Terre des hommes Italia, Fondazione Internazionale Lelio Basso,
Save the Children Italia
e
Associazione Parsec
Ricerca:
Il traffico internazionale di minori. Piccoli schiavi senza frontiere.
Il caso dell’Albania e della Romania.
di
Francesco Carchedi
Roma, dicembre 2002
1
“Il mestiere più vecchio del mondo
non è la prostituzione,
ma lo sfruttamento sessuale delle donne e
dei bambini”
(Giornalista di Famiglia Cristiana al Convegno Caritas
di Roma sul Traffico di donne e bambini, presso
la sede RAI di Roma, dicembre 2001)
2
IL GRUPPO DI RICERCA
Gabriela Alexandrescu
Paola Barone
Giuliana Candia
Francesco Carchedi (Direzione scientifica)
Pippo Costella
Anna Maria D’Ottavi
Renato Frisanco
Danila Indirli
Simona La Rocca
Bronwen Lewis
Catalin Luca
Nicola Mai
Piera Marras (Coordinamento)
Diana Matei
Vjollca Mecaj
Cristina Minguzzi
Veslemoj Naerland
Isabella Orfano
Georgeta Paunescu
Diana Serban
Gil Vasile
LA SEGRETERIA TECNICA
Patrizia Bonanni (Editing)
Maria Elvira Gomes
Maria Ines Libanio
IL COMITATO SCIENTIFICO
Linda Bimbi,
Segretario generale – Fondazione Internazionale L. Basso
Melita Cavallo,
Presidente Commissione nazionale adozioni internazionali,
Presidenza del consiglio dei Ministri -–Membro direttivo
Associazione italiana magistrati per i minorenni e per le famiglie
Marina D’Amato,
Docente di sociologia – Università di Roma Tre
Maria Grazia Giammarinaro,
Giudice per le indagini preliminari - Tribunale penale di Roma,
Esperta del Consiglio del Consiglio d’Europa in materia di
traffico di esseri umani
Giovanni Mottura,
Docente di Sociologia del lavoro – Università di Modena
Mauro Valenti,
Sociologo e Funzionario responsabile del Comitato minori
stranieri – Ministero del lavoro e delle politiche sociali
3
ELENCO DEI TESTIMONI-CHIAVE INTERVISTATI
1.
Padre Adriano
Congregazione dei Comboniani, di Bari
2.
Teresa Albano
3.
Tiziana Bellavista
4.
Amilcare Biancarelli
Area anti-tratta dell’Organizzazione internazionale delle
migrazioni, di Roma
Osservatorio sullo sfruttamento dei minori, Regione E.
Romagna - Asl di Rimini
Cooperativa Il Borgo, di Perugia
5.
Marco Bufo
Associazione On the road, di Martin Sicuro
6.
Suor Chiara Carraro
Centro ascolto Parrocchia San Pio X, di Padova
7.
Mauro Carta
Responsabile Comunità Felix – parsec servizi, di Roma
8.
Alessandro Ciuffa
Direttore del Servizio sociale internazionale, di Roma
9.
Pino De Lucia
Cooperativa Agorà, di Crotone
10.
Mirta Del Pra
Gruppo Abele, di Torino
11.
Elena di Filippo
Cooperativa Dedalus, di Napoli
12.
Claudio Donatel
Città prostituzione – Comune di Venezia
13.
Claudia Forini
Associazione Porta Aperta, di Milano
14.
Gianni Fulvi
15.
Pino Gulia
16.
Don Cesare Lo Deserto
già Responsabile del centro di pronto intervento minori
della Caritas di Roma
già Responsabile del Settore immigrazione della Caritas
Diocesana
Regina pacis, di Lecce
17.
Laura Marzini
Responsabile Ufficio Minori stranieri – Comune di Torino
18.
Demetrio Missineo
19.
Bruno Mitrugno
20.
Stefano Montorfano
Responsabile per i rapporti con l’Unione Europea sui temi
dell’immigrazione straniera e membro della Commissione
Interministeriale per l’attuazione dell’art. 18 del T.U.
289/98
Responsabile Area Balcani della Caritas diocesana di
Brindisi-Ostuni
Associazione Lule, di Abbiategrasso
21.
Andrea Morniroli
22.
Maura Muneretto
Cooperativa Dedalus, Responsabile Progetto la Gatta, di
Napoli
Cooperativa Parsec, di Roma
23.
Fredo Olivero
Ufficio pastorale migranti – Caritas di Torino
24.
Sara Pedroni
Centro accoglienza Progetto Segnavia, di Mantova
25.
Vanna Poli
Responsabile Servizio minori del Comune di Modena
26.
Silvio Premoli
27.
Suor Rita
Caritas Ambrosiana e Cooperativa Farsi prossimo, di
Milano
Comunità Ruth, di Caserta
28.
Stefania Scodanibbio
Associazione On the road, di Martin Sicuro
29.
Mirko Tamagnini
Consulente Asl di Rimini sui progetti di protezione sociale
30.
Vittoria Tola
31.
Daniel Zagghai
già Responsabile Polite sociali del Dipartimento per le Pari
opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
Associazione Eritros, di Roma
4
INTERVISTE COLLETTIVE
1.
-
Associazione Ala, di Milano
Landai Phan
Eugenia Lungu
Miriam Gironi
Dario Franchetti
2.
-
Associazione Black e White, di Castel Volturno (Caserta)
Padre Giorgio
Padre Franco
Padre Nicola
3.
-
Comunità di accoglienza della Caritas, di Reggio Calabria -Bova
Elena Sgrò
Silvia Chianpella
Eliana Romeo
Giancarla Montanaro
Rosi Impalà
4.
-
Associazione Casa dei diritti sociali, di Roma
Carla Baiocchi
Angelo Caivano
Agata Magiac
Silvano Boschin
5.
-
Cooperatica Cat, di Firenze
Da Prato Michela
Edith Okafor
Adelina Lacaj
Alessandro Tarlini
Rebecca Rossi
Roberto Versari
Diou Vassilissa
Monica Morsini
6.
-
Cooperativa Dedalus, di Napoli
Nadia Hamdani
Paola Esposito
Carlo Russo
Anila Xhemalaj
7.
-
Lega italiana Lotta all’Aids (Lila), di Roma
Emanuela Mauriello
Massimo Saija
Elisabetta Marmigi
Natascia Cobani
Ines Maggio
Andrea di Gianbattista
Edna Arebudola
8.
-
Cooperativa Lotta all’emarginazione sociale, di Sesto San Giovanni
Tiziana Bianchini
Chiara Simoncini
5
-
Nicola Locatelli
Riccardo Di Facci
9. Associazione Lule, di Abbiategrasso
Maddalena Mella
Emanuele Omodeo Zorini
Ilaria Bozzini
10. Cooperativa Magliana ’80, di Roma
Ugoma Francisco
Valeria Parrinello
Francis Mbany
Leon Miraha
Mauro Silvestri
Maria Flora Stamatti
11. Cooperativa La Mimosa, di Padova
Antonio Pietrogrande
Elisa Bedin
12. Cooperativa Nuovo Villaggio, di Padova
Marina Ghiraldo
Marco Baldini
13.
-
Cooperativa Oasi, di Trani (Bari)
Antonella De Benedittis
Daniela Simone
Ivano Ventura
Grazia Narciso
Rita Leone
Mino Di Lernia
14.
-
Associazione On the road, di Martin Sicuro (Ascoli Piceno)
Zana Dhroso
Romina Ciafardone
Barbara Montanini
Roberto Rossi
15.
-
Cooperativa Parsec, di Roma
Deborah Di Cave
Leila Daianis
Laura Lagi
Teresa Acuzie
Nia Alico
Cristina Minguzzi
16.
-
Comune di Venezia – Progetto città prostituzione, di Venezia
Monica Paolini
Loris Zampieri
Cinzia Granagnolo
6
INDICE
1. Introduzione
.
di Francesco Carchedi
PAG.
.
.
.
.
.
.
.
.
2. La tratta di donne adulte e bambine. Uno sguardo d’insieme
di Francesco Carchedi e Renato Frisanco
2.1. Il fenomeno del traffico di esseri umani: rilevanza e definizione
.
.
2.2. Una conoscenza del fenomeno problematica e ancora parziale
.
.
2.3. Alcune delle principali cause dello sviluppo e i fattori strutturali che
contraddistinguono il fenomeno nel nostro paese. .
.
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.
2.4. La tratta delle minorenni a scopo di sfruttamento sessuale: fasi e meccanismi
di base del fenomeno .
.
.
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.
.
.
.
2.5. Il ciclo prostituzionale e la spirale dello sfruttamento .
.
.
.
2.6. Il traffico e le forme di sfruttamento para-schiavistico dei minori stranieri .
2.7. Osservazioni conclusive
.
.
.
.
.
.
.
Bibliografia .
.
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.
.
.
.
.
.
.
1
15
17
19
26
29
40
47
49
3. Alcune caratteristiche di base dei meccanismi di sfruttamento delle donne e dei bambini.
Aspetti quantitativi e qualitativi
di Francesco Carchedi
3.1 Premessa.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
51
3.2 I dati ufficiali e i dati di stima dello sfruttamento sessuale .
.
.
53
3.3. I criteri di stima e le stime delle donne coinvolte nella prostituzione .
.
59
3.4. La prostituzione stanziale e la prostituzione itinerante-camminante
Gli assi territoriali di spostamento e la posizione dei minori .
.
.
66
3.5. La posizione dei minori e le caratteristiche delle modalità di sfruttamento .
77
3.6. Osservazioni conclusive
.
.
.
.
.
.
.
86
4. Le condizioni di grave sfruttamento dei minori. Le interviste ai testimoni-chiave
di Anna Maria D’Ottavi
4.1 Premessa
.
.
.
.
.
.
.
.
.
90
4.2 Da minori stranieri a piccoli schiavi .
.
.
.
.
.
91
4.3 La normativa di riferimento .
.
.
.
.
.
.
95
4.4 Le condizioni di vita oscure .
.
.
.
.
.
.
102
4.5 La schiavitù come progetto migratorio
.
.
.
.
.
107
4.6 Cosa significa minore età e le differenze di genere .
.
.
.
112
4.7 Il progetto educativo .
.
.
.
.
.
.
.
119
4.8 Dalle risorse istituzionali e spontanee al lavoro in rete
.
.
.
127
4.9 Il risveglio delle coscienze
.
.
.
.
.
.
.
133
4.10Il perchè della scelta: Albania e Romania
.
.
.
.
.
135
5. Mascolinità albanesi, sex-work e migrazione: omosessualità e rischio di infezioni da
rapporti sessuali
di Nicola Mai
5.1 Premessa .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
139
7
5.2. L’omosessualità invisibile e silenziosa. Marginalità sociale
o emigrazione all’estero e in Italia in particolare .
.
5.3 Le disposizioni normative in relazione all’omosessualità e
alla prostituzione
.
.
.
.
.
.
5.4 Il discorso omosessuale, i diversi tipi di omosessualità e le
pratiche prostituzionali
.
.
.
.
.
5.5 Sex work come strategia rischiosa di fuoriuscita dalla condizione
di povertà
.
.
.
.
.
.
.
5.6. Sex work come “marchettaro” e sfruttatore di donne
.
5.7. Le diverse strategie di sopravvivenza in rapporto ai rischi di
infezione da Hiv
.
.
.
.
.
.
Bibliografia .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
140
.
.
143
.
.
145
.
.
.
.
149
154
.
.
.
.
157
160
6. Il traffico di minori dalla Romania e dall’Albania. Aspetti che determinano il fenomeno e i
percorsi di contrasto e di inserimento possibili
di Cristina Minguzzi
6.1 Premessa
.
.
.
.
.
.
.
.
.
161
6.2 Alcune interazioni tra il traffico di donne a scopo di prostituzione e il
traffico di minori. Aspetti comuni trai due fenomeni nei casi della
Romania e dell’Albania.
.
.
.
.
.
.
.
162
6.3 Modalità del traffico illegale di persone verso l’Italia. La Romania come
paese di reclutamento e di transito, recentemente anche come luogo di
destinazione
.
.
.
.
.
.
.
.
.
167
6.4 Lo stato dell’arte in tema di lotta al traffico: la legislazione in vigore e
l’efficacia della sua applicazione in Romania .
.
.
.
.
169
6.5 Le Organizzazioni non governative intervistate: potenzialità e criticità emerse
172
6.6 Le condizioni che determinano l’insorgere del fenomeno e il profilo dei
soggetti coinvolti: le famiglie e i minori trafficati; i trafficanti e le
modalità di reclutamento
.
.
.
.
.
.
.
174
6.7 Rimpatrio delle vittime e valutazione degli strumenti di contrasto al traffico
di esseri umani attivati in Italia
.
.
.
.
.
.
177
6.8 Il caso dell’Albania
.
.
.
.
.
.
.
.
178
6.9 Osservazioni conclusve
.
.
.
.
.
.
.
190
Bibliografia .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
193
7. Il fenomeno migratorio regolare ed irregolare: flussi di transito, flussi migratori albanesi e
traffico di bambini
di Elisabetta Quarta
7.1 Premessa
.
.
.
.
.
.
.
.
.
194
7.2 Definizione di “tratta” e disposizioni di legge
.
.
.
.
197
7.3 Aspetti quantitativi del fenomeno .
.
.
.
.
.
198
7.4 La situazione in Albania
.
.
.
.
.
.
.
202
7.5. Ragazzi di strada, nuove urbanizzazioni e prostituzione
.
.
.
207
7.6 La tratta dei minori .
.
.
.
.
.
.
.
211
7.7. I trafficanti
.
.
.
.
.
.
.
.
.
215
7.8. Un breve inciso sui profitti
.
.
.
.
.
.
.
216
7.9. Il “recupero” e il reinserimento sociale delle vittime della tratta:
reinserimento di chi? dove? .
.
.
.
.
.
217
7.10Osservazioni conclusive
.
.
.
.
.
.
.
221
8
Bibliografia .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
224
8.
Servizi di protezione e buone pratiche di re-inserimento sociale. Analisi dei casi nei paesi
all’esame
di Isabella Orfano
8.1 Premessa
.
.
.
.
.
.
.
.
.
227
8.2 I servizi in Italia. Gli studi di caso
.
.
.
.
.
.
229
8.3 I servizi in Albania. Gli studi di caso .
.
.
.
.
.
270
8.4 I servizi in Romania. Gli studi di caso .
.
.
.
.
.
296
8.5 Osservazioni conclusive
.
.
.
.
.
.
.
309
9. Le norme internazionali e nazionali dell’Unione europea sul traffico finalizzato allo
sfruttamento lavorativo e sessuale dei minori
di Simona La Rocca
9.1 Premessa
.
.
.
.
.
.
.
.
.
313
9.2 Le Convenzioni e le iniziative internazionali .
.
.
.
.
314
9.3 La legislazione e le iniziative europee .
.
.
.
.
.
329
9.4 La legislazione e le iniziative nazionali
.
.
.
.
.
334
9.5 Osservazioni conclusive
.
.
.
.
.
.
.
343
Bibliografia .
.
.
.
.
.
.
.
.
.
345
10. Procedure giudiziarie e costruzione dell’iter processuale nell’ ambito dello sfruttamento
sessuale dei minori stranieri. Analisi di alcuni casi.
di Danila Indirli
10.1Premessa.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
348
10.2Audizione del minore .
.
.
.
.
.
.
.
348
10.3La perizia psicodiagnostica e la valutazione giuridica di attendibilità
.
351
10.4Indagini ed accertamento medico-legale
.
.
.
.
.
353
10.5 L’intervento integrato delle istituzioni giudiziaria e socio-sanitaria
insieme alle associazioni di volontariato.
.
.
.
.
.
355
10.6Il procedimento penale tra garanzie dell’indagato e tutela del minore parte offesa 356
10.7Analisi di alcuni casi .
.
.
.
.
.
.
.
360
10.8Osservazioni conclusive
.
.
.
.
.
.
.
363
11 Aspetti del traffico di esseri umani in Romania. Le cause del fenomeno e il quasro
normativo attuale
di Gil Vasile
11.1Premessa
.
.
.
.
.
.
.
.
.
364
11.2 Le principali cause alla base del fenomeno e i metodi di reclutamento
maggiormente utilizzati
.
.
.
.
.
.
.
365
11.3La legislazione nazionale e gli strumenti internazionali
.
.
.
368
11.4Alcune informazioni statistiche
.
.
.
.
.
.
374
a. Iniziative volte a combattere il traffico e influenza dei nuovi provvedimenti
legislativi e delle azioni intraprese sulla base di casi giudiziari seguiti
.
377
b. Aspetti valutativi della legislazione nazionale: punti di forza e
punti di debolezza
.
.
.
.
.
.
.
.
380
12. Osservazioni conclusive generali
di Francesco Carchedi
.
.
.
.
.
.
383
9
1. Introduzione
di Francesco Carchedi
1.1
I paesi all’esame
L’indagine che la Fondazione Internazionale Lelio Basso ha svolto – all’interno del progetto più
generale su: “Il traffico internazionale di minori: piccoli schiavi senza frontiere. I casi Albania e
Romania” con capo-fila Terre des Hommes Italia (in collaborazione con Save the children Italia e
Parsec – Ricerca ed interventi sociali) - è stata avviata, per conto del Ministero degli Esteri, nel
gennaio 2002 e si è conclusa nel dicembre dello stesso anno. L’indagine ha preso in esame il
fenomeno del traffico delle donne ed in particolare dei minori nei tre paesi allo studio, cioè l’Italia,
l’Albania e la Romania.
Questi paesi, con modalità e caratteristiche diverse, rappresentano, allo stesso tempo, almeno
dall’ultimo decennio, delle aree privilegiate di insediamento e di transito di componenti minorili
costrette (e destinate) a forme gravi di sfruttamento; ovvero quella condizione che si determina
quando gli adulti traggono vantaggio economico dall'abuso continuato della propria posizione di
dominio o di potere nei confronti dei minori o di altri adulti a loro sottomessi. Adulti, questi ultimi,
che magari esercitano la prostituzione – o sottostanno ad altre forme di grave sfruttamento – da più
anni e che il periodo di avvio di tale assoggettamento è collocabile a quando avevano la minore
età.
Dalla Romania, il paese dell’area balcanica più orientale, dunque, soprattutto a partire dall’ultimo
quinquennio, si rilevano significativi traffici di esseri umani, con segmenti al proprio interno di
persone minorenni. Questi traffici hanno una doppia connotazione: in parte si formano nella stessa
Romania ( in particolare nel Banato, regione situata a Nord-est del paese) e in parte si formano
nella Moldavia e nell’Ucraina. Questi ultimi transitano per qualche mese in Romania (soggiacendo
in genere già a forme di grave sfruttamento) per esseri portati con forza o raggiro in Italia, seguendo
due direttrici principali: quella meridionale, passando dalla Bulgaria o dalla Yugoslavia in
direzione dell’Albania, oppure attraversando le regioni settentrionali in direzione dell’Ungheria e
proseguendo verso Ovest in direzione dell’Austria o della Slovenia.
Stessa situazione si rileva per l’Albania: da paese di nascita del traffico di donne e di minori a scopo
di grave sfruttamento – soprattutto di carattere sessuale – verso l’Italia, è diventato, negli ultimi
anni (a causa del peso assunto dalle organizzazioni criminali albanesi), anche paese di transito di
persone trafficate provenienti dai paesi centrali dei Balcani (Serbia, Bulgaria), oppure da altri paesi
limitrofi o più lontani. Nel senso che le medesime organizzazioni – o organizzazioni diverse ad esse
funzionalmente collegate – gestiscono l’ultima fase del traffico, cioè quella che implica anche il
passaggio di frontiera marittima e pertanto più difficile e rischiosa delle altre. Frontiera,
quest’ultima che negli ultimi anni è andata affievolendosi a vantaggio di quelle terrestri sulla
direttrice Nord (Kossovo e Slovenia) e sulla direttrice Sud (Grecia, Cipro, Malta) Malta) e da
ultimo quelle ubicate nell’area meridionale tunisina e l’area occidentale libica (nella zona di confine
sottostante l’isola di Gerba e la cittadina di Zuwarah).
Infine, anche per l’Italia è possibile parlare di paese di transito e al contempo di grave sfruttamento,
per il fatto che alcuni gruppi femminili di minorenni - sfruttate dapprima nel nostro paese –
vengono portate in Francia, in Germania, in Austria, in Spagna e in Belgio (viceversa, si riscontrano
casi di minorenni e di donne che da questi paesi vengono dopo qualche tempo riportate in Italia).
Questi spostamenti di carattere transnazionale – e al contempo rotatorio - danno la misura
10
dell’importanza che il fenomeno ha assunto per le bande criminali coinvolte e di quanto alto sia
diventato il loro grado di specializzazione ed efficienza tecnico-organizzativa; nonché la loro
capacità di collegamento e di alleanza territoriale con altre bande criminali impegnate nei diversi
paesi dove questo traffico di auto genera e si sviluppa.
1.2. La filosofia dell’indagine, definizioni di traffico e gli ambiti dello sfruttamento esplorati
La filosofia che ha accompagnato il percorso di indagine è stata quella propria che si evince dalla
legge n. 269/98 (“Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo
sessuale in danno di minori, quale nuove forme di schiavitù”), in quanto non riconosce la
volontarietà della scelta prostituzionale da parte dei minori di anni diciotto. In definitiva gli
sfruttatori o i protettori – oppure qualunque altra persona a vario titolo – che induce le donne e gli
uomini in età inferiore ai diciotto anni ad esercitare la prostituzione commettono un reato grave
(come recita l’art. 9, “Chiunque commette tratta o comunque fa commercio di minori degli anni 18
al fine di indurli alla prostituzione è punito con la reclusione dai sei ai venti anni”). Si tratta quindi
di un reato grave a prescindere della volontarietà o involontarietà (espressa o inespressa) dei diretti
interessati e della presunta maturità psico-fisica che gli interessati medesimi possono dimostrare
(art. 1 e 2) ad una superficiale osservazione dei tratti e degli atteggiamenti esteriori.
Al riguardo anche la Convenzione Onu sui diritti dei fanciulli (di New York del 20 novembre
1989) richiama gli Stati (firmatari) ad adottare ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed
educativa per tutelare i minori contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o
mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamento o di sfruttamento, compresa la violenza
sessuale (art. 19). L’art 3, inoltre, stabilisce che “l’interesse superiore del fanciullo” (concetto
ripreso anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nel suo art. 24), deve essere
alla base di qualsiasi intervento di protezione e di assistenza sociale attivato o attivabile da enti
istituzionali e non, finalizzato a soddisfare le speciali e le specifiche esigenze che provengono
dall’infanzia.
Lo scopo del traffico di esseri umani, notoriamente, è quello di produrre guadagni illeciti a
vantaggio delle organizzazioni (gestite quasi totalmente da adulti, prevalentemente maschi), in
quanto consorzi criminali. Si rilevano, in aggiunta, forme individuali di grave sfruttamento messe in
campo da singole persone non necessariamente collegate funzionalmente ad organizzazioni
malavitose. Da un lato, quindi, siamo in presenza di un business organizzato da bande criminali in
senso stretto1, perpetuato nel tempo anche con criteri imprenditoriali; dall’altro siamo in presenza di
forme relazionali fortemente asimmetriche che si instaurano coercitivamente tra due persone: l’una
1
Al riguardo la definizione a cui facciamo riferimento è quella espressa dalla Convenzione Onu sulla criminalità
organizzata transnazionale (Palermo, 12/15 dicembre 2000). Può definirsi criminale un gruppo organizzato quando esso
“è strutturato, esistente per un certo periodo di tempo, composto di tre o più persone che agiscono di concerto al fine di
commettere uno o più reati gravi, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro
vantaggio materiale” (Art. 2). Occorre fare riferimento, dunque, ad una struttura composta di uomini, di mezzi e di
ingenti capitali i cui fini principali possono essere individuati: a) nell’arricchimento ingente e rapido; b) nella ricerca
dell’impunità; c) nell’acquisizione di posizioni di potere. Fattori che - secondo Van Duyne - permettono alla criminalità
organizzata di agire come un’impresa che svolge una pluralità di attività, illecite e apparentemente lecite, tendendo alla
massimizzazione del profitto mediante la riduzione ai minimi termini dei costi, sia economici che penali, che debbono o
possono essere sostenuti. P.C. Van Duyne, Organized crime corruption and power, in Crime law and social change,
Kluwer Academie publisher, Avenel, n. 26, 1997, pp. 201-238, cit. da P.P. Romani, la criminalità organizzata e la
gestione del traffico di esseri umani, in Fondazione Internazionale L. Basso, Parsec, Traffico di esseri umani,
criminalità organizzata e forme contemporanee di schiavitù, rapporto di ricerca, Ministero degli Esteri, Roma, giugno,
2002, p. 92 e segg.
11
più forte e con poteri assoggettanti, l’altra più fragile e sostanzialmente vulnerabile costretta alla
subordinazione e costretta a seguire da un paese all’altro il proprio aguzzino e approfittatore.
Si tratta dunque di fenomeni sociali abbastanza particolari che nelle manifestazioni più estreme si
possono configurare come nuove forme di schiavitù, in quanto i rapporti che intercorrono tra gli
attori coinvolti sono caratterizzati dalla violenza e dall’abuso della posizione di vulnerabilità, anche
dovuta all’età. Infatti, i fenomeni di grave sfruttamento - pur nella loro gravità – non sono sempre
rapportabili alle condizioni para-schiavistiche. Ciò che le colloca in tale condizione è la mancanza
pressocchè assoluta di libertà, di possibilità di negoziazione, di possibilità di recidere la relazione
assoggettante, in quanto perpetuata con la violenza, con relazioni abusive e con la coercizione
reiterata. Questa impossibilità è determinata – come accennato - dal particolare rapporto di
soggezione che si instaura tra le parti: l’una detentrice di potere coercitivo (fisico e psicologico),
l’altra vulnerabile e debole e pertanto non in grado di opporre resistenza, né quella individuale o
familiare e né quella collettiva ed ufficiale della Forza pubblica2.
La Convenzione Onu sulla criminalità organizzata (Palermo, 12/15 dicembre ’00) nel Protocollo
aggiuntivo assume la fattispecie di traffico di esseri umani. Nel suo art. 3 (ai commi a. e b.) il
“traffico di persone” è inteso come “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggiamento
forzato, attraverso la costrizione o uso della forza o di qualsiasi altra forma di coercizione o
trattenimento coatto … sfruttando la condizione di vulnerabilità degli interessati … allo scopo di
acquisire vantaggi economici e il controllo su altre persone … a scopo di sfruttamento … della
prostituzione o di altre forme di sfruttamento sessuale … lavoro forzato o servizi, schiavitù o
pratiche simili alla schiavitù, servitù e rimozione degli organi”3. Mentre ai commi c. e d. il
Protocollo indica, nella sostanza, che quando le vittime sono minori di 18 anni qualsiasi azione
illecita perpetrata ai loro danni può essere considerata “traffico di persone”.
Da questa definizione – che riprende ed estende quella proposta dalla Convenzione di Ginevra del
’56 – è possibile delineare gli ambiti dove possono riscontrarsi forme di grave sfruttamento
comparabili con quelle para-schiavistiche4, e cioè:
a. in ambito economico, prevedendo la cosidetta “servitù da debito” (ossia la condizione di
assoggettamento derivante dalla contrazione di un debito in cui il processo di restituzione è
soggetto a minacce e vessazioni violente); la “servitù domestica” (ossia la forma di
assoggettamento di un coniuge o di altri familiari conviventi, nonché di terze persone a servizio
presso la famiglia basata su rapporti di subordinazione coercitiva); la “servitù da lavoro
2
La Dichiarazione Ministeriale dell’Aja (del 26 aprile ’97) rafforza la sanzionalibità del traffico di donne e dei bambini
a scopo di sfruttamento sessuale. Infatti, essa considera perseguibile penalmente: “ogni condotta che facilita l’ingresso,
il traffico, la residenza o l’uscita dal territorio di uno Stato, legalmente o illegalmente, allo scopo di sfruttamento
sessuale remunerativo, per mezzo di coercizione, in particolare violenza o minaccia, inganno, abuso di autorità o altro
tipo di pressione tale da fare in modo che la persona non abbia scelta effettiva e accettabile se non sottomettersi alla
costrizione o all’abuso subito”.
3
Le definizioni date dal Protocolli fuoriusciti a Palermo sembrano ricalcare in parte quelle della Convenzione
supplementare di Ginevra del 1956 per quanto concerne gli ambiti di grave sfruttamento e la Risoluzione del
Parlamento europeo (del 18 gennaio 1996) per quanto concerne il concetto di vulnerabilità. Infatti, nell’art. 3 del
protocollo si sottolinea come fatto illegale “l’abuso della condizione di vulnerabilità” altrui, quando cioè l’abusato
soggiace alle condizioni di servitù in quanto non possiede “ragionevoli alternative” che gli possano permettere
l’interruzione del rapporto coercitivo. Viene altresì proposta una differenza sostanziale tra sfruttamento (inclusivo di
azioni illecite), schiavitù in senso stretto (come mancanza di libertà) e condizione servile (servitud), ossia quella zona
grigia fatta di ambiguità, di non detti, di raggiri e piccole e grosse truffe ai danni delle vittime.
4
Cfr. S. La Rocca, La schiavitù nel diritto nazionale ed internazionale, in Fondazione internazionale L. Basso – Parsec
(a cura di), Lavoro servile e lavoro para-schiavistico, Commissione per l’integrazione, Dipartimento degli Affari sociali
– Presidenza del Consiglio dei Ministri, Working paper, n. 19, Roma, p. 73 e segg.
12
forzato” (ossia la forma di assoggettamento derivante da relazioni e rapporti di lavoro
particolarmente pesanti e vessatori, privi di qualsiasi garanzia personale e sindacale, nonché
basati sulla sottomissione violenta ed abusiva) e tutte quelle forme di lavoro servile private
della possibilità di qualsiasi negoziazione tra le parti;
b. nell’ambito delle relazioni di genere, con le forme di subordinazione coatta derivante dalla
tratta (cioè dalla traduzione forzata da un paese all’altro) delle donne e dei bambini finalizzata
allo sfruttamento sessuale oppure – per quanto riguarda le donne (adulte e minorenni) - a forme
variegate di “servitù matrimoniale” (si tratta di matrimoni formalmente ineccepibili ma che
nascondono sostanzialmente relazioni basate sull’asservimento femminile); intendendo per
tratta di donne il fenomeno di assoggettamento violento o abusivo che parte dal paese di origine
delle vittime e si perpetua in un altro e per riduzione in schiavitù allorquando la sottomissione
violenta o abusiva avviene nel paese di destinazione, come nel nostro caso in Italia (in quanto
la decisione di partire può essere consensuale e condivisa tra gli attori coinvolti). Il concetto di
tratta e di riduzione in schiavitù, dunque, inglobano quello di sottomissione violenza o abusiva,
di soggezione vessatoria e subordinante con l’obiettivo di trarre profitto economico dalla
persona assoggettata;
c. nell’ambito delle relazioni intergenerazionali, con rapporti di assoluta sudditanza di bambini e
adolescenti da parte degli adulti a scopo di grave sfruttamento; ad esempio attraverso forme
organizzate coercitivamente di accattonaggio o di altre attività coattivamente esercitate da
effettuarsi nel settore manifatturiero; si tratta dunque di particolari forme di subordinazione che
rappresentano il segmento più estremo della catena di sfruttamento. Non siamo dunque in
presenza di lavoro nero o di accattonaggio consensuale (cioè con una equa ripartizione degli
utili o quantomeno della possibilità di negoziare le parti spettanti a ciascun contraente), ma di
lavoro para-schiavistico e di accattonaggio basato sulla violenza e sull’accaparramento
unilaterale dei proventi guadagnati dai minori. E’ il rapporto di violenza o di abuso minaccioso,
dunque, che determina lo spartiacque tra forme di sfruttamento ordinario (che – nonostante
restino riprovevoli – sono accettate e tollerate in qualche modo dalla società) e forme di
sfruttamento straordinario, ossia comparabili a quelle classiche che caratterizzavano i rapporti
schiavistici e para-schiavistici;
d. nell’ambito delle relazioni tra persone, con la cosidetta “prostituzione mascherata” – non
necessariamente originata da tratta delle donne coinvolte – in quanto coperta da attività di
intrattenimento, come quelle di ballerina, di animatrice all’interno di locali, di massaggiatrice
in “case di benessere”, di accompagnatrice dipendenti di agenzie specializzate, eccetera,
fondate – anch’esse - su comportamenti costrittivi e violenti. Anche in questo ambito occorre
sottolineare che non si tratta di forme di sfruttamento ordinarie (la ballerina straniera, adulta o
minorenne, pagata male e al “nero”), ma di forme di sfruttamento straordinarie (cioè la
ballerina straniera dopo lo spettacolo viene costretta a prostituirsi contro la sua volontà in
quanto viene sistematicamente minacciata o circuita abusando della sua vulnerabilità).
Insomma, per determinarsi come forma para-schiavistica il rapporto di lavoro deve essere
caratterizzato da costrizione, da raggiro e da abuso derivante da violenza e da subordinazione
coercitiva;
e. nell’ambito della rimozione, amputazione e compra-vendita di organi umani ed installazione di
tali organi ad altre persone al di fuori dei circuiti ufficiali e debitamente controllati dalle
autorità giudiziarie e sanitarie. Si tratta di reati molto spesso di carattere collaterale a quelli che
ruotano intorno allo sfruttamento sessuale e lavorativo. Infatti, possono essere perpetrati come
proseguimento e corollario delle ripetute minacce e violenze che gli sfruttatori indirizzano alle
vittime come pratica assoggettante e coercitiva. Nel senso che venuta meno la possibilità di
controllo le organizzazioni criminali sopprimono la vittima e – continuando a sfruttarla anche
da morta – ne vendono gli organi al mercato nero. Oppure, allorquando, sfruttando condizioni
13
di povertà e vulnerabilità estrema, vengono acquistati organi da persone che accettano, seppur
volontariamente, di cederli in cambio di denaro.
Tra questi ambiti, tuttavia, dove le forme di grave sfruttamento sono maggiormente evidenti e
problematiche – e che la presente indagine a focalizzato la sua specifica attenzione - sono quelle che
concernono la prostituzione coatta a danno di minori (e di donne adulte). Negli altri ambiti, al
momento, come risulta da altre recenti indagini, le forme di lavoro para-schiavistico – ad esempio,
come quello manifatturiero o come quello dell’accattonaggio forzato – non sembrano essere
fenomeni diffusi e socialmente allarmanti, in quanto interessano casi isolati e tutto sommato sotto il
controllo della forza pubblica5. Così come non appaiono rilevanti numericamente, al momento, le
amputazioni di organi coercitive derivanti dal traffico di esseri umani. Con questo non si vuole
sminuire la loro significatività sociale ma soltanto che sono fenomeni ancora in nuce e che al
momento non si può valutare il loro eventuale sviluppo
1.3 L’oggetto della ricerca, gli obiettivi e i criteri metodologici
L’area problematica oggetto della ricerca
L’area problematica oggetto della ricerca è stata quella che possiamo definire come la
comprensione e l’approfondimento di alcuni aspetti dello sfruttamento coatto che vede come attori
subalterni componenti minorili (maschili e femminili), in particolare sottomessi alle pratiche di
sfruttamento lavorativo6 e sessuale. Queste ultime, infatti, a tutt’oggi, appaiono, almeno nel nostro
paese, senz’altro quelle più diffuse e socialmente più problematiche: sia per gli effetti traumatici
che determinano nelle vittime e sia per la loro impossibilità a recidere il rapporto violento – oppure
abusivo – con gli sfruttatori a causa della loro vulnerabilità fisica e psicologica (per le donne in
particolare si può parlare di doppia vulnerabilità derivante specificamente dal fatto di essere donna e
al contempo minorenne).
Nello specifico parliamo di sfruttamento sessuale per designare la produzione, più o meno
intensamente forzata, di servizi di natura sessuale da parte dei minori in cambio di una
remunerazione che viene acquisita prepotentemente da altri, in genere dagli adulti. A proposito
diventa opportuna la distinzione tra offerta di servizi di natura sessuale in cambio di denaro e forme
di abuso sessuale che maturano in ambiti domestici o in collettività di tipo educativo (ad esempio,
orfanotrofi, carceri minorili, case residenziali, eccetera) dove il denaro non rappresenta la
caratteristica principale del rapporto. Diverse sono infatti le due situazioni, sia sotto il profilo delle
relazioni che le caratterizzano, sia sotto il profilo delle possibilità di intervento sociale e sia sotto il
profilo dell’intercettazione degli sfruttatori.
Gli obiettivi perseguiti
L’intero percorso di ricerca si è focalizzato alla raccolta di dati ed informazioni di campo7, allo
scopo di comprendere alcuni aspetti che riguardano il fenomeno della tratta delle donne ed in
5
Al riguardo cfr. Fondazione Internazionale L. Basso – Parsec (a cura di), Lavoro servile e le forme di sfruttamento
para-schiavistiche, Commissione per l’Integrazione – Dipartimento degli affari sociali presso la Presidenza del
consiglio dei Ministri, Working paper, n. 19, Roma, 2001;
6
Su tale aspetto l’indagine ha riguardato soltanto gli aspetti di protezione normativa, mentre per gli aspetti più inerenti
alle pratiche di sfruttamento si rimanda all’indagine della Fondazione Internazionale L. Basso – Parsec, Lavoro servile e
lavoro para-schiavistico, Rapporto di ricerca, Dipartimento affari sociali, Roma, 2001;
7
Le interviste effettuate individualmente a testimoni-chiave (magistrati, responsabili di servivi per minori di alcune
grandi città, studiosi del fenomeno, funzionari di polizia, funzionari dell’amministrazione pubblica) sono al momento
14
particolar modo quella dei minori a scopo di sfruttamento sessuale. L’obiettivo generale, appunto,
riguarda la comprensione delle caratteristiche di base del segmento del traffico di esseri umani
configurabile dalla presenza di minori che – come recita il Protocollo aggiuntivo di Palermo sopra
citato – sono quelle persone che hanno un’età inferiore a diciotto anni. L’obiettivo perseguito dalla
ricerca, inoltre, ha avuto la sua principale focalizzazione su due gruppi nazionali: quello albanese e
quello rumeno; gruppi che più degli altri sono stati interessati da forme di sfruttamento radicale e
dove le presenze di minori – che potremmo definire a rischio – appare piuttosto alto e consistente.
Pensiamo, infatti, non solo ai quei minori che arrivano dall’Albania e dalla Romania già all’interno
di circuiti problematici gestiti sovente da bande criminali che intendono soggiocarli per meglio
sfruttarli e farli diventare fonti di guadagno asserviti alla loro logica speculativa, ma anche a quelle
componenti giovanili che emigrano senza nessun adulto che li accompagni e che ne tuteli il
processo di insediamento. Intendiamo quelle componenti composte dai cosi detti minori non
accompagnati che - seppur trattandosi nella sostanza di giovani e giovanissimi emigranti -vengono,
per variegate ragioni, a trovarsi in condizioni di vita non sempre facili e ottimali per intraprendere
percorsi virtuosi di inserimento sociale ed economico.
