6 Novembre 2013 Editorale – Dal caos delle tessere può nascere una discussione seria sulla forma partito……………………………………………..………………..p. 1 L’opinione – I sabotatori delle primarie. Ma chi sono davvero?............................................................……………………...p. 3 La Settimana – La macchina del (futuro) capo ha un buco nella gomma……………………………………………………………………..............p. 5 La voce ai dati – Militanza. Il gusto vintage che torna di moda?...........................…………………………………………………………..…p. 7 Visti da Fuori - il PD e le elezioni del suo prossimo leader – riflessioni da Oltre Manica………………………………..………………..………………..…..p. 9 Editoriale DAL CAOS DELLE TESSERE PUÒ NASCERE UNA DISCUSSIONE SERIA SULLA FORMA PARTITO Luciano Fasano, Università di Milano e Coordinatore C&LS Le consultazioni per l’elezione di segretari e assemblee provinciali del Pd si sono lasciate alle spalle uno strascico di polemiche che non va sottovalutato. Nell’occhio del ciclone si trova quello che potremmo un po’ ironicamente definire il tesseramento “last minute”. Cioè a dire la possibilità, per chi ha votato alle “primariette” per gli organismi provinciali, di iscriversi fino al momento stesso del voto. Una pratica assolutamente insolita, almeno nella storia dei partiti di massa, che come si sa prediligono mantenere un ferreo controllo sulla membership, soprattutto nelle fasi congressuali, onde evitare repentini e incontrollati cambiamenti nei rapporti di forza interni. Il Pd, invece, ha preferito optare per una concezione del tesseramento più flessibile, anche per via dell’ormai sperimentata apertura agli elettori nel caso di consultazioni quali le primarie per il candidato premier e l’elezione diretta del segretario nazionale. Tuttavia ciò è avvenuto senza interrogarsi sulle possibili conseguenze di tale scelta, poiché non sarebbe stato di per sé difficile prevedere che il tesseramento last minute avrebbe dato la stura a contestazioni e ricorsi. La polemica sulle iscrizioni occuperà le prime pagine dei giornali ancora per qualche giorno. permettendo ai candidati alla segreteria di confrontarsi sulla manifesta inadeguatezza di una regola che, a onor del vero, alla vigilia delle consultazioni provinciali nessuno aveva apertamente messo in discussione. È però chiaro come il vero punto di disaccordo riguardi due diversi modi di intendere un partito, e al tempo stesso l’essenza della politica e della società, che per la prima volta e in maniera pressoché inedita si confrontano nelle cosiddette primarie per il segretario nazionale del Pd. Da una parte, l’idea che la politica sia ancora oggi centrale nella vita di una società e che il partito ne sia il soggetto privilegiato come artefice unico del cambiamento sociale. È chiaro come all’interno del Pd il confronto fra queste due visioni finora si sia articolato senza la necessaria consapevolezza. Dall’altra, l’idea che la politica sia una fra le tante attività degli individui, non sia per nulla centrale (anzi, rispetto a un glorioso passato, sia sempre più marginale nella vita delle persone), e che il partito, invece di essere strumento di una trasformazione quasi palingenetica della società e del mondo, sia [1] C&LS - candidateandleaderselection.eu più semplicemente un mezzo per la selezione dei nostri rappresentanti nelle istituzioni democratiche. Se diamo priorità alla prima di queste concezioni, allora riteniamo che la distinzione fra iscritti ed elettori conservi ancora un significato, delimitando chiaramente i confini di un’organizzazione che si dà l’obiettivo di cambiare le cose mettendo insieme persone che hanno la stessa visione del mondo e che aspirano a governare la società, sulla base di rapporti (sociali ed economici) di forza a sé favorevoli. Se viceversa diamo priorità alla seconda, allora riteniamo che la distinzione fra iscritti ed elettori non sia più dotata di alcun senso, poiché ciò che conta è la capacità di selezionare i propri rappresentanti nelle sedi di decisione pubblica, dove costoro poi si sforzeranno di mediare interessi e identità differenziati e reciprocamente irriducibili, cercando di ricomporli sulla base di una