Indice Introduzione Capitolo 1°. Complessità, strutture, sistemi, logiche, nuova mentalità scientifica Strutture, strutturalismo, scienze. Teoria generale dei sistemi. Conseguenze e applicazioni. Mutamenti nelle nuove logiche. Riflessioni conclusive. Capitolo 2°. Potenzialità umanistiche della scienza Fondamenti antropologici della scienza. Interazioni fra uomo e conoscenza scientifica. Scienza come novità continua. Scienza come autoscoperta e coscienza critica. Approccio personale alla scienza. Scienza: esigenza ontologica. Nuovo modo di considerare la scienza. Capitolo 3°. Conoscenze scientifiche: valorizzazione umanistica e culturale Popper: terzo mondo, oggettività del pensiero scientifico. Pensiero scientifico e sintesi umanistica: Popper e Kuhn. Rilettura umanistica dei dati scientifici. Scienza ed esperienza della finitezza. Capitolo 4°. Scientismo, epistemologia analitica, aspetti metodologici Materialismo e scientismo: le basi. Postulato d’esenzione e criterio di demarcazione. Teorie di fondo: portata informativa e rilevanza scientifica Capitolo 5°. Superare il materialismo: dialettica e critica Superare l’esclusione dell’uomo. Dialettica come antimaterialismo. Dialettica e principio trascendente. Riflessioni conclusive. Capitolo 6°. Scienze umane: nuove prospettive Metodi, processi, prodotti, teorie. Obbiettività delle scienze sociali. Riflessioni conclusive. Capitolo 7°. Epistemologia, scienze, filosofia Epistemologia: vari sensi del termine. Scoperte scientifiche e nuove epistemologie. Approfondimenti delle epistemologie contemporanee. Metafisica e tradizioni. Scienza e senso comune. Scienza e metafisica. Epistemologia popperiana e metafisica. Epistemologia, filosofia, trascendenza. Riflessioni conclusive. Capitolo 8°. Epistemologia marxista e metafisica Visione marx-engelsiana della scienza. Materialismo marxista e realismo critico cristiano. Metafisica tomista e filosofia marxista. Riflessioni conclusive. Capitolo 9°. Atteggiamento scientifico e religioso Dalle polemiche ai nuovi rapporti. Caratteri dei nuovi rapporti. Antiche precomprensioni, nuove comprensioni. Scienza e religione: analogie e differenze. Discorso scientifico e religioso. Confronto scienze-religione: i contenuti. Riflessioni conclusive. Conclusione. Umanesimo e cultura scientifica Pensiero creativo, approccio esperienziale riflessivo Complessità, intersoggettività, anticipo delle premesse Dalla filosofia del limite alla trascendenza Umanesimo scientifico e pensiero cristiano Le potenzialità umanistiche e culturali dell’impresa scientifica Credo di percepire segni sicuri dell’avviarsi di un processo di autoconoscenza dell’umanità civilizzata, fondato sui dati della scienza. Se questo processo, come è effettivamente possibile, si svilupperà e darà frutti, ciò comporterà l’innalzamento su un piano superiore delle apparizioni della cultura e dello spirito. Finora infatti nel nostro pianeta non si è mai dato il caso di un’autoanalisi riflessiva della cultura umana. Le nostre conoscenze scientifiche hanno appena scalfito la superficie della sua complessa totalità. Il nostro sapere sta in una relazione con la nostra ignoranza che, per essere espressa, richiederebbe l’uso di cifre astronomiche. Eppure credo che l’uomo, come specie, si trovi a una svolta della sua storia, e che già ora sussista potenzialmente la possibilità di procedere verso un imprevedibile sviluppo superiore dell’umanità. Konrad Lorenz Introduzione Nel volume Fede e ragione scientifica abbiamo analizzato gli insuperabili limiti strutturali del razionalismo scientifico. Qui analizziamo gli elementi positivi dell’attività scientifica, emergenti dalla riflessione metodologica, epistemologica, storica e filosofica del XX secolo. Essi richiedono un impegno interpretativo difficile e non privo di insidie, che affrontiamo spinti dalla speranza cristiana, che guarda con rispetto e amore la scienza, intesa come specifico settore del lavoro umano. Riletti nella giusta prospettiva e nel loro insieme, tali elementi positivi consentono una giusta speranza di poter sviluppare quell’umanesimo scientifico e cultura scientifica, finora irrealizzati. Tale compito è difficile, perché gli elementi positivi richiedono un lungo e difficile lavoro di approfondimento critico e di ricomposizione. Il presente volume cerca di sviluppare questo piano. Nei vari capitoli esaminiamo i nuovi approcci strutturali e sistemici alla finalità e alla complessità organizzata, emergenti in e da alcune scienze. Studiamo poi gli sviluppi di una conoscenza critica delle acquisizioni scientifiche, più rigorosa, immune da scetticismi e agnosticismi, aperta a tutte le domande pertinenti e capace di risposte veramente convincenti. Infine, esamineremo i risultati scientifici non come prodotti finali della ricerca, ma come itinerario umano, culturale e spirituale, con i suoi tentativi, fallimenti, insuccessi, errori, lacune e debolezze. Sono questi elementi, all’apparenza negativi, a consentire al pensiero scientifico di liberarsi da inveterati preconcetti e raggiungere sempre nuove comprensioni. Ricerca storica, epistemologia e riflessioni filosofiche hanno accumulato un materiale prezioso che può aiutare le nuove generazioni di operatori scientifici a non leggere più in modo fideistico i “prodotti finali della ricerca”, ma a ripensare sempre le proprie ricerche. Dovranno, quindi, ispirarsi alle precedenti esperienze, rielaborandole criticamente e creativamente. Una nuova rilettura di alcuni aspetti del popperiano “terzo mondo” (o “mondo tre”) e di altre proposte può offrire spunti di soluzione ai problemi tuttora aperti sulla coerenza, continuità e discontinuità delle acquisizioni e scoperte scientifiche. Capitolo 1° Strutture, sistemi, logiche. Per una nuova mentalità scientifica Sommario: Strutture strutturalismo, scienze. – Teoria generale dei sistemi. – Conseguenze e applicazioni. – Mutamenti nelle nuove logiche. – Riflessioni conclusive. Alcuni secoli di attività scientifica hanno mostrato che gli approcci riduttivi (riduttivismo o riduzionismo) non possono attingere le specificità di ciò che è complesso e sistemico. Di qui lo sforzo per elaborare modelli e teorie capaci di studiare la complessità organizzata, le strutture e i sistemi, senza alcun riduttivismo. Strutture, strutturalismo, scienze Dello strutturalismo esponiamo solo gli aspetti riguardanti le scienze. Esso fu definito un: “movimento culturale che considera tutte le manifestazioni della vita umana – linguaggio, atteggiamento di pensiero, comportamento morale, politico, religioso, arte, filosofia, diritto, letteratura, ecc., quali espressioni di una struttura inconscia, preriflessiva e collettiva, determinabile secondo rigorose leggi scientifiche; che è tuttora oggetto di vive discussioni non essendo chiaro se rappresenti un metodo di indagine particolarmente adatto per le scienze umane o una spiegazione totale della realtà”1. Nel secondo caso, potrebbe configurare vari modi di scientismo e positivismo naturalistico, incapaci di spiegare gli aspetti più elevati e profondi della vita umana (moralità, responsabilità, soggettività, dignità ecc.). J Piaget ne ha studiato gli aspetti filosofici e le possibilità di utilizzo scientifico, pervenendo alle seguenti conclusioni. Lo strutturalismo è valido come metodo scientifico, ma non come dottrina filosofica. È utile soprattutto nei coordinamenti interdisciplinari, potendo aiutare a superare alcuni limiti dello specialismo. Considerando le strutture non si vanifica il soggetto, poiché non esiste struttura se non vi è una costruzione. Lo strutturalismo, quindi: “è un metodo e non una dottrina, o, nella misura in cui diventa dottrinale, conduce a una molteplicità di dottrine” 2. Come metodo, poi, non contraddice gli altri, essendo aperto a dare e ricevere. Ciò costituisce un vantaggio, poiché la scienza avrà sempre bisogno di rimanere aperta e disponibile a ogni approccio originale e imprevisto. Questa è una legge fondamentale di metodologia scientifica, perché le negazioni, svalutazioni o limitazioni che alcuni suoi sostenitori hanno sollevato verso altri metodi: “corrisponderanno proprio ai punti cruciali in cui le antitesi sono sempre superate dalle nuove sintesi”3 Teoria generale dei sistemi Per Piaget il primo tentativo di strutturalismo si dovrebbe attribuire a L. von Bertalanffy4, che elaborò la teoria generale dei sistemi per affrontare la grande quantità di problemi complessi, articolati e non disgiungibili che la vita umana e ogni scienza devono affrontare. Infatti: “in tutti i settori della conoscenza siamo obbligasti a trattare con delle ‘complessità’ con degli ‘interi’, con dei ‘sistemi’. Questo significa un riordinamento di base nel pensiero scientifico”5. Proponeva, quindi: “una teoria non tanto dei sistemi di tipo più o meno speciale, ma dei principi universali che sono applicabili ai sistemi in generale. In questo senso postuliamo una nuova disciplina che chiamiamo Teoria generale dei sistemi, il cui oggetto di studio consiste nella formulazione e nella derivazione di quei principi che sono validi per i sistemi in generale”6. La scienza della totalità proposta da von Bertalanffy segue i seguenti criteri: 1) esiste una tendenza generale verso l’integrazione delle scienze naturali e sociali; 2) questa integrazione si centra sulla teoria generale dei sistemi; 3) costituisce uno strumento per una teoria esatta nei settori non fisici della scienza; 4) tende all’unità delle scienze mediante principi unificatori che attraversano verticalmente l’universo delle scienze particolari; 5) consente l’integrazione interna dell’educazione scientifica. Per Bertalanffy la teoria generale dei sistemi valorizza scientificamente uno dei concetti più avversati dagli operatori scientifici: la teleologia o finalità. Scrive al riguardo: “dovrebbe essere sottolineato il fatto che il comportamento teleologico diretto verso uno stato finale o un obiettivo caratteristico non costituisce affatto un qualcosa che si trova fuori dei limiti della scienza naturale, oppure un’errata concezione antropomorfica di processi che, di per se stessi, sarebbero accidentali e privi di direzioni privilegiate. Si tratta piuttosto di una forma di comportamento che può essere ben definita in termini scientifici e a proposito della quale riusciamo a indicare sia le condizioni necessarie che i meccanismi possibili”7. Valorizzando questi criteri la teoria generale dei sistemi è in grado di affrontare scientificamente e nell’ambito di modelli matematici questioni e nozioni quali: totalità, crescita, differenziazione, ordine gerarchico, ascendenza, controllo, competizione8. Il modello sistemico non è riduttivo ma prospettivo, per cui può facilitare l’impegno interdiscipliare e un’educazione di tipo integrante9. Conseguenze e applicazioni Von Bertalanffy indica anche alcune possibili applicazioni. Ciò che importa di più, tuttavia, è il suo auspicio di tipi di scienza diversi dall’attuale: “sono possibili tipi di scienza completamente diversi dal nostro; tipi di scienza che potrebbero rappresentare altri aspetti della realtà altrettanto bene, se non addirittura meglio di quanto non faccia la nostra cosiddetta immagine scientifica del mondo”10. Egli critica in particolare l’abitudine di porre ogni confronto in termini antagonisti: nero o bianco, bene o male, essere o divenire ecc. In fisica si hanno notervoli esempi di simili dicotomie, poi superate, fra moto e quiete, massa ed energia, onde e corpuscoli ecc. Ricorda perciò la coincidenza deggli opposti (coincidentia oppositorum) sottolineata da Nicola Cusano. Conclude quindi: “Il pensiero discorsivo rappresenta sempre un solo aspetto della realtà ultima (Dio nella terminologia di Cusano); esso non può mai esaurire la sua infinita molteplicità. Pertanto, la realtà ultima è una unità degli opposti; ogni asserzione vale soltanto da un certo punto di vista, ha solamente una validità relativa e deve essere integrata mediante asserzioni antitetiche legate ad altri punti di vista”11. Riassumendo il pensiero di Von Bertalanffy e della teoria generale dei sistemi, possiamo dire che, muovendo dai suoi propri principi, giunge ad una conclusione condivisa da altre prospettive. Essa conferma l’insuperabile relatività e parzialità di ogni approccio scientifico che può afferrare, nei casi migliori, lembi di descrizioni e raffigurazioni parziali delle realtà indagata, che è condizionata dagli apparati teorici, logici e strumentali, utilizzati in ogni ricerca. Mutamenti nelle nuove logiche Gli esperti notano che la logica ha assunto ormai grande ampiezza di significati: linguistica, scienza dei computers, scienze del linguaggio e dei segni, matematica ecc.12 Essa “si occupa delle strutture dell’argomentazione e del ragionamento dimostrativo, dei loro elementi, forme, criteri di validità e di correttezza e delle loro possibilità espressive”13. Dopo la grande fase di creatività del secolo XX, essa consente una riflessione approfondita sulle connessioni con gli altri saperi e sui propri fondamenti. Ci soffermeremo sui suoi rapporti con il pensiero e l’attività scientifica, di cui ha subito le vicissitudini, come ha subito l’egemonia di un certo pensiero filosofico. Caduti il positivismo e neopositivismo (positivismo logico), non si potè più sostenere che gli unici asserti sensati fossero quelli riguardanti fatti e scienze naturali, espressi in un rigoroso sistema logicoformale. Ormai si ammette che le scienze empiriche non possano proporsi come interpretazioni complete ed esaurienti della realtà. Il linguaggio scientifico e le conoscenze che esprime sono possibili solo in base a presupposti di ordine metafisico, sempre impliciti e presenti nella conoscenza scientifica, senza i quali la scienza sarebbe impossibile. Con essi, ogni sapere e conoscenza devono sempre misurarsi. Concetti come essere ed esistere precedono la scienza. Anche il progetto di limitare la conoscenza di tutta la realtà alle sole asserzioni di logica formale corrispondenti a oggetti misurabili e computabili, si è mostrato scientificamente inattuabile. Vi sono inoltre altri fatti a opporsi: a) ogni “sistema” capace di parlare del mondo reale non può “autofondarsi”; b) molti fatti indagati dalle scienze naturali sono “intrattabili” sotto l’aspetto puramente quantitativo. Questi problemi emersere chiaramente solo nel XX secolo, in seguito alla crisi del meccanicismo determinista e al riconoscimento dei fenomeni complessi matematicamente impredicibili. Un altro elemento, più filosofico, fu il superamento della riduzione della filosofia a logica e della logica a linguaggio. La filosofia analitica fallì i suoi obiettivi. Apparve chiara l’esigenza di un meta-linguaggio capace di superare l’autoreferenzialità del linguaggio stesso, di aprirsi alla sensatezza del problema dei fondamenti, alla necessità di legare il linguaggio e le sue istanze veritative all’uso dei concetti, alla vita e alla testimonianza. Infine, la teoria dei modelli, rivalutando le nozioni di analogia e di somiglianza, ha riacceso nella logica interessi che sembravano perduti14. Riflessioni conclusive. Quanto visto in questo capitolo mostra che lo strutturalismo e la teoria generale dei sistemi, riletti criticamente, confermano la necessità di superare il riduttivismo, insufficiente e inutile per l’analisi delle realtà complesse. Tale esigenza non è un residuo di mentalità prescientifica o ascientifica, primitiva od “oscurantista”, ma un aspetto rigoroso della ragione e ragionevolezza, prima ancora che della razionalità. La difesa a oltranza dei principi riduzionisti ha gettato un’ombra sull’attività scientifica e sulla validità dei metodi, per la loro pretesa di indagare le realtà complesse in base a schemi riduttivi e semplificatori. I mutamenti esaminati mostrano che è giusto chiedere all’attività scientifica di fare più e meglio di quanto la sua interpretazione moderna e ha consentito. Anche il rinnovamento della logica mostra possibilità che un secolo fa non erano ammesse. La realtà copre ambiti talmente vasti da consentire innumerevoli approcci e aperture. Ogni nuova apertura dinamica è un’occasione preziosa per la scienza, per la sua crescita umanistica e per la sua offerta di validi apporti alla cultura. 1 P. Valori, Strutturalismo, in Enciclopedia filosofica, Sansoni, Firenze, 1967, v. VI, col. 231. 2 J. Piaget, Lo strutturalismo, Il Saggiatore, Milano, 1974, p. 173. Ib., p. 174. 4 Ib., pp. 80-82. 5 L. von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi, Ili, Milano, 1971, p. 27. 6 Ib., p. 66. 7 Ib., p. 85. 8 Ib., p. 86. 9 Ib., p. 91. 10 Ib., p. 371. 11 Ib., p. 372. 12 Per i notevoli progressi intercorsi sull’argomento, questo paragrafo è stato profondamente aggiornato e rinnovato. Cf. G. Binotti, Logica, in Dizionario interdisciplinare di scienza e fede, I, 805-819. 13 Binotti, op. cit., p. 805. 14 Ib., pp. 816-817. 