6 Novembre 2013
Editorale – Dal caos delle tessere può nascere una discussione seria
sulla forma partito……………………………………………..………………..p. 1
L’opinione – I sabotatori delle primarie. Ma chi sono
davvero?............................................................……………………...p. 3
La Settimana – La macchina del (futuro) capo ha un buco nella
gomma……………………………………………………………………..............p. 5
La voce ai dati – Militanza. Il gusto vintage che torna di
moda?...........................…………………………………………………………..…p. 7
Visti da Fuori - il PD e le elezioni del suo prossimo leader – riflessioni
da Oltre Manica………………………………..………………..………………..…..p. 9
Editoriale
DAL CAOS DELLE TESSERE PUÒ NASCERE UNA DISCUSSIONE SERIA SULLA FORMA
PARTITO
Luciano Fasano, Università di Milano e Coordinatore C&LS
Le consultazioni per l’elezione di segretari e
assemblee provinciali del Pd si sono lasciate alle
spalle uno strascico di polemiche che non va
sottovalutato. Nell’occhio del ciclone si trova quello
che potremmo un po’ ironicamente definire il
tesseramento “last minute”. Cioè a dire la
possibilità, per chi ha votato alle “primariette” per
gli organismi provinciali, di iscriversi fino al
momento stesso del voto. Una pratica
assolutamente insolita, almeno nella storia dei
partiti di massa, che come si sa prediligono
mantenere un ferreo controllo sulla membership,
soprattutto nelle fasi congressuali, onde evitare
repentini e incontrollati cambiamenti nei rapporti
di forza interni. Il Pd, invece, ha preferito optare per
una concezione del tesseramento più flessibile,
anche per via dell’ormai sperimentata apertura agli
elettori nel caso di consultazioni quali le primarie
per il candidato premier e l’elezione diretta del
segretario nazionale. Tuttavia ciò è avvenuto senza
interrogarsi sulle possibili conseguenze di tale
scelta, poiché non sarebbe stato di per sé difficile
prevedere che il tesseramento last minute avrebbe
dato la stura a contestazioni e ricorsi.
La polemica sulle iscrizioni occuperà le prime
pagine dei giornali ancora per qualche giorno.
permettendo ai candidati alla segreteria di
confrontarsi sulla manifesta inadeguatezza di una
regola che, a onor del vero, alla vigilia delle
consultazioni provinciali nessuno aveva
apertamente messo in discussione. È però chiaro
come il vero punto di disaccordo riguardi due
diversi modi di intendere un partito, e al tempo
stesso l’essenza della politica e della società, che per
la prima volta e in maniera pressoché inedita si
confrontano nelle cosiddette primarie per il
segretario nazionale del Pd. Da una parte, l’idea che
la politica sia ancora oggi centrale nella vita di una
società e che il partito ne sia il soggetto privilegiato
come artefice unico del cambiamento sociale.
È chiaro come all’interno del Pd
il confronto fra queste due
visioni finora si sia articolato
senza la necessaria
consapevolezza.
Dall’altra, l’idea che la politica sia una fra le tante
attività degli individui, non sia per nulla centrale
(anzi, rispetto a un glorioso passato, sia sempre più
marginale nella vita delle persone), e che il partito,
invece di essere strumento di una trasformazione
quasi palingenetica della società e del mondo, sia
[1] C&LS - candidateandleaderselection.eu
più semplicemente un mezzo per la selezione dei
nostri rappresentanti nelle istituzioni democratiche.
Se diamo priorità alla prima di queste concezioni,
allora riteniamo che la distinzione fra iscritti ed
elettori conservi ancora un significato, delimitando
chiaramente i confini di un’organizzazione che si dà
l’obiettivo di cambiare le cose mettendo insieme
persone che hanno la stessa visione del mondo e che
aspirano a governare la società, sulla base di
rapporti (sociali ed economici) di forza a sé
favorevoli. Se viceversa diamo priorità alla seconda,
allora riteniamo che la distinzione fra iscritti ed
elettori non sia più dotata di alcun senso, poiché ciò
che conta è la capacità di selezionare i propri
rappresentanti nelle sedi di decisione pubblica, dove
costoro poi si sforzeranno di mediare interessi e
identità differenziati e reciprocamente irriducibili,
cercando di ricomporli sulla base di una visione
della società e della cittadinanza valida per
chiunque e per ciascuno.