Al fine di meglio raggiungere l’obiettivo generale prefigurato l’indagine è stata finalizzata ad
analizzare i seguenti aspetti:
a.
b.
c.
d.
raccolta ed analisi della (scarsa) bibliografia esistente sull'argomento al fine di definire il
quadro generale di riferimento conoscitivo entro il quale si produce lo sfruttamento sessuale dei
minori; nonché sistematizzazione delle tematiche allo studio nella prospettiva di definirne le
caratteristiche di fondo del fenomeno ed individuare le problematiche sulle quali impostare
interventi di risposta sociale;
analisi delle caratteristiche di base del fenomeno tramite acquisizione di dati ed informazioni
provenienti dagli operatori che intervengono nel settore, sia in Italia che in Albania e in
Romania. Lo scopo è stato quello di comprendere, da un lato, la consistenza del fenomeno della
prostituzione coatta delle donne e dei minori e, dall’altro, alcuni aspetti che contraddistinguono
l’esercizio prostituzionale coatto delle donne adulte e delle donne e dei maschi in minore età;
individuazione di una rosa di servizi (pubblici e del privato sociale) attivi nei diversi contesti
nazionali che a vario titolo intervengono nel settore del traffico dei minori in particolare a
scopo di sfruttamento sessuale. Una volta individuati sono stati selezionati e studiati sulla base
di variabili, quali: la visibilità sociale, l'anzianità dell'intervento nel settore minorile, l'efficacia
dello stesso, la filosofia e l’elaborazione delle strategie di risposta, la capacità di costruire/ricostruire reti sociali di supporto, la capacità di coinvolgere le istituzioni locali. Si è trattato di
studiare questi servizi in qualità di buone pratiche da poter pubblicizzare e creare scambi
esperenziali, non sono tra quelli studiati in Italia ma anche tra quelli studiati in Albania e in
Romania;
analisi dei sistemi normativi di protezione dei minori dei paesi balcanici coinvolti, nell'ottica di
definire il quadro normativo di riferimento. La comprensione dei diversi sistemi può facilitare il
compito degli operatori sociali (nella loro accezione più ampia) impegnati nel settore del
traffico di esseri umani, in modo da poter contrastare meglio il fenomeno anche a livello
transnazionale;
I criteri metodologici utilizzati
una ventina; mentre ammontano ad una decina le interviste collettive, ossia le interviste effettuate ad intere équipe di
operatori di strada per un totale di circa una sessantina di persone;
15
L’indagine, come più volte accennato, è stata condotta in tre paesi differenti, con una direzione
unica ma con tre gruppi di ricerca distinti (uno in ciascun paese). In pratica si è cercato di studiare il
fenomeno della tratta di minori attraverso i punti di vista dei gruppi di ricerca nazionali, proprio per
poter cogliere percezioni diverse del fenomeno per poi tentare di rapportarle ad un discorso
complessivo omogeneo (senza interferire sui contenuti che ciascun gruppo ha proposto in qualità di
risultati della ricerca). Per la raccolta dei dati e delle informazioni è stata utilizzata una scheda di
intervista in parte simile ed in parte diversa a seconda delle necessità locali. La raccolta è stata
effettuata da operatori/ricercatori locali, mentre la stesura del rapporto è stata effettuata quasi
sempre da ricercatori del gruppo italiano, in quanto non sono mancati problemi di comunicazione
con i gruppi esteri.
I criteri metodologici utilizzati sono stati diversi a seconda degli aspetti che si dovevano
studiare/analizzare. Così che per la parte relativa all’indagine documentaria i criteri utilizzati sono
stati quelli caratterizzati dalla raccolta, dalla successiva selezione ed analisi della letteratura che è
stato possibile acquisire sull’argomento. Letteratura per lo più rara per non dire ancora del tutto
assente, soprattutto dal punto di vista sociologico. Questa assenza ha messo ancora più in evidenza
il fatto che la presente indagine al momento è pressoché l’unica del genere, almeno nel nostro
paese.
Invece, per la parte relativa all’indagine di campo i criteri utilizzati sono stati quelli
dell’acquisizione delle informazioni tramite colloqui e interviste ad operatori del settore (in qualità
di testimoni-chiave) e dell’osservazione diretta (soprattutto per l’analisi dei servizi di protezione).
Ossia la tecnica dell’indagine di campo, dell’individuazione della scelta delle persone da
intervistare, dalla realizzazione delle interviste, dall’analisi puntuale delle stesse e dalla stesura del
rapporto di sintesi come luogo di confluenza dei dati e delle informazioni raccolte.
La raccolta dei dati e delle informazioni è stata effettuata attraverso una traccia di intervista aperta,
in maniera da lasciare liberi gli intervistati di entrare nella dovuta profondità argomentativa ed
esprime quanto di meglio potevano (e volevano). Complessivamente le interviste sono state circa
una cinquantina, di cui circa i due terzi (pari a 29 interviste) in Italia e le restanti negli altri due
paesi allo studio. Quelle svolte in Italia, tuttavia, hanno coinvolto circa 70 operatori sociali, in
quanto una buona metà di esse sono state di carattere collettivo. Nel senso che nella sedutaintervista hanno partecipato mediamente 4/5 operatori.
Tale scelta è stata fatta con la consapevolezza che per approfondire la conoscenza del fenomeno in
questione fosse necessaria una riflessione in progress con il coinvolgimento diretto degli operatori
della stessa unità di intervento, in modo da facilitare il confronto delle conoscenze stimolate anche
dal ricercatore-conduttore dell’intervista. Ciò si è rivelato molto utile – ad esempio – nell’affrontare
le questioni quantitative del fenomeno e la percezione numerica che ciascun operatore aveva dello
stesso all’interno del contesto specifico di intervento. Anche perché la percezione del fenomeno
cambia se si considera l’insieme delle donne che esercitano la prostituzione e, al contempo, il
segmento delle donne minorenni, molto spesso non facilmente identificabili.
Infatti, non secondariamente, la percezione del fenomeno cambia ancora se si tenta di leggerlo e di
percepirlo considerando non solo la variabile concernente dell’età nella sua certezza anagrafica (il
che molto spesso è impossibile per la mancanza delle carte di identità e degli altri documenti, come
il permesso di soggiorno), ma anche nella sua indeterminatezza in quanto età apparente, cioè
ricavabile dall’osservazione esterna. Lo sforzo di stimare quante donne sono – o appaiono –
minorenni tra quelle quotidianamente incontrate durante il lavoro di strada è stato l’argomento più
16
dibattuto negli incontri collettivi, così pure la loro suddivisione per nazionalità e soprattutto la loro
mobilità geografico-territoriale.
Aspetto, quest’ultimo, estremamente importante, giacchè lo spostamento continuo di componenti
femminili da un quartiere all’altro o da una città all’altra (o da una regione o da un paese – anche
estero – all’altro) può influenzare direttamente la percezione quantitativa del fenomeno degli
operatori che intervengono in quel quartiere o in quella città. Di fatto il fenomeno può apparire
molto esteso e consistente nella fase in cui quello specifico quartiere/città diventa meta di flussi
prostituzionali o, al contrario, può apparire ridotto allorquando lo stesso quartiere/città è soggetto a
deflussi in direzione di altri quartieri/città (magari limitrofi) o anche a causa di interventi mirati alle
componenti prostituzionali delle forze dell’ordine.
Per l’analisi dei servizi, invece – oltre al metodi dell’osservazione e dei sopralluoghi nelle strutture
di riferimento –, è stata utilizzata la tecnica degli studi di caso. In pratica si è trattato di ri-costruire
l'esperienza delle organizzazioni in questione e comprenderne le caratteristiche di eccellenza che le
contraddistinguono, all'interno dei differenti interventi che attivano in contrasto al fenomeno
soprattutto della tratta di esseri umani. Ovvero come le esperienze eccellenti - seppur nella loro
specificità - possano a loro volta innescare meccanismi di riproducibilità e diventare pertanto
referenti privilegiati per il cambiamento istituzionale (e sociale) e per le politiche di protezione
sociale e di contrasto attive (attivabili) nel settore.
Ovviamente per la riproducibilità non si intende nessun risultato o azione basata sul principio di
causa/effetto, cioè di trasferimento meccanico di esperienze da un luogo all'altro, ma soltanto la
possibilità di sviluppo e di nuove interazioni che possono attivarsi dall'incontro di esperienze sociali
di livello elevato. Per tale ragione, lo studio dei casi trova fondamento epistemologico nel fatto che
rende possibile - a partire dalle specificità degli stessi - definire le probabili traiettorie di sviluppo di
altri organismi, a condizione che siano presenti alcuni dei medesimi fattori - chiave che
caratterizzano l'esperienza - caso o quantomeno si sappia che sono quelli i fattori (e non altri) che
possono facilitare il percorso di successo/eccellenza.
1.4 L’articolazione del rapporto
Alla presente Introduzione - redatta da F. Carchedi – segue un secondo Capitolo realizzato da F.
Carchedi e R. Frisanco che affronta, con una panoramica complessiva, il fenomeno della
prostituzione minorile, come appare dalla scarsa letteratura nazionale sull’argomento. Il capitolo
rileva, da un lato, come il fenomeno sia ancora da considerarsi all’interno di un cono d’ombra, quasi
ancora sconosciuto nelle sue peculiarità derivanti dalla minore età dei diretti interessati, nonostante
appai piuttosto visibile socialmente; dall’altro, mette in risalto le cause generali e particolari che
stanno alla base della sua formazione e della direzionalità del flusso, in direzione cioè del nostro
paese e finanche degli altri paesi europei.
Il terzo Capitolo, redatto da F. Carchedi, propone un tentativo, con tutte le cautele del caso, della
configurazione quantitativa del fenomeno della prostituzione di strada esercitata da donne adulte e
da donne minorenni. Proposta che parte dalle cifre ufficiali per arrivare a cifre stimate con dati ed
informazioni acquisite dagli operatori intervistati. Oltre alle stime il Capitolo si sofferma sulla
mobilità che caratterizza la pratica di sfruttamento dei minori a causa della pressione che esercitano
le forze dell’ordine e della severità della normativa di riferimento, nonché della possibilità che
hanno le giovani coinvolte di ricorrere ai benefici normativi e denunciare le persone che le fanno
sottostare in condizione para-schiavistica. Mobilità che avviene sulle grandi direttrici che si
17
incrociano da Nord a Sud e da Est ad Ovest e viceversa coinvolgendo aree importanti del territorio
nazionale e quelle oltre il confine settentrionale.
Anna Maria D’Ottavi nel quarto Capitolo, analizzando i dati e le informazioni acquisite tramite
interviste a testimoni-chiave, ripercorre il percorso di sfruttamento dei minori ricostruendo le
differenti fasi che lo caratteriscono sin dal momento del viaggio fino al momento di presa in carico
dai servizi territoriali, mettendo l’accento anche sulle modalità di aiuto che ormai vengono
intraprese da questi ultimi. Nel capitolo vengono altresì messe in evidenza le diverse percezioni che
hanno gli operatori del fenomeno e le riflessioni che hanno sullo stesso a partire dalla loro
esperienza specifica. Esperienza che varia in ordine della città dove si esprime l’esperienza
medesima degli operatori sociali ed in ordine ai diversi convincimenti culturali e professionali di cui
sono portatori.
Il quinto Capitolo – redatto da Nicola Mai - affronta alcuni aspetti della prostituzione maschile
straniera e non, esercitata da giovani e giovanissimi albanesi e rumeni. La prostituzione maschile
appare – seppur esercitata da minorenni – appare piuttosto diversa da quella femminile: sia perché
le forme di assoggettamento sono sovente diverse, sia perché le modalità di esercizio seguono
canoni differenti e sia, soprattutto, perché si registra un continuo gioco dei ruoli tra chi offre servizi
sessuali e chi li acquista. Questi ultimi sono perlopiù maschi che cercano esperienze di sesso a
pagamento offerto da altri maschi e pertanto si caratterizzano diversamente quando l’offerta
proviene da componenti femminili mirata ad una clientela maschile.
Il sesto Capitolo, invece, redatto da Cristina Minguzzi affronta l’analisi del fenomeno della
prostituzione minorile tenendo presente la composizione nazionale delle donne minorenni
direttamente coinvolte. Le cause che contribuiscono a spingere i minori nei circuiti prostituzionali
coercitivi sono da rintracciarsi nella condizione di vulnerabilità che caratterizza molto spesso le
famiglie da cui essi provengono. La mancanza di presenze adulte con ruoli e funzioni di guida
educativa verso i minori produce una condizione di disorientamento profondo che può determinare
processi successivi di invischiamento prostituzionale o di altre forme radicali di sfruttamento.
Questa situazione si riscontra sia in Albania (nonostante i flussi irregolari si siano affievoliti di
molto) che in Romania, dove le condizioni di fragilità relazionali di tipo familiare ed economichesociali sono ancora più forti e radicali (almeno in alcune aree geografiche).
Il settimo Capitolo – scritto da Elisabetta Quarta - affronta il fenomeno della prostituzione minorile
albanese dal punto di vista degli operatori albanesi intervistati. Da questa prospettiva il fenomeno
appare, ovviamente, diverso e tutto sommato meno drammatico di come appare nel nostro paese. Il
Capitolo, oltre alla ricostruzione storiografica, pone la dovuta attenzione a non confondere le
modalità di ingresso irregolare utilizzate dagli emigranti con quelle, invece, utilizzate dai trafficanti
di esseri umani; oppure, quelle utilizzate dai trafficanti di armi e di droga, evitando così facili
commistioni e pertanto errate interpretazioni dei diversi fenomeni che portano stesso a confondere i
piani di sviluppo degli uni e degli altri..
L’ottavo Capitolo, a cura di Isabella Orfano, prende in considerazione una decina di servizi di
protezione sociale e organizzazioni di contrasto al fenomeno prostituzionale. Si tratta di micro-studi
di caso – una parte riguardano servizi operanti in Italia, un’altra parte quelli operanti in Albania ed
una parte ancora in Romania – che affrontano questioni organizzative e filosofie di intervento nel
settore della prostituzione minorile. Ciò che emerge con evidenza è il fatto che le organizzazioni del
settore non sembrano proporsi verso il fenomeno in maniera specialistica, ossia mirando
l’intervento in maniera specifica verso lo sfruttamento sessuale dei minori. L’approccio delle
organizzazioni analizzate, al momento, appaiono più generaliste, nel senso che le stesse sembrano
18
perlopiù impegnate sul traffico degli esseri umani tout court e solo contingentemente su quello
minorile.
Il nono Capitolo è stato redatto da Simona la Rocca ed affronta le differenti normative che trattano
il fenomeno dello sfruttamento minorile, sia dal punto di vista lavorativo che dal punto di vista
sessuale. Il Capitolo mette anche in evidenza gli sforzi che molti paesi stanno facendo per
“armonizzare” i loro sistemi legislativi e giudiziari delineati dal Protocollo aggiuntivo sul traffico di
esseri umani emanato a Palermo nel dicembre 2000. L’adeguamento e l’armonizzazione (tra l’altro
non facile) diventa necessario se si vuole contrastare la criminalità organizzata del settore che tende
sempre più a caratterizzarsi come una costellazione di organizzazioni che agiscono a livello
transnazionale. La risposta che appare la più adeguata è quella, dunque, di adeguare e “socializzare”
gli strumenti operativi in modo da facilitare l’attivazione di forme di cooperazione multilaterali sia
per prevenire che per contrastare il traffico di donne e minori che si forma o che transita sul
territorio nazionale.
Il decimo Capitolo, realizzato da Danila Indirli, affronta alcune problematiche inerenti alle
procedure giudiziarie e alla costruzione dell’iter processuale nell’ambito dello sfruttamento sessuale
dei minori. Questi istituti hanno iniziato a specializzarsi sul versante minorile nell’ultimo
quinquennio. Infatti, prima di questo periodo non si faceva particolare attenzione alle modalità
procedurali che avevano come protagonisti delle vittime in età minorile. Il Capitolo propone di
tenere in considerazione il fatto che il minore quando si trova ad interloquire con il Tribunale ha
necessità di essere accudito ed accompagnato dalle persone che nella quotidianità hanno con esso
rapporti affettivi. Soltanto se questa condizione viene rispettata è possibile che i minori possano
affrontare i suoi sfruttatori o quanti hanno abusato della sua vulnerabilità esistenziale. Per far questo
il Tribunale deve aprirsi maggiormente alla società civile, coinvolgendo l’associazionismo di base e
tutte quelle organizzazioni di prossimità dei minori, non ultima la scuola.
L’undicesimo Capitolo, redatto da Gil Vasile, descrive il quadro normativo attualmente vigente in
Romania in relazione al traffico di donne e di minori a scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo,
nonché quello riguardante l’emigrazione dei connazionali e l’immigrazione straniera nel territorio
rumeno. Gli sforzi che sta facendo la Romania per armonizzare il quadro normativo a quello
“europeo” e a quello internazionale è piuttosto significativo, anche in considerazione del fatto che la
Romania rappresenta, attualmente, uno dei paesi di maggior esodo migratorio e pertanto anche
prosituzionale. L’attuale normativa, secondo quanto emerge dal Capitolo, oltre a prevedere le forme
di contrasto alla criminalità organizzata prende in dovuta considerazione anche la protezione sociale
delle vittime prevedendo accordi e convenzioni con le organizzazioni non governative impegnate
nel settore.
Agli undici Capitoli che formano il rapporto di ricerca si aggiunge il dodicesimo che propone delle
osservazioni conclusive ed alcune proposte di possibili interventi che si potrebbero attuare per
contrastare il fenomeno della prostituzione coatta minorile proveniente dai paesi all’esame.
19
3. La tratta di donne adulte e bambine. Uno sguardo d’insieme
di Francesco Carchedi e Renato Frisanco
2.1. Il fenomeno del traffico di esseri umani: rilevanza e definizione
Il fenomeno del traffico di esseri umani in Italia, in particolare di donne e minori ha assunto, e in
misura crescente negli ultimi 10 anni, proporzioni tali da preoccupare governi e istituzioni di
controllo e da indurre un ricorso a misure sempre più severe di contrasto contro le organizzazioni
criminali che lo gestiscono. Il traffico degli esseri umani e della prostituzione coercitiva appaiono
come le nuove frontiere che scaturiscono dai processi di globalizzazione selvaggi tesi ad alimentare
settori significativi del mercato mondiale del crimine organizzato. Si tratta ormai di una emergenza
sociale che ripropone con forza nel terzo millennio condizioni di grave sfruttamento – configurabili
come para-schiavistiche – proprie nel secolo scorso. Sono condizioni che si sviluppano in quanto
vanno a soddisfare “bisogni sessuali” – da appare mediante offerta di denaro - di specifici settori
della popolazione dei paesi ricchi e benestanti. Si tratta, dunque, di particolari forme di sfruttamento
radicali che si innestano sulle altre, più tradizionali, che continuano a perpetuarsi in ambito
economico-finanziario e culturale dei paesi terzi e dei paesi in via di sviluppo, in assenza di
controlli internazionali e di forme di “global governace”8.
La compra-vendita degli esseri umani da sfruttare a fini economici o a fini sessuali è correlabile e
fungibile ad un commercio transnazionale e globale che si affianca in maniera significativa a quello
delle armi e della droga nelle sue varie configurazioni. Tre sono le grandi aree di attività illecite che
stanno emergendo con preponderanza nell’ultimo decennio: il traffico degli esseri umani destinato
a particolari segmenti marginali di lavoro nero (quello cioè caratterizzato da rapporti coercitivi,
laddove il lavoratore non può recidere unilateralmente il rapporto); lo sfruttamento della
propensione all’emigrazione – mediante l’offerta di servizi illegali per il trasbordo delle frontiere
che caratterizza particolari segmenti di popolazione residente nei paesi limitrofi (come i Balcani e i
Paesi dell’ex Unione Sovietica e finanche di quelli più lontani come le comunità cinesi e pakistane
– ed infine, fatto ancora più grave - il traffico di donne e bambini destinato all’esercizio della
prostituzione.
Sostanziali sono comunque le differenze tra i primi due e il terzo circa la motivazione della partenza
(progetto migratorio volontario o emigrazione/immigrazione forzata), le modalità di pagamento del
trasporto (in contanti per i lavoratori migranti, a credito per una buona parte delle donne destinate
alla prostituzione coatta) e i rischi dei trafficanti (limitato al trasporto con abbandono prima
dell’arrivo alle frontiere per gli immigrati per lavoro e l’accompagnamento e il “buon fine”
dell’operazione d’ingresso delle donne trafficate e destinate sulla strada). Tuttavia è possibile che
una stessa organizzazione criminale riesca a generare sia il traffico di mano d’opera in generale
(ossia nella sua forma di contrabbando, offrendo cioè un servizio illecito a persone consapevoli) che
di traffico di ragazze/donne a scopo di sfruttamento sessuale (ossia nella forma specifica di
sequestro di persona o di reclutamento consenziente con ingresso in Italia mediante raggiro e con
conseguente assoggettamento para-schiavistico una volta che si è riusciti ad entrare nel nostro
paese).
Nel caso dei minori il traffico può essere finalizzato anche al lavoro forzato o all’accattonaggio
basati sulla violenza e sull’accaparramento unilaterale dei proventi guadagnati o alla rimozione di
organi o, ancora, alle adozioni illegali. Aspetti che seppur presenti non sembrano tuttavia ancora
8
Per alcuni aspetti del dibattito intorno alla possibilità di global governance cfr. J. Habermas, La costellazione
postnazionale, Feltrinelli, Milano, 1999, p.100 e segg.
20
eccessivamente estesi, secondo quanto emerso da una indagine specifica sull’argomento promossa
dalla Fondazione Internazionale L. Basso (in collaborazione con Parsec)9. Interessano, dai risultati
emersa da questa indagine, infatti, alcune centinaia di ragazzi perlopiù in una età compresa tra i
17/18 anni, ossia quell’età che in qualche modo rappresenta lo spartiacque convenzionalmente
formalizzato tra la minore e la maggiore età. Si tratta pur tuttavia di un numero di ragazzi rilevante,
se si considera che vengono sistematicamente sfruttati ed assoggettati in maniera comparabile alla
condizione di schiavitù.
Le pratiche di sfruttamento sessuale, che oscillano dalla pedofilia alla produzione pornografica con
attori-bambini, dall’avviamento alla prostituzione coatta in strada alla segregazione in “case di
appuntamento”, sono anche le più problematiche socialmente. Sono infatti, dense di effetti
traumatici per le vittime impossibilitate – proprio a causa dell’assoggettamento – a recidere il
rapporto violento o abusivo a causa della loro vulnerabilità fisica e psicologica10. Il fenomeno
investe particolarmente il nostro Paese in quanto costituisce – insieme ad altri i paesi europei
centro-meridionali e ai Paesi baltici tra i principali punti di approdo e d’ingresso per entrare in
Europa. In particolare, per l’ingresso delle immigrate avviate alla prostituzione provenienti
dall’Albania e dalla Romania (ma anche dalla Moldavia e dagli altri paesi balcanici).
La definizione di tratta11 concerne l’azione violenta esercitata con continuità da parte di più
persone12 tra loro organizzate e coordinate nei confronti di altre persone - soprattutto donne o
minori - per rimuoverle dal loro paese di origine e trasferirle in un altro. Operazione che è
strettamente finalizzata alla costrizione di esercitare la prostituzione in condizione di effettiva
privazione di libertà, sotto ricatto o minaccia di ritorsioni, anche indirette13, allo scopo di ricavare
da questa attività un vantaggio economico. La definizione si basa necessariamente su elementi
quali sfruttamento, coercizione, inganno e vulnerabilità delle vittime nonché trasporto forzoso delle
stesse. Esso costituisce un crimine che si distingue dal mero sfruttamento, anche in sede giuridica e
giudiziaria14. La tratta ha lo scopo di produrre guadagni illeciti a vantaggio di consorzi criminali e
talvolta di singoli adulti che instaurano un rapporto di dominio e di abuso su minori vulnerabili,
incapaci di difendersi e di tutelarsi: o perché soli, o perché la famiglia è assente o invischiata,
oppure perché entrati in circuiti che conducono – per stadi successivi – a forme di assoggettamento
radicali.
2.2. Una conoscenza del fenomeno problematica e ancora parziale
9
Fondazione Internazionale Lelio Basso – Parsec, Lavoro servile e lavoro para-schiavistico, Rapporto di ricerca,
Dipartimento per gli Affari sociali, luglio 2000;
10
Non è un caso che la legge n. 269/1998 (“Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del
turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”) assimili lo sfruttamento sessuale alla
riduzione in schiavitù in ragione della fragilità psichica dei minori quali soggetti in età evolutiva.
11
Il Parlamento Europeo intende per tratta di esseri umani “l’atto illegale di chi, direttamente o indirettamente,
favorisce l’entrata o il soggiorno di un cittadino preveniente da un paese terzo ai fini del suo sfruttamento utilizzando
l’inganno o qualunque altra forma di costrizione o abusando di una situazione di vulnerabilità o di incertezza
amministrativa”.
12
Si ritiene improbabile che tale traffico possa essere sostenuto da una sola persona senza alcuna collaborazione nel
paese di origine o di destinazione delle vittime, soprattutto se si considera il fenomeno nella sua continuità e
complessità organizzativa.
13
Anche sui familiari come è tipico proprio nel collettivo albanese.
14
L’abuso della condizione di “vulnerabilità e di incertezza amministrativa di un cittadino proveniente da uno stato
terzo” per innescare processi di assoggettamento finalizzate allo sfruttamento, è considerato un “atto illegale”, come
recita la Risoluzione del Parlamento europeo (18.1.1996).
21
Dal punto di vista della sua conoscenza il fenomeno è in un cono d’ombra, data la mancanza di
indagini di respiro nazionale e di osservatori strutturati orientati alla rilevazione sistematica e
periodica del suo andamento e sviluppo. Nonostante la marcata visibilità sociale che lo caratterizza
è ancora sostanzialmente inesplorato anche perché vi sono oggettive difficoltà a rilevarlo per la sua
natura sommersa, mimetica e mobile: coinvolge settori della popolazione straniera che passano
frequentemente da una condizione di regolarità a una di irregolarità, in rapporto alle certificazioni di
soggiorno. Così come è alta la mobilità geografica che caratterizza una parte considerevole delle
ragazze/donne che si prostituiscono. Ciò determina la massima dispersione territoriale dei collettivi
interessati e pertanto l’impossibilità di intercettarli, nonché di raccogliere e aggregare
statisticamente coorti di dati attendibili in grado di definire l’universo di riferimento.
I pochi dati a disposizione provengono da due fonti. La prima serie di dati è quella ricavabile delle
statistiche giudiziarie, che sappiamo non rispecchiano il fenomeno nella sua realtà (poche le
denunce rispetto alla stima del fenomeno e molte nei confronti di ignoti), né in tempo reale per il
lungo e travagliato iter processuale medio15, né per completezza, in quanto non vi sono ancora dati
specifici relativi al traffico di donne e minori. Nell’insieme la capacità del sistema giudiziario
italiano di perseguire tali reati appare ancora modesta e quindi scarsamente utile a fornire una fedele
rappresentatività statistica del fenomeno, anche se sforzi considerevoli vengono fatti dalla Procura
centrale antimafia.
Un secondo approccio alla conoscenza del fenomeno è quello consentito dai criteri di stima
sociologica basati su specifiche tecniche di ricerca nei luoghi di visibilità del fenomeno. Criteri
basati sulla raccolta di informazioni da analizzare allo scopo di descrivere qualitativamente il
fenomeno (ed anche quantitativamente quando è possibile) mediante interviste focalizzate a
osservatori privilegiati dello stesso, in particolare a operatori di strada e a volontari di associazioni
di tutela e soccorso, nonchè raccogliendo, quando è possibile, le testimonianze dirette delle vittime.
Il rischio in cui si incorre in questo caso è quello di operare delle generalizzazioni dallo studio di
singoli o emblematici casi e quindi di leggere il fenomeno della tratta soltanto attraverso il loro
punto di vista con un grossolano effetto distorsivo generato dall’attribuzione ad un intero universo
(scarsamente conosciuto) dei caratteri del segmento dello stesso maggiormente conosciuto16.
Le statistiche al riguardo sono approssimative ma indicative di una industria del sesso coatto che si
alimenta con la tratta di esseri umani. La stima del fenomeno a livello mondiale, fornita dall’OIM
(Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), è di circa due milioni di donne trafficate a fini di
prostituzione. In Europa l’industria del sesso ne traffica da 200.000 a 500.000 l’anno, destinate ai
mercati soprattutto di Italia, Grecia, Belgio e Inghilterra. A tale stima va aggiunta anche quella
ancora più problematica da calcolare dei minori non accompagnati, per lo più di genere maschile,
anch’essi a elevato rischio di soggezione a logiche di vessazione e abuso. La tratta a fini di
prostituzione rappresenta la metà del fenomeno stimato dall’IOM circa il traffico di esseri umani l’altra metà va riferito allo sfruttamento della forza-lavoro - che è pertanto di quattro milioni di
migranti irregolari e frutta alle organizzazioni criminali tra i cinque e i sette miliardi di dollari
l’anno.
15
Le statistiche sulle condanne per il reato di istigazione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione riferite al
1994 indicano che per quanto riguarda le condanne in primo grado i procedimenti hanno avuto la durata media di 30
mesi, per quelli in appello di 78 mesi, per quelli in cassazione di 75 mesi.
16
“In sostanza non sappiamo ancora quanto l’esperienza delle donne fuoriuscite dalla tratta che esercitavano in strada è
generalizzabile a tutte le donne che esercitano la prostituzione in strada (o anche negli appartamenti, eccetera..)” cfr., di
F. Carchedi, Le modalità di sfruttamento coatto e la prostituzione mascherata, in AAVV., Il lavoro servile e le forme di
sfruttamento para-schiavistiche, Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, Dipartimento per gli
Affari Sociali – Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 2001.
22
In Italia le scarne statistiche esistenti, oltre alle cronache ricorrenti, documentano che a partire dal
decennio scorso Albania e Romania costituiscono aree privilegiate di insediamento e di transito del
traffico di esseri umani, soprattutto minori. Il fenomeno viene alimentato in misura sempre più
rilevante a scopo di sfruttamento sessuale e costituisce oggi uno dei commerci più redditizi - ancor
più del traffico di droga e delle armi con cui spesso si intreccia e prospera - ed è sostenuto dalla
connivenza accertata tra criminalità internazionale e malavita locale.
2.5. Alcune delle principali cause dello sviluppo e i fattori strutturali che contraddistinguono
il fenomeno nel nostro paese
Ingressi irregolari da lavoro e traffico di donne e bambini a scopo di sfruttamento sessuale
Nel nostro paese il contrabbando di esseri umani, per quanto più ridotto e più invisibile - era già
noto precedentemente - fin dagli anni ’80 -, allorquando diventa paese di immigrazione,
allineandosi così alle esperienze degli altri paesi europei. Da allora gli ingressi di stranieri ed
immigrati nel nostro paese sono avvenuti – in misura dell’70-80% circa17 - in maniera irregolare
oppure con visti turistici non rinnovati, in quanto erano strumentali all’ingresso migratorio18. La
pratica di utilizzare servizi illegali per entrare nel paese-meta di emigrazione è piuttosto diffusa e
piuttosto usuale, allorquando le politiche di ingresso dei paesi di destinazione sono fortemente
limitative e sottostanno ad indirizzi culturali-politici restrittivisti. Indirizzi che- in altra misura –
teorizzano e sostengono fortemente la libera circolazione delle merci e dei capitali monetari e
negano, con la stessa forza, quella degli esseri umani anche attraverso canali regolari di
emigrazione-immigrazione (a seconda del punto di vista: o del paese di esodo o del paese di
insediamento).
Al contrabbando finalizzato all’ingresso di immigrati irregolari, dunque, si affianca
successivamente quello della tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale. Questo particolare
segmento di flusso migratorio nel corso degli anni‘80 riguardava quasi esclusivamente ragazze dei
Paesi dell’America del Sud (ad esempio, le dominicane, le venezuelane19 e le colombiane20) e del
Sud-Est Asiatico (in particolare filippine21 e thailandesi22). Questi gruppi arrivavano dietro false
17
G. Mottura, Necessari ma non garantiti. I fattori di vulnerabilità socio-economica presenti nella condizione di
immigrato, in Fondazione Internazionale l. Basso –Parsec, Lavoro servile e lavoro para-schiavistico, Rapporto di
ricerca, Roma, 2001
18
Cfr. anche G. Sciortino, La tratta delle donne da avviare alla prostituzione nel quadro dell’industria dell’ingresso
irregolare, in M. Ambrosini (a cura di), Comprate e vendute. Una ricerca su tratta e sfruttamento di donne straniere nel
mercato della prostituzione, Franco Angeli, Milano, 2002, p. 45-46;
19
Zoraida R. Rodriguez, Venezuela: Migration and traffiking in women, in Raimond et al. (a cura di), A comparative
study of women traffiked in the migration process. Patterns, profiles and health consequences of explotation in five
countries (Indonesia, the Philippines, Thailand, venezuela and the United States), Coalition against traffiking in women,
North Amherst (Usa), s.d., p. 41. Il traffico di donne tra i diversi paesi dell’America latina sembra coinvolgere
prioritariamente donne dominicane, venezuelane e carribe. Il traffico assume due configurazioni: l’una è tutta interna e
coinvolge i paesi del centro-america e del sud-america (limitandosi all’area settentrionale) e quindi assume un carattere
rotatorio di area; l’altra, invece, assume un carattere più ampio, in quanto investe i paese nord-americani e quelli
europei (sia quelli del Nord – in particolare Germania ed Inghilterra - che quelli Mediterranei – in particolare Spagna,
Italia e Francia meridionale).
20
F. Carchedi et al. (a cura di), I colori della notte, Franco Angeli, Milano, p.118
21
Aida F. Santos, Blazing tails, confronting changelles: the sexual exploitation of women and girls in the Philippines, in
Coalitions against traffiking in women (a cura di), Making the harm visible: global sexual explotation of women and
girls. Speaking out and providing services, Kingston – Rhode Island, 1999, p. 153. L’immagine stereotipata delle
donne filippine – afferma Santos – fa si che la domanda da parte maschile aumenti: …“la donna filippina è “vergine”,
“leale”, “obbediente”, “orientata alla famiglia”, “graziosa” e “ dolce e simpatica“ … “remissiva”, …. adatta (quindi) al
23
promesse – perlopiù matrimoniali (promosse da Agenzie a volte compiacenti) e lavorative – oppure
con la consapevolezza di svolgere attività lavorative che mascheravano forme più o meno evidenti
di prostituzione. In questi ultimi casi, però, ciò che non sapevano erano le modalità con le quali
avrebbero svolto tali attività.
La crescita significativa di questo fenomeno si è avuta negli anni ’90 - come documentano anche le
statistiche penali23 - e si spiega per la concomitanza di due fenomeni diversi e al tempo stesso
convergenti:
a.
la sostenuta pressione migratoria sui paesi europei, di cui l’Italia – come accennato - è una
delle porte di ingresso principale nel Sud-europa (insieme alla Grecia per quanto riguarda la
frontiera marittima, all’Austria e alla Germania ad Ovest per la frontiera terrestre e alla Svezia
a Nord per la frontiera baltica), che trova sfogo nella domanda - sia pur timidamente
regolamentata - di forza-lavoro straniera richiesta dai sistemi produttivi nazionali. L’Italia è
diventata paese di immigrazione nel corso degli anni Settanta, anche a seguito delle politiche
più restrittive varate dai paesi di vecchia immigrazione del Nord Europa nel biennio 1972-’73.
Il nostro Paese nel corso degli ultimi due decenni è altresì necessitato ad incrementare le
proprie risorse umane a causa della curva demografica decrescente tanto che da circa un
decennio la componente immigrata garantisce il pur magro saldo attivo del nostro bilancio
demografico. La stessa regolamentazione dei flussi in ingresso non è sufficiente a
rappresentare il rapporto domanda-offerta e quindi a contenere la pressione migratoria sul
nostro Paese che è periodicamente costretto a usare la leva della sanatoria o a riconoscere quel
surplus di presenze che si accumula nei settori cruciali della domanda nazionale (badanti e
cura delle persone e colf). In valori numerici gli immigrati registrati come legalmente
soggiornanti in Italia erano 648.935 nel 1991 e 1.362.930 nel 2001, pari ad una crescita del
110%24. Albanesi e rumeni costituiscono dopo i marocchini le popolazioni di immigrati più
consistenti (rispettivamente 144.000 e 75.000 unità). Di questi circa il 90% del totale sono
entrati irregolarmente, al punto che il modello di ingresso e di permanenza caratteristico del
nostro paese è stato da sempre quello caratterizzato dalla dialettica tra l’irregolarità
dell’ingresso e la successiva regolarizzazione25.
b.
la caduta del muro di Berlino e lo sfaldarsi dei regimi a socialismo reale dei Balcani e dell’Est
Europa con conseguente maggior libertà di movimento della popolazione e la ricerca di
matrimonio, … al lavoro domestico … ad attività di intrattenimento e svago”. .. Con queste caratteristiche stereotipate è
facile essere soggette a “violenza di tutti i tipi, da quelli fisici a quelli psicologici da quelli sociali a quelli economici”.
La prostituzione – secondo la Santos - è soltanto una delle forme di sfruttamento della donna filippina.
22
Jean D’Cunha, Thailand traffiking and prostitution from a gender and human rights perspective the Thai experience,
in A comparative study of women traffiked in the migration process, cit., p. 135. La prostituzione thailandese e il
traffico di donne a scopo prostituzionale interessa gran parte dei paesi asiatici e finanche dell’Australia (con circa
50.000 donne, di cui una parte minori). Una piccola parte di queste donne (sia trafficate che non) esercitano in alcuni
paesi europei, soprattutto Germania, Olanda e Svezia (considerati tradizionali paesi di destinazione delle donne
thailandesi coinvolte nella prostituzione e nel traffico a scopo prostituzionale). Di questi gruppi, dalla ricostruzione fatte
mediante interviste, una piccola parte arrivò in Italia alla fine degli anni Ottanta e fu collocata in particolare nei nigth
club di alcune grandi città (Milano, Torino, Verona e Roma) e in alcuni centri di benessere (massaggi, saune, eccetera);
23
Le persone denunciate per istigazione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, per le quali l’Autorità
giudiziaria ha iniziato l’azione penale, sono pressoché triplicate nel quinquennio 1990-1994 (+295,7%). Erano 327 nel
1990 e sono salite a 967 nel 1994.
24
A fine 2001 il numero complessivo degli immigrati sfiora le 1.600.000 unità con una incidenza sulla popolazione
residente del 2,8% (1 presenza ogni 38 residenti). I minori sono invece raddoppiati in appena quattro anni, passando sa
126 mila alla fine del 1996 a 278 mila alla fine del 2000.
25
G. Mottura, Necessari ma non garantiti. I fattori di vulnerabilità socio-economica presenti nella condizione di
immigrato, in F. Carchedi, G. Mottura e E. Pugliese, Lavoro servile e nuove servitù, Franco Angeli, in corso di
pubblicazione, Milano, 2003;
24
migliori condizioni di vita tramite un progetto migratorio che, per alcuni gruppi, sembra
valere il principio “costi quel che costi” (come reazione all’ideologia della “fortezza
Europa”). Con l’inizio degli anni ’90 si determina così – all’interno di flussi migratori
“tradizionali” (correlabili, cioè alla ricerca di occupazione e di migliori condizioni di vita) un ingresso cospicuo di donne destinate alla prostituzione (perché costrette dai loro aguzzini)
e di minori non accompagnati provenienti dai paesi dell’Est. Alcuni di questi gruppi vengono
intercettati da bande delinquenziali che li spingono nei circuiti emarginanti e finanche
devianti. Si tratta di flussi derivanti dagli effetti espulsivi concernenti i processi profondi di
trasformazione socio-economica e politica che ha interessato tutta l’area geografica della
costellazione dell’ex Unione sovietica. La transizione post comunista di queste società, si
caratterizza – e continua a caratterizzarsi – anche con la formazione di componenti di
prostitute migranti e componenti che esercitano coattivamente la prostituzione. Queste ultime
appaiono come delle “ordinarie” forme prostituzionali, ma che in realtà rappresentano
fenomeni molti più gravi in quanto violano sistematicamente i diritti elementari di quante
vengono coinvolte. La tratta di esseri umani, soprattutto di donne e bambini a scopo di grave
sfruttamento, è un fenomeno che per la sua gravità e configurazione strutturale è rapportabile
a nuove forme di schiavitù. L’Albania e la Romania nel commercio degli esseri umani
destinati a forme di sfruttamento presentavano ruoli diversi all’inizio del decennio scorso.
L’Albania oltre che paese di forte immigrazione, soprattutto clandestina, e di rifugiati (in
particolare all’inizio degli anni Novanta), è stato uno dei maggiori paesi di formazione del
traffico di donne e minori a scopo di sfruttamento, soprattutto di carattere sessuale26 e di
transito verso il nostro paese. La Romania, invece, paese dell’entroterra balcanico, si è
caratterizzato da sempre come area di formazione di flussi di migranti verso l’Italia e il resto
d’Europa e soltanto sul finire degli anni Novanta ha iniziato a svilupparsi il fenomeno dei
giovani migranti non accompagnati e delle giovani (e meno giovani) donne destinate alla
prostituzione coatta. Attualmente, oltre a paese di formazione e reclutamento delle donne da
destinare al mercato del sesso, è diventato anche paese di transito per quante provengono da
altre nazioni dell’Est Europeo (in particolare dalla Moldavia e dall’Ucraina)27. Donne e
minori che vengono successivamente trasferiti – utilizzando differenti rotte - sui mercati
europei della prostituzione. Una delle direttrici principali è quella albanese e , soprattutto,
negli ultimi due/tre anni anche quella bosniaca. La Bosnia, dal canto suo, sta attraversando
una forte trasformazione, giacchè da paese di transito delle donne e dei minori destinati
all’Italia e all’Europa sta diventando paese di prostituzione coatta di carattere stanziale
(nonostante le truppe Nato si siano quantitativamente ridimensionate).
