Gil Borz
Società, Etica & Sessualità
La filosofia dell’immoralismo vol II°
Gil Borz – novembre 2014 – Collana “Filosofia dell’Immoralismo”
In copertina un dipinto di Alma Tadema
Pubblicazione gratuita a cura dell’Associazione La Gustoteca – Vercelli
Edizione in formato PDF – è gradito un contributo a favore delle attività associative
www.lagustoteca.it
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INDICE
Introduzione
La società liquida
Il pensiero di Zygmunt Bauman
La caduta dell’impero e la morale
Fem Dom riflesso della società
Il Supermercato delle relazioni
Società liquida e vite fluide
Conclusioni
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Introduzione - La Filosofia dell’Immoralismo
Non esiste una morale definita, tanto meno una morale assoluta.
Esistono molteplici morali adeguate al governo della società, al suo modello economico.
La repressione degli atteggiamenti sessuali considerati immorali si sviluppa in forma anche violenta in quanto
tutto ciò che esula dalla morale determinata e controllata risulta potenzialmente capace di minare alle basi la
struttura portante dell’organizzazione sociale, e di conseguenza il potere che su di essa si determina, o che da
essa viene determinato.
Per questi motivi, semplici in apparenza, il controllo della sessualità, dei comportamenti sessuali, e la morale
complessiva che da essi derivano è sempre stato al centro dell’attenzione di ogni apparato di potere, di ogni
religione.
Ovviamente, e per esempio, una struttura socio-economica basata sul modello sociale occidentale tradizionale,
in cui il potere interno, e il ruolo di ambasciatore in famiglia del potere sociale è affidato al padre, non può
tollerare modalità affettive o comportamenti sociali che esulino dalla monogamia eterosessuale. Di conseguenza
sia l’omosessualità che l’adulterio (in particolare quello femminile) venivano duramente repressi fino a divenire
tabù sociali.
L’adulterio femminile, dal punto di vista della struttura economico-sociale, implicava non solo il tradimento della
figura di riferimento ma, in un modello economico incentrato sul lavoro-reddito maschile, il tradimento di chi
lavora, produce reddito, nutre e veste il nucleo familiare: insomma, mordere la mano che ti nutre non è mai
stato un gesto apprezzato.
Parimenti e per converso l’adulterio maschile era tollerato, e talvolta anche invidiato, proprio per la funzione
economico-produttiva maschile. Il maschio produttore, il maschio economicus poteva, in virtù della sua forza e
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del potere economico, consentirsi delle distrazioni, a patto che non togliesse al nucleo familiare il necessario
benessere economico.
Nel nostro contemporaneo l’ingresso della donna al mondo del lavoro e l’emancipazione che conduce ad una
spartizione di potere (o dei poteri) tra generi definisce una minore repressione morale, un diverso giudizio
valoriale, sia nei confronti dell’adulterio femminile, sia nella parificazione degli adulteri, maschile e femminile,
non solo davanti alla legge ma nella pubblica opinione.
Oggi la battaglia per la libertà dei comportamenti e dei gusti in materia erotica e della sessualità è
fondamentale: perché da questa e su questa si fonda un modello di società libera, autogovernata, consapevole e
indipendente.
Con la Filosofia dell’Immoralismo cerchiamo non solo di comprendere l’effetto specchio esistente tra etica
sessuale e struttura sociale ma anche, e soprattutto, quali modelli di società possono risultare speculari alle
diverse modalità dell’eros.
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Parte Prima
Il Modello Socio – Economico
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La società liquida
Nel secondo dopoguerra, dagli anni ’50 ad oggi, il mondo occidentale ha conosciuto un cambiamento radicale,
una svolta non soltanto impressionante dal punto di vista del cambiamento e della quantità dei cambiamenti, ma
soprattutto per la rapidità del cambiamento: un processo di accelerazione rispetto ai tempi lunghi delle epoche
precedenti che rende a volte difficilmente accettabile, comprensibile, digeribile, il cambiamento stesso.
Le prime avvisaglie esplosero con i movimenti operai e studenteschi degli anni ’60, sfociati nella contestazione e
nei moti del ’68.
Mary Quant a Londra introdusse la minigonna, apertamente e duramente osteggiata dalla morale cattolica; i
Beatles introdussero i capelli lunghi, rivoluzionari per un’epoca di capelli a spazzola; i cantautori iniziarono a
parlare di problematiche sociali; il Rock&Roll e la musica Pop travolsero il genere melodico; Jimi Hendrix mandò
in estasi Woodstock, Martin Luter King e Malcom X sconfissero la segregazione razziale negli USA. Una serie di
mutamenti di stampo rivoluzionario nel segmento dei comportamenti e dei gusti, ma cosa accadeva
nell’economia?
L’asse del potere economico aveva seguito gli sviluppi bellici, trasferendosi dalla vecchia Europa alla giovane
America. Un’America che imponeva la sua american way of life e i suoi american dreams che includevano
industrializzazione forzata, indebitamento personale elevato, consumismo esasperato, utilizzo massivo di generi
di intrattenimento (televisione, cinema, musica).
Si costruivano autostrade, si vendevano Vespe, Lambrette, 500 e Seicento. Una nuova, estesissima classe media
prendeva il posto di generazioni di agricoltori, il denaro era necessario per dare sfoggio del proprio livello di
consumo.
La famiglia era ancora di stampo patriarcale, ma i figli del baby boom, nati poco dopo la guerra, studiavano,
frequentavano l’università, socializzavano, discutevano, ascoltavano, iniziavano a viaggiare e scoprivano mondi
possibili, molto diversi dai canoni tradizionali.
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Il modello americano diventava il modello occidentale in cui a fianco dei grandi colossi industriali fiorivano
infinite attività professionali, commerciali, artigianali in un modello economico in cui la libertà d’impresa
consentiva di proclamarsi, o di percepirsi, liberi cittadini.
A contrapporsi al nuovo modello economico, e alle sue necessarie conseguenze e ricadute nel modello
comportamentale, in Italia c’era una burocrazia asfissiante e un controllo territoriale capillare garantito dalle
parrocchie e dal susseguirsi di cerimonie e celebrazioni che legavano le famiglie alle parrocchie. Un controllo
etico-morale persuasivo e insinuante, ben superiore a quello esercitato dalle forze dell’ordine.
Con la crisi petrolifera e energetica del ’70, conseguenza del conflitto mediorientale, cambiò ancora il modello
economico: il valore delle valute non fu più calcolato come corrispondente alla riserva aurea ma divenne libero,
governato dal peso e dall’importanza del Prodotto Interno Lordo. Il PIL non si calcolò più in base al tonnellaggio
della produzione industriale bensì nel valore delle transazioni commerciali. L’organizzazione del lavoro iniziava a
trasformarsi passando da un modello fordista (segmentato e verticale) a un modello lineare e orizzontale. Il
management lasciava lo stile paternalistico per diventare direzionale. La grande distribuzione entrava a gamba
tesa nel modello distributivo nazionale modificando stili e tempi di vita. Le donne, infine, frequentavano le
università, si laureavano e lavoravano, al pari dei loro colleghi maschi.
Gli anni ’70 passarono alla storia italiana sia come anni di piombo, caratterizzati da fenomeni violentissimi di
contestazione e guerriglia urbana, sia per la nascita del femminismo, sia – infine – per la rivoluzione sessuale, una
sorta di ingresso dell’amore libero e disinibito, del frequente scambio di partner, della molteplicità possibile delle
relazioni.
La contestazione non era solamente pubblica, ma vissuta all’interno delle mura domestiche e, nella generale
contestazione nei confronti del potere costituito, il bersaglio primario era la figura paterna, figura emblematica
sostitutiva del e corrispondente al padronato nel modello economico.
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La struttura della contestazione, di qualunque colore politico si ammantasse, definiva la necessità di abbattere il
potere costituito per sostituirlo con modelli di autogestione. In fabbrica, nelle università, nelle case lo schema era
il medesimo. Si trattava, ovviamente, di un cambiamento di paradigma economico, di un modello di politica
economica che tendeva da un lato a contestare il padronato e dall’altro a determinare un modello organizzativo
di stampo cooperativo, o di ispirazione socialista-cogestionale.
Lo scontro durò una decina d’anni.
Poi venne il riflusso e col riflusso la televisione commerciale e gli anni ’80.
Gli anni ’80 rappresentano per l’Italia gli anni della “Milano da bere”, dello yuppismo, del craxismo in politica.
Anni dall’altissima inflazione ma dal benessere ampiamente diffuso. Gli anni dell’esplosione delle partite iva,
della nascita dei Centri Commerciali, della diffusione di programmi televisivi commerciali molto frequentemente
ammiccanti alle pruderie più elementari.
Gli anni di Colpo Grosso e Drive In, per intenderci.
Sono anni di liberalizzazione, gli anni dello sviluppo della pornografia e del cinema erotico in Italia, gli anni delle
“star” che come Ilona Staller finirà, provocatoriamente, per sedere in Parlamento nominata nelle liste del Partito
Radicale. Anni in cui le forze economiche liberiste, di provenienza statunitense, forzeranno la mano ai governi
europei al fine di abbattere dazi e concessioni governative: l’inizio sussurrato di un processo di globalizzazione
che si compirà solamente dopo il crollo del sistema comunista, simbolicamente rappresentato dall’abbattimento
del muro di Berlino nel 1989.
Il modello organizzativo industriale si ispira a nuovi concetti (just on time in inglese e kaizen in giapponese) in cui
lo schema prevede un’elevata efficienza di tutti i partecipanti alla produzione i cui singoli prodotti vengono
assemblati in funzione della domanda, non semplicemente predisposti per poi essere proposti al mercato.
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Cresce enormemente l’importanza del marketing, la distribuzione diventa la funzione organizzatrice dei processi
produttivi. L’elettronica inizia il suo percorso di controllo delle attività sistemiche, un controllo che finirà per
produrre gli algoritmi finanziari alla base del nostro vivere quotidiano.
Analisi della domanda, organizzazione della distribuzione, produzione, vendita, servizi post vendita
rappresentano la filiera operativa, una filiera che ribalta completamente millenni di precedenti esperienze.
Sotto il profilo economico-sociale i prezzi incrementano seguendo l’elevatissima inflazione, obbligando la
struttura familiare a riorganizzarsi rispetto alla tradizione: la donna diventa lavoratrice e imprenditrice, punta
dichiaratamente alla parità dei diritti in un nuovo percorso di emancipazione che gradualmente, a partire dai
paesi protestanti, si estenderà rapidamente anche a quelli cattolici.
E la sessualità ?
Dopo l’ondata protestataria degli anni ’70 la situazione sembra normalizzarsi nel vissuto quotidiano, ma
l’erotismo trova nuove modalità di offerta e presentazione (televisione, cinema hard). Iniziano a svilupparsi, a
diffondersi e a farsi accettare i movimenti Gay. La sessualità diviene un “accessorio” più o meno sbandierabile,
più o meno esibibile e decadono importanti pregiudizi precedenti.
Il riconoscimento dei pari diritti di genere, l’esplosione delle richieste di divorzio e la generale accoglienza delle
richieste delle donne in materia divorzista, segnano un punto di apparente non-ritorno nella definizione della
struttura sociale. Un elemento spicca nel panorama urbano: l’incremento davvero sorprendente dei “Motel”
nelle periferie e nei pressi delle Zone industriali. Le passioni aziendali diventano patrimonio diffuso, il senso della
fedeltà nei rapporti inizia a scricchiolare, la durata media delle unioni precipita, anche grazie ad un sistema
economico che antepone ormai sempre e comunque il denaro ad ogni altro valore.
Col denaro si compra tutto. Anche l’offerta erotica. E l’amore diventa un supermercato.
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Negli ultimi due decenni la società ha ulteriormente amplificato alcuni elementi:
a. La riduzione della potestà familiare maschile
b. La diminuzione dell’autorità maschile
c. L’incremento dell’autorevolezza femminile
d. L’aumento della precarietà (economica, lavorativa e affettiva) e dell’incertezza
e. La diminuzione di punti certi di riferimento valoriale
Nella cosiddetta società liquida l’unica vera costante è la provvisorietà .
Il termine di società liquida definisce una società che prende la forma dei contorni che la contengono,
perennemente in movimento, priva di staticità, fluida, implicitamente instabile.
La dimensione economica della società liquida è basata sul modello degli algoritmi finanziari e non più sulle
dinamiche commerciali, originarie degli scambi economici primari; algoritmi implicitamente molto diversi dalla
struttura rigida, definita, predeterminata caratteristica dei modelli economici e dei loro derivati sociali che fino
ad oggi l’umanità aveva conosciuto.
Il modello è talmente innovativo, talmente particolare, che la maggior parte delle persone, la maggior parte degli
uomini soprattutto, non riesce ad adeguarsi al cambiamento. Persone a cui sembra essere sfuggito di mano il
proprio destino, uomini che sembrano aver perso ogni riferimento, maschi spaventati dalla perdita del loro
potere sociale, affettivo e familiare, punteggiano costantemente il lessico mediatico. Ma è solo l’inizio di un
processo, un processo economico (globalizzazione) che determina una nuova struttura sociale, nuovi modelli
relazionali. Nuove entità aggregative. In questo ambito cerchiamo di prevedere la struttura che si andrà
delineando a breve e i modelli relazionali conseguenti.
La nostra società è «liquida» cioè non ha più strutture forti, legami duraturi, desideri, progetti, speranze. In essa
tutto è liquido, labile: certezze, patti, impegni, amori. L'individuo, separato dalle formazioni sociali, nazione,
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razza, famiglia, chiesa, partito, impresa, coppia, si preoccupa solo del suo benessere individuale, del suo piacere
immediato, della chiacchiera, dei consumi usa e getta.
La madre e il padre di tutte le paure che percorrono il nostro presente è il declino, la scomposizione e la
scomparsa dell’organizzazione economica, sociale, e anche politica, che andava sotto il nome di «fordismo», da
intendersi come il sostrato industriale che reggeva l’intero edificio. Questa base irradiava sicurezze e solidità nel
corpo sociale. E ciò avveniva, sì, anche grazie alla redistribuzione della ricchezza ad opera di uno Stato capace di
provvedere alla copertura di molti bisogni, ma il «nucleo centrale» di quella forza irradiante era sopra ogni altra
cosa la «protezione» che esso forniva, in forma di assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali. Lo Stato
e la società occidentale dell’epoca fordista, che si sono cominciati a incrinare negli anni Settanta del secolo
scorso e che hanno poi subito i colpi della «fase uno» (anni Ottanta) e della «fase due» (gli anni correnti) della
deregulation-individualizzazione, offrivano non solo una diretta manifestazione della loro forza stabilizzante nei
confronti degli individui, ma anche il contesto di una solidarietà operaia, sindacale, professionale, che scaturiva
dall’organizzazione produttiva: la fabbrica fordista era la «esemplificazione dello scenario di modernità solida in
cui si stagliava la maggior parte degli individui privi di altro capitale». Quello era il luogo dei conflitti tra capitale e
lavoro in una relazione, ostile, ma di «lungo termine». E questa caratteristica consentiva agli individui «di
pensare e fare progetti per il futuro.
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Esposti ai colpi del destino. Il conflitto era insomma un investimento ragionevole e un sacrificio «che avrebbe
dato i suoi frutti», mentre la condizione attuale, la volatilità globale dell’economia, fa apparire i tentativi di
ripetere analoghi conflitti con analoghi strumenti un gioco nostalgico molto povero di senso. L’esaurirsi di quella
fase, dovuta alla pressione di forze globali, e indipendente dalle politiche dei singoli Stati, ha trasformato la
nostra vita, ci ha reso «società aperta», ma non nel senso popperiano di società libera, ma piuttosto nel senso di
società «esposta ai colpi del destino».
il paradosso è che l’insicurezza è molto diffusa nei Paesi sviluppati, che sono in realtà il meglio rispetto al mondo
intero. E questo perché insicurezza non è solo «vivere nella giungla», ma dipendere da protezioni forti «che
diventano fragili e dalla paura di perderle». Tutta la fenomenologia della paura si riaffaccia così nei diversi
segmenti della vita sociale degli ultimi decenni: il terrorismo, la criminalità della vita urbana, le tendenze a
recintare la comunità di apparati di sicurezza, i rischi ambientali e della salute, e poi l’afflusso di Altri e Diversi,
bersaglio prediletto dalle politiche della paura che hanno negli immigrati il più redditizio capro espiatorio.
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Il Pensiero di Zygmunt Bauman
Da http://www.filosofico.net/bauman.htm
Acuto e impegnato analista della società, pone al centro del suo lavoro la dimensione etica e la dignità della
persona umana .
In particolar modo, egli concentra la sua riflessione sul tema della globalizzazione: scrive di un mondo divenuto
oramai irrimediabilmente “liquido”, ma che significa questo?
Significa che, mentre nell’età moderna tutto era dato come una solida costruzione, ai nostri giorni, invece ogni
aspetto della vita può venir rimodellato artificialmente.
Dunque nulla ha contorni nitidi, definiti e fissati una volta per tutte. Ciò non può che influire sulle relazioni
umane, divenute ormai precarie in quanto non ci si vuole sentire ingabbiati; le influenze non mancano anche nel
mondo politico: difatti ora non si cerca più di costruire il “mondo perfetto”, seguendo un rigido e predeterminato
sistema politico, forte di una consolidata ideologia, come era nel passato.
A quanto sembra Bauman condivide la tesi di Lyotard circa la caduta delle metanarrazioni, anzi la utilizza in certo
qual modo come nucleo del suo sistema, in quanto è proprio a causa della scomparsa delle “grandi narrazioni
metafisiche” che ora si ha la “liquidità” come essenza stessa dell’attuale. Tuttavia è importante rilevare che
Bauman, a differenza di altri autori, rifiuta il termine “postmoderno” a favore di “modernità liquida”, proprio per
indicare la labilità di qualsiasi costruzione in questa nostra epoca.
Infatti, alla prima fase della modernità, vale a dire quella solida”, apparteneva il tentativo di circoscrivere la
posizione dell’individuo all’interno di leggi definenti la razionalità umana e inglobarle conseguentemente nel
corpo dello Stato. Parallelamente, in questa fase, si assiste al tentativo di ripartire il Tutto entro un ordine
misurabile: come dimenticare Galileo?
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Attualmente, tuttavia, si assiste ad una progressiva crescita del processo di individualizzazione (punto cardine
della fase “liquida”) che si pone in un rapporto dialettico con le strutture e la visione del mondo caratteristiche
della fase “solida”, individualizzazione che si ricollega al processo di globalizzazione, di cui si parlerà tra poco.
Se, però, la modernità è “liquida”, esiste comunque per il filosofo, qualcosa che rimane stabile, vale a dire il
socialismo, che non sarebbe un modello alternativo di società, bensì “un coltello affilato premuto contro le
eclatanti ingiustizie della società, una voce della coscienza finalizzata a indebolire la presunzione e
l’autoadorazione dei dominanti”, come Bauman dirà in un’intervista di Serena Zoli per il Corriere della Sera del
13 ottobre 2002.