È chiaro come all’interno del Pd il confronto fra
queste due visioni finora si sia articolato senza la
necessaria consapevolezza. Tant’è vero che la
procedura delle iscrizioni last minute, assottigliando
la distinzione fra iscritti ed elettori, ha di fatto e
implicitamente contribuito a ratificare un
compromesso fra queste due concezioni, senza che
una reale discussione sulle diverse alternative di
forma partito, e sulle rispettive conseguenze
pratiche e organizzative, fosse mai stata messa
all’ordine del giorno. E così hanno avuto la meglio le
schermaglie interne. Dall’infondata polemica sui
presunti sabotatori delle primarie, che
accorrerebbero ai gazebo al solo scopo di far vincere
un candidato democratico perdente, alla ricorrente
contrapposizione strumentale degli iscritti agli
elettori, in virtù della quale i primi sarebbero i veri
difensori della politica democratica e i secondi dei
semplici avventori di passaggio. Per non tralasciare
un altro problema che, pur restando sullo sfondo di
queste primarie, è certamente destinato a
influenzarne gli esiti, soprattutto rispetto alla scelta
fra i due tipi di partito oggi in discussione. Stiamo
parlando dell’italica propensione al trasformismo,
che più di ogni altra cosa rischia di far cambiare
tutto perché tutto resti come prima. Anche se
almeno una speranza ancora c’è: poiché le primarie
stanno a cuore a tutto il popolo del Pd, agli elettori
così come agli iscritti, nessuno pensi che metterle
sul banco degli imputati possa rappresentare una
facile via di fuga per sottrarsi a una discussione sulla
forma partito ormai non più rinviabile.
.
[2] C&LS - candidateandleaderselection.eu
L’opinione
I sabotatori delle primarie. Ma chi sono davvero?
Fulvio Venturino, Università di Cagliari e Coordinatore C&LS
«La colpa sarebbe di chi vuole un congresso
aperto, non di chi acquista migliaia di tessere
in bianco? Ricordiamo a Cuperlo che qualsiasi
norma civile deve poter sanzionare i disonesti,
più che scoraggiare gli onesti». Sante parole,
quelle di Pippo Civati. Che per la verità non
trovano molto ascolto all’interno del suo
partito. Tanto che Beppe Fioroni si affretta a
fare notare che se avvengono brogli alle
primarie chiuse per eleggere i segretari
provinciali, dove occorre versare previamente
qualche decina di Euro per iscriversi al PD, le
cose andranno molto peggio alle primarie
aperte per l’elezione del segretario nazionale.
Che saranno primarie low cost, basteranno 2
Euro, venghino signori venghino.
L’identikit del sabotatore è già
bell’e pronto. È colui che non si
riconosce necessariamente sulle
classiche posizioni di sinistra, e
nello scorso mese di febbraio ha
votato per un partito di
centrodestra o per il Movimento
5 Stelle.
Fioroni ne fa un problema di elasticità della
domanda. Le primarie aperte costano meno,
quindi verranno “acquistate” di più. E,
abbastanza curiosamente, imputa a Matteo
Renzi le maggiori responsabilità per gli
scandali del tesseramento di questi giorni. Così
facendo, trascura innanzitutto il fatto che nella
gara (fasulla?) per eleggere i segretari
provinciali del partito Renzi ha perso. I dopati
sono altri. E poi dimentica anche un’evidenza
ben nota. Renzi piace molto di più a quanti
stanno fuori dal partito che a quelli che ci
stanno dentro. Va bene che è passato un anno
lungo come un secolo. Ma al ballottaggio del
dicembre 2012 gli iscritti votarono per l’80% a
favore di Pier Luigi Bersani, lasciando a Renzi
un misero 20%. Quindi, dal punto di vista di
Renzi, meno iscritti ci sono in vista dell’8
dicembre, più sarà facile diventare segretario.
Fioroni, più che a contribuire al dibattito
congressuale, sembra interessato a rendere pan
per focaccia a Renzi, che quando si trattò di
costituire le liste per le elezioni parlamentari
certo non ebbe molti riguardi nei suoi
confronti. Perciò ci vuole qualche sforzo per
individuare nelle sue parole uno spunto degno
di qualche riflessione. Però, a ben vedere,
quello spunto c’è. Fioroni richiama ancora una
volta la regola secondo cui alle primarie dell’8
dicembre possono votare tutti. E quindi
afferma che verranno a votare dei sabotatori
malintenzionati. Ovvero i disonesti che Civati
vorrebbe sanzionare.
