viene convocata almeno una riunione annuale.
La quasi totalità dei docenti del CFF è, inoltre, attiva professionalmente nel proprio campo
d'attività o lo è stata fino a pochi mesi fa. Questo garantisce l'approvvigionamento delle
competenze in modo certificabile, automatico ed economicamente conveniente.
Assicurazione e sviluppo della qualità
I contenuti della qualità vengono definiti come segue:
•
L’istituzione considera chiari i seguenti punti per la qualità
o Raggiungimento degli obiettivi qualitativi e quantitativi per ogni corso
o Valutazione dell’efficacia del corso tramite un formulario di valutazione
o Mantenimento di uno standard di qualità adeguato, per rapporto
all’evoluzione nel campo della formazione di base e continua
o Continua verifica e adattamento ai bisogni riscontrati o alle difficoltà espresse nelle valutazioni dei partecipanti
o Autovalutazione dei relatori ai corsi di base per formatori di apprendisti in azienda3
o NUOVO: scambio di pratiche fra professionisti sperimentati4
Modo d’agire per sviluppare costantemente la qualità
L’istituzione, per il tramite dei collaboratori del CFF, all’inizio di ogni anno attiva le necessarie verifiche e fissa nuovi obiettivi tendenti ad ottenere un sempre miglior grado di qualità.
Valutazione e autovalutazione5
Entrambe sono costituite da un insieme di attività conoscitive, finalizzate all’apprendimento
e al miglioramento, e:
consentono di esprimere un giudizio valutativo
sono strutturate nell’ambito di una procedura di ricerca e di analisi rigorosa
possono essere un’utile lezione per coloro che affrontano la gestione e il controllo dei
processi dell’istituzione formativa
sono finalizzate al miglioramento continuo dei risultati (dapprima) e dei processi (dopo).
La valutazione e l’autovalutazione devono essere inseriti in una struttura e una procedura
di ricerca per poter avere un risultato utilizzabile. Questo richiede un apprendimento
da parte di tutti i coinvolti. L’autovalutazione è comunque un ottimo strumento per la crescita degli attori. A fronte delle considerazioni citate, nonché riflettendo ex post sulle discussioni e sullo scambio di esperienze avvenute in aula a Lugano, durante l’intero Modu-
2
progetto: il corso dovrebbe tenersi entro la metà del mese di settembre 2008. La data non è ancora stata
definita.
3
oggetto del lavoro di approfondimento per la certificazione del modulo 8
4
oggetto di questo lavoro di approfondimento
5
dagli appunti del Modulo 8 / MaGF2
5
lo, ho optato per l’integrazione di un nuovo e ulteriore modello di gestione / supervisione
pedagogico – didattica, ossia un momento di scambio di pratiche fra “colleghi”.
Ulteriore fonte di ispirazione sono stati gli schemi seguenti
Figura 2, fonte: appunti personali
Figura 3, fonte internet
6
Come pure i seguenti appunti personali del Modulo 9:
Tappe per lo sviluppo concettuale del tema:
• preparazione
• esposizione
• tempo per le domande
• apporti complementari sulle pratiche
• momento di scambio sulle pratiche
• momento per la formalizzazione individuale
o
riutilizzabilità, elementi da approfondire ulteriormente, …
nonché le considerazioni di Perrenoud6: Nuove competenze professionali per insegnare.
Per raggiungere questo obiettivo ho sviluppato l’idea ed elaborato la seguente traccia operativa:
1. decidere come organizzare e pianificare il momento di scambio delle pratiche (SP)
far si che la decisione della direzione sia consapevole e fondata sulla consultazione
definire ambito e approccio dello scambio
scegliere e elaborare lo strumento
identificare un responsabile di progetto
2. Comunicare il progetto sullo scambio delle pratiche
definire e avviare un piano di comunicazione
stimolare il coinvolgimento di collaboratori nello SP
comunicare con i portatori di interesse durante le varie fasi
3. Formare uno o più gruppi di SP
decidere il numero dei gruppi di SP
creare un gruppo di SP rappresentativo dell’organizzazione in tutti i suoi aspetti attenendosi a criteri
predefiniti
scegliere il moderatore del gruppo (i)
4. Organizzare la formazione
informare e curare la formazione del gruppo di SP
il responsabile del progetto fornisce un elenco di tutti i documenti ritenuti significativi
definire i principali portatori di interesse, i prodotti e servizi erogati e i processi chiave
5. Condurre lo SP
raggiungere il consenso nel gruppo (condivisione)
condurre lo SP (individuale o di gruppo)
6. Stendere un report descrittivo dei risultati dello SP
7. Delineare un piano d’azione, basato sui contenuti del rapporto di SP, se necessario
identificare le priorità di azione
collocare le azioni secondo un piano di sviluppo temporale realistico
integrare il piano nel normale processo di pianificazione strategica
8. Comunicare il piano d’azione
9. Attuazione
definire un approccio coerente dello SP e valutazione delle azioni di miglioramento
nominare un responsabile per ciascuna delle azioni previste
inserire nell’attività ordinaria le nuove modalità di gestione risultate appropriate
10.Pianificare la successiva sessione di SP
6
valutare l’esito delle azioni di miglioramento attraverso un nuovo SP
Philippe Perrenoud, cfr Bibliografia
7
Concetto e procedura per l’allestimento di uno scambio di pratiche
Il corso di base per formatori di apprendisti in azienda
Alfine di assicurare, mantenere e sviluppare la qualità delle attività formative (erogazione)
presso il CFF, si rende necessaria l'applicazione, oltre che di uno strumento “auto valutativo” – che fa capo alle soggettive competenze e percezioni dei formatori – di uno scambio
di pratiche fra professionisti con un sistema pianificato. Questi dati qualitativi, analizzati e
messi a confronto con quelli espressi dai partecipanti al termine di ogni corso (come finora), ci consentono di ulteriormente arricchire il quadro valutativo e di maggiormente intervenire dove necessario.
Il sistema operativo che si vuole applicare è stato ispirato dalla seguente definizione:
“l’intervista di esplicitazione è definibile come un insieme di comportamenti di interazione
verbale e di ascolto, basati su alcune griglie di riferimento applicabili a quanto viene detto,
e di determinate tecniche di formulazione dei rilanci (domande, riformulazioni, silenzi) destinate a facilitare e ad accompagnare la verbalizzazione di un particolare campo
dell’esperienza, in relazione a diversi obiettivi personali ed istituzionali”7.
Inoltre
“La fenomenologia di Husserl8 ha molto indagato sul fatto che la persona possa avere coscienza del mondo senza per questo aver consapevolezza di esserlo (aver coscienza di
essere coscienti)”.
Vantaggi e svantaggi del concetto proposto
VANTAGGI
SVANTAGGI
Ogni relatore si sente responsabile della prestazione e della
relativa valutazione (autovalutazione)
La qualità degli interventi e quindi anche la percezione dei
fruitori delle attività formative aumenta, grazie al contributo e
alle autovalutazione dei colleghi
Aumenta la sensibilità verso gli aspetti legati all'assicurazione, al mantenimento e allo sviluppo della qualità
Il relatore deve restare molto distante dagli aspetti emozionali ed esprimere quindi un’autovalutazione corretta
Il formatore, a meno di eventi particolarmente rilevanti, tenderà a rapportarsi “uniformemente” (appiattimento)
La mole di lavoro aumenta sia per il personale del CFF (lettura e gestione dei feedback) sia per i relatori, a loro volta
già impegnati in attività formative.
A seguito della lettura dei feedback redatti e presentati dai
formatori è più facilmente interpretabile la necessità di adattare temi, tempi, metodi, nonché aspetti logistici
È possibile confrontare il risultato dello SP con il risultato
derivante dall'espressione valutativa dei partecipanti e
dell’autovalutazione espressa dai formatori
7
8
Vermersch, P. (1994, 2005). Descrivere il lavoro. L’intervista di esplicitazione. Pagina 17.
filosofo e matematico austriaco 1859-1938
8
Procedura del sistema globale di valutazione
CHI
QUANDO
COSA
Segretariato
dei corsi
alla fine
dell’intervento
alla fine
dell’intervento
alla ricezione del
formulario
Direttore del
CFF
alla fine di ogni
periodo
redige lo strumento
di valutazione
redige lo strumento
di autovalutazione
misura e riassume
la valutazione nelle
apposite tabelle
(statistica)
verifica e analizza i
dati
Direttore del
CFF
correntemente a
seguito delle autovalutazioni
Direttore del
CFF
entro fine anno
corrente
Direttore del
CFF
Secondo la necessità
Partecipanti
Formatore
COME
Discute con il formatore interessato i
contenuti ritenuti
vicendevolmente
interessanti
Restituzione dei risultati globali
Propone a uno o
più formatori uno
scambio di pratiche
OSSERVAZIONI
strumento previsto
strumento previsto
tabelle e grafici
redige una ricapitolazione (che è contenuta nel rapporto
di revisione della
direzione del CFF)
Colloquio personale
Riunione conclusiva
CFF
se ritenuto necessario
Organizzazione delle sessioni formative e di aggiornamento pedagogico –
didattico per il team dei
formatori del CFF
Colloquio / intervista
(strutturata)
Lo strumento per il colloquio
Per poter approfittare appieno della possibilità di trarre elementi costruttivi da uno SP - soprattutto a fronte dell’inesistente esperienza – nei primi momenti d’incontro è necessario, a
mio avviso, disporre di una “stampella” operativa. Questa mia convinzione è stata sottolineata dall’affermazione del Prof. Iannaccone, ovvero:
• “In tutte le attività che implicano la realizzazione di compiti (a scuola o nella vita professionale) è importante conoscere in dettaglio le modalità di esecuzione del compito stesso, per analizzarne le difficoltà sul piano dell’apprendimento, le eventuali
cause di errore e di disfunzione o le ragioni che ne determinano il successo. La sola
conoscenza del risultato finale risulta insufficiente per diagnosticare la natura e la
causa di una difficoltà o di un particolare successo.”
Anche lo svolgimento di un colloquio / scambio presuppone la conoscenza delle modalità
attraverso le quali sarà possibile approfittare delle esperienze altrui, come pure, fondamentale, sarà l’aiuto, dato dalla scheda, alfine di evitare il più possibile errori comunicativi
o interpretativi. A questo proposito ho elaborato una semplice traccia, sotto forma di “verbale” ma anche di checklist9.
9
Cfr Allegato 1 al presente documento
9
Scelta dei criteri da ricordare
La scelta dei criteri da inserire nella scheda è stata operata sulla scorta di riflessioni personali e attraverso il coinvolgimento dei colleghi partecipanti al MaGF2. I criteri considerati
sono:
Entrata in materia e esplicitazione del tema (vissuto dell’azione)
Adeguatezza della sede dell’incontro (aspetti logistici)
Affermare e condividere il “contratto comunicativo”
Proporre il tema, la situazione, invitando alla verbalizzazione dell’azione
introduzione
Materiale esperienziale di supporto
Il materiale necessario è stato preparato, visionato oppure descritto
Attitudine all’osservazione e all’ascolto
L’interlocutore viene osservato e ascoltato attentamente alfine di:
10
o Determinare il raggiungimento delle posizioni di parola
o Associare i movimenti oculari dell’interlocutore alla modifica dell’attività cognitiva legata
all’azione di costruzione della rappresentazione.