3 Capitolo 2° Le potenzialità umanistiche della scienza Sommario: Fondamenti antropologici della scienza. – Interazioni fra uomo e conoscenza scientifica. – Scienza come novità continua. – Scienza: autoscoperta e coscienza critica. – Approccio personale alla scienza. – Scienza: esigenza ontologica. – Nuovo modo di considerare la scienza. Nel capitolo precedente abbiamo accennato alle potenzialità dell’attività scientifica. In questo approfondiremo quelle umanistiche. Fondamenti antropologici della scienza E. Cantore è l’autore che ha elaborato maggiormente il tema. Cercando le cause della sua crescente influenza sull’uomo, considera la scienza come conoscenza sistematica della realtà osservabile, e come prodotto culturale dell’umanità, presa nel suo insieme1. In essa, il volere e il conoscere sono strutture primordiali, come nell’uomo. Di qui l’insopprimibile esigenza di osservare e conoscere, come momenti dell’osservazione del conoscibile e della conoscenza dell’osservabile. Se la forma sistematica sorse alquanto tardi, quella essenziale affonda le radici nei primordi umani. La scienza moderna iniziò la nuova forma che non si appagava più di mezzi rudimentali, logico-mentali o tecnico-strumentali, ma ne creava sistematicamente per le proprie finalità. Attuò, quindi, la simbiosi uomo-strumento, indicata da Koyré. Se tutti ammettono l’importanza di matematiche, logiche e tecniche progredite, pochi riconoscono la necessità degli altri saperi e forme di pensiero. A. N. Whitehead sottolineò l’importanza della teologia per la scienza, perché insegna a non aver paura della natura, ma a conoscerla e valorizzarla secondo il mandato biblico. L’annuncio cristiano, a sua volta, insiste sul valore della creazione e della redenzione del mondo. Nel suo insieme, la visione biblico-cristiana fece superare le idee di un mondo come divinità, demone, teatro di forze misteriose e mostruose. Essa proclama l’universo come cosmo, opera razionale, buona, ordinata e comprensibile. La creazione è opera di amore, bontà, bellezza, intelligenza e sapienza divina. Conoscerla è aprirsi all’ordine, all’intelligenza che finalizza al bene anche forze all’apparenza indomabili come la necessità, il caso e il caos. La visione biblico-cristiana consentì nuovi modi di pensare l’universo e la persona umana come: imago Dei, immagine e somiglianza di Dio. L’uomo è un essere spirituale, capace di creatività non solo nelle realtà materiali, come arti e tecniche, ma anche in quelle spirituali, culturali e in ogni campo del pensiero. L’attività scientifica è umana e culturale. Con essa l’uomo scopre e crea. La stessa parola inventare è significativa. La intendiamo come ideare, es-cogitare realizzare cose nuove2, ma il suo senso originario e le sue radici etimologiche esprimevano lo scoprire, il trovare qualcosa già preesistente. Un altro significato è concepire, ossia creare con la fantasia, che inserisce, nel concetto, il significato di pensiero creativo e creatività mentale. Per la scienza, il senso esatto di questa creatività è creare comprensione, plasmare il modo umano di comprendere, creare la comprensibilità delle cose: “capacità di produrre per mezzo dell’intelligenza e della volontà, qualcosa di nuovo prima inesistente. La scienza è veramente creativa, perché afferma, con la mente, la struttura della materia fino al punto di comprenderla e dominarla. Tale creatività si esprime nella scoperta scientifica. Questa è la produzione di qualcosa di nuovo prima inesistente. Infatti, prima della scoperta, il mondo osservabile è intellegibile, ma non afferrato come tale”3. Interazioni fra uomo e conoscenza scientifica Nell’uomo la percezione di aspetti e realtà mai notate, provoca sorpresa e stupore, ne sconvolge il quadro mentale, ne muta l’autocoscienza, provoca conclusioni impreviste. Confrontando la lenta gradualità della riflessione filosofica con la rapidità dell’acquisizione scientifica, comprendiamo perché le conoscenze scientifiche “rivoluzionino” i quadri mentali. Il ragionare filosofico matura lentamente e dall’interno la persona. La conoscenza scientifica, entra repentinamente dall’esterno nella persona non ancora disposta. Risultati e scoperte sono imprevisti e traumatici, perché fino al loro imporsi era possibile l’opposto. I grandi uomini di scienza si sentivano messi in discussione nella loro umanità. Confrontavano le loro scoperte con le proprie convinzioni filosofiche, etiche, religiose, culturali, sociali. Sentivano l’esigenza di coerenza. Pensavano alle conseguenze. Per Koyré la rivoluzione scientifica provoca una radicale mutazione intellettuale4. Per Cantore: “Galileo illumina il modo nuovo con cui lo scienziato viene a concepire la mente umana. Riflettendo sulla creatività della scienza, egli comprende la grandezza della mente, capace di dominare persino quella che sembra la testimonianza ineccepibile dei sensi”5. La scienza rivela la dignità dell’intelligenza umana. Mette in luce la vera modalità dell’osservare umano come vedere-pensando. Le scoperte scientifiche trasformano la persona: “ciò che costituisce l’uomo, infatti, non è solo la sua realtà fattuale, ma anche e soprattutto l’idea che egli si fa di se stesso e della sua posizione nella realtà. La scienza rinnova radicalmente tale idea”6. Scienza come novità continua Non tutto, però, è positivo. Popper e Kuhn indicano le conoscenze scientifiche come sempre: falsificabii o dimostrabili errate; soggette a invecchiare, morire, essere sostituite; congetturali, parziali e provvisorie. Lo stupore iniziale e il radicale mutamento intellettuale passano facilmente allo smarrimento e all’angoscia. Sono davvero conoscenze quelle che prima rivoluzionano, poi si contraddicono, infine declinano? Dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo giungono traumi da novità per conoscenze non durature, effimere, che demoliscono, in tempi sempre più brevi, comprensioni e convinzioni e disgregano ogni quadro culturale e umano. J. Wren-Lewis ha sottolineato i disagi, sofferenze e angosce provocati dal senso di dissoluzione del cosmo e i traumi socioculturali che ne derivano7. Tale dissoluzione sradica l’uomo e lo getta in un mondo a pezzi, privo di senso e di armonia. “Sotto la pressione crescente di tale mutabilità, l’uomo vive in uno stato ininterrotto di schock culturale”. Ogni nuova scoperta scientifica aggrava lo sconvolgimento prodotto dalle precedenti8. La “persona ha l’impressione che tutto crolli, che la realtà abbia perduto ogni senso”9. L’astronomo Shapley nota che, scosso dalle dimensioni crescenti di un universo in espansione: “l’uomo diventa periferico tra i miliardi di stelle della sua Via Lattea; e secondo le rivelazioni della paleontologia e geochimica, si scopre come una manifestazione recente, forse effimera, nello svolgersi del tempo cosmico”10. È la stessa angoscia che tormentò J. Monod al culmine di fama e successo: l’uomo che scopre “la sua completa solitudine, la sua assoluta stranezza. Egli ora sa che, come uno zingaro, si trova ai margini dell’universo in cui deve vivere. Universo sordo alla sua musica, indifferente alle sue speranze, alle sue sofferenze, ai suoi crimini”11. Per sopravvivere a tale angoscia B. F. Skinner propone di condizionare totalmente l’uomo12. Questi sconvolgenti timori, preoccupazioni e angoscie, colpiscono soprattutto scientisti, non credenti, esponenti della laicità e secolarità radicale, impregnati di fideismo e dogmatismi: progresso inarrestabile, evoluzione incontenibile, ecc. Religioni e buona filosofia, invece, sottolineando la condizione precaria dell’uomo, la sua fragilità, limiti, transitorietà e contingenza, lo proteggono da queste illusioni fittizie. Le angosce dericanti dallo scientismo confermano l’importanza delle convinzioni etiche e religiose, antichissime e tuttora attuali. L’uomo moderno s’illuse che le certezze scientifiche gli avrebbero dato tranquillità e le tecniche il paradiso in terra. Divennero, invece, il suo autoaffrontamento e la sua coscienza critica. Scienza: autoscoperta e coscienza critica Scienze e tecniche hanno messo in crisi l’uomo autosufficiente, infranto le certezze provvisorie, disturbato il sonno dogmatico, rimosso il torpore mentale e culturale. Hanno imposto il problema della sua identità, impedendogli di nascondersene la complessità. Le acquisizioni scientifiche sempre nuove gli ripropongono interrogativi sempre più pressanti e urgenti, L’uomo scientifico è provocato dal ritorno delle esigenze etiche e dell’esperienza religiosa. Alle scienze chiedeva certezze assolute. Ne ha ricevuto provocazioni spietate e perentorie. Deve esaminarsi, interrogarsi e rispondere alla scienza, divenuta parte della sua stessa persona e natura: “la scienza è l’uomo”, è la “manifestazione essenziale e inalienabile della sua umanità”13. La crisi, quindi, non è della scienza o nella scienza, ma dell’uomo e nell’uomo. Cantore conclude perciò: “La causa ultima della crisi non si deve cercare nella scienza, ma nell’uomo. La scienza è autoscoperta dell’uomo proprio in quanto mette l’uomo di fronte a se stesso, in un modo nuovo e inaspettasto. Ecco perché introduce una crisi di identità. Istintivamente l’uomo teme di affrontare se stesso. Ha paura dello sforzo richiesto dalla sua umanizzazione. Perciò è comprensibile che l’uomo dell’era scientifica si senta non solo sconvolto, ma cerchi soluzioni di compromesso, davanti al problema che è lui stesso e che la scienza semplicemente mette in rilievo. Così si comprende pure perché la scienza divida tanto profondamente gli uomini fra loro. Alcuni la esaltano come salvatrice dell’umanità, altri la condannano come distruggitrice. In entrambi i casi l’uomo cerca un alibi che lo dispensi dall’affrontare se stesso”14. La scienza non è solo questione di tecniche, metodi, impostazioni epistemologiche, ma del modo di porsi davanti alla realtà, alla vita, a se stessi e alle proprie responsabilità. Ciò non riguarda solo gli operatori tecnoscientifici ma ogni persona. Approccio personale alla scienza Come affrontare questi problemi? Cantore propone di considerare i settori: 1) della conoscenza o espitemologico e gnoseologico; 2) della realtà, o natura, cosmo e uomo od ontologico: 3) della responsabilità o azione pratica ed eticomorale. Si dovrebbe aggiungere anche il settore religioso e teologico. Per il primo settore, il messaggio della scienza mostra il valore dell’equilibrio fra creatività e dipendenza. Su questo, però, uomini di scienza ed epistemologi sono molto divisi. Alcuni, esagerando la creatività, giudicano la scienza una costruzione mentale puramente umana, senza rapporto con la realtà. Altri sostengono la specularità della conoscenza scientifica e la sua capacità di rappresentazioni fedeli e adeguate. Tali posizioni estreme sono insostenibili, mentre quelle moderate presentano una parte di verità. La scienza è creativa nel manifestare relazioni prima sconosciute, che mostrano la realtà in modi nuovi e la fanno pensare in forme diverse. La vera creatività rivela nuove dimensioni e aspetti della realtà e la fa pensare in modi nuovi. Oggi, più che i ritultati interessano i modi di conseguirli: “La scienza è creazione nel senso letterale della parola, perché è un’attività che produce una realtà del tutto nuova, mai esistita precedentemente. Infatti, se è vero che lo scienziato studia oggetti che esistono indipendentemente da lui, non è meno vero che la conoscenza di tali oggetti è assente dalla realtà umana, finché lo scienziato non interviene con il potere della sua intelligenza”15. Creatività, quindi, non assoluta, ma come intelligibilità dei dati che la precedono, cui mantenersi fedele e da non manipolare o dominare ad arbitrio. Scienza: esigenza ontologica I dati scientifici non sono entità puramente materiali o fattuali, ma realtà complesse, composte anche di sensi e significati. Le realtà abituali, ritenute insignificanti, allo sguardo scientifico svelano inesauribili ricchezze strutturali e concentrazioni d’intelligenza. In natura vi sono strutture logiche e intelligenti, altrimenti la scienza sarebbe impossibile. Gli strumenti costruiti per indagare macro e micro realtà non smettono di svelare strutture complesse, che uniscono razionalità e bellezza. Il vero uomo di scienza è “fortemente impressionato dall’universalità e sovrabbondanza dell’intelliggibilità della natura, di cui ogni scoperta costituisce un modesto frammento”16. Questo atteggiamento, nei massimi geni (Galileo, Newton, Einstein, Bohr, Heisenberg ecc.), è sempre unito a un profondo senso religioso. Per tutti gli operatori scientifici, un atteggiamento corretto di fronte alla verità è anche una fondamentale esigenza etica, che richiede la consapevolezza delle proprie possibilità e limiti. L’esigenza etica è aumentata dalla simbiosi scienza-tecnica (tecnoscienza). Stabilire ciò che deve essere e ciò che è bene o male non spetta alla scienza, ma all’etica, perché l’attività scientifica, come ogni altra, sottostà alle esigenze etico-morali. Nuovo modo di considerare la scienza L’attività scientifica coinvolge l’uomo in un’esperienza cognitiva e operativa molto intensa, sulla quale deve sempre riflettere. Tale approccio esperienziale e riflessivo consiste nel dare all’uomo nuove percezioni o sensibilità: di se stesso come conoscente; del significato della realtà; dei valori morali17. Questa comprensione supera i puri aspetti metodologici, positivi, formali, logici, matematici ecc., coinvolgendo i valori umanistici e culturali: “la scienza umanizza l’uomo, perché lo stimola a vivere in modo consono alla sua dignità intellettuale rispetto al mondo osservabile. Ciò che giustifica l’esistenza della scienza è il rifiuto di accettare questo mondo come imposizione, come qualcosa di ovvio e ineluttabile, di ‘naturale’ nel senso di incomprensibile e da accettare con passività rassegnata”18. Lo scienziato penetra nell’intelligibilità per fare emergere l’intelligenza e la razionalità presenti nelle realtà all’apparenza più banali. Questo aspetto profondo della sua attività lo preserva dal fermarsi agli aspetti immediati e superficiali. In definitiva la scienza è un’inesauribile ricerca d’intelligibilità oltre e contro ogni apparenza. Per questo suo carattere, epistemologi e filosofi paragonano l’attività scientifica all’impegno religioso. Su ciò ritorneremo. Qui ricordiamo due significative testimonianze: “l’uomo coerente con lo spirito della scienza si pone, spesso con simpatia, il problema del significato religioso della realtà. Anzi si può dire che la scienza, se assimilata attraverso la riflessione, inclina in qualche modo all’esperienza religiosa. Non c’è dubbio, quindi, che per molti grandi scienziati, da Galileo in poi, la scienza è stata l’avvio di un’esperienza religiosa originale. Uno dei sostenitori più decisi di questa apertura trascendentale è stato Einstein”19. Di qui l’affermazione: “l’esperienza più bella e più profonda che l’uomo può avere è il senso del mistero. Questo costituisce il fondamento della religione e di ogni altra tendenza profonda nell’arte e nella scienza”20. L’esigenza etica e la dimensione religiosa rendono autentico il ricercatore, che integra l’esperienza scientifica con quella umana, più ampia e profonda. Il primo carattere dell’umanesimo è la totalita o capacità di abbracciare tutto l’uomo in un’armonia globale tendente all’unità. Armonia aperta al dinamismo della vita e della conoscenza e orientata a valori e convizioni obbliganti21. Le implicazioni umanistiche e i valori della scienza possono affiorare solo nell’incontro con la filosofia e gli altri saperi, nella riflessione antropologica, metafisica e ontologica. Solo questa indica come parlare dell’intelligibilità del mondo osservabile e delle sue implicazioni. Infine, la riflessione etica chiarisce i rapporti fra l’attività scientifica e i valori umani, etici e sociali. In questo contesto appare il contributo dell’attività scientifica alla vita umana. La scienza, mantenendosi consapevole che le realtà che non conosciamo sono innumerevoli, immense, importanti, crescono a ogni acquisizione, può aprirsi all’ulteriore. Questo può significare anche trascendeza della verità e verità della trascendenza. Questo argomento invita tutti i saperi a la ricerca e la riflessione. 1 E. Cantore, La scienza e l’uomo. Significato della crisi umanistica contemporanea, in La Civiltà cattolica, 125 (1974) v. IV, 112-113. 2 Dizionario Garzanti della lingua italiana, Garzanti, Milano, 1966, p. 895. 3 Cantore, op. cit., 114. 4 A. Koyré, Metaphysics and Measurement. Essays in Scientific Revolution, Chapman and Hall, London, 1968, p. 16. 5 Cantore, op. cit., 116. 6 Ib., p. 119. 7 G. Gismondi, Critica ed etica nella ricerca scientifica, Marietti, Torino, 1978, pp. 93-124; Id., Fede e ragione scientifica, Ipag, Rovigo, 1980, pp. 216-220. 8 G. Gorer, A. Storr, J. Wren-Lewis, P. Lomas, Psychoanalysis observed, tr. it. Feltrinelli, Milano, 1971, pp. 70 ss.; Cantore, op. cit., p. 123. 9 Cantore, ib., p. 122. 10 H. Shapley, Of Stars and Men, Washingotn Square Press, New York, 1960, p. 98. 11 J. Monod, Il caso e la necessità, Mondadori, Milano, 1972, pp. 138, 143. 12 B.F. Skinner, Beyond Freedom and Dignity, Knopf, New, York, 1971. 13 Cantore, op. cit., p. 129. 14 Ib. 15 E, Cantore, Umanesimo scientifico: segni e principi di una nuova sintesi, in Coscienza XXVII (1974), n. 5, p. 92. 16 Ib., p. 93. 17 E. Cantore, Per una integrazione umanizzante tra scienza e uomo, in La Civiltà Cattolica, 125 (1974), v. IV, 325. 18 Ib., p. 328. 19 Ib., p. 329. 