L’identikit del sabotatore è già bell’e pronto. È
colui che non si riconosce necessariamente
sulle classiche posizioni di sinistra, e nello
scorso mese di febbraio ha votato per un
partito di centrodestra o per il Movimento 5
Stelle. Costui è attratto da Renzi, si sa, e quindi
Renzi il prossimo 8 dicembre vincerà le
primarie aperte perché sarà sostenuto da
sabotatori. Così, per amor di polemica e in
vista del mantenimento di posizioni di potere,
verrà reso un bel servizio al PD, al suo
segretario e alle primarie.
Ribattere ad argomentazioni basate sulla
cospirazione in principio è impossibile. Perciò
ci limitiamo ad avanzare un paio di
considerazioni. Primo: l’elettore italiano di
questi tempi è il più volatile del mondo. Nove
mesi fa 6 milioni di italiani hanno
abbandonato il Popolo della Libertà, e più di 8
milioni hanno premiato un movimento alla
[3] C&LS - candidateandleaderselection.eu
prima prova elettorale nazionale. In tanto
bailamme, potrebbe darsi che l’8 dicembre
qualche ex votante di Berlusconi e Grillo,
disilluso (pensa tu…) dalle sue scelte
precedenti, si presenti alle urne. In questo
caso, non dovremmo meravigliarci. Anzi, visto
che le primarie sembrano promuovere la
forza elettorale del PD, Fioroni dovrebbe
augurarselo. E questi elettori dovrebbero
essere considerati degli indipendenti in cerca
di rappresentanza politica, non certo dei
cospiratori filo-berlusconiani.
Seconda considerazione: un elettore non
appartenente al classico “popolo delle
primarie” di sinistra è un sabotatore se al
momento del voto alle primarie sceglie il
candidato più debole del PD, in modo da
facilitare la vittoria del centrodestra alle
prossime elezioni. Ma quanti sabotatori ci sono
con queste capacità di calcolo?
E quanti ne sarebbero necessari per sovvertire
l’esito di una competizione con 2 o 3 milioni di
elettori? Fantascienza. Quello che sappiamo
dalle primarie dell’anno scorso è che gli elettori
che si dichiaravano di centro erano pochini, e
di centrodestra pochissimi. Da costoro,
comunque, Renzi al ballottaggio ottenne
rispettivamente il 66 e l’85% dei voti. Non
perché ci fosse dietro chissà quale sabotaggio,
ma semplicemente perché a costoro Renzi
piaceva più di Bersani, e anche più di
Berlusconi. Il termine tecnico in questo caso
dice tutto: Renzi ha conquistato il voto
sincero degli elettori moderati. Ma se Fioroni
non è convinto forse può fare in tempo a
candidarsi alle primarie in prima persona.
Dopo tutto non sarebbe una novità.
.
[4] C&LS - candidateandleaderselection.eu
La settimana
LA MACCHINA DEL (FUTURO) CAPO HA UN BUCO NELLA GOMMA
Marco Valbruzzi, Istituto Universitario Europeo
Molto più che per il calcio, c’è uno sport nazionale
per il quale gli italiani nutrono una venerazione
sconfinata. La disciplina, per il momento ancora
non inserita tra gli sport olimpici, è quella del salto,
più o meno carpiato, sul carro del vincitore. Fin dai
tempi di Agostino Depretis, in politica, e
Leopoldo Fregoli, nel varietà, l’italiano è
sempre stato un professionista del trasformismo,
un artista del cambio (in corsa) di casacca, un
virtuoso del voltar gabbana. Citare Il Gattopardo
di Tomasi di Lampedusa sarebbe uno schiaffo
all’ovvietà. Molto meglio riprendere tra le mani un
vero classico del pensiero politico che, in quanto
tale, riesce ad illuminare il presente con parole
senza tempo: La politica come professione di Max
Weber. Ecco cosa scrive lo studioso tedesco: «assai
più difficile è l’ascesa di un capo là dove […]
accanto ai funzionari sono i “notabili” ad avere
influenza nel partito. […] Il risentimento contro il
demagogo in quanto homo novus, la convinzione
della superiorità dell’“esperienza” politica di partito
– la quale è in effetti di grande importanza – e la
preoccupazione ideologica di fronte al crollo delle
vecchie tradizioni di partito determinano il loro
agire. E nel partito essi hanno dalla propria parte
tutti gli elementi tradizionalisti. […] diffidano
dall’uomo a loro sconosciuto, salvo poi
naturalmente seguirlo tanto più fedelmente una
volta che questi abbia raggiunto il successo».