Il fenomeno della tratta di donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale si sviluppa in
concomitanza di congruenti fattori di pinta (dal paese di esodo) e di reclutamento ingannevole e
forzoso e fattori di attrazione inerenti al paesi di arrivo e di insediamento. Da una parte vi sono le
situazioni di povertà materiale endemica, di disoccupazione, di mancanza di accesso ai beni primari,
di realizzazione delle proprie aspettative, di perdita di speranza rispetto all’uscita da questi
problemi; dall’altra, vi è l’attrazione esercitata dal mondo occidentale economicamente più
avanzato e teoricamente più “vicino” (facilità di comunicazioni ed esposizione mediatica). In
mezzo sono cresciute e si sono sviluppate reti criminali sempre più evolute che si sono specializzate
nell’immigrazione illegale, trasformando sia il contrabbando di esseri umani che la tratta a scopo di
26
Secondo la ricerca Child trafficking in Albania, presentata dall’organizzazione Save the Children nel 2001, le albanesi
costrette a prostituirsi in paesi stranieri sarebbero almeno 30 mila, molte minorenni. E l’Italia avrebbe il triste primato
del maggior numero di prostitute albanesi, circa 15.000.
27
Rodica Stanoiu, Le organizzazioni criminali e lo sfruttamento dei minori in Romania, in M. Cavallo (a cura di),
Lavoratori eccellenti. Piccoli schiavi in una economia perversa, Franco Angeli, Milano, p. 197 e segg.
25
grave sfruttamento (in particolare quello sessuale) in uno degli affari più redditizi per un duplice
fine:
a.
b.
di alimentare forme di lavoro para-schiavistiche la cui rilevanza è connessa in ogni paese
anche alle restrizioni poste al movimento delle persone, al bisogno di manodopera a basso
costo e alle forme di sfruttamento (anche di tipo razzista) che si manifestano nei confronti di
persone giuridicamente deboli e disinformate, negandogli così la possibilità di praticare
adeguatamente i loro diritti;
dello sfruttamento sessuale con l’imporsi di una nuova industria del sesso che recluta donne
disposte ad esercitare la prostituzione e donne che invece diventano vittime dello sfruttamento
sessuale con l’inganno o con la forza (fino a configurare – in certi casi - una vera e propria
deportazione coatta all’estero) per poi ridurle a oggetti di consumo e di piacere sessuale.
I fattori strutturali di sviluppo della prostituzione e della prostituzione da tratta
Per queste ragioni il traffico di esseri umani è diventato un grosso affare poiché coinvolge gruppi
criminali di molti paesi sia quelli direttamente coinvolti e sia quelli coinvolti in maniera diversa –
più o meno centrale - ma non per questo meno interessati ai guadagni. Le posizioni che questi
ultimi assumono nella catena di sfruttamento, le loro caratteristiche di base e le modalità attraverso
le quali producono affari con la banda di sfruttatori più diretta sono alla base di processi di
mimetizzazione e di nascondimento complessi. Nel senso che questi collaboratori – a prescindere se
sono consapevoli o non consapevoli dell’apporto che danno alle bande criminali che gestiscono il
traffico di donne e bambini - determinano quell’area di contiguità che contribuisce a creare una
cintura di protezione all’operato delle forze dell’ordine.
Si tratta, spesso, di persone o imprese che operano ad un doppio livello: il primo quasi sempre è
legale (il personale è in regola, i permessi e le licenze commerciali in ordine, eccetera), mentre il
secondo, invece, è illegale e disonesto. Quest’ultimo è quello che dialoga e interloquisce con i
gruppi criminali manifesti, con logiche amorali e disoneste. Questa doppia immagine nel mondo
dello sfruttamento della prostituzione – di donne adulte o di minori – è sempre presente, quasi ne
rappresenta una sua configurazione strutturale. E’ l’aspetto che più degli altri conferisce a questo
tipo di affari quella patina superficiale di presentabilità e di legittimazione che le permette di
perpetuarsi. Potremmo dire che questa doppia configurazione è alla base del sistema strutturale
dello sfruttamento sessuale e alla base dei fattori che lo determinano e ne permettono lo sviluppo.
Secondo Raymond28 questi fattori (da noi re-interpretati) sono i seguenti:
a.
b.
28
le politiche economiche basate sul principio degli “aggiustamenti strutturali” attivate in molti
paesi in via di sviluppo hanno causato, tra le altre cose, un processo allargato di
privatizzazioni dei pubblici servizi e, dall’altro, conseguentemente, fatto lievitare la richiesta
di aiuto personalizzato (nel settore sanitario, sociale ed educativo) alle famiglie. Richiesta che
– dopo esser cresciuta in molti paesi del mondo – ha trovato sbocco soprattutto in quelli
avanzati per la loro relativa disponibilità economica ad assorbirla , causando di fatto lo
spostamento di significative componenti di donne dai paesi terzi (all’interno del quale ha
trovato spazio anche il traffico di donne finalizzato a forme di grave sfruttamento);
la diffusione a livello globale dell’industria del sesso e sua trasformazione in una industria
senza confini. La prostituzione non è più l’effetto perverso dell’industrializzazione ma è essa
stessa una industria, una forza economica autonoma ed indipendente, in grado di autogenerarsi, di fare investimenti ed attivare politiche di espansione in altri mercati a livello
Janice G. Raymond, Introduction, in J.G.Raymond et al. (a cura di), a Comparative … cit. p. 2-3;
26
c.
d.
e.
f.
transnazionale. I fattori della produzione operano nel campo del reclutamento (andando nei
villaggi e nelle periferie delle grandi metropoli), del trasporto (acquistando illegalmente
servizi legali mediante collusione di interessi particolari imprese o corrompendo singole
persone mediante denaro) e dello sfruttamento nel paese di insediamento. Al riguardo la
pubblicità non è secondaria: via Internet, via carta stampata, via telecomunicazioni cellulari;
la domanda di sesso da parte delle componenti maschili della popolazione, cioè quella dei così
detti potenziali clienti, che rappresenta un network di promozione invisibile ed esteso a livello
transnazionale. Domanda che si configura nelle aspettative e nei supposti bisogni sessuali
maschili (insopprimibili e quindi non gestibili), affonda le radici nei miti della sessualità
mascolina (trascurando oculatamente le sue miserie) e nella ambigua supremazia di questa (e
pertanto tollerabile) su quella femminile (conseguentemente subordinata). Insomma, sulla
cultura maschilista e sessista di comodo che concepisce la soddisfazione delle sue esigenze
sessuali a pagamento – non importa con chi - come un diritto fondamentale;
l’offerta sessuale femminile basata spesso sulla ineguaglianza delle condizioni socioeconomiche rispetto all’uomo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo e finanche in quelli
dell’Est europa. La condizione di subordinazione della donna, nei differenti contesti regionali,
la rende maggiormente vulnerabile rispetto ad altri membri della famiglia soprattutto di
genere maschile e la espone a forme di compra-vendita dove è incluso lo sfruttamento
sessuale. Aspetto che apre un discorso molto importante, in quanto implica – almeno in via
ipotetica – la distinzione tra prostituzione volontaria ed involontaria di non facile
demarcazione;
i miti razziali e gli stereotipi che accompagnano le donne delle diverse regioni e paesi.
L’industria del sesso si basa anche sui miti della sessualità femminile e sulla cultura sessuale
delle donne sulla base delle aree di origine, dei particolari contesti territoriali, eccetera.
Insomma, un valore aggiunto sembrano essere le pratiche sessuali di determinate regioni
finalizzate a stimolare l’immaginario maschile e ad alimentare la richiesta di donne
provenienti dalle diverse e variegate regioni. Passa l’idea che alcuni gruppi di donne sono
dedite alla prostituzione per cultura, quasi che fosse la loro predisposizione naturale ed
intrinseca (secondo il principio “Sono fatte per questo, sono fatte per offrire servizi sessuali”).
Questo aspetto così ”naturalizzato” gioca un ruolo ed una funzione tranquillizzante anche per
alcune componenti maschili, in quanto tendono a non sentire sensi di colpa o preoccupazioni
varie nel consumare rapporti sessuali con donne predisposte culturalmente al riguardo
(facendo confusione tra “cultura” – spesso imposta dalle componenti maschili - e “natura”);
la presenza militare degli eserciti nazionali e degli eserciti di altri paesi di stanza in particolari
contesti territoriali in base a trattati tra Stati, o a causa di guerre civili latenti o manifeste o per
l’ostilità esistente tra Stati diversi e per l’intreccio di alleanze statali multiple e complesse.
Presenze che promuovono una domanda di sesso a pagamento molto sostenuta e che incontra
una offerta altrettanto sostenuta (sulla base di quanto detto sopra), in quanto tesa a soddisfare
la ricreazione e il tempo libero dei soldati. Da tali rapporti nascono, quasi inevitabilmente,
flussi migratori tra i paesi originari dei soldati e donne coinvolte nella prostituzione e finanche
nel traffico, compresi quelle in età minorile.
Tutti questi fattori – come accennato – hanno al contempo una funzione apparentemente positiva (o
comunque appartenente a scelte politiche di paesi sovrani) ma che ad una analisi più accurata
emergono effetti negativi che concorrono ad alimentare forme irregolari di emigrazione, di ingressi
irregolari di stranieri e di immigrati in altri paesi, di flussi prostituzionali e di flussi di donne e
minori trafficati.
27
3.4. La tratta delle minorenni a scopo di sfruttamento sessuale: fasi e meccanismi di base del
fenomeno
La minore età delle prostitute è considerata come un valore aggiunto particolarmente appetibile sul
mercato sessuale. La richiesta è quella di ragazze sempre più giovani e di bella presenza in modo da
garantire maggiori fonti di reddito per i loro sfruttatori. Per garantire questa tipologia di ragazze le
bande di reclutatori e di venditori specializzati sui diversi mercati balcanici (ed anche africani,
nonché asiatici, pur se in misura minore soprattutto per il traffico in direzione dell’Italia) setacciano
campagne, villaggi e contrade a ridosso dei grandi centri abitati al fine di intercettare donne con
caratteristiche correlabili alla vulnerabilità sociale ed economica, nonché culturale ed esistenziale,
da coinvolgere ed instradare alla prostituzione.
Queste pratiche interessano gruppi nazionali diversi che vengono in maniera differente collocati sul
mercato della prostituzione anche a seconda delle loro potenzialità di profitto: alcuni gruppi
femminili in strada, altri negli appartamenti ed altri ancora nei locali di intrattenimento. Questa
diversa collocazione varia anche in base alla possibilità o meno che hanno le donne coinvolte a
negoziare la loro forma di sfruttamento a cui devono sottostare e alle caratteristiche
dell’organizzazione che gestisce l’esercizio prostituzionale29, nonché al tipo di canali di sbocco che
l’organizzazione sceglie per attuare gli sposamenti delle vittime.
L’arrivo in Italia – perlopiù in maniera irregolare - delle ragazze albanesi è collocabile nei primi
anni Novanta. Risultano spesso provenienti dalle principali città e accompagnate da parenti maschi
o sedicenti fidanzati o, comunque, sollecitate sulla base di un’azione di convincimento e raggiro
iniziale perpetrato spesso da amici senza scrupoli. Sovenete il reclutamento è stato effettuato anche
attraverso veri e propri rapimenti di persona, in un paese dove il travaglio dell’ultimo decennio ha
riversato sulla donna una carica di aggressività e violenza inedita nella recente storia dell’Albania30.
A partire dalla metà degli anni ’90, in particolare tra il 1996 e il 1998, si assiste all’arrivo in Italia di
donne provenienti da altri paesi dell’Est europeo tra cui anche dalla Romania e per rotte diverse.
Ciò a seguito dell’intervento massiccio delle forze dell’Ordine sulla collettività albanese in generale
(attraverso processi di stigmatizzazione) e sulle componenti delinquenziali in particolare, allo scopo
di bloccarne i flussi da un lato e di facilitare le espulsioni dall’altro. Fatto che ha spinto una parte
delle organizzazioni albanesi a procacciare donne da immettere nel mercato della prostituzione nei
paesi limitrofi (come il Kossovo, la Romania e la Moldavia), e diversificarsi all’interno delle attività
illecite e mantenendo, tra esse, canali di comune e reciproco rafforzamento ed alimentazione.
Le caratteristiche del traffico rilevate attraverso testimonianze autorevoli di operatori impegnati sul
campo attesta una sostanziale stabilità del fenomeno della tratta in ordine al dato quantitativo: sia in
relazione alla bidirezionalità del flusso, verso l’Italia e dall’Italia verso altri Paesi europei - con
modalità di ingresso che sono quelle più comuni31 -; sia per la tendenziale saturazione del mercato
della prostituzione che ha propri meccanismi regolativi al fine di garantire nel tempo proventi stabili
29
F. Carchedi, La prostituzione straniera e la prostituzione derivante dal traffico di donne. Un quadro complessivo, in
Fondazione internazionale Lelio Basso – Parsec, Traffico di esseri umani, criminalità organizzata e forme
contemporanee di schiavitù, Rapporto di ricerca, Ministero degli esteri, Roma, luglio, 2002;
30
Non a caso secondo l’associazione femminile albanese Refleksione che ha condotto una ricerca il 63% delle donne
subisce maltrattamenti dal coniuge o dal fidanzato. Inoltre la caduta del regime di Enver Hoxha nel 1990 con la
drammatica crisi economica che ne è seguita “ha fatto ripiombare la donna in una condizione di subordinazione totale.
E’ stata lei a perdere per prima il lavoro e a smettere di studiare e sono riemerse tradizioni patriarcali prima sopite”, cfr.
di S. Pochettino, Parola D’ordine: prevenire, in ‘Volontari per lo Sviluppo’, anno XX, giugno-luglio 2002, p. 10.
31
Ciò avviene o in maniera irregolare attraversando in vario modo la frontiera o in maniera regolare con visti turistici o
altra documentazione artefatta.
28
e lucrosi. Ciò richiede un inevitabile processo di distribuzione delle donne destinate alla
prostituzione con il concorso di tante macro e micro organizzazioni che leggono la domanda e
smistano l’offerta di prestazioni sul territorio nazionale. Rispetto alle minorenni la pratica del loro
assoggettamento e sfruttamento è divenuta più rischiosa data la maggiore allerta sul fenomeno e la
recente severità delle normative di contrasto e intensificata azione di vigilanza delle forze
dell’ordine alla gestione criminale del fenomeno.
Sul versante della conoscenza statistica del fenomeno – seppur limitata e controversa - si coglie con
tutta evidenza il progressivo invischiamento nel fenomeno della tratta, sia come vittime che come
“carnefici”, dei gruppi nazionali albanesi e rumeni. Negli anni Novanta si assiste ad un cambio di
mano tra i cittadini africani ed ex-jugoslavi denunciati per sfruttamento e favoreggiamento della
prostituzione e quelli albanesi e rumeni. Soprattutto gli albanesi, a partire dalla metà degli anni ’90,
acquistano una posizione di spicco nella graduatoria dei soggetti sanzionati per questi tipi di reato
(8.700 registrati complessivamente nel decennio passato, di cui quelli imputati agli albanesi
rappresentano il 61,3%) e si caratterizzano diversamente dai nigeriani - altro tradizionale gruppo
etnico particolarmente coinvolto - per l’efferatezza del trattamento nei confronti delle donne
assoggettate che produce reazioni altrettanto drastiche da parte delle denuncianti.
Anche i dati disponibili sui gruppi nazionali maggiormente interessati dalle proposte di aiuto e di
protezione sociale (ex-art. 18 del T.U., n. 286/98) segnalano una corrispondente maggiore
propensione delle minori albanesi, e in seconda istanza dalle rumene, a farsi prendere in carico da
servizi che promuovono la loro fuoriuscita dalla prostituzione coatta. Nell’ultimo anno di
riferimento (marzo 2000-febbraio 2001) sono stati 134 i casi di minori coinvolti nei programmi di
protezione sociale.
Va altresì rilevato che le minorenni albanesi e rumene (insieme a quelle moldave accomunate dalla
medesima direttrice di transito) sembrano maturare prima delle ragazze di altri gruppi nazionali la
necessità di avviare il processo di sganciamento dal giro prostituzionale coatto e proprio per la
particolare violenza e pesantezza in cui esercitano la prostituzione. Sono generalmente anche le
minorenni più propense a denunciare gli sfruttatori, ma al tempo stesso meno disposte ad utilizzare
le risorse istituzionali per uscire dalla loro condizione. Anche dal punto di vista qualitativo si
notano segni di cambiamento del fenomeno determinato proprio per l’inserimento nel mercato
prostituzionale di minorenni. Il rischio imprenditoriale più elevato di chi tratta le prostitute più
giovani ha infatti prodotto tre importanti cambiamenti:
a.
la riduzione del numero di minorenni che esercitano sulla strada - dove il fenomeno è più
visibile e contrastato dalle Forze dell’ordine ed esposto agli interventi dei servizi di protezione
sociale per l’aggancio “liberatorio” delle ragazze - e il passaggio dell’esercizio della
prostituzione in appartamenti e in locali notturni, luoghi di intrattenimento e svago e siti web;
b.
l’elevata mobilità territoriale delle minorenni - molto più di quella delle donne adulte - e
quindi il passaggio da un prostituzione tendenzialmente stanziale ad una itinerante o mobile,
ovvero caratterizzata da elevata mobilità geografico-territoriale; quest’ultima, per altro, è
correlata allo status delle donne che praticano la prostituzione: più è irregolare la loro
posizione di immigrate, più è asimmetrico il loro rapporto con gli sfruttatori, più è vulnerabile
la loro condizione per la violenza dell’assoggettamento che subiscono e maggiore risulta la
loro mobilità;
la necessità per le bande dei trafficanti-sfruttatori di operare in termini di imprenditorialità
manageriale anche nella gestione della attività prostituzionale delle minorenni per organizzare
la mobilità e la continuità del profitto. Essi sono in grado di organizzare forme di supporto
c.
29
logistico centrate sulla violenza e sulla soggezione psico-fisica attuata dai cosiddetti
“protettori”, i quali rappresentano spesso segmenti o gruppi legati direttamente o
indirettamente alle diverse forme di criminalità organizzata presenti sul territorio. La mobilità
si sviluppa, dunque, verso e da quelle aree interne delle grandi città dove per le bande
coinvolte è possibile effettuare efficacemente il controllo sulle donne e sulle minorenni.
Questi aspetti sono alla base dei cambiamenti che avvengono per adeguare le pratiche di
sfruttamento al clima politico-sociale che il nostro paese impresso con il cambiamento del quadro
normativo, soprattutto riconoscendo la vittima del traffico a scopo prostituzionale ed azionando
interventi repressivi verso le organizzazioni criminali e di protezione verso le vittime del traffico32.
2.5. Il ciclo prostituzionale e la spirale dello sfruttamento
Il ciclo prostituzionale coatto – ossia il percorso che forma normalmente la catena di
assoggettamento e sfruttamento – è suddivisibile in quattro fasi principali.
Prima fase
La prima fase è quella del reclutamento delle donne – adulte o minorenni – finalizzato allo
sfruttamento. In questa fase si individuano le potenziali vittime, si coinvolgono o meno le famiglie
a seconda dei casi. E’ la fase caratterizzata dall’insieme di attività che mette in campo
l’organizzazione criminale nei paesi di origine delle persone destinate al traffico e le relazioni di
collegamento che si attivano con le bande che subentreranno nei diversi paesi per portare le vittime
al paese di destinazione.
I reclutatori studiano ed analizzano le potenziali vittime cercando di individuare quelle che hanno
una certa propensione all’emigrazione. Tutto sembra aver inizio dalla strumentalizzazione delle
aspettative da parte delle componenti più giovani delle comunità di origine ad attivare un progetto
migratorio. Progetto che condivide con tutta la famiglia di appartenenza che a sua volta ne intravede
un ritorno economico utile. In condizioni di precarietà economica e di sottoccupazione dei membri
in età attiva qualsiasi opportunità di uscita dal proprio paese di origine viene perseguita anche
correndo dei rischi. Per chi “decide” di emigrare è evidente la responsabilità che si carica, proprio
perché intende corrispondere alle aspettative di tutta la famiglia. Egli diviene, infatti, una sorta di
“emissario salvatore”, pur assumendosene totalmente il carico psicologico ed emotivo e sapendo di
andare incontro ad un commiato che può essere anche definitivo e di lunga durata.
Su questa proiezione esistenziale e su questo substrato di speranza fa quindi leva la malavita
internazionale, tramite quella locale, che si è organizzata sfruttando le risorse di quanti partendo
intendono cambiare il proprio e l’altrui destino. Soprattutto delle famiglie con più problemi e meno
scrupoli e delle persone, donne e minori, più vulnerabili per tendenze personali e più labili da punto
di vista psicologico33. Tali organizzazioni - mediante i propri reclutatori - riescono dunque a
selezionare le persone “giuste” su cui stimolare l’incentivazione delle prospettive di una
32
Al riguardo cfr. M. Virgilio, Prostituzione e traffico di esseri umani tra legge i diritto giurisdizionale, e M.G.
Giammarinaro, L’innovazione, le prospettive ed i limiti dell’art. 18 del D.lg. n. 286/98, in On the road (a cura di),
Prostituzione e tratta. Manuale di intervento sociale, Franco Angeli, Milano, rispettivamente, pp. 38 e segg., e pp.60 e
segg.
33
Non sempre e non per tutte le persone espatriate con tale raggiro si può parlare di progetto migratorio perché una
componente del fenomeno è sicuramente transitata in altro paese contro ogni volontà di farlo trovandosi in un percorso
di sfruttamento che non può essere assimilabile al fatto migratorio.
30
emigrazione e l’avverarsi di un sogno riuscendo ad organizzare le risposte di espatrio in maniera
convincente e rispondente alle aspettative medesime, sebbene con modalità illeciti e discutibili.
I reclutatori possono essere membri della stessa famiglia o persone di prossimità (estranei alla
famiglia) della vittima predestinata o persone che fanno di tale attività la loro professione ordinaria
(avvalendosi della collaborazione occasionale di altre persone che possono anche non sapere quello
che stanno facendo non avendo il quadro complessivo dell’operazione; nel senso che intervengono
soltanto in determinate fasi del processo di reclutamento).
Il ruolo degli adulti appartenenti al nucleo familiare (o il ruolo dell’intero nucleo familiare stesso)
può essere variamente connotato, e cioè:
-
-
-
in primo luogo quanto la famiglia partecipa attivamente e direttamente alla messa sul mercato
della prole, per assicurarsi introiti necessari al bilancio familiare. Al riguardo le situazioni
possono essere di duplice natura: la prole – anche minorenne - è inserita in pratiche
prostituzionali già esercitate da altri membri della famiglia (e pertanto siamo in presenza di una
forma di inclusione dei membri familiari più giovani nelle pratiche correnti di acquisizione dei
redditi promossa dal nucleo familiare); oppure la prole viene indotta a prostituirsi per necessità
familiari in assenza di altri membri della famiglia coinvolti nella prostituzione;
in secondo luogo quando la famiglia stessa è costretta a spingere i suoi componenti minori ad
entrare nel giro prostituzionale a causa delle condizione di asservimento nella quale
soggiacciono rispetto ad altri adulti estranei alla famiglia medesima (ad esempio, per liberarsi di
un debito contratto o per non subire minacce o ritorsioni di diversa natura). In questo caso è la
minaccia esterna al nucleo familiare che gioca un ruolo di spinta verso l’invischiamento
prostituzionale dei minori, come estrema ratio a pressioni di particolare aggressività e violenza
che incombono sull’intera famiglia;
in terzo luogo quando – sempre per far fronte a gravi condizioni economiche dell’intero nucleo
familiare – i genitori (o i membri anziani della famiglia) spingono e persuadono i minori a
prestare servizi (mediante un patto di affidamento) ad estranei senza una chiara consapevolezza
di quanto gli potrà accadere. Al riguardo certe volte diventa decisivo il ruolo e la funzione di
altri membri della famiglia allargata, in quanto loro stessi si candidano all’affidamento dei
minori nella prospettiva di attivare commerci mirati a conseguire facili guadagni. In entrambi i
casi – cioè con l’affidamento ad estranei o con l’affidamento a membri della famiglia – si
possono attivare percorsi di assoggettamento servile dei minori e spingerli progressivamente
nella condizione di grave sfruttamento.
Le situazioni di contesto che vengono così a determinarsi scaturiscono allorquando la famiglia versa
in gravi condizioni economico-culturali e socio-esistenziali 34e, in considerazione di queste
condizioni, la famiglia stessa tende ad indebitarsi nella prospettiva di restituire quanto dovuto. Il
ricorso alla prostituzione dei minori della famiglia viene vissuto e praticato – sia dai diretti
interessati e sia dal resto del nucleo familiare - come una forma di auto-difesa collettiva della
famiglia dalle minacce esterne. Condizione che giustifica ed aiuta a sopportare la pratica
prostituzionale assoggettante sia negli uni (i minori coinvolti) che negli altri (gli adulti della
famiglia). L’idea dell’aiuto alla famiglia sta alla base molto spesso anche dell’azione persuasiva dei
34
Non è raro il fatto che all’interno della famiglia ci siano membri in condizioni di tossicodipendenza, alcolismo o
disoccupazione di lunga durata che contribuiscono ad alzare il grado di vulnerabilità complessiva della famiglia
medesima e spingere alcuni di essi – i più deboli – ad intraprendere percorsi rischiosi che possono condurre a forme di
grave sfruttamento. Aspetti evidenziati da A. Wolthuis e M. Blaak (a cura di), Traffiking in children for sexual purpose
from eastern europe to western europe, Rapporto Ecpat Europe Law enforcement group, Amsterdam, 2001, p. 12 e
segg.;
31
reclutatori extrafamiliari, nel senso che tendono a giustificare ideologicamente le loro offerte alla
famiglia della vittima in quanto, tutto sommato, sono finalizzate ad accrescere l’economia familiare
e a sviluppare il benessere collettivo della stessa35.
In sostanza, tale fase si conclude con un accordo o contratto apparentemente vantaggioso per la
vittima e la sua famiglia che “giustifica” lo sfruttamento della prima. Tale accordo può prevedere
anche una concessione di credito da parte dei reclutatori/sfruttatori alla famiglia, come espressione
di serietà e vantaggio reciproco del patto di cessione del minore. Il reclutatore può apparire anche
come un benefattore della famiglia e pertanto può suscitare rispetto e benevolenza. La famiglia,
molto spesso, ignora (almeno per quelle che non hanno al loro interno esperienze prostituzionali o
di lavoro coatto) che il patto così stabilito costituisce la base di partenza per l’attivazione dei
meccanismi di ricatto violento e di richiesta di pratiche di sfruttamento radicale finalizzate alla sua
restituzione.
Di conseguenza l’indebitamento diventa il primo e il più importante mezzo di subordinazione della
ragazza (e al contempo della famiglia) destinata all’espatrio in maniera irregolare e al di fuori dei
circuiti in qualche modo controllabili socialmente. Fattore che spiega anche il motivo della
pressione che la famiglia medesima esercita verso la ragazza al fine di non fargli interrompere il
lavoro che essa stessa sta svolgendo in emigrazione, a prescindere dal tipo effettivo di lavoro
esercitato. La famiglia viene a trovarsi, così, in una posizione di forte ambiguità e opportunismo, in
quanto rimuove il fatto che la ragazza possa fare la prostituta ed essere coattivamente costretta a
farlo.
Seconda fase
La seconda fase è quella del viaggio e del risveglio dal “sogno” dell’evento migratorio (quando c’è
consenso dei diretti interessati) o l’evento di trasferimento coatto (quando non c’è volontà
cooperativa da parte della donna o dei minori coinvolti). In entrambi i casi, tuttavia, il viaggio
diventa un evento particolarmente complesso e non privo di pericoli sia per i diretti interessati che
per i trasportatori. In tale contesto avviene il passaggio di gestione delle donne e dei minori dai
reclutatori ai membri delle organizzazioni (i reclutatori possono o meno far parte integrante della
stessa organizzazione) che si occuperanno del viaggio e del trasporto, sia nella sua versione
condivisa dalle dirette interessate che in quella non condivisa o coatta.
L’insieme delle attività che mette in campo l’organizzazione ricevente delle persone destinate al
contrabbando o al traffico finalizzato allo sfruttamento sessuale e le relazioni di collegamento che si
attivano con le altre bande che subentreranno nei diversi paesi di attraversamento o di transito per
portare le vittime nelle aree di destinazione sono molteplici e variegate, in quanto coinvolgono
attori diversi con compiti ed aspettative differenti e spesso contrapposte. Per gli attori diversamente
coinvolti, si tratta, infatti, di mettersi a dura prova, di intraprendere un viaggio non privo di pericoli
e di difficoltà imprevedibili.
Situazioni, che ovviamente, vengono vissute da due angolazioni diverse e contrapposte: per le
donne e per i minori (nei casi in cui hanno acquistato un servizio illegale per entrare in maniera
irregolare in un altro paese) si tratta di arrivare a destinazione secondo quanto stabilito con i
trasportatori; per questi ultimi, invece, si tratta di portate a termine un lavoro (anche se illecito ed
illegale) con maggiori o minori attenzioni alla incolumità dei “passeggeri” in considerazione del
patto stabilito. Tale attenzione è dovuta al fatto che un servizio erogato dall’organizzazione
35
Ladda Saikaew, A non-governamental organization perspective, in United State. Department of Labor – Bureau of
International Labor Affairs, Washington, 1996, p. 66;
32
trasportatrice secondo le aspettative della clientela permette, in ultima istanza, la produzione di una
“immagine aziendale” positiva ed efficiente in grado di garantire la perpetuazione di questo tipo di
affari con altri gruppi di persone intenzionate ad espatriare irregolarmente. Infatti, una immagine
negativa - e per così dire “negriera” - potrebbe incidere sulla richiesta del servizio e dirottare la
domanda di espatrio irregolare su altre organizzazioni che offrono maggiori garanzie36 sulla buona
riuscita del trasbordo.
La condizione delle donne o dei minori, tuttavia, nel corso del viaggio può modificarsi, giacchè da
posizione iniziale volontariamente condivisa (ad intraprendere il viaggio in maniera irregolare) può
trasformarsi in una posizione non condivisa; cioè può divenire una condizione caratterizzata dalla
coercizione e dalla violenza. Ciò accade con maggior facilità quando i gruppi in viaggio sono
numericamente piccoli e molto meno quando si tratta di gruppi numerosi (come, ad esempio, tra i
passeggeri che usano le carrette del mare in quanto ammontano a centinaia di persone). I motivi di
questa trasformazione possono essere imputati a fattori diversi che possono intrecciarsi o meno tra
loro, e cioè:
-
i membri dell’organizzazione che gestisce il trasferimento possono ad un certo punto del
viaggio svelare le loro reali intenzioni: ossia quelle di mirare allo sfruttamento sessuale della
donna o del minore che hanno intrapreso - utilizzando i loro servizi - la via dell’emigrazione. Le
donne e i minori coinvolti vengono fatti ripetutamente oggetto di violenza fisica e psicologica
da parte degli stessi accompagnatori (o da persone coinvolte dall’organizzazione soltanto per
mettere in campo comportamenti violenti finalizzato al mero assoggettamento della vittima). La
violenza viene erogata anche in funzione della preparazione e dell’addestramento dei servizi che
la donna dovrà garantire sulla strada o nel bordello dove verrà collocata oppure nel locale di
intrattenimento dove andrà a lavorare e a prostituirsi. Si tratta spesso di comportamenti in
qualche modo chiarificatori che vengono messi in atto brutalmente dagli sfruttatori quando
ormai si sentono al sicuro e lontani da possibili intercettazioni da parte delle forze dell’ordine o
dalle possibili vendette che possono produrre i genitori o i fratelli della vittime37. Con questi
comportamenti - attivati dai trasportatori e accompagnatori perché costretti dalle circostanze e
dalla possibilità di acquisire già nella fase di trasferimento guadagni insperati al momento della
partenza - mirano a sciogliere malintesi, ambiguità o comportamenti sofisticati caratterizzati da
mezze frasi, da cose dette e non dette, da furbizie varie, da piccoli e grandi raggiri perpetuati
contro le donne e i minori. Non secondarie, sono le violenze che gli stessi mettono in atto
utilizzando a proprio vantaggio le forme di invischiamento affettivo che sovente hanno con le
donne e con le minorenni che trasportano in direzione dell’Italia (molte donne – anche
minorenni – soprattutto albanesi e moldave parlano del viaggio intrapreso con il loro
“fidanzato” o con il loro “marito” e molti minori delle stesse nazionalità dichiarano di esseri
stati accompagnati dallo “zio”). Questa forma di smascheramento da parte dell’organizzazione
avviene sovente in aree geografico-territoriali dove è più dinamico il mercato del sesso e dove
l’organizzazione può iniziare lo sfruttamento della vittima al fine di rientrare dei costi fino
allora sostenuti per l’intera operazione di trasferimento. Si tratta perlopiù di aree di confine,
dove si concentrano gruppi di criminali e gruppi di avventori e consumatori del sesso a
pagamento in una sorta di “terra franca” dove le forze dell’ordine molto spesso appaiono
conniventi e finanche soggetti a comportamenti di corruzione da parte dei ricchi trafficanti;
- alle rotte e ai mezzi di trasporto, nel senso che gli standard tipologici del viaggio cambiano con il
variare dei percorsi che si intraprendono e alla qualità dei mezzi e delle strutture logistiche che
man mano si potranno avere a disposizione per continuare in condizioni di relativo conforto il
36
Cfr. al riguardo l’intervista di Paolo Ruiz su “La Repubblica” di martedi 3 dicembre 2002, p. 13 dal titolo “Io,
mercate di nuovi schiavi do un futuro ai clandestini”.
37
Save the children, Banbine in vendita, Mimesis, Milano, 2002, p. 68 e segg.
33
viaggio verso il paese di destinazione. I percorsi che intraprendono i trasportatori (trafficanti o
semplici accompagnatori delle donne e dei minori) all’interno di un paese sono abbastanza
semplici e quasi del tutto privi di difficoltà, a meno che non si tratta di rapimenti in senso stretto
(dove la copertura della vittima diventa pressoché obbligatoria). Nel primo caso sono le strade di
grande scorrimento interprovinciali e regionali che collegano diversi Stati e vari paesi. Strade
che vengono percorse con facilità e sicurezza, in quanto all’esterno i trasportatori – anche
quando le donne e i minori sono visibili – appaiono delle persone come tante altre che utilizzano
ordinariamente i servizi stradali. Nel secondo caso, invece, le rotte da intraprendere sono quelle
che danno maggior sicurezza preventiva in fatto di controlli stradali o ferroviari da parte delle
forze dell’ordine e in caso di tentativi di fuga da parte delle donne o dei minori coinvolti. I
problemi sorgono (solo in parte, per la verità) in prossimità delle frontiere interne, tra paese e
paese e sulla base del livello di cooperazione che i trasportatori riescono ad avere – e a negoziare
- con le vittime. In questi casi i trasportatori possono abbandonare le rotte comuni ed ordinarie:
da un lato, allorquando le donne e i minori trasportati non collaborano e appaiono resistenti e
inaffidabili e, dall’altro, allorquando questi ultimi non hanno ancora documenti adeguati (perché
l’organizzazione ancora non li ha acquisiti); ed, infine, quando i diretti interessati (donne e
minori) cooperano all’attraversamento della frontiera (o perché accondiscendenti o perché
fortemente impauriti o minacciati) e sono in possesso di documentazione falsificata e non del
tutto sicura (ad esempio, visti di ingresso per motivi turistici, visti per motivi correlabili ad
attività di spettacolo o per motivi familiari o di lavoro domestico e di studio, eccetera);
- alla compresenza di altre donne e bambini in qualità di compagni di viaggio e di sventura.
Fattore che influenza e modifica – oltre che la struttura base dell’organizzazione nel numero di
uomini e donne da coinvolgere - anche la scelta del mezzo di trasporto da utilizzare in termini di
capienza, di sicurezza, di comodità, di efficienza, di possibilità e di capacità di mimetizzazione.
Generalmente il numero di donne che si possono trasportare varia a secondo del rapporto
esistente tra i membri o il membro dell’organizzazione e la donna e minore da trasportare. Nel
caso che sussista una qualche forma di invischiamento affettivo-esistenziale (reale o strumentale)
tra gli attori coinvolti, il numero dei viaggiatori è relativamente basso, cioè due o tre persone
(una coppia e un’altra persona al seguito). Nel caso, contrario, ossia che tra gli attori non vige
nessun rapporto affettivo ma solo quello strumentale e contrattualistico – ma con una sostanziale
cooperazione - il numero dei viaggiatori può arrivare anche a cinque/dieci unità (uno o due
trasportatori/accompagnatori e dai tre alle sette donne o minori). Se tra gli attori coinvolti non
c’è nessuna cooperazione ma anzi soltanto conflitto (manifesto o latente) il numero dei
viaggiatori si può ridurre in termini assoluti (due trasportatori/accompagnatori e una donna o
multipli di questa combinazione). Quando si tratta di minori, tuttavia, è possibile che i
viaggiatori coinvolti siano sempre due o al massimo tre in quanto vengono fatti passare per figli
o per nipoti che stanno viaggiando per raggiungere altri parenti o i diretti genitori. A proposito
non secondaria è l’esperienza e la professionalità del trasportatore e del resto degli
accompagnatori. Insomma, i continui e scomodi trasferimenti da un’area all’altra del paese di
esodo e da questo ad altri paesi di transito, oppure da una sede all’altra dell’organizzazione o per
depistare eventuali tentativi di intercettazione da parte della forza pubblica o per avanzare nel
processo di espatrio, hanno bisogno di “managerialità” e di capacità gestionali non indifferenti.
Inoltre, è necessario che tutti i componenti della banda siano affiatati e ben integrati tra loro.
Generalmente i gruppi specializzati nel trasporto sono formati da elementi facenti parte degli
stessi nuclei familistico-parentali dove vige una cieca obbedienza al membro più anziano in
quanto riconosciuto leader carismatico di tipo patriarcale. Il valore aggiunto, se così si può
definire, è dato dal fatto che i membri di queste bande si conoscono molto bene e pertanto è
difficile qualsiasi forma di infiltrazione da parte delle forze dell’ordine. Il raccordo con le altre
bande che operano oltre le frontiere vengono effettuati e portati a termine da “pontieri”, ossia da
persone che non necessariamente fanno parte delle bande coinvolte alla compra-vendita delle
34
donne o dei minori. Il loro compito è soltanto quello di effettuare il contatto e mettere le due
organizzazioni – al di qua e al di la della frontiera o delle diverse frontiere - in condizione di
portare a termine l’operazione e ricevere il compenso previsto.
Terza fase
La terza fase è quella dell’attivazione da parte dei membri dell’organizzazione - o da un singolo
sfruttatore - del processo di invischiamento progressivo della donna nell’esercizio della
prostituzione coatta. La prospettiva della prostituzione e dello sfruttamento sessuale è molto spesso
il progetto - sovente inespresso nelle prime fasi del reclutamento - dei membri dell’organizzazione
verso le donne e i minori coinvolti nel traffico sin dalla fase di reclutamento. Anzi, questa si
caratterizza molto spesso per la ricerca di donne e minori da indirizzare allo sfruttamento. Pertanto
l’avvio del processo di assoggettamento, di addestramento e di invischiamento nei circuiti
prostituzionali delle donne e dei minori predestinati può essere di breve o di media durata.
Nel senso che può avvenire sia nelle fasi che seguono immediatamente il reclutamento, sia – come
accennato - durante il viaggio e nelle fasi precedenti all’ingresso nel nostro paese e sia nelle fasi
successive del passaggio di frontiera e trovata la prima sistemazione logistica. In questo ultimo caso
può avvenire nei giorni successivi all’ingresso o nelle settimane o mesi successivi, a seconda del
tipo di rapporto esistente tra gli attori coinvolti, le forme di negoziazione esistenti e le forme di
contrattazione stabilite. Va da sè, tuttavia, che i meccanismi di assoggettamento hanno una duplice
caratteristica: da un lato, possono essere di tipo persuasivo, di ricerca di cooperazione e di
coinvolgimento emotivo-esistenziale della donna o del minore nella pratica di sfruttamento oppure,
dall’altro lato, possono essere di tipo violento ed aggressivo contornati da stupri, violenze carnali e
torture di varia natura.
L’interessata vede progressivamente ridotta la propria agibilità fisica e spaziale subendo una vita di
isolamento, di controllo ravvicinato, di umiliazione continua, di stimolazione dei sensi di colpa
verso la famiglia, di preoccupazione profonda per la propria incolumità, di timore di non farcela e
frustrante desiderio di fuga. Insomma, i margini di manovra si restringono fino a limitarsi
completamente. Gli aguzzini mirano a condizionare profondamente la vittima facendo leva sulla
vulnerabilità che la caratterizza in funzione della posizione di assoggettamento nelle quali si trova.
Vulnerabilità che è data, non solo dal fatto di essere donna e minorenne, ma anche dal fatto che si è
privati della propria volontà ed identità.