visione della società e della cittadinanza valida per chiunque e per ciascuno. È chiaro come all’interno del Pd il confronto fra queste due visioni finora si sia articolato senza la necessaria consapevolezza. Tant’è vero che la procedura delle iscrizioni last minute, assottigliando la distinzione fra iscritti ed elettori, ha di fatto e implicitamente contribuito a ratificare un compromesso fra queste due concezioni, senza che una reale discussione sulle diverse alternative di forma partito, e sulle rispettive conseguenze pratiche e organizzative, fosse mai stata messa all’ordine del giorno. E così hanno avuto la meglio le schermaglie interne. Dall’infondata polemica sui presunti sabotatori delle primarie, che accorrerebbero ai gazebo al solo scopo di far vincere un candidato democratico perdente, alla ricorrente contrapposizione strumentale degli iscritti agli elettori, in virtù della quale i primi sarebbero i veri difensori della politica democratica e i secondi dei semplici avventori di passaggio. Per non tralasciare un altro problema che, pur restando sullo sfondo di queste primarie, è certamente destinato a influenzarne gli esiti, soprattutto rispetto alla scelta fra i due tipi di partito oggi in discussione. Stiamo parlando dell’italica propensione al trasformismo, che più di ogni altra cosa rischia di far cambiare tutto perché tutto resti come prima. Anche se almeno una speranza ancora c’è: poiché le primarie stanno a cuore a tutto il popolo del Pd, agli elettori così come agli iscritti, nessuno pensi che metterle sul banco degli imputati possa rappresentare una facile via di fuga per sottrarsi a una discussione sulla forma partito ormai non più rinviabile. . [2] C&LS - candidateandleaderselection.eu L’opinione I sabotatori delle primarie. Ma chi sono davvero? Fulvio Venturino, Università di Cagliari e Coordinatore C&LS «La colpa sarebbe di chi vuole un congresso aperto, non di chi acquista migliaia di tessere in bianco? Ricordiamo a Cuperlo che qualsiasi norma civile deve poter sanzionare i disonesti, più che scoraggiare gli onesti». Sante parole, quelle di Pippo Civati. Che per la verità non trovano molto ascolto all’interno del suo partito. Tanto che Beppe Fioroni si affretta a fare notare che se avvengono brogli alle primarie chiuse per eleggere i segretari provinciali, dove occorre versare previamente qualche decina di Euro per iscriversi al PD, le cose andranno molto peggio alle primarie aperte per l’elezione del segretario nazionale. Che saranno primarie low cost, basteranno 2 Euro, venghino signori venghino. L’identikit del sabotatore è già bell’e pronto. È colui che non si riconosce necessariamente sulle classiche posizioni di sinistra, e nello scorso mese di febbraio ha votato per un partito di centrodestra o per il Movimento 5 Stelle. Fioroni ne fa un problema di elasticità della domanda. Le primarie aperte costano meno, quindi verranno “acquistate” di più. E, abbastanza curiosamente, imputa a Matteo Renzi le maggiori responsabilità per gli scandali del tesseramento di questi giorni. Così facendo, trascura innanzitutto il fatto che nella gara (fasulla?) per eleggere i segretari provinciali del partito Renzi ha perso. I dopati sono altri. E poi dimentica anche un’evidenza ben nota. Renzi piace molto di più a quanti stanno fuori dal partito che a quelli che ci stanno dentro. Va bene che è passato un anno lungo come un secolo. Ma al ballottaggio del dicembre 2012 gli iscritti votarono per l’80% a favore di Pier Luigi Bersani, lasciando a Renzi un misero 20%. Quindi, dal punto di vista di Renzi, meno iscritti ci sono in vista dell’8 dicembre, più sarà facile diventare segretario. Fioroni, più che a contribuire al dibattito congressuale, sembra interessato a rendere pan per focaccia a Renzi, che quando si trattò di costituire le liste per le elezioni parlamentari certo non ebbe molti riguardi nei suoi confronti. Perciò ci vuole qualche sforzo per individuare nelle sue parole uno spunto degno di qualche riflessione. Però, a ben vedere, quello spunto c’è. Fioroni richiama ancora una volta la regola secondo cui alle primarie dell’8 dicembre possono