A proposito di “globalizzazione”, la tesi di Bauman ò che essa genera sostanzialmente delle differenze, esaspera
quelle già esistenti col risultato di polarizzare ulteriormente la natura umana.
Il filosofo muove da un’indagine del legame tra la natura dello spazio-tempo e le organizzazioni sociali, per
giungere all’analisi degli effetti che la compressione spazio-temporale produce sulla società contemporanea e
sulle persone.
Non esiste più lo spazio, bensì il luogo, che è lo spazio capace di dare significato all’esperienza, definendo in
particolare ambiti e dimensioni locali; quando lo spazio cessa di essere significante cessa conseguentemente di
essere luogo, non definisce più, dunque, né ambiti né dimensioni locali, diventando mero spazio.
Come dice Bauman, la globalizzazione mina alla base la coesione sociale su scala locale, portando alla creazione
di una “èlite della mobilità” in grado di annullare lo spazio, di dare significati allo spazio, e capaci soprattutto di
rendere lo spazio significante per se stessi, quasi che parte dell’umanità potesse attraversare il mondo e l’altra
parte se lo vedesse passare davanti.
La coesistenza di questi due mondi, di queste due modalità di essere (delineate da Bauman nelle figure del
“turista” e del “vagabondo”) trasforma il territorio urbano in una sorta di campo di battaglia per lo spazio.
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Questa situazione è definita da Bauman “guerre spaziali”, le quali rischiano di diventare foriere di pericolose
conseguenze a causa della disintegrazione delle reti protettive.
In particolare, nell’opera “Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone” (2001), il filosofo sviluppa la
dialettica “globale/locale” che si è venuta ormai a creare. Attualmente i “globali” fissano le regole del gioco.
Nel processo in atto, infatti, se la finanza e l’informazione da un lato uniformano il globo, dall’altro lato
promuovono la differenziazione delle condizioni di vita di intere popolazioni; la globalizzazione, dunque, come un
“Giano bifronte” che nel momento stesso in cui unisce divide e localizza, annullando le possibilità di azione di
ampi strati sociali. Nel saggio, inoltre, il pensatore polacco identifica nella mobilità il valore più grande della
post-modernità, mobilità che, come detto poc’anzi, diviene anche un fattore di prestigio sociale.
Riguardo alla sfera politica è da rilevare il fatto che essa continua a muoversi entro gli schemi delineati nella
prima fase della modernità, vale a dire entro idee di dominio e controllo dello spazio fisico, di uno spazio ben
definito e delineato, mentre l’economia, la “new economy” è in grado di spostarsi con velocità nettamente
superiori grazie all’ausilio delle reti telematiche: il suo terreno è il cyberspazio.
Qual è il risultato? Mentre nella prima modernità vi era un rapporto di dipendenza reciproca tra capitale e
lavoro, oggi invece il capitale è sempre meno legato ad un territorio.
L’azienda della fase “liquido-moderna”, a differenza della fabbrica fordista, proprio a causa della natura del
capitale nell’era attuale, perde qualsiasi interesse nella tutela dei dipendenti, non avendo bisogno di uno spazio
fisico ma essendo anzi svincolata da esso. Per quanto riguarda gli investimenti può investire difatti ove si
presentino le condizioni migliori, anche se a farne le spese, è necessario e doveroso sottolinearlo, sono i
lavoratori stessi.
Nell’attuale mondo “liquido” vi è un ingresso ma nessuna via d’uscita, nel senso che chi è escluso lo resterà per
sempre, e sarà condannato a vivere una realtà dove sono sospesi lo stato di diritto e tutto il complesso delle
procedure previste dal welfare state.
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Ricollegandoci a quanto si diceva circa l’orientamento politico attuale, c’è da rilevare come logica conseguenza,
che lo stato-nazione ha aumentato le sue risorse al fine di garantire la sicurezza dei pochi privilegiati ammessi
alla tavola dello sviluppo economico.
In conseguenza di ciò, si rileva tutta una serie di interventi militari fatti dalle potenze egemoni (o sarebbe forse
meglio dire LA potenza egemone?) allo scopo di respingere “oltre frontiera” le migrazioni dalle aree povere verso
quelle più ricche. Gli stati-nazione privilegiati si danno attualmente molto da fare non solo nell’ambito della
“produzione di rifiuti”, bensì anche per quel che concerne il loro “smaltimento”: quali rifiuti?
Quelli prodotti dalla globalizzazione! Difatti per Bauman la distinzione tra politica interna e politica internazionale
è una mera convenzione volta a legittimare (o mascherare?) le scelte dei governi locali e delle organizzazioni
internazionali per smaltire questi rifiuti. Non è un caso che gli interventi militari nei Paesi esteri hanno alquanto
il carattere di azioni di polizia, cosa confermabile appieno anche nella più recente attualità.
E dunque per Bauman, il quale fa riferimento alle riflessioni di Agamben, tutta la massa dei diseredati, dei
rifugiati, degli immigrati, dei “rifiuti”, forma uno stato d’eccezione che in certo qual modo riempie il vuoto creato
dalla crisi della prima modernità così bene descritta da Foucault come “società disciplinare”, volta cioè al totale
controllo delle masse.
Che fare dunque? Per il pensatore polacco, la soluzione al problema non può che essere un ripensamento della
politica del welfare-state, orientata su scala globale, però è doveroso tener conto che, se si vuole intervenire in
questo “stato d’eccezione” si deve dare la parola, prima di tutto, a coloro che sono stati etichettati come “scarti
umani”, cosa quanto mai lesiva nei confronti della dignità umana che ricorda troppo da vicino quanto fatto dai
nazisti con gli ebrei.
In particolar modo, le nuove funzioni riguardano la gestione dei “campi di permanenza temporanei” (luoghi
pensati per far fronte all’emergenza immigrazione) ma anche l’amministrazione del mercato del lavoro in base al
principio della flessibilità o, per meglio dire, della precarietà.
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Unitamente a ciò, lo Stato si occupa di creare specifiche politiche di pervasivo controllo sociale.
Ad ogni modo, Bauman, nei suoi testi, non fornisce ricette: si limita soltanto ad analizzare la situazione
lucidamente e criticamente, mosso principalmente dalla speranza di informare. Anzi, formula un suo vivo
desiderio, ossia quello che si costruisca una “comunità” di individui mossi da un’etica comune e, soprattutto,
responsabilizzata
Impresa tuttavia molto difficile, visto l’attuale stato di cose.
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Modernità Liquida – Zygmunt Bauman
Pubblicato da Giusy D’Aiello in Libri, Politologia - Politica, Sociologia il 28 gennaio 2012
Zygmunt Bauman è un sociologo polacco ed è uno dei pensatori più influenti al mondo. Professore emerito di
Sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia, ha pubblicato diversi saggi tra cui Voglia di comunità, La società
sotto assedio, Vite di scarto, Amore Liquido, Vita liquida, Paura liquida.
Modernità liquida è un testo interessante che propone un’analisi chiara e puntuale dei cambiamenti che stanno
attraversando le nostre società all’inizio del nuovo secolo.
Le due domande, che l’autore rivolge al lettore, possono servirci da introduzione a questo lavoro; innanzi tutto
egli si chiede che cosa sia la modernità e quali siano i tratti caratterizzanti che la distinguono, come epoca storica,
da quelle precedenti. La risposta a questo primo quesito riguarda il mutato rapporto tra lo spazio ed il tempo: “Il
tempo acquisisce una storia allorché la velocità di movimento nello spazio diventa una questione di ingegno” (p.
XV). Nel rapporto tra lo spazio ed il tempo, lo spazio rappresenta il lato solido e stolido, e dunque pesante della
medaglia, mentre il tempo rappresenta il lato fluido, dinamico e sempre cangiante di tale rapporto. Vedremo tra
poco come il tempo diventerà, nella nostra epoca liquida, l’aspetto più importate dei cambiamenti in corso.
La seconda domanda ci porta direttamente al cuore delle tematiche trattate in questo libro, e dunque la
questione posta da Z.Bauman suona così: “la modernità non fu forse fin dall’inizio un processo di liquefazione?”
(p. VII). Attraverso questa seconda domanda è possibile considerare la storia della modernità come un lungo
processo di liquefazione continua di tutti quei corpi solidi che le società avevano precedentemente costruito.
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Se consideriamo la modernità attraverso lo sguardo rivoltole da autori quali M. Weber, A. De Tocqueville
scopriamo infatti che uno dei compiti assegnati alla modernità fu quello di “fondere i corpi solidi” per costruire
una società più stabile e duratura; i primi corpi solidi ad essere liquefatti furono in generale gli obblighi etici e
religiosi che caratterizzavano e tenevano unite invece le società pre-moderne. In questa fase di liquefazione
l’unico rapporto sociale che resistette al cambiamento fu il rapporto di classe e dunque, da questo momento in
poi, un nuovo tipo di razionalità prese la guida della società, e ciò lo possiamo descrivere marxianamente come il
primato dell’economia intesa come razionalità che governa tutte le altre vicende umane e sociali.
L’immagine che più di ogni altra esemplifica questa prima fase della modernità è, secondo l’autore, il Panopticon,
questo luogo inventato da J.Bentham e ripreso da M.Foucault, nel quale le persone vivono costantemente
controllate e sorvegliate dal potere, potere che poteva contare sulla sua velocità e facilità di spostamento per
tenere sotto controllo i propri sudditi: “ Il dominio del tempo era l’arma segreta del potere dei leader” (p. XVI).
Un’altra immagine può chiarire, tra le tante, cosa abbia significato il potere di controllo sul tempo: la fabbrica
fordista con la sua standardizzazione del tempo di lavoro nella catena di montaggio.
Questo modello di relazione tra controllori e controllati comportava il reciproco coinvolgimento tra gli attori in
campo e di fatto inchiodava il potere allo stesso suolo dove i controllati svolgevano le proprie attività.
Nella nostra fase di modernità, che l’autore definisce liquida, il modello panottico e tutte le strutture sociali ad
esso collegate è definitivamente entrato in crisi e, liquefacendosi, ha aperto una nuova fase della storia umana
che da molti è stata interpretata come fine della storia o come fine della modernità, ma che l’autore definisce
preliminarmente come post-panottica; essa tuttavia esibisce ancora il tratto caratteristico della modernità, ossia
la sempre inarrestabile spinta alla modernizzazione. Questa fase di liquidità attraversa aspetti importanti della
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nostra vita sociale come ad esempio il lavoro, la comunità, l’individuo, il rapporto tra lo spazio ed il tempo, ed
infine, ma non ultimo in ordine di importanza, l’idea di libertà e quella ad essa collegata di emancipazione.
Lo scopo di questa testo è mostrarci come siano divenuti più liquidi e dunque inafferrabili questi concetti che,
fino a poco tempo fa, rappresentavano il cardine portante delle nostre società e del nostro vivere in comune.
Passiamo dunque ad analizzare questi aspetti della modernità liquida.
Emancipazione
L’idea di libertà che il concetto di emancipazione tiene legata a sé, viene analizzato dall’autore partendo da un
pensatore, H.Marcuse, e da una scuola di pensiero, quella di Francoforte, che nel dopoguerra europeo misero al
centro delle loro ricerche critiche il rapporto tra il cittadino e la società, e dunque il rapporto tra libertà e
oppressione.
L’obiettivo che tale filosofia critica si poneva era la liberazione dell’individuo da tutte quelle routine e forme
standard di vita che la società industriale poneva come base del contratto sociale; l’emancipazione individuale,
secondo la teoria critica, passa attraverso un radicale ripensamento del rapporto tra individuo, società e stato,
quest’ultimo considerato quale guida del percorso emancipativo. Una concezione del genere era, però,
endemicamente esposta al rischio, attuato, del totalitarismo, questo spettro della modernità solida, che viene
ben esemplificato, secondo l’autore, dal Panopticon di Bentham/ Foucault o dal libro 1984 di G.Orwell.
L’idea di Z.Bauman, in merito al valore e all’attualità della teoria critica così esposta, è che questa concezione,
nella modernità liquida, assomiglia alla metafora del “modello camping”: nei camping, infatti, qualora qualcosa
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non funzioni, il visitatore può lamentarsi con la direzione e al limite estremo può andar via dal camping. Ma
assolutamente non avverrà mai che il visitatore sostituisca la direzione stessa nella gestione del campeggio.
La metafora del camping esemplifica, secondo l’autore, la fine della teoria critica così come l’abbiamo conosciuta
attraverso la scuola di Francoforte: nella modernità solida la società era considerata come una casa comune,
nella quale bisognava solamente istituzionalizzare le norme ed i comportamenti dei cittadini; la metafora del
camping chiarisce invece che la società, intesa come casa comune è ormai tramontata all’orizzonte nella
modernità liquida. Scrive l’autore: “Le cause del cambiamento sono più profonde, radicate nella profonda
trasformazione dello spazio pubblico” (p.14).
Questi cambiamenti, uniti, inoltre, alle fine delle paure legate agli spettri orwelliani, hanno portato molti
autorevoli pensatori a sostenere la fine della modernità e della storia della modernità: sostenendo una posizione
molto originale, Bauman scrive sulla nostra modernità che “il massimo che si può dire è che sia moderna in modo
diverso” (p. 18); la nostra società, secondo il sociologo polacco, si distingue dalla modernità appena trascorsa,
principalmente dal suo grado di fluidità delle strutture che la animano, ma è ancora moderna in quanto la sua
spinta verso la modernizzazione non si è ancora esaurita.
Solo due caratteristiche distinguono questo periodo fluido da quello solido precedente: in primo luogo, la fine
dell’idea di progresso come telos della modernizzazione e, in seconda istanza, i processi di privatizzazione e
deregolamentazione dello stato mettono fine al progetto moderno di individuo-cittadino. La contraddizione tutta
fluido moderna tra le aspettative dell’individuo e quelle del cittadino, è ben esemplificata dalla differenza tra
individuo de jure (diritti-doveri) e l’individuo de facto (capacità di autoaffermazione). L’importanza cruciale del
crescente divario tra le due caratteristiche è stata ampiamente dimostrata anche da G. Agamben, nel suo testo
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Homo Sacer; secondo Bauman questo divario sta lentamente distruggendo lo spazio pubblico, il luogo principe
della politica, intesa come ridefinizione costante dei diritti e dei doveri del cittadino.
La parte finale di questo paragrafo, pone una domanda molto importante in merito alla questione
sull’emancipazione: è ancora possibile una teoria critica che tematizzi la liberazione degli uomini e delle donne?
Bauman risponde chiarendo che la teoria critica classica è morta e sepolta in quanto i soggetti a cui era rivolta,
come il cittadino, lo stato, si sono ormai sciolti nella fluidità della nostra epoca. Il punto importante che l’autore
mette in chiaro è che invece il progetto emancipativo non si è disciolto, e dunque, per rilanciarlo, abbiamo
bisogno di una nuova prospettiva, all’interno della quale inserire la teoria critica: tale prospettiva è, in epoca
fluida, colmare il più possibile il divario tra l’individuo de jure e l’individuo de facto: “Oggi è la sfera pubblica a
dover essere difesa dall’invasione del privato, e ciò paradossalmente, al fine di accrescere, non di ridurre, la
libertà individuale” (p. 48).
Individualità
Il passaggio dalla modernità solida a quella fluida indica che tutte le certezze su cui si è costruita la
modernizzazione fino ad oggi stanno venendo meno, sostituite da una fase di sfrenata deregolamentazione e
flessibilizzazione dei rapporti sociali; non sorprende, allora, che questa nuova fase veda al centro del suo sviluppo
proprio l’individuo, con la contraddizione principale che abbiamo già delineato.
Gli uomini e le donne che popolano le società avanzate sono sempre più convinti che il loro successo/insuccesso
dipenda esclusivamente dalle loro proprie capacità, senza nessun soccorso da parte della società, intesa in modo
ampio; ci troviamo, insomma, nella situazione in cui, tramontato il sogno di una autorità centrale, sia essa lo
stato o il capitale, che garantisca la strada per il progresso, il mondo si trasforma in una distesa di opportunità
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pronte ad esser colte dai soggetti, per guadagnare il maggior numero di soddisfazioni possibili: “Il mondo pieno
di possibilità è come un buffet ricolmo di prelibatezze che fanno venire l’acquolina in bocca” (p. 62).
Chi può aiutarmi a raggiungere gli obbiettivi giusti? Questa sembra essere la domanda più importante che si
pone il soggetto nella modernità fluida, e le risposte a questi quesiti fondamentali per ogni individuo vengono
portate direttamente a casa dai talk-show televisivi, il cui scopo è appunto quello di risolvere i problemi privati
portandoli al pubblico dibattito. Secondo l’autore, ci troviamo dinanzi ad una vera e propria colonizzazione della
sfera pubblica da parte di problematiche che fino a poco tempo fa erano di pertinenza esclusiva della sfera
privata.
Attraverso questi esempi, il sociologo polacco ridefinisce il confine tra la sfera pubblica e quella privata; il fatto
che i problemi privati invadano lo spazio pubblico della discussione, non traduce queste problematiche in
questioni pubbliche ma, ed è l’aspetto più importante, toglie lo spazio a tutti gli argomenti pertinenti alla sfera
pubblica. Il primo risultato di tale condotta è la fine della Politica come argomento di dibattito pubblico, e di
conseguenza la fine dell’agire politico del cittadino.
Nella modernità liquida, è il consumo la priorità di ogni individuo, e principalmente il consumo/acquisto di
identità personali attraverso l’identificazione. Questo genere di mercato delle identità ben si combina con i
processi di flessibilità propri della modernità liquida, ma, avverte l’autore, il genere di consumismo che riguarda
le società di oggi è ben diverso dal fenomeno del consumismo dell’epoca solido moderna; in questa, infatti, il
consumo era inserito nella dialettica del bisogno/mancanza, mentre nella modernità liquida, il consumo è rivolto
unicamente verso l’appagamento dei desideri. La natura autoreferenziale del desiderio, che ha per oggetto se
stesso, chiarisce bene come il fenomeno consumo divenga così una compulsiva ricerca di soddisfazione che non
si esaurisce mai, e dunque infinita.
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Tempo e spazio
Passiamo ad analizzare i luoghi e i tempi dove l’individuo moderno incontra le altre persone.
L’incontro tra le persone nei luoghi e nei non luoghi pubblici è innanzitutto l’incontro tra estranei, e ciò lo si
potrebbe descrivere attraverso il concetto sartiano di serie; il fenomeno principale che si può riscontrare in
questi incontri è definito dall’autore come buona creanza, attività che garantisce la reciproca compagnia tra le
persone, e al contempo una giusta distanza tre le stesse che mette al riparo da un loro possibile coinvolgimento
più stretto.
I luoghi pubblici sono classificati dall’autore in due categorie distinte: la piazza descritta nel libro, come un luogo
che, per caratteristiche architettoniche, possiede una funzione che non è quella di spazio pubblico, inteso come
luogo di incontro tra persone, ma il suo compito è quello di ospitare solamente il passaggio degli individui.