La spoliazione è completa: sia del nome (in quanto viene cambiato con un nome d’arte), sia dei
vestiti (in quanto obbligate a usare “quelli da lavoro”), sia dei documenti di riconoscimento
(passaporto, carta di identità, eccetera), sia delle relazioni sociali e di comunanza con altre donne e
minori (magari coinvolti nello stesso viaggio), sia dei proventi dell’esercizio prostituzionale e sia
dai legami familiari. Gli unici contatti restano quelli con i membri dell’organizzazione o con il
“fidanzato-sfruttatore”. Entrambi gli attori – nell’uno e nell’altro caso – rappresentano l’intero
universo della donna assoggettata, insieme alla clientela che fruisce dei servizi che esse
coattivamente offrono.
Alla fase di assoggettamento segue quella di addestramento, caratterizzata da un periodo in cui le
donne, soprattutto quelle minorenni, vengono violentate dai membri della banda e dagli amici di
questi, al fine di rendere docili le dirette interessate. La docilità è quella condizione particolare che
spinge la giovane donna a mettere in campo comportamenti corrispondenti alla volontà degli
aguzzini. Ossia comportamenti funzionali al proprio sfruttamento come se fossero normali ed
accondiscendenti. All’esterno possono apparire anche come il risultato di una scelta più o meno
35
razionale e condivisa, ma in realtà rappresentano l’effetto manifesto delle violenze subite ex ante e
delle intimidazione che continuano a ricevere in itinere, cioè durante il processo di addestramento.
L’addestramento si estende anche a come stare in strada o nell’appartamento, a come ricevere e
trattare con la clientela, a come contrattare gli spazi territoriali dove viene esercitata la
prostituzione, a come farsi dare il denaro dai clienti e a come nasconderlo nelle borse a doppio
fondo oppure nei pressi dei luoghi di prostituzione. Non secondarie sono le istruzioni di
comportamento con le forze dell’ordine rispetto alle cose da dire e agli atteggiamenti da prendere
con esse, negando – ad esempio – la giovane età e facendo loro credere di essere più grandi, nonché
dai comportamenti da prendere se si è portati in Questura. Insomma, la fase di addestramento serve
a istruire le donne invischiate a come esercitare il mestiere e a come praticare il principio di omertà.
Principio su cui si fonda il rapporto prostituzionale e su cui si regge l’equilibrio che frena i membri
dell’organizzazione a non compiere atti di violenza e di aggressione verso le vittime stesse e
soprattutto verso i parenti rimasti nel paese di origine.
All’addestramento segue la fase di esercizio vero e proprio della prostutizione. Questa, come si
vedrà meglio in seguito, può essere eseguita in maniera evidente e manifesta oppure in maniera
mascherata38. Quella esercitata in maniera manifesta è svolta perlopiù in strada e negli ultimi due
anni anche in maniera significativa negli appartamenti. Invece, quella mascherata - ossia nascosta
dietro una attività lavorativa ordinaria – viene esercitata in una variegata gamma di situazioni, ma
tutte contraddistinte dal fatto che sono svolte all’interno di locali di intrattenimento. Locali che
hanno trovato un largo sviluppo negli ultimi cinque anni e che appaiono destinati a soppiantare in
parte la prostituzione di strada. Si tratta di donne e minorenni che lavorano come cameriere nei
ristoranti e non disdegnano, quando sono invitate da clienti particolarmente disposti
economicamente, ad appartarsi con loro in altri ambienti del locale. Oppure in locali di bellezza e di
benessere del corpo e finanche nei club privè39
Non secondari, nell’economia del divertimento, si possono trovare donne e minorenni impiegate in
locali dove si esibiscono gruppi musicali e dove si esibiscono ballerine e cantanti che possono
offrire anche i loro servizi sessuali oppure donne e minorenni disponibili per clienti in alberghi di
categorie medio-alte dove alle sale massaggi vengono offerte anche prestazioni sessuali. Insomma,
la gamma di impiego della prostituzione si è molto estesa e molto spesso si tratta di prestazioni
offerte da donne che si collocano al confine tra una prostituzione esercitata con certi livelli di
volontarietà ed un’altra esercitata, al contrario, in maniera involontaria e coatta. In questi ultimi casi
le donne e le minorenni coinvolte vengono costrette a prostituirsi a seguito di minacce, raggiri e
abusi derivanti da violenza e da subordinazione coercitiva. I gruppi nazionali che maggiormente
vengono impiegati in queste attività prostituzionali coperte sono soprattutto quelle provenienti dai
Paesi dell'Est Europa e dal Sud.est asiatico (in particolare filippine, thailandesi, eccetera)40.
Quarta fase
La quarta fase è quella che si caratterizza per i tentativi di uscita dalla condizione para-schiavistica
delle donne o dopo aver estinto il debito con la banda sfruttatrice (ma sappiamo che spesso questo
38
F. Carchedi ed al., I colori della notte, Franco Angeli, Milano, p. 140;
F. Carchedi, G. Mottura, E. Pugliese, Lavoro servile e lavoro para-schiavistico, Franco Angeli, , in via di
pubblicazione, Milano, 2003, p. 78;
40
Il termine di “prostitute” utilizzato per indicare la loro condizione è improprio anche in riferimento al fatto che esse
sono donne “prostituite”, ovvero private anche in questo caso di libera scelta.
39
36
non basta) o a seguito dell’azione di servizi e opportunità alternative sul territorio che permettono
loro di avviare processi di sganciamento dal giro prostituzionale e di avere qualche chances di
inserimento normale nella società. Oppure, caso non marginale, perché la donna o la minorenne,
riescono da sole o con l’aiuto di clienti ad innescare meccanismi di sganciamento dal giro
prostituzionale41. Tuttavia, molto spesso, i meccanismi di fuoriuscita maturano attraverso l’effetto
incrociato che scaturisce dall’azione convergente di più attori sociali che a diverso titolo sono
coinvolti nel sistema prostituzionale. La loro ottima combinazione garantisce maggiore successo
alle donne che tentano il distacco dal giro emarginante ed assoggettante.
Oppure, un’alternativa che va nel senso della “riduzione del danno”, è quella che si configura come
un processo di autonomizzazione decisionale che si accompagna al cambiamento del luogo di
esercizio dell’attività prostituzionale42, al cambiamento dei rapporti che si hanno con gli sfruttatori,
dalla capacità di negoziazione che la donna matura nei confronti dei suoi profittatori, dalle amicizie
e dalle reti sociali che si riescono a mobilitare, eccetera. I problemi di sganciamento e di fuoriuscita
dalla prostituzione appaiono, al momento, più lunghi per le ragazze albanesi e per quelle dei paesi
dell’Est in quanto oggetto di maggior violenze e ricatti. La pressione psico-fisica degli sfruttatori
rende la prospettiva di libertà generalmente impraticabile nel breve e medio periodo.
La catena di violenze non termina sempre con la ritrovata libertà perché può esserci la possibile
vendita della donna e della minorenne oppure una semplice ricaduta nel giro della prostituzione e
quindi la riproposizione di una nuova fase di assoggettamento prostitutivo. Non secondari sono i
trasferimenti delle donne ad altre organizzazioni e nel trasferimento la condizione delle stesse può
cambiare in meglio o in peggio, a seconda della tipologia dell'organizzazione acquisitrice. La
condizione delle dirette interessate all’interno ai meccanismi di sfruttamento può restare invariata,
in quanto le medesime restano fortemente influenzate dalla pressione assoggettante che non
riescono a trovare la forza di progettare alcun cambiamento.
Sovente, pur nella possibilità di essere libera dallo sfruttamento, non riescono - pur volendolo - a
tornare in patria e neppure a cercare altre opportunità nel nostro paese. Questa indecisione – o
meglio l’impossibilità di progettare una pur minima risposta – scaturisce dalla complessa
condizione psicologica ed emotiva in cui versano le donne sfruttate coercitivamente. Condizione
che rende altresì vulnerabili e pertanto reclutabili da altre organizzazioni e assoggettabili ad altri
aguzzini. Nei casi in cui la reazione emotiva alla condizione di sfruttamento risulta essere forte e
decisa alcune di queste donne accettano di trasformarsi in sfruttatrici di altre connazionali, magari
tra quelle arrivate da poco tempo e altrettanto vulnerabili. Diventano cioè complici delle
organizzazioni che le hanno precedentemente sfruttate e tendono a praticare le stesse tecniche di
coercizione subite in precedenza. Queste modalità, tuttavia, mutano con il cambiare delle culture e
pratiche di sfruttamento in voga nelle diverse organizzazioni criminali su base nazionale:
prostituzione a tempo determinato generalmente per le nigeriane e prostituzione a tempo
indeterminato per le albanesi e le altre donne dell’Est43.
41
Cfr. F. Carchedi, G. Mottura, E. Pugliese, Lavoro servile e lavoro para-schiavistico, in via di pubblicazione, Franco
Angeli, Milano, p. 89 e segg.
42
In pratica la trasformazione delle modalità di esercizio della prostituzione in modo meno coatto e il passaggio
dall’esercizio in strada a quello in hotels/appartamenti.
43
Secondo la fonte di Polizia di Stato, “i protettori albanesi sono padroni assoluti della vita delle loro ragazze, che
controllano direttamente. Impongono luoghi, orari, spostamenti, modalità di esercizio della prostituzione e tariffe da
applicare alle prestazioni”. Un rapporto della Caritas Ambrosiana rileva come “nel caso in cui non "rendano" a
sufficienza vengano punite con metodi estremamente violenti e spesso vendute ad altri clan (..) La rete criminale
albanese è molto violenta e vendicativa; le ragazze, quando riescono a scappare con l'aiuto di polizia, clienti o unità di
strada, hanno molta paura ad affrontare l'iter della denuncia, anche per le reali possibilità di violenza e ritorsione sulla
famiglia in Albania ed in particolare sulle sorelle minori. Al riguardo, comunque, cfr. anche, Fondazione Internazionale
37
2.6. Il traffico e le forme di sfruttamento para-schiavistico dei minori stranieri
Negli anni ’90, oltre alla tratta delle donne adulte a scopo prostituzionale, si intensifica nel nostro
Paese anche la presenza e il flusso di minori stranieri, sia a fronte delle nascite avvenute all’interno
di famiglie di origine straniera insediatesi da tempo in Italia, sia in ragione di politiche di
ricongiungimenti familiari che per l’arrivo di componenti migratorie composte da giovani e
minorenni. Il loro numero è in Italia aumentato: nel 2000 c'erano nel nostro Paese 229.851 minori
stranieri, con un aumento di 43.561 rispetto all'anno precedente e un incremento nei confronti delle
statistiche del 1995 dell'83%.
Alcuni indicatori inquadrano con preoccupazione il disagio di cui sono portatori alcuni segmenti di
tale popolazione: dall'istituzionalizzazione e residenzialità protetta alla devianza in età preadolescenziale e adolescenziale. Nel 1998 le denunce nei confronti di minori stranieri non
imputabili sono state 2.218, pari al 47,4% delle denunce totali, con un tetto del 56% nel 1995. La
crescita della devianza nella fascia tra i 14 e i 18 anni è maggiore e costante, tra il 1991 e il 1998
sono raddoppiate le denunce nei confronti dei minori stranieri: nel 1998 sono state 7.127, pari al
20,7% del totale (incidevano nel 10,9% nel 1991)44. Il 30,8% erano nei confronti di minori albanesi
e rumeni. Il numero delle denuncie nei confronti degli stranieri è nettamente superiore a quello dei
denunciati: nel 1998 la differenza era di ben 2.600 casi per i quali si è trattato di un secondo (o
terzo) reato commesso da minori già denunciati. "Questo sembra essere un fenomeno dovuto
principalmente allo sfruttamento di minori stranieri, soprattutto non accompagnati e nomadi"45.
Soprattutto i minori che emigrano da soli si trovano quindi in una condizione di oggettiva
vulnerabilità e quindi possono più facilmente essere vittime di forme di sfruttamento più o meno
radicale e coercitivo. Si tratta dei minori non accompagnati o “separati” (termine più appropriato
per l’ACNUR), in quanto “si trovano fuori dal loro Paese di origine separati da entrambi i genitori
o da adulti che per legge o per consuetudine sono responsabili della loro cura e della loro
protezione”46.
La separatezza dai propri genitori naturali o tutori acquisiti si manifesta con caratteristiche diverse
che articolano il fenomeno in tre categorie di minori: quelli che arrivano con i genitori o con altri
adulti legittimati ad esercitare la podestà genitoriale o tutoria, ma che nelle fasi successive
all’ingresso restano da soli per loro scelta o, più frequentemente, perché subiscono la separazione
degli adulti per svariati motivi; quella dei minori che arrivano con adulti facenti parte della famiglia
allargata (fino al quarto grado). La categoria più diffusa è la terza, ovvero quella dei minori che
Lelio Basso –Parsec, Traffico di esseri umani, criminalità organizzata e forme contemporanee di schiavitù, rapporto di
ricerca, Roma, p. 22 e segg.
44
Mentre le denunce dei minori stranieri sono la quinta parte delle denunce degli italiani gli interventi custodialistici
sono invece il 52% nei confronti dei minori stranieri. Nel 1999 negli istituti penali per minori avevamo 1.005 stranieri,
contro 871 italiani; nel caso delle ragazze il rapporto è ancora più sfavorevole agli stranieri: 365 a 22. Un fenomeno in
danno dei ragazzi stranieri non accompagnati che finiscono in carcere è quello discriminante della "deportazione
carceraria". Pur arrestati e processati da tribunali per i Minorenni del Nord vengono transitati verso istituti penali del
Sud, perdendo anche quei pochi legami affettivi con possibili parenti, amici o con la fidanzata oltre al fatto che i
distacchi sono sempre dolorosi.
45
Lo afferma il presidente del tribunale per i minorenni di Bari, Franco Occhiogrosso, in, Disagio e devianza. Minori
stranieri e carcere, a cura della Fondazione Federico Ozanam-Vincenzo De Paoli, Nuova editrice Grafica, Roma, 2002
, p. 22.
46
Per una definizione più articolata ed estensiva di quella proposta dalla “Risoluzione del Consiglio dell’Unione
Europea del 26 giungo 1997” cfr., F. Carchedi e A. Castellani, op. cit., p. 94.
38
lasciano i loro genitori nel paese di origine ed emigrano autonomamente, affrontando il viaggio da
soli o con gruppi di pari o connazionali adulti.
Soprattutto i giovani/giovanissimi albanesi possono per lo più contare in Italia su reti sociali
formate da connazionali precedentemente espatriati che svolgono un’azione di ponte e di primo
sostegno nel momento dell’insediamento, o estinguendo per loro il debito del viaggio con i creditori
del traffico (diventando creditori fiduciari) e/o sostenendoli nel momento dell’insediamento
(aiutandoli a trovare lavoro, alloggio, etc.). Si determina in tal senso una sorta di solidarietà
intraetnica e clanica, che svolge tra l’altro, sia una funzione di forte stimolo all’espatrio che di
ricostituzione di microcontesti comunitari nel paese di arrivo. Il ragazzo o giovane contrarrà così un
secondo debito con amici e parenti nel contesto di insediamento che cercherà di saldare entro
qualche tempo cominciando dalle quote prestategli dalle persone con il grado di parentela e amicale
più distante.
Il loro profilo socio-anagrafico è ben delineato: per lo più di sesso maschile (88 su 100), di età di
poco inferiore ai 18 anni, manifestano un progetto migratorio mediamente strutturato - non
diversamente dagli adulti della stessa nazionalità47 - per lo più sostenuto dalle famiglie di origine,
come strategia per acquisire le risorse necessarie per la sussistenza o lo sviluppo socio-economico
delle stesse48. E’ altresì riscontrato che questa condizione “non sembra sottendere in genere gravi
problematiche di rapporto con la famiglia di origine, né traspaiono particolari disagi psicologici o
carenze affettivo-esistenziali nei ragazzi, né tanto meno si riscontrano evidenti e marcati deficit
nell’educazione scolastica e non”.
Il progetto migratorio viene messo in atto attraverso due modalità:
a.
b.
la prima li accomuna alle donne della tratta e consiste nella stipula di un debito con terze
persone ai fini di sostenere i costi del viaggio, costi che variano in relazione alla lunghezza del
tragitto da percorrere, al numero di frontiere da attraversare e alle difficoltà che si ipotizzano
all’ingresso per i pericoli di intercettazione da parte delle forze di contrasto. E’ evidente che
questa modalità – che interessa soltanto una piccola parte - ha in sé i rischi conseguenti
dell’instaurarsi di rapporti subordinati particolarmente violenti ed illegali;
la seconda, che si ritiene più diffusa, consiste nella vendita di beni di proprietà della famiglia,
anche modesti49, ma in genere sufficienti ad organizzare il viaggio e ad avere risorse
necessarie nella prima fase del soggiorni nel Paese di arrivo. Per quanto concerne i minori
albanesi si dispone anche di una testimonianza qualificata che spiega il contesto sociale e
famigliare da cui essi provengono. Secondo le osservazioni della Delegazione albanese del
Servizio Sociale Internazionale50 “il caso tipo è in ragazzo di età compresa tra i 16 e i 18 anni,
47
Va però precisato che “per una parte minoritaria, composta per lo più da minori di 14 anni, il progetto migratorio
individuale tende a confondersi e a mescolarsi e spesso a sovrapporsi con quello degli adulti con i quali emigrano o che
tendono a raggiungere successivamente quando le condizioni socio-economiche lo permettono”. Cfr. F.Carchedi e A.
Castellani, in L’immigrazione e le condizioni di grave sfruttamento. Il Caso Roma, in ‘Il lavoro servile e le forme di
sfruttamento para-schiavistico’, Dipartimento per gli Affari Sociali – presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma,
2001, p. 93.
48
La scelta migratoria è una “co-decisione” maturata all’interno delle rispettive famiglie e pertanto il giovane migrante
viene “considerato consapevolmente come un agente dello sviluppo familiare e di conseguenza di quello microambientale del contesto territoriale di riferimento”, cfr. in F. Carchedi e A. Castellani, op. cit., p. 95.
49
Ciò vale soprattutto per i ragazzi albanesi e per quelli provenienti dai Balcani il cui viaggio non sembra essere
particolarmente costoso. Secondo testimonianze dirette per l’attraversamento del canale di Otranto con lo scafo
occorrono dai 300 ai 400 euro a seconda del porto di partenza e di quello di arrivo e questa cifra da diritto a tre tentativi
di ingresso.
50
Servizio sociale internazionale (a cura di), Rapporto sul programma svolto dal Servizio sociale internazionale in Italia
e in Albania negli anni 1998-1999, Rapporto di ricerca, Dipartimento Affari sociali, Roma, p.36.
39
proveniente da una famiglia povera, che ha concluso la scuola dell’obbligo, ma che non ha più
voluto proseguire gli studi, perlopiù residente in un villaggio, oppure emigrato in città insieme
alla famiglia originariamente proveniente da un villaggio. I suoi genitori hanno condiviso
l’idea che la scuola non abbia più alcun valore ed hanno avallato la sua aspettativa di trovare
una vita migliore in Italia una volta conclusa la scuola dell’obbligo. Attorno a lui altri cittadini
albanesi sono partiti per l’Italia e sono tornati arricchiti per cui l’intera famiglia ha accettato di
indebitarsi o di vendere un capo di bestiame, per pagare il viaggio”.
La provenienza geografica dei minori separati è significativamente cambiata negli ultimi dieci anni.
Se in una prima fase erano in gran parte marocchini di Khouribga a partire dagli anni 1995-1996 i
ragazzi coinvolti nel fenomeno sono sempre più albanesi e rumeni. Talvolta sono soli perché i loro
“padri” o “zii” o fratelli rientrano nel fenomeno dell’immigrazione irregolare (e talora pendolare). A
partire dall’esodo di massa del 1991 un gran numero di questi ragazzini/e sono stati portati in Italia,
soprattutto dall’Albania, e qualche volta sono entrati – o sono stati fatti entrare – nei circuiti
emarginanti e contigui a quelli dove vengono praticate forme di sfruttamento radicale e tenuti in
condizione di grave asservimento.
Condizione difficile da comprovare in sede giudiziale dove sono rarissime le condanne per tale tipo
di crimine51. Altri albanesi arrivano in gruppo, si uniscono agli adulti e vivono di lavori saltuari e di
microcriminalità, i rumeni tendono invece ad aggregarsi agli adulti nel lavoro. Anch’essi sono
spesso implicati in circuiti perversi di sfruttamento e abuso. Come attestano i dati dei servizi sociali
delle principali città italiane dove finiscono per arrivare come vittime di traffico sessuale o di altro
tipo di sfruttamento.
Il sistema di raccolta dei dati sulla presenza di minori stranieri non accompagnati in Italia è
notevolmente migliorato a partire dal 2000, grazie all’attribuzione al Comitato per i minori stranieri
della competenza relativa al censimento di questi minori52. Tuttavia tali dati non corrispondono
ancora all’effettiva presenza di minori non accompagnati in Italia, in quanto un certo numero di essi
non viene comunque segnalato. Tra il primo luglio e il 30 novembre del 2001 sono stati segnalati al
Comitato poco meno di 15 mila minori, per lo più di età tra i 16 e i 17 anni (68 su 100). Essi sono
in aumento, in particolare dall’Albania che ha registrato in un solo anno un più 57,5%. Il 61% di
essi è di nazionalità albanese e il 7,3% rumena (solo i ragazzi marocchini sono più numerosi di
questi ultimi). Le regioni in cui sono maggiormente presenti sono, nell’ordine: la Puglia (dove
spesso i minori sono segnalati al momento dello sbarco ma non si fermano, spostandosi invece in
altre regioni), la Lombardia, il Lazio e la Toscana (tutte sopra il 10%).
Se molti minori vengono segnalati ai servizi sociali delle grandi città (Roma, Milano e Torino,
soprattutto) perché immigrati trovati soli e in situazione di disagio, è opinione prevalente fra gli
operatori che sia una netta minoranza quella che si può configurare come assoggettata
violentemente alla volontà di persone adulte che praticano verso di loro forme di grave
sfruttamento, sia in termini lavorativi che sessuali. Si tratta di minori che hanno un’età che si
avvicina maggiormente ai 18 che non ai 14 anni, dato che più bassa è l’età dei ragazzi (soprattutto
maschi) e maggiore è l’influenza vessatoria che ricevono allo scopo di innescare meccanismi di
invischiamento a livello psicologico e a livello di contenimento fisico. Le cause principali di
ingresso nei circuiti dove possono prodursi gravi forme di sfruttamento sono quelle correlabili
51
La prima sentenza che applicò in Italia le norme sulla riduzione in schiavitù si ebbe a Milano all’inizio degli anni ’80.
Tutti i minori stranieri non accompagnati, infatti, devono essere segnalati per l’obbligo di legge al Comitato per i
minori stranieri, che successivamente elabora i dati a livello nazionale.
52
40
all’impossibilità di pagare il debito contratto per espatriare o per problemi legati alla famiglia53 o
perché non scatta nei loro confronti il meccanismo di solidarietà del cosiddetto “secondo debito”
sopra richiamato.
In questi casi il creditore (o i creditori) prolunga artatamente l’estinguibilità del debito, giocando al
rialzo del capitale prestato che viene gravato da interessi lucrativi - tipici dell’usura - per essere
saldato generalmente entro un periodo che va da 1 a 2 anni. Si tratta di un periodo non lunghissimo,
proprio per una tecnica di mercato che richiede di non intaccare il meccanismo di reclutamento di
altri potenziali clienti da sfruttare in modo analogo (elevato turn over di soggetti sfruttati)54.
L’estorsione del debito appare esercitata da organizzazioni meno strutturate e complesse di quelle
che promuovono il traffico e la prostituzione femminile.
Si tratta per lo più di piccolissimi gruppi, anche se agguerriti, di connazionali della vittima che
esercitano sulla stessa anche l’illusoria funzione di protettori inducendone la ingannevole
percezione “di appartenere ad una congregazione – anche se illegale – di connazionali disposti a
prendere le loro parti e a difenderli in caso di necessità”. Una parte dei minori separati di genere
maschile possono essere invischiati nella prostituzione coatta. Il fenomeno, a differenza che per il
genere femminile, non sembra esteso e riguarda più i ragazzi provenienti dai paesi Sudamericani
con tendenze transessuali.
Un’altra modalità riscontrabile di grave sfruttamento para-schiavistico riguarda l’accattonaggio e la
pratica della questua organizzata da adulti attraverso l’utilizzazione di minori ad essi
coercitivamente subordinati. I casi finora segnalati indicano quali vittime soprattutto i ragazzi
minorenni, anche al di sotto dei 14 anni e di origine albanese, rumena e kossovara. Non mancano
esempi di sfruttamento di ragazzi con gravi deficit o handicap e orfani di entrambi i genitori o del
padre.
Le modalità di invischiamento fanno affidamento in questa fattispecie di reclutamento sulla fragilità
della famiglia – come accennato in precedenza - come quando gli organizzatori del traffico,
giocando sulla buona fede dei genitori e sulla loro necessità di acquisire più denaro per vivere
decentemente, li inducono ad affittare i figli, magari per una intera stagione, in cambio di una
promessa di facili guadagni. Non mancano testimonianze che segnalano veri e propri contratti scritti
in maniera elementare dove si evidenziavano anche le percentuali spettanti a ciascuno dei
contraenti. Anche in questo caso solo una piccola parte dei soldi incamerati dai minori vengono
mandati ai genitori.
Anche le pratiche di accattonaggio collettivo e organizzato riguardano gruppi non molto estesi di
minori e sono difficili da mettere in campo perché sarebbero prontamente intercettate, anche per la
forte pressione sociale di contrasto esistente.
Il fenomeno dello sfruttamento dei minori separati che accusano condizioni di vita paraschiavistiche viene oggi stimato nel nostro Paese, nei pochi tentativi di ricognizione e analisi, nella
consistenza di circa un migliaio di casi. Tuttavia è un fenomeno che richiede di essere indagato e
monitorato con la massima attenzione dato il numero ingente di casi nascosti e la gravità - oltre agli
effetti sociali - di questo grave misconoscimento dei diritti alla crescita, all’integrità, alla
intangibilità della personalità di tanti ragazzi. Ciò determina anche una forte incidenza di minori
53
Un motivo è che la famiglia si è indebitata con terze persone senza scrupoli che chiedono - ricorrendo alla violenza la restituzione immediata del denaro prestato venendo meno alle modalità di restituzione concordate in precedenza
proprio per innescare forme di subordinazione.
54
Come riferiscono F. Carchedi e M. Mazzonis, “Il periodo di sfruttamento sembra non sia più una variabile prioritaria,
tanto il rimpiazzo immediato – e quindi le forme radicali di turn over – sembra essere piuttosto garantito”.
41
stranieri nella criminalità minorile. Le percentuali per gli stranieri non solo sono altissime ma anche
in costante aumento55.
I minori separati potrebbero chiedere asilo “…perché vittime di traffico sessuale o di altro tipo di
sfruttamento..”. Le normative al riguardo sono in Italia arretrate e soggette da qualche anno a nuove
formulazioni. La presenza di minori non accompagnati necessita anche di risposte adeguate di
assistenza e di protezione nonché di meccanismi specifici che possono innescare processi di
inserimento e di integrazione sociale. In pratica qualunque sia la condizione dei minori occorre
attenersi all’interesse superiore dello stesso, come prevede la Convenzione sui diritti del fanciullo di
New York (1989). Servono quindi interventi sociali ed educativi in grado di accompagnare la sua
crescita e il suo sviluppo umano.
Il rientro o il rimpatrio del minore si giustifica diversamente a seconda dell’approccio seguito:
a.
b.
c.
d.
per alcuni il rientro nella famiglia di origine rappresenta – in teoria - la soluzione migliore per
tutti i ragazzi senza accompagnatori adulti; a condizione che il rientro sia onorevole.
L’approccio operativo è di stampo moderato, poiché le modalità e le condizioni di reingresso
dei ragazzi nelle rispettive famiglie vengono analizzate dagli operatori coinvolti. Quando
invece il ragazzo torna in patria in conseguenza di espulsioni il rientro, al contrario, è
disonorevole. In questo caso l’approccio è di stampo radicale, in quanto gli operatori coinvolti
(sovente sono operatori di pubblica sicurezza) si limitano, molto spesso, ad organizzare
soltanto il viaggio ed accompagnare il minore alla frontiera come se fosse un adulto oppure di
consegnarlo direttamente alla famiglia o ad un adulto della famiglia. Nell’uno e nell’altro caso
non si tiene conto del fatto che l’emigrazione (o la cessione o la vendita del minore ad adulti
che poi ingannevolmente li sfruttano) è originata dalla famiglia stessa. Un ritorno non previsto
– e non accettato - può essere vissuto negativamente dalla famiglia e pertanto diventare
pericoloso per il minore;
per alcuni altri la soluzione migliore per i ragazzi non accompagnati è quella di accoglierli
nella maniera più adeguata possibile nel nostro paese, secondo un approccio che possiamo
definire di incorporazione; questo approccio si basa sul fatto che occorre accettare il ragazzo
nel suo contesto di accoglienza nella sua veste di giovane immigrato e ne rispetta, di
conseguenza, il progetto migratorio (lo scopo è quello di favorire le sue aspettative),
cercando inoltre di supportarlo con intervento sociali ad hoc;
per altri ancora – fautori di una posizione mediana – è necessario tener conto di entrambe le
precedenti posizioni adeguandole ai diversi gruppi di minori. E’ una posizione che pone al
centro dell’attenzione il ragazzo, sia nel caso che desideri tornare nel paese di origine, sia nel
caso che invece voglia restare e implementare il suo progetto migratorio. Ciò comporta
un’analisi dei bisogni del ragazzo e allo stesso tempo di quelle della famiglia di origine e
successivamente una valutazione delle chance che possono essere vantaggiose per gli uni e gli
altri.
Quest’ultima sembra essere - a nostro parere - la soluzione che con maggior equilibrio e senso
della giustizia, in quanto tende a soddisfare maggiormente i bisogni e i diritti del minore
poiché tiene conto della sua volontà e coinvolgimento.
2.7. Osservazioni conclusive
55
Per altro, occorre considerare, che la risposta alla criminalità minorile straniera, al contrario di quanto avviene per la
criminalità italiana, è quasi esclusivamente carceraria e sostanzialmente più repressiva che risocializzante.
42
La compra-vendita degli esseri umani da sfruttare a fini economici è fungibile ai processi perversi
di un commercio ormai globalizzato aggiungendosi a quello delle armi e della droga. L’Albania è il
paese dell’Europa dell’Est più colpito dal traffico di esseri umani, ma tutta l'area dei Balcani, e
sempre più anche i territori dell'ex-Unione Sovietica, sono ormai interessati a tale fenomeno. Il
traffico si basa principalmente sulla “servitù del debito” contratto per uscire dal proprio paese, con
l’inganno o come in molti altri casi nella prospettiva di migliorare le proprie precarie condizioni di
vita nel paese di origine. E' quindi un processo che si nutre, da una parte, della presenza di
organizzazioni criminali internazionali e nazionali, tra loro collegate, per ricavare profitto dal
commercio e sfruttamento di persone e, dall'altra, dalla aspirazione di ampie quote di popolazione
dei paesi a basso tenore di vita di elevare la propria condizione socio-economica con l'emigrazione.
L'Italia per la sua posizione geografica e vicinanza alle coste greco-balcaniche costituisce la prima
frontiera e quindi la più esposta, fungendo sia da area di insediamento che di passaggio dei traffici
illeciti di persone. Le altre frontiere, non secondarie, per l’ingresso in Europa - e quindi anche in
Italia - sono quelle austriache e tedesce, nonché quelle dei Paesi baltici. Il fenomeno colpisce in
particolare le giovani donne e i minorenni. Soprattutto i soggetti più vulnerabili sia nel loro paese di
origine che in quello di arrivo. In quest'ultimo caso riguarda anche i minori non accompagnati che
non hanno alcun ancoraggio nella accoglienza o solidarietà con i propri connazionali e pertanto
restano isolati dalla collettività e dai loro gruppi di pari.
Si tratta altresì di un fenomeno che se appare ormai sufficientemente noto per quanto concerne la
conoscenza delle cause, dei processi e degli esiti sulle vite di migliaia di persone, risulta ancora
largamente oscuro nei dati fattuali, nelle cifre che lo rappresentano fedelmente. Ma se le aride cifre
sono scarne e indicative rispetto alle stime possibili i riscontri qualitativi di chi lo osserva
direttamente sul campo e di chi lo vive (le vittime-testimoni) sono eloquenti ed estremamente utili
alla comprensione del "come" si svolge il traffico, di come si diventa schiavi o soggetti
eterodeterminati. Questa comprensione serve a definire e ad individuare le vie di uscita dall'incubo
dopo essere usciti dal sogno di una stagione nuova e piena di speranze al momento della partenza.
Il "che fare" è poi la sfida delle istituzioni e della società civile di un paese avanzato come l'Italia. Il
nostro Paese si sta ponendo in una situazione di avanguardia nella lotta al traffico di esseri umani e
nella difesa dei diritti umani delle vittime e ha messo in atto - sia pure non in misura ancora non del
tutto sufficiente - azioni di salvaguardia delle vittime in quanto possono accedere a benefici, quali il
permesso di soggiorno per lavoro o per studio. Occorre però che il Comitato Interministeriale per
l’attuazione dell’art. 18, presso il Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del
Consiglio, sia in grado di coordinare tutto il lavoro che le organizzazioni non profit e gli Enti locali
hanno portato avanti in questi ultimi anni e sappia orientare al meglio le strategie di contrasto come
previste dall’art. 18 stesso, soprattutto nella sua duplice direzione, ossia quella giudiziaria e quella
sociale.
Non secondario è anche il problema di come affrontare e limitare le situazioni di sfruttamento dei
minori in funzione principalmente delinquenziale. Anche il reato di tratta è stato al momento
utilizzato soltanto in funzione dello sfruttamento sessuale e non, mentre sappiamo che la tratta può
essere funzionale ad una pluralità di situazioni, tutte estremamente negative per la personalità del
minore e degli adulti sottomessi a regimi di carattere para-schiavistico. Appare evidente che occorre
lavorare su più versanti data la complessità del problema che chiama in causa molteplici fattori e
richiede la mobilitazione di più forze, istituzioni centrali, enti locali e società civile di cui
volontariato e altre risorse del Terzo settore costituiscono attori fondamentali e complementari.
Nella strategia elettiva di contrasto sembra inevitabile agire anche a livello internazionale con
43
accordi e sviluppo di cooperazione che vadano a intaccare la causa prima del fenomeno dando
profondità di significato all’intervento preventivo.
44
Bibliografia
M. Ambrosini, Comprate e vendute, Franco Angeli, Milano, 2002;
AA.VV., I bambini stranieri dal rifiuto e dalla separatezza all'accoglienza e all'integrazione, in
'Minori Giustizia', n. 3, 1999, Franco Angeli;
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minori stranieri non accompagnati a Roma. Considerazioni generali, rapporto di ricerca, Roma,
2000;
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sfruttamento sessuale, in Documentazione Italiacaritas, n. 1, 1997;
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Nuova Editrice Grafica, 2002.
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Affari Sociali – Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 2001. In particolare si segnalano i
contributi di:
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dell’adolescenza in Italia, Rapporto supplementare alle Nazioni Unite, Roma, 2001;
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IOM, Traffiking in women and prostitution in the Baltic states: socil and legal aspect, Helsinki,
2001;
45
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del Convegno, Roma, 24-25 ottobre 2000;
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(Indonesia, the Philippines, Thailand, Venezuela and United States), Coalition against traffiking in
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Servizio Sociale Internazionale- Sezione italiana, I minori albanesi non accompagnati. Una ricerca
coordinata fra l’Italia e l’Albania, Dipartimento per gli Affari sociali, Roma, 2001;
Unicef, Rapporto UNICEF sullo sfruttamento sessuale dei bambini, Roma, 1999;
United States Department of labour (a cura di), Forced labor: the prostitution of children,
Symposium proceeing, Washington, 1996;
A. Wolthius, M. Blaak (a cura di), Traffiking in children for sexual purposes from eastern Europe
to western Europe, Ecapt Europe law enforcement group, Amsterdam, 2001;
46
3. Alcune caratteristiche di base dei meccanismi di sfruttamento delle donne e
dei bambini. Aspetti quantitativi e qualitativi
di Francesco Carchedi
3.1
Premessa
Questa parte della ricerca affronta – per quanto ciò sia possibile – gli alcuni aspetti quantitativi del
fenomeno del traffico di donne e di minori a scopo si sfruttamento sessuale ed alcuni altri di tipo
qualitativo concernenti le modalità di sfruttamento. Ciò appare significativo per il fatto che la
carenza di statistiche ufficiali da un lato e i tentativi che si effettuano (in prevalenza da parte di
associazioni del settore) per stimare l’universo della prostituzione straniera - e all’interno di questa
della tratta a scopo di sfruttamento sessuale -, rendono il fenomeno da questo punto di vista ancora
del tutto problematico ed incerto, anche se le conoscenze qualitative sono, al contrario, piuttosto
avanzate.
Del resto non tutte le associazioni impegnante nel settore (o anche tra gli osservatori e gli studiosi)
accettano la distinzione tra prostituzione e traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale, in
quanto questa distinzione ne sottende un’altra: ossia quella – rapportata alle donne adulte - tra
prostituzione volontaria e prostituzione involontaria. Per quanto concerne i minori, invece, la gran
maggioranza delle associazioni che intervengono nel settore, ritengono, giustamente, che tale
distinzione non ha senso alcuno, in quanto la prostituzione minorile va contrastata tout court a
prescindere anche dall’età apparente.
In definitiva se si accetta la distinzione – almeno quando si parla di adulti - tra prostituzione
volontaria ed involontaria si deve convenire anche sul fatto che le due forme di prostituzione
rappresentano due poli radicalmente contrapposti: giacchè la seconda è una forma para-schiavistica
e trascende quindi da qualsiasi catalogazione all’interno delle pratiche prostituzionali, mentre la
prima può rappresentare una esperienza di vita autonoma come qualsiasi altra e va garantita e
tutelata al pari delle altre mediante la pratica dei diritti di cittadinanza.
Così pure quando i soggetti dello sfruttamento sessuale sono i minori l’involontarietà della
condizione di sfruttamento sessuale è la conditio sine qua non per analizzare ed interpretare il
fenomeno. Pertanto quando affrontiamo la questione della prostituzione minorile l’accorpiamo, non
solo di fatto ma anche concettualmente, in quella parte del fenomeno che si caratterizza per la sua
subordinazione para-schiavistica e che non ha nulla a che fare con la prostituzione ordinaria, se non
nelle sue manifestazioni esteriori e in alcune modalità di esercizio.
Altre associazioni, al contrario, non accettando la distinzione tra prostituzione volontaria ed
involontaria, non accettano di fatto - e neanche a livello concettuale - che possano esserci donne ed
uomini che praticano la prostituzione (seppur contraddittoriamente e finanche con conflitti
esistenziali) in maniera consapevole e sovente equiparandolo anche ad un lavoro redditizio. Non
accettando questa distinzione chiunque esercita la prostituzione viene considerata come una
persona assoggettata e trafficata contro la sua volontà. In pratica diventano tutte persone che
esercitano in maniera coercitiva ed assoggettante, misconoscendo qualsiasi consapevolezza di
quello che stanno facendo e relegandole, così, ad una condizione di inferiorità, di minorità
psicologica, di incapaci di sviluppare la propria autonomia ed indipendenza personale.
Diventa chiaro che un approccio finalizzato alla definizione quantitativa del fenomeno ed un altro
finalizzato a descriverlo in maniera qualitativa risente significativamente, in entrambi i casi, della
47
visione generale che si assume per interpretarlo e descriverlo, nonché per trovare risposte esaustive
per contrastarlo adeguatamente. Accettando, come ha fatto il gruppo di ricerca, la distinzione tra
prostituzione volontaria ed involontaria – ed inserendo in quest’ultima quella minorile – è stato
necessario procedere in due operazioni distinte: l’una finalizzata a circoscrivere la prostituzione
volontaria e quella involontaria e l’altra a circoscrivere all’interno di quest’ultima quella praticata
dalle donne adulte e quella praticata dalle minorenni o dai minorenni.
Operazioni difficili (e finanche temerarie) effettuate sulla base dei dati e delle informazioni
acquisite durante le interviste collettive agli operatori del settore – e le discussioni approfondite
che ne sono derivate - effettuate dallo scrivente durante la fase di rilevazione di campo. Dalle
informazioni acquisite è stato possibile anche tentare di sistematizzare altre conoscenze al riguardo.