Non c’è descrizione migliore di questa per
riassumere, in poche righe, quello che è successo al
PD tra il 2012 e il 2013. L’ascesa di Matteo Renzi,
alla guida di una sgarrupata truppa di barbari (i
“renzichenecchi”) pronti a rottamare i notabili del
PD, ha prima spinto gli elementi tradizionalisti a
rinchiudersi nel loro fortino identitario (la “ditta”, il
“collettivo”) e poi, a disastro avvenuto, è
cominciato il flirt col “nemico” renziano, la
strizzatina d’occhio languida verso chi prometteva
sorti magnifiche e vincenti. Renzi non era più, nelle
sempre misurate parole di un intellettuale organico
al milieu bersaniano (Michele Prospero), un
portatore sanissimo di idee di “ascendenza
fascistoide”. Oggi che quel sindaco di Firenze
sembra avere tutte le carte in regola per diventare
leader del PD, Renzi non è più né fascista né
sfascista, ma, più pudicamente, una risorsa,
l’ultima ancora di salvezza, il boccone amaro da
inghiottire prima del tiramisù. E così tutti pronti a
cambiare casacca. Si scende dal pullman di Bersani
e si sale sul carro (pardon, camper) di Renzi.
Quello che all’inizio sembrava un
carretto spensierato e leggero, nel
quale era consentito l’ingresso
soltanto ai renziani di origine
controllata, oggi (come
dimostrano i risultati parziali
proveniente dai circoli) sembra
aver perso parecchia di quella sua
originaria vitalità.
Chi ancora non ha alcuna intenzione di
consegnarsi al presunto vincitore nella
competizione per la leadership interna al partito è
quel gruppo di irriducibili militanti, duri e puri,
che, stando ai primi risultati delle elezioni dei
segretari provinciali, sembrerebbe aver premiato
Gianni Cuperlo, ossia l’anti-Renzi per
antonomasia: per lo stile, la cultura politica, l’idea
di partito e il programma. Quindi, almeno per ora,
un pezzo importante di party on the ground, di
partito sul territorio, sebbene in parte gonfiato
artificiosamente da avidi microleader in cerca
di pacchetti di voti e futuri incarichi
amministrativi, sembra non aver ceduto al fascino,
tutt’altro che indiscreto, di Matteo Renzi.
Diversa la situazione per quel che riguarda il party
in central office e, soprattutto, il party in public
office, cioè il gruppo di parlamentari del PD. Per
quel che riguarda la struttura centrale del partito,
Renzi gode del sostegno della maggioranza dei
[5] C&LS - candidateandleaderselection.eu
componenti sia della Segreteria guidata da
Guglielmo Epifani (a pari merito con Cuperlo:
43,8%) sia della Direzione Nazionale (52%). Il
caso più eclatante e significativo, però, è senza
dubbio quello relativo ai parlamentari
“democratici”. Molti di quei deputati e senatori
erano entrati in Parlamento grazie all’appoggio, più
o meno diretto, dell’apparato del partito e
dell’allora Segretario Bersani. Ai renziani DOC,
quelli della prima ora, era stata riservata una
piccola quota di seggi (circa 50), una sorta di
diritto di tribuna per compensare il buon risultato
del sindaco fiorentino nelle primarie del 2012. A
meno di anno di distanza, lo scenario in
Parlamento è totalmente cambiato. Oggi, un
parlamentare su due del PD dichiara di sostenere
Renzi, mentre ad aprile era soltanto uno su dieci.
Quasi duecento, quindi, sono i parlamentari
convertiti sulla via di Firenze, saltati
opportunisticamente sul carro del probabile
vincitore. Tuttavia, quello che all’inizio sembrava
un carretto spensierato e leggero, nel quale era
consentito l’ingresso soltanto ai renziani di origine
controllata, oggi (come dimostrano i risultati
parziali proveniente dai circoli) sembra aver perso
parecchia di quella sua originaria vitalità.
Se l’età media dei renziani della prima ora era 43
anni, oggi quella dei “convertiti” a Renzi sfiora i 50.