Questo luogo è, dunque, uno spazio pubblico ma non civile. La seconda categoria di spazio pubblico (ma non
civile) è identificata dall’autore con i luoghi di consumo, i quali “stimolano l’azione ma non l’interazione” (p. 107).
L’interazione tra i soggetti in questi luoghi è resa difficoltosa dal fatto che il consumo che qui si produce è
un’attività che si espleta solo individualmente.
Traslitterando il significato di strategia antropoemica e antropofagia, fatta da C.L. Strauss nella sua analisi dei
comportamenti degli individui, l’autore polacco distingue le due categorie di spazio pubblico ma non civile; la
prima categoria di spazio pubblico segue fedelmente la strategia emica, tendendo alla rapida espulsione delle
persone, mentre i luoghi del consumo rispecchiano la strategia fagica, in quanto spingono ad una rapida
omologazione/digestione dei consumatori.
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Alle caratteristiche descritte, l’autore aggiunge una terza classificazione dei luoghi pubblici, utilizzando il concetto
di non-luogo descritto dal sociologo francese M. Augé; i non-luoghi hanno la caratteristica di essere al contempo
dei luoghi emici e dei luoghi fagici, come dimostrano ad esempio gli aeroporti. I non-luoghi rappresentano degli
spazi vuoti di significato, proprio perché in essi non si sviluppa nessuna interazione tra le persone che dia un
senso al luogo di passaggio. Insomma, la funzione dei luoghi pubblici non civili sembra proprio essere quella di
non permettere il confronto e l’interazione tra le persone che vi transitano.
Attraverso questa analisi e attraverso la critica alla politica spettacolo, l’autore sembra denunciare la perdita
della capacità da parte delle persone di negoziare tra estranei un progetto di vita in comune: “Il progetto di
sfuggire all’impatto della multitonalità urbana e trovare rifugio nell’uniformità comunitaria, è autolesionistico
quanto autoperpetuantesi” (p. 118). Il progetto comunitario è inteso dall’autore come la risposta più ovvia e
prevedibile alla fluidità dei rapporti sociali che caratterizzano la nostra modernità liquida, ma questa prevedibilità
della risposta comunitaria non cancella, secondo Bauman, il circolo vizioso che genera il comunitarismo:
l’incontro tra estranei, nonostante “le comunità” è sempre possibile e appartiene agli accadimenti ineliminabili
della nostra vita, sebbene il comunitarismo percepisca l’altro-estraneo come pericolo fondamentale della
comunità. Anche questo aspetto della nostra vita pubblica indica chiaramente la crisi profonda della politica,
intesa come negoziazione e reciproco contrasto tra individui.
L’analisi del tempo è compiuta partendo dall’importanza che questo ha rivestito a partire dagli albori della
modernità pesante: “La modernità è il tempo nell’epoca in cui il tempo ha una storia.” (p. 124).
Nella sua storia moderna, il tempo è stato inizialmente identificato con il tempo che occorre per attraversare uno
spazio; al contrario, nella modernità fluida il tempo, come approssimazione all’istantaneità, garantisce
l’equivalenza di qualsiasi luogo in rapporto al tempo per raggiungerlo, e dunque ciò sancisce la predominanza del
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tempo come fattore di dominio sullo spazio. Questo passaggio è così cruciale da essere paragonato dall’autore al
passaggio dal capitalismo hardware (modernità pesante) a quello software. Nel capitalismo software, il tempo
considerato come istantaneità è un fattore così importante da essere paragonato allo stesso avvento del
capitalismo: l’istantaneità trasforma ogni momento (di tempo) in un momento infinito, ne deriva l’idea
dell’immortalità, l’illusorio sogno dell’uomo, che viene ad identificarsi con l’infinità di ogni momento.
La predominanza del tempo considerato come istantaneo-immortale rappresenta un cambiamento epocale, in
quanto sia il passato che il futuro, in una società in cui ha valore solo l’istante, perdono di senso come coordinate
della vita di ogni individuo, sostituite dalla filosofia del carpe diem. L’autore conclude domandandosi
sarcasticamente quale tipo di mondo potrà mai derivare da questa concezione della vita intesa come
istantaneità.
Lavoro
Altro pilastro della modernità solida è l’idea di progresso. Questo concetto che concepisce il tempo presente
come un periodo di trasformazione verso il futuro, ha rappresentato per più di un secolo la spinta che ha
permesso il definitivo slancio della società moderna verso il mondo. Questa idea si è sviluppata in sistemi sociali
quanto mai stabili ed impermeabili a qualsivoglia variabile casuale che ostacolasse quest’opera di immensa
costruzione; ebbene Bauman sollecita il pensiero che nella nostra epoca fluido-moderna non c’è più spazio per
l’idea di progresso in quanto, come abbiamo visto nell’analisi precedente, tutta la nostra vita è rivolta a cogliere
solo gli aspetti gratificanti del carpe diem. A conti fatti, oggi l’idea di progresso non è sparita del tutto
dall’orizzonte delle nostre società, ma semplicemente, come gli altri aspetti che abbiamo analizzato, si è
modificata radicalmente; il progresso, nelle società liquido moderne, non è più governato da autorità centrali,
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come lo stato, che ne guidano lo sviluppo, ma è al contrario lasciato al servizio di tutti i soggetti privati che ne
vogliano far parte.
Abbiamo accennato poco fa che l’idea di progresso aveva come suo corollario l’opera di trasformazione del
mondo; l’attività fondamentale di quest’opera di trasformazione è stata, nella modernità pesante, il lavoro.
Proprio questa attività, ci rammenta l’autore, sta subendo, sotto i colpi della modernità liquida, le trasformazioni
più radicali nella sua lunga storia di rapporto con il capitale: l’analisi parte dagli albori della modernità, quando il
lavoro fu scisso dall’attività dello scambio, trasformando così il lavoro (ed il lavoratore) in una merce come le
altre nelle mani del capitale, ed arriva ad oggi in cui lo storico rapporto tra lavoro e capitale si è modificato con
“l’avvento del capitalismo leggero e fluttuante, caratterizzato dal disimpegno e dall’allentamento dei legami che
uniscono capitale e lavoro.” (p. 172).
Allentamento e disimpegno stanno a significare che il capitale ha rotto definitivamente il suo magico rapporto
con il lavoro, non volendo più essere incatenato con esso al suolo; chiara indicazione di ciò è la crescente
flessibilità (precarietà) che investe il mondo del lavoro, concetto questo che sta trasformando milioni di
lavoratori in liberi professionisti della flessibilità; e che ripropone, a distanza di quasi un secolo, la polemica
marxiana nei confronti degli economisti classici in merito al libero individuo (lavoratore).
Il lavoro oggi si acquista, al pari di altre merci, in negozi appositi, acuendo in questo modo la precarietà e
l’instabilità della vita di ogni individuo.
Anche il capitale, nella modernità liquida, si è trasformato profondamente, perdendo il suo interesse per un
territorio preciso al quale rimanere confinato e trasformandosi sempre di più in una potenza extraterritoriale
pronta a cogliere i profitti ovunque essi si manifestino.
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I cambiamenti che il sociologo polacco ha individuato nel mondo del lavoro hanno delle ripercussioni profonde
nei rapporti tra individui in quanto queste trasformazioni inducono le persone a riconsiderare la propria
esistenza secondo i valori della società dei consumi. Dunque, ogni rapporto, da quello lavorativo a quello sociale,
viene considerato alla stregua di un prodotto da consumare; tutti i rapporti umani insomma, avverte Bauman,
non sono più costruiti collettivamente, ma consumati individualmente.
In un’epoca così fluida nei cambiamenti, non ci si stupisce più della difficoltà che incontrano gli individui a
costruire collettivamente una alternativa a questo sistema di cose, proprio perché tali trasformazioni hanno reso
la vita così piena di possibili errori che ognuno tenta, individualmente, di porvi rimedio.
Comunità
La flessibilità dei legami sociali che abbiamo descritto fino ad ora, ha come risultato paradossale quello di
aumentare il fascino dell’idea comunitarista dei rapporti interumani: la cosa è paradossale in quanto la società
fluido-moderna spinge senza sosta verso l’individualizzazione di tutti i legami sociali, mentre la proposta
comunitarista spinge a creare una nuova solidarietà tra gli individui della comunità che sappia controbilanciare la
crescente insicurezza del mondo fluido moderno.
L’aspetto paradossale che viene messo in luce riguarda il fatto che l’idea di comunità è divenuta imprescindibile
dalla nozione di identità, sebbene l’una rappresenti il limite dell’altra; la nozione di identità è per definizione una
concezione esclusiva mentre il concetto di comunità, avendo alla sua base eros come forza unificante, tende ad
unire più membri possibili.
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La comunità delle identità sembra allora essere utile per sanare il divario crescente tra l’individuo de jure e
l’individuo de facto, che abbiamo considerato come uno degli aspetti più particolari della modernità liquida, in
quanto è all’interno delle comunità-identità che l’individuo è recuperato come unicità non divisibile.
Dopo aver descritto le varie forme di comunità, distinguendo tra quelle che ritrovano l’unità attraverso la
similitudine delle proprie identità (nazionalismo), e quelle che, al contrario, si costituiscono sulla base di una
negoziazione costante delle differenze (modello repubblicano), l’autore ci avverte che quest’ultima è “la sola
variante di unità che le condizioni di modernità liquida rendono compatibile, plausibile e realistica.” (p. 209).
La novità che il neocomunitarismo ha portato alla ribalta deriva dunque dal fatto che l’appartenenza ad una
comunità (di identità) non rappresenta più un fattore rigido di appartenenza, ma è un processo di
autoproduzione individuale che può sempre essere messo in discussione e rinegoziato; la comunità, insomma, è
oggi l’unico luogo nel quale si trova riparo dalle crescenti insicurezze fluido-moderne, sebbene essa possa anche
essere il maggior ostacolo all’integrazione tra individui di culture diverse, come dimostra il melting pot della
società statunitense.
Un ultimo aspetto viene infine analizzato dall’autore all’interno della sua analisi sulla comunità, ed è il rapporto
tra lo stato e la nazione; nella modernità solida, l’idea di nazione era strettamente legata all’idea di stato, o più
precisamente, ne rappresentava il senso e l’unità stessa. Nella nostra epoca fluida assistiamo invece al crescente
divario di queste due linee una volta parallele, in quanto l’idea di nazione si sta sempre più frammentando nelle
diverse comunità e lo stato, come potere costituzionale, sta lentamente e inesorabilmente abdicando le sue
funzioni primarie, come dimostrano bene i processi di privatizzazione dei suoi servizi, sotto la spinta dei poteri
globali, primo tra tutti il capitale, che impongono le proprie regole all’intero mondo.
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A dimostrazione della validità di questo ragionamento, Z.Bauman cita la triste vicenda della guerra jugoslava, una
guerra che ha dimostrato bene qual è il prezzo che si paga dinanzi al rifiuto di adesione alle nuove regoli globali,
e di come uno stato possa essere disintegrato in comunità fuse in lotta tra loro.
In conclusione, il lavoro di Bauman, utilizzando le analisi sociologiche sulla società contemporanea, ha come
compito principale quello di indicare alla ricerca sociologica una nuova strada che sappia coniugare la ricerca
oggettiva sul campo con le aspettative di comprensione che la società, come unione degli individui, le richiede, al
fine di costruire una società che si riappropri della capacità di analizzare, pensare e valutare criticamente tutte le
scelte che essa si impone, diminuendo il più possibile gli argomenti su cui non sia possibile esprimere una
opinione. Si tratta di una sociologia che ha come punto di riferimento l’individuo, inteso come depositario della
libertà di scelta e opinione, ma che tuttavia, nella società dei media e dell’informazione, sta perdendo la sua
capacità di analisi critica e di interazione con gli altri individui. Occorre allora che gli uomini indirizzino i processi
di modernizzazione verso le loro esigenze, non abdicando questo potere nelle mani dei cosiddetti esperti che si
propongono come i soli depositari della facoltà di scegliere.
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La Fine del Lavoro
Nel suo noto libro nel 1995 Jeremy Rifkin espone la sua tesi: prima delle rivoluzioni industriali, più del 90% della
popolazione americana si occupava di agricoltura.
Nella prima rivoluzione industriale grandi masse di lavoratori lasciano l'agricoltura per andare ad operare nelle
fabbriche. Attualmente solo il 3% della popolazione si occupa di agricoltura, ma grazie alle macchine agricole, la
domanda è ampiamente soddisfatta dalla copiosa produzione.
Nella seconda rivoluzione industriale, le macchine e l'automazione prendono il posto dell'uomo nell'industria
manufatturiera, e le masse di lavoratori lasciano le fabbriche per spostarsi nel terziario ed adottare il computer
come strumento di lavoro.
Ora siamo nel corso di una terza rivoluzione industriale, nella quale l'incredibile progressione della potenza di
calcolo dei moderni elaboratori, pone in esubero un crescente numero di lavoratori.
A seguito di questo, la realtà che l'autore vuole evidenziare è che le masse di lavoratori che escono dal terziario,
entrano a far parte del mondo della disoccupazione.
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Zygmunt Bauman e il sesso nella società liquida
di Elena Spadiliero, da http://www.priamoedit.it/
Qualche giorno fa mi sono imbattuta in uno scritto di Bauman, praticamente un opuscolo di un'ottantina di
pagine, intitolato Gli usi postmoderni del sesso. Faceva capolino sugli scaffali della Feltrinelli in via Quattro Spade,
fra gli altri libri dello scrittore e professore emerito all'Università di Leeds. In sostanza, il libretto riflette sullo
scarto esistente tra erotismo, sesso e amore, ricollegando l'importanza dell'erotismo nella società moderna
all'avvento e diffusione del capitalismo, o meglio, del consumismo: non si tratta solo di desiderio erotico, ma
di desiderio di possesso, inteso nel senso più generale del termine. Quindi, desiderio di possedere prodotti, cose,
un bisogno impellente, che si consuma in un attimo, e da un desiderio si passa direttamente e simultaneamente
a un altro. Erotismo, sesso e amore sono indipendenti l'uno dall'altro, in quanto appartengono a sfere diverse
(Bauman parla di un fuoco che passa dai toni rossi più accesi all'azzurrino, colore celestiale dell'amore più puro,
strettamente connesso alla sfera intellettuale).
In sostanza, Bauman afferma che l'uomo ha imparato a gestire l'erotismo al pari di come ha imparato a
relazionarsi con gli oggetti nella società dei consumi. Il piacere sessuale diventa fine a se stesso,in un'epoca dove
le cose sono intercambiabili o perdono subito il loro valore a vantaggio di un nuovo servizio o prodotto. Tuttavia,
la libertà di scelta e questo effimero (e illusorio) senso di autonomia devono fare i conti con l'altra faccia della
medaglia: come i sentimenti diventano a breve termine, così diventa a breve termine anche la sicurezza nei
rapporti umani e nei posti di lavoro. La società moderna richiede, innanzitutto, flessibilità, capacità di accettare i
cambiamenti e di reagire a quelli negativi, poiché niente è certo, né sul lavoro, né a livello sentimentale: così, un
rapporto di coppia che intende protrarsi nel tempo deve essere in grado di rinnovarsi costantemente,
affrontando le inevitabili crisi con la giusta apertura mentale, volta al confronto e al dialogo.
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«Sesso, erotismo e amore non possono esistere l'uno senza gli altri, eppure la loro esistenza si consuma in una
guerra perenne per l'indipendenza», recita la copertina del libro. Ciascuno di noi è chiamato a riflettere sul suo
modo di vivere la vita, e valutare se l'erotismo e il desiderio di possesso sono dominanti rispetto all'amore,
all'intelletto e tutto ciò che investe la sfera culturale ed emotiva.
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La Caduta dell’Impero d’Occidente e la Dissoluzione Morale
Nel suo libro “Declino e caduta dell’Impero romano” Edqard Gibbon attribuisce la caduta di Roma alla
disintegrazione del tessuto morale romano. Le virtù civiche e il codice morale e militare che avevano costruito
l’impero più potente della storia avevano ceduto il posto a una società effemminata, che non poté resistere alle
pressioni dei duri barbari. Oltre 1500 anni di impero spazzati via dalla mancanza di uomini veri. Una mancanza
che, secondo lo scrittore, sta segnando anche la fine dell’impero americano e occidentale a causa del potere della
comunicazione di massa che crea cultura e imprinting sociali e contribuiscono a diffondere la dissoluzione morale
con la velocità di un cancro allo stadio finale.
Non sono affatto d’accordo con la teoria di Gibbon, teoria che coincide palesemente con le filastrocche e le
storielle che ci venivano insegnate a scuola.
Tra le cause della caduta dell’Impero ci fu un’implosione, determinata dall’elevatissima fiscalità che doveva
provvedere al mantenimento di un sistema amministrativo e militare di proporzioni immense, insieme con altre
cause di tipo politico, quali la scarsa rappresentatività attribuita alle componenti etniche dell’impero romano
d’occidente rispetto al Senato originario romano. Elementi che facilitarono non tanto la disgregazione, quanto il
disinteresse al mantenimento dell’integrazione dell’Impero romano d’Occidente. Cause, si noterà, che nella parte
orientale dell’Impero non furono presenti, consentendo a Bisanzio di mantenere il proprio potere in modo
inalterato, e di godere di buoni rapporti di vicinato con i cosiddetti barbari, che poi tanto barbari, dal punto di
vista culturale, non erano.
Gli Imperi non si disgregano perché gli uomini non sono “machi”: il colosso sovietico, che difficilmente potremmo
definire socialista, si sgretolò perché la sua macchina burocratica, amministrativa ed economica non reggeva il
passo con il resto del mondo; perché al suo interno i cittadini non sostenevano più le ragioni dell’Impero, perché
i cittadini, e con loro la parte inferiore dell’establishment militare, desideravano godere dei vantaggi che il
modello economico occidentale assicurava ai propri cittadini.
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Gli imperi crollano sotto il proprio peso, il mondo cambia perché l’economia si modifica e con l’economia mutano
i gusti, gli obiettivi e gli orientamenti dei cittadini.
L’Impero Americano è in difficoltà ma si sta riprendendo efficacemente, mentre l’Unione Europea è inchiodata
ad un processo deflattivo: a parità di dissoluzione morale dell’occidente, negli USA l’economia funziona, in
Europa, grazie ( si fa per dire) ai vincoli strettissimi imposti dalla Germania, l’economia è al palo.
I due modelli, simili se non sovrapponibili fino a pochi anni fa, presentano infatti straordinarie somiglianze di
partenza nella struttura sociale, economica, nella percezione dell’erotismo e nel consumo dell’Adult
Entertainment.
Il modello americano, però, in cui il puritanesimo è particolarmente diffuso ha componenti di violenza rilevanti
rispetto a quello europeo; a parità di emancipazione femminile corrisponde, in entrambi i continenti, una
reazione aggressiva maschile, che recentemente in Italia ha assunto valori talmente esasperati da dover definire
il neologismo di femminicidio.
L’elemento purtroppo costante nelle due società è dato dalla reazione aggressiva maschile rispetto
all’emancipazione femminile e alla progressiva perdita di potere del genere maschile.