11
o Verificare la canalizzazione verso l’esperienza interna
svolgimento
o Rallentamento del flusso verbale
Domande, risposte e rilanci
L’interlocutore viene sollecitato con domande precise, riferite all’azione; in nessun caso verrà chiesto di
giustificare (Perché…? Come mai …?), esempio:
o D: “Ti propongo di prendere tempo per evocare un momento in cui hai realizzato una pratica
d’insegnamento che ti ha veramente coinvolto, sia da un punto di vista professionale che
personale”.
o R: “Sì, penso a come è stato bello quando ho cominciato a parlare liberamente del tema,
senza soppesare ogni parola…”
o D: “Potresti individuare un momento preciso di questa conquista?”
o R: “Ce ne sono stati tanti…”
o D: “Va bene, scegline però uno in particolare.”
o R: “Sai, tra tanti momenti non è facile…Ecco, ogni volta che mi veniva chiesto di esplicitare
gli obiettivi della lezione…”
o D: “E fra le tante volte, cerca di ricordarne una, in particolare.”
o […]
conclusioni
Autovalutazione e valutazione dello scambio
Possibili piste per l’intervista e la discussione di scambio
Un’intervista di esplicitazione, avente quale obiettivo lo scambio di pratiche, presenta qualche difficoltà oggettiva, soprattutto in relazione ai ruoli dei due (in questo caso) interlocutori. Da un lato è importante che qualcuno si ponga nella posizione di guida e dall’altro, affinché davvero possa avvenire lo scambio, vi sia la possibilità di una parziale inversione
10
Formale, coinvolta o incarnata
L’atto di distogliere lo sguardo è l’indicatore privilegiato del fatto che il soggetto rivolge la propria attenzione verso la sua esperienza interiore.
11
10
dei ruoli. Lo scopo di questa alternanza è, evidentemente, quello di poter mettere in condizione l’interlocutore di approfittare, a sua volta, del racconto e dell’esperienza condivisa.
La pista d’intervento più plausibile – dopo l’attenta riflessione che ha portato a scartarne
delle altre – è rappresentata dalla ciclicità delle fasi (fra D e R12). In particolare:
Fase 1
D
Fase 2
Introduce il tema, evidenzia le regole e le dinamiche e istaura il contratto comunicativo
R
Risponde alle domande
poste da D, verbalizzando l’azione
Stabiliti i punti
d’interesse comune, R
si pone nel ruolo di
guida e chiede, a sua
volta a D la verbalizzazione dell’azione.
Pone l’accento su aspetti ritenuti centrali e
approfondisce ponendo, se necessario,
domande di precisazione / formulando gli
opportuni rilanci. Osserva e tiene conto del
raggiungimento della
posizione di parola
incarnata
D
Pone l’accento su aspetti ritenuti centrali e approfondisce ponendo, se
necessario, domande di
precisazione / formulando gli opportuni rilanci.
Osserva e tiene conto
del raggiungimento della
posizione di parola incarnata
Risponde alle domande poste da R, verbalizzando l’azione
R
Risponde alle domande
poste da D, verbalizzando l’azione
Valutazione
Conclusione
Riprende il ruolo di guida e
propone il riassunto dello
scambio (tiene nota). Invita, in seguito, R a una valutazione sulla riuscita dello scambio. Fornisce a sua
volta la propria.
I risultati vengono trasposti
in un documento per la
condivisione
Allestisce la valutazione
Sperimentazione
Ai fini della sperimentazione, ho concordato, con un collega, un caso interessante che ci
ha coinvolti entrambi, in momenti diversi. In un corso di formazione serale, articolato su
dieci serate sull’arco di quasi due mesi, un partecipante “particolare” ha creato qualche
problema di gestione delle dinamiche del gruppo. Il soggetto, con formazione accademica
12
D = colui che pone le domande (Guida), R = colui che risponde (interlocutore)
11
completa, non è riuscito a condividere l’esperienza formativa con il resto della classe (di
provenienza scolastica e professionale decisamente molto più modesta). Il suo atteggiamento, anziché mettere a disposizione la sua esperienza e il suo sapere, si è focalizzato
sulla conferma dello status formativo, professionale e sociale. Una situazione decisamente
pesante e, fortunatamente, non frequente (un caso analogo fu riscontrato circa sette anni
fa), ma che comunque ha messo a dura prova l’abilità dei docenti intervenuti.
Con lo scopo di sperimentare il modello e lo strumento, è stato scelto questo caso, adottando il processo così come presentato. Di seguito il riassunto delle varie fasi:
• Io, in qualità di D, ho sottoposto dapprima il contratto comunicativo che R ha accettato.
• Ho poi esposto il caso, invitando R e raccontare la sua esperienza.
• R ha molto presto raggiunto la posizione di parola incarnata. Il suo flusso verbale è rallentato molto presto nel tentativo di rappresentazione del ricordo / del vissuto. I suoi
movimenti oculari si sono indirizzati soprattutto in basso a dx (canalizzazione verso
l’esperienza interna, area affettiva).
• Ho lasciato il tempo necessario per il racconto e l’approfondimento della situazione vissuta.
• R ha colto l’opportunità per fornire molti dettagli sul comportamento del corsista e sulle
sue reazioni (avute in qualità di docente di quella lezione serale).
• Per aiutarlo ulteriormente ho posto domande relative alle sue sensazioni emotive, provate dovendo relazionare con il soggetto definito “difficile”. Per esempio:
o “Puoi descrivermi quello che hai sentito dentro di te?”
o “In che modo sei riuscito a gestire l’emozione e il nervosismo nei confronti degli altri, incolpevoli partecipanti?”
• Alla precisa domanda “Quali elementi fattuali ritieni importanti per capire il comportamento del partecipante?”, R mi ha dichiarato di non ricordare elementi precisi, salvo
una posizione preconcetta del partecipante verso il formatore (non accettazione dei
ruoli in aula)
• […]
• R mi ha raccontato di ricordarsi di aver chiesto l’intervento del gruppo in suo sostegno,
usando la frase: “cosa fareste voi al mio posto?” . Questo fatto ha generato una sostenuta reazione dei partecipanti, stanchi di questo fronteggiarsi tra il collega e il docente.
Alcuni erano propensi ad abbandonare l’aula.
• …dal momento che il gruppo ha potuto esprimersi liberamente sulla situazione ha preso coscienza del proprio ruolo e della difficoltà di approfittare dell’apprendimento proposto, ha sostenuto indirettamente il docente opponendosi all’invadenza del partecipante “difficile” (R: il gruppo mi ha aiutato parecchio…!)
• […]
• D: “sei d’accordo di ascoltare ora la mia esperienza con lo stesso gruppo…?”
• A seguito della risposta positiva di R, ho raccontato di come il partecipante abbia tenuto lo stesso comportamento, anche nei miei confronti. La mia reazione al primo insorgere della non accettazione del ruolo di docenza è stata quella di chiarire i ruoli, le modalità e gli obiettivi del corso, richiedendo nel contempo, a ogni partecipante, di preparare degli esempi che avrebbero potuto essere discussi in un momento determinato
della serata di formazione.
• […]
12
•
In conclusione D e R hanno allestito una propria valutazione e una auto – valutazione,
che sono state confrontate.
Attraverso questo scambio di pratiche, esplicitato e condiviso, è stato possibile evidenziare
alcune nuove piste d’azione con, o senza, il coinvolgimento degli altri partecipanti (compagni di classe). Il risultato di detto incontro verrà messo a disposizione dei colleghi interessati, perché ritenuto rappresentativo per casi simili.
Conclusioni sul caso
Grazie alla sperimentazione e all’analisi condivisa del caso in oggetto, lo scambio di pratiche ha permesso un importante sviluppo di competenze distintive13 per la gestione di casi
particolari o problematici, come pure un nuovo approccio all’auto – valutazione alla valutazione, da parte dei colleghi. Un possibile impiego regolare del modello (su tempestiva segnalazione della persona coinvolta / interessata) può portare alla risoluzione di situazioni
potenzialmente conflittuali, già dal loro insorgere.
Conclusioni sul lavoro di certificazione
Poter progettare e sperimentare il modello sviluppato è stato straordinariamente interessante, motivante e arricchente. Ringrazio nuovamente la Professoressa Vittoria Cesari
Lusso e le sottopongo il lavoro di approfondimento alfine di poter ricevere importanti feedback, nonché di poter acquisire la certificazione del Modulo 9 del MaGF2.
Ringrazio e saluto cordialmente
Walter Seghizzi
13
Si apprende e si istaura la soggettiva abitudine a osservare e rilevare maggiormente gli elementi fattuali
anziché, mettendole quindi in secondo piano, unicamente le reazioni puramente emozionali.
13
Bibliografia
 Cesari Lusso V. (2005), Dinamiche e ostacoli della comunicazione interpersonale.
Trento : Erickson.
 Vermersch, P. (1994, 2005). Descrivere il lavoro. L’intervista di esplicitazione. Versione italiana a cura di V. Cesari Lusso & Antonio Iannaccone. Roma : Carocci Introduzione a cura di V. Cesari Lusso & A. Iannaccone.
 Philippe Perrenoud. Dieci Nuove Competenze per Insegnare. Invito al viaggio
Roma, Anicia, 2002.
 appunti personali, non verificati dai relatori, raccolti in occasione delle giornate di
Master MaGF2
 documentazione didattica distribuita in aula e/o messa a disposizione sulla piattaforma dai Prof.ri V. Cesari – Lusso e M. Lamy
14
Allegato 1(riassunto del formulario previsto in formato A3)
SCHEDA DI SUPPORTO (PER LO SCAMBIO DI PRATICHE FRA PROFESSIONISTI)
D
R
Nome e cognome
Nome e cognome
Argomento / Criterio
Corso, caso, tema, situazione
Posizione di
Reazione osser parola:
vata e ritmo di
Formale (F)
flusso verbale
Coinvolta (C)
Incarnata (I)
Data del colloquio
di scambio
Movimenti oculari
Approccio / entrata in materia / contratto comunicativo
Domanda D 1
Risposta R 1
Domanda D 2
Risposta R 2
Domanda D N
…
Osservazioni supplementari:
15
RAPPORTO INTERNO
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in
azienda
a cura di Enrico Faggiano, Walter Seghizzi e Ferruccio Doga
Centro di formazione per formatori
Divisione della formazione professionale
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Ringraziamenti:
Un ringraziamento speciale a tutti i formatori di apprendisti in azienda che hanno risposto al
questionario, senza i quali il presente sondaggio non si sarebbe potuto effettuare.
Si ringraziano anche tutti coloro che, in vari modi, hanno contribuito alla realizzazione del
presente progetto con suggerimenti, commenti e critiche.
giovedì, 24. luglio 2008
2
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Introduzione ..................................................................................................4
Analisi dei bisogni .........................................................................................9
L’analisi dei bisogni come strumento per il miglioramento costante dell’offerta
di corsi di perfezionamento del CFF ................................................................... 11
Il sondaggio.................................................................................................14
Obiettivi .................................................................................................................... 14
Materiale e metodi.................................................................................................... 14
Il campione .................................................................................................................15
Risultati .................................................................................................................... 23
Interventi formativi in ambito istituzionale....................................................................23
Bisogni istituzionali .....................................................................................................27
Bisogni d’integrazione.................................................................................................33
Bisogni in ambito familiare ..........................................................................................36
Bisogni aziendali e di categoria...................................................................................39
Conclusioni .................................................................................................43
10° Congresso Nazionale sull’Orientamento alla scelta: ricerche,
Formazione Applicazioni - Firenze..........................................................46
Bibliografia ..................................................................................................47
giovedì, 24. luglio 2008
3
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Introduzione
Il presente studio è nato da due esigenze: una esterna e di più ampio respiro ed una
interna e più specifica. La prima è quella di voler valutare in Canton Ticino quali siano i reali
bisogni dei formatori di apprendisti in azienda; esplorazione mai fatta nella regione almeno in una
forma così sistematizzata. La seconda, relativa ad aspetti attinenti il Centro di formazione per
formatori che l’ha promosso e realizzato, è stata quella di valutare se la formazione rivolta al
formatore di apprendisti in azienda rispecchia l’offerta fornita in tale ambito, in particolare riguardo i
corsi di perfezionamento.