votare tutti. E quindi afferma che verranno a votare dei sabotatori malintenzionati. Ovvero i disonesti che Civati vorrebbe sanzionare. L’identikit del sabotatore è già bell’e pronto. È colui che non si riconosce necessariamente sulle classiche posizioni di sinistra, e nello scorso mese di febbraio ha votato per un partito di centrodestra o per il Movimento 5 Stelle. Costui è attratto da Renzi, si sa, e quindi Renzi il prossimo 8 dicembre vincerà le primarie aperte perché sarà sostenuto da sabotatori. Così, per amor di polemica e in vista del mantenimento di posizioni di potere, verrà reso un bel servizio al PD, al suo segretario e alle primarie. Ribattere ad argomentazioni basate sulla cospirazione in principio è impossibile. Perciò ci limitiamo ad avanzare un paio di considerazioni. Primo: l’elettore italiano di questi tempi è il più volatile del mondo. Nove mesi fa 6 milioni di italiani hanno abbandonato il Popolo della Libertà, e più di 8 milioni hanno premiato un movimento alla [3] C&LS - candidateandleaderselection.eu prima prova elettorale nazionale. In tanto bailamme, potrebbe darsi che l’8 dicembre qualche ex votante di Berlusconi e Grillo, disilluso (pensa tu…) dalle sue scelte precedenti, si presenti alle urne. In questo caso, non dovremmo meravigliarci. Anzi, visto che le primarie sembrano promuovere la forza elettorale del PD, Fioroni dovrebbe augurarselo. E questi elettori dovrebbero essere considerati degli indipendenti in cerca di rappresentanza politica, non certo dei cospiratori filo-berlusconiani. Seconda considerazione: un elettore non appartenente al classico “popolo delle primarie” di sinistra è un sabotatore se al momento del voto alle primarie sceglie il candidato più debole del PD, in modo da facilitare la vittoria del centrodestra alle prossime elezioni. Ma quanti sabotatori ci sono con queste capacità di calcolo? E quanti ne sarebbero necessari per sovvertire l’esito di una competizione con 2 o 3 milioni di elettori? Fantascienza. Quello che sappiamo dalle primarie dell’anno scorso è che gli elettori che si dichiaravano di centro erano pochini, e di centrodestra pochissimi. Da costoro, comunque, Renzi al ballottaggio ottenne rispettivamente il 66 e l’85% dei voti. Non perché ci fosse dietro chissà quale sabotaggio, ma semplicemente perché a costoro Renzi piaceva più di Bersani, e anche più di Berlusconi. Il termine tecnico in questo caso dice tutto: Renzi ha conquistato il voto sincero degli elettori moderati. Ma se Fioroni non è convinto forse può fare in tempo a candidarsi alle primarie in prima persona. Dopo tutto non sarebbe una novità. . [4] C&LS - candidateandleaderselection.eu La settimana LA MACCHINA DEL (FUTURO) CAPO HA UN BUCO NELLA GOMMA Marco Valbruzzi, Istituto Universitario Europeo Molto più che per il calcio, c’è uno sport nazionale per il quale gli italiani nutrono una venerazione sconfinata. La disciplina, per il momento ancora non inserita tra gli sport olimpici, è quella del salto, più o meno carpiato, sul carro del vincitore. Fin dai tempi di Agostino Depretis, in politica, e Leopoldo Fregoli, nel varietà, l’italiano è sempre stato un professionista del trasformismo, un artista del cambio (in corsa) di casacca, un virtuoso del voltar gabbana. Citare Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa sarebbe uno schiaffo all’ovvietà. Molto meglio riprendere tra le mani un vero classico del pensiero politico che, in quanto tale, riesce ad illuminare il presente con parole senza tempo: La politica come professione di Max Weber. Ecco cosa scrive lo studioso tedesco: «assai più difficile è l’ascesa di un capo là dove […] accanto ai funzionari sono i “notabili” ad avere influenza nel partito. […] Il risentimento contro il demagogo in quanto homo novus, la convinzione della superiorità dell’“esperienza” politica di partito – la quale è in effetti di grande importanza – e la preoccupazione ideologica di fronte al crollo delle vecchie tradizioni di partito determinano il loro agire. E nel partito essi hanno dalla propria parte tutti gli elementi tradizionalisti. […] diffidano dall’uomo a loro sconosciuto, salvo poi naturalmente