Se, tra i renziani DOC, nove su dieci non avevano
alle spalle nessuna carriera parlamentare, oggi
almeno un terzo dei suoi sostenitori in Parlamento
ha già svolto almeno un mandato come deputato o
senatore. È solo un caso che l’ultimo libro di Renzi
abbia come titolo Oltre la rottamazione?. Forse no
e, probabilmente, è proprio a causa dall’aumentata
eterogeneità del suo sempre più folto gruppo di
sostenitori che il sindaco di Firenze si è trovato, e si
troverà, a dover annacquare molte di quelle
proposte che lo avevano reso tanto popolare al suo
esordio su scala nazionale.
Se è vero che tutte le strade portano a Roma, quella
che passa per Firenze, per ora, sembra essere più in
salita e più pericolosa del previsto. In molti, forse
troppi, sono saltati sul carro del vincitore e adesso,
ancor prima di cominciare il lungo viaggio, quel
carretto appare già appesantito e sgonfio. Chissà
se, da qualche parte su eBay, sia ancora in
vendita il vecchio camper?
[6] C&LS - candidateandleaderselection.eu
LA VOCE AI DATI
MILITANZA: IL VINTAGE CHE TORNA DI MODA
Natascia Porcellato, Università di Cagliari
Antonella Seddone, Università di Torino
Prima delle campagne 2.0, giocate fra Tweet e
Like; prima degli spot televisivi, più o meno
sofisticati; prima degli opuscoli con tanto di
famiglie sorridenti o delle navi della libertà pronte
a salpare da ogni porto italiano, le campagne
elettorali erano una faccenda che coinvolgeva in
maniera diretta i militanti di un partito. Ancora
prima della campagna permanente, erano gli
iscritti a fare la differenza. Iscritti. Non (solo)
tessere, ma persone in carne, ossa e ideologia
pronte ad impegnarsi in maniera attiva sul
territorio per contribuire alla mobilitazione in
favore del proprio partito. Tutto questo assume un
gusto ancor più vintage in un momento come
questo, quando l’iscrizione ad un partito occupa le
prime pagine dei giornali in relazione a lotte
congressuali giocate all’ultima tessera. E, a dirla
tutta, anche la parola ideologia non va più di moda
da diverso tempo.
Restano la carne e le ossa, però: gli iscritti. E
proprio le primarie sono uno strumento che può
rievocare quel rapporto ad alta intensità (ed alta
fedeltà) fra partiti e iscritti. Infatti, le primarie,
oltre all’obiettivo esplicito e dichiarato di
selezionare il leader – in questo caso: di partito –
sono un momento di partecipazione importante.
Può essere considerata una sorta di rievocazione
aggiornata di quelle pratiche di militanza attiva che
animavano i “vecchi partiti di una volta”. Senza
scivolare nell’amarcord delle Case del Popolo e
delle Feste dell’Unità, a volerle ben guardare le
primarie hanno una dimensione logisticoorganizzativa che chiama in causa in maniera
diretta i militanti. Chi sarebbero, altrimenti, quei
volontari che spendono le loro domeniche –
autunnali e invernali, spesso sfidando freddo e
pioggia – ai seggi? Consegnando schede,
raccogliendo gli euro, registrando votanti? Chi altri
se non gli iscritti?
Le campagne elettorali delle primarie, dunque,
sono parte di questo processo di ri-avvicinamento
fra partiti e iscritti. Per questo, vale la pena provare
a comprendere quali siano le motivazioni che
spingono i membri del PD a impegnarsi,
spendendo tempo e fatica – prima ancora delle
risorse materiali – per sostenere il proprio
candidato alle primarie.
Restano la carne e le ossa, però: gli
iscritti. E proprio le primarie sono
uno strumento che può rievocare
quel rapporto ad alta intensità (ed
alta fedeltà) fra partiti e iscritti.
Infatti, le primarie, oltre
all’obiettivo esplicito e dichiarato di
selezionare il leader – in questo
caso: di partito – sono un momento
di partecipazione importante.
Una buona via in questo caso è guardare alle
ragioni che hanno indotto gli iscritti del Partito
Democratico a spendersi durante la campagna
elettorale per le primarie dello scorso autunno. Per
questo, utilizzeremo dei dati provenienti da
un’indagine curata da C&LS (websurvey tra iscritti
al PD, marzo-aprile 2013, base casi: 13.666). È
interessante osservare come la motivazione
principale che ha spinto gli iscritti PD intervistati
ad attivarsi durante la scorsa campagna primaria
sia proprio di quella di rendere un servizio utile
proprio al partito. Se aggiungiamo che la seconda
riguarda direttamente le primarie, e
l’apprezzamento verso questo strumento di
inclusione e partecipazione, è facile constatare che
l’impegno e l’attivismo durante la campagna
primaria attengono a una dimensione collettiva
particolarmente sentita dagli iscritti del Partito
Democratico.