20 M. von Laue, History of Physics, New York Academic Press, New York, 1950, p. 4; F. Herneck. Albert Einstein gesprochenes Glaubensbekenntnis, in Die Naturwissenschaften, 53 (1966), p. 198, 21 Cantore, Per un’integrazione…, op, cit., pp. 323-324. Capitolo 3° Conoscenze scientifiche: valorizzazione umanistica e culturale Sommario: Popper: terzo mondo, oggettività del pensiero scientifico. Pensiero scientifico e sintesi umanistica: Popper e Kuhn. - Rilettura umanistica dei dati scientifici. - Scienza ed esperienza della finitezza. In Epistemologia, razionalità e libertà, Poppper ha diviso in tre categorie tutte le realtà esistenti: oggetti e stati materiali o fisici; stati di coscienza delle persone; contenuti oggettivi del pensiero. Ha chiamato “terzo mondo” o “mondo tre” la terza categoria, sulla quale focalizza l’attenzione, come insieme di teorie, idee, ipotesi e concetti formulati nel mondo scientifico e accumulati nel corso del tempo1. Popper: terzo mondo, oggettività del pensiero scientifico In essa si accumulano tutti i contenuti delle pubblicazioni (relazioni, atti, riviste, libri ecc.) che riguardano teorie scientifiche, ipotesi, problemi, argomentazioni, critiche ecc. Per Popper tutto ciò è una realtà che chiunque può esaminare, rielaborare, utilizzare, a prescindere dalle intenzioni degli autori. Tali contenuti fruiscono di un’esistenza indipendente, alla quale sono interessate l’epistemologia e la storia della scienza. Giudica irrilevante lo studio dei processi e fenomeni soggettivi della conoscenza (mondo primo), ma importante al massimo lo studio delle descrizioni dei problemi scientifici, delle congetture, ipotesi, teorie, discussioni, argomentazioni, osservazioni, esperimenti e loro valutazioni (mondo tre)2. Come esempio del mondo tre, Popper indica il libro, che contiene conoscenza reale e oggettiva, sia essa vera o falsa, utile o inutile. Ciò che ne fa un libro è la sua possibilità di essere studiato, interpretato e compreso. Per chiarire ulteriormente il suo pensiero, Popper prende l’esempio dei numeri pari e dispari e dei numeri primi della matematica, di cui scrive: “la distinzione fra numeri pari e numeri dispari non è creata da noi, è piuttosto una non-intenzionale e inevitabile conseguenza della nostra creazione”. Dei numeri primi scrive che: “ovviamente, sono in maniera analoga, fatti autonomi non intenzionali ed oggettivi e nel loro caso ci sono molti fatti da scoprire”. Espone, poi, la congettura di Goldbach, commentando: “tali congetture, quantunque riguardino indirettamente gli oggetti della nostra creazione, si riferiscono a problemi che, in un modo o nell’altro, sono emersi dalla nostra creazione e che non possiamo controllare o influenzare: si tratta, per così dire, di fatti ostinati, e la verità su essi è spesso difficile da scoprire”3. Il lavoro della scienza, quindi, avviene mediante continui errori e incessanti sforzi per eliminarli. Da questo lavoro scaturiscono gli elementi inattesi e nuovi, che costituiscono l’accumulo oggettivo del terzo mondo4. Pensiero scientifico e sintesi umanistica: Popper e Kuhn Per Popper la scienza non muove da dati o fatti, ma da teorie, che consentono di leggere i dati e interpretare fatti, passando dai problemi vecchi a quelli nuovi. Questo processo d’invenzione e selezione contiene una teoria razionale dell’emergenza: “I passi di simile emergere, che conducono a un livello nuovo, sono in primo luogo i problemi nuovi creati dall’eliminazione dell’errore di una soluzione teoretica provvisoria di un vecchio problema”5. Questa posizione consentirebbe di rispondere alla domanda su come utilizzare i risultati della ricerca scientifica, la cui variabilità e provvisorietà impediscono il processo organico di accumulo. La risposta di Popper è: l’unico accumulo possibile è quello degli elementi che costituiscono il terzo mondo. Indica anche il modo di tale accumulo. Il mondo tre della conoscenza oggettiva esiste in modo autonomo. Esso genera i suoi problemi e l’influsso che esercita su di noi è assai maggiore di quello che noi posssiamo esercitare su di esso6. Aggiunge pertanto che ogni cosa dipende dal reciproco rapporto tra noi stessi e la nostra opera, dal prodotto con cui noi contribuiamo al terzo mondo e dal costante feedback che può venire aumentato ad opera dell’autocritica consapevole7. In questi scambi e interazioni fra noi, le nostre azioni e i risultati, noi trascendiamo noi stessi e i nostri talenti e qualità. Tale autotrascendenza è il più straordinario e importante fatto della nostra vita8. Noi trascendiamo il nostro ambiente spazio-temporale mediante la critica immaginativa, escogitando situazioni nuove, al di là della nostra esperienza. La vita, infatti, è soluzione di problemi e scoperta di nuove possibilità. Dobbiamo, quindi, dominare selettivamente ciò che abbiamo prodotto, mediante selezioni più che ripetizioni. Kuhn rafforza le critiche di Popper, rilevando che l’immagine di scienza presentata dai manuali scientifici è distorta. È come conoscere la cultura di una grande nazione, leggendone gli opuscoli turistici9. Sulle concezioni scientifiche passate e presenti, pronuncia il seguente giudizio, che è anche un criterio: “le concezioni della natura che si erano affermate nel passato non [sono], nel loro insieme, né meno scientifiche né il prodotto di idiosincrasie umane più di quanto lo siano quelle di moda oggi … Se queste credenze fuori moda si devono chiamare miti, allora i miti possono essere prodotti dallo stesso genere di metodi e sostenuti per lo stesso genere di ragioni che oggi guidano la ricerca scientifica. Se, d’altra parte, meritano nome di scienza, allora la scienza ha incluso complessi di credenze abbastanza incompatibili con quelle che sosteniamo oggi”10. Ciò perché ogni nuova teoria o scoperta rivoluziona non solo la teoria precedente, ma anche metodi, criteri, dati e interpretazioni. Rivoluzionare significa sconvolgere, provocare mutamenti quantitativi e, ancor più, qualitativi11. Quanto Popper scrive sul “terzo mondo” può essere corretto e completato da Kuhn e Piaget, che invitano a riflettere sulla componente storico-culturale (Kuhn) e genetica (Piaget) di ogni teoria, ipotesi, scoperta e conoscenza. Su questa riflessione più ampia si deve innestare quella ancora più ampia riguardante i risvolti culturali e umanistici, ossia umani, etici, spirituali, religiosi e teologici. Rilettura umanistica dei dati scientifici Questa riflessione ampia risponde all’esigenza di accertare, non più l’aderenza alla realtà delle asserzioni scientifiche, bensì la loro significatività in quanto pensate, ipotizzate, teorizzate, verificate, criticate e accettate o respinte, in un determinato constesto storico-culturale, umano e scientifico. L’impatto sulle persone e la cultura, infatti, è dato dal significato che nasce dal confronto fra la nuova conoscenza, la sua interpretazione e la conoscenza precedente e la sua interpretazione. Al riguardo, Cantore ha raccolto esperienze e testimonianze dei maggiori scienziati e filosofi della scienza (Galilei, Newton, Einstein, Heisenberg, Bohr, Max von Laue, Claude Bernard e altri), giungendo alla conclusione che: “si delinea chiaramente il procedimento da seguire per integrare la scienza in un umanesimo rinnovato. Una volta che ci si è resi conto dell’apporto esperienziale che la scienza dà alla comprensione del’uomo e della realtà, è necessario sforzarsi di comprendere criticamente e sistematicamente il messaggio. In questo senso abbiamo parlato di interiorizzazione assimilatrice. Possiamo dire che questo processo non implica altro che una coerenza teorica. Bisogna avere il coraggio di essere coerenti nella ricerca del significato e perciò non arrestarsi in tale ricerca, finché si è arrivati ad una visione veramente persuasiva”12. Questa riflessione, da episodica e dei grandi scienziati, deve divenire abituale, sistematica per tutti i rappresentanti dei diversi saperi. Scienza ed esperienza della finitezza. Per Prini, anche il pensiero teologico può offrire utili elementi alla cultura e all’umanesimo scientifico. Lo sottolinea in base a una prospettiva filosofica: “Oggi la teologia negativa sta ricevendo, dal punto di maturità critica cui è giunta la scienza moderna, un appoggio insperato. La scienza moderna è, in fin dei conti, la filosofia del nostro tempo, nella misura in cui si pone come tipo di sapere non assoluto o perentorio ma probabile, verificabile, continuamente rivedibile, e dunque presuppone e implica una vera e propria filosofia della finitezza”13. Occorre aiutare il pensiero scientifico a valorizzare sempre più questa maturità critica, superando l’eccessiva perentorietà dogmatica di molti uomini di scienza. La falsificabilità, o se si preferisce, la rivedibilità, è strumento di perenne apertura. Umanesimo e cultura sono sempre impediti da sentenze perentorie e irreformabili (scientismo, positivismo, materialismo ecc.). Per attuare una autentica vocazione di ricerca, l’attività scientifica deve riconoscersi espressione di finitezza, di imperfezione ineliminabile, di aporetica insuperabile. In questo modo, può divenire una protagonista del dialogo culturale e umanistico fra i vari saperi, compresa la teologia. Al riguardo, aggiunge Prini, riferendosi ad alcune grandi filosofie: “Questa filosofia, che si esplicita nella scienza, è l’unica filosofia, l’unica concezione del mondo, in cui è lasciato uno spazio al Sacro, per la rivelazione della sua trascendenza, quello spazio che non potevano lasciare alla religione autentica le grandi filosofie dell’immanenza da Spinoza a Hegel a Gentile. La fede non può instaurarsi se non in un mondo in cui il dubbio metafisico sia possibile, cioè in un mondo della finitezza”14. La teologia, infatti, è: “l’assunzione critica di questa insuperabile “finitezza” di tutte le nostre connotazioni del Sacro, di tutti i nostri modi di parlarne. Riconoscerlo non significa svuotare il senso del suo discorso, ma restituirglielo nella sua giustificazione più genuina”15. 1 K. R. Popper, Epistemologia, razionalità e libertà, Armando, Roma, 1972, p. 8. 2 Ib., pp. 9-15. 3 Ib., p. 23. 4 Ib., p. 27. 5 Ib., p. 56. 6 Ib., p. 57. 7 Ib., pp. 57-58. 8 Ib., p. 58. 9 T.S. Kuhn, La struttura della rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1969, p. 20. 10 Ib., pp. 20-21, 22. 11 Ib., p. 26. 12 E. Cantore, Per una integrazione umanizzante tra scienza e uomo, in La Civiltà Cattolica, 125 (1974), 334-335. 13 P. Prini, Editoriale, in D. Antiseri, Filosofia analitica e semantica del linguaggio religioso, Queriniana, Brescia, 1970, p. 12. 14 Ib. 15 Ib. Capitolo 4° Scientismo, materialismo, epistemologia analitica Sommario: Materialismo e scientismo: le basi. – Postulato d’esenzione e criterio di demarcazione. – Teorie di fondo: portata informativa e rilevanza scientifica Materialismo e scientismo: le basi Alla metà del secolo XX E. Benvenuto indicò il discorso sul materialismo come ascientifico, filosofico, nato dal presupposto, criticamente insostenibile, del “postulato d’esenzione”1. Tale postulato vieta al discorso scientifico d’interessarsi ai propri presupposti (discorso iniziale) e alla propria espressione o comunicazione (discorso attuale), per limitarsi esclusivamente al proprio oggetto. Eliminati i due metadiscorsi, e i problemi che ne derivano, si occupa solo della propria utilità ed efficacia pratica. Le conseguenze negative di questa esclusione emergono quando ci si dimentica che essa è una scelta puramente metodologica e se ne fa una pretesa globale e un comportamento generalizzato. Questi errori e negazioni fanno proclamare l’illegittimità, insignificanza o addirittura inesistenza del metadiscorso, che fonda la stessa scienza. L’abuso del presupposto porta necessariamente a conclusioni materialiste e scientiste. Le conseguenze peggiori, a livello culturale e umanistico, emergono quando si pretende di spiegare il significato delle nuove conoscenze e “scoperte” nel nome della scienza. Se si prescinde dal metadiscorso, ogni equivoco, fraintendimento e mistificazione diventa possibile, senza rendersene conto. Tuttavia, il continuo succedersi di fatti, esperienze, ipotesi, teorie, ecc., non ordinabili in sintesi significative, degrada l’esistenza umana a un groviglio di relazioni impenetrabili, prive di senso e inesplicabili. Eliminando ogni discorso previo, e limitando tutto al discorso oggettivo, la scienza non ha più nulla di significativo da dire. Interrogativi come, “chi è l’uomo? che senso ha l’esistenza umana?” non hanno più risposta, o meglio, non hanno più senso. La persona umana, però, per quanto condizionata dalle idologie e dallo scientismo, non può mai fare a meno di questi interrogativi ultimi. Alcuni scientisti tentano di ridurli, ossia a farli rientrare negli angusti limiti del discorso oggetto, puramente scientifico, eliminando ogni “di più” come residuo extrascientifico. Così facendo, però, ottengono risposte che non soddisfano le esigenze specifiche del discorso-iniziale. L’umo intelligente, tuttavia, si rende conto che: “l’immagine del mondo che allora si diffonde è rozza, senza volto, priva delle sue parti essenziali: ma è pure un’immagine alla quale non possiamo sottrarci, perché costituisce il sottofondo inespresso del nostro pensare e agire”2. Tutto questo indica che, alla base del materialismo, non vi è la scienza ma una sua interpretazione scorretta e insostenibile. Il presupposto fondamentale del materialismo e dello scientismo è lo stesso: limitare la descrizione della realtà al solo discorso oggetto, senza risalire al metadiscorso. Postulato d’esenzione e criterio di demarcazione Il postulato d’esenzione consiste, quindi nell’imprigionare tutto il significato del discorso nel discorso-oggetto, senza mai controllare i presupposti sui quali esso si fonda. In questo modo ci si barrica in una regione protetta, privilegiata, sottratta ad ogni verifica, per godersi la propria pseudo-infallibilità. I dogmatismi materialisti-scientisti possono sopravvivere solo in tale area inespugnabile che, però, riduce la scienza a dottrina chiusa, impenetrabile alla realtà e ideologica3. Anche: “i risultati delle scienze, ma più ancora il loro modo di trattare la realtà vengono esagerati e si trasformano da ipotesi in assiomi, da teoremi in principi”4. Il postulato di esenzione, da criterio epistemologico, assurge a illegittimo dogmatismo metafisico. Simile operazione, comunque, è di ordine filosofico e non scientifico. La sua prima vittima è proprio la scienza che, se non riesce a liberarsene, ne viene irreparabilmente compromessa. La via d’uscita da questo dilemma viene dal succedersi delle domande che ogni acquisizione e la stessa attività scientifica sollevano incessantemente dal loro interno, senza potervi rispondere. I tentativi di “addomesticarle” o ridurle, per poterle rinchiudere nel discorso oggetto, falliscono. Lo stesso avviene dei tentativi di considerarle prive di senso. La necessità di elaborare un’immagine globale, onnicomprensiva della realtà, carica di spessore ontologico, permane, ma non compete alla scienza. Esula dai suoi programmi, perché ne supera le capacità. A questo punto diviene evidente che in forse sono non i discorsi significativi per la scienza ma i discorsi significativi della scienza. Come accertare, allora, se tali discorsi abbiano senso? Se si risponde: mediante un criterio di significanza, si solleva un altro problema: chi lo fonda? Se infatti lo fonda la scienza, è interno ad essa e ricade sotto le difficoltà già esaminate. Se è esterno alla scienza, è questa a dovervi soggiacere. Per uscire da questo dilemma si elaborò il criterio di demarcazione, che doveva delimitare le teorie empiriche da quelle non empiriche, prescindendo da ogni questione di senso. Il criterio di demarcazione più noto è quello di Popper, ma non risultò né risolutivo né soddisfacente. Ciò perché nel discorso scientifico non si possono privilegiare definitivamente né i contesti, né le teorie, né le spiegazioni e interpretazioni. Gli uni e le altre s’intrecciano, sovrappongono e richiamano, in un groviglio indistinguibile. L’esigenza di chiarire i rapporti fra teorie e contesto evidenziò le contraddizioni presenti nel discorso scientifico, in seguito al suo affidarsi ai criteri di falsificabilità, di demarcazione e al postulato d’esenzione. Divenne chiaro che se le confutazioni delle teorie non lasciassero residui, l’attività scientifica sarebbe impossibile, dovendo sempre ricominciare da capo, senza mai conseguire risultati stabili. Teorie di fondo: portata informativa e rilevanza scientifica Fortunatamente non è così. La scienza manifesta una struttura piramidale, nella quale alcune teorie sostengono le altre. I residui non confutabili, quindi, non sono mai privi di senso o di valore, ma formano il fondo sul quale poggiano successive teorie: “a ogni stadio della conoscenza scientifica, dunque, c’è un residuo non falsificabile, che è la condizione necessaria perché nuove teorie possano essere formulate, ed essere intese per quel che effettivamente vogliono dire”5. Negando la scientificità di tali proposizioni, crollerebbero anche le altre. La scienza si arricchisce mutando entrambi i termini della coppia teoria-contesto. Così interpretato, il criterio di Popper presenta maggior utilità. Il problema diviene, allora, decidere quale dei due elementi debba essere mutato. Un attento esame mostra, però, i termini del contesto che non si possono mutare, senza compromettere l’intelligibilità di tutto il discorso. Raggiunto questo punto, si nota che la costruzione del contesto di una teoria non può più essere arbitraria o convenzionale, ma deve definire il discorso iniziale. In altre parole, se nel contesto esistono termini che, qualora sconvolti, compromettono l’intelligibilità del discorso attuale, la discussione deve vertere proprio sul discorso attuale, superando il postulato d’esenzione. Vengono meno, così, anche i fondamenti del materialismo cosiddetto scientifico, ma in realtà scientista. La soluzione di questo problema consente anche quella di un altro, sollevato dalle critiche di Popper e di Kuhn all’interpretazione della conoscenza scientifica, come accumulo organico, ordinato e progressivo di conoscenze. Kuhn vi contrappose l’immagine della “baracca sgangherata” o della “città caotica” dove quartieri moderni e ordinati si uniscono e confondono con quelli vecchi e disordinati. Nessuna di tali visioni è giusta. L’idea di residuo non falsificabile, invece, consente di vedere la scienza come insieme articolato di teorie, alcune base delle altre, che costituiscono il fondamento sul quale costruire ogni successivo discorso scientifico o ulteriori teorie. È il residuo non falsificabile ad accumularsi e a consentire la formulazione di nuove teorie. Ciò significa che le cosiddette teorie di fondo hanno portata informativa e rilevanza scientifica. , 1 E. Benvenuto, Materialismo e pensiero scientifico, Tamburini, Milano, 1974. 