seguirlo tanto più fedelmente una volta che questi abbia raggiunto il successo». Non c’è descrizione migliore di questa per riassumere, in poche righe, quello che è successo al PD tra il 2012 e il 2013. L’ascesa di Matteo Renzi, alla guida di una sgarrupata truppa di barbari (i “renzichenecchi”) pronti a rottamare i notabili del PD, ha prima spinto gli elementi tradizionalisti a rinchiudersi nel loro fortino identitario (la “ditta”, il “collettivo”) e poi, a disastro avvenuto, è cominciato il flirt col “nemico” renziano, la strizzatina d’occhio languida verso chi prometteva sorti magnifiche e vincenti. Renzi non era più, nelle sempre misurate parole di un intellettuale organico al milieu bersaniano (Michele Prospero), un portatore sanissimo di idee di “ascendenza fascistoide”. Oggi che quel sindaco di Firenze sembra avere tutte le carte in regola per diventare leader del PD, Renzi non è più né fascista né sfascista, ma, più pudicamente, una risorsa, l’ultima ancora di salvezza, il boccone amaro da inghiottire prima del tiramisù. E così tutti pronti a cambiare casacca. Si scende dal pullman di Bersani e si sale sul carro (pardon, camper) di Renzi. Quello che all’inizio sembrava un carretto spensierato e leggero, nel quale era consentito l’ingresso soltanto ai renziani di origine controllata, oggi (come dimostrano i risultati parziali proveniente dai circoli) sembra aver perso parecchia di quella sua originaria vitalità. Chi ancora non ha alcuna intenzione di consegnarsi al presunto vincitore nella competizione per la leadership interna al partito è quel gruppo di irriducibili militanti, duri e puri, che, stando ai primi risultati delle elezioni dei segretari provinciali, sembrerebbe aver premiato Gianni Cuperlo, ossia l’anti-Renzi per antonomasia: per lo stile, la cultura politica, l’idea di partito e il programma. Quindi, almeno per ora, un pezzo importante di party on the ground, di partito sul territorio, sebbene in parte gonfiato artificiosamente da avidi microleader in cerca di pacchetti di voti e futuri incarichi amministrativi, sembra non aver ceduto al fascino, tutt’altro che indiscreto, di Matteo Renzi. Diversa la situazione per quel che riguarda il party in central office e, soprattutto, il party in public office, cioè il gruppo di parlamentari del PD. Per quel che riguarda la struttura centrale del partito, Renzi gode del sostegno della maggioranza dei [5] C&LS - candidateandleaderselection.eu componenti sia della Segreteria guidata da Guglielmo Epifani (a pari merito con Cuperlo: 43,8%) sia della Direzione Nazionale (52%). Il caso più eclatante e significativo, però, è senza dubbio quello relativo ai parlamentari “democratici”. Molti di quei deputati e senatori erano entrati in Parlamento grazie all’appoggio, più o meno diretto, dell’apparato del partito e dell’allora Segretario Bersani. Ai renziani DOC, quelli della prima ora, era stata riservata una piccola quota di seggi (circa 50), una sorta di diritto di tribuna per compensare il buon risultato del sindaco fiorentino nelle primarie del 2012. A meno di anno di distanza, lo scenario in Parlamento è totalmente cambiato. Oggi, un parlamentare su due del PD dichiara di sostenere Renzi, mentre ad aprile era soltanto uno su dieci. Quasi duecento, quindi, sono i parlamentari convertiti sulla via di Firenze, saltati opportunisticamente sul carro del probabile vincitore. Tuttavia, quello che all’inizio sembrava un carretto spensierato e leggero, nel quale era consentito l’ingresso soltanto ai renziani di origine controllata, oggi (come dimostrano i risultati parziali proveniente dai circoli) sembra aver perso parecchia di quella sua originaria vitalità. Se l’età media dei renziani della prima ora era 43 anni, oggi quella dei “convertiti” a Renzi sfiora i 50. Se, tra i renziani DOC, nove su dieci non avevano alle spalle nessuna carriera parlamentare, oggi almeno un terzo dei suoi sostenitori in Parlamento ha già svolto almeno un mandato come deputato o senatore. È solo un caso che l’ultimo libro di Renzi abbia come titolo Oltre la rottamazione?. Forse no e, probabilmente, è proprio a causa dall’aumentata