[7] C&LS - candidateandleaderselection.eu
Ci sono delle differenze riconducibili ai selettorati
dei diversi candidati? A questo proposito, abbiamo
considerato due diversi gruppi di iscritti, distinti
sulla base del voto espresso il 25 novembre 2012, al
primo turno delle primarie per la leadership del
centrosinistra, distinguendo quelli di Renzi dagli
altri (Bersani, Vendola, Tabacci e Puppato). La
chiave di lettura illustrata prima non si applica
altrettanto chiaramente ai sostenitori di Matteo
Renzi. Seppure l’apprezzamento dello strumento
primarie resti un elemento fondamentale nella
motivazione a partecipare, fra gli iscritti-selettori
(passati) del sindaco di Firenze emergono altre due
dimensioni: la condivisione delle proposte
programmatiche del candidato e l’identificazione
nei suoi valori. Per i selettori di Renzi, dunque,
appare molto più centrale la figura del (loro)
leader, mentre hanno una minore sensibilità
rispetto agli interessi “della ditta”, riprendendo
parole care all’ex segretario Bersani. C’è da dire
che, proprio nel caso di Renzi, entrambe le
dimensioni possono essere ricondotte al tema della
rottamazione (o nella sua versione più edulcorata:
del rinnovamento). Questo tratto appare molto
meno presente fra i sostenitori degli altri candidati
del 2012. Questi ultimi, infatti, appaiono più
animati da “spirito di servizio”, e solo in seconda
battuta emerge l’adesione a proposte e valori del
candidato votato.
Non intendiamo trasporre in maniera diretta
queste evidenze empiriche passate a una
competizione primaria come quella che si svolgerà
fra poche settimane. D’altra parte, sono cambiate
molte cose. I termini della competizione,
innanzitutto: qui la posta in gioco è la leadership
del partito, non la guida della coalizione alle
politiche. Sono mutati, poi, i contendenti in lizza,
Renzi a parte. Ma anche se Renzi rimane, è
cambiato il suo ruolo: da inseguitore (di Bersani) a
vincitore annunciato (su Cuperlo). Infine, è mutato
anche lo scenario politico, e anche se non ci sono
elezioni generali programmate a breve, queste non
sembrano mai troppo lontane in questo Paese. In
sintesi, sono cambiati i fattori che contribuiscono a
costruire le ragioni che sostengono gli iscritti
durante le primarie. Resta, sullo sfondo, la
convivenza, all’interno del medesimo partito, di
ragioni partecipative differenti. Ragioni differenti
che, però, non possono mai diventare antitetiche
dato che le primarie erano, e restano, l’unico
architrave su cui poggia l’intero Partito
Democratico.
[8] C&LS - candidateandleaderselection.eu
VISTI DA FUORI
IL PD E LE ELEZIONI DEL SUO PROSSIMO LEADER – RIFLESSIONI DA OLTRE
MANICA…
Arianna Giovannini, Leeds Metropolitan University
James L. Newell, University of Salford
Le elezioni per la selezione del leader del PD che si
terranno l’8 Dicembre, viste da quassù, lasciano
pensare ad un tentativo di svolta profondo, ma
anche molto difficile, per il partito. Certo, va detto
che i media britannici non hanno finora dato
troppa voce al dibattito su questo tipo di
(s)elezioni. Il perché è semplice. Da un lato, la
discussione politica sull’Italia trova spazio su
quotidiani e news oltre Manica spesso con
accezione negativa. Le elezioni senza vincitori e con
troppi vinti. Berlusconi e i suoi processi. Gli
scandali e la corruzione politica. L’elezione del
prossimo segretario del PD, in questo senso,
rappresenta un’ “eccezione”. Un tentativo di ristrutturare il PD e, in senso più ampio, il sistema
politico italiano. Probabilmente, dunque, ne
verranno discussi i risultati ma, con un po’ di
cinismo all’inglese, poco spazio viene dato ai
meccanismi e ai giochi di potere che stanno
prendendo forma nella fase organizzativa di queste
elezioni.
