Chiese e movimenti cristiani. Convergenze e differenze
Andrea Menegotto
(CESNUR - Centro Studi sulle Nuove Religioni)
Venerdì 18 dicembre 2009
IL MONDO PROTESTANTE
1. Sotto il nome di “protestantesimo” sono rubricate un gran numero di denominazioni e
comunità. Già nel 1991 lo storico americano Martin Marty scriveva che nel mondo si contavano
21.104 diverse denominazioni che potevano essere considerate “protestanti” e che il numero si
accresceva in ragione di cinque alla settimana. Dal punto di vista numerico, secondo il maggiore
esperto di statistiche relative al mondo cristiano - David Barrett - nel 2000 i protestanti in senso
stretto nel mondo erano trecentoquarantadue milioni. A questa cifra - secondo la tipologia di
Barrett - occorreva aggiungere trecentosettantanove milioni di “cristiani indigeni non bianchi” (non
tutti “protestanti”) e poco meno di ottanta milioni di membri della Comunione anglicana. Le denominazioni della Comunione anglicana possono essere fatte rientrare - anche se non senza problemi - in una nozione ampia di “protestantesimo”, e in gran parte i “cristiani indigeni non bianchi”
di Barrett appartengono a denominazioni pentecostali. Si può quindi stimare il totale dei protestanti in senso lato - assumendo che tre quarti dei “cristiani indigeni non bianchi” siano o pentecostali ovvero di ispirazione luterana, battista e metodista - a circa 705 milioni, un terzo dei cristiani presenti nel mondo. È peraltro evidente che si può giungere a stime molto diverse, a seconda
che si prendano in considerazione i soli membri “attivi” ovvero anche quelli “nominali”.
2. Di fronte al gran numero e alla grande varietà di denominazioni e credenze alcuni negano
che sia possibile dare una definizione precisa del protestantesimo. Alcuni ritengono, da un punto di vista storico, che sia possibile definire “protestanti” le denominazioni che hanno nel
loro albero genealogico un riferimento almeno remoto alla Riforma protestante “storica”,
cioè a Lutero, Calvino, Zwingli e, per chi considera gli anglicani come protestanti, le personalità che si situano alle origini della Chiesa d’Inghilterra. Non a caso le definizioni “storiche”
del protestantesimo hanno corso soprattutto in Europa, dove la percentuale di eredi diretti della Riforma “storica” sul totale dei “protestanti” è più importante, mentre negli Stati Uniti e in America Latina la prevalenza numerica di altre tradizioni (battisti, pentecostali) per cui la ricostruzione di un
albero genealogico è comunque più problematica rischia di mettere in crisi le definizioni che fanno
riferimento alla storia.
3. Altri autori - fra cui, in particolare, il sociologo francese Jean-Paul Willaime - non ritengono
impossibile enucleare alcune caratteristiche insieme sociologiche e dottrinali del protestantesimo come categoria generale. Willaime richiama l’attenzione sul fatto che il protestantesimo
nasce e si definisce - anche al di là di una indagine sulle intenzioni soggettive dei suoi primi
fondatori - in opposizione al cattolicesimo. Estrapolando dai lavori di Willaime e di altri possiamo reperire - in questa chiave - tre caratteristiche fondamentali del protestantesimo:
a) il modo di elaborazione della verità religiosa è diverso da quello cattolico, in quanto insiste sulla sola Scriptura, sulla Bibbia come sola autorità in materia di fede e di vita ecclesiale”.
Questa opzione epistemologica originaria è peraltro aperta a sviluppi molto diversi: a causa del
principio sola Scriptura “il protestantesimo è un fondamentalismo, ma nello stesso tempo, per la
sua insistenza sul libero esame e il rifiuto di ogni magistero ecclesiastico, è un liberalismo”
(Jean-Paul Willaime, La Précarité protestante. Sociologie du protestantisme contemporain, Labor et Fides, Ginevra 1992, p. 78);
b) dal punto di vista dell’esperienza religiosa, il protestantesimo privilegia l’esperienza individuale del credente rispetto all’inserimento in una comunità strutturata e gerarchica. Anche
questo elemento è “precario” perché può condurre alternativamente (e qualche volta insieme)
all’”emozionalismo” e all’”intellettualismo”;
c) infine, dal punto di vista del modo di costruzione dell’autorità, il luogo della verità non è
più nell’istituzione in quanto tale, ma nel messaggio proclamato da questa istituzione.