eterogeneità del suo sempre più folto gruppo di sostenitori che il sindaco di Firenze si è trovato, e si troverà, a dover annacquare molte di quelle proposte che lo avevano reso tanto popolare al suo esordio su scala nazionale. Se è vero che tutte le strade portano a Roma, quella che passa per Firenze, per ora, sembra essere più in salita e più pericolosa del previsto. In molti, forse troppi, sono saltati sul carro del vincitore e adesso, ancor prima di cominciare il lungo viaggio, quel carretto appare già appesantito e sgonfio. Chissà se, da qualche parte su eBay, sia ancora in vendita il vecchio camper? [6] C&LS - candidateandleaderselection.eu LA VOCE AI DATI MILITANZA: IL VINTAGE CHE TORNA DI MODA Natascia Porcellato, Università di Cagliari Antonella Seddone, Università di Torino Prima delle campagne 2.0, giocate fra Tweet e Like; prima degli spot televisivi, più o meno sofisticati; prima degli opuscoli con tanto di famiglie sorridenti o delle navi della libertà pronte a salpare da ogni porto italiano, le campagne elettorali erano una faccenda che coinvolgeva in maniera diretta i militanti di un partito. Ancora prima della campagna permanente, erano gli iscritti a fare la differenza. Iscritti. Non (solo) tessere, ma persone in carne, ossa e ideologia pronte ad impegnarsi in maniera attiva sul territorio per contribuire alla mobilitazione in favore del proprio partito. Tutto questo assume un gusto ancor più vintage in un momento come questo, quando l’iscrizione ad un partito occupa le prime pagine dei giornali in relazione a lotte congressuali giocate all’ultima tessera. E, a dirla tutta, anche la parola ideologia non va più di moda da diverso tempo. Restano la carne e le ossa, però: gli iscritti. E proprio le primarie sono uno strumento che può rievocare quel rapporto ad alta intensità (ed alta fedeltà) fra partiti e iscritti. Infatti, le primarie, oltre all’obiettivo esplicito e dichiarato di selezionare il leader – in questo caso: di partito – sono un momento di partecipazione importante. Può essere considerata una sorta di rievocazione aggiornata di quelle pratiche di militanza attiva che animavano i “vecchi partiti di una volta”. Senza scivolare nell’amarcord delle Case del Popolo e delle Feste dell’Unità, a volerle ben guardare le primarie hanno una dimensione logisticoorganizzativa che chiama in causa in maniera diretta i militanti. Chi sarebbero, altrimenti, quei volontari che spendono le loro domeniche – autunnali e invernali, spesso sfidando freddo e pioggia – ai seggi? Consegnando schede, raccogliendo gli euro, registrando votanti? Chi altri se non gli iscritti? Le campagne elettorali delle primarie, dunque, sono parte di questo processo di ri-avvicinamento fra partiti e iscritti. Per questo, vale la pena provare a comprendere quali siano le motivazioni che spingono i membri del PD a impegnarsi, spendendo tempo e fatica – prima ancora delle risorse materiali – per sostenere il proprio candidato alle primarie. Restano la carne e le ossa, però: gli iscritti. E proprio le primarie sono uno strumento che può rievocare quel rapporto ad alta intensità (ed alta fedeltà) fra partiti e iscritti. Infatti, le primarie, oltre all’obiettivo esplicito e dichiarato di selezionare il leader – in questo caso: di partito – sono un momento di partecipazione importante. Una buona via in questo caso è guardare alle ragioni che hanno indotto gli iscritti del Partito Democratico a spendersi durante la campagna elettorale per le primarie dello scorso autunno. Per questo, utilizzeremo dei dati provenienti da un’indagine curata da C&LS (websurvey tra iscritti al PD, marzo-aprile 2013, base casi: 13.666). È interessante osservare come la motivazione principale che ha spinto gli iscritti PD intervistati ad attivarsi durante la scorsa campagna primaria sia proprio di quella di rendere un servizio utile proprio al partito. Se aggiungiamo che la seconda riguarda direttamente le primarie, e l’apprezzamento verso questo strumento di inclusione e partecipazione, è facile constatare che l’impegno e l’attivismo durante la campagna primaria attengono a una dimensione collettiva