2 Ib., p. 32. 3 Ib., pp. 35-36. 4 Ib., p. 46. 5 Ib., p. 94. Capitolo 5° Sviluppre la dialettica per superare il materialismo Sommario: Superare l’esclusione dell’uomo. – Dialettica come antimaterialismo. – Dialettica e principio trascendente. – Riflessioni conclusive. Nel capitolo quarto abbiamo esaminato l’insostenibilità del postulato d’esenzione, come divieto di parlare delle premesse del discorso scientifico. Esso, tuttavia, contiene anche un secondo divieto, egualmente insostenibile: non coinvolgere il soggetto all’interno del discorso scientifico. Superare l’esclusione dell’uomo G. Gusdorf, uno dei maggiori storici dei rapporti fra scienza e cultura, alla voce “Galiléenne (Revolution)”, dell’Encyclopaedia Universalis, concluse con un’affermazione che causò molti dibattiti. Addebitava a Galilei la fondazione di una scienza disumanizzata e disumanizzante, che considerava la realtà prescindendo dall’uomo: “La scienza galileiana è la scienza di un mondo senza l’uomo. L’universo si risolve in un insieme di oggetti di cui tutti i significati quantitativi sono stati centralizzati per meglio adattarsi alle esigenze dell’intelligibilità fisico-matematica. La verità dell’universo è indifferente alla realtà dell’uomo; questa dissociazione della verità e della realtà comporta uno sdoppiamento dell’essere umano, cittadino in spirito di un universo asettico, retto da norme rigorose ed impassibili, ma la cui anima deve proseguire la sua odissea in un mondo opaco e approssimativo dove gli imperativi della scienza perdono il loro senso. La rivoluzione galileiana sostituisce alla natura sensibile, offerta dall’esperienza spontanea, una natura idealizzata, assiomatizzata secondo l’ordine geometrico”1. Mentre Gusdorf usa il termine generale e generico di uomo, altri usano quello di osservatore. Non ci soffermiamo su questo aspetto, per passare a un problema più significativo, ossia l’affermazione che “il futuro della scienza si pone proprio nelle zone tradizionalmente escluse dal postulato d’esenzione”2. Per cui “del soggetto occorre parlare e verificare la coerenza di quello che egli dice, con le condizioni che devono essere soddisfatte, perché egli lo possa dire in modo attendibile e vero”3. Già Heisenberg aveva sottolineato che nella descrizione di un oggetto è sempre obbligatorio il rimando meta-teorico al modo in cui si attua l’osservazione di quell’oggetto. Whitehead aggiunse che: “Il ragionamento scientifico è completamente dominato dal presupposto che le funzioni mentali non fanno propriamente parte della natura. Di conseguenza, esso non considera tutti quegli antecedenti mentali che l’umanità abitualmente presuppone come efficaci nel guidare le funzioni cosmologiche. Questo procedimento è del tutto giustificabile in quanto metodo, purché ne riconosciamo i limiti impliciti”4. Dialettica come antimaterialismo Quanto al tentativo di fondere dialettica e materialismo, fu attuato dal pensiero marxista, che intendeva distinguersi da tutti gli altri materialismi: ingenuo, meccanicista, positivista, scientista ecc. che erano confutati dallo sviluppo delle scienze e dalla critica epistemologica. Anche lo studio più approfondito della dialettica, tuttavia, mostrò l’impossibilità di tale accostamento o, peggio ancora, fusione. Sichirollo ricorda come la prestigiosa “Società Francese di Filosofia”, in mezzo secolo di ricerche e di riflessioni, non potè venire a capo del problema: “mezzo secolo di evoluzione del pensiero scientifico e filosofico non ha permesso di giungere a un risultato tanto modesto come la definizione di un termine, di un concetto, da parte di chi professa discipline che in quel termine trovano una delle ragioni e sollecitazioni più profonde e che di quel concetto si servono nei modi più vari”5. Termine e concetto dei quali abusa il linguaggio dei media, rendendolo abcora più ambiguo ed equivoco. Gli stessi dizionari sono incerti se considerarlo come un sostantivo o un aggettivo6. L’orizzonte dei suoi significati è risultato ancora più sfuggente e inconcludente, soprattutto riguardo a la storia, la politica e la prassi. Quanto all’ambito scientifico non vi si è neppure pensato, salvo rare eccezioni. Abbagnano, dopo un’ampia rassegna storica e teoretica del termine, sottolinea i seguenti significati: 1) metodo della divisione in Platone; 2) logica del probabile in Aristotile; 3) logica; 4) sintesi degli opposti come passaggio da un opposto all’altro, o come conciliazione dei due oggetti, o concliazione come necessaria. Del n. 4), attualmente più diffuso, dice: “è anche il significato più screditato per essere stato usato come una formula magica che può giustificare tutto ciò che è accaduto nel passato e che si attende, o si spera che accada nell’avvenire”7. Poiché si tratta di un concetto privo di razionalità: “se della parola in questione si dovrà fare in futuro un uso scientificamente redditizio non sarà certo questo quarto significato a fornire le regole”8. Anche il giudizio del Dizionario critico di filosofia è molto severo: “Questa parola ha assunto accezioni così diverse, che si può servirsene utilmente solo se si indica con precisione in che senso vien presa. Anche dopo questa ricerca è ancora opportuno stare in guardia contro le associazioni improprie che si rischia di provocare”9. Dialettica e “principio trascendente” L’ulteriore riflessione ha portato non solo a confermare quanto finora indicato, ma anche a denunciare l’atteggiamento immanentistico inerente a questa posizione. Dopo un approfondito esame dell’intera problematica, G. Capone-Braga ha formulato le seguenti conclusioni: ogni ricorso alla dialettica, per rimanere coerente e non cadere nell’assurdo di far derivare l’assoluto dal relativo, postula necessariamente un principio trascendente. Di conseguenza, “si può alla fine della nostra espposizione, affermare che: 1) i principi della logica formale antica, prima forma di dialettica, sono usciti sani e salvi dalle tempeste dialettiche attraversate; 2) la dialettica, da funzione dello spirito ordinata al chiarimento e alla significazione della realtà, è divenuta struttura e legge della realtà; 3) nell’esistenzialismo essa assume un carattere anche più concreto per il legame tra esistenza e situazione, aprendosi alla fondazione di un realismo gnoseologico; 4) la dialettica, per non essere assurda e inintellegibile, assolutizzando il relativo, deve avere il suo fondamento in un principio trascendente”10. Benvenuto, affontando il problema a livello pre-filosofico, ha invitato gli uomini di scienza a vedere, nella mentalità scientifica oggi dominante, la proposta dialettica come “la risurrezione… di un intento speculativo profondo, capace di intaccare le false certezze che si fondano sul postulato di esenzione”. Precisa poi più esplicitamente: “Il punto sta qui: nel cogliere la dimensione ‘metateorica’ della dialettica, nel farle attraversare l’interezza del discorso, da quello attuale a quello oggetto; nel far sì che, come il principio di non contraddizione lascia solo una traccia banale e vuota di sé nel discorso oggetto, così anche la traccia assurda della dialettica che traspare dal senso comune rimandi a qualcosa di profondo e vero”11. Posta in questi termini e inquesto contesto, la dialettica appare un’apertura alla metafisica, nel senso più significativo e propositivo del termine. Riflessioni conclusive Nel secolo XX i progressi della ricerca scientifica, della storia delle scienze e della riflessione epistemologica hanno fornito una crescente documentazione al pensiero sulla scienza. Ciò ha consentito di sviluppare la riflessione critico-metodologica e filosofica su due fronti. Uno, interno alla scienza, centrato sulle più urgenti domande inerenti alla ricerca stessa. L’altro, esterno alla scienza, centrato sulla sua attendibilità, validità, veridicità, oggettività, neutralità, eticità, funzione euristica, gnoseologica, culturale, sociale, umana, politica, economica ecc. La crisi dei positivismi, gli sviluppi delle filosofie del lingaggio, la necessità di trovare regole sempre più precise e rigorose per la formulazione e l’interpretazione del linguaggio scientifico e i suoi rapporti con gli altri linguaggi, hanno prodotto riflessioni critiche inconfutabili. Esse evidenziano che la scienza, limitata dalle esigenze e regole interne del suo discorso, non può risolvere i suoi problemi essenziali, più significativi. I criteri, a una prima apparenza utili e fecondi, delle sue logiche parziali e delle sue metodologie, mostrano sempre più la necessità e urgenza di aprirsi a criteri e problemi più vasti e fondamentali. La riflessione critica, che offriva metodi sempre più precisi e raffinati di verifica e di espressione, ha dimostrato la necessità di collocare il suo discorso in contesti più ampi, ove vigono leggi, norme, esigenze maggiori e superiori, che la trascendono e la superano. La possibilità di dare attendibilità, senso e significato al suo discorso, si è mostrata sempre più dipendente dalla sua possibilità di collocarsi in ambiti più vasti di cultura, discorso e pensiero. I criteri che presiedono alla sua azione esigono fondamenti più solidi, profondi e convincenti. Le acquisizioni del XX secolo mostrano che la scienza non è fondante ma fondata, non solo dà, ma anche riceve norme. Il suo grado di credibilità e spazio di attendibilità dipendono e sono misurati dai gradi credibilità e spazi di attendibilità che le preesistono e la precedono. Essi sono dati dal discorso umano nella sua totalità, dall’esistenza, dall’esperienza umana nella sua globalità, dalla riflessione razionale nella sua completezza. Tali gradi e spazi sono di competenza degli altri saperi e discipline. La scienza non gode di alcuna autarchia in nessun campo, né cognitivo né pratico, perché è solo una componente dell’impegno umano, insieme a molte altre, con le quali deve collaborare e armonizzare. La validità dell’attività scientifica, quindi, dipende da molteplici e decisive premesse: meta-scientifiche, extra-scientifiche e pre-scientifiche, ma non viceversa. 1 G. Gusdorf, Galiléenne (Révolution), in Encyclopaedia Universalis, v. VII, 445. 2 E. Benvenuto, Maerialismo e pensiero scientifico, Tamburini, Milano, 1974, p. 195. 3 Ib., p. 227. 4 N. Whitehead, I modi del pensiero, Milano, 1972, p. 215. 5 L. Sichirollo, Dialettica, Isedi, Milano, 1973, p. 198. 6 Ib., p. 200. 7 N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Utet, Torino, 1968, p. 223. 8 Ib. 9 A. Lalande, Dizionario critico di filosofia, Isedi, Milano, 1971, p. 203. 10 G. Capone-Braga, Dialettica, in Enciclopedia filosofica, Sansoni, Firenze, 1967, v. II, col. 436. 11 E. Benvenuto, Materialismo e pensiero scientifico, Tamburini, Milano, 1974, pp. 142-143. Capitolo 6° Scienze umane: nuove prospettive metodologiche Sommario: Metodi, processi, prodotti, teorie. – Obbiettività delle scienze sociali. – Riflessioni conclusive. Lo sviluppo delle scienze umane e le riflessioni sul loro statuto scientifico, metodologico ed epistemologico hanno prodotto numerosi rinnovamenti nel pensiero delle scienze e sulle scienze. R. S. Rudner ne ha analizzati alcuni nella sua Filosofia delle scienze sociali1. Egli non intende affrontare i problemi generali di filosofia della scienza o quelli di maggiore ampiezza e rilievo, ma quelli specifici delle scienze sociali. Essi riguardano: la logica propria di ogni costruzione teorica nelle scienze sociali, la loro controllabilità e giustificazione2. Poiché questo gruppo di scienze viene indicato con i termini di scienze umane o di scienze sociali, possiamo considerarli sinonimi, benchè ciò non sia esattissimo. Tali scienze, nel loro aspetto più generale, studiano le espressioni della vita umana e sociale da un punto di vista umano e culturale, più che naturalistico. Metodi, processi, prodotti, teorie Rudner non approva le distinzioni fra scienze naturalistiche e umanosociali basate sulle diversità di metodo, perché ritiene il metodo sostanzialmente uguale per tutte le scienze. Sono le tecniche a differire profondamente, ossia gli strumenti che applicano il metodo alle varie discipline. La “logica della ricerca” è uguale per tutte. Nega quindi l’esistenza di una “logica delle scoperte”3. La sua attenzione si concentra, soprattutto, su aspetti meno considerati dall’epistemologia delle scienze naturalistiche, quali la distinzione fra processo e prodotto. Scienza come processo indica i fenomeni extralinguistici, mentre la scienza come prodotto riguarda le reatà linguistiche. Per le scienze sociali le teorie rivestono particolare importanza, come “insiemi di proposizioni interconnesse in modo sistematico, comprendenti alcune generalizzazioni, aventi forma di leggi e suscettibili di prova empirica”4. L’interconnessione sistematica sottolinea l’aspetto ordinato, articolato e coerente di un discorso che comprende spiegazioni e previsioni, collegate in forma deduttiva. Le teorie, infatti, esigono l’uso di sistemi deduttivi collegati, che costituiscono il “processo di formalizzazione”. Tale formalizzazione, però, non può essere realizzata adeguatamente neppure per le scienze sociali. Poiché una formalizzazione completa è quasi sempre irraggiungibile, gli epistemologi si chiedono se sia una buona strategia. Per Rudner “la schiacciante maggioranza delle teorie scientifiche esistenti, e in particolar modo delle teorie delle scienze sociali, non è, al momento, suscettibile di formalizzazioni complete, feconde e agevoli”5. Ciò perché mancano i criteri di base per procedere alle formalizzazioni e, ancor più, per definire i loro termini fondamentali. Questa difficoltà, più evidente nelle scienze sociali, si estende a tutte le scienze: “il dilemma è critico, non solo per i filosofi della scienza, ma per ogni scienziato che si occupi dell’accettabilità scientifica o della coerenza dei propri tentativi di costruire una teoria… Bisogna dire subito che tali problemi non sono peculiari della filosofia delle scienze sociali”6. Essi, infatti, mettono in rilievo limiti, carenze e difficoltà del metodo scientifico in generale. Sottolineano, soprattutto, che il difetto di formalizzazione rende difficile la definizione dei termini teorici fondamentali e che tale mancanza rende difficile la formalizzazione. Gli operatori scientifici, tuttavia, per operare devono decidere, per cui: “queste decisioni vengono prese, di necessità, in una maniera essenzialmente intuitiva e, quindi, ci troviamo di fronte a un aspetto del metodo scientifico, d’importanza non trascurabile, esso è in sé scientificamente incontrollato”7. Obbiettività delle scienze sociali Per chiarire il problema dell’obbiettività delle scienze sociali, Rudner muove dalle affermazioni di Einstein sulle scienze naturali, compreso il suo paragone fra “minestra e sua descrizione”. Poiché la funzione della scienza non è di riprodurre la realtà, essa non è manchevole se non raggiunge questo obbiettivo. Ciò che occorre, però, è chiarire il suo tipo di oggettività. Poiché le situazioni personali e sociali sono irripetibili, non è possibile ripeterle né accostarle. L’unica possibilità è quella del confronto metodologico. L’oggettività scientifica è tale confronto. La difficoltà deriva dal fatto che il metodo scientifico delle scienze sociali è meno obiettivo di quello delle scienze fisiche. Il criterio metodologico, quindi, si riduce al confronto come verifica della presenza o meno di arbitri, abusi o errori nella formazione e nell’uso del metodo scientifico. Il difetto maggiore della scienza, quindi, è l’ignoranza metodologica, che può sviare, confondere o bloccare malamente le ricerche8. L’ottimismo metodologico di Rudner non è condiviso da Gunnar Myrdal, per il quale l’oggettività metodologica è un traguardo lontano o irraggiungibile. Perr dimostrarlo elenca una serie di atteggiamenti metodologici quali: consapevolezza delle valutazioni che orientano le nostre ricerche; analisi della loro pertinenza, significanza, e