Per giudicare se il messaggio è proclamato “correttamente”, è costruita socialmente la figura del
“pastore” come specialista della Bibbia, persona che conosce meglio la Bibbia di quanto
non la conoscano i singoli fedeli, o in virtù dei suoi studi e della sua erudizione ovvero in virtù
della sua esperienza di fede particolarmente intensa e del suo carisma. Anche qui sono possibili sviluppi in direzioni molto diverse: se il principio epistemologico può portare al liberalismo o al
fondamentalismo, le comunità “liberali” finiranno per essere dominate dai teologi e quelle “fondamentaliste” da predicatori di tipo carismatico. Anche se alcune Chiese hanno istituito il ministero dei vescovi, in ogni caso l’autorità non è istituzionale ma personale; non deriva dal munus
gerarchico ma dalla competenza (teologica o carismatica).
4. Possiamo distinguere, schematicamente, fra tre protestantesimi, cui si aggiungono il protestantesimo pentecostale, il filone che deriva dalla Riforma radicale e il filone avventista; una posizione particolare occupa la cosiddetta “corrente metafisica”.
 Il primo protestantesimo (“storico”) è costituito dalle comunità nate direttamente dalla Riforma storica - anche se in seguito frammentate da numerosi scismi -: luterani e calvinisti (presbiteriani), cui si possono per molti versi avvicinare le comunità della Comunione anglicana
(chiamate “episcopaliane” negli Stati Uniti), anche se non mancano storici che considerano il
mondo anglicano irriducibile al protestantesimo e preferirebbero farne un tertium genus intermedio fra il mondo cattolico e quello protestante. Nel primo protestantesimo rientrano, con caratteristiche proprie, anche i valdesi, eredi di una tradizione protestante pre-riformata passata
attraverso diverse trasformazioni.
 Il secondo protestantesimo (chiamato originariamente “evangelico”) è costituito dai movimenti di risveglio o revival che protestano contro la mancanza di fervore (in particolare fervore
missionario) - non di rado attribuita al legame troppo stretto con gli Stati europei del protestantesimo storico, insistendo sull’incontro con Gesù Cristo come esperienza personale che spinge
alla missione. La protesta nel mondo luterano produce il pietismo; nel mondo anglicano, il metodismo; e nel mondo presbiteriano, il battismo.
 Il terzo protestantesimo è costituito dai movimenti che considerano ormai troppo “istituzionalizzate” e fredde le stesse comunità nate dai risvegli del secondo protestantesimo. Rientrano
in questa terza ondata protestante vari tipi di “Chiese libere”, i movimenti “di santità” (holiness), le correnti perfezioniste, e anche il fondamentalismo (che è per altri versi una tendenza
che attraversa tutte le comunità protestanti, più antiche o più recenti) quando non rimane
all’interno delle denominazioni già esistenti ma si organizza in denominazioni autonome che
protestano contro il “liberalismo” insieme teologico e morale delle comunità protestanti di origine
più antica.
 La corrente pentecostale-carismatica nasce nel XX secolo. Diversi storici - legati in particolare al primo e al secondo protestantesimo - la considerano come una semplice variante del
movimento holiness e quindi come parte del terzo protestantesimo. Anche molti esponenti del
mondo pentecostale si considerano parte del terzo protestantesimo.
 Mentre una linea storica di sviluppo del protestantesimo - forse principale, ma non unica muove dalla cosiddetta “Riforma storica” e va dal primo protestantesimo alla corrente pentecostale, una seconda linea muove dalla Riforma radicale, che si afferma in conflitto e in contestazione con i padri storici della prima Riforma. Questo protestantesimo radicale è in genere
considerato parte integrante e imprescindibile dell’eredità protestante, ma presenta caratteristiche peculiari.
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 Il protestantesimo avventista nasce nel XIX secolo dall’interesse per le speculazioni sulla
fine del mondo, trasversale ai primi due protestantesimi, che genera però una serie di denominazioni separate dopo la crisi seguita alla diffusa attesa di avvenimenti apocalittici dell’anno
1844. Nate con caratteristiche talora simili a certi movimenti profetici di origine cristiana, le principali denominazioni avventiste si sono gradualmente riavvicinate al mondo protestante “evangelico”, di cui oggi possono essere considerate parte.