particolarmente sentita dagli iscritti del Partito Democratico. [7] C&LS - candidateandleaderselection.eu Ci sono delle differenze riconducibili ai selettorati dei diversi candidati? A questo proposito, abbiamo considerato due diversi gruppi di iscritti, distinti sulla base del voto espresso il 25 novembre 2012, al primo turno delle primarie per la leadership del centrosinistra, distinguendo quelli di Renzi dagli altri (Bersani, Vendola, Tabacci e Puppato). La chiave di lettura illustrata prima non si applica altrettanto chiaramente ai sostenitori di Matteo Renzi. Seppure l’apprezzamento dello strumento primarie resti un elemento fondamentale nella motivazione a partecipare, fra gli iscritti-selettori (passati) del sindaco di Firenze emergono altre due dimensioni: la condivisione delle proposte programmatiche del candidato e l’identificazione nei suoi valori. Per i selettori di Renzi, dunque, appare molto più centrale la figura del (loro) leader, mentre hanno una minore sensibilità rispetto agli interessi “della ditta”, riprendendo parole care all’ex segretario Bersani. C’è da dire che, proprio nel caso di Renzi, entrambe le dimensioni possono essere ricondotte al tema della rottamazione (o nella sua versione più edulcorata: del rinnovamento). Questo tratto appare molto meno presente fra i sostenitori degli altri candidati del 2012. Questi ultimi, infatti, appaiono più animati da “spirito di servizio”, e solo in seconda battuta emerge l’adesione a proposte e valori del candidato votato. Non intendiamo trasporre in maniera diretta queste evidenze empiriche passate a una competizione primaria come quella che si svolgerà fra poche settimane. D’altra parte, sono cambiate molte cose. I termini della competizione, innanzitutto: qui la posta in gioco è la leadership del partito, non la guida della coalizione alle politiche. Sono mutati, poi, i contendenti in lizza, Renzi a parte. Ma anche se Renzi rimane, è cambiato il suo ruolo: da inseguitore (di Bersani) a vincitore annunciato (su Cuperlo). Infine, è mutato anche lo scenario politico, e anche se non ci sono elezioni generali programmate a breve, queste non sembrano mai troppo lontane in questo Paese. In sintesi, sono cambiati i fattori che contribuiscono a costruire le ragioni che sostengono gli iscritti durante le primarie. Resta, sullo sfondo, la convivenza, all’interno del medesimo partito, di ragioni partecipative differenti. Ragioni differenti che, però, non possono mai diventare antitetiche dato che le primarie erano, e restano, l’unico architrave su cui poggia l’intero Partito Democratico. [8] C&LS - candidateandleaderselection.eu VISTI DA FUORI IL PD E LE ELEZIONI DEL SUO PROSSIMO LEADER – RIFLESSIONI DA OLTRE MANICA… Arianna Giovannini, Leeds Metropolitan University James L. Newell, University of Salford Le elezioni per la selezione del leader del PD che si terranno l’8 Dicembre, viste da quassù, lasciano pensare ad un tentativo di svolta profondo, ma anche molto difficile, per il partito. Certo, va detto che i media britannici non hanno finora dato troppa voce al dibattito su questo tipo di (s)elezioni. Il perché è semplice. Da un lato, la discussione politica sull’Italia trova spazio su quotidiani e news oltre Manica spesso con accezione negativa. Le elezioni senza vincitori e con troppi vinti. Berlusconi e i suoi processi. Gli scandali e la corruzione politica. L’elezione del prossimo segretario del PD, in questo senso, rappresenta un’ “eccezione”. Un tentativo di ristrutturare il PD e, in senso più ampio, il sistema politico italiano. Probabilmente, dunque, ne verranno discussi i risultati ma, con un po’ di cinismo all’inglese, poco spazio viene dato ai meccanismi e ai giochi di potere che stanno prendendo forma nella fase organizzativa di queste elezioni. D’altro canto, le elezioni primarie e “segretarie” (per usare il neologismo di Marco Valbruzzi) vengono interpretate in maniera diversa nel Regno Unito. Questo tipo di elezioni, qui, sono usate principalmente dal Partito Laburista (i Conservatori le hanno introdotte solo più di recente), ma con metodi e scopi molto diversi rispetto all’Italia. Sono