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Riassumendo:
1. La società occidentale ha modificato il modello economico di riferimento, mutando, di conseguenza,
l’organizzazione sociale e i comportamenti individuali all’interno di quell’organizzazione
2. Il cambiamento ha scardinato gli ancoraggi morali che si basavano sul modello economico e sociale
definito
3. Il nuovo modello economico altro non è che la globalizzazione del mercato, che necessita di consumi
costanti e perennemente in crescita
4. Per sostenersi il modello economico abbatte le figure “punitive di riferimento” come quella paterna e
scatena le forze precedentemente tenute segregate, in particolare l’area femminile della popolazione
5. Trovandosi in una nuova posizione di potere (non più madre di famiglia, saggia amministratrice di tutto il
nucleo familiare ma individuo operativo, economicamente indipendente e pieno di necessità di consumo
imposte dal modello economico) la donna assume nuovi modelli comportamentali e di consumo
6. Il mondo affettivo e relazionale diviene un mercato globale delle relazioni possibili, favorito anche dallo
sviluppo di modelli relazionali telematici, disancorando modelli precedenti basati sul “sempre” e sul
“mai”, concentrando il rapporto sull’ “hic et nunc”.
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Parte Seconda
Fem Dom, riflesso della società
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Con l’espressione “Fem Dom” si intende la dominazione femminile, dominazione che avviene, in massima parte,
all’interno delle pratiche erotiche che fanno capo al BDSM e al Feticismo.
Anche in questo ambito del gioco erotico il riflesso della nuova struttura economica e sociale è facilmente
riscontrabile: l’incremento del numero delle Mistress (letteralmente Padrone) e degli Schiavi che si rivolgono alle
Mistress è non solo sorprendente, ma impressionante nei volumi e nelle modalità in cui si presenta.
In primis la nuova situazione capovolge l’idea originaria del maschio dominante e della donna sottomessa, ma se
anche trascuriamo per qualche istante questa già considerevole novità, emergono altre riflessioni non meno
importanti, ovvero:
a) I maschi, cresciuti ed educati da donne (madri, zie, nonne, educatrici), presentano dinamiche ed esigenze
di carattere erotico tipicamente derivanti da imprinting originari profondi, basti pensare al feticismo dei
piedi (collegati alla diversa altezza e posizione del bambino che gioca e della donna che lo assiste), o dei
capelli (connessi alla tenerezza dell’abbraccio materno);
b) I maschi, cresciuti da madri moralmente rigide presentano di riflesso la ricerca di Mistress punitive,
mescolando psicologicamente il dolore della punizione con il piacere della promessa di perdono;
c) I maschi socialmente inibiti dal nuovo potere femminile mostrano la tendenza a impersonare il ruolo
femminile desiderato, succube e passivo;
Molte Mistress, oggi, uniscono all’attività caratteristica del gioco erotico anche quella più faticosa e problematica
di consulente psicologico degli schiavi. Gli schiavi si affidano alle Mistress per trarre conforto, essere in qualche
modo assolti dai propri vizi e peccati (di cui non vanno quasi mai fieri), e unire alla assoluzione la giusta
punizione.
L’equilibrio, pertanto, tra il senso del peccato provato dallo schiavo e la punizione che la Mistress infligge non
può essere generalizzato, ma costruito sulla persona e la personalità dello schiavo.
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Ma il BDSM, si diceva, è soprattutto un gioco erotico: un gioco in cui è la Mistress che decide il piacere dello
schiavo dopo aver stabilito il piacere per se stessa. Il piacere dello schiavo, complementare e non opposto al
dolore comunque esercitato, è gestito dalla Mistress. È lei che decide se, come, quando e in che modo lo schiavo
potrà provare piacere.
Ovviamente la Mistress gode di una base di autorità che il suo ruolo le conferisce, fermo restando che all’autorità
deve sostituirsi l’Autorevolezza, elemento che solo lo schiavo può attribuire e che sarà determinato dalla
competenza, dall’attenzione alle esigenze, dalla modalità espressiva della Mistress.
In questo senso le caratteristiche di una buona Mistress devono includere:
1. competenza tecnica relativa alla dinamica delle pratiche
2. empatia, per comprendere desideri, espressi e non espressi, e capacità di sopportazione dello schiavo
3. competenza in PNL (programmazione neurolinguistica), in quanto il gioco è sì un gioco erotico di ruolo
ma è anche un gioco cerebrale, in cui la dominazione avviene anche attraverso l’utilizzo appropriato
delle parole, dei toni di voce, degli atteggiamenti posturali, delle modulazioni della relazione verbale,
in modo da colpire il più profondamente possibile lo slave nei suoi meandri psichici
4. autostima, non necessariamente elevatissima né esagerata: la Mistress si impone con la fiducia in se
stessa, con la sicurezza naturale dell’atteggiamento, con lo sguardo fermo di chi è consapevole delle
proprie competenze
La Mistress, quindi, è non solo la padrona temporanea dei desideri dello schiavo ma tende a diventare, in molti
casi, la “leader” dei suoi schiavi1.
1
Per chi fosse interessata ad approfondire gli argomenti sopra elencati rimando al mio sito http://gbstudio1.webnode.it/pubblicazioni/dispense/
oppure invito a contattarmi per valutare possibili modelli di miglioramento di alcuni degli elementi indicati.
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È interessante osservare e notare come esistano profonde differenze tra le modalità di genere della “schiavitù”.
La schiava donna è generalmente contesa tra il proprio desiderio erotico e il senso del peccato legato al desiderio
stesso, senso del peccato inculcato in tenera età dal sistema educativo, familiare o scolastico o oratoriale che dir
si voglia. La schiava donna, pertanto fantastica di desiderio accompagnato dalla punizione e frequentemente si
spinge ad essere umiliata, fisicamente e verbalmente, esaltando il senso delle parole di accusa e di punizione
percepite dagli affetti originari, dalla famiglia, dalla scuola.
Per alcune schiave, invece, è talmente invasivo il senso di penitenza e peccato da richiedere la possibilità di
essere fatte prigioniere, legate, ammanettate, per poi essere utilizzate dal Master che abusando della schiava le
consente di ottenere quel piacere che, con un ruolo attivo, avrebbe percepito come peccaminoso e si sarebbe
negata.
Diverse le tendenze maschili, quasi sempre connesse a fantasie erotiche originarie, legate ad imprinting di
immagini (la sorellina o la compagna di giochi con il sesso glabro, l’odore dei capelli, i piedi materni) o a fantasie
di umiliazione estrema (frequentemente legato alla consapevolezza intima e interiore di ricoprire un ruolo
personale, lavorativo o pubblico, immeritato, consapevolezza che sviluppa un forte senso di tensione per il
timore di essere scoperti, un senso di vivere al di sopra delle possibilità per il quale è giusto e necessario fare
penitenza, essere puniti). Altro elemento caratteristico dello schiavo è l’ambito della femminizzazione, connesso
a due dinamiche psicologiche ben conosciute: il riconoscimento intimo della propria parte femminile (che in
pubblico lo schiavo negherà reiteratamente) e un fermo psicologico alla fase anale descritta da Freud, ovvero la
fase della ritenzione, del possedere, del mantenere, dell’acquisire. Una fase ad ampia valenza narcisistica.
Ma torniamo a noi e all’eros come specchio della società.
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Per quale motivo una società dei consumi come quella occidentale esalta la sessualità al femminile, o meglio
esalta la figura femminile e di conseguenza la sua visione dell’erotismo e della sessualità mentre, ad esempio,
negli altri blocchi della globalizzazione (Cina, Russia, Califfato, India) non si avverte lo stesso cambiamento? O
meglio: non lo si avverte con la stessa intensità con cui si palesa nel nostro mondo?
Per motivi culturali, strettamente legati alla religione islamica, il ruolo femminile nel medio oriente, nei Paesi
Arabi e in quello che si va delineando come il Califfato, è decisamente subordinato al domino (letterale)
maschile. In quella parte del pianeta si lotta ancora per concedere alle donne il diritto allo studio, elemento
fondamentale per l’emancipazione femminile. La struttura economica di quelle aree, però, è molto diversa da
quella occidentale e da quella che si va delineando in Cina e confermando in Russia: siamo di fronte a una
struttura basata su “clan” e famiglie, tribù e micro-etnie, una struttura socio-economica non distante nel
modello organizzativo da quella europea del tardo medioevo, con re, principi, nobili, vassalli, valvassori e servi
della gleba. Il mantenimento della struttura socio economica tribale è reso possibile anche dal fatto che
l’economia dispone di un prodotto, il petrolio, e di un sottoprodotto, il gas. Chi controlla quei prodotti controlla
l’economia, la finanza e il sistema sociale, che non prevede l’adozione di modelli democratici né, tanto meno,
idee ispirate a forme di socialismo.
In occidente, e in Russia ormai anche nelle aree più sperdute dell’immenso territorio, il modello produttivo ed
economico è polverizzato, l’organizzazione sociale ispirata ad una sorta di democrazia (molto più apparente che
effettiva e sempre meno apparente ogni anno che passa), e la distribuzione del reddito coinvolge soprattutto le
classi medie, anche se la forbice tra i veri ricchi e gli altri si va allargando sempre più trasformando la classe
media in classe in difficoltà, tendente alla povertà relativa. In Cina, dove lo sviluppo economico è sì esplosivo ma
pesantemente orientato dalle strategie di politica economica dello Stato-Partito, il ruolo della donna sta
rapidamente trasformandosi esattamente come accadde in occidente. Indipendentemente dal modello
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“politico”, quindi, è il modello “economico” (iper produzione per un consumismo sfrenato che implica
l’indebitamento personale) a definire i ruoli e, per conseguenza, i comportamenti.
La necessità che il mondo economico impone è quella di costruire continuamente nuove classi medie, essendo le
classi medie le maggiori consumatrici di prodotti e servizi.
Le classi medie dispongono, come i prodotti, di un “ciclo di vita”: quando i suoi componenti invecchiano e non
rappresentano più un mercato ad alto consumo vengono individuate nuove aree, i cosiddetti Paesi in via di
sviluppo, dove vengono posizionate le imprese produttive creando un meccanismo di produzione-lavororetribuzione-benessere-consumi che è intimamente connesso all’età media della popolazione. Più giovani ci
sono, maggiori sono i consumi (e maggiore la possibilità di orientare i consumi attraverso una corretta
comunicazione mediatica e promo-pubblicitaria). Nel nostro Paese da decenni riscontriamo un tasso di crescita
pari a Zero, al punto che le nuove generazioni sono composte in larga misura da figli di nuovi entranti. La
denatalità e l’invecchiamento della popolazione fa sì che il sistema paese non sia attrattivo per il mondo della
produzione. Di qui il fatto che la crisi economica colpisce pesantemente, in Europa, soprattutto l’Italia.
Perdita di lavoro, perdita di occupazione, perdita di potere sociale sono elementi che contribuiscono
pesantemente alla diminuzione dell’autostima di chiunque. Se poi il “chiunque” è un uomo ch non riesce a
provvedere alle esigenze della propria famiglia, allora le porte della disperazione si spalancano. Se la
disperazione viene alimentata dalla frustrazione derivante dalla disistima della propria compagna, o dalla
separazione per motivi economici, la reazione può essere drammatica e violenta.
Il fatto è che le donne, probabilmente per atavica cultura, hanno una marcia in più: una capacità di adattamento
e una voglia di raggiungere i risultati che ormai agli uomini, in particolare agli italiani, sembra essere venuta
meno.
Girando per le città si osservano sempre più donne che puliscono vetrine e uffici, che assistono bambini e
anziani, che lavorano nelle mense, mentre gli uomini ciondolano in attesa di una nuova opportunità.
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Le scuole sfornano diplomate migliori dei colleghi maschi, lo stesso accade nelle università; i progetti Erasmus
sono frequentati in massima parte da ragazze, che imparano a emanciparsi e a conoscere altre prospettive di vita
e modalità dell’essere. Capi di Stato e di Governo donne sono all’ordine del giorno non solo in Europa, ma
soprattutto nelle Americhe. Si ha l’impressione, e credo si tratti di molto più che un’impressione, che il mondo
stia ritrovando l’antico ordinamento matriarcale, che il maschio abbia fatto il suo tempo e venga ormai
considerato per lo più come un genere sacrificabile in battaglia piuttosto che necessario (ancora per poco) per la
riproduzione della specie.
Mentre il maschio precipita nella scala dei valori sociali, crescono le donne e i gay, forti della loro parte
femminile che assicura – o almeno promette – buon gusto e raffinatezza. In sostanza crescono nella scala
valoriale i generi maggiormente consumistici.
In questo senso va inteso anche il forzato giovanilismo, il disperato rifiuto della vecchiaia fortemente imposto dai
mezzi di comunicazione: i giovani consumano molto, gli anziani meno, i vecchi pochissimo. Nell’era dell’Homo
Economicus non consumare è il peggior delitto che si possa immaginare, mentre chi consuma viene portato in
palmo di mano.
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Parte Terza
Il Supermercato delle Relazioni
(L’Amore ai tempi dei Social Net)
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Recentemente circolava la fotografia di un cartello esposto in un bar napoletano, che recitava più o meno “ Qui
No Wi-Fi: Parlatevi ! ”.
La saggezza della filosofia popolare partenopea è millenaria e graffiante, e l’effige ne è testimonianza concreta.
Quante migliaia di volte capita di osservare tavolate di amici al bar o in pizzeria, ognuno intento ad osservare il
proprio dispositivo elettronico (cellulare, I-pad, Android o quello che sia) eventualmente condividendo con una
risata e qualche commento i “post” pubblicati nei social network ? Non è certo una novità. Il fenomeno dei Social
Network è talmente globale e talmente massivo da non consentire di trascurare una valutazione che potrei
definire “L’amore ai tempi del social net”.
Data la vastità e complessità della materia ho preferito lasciare spazio ad autorevoli commenti e interessanti
analisi, riservandomi una valutazione generale e complessiva a fine capitolo.
Dal sito wobi.com
“ Viviamo in un universo tecnologico dove siamo sempre in comunicazione. Ma abbiamo sacrificato la
conversazione per una mera connessione”
Secondo Sherry Turkle, speaker del World Business Forum New York 2012, anche se stiamo vivendo in un mondo
dove la tecnologia spinge ad una comunicazione costante, la natura di questa comunicazione è in una qualche
maniera meno sostanziale che prima. Anche se questo pensiero può risultare un po’ paradossale perché chi lo
esprime è una professoressa del MIT, Turkle non si espone contro la tecnologia, solo sottolinea che chi comunica
attraverso uno schermo sta di fatto rovinando la delicata natura delle relazioni umane.
In un articolo recente del New York Times, Turkle parla del suo studio, spiegando che la comunicazione è un topic
che va al di là dell’ufficio.
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“ Nei posti di lavoro odierni, i giovani che sono cresciuti temendo le conversazioni si mostrano con gli auricolari
nelle orecchie. Se si cammina nella biblioteca dell’Università o nel campus di uno start-up di tecnologia, lo
scenario è sempre lo stesso: siamo vicini ma ognuno nella propria bolla, connessi a schermi o a piccoli touch
screen”.
Perché questo è importante? Perché ci allontaniamo dalla nozione di “personale”.
Dal sito bioneuroblog.wordpress.com
Social Network: gioie e dolori. Intervista allo psicologo delle nuove tecnologie Giuseppe Riva
15 novembre 2010 di Pierangelo Garzia
Esce il film di David Fincher, Social Network, basato sulla vicenda del maggiore e controverso successo mondiale
in tal senso, Facebook. Ed esce contemporaneamente un agile ed esaustivo volumetto dal titolo I social
network (il Mulino, pagg. 190, 13 euro) a firma di Giuseppe Riva, uno scienziato e docente che da almeno due
decenni – a dispetto della giovane età, 43 anni – si occupa di tematiche relative alla Rete, alle nuove tecnologie e,
in particolare, alla Realtà Virtuale. A Giuseppe Riva, professore di psicologia della comunicazione e delle nuove
tecnologie della comunicazione all’Università Cattolica di Milano, nonché presidente dell’Associazione
internazionale di CiberPsicologia (i-ACToR), abbiamo rivolto alcune domande.
I social network cosa portano di nuovo alla mente e alle relazioni umane ?
I social network rappresentano il punto di arrivo di un processo di trasformazione che ha reso il computer uno
strumento avanzato di knowledge management, con cui non solo gestire e condividere la conoscenza ma
renderla parte della nostra esperienza e identità sociale. In particolare, i social network si differenziano dalle
comunità virtuali precedenti per la capacità di far entrare in contatto il mondo reale e il mondo virtuale. Se nei
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forum e nelle chat, il mondo reale e quello virtuale entravano raramente in contatto e comunque solo per
esplicita volontà dei soggetti interagenti, nei social network questo avviene sempre e anche se i soggetti coinvolti
non lo vogliono o non ne sono consapevoli. Un esempio a questo proposito è il fenomeno
del tagging (etichettare) con cui nei social network è possibile associare a un «amico», senza che lui lo voglia,
un’immagine in cui lui è presente o una nota di testo a lui riferita.
La fusione di reti virtuali e di reti reali mediante lo scambio di informazioni tra di esse permette di controllare e
modificare l’esperienza sociale e l’identità sociale in maniera totalmente nuova rispetto al passato con rischi e
opportunità spesso sottovalutati.
Quali i maggiori vantaggi?
In primo luogo i social network, consentono di scegliere come presentarsi alle persone che compongono la rete
(impression management) e di avere un ruolo centrale nella definizione e nella condivisione della nostra identità
sociale. Ciò li rende lo strumento ideale per narrarsi, decidendo in prima persona quali ruoli e quali eventi
presentare.
In secondo luogo i social network stanno avendo un ruolo crescente nel permettere e supportare il processo di
seduzione e la nascita di relazioni interpersonali. Nel volume abbiamo mostrato come ciò avvenga attraverso una
sequenza di interazioni relativamente stabile. Prima occorre rendersi visibile all’altro e creare una prima forma di
contatto, attraverso l’«amicizia». Poi inizia un processo di disvelamento, lento ma progressivo, attirando e
mantenendo l’attenzione dell’altro con una delle numerose strategie seduttive attuabili in un social network: la
somiglianza, la prossimità e la frequenza di contatto, la complementarietà e così via.
I social network possono anche rappresentare per le aziende un’importante strumento per comunicare
efficacemente con i propri clienti. I social network stanno infatti trasformando le caratteristiche e il ruolo del
consumatore, punto di riferimento per il mondo dell’advertising: da consumatore passivo d’informazioni
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(spettatore televisivo) si sta progressivamente trasformando in uno «spettAutore» (prosumer), che crea o
modifica contenuti esistenti secondo i propri bisogni, e in un «commentAutore» che discute dei prodotti e che
condivide le proprie riflessioni con gli amici.
Va infine sottolineato come a caratterizzare i social network, non sia solo l’interesse individuale ed economico:
molti utenti dei social network offrono supporto e attività gratuitamente per un senso di responsabilità sociale
nei confronti della propria rete.