Questo studio non vuole avere la presunzione di essere esplicativo di tutte le variabili e
sfaccettature che l’argomento meriterebbe, ma vuole essere solo una piccola finestra verso un
mondo – quello del formatore di apprendisti – che proprio perché molto variegato è di difficile
interpretazione.
I formatori che operano in Canton Ticino hanno diverse formazioni: impiegati di commercio,
impiegati di vendita, muratori, addetti ai pneumatici, ecc… ma in comune hanno il loro essere
formatori o ancora prima maestri. Quest’ultimo termine è ormai superato, ma continua ad avere
tutta la forza che si porta dietro dal punto di vista etimologico. Il termine deriva dal latino e ancor
più nello specifico dall’ “acc. di MAGISTER, […] onde varrebbe il più grande, il maggiore.” (Dizionario
etimologico, 2004).
Il centro di formazione per formatori (CFF) è un servizio della Divisione della for-mazione
professionale (DFP) del DECS – Cantone Ticino. Dal 1978, anno d'intro-duzione della Legge
federale sulla formazione professionale (LFP) che lo prescri-veva, si occupa dell'organizzazione
della formazione degli, allora, denominati "Maestri di Tirocinio". È del 1980, inoltre, l'emanazione
federale di una specifica ordinanza che, oltre a ribadirne l'obbligatorietà, fissa precisi parametri
sulle durate e sui contenuti minimi, imposti agli enti di formazione cantonali incaricati. Dal 1°
gennaio 2004, data dell'entrata in vigore della nuova LFPr, tale figura è stata rino-minata in
"Formatori di apprendisti in azienda", mantenendo altresì l'obbligatorietà di frequenza al corso per
tutti coloro i quali intendono assumere e formare un tiro-cinante.
I partecipanti al corso di base per formatori sono progressivamente aumentati nel corso
degli anni (vedi grafico sottostante), passando in 10 anni da 290 a 480 all'anno (con il miglior
risultato di 520 nel 2006). Una massa critica importante quindi, anche quale significativo indicatore
della soddisfazione sui contenuti e sulle modalità d'erogazione.
giovedì, 24. luglio 2008
4
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
In adeguata considerazione, alfine di affinare i dettagli ma restando nei parametri
dell'ordinanza precedentemente citata, vengono tenute le valutazioni espresse dai partecipanti alla
fine di ogni corso. Queste vengono statisticate, analizzate e prese in considerazione in modo
puntuale. In occasioni di specifiche riunioni vengono rese note al plenum dei formatori. Oltre a ciò
vengono condotti dal responsabile colloqui personali con ogni formatore, aventi lo scopo di
approfondire gli aspetti valutativi legati allo specifico docente.
Riportiamo a mo' di esempio la statistica relativa all'anno scolastico 2006/2007
Valutazione e aree di miglioramento
• Interesse per l’argomento trattato
• Utilità dell’argomento trattato
• Competenza specifica del formatore
• Capacità d’animazione del formatore
•
5,20
5,20
5,19
5,29
Valutazione media
5,21
Non solo attraverso le valutazioni, già citate, espresse dai partecipanti, bensì anche da
feedback rilevati e riportatici dagli Ispettori di tirocinio della DFP, siamo in grado di affermare che le
modalità esercitate durante l'erogazione formativa, facilitano e permettono un'acquisizione di
competenze solide ed applicabili immediatamente nella pratica professionale quotidiana. Oltre a
ciò la documentazione consegnata in aula ha proprio lo scopo, per cui così assemblata, di
permettere un'efficace consultazione anche dopo la frequenza del corso. Ogni tema, ogni lezione è
supportata in modo chiaramente intellegibile da supporti cartacei suddivisi per capitolo (area
d'intervento) e tema. A partire dallo scorso mese di settembre 2006, viene consegnato in aula
anche il nuovo Manuale per la formazione degli apprendisti in azienda (http://hb.dbk.ch/it/index.php)
edito dalla DBK (www.dbk.ch) in collaborazione con la CSFP (www.csfp.ch) e con i Cantoni.
giovedì, 24. luglio 2008
5
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Già con la pubblicazione dell'offerta del CFF per l'anno 2005 è stato deciso di optare per
una crasi dei precedenti opuscoli. Fino al 2004, infatti, l'offerta formativa del CFF era suddivisa
distintamente in 3 parti:
1. corsi di base per Maestri di tirocinio
2. corsi di perfezionamento per Maestri di tirocinio
3. corsi di base per periti d'esame
Questa operazione ha evidenziato vicendevolmente alle diverse figure professionali gli
indirizzi specifici, creando grande interesse. Sia alla fine di gennaio 2007 sia alla fine dello stesso
mese del 2008, più del 60% delle offerte formative proposte risultava già completa. Molte richieste
d'iscrizione hanno dovuto essere dirottate su altri corsi.
Un primo indicatore di leggibilità delle attività del CFF in funzione dell'orientamento al
cliente risulta essere, a nostro avviso, già stato citato in relazione al gradimento espresso, al
termine del corso, dai partecipanti stessi. Un secondo è costituito dalle frequenti e importanti
rivisitazioni del contenuto dei vari interventi (programma di formazione), dall'offerta di molteplici
possibilità d'iscrizione ai corsi (diurni, serali, e in diverse località del Cantone).
Per quanto attiene all'economicità dell'offerta, rileviamo che la tassa (CHF 300.- fino al
2004, CHF 320.- dal 01.01.05 e ulteriormente modificata in CHF. 350.- dal 1° gennaio 2007) risulta
essere un prezzo politico, assolutamente conveniente e che non copre i costi vivi di progettazione,
programmazione ed erogazione del corso. Vista l'obbligatorietà secondo la LFPr, di cui abbiamo
già riferito, il Cantone, responsabile per l'organizzazione dei corsi, si assume la parte non coperta
dal contributo finanziario degli iscritti. Il costo orario ammonta a CHF 8.75/UD.
Il parametro legato all'efficacia è misurabile nel seguente modo:
•
crescente numero di partecipanti
•
feedback ricevuti dagli ispettori del tirocinio
•
feedback ricevuti dagli stessi partecipanti, dopo qualche tempo, in occasione della
loro partecipazione a corsi di perfezionamento o per periti d'esame
iscrizione alla procedura di qualificazione per l’ottenimento del Diploma di formatore di
apprendisti, riconosciuto dalla confederazione
Abbiamo dimostrato, nel corso degli anni, che il modello attuato in Ticino è stato un
riferimento importante per altri Cantoni. La nostra appartenenza a diversi gruppi di lavoro e
commissioni a livello federale lo dimostra. Per questo motivo un nostro rappresentante non è
richiesto unicamente per questioni linguistiche, anzi. L'apprezzamento in questo ambito travalica
gli aspetti formali e la rete di relazioni che si è costituita a livello intercantonale, permette un
ulteriore sviluppo dell'approccio ai sistemi, alla gestione e al consolidamento dei processi qualitativi.
Il CFF organizza e sviluppa durante l’anno diverse riunioni e conferenze per verificare se la
qualità proposta ai corsisti professionisti ha raggiunto il livello voluto. Durante queste riunioni
vengono espresse critiche, idee, proposte onde migliorare costantemente la qualità formativa.
giovedì, 24. luglio 2008
6
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Il Direttore del CFF ed i suoi collaboratori stabili, sono responsabili del processo di
assicurazione della qualità e sono pure le persone che controllano la qualità tramite regolari
verifiche verbalizzate le quali vengono riassunte in un rapporto annuale e sottoposte alla Direzione
della DFP, nonché agli interlocutori privilegiati dell’Istituto universitario federale per la formazione
professionale (EHB / IFFP / IUFFP).
I contenuti della qualità vengono definiti come segue:
L’istituzione considera chiari i seguenti punti per la qualità
•
Raggiungimento degli obiettivi qualitativi e quantitativi per ogni corso
•
Valutazione dell’efficacia del corso tramite un formulario di valutazione
•
Mantenimento di uno standard di qualità adeguato, per rapporto all’evoluzione nel
campo della formazione di base e continua
•
Continua verifica e adattamento ai bisogni riscontrati o alle difficoltà espresse nelle
valutazioni dei partecipanti
•
Autovalutazione dei relatori ai corsi di base per formatori di apprendisti in azienda
L’istituzione si impone quale valore di qualità che almeno l’80% dei partecipanti ai vari corsi
abbiano a conseguire il successo.
La frequenza al corso da parte dei partecipanti non può essere inferiore all’85%, di
conseguenza maggiori assenze non danno diritto a conseguire una certificazione del corso.
Se dalle verifiche eseguite tramite questionari sottoposti ai corsisti risultasse che la qualità
di formazione non è stata raggiunta, i responsabili attiverebbero dei corsi d’aggiornamento specifici
per i formatori mirati a migliorare la qualità di formazione. Ulteriori interventi vengono confrontati e
discussi con i responsabili dello stesso settore a livello federale nelle diverse commissioni (SDBB,
SBBK ecc.).
L’istituzione, per il tramite dei collaboratori del CFF all’inizio di ogni anno, attiva le
necessarie verifiche e fissa nuovi obiettivi tendenti ad ottenere un sempre miglior grado di qualità.
La valutazione e l’autovalutazione sono costituite da un insieme di attività conoscitive,
finalizzate all’apprendimento e al miglioramento, le quali:
•
consentono di esprimere un giudizio valutativo
•
sono strutturate nell’ambito di una procedura di ricerca e di analisi rigorosa
•
possono essere un’utile lezione per coloro che affrontano la gestione e il controllo
dei processi dell’istituzione formativa
•
sono finalizzate al miglioramento continuo dei risultati (dapprima) e dei processi
(dopo) [PDCA].
La valutazione e l’autovalutazione devono essere inseriti in una struttura e una procedura
di ricerca per poter avere un risultato utilizzabile. Questo richiede un apprendimento da parte di
tutti i coinvolti. L’autovalutazione è comunque un ottimo strumento per la crescita degli attori. Dopo
giovedì, 24. luglio 2008
7
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
il processo di valutazione deve aver seguito il piano di miglioramento, altrimenti non c’è scopo di
effettuare una valutazione.
Proprio in quest’ottica è stato deciso di sviluppare un ulteriore strumento di valutazione e di
analisi dei bisogni. Il presente sondaggio, infatti, ha avuto sin dall’inizio l’intendimento di
rappresentare un ulteriore utensile nella “cassetta degli attrezzi” che il CFF ha da tempo in uso. I
partecipanti lasciano l’aula, dopo l’ultima lezione e dopo aver restituito in varie forme, descritte in
precedenza, la loro valutazione. È fortuito che vi sia un ulteriore incontro con loro; in ogni caso non
è previsto. Da molto tempo, ai fini di un completamento del quadro di riferimento, che travalica
quindi gli aspetti meramente formativi dell’erogazione didattica, il CFF si è trovato più volte a dover
rispondere alla domanda relativa al reale apprendimento dei corsisti, nonché al fabbisogno non
espresso di ulteriore completamento andragogico. Un follow – up, di tipo personalizzato,
richiederebbe una visita in azienda da parte del team dei formatori, cosa che, per tempo e risorse
finanziarie a disposizione, non è mai stato possibile. Ci si potrebbe basare, allora, su altri indicatori,
quali ad esempio, la riuscita degli apprendisti, il loro andamento, il superamento delle procedure di
qualificazione, ma, anche in questo caso si aprirebbero molte questioni sulle reali indicazioni
fornite (non è detto che un buon formatore abbia un buon apprendista e viceversa), nonché,
ancora una volta, sull’investimento necessario alla raccolta dei dati e alla loro analisi.