anzitutto (molto) chiuse. Infatti, solo gli iscritti al partito laburista e i membri dei sindacati allineati possono votare, e il Congresso del partito ha un peso rilevante sul processo selettivo. Per questo, le elezioni primarie e “segretarie” vengono viste per lo più come un meccanismo endogeno al partito, volto a dare il “giusto peso” ai vari stakeholder politici e sindacali, con apertura solo parziale agli iscritti. Mentre in Italia esse sono aperte, ed assumono un significato completamente diverso – essendo concepite principalmente come strumenti ormai quasi necessari per (ri)legittimare i principi, le strutture e i valori della debole democrazia rappresentativa italiana. Il PD le usa quindi come dispositivo volto a rafforzare il legame del partito con l’intero elettorato, e per (tentare di) consolidare la fiducia dei cittadini nei confronti della politica. I media britannici, dunque, parlano poco delle elezioni primarie e “segretarie” italiane, ma anche delle loro. Forse perché, seguendo il principio guida della tradizione, guardano agli altri casi pensando al proprio modello. Senza coglierne le rilevanti differenze di significato e metodo. Insomma, anche da quassù è difficile districare i vari nodi alla base del dibattito sulla selezione del prossimo leader del PD. Da un lato, le prospettive non sembrano essere troppo rosee, molti punti e controversie restano ancora irrisolti. Dall’altro, se il PD riuscirà veramente a rinnovarsi, a partire dai propri vertici, e ad aprirsi verso il basso, allora queste elezioni per il segretario del partito potrebbero essere un punto di volta importante, non solo per il centrosinistra. Dal punto di vista accademico, invece, essendo gli autori membri di un gruppo di die-hards che continua testardamente a tentare di capire il sistema politico italiano dal Regno Unito, qualche riflessione di merito emerge nel dibattito. Sono due gli aspetti che colpiscono maggiormente da quassù, uno negativo e uno positivo. Quello negativo è il modo in cui le elezioni per la selezione del leader del PD mettono in evidenza la profondità delle divisioni all’interno di un partito [9] C&LS - candidateandleaderselection.eu che sta tentando (quasi disperatamente) di riconnettersi con i suoi elettori e sostenitori. Il PD è un partito emerso, storicamente, dalla fusione di due apparati burocratici piuttosto che da un processo di rinnovamento ideologico e/o organizzativo. Per questo, le coalizioni predominanti all’interno dei due partiti si sono tacitamente spartite posizioni di potere all’interno di quella che, di conseguenza, è sempre stata un’entità politica composita e caratterizzata dalla presenza di varie fazioni. All’indomani delle elezioni di febbraio, le divisioni interne sono state esacerbate dal fallimento del tentativo di creare una qualche alleanza di governo col MoVimento 5 Stelle, dalla mancata capacità di agire in maniera compatta nell’elezione del nuovo Presidente e dalla conseguente formazione di un governo di larghe intese a cui Bersani e i suoi sostenitori si erano fortemente opposti – convinti che il conflitto di interessi di Berlusconi avesse fatto perdere sia a lui che al suo partito lo status di ‘legittimi concorrenti’ per il governo del paese. Più di recente, inoltre, i conflitti interni al PD hanno portato anche ad uno scambio di accuse tra i candidati alla leadership per quel che riguarda le “gonfiature” dei numeri degli iscritti al partito – gonfiature che presumibilmente sono tese ad aiutare i candidati a superare la fase pre-elettorale della competizione per la selezione del leader, prima, e a fornire le fanterie di supporto alle proprie campagne, poi. Più positivamente, scegliendo di tenere elezioni per il leader aperte sia ai simpatizzanti che ai membri del partito (caso unico in Europa), il PD ha certamente dato un segnale di “apertura verso il basso”. Una mossa, questa, che può essere interpretata come un’appropriata risposta alla “crisi dei partiti” riscontrabile in diverse democrazie contemporanee. Significativo, quindi, è il fatto che la precedente competizione elettorale per la leadership del PD, tenutasi nell’ottobre