Quali i rischi, specialmente per i giovani?
I social network obbligano i soggetti ad adattarsi alle caratteristiche della comunicazione mediata con due
importanti conseguenze. Da una parte, il corpo reale con le sue emozioni scompare dalla relazione. Viene
sostituito da un corpo virtuale formato da una pluralità di immagini parziali e contestualizzate che mostrano
soltanto quegli aspetti che vogliamo condividere e sottolineare. Dall’altra questo corpo virtuale, insieme alle
storie raccontate da noi e dai nostri amici nei social network, assume vita propria rimanendo presente e visibile
anche quando noi non lo vogliamo.
Inoltre, tra le pieghe di questi media si nascondono una serie di comportamenti disfunzionali non sempre
immediatamente visibili: dal cambiamento d’identità ai comportamenti aggressivi, alla violazione e all’abuso
dell’informazione. A causare questi comportamenti sono due aspetti. Da una parte l’anonimato, possibile anche
in un mondo come quello dei social network dove l’identità apparentemente è sempre visibile. Dall’altra il
desiderio di riconoscimento o di rivalsa che la struttura dei social network è in grado di amplificare.
Questa possibilità produce il primo dei paradossi dei social network: se io posso più facilmente cambiare la mia
identità è vero che anche l’intervento esterno può modificare più facilmente il modo in cui gli altri percepiscono
la mia identità. Per esempio, un singolo commento negativo di un amico può avere un impatto rilevante sul
modo con cui gli altri membri della rete mi percepiscono.
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Il risultato è un’«identità fluida», che è allo stesso tempo flessibile ma precaria, mutevole ma incerta. Se
un’identità fluida può essere un vantaggio per un adulto, può diventare un problema per un adolescente che sta
cercando di costruire la propria identità.
A rendere precarie e «leggere» le relazioni sociali nei social network è anche un altro possibile effetto dell’uso
massiccio dei social media: l’analfabetismo emotivo prodotto proprio dall’assenza della corporeità. Per esempio,
lasciare il proprio ragazzo semplicemente cambiando il proprio status su Facebook da «fidanzata» a «single» è
molto diverso che dirgli «ti voglio lasciare» guardandolo negli occhi. Se nel secondo caso osservare la risposta
emotiva dell’ex ci costringe a condividere la sua sofferenza spingendoci a moderare le parole e i gesti, usando il
social network l’altro e le sue emozioni non sono immediatamente visibili e non hanno quindi un impatto diretto
sulle nostre decisioni. Ciò priva il soggetto di un importante punto di riferimento nel processo di apprendimento
e comprensione delle emozioni proprie e altrui con effetti che vanno dal disinteresse emotivo alla psicopatia.
Ritiene corretto che, ad esempio nelle scuole primarie, si addestri i ragazzi ad un corretto uso dei social network?
Assolutamente sì. I dati disponibili mostrano come la fascia in maggiore espansione all’interno dei social network
siano i minori di 19 anni. Ciò conferma il dato americano secondo cui i principali «abitanti» di questi nuovi
ambienti sociali stanno diventando gli adolescenti, spesso con meno dei 13 anni che corrisponde al limite legale
per poter iscriversi a Facebook.
Nonostante qualche genitore faccia rispettare il divieto ai minori di 13 anni, la maggior parte patteggia: ti iscrivi
ma devi accettarmi come «amico». Diventare «amici» dei propri figli può aiutare a evitare amicizie, immagini o
discussioni problematiche ma non le elimina.
E poi un’iscrizione troppo precoce ai social network – a 9/12 anni, come sempre più spesso succede – implica una
serie di rischi. La psicologia dello sviluppo rileva, infatti, come il superamento della crisi d’identità tipica della fase
adolescenziale richieda l’integrazione di una serie di componenti: di tipo personale (attitudini e capacità), di tipo
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sociale (l’inserimento nei ruoli sociali) e di tipo esperienziale (le identificazioni infantili e le vicissitudini emotive).
Essere presenti in un social network in cui l’unione tra reale e virtuale porta alla moltiplicazione delle identità
piuttosto che alla loro integrazione può rallentare tale processo con conseguenze a lungo termine sui rapporti
personali e sociali. In quest’ottica penso che possa essere necessario introdurre una “patente” per i tredicenni
che garantisca la conoscenza dei limiti e delle opportunità dei social network.
Cosa impara uno psicologo come lei dall’uso e dallo studio dei social network?
I social network rappresentano un fenomeno nuovo dal punto di vista sociale, in quanto per la prima volta reti
sociali reali e virtuali entrano in contatto e si fondono tra loro. Il risultato di questa interazione è la nascita di un
nuovo spazio sociale – l’«interrealtà» – molto più malleabile e dinamico delle reti sociali precedenti. L’esistenza
dell’interrealtà e il suo ruolo crescente nelle relazioni sociali ha obbligato la psicologia a porsi la seguente
domanda: vista l’influenza che i social network hanno sulla nostra esperienza quali sono gli effetti sui processi di
identità e di relazione?
Dare una risposta immediata non è facile. Per questo si sta sviluppando una nuova area della psicologia – la
psicologia dei nuovi media, chiamata anche «ciberpsicologia» (cyberpsychology) – che ha come obiettivo
lo studio, la comprensione, la previsione e l’attivazione dei processi di cambiamento che hanno la loro principale
origine nell’interazione con i nuovi media comunicativi. Ciò richiede l’integrazione di conoscenze e competenze
che spaziano dall’ergonomia all’informatica, alla psicologia della comunicazione, alle scienze cognitive e sociali.
Insomma, di cose da imparare ce ne sono davvero tante.
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Se dovesse dare un suggerimento ai creatori di social network, quale sarebbe?
Nei social network l’unica modalità di relazione è l’«amicizia» che permette agli utenti coinvolti di accedere in
maniera completa al profilo dell’altro, di contattarlo direttamente e di esplorarne la rete sociale. Secondo me
questo rappresenta al momento uno dei principali limiti dei social network.
In realtà, come l’esperienza nel mondo reale ci insegna, non tutte le relazioni sono amicizie. Anzi, è vero il
contrario: la maggior parte delle relazioni non sono amicali.
E poi anche gli amici non sono tutti uguali. Una ricerca del sociologo americano Miller McPherson su un
campione rappresentativo di americani ha mostrato che, nonostante il numero di «amici» nei social network sia
spesso misurato in centinaia, gli amici «veri» a cui si confidano i propri problemi sono in media poco più di due.
Che impatto potrà avere questa distinzione sul futuro dei social network? In primo luogo mi aspetto che i social
network svilupperanno presto dei meccanismi per permettere ai propri utenti di valutare meglio le
caratteristiche dei propri «amici». Un primo esempio di questa tendenza sono servizi come Formspring o Tumblir
che consentono di porre domande ai propri utenti in maniera diretta o anonima. Le domande e le relative
risposte sono poi automaticamente mostrate nella bacheca di Facebook e di Twitter o sul proprio blog. In pratica
una versione elettronica del gioco della verità in cui è coinvolta tutta la rete dell’utente, la quale può confermare
o smentire quanto dichiarato.
Il punto di arrivo sarà la possibilità distinguere nei social network tra diversi tipi di amicizie a cui concedere
privilegi differenti, così come è già oggi possibile descrivere dettagliatamente il proprio status sentimentale2.
2
18/12/2011, Barack Obama vieta Facebook alle figlie perché “fa perdere tempo”. Toglie tempo ad altre attività formative come leggere un po’ di
tutto, fantasticare (quindi alimentare la creatività), incontri, viaggi. Come scrive Maria Laura Rodotà commentando la notizia di oggi sul Corriere: “Il
ragazzino pigro si siede in poltrona e vivacchia si Facebook”. “I pochissimi Facebook-privi, dalle medie in poi, rischiano l’isolamento (anche culturale, è lì
che si condividono musica, video, tutto) E qualche forma di sociopatia: che piaccia o no, il social network è diventato come le feste, il baretto o il
muretto, e quelli a cui è precluso del tutto ne soffrono”. Insomma, si può vivere senza Facebook?
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Dal sito familyandmedia.eu
Di José María La Porte (Università della Santa Croce, Roma) e Fabrizio Piciarelli
Nel 2007 più del 22% della popolazione mondiale utilizzava Internet, secondo l’International Telecomunication
Union (ITU). Tre anni dopo quella percentuale ha continuato a salire e nel 2009 Internet formava parte della vita
quotidiana di più di un miliardo e mezzo di persone e costituiva una parte importante delle loro dimensioni
sociali, educative, professionali e commerciali. Infatti, nel collegamento tra il mondo virtuale e il reale sono
diventati imprescindibili l’e-mail, le piattaforme d’insegnamento on-line, i siti istituzionali, i blogs, le banca dati e
la documentazione on-line, la consultazione di riviste scientifiche attraverso la rete, l’acquisto con carta di
credito.
Le enormi potenzialità della tecnologia non sempre però hanno risvolti positivi, come mostrano i dati sui
contenuti dei siti o alcune riflessioni in ambito accademico e intellettuale, sul fatto che Internet sta creando
atteggiamenti sociali e logiche intellettuali che possono non essere di aiuto nella crescita delle persone. Mark
Bauerlein, professore di Inglese all’Emory University, per esempio, sostiene che la crescita on-line produce un
sottosviluppo intellettuale, e un’ossessione per l’opinione dei compagni (“The Dumbest Generation: How the
Digital Age Stupifies Young Americans and Jeopardizes Our Future”, 2008). Sotto un altro versante ma pure in
senso critico Nicholas Carr, ex-direttore di Harvard Business Review, pensa che l’uso indiscriminato di Internet
determina nelle nuove generazioni la perdita della memoria culturale e contribuisce all’impoverimento
intellettuale (The Shallows. What the Internet Is Doing to Our Brains, 2010). Anche i professori universitari stanno
ripensando l’uso delle tecnologie che si dovrebbe fare in aula per trasformarle in uno strumento di
approfondimento e non una fonte di distrazione (Inside Higher Education, 2.VI. 2010). Ci sono molte tecnologie
che aiutano ad evitare la presentazione di lavori copiati, che stimolano la risoluzione di problemi, permettono di
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allenare medici ed ingegneri in pratiche molto difficili attraverso simulatori. Il punto di tutte queste voci non è
criticare Internet ma sottolineare che non deve essere assolutizzato, perché è uno strumento che deve essere in
accordo ai fini e alle proprietà richieste da ogni attività che dobbiamo realizzare. Questo spiega la disperazione di
alcuni professori universitari che vedono solo pochi studenti prendere nota con i loro lap-top in classe, mentre gli
altri navigano in Internet, con la testa a molti chilometri virtuali da quello che succede in classe.
Una delle sfere dove Internet ha preso il largo è proprio quella dei rapporti sociali, dei social network. La
popolarità di Facebook ne è l’esempio.
Social network: la nuova frontiera del villaggio globale
“Qual è la cosa migliore e peggiore che ti è successa su Facebook?”
“La migliore? Incontrare il mio ragazzo. La peggiore?...Incontrare il mio ragazzo!”
Questa è la battuta, scherzosa, ma poi neanche troppo, di una studentessa intervistata da Time (31.V.2010). Una
risposta che, se da una parte fa sorridere, dall’altra sicuramente deve far riflettere sull’esplosione di questo
fenomeno che giorno dopo giorno assume sempre maggiori dimensioni e maggiore ruolo nei rapporti sociali.
Forse è ancora presto per fare delle valutazioni definitive e tirare delle conclusioni, ma sicuramente è possibile (e
forse anche utile) iniziare a tracciare delle tendenze e a valutare gli impatti, soprattutto sociali ma anche politici e
commerciali delle reti sociali. Molti infatti sono gli ambiti e le questioni aperte che meritano quantomeno una
riflessione. La privacy innanzitutto. Molti utenti, alle prime armi con Internet, sono ignari dei rischi che
affrontano, inserendo dati personali senza pensare a che fine faranno. Ritrovare amici e fare nuove conoscenze
su un social network è una delle forme più comuni. Ma nessuno sa chi c’è dietro l’interfaccia nella quale milioni
di persone creano profili e pubblicano contenuti di svariata natura. Al momento della creazione dell’account, i
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social network diventano infatti proprietari di tutto ciò che viene pubblicato, dati personali inclusi. Questo
significa che i social network non sono soltanto uno strumento per mantenere i propri contatti con gli amici,
condividendo pensieri, foto, video e quant’altro, ma anche, e forse principalmente, un mezzo informativo
costante per monitorare scelte, gusti, tendenze che serviranno ad impostare scelte di mercato e strategie
commerciali per realizzare annunci pubblicitari più mirati, personalizzati e appetibili per gli inserzionisti. Se da
una parte la legislazione è ancora lacunosa sotto questo punto di vista, è sicuramente vero però che un
atteggiamento più consapevole e un po’ di buon senso rispetto alla gestione della propria identità on line
consentirebbe di ovviare, anche se parzialmente al problema. Lo stesso Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook,
mesi fa aveva chiesto scuse e recentemente riproponeva la politica della conservazione dell’informazione che
segue la sua azienda in un articolo pubblicato sul Washington Post (24.V.2010), ma recentemente tornava anche
a dire in una intervista che il concetto di privacy stava cambiando e bisognava adeguarsi ai tempi (La Repubblica,
23.VI.2010).
Le reti sociali e la loro dimensione sociale, economica e politica
Il campo sociale è sicuramente uno dei terreni dove i social network hanno avuto maggior presa. Mantenere e
sviluppare le relazioni interpersonali tramite internet (e sempre meno attraverso il tradizionale telefono per non
parlare del face to face), fare nuove conoscenze virtuali o recuperarne altre andate perse, è sicuramente
qualcosa di più di una semplice moda. Un fenomeno mass mediatico certo, ma anche il sintomo di un disagio
sociale e psicologico dell’individuo che non riesce più a trovare dei punti di riferimenti certi, reali e condivisi
all’interno della società, come potevano essere le parrocchie, i circoli, il dopolavoro, le piazze o i bar fino a 20
anni fa. “L’amicizia ai tempi di Facebook” recita, e non a torto, qualcuno. Il sociologo Cameron Marlow,
ingaggiato da Facebook per lo studio delle dinamiche sociali dei propri utenti, aveva registrato una media di 120
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amici per l’utente medio, con una reale capacità di mantenere rapporti costanti che varia dalle sette alle dieci
persone. Un dato che non farà fede al reale concetto di amicizia ma che comunque fotografa in maniera
sintomatica la situazione. Quello su cui forse vale la pena soffermarsi un attimo è anche la gestione della propria
identità su internet. Molti psicologi hanno individuato nell’utente medio una crescente tendenza nel dare voce a
una seconda propria identità sul web, che troverebbe la sua massima e libera espressione (o libero sfogo) sulle
chat, i forum e i social network in particolare. Una seconda identità che non vuol dire necessariamente anche
una seconda personalità. Detto in altri termini, ci si presenta spesso sul web con una seconda veste (in genere
migliore della reale), per insicurezza, solitudine o timidezza alla ricerca di una espressività e dimensione
personale troppo soffocata o non accettata nella vita reale. Sul modo di educare in questo ambito è interessante
lo studio di Bringué e Sádaba realizzato in diversi Paesi Latinoamericani (Razón y Palabra, México 2009).
Ma i social network sono tanto altro ancora. Fonti di risorse continue ad esempio che irrompono anche nelle
nuove strategie di business. A livello commerciale, come detto, l’interesse maggiore, poi neanche tanto nascosto,
è quello di ottenere dei profili sempre più precisi e personalizzati degli utenti iscritti, da rivendere agli
inserzionisti pubblicitari. Quasi un’enorme banca dati da mungere il più possibile. Infatti, nel profilo delle reti
sociali gli utenti vengono incoraggiati a segnalare i loro gusti, le loro preferenze, sono invitati a collegarsi con
altre persone che conoscono per aumentare la loro base contatti. Anche questo ultimo punto non è facile da
gestire: da una parte c’è la possibilità di trovare molti amici dei quali si erano perse le tracce, ma diventa difficile
o scortese rinunciare ad un invito di amicizia; oppure non è prevedibile l’uso che altri facciano delle informazioni
offerte oppure si potrebbe essere contattati da persone che non hanno avuto un ruolo positivo nella propria vita.
Basta pensare all’ex fidanzata di vecchia data che chiede l’amicizia ad un uomo ormai sposato. Inoltre, un
esempio dello sviluppo di questo ambito è la nascita della professione di social media manager, una persona
specializzata in gestire reti sociali e promuovere l’interesse degli utenti verso determinati temi o prodotti.
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Ma anche la politica ha scoperto questo nuovo mondo e ne ha fatto subito lo strumento principe su cui basare le
proprie strategie di propaganda e di gestione del consenso popolare. Un esempio su tutti, la campagna elettorale
di Barack Obama nel 2008, che ha utilizzato internet nelle forme più svariate, dalla ricerca dei fondi elettorali
all’organizzazione e gestione degli attivisti, fino alla comunicazione dei messaggi e dei discorsi del candidato.
Vaccari e Mazzoleni (Political Communication Report, vol.20, 2010) suggeriscono che l’entusiasmo iniziale per
Obama non è venuto soltanto dall’uso della tecnologia ma soprattutto dalla personalità, dalle idee e dalle
proposte del candidato, che sfidava i repubblicani con un movimento popolare di base. Comunque, con il passare
del tempo, il presidente in carica ha perso popolarità: la strategia precedente, centrata in un discorso inclusivo e
nella costruzione di relazioni e rapporti, ha calato in efficacia perché si è istituzionalizzata e perché la logica delle
relazioni personali (più vicina ad un movimento di base) si è trasformata in una logica di marketing (più vicina ad
un governo che cerca di convincere le persone sulle decisioni politiche prese). Inoltre, assicura Boynton (Political
Communication Report, vol.20, 2010), i repubblicani hanno imparato a fare l’opposizione pure in Internet, come
si è visto con la riforma del sistema sanitario e con il movimento “Tea Party”.
Questi esempi mostrano che la politica vede nei social network, ma ancora più in generale in internet, lo
strumento più adeguato per agganciare quei target tradizionalmente estranei o sfuggenti come i giovani under
30 o le classi più disagiate.
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Servirsi dello strumento ed integrarlo nelle nostre vite
Le tendenze descritte precedentemente possono aiutarci a trovare delle idee per contestualizzare uno
strumento così ricco e potente.
1. Le persone che hanno una capacità innata di fare amici e sviluppare relazioni trovano nelle reti sociali uno
strumento solido per creare o rinforzare i rapporti perché viene integrato con la loro personalità nel campo
sportivo, commerciale, d’interessi personali, ecc. La profondità, il tipo di relazione, il grado d’intimità condivisa e
il numero di quelle amicizie che siano in grado di gestire saranno alcuni degli elementi più importanti nelle
modalità di utilizzo.