Il sistema è complesso e, ci sia permesso affermarlo, imperfetto. I numeri, anche in un
Cantone di piccole dimensioni come il Ticino, sono importanti. Ad ogni modo qualcosa andava
fatto e il sondaggio, che vi invito a leggere, pur con tutti i limiti insiti nello strumento stesso, rileva
abbastanza chiaramente il potenziale di sviluppo formativo, ma anche il senso di responsabilità,
del dovere e della passione con la quale il campione dei formatori al fronte affronta giornalmente il
non certo semplice compito di accompagnamento dei nostri giovani in formazione.
Buona lettura!
giovedì, 24. luglio 2008
8
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Analisi dei bisogni
L’educazione è definita da Tyler (1971) come “un processo per cambiare i modelli di
comportamento delle persone”. Riferendosi al comportamento in senso ampio, si include il pensare,
il sentimento e l’azione. Se forniamo al termine educazione questa accezione, gli obbiettivi da
perseguire per il cambiamento del comportamento possono essere ritrovati negli educatori e nelle
istituzioni educative che dovrebbero cercare di sviluppare programmi efficaci. L’analisi dei bisogni
rappresenta un mezzo primario per le inferenze di questi obbiettivi.
Boone (1985, p. 113) ha dichiarato che lo sforzo collaborativo di analizzare i bisogni è “uno
degli mandati primari per pianificare i bisogni educativi1”. Berger (1991, p. 2), ha inoltre sottolineato
l’importanza di valutare i bisogni dei destinatari dei programmi educativi e ha suggerito come il
“primo passo logico” sia definire un programma di pianificazione, attraverso un programma
educativo quale “curriculum integrato di risposta alle esigenze di formazione”.
Rossett (1993) affermava che ci sono quattro ragioni per avviare un’analisi dei bisogni:
1. aiutare a comprendere il vero bisogno prima di influenzare con raccomandazioni di
sorta;
2. è un metodo per comprendere e servire i clienti e le aziende;
3. è una forma di consultazione in cui c’è un miglioramento del servizio e dei
destinatari;
4. è metodo che alle organizzazioni educative e professionali è utile per garantire,
coinvolgere e raccogliere informazioni.
Vi è inoltre una notevole mancanza di prove del fatto che l’analisi dei bisogni, soprattutto
formativi, da sola possa fornire tutte le informazioni stimolando di conseguenza nel rispondere
un’autoanalisi; piuttosto, dovrebbe essere una parte di un progetto di apprendimento pertinente e
più ampio (Grant, 2002).
Rossett (1993) suggerisce di iniziare il processo di valutazione dei bisogni attraverso quello
che lui definisce situazione “ottimale”. Per Rossett il concetto di “ottimale” è definito dall’insieme di
alcuni concetti, quali le capacità desiderate, le conoscenze e le prospettive a cui aspirano gli
individui, i dirigenti e l’organizzazione. Altri, come Tyler (1971, p. 6), e Tennant (1991)
suggeriscono che occorre puntare sul bisogno accettabile “acceptable norms”, in quanto la
valutazione “ottimale” può essere difficile da identificare. Sork e Caffarella (1989, p. 237)
sottolineano che “non ci sono equivalenti serie di strumenti concreti che possano essere utilizzati
per la costruzione di una descrizione della condizione desiderata”. Uno strumento per la
determinazione della situazione “ottimale” è l’uso di esperti o relazioni di esperti.
1
Libera traduzione dall’inglese.
giovedì, 24. luglio 2008
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Rossett (1993), guardando agli sforzi per uno sviluppo personale, categorizza in tre
possibili situazioni i problemi che possono essere legati alla definizione di “ottimale”. Possono
esistere situazioni in cui non è possibile determinare quello che è definito come ottimale, come ad
esempio una complessa situazione in cui fattori sconosciuti influenzano il comportamento. Per
esempio, può essere difficile stimare un livello ottimale di abilità quando è stato appena adottato,
quindi è in uso da poco, un nuovo sistema informatico. Un’altra situazione potrebbe far nascere
problemi quando si vuole trovare una soluzione “ottimale” per ogni individuo implicato in un
conflitto. Un esempio di questo è il conflitto tra il tempo di apprendimento per la produzione e la
produzione stessa. Ad alcuni dipendenti di uno stabilimento automobilistico potrebbe venir chiesto
di aumentare la produzione di automobili, mentre stanno imparando le nuove procedure ed i nuovi
strumenti per l’empowerment 2 . Il tempo a disposizione può rendere difficile definire l’aspetto
ottimale di una situazione, in quanto richiederebbe un esame delle priorità. La terza situazione è
citata da Rossett (1991) definendo che non è possibile definire ottimale una situazione se non è
definita sufficientemente nella sua specificità. Sork e Caffarella (1989, p. 237), hanno dichiarato
che “una volta che i bisogni sono specificati, dovrebbero essere presentati in un formato che metta
in evidenza sia l’aspetto del presente che quello di una condizione desiderabile possibile”.
Tyler (1971, p.13) afferma che l’indagine è utile solo “per ottenere informazioni che l’utente
non ha alcuna esitazione nel fornire *”. Tyler (1971) ha suggerito che con la presentazione di
questioni di interesse per l’utente, anche noi li incoraggiamo a partecipare al processo di
apprendimento.
Riguardo al fatto che l’analisi dei bisogni aumenti la richiesta, e quindi non venga quasi mai
effettuata Sork e Caffarella (1989) criticano questo metodo affermando che: “Gli esperti
sostengono che raramente hanno il tempo di effettuare l’analisi dei bisogni. Spesso, giustificandosi
sull’offrire programmi basati sulla domanda potenziale o sulla base della disponibilità delle risorse
a disposizione. Un’analisi di solito produce più bisogno di quello che può essere affrontato con le
risorse esistenti. Quando ciò accade, ci deve essere una qualche tecnica utilizzata per determinare
le priorità.... lo scopo di fissare delle priorità è quella di fornire una razionale allocazione di base
delle risorse, che sarà ritenuta accettabile dal responsabile *”.
2
L’empowerment è un processo che dal punto di vista di chi lo esperisce, significa “sentire di avere potere” o
“sentire di essere in grado di fare”.
* Libera traduzione dall’inglese
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
L’analisi dei bisogni come strumento per il miglioramento costante
dell’offerta di corsi di perfezionamento del CFF
Una delle questioni centrali nell’attività di progettazione di una qualsivoglia offerta formativa,
ruota intorno alla sua capacità di soddisfare i bisogni del target di utenti finali.
La creazioni di itinerari formativi più o meno consistenti o ambiziosi, in termini di obiettivi
d’apprendimento e di durata, non dovrebbe mai prescindere da questa tappa fondamentale del
processo formativo; e questo sia per quel che riguarda corsi ”nuovi”, sia per quel che riguarda la
necessità di rivisitare sistematicamente impianti formativi già esistenti e “consolidati” attraverso un
monitoraggio costante dei bisogni stessi che, in talune circostanze più che in altre, possono
modificarsi in maniera anche rapida.
Nel ciclo della qualità della formazione, l’analisi dei bisogni non andrebbe quindi
interpretata solo come un (più o meno) necessaria tappa da “start up” del cursus in questione ma,
piuttosto come oggetto di rivisitazione e riprogettazione sistematica da condurre sulla base dei
risultati provenienti dai consuntivi periodici da stilare alla fine di ogni sessione formativa completa.
Il contesto specifico, cioè quello relativo ai formatori di apprendisti nelle aziende non fa
quindi eccezione anche se l’offerta di momenti formativi di perfezionamento rivolti a questo gruppo
obiettivo, deve comunque restare all’interno di alcuni vincoli istituzionali piuttosto precisi e limitanti.
La grande eterogeneità del gruppo di destinatari, sia dal punto di vista della formazione
specifica o disciplinare, sia per ciò che attiene al contesto in cui operano i diversi formatori
d’apprendisti, sia per quel che riguarda le competenze che ciascuno di essi è chiamato a
trasmettere svolgendo il proprio ruolo, sono solo alcuni dei “problemi” che si presentano a chi deve
tentare di allestire una paletta di corsi di perfezionamento adatta alle esigenze di un tale pubblico e
quindi può essere interessante definire una strategia di indagine sulle esigenze formative, che
permetta di conseguire una serie d’informazioni, più o meno scientificamente statisticabili e
codificabili, tali da consentire una riflessione ponderata sulla pertinenza, efficacia ed efficienza
degli interventi formativi da progettare.
In questo senso e nell’ottica di miglioramento continuo che deve essere al centro
dell’attenzione di un’istituzione che intende proporre formazione di qualità, gli itinerari da
percorrere possono e, per certi versi a nostro avviso, devono essere diversi.
La somministrazione di un questionario cartaceo o elettronico strutturato con i crismi
necessari per garantirne la facile interpretazione da parte dei destinatari e la decodificabilità da
parte di chi poi sarà chiamato a interpretarlo, è senza dubbio un’iniziativa utile e interessante.
Resta tuttavia la “vessata questio” legata a quanto, anche in presenza di domande ben
formulate, non “manipolatorie” ecc. ecc., l’interlocutore sia in grado di condurre un’auto analisi (che
diventa quasi un’auto diagnosi) relativa alle proprie esigenze formative generali e, ancor di più,
specifiche, cioè correlate alla realtà di riferimento dove lui stesso è e sarà poi chiamato a trasferire
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
materialmente queste capacità auspicabilmente derivanti da interventi formativi mirati a colmare i
bisogni auto rilevati.
Questo perché è abbastanza evidente e frequente che la percezione delle proprie lacune in
termini di competenze “necessarie” possa essere distorta da gusti, preferenze, idiosincrasie,
concetti di urgenza e importanza nel possedere determinate “skills” e quindi magari lontana dalla
“reale” necessità operativa.
In questo senso, nella prospettiva di avere una visione anche da un altro osservatorio, è
necessario muoversi per “indagare” anche i beneficiari finali della prestazione professionale
erogata dai formatori nell’adempimento del loro ruolo in azienda, cioè gli apprendisti.
L’opinione di questi ultimi può offrire un contraltare importante all’indagine rivolta ai
formatori, poiché, se ben strutturata, può permettere una mappatura piuttosto interessante della
percezione che questa categoria di “attori” (gli apprendisti) del processo formativo ha delle
capacità dei formatori stessi, segnatamente e con tutta probabilità di quelle relativa alla sfera delle
cosiddette “competenze sociali”.
Per giungere a una diagnosi ancora più completa, si può altresì identificare un’ulteriore
categoria di soggetti implicati nella complessa relazione che si instaura tra formatore, apprendista
nel contesto del tirocino: quella dell’ispettore.
L’Ispettore del tirocinio è una figura istituzionale che, nel tempo, ha modificato il suo ruolo
tendendo sempre di più ad assumere quello di “accompagnatore” dei formatori nella gestione di
alcuni aspetti del processo di formazione degli apprendisti. In questo senso, è innegabile, anche se
difficilmente misurabile, che l’opinione di questa categoria possa fornire ulteriori spunti di riflessioni
utili al progettista del CFF per individuare meglio le aree da presidiare per meglio calibrare la
strategia in termini di offerta.
In ultimo alcune considerazioni di carattere generale.
La messa in opera di un sistema che permetta di implementare in maniera adeguata un
metodo così complesso di rilevazione dei bisogni, comporta un investimento di risorse importante,
sia in fattore assoluto, a maggior ragione se relativizzato al contesto specifico (il CFF) all’interno
del quale dovrebbe funzionare.