del 2009, fu un chiaro successo – in quanto genuinamente competitiva e in grado di attirare la partecipazione di oltre 3 milioni di votanti, a dispetto degli scandali e delle sconfitte incassate dal partito a livello nazionale ed europeo. Questa volta, però, il fatto che l’elezione per il leader del PD si terrà in dicembre, e che l’esito della competizione sembri essere per lo più scontato, pone un grande punto interrogativo sulla questione dell’affluenza. In altre parole, è legittimo chiedersi se in questo contesto i cittadini italiani (simpatizzanti o iscritti al PD) si muoveranno nuovamente in grandi numeri – mostrando una volontà di ri-legittimazione del PD e delle istituzioni della democrazia rappresentativa italiana – o si trincereranno ancora dietro istanze antipolitiche, o semplicemente apatiche. Altrettanto incerto è l’impatto del probabile risultato di queste elezioni “segretarie”. Renzi vuole smantellare le fazioni che lacerano il PD, e allo stesso tempo vuole anche un partito in grado di devolvere potere verso il basso, ai leader locali. Se da un lato l’idea di un partito meno centralizzato potrebbe attirare voti al di fuori dei tradizionali bacini elettorali del PD, dall’altro la coniugazione di due aspirazioni di tale natura potrebbe condurre a risultati contrastanti per quel che riguarda la coesione interna del partito. Paradossalmente, infatti, mentre il sindaco di Firenze mobilita il supporto di coloro che vedono in lui una figura politica in grado di rivoluzionare il partito e di portarlo al successo attaccando le tradizionali oligarchie del PD, è interessante notare come i membri di queste ultime abbiano ultimamente iniziato a saltare sul carro del (presunto) vincitore. Il rinnovo del partito, dunque, non sembra più essere una priorità imprescindibile così come lo era solo pochi mesi fa per un politico (Renzi) che sa bene di aver bisogno del supporto di tutte le correnti del PD per mantenere il carisma necessario a soddisfare la sua ambizione di diventare il prossimo Primo Ministro italiano. Insomma, anche da quassù è difficile districare i vari nodi alla base del dibattito sulla selezione del prossimo leader del PD. Da un lato, le prospettive non sembrano essere troppo rosee, molti punti e controversie restano ancora irrisolti. Dall’altro, se il PD riuscirà veramente a rinnovarsi, a partire dai propri vertici, e ad aprirsi verso il basso, allora queste elezioni per il segretario del partito potrebbero essere un punto di svolta importante, non solo per il centrosinistra. Potrebbero segnare un primo passo verso la ri-legittimazione della politica italiana agli occhi dei propri cittadini – e magari anche da parte del pubblico che la osserva dall’estero. [10] C&LS - candidateandleaderselection.eu "Questioni Primarie" è un osservatorio sulle primarie. È un progetto di Candidate & Leader Selection, realizzato grazie alla collaborazione con l'edizione online della rivista "il Mulino" e il coinvolgimento dell'Osservatorio sulla Comunicazione Politica dell'Università di Torino. Come già avvenuto in occasione delle Primarie della Coalizione Italia Bene Comune anche per le primarie per la selezione del leader del Partito Democratico C&LS si propone di seguire attentamente la campagna elettorale accompagnandola con contributi settimanali di riflessione su questo tema. L'obiettivo è offrire uno spazio di analisi, approfondimento e discussione aperto a diversi orientamenti e approcci, ma ancorato a due riferimenti irrinunciabili: l’impiego di conoscenze di tipo empirico e il ricorso a una terminologia appropriata. "Questioni Primarie" è un progetto coordinato da Luciano Fasano (Università di Milano) e Fulvio Venturino (Università di Cagliari). Al comitato di redazione di Questioni Primarie partecipano: Giuliano Bobba (Università di Torino), Natascia Porcellato (Università di Cagliari), Stefano Rombi (Università di Pavia), Antonella Seddone (Università di Torino), Marco Valbruzzi (European University Institute). C&LS – Candidate and Leader Selection [email protected] Sito web: www.candidateandleaderselection.eu [11] C&LS - candidateandleaderselection.eu