operatività; trasformazione in premesse di valore specifiche per la ricerca; determinazione dell’approccio; definizione dei concetti in un insieme di premesse di valore esplicitamente enunciate9. L’applicazione di questi punti è molto difficile, come mostra la sua lunghissima esperienza di ricerca. Definisce perciò la scienza un “comune buon senso altamente elaborato” (p. 12). Ricorda poi che sugli uomini di scienza pesano credenze, opportunismi e distorsioni di ogni tipo. Pur professando “l’etica della ricerca del vero” ed allenandosi ad accogliere conclusioni opposte a quelle che si attendono, difficilmente riescono a liberarsi dei loro pregiudizi. Gunnar Myrdal propone criteri di stile e di metodo in seguito adottati dai sociologi della scienza, che considerano l’attività scientifica nella prospettiva degli atteggiamenti e comportamenti umani. Dapprima li utilizzarono solo gli operatori delle scienze umano-sociali, poi vi si interessarono anche gli operatori delle scienze fisico-naturali. Di qui l’elevato significato di questo passo: “una scienza sociale disinteressata non è mai esistita e logicamente non potrà mai esistere. L’unico modo in cui possiamo sforzarci di raggiungere una certa obbiettività è, a livello di analisi teoretica, quello di portare innanzitutto le valutazioni in piena luce, di renderle consce, esplicite, precise e di lasciare che siano esse a guidare l’impostazione della ricerca… Quel che mi preme ribadire in questa sede, è che le premesse di valore dovrebbero essere rese esplicite: ciò come condizione perché la ricerca possa davvero aspirare ad essere ‘oggettiva’ nell’unico senso che questo termine può avere per le scienze sociali”10. Queste asserzioni confermano la posizione di Myrdal, contraria a quelle di Rudner, anche riguardo all’importanza dei termini e del linguaggio. Questi, ammonisce, prima o poi si rivelano gravidi di implicazioni valutative. Ribadisce, perciò, che solo le valutazioni iniziali, implicite in ogni approccio scientifico, compresi quelli delle scienze naturali, devono trovare piena attenzione e valorizzazione e divenire il primo elemento di dialogo e confronto critico. Questa posizione trova conferma nella proposta di R. Boudon sul rapporto fra strutturalismo e scienze umane. Boudon ne sottolinea l’inadeguatezza come metodo in senso stretto del termine, ma ne indica l’utilità come “prospettiva generale” che “considera l’oggetto da analizzare come una totalità, cioè come un insieme di elementi interdipendenti di cui dimostrare la coerenza”11. Riflessioni conclusive L’esame delle esigenze delle scienze umano-sociali rappresenta un ulteriore approfondimento delle possibilità e dei limiti dell’attività scientifica. La loro metodologia, intesa in senso lato, non diferisce particolarmente dalle altre scienze. La differenza è invece notevole nei metodi intesi come tecniche. Lo studio dell’oggettività e della valutazioni, invece, capovolge alcune concezioni ritenute immutabili nel campo delle scienze naturali. L’aspetto più significativo è la dimostrazione che si può parlare di oggettività scientifica solo in termini di riconoscimento delle premesse iniziali che influiscono su tutta la ricerca. Essa comprende, infatti: ipotesi, teorie, logiche, discorsi, linguaggi ecc. Indica anche l’importanza di valutare criticamente le formalizzazioni, misurazioni e matematizzazioni. L’aspetto più importante, tuttavia, sembra la valorizzazione, per tutta l’attività scientifica, delle esigenze etiche e delle problematiche assiologiche e culturali della vita umana, così neglette nell’ambito della ricerca e dell’attività scientifica. Questi aspetti aprono concrete possibilità di confronto e di dialogo con gli altri saperi e possono preludere a una verifica estesa a tutte le scienze. 1 R.S. Rudner, Filosofia delle scienze sociali, Il Mulino, Bologna, 1968. 2 Ib., p. 16. 3 Ib., pp. 19-20. 4 Ib., p. 28. 5 Ib., p. 29. 6 Ib., pp. 46-47. 7 Ib., p. 91. 8 Ib., p. 175. 9 K. Gunnar Myrdal, L’obbiettività nelle scienze sociali, Einaudi, Torino, 1973, pp. 4-5. 10 Ib., p. 44. 11 R. Boudon, Strutturalismo e scienze umane, Einaudi, Torino, 1970, p. 176. Capitolo 7° Epistemologia, positivismo, scienze, filosofia Sommario: Epistemologia: vari sensi del termine. – Scoperte scientifiche e nuove epistemologie. – Approfondimenti delle epistemologie contemporanee. – Metafisica e tradizioni. – Scienza e senso comune. – Scienza e metafisica. – Epistemologia popperiana e metafisica. – Epistemologia, filosofia, trascendenza. – Riflessioni conclusive. Non ci soffermiamo sulle vicende storiche dell’epistemologia, ma esaminiamo alcuni suoi sviluppi più recenti, pertinenti al nostro tema. Epistemologia: vari sensi del termine F. Amerio nota che il termine, in senso etimologico e inteso come discorso intorno alla scienza assume significati molto diversi, da teoria generale della conoscenza a indagine critica sulla scienza. Inoltre, per i Tedeschi è una filosofia della natura, per gli Inglesi è una filosofia della scienza, per i Francesi è una filosofia delle scienze. Meno generico e più preciso appare il termine: logica delle scienze o anche: critica della scienza. In questo caso: “intendendosi per logica lo studio critico del conoscere, l’epistemologia vi rientra come una sua parte, quella appunto che si occupa del conoscere nella sua forma scientifica”1. Il positivismo individuò i problemi esorbitanti dalle scienze e contribuì a superarne i residui metaempirici e approssimativi. L’angustia delle sue premesse gnoseologiche, però, gli impedì di proporsi come forma di conoscenza universalmente valida. Inoltre, la sua falsa conoscenza ed errata comprensione della realtà scientifica, lo spinse a canonizzare il complesso delle teorie scientifiche di allora come vera e assoluta rappresentazione dell’universo e a definire la scienza positivistica come “scienza per eccellenza” o addirittura “verità”2. Tali pretese non potevano evitare un’adeguata reazione critica. Nella seconda metà del 1800, quindi, si analizzarono tali problemi. Nel 1874, E. Boutroux, in De la contingence des lois de la nature, contestò il determinismo delle leggi scientifiche, dimostrando che la contingenza si annida nel cuore stesso della scienza. Nel 1886, E. Mach, in Analysis der Empfindungen, e nel 1888, R. Avenarius, in Kritik der reinen Erfahrung, denunciarono le degenerazioni pseudo-metafisiche della scienza positivistica. Nel 1899, Le Roy, in Science et philosophie, indicò i dati e i fatti scientifici come creazioni arbitrarie degli scienziati. Nel 1906, P. Duhem, in La théorie physique, espose il carattere simbolico della scienza, senza escludere qualche rapporto fra simbolo e realtà. Poincarè considerò la scienza un convenzionalismo pragmatico moderato, che cerca più l’utilità e la comodità delle teorie che la loro verità. La filosofia angloamericana teorizzò il pragmatismo come sistema. Scoperte scientifiche e nuove epistemologie Anche numerose scoperte scientifiche (relatività delle concezioni e determinazioni spazio-temporali, indeterminismo, discontinuità dell’energia, riconoscimento del dualismo corpuscolo-onda, non intuibilità delle nozioni elementari, formalismo matematico ecc.) provocarono profondi mutamenti. La scienza cessava di essere un sistema compatto in continuo accumulo ordinato e progressivo. Amerio rileva la nuova realtà espressa dalle nuove epistemologie: “la ragione scientifica ha una duttilità assai superiore a quella che pensavano razionalisti ed empiristi. La struttura entro la quale si articolava la scienza classica non ha nessun privilegio su quella entro la quale si va sistemando la nuova scienza, che occorre accettare senza nostalgiche riserve e restrizioni in favore della precedente”3. Scienziati come Heisenberg, Einstein, Planck ecc. esprimevano un realismo moderato, sostenendo l’esistenza di una realtà conoscibile, alla quale le scienze si avvicinerebbero solo asintoticamente. Amerio sottolinea le forti divergenze fra le varie epistemologie, ma indica anche alcune importanti convergenze: 1) maggior riconoscimento della parte del soggetto nella costruzione della scienza; 2) distinzione più accurata degli elementi che confluiscono in qualsiasi costruzione scientifica (metodici, simbolici, sistematici, ontologici ecc.); 3) maggior consapevolezza delle differenze fra assunti scientifici e filosofici; 4) esigenza di più accurata e rigorosa “scientificità” della scienza4. Lalande pone l’epistemologia in una prospettiva alquanto diversa, allargandone l’orizzonte e aggiungendo ulteriori elementi alle questioni di metodo. Essa, quindi: “non è propriamente lo studio dei metodi scientifici, che è l’oggetto della metodologia e fa parte della logica. Non è nemmeno una sintesi o un’anticipazione congetturale delle leggi scientifiche (alla maniera del positivismo e dell’evoluzionismo). È essenzialmente lo studio critico dei principi, delle ipotesi e dei risultati delle diverse scienze, destinato a determinare la loro origine logica, il loro valore e la loro portata oggettiva”5. Questa definizione è già più aderente e adeguata alle esigenze attuali. Approfondimenti delle epistemologie contemporanee Dalle epistemologie contemporanee, B. Van Hagens delinea alcune finalità come: “trovare una presentazione della scienza o meglio una sua ricostruzione che ne garantisca il senso in tutte le sue fasi, dalla più sperimentale alla più teorica. Non si tratta di fare della scienza, ma di analizzare il suo linguaggio, servendosi a questo scopo delle possibilità offerte dalla nuova logica, che è soprattutto una logica delle relazioni e non solo delle classi o dei predicati”6. In questa prospettiva, le teorie, pur rimanendo indispensabili, non sono più riconducibili a osservazioni dirette ma esigono interpretazioni critiche. Non possono mai, tuttavia, essere interpretate completamente, rimanendo sempre aperte, per non estinguersi. I termini teorici costituiscono un ponte che conduce dalle osservazioni vecchie e note a quelle nuove e ignote. E. Carruccio ha approfondito i problemi filosofici della matematica, intesa non tanto come “scienza della quantità” ma come “studio dei mondi possibili dotati di struttura logica”: “Il problema dell’interpretazione matematica dell’universo fisico si pone in una più vasta prospettiva filosofica, se si passa dalla concezione della matematica come scienza della quantità alla concezione più generale come studio dei mondi possibii dotati di una struttura logica. Tuttavia, nonostante la maggior ricchezza di mezzi espressivi che si acquistano con la nuova matematica, sembra che permangano ostacoli insormontabili per stabilire una perfetta corrispondenza tra una data teoria deduttiva e il mondo sensibile. La difficoltà è particolarmente grave se nella matematica vige la necessità logica e nel mondo sensibile si ha la contingenza”7. Partendo da questa realtà, esprime il rapporto fra lo studio dei mondi possibili e l’epistemologia in questi termini: “Lo studio dei mondi possibili, a partire dai più semplici, costituisce un avviamento alla conoscenza del mondo della nostra esperienza, sconcertante per la sua complessità. Fissata la nostra attenzione su di un certo settore o su un aspetto determinante del mondo dell’esperienza S, cerchiamo fra gi infiniti mondi possibili quello, chiamiamolo M, che meglio ci permette di stabilire una corrispondenza biunivoca fra gli elementi di S e di M, in modo che le strutture logiche di S e di M risultino uguali fra loro. Attraverso lo studio teorico di M, eseguibile mediante i mezzi offerti dalla logica e dalla matematica, cerchiamo di salire alla conoscenza di S. Talora la conoscenza di M precede di gran lunga nel tempo la sua applicazione alla conoscenza di S. Di esempi di queste circostanze è ricca la storia della scienza”8. Metafisica e tradizioni Questa realtà serve a Carruccio per evidenziare nella matematica un carattere “ascetico” che la eleva dalle sue ordinarie funzioni, alla contemplazione delle “regioni delle verità eterne”, cui i matematici, consapevoli o no, sono sempre avviati. Un altro tema, il criterio di falsificabilità, fondamentale nell’epistemologia di K. Popper, è stato approfondito da D. Antiseri, che sottolinea come: “un’asserzione è da ritenersi scientifica qualora, falsificabile di principio non è smentita di fatto, nonostante venga messa alla prova là dove essa potrebbe venire smentita, cioè laddove corre i rischi maggiori di essere falsificata”9. Questo criterio, nel pensiero di Popper, costituì: “un’arma potente per combattere le pretese scientifiche dei Viennesi e la loro metafisica preconcetta. Popper infatti è persuaso che la scoperta scientifica è impossibile senza la fede in idee che hanno una natura puramente speculativa”. Per questa ragione sostiene che: “la maggior parte dei sistemi metafisici possono essere riformulati in modo tale da diventare problemi di metodo scientifico”. La metafisica, quindi, è la scolta avanzata della scienza. Più in generale: “le metafisiche sono quelle visioni che ci permettono, per così dire, di guardare al mondo come se questo fosse al suo primo mattino e che individuano, in maniera esplicita e consapevole, nessi tra fasci di fenomeni, sui quali poi avanzerà l’indagine scientifica”10. Rivalutando la metafisica come “luogo scientifico”, si rivalutano anche le tradizioni, particolarmente significative per il pensiero e la ricerca scientifica, come: “memoria collettiva della società”. Esse: “costituiscono abitudini collettive; la loro semplice esistenza, che implica un certo numero di regolarità su cui ci si può orientare, è forse più importante di quanto non lo siano i loro peculiari meriti o demeriti. Per di più, l’esistenza di una tradizione offre un materiale oggettivo su cui esercitare una critica costruttiva”11. Neppure la scienza può fare a meno delle tradizioni, per non dover ricominciare sempre da capo. Esse costituiscono un immenso patrimonio tramandato, da valorizzare con responsabilità e senso critico, elaborandolo mediante l’immaginazione, l’ esperienza e i controlli critici. Scienza e senso comune Sui rapporti fra scienza e senso comune, A. Schiavo nota che la verità scientifica, come dimostrò E. Nagel, non può mai essere definitiva, né incontroveribile: “il metodo scientifico, in quanto rigorosamente tale, non è in grado di garantire la verità, in assoluto, del tipo di spiegazioni che prescrive, ma solo la sua verità relativa (o validità metodologica)”12. Non è possibile, quindi, istituire un confronto oggettivo fra il sapere sistematico delle scienze e l’esperienza asistematica del senso comune13. È, invece, importante sottolineare i passaggi che indicano il valore della conoscenza scientifica: 1) il discorso scientifico è circoscritto dalle teorie; 2) le teorie stabiliscono in partenza i criteri di validità logica del proprio discorso; 3) dall’uso metodologico non derivano mai “fatti puri e semplici”, ma solo e sempre “fatti di quelle teorie”, ossia circoscritti cognitivamente da esse. Ciò delimita rigorosamente il sapere scientifico e non gli permette di uscire dal suo stretto ambito per non perdere ogni validità. Per questo “da un punto rigorosamente metodologico non è lecito considerare i risultati della scienza “più veri” delle cognizioni acquisite mediante l’esperienza ordinaria. Chi si affida alla spiegazione scientifica con la speranza di ricavare un “di più” di verità, rispetto al sapere del senso comune, lo fa a proprio rischio e senza nessun avallo da parte della scienza “qua talis” … In ogni caso, la fiducia nel maggior potere di verità dei procedimenti scientifici non è autorizzata dal procedimento scientifico in quanto tale”14. La funzione attribuita alla scienza, di liberare da illusioni ed errori, è infondata. Solo il senso comune può dare risposte significative alle più importanti domande umane. Esso è “l’orizzonte vario in cui si muovono e intrecciano le diverse prospettive secondo cui si pensa e si agisce in un’epoca determinata. Non è statico ma dinamico. Il senso comune è sempre il senso di un linguaggio ordinario... In una parola, il senso comune è ciò che dà senso. Ma allora è chiaro che il senso comune non è soltanto il senso del sapere ordinario, ma dà senso anche al sapere scientifico”15. “Un metodo scientifico senza il senso comune della sua epoca, che gli faccia da sfondo e gli dia una prospettiva di significato e di scopi, non è solo storicamente inconcepibile, ma assolutamente privo di senso”, quindi: “la scienza può dare una spiegazione astrattamente valida del suo affermarsi, ma questa ha senso solo per il senso comune che l’ha accolta e imposta”16. Anche per questa via, quindi, si conferma che la razionalità scientifica presuppone una razionalità che essa non fonda, ma sulla quale si fonda, e dalla quale soltanto può essere dimostrata e giustificata. Scienza e metafisica Sulla nuova immagine di scienza conseguente al pensiero di Popper si sofferma A. V. Castagnetta, che giudica sconcertante l’eccessiva ipoteticità e la fallibilità. Popper avrebbe infranto l’idolo scientifico, senza ricostruirlo. Il suo discorso, quindi, è valido solo se rinvia a un discorso più ampio, di tipo filosofico17. S. Arcoleo indica, fra linguaggio scientifico e linguaggio filosofico, una dialettica di superamento in cui alle congetture si contrappongono le confutazioni. Quanto