Di qui l’interrogativo che ci si può porre sull’efficienza (intesa come rapporto tra costi e
risultati) dell’operazione, finalizzata alla strutturazione di (magari) non più di venti o trenta giorni di
formazione all’anno. L’unica risposta in questo senso sta nell’interpretazione che ciascuno da al
concetto di “qualità” nella formazione, riferita non solo ai differenti dispositivi formativi che un
istituzione propone, ma anche alla “politica” della formazione che quest’ultima persegue.
Per quel che riguarda la nostra visione, siamo propensi a credere che la strada giusta sia
quella di sviluppare un’offerta che, anche grazie al coinvolgimento più attivo di tutti i suoi attori
anche nella fase di analisi dei bisogni, possa aumentare il numero di interessati e alimentare
ulteriormente la loro sensibilità verso la formazione continua, in particolare quella correlata alle
competenze sociali.
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Senza illuderci che anche il rilievo più scientifico e statisticamente codificabile dei bisogni
formativi di qualsivoglia pubblico obiettivo, possa in qualche modo sostituirsi alla sensibilità e
capacità del progettista, ancora oggi (per fortuna) componenti fondamentali e insostituibili per
sviluppare soluzioni formative efficaci, coerenti e pertinenti.
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Il sondaggio
Obiettivi
Il presente studio, come anticipato nell’introduzione, non ha voluto considerare solamente
l’analisi dei bisogni formativi – vale a dire un’esigenza interna – ma ha voluto aprire anche una
finestra più ampia sull’analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda, riflettendo anche
su aspetti non propriamente attinenti alla formazione. Quest’obiettivo non vuole avere la pretesa di
risolvere problematiche istituzionali o politiche, ma dal punto di vista esplorativo vuole solo fornire
una visione più ampia della tematica trattata, valutando anche altre tematiche gravitanti intorno al
mondo del formatore. I formatori di apprendisti in azienda vivono, il più delle volte, nella microrealtà della loro piccola e media azienda, ma partecipano ai dibattiti politici ed hanno un’idea
specifica della situazione generale. Questa situazione è foriera di voci sommerse, che lasciano la
loro espressione ai loro rappresentanti; in questo sondaggio si è voluto dare voce a quanti vivono
la loro esperienza quotidiana in questa realtà.
In Canton Ticino nel 2005 operano circa 163'065 aziende (USTAT, 2005); di queste
146'547 sono PMI - piccole e medie imprese (vale a dire il 90%), e solo 16'518 sono grandi
imprese (10.1%).
Dimensione aziende
Micro-imprese (fino a 9)
Piccole (10-49)
Medie (50-249)
Grandi (250 e più)
Totale
N
55'120
49'901
41'526
16'518
163'065
%
33.8
30.6
25.5
10.1
100
Nel 2006 nelle aziende ticinesi sono occupati circa 6'700 apprendisti (Rendiconto annuale
DFP, 2006), di questi circa il 65% sono nel commerciale, il 20% nell’industriale, agrario e
artigianale ed il rimanente 15% nel sanitario e sociale.
Materiale e metodi
Per attuare un’analisi dei bisogni nei formatori di apprendisti in azienda si è cercato di
interrogare la letteratura scientifica che non annovera modelli accettati all’unanimità. Ogni tecnica
di rilevazione e metodo accluso sono relativi ad ogni singolo studio di settore, lo stesso Witkin
(1984) afferma che per fare un’analisi dei bisogni occorre considerare diverse caratteristiche: (a)
esaminare le priorità delle azioni future; (c) ascoltare diverse fonti, il tutto attraverso un (d)
approccio sistematico. Quello che lo studio si propone di fare è offrire uno squarcio della situazione
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
attuale, considerando diverse variabili, per valutare l’impatto che possano rivestire in un’analisi
globale e multi sfaccettata quale quella presente nel Canton Ticino.
In letteratura sono state utilizzate diverse tecniche per attuare un’analisi dei bisogni, tra cui:
●
questionari
●
interviste
●
focus group
●
valutazione delle necessità sul posto di lavoro
●
riflessione sulle azioni
●
autovalutazione
●
peer review
●
osservazione diretta
●
recensione critica
●
analisi del divario (gap) o della discrepanza
La metodologia usata per la raccolta dei dati è stata quella del questionario on-line e pur
riconoscendo il limite intrinseco per questo tipo di scelta si è deciso comunque di utilizzarlo per due
motivi: il primo legato alla velocità di raccolta dei dati (considerando che oramai molte aziende
hanno un collegamento internet), mentre il secondo relativo alle risorse finanziarie ed umane a
disposizione per il seguente sondaggio.
È stato inviato un email a circa diecimila formatori con un link al sito del sondaggio on-line,
e di questi hanno risposto in 343.
Il campione
I formatori di apprendisti
Il campione, pur non essendo rappresentativo della popolazione di riferimento, permette di
trarre comunque alcune conclusioni, che sono solo il punto di partenza di un eventuale
approfondimento teorico.
Il campione ha un età media di circa 40 anni ed è costituito da 131 femmine e 212 maschi,
di nazionalità soprattutto svizzera (86%) e italiana (12%); il rimanente 2% – di nazionalità
differenti – è stato raggruppato in “altra” nazionalità. Per quanto riguarda il titolo di studio la
distribuzione è la seguente: il 56.6% un diploma di scuola professionale, il 29.2% un titolo di
Scuola media superiore, il 12% una laurea ed un 2.3% ha un titolo di scuola media.
Femmine
Maschi
Totale
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Numero
131
212
343
Formatori di apprendisti
Età media
Età min.
37,37
20
42,13
21
40,31
20
15
Età max
58
65
65
Dev. St.
9,05
8,90
9,24
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Formatori per livello scolastico e sesso
70,0
57,5
60,0
55,0
Frequenza formatori
50,0
40,0
34,4
25,9
30,0
20,0
14,2
8,4
10,0
2,3 2,4
0,0
Diploma di scuola media
(Sme)
Diploma di scuola media
superiore (SMS)
Diploma di scuola
professionale
Laurea
% Femmine
% Maschi
Il genere dei formatori è distribuito abbastanza equamente nei vari livelli di
scolarizzazione, soprattutto in coloro che posseggono un diploma di scuola professionale.
Una differenza rilevata è nel numero di formatori maschi laureati (14.2%) rispetto alle
femmine (8.4%). Una leggera inversione si registra invece in coloro che hanno un diploma
di scuola media superiore.
Funzione dei formatori di apprendisti all'interno della loro azienda
1%
22%
31%
4%
42%
Direttore
Vicedirettore
Responsabile (di reparto, di un ufficio, ecc..)
Dipendente
Altro
La maggior parte del campione è composto da responsabili di reparti, uffici, ecc… Un
formatore su tre è un dipendente dell’istituzione, mentre il 22% dei rispondenti sono direttori e un
4% vicedirettori.
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Apprendisti seguiti per funzione all'interno dell'azienda
100.0
86.7
90.0
75.0
80.0
71.8
65.7
70.0
60.8
60.0
No
Si
50.0
40.0
39.2
34.3
25.0
28.2
30.0
20.0
13.3
10.0
0.0
Direttore
Vicedirettore
Responsabile (di
reparto, di un
ufficio, ecc..)
Dipendente
Altro*
* Quelli inseriti nella funzione “Altro”, pur avendo un’alta percentuale, sono solo 4
Di coloro che hanno risposto al sondaggio il 70% segue apprendisti in azienda contro un
30% che non segue alcun apprendista. Il grafico sopra differenzia la percentuale degli apprendisti
secondo la funzione svolta all’interno dell’azienda dal formatore. Si può evidenziare che sono
soprattutto i vicedirettori che seguono l’apprendista, dopo seguono i responsabili con uffici, reparti,
ecc… e i dipendenti 3 . I direttori sono gli ultimi che si incaricano direttamente di seguire un
apprendista (61%), preferendo demandare ad altri tale compito.
3
Coloro che sono raggruppati nella funzione “Altra” sono un piccolo numero ecco perché non sono stati
considerati nel commento.
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Hai già seguito il corso di formatori di apprendisti?
81,1
% Maschi
18,9
84,0
% Femmine
16,0
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
50,0
No
60,0
70,0
80,0
90,0
Si
Hai già seguito il corso di formatore di apprendista?
78,0
Laurea (n=41)
22,0
Diploma di scuola professionale
(n=194)
81,4
18,6
Diploma di scuola media
superiore (n=100)
87,0
13,0
62,5
Diploma di scuola media (n=8)
37,5
0,0
10,0
20,0
30,0
40,0
No
50,0
60,0
70,0
80,0
90,0
Si
La distribuzione di coloro che hanno già seguito il corso di formazione di apprendisti in
azienda è equamente rappresentata nel genere del formatore, così come per il titolo di studio. In
generale si può affermare che sono più donne che uomini, con diploma di scuola media superiore
o diploma di scuola professionale.
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Le aziende
Questo paragrafo è stato dedicato all’azienda formatrice, per fornire un’indicazione del
contesto in cui opera il formatore di apprendista che ha risposto al questionario.
La prima suddivisione contestuale che è stata fatta è relativa al distretto in cui è situata
l’azienda.
Distretto dove opera l'azienda formatrice
4%
0%
13%
26%
1%
3%
36%
Bellinzonese
Blenio
17%
Leventina
Locarnese
Luganese
Mendrisiotto
Riviera
Vallemaggia
Si può notare che un terzo delle aziende che hanno risposto al questionario sono del
distretto di Lugano (36%) seguite da quelle con sede nel distretto di Bellinzona (26%), Locarno
(17%), Mendrisio (13%), Riviera (4%), Leventina (3%) e Blenio (1%). Nessuna azienda della
Vallemaggia ha risposto al questionario.
Di queste l’80% è una sede centrale contro il 20% che invece è una succursale di sede.
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19
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Ramo della formazione aziendale
14%
39%
47%
Formazione commerciale e dei servizi
Formazione industriale, agraria, artigianale e artistica
Formazione sanitaria e sociale
Le aziende sono state suddivise secondo le tre principali formazioni professionali
differenziate a livello cantonale: formazione commerciale e dei servizi; formazione industriale,
agraria, artigianale e artistica; formazione sanitaria e sociale. Quasi la metà delle aziende fa parte
della formazione industriale, agraria, artigianale e artistica, circa un 40% di quella commerciale e
un 14% di quella sanitaria e sociale.
Numero di formatori nelle aziende
11%
19%
48%
22%
1 formatore
2 formatori
da 3 a 5 formatori
6 e più formatori
Il grafico sopra mette in evidenza il numero di formatori a disposizione dell’azienda e si può
osservare che quasi la metà di esse (48%) ha solo un formatore, contro il 22% che ne possiede
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
due ed il 19% che è dotato da 3 a 5 formatori di apprendisti. Solo un un’azienda su dieci (11%) ha
al suo interno più di 5 formatori di apprendista.
Numero di dipendenti in azienda
2%
9%
15%
35%
12%
12%
da 1 a 2
da 3 a 5
da 6 a 10
15%
da 11 a 20
da 21 a 40
più di 40
Nessun dipendente
Le aziende rispondenti sono equamente rappresentate riguardo il numero di dipendenti. Il
35% sono aziende con più di 40 dipendenti, contro il rimanente 65% che si distribuisce tra piccole
e medie imprese.
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Aziende divise per PMI e Grandi imprese
9%
37%
24%
30%
Micro-imprese (fino a 9)
Piccole (10-49)
Medie (50-249)
Grandi (250 e più)
In questo grafico la distribuzione delle aziende è illustrata seguendo l’indicazione
dell’Ufficio di statistica (USTAT, 2005), vale a dire che le aziende sono state suddivise in: microimprese, piccole imprese, medie imprese e grandi imprese. In questo caso la distribuzione è così
composta: 37% di micro-imprese, 30% di piccole imprese, 24% di medie imprese ed il 9% di grandi
imprese. Le PMI sono il 90% rispetto alle grandi imprese, aspetto che ricalca la popolazione di
riferimento (USTAT, 2005).