L’attenzione è stata posta sulla prostituzione straniera di strada, ossia quella più appariscente e più
visibile. Su questo tipo di prostituzione – e non su quella “mascherata” o su quella praticata negli
appartamenti - gli operatori di strada impegnati nell’attivazione di interventi di protezione sociale
sono in grado mediante l’osservazione ravvicinata azzardare ipotesi di stime a carattere locale.
Il nostro argomentare sul fenomeno è soltanto una proposta per nulla esaustiva e tantomeno
definitiva (come potrebbe essere tale?), ma pensiamo che sia soprattutto trasparente e predisposta
ad essere messa in discussione e criticata per far meglio ed aumentare le conoscenze del fenomeno
medesimo nel suo insieme. Come ricorda Castelli “il mondo della prostituzione è un pianeta
ambivalente, un contenitore di storie di vita diversificate e contraddittorie, un sistema complesso
che appare difficile contenere in uno schematismo predefinito dagli esperti alchimisti
dell’ingegneria sociale”56.
3.2 I dati ufficiali e i dati di stima dello sfruttamento sessuale
I gruppi nazionali maggiormente invischiati nello sfruttamento della prostituzione
Dai dati del Ministero dell’Interno è possibile rilevare – come si evince dalla Tab. 1 - che il
numero dei cittadini stranieri denunciati nel corso del decennio scorso (1990-1999) per
sfruttamento e di favoreggiamento della prostituzione è stato di circa 8.700 unità complessive. Il
peso dei diversi gruppi nazionali implicati varia nel tempo. Gli albanesi avevano un peso molto
basso nei primi anni Novanta per accrescersi in maniera rilevante alla fine dello stesso decennio: il
numero di denunciati passa, infatti, dalle 54 unità nel quinquennio 1998-93 alle 3.652 unità
complessive alla fine degli anni Novanta (con una punta di 801 denunciati nell’ultimo anno
considerato, cioè il 1999). Il gruppo ex-Yugoslavo, invece, piuttosto implicato nel settore
prostituzionale tra la fine degli anni Ottanta i primi anni del decennio successivo, perde
progressivamente peso, fino ad arrivare alle 72 denuncie registrate nel 1999.
Il terzo gruppo nazionale dove emergono più denuncie per sfruttamento della prostituzione – e dei
reati ad esso correlabili - è quello nigeriano, che passa dalle 111 unità rilevate nel quinquennio
‘88-93 alle 709 della fine degli anni Novanta, con una punta più alta di denuncie registrata nel
1999. Infine, si rilevano le denuncie ai cittadini rumeni e ai macedoni. I primi, acquistano peso col
passar degli anni: dapprima sono pressocchè irrilevanti (soltanto 7 casi registrati nel quinquennio
‘88-93), poi – alla fine degli anni Novanta – assumono un discreto peso nel panorama
delinquenziale del settore (con 117 casi del 1999, per un totale complessivo di 281 unità). I
56
V. Castelli, Aspetti del fenomeno della prostituzione e della tratta in Italia, in On the road (a cura di), Prostituzione e
tratta. Manuale di intervento sociale, Franco Angeli, Milano, p. 24;
48
macedoni, infine, rappresentano l’ultimo gruppo nella graduatoria in esame, con un numero di
denuncie complessive di 165 casi.
Tab. 1 – Numero di cittadini stranieri denunciati per sfruttamento e favoreggiamento alla
prostituzione negli anni 1990, 1995 e 1999, v.a. e %)
Nazionalità
Anni
1988-1993
1995
1999
Totale
decennio (‘90’99)
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
Albanesi
54
10,2
582
68,8
801
68,7
3.652
Nigeriani
111
21,1
65
7,7
140
12,0
709
Rumeni
7
1,3
23
2,7
117
10,4
281
Ex-Jugoslavi
354
67,2
152
18,0
72
6,0
1.153
Macedoni
1
0,2
24
2,8
34
2,9
165
Totale
527 100,0
846 100,0
1.164
100,0
5.960
(Totale stranieri (1.317) (40,0) (1.133) (74,7) (1.611)
(72,2) (8.675)
denunciati)
Fonte: Rapporto del Ministero dell’Interno sullo stato della sicurezza in Italia, 2001
%
61,3
11,9
4,7
19,3
2,8
100,0
(69,0)
Il gruppo albanese, dunque, a partire dalla metà degli anni Novanta acquista un peso delinquenziale
nel settore della prostituzione piuttosto ragguardevole, al punto che il numero di denuncie che
riguarda cittadini albanesi ammonta al 40% circa del totale di quelle registrate complessivamente
nel corso dell’ultimo decennio (cioè 8.675 unità). Il dato che in qualche modo colpisce è la
disparità di denuncie che si registrano tra il gruppo albanese e quello nigeriano, nel senso che
quest’ultimo – pur sfruttando all’incirca lo stesso numero di donne – registra minori denuncie.
Una delle spiegazioni possibili risiede nel fatto che il modello di sfruttamento nigeriano si basa
molto sulla ricerca del consenso della donna, in quanto questa deve restituire all’organizzazione
criminale il debito contratto alla partenza.
Al contrario, il modello albanese si basa prevalentemente (e continua a basarsi)
sull’assoggettamento della donna, sulla coercizione, sull’asservimento sessuale57 e quindi è
maggiormente conflittuale e lacerante. Ragion per cui i rapporti tendono a rompersi in maniera
netta ed inequivocabile e a spingere la donna (e in misura minore i suoi parenti più prossimi o i
suoi amici più stretti che non accettano che essa stia in tali condizioni) ad attivare processi di
fuoriuscita che contemplano anche la denuncia degli sfruttatori e dei favoreggiatori.
57
Per una visione dei differenti modelli prostituzionali su base nazionali, cfr. F. Carchedi, La prostituzione straniera e la
tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale, in Agenzia romana per la preparazione del Giubileo (a cura di),
Migrazioni. Scenari per il XXI secolo, Dossier di ricerca II, So.Gra.Ro., Roma, p.1036 e per i cambiamenti delle
modalità di prostituzione su base nazionale cfr. Fondazione Internazionale Lelio Basso – Parsec, Il traffico di esseri
umani, criminalità organizzata e forme contemporanee di schiavitù, Ministero degli esteri, Rapporto di ricerca, Roma,
p.22 e segg.
49
I gruppi nazionali maggiormente coinvolti nei programmi di protezione sociale e la componente
minorile coinvolta
Un’altra serie di dati ufficiali di rilevante interesse sono quelli elaborati dalla Commissione
interministeriale per l’attuazione dell’art. 18 (del T.U. n.286/98) presso il Dipartimento per le pari
opportunità58. Dalla Tab. 2 – che sintetizza i dati in questione – si rilevano i gruppi nazionali
maggiormente interessati dalle proposte di aiuto e di protezione sociale offerta dai servizi (pubblici
e del privato sociale) territoriali. Anche da questi dati emerge una rilevante disparità tra le donne
albanesi e le donne nigeriane che sono entrate nei circuiti dell’assistenza sociale.
Queste ultime sembrano quelle maggiormente interessate ad avviare programmi di protezione
sociale, in quanto le prese in carico raggiungono la metà del totale complessivo; mentre le donne
albanesi si attestano sul 15% circa, seguite dalle donne moldave (con il 7,3%) e da quelle rumene
e ucraine (con il 5,5% circa ciascuna. All’interno di questi gruppi di donne che esercitano la
prostituzione le componenti minorili rappresentano il 4,3% del totale (5.577 casi), con una marcata
preponderanza – in termini di valori assoluti - di minorenni albanesi. Queste, infatti, ammontano a
89 casi, pari al 37,1% del totale complessivo (cioè 240 minori).
Gli altri gruppi minorili più consistenti – con percentuali pressoché simili – sono quello rumeno
(con il 18,8%), quello moldavo e quello nigeriano (con il 16,7% per ciascuno). Pur tuttavia le
percentuali maggiori dell’incidenza delle donne minorenni – rapportate al totale del gruppo
nazionale di riferimento – sono quelle del gruppo rumeno, giacché raggiunge il 15,3%, seguite dal
gruppo albanese e moldavo (con circa il 10% per ciascuno). Il gruppo nazionale rumeno è quello
che registra una rilevante componente anche di minori non accompagnati, ossia minori che vivono
soli in Italia avendo la famiglia in patria.
58
I dati sono quelli acquisiti mediante il lavoro di monitoraggio effettuato dal Dipartimento durante la realizzazione dei
48 progetti di protezione sociale nel periodo febbraio 2000 e febbraio-giugno 2001. I dati si riferiscono alle donne
prese in carico dai servizi attivati dai progetti, ossia quelle donne che hanno accettato dagli operatori che le hanno
contattate almeno un programma minimo di aiuto.
50
Tab. 2– Nazionalità delle donne trafficate prese in carico dai progetti di protezione sociale
(art. 18, T.U. n. 286/98) per la maggiore o minore età delle stesse (marzo 2000 al febbraio
2001, v. a. e %)
Nazionalità
Adulte *
v.a.
% s.t.r. ***
% minori
89
10,3
37,1
3
3,7
1,2
1
0,8
0,4
40
9,8
16,7
40
1,4
16,7
45
15,3
18,8
1
0,8
0,4
3
0,9
1,2
2
4,9
0,8
16**
4,2
6,7
240
100,0
(4,3%)****
Fonte: Ns elaborazione su dati del Dipartimento per le pari opportunità, 2001
* Nel primo semestre sono stati rilevati in aggiunta anche 22 maschi.
** Si tratta di 5 minori catalogati come provenienti dalla Ex Yugoslavia, di 2 Tunisini, di 1 Kossovaro, di 1 Ungherese,
di 1 Statunitense e da 6 minori la cui nazionalità non viene specificata.
*** s.t.r.= % sul totale di riferimento
**** Il 4,3% è l’incidenza delle 240 unità di donne minorenni prese in carico rispetto al totale generale di 5.577.
Albania
Bulgaria
Colombia
Marocco
Moldavia
Nigeria
Romania
Russia
Ucraina
Italia
Altre
Totale
v.a.
864
82
124
97
408
2.896
293
122
308
41
378
5.577
di cui: Minori
%
15,4
1,5
2,1
1,7
7,3
51,8
5,3
2,1
5,5
0,6
6,7
100,0
Le considerazioni principali che si possono fare al riguardo sono quattro:
a. il gruppo albanese, rumeno e moldavo sono quelli dove si registra una incidenza di donne
trafficate minorenni maggiore rispetto agli altri gruppi nazionali, in particolare se confrontata
con quella che le minorenni hanno nel gruppo nigeriano (tra l’altro, come accennato, uno dei
gruppi maggiormente invischiato nella prostituzione);
b. le donne trafficate minorenni appartenenti ai gruppi albanesi, rumeni e moldavi – tutte sfruttate
da bande albanesi notoriamente molto aggressive – maturano prima delle altre la necessità di
avviare il processo di sganciamento dal giro prostituzionale coatto (date le condizioni di
particolare pesantezza in cui sono costrette ad esercitare la prostituzione);
c. le donne trafficate minorenni albanesi, rumene e moldave sono maggiormente riconoscibili
fisicamente come tali e pertanto gli attori che ruotano a vario titolo nel sistema prostituzionale
(clienti, operatori sociali e Forze dell’ordine) attivano immediatamente le misure di protezione
e di supporto alla fuoriuscita delle medesime dalla strada (anche grazie alle disposizioni
legislative di protezione dell’infanzia);
d. le donne nigeriane – considerando l’alto numero di prese in carico e il basso numero di
denunciati per sfruttamento della prostituzione – sembrerebbero più propense ad usare le risorse
istituzionali per uscire dal giro della prostituzione coatta, ma sostanzialmente senza denunciare
i rispettivi sfruttatori. Al contrario, le donne albanesi – ed in parte anche quelle rumene e
moldave – sembrerebbero più propense a denunciare gli sfruttatori (dato l’alto numero di
denuncie registrate), ma meno disposte ad utilizzate le risorse istituzionali per uscire dal giro
prostituzionale. L’età delle donne, quindi, in questi ultimi gruppi, sembrerebbe svolgere una
funzione importante per attivare processi di fuoriuscita dal meccanismo di sfruttamento rispetto
alle componenti nigeriane.
51
I permessi di soggiorno concessi in base all’art. 18 e le beneficiarie minorenni
I dati relativi ai permessi di soggiorno rilasciati a donne trafficate in base all’art. 18 (della
normativa citata) per nazionalità di provenienza delle beneficiarie (sia adulte che minorenni) si
evincono dalla Tab. 3. I gruppi nazionali dove si registrano più beneficiarie sono quello moldavo
(con il 27,3%) e a seguire quello albanese col 17,0%. Il gruppo nigeriano, quello rumeno e quello
ucraino si attestano, invece, su percentuali comprese tra l’11 e il 13% del totale (cioè 1.044).
I permessi rilasciati ai minori ammonterebbero a circa il 7% del totale (ossia 74 casi su 1.044 del
biennio considerato), con una preponderanza delle donne minorenni moldave (che raggiungono il
27% circa del totale), seguite dalle giovani donne albanesi (con il 17,1%) e dalle donne appartenenti
ad altri gruppi nazionali aventi percentuali abbastanza simili (sull’11/13% circa). Ciò che va
rimarcato ancora una volta è lo scarso peso che hanno le donne minorenni nigeriane, nonostante il
peso rilevante che invece hanno nell’avvicinamento ai servizi territoriali e nella propensione che
dimostrano nell’intraprendere percorsi di fuoriuscita senza denunciare gli ex sfruttatori.
Tab. 3 – Numero di donne straniere con permesso di soggiorno per protezione sociale (art. 18
T.U. n. 286/98) e stima dei permessi concessi a minorenni (anni 1999-2000, v.a. e %)
Nazionalità
Anni
1999
2000
Totale
1999-2000
Di cui:
permessi di
soggiorno a
minori *
v.a.
%
28
37,8
18
24,3
2
2,7
19
25,8
1
1,3
1
1,3
5
6,8
74
100,0
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
%
Moldavia
120
37,7
165
22,7
285
27,3
Albania
54
16,9
124
17,1
178
17,0
Nigeria
27
8,5
115
15,8
142
13,6
Romania
31
9,7
91
12,5
122
11,7
Ucraina
28
8,8
91
12,5
119
11,4
Marocco
17
5,3
15
2,1
32
3,1
Bulgaria
10
3,2
11
1,5
21
2,0
Jugoslavia
5
1,6
12
1,6
17
1,6
Altre nazionalità
31
8,3
124
26,7
128
12,6
Totale
318
100,0
726
100,0 1.044
100,0
Fonte: ns. elaborazione su dati del Ministro dell’Interno
* Si tratta di stime extrapolate ipotizzando che i 1.044 permessi rilasciati attraverso l’art. 18 nel biennio 1999-2000
siano comparabili con il numero dei minori presi in carico dai progetti di protezione sociale (cioè 240), in quanto
l’istruttoria per la richiesta avviene generalmente attraverso i servizi territoriali che prendono in carico la donna (ad
esempio, per l’Albania: 864 – totale prese in carico - : a 89 – numero delle minori, cfr. Tab. 2, = 178 – numero del
totale dei permessi rilasciati, cfr. Tab. 3, - : a x – per avere il numero dei permessi rilasciati ai minori
Se consideriamo i dati prodotti dal Dipartimento delle pari opportunità59 si riscontra che le
richiedenti il permesso di soggiorno per protezione sociale – nel periodo febbraio 2000/febbraio
2002 - ammontavano a 1.148 unità, ossia circa un quinto del totale di quante nello stesso periodo
sono state prese in carico dai servizi (cioè 5.577)60.
59
Commissione interministeriale per l’attuazione dell’art. 18 (a cura di), “Analisi conclusiva dei dati relativi al
monitoraggio dei progetti di protezione sociale art. 18 (T.U. n.286/98)”, Dipartimento per le pari opportunità, Avviso
1999, Roma, giugno 2001, p. 11 e segg.
60
Per l’analisi delle motivazioni di tale scarto si rimanda al documento elaborato dalla Commissione e citato alla nota
precedente.
52
Delle 1.148 unità i permessi effettivamente accordati all’epoca erano circa 850, tenendo presente
che dal momento della richiesta al momento del rilascio del permesso da parte delle autorità
componenti passano anche otto/dieci mesi. Si tratta, tuttavia, di dati non trascurabili, se si considera
che nel 1998 (quindi prima dell’attivazione del programma in questione) i permessi di soggiorno
ottenuti per motivi correlabili a quelli previsti dall’art. 18 non superavano le cento unità61.
Da informazioni più recenti, acquisite mediante intervista e riferibili al marzo 2002, il totale dei
permessi di soggiorno per protezione sociale concessi complessivamente negli ultimi tre/quattro
anni dal Ministero degll’Interno (autorità competente in materia) ammonterebbero a 1.500 unità, di
cui una pecentuale oscillante tra il 4 e il 6% sono quelli concessi a donne minorenni (per un totale,
dunque, compreso tra le 60 e le 90 unità). Come si vede le percentuali delle minorenni rispetto al
totale complessivo di donne che esercitano (o sono costrette ad esercitare) la prostituzione ed
attivano percorsi di sganciamento dai circuiti di sfruttamento che beneficiano dei programmi di
protezione previsti dell’art. 18 si attestano, mediamente, intorno al 5%.
3.3. I criteri di stima e le stime delle donne coinvolte nella prostituzione
Le interviste effettuate e i criteri di stima usati
Le interviste effettuate in maniera qualitativa in quasi tutte le regioni italiane (in particolare nelle
città capoluogo di provincia) hanno permesso di avere un quadro generale di conoscenze del
fenomeno della prostituzione coatta (di donne adulte e minorenni) piuttosto rilevante. Gli aspetti
che venivano ripetutamente proposti alla riflessione degli intervistati erano sostanzialmente tre:
a. quali trasformazioni – quantitative e qualitative – si registrano nel fenomeno in relazione al
contesto territoriale di intervento? Ossia: il fenomeno – rapportandolo ai differenti gruppi
nazionali - è in aumento, è stazionario, è in riduzione e quali sono i motivi e le cause di tali
evoluzioni? Inoltre, si registra una mobilità territoriale delle donne che esercitano in strada e
quanto essa è valutabile percentualmente?, eccetera;
b. quanto incide – in termini quantitativi e qualitativi – la presenza di donne (o ragazzi) minorenni
sulla prostituzione straniera in generale, nonché: quali sono le nazionalità maggiormente
interessate dalla presenza minorile e da cosa dipende tale incidenza a livello di singolo gruppo
nazionale?. Questa valutazione ha tenuto conto, innanzitutto, della minore età anagrafica certa
delle donne in questione e, secondariamente, anche di quella apparente?.62 Intendendo per età
apparente quella percepita direttamente dagli operatori di contatto con le diverse componenti
straniere che si prostituiscono, anche se non era possibile verificarla per varie ragioni (ad
61
Cfr. Risposta delle procure della repubblica alla Circolare PNA n. 1147/g/99 dell’8 luglio 1999, a cura della
Direzione antimafia.
62
Durante le interviste veniva esplicitamente richiesto se nel lavoro sociale di strada gli operatori avevano sentore di
trovarsi davanti donne minorenni e in caso affermativo quanto queste presenze incidevano sul totale generale. In molti
casi le risposte sono state piuttosto precise, in altri meno. In questi ultimi, infatti, ciò che confondeva alcuni operatori
era la valutazione dell’età delle donne centro-africane, mentre per quelle europee dell’est i giudizi erano piuttosto
precisi e circostanziati. Tuttavia, sia nell’uno che nell’altro caso, l’impressione non era mai quella di avere di fronte
donne in età minorile consistente, ma sempre in percentuali molto basse rispetto alle donne coinvolte nella prostituzione
in generale.
53
esempio, la mancanza di documenti delle donne, la non fiducia da parte di queste verso gli
interlocutori, la paura e le minacce degli sfruttatori, eccetera)63;
c . quali sono le caratteristiche specifiche della prostituzione minorile femminile e maschile
(modalità di reclutamento, di trasferimento e di assoggettamento prostituzionale, nonchè le
modalità di esercizio della prostituzione e la propensione a fruire dei servizi sociali territoriali)?
Come si differenza da quella adulta? Al contrario: la prostituzione minorile assume le stesse
modalità di sfruttamento di quella adulta?
I dati numerici e le informazioni raccolti, dunque, rappresentano il prodotto diretto della riflessione
dei testimoni-chiave e degli operatori di strada intervistati; cioè le riflessioni che svolgono coloro
che si interfacciano direttamente con le donne e le bambine che esercitano la prostituzione. I criteri
metodologici maggiormente usati sono stati quelli che hanno condotto alle interviste dirette, alle
discussioni approfondite avute con le équipe coinvolte, alle osservazioni sul campo effettuate
durante la permanenza nei servizi. Gli operatori intervistati rappresentano, in sintesi, i depositari
delle storie personali (e collettive) che le donne prese in carico dai loro servizi raccontano – in
maniera più o meno dettagliata - una volta acquisita la necessaria confidenza e la reciproca fiducia.
Da questa prospettiva gli operatori dei servizi, in altre parole, hanno rappresentato lo strumento
principale di comunicazione (anche se indiretta) tra il gruppo di ricerca e le donne costrette alla
prostituzione, sia adulte che minorenni. In tal maniera è stato possibile acquisire informazioni da
quanti intervengono sul fenomeno da postazioni di maggior vicinanza con le vittime del traffico,
abilitati, tra l’altro, all’offerta di prestazioni e all’erogazione dei servizi finalizzati all’attivazione di
interventi di protezione sociale.
L’andamento del fenomeno secondo la percezione degli operatori di campo
Produrre stime numeriche di fenomeni complessi come quello all’esame non è facile e pertanto
vanno intese come tentativi di approssimazione che si fondano su procedimenti logici che nella
loro concatenazione portano alla produzione di coefficienti oggettivi e quindi a cifre concernenti
l’universo che intende studiare. Pertanto queste non vanno valutate soltanto come prodotto finito,
ma quanto come risultato di un processo logico soggetto a critica. Qualsiasi stima – in quanto
prodotto a sestante – può avere la sua validità, ciò che cambia è l’analisi del processo di stima che
lo sottende e che la sottopone a validazione critica. Per tale ragione occorre perciò mantenere
sempre un certo scetticismo di fondo e verificare, innanzitutto, il processo di stima proposto64 e non
la cifra in quanto tale. La stima di per sé è sempre opinabile, mentre il processo di stima deve poter
essere soggetto a critica rigorosa e costruttiva.
63
Per definire l’età dei minori vengono anche eseguiti dei test allorquando sussistano dubbi fondati sulla veridicità delle
informazioni fornite dai diretti interessati o da altri. Alcuni esperti sostengono, infatti, che i due controlli principali
(raggi X dello scheletro e verifica della presenza o meno dei denti del giudizio o misurazione del polso) non siano per
nulla soddisfacenti in quanto hanno un margine d’errore che può arrivare fino a due/tre anni. Margine che per un
minore è piuttosto significativo. A proposito cfr. I. Meyer, T. Schwartz, Alcuni aspetti della condizione dei minori non
accompagnati, in G. Campani, L. Zoran e F. Carchedi (a cura di), Le esperienze inascoltate. Giovani migranti tra
accoglienza, indifferenza e ostilità, in via di pubblicazione, Franco Angeli, Milano, 2002, p. 147 e segg.
64
Di cifre sulla prostituzione straniera volontaria e involontaria ce ne sono molte, ma quasi mai è possibile risale al
criterio metodologico di stima utilizzato. Per tale ragione queste cifre rappresentano soltanto l’opinione di chi le
propone, in quanto qualsiasi cifra – che prescinde dai criteri utilizzati per poter rifare con trasparenza i calcoli numerici
che le sottendono – può assumere una sua validità. E’ proprio la possibilità di poter rileggere il percorso di stima
effettuato che permette alle medesime di avere una qualche validità conoscitiva. La critica, infatti, che si possono fare
alle stime che ciascun operatore può proporre va fatta alla validità e trasparenza del processo metodologico che ha
portato a quelle stime e non ad altre.
54
Il criterio, principalmente, utilizzato, come accennato in precedenza, è stato quello
dell’interrogazione degli operatori e degli esperti che seguono a vario titolo l’andamento del
fenomeno. I dati numerici da essi proposti localmente (ossia del territorio di loro competenza)
hanno rappresentato l’unità del primo stadio di conoscenza. Gli operatori – appartenenti a diverse
associazioni – hanno dato anche valutazioni diversificate sulla consistenza numerica della
prostituzione di strada in quanto rispecchiavano la loro percezione nel contesto specifico di
intervento.
Queste diverse cifre sono state confrontate in occasione di ulteriori incontri avvenuti tra il gruppo
di ricerca e alcuni degli operatori precedentemente coinvolti. In tali occasioni è stato possibile
trovare accordi su medie numeriche ragionevoli in grado di poter definire quantitativamente il
fenomeno ad un livello cittadino o a livello di area territoriale più ampia di quella dove l’équipe
svolge la sua specifica attività di intervento. Questa operazione, congiuntamente, a quella effettuate
a livello interregionale (discutendo con quegli operatori o studiosi che avevano una visione
nazionale del fenomeno) ha permesso l’elaborazione di ulteriori medie numeriche di ampio raggio.
Quest’ultima operazione ha rappresentato l’unità di secondo stadio che ha permesso di operare poi
delle stime sia a carattere regionale che nazionale.
Un altro aspetto non secondario è stato quello di valutare l’andamento del fenomeno negli ultimi
due anni (primavera 2001- primavera 2002). Per la gran maggioranza degli operatori intervistati il
fenomeno della prostituzione straniera in questo arco di tempo è rimasto – considerando i rispettivi
territori di intervento - sostanzialmente stabile (e per approssimazione successiva possiamo
affermare lo stesso a livello nazionale) per due ordini di motivi:
a. il primo, perché è aumentata la caratteristica di transito dell’Italia rispetto al traffico di donne e
di minorenni a scopo di sfruttamento sessuale. Nel senso che alcuni gruppi di donne arrivano,
esercitano la prostituzione per qualche mese e poi si dirigono verso altri paesi europei, in
particolare verso la Spagna (a Madrid e a Barcellona, soprattutto albanesi, moldave e rumene,
nonché altri gruppi di donne di altri paesi dell’Est); verso la Francia (nell’area parigina e a
Marsiglia, sempre albanesi e donne dell’Est), verso il Belgio e l’Olanda (rispettivamente
nell’area di Bruxelles e in misura minore di Liegi e di Amsterdam), nonché l’Inghilterra
(soprattutto nell’area londinese) e la Germania (sulla direttrice Monaco, Berlino ed Amburgo,
in particolare albanesi, nigeriane e rumene). Al contrario, alcuni gruppi di donne straniere - che
intendono esercitare la prostituzione oppure gruppi di donne trafficate (adulte e minori) e
destinate pertanto con la forza alla prostituzione - arrivano dalla Spagna (soprattutto gruppi di
nigeriane, di ghanesi, di latino-americane e in piccola parte marocchine) attraversando
clandestinamente lo stretto di Gibilterra o arrivando con regolare visto turistico direttamente da
Lagos o da Casablanca. Oppure dalla Francia (via Parigi o via Marsiglia, in particolare
nigeriane e centro-africane in genere) ed anche dall’Inghilterra (via Londra, soprattutto
nigeriane, centro-africane e latino-americane) e dalla Germania (via Amburgo e Berlino
soprattutto donne ucraine, bielorusse, russe, rumene e bulgare). Le modalità di ingresso sono
quelle più comuni: o in maniera irregolare attraversando in vario modo la frontiera o in maniera
regolare con visti turistici o altra documentazione artefatta;
b. il secondo, perché il mercato appare – dal lato dell’offerta - piuttosto saturo e completo,
soprattutto nelle aree di vecchio insediamento prostituzionale (come le grandi città
settentrionali e centrali) con la conseguente riduzione delle tariffe economiche per le prestazioni
sessuali accordate. La necessità di calmierare i prezzi e di mantenere attraente l’offerta
prostituzionale impone – soprattutto alle organizzazioni criminali – una certa regolazione del
mercato. Per tale ragione interi gruppi di donne vengono spostate dalle aree settentrionali a
55
quelle meridionali (soprattutto in Campania, in Puglia ed in piccola parte in Calabria, in Sicilia
e finanche in alcune aree urbane della Sardegna) e – come accennato al punto precedente –
anche verso altri paesi europei. Questi spostamenti di carattere interregionale sulla direttrice
Nord-Sud avvengono, da un lato, allo scopo di ridurre l’offerta nelle aree settentrionali –
riportandola in equilibrio con la domanda di servizi sessuali in modo che possa permettere di
perpetuare adeguatamente i guadagni previsti - e, dall’altro, coprire nuovi mercati, ridurre la
concorrenza ed incrementare così nuove entrate economiche. Ovviamente, non c’è una centrale
operativa criminale a livello nazionale che gestisce i processi di distribuzione delle donne
destinate alla prostituzione, ma una miriadi di piccole e grandi organizzazioni che conoscono il
territorio nazionale, ne sanno leggere i meccanismi che soggiacciono alle produzioni illecite,
sanno accordarsi con la malavita nostrana per l’affitto continuato – o a tempo determinato - di
strade ed aree dove insediare le donne da sfruttare, eccetera.
Ciò che invece si è andato modificando in maniera rilevante (un po’ su tutto il territorio nazionale)
è proprio la presenza delle donne minorenni dalla strada, la diversa composizione dei gruppi
nazionali e i luoghi di esercizio della prostituzione. Non più la strada, o quasi esclusivamente la
strada, dunque, ma anche, in misura più consistente, gli appartamenti oppure i club privè, le
discoteche e tutta quella miriade di locali di intrattenimento e di divertimento. Locali che aprono (e
sovente anche chiudono) in continuazione in molte grandi città settentrionali e in misura minore del
Centro (ad eccezione dell’area romana, dove l’apertura di locali del genere è piuttosto accentuata in
quanto aprono e chiudono continuamente quasi a livello stagionale)65.
Questi luoghi sono frequentati in gran maggioranza da donne dei paesi dell’Est (e del Sud-est
asiatico) e da qualche tempo anche da gruppi di albanesi e in misura molto minore da donne
africane (piccoli gruppi di nigeriane e di ghanesi) e latino-americane (soprattutto di colombiane,
peruviane e venezuelane), nonché asiatiche (soprattutto filippine e in misura appena visibile di
donne thailandesi e cinesi). La trasformazione qualitativa – tra l’altro tuttora in corso dell’esercizio della prostituzione, in particolare per alcuni gruppi nazionali, implica una modifica
sostanziale anche dei rapporti prostituzionali, in quanto fa supporre che tra i contraenti si siano
aperti spazi di negoziazione delle condizioni di sfruttamento con qualche beneficio sostanziale per
quelle femminili.
Inoltre, dall’insieme delle informazioni acquisite, è possibile stimare che il passaggio dell’esercizio
della prostituzione dalla strada agli appartamenti e nei locali di intrattenimento e svago interessa
circa un terzo66 dell’intera componente coinvolta, volontariamente o involontariamente, nel
settore. Ciò interessa in maniera predominante le componenti albanesi, moldave, rumene e in
genere quelle degli altri paesi dell’Est europeo e molto meno le donne centro-africane. Al punto
che in questa fase storica (intendendo grosso modo il periodo sopra accennato) la prostituzione di
strada sembrerebbe in buona sostanza appannaggio di queste ultime componenti e in misura molto
minore delle altre.
Questo passaggio è iniziato soprattutto a causa delle azioni di contrasto attivate dalla Forza
pubblica e a causa dell’offerta di servizi di protezione sociale avviate con disposizioni normative
65
A tale proposito cfr. Fondazione Internazionale L. Basso (a cura di), Lavoro servile e le forme di sfruttamento paraschiavisticche, cit. p. 93 e segg.
66
Questa percentuale è quella che una buona parte degli operatori intervistati usa per stimare le consistenze numeriche
del processo in corso, ossia del passaggio dalla strada agli appartamenti o nei club di vario genere delle donne coinvolte
nella prostituzione. Molti operatori, in relazione al loro contesto di intervento, affermano, infatti, che nel periodo
considerato un numero consistente di donne dell’Est (comprese le componenti albanesi) hanno lasciato la strada in
misura di due su tre. Pertanto sulla strada restano quasi esclusivamente le donne nigeriane e una piccola parte di donne
dell’Europa orientale.
56
mirate. L’incisività delle azioni di contrasto contro lo sfruttamento e di protezione sociale in favore
delle vittime ha innescato questi processi di trasformazione strutturale del fenomeno. Secondo altri
operatori queste trasformazioni del fenomeno hanno interessato in profondità anche quella parte di
prostituzione caratterizzata dalla presenza di donne minorenni. Infatti, essi spiegano il passaggio
delle donne minorenni dalla strada agli appartamenti (e molto meno nei locali pubblici) con il fatto
che in tal maniera possono sfuggire più facilmente ai controlli della Polizia e che pertanto i loro
sfruttatori e “magnaccia” rischiano solo marginalmente di essere intercettati ed arrestati.
Ipotesi di stima delle donne (adulte e minorenni) che esercitano la prostituzione di strada tra
stanzialità e mobilità
Le stime proposte
Questa considerazione, secondo altri operatori ed esperti del fenomeno, è anche la ragione per cui
le donne minorenni in strada appaiono in numero piuttosto ridotto rispetto a qualche anno addietro;
mentre per altri operatori – si può dire per la grande maggioranza di essi - è la prostituzione
minorile in generale che ha una incidenza bassa sull’interno fenomeno, proprio perché le pratiche
di assoggettamento continuato sono molto più rischiose per gli sfruttatori e per gli approfittatori di
ogni genere. In pratica – come vedremo meglio in seguito – pur in presenza di guadagni maggiori,
derivanti dallo sfruttamento di minorenni, gli sfruttatori sono coscienti che anche i rischi di
intercettazione e di arresto sono altrettanto maggiori.
Dalle informazioni acquisite, inoltre, come accennato, è stato possibile definire anche l’ammontare
dell’universo delle donne che esercitano la prostituzione a livello delle singole Regioni e stabilire,
sempre secondo le stime elaborate sulle informazioni acquisite dagli operatori, l’incidenza della
componente minorile, come evidenzia la seguente Tab. 5.
Nella tabella è possibile rilevare - per il periodo considerato, cioè dalla primavera del 2001 alla
primavera del 2002 – che la prostituzione di strada (e non la prostituzione straniera in generale)
oscilla, attualmente, da un minimo di circa 10.000 unità ad un massimo di circa 13.000, con una
incidenza delle minorenni del 4,3 al 6,2% (ossia del 5,2% medio)67, pari, in valori assoluti, ad una
cifra compresa tra le 542 e le 663 unità. Si tratta di cifre che riflettono un fenomeno piuttosto
grave, soprattutto dal punto di vista esistenziale ed emotivo delle vittime.
Sono cifre altresì che riflettono – in prima approssimazione – la percezione degli operatori di strada
che intervengono nel settore da tempo prolungato e pertanto hanno acquisito al riguardo una
considerevole professionalità, sia nell’attivazione di programmi di protezione, sia nella lettura –
anche numerica delle donne coinvolte - che nell’osservazione del fenomeno nella sua evoluzione e
trasformazione quanto-qualitativa. Occorre aggiungere che sono stime che “fotografano”, in
maniera sintetica, una situazione particolare rapportabile al periodo all’esame. Ciò sta a significare
che il fenomeno – nel suo complesso – può trasformarsi ancora e cambiare la sua configurazione
strutturale nel breve periodo.
67
Percentuale che è quasi identica a quella che si riferisce alle minorenni prese in carico dai servizi territoriali di
protezione sociale (cfr. Tab. 2).
57
Tab. 5 – Stime di donne e minori che esercitano la prostituzione di strada per Regione
(primavera 2001 – primavera 2002, v.a.)
Regione
Stime marzo/aprile 2000Di cui: Minorenni
marzo/aprile 2002
Min
Max
Min
Max
C. * in %
Piemonte
1.000
1.200
65
78
5-8
Lombardia
1.800
2.200
72
88
3-5
E. Romagna
800
1.000
72
90
8-10
Veneto
1.000
1.200
90
108
8-10
Altre Nord
500
800
35
35
6-8
Sub-totale
4.900
6.400
334
399
Lazio
2.000
2.300
100
115
4-6
Toscana
700
1.000
25
35
3-4
Altre Centro
500
700
21
30
3,5-5
Sub-totale
3.200
4.000
146
180
Abruzzo
300
500
12
20
3-5
Campania
800
1.100
32
44
3-5
Puglia
200
400
8
16
3-5
Calabria
100
150
4
6
3-5
Altre Sud
150
200
6
8
3-5
Sub-totale
1.550
2.350
62
94
Media coefficiente
4,3-6,2
Totale generale
10.450
12.750
542
673
C = Coefficiente medio. Il coefficiente per regione è quello proposto dagli operatori intervistati durante le interviste
collettive; per le regioni, invece, dove sono state fatte interviste individuali (quelle di Torino, di Modena e di Rimini) si
tratta di un coefficiente derivato dalla media aritmetica tra le diverse percentuali proposte, ma che comunque erano
abbastanza simili.
3.4. La prostituzione stanziale e la prostituzione itinerante-camminante. Gli assi territoriali di
spostamento e la posizione dei minori
I fattori caratterizzanti
Le interviste agli operatori, come accennato, hanno riguardato le principali città meridionali,
centrali e settentrionali68 ed hanno coperto, in sostanza, gran parte del territorio nazionale,
privilegiando le aree di maggior concentrazione del fenomeno prostituzionale. Ciò che emerge con
altrettanta chiarezza dalle interviste è il fatto che non tutta la prostituzione di strada può definirsi
stanziale, ossia ancorata a particolari aree geografiche, a particolari quartieri delle grandi o piccole
città o a particolari tratti delle strade provinciali di grande e medio scorrimento. A fianco a questa
forma di prostituzione – che gli operatori interpellati al riguardo stimano mediamente, a parte
alcune eccezioni, tra il 60 e il 70% dei totali rilevabili nei contesti di riferimento – se ne rileva
un’altra che possiamo definire mobile, cioè una prostituzione itinerante- camminante, nel senso
che si caratterizza per la sua alta mobilità geografico-territoriale.
68
Le città del Sud coperte dalle interviste sono state: Crotone, Catanzaro, Reggio Calabria, Brindisi-Lecce, Bari,
Napoli, Caserta ed Ascoli Piceno; quelle del Centro sono state: Roma, Perugia, Firenze, Livorno; quelle del Nord
invece: Torino, Milano, Bergamo, Brescia, Mantova, Venezia, Modena, Bologna, Ravenna, Rimini.
58
Infatti, ciò che appare più accentuata, rispetto ad un anno e mezzo/due anni addietro, è l’alta
mobilità di alcune componenti femminili che praticano la prostituzione. Secondo alcuni intervistati
è possibile stabilire una equazione tra la regolarità delle certificazioni di soggiorno in possesso
delle interessate, la maggiore o minore età delle donne invischiate nel settore, la condizione di
volontarietà o involontarietà che caratterizza i differenti gruppi nazionali che esercitano o sono
costrette ad esercitare la prostituzione e il loro tasso di stanzialità o mobilità.
Nel senso che più consolidato appare lo status delle donne che praticano la prostituzione (possesso
di certificati e documenti in regola, maggiore età, possibilità di negoziazione delle condizioni
sottostanti il rapporto prostituzionale, compartecipazione ai guadagni che si acquisiscono, eccetera)
e maggiore risulta essere la loro stanzialità o la propensione alla stanzialità e alla stabilizzazione
territoriale. In tale condizione appare può conveniente alle parti coinvolte ad insediarsi in una
specifica località è svolgere l’attività prostituzionale con maggior tranquillità o comunque
all’interno di dinamiche negoziabili (anche se con vantaggi asimmetrici sfavorevoli alla donna). In
questo ultimo caso è possibile anche parlare di prostituzione-negoziata, cioè di una forma di
sfruttamento (e tale rimane) che tiene conto di alcune necessità di base della donna coinvolta e ne
permette la realizzabilità (sono in pratica quelle minimamente indispensabili a non determinare ed
alimentare conflitti laceranti all’interno del sistema prostituzionale).
Al contrario, più vulnerabile appare lo status delle donne che praticano la prostituzione (mancanza
di regolari documenti o sequestro degli stessi da parte degli sfruttatori, minore età e assenza
assoluta di possibilità di negoziare le condizioni del rapporto prostituzionale, irrilevante
compartecipazione ai guadagni acquisiti, assoggettamento abusivo, coercitivo e violento, eccetera)
e maggiore risulta essere la loro mobilità geografico-territoriale o quantomeno la loro propensione
a sostenere continui spostamenti. In altre parole a fare dei trasferimenti continui la caratteristica di
fondo del modo di esercitare la prostituzione.