maggiori sono le prime, tanto più vigorose sono le seconde. In questa dialettica si recupera una dimensione che la cristallizzazione della sistematicità aveva smarrito: la dimensione dell’uomo18. La possibilità di dialogo e di convergenza deriva dall’autenticità di un logos che si esplica diversamente nei vari saperi, conservando il suo fondamento unico. A. Chianese colloca l’epistemologia di Popper nella corrente del pensiero europeo che ora giudica severamente come superficiali le critiche e i rifiuti alla metafisica. La sua fase più matura è la filosofia del linguaggio di Oxford. Strawson e Popper indicano le metafisiche come espressioni dei valori guida della storia umana. Da Talete a Einstein, con Descartes, Gilbert, Newton, Leibniz, Boscovich, Faraday e molti altri, le idee metafisiche indicarono sempre la strada e illuminarono la ricerca scientifica19. Van Hagens, pur riconoscendo superate le vecchie preclusioni contro la metafisica, non vede alcun vero rinnovamento. Chianese gli replica che la rivalutazione popperiana della metafisica: 1) ha riportato etica e sociopolitica a riconsiderare la libertà della persona e la fondazione democratica della società aperta; 2) ha indicato il criterio di falsificabilità come mezzo per la ricerca della verità scientifica; 3) ha fatto distinguere metafisica e scienza, senza escludere la metafisica dal linguaggio significante; 4) ha riconosciuto la metafisica come “guida” anche delle scoperte scientifiche20. F. Totaro esamina le sudditanze della scienza ai poteri del dominio e della repressione sociale, che l’allontanano dai fini di controllo e di previsione pacifica che l’avevano costituita, vincolandola sempre più a realizzazioni di violenza, morte e distruzione. Sottolinea quindi la necessità di almeno due controlli: 1) sulle committenze rivolte alla ricerca e agli scienziati; 2) sulle procedure, soluzioni, e problemi della scienza stessa. Conclude che, se la scienza continuerà ad autointerpretarsi: “in modo astratto e separato dai propri presupposti, si consolida in una funzione antisociale e di conservazione degli equilibri – in effetti squilibri – della società esistente”21. Epistemologia popperiana e metafisica A. Colombo giudica radicalmente ambigua la proposta di Popper, che degraderebbe l’epistemologia a pensiero ingenuo e comprensione preteoretica, in senso non fondativo, della realtà. Ciò: “la destituisce da ogni potere euristico (il potere euristico della metafisica attuandosi solo nelle scienze) e le nega lo statuto di conoscenza in grado di accertare con procedure concettuali sue proprie la verità dei propri asserti”22. Egli ritiene che Popper, in realtà, non si sia liberato dei suoi condizionamenti positivisti, che lo portano a riconoscere alla metafisica solo un ruolo etico, politico e pedagogico, ma non cognitivo. La sua metafisica può essere significante, ma rimane teoreticamente deprivata. Il suo contributo può essere utile, ma insufficiente23. Sulla stessa linea appare S. Buscaroli che giudica l’impostazione epistemologica popperiana inquinata di gnoseologismo24. Se tale gnoseologismo costituisce l’atteggiamento comune e il proprium della scientificità, ogni scienza lo assume come criterio orientativo di operatività, fattore di ricerca, fonte di ipotesi progressiva. Di qui l’a-filosoficità di ogni scienza. Tuttavia, tale esclusione di ogni preoccupazione filosofica, di ogni riferimento di verità, di essere-realtà, completamente irraggiungibili a livello scientifico, legittimerebbe e giustificherebbe qualsiasi comportamento scientifico25. Capecci rileva che considerando la razionalità come caratteristica esclusiva delle scienze, si giunge a un’interpretazione negativa di Popper. Se non si elabora una nozione di razionalità molto più ampia e critica di quella della scienza, la razionalità scientifica rimane l’unica a decidere della razionalità, comunicabilità e univeralità delle esperienze che ogni asserzione esprime. Questo esito, forse contrario allo spirito e alle intenzioni di Popper, rimane comunque inevitabile26. Epistemologia, filosofia, trascendenza Per Vagniluca l’uomo di scienza sa di non potere mai stabilire la verità delle sue affermazioni, né trovare un criterio sicuro di verità 27. Ciò perché, nella misura in cui si fa strada nella scienza la pretesa di una conoscenza ultima, definitiva e assoluta, vi riemerge la soggettività a scapito dell’oggetto, che è costretto a ritirarsi. Conclude, quindi, che: “chiunque voglia l’assoluto deve far rientrare nel sacco anche la soggettività, l’egocentricità, e chiunque aspiri all’oggettività non può evitare il problema del relativismo”28. Anche il pensiero comune e la mentalità corrente rifiutano l’idea della “verità in tasca” degli scienziati. Sono troppe le prove che la scienza si è ridotta a schema contro l’uomo e a meccanismo contro il pianeta. Sono troppi gli interessi e i ipoteri estranei, che se ne servono, dimentichi della libertà, responsabilità e dignità umana. Bisogna opporsi non agli aspetti legittimi del progresso tecnoscientifico, ma a “l’ingiustificata e infondata trasposizione di quel modello che sottende tale progresso, a un piano che non è suo proprio”29. La metafisica è una prospettiva molto più importante e vasta dell’epistemologia. Se non si riconosce ciò si ripetono gli errori del positivismo. Si dimentica che “tradurre”, nel linguaggio scientifico, significa limitare e ridurre. “L’idea metafisica e un autentico pensiero metafisico non possono non avere salde radici nella realtà empirica… eppure non sono semplicemente problemi, ma qualcosa che ribalta sopra il problema stesso, superandosi come problema. Finché rimarremo nell’orbita di una coscienza problematizzante, la metafisica sarà impossibile, rappresentando solo, secondo la felice espressione di Filiasi-Carcano, la medicina inefficace di una malattia inguaribile” 30. Ammettendo la “verità come ideale regolativo”, secondo l’impostazione di Kant e Peirce, cui Popper si ricollega, siamo costretti a riconoscere l’esistenza di una verità che è in noi ma, nel contempo, è al di là di noi. È ciò che Marcel intende col concetto di mistero, presente in ogni esperienza dell’essere uomo. Tale mistero è indescrivibile in termini puramente empirici, che non lo esauriscono. Non è l’uomo a comprenderlo, bensì a esserne compreso31. L’uomo funzionale, l’uomo sconfitto di Illich “si trova in un universo e in un’ambigua condizione, nei quali non può scorgere altro che un aspetto di quel mistero, che consiste in un insieme di prospettive o di dimensioni, quindi infinitamente vicino e, a un tempo, infinitamente lontano”32. Riflessioni conclusive La metafisica nasce dalla sporgenza metaproblematica come tentativo di risposta a una meraviglia di fondo e a un’esigenza concreta, che non accetta alibi o soddisfazioni inautentiche. Le è indispensabile, perciò, la consapevolezza che il suo oggetto è più grande della conoscenza che ne abbiamo e di quella che mai potremo averne, perché ci sovrasta immensamente. Nel raggiungere questa convinzione, scienza e metafisica sono, ciascuna nel suo campo, testimoni del limite invalicabile. D. Antiseri è assai critico verso una concezione del mondo razionale, universale, oggettiva, valida per tutti, costruita estrapolando e unificando le coniscenze scientifiche. Di tali teorie totalizzanti e incontrollabili se ne possono costruire a volontà33. Conclude che: per il cristiano Dio non è il mondo; per l’empirista il mondo non è Dio. Per entrambi il mondo non è l’assoluto. Nessuna cosa, teoria, istituzione del mondo può essere assoluta. L’empirista mostra la radicale miseria e contingenza dei progetti umani. La proposta di dissolvere l’epistemoloiga nella scienza o nella filosofia è prematura. Le epistemologie hanno ridimensionato e distrutto dogmatismi filosofici e scientisti, ritenuti incrollabili. Ciò ha reso la scienza interessante come esperienza umana, inserita nella cultura e razionalità che la precede. Spetta alla filosofia, ora, ampliare ed esplicitare tutte le aperture e sporgenze metaproblematiche, insite in ogni esperienza umana, che il pensiero epistemologico solo in parte fa emergere e approfondisce. Scienza, epistemologia, filosofia incontrrano le aporie invalicabili solo se pretendono di essere l’espressione suprema della razionalità. Se conservano il senso dei propri limiti invalicabili, le aporie scompaiono e si aprono, a ciascuna, spazi e livelli di ulteriore conoscenza, comprensione e significato. 1 F. Amerio, Epistemologia, in Enciclopedia filosofica, Sansoni, Firenze, 1967, v. II, col. 886. 2 Ib., col. 892. Ib., col. 893. 4 Ib., col. 896. 5 A. Lalande, Dizionario critico di filosofia, Isedi, Milano, 1971, p. 256. 6 B. Van Hagens, Problemi logici dell’epistemologia moderna, in Atti del XVIII convegno di Assistenti Universitari di filosofia, Padova 1973, “Le più recenti epistemologie: PopperHempel” [abbr. ARE], Gregoriana, Padova, 1974, p. 11. 7 E. Carruccio, Storia del pensiero, matematica e logica simbolica della problematica dell’epistemologia, in ARE, p. 35. 8 Ib., pp. 38-39. 9 D. Antiseri, I lineamenti dell’epistemologia di K. R. Popper, in ARE, p. 19. 10 Ib., pp. 20-21. 11 Ib., p. 21. 12 A. Schiavo, Scienza, storia e senso comune, in ARE, pp. 49-50. 13 Ib., pp. 51-52. 14 Ib., p. 52. 15 Ib., p. 57. 16 Ib., p. 60. 17 A.V. Castagnetta, Scienza e conoscenza in K. R. Popper, in ARE, pp. 90-91. 18 S. Arcoleo, Linguaggio scientifico e linguaggio filosofico: convergenza o contrapposizione? In ARE, p. 110. 19 A. Chianese, La scienza e la metafisica in K. Popper, in ARE, p. 166. 20 Ib., p. 167. 21 F. Totaro, Habermas contro Popper e alcune osservazioni dialettiche dull’epistemologia analitica di Popper, in ARE, pp. 175-176. 22 A. Colombo, La censura epistemologica della metafisica, in ARE, p. 199. 23 Ib., pp. 200-201. 24 S. Buscaroli, Sullo gnoseologismo di K. R. Popper, perplessità e annotazioni, in ARE, p. 203. 25 Ib., pp. 233-234. 26 A. Capecci, Scienza e razionalità. Osservazioni sul principio di falsificazione, in ARE, p. 323. 27 G. Vagniluca, Contributi alla logica del discorso metafisico, in ARE, p. 344. 28 Ib., p. 345. 29 Ib., p. 347. 30 Ib., p. 353. 31 Ib., p. 355, 32 Ib. 33 D. Antiseri, Risposte e conclusioni, in ARE, p. 391. 3 Capitolo 8° Filosofia marxista della scienza e metafisica Sommario: Visione marx-engelsiana della scienza. – Materialismo marxista e realismo critico cristiano. – Metafisica tomista e filosofia marxista. – Riflessioni conclusive. Geymonat, nella Storia del pensiero filosofico e scientifico, cita un brano dell’orazione funebre di Engels per la morte di K. Marx: “Per lui la scienza era una forza motrice della storia, una foza rivoluzionaria. Per quanto grande fosse la gioia che gli dava ogni scoperta in una qualunque disciplina teorica, e di cui non si vedeva forse ancora l’applicazione pratica, una gioia ben diversa gli dava ogni innovazione che determinasse un cambiamento nell’industria e in generale nello sviluppo storico”1. Visione marx-engelsiana della scienza Il pensiero di Marx non differisce dallo scientismo del suo tempo. I marxisti, quindi, pongono la sua originalità nella sua visione del progresso tecnoscientifico come realtà rivoluzionaria e distruttrice del capitalismo. Essa serviva alla polemica contro le filosofie “reazionarie, idealiste e borghesi”, che davano alla scienza un senso convenzionalista, ne attenuavano i contenuti euristici e ne negavano il realismo, ossia la capacità di corrispondere alla realtà preesistente all’osservatore. Di Engels, Geymonat sottolinea i limiti, ma riconosce il merito di aver difeso il pensiero di Marx della scienza come: “impegno rivoluzionario al fine di trasformare la società”2. Per questo combatté alcune filosofie del tempo quali il materialismo meccanicista e il positivismo, denigratore delle filosofie, ma schiavo di quelle peggiori3. Engels vi contrappose “la costruzione di una scienza più consapevole dei propri fondamenti, dei propri metodi di prova, della perenne mutabilità delle ipotesi di volta in volta introdotte nelle proprie teorie” 4. Nel pensiero engelsiano vi sarebbe anche la percezione dei limiti dello “specialismo”, e della storicità del pensiero scientifico. Sosteneva, infatti, che “soltanto l’analisi storica delle leggi scientifiche fa comprendere la loro non assolutezza e non definitività, l’impossibilità di fondarle su di un atto intuitivo atemporale, la necessità di legarle allo sviluppo globale delle conoscenze umane”5. Coinvolto nel conflitto storico e teorico fra dogmatismo positivista e agnosticismo razionalista, Engels cercò, senza trovarla, un terza soluzione. Anche Lenin affrontò i problemi della scienza in Materialismo ed empiriocriticismo e nei Quaderni. La disputa se fra le due opere vi sia continuità o rottura del pensiero non fu mai risolta. Geymonat propende per la continuità e maturazione, di cui sarebbero prova: 1) la tesi del riflesso o rispecchiamento della natura da parte delle capacità conoscitive; 2) il carattere relativo di ogni conoscenza scientifica; 3) il susseguirsi di teorie sempre più vicine alla realtà; 4) lo stretto rapporto fra teoria e prassi; 5) la provvisorietà di ogni prova e conferma. La filosofia leninista delle scienze, quindi, sarebbe: 1) realista, riconoscendo una realtà esterna irriducibile ai nostri stati di cosciena; 2) razionalista, riconoscendo la capacità di elaborare teorie scientifiche sempre più vicine alla realtà; 3) pragmatica, volendo verificare ogni teoria mediante la prassi6. Materialismo marxista e realismo critico cristiano Dopo un approfondito confronto fra filosofia marxista della scienza e tesi classiche della filosofia tomista, M. Viganò è giunto alla conclusione che le posizioni della prima non si possono considerare “patrimonio peculiare ed esclusivo del materialismo dialettico marxista” perché ripetono una tradizione che risale ad Aristotile e fu riformulata da Tommaso d’Aquino. Essa è una costante della filosofia classica e cristiana. Con il nome di “realismo critico”, anche recentemente, essa è stata ulteriormente approfondita da filosofi cristiani e condivisa da altri. Viganò conclude, quindi: “se, prescindendo da alcune tesi che non condividiamo, consideriamo il concetto marxista della filosofia, troviamo che non differisce sostanzialmente dal concetto della metafisica classica”. Contro il positivismo, il realismo sostiene che lo sviluppo delle scienze non ha esautorato la filosofia. Mentre le scienze particolari esaminano questo o quell’aspetto dei fenomeni, la filosofia cerca ciò che è alla base e comune a tutti i fenomeni. A lei spettano i più importanti problemi, quali: il fondamentale rapporto fra coscienza e materia; la conoscenza; l’analisi dei concetti generali che ricorrono in ogni scienza, (legge, necessità, contraddizione, sostanza, fenomeno, causalità, possibilità e realtà ecc.)7. Dopo questi aspetti generali, confronta la concezione di Tommaso d’Aquino in Exposistio super librum Boethii de Trinitate, con quella dei Fondamenti della filosofia marxista, dell’Accademia delle Scienze dell’URSS8. Condivide l’affermazione che la filosofia non può né essere esautorata dalle scienze, né sostituirle, ma che entrambe devono lavorare assieme a una visione del mondo corretta e attendibile. Ricorda poi che le scienze hanno subìto profondi cambiamenti, in questi ultimi anni, giungendo a una visione più razionale e a un ampliamento del loro ambito9. Viganò considera demolitrici le epistemologie più recenti, preferendo posizioni che non vedano “la strada della scienza come un cammino seminato di rovine”, ma “come un avvicendamento asintotico a una realtà che rimane sempre inesauribile”. Riguardo alla crisi, propone di parlare di crisi di adeguatezza anziché di certezza. Il fatto che la conoscenza scientifica rimanga sempre rivedibile, perfettibile, confutabile, gli sembra indicare un avanzamento secondo un processo dialettico. Invita, quindi, gli operatori scientifici a riflettere a fondo sul senso e il significato di ciò che fanno, attuano, pensano e scoprono. Tale approfondita consapevolezza è una vera riflessione metafisica, perché: “diviene spontaneo, necessario, riflettere sulle proprie formule, cercare il senso nascosto dei simboli matematici nella speranza di scoprire qualcosa circa il “senso“ del mondo materiale. La problematica metafisica, che il positivismo aveva creduto espellere per la porta, è rientrata per la finestra. Questo fatto universale oggi è riconosciuto da molti cultori della scienza”10. Va ricordato, inoltre che già L. De Broglie sosteneva la necessità di usare la metafisica per un corretto sviluppo della ricerca scientifica e per evitare degenerazioni pseudometafisiche: *** “La scienza, sviluppandosi, è necessariamente indotta ad introdurre nelle sue teorie concetti di portata metafisica, come quelli di spazio, tempo, obiettività, causalità, individualità ecc. Di questi concetti la scienza cerca di dare definizioni precise che rientrino negli schemi dei metodi da essa usati; cerca di evitare, a loro riguardo, qualsiasi discussione filosofica; così procedendo essa fa spesso della metafisica senza saperlo, e questo non è certo il modo meno pericoloso di farne”11. Metafisica tomista e filosofia marxista Viganò approfondisce ulteriormente il confronto fra metafisica tomista e filosofia