Percentuale di apprendisti in azienda
10%
33%
57%
Nessun apprendista
Da 1 a 2 apprendisti
Da 3 a 10 apprendisti
In questo grafico si può evidenziare che il 57% delle aziende ha da 1 a 2 apprendisti,
contro un’azienda su dieci che ne segue da 3 a 10. Le imprese che hanno risposto al questionario
e che non hanno nessun apprendista sono circa un terzo del campione.
Di coloro che seguono gli apprendisti più dell’80% ha già frequentato il corso di base per
formatori di apprendisti in azienda.
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Risultati
Interventi formativi in ambito istituzionale
Questa sezione è dedicata alla formazione del formatore di apprendisti ed in particolare a
determinate domande che sono state poste ai formatori riguardo il tipo di formazione, le ore di
formazione, ecc…
Ore di formazione continua che dovrebbe seguire durante l'anno il
formatore di apprendisti
16,6
superiori a 40 ore
14,0
da 31 a 40 ore
da 21 a 30 ore
9,6
da 11 a 20 ore
25,7
fino a 10 ore
34,1
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
30,0
35,0
40,0
Il grafico riporta le ore annue di formazione continua richieste dai formatori di apprendisti.
Un terzo risponde che le ore di formazione continua da effettuare durante un anno dovrebbero
essere dieci, contro un quarto di formatori che invece si situa tra le undici e le venti ore di
formazioni annue. Segue un 16% che afferma che le ore di formazione dovrebbero superare le 40.
Quest’ultimo dato potrebbe essere letto più che come formazione continua, come vero e
proprio percorso di apprendimento, infatti a riprova di questo è il fatto che alcuni formatori hanno
riferito che occorrerebbe effettuare fino a 600 ore annue, tipiche di un percorso formativo
professionale.
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Offrire più corsi di formazione
30,0
27,1
24,8
25,0
24,5
23,0
22,2
23,0
19,5
20,0
16,3
15,0
10,0
6,4
5,0
5,0
2,0 1,7
2,6
1,7
0,0
1
Per niente
d'accordo
2
3
4
A livello federale
5
6
7
Completamente
d'accordo
A livello cantonale
Il grafico sopra distingue se l’erogazione dei corsi deve avvenire a livello cantonale o
federale. Si può vedere che non c’è una grande differenza nelle risposte: la differenza tra preferire
corsi federali e cantonali è di solo quattro punti percentuali (considerando la somma delle risposte
nella scala da 5 a 7). I formatori non fanno una grande differenza in chi deve erogare i corsi, ma
tutti sono d’accordo sul fatto che devono essere erogati.
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24
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Offrire più corsi di formazione psicologica (ad es. come relazionarsi meglio
con l'apprendista)
30,0
23,6
25,0
25,7
24,2
21,3
20,7
18,4
20,0
19,5
17,8
15,0
10,0
7,9 7,6
4,7
5,0
3,8
2,9
2,0
0,0
1
2
3
4
5
6
Per niente
d'accordo
7
Completamente
d'accordo
A livello federale
A livello cantonale
Offrire più corsi di formazione pedagogica a livello federale (ad es. come
educare meglio l'apprendista)
30,0
25,4
25,0
22,4
21,6
20,0
23,0 23,0
20,4
19,0
18,1
15,0
10,0
7,0 7,6
4,4 5,0
5,0
2,0
1,2
0,0
1
2
3
4
5
Per niente
d'accordo
A livello federale
6
7
Completamente
d'accordo
A livello cantonale
Alcune domande più specifiche riguardo il tipo di formazione, volevano sondare se ci fosse
almeno una differenza negli argomenti dei corsi che dovrebbero essere erogati a livello cantonale
o a livello federale. Nei grafici sopra si nota che anche in questo caso per i rispondenti non c’è una
differenza nei corsi di psicologia o pedagogia. Circa il 70% dei rispondenti afferma che è d’accordo
che questo tipo di corsi vengano erogati da entrambi.
giovedì, 24. luglio 2008
25
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Offrire più corsi di formazione didattica (ad es. modelli di insegnamento per
migliorare l'efficacia e l'efficienza dell'apprendista)
30,0
23,9
25,0
25,4
23,3
21,9
20,7
19,2 20,1
20,0
20,4
15,0
8,5
10,0
7,0
3,8
5,0
3,2
1,2 1,5
0,0
1
2
3
4
5
6
7
Per niente
d'accordo
Completamente
d'accordo
A livello federale
A livello cantonale
Si è cercato di verificare se una differenza di erogazione poteva essere fatta con la
formazione di tipo didattico, come ad esempio l’apprendimento di modelli di insegnamento per
migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’apprendista, senza però differenze, ma sette formatori su
dieci hanno affermato si essere d’accordo di erogare questo tipo di corsi.
Offrire più corsi di formazione nelle tematiche attinenti a: comunicazione,
comportamenti antisociali o a rischio, dipendenze
30,0
28,3
25,7
25,1
25,0
21,3
21,9 21,3
24,2
23,0
20,0
18,4
17,2
18,4
15,0
12,0
9,3
10,0
3,5
5,0
4,7 4,1 5,2
5,8 6,1
2,3 2,3
0,0
1
2
3
4
Per niente
d'accordo
5
6
7
Completamente
d'accordo
Comunicazione
Comportamenti antisociali
Dipendenze
Nel grafico sopra sono state raggruppare tre categorie di corsi di formazione: (1)
comunicazione; (2) comportamenti antisociali o a rischio; (3) dipendenze. Quello che emerge è che
il bisogno più sentito riguarda i corsi cantonali sui comportamenti antisociali o a rischio. Infatti si
sono definiti completamente d’accordo sull’erogazione di questo tipo di formazione il 28% dei
rispondenti, contro il 24% circa sulle dipendenze ed il 18% circa sui corsi sulla comunicazione.
giovedì, 24. luglio 2008
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Bisogni istituzionali
Questa sezione è relativa agli interventi che il Cantone o la Confederazione dovrebbero
attuare riguardo l’apprendistato. Queste sono solo alcune indicazioni di massima riguardo questa
dimensione, ma si sono volute fare comunque alcune domande per sondare alcune macro
categorie.
Offrire (più) sgravi lavorativi per formatori di apprendisti in azienda che
seguono un apprendista in azienda
28,6
30,0
25,9
23,6
25,0
23,3
20,7
18,7
20,0
16,6
16,3
15,0
10,0
5,0
3,5
3,8
4,7
3,5
5,2 5,5
0,0
1
Per niente
d'accordo
2
3
4
5
6
7
Completamente
d'accordo
A livello federale
A livello cantonale
Ai formatori di apprendisti è stato chiesto se occorre offrire più sgravi a coloro che seguono
apprendisti in azienda ed in particolare se tali sgravi devono essere erogati a livello federale o
cantonale. Un quarto dei rispondenti si trova completamente d’accordo nel ritenere erogabili questi
sgravi a livello federale, che salgono a più del 60% se si considerano le risposte dal 5 al 7. C’è una
leggera differenza, non significativa, nel fatto che gli sgravi vengano erogati dal Cantone.
giovedì, 24. luglio 2008
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Offrire (più) finanziamenti alle aziende che formano apprendisti
40,0
37,6
36,4
35,0
30,0
23,3
25,0
21,9
21,6 21,0
20,0
15,0
10,2 8,7
10,0
5,0
3,5
1,7 2,6
2,6
5,8
2,9
0,0
1
2
Per niente
d'accordo
3
4
5
A livello federale
6
7
Completamente
d'accordo
A livello cantonale
Per quel che concerne fornire finanziamenti alle aziende, 8 formatori su 10 sentono molto
questo bisogno di finanziamento. Pur non riscontrando una grande differenza i rispondenti
affermano che sono d’accordo soprattutto che tali finanziamenti vengano forniti dalla
Confederazione (82%) contro il 79% che ritiene che vengano erogati a livello cantonale.
Le famiglie dovrebbero ricevere (più) sussidi soprattutto se ha un reddito
modesto
25.0
22.4
19.0
20.0
18.1
Percentuali
16.0
15.0
9.0
10.0
8.5
7.0
5.0
0.0
1
2
3
4
5
Per niente
d'accordo
6
7
Completamente
d'accordo
In questo grafico si nota che due formatori su tre sono d’accordo sul fornire alle famiglie
(soprattutto con un reddito modesto) dei sussidi. In particolare due su dieci di loro si definiscono
completamente d’accordo con questa iniziativa, mentre altri due non hanno un opinione in merito.
Solo un formatore su dieci afferma di non essere per niente d’accordo con questo tipo di intervento.
Questa domanda non ha trovato, come in altri casi, una quasi unanimità di risposte positive, per
quanto potesse essere attesa, visto invece il bisogno dimostrato sui finanziamenti alle aziende e
sugli sgravi lavorativi ai formatori che seguono un apprendista.
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28
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Mettere a disposizione una piattaforma on-line per confronti, opinioni,
forum, ecc…
28,6
30,0
26,5
24,2
25,0
19,0 19,5
20,0
19,5
17,8
16,9
15,0
10,0
5,0
7,9
6,1
5,0 5,2
2,3
1,5
0,0
1
Per niente
d'accordo
2
3
4
A livello federale
5
6
7
Completamente
d'accordo
A livello cantonale
La domanda del grafico sopra è stata posta per valutare l’interesse di scambiarsi
informazioni o opinioni attraverso piattaforme on-line, quali siti internet per la condivisione di
opinioni o forum di discussione. In questo caso pur rilevando che un formatore su cinque non ha
un’idea specifica in merito (19%), si può comunque affermare che quasi un formatore su tre è
completamente d’accodo su questa innovazione.
giovedì, 24. luglio 2008
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Impegnarsi maggiormente nel curare determinati aspetti (organizzativi,
sociali, professionali, ecc…)
35,0
31,5
28,9
30,0
24,8
25,0
24,2
20,0
17,5
15,2
15,0
12,2
9,6
10,0
13,7
10,8
4,4 4,1
5,0
1,7 1,5
0,0
1
2
Per niente
d'accordo
3
4
A livello federale
5
6
A livello cantonale
7
Completamente
d'accordo
Il grafico su riportato è relativo all’impegno da parte delle istituzioni cantonali e federali
riguardo il curare determinati aspetti: organizzativi, sociali e professionali del formatore di
apprendista. Si può notare che la distribuzione delle risposte è concentrata soprattutto nei punteggi
centrali della scala4 dimostrando che seppur d’accordo sulla problematica sollevata risulta essere
un tema non molto sentito o non prioritario.
Aumentare la durata obbligatoria dell'apprendistato
30,0
25,9
25,1
25,0
20,7
20,4
19,2
20,0
15,2
17,5
16,3
15,0
10,0
7,9 7,6
6,4 6,4
6,4
5,0
5,0
0,0
1
Per niente
d'accordo
4
2
3
4
A livello federale
Punteggi 4 e 5 della scala
giovedì, 24. luglio 2008
30
5
A livello cantonale
6
7
Completamente
d'accordo
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Alla domanda relativa all’aumento obbligatorio dell’apprendistato i formatori sono d’accordo
nel non aumentarne la durata (60%). Solo due formatori su dieci sarebbero d’accordo su questo
provvedimento.