Insomma, una prostituzione caratterizzata da forme di nomadismo camminante, con soste più meno
prolungate, dettate sia dalle opportunità lavorative e sia, soprattutto, dalla possibilità di nascondersi
ed evitare al massimo l’esposizione ai controlli da parte della Polizia, nonché ad evitare
avvicinamenti continuati da parte di operatori sociali interessati all’intercettazione delle vittime del
traffico. E’ una prostituzione non negoziabile, costrittiva ed assoggettante anche perché costretta
alla mobilità continua ed alienante lungo diverse direttrici interne (sul territorio nazionale) ed
esterne (sul territorio europeo) di traffico.
Queste direttrici di traffico – o assi direzionali come vedremo meglio in seguito - hanno una loro
significatività non solo perchè permettono di valutare gli spostamenti generali che avvengono
all’interno delle componenti prostituzionali itineranti-camminanti, ma anche perché permettono di
effettuare logicamente anche delle operazioni numeriche delle medesime componenti. Infatti, i
gruppi che soggiornano per un breve periodo in una delle diverse aree geografico-territoriali che
compongono l’asse direzionale di riferimento possono trovarsi poco tempo appresso in un’altra
area limitrofa e così via.
Questo vuol dire che gli operatori impegnati sul campo di una certa area intercettano minori che si
prostituiscono e dopo qualche settimana – data la loro repentina mobilità - sono intercettati da altre
équipe in un’altra area più a Nord o più a Sud dell’asse di riferimento. Entrambe l’équipe
potrebbero avere la sensazione di trovarsi di fronte a gruppi diversi di minori costretti alla
prostituzione e che in una ipotetica conta (o stima) dovrebbero essere sommati gli uni agli altri,
mentre si tratta sostanzialmente delle stesse persone.
59
Tale considerazione trova una ulteriore conferma nel fatto che la stanzialità delle diverse
componenti costrette (o meno) alla prostituzione si aggira – come sopra accennato - intorno
60/70% circa. Ciò vuol dire che soltanto una quota compresa tra il 30 e il 40% è soggetta a forme
più o meno intense di mobilità e tra queste una piccola parte (circa il 2%) ha una età inferiore ai
diciotto anni. Ne consegue che nel calcolo generale (sopra proposto come stima) una parte delle
componenti mobili sono state conteggiate dal gruppo di ricerca una sola volta, in quanto si tratta
delle stesse persone e tra queste si trovano anche gli stessi minorenni intercettati – ad esempio - una
volta a Napoli, un’altra a Roma ed un’altra ancora a Firenze o a Torino.
60
I principali assi direzionali della prostituzione nomade e camminante sul territorio nazionale
Da questa ultima prospettiva è possibile individuare sei assi direzionali maggiormente utilizzati
per praticare la prostituzione nomade, itinerante o camminante.
Il primo
Il primo è l’asse tirrenico, ossia la direttrice che si snoda sul versante ovest del territorio nazionale
che collega le grandi città di Salerno, Napoli-Caserta, Roma, Firenze-Livorno, Genova-Torino. Su
questa direttrice gli operatori rilevano che molte donne che esercitano la prostituzione - con le quali
intrattengono rapporti di intervento sociale - si attivano significativi e continui spostamenti: la
componente stanziale è stimata intorno al 55/65% e di conseguenza quella mobile intorno al
35%45%. Gli spostamenti avvengono a partire da epicentri diversi e variabili nel tempo.
Ad esempio, per un certo periodo di tempo è stata la città di Roma ad essere lo snodo di
smistamento principale delle donne coinvolte nella prostituzione, sia verso meridione che verso
settentrione; in altri periodi è stata invece la città di Firenze e in altri ancora la città di Torino per il
Nord e l’area di Napoli-Caserta per il Sud (soprattutto l’area litoranea che abbraccia la Baia
Domitia e in particolare Castel Volturno, che tra l’altro mantiene ancora adesso una certa
importanza per tutto il meridione, in particolare per le componenti nigeriane).
L’importanza di queste ultime città dipende anche dal fatto che le organizzazioni criminali
specializzate nel traffico privilegiano (per motivi spesso contingenti e di opportunità logistica) le
frontiere d’ingresso confinanti con la Francia oppure quelle marittime della costa salentina e in
misura minore direttamente quella campana. In tutte le città dell’asse tirrenico, come accennato in
precedenza (cfr. Tab. 5), l’incidenza delle donne minorenni è abbastanza omogeneo. Essa è
generalmente compreso tra il 3 e il 5%, con una punta più alta rilevata in una specifica area romana
(quella costiera a ridosso di Castel Fusano – Ostia – Fiumicino) che si aggira intorno al 10-12% e
nell’area torinese in quanto gli operatori del luogo intervistati stimano una incidenza media
compresa tra il 5 e l’8%. Un fatto che appare altrettanto significativo è che in tutte queste città la
mobilità interessa mediamente poco più di un terzo circa delle donne invischiate nel settore;
Il secondo
Il secondo è l’asse adriatico, ossia la direttrice che si snoda sul versante orientale del territorio
nazionale che collega le grandi città di Udine-Pordenone, Gorizia-Trieste, Venezia-Padova,
Modena-Bologna, Rimini, Ancona, Pescara, Foggia, Bari e Brindisi-Lecce. Anche su questa
direttrice gli operatori rilevano che molte donne che esercitano la prostituzione e con le quali
intervengono con progetti di protezione sociale hanno una mobilità accentuata che si snoda, in
periodi diversi, da differenti città: qualche anno fa l’epicentro di concentrazione e quindi di
smistamento del traffico di donne era l’area triestina, successivamente si è spostato su Gorizia ed
attualmente sembrerebbe essere nell’entroterra confinante delle provincie di Padova e Venezia.
Infatti, su queste città gli operatori rilevano nell’ultimo anno un tasso di mobilità delle donne
coinvolte nella prostituzione molto alto e con una incidenza di minorenni altrettanto alto. Le donne
che compongono il bacino prostituzionale a Venezia-Mestre è complessivamente sempre lo stesso,
61
cioè di circa 100/120 donne insediate nel quartiere Piave, ma a differenza di qualche anno addietro
è più alto il numero di donne mobili rispetto a quelle fisse e stanziali.
Attualmente gli operatori stimano una mobilità – su base mensile - che interessa circa il 75/85%
delle donne che si prostituiscono nell’area veneziana (ossia il contrario di quanto si rileva sulla
sponda tirrenica). Ciò vuol dire che nel corso dell’anno sono transitate circa 900/1000 nuove donne
con una incidenza delle minorenni stimata mediamente sull’arco dell’anno intorno all’8/10% del
totale complessivo (con punte che arrivano anche al 12-15% in particolari mesi), cioè circa un
centinaio. Il dato altrettanto significativo che tali percentuali –sia quelle relative al turn over che
quelle relative all’incidenza delle minorenni – vengono registrate anche a Modena e a Rimini, ma
non ad esempio a Bologna, a Ravenna e a Forlì.
E’ come se si fosse in presenza di sub-direttrici che seguono percorsi preordinati e che non si
confondono per nulla con altri che scorrono parallelamente ad essi, ma con altre caratteristiche
strutturali. In altre parole si registra una concentrazione di donne nell’area Padova-Venezia che
vengono immediatamente instradate alla prostituzione per uno/due mesi (e ciò spiegherebbe anche,
secondo gli operatori del luogo, l’alto numero di minorenni e l’alto numero di turn over locale) e
successivamente, una volta svezzate e rese docili ai voleri degli sfruttatori (che le comprano),
vengono distribuite nelle aree più meridionali; ossia: in quella modenese e riminese soprattutto e
non nelle altre limitrofe (ciò si desume dal fatto che i dati di queste ultime non sono comparabili
con quelli registrati nelle altre città emiliano-romagnole citate).
Inoltre, i dati registrati nel triangolo Padova-Venezia, Modena e Rimini non sono comparabili
neanche con quelli registrati dagli operatori che intervengono nell’area anconitana e in quella
picena. Di fatto, sia ad Ancona che nelle altre cittadine marchigiane e sia ad Ascoli Piceno che a
Teramo e a Pescara, il rapporto percentuale tra le donne stanziali e quelle mobili e camminanti è
mediamente minore rispetto a quello registrato più a Nord, in quanto si aggira intorno alla media
registrata sull’asse tirrenico (cioè 55/65% di donne stanziali e il 35/45% di itineranti-camminanti);
così pure l’incidenza delle minorenni appare più comparabile con quella tirrenica che non con
quella del triangolo Padova-Venezia, Modena, Rimini. Scendendo ancora più a Sud sulla direttrice
Foggia- Bari – Brindisi - Lecce si rileva che l’incidenza delle donne minorenni e le percentuali
relative alla mobilità sono simili a quelle registrate nelle altre città dell’adriatico-centrale e a quelle
centrali che si affacciano sulla sponda tirrenica;
Il terzo
Il terzo è l’asse padano, ossia la direttrice settentrionale che si snoda sul territorio nazionale a
partire da Ovest (dalla frontiera con la Francia) verso Est (la frontiera orientale con l’Austria e la
Slovenia) che collega le grandi città di Genova-Torino, Asti-Alessandria, Milano-Brescia, VeronaVicenza e Padova-Venezia, coinvolgendo anche le città di Piacenza e Mantova da un lato e quelle
di Novara e Bergamo dall’altro. Anche su questa direttrice gli operatori rilevano alcuni aspetti che
abbiamo riscontrato in precedenza, mentre ne emergono altri che appaiono significativamente
diversi.
Ad esempio, nell’area torinese l’incidenza delle minorenni sembra attestarsi a metà strada tra
quella media riscontrata sul versante tirrenico e sul versante centro-adriatico (cioè tra il 3 e il 5%) e
quella media riscontrata nel triangolo Padova-Venezia, Modena e Rimini (tra l’8 e il 10%). La
spiegazione è dato dal fatto che Torino, al pari di Padova-Venezia, è una città tutto sommato di
frontiera e quindi di arrivo e temporaneo concentramento dei flussi prostituzionali, in attesa di
ulteriore distribuzione territoriale. In altre parole Torino sembra raccogliere flussi provenienti
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dall’asse tirrenico e dalla frontiera francese (ed in parte svizzera), al pari di Padova-Venezia per
quanto riguarda i flussi provenienti dalla frontiera orientale.
Al contempo, l’area torinese è anche insediamento prostituzionale per componenti albanesi (in
minoranza) e nigeriane (in maggioranza), nonché di donne maghrebine e donne provenienti da altri
paesi dell’Est e dall’America latina. Mentre le nigeriane hanno una mobilità piuttosto alta – sia a
livello provinciale che interprovinicale e interregionale – le altre componenti appaiono più
stanziali: infatti, per le prime gli operatori stimano una mobilità del 40/60%, mentre per le seconde
una mobilità minore (tra il 20 e il 30%). L’incidenza delle minorenni sembrerebbe piuttosto bassa
tra le donne albanesi e leggermente più alta tra le donne nigeriane. Per le altre componenti
l’incidenza minorile appare ancora più bassa e addirittura assente tra le latino-americane.
L’area milanese, invece, rappresenta sia il terminale dei micro-flussi provenienti da Torino e sia il
luogo di smistamento verso il territorio della Provincia (ma anche verso Bergamo e Brescia) di
quante esercitano in maniera pendolare; nel senso che vivono a Milano ma esercitano la
prostituzione nelle diverse zone dell’interland (ad esempio, spingendosi fino ad Abbiategrasso,
Melegnano, Gallarate, eccetera). In questa città – e nella sua area metropolitana ed finanche a
livello regionale – l’incidenza delle minorenni sembra piuttosto bassa rispetto alle percentuali
registrate a Torino e a Padova-Venezia, in quanto si attestano su quelle attinenti alle città tirreniche
e a quelle dell’adriatico centro-meridionale, cioè tra il 3 e il 5%.
Tuttavia occorre segnalare l’area mantovana che, da almeno un anno, sembrerebbe, secondo gli
operatori intervistati, un centro di raccolta e smistamento delle donne che esercitano nelle cittadine
limitrofe (gli operatori stimano una presenza di 30/40 donne che esercitano la prostituzione, di cui
circa il 10/15% sono minorenni). Ragion per cui l’incidenza delle donne minorenni sul totale di
quelle complessive stimate nell’area sembrerebbe più alta; essa appare ancora più alta di quelle
torinesi e padovane-veneziane e quasi il triplo di quelle registrate nelle città centro-meridionali
tirreniche ed adriatiche. Una importanza rilevante sembra l’abbia anche Brescia, soprattutto
nell’ultimo anno, ed in parte anche Bergamo e Monza.
Queste città sono anch’esse al contempo meta di micro-flussi prostituzionali e meta di esercizio
stanziale della prostituzione. L’incidenza delle minorenni è simile a quella milanese. Stesse
considerazioni possono essere fatte per Verona. Questa città è stata qualche anno addietro un
importante crocevia di raccolta e di smistamento verso le altre città lombardo-venete ed emilianoromagnole (sulla direttrice Mantova - Piacenza-Parma e su quella Modena-Bologna), mentre
attualmente questa funzione è svolta per tutta l’area nord-orientale, come abbiamo già accennato,
dalla città di Padova e di Venezia con ingressi soprattutto a Trieste e a Gorizia.
Il quarto
Il quarto è l’asse umbro-casentinese romagnolo (verso Nord-est) e senese (verso Ovest), ossia la
direttrice centro-settentrionale interna che si snoda sul territorio nazionale che interessa
direttamente l’area perugina dove confluiscono le arterie provenienti da Sud-ovest con epicentro
Roma, quelle provenienti dalla costiera adriatica con epicentro l’area anconitana e picena e quelle
provenienti da Nord che hanno come snodi principali da una parte Firenze e dall’altro ForlìCesana-Rimini. Le città che ne fanno parte sono Terni (a Sud in direzione di Roma- Viterbo),
appunto Perugia, Arezzo-Siena e verso Nord Cesena-Forlì-Ravenna.
E’ la direttrice meno visibile rispetto alle altre, ma non per questo meno significativa. Anzi, proprio
la sua apparente marginalità rappresenta il punto di maggior forza ben utilizzata dalle
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organizzazioni criminali e delinquenziali. L’area perugina, pertanto, è quella dove la mobilità delle
donne coinvolte nella prostituzione raggiunge percentuali abbastanza alte, stimabili intorno al
60/70% ed una stanzialità, di conseguenza, che ammonta a cifre comprese tra il 30 e il 40%. Il
bacino di utenza, tuttavia, non è molto alto. Gli operatori stimano una presenza regionale che non
supera le 70/100 unità, con un turn over a carattere stagionale che si ferma nei periodi invernali ed
interessa dalle 150 alle 200 donne all’incirca.
L’incidenza delle minorenni – soprattutto tra le donne dell’Est e le donne nigeriane – si attesta sulle
medie riscontrate nelle aree tirreniche e centro-adriatiche (cioè tra il 3 e il 5%). Per quanto riguarda
Arezzo e Siena il fenomeno della prostituzione stanziale è abbastanza ridotto, sia nella componente
adulta che in quella minorile. Rilevante sembra essere il flusso di transito (che ammonta tuttavia
a poche decine di casi), ma con scarsa incidenza minorile. Per quanto concerne, invece, CesenaForlì e Ravenna occorre sottolineare il fatto che seppur situate all’interno dell’area che abbiamo
definito il triangolo Padova-Venezia, Modena e Rimini – caratterizzato da un’alta incidenza di
prostituzione mobile e camminate e con un’alta incidenza della prostituzione minorile – il
fenomeno dal punto di vista quantitativo sembra essere piuttosto modesto. Infatti, la presenza delle
adulte non supera qualche decina di casi e la prostituzione minorile – a parere degli operatori del
luogo intervistati - sembra essere quasi del tutto inesistente.
Il quinto
Il quinto è l’asse irpino- salentino, ossia la direttrice trasversale che collega la Puglia settentrionale,
con una parte della Basilicata e la Campania. E’ proprio nell’area di confine all’altezza della
Provincia di Foggia con quella di Avellino-Benevento da un lato e quella di Isernia-Campobasso
dall’altro che questo asse, abbandonando quello che abbiamo definito adriatico, acquista tutta la
sua importanza nel traffico di donne a scopo prostituzionale. In sostanza è l’arteria principale di
confluenza in direzione di Napoli-Caserta e di Roma, ossia gli snodi principali in direzione delle
città centro-tirreniche.
Le città coinvolte sono quelle, appunto, salentine, con Lecce come area di frontiera e pertanto di
confluenza di flussi prostituzionali non indifferenti, soprattutto per quelli provenienti dall’Albania.
E’ un’area appunto di frontiera e quindi di transito verso settentrione. La prostituzione stanziale è
molto ridotta a diverse decine di donne, con una presenza minorile quasi trascurabile. A Lecce, a
differenza di altre città-frontiera, come Geneva-Torino, Trieste-Gorizia, Padova-Venezia, non si
registrano particolari concentramenti di donne da instradare alla prostituzione e non si rileva
neanche, come accennato, una presenza minorile socialmente visibile.
Ciò si può spiegare col fatto che tutta l’area è piuttosto controllata a causa degli attraversamenti
marittimi illegali e pertanto i contrabbandieri (di esseri umani) sono costantemente sotto pressione
da parte delle Forze dell’ordine. Una ulteriore pressione investigativa-giudiziaria, anche se contro
la categoria dei trafficanti e degli sfruttatori della prostituzione minorile, la criminalità organizzata
italo-albanese coinvolta nel settore non sarebbe, probabilmente, in grado di sostenere. Si
preferisce, dunque, perpetuare gli illeciti derivanti dagli attraversamenti di frontiera che quelli
correlabili alla prostituzione soprattutto minorile.
Questa appare, tra l’altro, trascurabile anche nell’area brindisina e barese, nonché foggiana. Il fatto
significativo è quello che, secondo gli operatori intervistati, molte delle donne che praticano la
prostituzione più stanziale è quella che arriva dal Nord: o seguendo l’asse adriatico o quello
all’esame, provenendo dalle aree di Frosinone-Roma da un verso e di Napoli-Caserta dall’altro;
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entrambe queste aree si caratterizzano come luoghi di costituzione dei flussi prostituzionali che
migrano – in parte stagionalmente e in parte in maniera più stanziale – verso le regioni meridionali.
Si tratta in genere di donne che hanno i documenti in regola, che hanno una età maggiore dei
diciotto anni, che hanno una certa autonomia e capacità di negoziazione con gli sfruttatori. Non
mancano donne prive di certificazioni di soggiorno, specialmente nei gruppi nigeriani che
attualmente, tra l’altro, appaiono quelli più numerosi. In pratica le donne dell’Est che entrano dalle
coste salentine sono quasi completamente transitanti e si dirigono verso le aree settentrionali.
Alcuni gruppi, invece, soprattutto di centro-africane (nigeriane e ghanesi), di colombiane e di
peruviane esercitano la prostituzione itinerante-camminante (ad alta mobilità) e stanziale, in
quanto si muovono in direzione contraria, scendendo, infatti, da Roma-Frosinone e da NapoliCaserta (con il particolare snodo formato dall’area domiziana) verso le provincie pugliesi e in
minima parte lucane (che con l’area di Tricarico sono state per qualche tempo uno snodo
importante in direzione Nord) e calabresi.
Il sesto
Il sesto è l’asse tarantino-calabro-peloritano, ossia la direttrice jonica che collega la città di
Taranto, con quella di Metaponto, di Sibari-Rosarno, di Crotone, di Locri, di Reggio Calabria, di
Messina-Catania e di Palermo. Si tratta di un asse ancora in rodaggio, nel senso che le donne che
esercitano la prostituzione stimate sono alcune centinaia e distribuite in maniera eterogenea su tutto
l’asse. Le aree di maggior presenza sono quelle tarantine-metapontine (in quanto rappresentano lo
snodo stradale per la direttrice jonica, la statale 106), sibaresi-rosarnesi e in misura minore quella
crotonese e della locrite. Mentre nell’area di Reggio Calabria e Messina – Catania la presenza è
più marcata, così pure a Palermo.
Nell’insieme queste città non raggiungono, comunque, nessuno dei livelli che si registrano in altre
parti del territorio nazionale. L’incidenza della prostituzione minorile, a detta degli operatori
intervistati, è quasi inesistente. Si rileva qualche caso isolato (due per la verità) e con esiti di
accoglienza comunitaria sempre positivi di intervento. Si tratta di una prostituzione ad alta
mobilità, in quanto – oltre a spostarsi longitudinalmente lungo l’asse – si sposta anche
orizzontalmente verso il versante tirreno sulla direttrice Metaponto-Matera-Sapri, Sibari-Tarzia,
Soverato-Lametia terme, Locri-Serra San Bruno-Tropea, oppure attraversando la Provincia di
Reggio Calabria dall’entroterra cittadino.
I principali assi direzionali della prostituzione nomade e camminante verso e da altri paesi europei
La mobilità delle componenti minorili costrette alla prostituzione non avviene soltanto all’interno
del territorio nazionale ma coinvolge, in un processo continuo di micro-flussi in entrata e microflussi in uscita, anche altri paesi europei limitrofi: sia come luogo di esercizio dello sfruttamento
che come luogo di passaggio e di transito verso altri paesi ancora. In sostanza ciò che emerge dalle
informazioni acquisite – e dalle riflessioni effettuate dal gruppo di ricerca – è il fatto che la
mobilità dei minori all’interno dei circuiti prostituzionali coatti assume un andamento rotatorio che
interessa simultaneamente aree del territorio nazionale (come abbiamo descritto sopra) ed aree del
territorio europeo.
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La simultaneità degli spostamenti a breve (città/area regionale), a medio (area
interregionale/nazionale) e a lungo raggio (area transnazionale europea) e la comparabilità delle
tecniche di spostamento ed organizzazione gestionale fa pensare ad un sistema di sfruttamento –
soprattutto dei minori - a carattere europeo, ma con radici in sistemi locali impiantati nei diversi
paesi nazionali. Anche in questa prospettiva il fatto caratterizzante è l’alta mobilità dovuta all’ansia
e alla preoccupazione di prevenire qualsiasi opera di intercettazione da parte delle forze dell’ordine.
Tre sono gli assi maggiormente utilizzati.
a. il primo è l’asse alpino Nord-orientale sulla direttrice che - passando dal Brennero - arriva a
Monaco e prosegue per Lipsia, Berlino per arrestarsi ad Amburgo. Gli snodi principali partono
dall’area di Brescia, Bergamo e Verona per arrivare a Monaco ed alimentare gli Eros center, le
case di appuntamento e i locali di intrattenimento sessuale “clandestini”. Da Monaco di
diramano verso Nord-Est lambiscono le regioni dell’ex-Repubblica democratica per confluire
nell’area di Berlino. Area che rappresenta al contempo un luogo di transito verso Amburgo da
un lato e verso Praga e Varsavia dall’altro e viceversa, in quanto riceve micro-flussi di minori
da queste ultime città. Berlino negli ultimi anni è diventato uno dei luoghi di maggior
confluenza del traffico di donne e minori della frontiera orientale dell’Unione Europea. Ad
Amburgo si attiva lo stesso meccanismo: sia perché interessa la prostituzione minorile a livello
stanziale (anche se per brevi periodi) e sia perché interessa la prostituzione minorile a livello di
transito verso l’Olanda ad Ovest e verso i paesi scandinavi e i Paesi Baltici a Nord-est;
b. il secondo è l’asse alpino-sabaudo Nord-occidentale in direzione della Svizzera (Zurigo e
Ginevra) e in direzione della Francia, in particolar modo di Lione. Città quest’ultima che funge
da snodo francese: sia per gli ingressi in direzione dell’Italia (provenienti da Parigi e dalle
grandi città spagnole) e sia per la distribuzione dei gruppi di minori finalizzati allo sfruttamento
sessuale verso le altre grandi città, in particolare Parigi. Da qui le direzioni che si intraprendono
sono quelle che portano a Bruxelles da un lato e a Londra (e alla Gran Bretagna in generale)
dall’altro. Queste tre grandi città sono interessate da gruppi albanesi, rumeni ed ucraini, nonché
dai gruppi nigeriani. Questi ultimi sembrano preferire soprattutto Londra dove possono contare
sulle le reti comunitarie e i legami culturali derivanti dall’appartenenza della Nigeria al
Commonwhelt britannico;
c. Il terzo è l’asse alpino ligure-provenziale costiero ed interessa in primo luogo la città di Nizza e
in secondo luogo la città di Marsiglia. Da quest’ultima arrivano direttamente micro-flussi di
donne e minori da destinare alla prostituzione in Francia, in Italia e in misura minore per la
Gran Bretagna e la Svizzera. Marsiglia compare piuttosto spesso nei racconti delle donne e
delle minori costretti alla prostituzione sia come luogo di primo arrivo (sia di nigeriane che di
albanesi e rumene) che come luogo di transito per altre destinazioni. Dalle città provenzali si
snodano percorsi che portano verso Barcellona e a settentrione verso Madrid e a meridione
verso l’Andalusia e la Costa Brava da un lato e verso Bordeaux e i Paesi baschi dall’altro. Sono
aree anche di formazione dei flussi provenienti dal Sud, in particolare dal Marocco e
dall’Algeria (soprattutto per le donne nigeriane, ghanesi e ivoriane, nonché argentine,
colombiane e domenicane).
In sintesi il coinvolgimento delle principali città europee nel traffico di donne ed anche di minori
da inserire nel mercato dello sfruttamento sessuale è ormai evidente e accertato anche
empiricamente. Ogni paese funge da area di sfruttamento e al contendo di passaggio per altre
destinazioni. Queste sono le più varie e le più lontane l’una dall’altra. La lontananza in questo
specifico traffico appare più un punto di forza che non un problema. Infatti, sembrerebbe che tanto
maggiore è il giro territoriale che si intraprende e quanto minore sia la possibilità di essere
intercettati dalle forze dell’ordine. La copertura da parte delle bande di trafficanti e sfruttatori degli
spazi più nascosti ed impensabili all’interno delle diverse aree nazionali - e per approssimazioni
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successive quelle transnazionali intra-europee - comporta necessariamente una maggiore mobilità.
Fattore, quest’ultimo, ormai connaturato e strutturale al sistema di sfruttamento dei minori.
3.5. La posizione dei minori e le caratteristiche delle modalità di sfruttamento
I diversi tipi di mobilità
La minore età delle donne che esercitano la prostituzione da un lato e il rischio evidente di
intercettazione da parte delle Forze dell’ordine che tale esercizio comporta per gli sfruttatori - a
causa della severità delle normative di contrasto - dall’altro, sono i fattori che determinano,
secondo molti intervistati, l’alto tasso di mobilità geografico-territoriale delle donne medesime e le
sottostanti caratteristiche di sfruttamento. In sostanza, gli sfruttatori, per evitare di essere arrestati,
producono delle forme di sfruttamento intensivo delle minorenni basate sulla mobilità che, come
abbiamo accennato, è generalmente molto più alta di quella che caratterizza la prostituzione delle
donne adulte. I diversi tipi di mobilità possono essere gestiti in maniera separata oppure
rappresentare una catena susseguente di un programma pianificato di sfruttamento sulla base di
periodi mediamente più lunghi.
Un primo livello di mobilità è quello che possiamo definire mono-polare, ossia quello che avviene
all’interno del singolo territorio cittadino e al massimo su quello provinciale. La minorenne viene
costretta a prostituirsi in diverse parti della città o dell’area circostante, seguendo ritmi temporali
che oscillano da qualche giorno fino a una/due settimane massimo per poi spostarsi in altre zone.
Infatti, la minorenne esposta all’esercizio della prostituzione lavorerà in maniera intensiva e
raccoglierà guadagni conseguentemente significativi. Questi, infatti, in alcuni contesti, si misurano
– oltre che sulla prestanza fisica – anche sulla minore età delle prostitute concepita come un valore
aggiuntivo particolarmente appetibile sul mercato sessuale.
“Più sono piccole e più attirano clienti come mosche … anche quelli con gusti particolari … afferma uno degli operatori intervistati - …”lavorano in genere molto … sbaragliano la
concorrenza delle adulte … guadagnano … due o tre volte di più a sera delle adulte della stessa
nazionalità”, affermano degli altri. Ma il fatto che ci sono delle minorenni in strada – secondo altri
interlocutori - crea comunque un allarme: “le stesse donne adulte telefonano alla Polizia (o per
“solidarietà”, dicono alcuni operatori o per “eliminare la concorrenza sleale” dicono altri), oppure
informano le Unità di strada o qualche servizio territoriale o – se hanno una qualche confidenza –
informano anche i singoli operatori o poliziotti”.
Ma una maggiore esposizione temporale finalizzata a ulteriori guadagni, che non sia quella
caratterizzata dal giusto equilibrio tra il raggiungimento del massimo profitto con il minimo rischio
di intercettazione, diventa controproducente per lo sfruttatore. Pertanto può evitare questo rischio
soltanto aumentando il tasso di mobilità, sia per evitare l’intercettazione della minorenne e sia per
evitare di farsi individuare, cambiando zona o territorio; oppure cedere la donna minorenne ad
un’altra banda o un altro sfruttatore che la costringerà a prostituirsi nello stesso territorio per un
tempo sufficiente ad intascare molti soldi e ad evitare nel contempo, a sua volta, di essere
intercettato dalle Forze dell’ordine.
Difficilmente, dunque, uno sfruttatore – o una banda di sfruttatori – mantiene una donna minorenne
sulla stessa strada per molto tempo, ossia per più di quindici giorni/un mese per volta. “Quando
accade, afferma uno degli intervistati, è perché gli sfruttatori (o lo sfruttatore) sono sicuri che la
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donna non attiverà comportamenti finalizzati alla sua intercettazione e nel caso che ciò accadesse
sono sicuri che lei negherà risolutamente la sua età a quanti gliela domandano”. “I ricatti e le
minacce, in questi casi, affermano altri operatori, è in questi casi che svolgono la loro funzione
assoggettante e producono quella sorta di paura paralizzante che costringe queste minori a
perpetuare l’esercizio prostituzionale senza fiatare e senza porre problemi conflittuali. Diventano
cioè docili e servizievoli allo scopo di non subire violenza”.
Per gli sfruttatori, soprattutto a questo livello, avere delle minorenni sulla strada (o negli
appartamenti) è una sosta di vanto, di orgoglio malavitoso-professionale, in quanto assume il valore
di una certa sfida verso gli investigatori (“intercettatemi se siete capaci”) e di spavalderia e
prestigio verso gli altri comparenti (“io posso avere una minorenne e sfruttarla per più tempo di voi
perché sono il migliore”). In altre parole avere una minorenne è segno di maturità delinquenziale,
di status malavitoso, di prestigio di nicchia, nonché di capacità di gestire i rischi che queste
presenze comportano. Insomma, è un indicatore – per il milieux degli sfruttatori di donne – che
misura la capacità degli sfruttatori di trovare il giusto equilibrio tra l’acquisizione di lauti guadagni
e il rischio di non farsi intercettare, saper spingere più avanti possibile lo sfruttamento di una
minorenne senza oltrepassare la linea di guardia utile a non farsi individuare ed arrestare.
Un secondo livello di mobilità è quello che possiamo definire bi-polare, ossia quando avviene tra
due aree territoriali specifiche che possono essere ubicate anche a distanza significativa l’una
dall’altra ed abbracciare anche più regioni. Sono i collegamenti che possono attivarsi tra due o più
grandi città situate sullo stesso asse direzionale (ad esempio, Napoli-Caserta-Roma), oppure su assi
direzionali diversi (ad esempio, Firenze-Perugia), eccetera. La minorenne viene costretta a
prostituirsi sia in differenti parti della stessa città o dell’area circostante e successivamente, dopo
una certa esposizione temporale, viene costretta a prostituirsi nell’altra città, per poi tornare alla
precedente con variazioni di percorsi occasionali in altre città ancora.
“Questi passaggi da una città all’altra – o da aree diverse anche distanti – secondo il parere di uno
degli intervistati, vengono organizzati tra persone che si riconoscono nella stessa banda (spesso
familiari o compaesani provenienti dalle stesse zone di origine) e che svolgono attività di
sfruttamento simili … ossia la banda di Perugia affida la minorenne – dietro un compenso che si
paga anticipatamente – ad un’altra banda attiva a Cesena o a Siena o a Roma per un paio di
settimane o poco più. Poi la riprende e magari la riaffida (sempre con compensi anticipati) ad
un’altra banda che lavora su Mantova o su Torino e così via…”. Queste transazioni possono
caratterizzarsi con scambi economici oppure con scambi di “merce”, cioè una donna in cambio di
un’altra (se sono equiparabili come resa economica) oppure una donna in cambio di un’altra con
l’aggiunta di denaro (se non sono considerate interscambiabili in quanto l'una frutta
economicamente più dell’altra).
“E’ ovvio, continua lo stesso intervistato, che la banda ricevente a sua volta può scambiare con le
altre bande le donne minorenni in suo possesso. Infatti, invece di pagare in denaro la donna che
riceve – e che le viene affidata per un certo tempo - può pagarla prestando ad altri le donne che
lavorano per lui”. Il meccanismo che sembra caratterizzare questa forma di mobilità è quello della
multiproprietà: ossia una serie di aguzzini che lavorano in diverse parti del territorio nazionale
sfruttano, per un tempo limitato ma in maniera intensiva, delle donne che si passano
reciprocamente l’uno con l’altro per prevenire il processo di intercettazione.
Il vantaggio di questa pratica di reciproco scambio è la possibilità di gestire a rotazione le basi
logistiche già sperimentate - e pertanto con margini elevati di sicurezza - di ciascun gruppo
malavitoso senza dover cercarne di altri. L’altro vantaggio rilevante è che si abbattono i costi di
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allestimento delle basi logistiche, della loro tenuta, del loro controllo e della loro disponibilità
immediata. Non secondario è anche il fatto che l’insieme complessivo degli scambi che vengono
effettuati da più organizzazioni produce un valore aggiunto che potremmo definire di sistema e
quindi produce un meccanismo efficiente sempre pronto all’uso in qualsivoglia momento e
periodo.
Un terzo livello di mobilità è quello che possiamo definire multi-polare, ossia quando avviene tra
molteplici aree territoriali specifiche che possono essere ubicate anche a distanza significativa
l’una dall’altra ed abbracciare anche più regioni o paesi esteri contemporaneamente. Si tratta delle
molteplici combinazioni che possono verificarsi allorquando le minorenni vengono spostate con
maggior frequenza, sia dallo stesso sfruttatore che da sfruttatori diversi. Nel primo caso la relazione
prostituzionale è vissuta da altri sfruttatori come un affare di coppia (sovente di tipo artigianale e
“domestico”); mentre nel secondo caso siamo davanti a forme di sfruttamento più strutturate ed
anonime, dove la coppia o la convivenza (a volte pur presenti) non rappresentano la caratteristica
principale.
Cioè vengono gestite da organizzazioni che hanno addentellamenti ramificati in differenti regioni e
città capoluogo oppure in area agricole-rurali urbanizzate, sia all’interno del territorio nazionale
che in quello transnazionale. In questo caso l’organizzazione agisce in maniera imprenditoriale,
con maggior razionalità e distacco dalle dinamiche interpersonali con la vittima minorenne (e non).
Giocano un ruolo decisivo le gerarchie tra quanti sono coinvolti nell’organizzazione e i loro livelli
di conoscenza delle tecniche di sfruttamento e di gestione del “capitale umano” in dotazione.
Non secondario è il grado di autonomia ciascun membro detiene nell’organizzazione medesima e
che può liberamente – o in via condizionata – utilizzare o meno con discrezionalità. Significativo è
anche il grado di autonomia dei singoli membri dell’organizzazione per attivare relazioni con altre
organizzazioni, al fine di garantire le forniture di nuove minorenni o lo spostamento di quelle che
già fanno parte della “scuderia” oppure di acquistarne o venderne delle altre e così via.
Da un lato, dunque, le caratteristiche dello sfruttamento si basano sull’invischiamento emotivoesistenziale della donna allorquando sussiste un rapporto apparentemente privilegiato tra lo
sfruttatore e la vittime stessa, dall’altro le caratteristiche dello sfruttamento sono quelle
dell’imprenditorialità manageriale. Nell’uno e nell’altro caso per la vittima possono sussistere punti
di forza e punti di debolezza dovuti alle diverse caratteristiche del rapporto. Nello sfruttamento a
due si evidenzia con maggior facilità il fatto che il rapporto può evolvere in una direzione più
vantaggiosa per la vittima, ma il controllo – per definizione – appare più serrato e vincolante. Nel
rapporto imprenditoriale la vittima può godere di spazi relativamente più ampi a causa della
lontananza che sussiste tra lei e la struttura di comando e di assoggettamento. Le figure intermedie
dell’organizzazione (autisti, accompagnatori, addetti alla logistica, eccetera) possono funzionale da
cuscinetti ed ammortizzatori in cambio di piccoli favori e di forme di connivenza reciproca.
In entrambi i casi lo spostamento delle minorenni da un posto all’altro può essere affidato a degli
autisti e/o accompagnatori. Nel caso che il rapporto sia a due tra sfruttatore/sfruttata, invece, il
trasporto può essere effettuato anche dal così detto fidanzato. In genere gli accompagnatori sono
persone adibite solo a questo compito, cioè portare le donne minorenni di città in città affidandole
ogni volta ad altre persone che ne gestiscono lo sfruttamento temporaneo. Accompagnatori che
non disdegnano – quando i guadagni sono maggiori – di spostarsi anche in altri paesi europei sulla
base degli “assi alpini” sopra menzionati. In questi casi l’organizzazione necessità di forme di
specializzazione più sofisticate, come la conoscenza delle lingue e la capacità di rapportarsi a
bande delinquenziali e criminali straniere.
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Una squadra di specialisti
Per assolvere al meglio tale compito l’organizzazione ha a disposizione del personale che col
tempo è andato via via specializzandosi. Si tratta di una vera e propria squadra di specialisti, le cui
competenze variano col variare della complessità degli spostamenti, del reperimento di basi
logistiche, di ambienti sicuri dove immettere le giovani vittime al fine di farle “lavorare” con
elevati margini di sicurezza. Le figure principali con livelli di specializzazione adeguata in sintesi
appaiono le seguenti:
-
-
-
l’accompagnatore (munito di patente e di certificazioni di soggiorno se straniero e di regolare
cittadinanza se italiano) che gestisce i grandi spostamenti da un polo all’altro, continuamente,
senza interruzioni di sorta, con una capacità di resistenza psico-fisica consistente. Ha una
capacità di autocontrollo sperimentata e spiccate capacità di “recitazione”, anche in presenza di
agenti di pubblica sicurezza. Conosce direttamente le persone a cui affidare le donne, si
preoccupate di sistemarle adeguatamente in case che conosce altrettanto bene (spesso a fatto
prima dei sopralluoghi) e di affidarle a persone di cui gode sufficiente fiducia. Persone che
fanno parte direttamente delle organizzazioni (o comunque sono funzionali ad esse).
L’accompagnatore verifica se tutto è a posto e in ordine. In caso contrario rileva le disfunzioni,
cerca delle mediazioni dirette ad affievolirle oppure le segnala ai membri dell’organizzazione
con competenze sanzionatorie e punitive. L’accompagnatore, pur di difendere la donna
(considerata una “macchina che fa soldi”), può denunciare comportamenti scorretti provenienti
da altri membri o da persone esterne all’organizzazione direttamente ai responsabili;
l’autista che porta le donne minorenni sul luogo di esercizio della prostituzione e le riprende
alla fine, occupandosi anche di risolvere problemi logistici e contingenti. Tra le nigeriane in
genere sono donne quelle che svolgono queste attività di servizio; invece, tra i gruppi albanesi –
che iniziano a praticare queste forme di specializzazione – , possono essere sia donne che
uomini non particolarmente violenti. Anzi. Sono in genere uomini che sanno comunicare e farsi
accettare dalle donne medesime, sanno prenderle dal verso giusto, riescono ad affievolire le
contraddizioni e finanche i conflitti senza l’uso della violenza. Svolgono una funzione di
mediazione tra le differenti figure che intervengono nel sistema di sfruttamento. L’autista –
come l’accompagnatore – è la persona più vicina alla vittima, ne condivide, relativamente,
anche alcune sofferenze, soprattutto affettive ed esistenziali. La donna gli fa piccoli regali in
denaro, gli dà delle mance per chiudere un occhio quando serve, eccetera. Col tempo si
stabilisce tra loro – e l’accompagnatore - una sorta di connivenza funzionale all’attività che
reciprocamente svolgono;
lo sfruttatore situato in aree dove il mercato del sesso è dinamico ed economicamente
significativo che prende in consegna le donne e le fa lavorare secondo i ritmi usuali e
standardizzati. cioè intensamente ed in maniera continuativa. Acquisisce i guadagni della
giornata, li divide con gli altri membri dell’organizzazione, paga i servizi degli
accompagnatori/trici e dell’autista (anche quelle figure coinvolte occasionalmente che non
sempre sono persone organicamente affiliate all’organizzazione), fa piccoli investimenti
(compartecipa all’acquisito di piccole e medie partite di droga, spende i soldi in beni di
consumo e fa regali alle favorite, eccetera), affitta gli appartamenti (stando spesso in seconda
linea). Insomma, è la persona specializzata nel gioco sporco è rappresenta il contraltare cattivo
dell’organizzazione a fianco di quelli più discreti dell’accompagnatore e dell’autista. In altre
parole è una delle figure di congiunzione tra le donne sfruttate, le figure di supporto logistico e i
vertici dell’organizzazione (quando non si tratta delle stesse persone);
70
-
il responsabile del gruppo (quando non è il diretto sfruttatore) è la figura di preminenza
dell’organizzazione. Si tratta della figura di maggior responsabilità tecnico-organizzativa, in
quanto assolve un ruolo quasi politico, cioè di contatto con le altre organizzazioni e con quanti
– singoli individui o piccoli gruppi di persone – possono essere mobilitati e coinvolti nelle fasi
di reclutamento, trasporto e assoggettamento delle giovani vittime. Inoltre, gestisce quasi
completamente i proventi che le vittime guadagnano esercitando involontariamente la
prostituzione. Sceglie come investirli, sceglie come distribuirli, sceglie come spenderli.