D’altro canto, le elezioni primarie e “segretarie”
(per usare il neologismo di Marco Valbruzzi)
vengono interpretate in maniera diversa nel Regno
Unito. Questo tipo di elezioni, qui, sono usate
principalmente dal Partito Laburista (i
Conservatori le hanno introdotte solo più di
recente), ma con metodi e scopi molto diversi
rispetto all’Italia. Sono anzitutto (molto) chiuse.
Infatti, solo gli iscritti al partito laburista e i
membri dei sindacati allineati possono votare, e il
Congresso del partito ha un peso rilevante sul
processo selettivo. Per questo, le elezioni primarie
e “segretarie” vengono viste per lo più come un
meccanismo endogeno al partito, volto a dare il
“giusto peso” ai vari stakeholder politici e sindacali,
con apertura solo parziale agli iscritti. Mentre in
Italia esse sono aperte, ed assumono un significato
completamente diverso – essendo concepite
principalmente come strumenti ormai quasi
necessari per (ri)legittimare i principi, le strutture
e i valori della debole democrazia rappresentativa
italiana. Il PD le usa quindi come dispositivo volto
a rafforzare il legame del partito con l’intero
elettorato, e per (tentare di) consolidare la fiducia
dei cittadini nei confronti della politica. I media
britannici, dunque, parlano poco delle elezioni
primarie e “segretarie” italiane, ma anche delle
loro. Forse perché, seguendo il principio guida
della tradizione, guardano agli altri casi pensando
al proprio modello. Senza coglierne le rilevanti
differenze di significato e metodo.
Insomma, anche da quassù è difficile
districare i vari nodi alla base del
dibattito sulla selezione del prossimo
leader del PD. Da un lato, le prospettive
non sembrano essere troppo rosee, molti
punti e controversie restano ancora
irrisolti. Dall’altro, se il PD riuscirà
veramente a rinnovarsi, a partire dai
propri vertici, e ad aprirsi verso il basso,
allora queste elezioni per il segretario del
partito potrebbero essere un punto di
volta importante, non solo per il
centrosinistra.
Dal punto di vista accademico, invece, essendo gli
autori membri di un gruppo di die-hards che
continua testardamente a tentare di capire il
sistema politico italiano dal Regno Unito, qualche
riflessione di merito emerge nel dibattito.
Sono due gli aspetti che colpiscono maggiormente
da quassù, uno negativo e uno positivo. Quello
negativo è il modo in cui le elezioni per la selezione
del leader del PD mettono in evidenza la
profondità delle divisioni all’interno di un partito
[9] C&LS - candidateandleaderselection.eu
che sta tentando (quasi disperatamente) di
riconnettersi con i suoi elettori e sostenitori. Il PD è
un partito emerso, storicamente, dalla fusione di
due apparati burocratici piuttosto che da un
processo di rinnovamento ideologico e/o
organizzativo. Per questo, le coalizioni
predominanti all’interno dei due partiti si sono
tacitamente spartite posizioni di potere all’interno
di quella che, di conseguenza, è sempre stata
un’entità politica composita e caratterizzata dalla
presenza di varie fazioni. All’indomani delle
elezioni di febbraio, le divisioni interne sono state
esacerbate dal fallimento del tentativo di creare
una qualche alleanza di governo col MoVimento 5
Stelle, dalla mancata capacità di agire in maniera
compatta nell’elezione del nuovo Presidente e dalla
conseguente formazione di un governo di larghe
intese a cui Bersani e i suoi sostenitori si erano
fortemente opposti – convinti che il conflitto di
interessi di Berlusconi avesse fatto perdere sia a lui
che al suo partito lo status di ‘legittimi concorrenti’
per il governo del paese.
Più di recente, inoltre, i conflitti interni al PD
hanno portato anche ad uno scambio di accuse tra
i candidati alla leadership per quel che riguarda le
“gonfiature” dei numeri degli iscritti al partito –
gonfiature che presumibilmente sono tese ad
aiutare i candidati a superare la fase pre-elettorale
della competizione per la selezione del leader,
prima, e a fornire le fanterie di supporto alle
proprie campagne, poi.
Più positivamente, scegliendo di tenere elezioni per
il leader aperte sia ai simpatizzanti che ai membri
del partito (caso unico in Europa), il PD ha
certamente dato un segnale di “apertura verso il
basso”. Una mossa, questa, che può essere
interpretata come un’appropriata risposta alla
“crisi dei partiti” riscontrabile in diverse
democrazie contemporanee. Significativo, quindi, è
il fatto che la precedente competizione elettorale
per la leadership del PD, tenutasi nell’ottobre del
2009, fu un chiaro successo – in quanto
genuinamente competitiva e in grado di attirare la
partecipazione di oltre 3 milioni di votanti, a
dispetto degli scandali e delle sconfitte incassate
dal partito a livello nazionale ed europeo.