Altri interventi
30.0
24.5
25.0
21.3
21.6
19.5
20.0
18.7
19.2
16.6
15.0
13.1
12.8
10.8
10.0
7.9
6.1
5.5
5.0
2.3
0.0
1
2
3
4
5
6
7
Completamente
d'accordo
Per niente
d'accordo
Più visite da parte degli ispettori
Più strumenti di (auto)valutazione
In questo grafico sono rappresentati altre tipologie di bisogni, come ad esempio più visite
da parte degli ispettori di tirocinio, avere a disposizione più strumenti di (auto)valutazione, come ad
esempio la Qualicarte. In generale si può vedere che sono aspetti sentititi dai formatori, ma non
prioritari, in quanto c’è un’equa distribuzione delle risposte nei punteggi dal 4 al 7 della scala. Sei
formatori su dieci hanno fornito risposte da 5 a 7 punti, ma sono solo due formatori su dieci ad
essere completamente d’accordo su un offerta più sostanziosa di questa tipologia di interventi.
giovedì, 24. luglio 2008
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Il Cantone dovrebbe fornire figure professionali diverse dagli ispettori di
tirocinio a cui riferirsi nei momenti di crisi con l'apprendista (psicologi,
pedagogisti, ecc…)
30.0
24.2
25.0
20.4
20.0
19.5
18.1
15.0
10.0
5.0
7.6
4.7
5.5
0.0
1
2
3
4
Per niente
d'accordo
5
6
7
Completamente
d'accordo
Nel grafico sopra si mette in evidenza il bisogno di avere figure diverse dagli ispettori di
tirocinio come ad esempio specialisti in psicologia o pedagogia. Si può evidenziare che quasi un
60% dei formatori di apprendisti afferma che sarebbe d’accordo nell’accettare tale provvedimento,
contro un 17% che invece ritiene di non essere d’accordo. Un formatore su quattro non ha
un’opinione in merito (24%).
L’aspetto di confronto con professionisti che non siano solo ispettori di tirocinio, emerge
anche dal tipo di formazione richiesta5, vale a dire che quasi sette formatori su dieci chiede una
formazione più centrata sugli aspetti relazionali e meno su quelli più strettamente legati alla
didattica. Un altro collegamento riguardo il chiedere un contatto più stretto con psicologi e
pedagogisti può essere fatto anche riguardo un’altra domanda, rivolta però più strettamente
all’azienda6, che ha messo in evidenza che l’ 85% di loro chiede più sostegno nei momenti di
difficoltà con l’apprendista.
5
La domanda era la seguente: “Il cantone dovrebbe offrire più corsi di formazione psicologica (ad es. come
relazionarsi meglio con l'apprendista)”
6
La domanda era la seguente: “L’azienda dovrebbe dare al formatore di apprendisti più sostegno quando si
trova a gestire apprendisti difficili (ad esempio con problemi di comportamento)”
giovedì, 24. luglio 2008
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Bisogni d’integrazione
Questa sezione è dedicata a domande attinenti l’integrazione lavorativa degli apprendisti
stranieri e di quegli apprendisti più difficili (ad esempio con disturbi del comportamento). Alcune
domande servivano a sondare la difficoltà di gestire questa tipologia di allievi, valutando allo stesso
tempo possibili interventi da effettuare da parte dell’istituzione.
Apprendisti stranieri
60,0
50,7
50,0
40,0
30,0
19,8
20,0
14,9
12,2
14,6
14,0
14,0
11,7
11,4
16,0
9,0
10,0
5,0
3,5
3,2
0,0
1
2
3
4
5
6
7
Completamente
d'accordo
Per niente
d'accordo
Far seguire corsi speciali, prima dell'apprendistato, agli apprendisti stranieri
Collocare gli apprendisti di altra nazionalità in aziende con formatori di apprendisti della stessa nazionalità
Ai formatori sono state poste anche domande per sondare se sentono il bisogno di
provvedimenti riguardo gli apprendisti stranieri e questo grafico ne riassume due: (1) far seguire
corsi speciali agli apprendisti stranieri prima dell’apprendistato e (2) collocare gli apprendisti non
autoctoni in aziende con formatori della stessa nazionalità.
Le risposte fornite alla prima domanda si distribuiscono su tutta la scala, dimostrando di
non avere un opinione unanime in merito. In generale si può affermare che quasi la metà dei
formatori “sono d’accordo” (39%) di far seguire corsi speciali agli apprendisti stranieri, contro
un’altra metà che è in disaccordo (41%).
La seconda domanda voleva esaminare quanto è sentita la differenza di nazionalità, per
valutare quanto questa sia di ostacolo a lavorare insieme, ma soprattutto a seguire e formare un
apprendista straniero. La metà dei formatori (51%) ha affermato di non essere per niente
d’accordo sul collocare gli apprendisti di altra nazionalità in aziende con formatori di apprendisti
della stessa nazionalità. In generale il 77% dei formatori non sono d’accordo 7 , però è anche
risultato che un formatore su dieci (11%) è d’accordo su questo tipo di intervento.
7
Somma dei punteggi dal 1 al 3.
giovedì, 24. luglio 2008
33
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Il Cantone dovrebbe trovare, per quegli allievi difficili o con problemi di
comportamento, un collocamento diverso dall'apprendistato
(ad esempio: comunità protette)
25,0
20,7
20,4
20,0
17,8
Percentuali
15,7
15,0
10,8
8,5
10,0
6,1
5,0
0,0
1
2
3
4
Per niente
d'accordo
5
6
7
Completamente
d'accordo
Questa domanda voleva sondare la problematica spesso sollevata nei corsi di formazione
professionale, vale a dire se non sarebbe meglio trovare, per quegli allievi difficili o con problemi di
comportamento, un collocamento diverso dall’apprendistato (ad esempio: comunità protette). In
generale il 57% si dice d’accordo di optare per questa soluzione, ed più in particolare più di due
formatori su dieci risponde di essere completamente d’accordo su questo intervento. Solo un
formatore su cinque non è d’accordo su questo tipo di provvedimento, mentre circa due formatori
su dieci (18%) non hanno un’opinione in merito.
Ad un’analisi più approfondita si è potuto osservare che nel fornire queste risposte, non ci
sono differenze di sesso, di età e di nazionalità, evidenziando una generale difficoltà, da parte di
tutti i formatori, di gestire questa tipologia di apprendisti, facendo emergere un bisogno sentito da
tutti i formatori.
giovedì, 24. luglio 2008
34
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Scuola - Lavoro
30,0
23,9
25,0
20,0
22,4
19,0
18,4
17,5
15,5
14,0
15,0
12,5
11,7
9,3
8,2
10,0
13,7
7,6
6,4
5,0
0,0
1
Per niente
d'accordo
2
3
4
5
6
7
Completamente
d'accordo
Far rimanere l'apprendista più sul posto di lavoro e meno a scuola
Permettere all'allievo all'inizio del suo apprendistato, maggiore presenza a scuola ed in seguito
maggiore presenza sul posto di lavoro
Le due domande poste ai formatori evidenziano che per quasi la metà di loro (47%) è più
importante permettere all’allievo all’inizio del suo apprendistato maggiore presenza a scuola, ed in
seguito maggiore presenza sul posto di lavoro. È solo un formatore su tre che non è d’accordo su
questa opzione.
giovedì, 24. luglio 2008
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Bisogni in ambito familiare
Questa sezione è dedicata alla famiglia dell’apprendista vista dalla prospettiva del
formatore. È risaputo quanto il contesto familiare sia sempre chiamato in causa per spiegare o
interpretare alcuni aspetti della vita relazionale, sociale e professionale dell’apprendista. Le
domande poste ai formatori sono essenzialmente di carattere generale, ma possono fornire alcune
informazioni utili per una lettura sistemica del mondo dell’apprendistato. Le domande hanno
cercato di identificare sia il lato duale della relazione formatore-genitore che il lato più sistemico
formatore-apprendista-famiglia.
La famiglia non dovrebbe interferire con l'apprendistato del figlio (ad
esempio telefonando o presentandosi in azienda)
25,0
21,0
18,1
20,0
Percentuali
14,6
15,0
13,4
12,8
11,4
8,7
10,0
5,0
0,0
1
2
3
4
Per niente
d'accordo
5
6
7
Completamente
d'accordo
Nel grafico sopra sono riportate le risposte fornite dai formatori alla domanda se la famiglia
dell’apprendista dovrebbe interferire meno con l’apprendistato del figlio. Si può notare che c’è una
equa distribuzione nelle risposte ed in generale metà di loro (48%) dichiarano che questa non è
una necessità. Solo un formatore su tre (33%) ritiene che occorrerebbe intervenire in questo senso.
giovedì, 24. luglio 2008
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
La famiglia dovrebbe essere più presente durante l'apprendistato del
giovane (informandosi presso il formatore)
45,0
38,2
40,0
35,0
28,9
Percentuali
30,0
25,0
20,0
15,2
13,4
15,0
10,0
2,6
5,0
1,7
0,0
1
2
3
4
5
6
Per niente
d'accordo
Completamente
d'accordo
In questo grafico si evidenza come per il formatore la famiglia sia poco interessata
all’apprendistato del proprio figlio, con anche poche richieste di informazioni. Quasi quattro
formatori su dieci è completamente d’accordo a che la famiglia dovrebbe investire più tempo
nell’interesse dell’apprendista.
La famiglia dovrebbe aiutare il giovane ad inserirsi nel mondo lavorativo
40,0
35,9
35,0
30,0
24,8
Percentuali
25,0
20,0
16,3
17,8
4
5
15,0
10,0
5,0
0,0
1,5
3,5
0,3
1
2
3
Per niente
d'accordo
6
7
Completamente
d'accordo
Aspetto interessante che emerge dal presente grafico è la responsabilità che il formatore di
apprendisti affibbi alla famiglia nell’inserimento del giovane nel mondo del lavoro (80%).
giovedì, 24. luglio 2008
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Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
La famiglia dovrebbe vigilare di più sul giovane quando non è sul posto di
lavoro per non compromettere il suo rendimento in azienda
(ad esempio evitando che frequenti cattive compagnie o faccia tardi la sera)
50,0
47,2
45,0
40,0
Percentuali
35,0
30,0
25,7
25,0
20,0
15,0
9,6
12,5
10,0
5,0
0,0
2,0
2,6
2
3
0,3
1
Per niente
d'accordo
4
5
6
7
Completamente
d'accordo
Nel grafico si evidenzia come, riguardo la domanda sulla maggiore vigilanza che la famiglia
dovrebbe adottare nei confronti del giovane, quasi la metà dei formatori (47%) è completamente
d’accordo che questo controllo del giovane non avvenga. Percentuale che sale quasi al 90% se si
considerano i punteggi dal 5 al 7 nella scala.
Questo dato potrebbe essere interpretato alla luce anche della altre risposte fornite dai
formatori sulla famiglia, facendo trasparire una distanza tra le due figure che sono maggiormente
implicate nella crescita socio-professionale del giovane apprendista.
giovedì, 24. luglio 2008
38
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Bisogni aziendali e di categoria
Queste domande volevano identificare alcuni bisogni in ambito aziendale e bisogni collegati
all’associazione di categoria.
L'azienda dovrebbe ...
45,0
38,2 37,9
40,0
35,0
Percentuali
30,0
25,0
18,4 20,4
20,0
13,7
15,0
14,0
15,2
11,7
10,0
6,4 5,5
5,2
5,0
2,3
7,0
4,1
0,0
1
Per niente
d'accordo
2
3
4
5
6
7
Completamente
d'accordo
Permettere al formatore di scegliere il proprio apprendista
Imporre per ogni apprendista uno stage obbligatorio, per valutare le conoscenze e le capacità sociali
dell'apprendista
Dal grafico emerge che i formatori sentono il bisogno che l’azienda li faccia più partecipi
della scelta del proprio apprendista (70%), così come ritengono che l’azienda debba imporre un
periodo obbligatorio di stage prima di sceglierlo (73.5%), per valutarne le conoscenze e le capacità
sociali.
giovedì, 24. luglio 2008
39
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
L'azienda dovrebbe ...