Mantiene legami con le organizzazioni che possono far fruttare ancora di più i guadagni,
diversificando il loro impiego in settori illegali altrettanto fruttuosi, come quello della droga e
della compravendita delle armi, eccetera.
Questa unità di sfruttamento (che può essere numericamente più piccola laddove i ruoli possono
accorparsi in una o in quattro/cinque persone ed anche di più) svolge un’attività complessa in
quanto complessa è la forma di mobilità multipolare che caratterizza questo livello organizzativo.
E’ in sostanza il livello che più degli altri caratterizza la prostituzione itinerante-camminante, nel
senso che gli spostamenti sono talmente tanti e frequenti che danno l’idea di stare sempre in
movimento. Questa pratica prostituzionale costa molto e pertanto dalle minorenni sfruttate ed
inserite in questo meccanismo i magnaccia-imprenditori si attendono molti guadagni. Rischiano
anche di meno, in quanto i passaggi da sfruttatori a sfruttatori sono più frequenti ed avvengono in
località distanti e sempre ritenute abbastanza sicure.
Questo è il livello che si collega anche a forme di prostituzione mascherata, ossia a quella
prostituzione coperta da altre attività lavorative lecite e formalmente legali, come accennato in
precedenza. Inoltre, si rileva un’altra particolarità: chi si muove è la minorenne e il suo
accompagnatore e quasi mai lo sfruttatore vero e proprio, cioè colui o coloro che materialmente
gestiscono la pratica prostituzionale. Questi – o almeno una componente elitaria con caratteristiche
imprenditoriali – aspettano la “merce”, dopo averla valutata, la comprano (o l’affittano oppure la
scambiano con altre donne) e la sfruttano per un certo periodo di tempo e poi la rivendono o la
ridanno indietro.
La prostituzione minorile maschile. Similitudini e differenze con quella femminile
All’interno del fenomeno della prostituzione minorile – in gran maggioranza di genere femminile –
si evidenzia anche un segmento di prostituzione maschile (i cui contorni numerici sono di difficile
definizione). Questa, a differenza di quella femminile, non sembra caratterizzarsi precipuamente
come una prostituzione coercitiva e violenta, anche se la minore età dei diretti interessati, la
colloca, giustamente, nella categoria della prostituzione involontaria (e pertanto perseguibile
penalmente a prescindere).
Dalle interviste effettuate al riguardo e dalle informazioni raccolte dagli operatori, è possibile, in
linea di massima, tratteggiare sinteticamente la prostituzione maschile in tre categorie principali:
a . la prima è quella che possiamo definire prostituzione da isolamento, ossia quel tipo di
prostituzione che viene esercitata da minorenni isolati dal resto della comunità e dalle parentele
di prossimità. E’ una forma di prostituzione che viene praticata principalmente per soddisfare
bisogni di prima necessità in mancanza di altre possibilità di lavoro. Tra i gruppi di minorenni
che esercitano tale attività con questo specifico scopo si evidenziano alcuni gruppi di curdi a
Roma: sia per acquisire denaro per la propria sopravvivenza e sia per acquisire denaro per la
sopravvivenza della famiglia, spesso al seguito ma in condizione di disoccupazione prolungata.
71
Si tratta di piccoli gruppi di minorenni stranieri che alternano la prostituzione serale con forme
di accattonaggio ai semafori durante il giorno ed altre forme di lavoro avventizio e precario
svolto intorno alle grandi aree commerciali del quartiere Esquilino e intorno alla Stazione
Termini. Stessa pratica viene segnalata a Milano (sempre a ridosso della Stazione centrale), ma
esercitata – secondo quanto appreso dagli operatori intervistati – da gruppi di minori rumeni e
in qualche caso marocchini, soprattutto nelle primissime fasi di insediamento in città: o perché
provenienti da altre città, ad esempio, da Torino o da Genova oppure da altre città straniere (da
Barcellona, da Lione, da Marsiglia eccetera). Anche a Napoli vengono segnalati piccolissimi
gruppi di minori maschi marocchini e tunisini che si prostituiscono perché in condizioni di
povertà estrema, non soltanto perché senza lavoro ma anche perché senza adulti di riferimento e
senza membri della comunità che possono offrirgli supporti logistici e relazionali. In questi casi
gli operatori non sembrano propensi ad avallare la tesi dello sfruttamento coatto in quanto
manca quasi sempre la figura dell’adulto che li sfrutta. Questa è una presenza gli operatori
intervistati non l’hanno ancora registrata né a Roma, né a Napoli e né a Milano. Il che fa
pensare a forme autonomo di prostituzione alternate con lo svolgimento di piccoli lavori di
strada: dal lavavetri al venditore di fazzoletti e di accendini ai semafori. Ossia quelle attività
lavorative al confine tra la questua e il piccolo commercio ambulante;
b. la seconda è quella esercitata dai così detti “marchettari”, ossia minori che pur esercitando una
forma di prostituzione (in quanto scambiano prestazioni sessuali dietro pagamento di denaro)
non la definiscono tale e non vogliono che altri la considerino tale. L’ambiguità sta nel fatto che
questa forma di prostituzione è esercitata da maschi (seppur minorenni) ed indirizzata ad una
clientela altrettanto maschile, sovente adulta e in grado di pagare le prestazioni che riceve. Il
marchettaro – che tra l’altro “si sente decisamente un maschio”, come riporta una operatrice
intervistata - offre le prestazioni sessuali ad un altro maschio (“che in genere è un
omosessuale”, come riporta la stessa intervistata) che le consuma svolgendo un “ruolo passivo
di tipo femminile”. In questi rapporti c’è un doppio livello di ambiguità, giacchè l’adulto
maschio-omosessuale (che nel rapporto svolge un ruolo “femminile”) paga un ragazzo (che nel
rapporto svolge un ruolo “maschile”) come se fosse un uomo-cliente che paga per andare con
una donna a pagamento (che nella realtà è un maschio che offre i suoi servizi sessuali). A parte
questo scambio di ruoli in questi rapporti generalmente non c’è violenza, se non quella che
potremmo definire fisiologica insita in questo tipo di scambi. Il fatto sanzionabile è dato
sicuramente dal fatto che si tratta di scambi e compra-vendita di servizi sessuale tra adulti e
minori dove la vulnerabilità di quest’ultimo appare evidente proprio in funzione della sua età;
c. la terza è quella che potremmo definire come prostituzione transitoria in concomitanza di un
processo di presa di coscienza della condizione di omosessualità da parte dei diretti interessati.
Si tratta di una forma di prostituzione esercitata da gruppi di minorenni allorquando iniziano a
maturare la convinzione di essere omosessuali. Trattandosi di un processo di maturazione
anche conflittuale e contraddittorio l’esercizio della prostituzione può svolgere una funzione
tranquillizzante. Nel senso che “il fatto di essere pagati – come dichiara un operatore
intervistato - per l’esercizio della prostituzione svolta giustifica in qualche modo la
sperimentazione che si sta facendo sulla propria identità sessuale”. Insomma, continua
l’intervistato, per “una buona parte di questi ragazzi – sia di origine italiana che straniera –
prostituirsi diventa un alibi per non accettare la propria omosessualità o quantomeno di
sperimentarla fattivamente per meglio valutarla ed eventualmente accettarla”. “Svolgendo in
maniera alternata un ruolo femminile e un ruolo maschile nell’esercizio della prostituzione –
dice un altro degli intervistati – il minore in questione si mette doppiamente alla prova”. Se la
sperimentazione riesce queste componenti minorili smettono quasi automaticamente di
esercitare la prostituzione e, una volta accettata la propria identità sessuale, trovano altre
modalità di esprimere la propria sessualità.
72
In tutte e tre le modalità di esercizio della prostituzione la violenza e la sottomissione che si
riscontra per le componenti minorili femminili sembra non esserci. Questa caratteristica fa
divergere significativamente la prostituzione minorile maschile da quella svolta – per lo più in
maniera involontaria - dalle coetanee femmine. In quella maschile sembra esserci maggior
consapevolezza, anche nella forma esercitata quanti restano isolati dalla comunità e dai membri
adulti della famiglia. Ciò che in qualche caso gli operatori intervistati hanno riportato – e ci sembra
utile sottolineare – è il fatto che nella squadra che gestisce lo sfruttamento delle minorenni a volte
compaiono anche giovani minorenni maschi con funzioni tranquillizzanti e amicali oppure con
funzioni coercitive.
In questi casi il rapporto che i ragazzi hanno con i membri dell’organizzazione (o con uno di essi) è
un rapporto di mero assoggettamento che i ragazzi tendono (incoraggiati a proposito) a riproporre
alle giovani coetanee, ricalcandone pari pari la stessa violenza ed aggressività che subiscono dagli
adulti
3.6. Osservazioni conclusive
Nel delineare alcune osservazioni conclusive provvisorie di quanto è andato emergendo dall’analisi
effettuata nei paragrafi precedenti, occorre, innanzitutto, sottolineare ancora una volta il fatto che il
fenomeno della prostituzione straniera minorile appare in maniera estremamente complessa ed
articolata. Da un lato, per la differente attenzione che pone la normativa nazionale ed internazionale
sulla questione e per l’articolazione che assume in relazione agli ambiti sociali nel quale si sviluppa;
dall’altro per il differente peso numerico che essa assume rispetto a quella adulta – anche in
considerazione dell’incidenza delle minorenni nei diversi gruppi nazionali – e per il livello di
mobilità che sembra caratterizzarla specificatamente. Non secondarie appaiono le differenti
articolazioni che assumono le bande criminali dedite allo sfruttamento dei minori, al fine di
prevenire l’intercettazione da parte delle Forze dell’ordine.
Rispetto al primo aspetto, cioè quello della copertura normativa (nazionale ed internazionale),
occorre rilevare che formalmente è un sistema che riesce a contrastare in parte il fenomeno,
perlomeno a far sentire gli sfruttatori non del tutto sereni e tranquilli nel praticare le loro losche
attività. Il parere pressoché unanime degli operatori è quello che non deve sussistere nessuna
attenuante per gli sfruttatori – e per quanti concorrono a porre in essere le pratiche vessatorie - e
tanto meno per lo sfruttamento e l’abuso sessuale in particolare. Viene meno cioè la distinzione tra
esercizio volontario o involontario della prostituzione che si manifesta, seppur con contraddizioni,
nel mondo delle pratiche prostituzionali che coinvolgono le adulte.
Per le minori si tratta sempre di prostituzione coercitiva ed abusiva che lede l’interesse superiore del
fanciullo come recita l’art. 3 della Convenzione Onu di New York. In questa prospettiva l’interesse
superiore del fanciullo – oltre ad essere il principio ispiratore di qualsiasi intervento di protezione e
di assistenza sociale attivato o attivabile da enti istituzionale e non, finalizzato a soddisfare le
speciali e le specifiche esigenze che provengono dall’infanzia – deve anche potersi articolare nel
diritto a non essere considerati oggetto di sfruttamento e pertanto ad avere garantito il diritto a non
prostituirsi.
Lo sfruttamento sessuale coatto ed abusivo è quello che più degli altri interessa le componenti
minorili. Non si tratta, infatti, di coinvolgere i minori in attività lavorative deprecabili – e al
contempo quasi tollerate in certi ambienti sociali -, ma di praticare su di essi modalità di
assoggettamento che ricordano da vicino le pratiche para-schiavistiche. Ossia le pratiche che
73
spingono a vivere condizioni particolarmente dure che non è facile neanche modificarle allo scopo
di uscirne fuori: o perché minacciati, violentati e percossi a ogni tentativo di contrapposizione,
oppure perché vulnerabili ed invischiati in meccanismi servili che non permettono di prendere
facilmente coscienza dello stato di asservimento.
Rispetto al secondo aspetto, cioè quello dell’incidenza della componente minorile sull’universo
complessivo della prostituzione femminile, occorre ricordare che i dati ufficiali – che tra l’altro
negli ultimi anni vengono in qualche modo elaborati – ancora non permettono di cogliere
adeguatamente l’entità del fenomeno. Però sia i dati del Ministero dell’Interno concernenti i reati
di sfruttamento e di favoreggiamento alla prostituzione e quelli del Dipartimento per le pari
opportunità concernenti le donne che ricevono protezione sociale in base all’art. 18 (T.U. n.
286/98), permettono di rilevare il rapporto tra prostituzione adulta e quella minorile riferibile alle
rispettive utenze suddivise per nazionalità di provenienza.
Sia nell’uno che nell’altro caso le minori ammontano ad una percentuale compresa tra il 4 e il 6%
dei rispettivi totali, con una prevalenza di donne trafficate tra i gruppi nazionali dell’Est soprattutto
albanesi, moldave e rumene (queste ultime fanno parte del gruppo nazionale che registra una
incidenza di minori maggiore degli altri due). Un dato piuttosto significativo è quello concernente
le donne nigeriane, in quanto – pur essendo il gruppo che ha attivato un percorso di protezione
sociale in misura del 50% del totale (5.577 unità) – l’incidenza delle minorenni è piuttosto basso.
Il numero di denuncie subite per lo sfruttamento e favoreggiamento interessano, in maniera diversa,
i gruppi nazionali a seconda dei periodi storici presi in considerazione.
Ad esempio, il gruppo aggregato come ex-jugoslavo nel quinquennio 1998-93 era quello
maggiormente coinvolto, mentre alla fine degli anni Novanta il suo peso discende fino a diventare
uno di quelli più bassi. Al contrario, il gruppo albanese, il gruppo moldavo e quello rumeno non
avevano quasi nessun peso agli inizi degli anni Novanta, mentre alla fine del decennio il loro peso
è fortemente aumentato. Tra i diversi gruppi delinquenziali dell’Est quello che si è sviluppato
maggiormente rispetto agli altri è senz’altro quello albanese. Questo è passato dalle poche decine di
denuncie registrate fino al 1993 alle circa 3.600 registrate negli anni successivi fino al 1999,
rappresentando così il gruppo che detiene la gestione quasi monopolistica dello sfruttamento della
prostituzione straniera: non solo quella delle connazionali, ma anche di altri gruppi femminili
provenienti da paesi Balcani.
Nel gruppo nigeriano il numero di denuncie è piuttosto ridotto. Dato che apparentemente è in
contraddizione con quello rilevato dal Dipartimento per le pari opportunità. Infatti, i dati
riguardanti il gruppo nigeriano rilevati da quest’ultima struttura sono, come accennato, piuttosto
alti, mentre le denuncie agli sfruttatori sono piuttosto basse. Sembrerebbe, appunto, che le donne
nigeriane tendono ad uscire dal giro prostituzionale senza conflitto una volta pagato il debito
contratto con l’organizzazione e pertanto senza denunciare gli sfruttatori. Al contrario delle donne
dell’Est che contribuiscono ad attivare denuncie, ma sono più caute nel chiedere servizi e
protezione sociale.
Rispetto al terzo aspetto, cioè quello della mobilità e delle caratteristiche dello sfruttamento
prostituzionale minorile, va sottolineato il fatto che le bande di sfruttatori – sapendo di rischiare
grosso con le minorenni – attivano modalità di sfruttamento molto flessibili. Lo scopo di tale scelta
è quella di anticipare le pratiche investigative della Forza pubblica e sfuggire così alla loro
intercettazione e conseguente arresto. La mobilità appare talmente alta che è possibile definire
questa pratica prostituzionale itinerante-camminante, ossia una sorta di nomadismo a maglie strette
lungo diversi assi direzionali. Assi che si caratterizzano sia per la loro verticalità (l’asse tirrenico,
74
l’asse adriatico e l’asse umbro-casentinese-romagnolo e senese), sia per la loro orizzontalità (l’asse
padano e l’asse jonico) e sia per la loro trasversalità (l’asse irpino-salentino), mettendo in
connessione grandi e piccole città quali luoghi dello sfruttamento sessuale.
Mediamente la mobilità interessa tra il 30 e il 40% con variazioni a seconda dell’asse e degli snodi
di concentrazione e di distribuzione che si sviluppano sull’asse medesimo. Non tutta la componente
mobile è sovrapponibile a quella minorile, anche perché questa si attesta dalle 540 alle 670 unità
(ossia quasi il 5% medio del totale stimato, cioè dalle 10.000 alle 12.700 unità). Cifre che si
riferiscono alla prostituzione di strada, mentre quella che secondo gli operatori si svolge negli
appartamenti raggiunge -–per le straniere – quasi il 30% del totale. Le aree geografico-territoriali
maggiormente interessate dalla presenza della prostituzione straniera e – all’interno di questa –
dalla presenza delle minorenni sono quelle settentrionali, seguite da quelle centrali e da quelle
meridionali (a buona distanza dal punto di vista quantitativo).
Le modalità di sfruttamento appaiono le stesse nei diversi contesti territoriali. Gli sfruttatori – in
gran maggioranza - tengono le minorenni nello stesso luogo non più di una/due settimane fino ad
un mese, poi le spostano in altre parti della città o le portano in altre città ancora; sovente le
vendono - o le danno in affitto in cambio di denaro o di altre donne da assoggettare - ad altri
sfruttatori che le tengono per un periodo altrettanto breve e poi le rivendono, eccetera. Questo
continuo passaggio di minorenni da banda a banda serve agli sfruttatori appunto per non farsi
intercettare.
Avere, inoltre, una minorenne nel proprio business per alcuni sfruttatori è anche motivo di
orgoglio, di vanto delinquenziale; giacchè significa “giocare a farsi intercettare e nel frattempo
guadagno molti soldi”. Correre questo rischio per queste componenti di sfruttatori è la riprova del
loro coraggio e della loro “maturità professionale”, in quanto riflette – secondo i canoni della loro
sub-cultura - la capacità di coniugare alti guadagni in condizione di pressione investigativa da
parte della Forza pubblica. Questa caratteristica determina anche forme gerarchiche delinquenziali:
più capacità e destrezza si matura nello sfruttamento di minorenni e più prestigio ne viene in
quanto fonte di rilevanti guadagni
Ad un altro livello gli sfruttatori sono fermi e stanziali, in quanto sono le minorenni ad essere
accompagnate in città diverse per essere sfruttate. La gestione viene effettuata da sfruttatori
specializzate, con l’aiuto di fiancheggiatori che garantiscono servizi logistici alla minorenne e agli
accompagnatori. Si tratta di un livello che tocca dimensioni imprenditoriali e che utilizzata le
minorenni anche in ambienti che sono lontani dalla strada e per una clientela particolare.
Riforniscono, cioè quelli che possiamo definire bordelli-ombra presenti in molte città ma
mimetizzati da altre attività che fungono da copertura.
Il fenomeno, dunque, seppur grave e preoccupante dal punto di vista qualitativo, ci sembra, con le
dovute cautele, che non lo sia altrettanto dal punto di vista quantitativo. Le cifre proposte fanno
sperare nella possibilità che il fenomeno possa essere affrontato Non siamo davanti ad un
fenomeno che ci sovrasta e che per la sua grandezza inibisce qualsiasi tentativo di risposta. Al
contrario, siamo davanti ad un fenomeno grave che si configura come para-schiavistico, ma che
possiamo affrontare con interventi investigativi e giudiziari da un lato e di protezione sociale
adeguate dall’altro.
75
4. Le condizioni di grave sfruttamento dei minori. Le interviste ai
testimoni-chiave
di Anna Maria D’Ottavi
L’Europa intorno prosperava illesa
(da “Fiumi di guerra”
poesia di Erri De Luca)
4.1 Premessa
La metodologia di ricerca adottata per cercare innanzi tutto di fotografare la situazione e poi di
analizzarla e comprenderla, per quanto possibile, in profondità, è stata quella che si basa sulla
effettuazione delle interviste a cosiddetti interlocutori privilegiati o testimoni chiave.
Hanno cortesemente accondisceso a parlare con noi della delicata tematica dei “piccoli schiavi”
oggetti di traffico internazionale a scopo di sfruttamento sessuale e/o lavorativo dei loro corpi e
delle loro menti, responsabili ed operatori di istituzioni, servizi, organismi pubblici e del privato
sociale che affrontano quotidianamente il problema.
Gli interlocutori, con le loro parole, consentono – ognuno attraverso la propria ottica ed il proprio
punto di vista operativo e di riflessione - un confronto ed una integrazione allo stesso tempo
comparativa e cumulativa di conoscenze in un campo che si ritaglia un primato di dissimulazione,
nascondimento e mascheramento di dati, presenze, condizioni di esistenza, biografie, all’interno di
più vasti campi – quello dell’immigrazione clandestina, e segnatamente quello del “traffico” di
persone da introdurre nei mercati della prostituzione e del lavoro paraschiavistico – a loro volta già
fortemente caratterizzato, per definizione, da clandestinità, appunto, e da numeri e condizioni di vita
perlopiù “oscuri”.69
Gli intervistati valutano che all’interno del non quantificabile universo dei cosiddetti “minori non
accompagnati”, la quasi totalità dei soggetti sia utilizzata in forme paraschiavistiche di lavoro; una
quota consistente, costituita prevalentemente da maschi, in forme di lavoro per di più illegali; una
quota “residuale” ma non irrilevante - composta prevalentemente, ma non solo, da femmine – alla
prostituzione.
L’analisi dettagliata delle interviste non può prescindere dalla necessità di richiamare brevemente lo
scenario in cui le stesse si pongono sia dal punto di vista della storia e del significato delle locuzioni
che si useranno, sia da quello della cornice normativa.
4.2 Da minori stranieri a piccoli schiavi
69
Le persone sentite, che qui si ringraziano, appartengono alle seguenti organizzazioni: Associazione Differenza
Donna, Associazione Eritros, Caritas CPM di Roma, Caritas di Torino Ufficio Pastorale Migranti, Caritas Roma Centri
di Pronto Intervento per Minori, Comune di Modena -Servizio Minori, Comune di Roma - Assessorato alle Politiche
Sociali, Comune di Torino - Ufficio Minori Stranieri, Comune di Venezia – Ufficio Città e Prostituzione , OIM area
antitratta, Questura di Roma, Servizio Sociale Internazionale, Magistrato del Pool contro la violenza e l’abuso sessuale
su minori, Associazione Parsec, Associazione On thr road, Associazione Lule, Associazione Regina Pacis, Cooperativa
Magliana 80, Fondazione Internazionale L. Basso, Gruppo Abele di Torino, Cooperativa Lotta di Sesto San Giovanni,
Lega italiana Lotta all’Aids del Lazio; cfr. lista testimoni chiave
76
“Secondo la Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926 e la Convenzione supplementare di
Ginevra del 7 settembre 1956: ‘La schiavitù è lo stato o condizione di un individuo sul quale si
esercitano gli attributi del diritto di proprietà o alcuni di essi’. Pertanto ‘condizione analoga alla
schiavitù’ deve interpretarsi come condizione in cui sia socialmente possibile, per prassi, tradizioni,
circostanze ambientali, costringere una persona al proprio esclusivo servizio”70.
E’ ormai noto da tempo, e viene posto in evidenza da parte di chi si occupa di minori stranieri che si
trovano a vario titolo in Italia, che per bambini e ragazzi stranieri, è necessario innanzi tutto trovare
un accordo sulla terminologia (e sul valore significante delle parole), da cui discende anche un
possibile accordo sui dati numerici.
Ciò in quanto, ad esempio, sono stati considerati come stranieri dei ragazzi che non lo sono (ad
esempio, una parte dei Rom e Sinti nomadi con cittadinanza italiana) o, viceversa, si può voler
ignorare il fatto che alcuni bambini provengono da una cultura differente (ad esempio i minori
originari di paesi del terzo mondo adottati da coppie italiane che, come riferisce Von Blumenthal,
erano valutati a ben 30.000 già nel 1994)71; o ancora perché si tende ad attribuire al "minore
immigrato" una generica condizione di svantaggio rispetto ai ragazzi italiani; condizione di
svantaggio che non tutti i ragazzi stranieri ed originari di paesi terzi necessariamente condividono
(si pensi ai figli di dipendenti delle ambasciate e di organismi internazionali, oppure di intellettuali,
artisti, eccetera).
Esistono persino ragazzi nati in un paese straniero perché figli di emigranti italiani di ritorno, la cui
rilevazione come "nati all'estero" ha talvolta falsato i dati relativi ai minori stranieri.
Le ricerche che si sono maggiormente occupate dei minori stranieri sono quelle in ambito
educativo, formativo, scolastico. Il recente rapporto Zincone72 così riporta all'attualità le possibili
schematizzazioni di "un insieme composito di soggetti con caratteristiche personali e percorsi di
vita tra loro differenti, che richiedono molteplici sforzi di comprensione e di elaborazione di
risposte", e cioè:
-
bambini di seconda generazione nati in Italia da due genitori stranieri;
bambini giunti nel nostro paese per ricongiungimento familiare;;
bambini entrati in Italia, soli o con la famiglia, come profughi
nomadi o ex nomadi Rom e Sinti, che non emergono se si considerano solo i dati sulla
cittadinanza (possono essere italiani, ex iugoslavi, rumeni).
Come, invece, alcune ricerche hanno da tempo sottolineato, esistono ormai da anni, quote crescenti
di ragazzi stranieri "non accompagnati"73, portatori di notevoli e specifici bisogni, ma delle cui
spesso miserevoli condizioni non si è preso atto se non di recente.
I minori entrati in Italia come profughi o richiedenti asilo, rappresentano spesso una consistente
presenza in termini percentuali, se è vero che in genere i minori non accompagnati rappresentano,
durante eventi sociali di emergenza, tra il 2% e il 5% della popolazione di rifugiati 74, e che “le
donne e i bambini costituiscono normalmente circa il 75% di ogni comunità di rifugiati”75. Ma
accanto alla categoria di minori profughi o richiedenti asilo vanno considerati quei minori
clandestini che entrano in Italia non soli o con familiari, ma con “trafficanti”.
70
Umani Ronchi G., Bolino G., Bonaccorso L., La tutela penalistica dei minori contro la violenza e lo sfruttamento
sessuale (Leggi 66/96 e 269/98), in “Rivista Italiana di Medicina Legale”, XXI, 1999, p.854.
71
Von Blumenthal, V., L'educazione interculturale nelle scuole di Arezzo. Prime impressioni, in Susi, F.
(cur.),"L'interculturalità possibile. L'inserimento scolastico degli stranieri", Anicia, Roma, 1995, p.185.
72
G. Zincone, (a cura di) “2° Rapporto sull’immigrazione degli immigrati, Il Mulino, Bologna, 2001
73
G. Campani, Z. Lapov, F. Carchedi, I minori stranieri non accompagnati, Rapporto di ricerca, Università di Firenze –
Parsec, Roma, 2001
74
Cfr.Bambini in cifre, UNHCR, Roma, 2002.
75
Cfr. Rifugiati, UNHCR, Roma, n.1/2002.
77
“C’è una fascia di minori che è maggiormente a rischio, i minori non accompagnati, che significa
che non hanno nessuna protezione tutoriale e, pertanto, alcuni segmenti di questi gruppi di
minorenni possono incappare nei circuiti prostituzionali, sia per la sopravvivenza sia perché indotti
da gruppi delinquenziali che abusano della loro vulnerabilità. Costoro li costringono a sottostare alla
prostituzione coatta. Sono i segmenti più vulnerabili di questo insieme molto più ampio, che
interessa il nostro paese negli ultimi anni, che sono, appunto, i minori non accompagnati”
(Associazione Parsec).
I minori stranieri hanno, ovviamente, i bisogni di tutti i loro coetanei da cui discendono quei diritti
che, pur essendo definiti universali (diritto di avere una famiglia - possibilmente la propria un'abitazione, cibo sufficiente e vario, abiti decorosi e puliti; il diritto all'affetto e al gioco; il diritto
a ricevere un'educazione e un'istruzione, eccetera), non per questo vengono di necessità soddisfatti.
Essi hanno poi quelli che potrebbero definirsi bisogni "supplementari" i quali derivano dalla
specifica condizione di piccoli migranti (in bilico tra due paesi, due mondi, due universi simbolici)
e si differenziano in relazione alla loro provenienza (geografica e sociale), al loro sesso, al loro
essere ancora bambini o già adolescenti, eccetera. (...)
Queste considerazioni, danno la misura del deterioramento che la collocazione dei minori stranieri
ha avuto in Italia, almeno per le sue fasce più marginali, quella che abbiamo definito dei “piccoli
schiavi”, e di come per loro sia il riconoscimento che il godimento dei più elementari diritti di ogni
minore, siano astralmente lontani.
Nella presente ricerca la terminologia impone definizioni che vengono quasi rifiutate per
l’eccessivo impatto intellettual-emotivo che possono provocare: definizioni, insomma che
costringono a prendere atto di realtà che si vorrebbe ignorare, quale quella qui prescelta di “piccoli
schiavi”.
D’altra parte, dalla ricerca in questione, risulta che è particolarmente difficoltoso attingere a dati di
una qualche ragionevole fondatezza: il fenomeno esiste, se ne vedono sintomi anche quando
appaiono in maniera apparentemente sporadica nelle nostre strade, se ne avverte e se ne sottolinea la
gravità e anche la non irrilevanza numerica da parte degli operatori delle strutture di recupero (alle
quali strutture, si suppone, arriva però una minoranza dei minori sfruttati lavorativamente e
sessualmente), ma è fenomeno quasi impossibile da “afferrare” per la debolezza, vulnerabilità
ricattabilità estreme delle vittime.
L’Ufficio internazionale del Lavoro (International Labour Office – ILO), con una manifestazione
ufficiale tenuta il 12 giugno 2002 a Ginevra, e altre in diverse città del mondo, ha inteso lanciare la
prima “Giornata mondiale contro il lavoro minorile”.
Questa iniziativa può essere a ragione considerata il sintomo del fatto che, nonostante il crescente
allarme, la situazione del lavoro minorile nel mondo va peggiorando.
“Il rapporto globale A world without child labour 76– lo studio più approfondito finora realizzato
sull’argomento – indica che lavorano nel mondo 246 milioni di minori – ossia uno ogni sei minori
tra i 5 e i 17 anni. Fra i risultati più clamorosi, il rapporto segnala inoltre che circa 179 milioni di
minori tra i 5 e i 17 anni (uno su otto) è tuttora esposto alle forme peggiori di lavoro:
• Circa 111 milioni di bambini sotto i 15 anni sono costretti a lavori pericolosi dai quali
dovrebbero essere immediatamente ritirati;
76
Rapporto globale presentato nel 2002 alla Conferenza internazionale del lavoro, come richiesto dalla “Dichiarazione
sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro” del 1998 (ILO, convegno “Prima giornata mondiale contro il lavoro
minorile”, Roma, 12 giugno 2002).
78
• 59 milioni di giovani dai 15 ai 17 anni, anch’essi sottoposti a lavori pericolosi, hanno urgente
necessità di protezione e dovrebbero essere ritirati dal lavoro;
• 8,4 milioni di bambini sono sottoposti alle forme peggiori di lavoro minorile quali schiavitù,
schiavitù per debiti, e altre forme di lavoro forzato come l’arruolamento forzato in vista di
partecipazione a conflitti armati, prostituzione, pornografia e altre attività illecite. (…)
Dal punto di vista della ripartizione geografica, il maggior numero di bambini al lavoro tra i 5 e i 14
anni si trova nella regione Asia-Pacifico: 127 milioni, il 60% del totale. Seguono l’Africa
subsahariana con 48 milioni (23%), l’America latina e i Carabi con 17,4 milioni (8%) e il Medio
Oriente e l’Africa del Nord con 13,4 milioni (6%).”77
La distribuzione di questi dati potrebbe spingere a considerazioni tranquillizzanti o “minimizzanti”
circa il nostro paese, sia pur nella consapevolezza che “quando si parla di sfruttamento di lavoro
minorile e ci si interroga su quello che si fa nel proprio paese per affrontare e debellare questa
piaga, non ci si può limitare ad una visione esclusivamente ‘nazionale’, soprattutto quando in un
paese industrializzato come il nostro, il fenomeno, alla pari di altri paesi avanzati, risulta abbastanza
circoscritto e contenuto”78.
Rimane la sensazione che le metodologie di indagine e rilevazione, nel nostro paese, seguano canali
“ingessati” e poco aderenti ad una realtà sfuggente e mutevole.
Ad esempio, il Report sui dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Inail
intitolato al “Lavoro Minorile in Italia”, edito nel giugno 2002, riporta dati relativi all’anno 2000,
risultanti da violazioni accertate nelle aziende ispezionate che occupano minori e da infortuni sul
lavoro denunciati all’Inail: risulta abbastanza evidente che queste indagini lasciano fuori quel
mondo “sommerso” di cui si occupa la nostra ricerca, e non solo quello.
Quello che, però, è utile sottolineare, proprio per usare questi dati numerici – se è consentita questa
forzatura metodologica – come elementi qualitativi descrittori di una temperie culturale, di una
predisposizione etico-sociale, sono due “normali” aberrazioni di un paese in cui lo sfruttamento del
lavoro minorile risulta, tutto sommato, circoscritto e contenuto. La prima è quella che tra le
violazioni accertate (2.345 nel 1999, 2.525 nel 2000, 1.380 nel primo semestre del 2001) “le due
violazioni che sono più gravi per il minore (lavori vietati ed età di assunzione) rappresentano, in
media, all’incirca, l’11% del totale delle violazioni”79. La seconda è che “nel 2000, in Italia, gli
infortuni sul lavoro di minori denunciati sono stati 24.776”80. E’ ben vero che qualcuno potrebbe
dire “appena” 24.776 denunzie di infortuni sul lavoro occorsi a minori contro un totale di infortuni
che assomma a 1.019.032 (sic!), ma è una magra consolazione sapere che, a fronte dei 25,7
infortuni sul totale infortuni su mille abitanti 15-65 anni, sono 13,6 gli infortuni di minori su mille
abitanti della fascia15-17 anni81.
77
ILO, Convegno “Prima giornata mondiale contro il Lavoro minorile”, Roma 12 giugno 2002, relazione introduttiva,
p.2.
78
ILO, Convegno “Prima giornata mondiale contro il Lavoro minorile”, Roma 12 giugno 2002, sintesi intervento C.
Lenoci, Ufficio ILO Roma.
79
“Lavoro Minorile in Italia”, Report sui dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Inail, Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali, Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza,
Firenze, 2002. p.5.
80
“Lavoro Minorile in Italia”, Report sui dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Inail, Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali, Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza,
Firenze, 2002. p.9.
81
Cfr. “Lavoro Minorile in Italia”, Report sui dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Inail,
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e
l’adolescenza, Firenze, 2002. tavole 5 e 6.
79
4.3 La normativa di riferimento
Fin dal 1919 la Conferenza internazionale del Lavoro, alla sua prima sessione, adottò la
Convenzione n.5 – sull’età minima di assunzione all’impiego nell’industria. Le date più recenti da
ricordare sono:
• “1998: la Conferenza adotta la Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro.
L’abolizione effettiva del lavoro minorile viene inserita nell’elenco dei quattro diritti
fondamentali (gli altri tre sono: libertà di associazione e diritto di contrattazione collettiva;
eliminazione di ogni forma di lavoro forzato; eliminazione della discriminazione nell’accesso al
lavoro). La Dichiarazione prevede un rapporto globale annuale sulla situazione mondiale in
relazione ai quattro diritti fondamentali: il rapporto del 2002 verte sul lavoro minorile)
• 1999: la Conferenza adotta la Convenzione n.182 sulla proibizione delle forme peggiori di
lavoro minorile e l’azione immediata per la loro eliminazione (con relativa Raccomandazione
n.190)
• 2002: viene presentato alla conferenza internazionale del Lavoro il rapporto globale A future
without child labour come richiesto dalla Dichiarazione fondamentale del 1998.” 82
Nonostante il crescente numero di ratifiche delle convenzioni ILO n.182 – sulla proibizione delle
forme peggiori di lavoro minorile e l’azione immediata per la loro eliminazione – e ILO n.138 –
sull’età minima per l’assunzione all’impiego -, come già evidenziato, lo sfruttamento del lavoro
minorile è tornato a rappresentare una piaga endemica che i paesi occidentali non possono ignorare
essendone spesso i mandanti ed i beneficiari.
In particolare, poi, lo sfruttamento del lavoro minorile sta assumendo – in alcune componenti
marginali - spesso le forme e le modalità che configurano la riduzione in schiavitù.
In risposta all’allarme creato da queste nuove forme di riduzione in schiavitù, in particolare in
quella odiosamente specifica dello sfruttamento di minori a scopo sessuale, il nostro paese si è
dotato di una normativa apposita83.
“Analogamente alle norme contro la violenza sessuale anche con l’art.1 della L.269/98 sono state
apportate importanti modifiche al codice penale, avuto riguardo ai basilari principi contenuti nella
Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre 1989 (ratificata dal
Governo italiano con la L.27 maggio 1991, n.176) ed a quanto sancito nella dichiarazione finale
della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996. Su tali basi viene quindi
esplicitato che: “La tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a
salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale, costituisce obiettivo
primario perseguito dall’Italia” (L.269/98, art.1).
Proprio per dare pratica attuazione a siffatti ed elevati propositi gli articoli da 2 a 7 della L.268/98
vengono inseriti nella sezione I (dei delitti contro la personalità individuale), del capo III (dei delitti
contro la libertà individuale), del titolo XII (dei delitti contro la persona), del libro secondo del
codice penale, tra l’art.600 che riguarda la riduzione in schiavitù e l’art.601 relativo alla tratta e
commercio di schiavi. (…)
82
ILO, Convegno “Prima giornata mondiale contro il Lavoro minorile”, Roma 12 giugno 2002, relazione introduttiva,
p.2.
83
L. n.269 del 3 ago.98 “norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in
danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”; a cui si può far precedere dalla L. n.66 del 15 feb.96
“norme contro la violenza sessuale”.
80
Lo specifico riferimento a “nuove forme di riduzione in schiavitù” di cui al titolo stesso della
L.269/98 appare a nostro avviso quanto mai opportuno per sottolineare da un lato l’attenzione dello
Stato nei confronti del fenomeno dello sfruttamento sessuale del minore; dall’altro la giusta
collocazione delle diverse fattispecie delittuose previste dal legislatore (ivi compresa la tratta dei
minori) cui correlare la comminazione di adeguate sanzioni in relazione al bene giuridico protetto:
la personalità individuale del minore ed il suo diritto ad un libero ed armonico sviluppo
psicofisico”84.
Come viene osservato, la normativa ha consentito all’Italia di rispondere agli impegni presi in
consessi internazionali. Ma, come gli intervistati sottolineano, l’iniziativa ha dotato il nostro paese
di una legge da molti considerata all’avanguardia.
“Sull’onda emotiva di noti fatti di cronaca, il legislatore si è deciso, anche in adempimento di
impegni internazionali, ad emanare nuove disposizioni per contrastare l’odioso e crescente
fenomeno dello sfruttamento sessuale e pornografico dei minori.
Il primo dato, che colpisce per l’impatto “simbolico” che è destinato a produrre, ma anche per i non
pochi problemi interpretativi e pratico applicativi che può creare, è la collocazione sistematica dei
nuovi reati tra quelli contro la “personalità individuale”.
Più precisamente, il legislatore ravvisa nei fatti incriminati una forma tipizzata di “riduzione in
schiavitù”85 .
Nella norma del ’98, che prevede la fattispecie di “tratta e commercio di minori al fine di indurli
alla prostituzione”, l’intenzione del legislatore è stata quella di rispondere alla “industrializzazione”
di un fenomeno, di per sé non nuovo.