 Al mondo protestante classico, con varie iniziative di dialogo, si sono avvicinate anche denominazioni nate dalla “corrente metafisica” come la Christian Science, così che si può parlare
di protestantesimo metafisico con riferimento a realtà che una parte della ricerca sociologica
inquadra anche nella categoria più generale delle “religioni di guarigione”.
 Distinte dalle Chiese, comunità e denominazioni sono le parachiese, strutture di servizio
(missionario, evangelistico o caritativo) che si pongono al servizio di una pluralità di realtà protestanti diverse e che operano per l’animazione cristiano-evangelica della società senza cercare
di avviare chi entra in contatto con loro a una denominazione particolare.
5. La Comunione anglicana - Enrico VIII (1491-1547), re d'Inghilterra all'epoca della Riforma,
si segnala come oppositore di Lutero e riceve dal Papa Leone X (1475-1521) il titolo di "difensore
della fede". Nel 1527, tuttavia, chiede al Papa Clemente VII (1478-1534) l'annullamento del suo
matrimonio con Caterina d'Aragona (1485-1536) zia dell'imperatore di Spagna Carlo V (15001558, che Enrico aveva potuto sposare solo grazie a una dispensa papale, trattandosi della vedova di suo fratello). Complesse questioni politiche si intrecciano con questa vicenda matrimoniale, e
si collegano al rifiuto del Papa di concedere quello che egli considera un divorzio. Nel 1531 la Camera dei Lord proclama Enrico "Capo supremo della Chiesa e del clero d'Inghilterra". È lo scisma,
consacrato dall'instaurazione del filo-luterano Thomas Cranmer (1489-1556) - che nel 1533 si affretterà ad annullare il matrimonio fra Enrico e Caterina - come arcivescovo di Canterbury. L'Atto di
Supremazia del 1534, che fa seguito alla scomunica romana, consacra la nascita di una Chiesa
nazionale.
Nonostante Cranmer, la Chiesa "anglicana" conserva numerose caratteristiche di tipo cattolico.
Solo dopo la morte di Enrico VIII (1547) Cranmer - che perirà nel corso dell'effimera reazione cattolica di Maria Tudor (1516-1558) - farà approvare una nuova liturgia in lingua inglese (Prayer
Book) nel 1549, più "protestante" in una seconda edizione del 1552. Sotto il regno di Elisabetta I
(1533-1603, regina dal 1558) il Prayer Book è rivisto (1559) in senso meno anticattolico, ma i Quarantadue articoli di fede, che risalivano al 1553, diventano nel 1571 i Trentanove articoli, di orientamento più protestante, sebbene moderato. Fin dall'epoca di Elisabetta I la religione anglicana che, come si è accennato, alcuni considerano un tertium genus fra cattolicesimo e protestantesimo
- si presenta come compromesso fra elementi di provenienza cattolica (temperati da una avversione per Roma e per il Papato) e di provenienza protestante. A poco a poco le due tendenze si organizzano in correnti o partiti, detti "Chiesa alta" (più conservatrice e "cattolica") e "Chiesa bassa"
(più filo-protestante).
Tra il Settecento e l'Ottocento nell'ambito dei due partiti sorgono dapprima un movimento evangelical, legato ai diversi risvegli che caratterizzano le comunità del primo protestantesimo in tutto il
mondo, e in seguito un movimento "trattariano" (da una serie di opuscoli detti Tracts for the time
pubblicati a partire dal 1833), o "movimento di Oxford", più decisamente filo-cattolico. Tra i dirigenti
del "movimento di Oxford", John Henry Newman (1801-1890), passa nel 1845 alla Chiesa cattolica
(dove diventerà cardinale), mentre Edward Bouverie Pusey (1800-1882) organizza una influente
corrente "anglo-cattolica" all'interno della Chiesa anglicana. Oggi le distinzioni fra "Chiesa alta" e
"Chiesa bassa" sono meno rilevanti, e la Chiesa si è piuttosto divisa su questioni come l'ordinazione sacerdotale delle donne e il ruolo delle persone omosessuali.
La decisione del Sinodo della Chiesa anglicana di ammettere le donne al sacerdozio (11 novembre 1992) e le prime ordinazioni (12 marzo 1994) hanno creato problemi difficili al processo di
riavvicinamento ecumenico fra anglicani e cattolici. Le donne erano peraltro già ammesse al sacerdozio in altre Chiese anglicane (a Hong Kong dal 1971, dopo una prima ordinazione contestata
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nel 1944, in Canada dal 1975, negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda dal 1976, in Australia e Sud
Africa dal 1992). Guardano in effetti a Canterbury come a una sorta di Chiesa madre quaranta
Chiese nazionali autonome che formano la Comunione anglicana e si riuniscono a partire dal 1867
ogni dieci anni nelle Conferenze di Lambeth.