45,0
40,5
40,0
35,0
Percentuali
30,0
29,7
29,4
23,9
25,0
20,0
14,9
15,0
12,5
11,4
12,5
11,4
10,0
5,8
5,5
5,0
0,9
0,9
0,6
0,0
1
2
3
4
5
6
7
Permettere al formatore di apprendisti di trasmette al giovane solo le conoscenze tecniche, senza preoccuparsi
dei suoi problemi sociali o familiari
Dovrebbe dare al formatore di apprendisti più sostegno quando si trova a gestire apprendisti difficili (ad
esempio con problemi di comportamento)
Dal punto di vista formativo i formatori rispondenti ritengono che loro siano i primi implicati
nell’educazione dell’apprendista sia sul piano relazionale che su quello sociale. Altro aspetto che
emerge è che quasi nove formatori su dieci vorrebbero che l’azienda fornisse al formatore più
sostegno quando si trova a gestire apprendisti difficili (ad esempio con problemi di
comportamento). Questo bisogno si potrebbe ricollegare al fatto che il formatore si trova, il più
delle volte, da solo nel gestire questi casi ed inoltre questo dato è un ulteriore conferma delle
risposte fornite alle domande sui corsi di approfondimento formativo, in cui è emersa la necessità
di approfondire tematiche collegate alla gestione di apprendisti con comportamenti antisociali o a
rischio.
giovedì, 24. luglio 2008
40
Faggiano E., Seghizzi W. e Doga F.
Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
L'associazione di categoria dovrebbe ...
28,6
30,0
23,9
25,0
22,7
21,3
19,5
Percentuali
20,0
21,3
19,5
17,2
13,7
13,1
15,0
13,7
8,2 9,3
10,0
5,0
17,5
17,2
7,6
5,0
6,1 5,8
6,1
2,6
0,0
1
2
3
4
5
6
7
lottare perchè l'apprendista abbia un salario maggiore
promuovere in azienda momenti di confronto tra i formatori di apprendisti e la direzione
munirsi di figure professionali specifiche per problemi con l'apprendista (ad esempio: ispettori, educatori, ecc...)
Tra i bisogni legati all’associazione di categoria professionale, nel grafico sopra, non
emergono informazioni rilevanti; in generale i formatori si distribuiscono abbastanza equamente su
tutta la scala dimostrando che non ci sono bisogni primari riconosciuti da tutti. Una tendenza può
essere rilevata nel richiedere anche all’associazione di categoria di munirsi di figure professionali
specifiche che possano intervenire in momenti di crisi con l’apprendista (60%), nonché
promuovere in azienda momenti di confronto tra i formatori di apprendisti e la direzione (60%).
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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
L'associazione di categoria dovrebbe ...
40,0
35,0
30,6
30,0
23,3
Percentuali
25,0
21,9
21,6
18,4
20,0
19,2
18,4
13,7
15,0
8,7
10,0
5,8
5,0
3,8
7,6
4,7
2,3
0,0
1
2
3
4
5
6
7
organizzare incontri formativi per i formatori di apprendisti, riconosciuti come orario lavorativo
fornire assistenza finanziaria se si volessero assumere altri apprendisti
Dal grafico sopra si può notare che il bisogno maggiore è legato soprattutto alla richiesta di
organizzare momenti formativi riconosciuti come orario lavorativo (75.5%), nonché fornire
finanziamenti all’azienda che volesse assumere altri apprendisti (60%) oltre quelli permessi
secondo la legge.
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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
Conclusioni
Alcune conclusioni possono essere tratte sia nell’area prettamente formativa che in altre
macro aree di bisogno considerate nel presente studio. Queste macro aree sono servite solo per
fornire alcune possibili interpretazioni di una realtà multi sfaccettata quale quella dell’apprendistato,
ma si è voluto comunque considerarle nel presente lavoro per provare a dare una visione più
ampia dei bisogni dei formatori di apprendisti, per eventuali spunti e riflessioni che potranno essere
vagliati o verificati in altri momenti.
Per quanto riguarda l’area formativa non è stata riscontrata nessuna differenza relativa al
genere di formatore riguardo nessun tipo di tematica proposta per la formazione o
l’approfondimento; dai risultati emerge invece che i formatori di apprendisti più giovani sentono
maggiormente il bisogno di formazione rispetto ai colleghi più adulti ed in particolare è emersa
l’esigenza di una formazione come momento di scambio e di discussione con gli stessi organi
direttivi, da parte soprattutto di quei formatori che all’interno dell’azienda rivestono ruoli non
dirigenziali. Un’altra differenza importante è stata riscontrata anche riguardo ad una richiesta di
maggiore formazione relativa al consumo di sostanze psicotrope da parte dei giovani, soprattutto
da parte di coloro che non seguono ancora apprendisti in azienda, mentre per i formatori che
hanno già conseguito l’attestato di formatore di apprendisti si registra un bisogno più attinente a
seguire corsi che forniscano nuovi modelli di insegnamento, per migliorare l’efficacia e l’efficienza
dell’allievo in azienda. Relativamente a quest’ultimo punto, il bisogno di formazione è sentito
soprattutto da formatori con un livello di scolarizzazione inferiore rispetto a coloro che hanno un
titolo più elevato, ponendo l’accento sull’utilità del corso base di formatori di apprendisti e in
particolar modo per i formatori con un diploma di scuola professionale o diploma di scuola media
superiore. Riguardo le tematiche di approfondimento della formazione psicologica, risultano
particolarmente importanti quelle sui comportamenti antisociali o a rischio, soprattutto per quei
formatori che hanno un diploma di formazione professionale.
In conclusione si può affermare che i bisogni dei formatori di apprendisti in azienda è
condizionato dal livello di istruzione e dall’età; minore livello scolastico ed una minore età
determinano maggiore richiesta di formazione soprattutto in ambiti specifici come l’uso di sostanze
psicotrope e comportamenti antisociali o a rischio. C’è anche una richiesta di nuovi modelli di
insegnamento, ma soprattutto una formazione impostata come un momento di discussione con gli
organi direttivi.
Rispetto alle altre aree di bisogno si può identificare quella più legata all’ambito aziendale,
in cui si svolge il ruolo di formatore, che evidenzia la necessità di fornire sgravi lavorativi a chi
segue un apprendista in azienda così come più finanziamenti alle aziende che hanno apprendisti,
sia a livello federale che a livello cantonale. Si sono dimostrati meno d’accordo a che le istituzioni
eroghino sussidi alle famiglie degli apprendisti con reddito modesto. Altro aspetto che può rientrare
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nell’ambito aziendale è il bisogno di aumentare l’apprendistato obbligatorio, per verificare se il
formatore sente il bisogno di una formazione più lunga per il proprio apprendista e quindi se c’è
troppa lontananza tra apprendimento e tempo dedicato ad esso. In generale è emerso che non
sono d’accordo nell’aumentarne la durata, ed in particolare per quasi la metà di essi è più
importante permettere all’allievo – all’inizio del suo apprendistato – maggiore presenza a scuola e
solo in seguito maggiore presenza sul posto di lavoro. Sempre nella sfera lavorativa i formatori di
apprendisti sentono il bisogno che l’azienda gli permetta di partecipare maggiormente alla scelta
del proprio apprendista, così come sono molto sentiti il bisogno di far svolgere all’apprendista un
periodo obbligatorio di stage per valutarne le conoscenze e le capacità sociali, ed il bisogno di
avere più sostegno nella gestione di apprendisti difficili (ad esempio con problemi di
comportamento).
La tematica della gestione degli apprendisti difficili o con problemi di comportamento,
affiora spesso in ambito formativo tant’è che metà dei rispondenti si dice – in generale – d’accordo
nel far svolgere attività diverse dall’apprendistato a questa tipologia di allievi, pur rilevando che
sono solo due formatori su dieci che avvertono come veramente importante questo intervento. Tra
i formatori che hanno manifestato questo tipo di bisogno non è stato riscontrata però alcuna
differenza di sesso, di età e di nazionalità, mettendo in evidenzia una generale difficoltà da parte di
tutti i formatori di gestire questa tipologia di apprendisti.
Un’altra area nell’analisi dei bisogni è stata quella collegata all’associazione di categoria
professionale, senza rilevare però informazioni rimarchevoli, se non per una tendenza nel
richiedere all’associazione di categoria di munirsi di figure professionali specifiche che possano
intervenire in momenti di crisi o emergenza con l’apprendista, come pure di promuovere momenti
formativi.
Nella sfera familiare alcune risposte hanno fatto trasparire il bisogno di una presenza più
massiccia della famiglia. In particolare quasi metà dei formatori afferma che la famiglia dovrebbe
motivare di più il giovane, facendogli capire l’importanza dell’apprendistato e quasi due formatori
su tre affermano che la famiglia dovrebbe vigilare di più sul giovane quando non è sul posto di
lavoro per non compromettere il suo rendimento in azienda (ad esempio evitando che frequenti
cattive compagnie o faccia tardi la sera).
La domanda relativa al fatto che la famiglia dovrebbe ricercare maggiormente il dialogo con
il formatore, voleva valutare quanta distanza relazionale e comunicativa c’era tra i due attori. Dai
risultati emerge che i formatori sono d’accordo in generale di cercare il dialogo, dimostrando che
pur potendo migliorare la comunicazione tra i due questo non è un bisogno prioritario o sentito.
Oltre ai bisogni più rilevanti o prioritari, sono emersi anche quelli meno sentiti o secondari
come ad esempio quello di avere più visite da parte degli ispettori di tirocinio, così come è poco
sentito il bisogno di avere un maggior contatto con la famiglia dell’apprendista; pur trovando
l’accordo di molti formatori di apprendisti nel migliorare queste aree, non ritenuti prioritari.
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Tra le tematiche di approfondimento invece è emersa quella collegata agli apprendisti
stranieri; metà dei formatori sarebbero d’accordo nel far seguire corsi speciali agli apprendisti
stranieri, mentre un’altra metà è in disaccordo. Questa tematica rimane un ambito controverso e di
approfondimento futuro, soprattutto perché la metà dei formatori ha anche affermato di non essere
per niente d’accordo sul collocare gli apprendisti di altra nazionalità in aziende con formatori di
apprendisti della stessa nazionalità, dimostrando che l’integrazione debba comunque avvenire con
formatori ed aziende del luogo.
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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
10° Congresso Nazionale sull’Orientamento alla scelta:
ricerche, Formazione Applicazioni - Firenze
Il 15, 16 e 17 maggio 2008 si è tenuto un Congresso a Firenze dal titolo: 10° Congresso
Nazionale. Orientamento alla scelta: Ricerche Formazione Applicazioni, patrocinato da Unione
Europea, Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Regione Toscana, Provincia di Firenze,
Centri per l’impiego, Sistema Integrato di Orientamento, Università degli studi di Firenze,
Università degli studi di Padova e Società italiana dell’Orientamento.
In tale occasione il CFF ha presentato, in seguito accettato, un lavoro tratto dall’analisi dei
dati del rapporto sull’analisi dei bisogni. La presentazione del lavoro ha riscosso molto interesse in
sede di presentazione, avvenuta nella Sessione parallela dal titolo: FORMAZIONE E
COMPETENZE DELL’ORIENTATORE E DI ALTRI PROFESSIONISTI (vedere programma
allegato).
Il Congresso è stata una grossa opportunità che ha permesso sia di confrontarsi con
colleghi del settore della formazione professionale, che presentare i corsi svolti presso il Centro di
Formazione dei Formatori.
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Analisi dei bisogni dei formatori di apprendisti in azienda
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