2. Gli utenti con un carattere introverso o timidi hanno la possibilità di relazionarsi più facilmente nelle reti
sociali, ma esiste il pericolo che sviluppino molti rapporti virtuali (ai quali dedicano tempo ed energie) e
potenzino allo stesso modo l’isolamento nell’ambito reale, trascurando la famiglia, i colleghi di lavoro o le
persone che incontrano quotidianamente.
3. Quelli che hanno una personalità dispersiva devono imparare ad utilizzare questo strumento con un ordine e
uno scopo preciso, altrimenti i padroni del loro tempo e delle loro priorità saranno la tecnologia stessa o gli
interessi delle persone contattate. Per questo motivo il tempo e le finalità con le quali si usa Internet sono i due
pilastri essenziali che consentono di integrarlo adeguatamente alle nostre vite ed ottenerne il massimo delle sue
potenzialità senza essere prigionieri dei suoi ritmi. Un studio interessante in questo senso è quello che hanno
pubblicato recentemente Del Fiume, Sádaba e Bringué, (Minori e reti sociali: dall'amicizia al cyberbullying, in
Revista de Estudios de la Juventud, marzo 2010).
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4. Le reti sociali non possono sostituire il rapporto personale. L’amicizia virtuale potrebbe portare all’amicizia
reale o viceversa, ma la relazione virtuale è nettamente diversa dal rapporto reale. E’ sempre più frequente che
una persona, nel presentarsi ad un'altra, dica “Ci conosciamo già su Facebook”.
5. Internet in generale e le reti sociali in particolare si sono rivelate uno strumento efficace per crescere
intellettualmente e per uscire dell’isolamento nel caso di persone che si trovano in situazioni di precarietà, in
paesi lontani, o isolate per colpa di malattie o circostanze familiari.
6. Come si è detto all'inizio, ancora è presto per tracciare un quadro generale. È possibile affermare che le reti
sociali stiano dando vita a nuove forme di comunicazione e di interazione, di linguaggi e di espressioni che stanno
invadendo sempre di più la nostra vita quotidiana a tutti i livelli: sociale, commerciale e politico. È possibile dire
che si tratta di un "mezzo" dentro un altro mezzo, Internet. Un mezzo "freddo", per dirlo con McLuhan, capace di
includere multipli canali sensoriali, inviando messaggi a "bassa definizione" che richiedono da parte dell'utente
un gran sforzo sensoriale e percettivo.
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Dal sito ilsecoloxix.it
Di Carlo Frediani
Se qualcuno pensava che certi servizi online di appuntamenti al buio fossero estremi o imbarazzanti,
evidentemente non aveva ancora incontrato Bang With Friends. Al cui confronto anche il famigerato
Chatroulette, fatto di video chat istantanee e casuali con perfetti sconosciuti, sembra solo un giochino per
principianti. Perché questo servizio, nato qualche settimana fa e già discusso in tutto il mondo, porta il dating
più diretto, quello esplicitamente sessuale, tra gli amici di Facebook.
Bang With Friends, che in inglese significa “andare a letto con gli amici”, ma il verbo originale è molto più
volgare, è infatti una app per il social network in blu, quello in cui quasi tutti usano il loro vero nome e hanno la
loro rete amicale, fatta spesso anche di familiari e colleghi. E questo già di per sé suona abbastanza eversivo,
rispetto a certi siti di dating dove spesso si usano degli pseudonimi, e i cui profili rimangono comunque un po’
più defilati rispetto alla pubblica piazza creata da Zuckerberg. Ma Bang With Friends colpisce anche per la sua
facilità, usabilità si dice in gergo, se non risultasse ambiguo dato il contesto, e per il fatto di essere focalizzata su
un solo obiettivo: far sapere senza ombra di dubbio ad alcuni amici di Facebook che si vorrebbe avere un
incontro sessuale con loro sperando che l’interesse sia reciproco.
La app ovviamente promette riservatezza, a patto di cliccare l’opzione “Solo io” quando chiede chi potrà
visualizzare i suoi post sulla nostra bacheca. Una volta connessi via Facebook, si vede una schermata con le foto
e i nomi dei propri amici del social network: tutti, non solo quelli che hanno scaricato la app. Le donne vedranno
solo gli uomini e viceversa, con uno schematismo eterosessuale che non prevede la possibilità di esprimere
preferenze diverse.
Una volta cliccato il profilo dei designati, in realtà non succede nulla. Solo nel caso in cui i prescelti utilizzino la
app e loro volta ci selezionino, il sistema invia una mail a entrambi comunicando il mutuo interessamento. A
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quel punto se, dove e quando vedersi spetta agli utenti. Secondo i creatori del sito, tre giovani americani la cui
identità è rimasta segreta, in una sola settimana la app avrebbe messo in relazione diecimila coppie.
E mentre varie associazioni studentesche religiose, come la canadese InterVarsity, hanno gridato allo scandalo,
definendo Bang With Friends “la app più malefica di tutti i tempi”, gli anonimi gestori del servizio si pongono
come i promotori di un approccio più libero e diretto alla sessualità. Resta il fatto che l’ottica sembra comunque
molto maschile, come dimostra l’immagine del sito in cui si vede solo una donna discinta su un letto. E che la
schermata con gli amici da segnalare per il “bang” assomiglia a un album di figurine: ce l’ho, ce l’ho, mi manca.
Ma soprattutto inquieta il fatto di affidare dati di questo tipo, in ogni caso estremamente sensibili anche per il
più spensierato dei libertini, all’ennesimo servizio web, che usa le identità reali degli utenti salvo nascondere
quelle dei suoi creatori.
L’effetto figurine e la ricerca di soluzioni semplici per non dire semplicistiche sono presenti anche in una nuova
app per iPhone, Let’s Date, finora diffusa solo in alcune città internazionali. L’utente passa in rassegna un
“mazzo” di profili: ciascuno è sintetizzato in una sola schermata con alcune informazioni essenziali. Quindi li
seleziona in base a due comandi: “No, grazie” oppure “Usciamo insieme”.
E poi c’è Singles Around Me, una delle tante app per smartphone di dating geolocalizzato, che permette di
incontrare persone geograficamente vicine senza però rivelare precisamente la propria posizione, nel tentativo
di preservare un po’ di privacy.
Perché è proprio la riservatezza delle informazioni consegnate dagli utenti il punto dolente di questi servizi.
Secondo la società di cybersicurezza Threatmetrix, nei siti di appuntamenti online un profilo su dieci è finto. Ed
esistono criminali che cercano di sfruttare gli utenti di questi servizi estorcendo loro informazioni e soldi. La
fascia più a rischio sono le donne tra i 45 e i 60 anni. Per le quali l’online dating può anche funzionare a patto di
tenere sempre la guardia alzata.
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Dal sito smartworld.it
Si chiama “Pure” ed è un’app ideata per coloro che non vogliono perdere troppo tempo in chiacchiere e
preliminari, andando direttamente al sodo.
Quando si parla di incontri occasionali vengono in mente chat e social network, come Badoo o Match, che
presuppongono un minimo di conversazione e conoscenza preliminare prima di un eventuale incontro. Con Pure
invece si va dritti all’obiettivo finale: il rapporto sessuale.
L’applicazione, sviluppata da Roman Sidorenko e Alexander Kuthtenko, non è ancora scaricabile da App Store e
Google Play, ma è già possibile iscriversi dal sito), specificando alcune informazioni personali (città, sesso, email e
se si è interessati a incontrare uomini o donne).
Successivamente si riceverà una conferma e bisognerà creare il proprio profilo caricando una foto, specificando
la propria preferenza a ospitare o essere ospitati e attendere che le persone per le quali si è espresso interesse
ricambino positivamente il gradimento.
Vista la natura di questa app sono state molte le critiche rivoltegli, sia per quanto riguarda la pericolosità di
incontri al buio con sconosciuti, sia per quel che concerne la tutela della privacy.
Riguardo a quest’ultima è bene sapere che le chat tra utenti vengono cancellate dopo un’ora e che possono
essere visionati soltanto i profili delle persone che hanno espresso il proprio consenso.
Il primo incontro è sempre consigliato in luogo pubblico ed è obbligatorio lasciare un feedback sull’altra persona
in modo da avvisare gli altri utenti in caso di comportamenti anomali.
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Dal sito donna moderna.com
Amore e social network: prima si fa sesso, poi ci si conosce
di Flora Casalinuovo
Complici i social network e i siti di incontri, le fasi di una love story si sono capovolte. Ma cambiando l’ordine
degli addendi, cambia anche il risultato? Ti diamo le dritte per affrontare questa “rivoluzione” (ed evitare le
fregature)
In America le ragazze fanno la fila in libreria per comprare L’amore ai tempi degli algoritmi, che analizza i rapporti
nati in Rete e finiti direttamente tra le lenzuola. Da noi il bestseller del 35enne giornalista Dan Slater arriverà a
fine anno, ma già non vediamo l’ora di leggerlo. Perché tutte, almeno una volta, ci siamo rimaste incastrate.
Parola dell’istituto di ricerche Tns: un italiano su quattro ha iniziato una relazione grazie a un sito di incontri
online e addirittura uno su due ha vissuto un “hookup”. Niente paura! Letteralmente significa “ci becchiamo” ed
è il termine coniato negli Usa per indicare gli appuntamenti fast, quelli della serie: ci conosciamo all’happy hour,
facciamo sesso e poi chissà... Esattamente come succede alle protagoniste dei telefilm cult Girls e Amici di letto.
Così la domanda sorge spontanea: noi donne sappiamo gestire queste relazioni (senza soccombere)?
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Dal sito limpresaonline.net
Effetto social network sul sesso: facilitano il tradimento e incrementano il sex-selfie!
di Antonio Teti
Secondo alcuni studi condotti di recente, anche la vita sessuale dell'individuo del terzo millennio sta subendo delle
modificazioni di non poca rilevanza. Ma forse è solo il principio di una mutazione sociale inarrestabile cui non
possiamo o non vogliamo sottrarci
Secondo un recente studio realizzato da Twitter, sembra che i suoi utilizzatori siano più colpiti da separazioni e
divorzi. L'utilizzo continuo e partecipativo di questo social, produrrebbe, tra le coppie sposate o conviventi, un
incremento del desiderio di intrecciare nuovi rapporti sentimentali, che condurrebbero, in breve tempo, ad
inevitabili tradimenti. La scoperta è parte integrante di una pubblicazione dal titolo "The Third Wheel: The
Impact of Twitter Use on Relationship Infidelity and Divorce", ed è stata realizzata da Russel B.Clayton, un
ricercatore del Dipartimento di giornalismo dell'Università del Missouri-Columbia. La ricerca punta il dito non
solo su Twitter, ma anche sull'immancabile e onnipresente social network più gettonato: Facebook. E non è
certamente un caso se la relazione si conclude con la seguente affermazione: "Results from the current study
demonstrate that Twitter and Facebook use can have damaging effects on romantic relationships".
Lo studio ha suscitato un interesse così elevato da meritare la citazione sulla rivista Cyberpsychology, Behavior,
and Social Networking . Va rilevato che l'analisi è stata condotta su appena 581 contatti su Twitter (età compresa
tra 18 e 67 anni), chiedendo loro di compilare un questionario in cui venivano poste una serie di domande,
soprattutto riconducibili al tempo e alla metodologia di utilizzo del social. Pur riconoscendo che la sua ricerca
soffre di una serie di rilevanti "limiti", Russel cita anche un suo precedente studio condotto su Facebook, in cui
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giungeva alle medesime considerazioni, ponendo tuttavia l'accento sul fatto che le coppie più colpite dalle
separazioni che utilizzano il social network di Mark Zuckerberg, erano quelle che stavano insieme da appena due
o tre anni. In altri termini, sembrerebbe che le pulsioni dei fruitori di Facebook siano più "a rischio" degli
utilizzatori di Twitter!
Sulle conseguenze dell'utilizzo massiccio dei social si dibatte quotidianamente e ininterrottamente da diversi
anni, ipotizzando discutibili teoremi e idealizzando assurdi concetti sulla liberalizzazione dei sentimenti e delle
pulsioni amorose. Di certo, possiamo riconoscere che i social hanno contribuito notevolmente a sviluppare i
cosiddetti "sentimenti online", inducendo gli esponenti di entrambi i sessi, a rivolgersi alla Rete per facilitare
l'instaurazione di nuove "amicizie intime" e "rapporti interpersonali virtuali". È altresì vero che il Cyberspazio
consente il massimo e libero sfogo a tutti i blocchi psicologici che l'individuo subisce nella vita reale, eliminando
buona parte delle proprie insicurezze, delle proprie paure, dei propri limiti, facilitando, nel contempo,
l'esibizionismo, l'edonismo, il desiderio di essere desiderabile a tutti i livelli, mascherando tutti i difetti e le
limitazioni oltremodo visibili nella vita reale. Ma la digitalizzazione dei sentimenti e delle pulsioni amorose sta
producendo anche dei nuovi comportamenti sessuali nell'individuo virtuale, che si manifestano in un nuovo
modo di concepire il sesso online: il sexting.
Secondo il sondaggio Global Sex Survery 2014 , condotto da AshleyMadison.com, su ben 74.000 utenti di 26
diversi Paesi, in Italia il 45% degli uomini e oltre il 53% delle donne, praticherebbero il sexting dalle sette alle
dieci volte a settimana, limitando i rapporti sessuali normali ad una sola volta al mese. Qualcuno potrebbe
definirle cifre da capogiro, ma questa non è altro che l'inesorabile fotografia di una mutazione sociale in atto. Nel
Belpaese, il talamo nuziale e i sensuali e frizzanti incontri consumati nelle auto nascoste in improbabili
nascondigli naturali, sembrano ormai aver definitivamente lasciato il posto alle eccitazioni virtuali prodotte da
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smartphone, notebook e tablet. E non è un'affermazioni eccessiva, se consideriamo che complessivamente, ben
l'88% degli italiani si concede al sesso virtuale superando la media mondiale che si attesta al 73%.
Oltre al sexting, un altro fenomeno, esploso da poco, sta rivoluzionando le abitudini sessuali a livello mondiale: il
suo nome è Sex-Selfie. Diffusosi soprattutto in Gran Bretagna, consiste nel filmare o fotografare se stessi mentre
si sta facendo sesso. "Il Selfie è diventato una pratica sociale ormai" afferma Christoph Kraemer, direttore della
comunicazione di AshleyMadison.com. Ma ciò che stupisce maggiormente è la normalità degli individui nel
ritenere che non sia poi un problema pubblicare le immagini dei propri rapporti intimi su un social. Su questo
aspetto interviene Eric Anderson, sessuologo dell'Università di Winchester, che asserisce che "I sexselfies
indicano una maggiore liberazione sessuale. I giovani sono probabilmente molto coinvolti in questa pratica,
dimostrazione che le tecnologie digitali stanno contribuendo a creare una società sessualmente più aperta". E
come se non bastasse, rileva che "Usare il cellulare per registrare i nostri atti sessuali oppure fare sexting (con il
partner o con l'amante) dimostra quanto questa possa essere utile per raggiungere l'orgasmo".
Sempre secondo Global Sex Survery 2014, il 71% degli italiani e il 66% delle italiane scelgono, come altra fonte di
piacere, la più popolare, ma non meno discutibile, pornografia. Video e immagini dal contenuto sempre più forte
e trasgressivo, assumono un ruolo privilegiato nel rapporto di coppia attuale, soprattutto per quanto concerne le
relazioni extraconiugali (89%).
Per dirla in altri termini, i baci e le carezze sembrano non riuscire più a offrire stimoli e stati di eccitazioni utili per
pungolare la fantasia durante il rapporto sessuale. L'individuo digitale ha nuove esigenze, dettate dalla
mutazione della propria esistenza, sempre più condizionata dalle tecnologie innovative.
Il documento Digital Life in 2025 , contiene una relazione elaborata dal Pew Research Center's Internet Project, in
collaborazione con la Elon University, e condotta con il coinvolgimento di 2.558 esperti di tecnologie e Internet.
A questi esperti è stato chiesto di formulare delle previsioni sullo stato di vita digitale, cui si arriverà entro il
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2025. La risposta è stata quasi unanime: Internet diventerà come la corrente elettrica, meno visibile ma più
profondamente radicata nella vita delle persone, sia nel bene sia nel male.
Gli esperti prevedono che l'uomo vivrà in un "ambiente informativo" in cui l'accesso e la fruizione dei contenuti
della Rete sarà automatica e continua, proprio come l'elettricità di cui facciamo continuamente uso. Le
tecnologie di connessione e trasmissione dati saranno "indossabili" e mobili, e ci consentiranno di interfacciarci
con strumenti e oggetti istantaneamente, attingendo da sistemi ad intelligenza artificiale tutte le informazioni
che ci occorrono. Tutte le informazioni saranno memorizzate e condivise da sistemi cloud, e ciò permetterà la
creazione di un mondo completamente interconnesso.
Secondo gli esperti il mondo della comunicazione sarà:
- coinvolgente, invisibile, un ambiente globale di elaborazione in rete costruito grazie alla proliferazione di
sensori intelligenti, telecamere, software, database e dati memorizzati in giganteschi data center, un tessuto
informativo noto come "Internet of Things";
- condizionato dalla "realtà aumentata", che permetterà all'individuo un migliore gestione della vita reale
mediante l'uso di tecnologie portatili / indossabili / impiantabili;
- turbato da nuovi modelli di business che stravolgeranno quelli definiti nel 20° secolo (in particolare impattanti
per la finanza, l'intrattenimento, l'editoria di ogni genere, e l'istruzione);
- basato su sistemi di tagging, databasing e mappatura analitica intelligente del mondo da un punto di vista fisico
e sociale.
All'unanimità, gli esperti intervistati hanno confermato che si aspettano tendenze positive e negative sullo
sviluppo di Internet per il terzo millennio. Avverrà una vera e propria rivoluzione nel settore della salute,
istruzione, lavoro, politica, economia e intrattenimento.
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Molti esperti sono convinti che i risultati di questo processo di sviluppo esasperato della connettività, condurrà a
effetti positivi. Tuttavia permane in molti la convinzione che vi saranno anche effetti negativi. Alcune
preoccupazioni sono riconducibili all'etica, ai rapporti interpersonali, alla sorveglianza, all'incremento del
terrorismo e della criminalità informatica, ma anche alla garanzia e alla tutela delle libertà civili.
Di là da come sarà il mondo nel 2025, possiamo sicuramente affermare, senza adottare alcun criterio scientifico,
che la tecnologia e la Rete stanno cambiando il nostro modo di vivere e di interpretare il nostro rapporto con la
società. In questo nuovo ecosistema di valori e linguaggi di comunicazione evoluti, il Cyberspazio ha mutato la
concezione stessa delle relazioni umane e della vita dell'uomo.
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Parte Quarta
Società Liquida e Vite Fluide
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Siamo arrivati al momento di provare a trarre qualche conclusione dalle molte cose lette, dai molti argomenti
indicati.
Come ho già avuto modo di descrivere in Filosofia dell’Erotismo “non esiste libertà individuale se non c’è libertà
sessuale”.