Al di fuori della Gran Bretagna, la più influente Chiesa anglicana è quella degli Stati Uniti che,
dopo la Rivoluzione americana (che la mette in profonda crisi per il suo carattere "inglese"), si riorganizza nel 1783 con il nome di "Chiesa protestante episcopale" (dal 1967, semplicemente "Chiesa episcopale"). Anche negli Stati Uniti le questioni relative all'ordinazione delle donne e alla posizione degli omosessuali hanno determinato negli ultimi anni diversi scismi di carattere
"tradizionalista". I membri della Chiesa episcopale ("episcopaliani") negli Stati Uniti sono due milioni e mezzo, e il numero appare negli ultimi anni decrescente. La comunità episcopaliana ha tuttavia un'importante presenza in settori chiave dell'economia, della politica e della cultura degli Stati
Uniti.
Il modello Benedetto XVI per gli anglicani… e per i lefebvriani?
di Massimo Introvigne (www.cesnur.org)
La “Nota informativa” della Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicata martedì 20 ottobre “circa gli
ordinariati personali per anglicani che entrano nella Chiesa Cattolica” rappresenta una piccola rivoluzione
nell’accostamento all’ecumenismo e s’inserisce pienamente nel magistero di Benedetto XVI. Offre anche un
modello per il futuro ritorno alla Chiesa Cattolica di altri gruppi dottrinalmente vicini, ma con cui permangono
divergenze sul piano disciplinare e liturgico.
Riassunto delle puntate precedenti: dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II molte diocesi cattoliche, e molti
esperti di ecumenismo, hanno scoraggiato il ritorno di singoli protestanti, ortodossi e anche anglicani alla
Chiesa Cattolica. Accogliere oggi singole persone o gruppi, si diceva, avrebbe irritato i dirigenti delle comunioni o Chiese cristiane separate e avrebbe reso più difficile domani l’integrale ritorno a Roma di queste realtà. Benedetto XVI ha sempre avuto molti dubbi su questo accostamento, ritenendolo tipico di una sorta di
“ultra-ecumenismo” che rischia di scadere nel relativismo. Sul piano teorico, non incoraggiare o addirittura
ostacolare queste conversioni implica l’idea secondo cui è indifferente essere cattolici oppure protestanti,
anglicani e così via. Nell’enciclica “Caritas in veritate” il Papa ha invece precisato che la dottrina della libertà
religiosa proclamata dal Vaticano II “non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali”. Sul piano pratico, Benedetto XVI sa bene che la piena unione con la maggioranza delle
denominazioni separate da Roma nel loro insieme è un obiettivo talmente difficile da doverlo considerare
umanamente impossibile. Gli anglicani – come ricorda la Nota – ci hanno messo del loro, prima ammettendo
al sacerdozio e all’episcopato le donne, poi accogliendo e perfino celebrando i matrimoni omosessuali.
A questo punto il Papa ha detto basta: e la Nota permette di accogliere non solo singoli anglicani, ma interi
gruppi anche molto numerosi – gli interessati sarebbero centinaia di migliaia, se non milioni – che rifiutano il
sacerdozio femminile e le unioni omosessuali. Questi gruppi – ed è qui la novità – potranno mantenere le loro peculiarità liturgiche e i loro pastori anglicani sposati, che – rimanendo sposati – saranno ordinati ricorrendone le condizioni sacerdoti cattolici, anche se solo i celibi potranno diventare vescovi. Infatti per la Chiesa Cattolica il celibato sacerdotale è una questione puramente disciplinare, che ammette deroghe, mentre
l’esclusione delle donne dal sacerdozio è una questione dogmatica e non tollera eccezioni.
La Nota rappresenta non solo la fine di un “ultra-ecumenismo” relativista, ma anche un modello per accogliere nella Chiesa Cattolica gruppi molto numerosi di fedeli – per esempio intere Chiese ortodosse e, perché
no, il tradizionalismo lefebvriano – che potranno conservare le loro particolarità liturgiche e spirituali e i loro
vescovi. A patto, naturalmente, di aderire integralmente alla dottrina cattolica e di riconoscere l’autorità del
Papa.
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