marxista. Egli nota che Tommaso fondò la definizione e classificazione delle scienze, sul processo di razionalizzazione mentale, che fa passare dal concreto-singolare dell’osservazione, al concetto universale e astratto del pensiero. Tale processo è alla base anche della ricerca scientifica, benché esiga diversi gradi, secondo le diverse scienze. I commentatori, però, non avrebbero notato che “Tommaso distingue diversi criteri di verifica propri per le singole scienze". Confrontando le scienze naturali e la matematica, Viganò nota che, nelle prime, chi trascura i sensi cade nell’errore. Nella matematica, che Tommaso considera nella forma classica di allora, il criterio di verifica non è più il senso esterno che non raggiunge l’esattezza propria della matematica, ma l’intuizione del “fantasma”. In altri termini, la matematica “termina all’immaginazione”12. La metafisica “astrae (astrarre non significa negare), prescinde da ogni materia, prende in considerazione egli aspetti che possono verificarsi sia nella materia, sia fuori della materia (supponendo dimostrata l’esistenza di enti immateriali come: essere, sostanza, accidenti, potenza, atto, qualità, cause ecc.). Il criterio di verifica non è più il senso esterno e nemmeno il senso interno, ma unicamente l’intuizione intellettiva”13. Al di là dei termini e del linguaggio della “scolastica” emerge l’esistenza di diverse attuazioni dell’unica ragione umana, che devono adeguardi alla specifica ricerca, come tecniche e strumenti adeguati di una capacità conoscitiva, che costituisce un “sistema di sistemi razionali”. Il termine “intuizione”, molto ambiguo, viene assunto per significare il “sistema di sistemi”, di cui si comincia a percepire la complessità. Per Viganò, in San Tommaso, la metafisica è davvero tale anche in senso etimologico ed epistemologico. Essendo veramente “oltre la fisica”, i suoi principi non derivano da un’idea infusa di essere, né da introspezioni deduttive, ma dall’analisi critica della realtà concreta14. Nota, ancora, al riguardo: “dopo che le scienze, matematica e fisica, hano acquistato una loro autonomia, sembrerebbe che alla filosofia classica sia rimasta solo la metafisica. Il pericolo, però, è che si continui a identificare la metafisica con la filosofia prima di Aristotele, con la dottrina dell’ente in quanto ente, e così si perda per strada la filosofia naturale aristotelica, la fisica-matematica, e quindi, il contatto con la natura materiale. In questo caso non sarebbero le scienze a “decapitare” la filosofia dei problemi metafisici, ma piuttosto le scienze rimarrebbero decapitate della metafisica, che aveva conferito loro un senso”15. È ciò che accadde al positivismo e al razionalismo cartesiano e kantiano. La realtà non è il “mondo” di Aristotele, né la “res extensa” di Cartesio né l’inconoscibile “cosa in sé” di Kant, né alcuna “res cogitans”, ma l’uomo concreto. E questo è un grande, profondo, complesso e misterioso sistema di atomi, molecole, cellule, che pensa, vuole decide, ama16. Riflessioni conclusive Sotto questo aspetto sono interessanti alcuni rilievi che fissano le condizioni per un’approfondita autocritica dell’epistemologia marxista, attuata secondo i seguenti criteri: 1) attuare approcci non riduttivi che tengano conto delle dimensioni e delle esigenze autentiche dell’uomo; 2) dialogare e confrontarsi col pensiero filosofico; 3) superare la separatezza fra le varie scienze, cercando maggiori possibilità d’integrazione; 4) svolgere un ruolo più pratico e costruttivo, volto alla prevenzione e alle previsioni aperte al futuro17. Ad esse G. Israel aggiunge anche: valorizzzare maggiormente il ruolo progettuale della scienza18. Quanto emerso in questo capitolo, quindi, mostra che le critiche alla metafisica e al realismo critico del pensiero cristiano, mosse da alcuni marxisti, nell’epistemologia marxista non trovano alcun fondamento ma, al contrario, precise confutazioni. 1 L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti, Milano, 1971, v. V, p. 331. 2 Ib., pp. 333-335. Ib., p. 351. 4 Ib., p. 352. 5 Ib., p. 353. 6 Ib., Ib., pp. 116, 118-119. 7 M. Viganò, Crisi delle scienze o crisi della ragione?, in La Civiltà Cattolica, 127 (1976), n. 3026, p. 123. 8 M. Viganò, Dalla crisi delle scienze alla crisi dell’uomo, in La Civiltà Cattolica, 127 (1976), n. 3027-3028. 9 Ib., p. 239, 10 Ib., p. 244. 11 L. De Broglie, Au de là des mouvantes limites de la science, in Revue de métaphysique et de morale, 1947, p. 278. 12 Viganò, Crisi delle scienze o crisi della ragione?, op. cit., p. 121. 13 Ib. 14 Ib., p. 123. 15 Ib., pp. 123-124. 16 Viganò, Dalla crisi delle scienze alla crisi dell’uomo, op. cit., p. 247. 17 R, Misiti, Scienze dell’uomo e trasformazione della società, in Critica marxista, 14 (1976), n. 1, p. 136. 18 G. Israel, La scienza come progetto per la società, in Rinascita, 33 (1976), n. 33, p. 24. 3 Capitolo 9° Atteggiamento scientifico e religioso Sommario: Dalle polemiche ai nuovi rapporti. – Caratteri dei nuovi rapporti. – Antiche precomprensioni, nuove comprensioni. – Scienza e religione: analogie e differenze. – Discorso scientifico e religioso. – Confronto scienze-religione: i contenuti. – Riflessioni conclusive. I primi rapporti fra scienza moderna e pensiero religioso videro sorgere conflitti, dovuti all’impreparazione al nuovo e a pregiudizi superati solo col maturare di nuove condizioni storico-culturali. Moltiplicandosi le discipline scientifiche (naturalistiche, umane, sociali, della religione), emersero problemi sempre nuovi interni alla scienza, che attenuarono gli atteggiamenti più polemici. Dalle polemiche ai nuovi rapporti Mascall ha illustrato, ad esempio, come i conflitti fra fisici e biologi, sull’età della terra, siano stati superati molto tardi, solo per gli apporti di nuove scienze1. Il caso della luce mostrò la necessità di accettare teorie scientifiche, cosiddette complementari, opposte e/o contraddittorie fra loro, ma indispensabili per studiare lo stesso fenomeno. L’accumulo di contrasti, problemi insolubili, insormontabili difficoltà tecniche e metodologiche, richiese nuove epistemologie che, nel secolo XX, furono molto più rigorose e aperte delle precedenti. Esse mostrarono che i pretesi conflitti fra scienza e fede dipendevano da conoscenze imperfette e idee filosofico-scientifiche discutibili e infondate. Il contrasto non era nei dati e fatti, ma nelle teorie e asserzioni su di essi. Furono quindi decisive le riflessioni metodologiche e le analisi linguistiche che precisarono i campi e i limiti semantici, le logiche, i livelli di linguaggio e i giochi linguistici che presiedono ai vari discorsi, compreso quello scientifico. “L’affermazione che le teorie delle scienze naturali sono incompatibili con i dogmi della fede cristiana, riceve la sua forma dal postulato che le teorie delle scienze naturali siano, direttamente e strettamente, descrizioni letterali della reale costruzione del mondo. Questo postulato fu mantenuto usualmente per gli ultimi tre secoli”2. Confutata questa credenza e quella dell’oggettività assoluta della scienza, fu chiaro che “i modelli usati dalla scienza, benché fatti di immagini fisiche e di puri concetti matematici, non sono altro che sistemi deduttivi, la cui funzione è coordinare ed esporre osservazioni empiriche”. Di conseguenza: “vi è un largo margine di arbitrarietà riguardo alla teoria che noi adottiamo in ogni caso particolare, e non vi è alcun motivo di supporre che la necessità logica di un modello implichi qualsiasi genere di necessità nella struttura dei fatti che esso descrive” 3. Accertati questi punti furono possibili rapporti più ragionevoli e distesi. J. G. Barbour esprime in questi termini la nuova situazione: “I problemi riguardanti la relazione tra religione e scienza come modi di conoscenza, sono più fondamentali di quelli derivanti da particolari teorie scientifiche. Molti oggi trovano che le loro credenze religiose sono messe in difficoltà non da qualche specifica conoscenza scientifica, ma dalla convizione che le affermazioni scientifiche possono essere provate mentre quelle religiose non lo possono”4. Caratteri dei nuovi rapporti Alla maturazione epistemologica e filosofico-scientifica si unì un’analoga maturazione del pensiero teologico e religioso. La rivelazione non fu più vista come un sistema di proposizioni immutabili, ma come l’automanifestazione e autodonazione libera e amorosa di Dio, nella storia d’Israele e nella persona di Gesù Cristo, per la salvezza dell’uomo. Ciò permise di chiarire i rapporti fra fatti salvifici e linguaggi, fra categorie linguistiche, letterarie, storico-culturali, generi letterari ecc., che esprimono i dati e i contenuti di fatto. Il superamento delle letture letteraliste della Bibbia confermò l’inconsistenza dei presunti conflitti fra scienza e fede. Non si confuse più la lettura “letterale”, valida e fondata, con quella “letteralista”, sua grossolana contraffazione. Si chiarì che discorso scientifico e discorso religioso si collocano su livelli differenti e distinti, e che confusioni e interferenze dipendono da abusi logici e linguistici o da insufficienze ed equivoci metodologici. Ciò è evitabile rispettando regole e criteri di corretta lettura. Barbour imputa tali equivoci e conflitti ai seguenti dogmatismi filosofici: “le filosofie che pretendevano di essere provate dalle scienze hanno contribuito ai conflitti del passato. Esse erano svariatissime: il naturalismo ateo di T. H. Huxley, l’agnosticismo evoluzionistico di H. Spencer, il materialismo atomistico di Haeckel, la giustificazione di un’etica di potenza di Nietzsche, l’appello alla lotta evoluzionista per la sopravvivenza. Nel tardo secolo XIX, altri cercarono di fondare un teismo modificato sull’evoluzione. Per alcuni modernisti Dio era una forza cosmica impersonale e la divina immanenza sostituiva virtualmente la trascendenza. Essi “deificavano” il processo evolutivo, facendone il mezzo della grazia e la fonte del progresso. La dignità umana, minacciata dalle origini animali dell’uomo, era ristabilita facendo dell’uomo il fronte anteriore di un’inevitabile avanzata cosmica fino ai livelli più alti. Dio e l’uomo erano stati assorbiti nella natura, secondo uno stile di ottimismo vittoriano. La natura stessa sembrava muoversi verso un glorioso futuro”5. L’ottimismo assoluto ostentato da questi non credenti contraddice il pessimismo assoluto dei non credenti alla Monod, sostenitori della totale assurdità del cosmo e dell’uomo. Il pensiero cristiano dovette lottare contro le due visioni infondate, subendo accuse e attacchi da entrambe. J. G. Barbour mostra che le loro posizioni erano solo ideologie e pseudo-filosofie, spacciate per dati scientifici6. Lottare contro di esse non fu inutile, perché consentì di riformulare, con chiarezza e rigore, fondamentali problemi quali: 1) la distinzione del Dio della rivelazione dal Dio della natura; 2) la religione come “coinvolgimento personale” più che insieme di dottrine; 3) le diversità dei linguaggi relativi ai vari saperi: scienze, filosofia, etica, teologia, religione. Consentì pure di vedere le teorie scientifiche come costruzioni mentali oggettive e soggettive, tanto che C. A. Coulson e H. K. Schilling poterono studiare le affinità metodologiche fra religione e scienze7. E. McMullin indicò, come base dei conflitti, le pretese scientiste di monopolizzare conoscenza, interpretazioni e descrizioni della realtà. Si dimenticò che la scienza moderna nacque nel contesto culturale cristiano, perché unico a offrire le premesse soggettive e oggettive, storiche e teoriche del discorso scientifico. Fu l’unico a sostenere che il mondo non è una divinità, ma la creazione di un Dio intelligente e buono. Antiche precomprensioni, nuove comprensioni Tra i primi scienziati moderrni vi erano convinti credenti, sovente religiosi, sacerdoti, vescovi e teologi. La scienza moderna svelava l’enorme complessità e intelligenza della creazione e delle sue strutture. Il creato appariva un immenso processo dinamico in espansione ed evoluzione, retto da un ordine emergente verso una crescente complessificazione. Ciò allargava e approfondiva la religiosità tradizionale, ma quanti erano legati a schemi culturali angusti e contingenti, lo interpretarono come un attentato alla religiosità e sbagliarono. H. Berhhof esamina le interpretazioni dei profondi sconvolgimenti causati dalle nuove acquisizioni scientifiche. La terra diveniva un piccolo satellite di una stella qualunque, sparsa in una delle innumerevoli galassie. L’uomo si scopriva una natura geocentrica, limitata, non più statica ma in uno spazio e tempo illimitati. La sua storia era un processo, uno sviluppo, una lotta per una maggior libertà, umanità, universalità. Legato-a e radicatoin un suolo subumano, ma sempre teso a più elevate possibilità, coinvolto in forze e processi pieni di rischi, ma anche di attese e di promesse, sempre fluttuante fra ottimismno e pessimismo8. Questa visione poteva sviluppare un senso religioso molto più ricco, significativo e profondo di quello antico, legato alle concezioni mitico-magiche delle culture prescientifiche. Poiché la religione fa prorompere domande fondamentali ineludibili, che esigono risposte adeguate e convincenti, le si offriva un’ottima occasione. Una più ricca e significativa visione del mondo e della vita rende più significative le domande che ne scaturiranno e più profonde e convincenti le risposte. La modernità rendeva i tempi maturi per una religiosità di alto significato, alimentata dalle conoscenze scientifiche. Il continuo fluire di nuove scoperte era ed è un’occasione preziosa per rinnovare le mediazioni culturali che accompagnano le espressioni religiose, ma non vanno identificate con esse. Le continue scoperte scientifiche, anziché mettere in crisi, consentono verifiche e purificazioni. La rinnovata immagine dell’uomo e del cosmo contribuì alla rinnovata immagine religiosa e teologica di Dio, dell’uomo e del mondo, delineata chiaramente nei documenti del Concilio Vaticano II, in primo luogo in Gaudium et Spes. Berkhof sottolinea la differenza del concetto di bontà tipico della cultura greca, interpretato nel senso statico di perfezione in atto, da quello biblico, inteso come dinamico e progressivo emergere del bene9. Ciò indica la possibilità di elaborare, dai rinnovamenti culturali operati dalle scienze, comprensioni più profonde e originali del patrimonio di fede. Le domande significative preludono a quelle, sempre ricorrenti, dell’ultimità (ultimacy). Scienza e religione: analogie e differenze Coulson, analizzando le analogie fra atteggiamento scientifico e religioso, identifica tre pregiudizi o pretese sulla scienza, da rimuovere. La scienza: 1) non muoverebbe da presupposti; 2) si baserebbe solo sui fatti; 3) si fonderebbe su leggi inalterabili. La realtà è opposta, perché essa: 1) dipende da ogni genere di presupposti; 2) si basa su interpretazioni dei fatti; 3) si riferisce a leggi rivedibili e confutabili. L’autore ricorda che molti scienziati e filosofi della scienza (quali Rutherford, Darwin, Beveridge, Huxley, Pasteur, Russell, Dingle, Max Planck e molti altri) la presentano come un’opera d’arte creativa che plasma i fatti, immagina, concepisce e formula le leggi. Nei momenti sopra indicati l’elemento personale svolge un ruolo fondamentale. I criteri scientifici sono opera di persone e gruppi, variabili nel tempo e nello spazio, dipenmdenti dai contesti umani, storici, culturali e sociali in cui vengono elaborati: “la scienza non deve essere considerata un semplice magazzino di fatti da utilizzare per scopi materiali, ma uno dei fondamentali comportamenti da mettersi a fianco dell’arte e della religione, come guida ed espressione di un’indomita ricerca umana della verità10. Schilling si sofferma sulle analogie di metodo fra scienze e religione, rilevando che, per comprenderle, occorre distinguere fra metodi e tecniche, fra lettera e spirito dei metodi. Ogni metodo comporta tre momenti: 1) empirico-descrittivo ed esperienziale-analitico, nel quale si effettuano le osservazioni e raccolgono i dati; 2) teorico, nel quale si elaborano le ipotesi, i concetti, le teorie ecc.; 3) trasformativo, nel quale si passa alle attuazioni pratiche. Religione e scienza vivono questi momenti in modi che si succedono e intrecciano e in una comunicazione tricircolare. Entrambe osservano e raccolgono dati, li elaborano criticamente e cercano di attuare ciò che riescono a scoprire e conoscere11. Evans sottolinea, invece, le differenze, perché fede e religione sono esperienze del profondo, l’approccio scientifico è superficiale ed esterno. Dagli studi sulla religione di R. Otto, J. Baillie, P. Tillich, D. M. Mackinnon e D. Bonhoeffer, egli enuclea le esperienze religiose fondamentali: 1) esperienza del profondo, come incontro personale io-Tu, che atei e non credenti non possono comprendere; 2) esperienza del numinoso, come manifestazione del mistero immenso e ineffabile che ci svela i nostri limiti e ci apre a un essere di suprema bontà, bellezza e grandezza, di cui intuiamo solo un infinitesimo; 3) esperienza della responsabilità etico-morale, come esigenza insopprimibile di bene, del dover essere, del continuo superamento verso il meglio; 4) esperienza dell’estraniazione radicale, che fa della vita