La domanda che devo porre ora è, di conseguenza, la seguente: è vera libertà quella che deriva dall’utilizzo delle
tecnologie? È vera libertà quella che consente la molteplicità delle relazioni ? Oppure, come ritengo, è una forma
di Libertà Obbligatoria, per usare un titolo di Giorgio Gaber, di carattere mercantile e commerciale?
Siamo liberi di fruire del sesso (virtuale o istantaneo che sia) oppure questa modalità è in qualche modo frutto
dell’esasperazione commerciale che ha tradotto le relazioni individuali in mass-market relazionale?
Non dimentichiamo che anche i pellegrini che aderivano alle Crociate facendosi massacrare sul percorso verso
Gerusalemme erano intimamente convinti di essere liberi di scegliere la via del sacrificio per conquistare il loro
posto in Paradiso, per cui il concetto di libertà (e la percezione di libertà) merita un attento approfondimento.
Insomma, siamo creatori della nostra sessualità o fruitori adattativi di modelli preconfezionati, o almeno
suggeriti?
Se i dati letti precedentemente sono corretti il fatto stesso che i fruitori di Facebook siano più portati al
tradimento rispetto ai fruitori di Twitter indica un elemento: a maggiore maturità corrisponde maggiore capacità
di scelta, ed essendo i fruitori di Twitter mediamente più anziani rispetto ai colleghi di Facebook forse questo
ragionamento ha una logica.
Ma c’è dell’altro. Ed è un elemento per nulla secondario.
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Scambismo & Tradimento
Nelle ricerche e negli articoli che ho riportato si fa riferimento al concetto di “tradimento”. Ancora nel mio
Filosofia dell’Erotismo ho affrontato ampiamente il tema dello scambismo individuando come tra le coppie
scambiste l’abbandono del partner (la separazione, il divorzio) è meno frequente che nelle coppie tradizionali.
Ne deriva il fatto che, probabilmente, la condivisione della trasgressione sia, o possa essere, un collante capace di
superare il concetto di tradimento. D’altra parte viviamo in una società liquida che determina vite fluide, per
usare le parole e i termini degli accademici riportati in precedenza: in un contesto così facilmente modificabile,
così aleatorio, leggero, impalpabile, fatto di relazioni temporanee, instabili, superficiali e episodiche, che senso
ha il concetto di fedeltà e il suo diretto discendente, tradimento?
E ancora: si può amare più di una persona alla volta? Si è fedeli a se stessi o a qualcuno/qualcosa? L’Amicizia è un
legame più forte, duraturo e vincolante rispetto all’Amore ai tempi dei Social Network ? Le coppie scambiste
sono prima di tutto coppie di Amici o coppie di Amanti ?
Pongo le domande, lascio aperte le risposte ad ogni persona che abbia voglia di cercarle, però sono
personalmente convinto che alla base di tutte le domande (e le risposte) ci sia semplicemente un cambiamento
di paradigma, una mutazione epocale del concetto etico-morale delle relazioni, personali, amicali, affettive e
amorose.
L’unico concetto sul quale credo di non avere dubbi è che rispetto ai valori etici con i quali siamo stati educati,
tutti risalenti alla prima metà del ‘900 per non dire direttamente discendenti all’ultima parte del XIX° secolo, il
mondo attuale non abbia nulla a che fare. Che l’adottare, o il mantenere, valori morali pregressi contribuisca a
definire se non un profondo turbamento almeno un costante disagio rispetto a ciò che quotidianamente
osserviamo.
Che il mantenimento mentale degli obblighi, dei doveri, dei ruoli socialmente appresi sia nocivo per il senso di
adeguatezza dell’individuo. Che la morale così come l’abbiamo conosciuta debba essere sostituita da una nuova
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filosofia dell’immoralismo, che altro non è che l’adeguamento della morale alla fluidità sociale, alla molteplicità
consumistica e consumeristica determinata dalla globalizzazione economica.
Lo Scambismo, fenomeno in forte crescita nella nostra società, altro non è che un applicativo di coppia ai
mutamenti in corso: un modo di andare a fare shopping insieme nel supermercato dell’erotismo, una modalità
dell’esperienza erotica che consente di soddisfare entrambi i partner senza far sentire escluso nessuno.
Paradossalmente l’osservarsi contemporaneamente durante i rapporti sessuali traduce il senso del tradimento in
senso di aggregazione: la complicità è un collante più forte della passione originaria. Le persone si incontrano per
passione, ma rimangono unite perché condividono gusti e interessi, progetti e simpatie.
In una società fluida e mutevole, il senso di appartenenza si gioca nella complicità e l’elasticità: la coppia aperta
diviene più solida della coppia chiusa, i fedifraghi consenzienti soffrono inevitabilmente meno di chi persiste nel
vestire i panni etici del secolo scorso, caratteristici della società rigida e strutturata.
Ancoraggi individuali
Lo scambismo, come ho scritto, può paradossalmente rappresentare per i componenti della coppia un
importante ancoraggio individuale nel momento in cui gli ancoraggi tradizionali sembrano scomparire:
l’incertezza nel lavoro, l’insicurezza economica, la mancanza di prospettive, la fluidità del corpo sociale,
l’incostanza degli affetti, lo sgretolamento della famiglia tradizionale, la dissoluzione del senso dello Stato, la
virtualità relazionale, l’inaffidabilità della politica, sono tutti (ma solo alcuni) degli elementi che contribuiscono a
ridurre fortemente gli ancoraggi necessari alla stabilità e all’equilibrio mentale e comportamentale. Su quali
ancore affettive potremo contare in un mondo fatto di genitori separati, di conoscenze virtuali, di incontri al
buio, di supermercato dell’erotismo?
Il rapporto che si instaura tra Slave e Mistress, ad esempio, è particolarmente significativo. Quando uno Slave e
una Mistress si scelgono e si accettano, iniziando un percorso comune di sperimentazione e crescita, quel
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rapporto può rappresentare agli occhi dello Slave un vero ancoraggio affettivo-mentale, un vero punto di
riferimento, un centro di gravità permanente per dirla in musica.
Ogni volta che ci si affeziona a qualcuno e poi ci si perde diviene necessario elaborare il lutto della perdita,
dell’abbandono. È un lavoro complesso e faticoso, che nasce dal dolore e provoca dolore. E siccome gli uomini
tendono ad evitare il dolore, quale reazione o modello attitudinale e comportamentale escogiteranno per evitare
di dovere ogni volta elaborare il senso della perdita? All’orizzonte non si vede un gran che: i motti antichi come
“dio, patria e famiglia” sono definitivamente scomparsi, ma non sono ancora stati sostituiti da alcunché. In
assenza di ancoraggi semplici, comuni e condivisibili alcuni si rifugiano in mondi estremi, dove proprio
l’estremismo rappresenta l’ancoraggio, il senso dell’essere e dell’appartenenza. I mondi dello Scambismo, del
BDSM, del Fetish, del Dark e della trasgressione Trans (negli ambiti dell’eros) , del piercing, del tatuaggio e
dell’acconciatura estrema (sotto il profilo dell’espressione narcisistica del sé) sembrano essere diventati, ad un
primo sguardo, i mondi delle possibili sicurezze, dei possibili ancoraggi.
Ma quale prospettiva di mondo si presenta agli individui nel momento in cui è preferibile l’abolizione dei
sentimenti rispetto alla possibilità del dolore? Quali modalità relazionali, se non di tipo consumistico e
predatorio, si prospettano in una popolazione che cresce rinunciando al sentimento e all’emozione,
accantonando il principio di realtà, in funzione esclusiva del principio di piacere ? La prospettiva, espressa in
questi termini, è sconcertante e raggelante, ma abbiamo quotidianamente sotto gli occhi i nuclei del mondo che
evolve: diffusa assenza di valori, elevata prostituzione minorile (anche per una ricarica telefonica), cultura dello
sballo, apatia e indifferenza, narcisismo estremo, sottocultura dell’apparire e del consumare, sono solo alcuni
degli elementi comportamentali che possono mettere sull’avviso osservatori, educatori e sociologi.
Peccato che troppo spesso osservatori, educatori e sociologi dispongano di armi vetuste e spuntate per
contrastare un fenomeno-nemico finora sconosciuto.
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Resistenza al cambiamento e religione
Il panorama che ho fin qui tracciato non rappresenta, ovviamente, la totalità, ma neppure una parte minoritaria
della società occidentale il cui declino, o meglio la trasformazione (il termine declino ha una valenza negativa e
non mi permetto di dare giudizi di merito rispetto al cambiamento in corso) è palesemente avviata. Tra le sacche
di resistenza più importanti si individuano le religioni monoteiste, tutte incentrate sullo schema familiare
tradizionale e, in particolare l’Islam, sulla concezione di superiorità maschile nella relazione tra generi sessuali.
Va da sé, ma l’ho accennato anche in altra parte di questo libello, che la rapida trasformazione del modello
familiare determina ipso facto un cambiamento nella percezione etica della religione. Nascono quindi molteplici
sette più o meno integraliste, più o meno fanatiche in difesa dell’etica e della morale biblicamente consolidata,
rappresentanti di un modello economico e sistemico sempre meno coerente con i macro modelli economici e
sistemici. Ampi sforzi sono operati da una parte della chiesa cattolica per venire incontro (o meglio per
intercettare) esigenze e portatori di esigenze diverse, ma l’establishment del cattolicesimo sembra
maggiormente interessato a flirtare con l’Islam (con cui condivide molto in materia di sessuofobia e
maschilismo). Parallelamente in occidente fioriscono le riprese di antichi culti femminili di derivazione (forse)
celtica, come la teosofia Wicca, dilaga l’orientamento filosofico di stampo buddista e germogliano forme di
neopaganesimo panteistico in cui la regola base è “se non faccio male a nessuno posso fare ciò che voglio”.
Altrettanto ovviamente l’ordinamento giurisprudenziale in materia di etica, morale, pudore e comportamenti
privati e pubblici risulta obsoleto come un Mammut in giardino, ma i tempi della legislazione e della normazione
sono talmente biblici, rispetto alla rapidità del cambiamento delle cose del mondo, che ben difficilmente sarà
possibile adeguare le norme alla realtà. Molto più facile inasprire le norme (per fare cassa tramite le sanzioni) o
chiudere entrambi gli occhi davanti alle violazioni del codice. Quasi sempre la scelta comportamentale,
mancando indicazioni sistemiche, è affidata al singolo.
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Il cambiamento, comunque, è avviato e in corso. Il cristianesimo, e il cattolicesimo in particolare, perde adepti;
l’Islam sviluppa forme aggressive e violente che nascondono dietro il velo della religione un modello economico e
un sistema organizzativo della società evidentemente opponente rispetto a quello occidentale. Il Governo cinese
tenta di frenare l’utilizzo della rete web per rallentare gli inevitabili processi di occidentalizzazione dell’etica (e il
cambiamento dell’impostazione sociale e politica). Come in ogni fase di cambiamento le crisi si susseguono, ma
anche questo fa parte del gioco.
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Mutamenti nei comportamenti sessuali delle donne
di Anna Salvo
Parlare attorno alla sessualità ci impegna ad un’indagine che va oltre la possibilità di descrivere l’incontro tra due
corpi: il desiderio, infatti, si nutre di fantasie, si alimenta di immagini o di vagheggiamenti che danno alla
sessualità la consistenza di una “vita sessuale”. Cosa comporta, allora, la prossimità e la promiscuità con il corpo
dell’altro? L’essere in comunicazione, l’uno rispetto all’altro, di due soggetti, laddove la comunicazione non
necessita di parole e si esprime attraverso gesti, sguardi, modi di sentire che danno origine ad una reciprocità
assai profonda e di antica memoria.
La vita sessuale diventa, in questo senso, uno dei luoghi di massima verità per ciascuno/ciascuna di noi: la
menzogna, la finzione, l’inganno dovrebbero retrocedere per lasciar accadere un sentimento di massima
vicinanza alla propria persona e all’altro. E’ sempre così? E’ stato sempre così? Tenterò di rispondere soprattutto
alla seconda domanda in quanto essa chiama in campo una prospettiva storica, il modo in cui, cioè, i due soggetti
dell’incontro sessuale si sono posti o erano posti in relazione tra loro. La vita sessuale non è pensabile come una
dimensione magica, atemporale, dove viene dimenticato o spazzato via tutto ciò che accade nelle altre
dimensioni o negli altri scenari dell’esistenza; innumerevoli e sottili ponti mettono in comunicazione tutte le parti
della nostra persona, della nostra vita interiore e di quella sociale. E allora, in che modo le donne, in un passato
ancora molto recente, si sono avviate verso la vita sessuale?
La mia riflessione parte da un assunto o, meglio, da un’evidenza: la posizione di dominio che gli uomini – intesi
come individui di sesso maschile – hanno guadagnato ed espresso nel loro essere nel mondo. Alcuni storici usano
l’espressione soggetti tacitati per indicare tutti coloro che non hanno avuto possibilità di ingresso nel grande
scenario dello svolgersi della storia e, fra coloro che sono stati tacitati, includono ovviamente le donne. Donne in
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disparte, in ombra, recluse in una sorta di oblio, almeno rispetto allo splendore, alla magnificenza tramite cui gli
uomini hanno preso possesso del mondo e costruito a propria immagine e somiglianza.
In che modo la sessualità è accaduta (e, forse, ancora accade) in tale disparità relazionale? L’incontro di due
corpi, ma anche di due soggetti, dei loro desideri, delle loro fantasie, delle loro domande non può non trattenere
qualcosa dello sguardo complessivo con cui ciascuno ha guardato l’altro. Se gli uomini hanno inchiodato le donne
in una posizione di sudditanza e, direi, di invisibilità, con quale sguardo le hanno guardate nell’accadere della vita
sessuale? Il loro potere nel mondo è necessariamente diventato anche il potere sul corpo femminile, la cui
sessualità era vista essenzialmente come questione al proprio servizio. Corpi femminili addomesticati, resi docili
(per usare un’espressione cara a Foucault) da un potere conquistato altrove ma incessantemente ribadito e
riproposto nel farsi dell’incontro sessuale.
E le donne? L’essersi riflesse a lungo in un tale sguardo – uno specchio allo stesso tempo tremendo ed ineludibile
– non può non averle costrette ad un’operazione psichica di assoggettamento e quindi di rinuncia a vivere in
proprio la vita sessuale. Con qualche esagerazione, ma senza eccessiva scorrettezza, si può sostenere che per
lungo tempo l’incontro tra i due sessi è stato essenzialmente l’incontro della sessualità maschile con se stessa: le
donne, i loro desideri, la loro sessualità erano lo strumento del piacere dell’altro. Nessun incontro, dunque,
nessuna autentica comunicazione, ma il sopravvento dell’uno sull’altra.
Ho un’amica, una donna nata intorno agli anni venti, che si è sposata poco più che adolescente senza nulla
sapere della cosa sessuale; la sua sessualità, per come lei ancora ricorda, è stata “forgiata” dal marito cui lei
pensava di dover comunque “obbedire”. Ho voluto ricordare la vicenda di questa donna per ricordare a me
stessa e a tutte noi il passato molto prossimo di un modo di essere nella sessualità che vedeva le donne di fatto
affidate al desiderio dell’altro, inermi, chiamate ad un’obbedienza passiva, mutilate nell’ascolto del proprio
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desiderio.
Il principe di Salaparuta, ne Il Gattopardo, sostiene di non aver mai visto l’ombelico della moglie, pur avendo
avuto numerosi figli con lei. Ha tuttavia un’amante, una prostituta di Palermo, che va a trovare quasi ogni
settimana. Ecco un altro nodo della vita sessuale nella tradizione borghese, un lascito spinoso trasmesso di
generazione in generazione: l’esistenza e la consistenza di una sorta di scissione inconciliabile tra la sessualità
coniugale (casta e morigerata) e quella più eversiva che aveva luogo con donne di “scarsa moralità”. Per gli
uomini, dunque, una sessualità doppia; per le donne un modo di guardare alla vicenda sessuale con lo stesso
netto confine: solo alle amanti era data una contaminazione piena con la cosa sessuale; alle mogli non restava
che un assoggettamento casto e passivo.
Cosa ci rimane di questo passato prossimo? Molte cose sono cambiate e sembrerebbe che nulla più ci tocchi
della storia violenta ed infelice di queste donne, delle donne che hanno vissuto all’ombra del desiderio maschile,
che sono state assoggettate e “forgiate” dai bisogni e dalle impellenze della sessualità dell’altro. Il desiderio
femminile trova finalmente accoglienza nel farsi della vita sessuale e possiamo finalmente parlare di un incontro
autentico tra due soggetti, fra le loro fantasie e i loro vagheggiamenti. Tutto è accaduto molto rapidamente: un
passaggio inedito ed ‘inaudito’ ha visto le donne transitare verso una sessualità vissuta in proprio e non più
costruita a immagine e somiglianza dell’altro. Al carattere gioioso di questo percorso di liberazione, accosterei
un’ulteriore considerazione: essendo più prossime al nostro desiderio, le donne hanno, o meglio, abbiamo
potuto costruire meglio la nostra soggettività, abbiamo potuto conoscere e nominare qualcosa in più di noi
stesse, in quel processo di scavo e disvelamento che ci porta verso il fondamento della nostra persona.
Ma non è bastevole, per come io penso, fermarsi al sentimento di gioia per una conquistata parità con il soggetto
maschile anche sulla scena della vita sessuale. Ciò che di più prezioso la sessualità può suggerirci è la possibilità di
costruire e ricostruire una nostra configurazione di noi stesse, parlando in prima persona e allontanandoci
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sempre più dalle immagini persecutorie ed adesive che gli uomini ci hanno fornito come specchi in cui
riconoscerci. E’ un lavoro lungo e difficile, talvolta accidentato, segnato da pietre d’inciampo. E tuttavia tale
difficoltà non ci spaventa perché sappiamo che solo compiendo tale itinerario prenderemo a pieno possesso di
noi stesse.
E gli uomini? I nostri compagni di vita, amici, amanti, mariti? Dove sono in questo orizzonte? Ciò che più mi
colpisce di loro, in questo momento, è un sottile, ma percepibile sentimento di meraviglia e paura. Sembrano un
poco smarriti, forse spaventati dalle novità che le donne portano nella relazione con loro. Di nuovo e ancora una
volta, dovremo aiutarli a superare anche questa paura, in quell’infinito ed interminabile “lavoro di cura” che le
donne hanno da sempre espresso nel legame con il mondo maschile? Lascio la domanda aperta, affinché
ciascuna di noi trovi la propria risposta, trovi cioè il proprio modo di rispondere a se stessa e all’altro, nella
comunicazione verbale, nei comportamenti e, infine, nella vita sessuale.