Questa volta, però, il fatto che l’elezione per il
leader del PD si terrà in dicembre, e che l’esito
della competizione sembri essere per lo più
scontato, pone un grande punto interrogativo sulla
questione dell’affluenza. In altre parole, è legittimo
chiedersi se in questo contesto i cittadini italiani
(simpatizzanti o iscritti al PD) si muoveranno
nuovamente in grandi numeri – mostrando una
volontà di ri-legittimazione del PD e delle
istituzioni della democrazia rappresentativa
italiana – o si trincereranno ancora dietro istanze
antipolitiche, o semplicemente apatiche.
Altrettanto incerto è l’impatto del probabile
risultato di queste elezioni “segretarie”. Renzi vuole
smantellare le fazioni che lacerano il PD, e allo
stesso tempo vuole anche un partito in grado di
devolvere potere verso il basso, ai leader locali. Se
da un lato l’idea di un partito meno centralizzato
potrebbe attirare voti al di fuori dei tradizionali
bacini elettorali del PD, dall’altro la coniugazione
di due aspirazioni di tale natura potrebbe condurre
a risultati contrastanti per quel che riguarda la
coesione interna del partito. Paradossalmente,
infatti, mentre il sindaco di Firenze mobilita il
supporto di coloro che vedono in lui una figura
politica in grado di rivoluzionare il partito e di
portarlo al successo attaccando le tradizionali
oligarchie del PD, è interessante notare come i
membri di queste ultime abbiano ultimamente
iniziato a saltare sul carro del (presunto) vincitore.
Il rinnovo del partito, dunque, non sembra più
essere una priorità imprescindibile così come lo era
solo pochi mesi fa per un politico (Renzi) che sa
bene di aver bisogno del supporto di tutte le
correnti del PD per mantenere il carisma
necessario a soddisfare la sua ambizione di
diventare il prossimo Primo Ministro italiano.
Insomma, anche da quassù è difficile districare i
vari nodi alla base del dibattito sulla selezione del
prossimo leader del PD. Da un lato, le prospettive
non sembrano essere troppo rosee, molti punti e
controversie restano ancora irrisolti. Dall’altro, se il
PD riuscirà veramente a rinnovarsi, a partire dai
propri vertici, e ad aprirsi verso il basso, allora
queste elezioni per il segretario del partito
potrebbero essere un punto di svolta importante,
non solo per il centrosinistra. Potrebbero segnare
un primo passo verso la ri-legittimazione della
politica italiana agli occhi dei propri cittadini – e
magari anche da parte del pubblico che la osserva
dall’estero.
[10] C&LS - candidateandleaderselection.eu
"Questioni Primarie" è un osservatorio sulle primarie. È un progetto di Candidate & Leader Selection, realizzato grazie alla collaborazione
con l'edizione online della rivista "il Mulino" e il coinvolgimento dell'Osservatorio sulla Comunicazione Politica dell'Università di Torino.
Come già avvenuto in occasione delle Primarie della Coalizione Italia Bene Comune anche per le primarie per la selezione del leader del
Partito Democratico C&LS si propone di seguire attentamente la campagna elettorale accompagnandola con contributi settimanali di
riflessione su questo tema. L'obiettivo è offrire uno spazio di analisi, approfondimento e discussione aperto a diversi orientamenti e
approcci, ma ancorato a due riferimenti irrinunciabili: l’impiego di conoscenze di tipo empirico e il ricorso a una terminologia appropriata.
"Questioni Primarie" è un progetto coordinato da Luciano Fasano (Università di Milano) e Fulvio Venturino (Università di Cagliari). Al
comitato di redazione di Questioni Primarie partecipano: Giuliano Bobba (Università di Torino), Natascia Porcellato (Università di Cagliari),
Stefano Rombi (Università di Pavia), Antonella Seddone (Università di Torino), Marco Valbruzzi (European University Institute).
C&LS – Candidate and Leader Selection
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Sito web:
www.candidateandleaderselection.eu
[11] C&LS - candidateandleaderselection.eu
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Questioni Primarie 3-2013