un incessante interrogativo su sensi e significati ultimi. L’atteggiamento religioso comporta un profondo coinvolgimento personale, inesistente nella scienza. Le scienze della religione affrontano sempre: 1) situazioni personalmente coinvolgenti; 2) esperienze profonde; 3) verifiche mediante la comunicazione intersoggettiva12. Solo i maggiori scienziati, sempre sinceri credenti, testimoniano esperienze analoghe nella loro attività, ricerca e riflessione. Discorso scientifico e religioso Muovendo dall’analisi dei linguaggi, Ferré mostra che in un universo interpretato dalle scienze ,in senso strettamente empirista, il problema di Dio testimonia un invincibile e incorreggibile non empirismo 13. Le scoperte scientifiche possono consentire al linguaggio teologico: 1) riesami dei propri schemi; 2) scoperte di modi di credere più profondi e convincenti; 3) più accurate distinzioni fra realtà e sue rappresentazioni. Ciò può provocare una profonda e rinnovata conoscenza dell’universo religioso e del mondo divino14. Nei secoli XVII-XIX gli apparenti conflitti fra scienza e religione si acutizzarono, perché si confrontavano cosmovisioni culturali imbevute di scientismo con altre improntate al letteralismo. Per capirlo occorsero le critiche metodologiche ed epistemologiche del ‘900. Le scienze non furono più ritenute modelli di rigore logico e metodologico, espressioni razionali, regno di dati, fatti e oggettività, descrizioni esatte di realtà oggettive, verificate e indiscutibili. L’immagine monolitica della scienza fu drasticamente ridimensionata e si sgretolò. Nessun elemento poté sfuggire alle critiche. J. Barbour esaminate le varie interpretazioni della scienza; positivista, o puro insieme di dati; strumentalista, o strumento di controllo e previsione; idealista, o pura struttura e costruzione mentale; realista ingenua, o rappresentazione esatta e fedele ella realtà, le dimostra insostenibili. Propone, quindi, un realismo critico immune dalle loro esagerazioni e insufficienze15. Esso fa emergere anche gli aspetti affini all’impegno religioso: “l’impresa scientifica è un fenomeno poliedrico. Il suo genio è esattamente l’interazione di componenti che un approccio troppo semplificato ha spinto nell’isolamento. Essa coinvolge esperimento e teoria, nessuno dei quali, isolatamente, costituisce la scienza. Esige processi logici e immaginazione creativa capace di trascendere la logica. Le sue teorie sono valutate immediatamente da accordo empirico, coerenza razionale e comprensibilità. Attività individuale e originalità sono significative, ma devono realizzarsi entro la tradizione di una comunità scientifica e sotto l’influenza dei suoi paradigmi. Il linguaggio scientifico deve riferirsi al cosmo ma solo simbolicamente e parzialmente, usando a volte analogie o modelli di scopo limitato. Le teorie che ne risultano non hanno la garanzia di essere verità finali; ciascuna di esse potrà in futuro essere corretta, modificata, o in certi casi rovesciata in una maggiore rivoluzione. Tuttavia, le teorie scientifiche devono avere una credibilità e la comunità scientifica deve formulare un consenso, raramente riscontrato in altri tipi di ricerca. Benché alcuni aspetti della conoscenza scientifica cambino, molti altri sono conservati, contribuendo a una crescita cumulativa che differisce da quella di altre discipline”16. Questa esposizione, ricca di binomi, appare significativa ed equilibrata, manifestando gli aspetti profondi dell’attività scientifica, che sfuggono ai più. Sono questi a renderla simile all’impegno religioso che rivela le esigenze universali. Il modello delle scienze umano-sociali, molto più complesse di quelle fisico-naturali, consente di riassumere le somiglianze e differenze più significative dei due approcci. Scienza e religione. 1) Entrambe sono selettive, scegliendo ambiti precisi e limitati di problemi. La scienza riguarda le domande prime e immediate, la religione quelle ultime e supreme (senso totale della vita, dell’esistenza, fine e significato ultimo della realtà). 2) Entrambe devono attuare significative interazioni fra l’esperienza e la sua interpretazione, nelle quali il soggetto influisce sui modi di conoscere l’oggetto. 3) Entrambe esigono una comunità e confronti intersoggettivi. 4) Entrambe ricorrono a simboli e mediazioni culturali ed esigono un contesto di comprensione e comunicazione. 5) Entrambe esigono una tradizione che accolga, verifichi, raccolga e interpreti le acquisizioni, per poi testimoniarle e trasmetterle. Scienza e religione differiscono, invece, per: 1) Il maggiore coinvolgimento personale della religione, rispetto alla scienza. 2) La maggiore esigenza di verifiche storiche, per la religione. 3) Le diverse funzioni dei due linguaggi: evocativo e propositivo per la religione, cognitivo e illustrativo per la scienza. 4) La verificabilità empiricosperimentale per le scienze, la veridicità per la religione. Questi confronti mostrano somiglianze assai più rilevanti delle differenze. Insieme sono una base ampia per un confronto critico, fecondo e costruttivo. Confronto scienze-religione: i contenuti Anche il confronto fra i contenuti può essere significativo e fecondo. Le relazioni dell’uomo col cosmo sollevano importanti problemi etici e religiosi e influiscono sui modi di pensare Dio, l’uomo e la natura. Altro è considerare l’uomo un mero frutto della necessità e del caso, altro è vederlo come essere complesso, pluristratificato, caratterizzato da intelligenza, volontà, libertà e responsabilità. Le scienze antropologiche e umano-sociali, affrontando livelli più elevati, devono misurarsi con i problemi della cultura, personalità, autocoscienza, interiorità e trascendenza. Pur nella radicale continuità e solidarietà con la natura, l’uomo, nell’unità della storia in cui vive, sperimenta finitezza, corporeità, creaturalità. In queste condizioni, che lo accompagnano dalla vita alla morte, egli vive una perenne e ineliminabile tensione alla libertà, autotrasparenza e autocoscienza non solo percettive, ma anche etiche. L’uomo pensa e parla di ulteriorità oltre la morte e di trascendenza illimitata. Immerso nel finito e relativo, parla d’infinito e di assoluto. Anche il tema del male riceve nuovi impulsi dalla ricerca scientifica. Ne spiega le manifestazioni naturali quasi necessitanti e obbligate, ma fa emergere le responsabilità personali, comunitarie, etiche e politiche. Da parte sua, la riflessione religiosa solleva domande che esigono risposte adeguate e convincenti. Perché nell’uomo urge la necessità di sapere, conoscere, capire? Che cosa gli fa credere di poterla e doverla appagare? Perché è sempre insoddisfatto, tormentato, ansioso di progredire e migliorare tutte le sue conoscenze e realizzazioni? Perché esige di migliorare sempre ogni opera sua e altrui? Perché è sempre ansioso di verificare, confermare e convalidare veritativamente quanto pensa e crede? Perché rifiuta sempre ciò che non lo convince o non trova conferme? Perché l’evidenza soggioga la sua intelligenza, la sottomette, la costringe e non la lascia libera? Perché non si appaga di conoscenze antiche, collaudate e accettate, ma intraprende sempre nuovi cammini difficili e incerti? Perché crede, ha fede in qualcosa di ignoto e misterioso che, non conosce, non cade sotto i suoi sensi e tuttavia lo sovrasta? Perché quanto un istante prima era dubbio e incerto diviene subitamente certo ed evidente, anche se soffre ad ammetterlo e riconoscerlo? Riflessioni conclusive Questi interrogativi mostrano l’uomo impegnato da un’immensa esigenza che lo sovrasta, lo tormenta e lo affascina. Vista nelle sue componenti antropologiche, l’attività scientifica è l’esperienza e la rivendicazione della coscienza dell’uomo, della sua razionalità, del suo sapersi conoscente veridico ma soggetto all’errore. È l’affermazione di una realtà che trascende la sua persona e gli si impone. È l’accettazione umile e consapevole di una realtà che trascende e supera la sua persona e le sue convinzioni, lo domina, gli impone coerenza, ragionevolezza e senso del limite. Queste, però, sono anche le migliori caratteristiche dell’uomo religioso, Ciò spiega perché i maggiori scienziati furono credenti, religiosi e convinti. Perché, allora, alcuni operatori scientifici non sono credenti? In essi, l’attività scientifica professionale o abituale sembra creare dei burocrati del conoscere, deforma e fa degenerare la loro grande vocazione in un mediocre mestiere, volto a conseguire successi e vantaggi. Mentre i grandi geni scientifici scoprono sensi e significati profondi nelle cose più banali, i burocrati della ricerca banalizzano le realtà più profonde e significative. Mancano di aperture al profondo, all’ulteriore, all’ultimità e definitività. Gilkey, Barbour, Toulmin e altri autori indicano come ricca esperienza interiore e itinerario umano della “mente scientifica” il “rientrare in se stessi”. L’attività scientifica, come rientrare in se stessi è un’esperienza umana d’inesauribile ricchezza spirituale. Le sue esigenze di ricerca, scoperta e conferma, però, non sono mai appagate da risposte parziali, provvisorie e precarie. La ricerca è un percorso interminabile, alle prese con quell’ignoto che i grandi geni definiscono mistero dell’universo e dell’uomo. La ricerca è autentica se fa vivere tutto il rischio, l’apertura, l’ansia del più e del meglio proprie di ogni atteggiamento e tensione religiosa. 1 E. L. Mascall, Christian Theology and Natural Science, Longmans, London, 1957, p. 4. 2 Ib., p. 89. 3 Entrambe le citazioni: ib., p. 89. 4 J. G. Barbour, Science and Religion, New Perspectives on the Dialogue [abbr. SR], Harper and Row, New York, 1968, “Preface”, p. IX. 5 Ib. pp. 6-7. 6 J. G. Barbour, Issues in Science and Religion, Englewood Cliffs, N. J., Prentice Hall, 1966. Si vedano in particolare i capp. 4, 5, 12, e 13. 7 C. A. Coulson, The Similarity of Science and Religion, in SR, pp. 57-58; H. K. Schilling, The Threefolder Nature of Science and Religion, in SR, pp. 78-79. 8 H. Berkhof, Science and the Biblical World, in SR, p. 44. 9 Ib., p 52. 10 C. A. Coulson, The Similarity of Science and Religion, in SR, pp. 61, 73 11 H. K. Schilling, op. cit., p. 80. 12 D. D. Evans, Differences between Scientific and Religious Assertions, in SR, p. 111. 13 F. Ferré, Science and the Death of God, in SR, pp. 111-112. 14 Ib., pp. 153-154. 15 J. G. Barbour, Issues in Science and Religione, op. cit., p. 172. 16 Ib., pp. 173-174. Conclusione: umanesimo e cultura scientifica Pensiero creativo, approccio esperienziale riflessivo Possimo ora riassumere quanto è emerso nei vari capitoli sulle potenzialità umanistiche della scienza. Il primo capitolo ha messo in luce l’importanza, per il pensiero scientifico, di approfondire la complessità finalizzata al fine di comprendere meglio non solo l’universo, ma ancor più la vita, l’uomo e la società. Il secondo capitolo ha approfondito il carattere e il significato umano dell’attività scientifica, come creazione dello spirito, complessa e affascinante. La scienza appare un capolavoro di creatività umana, spirituale, culturale e mentale. È un vero pensiero creativo, col quale l’uomo crea la comprensione della realtà, con un’attenzione sempre aperta alla novità. La sua proposta incessante di novità tiene desto e vigile lo spirito umano. L’attività di ricerca impegna le capacità migliori dell’uomo. In essa, conta non tanto il succedersi dei risultati, sempre parziali, provvisori e precari, quanto gli sforzi, i sacrifici, l’ingegno, la riflessione, il coraggio e l’iniziativa, sorretti da un’inesauribile desiderio di conoscenza. Questo carattere è giustamente definito approccio esperienziale riflessivo, perché esperienza e riflessione sono le strutture portanti non solo della scienza, ma soprattutto dell’uomo e di ogni autentica cultura. Il terzo capitolo ha mostrato che il vero risultato scientifico non sta nelle scoperte isolate da ogni contesto, ma nei mutamenti radicali che si compiono nei soggetti, nel corso della ricerca, e nel succedersi di fallimenti, errori, tentativi ripetuti, scoraggiamente ed entusiasmi. Questo è anche il risvolto antropologico della ricerca, che indica le conseguenze umane, i mutamenti culturali, i nuovi concetti, la nuova coscienza, prodotti dallo svolgersi dell’attività scientifica e dal susseguirsi delle sue conoscenze. Nella prospettiva del popperiano terzo mondo, la scienza appare una testimonianza dell’incessante crescere umano, più che un succedersi e accumularsi di scoperte. Anche sotto questo aspetto la scienza si mostra un grande cammino di umanità, coraggio, sacrificio, costanza e umiltà, nel perseguire acquisizioni sempre imperfette, limitate, parziali, provvisorie e tuttavia indispensabili. In questo modo è una vera espressione della finitezza umana. Complessità, intersoggettività, anticipo delle premesse I capitoli quarto e quinto mostrano come la riflessione epistemologica e filosofica sulle scienze consentì di superare materialismo, scientismo e ideologie che, nel 1700 e 1800, condizionarono pesantemente il pensiero e l’attività scientifica. Si può parlare di una vera “ascesi scientifica” liberatrice. Nel suo difficile e contrastato cammino, la scienza si è rivelata strumento di liberazione da dogmatismi pseudo-filosofici di ogni tipo: positivisti, materialisti, scientisti. Il suo miglior sostegno, sempre utile e alla fine vincente, è stato il realismo critico del pensiero classico e cristiano. Il capitolo sesto ha sottolineato l’importanza logica e metodologica delle scienze umano-sociali per tutto il pensiero scientifico. I loro apporti riguardano la complessità organizzata dei sistemi, ma soprattutto il nuovo concetto di oggettività come intersoggettività e, ancor più, di oggettività come manifestazione anticipata delle premesse implicite e delle valutazioni iniziali di ogni ricerca e attività. La validità e fecondità delle scienze sociali emerge anche dai nuovi temi da esse affrontati. Le loro ricerche sulle aree e culture secolarizzate hanno mostrato la religione come una delle fonti più utili per conoscere la natura sociale e culturale dell’uomo. Hanno pure sottolineato la religione come momento decisivo dell’emergere dell’autocoscienza umana e come fattore determinante di ominizzazioe e umanizzazione. Altre hanno rilevato, nella resistenza religiosa alle ideologie immanentiste, l’opposizione più decisiva ai totalitarismi e le tirannie. Diverse scuole sociologiche indicano nella religione il punto culminante del trascendimento biologico dell’uomo e della specie e il passaggio dal biologico al culturale. Le vecchie teorie della religione come proiezione o sublimazione sono state confutate. Quelle più avanzate vedono in essa, invece, un processo di umanizzazione continua, attraverso il quale l’uomo, come persona e comunità, si misura con i supremi interrogativi, sollevati dalla sue più significative esperienze. Il capitolo settimo presenta numerose posizioni, sovente fortemente contrastanti. Per Antiseri l’empirismo critico mostra l’inconsistenza e illegittimità di ogni totalizzazione e di ogni assoluto che si pretenda scientifico, informativo e vincolante. Dalla filosofia del limite alla trascendenza Esso può fondare una filosofia del limite, dell’alienazione e della miseria umana, mettendone a nudo la possibilità di disperazione e d’invocazione. Risalendo dai più immediati e concreti problemi scientifici a quelli epistemologici, fino alle riflessioni filosofiche e metafisiche, è possibile trasformare le tematiche chiuse in problematiche aperte mediante riflessioni ulteriori, nelle quali i discorsi successivi non zittiscono quelli precedenti, ma li rendono più eloquenti e capaci di esprimere maggiori significati. Il capitolo ottavo ha sottolineato l’importanza del realismo critico, espressione stabile e coerente di pensiero e filosofia cristiana, per l’epistemologia e la filosofia della scienza. Il capitolo nono ha sviluppato il confronto fra atteggiamento scientifico e religioso, come esperienza personale globale. I risultati evidenziano la sorprendente affinità fra i due atteggiamenti, che rende legittima l’espressione di religiosità dell’impegno scientifico. Essa spiega le ragioni che rendono profondamente religiosi i sommi geni scientifici, di una religiosità, singolare e originale, non sempre capita e apprezzata nel giusto valore. Importa soprattutto rilevare che la scienza è la fonte dei maggiori interrogativi, essenziali ed esistenziali. Essi sorgono dal suo interno, ma ad essi non può dare risposta. Questo ne fa anche una scolta avanzata della teologia, confermando le sue enormi potenzialità culturali e umanistiche. Purtroppo finora è sempre mancato l’impegno e il progetto di valorizzarle. Scienza, tecnica, epistemologia, filosofia, etica, religione e teologia, quindi, non sono separate né antagoniste, ma momenti distinti e complementari di un unico impegno. Ciascuna attua un approccio diverso, specifico e insostituibile, alla realtà immensa e inesauribile che ci sovrasta. Accogliere tale realtà creativamente, in una continua interazione cosciente, libera e responsabile, è rinnovarsi. È questo il senso di un umanseimo scientifico e di un’autentica cultura scientifica che l’uomo, nella sua completezza di interiorità, ulteriorità e trascendenza, deve render possibile.