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La bisessualità nell’adolescenza? È sempre esistita, solo che ora non è più un tabù
di Maria Novella De Luca (la Repubblica, 09.03.2010)
Mutano, si nascondono, giocano con l’ambiguità. Ragazzi nell’età incerta, che scoprono se stessi, la sessualità, il
corpo che cambia, e sperimentano sempre più territori di confine. Non solo "etero" dunque, ma anche "omo" e
soprattutto "bisex". Hanno tra i quattordici e i diciotto anni e fanno parte di un movimento young-adult che in
tutto il mondo ha fatto dell’ambiguità il proprio modo di amare. Le ragazze camminano mano nella mano,
provano baci e carezze, i maschi si fermano ad abbracci più virili ma più espliciti di un tempo: più che bisex molti
si definiscono bi-curious, curiosi doppiamente, si vestono con stile androgino, si ispirano all’inquieto movimento
"Emo", si incontrano e si confidano in una galassia di siti e blog dove raccontano la loro ambiguità.
Un fenomeno così vasto e dichiarato, un outing così collettivo, che ormai da diversi mesi psicologi, sociologi,
medici (ma anche cacciatori di tendenze) hanno messo il fenomeno dei teenager bisex sotto la lente di
ingrandimento. Per capire se qualcosa è davvero cambiato nella sessualità dei giovani. O se invece gli adolescenti
non abbiano semplicemente smesso di nascondere la loro indefinitezza sessuale. In una recente ricerca
dell’Istituto di ortofonologia di Roma, è stato calcolato che tra gli undici e i sedici anni il 35 per cento delle
ragazze, e addirittura il 60 per cento dei ragazzi, si è avvicinato o ha provato l’esperienza omosessuale.
Ma, al di là dei numeri, per Francesca Sartori, docente di Sociologia del genere all’università di Trento, tutto
questo è la spia di un «forte cambiamento culturale». «L’adolescenza è l’età dell’onnipotenza, del voler provare
tutto. La novità è che questa generazione sembra voler fare della propria ambiguità un modo di essere, una
bandiera. Del resto questi teenager sono i figli di una società dove i ruoli tradizionali sono caduti, dove la
confusione è forte, dove la moda, proprio sfruttando queste tendenze giovanili, propone immagini efebiche di
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maschi glabri e femmine senza seno, quasi indistinguibili. A mio parere però - aggiunge Sartori - è un azzardo
parlare di gioventù bisex, perché è soltanto un’avanguardia trasgressiva che gioca con questi ruoli. E tra qualche
anno capiremo se si tratta di "effetto età" o di un vero cambiamento. È certo, però, che gli adolescenti
sperimentano una nuova libertà, ma anche un nuovo modo di non definirsi».
L’ultimo rapporto della Sigo, la Società italiana di ginecologia e ostetricia, segnala che gli adolescenti hanno le
loro prime esperienze sessuali tra i quattordici e i sedici anni. Ed è in quel momento che la sperimentazione
sessuale abbraccia più strade e più forme. E dove la scuola funge da terreno di conoscenza.
Un tema a cui Federico Batini, ricercatore di Pedagogia all’università di Perugia, ha dedicato L’identità sessuale a
scuola. «La bisessualità nell’adolescenza è sempre esistita, ma adesso non è più un tabù. Però il vero problema è
che ai ragazzi mancano gli strumenti per decodificare ciò che gli accade, della sessualità sanno ciò che scoprono
su Internet, spesso in modo grossolano e non selezionato. In famiglia il discorso non viene affrontato e a scuola
non se ne parla affatto. La verità - conclude - è che non esiste per i giovani una alfabetizzazione sessuale».
Legge invece il diffondersi della bisessualità tra gli adolescenti come un problema legato al riconoscimento di sé
Simonetta Putti, psicologa e psicoterapeuta, curatrice di un saggio a più voci dal titolo: Chirone, dinamiche
dell’identità di genere. «Il disagio esistenziale è oggi un dato diffuso anche tra adolescenti e ragazzi. E se la
sessualità non costituisce più un’area di divieto da parte dei genitori, è l’area dell’affettività e del sentimento ad
essere in difficoltà, e sempre più "tecnomediata" da Internet, mail, sms. E infatti, dietro questa crisi dell’identità
di genere, c’è a mio parere la forte crisi di identità di questa generazione».
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Sesso e amore borderline
Di Chiara Carnevali, dal sito igorvitale.org
Come afferma Kernberg (2013), esplorare la vita amorosa del soggetto borderline è di fondamentale importanza,
ma assumono particolare significato anche tutti quei comportamenti e fantasie sessuali che vengono messi in
atto all’interno di una relazione di coppia, in quanto possono manifestarsi perversioni o parafilie. Questa attività
perversa è una condizione esclusiva, obbligata e ripetitiva che deve per forza essere messa in atto ed è
indispensabile per far si che si arrivi a una piena eccitazione sessuale e successivamente all’orgasmo.
Atteggiamenti di perversione, fantasie o desideri, sono rintracciabili anche all’interno di normali relazioni di
coppia, con la sola differenza che l’integrazione di queste è avvenuta correttamente e non in modo disfunzionale
come invece è accaduto nelle relazioni intraprese dai pazienti borderline.
L’uomo e la donna possono essere considerati i due poli opposti dell’energia, il giusto e sano incontro tra questi
due poli porterebbe a produrre una specie di elettricità, che unisce, fonde e completa i due corpi e non essere
considerato come un mero strumento di piacere: “Il sesso deve essere un mezzo di crescita spirituale.” (Osho,
2012, p. 39).
Il borderline tende a trascurare e a svalutare la reale funzione dell’attività sessuale, in quanto tende ad utilizzarla
semplicemente come sfogo e soddisfacimento di una pulsione sessuale e non la vive, durante l’orgasmo, come
una reale identificazione con il proprio ruolo sessuale e con il ruolo del proprio partner (Kernberg, 1995).
Questa incapacità di identificarsi con l’altro e di non viversi a pieno un rapporto sessuale maturo, è dovuta a
un’incapacità del borderline di avere una chiara visione di se stesso. Affermato ciò, possiamo confermare quanto
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la tecnica meditativa, sopracitata, di Kabat Zinn sia utile non soltanto per riuscire ad amare l’altro, ma anche per
vivere una relazione sessuale con esso che sia matura e soddisfacente.
Secondo il punto di vista di Osho (2012), esistono quattro stadi del sesso che ognuno di noi deve
necessariamente comprendere, in quanto, tutte le tradizioni tendono sempre a nasconderli e mascherarli.
Lo stadio Autoerotico
Il primo di questi stadi lo definisce lo stadio autoerotico; momento in cui il bambino succhia il pollice, esplora il
suo corpo e lo vive come totalità, incominciando anche ad esplorare anche i suoi organi genitali. In quel
momento la società, ma soprattutto i genitori sono portati a dire “non farlo!”, cominciando così, sempre secondo
il punto di vista di Osho, a distruggere la sua naturale sessualità, in quanto viene privato di un piacere per lui
fondamentale ma socialmente inaccettabile e quindi, proibito. Molti rimangono bloccati in questo stadio,
vivendo la masturbazione non come un atto di normalità ma come una perversione, un qualcosa che deve
rimanere nascosto e segreto.
La fase Omosessuale
Chi riesce a superare questa fase naturale, passa alla fase dell’omosessuale. Il bambino in questa fase è in grado
di amare il proprio corpo e il corpo di un altro ragazzo, così accade per le ragazze; questo avviene perché
inizialmente e immaturamente l’amore si manifesta nei confronti di coloro che hanno il loro stesso corpo e il loro
stesso tipo di essere. Tra maschio e femmina esiste ancora un oceano che li separa.
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La fase eterosessuale
Chiuse entrambe le fasi, si raggiunge quella dell’eterosessuale. In questo momento il soggetto è maturo a
sufficienza per potersi innamorare di un soggetto dell’altro sesso, scoprendo ogni sua diversità fisica, psicologica
e spirituale. In questo momento non vivono più come entità separate, ma come un’anima soltanto; attraverso
l’esperienza dell’orgasmo sarà poi necessario ricercare vie e mezzi per poter raggiunger questo stato anche da
soli. Entra così in atto la meditazione, come livello più alto di auto comprensione che permette il singolo
raggiungimento orgasmico che implica la presenza e la fusione dell’uomo e della donna interna a noi.
Essere in orgasmo
Deve essere uno stato continuo e naturale che rappresenta il quarto stadio del sesso descritto da Osho e che può
essere raggiunto soltanto con un corretto svolgimento degli stati precedentemente elencati.
Il borderline necessita dunque di vivere non parzialmente e non soltanto con uno scopo i propri rapporti sessuali,
ma prenderne consapevolezza in ogni momento in cui avvengono, senza permettere alla mente di essere altrove
(Kabat Zinn, 1993); entrare nell’intimo della sessualità, viverla in modo estremamente creativo lasciandosi
coinvolgere nella piena totalità dell’atto. Aver paura del sesso e manifestarlo attraverso atteggiamenti di rabbia
significherebbe non esserci entrati totalmente, in questo caso l’atto sessuale non è altro che una scarica di
energia in eccesso (Osho, 2012).
Il sesso può essere considerato l’energia più vitale, nel momento in cui si “fa l’amore”, la prima cosa essenziale
da fare è meditare, elevarsi nella più alta forma di consapevolezza, altrimenti l’amore resterà soltanto sessuale.
Necessita di essere nutrito e non di essere inibito o distorto da sentimenti di rabbia, risentimento o alienazione
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(Kabat Zinn, 1993). Dopo l’atteggiamento meditativo è importante adorare e lasciarsi adorare dal proprio
compagno, entrare in sintonia attraverso gesti, sguardi e parole; la sintonia richiede una profonda conoscenza e
autoriflessione di sé, impossibile per il borderline in quanto vivono in una profonda alternazione di immagine e
percezione di sé che sono marcatamente e persistentemente instabili (Gabbard, 2007).
“Fare l’amore” non è però un’espressione corretta di come dovrebbe invece essere vissuto l’atto sessuale,
perché l’amore non si fa, non è un’azione, è semplicemente uno stato dell’essere. Si può “essere in amore” ma
non si può “fare” (Osho, 2012).
Diventando il borderline consapevole e testimone di ogni suo piccolo momento della sua vita, lo porterà ad
essere consapevole anche dell’amore e della passione sessuale che travolge l’amore. Bisogna, attraverso la
meditazione, prendere consapevolezza partendo dalle piccole cose, da piccoli atteggiamenti quotidiani come
quello del semplice camminare o quello di lavare i piatti. Fare le cose consapevolmente implica che lo si sta
facendo con la piena totalità di se stessi, significa che si è vivi, svegli e soprattutto coscienti: “Se un piccolo atto
come il camminare non può diventare totalmente consapevole, sarà difficile fare dell’amore una meditazione
consapevole.” (Osho, 2012, p. 73).
L’atto sessuale in una relazione non sarà mai soddisfatto e non ci si sentirà appagati totalmente se l’unica cosa
che unisce sono i centri sessuali di entrambi i partner. Senza l’amore non c’è soddisfazione sessuale, la
completezza avviene soltanto se due persone si amano, se il loro incontro è armonioso e musicale, se il battito
dei cuori diventa una meditazione naturale e profonda. Se questo accade c’è armonia, c’è vibrazione, c’è
orgasmo.
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Fare l’amore è naturale, pensarci costantemente ed avere un pensiero fisso e assillante, è una perversione;
Il borderline è caratterizzato da un continuo altalenare di relazioni, vivendo la sessualità in modo caotico e
discontinuo e la perversione viene a manifestarsi nelle condizioni più gravi di organizzazione borderline. L’attività
perversa non è altro che espressione di fantasie aggressive inconsce, che si attivano all’interno del contesto di un
incontro sessuale (Kernberg, 2013).
Molto spesso si vive orientandosi verso due differenti poli, l’amore e la paura. Vivere seguendo la paura
significherebbe rimanere impauriti, senza permettere all’altro di penetrarti fino al centro del tuo essere; vivere
per l’amore significa non temere il futuro, non aver paura dei risultati, delle conseguenze, è un continuo vivere
qui e ora. Meditare sull’amore permetterebbe al borderline di meditare e sperimentare i suoi sentimenti di
generosità, bontà e del proprio essere; evocare prima sentimenti di amore verso se stesso per poi evocare quelli
verso l’altro, verso chi ci ama (Kabat- Zinn, 1993).
Vivere lasciando prendere il sopravvento alla paura, implicherebbe vivere nella non consapevolezza e che non è
avvenuto quell’atto meditativo che porta alla conoscenza del proprio sé. Ci saranno quindi due persone
impaurite, che dipendono l’una dall’altra, che si manipolano, sfruttano, possiedono e controllano. Questo
atteggiamento verrà poi inevitabilmente a trasporsi nella sfera sessuale che verrà vissuta in modo disfunzionale e
con il sopravvento dell’aggressività sull’amore.
Il sesso e l’amore, come abbiamo precedentemente scritto, sembrano essere due cose distaccate, in quanto il
sesso è un atto accessibile a tutti, sia per chi lo vive come sfogo sessuale, sia per chi lo vive come completamento
di un amore maturo; ma per far si che il sesso si unisca all’amore, si necessitano di due persone profondamente
spirituali che hanno attraversato la via della propria consapevolezza.
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Conclusioni
Androginia, bisessualità, omosessualità, ma anche sessualità nelle personalità borderline, promiscuità, multi
relazionalità, reimpostazione del modello famigliare (famiglia aperta, famiglia omosessuale), dominazione
femminile, sado masochismo, feticismo, scambismo, esibizionismo, voyeurismo, sono tutte modalità che
incontriamo nel nostro quotidiano, senza che la cosa produca ormai particolari turbamenti.
Nell’ipermercato globale delle emozioni, dei sentimenti e delle relazioni l’essenza economica è quella del
consumo, possibilmente rapido e altrettanto possibilmente di tipo usa & getta.
L’essenza è appunto economica, ovvero dettata dal modello economico che permea la società e ne definisce le
caratteristiche comportamentali e attitudinali sia a livello macroscopico che individuale.
Se l’economia è in grado di orientare i modi dell’essere vale la pena pensare che ogni modello economico
definisce e determina un modello sociale e un modello etico, morale, comportamentale di cui la sessualità e
l’erotismo sono parti integranti.
Molto rimane da dire relativamente alla libertà individuale, la libertà di scegliere, di decidere come vivere la
propria sessualità. Si tratta di una scelta autonoma o di una scelta condizionata dalle opportunità che il mercato
propone?
Insomma, il famoso libero arbitrio dell’uomo esiste o no? Oppure il tanto decantato libero arbitrio è solamente
esercitare un’opzione tra alcune possibilità, opzione condizionata sia dal nostro corredo genetico sia
dall’ambiente, dalla sottocultura, dal nucleo originario, dalla mentalità corrente ?
Non si tratta di una domanda banale, perché la libertà individuale non è mai un argomento banale.
L’affermazione secondo la quale senza libertà sessuale non esiste libertà individuale è una questione di lana
caprina oppure sottende una effettiva definizione dell’individuo ?
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Nel corso della storia abbiamo osservato il contrapporsi di due diversi modelli di libertà: da un lato la libertà
come libero arbitrio, ossia come possibilità di decidere arbitrariamente tra due o più alternative (si tratta di
quella che gli scolastici definivano potestas ad utrumque): essa è la libertà di indifferenza, tale per cui quando ci
si trova a dover compiere una scelta è indifferente che si scelga A piuttosto che B, nel senso che non vi è nessun
condizionamento che implichi dall’esterno una differenza e che ci indirizzi a scegliere una cosa anziché un’altra.
In quest’accezione, questo modello può essere concepito come modello della libertà di fare così oppure non
così. Dall’altro lato, troviamo la libertà come assenza di costrizione, la libertas a coactione degli scolastici: non è
più l’indifferenza della scelta, tale per cui posso decidere liberamente di scegliere o A o B, ma si tratta piuttosto
di una libertà in virtù della quale sia che io scelga A sia che io scelga B non sono condizionato da una costrizione,
sia essa esterna (qualcuno che mi obbliga ad agire in un determinato modo) sia essa interna (le mie passioni).
Questo secondo modello implica non già una libertà di, bensì una libertà da. Stando a quanto abbiamo finora
detto, questi due tipi di libertà possono apparire non troppo diversificate, cosicché è opportuno produrre altre
distinzioni più incisive: innanzitutto, possiamo notare come la "libertà di" sia sempre considerata come libertà
positiva, in quanto si tratta di determinare l’oggetto del volere e sono io stesso a deciderlo; sicché la "libertà di"
comporta la libertà di volere ciò che ancora non si vuole, per cui siamo noi stessi a determinare la nostra volontà:
l’uomo non sceglie perché vuole, ma vuole perché sceglie. Sull’altro versante - quello della "libertà da" - ci
troviamo dinanzi ad una libertà di tipo negativo, giacché ciò che si vuole è sempre già presupposto, cosicché io so
già che cosa voglio e non sono io a sceglierlo. Dunque, si può dire che nel caso della "libertà di" ciò che voglio non
mi è imposto (e per ciò sono realmente libero), mentre nel caso della "libertà da" mi è imposto (e perciò non
sono libero).
I molteplici aspetti dell’infinito – e irrisolvibile – dibattito sul libero arbitrio possono essere affrontati in altre e più
autorevoli sedi che non questo libretto, nel quale, piuttosto, ho cercato di evidenziare come ad ogni
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cambiamento dell’organizzazione economica corrisponda un adeguamento, non sempre parallelo, non di tipo
reiterativo, ripetitivo, della morale.
In periodi di forte espansione economica nel medesimo periodo storico culture diverse reagirono con approcci
etici differenti: l’Inghilterra elisabettiana e la Venezia dei Dogi assunsero atteggiamenti contrapposti, austera e
rigida la prima, vivace e libertina la seconda, con una diversità derivante da una differente concezione e modalità
operativa dello Stato (la democratica e monarchica Inghilterra era molto più incisiva nelle strategie economiche
di quanto non fosse la repubblica Veneziana, resa ricca da avventurieri autonomi) e da una diversa concezione
religiosa (la Regina era ed è la maggiore esponente della Chiesa Anglicana, nella Venezia dei Dogi le relazioni col
Vaticano erano semplicemente pessime). Insomma, molte le variabili possibili.
E oggi ? Oggi il traite d’union è definito dai processi di globalizzazione, da un’economia che permea ogni istante
della vita personale, da uno schema organizzativo che ha trasformato le persone in consumatori, tratteggiando
persino le personalità sulla base dei modelli di consumo.
Un mondo puramente economico in cui anche l’erotismo è un prodotto, il sesso un consumo prioritario, la
relazione una delle molteplici opportunità, generalmente casuale, che ci viene offerta. La dimensione dell’offerta
è tale da farci scambiare la scelta con la libertà, ma è una libertà da alcuni condizionamenti, non una vera libertà
di scelta.
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L’Autore
Gilberto Borzini (Gil Borz), Milano 1955, è formatore aziendale in Organizzazione,
Change Management e Leadership. Svolge corsi di formazione in materia di Autostima e
Motivazione.
È presidente dell’Associazione La Gustoteca attraverso la quale organizza e sviluppa
eventi di ampio richiamo pubblico come il Festival del Piacere e il Festival BDSM.
Per raggiunti limiti di età si considera un “entomologo dell’erotismo”.
Info e dettagli nei siti
http://gbstudio1.webnode.it (formazione & management)
www.lagustoteca.it (eventi, festival e management)
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