“A noi pare che il fenomeno che il legislatore ha inteso colpire sia sicuramente proprio quello della
mercificazione professionalmente organizzata del sesso minorile; con riguardo sia alle prestazioni
sessuali vere e proprie che alla creazione e/o riproduzione di suoni e/o immagini più o meno
“spettacolari” a contenuto erotico. In una parola ha inteso colpire “l’industria” del sesso minorile”86.
Può essere utile, ai fini del presente lavoro, richiamare le idee-forza che hanno indirizzato queste
innovazioni normative. “L’antitratta è una delle sei aree di servizio dell’OIM (Organizzazione
Internazionale delle Migrazioni). Si dice antitraffiking focal point. La missione dell’Italia ha una
particolare competenza per l’area balcanica e per il Maghreb: progetti regionali sui Balcani,
principalmente di prevenzione. Quest’anno c’è anche il finanziamento di un progetto da parte del
Ministero degli Esteri, sulla Nigeria. Questo esulerebbe dalla competenza della nostra missione, ma
dato che è uno dei principali paesi di origine delle donne in Italia, lo abbiamo ottenuto e lo gestiamo
con la Lila” (OIM, area antitratta).
“Le linee guida percorse dal legislatore nella stesura della l.269/98 appaiono le seguenti:
a. individuazione di precise figure di reato volte a reprimere specifiche fattispecie di sfruttamento
dei minori a fini sessuali (art.2: prostituzione minorile; art.3: pornografia minorile; art.4:
detenzione di materiale pornografico; art.5: iniziative turistiche volte allo sfruttamento della
prostituzione minorile; art.9: tratta di minori;
b. ampliamento delle possibilità di intervento repressivo da parte dell’autorità e della polizia
giudiziaria (art.11: arresto obbligatorio in flagranza; art.12: intercettazioni; art.14: attività di
contrasto; art.17: attività di coordinamento), con previsione anche dei fatti commessi all’estero
(art.10);
84
Umani Ronchi et al., già cit. p.853.
Flora G., La legge contro lo sfruttamento sessuale dei minori. Profili di diritto penale sostanziale, in “Studium Iuris”,
1999, pp.729-734, p.729.
86
Ibid.
85
81
c. recupero sociale del minore attraverso specifiche misure da adottarsi da parte del tribunale per i
minorenni (art.2, 2°comma); tutela dell’immagine del minore (art.8) e della sua personalità,
anche mediante particolari disposizioni processuali (art.13)”87.
Nel corso del dibattito tecnico-giuridico sulla normativa è stato osservato che “la vera novità, sotto
il profilo criminale, è rappresentata dall’incriminazione del fruitore delle prestazioni prostitutive
effettuate da minori aventi un’età ricompressa fra quattordici e sedici anni (…); incriminazione che,
grazie ad un’opportuna clausola di riserva, scatta solo quando non ricorrono gli estremi di più gravi
reati quali ad esempio quelli di violenza sessuale”88.
La norma, accanto ad una serie di circostanze aggravanti (relative all’età ed alle condizioni della
vittima, ai rapporti tra colpevole e vittima; alle modalità di condotta del colpevole), prevede una
attenuante: “l’unica circostanza attenuante speciale è costruita come condotta di ravvedimento postdelittuoso reintegrativo dell’offesa. Più precisamente viene prospettata una diminuzione di pena da
un terzo alla metà ‘per chi si adopera concretamente in modo che il minore degli anni diciotto
riacquisti la propria autonomia e libertà’, utilizzando una formula già ampiamente sperimentata in
altri settori della legislazione penale”89.
Sarebbe interessante – ma ciò non rientra tra gli scopi della presente ricerca – conoscere gli esiti, in
termini processuali ma anche sociologici, dei primi anni di applicazione della normativa.
E’ forse meglio specificare che non è reato per il “consumatore” quello di avvicinare minori fra i 16
e i 18 anni e usarne sessualmente, ma lo è per chi favoreggia e sfrutta, per di più ricorrendo alla
tratta ed alla “riduzione in schiavitù”, con violenze, minacce abusi della inferiorità psichica o fisica
del minore.
Qualche intervistato, pur nella generale buona considerazione in cui viene tenuta la normativa, ne
sottolinea l’incongruenza proprio sotto questo profilo.
“Se ci si riferisce alla prostituzione di minori di 16 anni, quindi con l’ipotesi di reato prevista dalla legge
269/98 – e l’art. 600bis comma 2 del codice penale – che sanziona il rapporto con minori di anni dai 14 ai 16
dietro retribuzione di denaro o altre utilità, quello è un fenomeno. Poi c’è la prostituzione del minore degli
anni 18 ma maggiore di anni 16, e quello non è sanzionabile. Quindi bisogna distinguere tra prostituzione
volontaria e non volontaria, poi distinguere tra i casi rilevabili penalmente e non rilevabili penalmente”.
“Qui colgo l’occasione – afferma lo stesso - per dire che una delle critiche, che ritengo più fondate, che sono
state fatte alla legge, è che non si capisce perché si debba sanzionare il reato solo fino a 16 anni e la tutela
non copra il minore fino a 18 anni” (Magistrato Pool contro violenza e abuso sessuale su minori).
Viene anche sottolineato da alcuni testimoni che la norma può consentire – anche se non si tratta di
casi generalizzabili – decisioni della magistratura che possono in qualche modo “risarcire” quanto
subito dai minori schiavizzati e prostituiti.
“Ultimamente abbiamo ottenuto un’altra sentenza, la liquidazione totale del danno biologico, il nocumento
totale che un evento del genere può causare (come per un incidente). Questa cosa è stata riconosciuta ed è
stata liquidata interamente per la prostituzione, per delle ragazze seguite da noi” (Associazione Differenza
Donna).
Altro elemento positivo della normativa in questione è la previsione formale della instaurazione del
rapporto tra tribunale ordinario e tribunale dei minori.
87
Umani Ronchi et alii, già cit., p.855, ove ci si richiama a Forlenza O., Un pacchetto di misure a tutto campo per una
legge dalle grandi aspettative, “Guida al diritto – Il Sole 24 Ore, 29 ago.1998, n.33, 40.
88
Flora G., già cit., p.730.
89
Flora G., già cit. pp.733-4.
82
“(La comunicazione tra tribunali dei minorenni e ordinari) non è facilissima. E’ sempre affidata all’iniziativa
di alcuni: quindi quelli più sensibili dimostrano piena disponibilità. Poi è anche disciplinata dalla legge sulla
pedofilia che prevede espressamente di avvertire il tribunale dei minori quando si procede per reati a danno
di minori. E’ una disposizione che obbliga anche a formalizzare questo rapporto, e devo dire che è
sicuramente utile” (Magistrato Pool contro violenza e abuso sessuale su minori).
Altra norma di particolare interesse per la ricerca in questione è quella prevista dall’art.18 del Testo
Unico sull’immigrazione.
“Nell’ambito della materia penale, sia pur con una particolare “cittadinanza”, si pone anche la
previsione, di cui all’art. 18, relativa alla possibilità di rilascio di un permesso di soggiorno per
motivi di protezione sociale a favore dello straniero ammesso ad un programma di assistenza ed
integrazione sociale adottato qualora siano accertate situazioni di violenza o grave sfruttamento nei
suoi confronti ed emergano gravi pericoli per la sua incolumità connessi al tentativo di sottrarsi ai
condizionamenti di associazioni finalizzate al compimento dei reati di cui all’art.380 Cpp o dei
delitti in materia di prostituzione”90.
Gli intervistati esprimono un apprezzamento per una norma che, come in altre occasioni si è
verificato, mette il nostro paese all’avanguardia rispetto anche agli altri paesi “occidentali”. Come si
vedrà anche nel seguito dell’analisi della lettura delle interviste, la preoccupazione è che poi,
all’atto pratico (come pure in altre occasioni capitò), la norma non abbia “gambe” per camminare ed
essere applicata in modo generalizzato ed omogeneo sull’intero territorio nazionale.
“Innanzi tutto si devono fare i complimenti per l’art.18. Nonostante i limiti è una legislazione
all’avanguardia e la sua applicazione ci è invidiata in Europa. Riguarda anche i minori, se sono vittime di
tratta” (OIM, area antitratta).
“L’articolo 18 ce lo invidia tutta l’Europa, la legge sui reati sessuali commessi all’estero è rispettabilissima.
Questa tutela dobbiamo mantenerla nei confronti delle minori che, come dicevo, sono un “affare”, per la
strada: perché non le possono mandare via, e perché fanno più clienti delle altre” (Associazione Differenza
Donna).
La norma – è bene ricordarlo, e gli intervistati lo fanno puntualmente – si applica o si dovrebbe
applicare anche a casi di sfruttamento e pericolo non necessariamente legali alla prostituzione, ma
anche ad attività lavorative. Ciò evidentemente non avviene se qualche interlocutore ritiene
necessario che la norma venga interpretata in questo senso.
“La norma deve essere chiarita, dal momento che è evidente che le minori in strada sono molte e che la legge
tuteli tutte le persone vittime di sfruttamento. Poi noi abbiniamo sempre l’art.18 alla prostituzione, ma non è
così. Riguarda la tratta e lo sfruttamento anche per fini lavorativi: per esempio il ragazzino cinese messo in
un garage per fare le scarpe, può avere anche lui l’art.18” (Associazione Differenza Donna)..
Rispetto alla concreta applicazione dell’art. 18 gli intervistati, oltre al chiarimento sopra richiesto,
evidenziano, come già accennato, la sua rarità e la sua disomogeneità.
La rarità dipende dal fatto che, per motivi vari, di solito per i minori risulta più semplice chiedere ed
ottenere un permesso di soggiorno per minore età (e non l’applicazione dell’art.18 con relativo
programma di protezione): rimedio che però vanifica ogni impegno educativo e di recupero dei
minori che, al compimento del 18esimo anno d’età, vengono espulsi.
“La prostituzione di strada riguarda queste minorenni che non possono essere espulse, che tra l’altro è
dubbio, sul piano giuridico, se possono avere l’art.18, perché comunque spetta loro un permesso come
minorenni, ma la logica attuale è che, scaduta la loro minore età, queste vengono mandate via” (…).Deve
90
Ibid, p.281.
83
essere chiaro che la persona deve essere tutelata, non è possibile che fino a 18 anni è accolto e poi mandato
via” (Associazione Differenza Donna).
La scarsa e ineguale applicazione dell’art. 18 può anche dipendere da impreparazione o “pigrizia”
interpretativa degli operatori di polizia. Gli intervistati tengono a sottolineare l’importanza della
distinzione fra le due diverse misure possibili e fra le diversissime conseguenze che possono
verificarsi per il minore interessato sia che segua il percorso sociale, sia che segua quello
giudiziario.
“Di una persona si guarda in primo luogo l’età o cosa le è capitato? Perché questo comporta un percorso per
il permesso di soggiorno diverso e con diverse opportunità. Se noi la guardiamo solo come minorenne
opteremo per un permesso per minore età, che è più facile da ottenere e per il quale la maggior parte degli
operatori è informata. A quel punto però hai determinato un percorso, perché a 18 anni scade. E’ come se ci
fosse una miopia: adesso hanno 16 anni, e fanno come se li avessero per sempre. Nella classica mentalità
italiana si pensa che in seguito si troverà un modo per arrangiarsi, dando per primi prova di poco senso della
legalità a persone che nella legalità non ci sono mai state” (OIM, area antitratta).
La disomogeneità nella applicazione dell’art.18 viene illustrata dai testimoni sia sotto il profilo
territoriale (in alcune città o regioni la sua applicazione è ragionevolmente possibile, in altre
difficilissima o impossibile); che sotto quello della interpretazione che diversi magistrati danno alla
norma.
“Oramai è consolidato che nei confronti dei minori stranieri viene rilasciato un permesso per minore età, ma
ci stiamo attivando per cambiare questa situazione. (…) Gli strumenti che l’art.18 offre sono strumenti
abbastanza validi, comunque su Roma e Lazio non credo che ci siano tante realtà che applicano queste
disposizioni. O, almeno, non ne sono a conoscenza” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas
Roma).
“Noi ci siamo riuscite, altre associazioni hanno detto di non esserci riuscite. Devi avere un PM che prende a
cuore la vicenda, che sa cos’è l’art.18 che non è un regalo che si fa alle persone prostituite, ma è una cosa
giusta che si offre a persone che, denunciando, fanno sì che si facciano questi grandi processi con queste
grandi sentenze (che poi sono 15 anni di galera). (…) Insomma, visto che ci sono questi grandi processi,
devono dare una protezione a queste persone che lo permettono col loro coraggio. Non è un gentile omaggio
l’art.18” (Associazione Differenza Donna).
In merito alla diversa interpretazione della norma si sono espressi anche giuristi e studiosi poiché
questa, oltre alle concrete disparità applicative, presenta anche scarsa chiarezza sotto il profilo della
necessità di collaborazione anche da parte del minore che, pur bisognoso e desideroso di essere
protetto, non sia in grado di rendere utili dichiarazioni alle autorità.
“La norma non è chiara nello stabilire se le condizioni di rischio necessarie per la sua applicazione
(tentativo di sottrarsi ai condizionamenti/sfruttamenti e dichiarazioni rese nel corso delle indagini
preliminari) debbano concorrere oppure siano previste in forma alternativa: difatti, mentre al 1°
comma detti presupposti sembrano essere previsti in via alternativa, dato che si usa la disgiuntiva
“o”, nel comma successivo le condizioni vengono collegate con la congiuntiva “e”. La rubrica del
capo III (“Disposizioni di carattere umanitario”) sembrerebbe consentire un’interpretazione più
ampia, al fine di riconoscere la possibilità del soggiorno allo straniero semplicemente in pericolo ed
anche non collaborante, ma le scelte in materia di collaboratori di giustizia adottate dal legislatore
da alcuni anni a questa parte potrebbero far propendere per l’opposta interpretazione”91.
Complessivamente la citazione di un brano di intervista rilasciata da uno dei testimoni, può essere
considerata rappresentativa del comune sentire degli intervistati a proposito della normativa.
91
Ibid., p.281.
84
Normativa buona, per certi versi invidiabile ma, come spesso capita nel nostro paese, priva delle
gambe della volontà e della decisione politiche che la facciano camminare.
“Qui stiamo parlando di minori che vengono sfruttati e sono costretti a prostituirsi. C’è poco da legiferare, la
legislazione che tutela i minori è già un’ottima legislazione, quella italiana. Non è che dobbiamo inventare
niente.
Per questo fenomeno dei minori stranieri ci sarebbe bisogno di una decisione politica, o come la vogliamo
chiamare. Sulla strada questi ragazzi li vediamo tutti, e non è un problema di legislazione, ma che qualcuno
disponga che vengano aiutati ad uscire dalla strada” (Comune Roma, Assessorato Politiche Sociali).
In merito alle innovazioni comportate dalla legge Bossi-Fini, intervenuta in fase di chiusura della
ricerca e sulla quale saranno necessari ulteriori approfondimenti, si osserva che “i minori non
accompagnati da nessun parente che sono ammessi per almeno tre anni a un progetto di
integrazione sociale e civile di un ente pubblico o privato avranno il permesso di soggiorno al
compimento dei diciotto anni. Una volta maggiorenne sarà l’ente gestore del progetto a dover
garantire e provare che il ragazzo si trovava in Italia da non meno di quattro anni, che aveva seguito
il progetto di integrazione da non meno di tre, che ha una casa e che frequenta corsi di studio oppure
lavora. O, ancora, che è in possesso di un contratto di lavoro anche se non ha ancora iniziato
l’attività. I permessi di soggiorno rilasciati a minori ed ex minori dovranno essere sottratti alle quote
d’ingresso definite annualmente”92
.
4.4 Le condizioni di vita oscure
I minori sfruttati e “trafficati” attraverso modalità coercitive e violente che configurano la riduzione in
schiavitù, passano da condizioni di vita durissime nel paese di provenienza, a ripetuti episodi di violenze e
minacce durante il viaggio (spesso a più tappe e per vari paesi) ed a continue cessioni, anche nel nostro
paese, “da uno sfruttatore all’altro con successivi e continuati episodi di violenza” (Caritas Torino, Ufficio
Pastorale Migranti).
“Quelli fra i 10 e i 12 anni “sono spesso ‘venduti’ o addirittura ‘affittati’ nel senso che vengono affidati ad
adulti che li fanno emigrare per usarli per acquisire redditi: accattonaggio, prostituzione, eccetera. Quelli fra i
14 e i 18 anni, invece, sono emigranti che arrivano per lavorare (e che poi finiscono in parte nella rete della
prostituzione)” (Comunità Felix)
“Ci sono ragazzi che arrivano senza niente e li troviamo sulla strada disorientati” (La Giraffa)
Condizioni alla partenza e nel tragitto
Gli intervistati evidenziano, innanzi tutto, le condizioni di deprivazione e violenza che i minori
vivono spesso già nella loro “normalità” quotidiana nei propri Paesi di origine.
“Scoprimmo, anni fa, che nei villaggi albanesi venivano appositamente scelti ragazzini che avevano delle
menomazioni, perché potessero maggiormente impietosire le persone mentre chiedevano l’elemosina nelle
strada”(Caritas, CPM)
“Le ragazze dell’Est e le ragazze Albanesi senz’altro provengono da famiglie molto problematiche,
problematiche nel senso che i parenti non si occupavano delle minori, fina da bambini, con genitori con
patologie psichiatriche, alcolismo, con almeno un membro della coppia deceduto o mai visto. Ragazze che
hanno già subito violenza nel paese d’origine (Comune di Modena, Servizio Minori).
92
Immigrazione: le innovazioni della legge Bossi-Fini punto per punto, Roma Caritas, n.4 2002.
85
“Nel ‘modello albanese’ è anche molto frequente la promessa di matrimonio, e i genitori credono in buona
fede di fare il bene della figlia. O, alle volte, pur essendo consapevoli, pensano che sia sempre meglio la vita
qui in Italia, per lei” (OIM, area antitratta).
“Dalla Romania arrivano minori che scappano dagli orfanotrofi oppure da istituti di pena per minori” (On the
road)
Per arrivare in Italia, secondo le informazioni acquisite, i percorsi sono duri e violenti. Ad esempio:
“Una minore all’età di 10 anni era stata rapita e venduta (probabilmente dal fratello maggiore). Dai suoi
sfruttatori era stata inizialmente portata in Grecia e poi in giro per l’Europa. Subì violenze di ogni tipo e così
piccola venne messa nel mercato della prostituzione. Dopo la Grecia andarono in Francia e la ragazza ci
raccontò che dopo qualche tempo aveva avuto un bambino, che era stato fatto sparire una volta che era nato.
In Francia era stata nella zona di Lione e poi era arrivata in Italia, a Torino. Qui era stata due anni. Aveva
denunciato i suoi sfruttatori. (…) Lei ci raccontò delle torture e delle violenze terribili che aveva subito,
insieme ad altre sue connazionali, cose molto forti” (Caritas CPM).
“Molte ragazze minorenni dei paesi dell’Est spesso sono state sfruttate per i primi 7-8 mesi in Albania e in
Kossovo, e poi vengono portate in Italia. I primi 7-8- mesi servono a condizionarle meglio” (Associazione
Eritros).
“Oggi molte ragazze dell’Est vengono vendute, trattate prevalentemente nei paesi extra-comunitari in cui
transitano, e quelle che arrivano in Italia sono poche se si considera che in Grecia e in Turchia ne è presente
un numero molto maggiore, perché i controlli sono meno rigorosi, le leggi favoriscono il traffico di esseri
umani” (Associazione Parsec).
“Una ragazza rumena che abbiamo seguito… Lei era molto giovane, confusa e ferita, veniva da una
situazione deprivante, la mamma alcolista, il padre secondo me abusante. Era venuta senza sapere, ma è
anche vero che a un certo punto si era innamorata di una persona che l’aveva levata da un giro di sfruttatori
rumeni per inserirla in uno di sfruttatori albanesi.(…) La trappola sentimentale è una cosa terribile, e sulle
minori è ancora peggiore” (Associazione Differenza Donna).
Condizioni all’arrivo
Qualche intervistato introduce elementi che chiariscono che l’assoggettamento del minore
“trafficato” (sia per attività lavorativo/illegali che per attività prostituiva) prosegue nel nostro Paese,
spesso sotto sfruttatori diversi a cui il minore viene ceduto a titolo oneroso.
“Sporchissimi, senza scarpe che gli venivano tolte dagli sfruttatori cosicché avessero maggiori difficoltà a
scappare. (…) Per un lungo periodo non si sono più visti questi ragazzini menomati ai semafori, mentre ora il
fenomeno si sta ripresentando” (Caritas CPM)
“(…) Era tenuta dai suoi aguzzini, insieme ad altre due ragazze, in una roulotte all’interno di un campo di
zingari, e veniva picchiata e costretta a prostituirsi. Rimase lì per 5 mesi. Poi è stata liberata grazie alle
indagini e al successivo intervento del commissariato” (Associazione Parsec).
L’assoggettamento si esercita anche attraverso il ferreo e minuto controllo quotidiano dell’attività
svolta dal minore e della sua vita: per sfruttarlo meglio e farlo “rendere” di più; per fargli sentire
sempre il morso della paura e quello della soggezione; per reprimere ogni velleità di autonomia o –
peggio – di fuga; per impedire lo stabilirsi di qualsiasi rapporto umano al di fuori da quello –
disumano – di dipendenza totale dallo sfruttatore; e così via.
86
“Il modo, il dove, gli orari in cui ci si prostituisce lo decidono gli sfruttatori, che insegnano loro le cose più
elementari per poter fare quel lavoro. Sono severi nei tempi perché non vogliono che si stabiliscano troppi
contatti con il cliente” (Associazione Eritros).
Viene poi evidenziato che le condizioni di vita e di esercizio delle attività lavorativo/prostitutive,
cambiano a seconda che queste si esercitino per la strada o al chiuso.
“Da alcune storie raccontateci recentemente possiamo desumere che, oltre alla strada, vengono utilizzati
ambienti domestici, quali le case dei clienti dove le ragazze vengono accompagnate, o altri appartamenti
privati” (Comune di Roma, Assessorato Politiche Sociali).
“Nei nostri centri sono passate diverse delle minori prostituite in strada, perché la minore che viene
prostituita in casa ha poche possibilità di scappare” (Associazione Differenza Donna).
Resta poi nello sfondo il fatto che, nei casi in cui la famiglia del minore non sia in qualche modo
consenziente (vedi par. su “La schiavitù come progetto migratorio”), la durezza delle condizioni di
vita dei minori nel nostro Paese, dipende anche dalla paura di possibili ritorsioni sui propri familiari
da parte degli elementi del racket che sono rimasti ne luogo di “reclutamento”.
“In molti casi queste ragazze decidono di ribellarsi, ma non è facilissimo, perché il sistema di “incastro”
prevede anche il ricatto, la minaccia di rifarsi sulla famiglia” (Centri di Pronto Intervento per Minori –
Caritas Roma).
“Abbiamo avuto recentemente il caso drammatico di una ragazza albanese che ha denunciato i suoi
sfruttatori e poi è venuta a sapere che suo fratello è scomparso, probabilmente vittima di una vendetta. E da
qui possiamo vedere anche tutta la pericolosità di questi individui che stanno dietro il traffico della
prostituzione” (Caritas CPM)
Gli intervistati sono quasi tutti concordi – salvo sporadiche eccezioni – sul fatto che l’arrivo e la
presenza dei minori sia in aumento negli ultimi tempi, anche se ciò non significa necessariamente
maggiore “visibilità” (sia perché molti minori vengono tenuti al chiuso di laboratori, cantine,
appartamenti dove lavorano o sono costretti a prostituirsi, sia perché chi è in strada per elemosinare
o esercitare la prostituzione non sono talvolta immediatamente riconoscibili o riconosciuti come
minorenni).
“I percorsi dei minori stranieri iniziano sempre con un discorso legato alla clandestinità” (Questura Roma).
La clandestinità rende ancora più schiavi e rende la schiavitù sempre più pervasiva. Il nesso tra
schiavitù e clandestinità può sciogliersi col tempo. Si riesce, però, ad uscire dalla schiavitù – ed in
tal caso, talvolta, anche dalla clandestinità – spesso solo a prezzo di diventare prima schiavi
consenzienti e poi complici della riduzione in schiavitù di altri (vedi paragrafo su “Che fare”).
L’altro modo per spezzare quel nesso è riuscire ad inserirsi in un programma di recupero (vedi
paragrafo su “Il progetto educativo”).
Da tempo da parte degli operatori si osserva una tendenza all’abbassamento dell’età dei minori
“trafficati” e prostituiti, e di questo danno conto i testimoni chiave più impegnati nella operatività
quotidiana.
Ciò che gli intervistati danno per certo è un numero oscuro di minori resi schiavi e prostituiti in
appartamenti, e si tratta probabilmente dei più giovani, di quelli che in strada darebbero troppo
nell’occhio. Il numero oscuro non permette di fare paragoni con il passato. Ossia quando si rileva
che il fenomeno cresce o diminuisce ci si riferisce, ovviamente, a sensazioni, a valutazioni
empiriche localistiche, cioè nel contesto dove si opera.
87
D’altra parte – data la visibilità – il rischio per chi espone i minori “su strada” è teoricamente molto
alto, ma praticamente poco concreto: questo fa propendere per la previsione di un numero oscuro
non quantificabile, certamente, ma altrettanto preoccupante.
Da una parte, osservano i testimoni, gli sfruttatori non sono degli sprovveduti, sanno che lasciare
questi minori nella stessa strada per un lungo periodo aumenta i rischi di intercettazione sia da parte
della polizia che da parte degli operatori delle unità di strada, e ciò comporterebbe una rapida
rotazione e una capillare diffusione.
Qualche intervistato sottolinea il fatto che i trafficanti – sempre più spregiudicati – stanno
addirittura prediligendo la tratta dei minori (possibilmente molto piccoli d’età) non solo per la loro
maggiore debolezza che li rende più assoggettabili, e neppure soltanto per la loro maggiore
“appetibilità” (!), ma anche per approfittare delle leggi che li tutelano o dovrebbero tutelarli.
C’è però, tra i testimoni, anche chi ritiene che l’aumento del rischio abbia un effetto dissuasivo nei
confronti dei trafficanti, i quali, di conseguenza, ricorrerebbero meno alla leggera alla tratta di
minori.
Nel bilancio rischio-profitto, secondo alcuni intervistati, è dunque la rincorsa del massimo profitto
a vincere a motivo del fatto che si agisce in presenza di un rischio che non si percepisce come
attuale, o che, addirittura si considera “virtuale”.
A parere di qualche testimone uno degli elementi che consentono agli sfruttatori, o almeno ai più
“temerari” tra di loro, di continuare il traffico e lo sfruttamento di minori e, anzi, in alcuni casi di
incrementarlo, è il controllo delle forze dell’ordine che non è dappertutto attento, incisivo, costante
nel tempo.
“La mia sensazione è che le forze dell’ordine spesso chiudono gli occhi rispetto alle minorenni per strada.
Un Commissariato qui vicino aveva proprio preso di mira le ragazze minorenni, ma non credo che tutti i
Commissariati avessero lo stesso approccio” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma).
Gli intervistati non mancano di sottolineare anche il “movente” di queste condizioni di vita infami
cui sono sottoposti questi ragazzini: il fatto, cioè, che alla base di tutto questo mercato di braccia e
di carne “giovani”, c’è in Italia, una lunga teoria di persone che traggono frutto dal loro lavoro,
dalla loro condizione di clandestinità, dalla loro brutalizzazione, dalle loro attività illegali, dalla loro
prostituzione, fino ad arrivare ai fruitori ultimi, ai clienti di strada o di appartamento.
“Sono aumentati gli intermediari nel business della prostituzione, e sempre più ci sono intermediari che si
aggiungono. Intermediari rispetto alla casa, intermediari rispetto all’affitto del documento, eccetera: sono
tutti elementi di intermediazione che rendono profitto. Pensare a una ragazza che lavora per pagarsi solo gli
interessi del debito dovuto all’alloggio, al cibo e che fa fatica ormai a gestire il gravame di tutta questa
piramide. Perché tanti, troppi vogliono guadagnare su questo business” (Comunità Felix) .
“E’ ormai certo che alcune strade vengano affittate dalla malavita locale alle bande (di trafficanti) e che i
marciapiedi vengono affittati a ore a prostitute di nazionalità diversa” (Associazione Eritros).
“Ci sono molte minori. Naturalmente la legge dovrebbe tutelarle nel senso che la prostituzione non è reato,
ma lo è essere cliente di una minorenne. Invece i clienti vanno normalmente da queste ragazze”
(Associazione Differenza Donna).
4.5 La schiavitù come progetto migratorio
L’effetto spinta
88
Gli intervistati, come è possibile rilevare nel corso di tutto questo capitolo, hanno ben presente la
trasversalità e la globalità dello svantaggio dei minori ridotti in schiavitù e condotti nel nostro
Paese. Trasversalità intesa nel senso che la vita di ciascuno di questi minori è segnata da questioni
storico-economico-politiche che attraversano e in qualche modo accomunano (pur nelle differenze
locali) i destini dei popoli “deboli”. Globalità nel senso che, quando si guarda alla vicenda del
singolo individuo, del singolo minore, è inevitabile notare – come gli intervistati fanno – che la
trasversalità della mondializzazione dello svantaggio socio-economico- politico, si estrinseca poi in
storie individuali in cui ognuno e tutti gli aspetti della personalità (psiche, famiglia, socialità,
rapporto coi pari, istruzione, affettività, sessualità, lavoro, autonomia, partecipazione, eccetera)
sono coinvolti e travolti.
“Dirò una cosa scontata, ma considero il fenomeno della prostituzione indissolubilmente legato ad un altro
fenomeno molto importante: cioè quello del flusso di migrazione che parte da un bisogno sociale, da un
bisogno economico. (…).
Occorre tener ben presenti anche gli eventi storici: il flusso dell’immigrazione delle ragazze provenienti
dall’Est ha avuto un aumento (soprattutto di ragazze slave e Kossovare) durante la guerra in Yugoslavia, il
fenomeno delle persone dell’Est è scoppiato quando il muro di Berlino è crollato. E’ chiaro che non tutto il
fenomeno della prostituzione è da imputare a disagi o a problemi personali derivanti da cambio di clima
politico e dalle profonde trasformazioni sociali ed economiche che ne sono conseguite” (Associazione
Eritros).
“Poiché il lavoro dei minori è causa e conseguenza al tempo stesso della povertà, è evidente che, se
non si aiutano prima di tutto le famiglie, sarà illusorio pensare di poter estirpare dal lavoro bambini
ed adolescenti per restituirli al percorso educativo”93
All’interno di questa consapevolezza di fondo, gli intervistati delineano, però, uno scenario in cui,
dalla schiavitù intesa in senso proprio, come coazione violenta, si passa ad una sorta di schiavitù
“semiconsensuale” e poi alla schiavitù come “scelta”, all’assoggettamento come “progetto”.
L’assoggettamento
“Con una minorenne il grado di assoggettamento direi che è pressoché totale. La personalità non è ancora
formata, non c’è la possibilità di contrattare un minimo di libertà sia in termini monetari che in termini di
indipendenza. Il condizionamento può essere sia per la paura di sentirsi completamente abbandonata, sia per
quello che capita molto spesso, che siano innamoratissime dello sfruttatore. Questo succede spesso tra le
ragazze albanesi, ed è legato anche a un tipo di cultura molto patriarcale: le donne albanesi quasi non si
concepiscono senza la figura maschile che gli dà un senso” (OIM, area antitratta).
“Il ruolo delle organizzazioni è importantissimo. Non conosco una ragazza che si prostituisce in modo
autonomo: o ha un protettore o uno sfruttatore” (Associazione Eritros).
Dalle interviste emerge anche che tra i trafficanti e i ragazzi sfruttati si possono stabilire rapporti tra
il violento ed il consensuale per i più prossimi alla maggiore età, o tra il violento ed il “persuasivo”
per i più piccoli.
“Più o meno l’elemento della violenza esiste. Tendenzialmente, però, c’è un rapporto contrattuale tra la
ragazza che si prostituisce e lo sfruttatore. Uno degli elementi che caratterizzava il rapporto tra la ragazza
albanese e lo sfruttatore-fidanzato albanese era anche un progetto: la ragazza affidava a lui tutti quanti i
proventi perché l’uomo doveva realizzare un progetto, anche se poi non si realizzava ma c’era alla base
questo come obiettivo condiviso” (Comune Venezia)
93
ILO, Convegno “Prima giornata mondiale contro il Lavoro minorile”, Roma 12 giugno 2002, sintesi intervento C.
Lenoci. Ufficio ILO Roma
89
La scelta?
Gli intervistati, come sì è accennato, parlano anche di una gamma di sfumature di possibile
consensualità da parte dei minori trafficati, che può arrivare a fa parlare – in alcuni casi e sotto
determinati aspetti – di scelta volontaria.
Come si evince da altri paragrafi, questa gradualità ha a che vedere anche con le diverse fasi della
tratta e delle risposte legislative, repressive, di recupero.
“Più recentemente, forse proprio in forza dell’art 18 e dell’impegno degli operatori, le ragazze vengono
trattenute con più con la sola violenza, ma anche con maggiori incentivi in termini di guadagno e di vita
dispendiosa.
Questo comporta una molto maggiore difficoltà nell’individuare le minorenni”. (Caritas Torino, Ufficio
Pastorale Migranti)
“Secondo me, per esempio, il cambiamento dei trafficanti albanesi è anche molto collegato all’art.18. Le
ragazze albanesi sono state le prime a denunciare, dato che il “modello albanese” di sfruttamento era molto
violento, molto pressante. (…) L’elemento nuovo di rischio li porta di più a sviluppare un modello basato sul
consenso: ‘io rischio di essere denunciato, allora faccio negoziazioni nuove e tu puoi tenerti dei soldi in più”
(Comune Venezia, Servizio Città e Prostituzione).
Qui si vuole esaminare l’aspetto della “evoluzione” dei rapporti tra trafficanti e minori, nonché
quello della “evoluzione” della imprenditorialità di sé stessi e della mercificazione del proprio
corpo da parte di alcuni di questi ragazzi.
Gli intervistati non mancano di sottolineare che spesso, il presunto o reale consenso iniziale, quando
non si basa su un inganno vero e proprio perpetrato dai trafficanti (sul lavoro che si verrà a fare in
Italia e sulle future condizioni di vita) si basa su una sorta di “autoinganno”.
“Si possono trovare situazioni in cui si sono messi d’accordo sulla percentuale e la ragazza si trattiene dei
soldi. Ma la gestione della sua vita è sempre del racket” (…).
Già non lo credo per le maggiorenni che si possano considerare libere nello scegliere la prostituzione…
Certo, delle ragazze dalla Moldavia possono venire pensando che è buona cosa guadagnare soldi, visto che
non ce ne sono. Ma nessuna sa cosa è la prostituzione qui, perché nei loro paesi è a livello di fare
l’entreneuse in locali, o la danza, o altro. Non sanno che significa stare su strada, poi sempre più in
campagna, a causa delle continue retate” (Associazione Differenza Donna).
“In una prima fase, secondo me, pur essendo traumatico l’impatto con la strada, rimane un consenso in virtù
del fatto che si vede, comunque, una possibilità di cambiamento del proprio destino. Come se lavorare in
strada fosse una tappa obbligatoria, un pedaggio che si deve pagare, uno scalino obbligato. Quando poi ci si
accorge che questo non avviene, il consenso lo si perde” (Comune Venezia, Servizio Città e Prostituzione).
Secondo qualche intervistato l’aspetto della prevalenza dell’elemento dell’assoggettamento
piuttosto che di quello della “scelta”, può dipendere anche dalla provenienza dei minori (sia per la
differenti circostanze “espulsive” dai paesi d’origine, sia per le diversità nella strutturazione
dell’organizzazione e della “evoluzione” del racket).
“Dipende dalla nazionalità: le Albanesi sono costrette, le ragazze dell’Est lo sono di meno, per le Nigeriane
non abbiamo capito abbastanza fino a che punto ci potessero entrare i problemi legati ai debiti contratti”
(Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma).
90
Si dovrebbe fare una valutazione circa il grado di libertà o di coazione che ha il minore quando
esercita la prostituzione? Si possono individuare indicatori del grado di libertà quali, ad esempio, la
gestione del denaro, la autonomia nella vita quotidiana, la frequenza con cui si prostituisce, se gli
vengono imposte modalità precise di prostituzione? Ed è “lecito” e proficuo fare ciò?
“All’interno di questo contesto è di secondaria importanza parlare di “scelta” o meno da parte delle
donne perché la forza regolatrice è costituita dal mercato, per soddisfare il quale in mancanza di
donne che “scelgono” si ricorre a coercizioni violente e a rapimenti”94. L’argomentazione vale, a
maggior ragione, quando si tratta di minori.
“Il fenomeno in generale è decisamente cambiato in questo ultimo anno: probabilmente oggi il numero di
ragazze minorenni inconsapevoli di quello che vengono a fare è proprio minimo. (…) Parlo di minorenni.
Ormai minorenni che vengono qua e ci raccontano ‘ma io sono venuta con l’idea di fare la studentessa
piuttosto che la ‘commessa’, in questo ultimo anno sono casi rarissimi. Magari lo dicono lì per lì, ma poi
viene fuori che sapevano benissimo. (…) Le ragazze, ormai, sono brave imprenditrici di se stesse, allora
credo che si possa affermare che la ragazza ingenua, rapita e portata in Italia a prostituirsi, la fanciulla che
urla e dice ‘non voglio venire’, portata con la forza, non esista quasi più” (Comune Torino, Ufficio Minori
stranieri).
D’altra parte, come gli intervistati sottolineano, la schiavitù lavorativa e sessuale come “libera
scelta”, che si osserva ora anche in minori di sesso femminile, era già da tempo osservata e
considerata come tale a proposito dei maschi.
“E’ difficile parlare di organizzazioni criminali nel caso della prostituzione minorile maschile: abbiamo visto
che molti di questi minori sono molto autonomi, nel senso che scelgono la via della prostituzione perché è
quella, per alcuni aspetti, più redditizia” (Questura Roma).
“Quelli “conosciuti”, perché esercitano per strada - o in night o alberghi per le femmine dell’ultima
generazione di arrivi – oppure per strada o in locali gay – per i maschi – sono ragazzini “diventati grandi
presto, quindi sono autonomi, sono persone molto sveglie, sanno come muoversi, sanno che cosa chiedere,
quindi sono persone autonome nella gestione di questa attività, se così si può chiamare”. (Questura Roma).
La strategia migratoria
I testimoni parlano delineando scenari in cui appare possibile – e talvolta verificato – che la tratta e
la riduzione in schiavitù dei minori, faccia parte di una più ampia strategia migratoria che lega, fin
dal paese d’origine, i familiari del minore, i trafficanti e, infine, i protettori nel paese d’arrivo.
“Qui c’è un contratto relativo – e interno – all’attività prostituzionale, tra chi si prostituisce (o i suoi
familiari) e chi fa da sfruttatore-protettore. (…). Molto spesso c’è l’obiettivo di comprare una casa, o altri
obiettivi specifici e gli sfruttatori danno alcune possibilità di poter realizzare obiettivi. Ciò vuol dire
chiaramente che tutto il guadagno non va allo sfruttatore, che una parte serve per realizzare questi obiettivi
che nascono fin dall’inizio di questo, chiamiamolo così, progetto migratorio” (Comune Venezia)
Esiste, inoltre, in molti casi, il fondato – e talvolta comprovato – sospetto che esista una
accondiscenza dei familiari alla tratta dei figli come “strategia migratoria”.
Non è improbabile che gli sfruttatori mandino direttamente denaro alle famiglie dei minori, “cosicché si crea
una sorta di collaborazione tra famiglie d’origine e sfruttatori” (Servizio Sociale Internazionale).
94
De Rossi, C., Immigrazione clandestina e prostituzione : dall’analisi sociologica alla pratica di lavoro, in “La
Rivista di Servizio Sociale”, n.3/2001, p.6.
91
“(Per i maschi) si instaura una sorta di processo di emulazione. I ragazzini (si parla di fasce d’età dai 13 ai 17
anni) possono vedere nel loro sfruttatore – che non è percepito come tale – un modello di persona che fa
soldi in breve tempo. In loro scatta l’emulazione di quel comportamento: l’importante è guadagnare soldi in
tempi brevi perché la famiglia ha bisogno” (OIM, area antitratta).
92
4.6 Cosa significa minore età e le differenze di genere
Sapersi riconoscere
E poi… cosa significa minore età? Questa è la domanda, apparentemente retorica, che si pone e ci
pone un operatore intervistato. Come si vedrà in altre parti del lavoro, emerge con nettezza la
circostanza che – al di là del fatto che diverse condizioni di provenienza rendono l’infanzia e
l’adolescenza concetti meno oggettivi e “misurabili” in termini di età di quanto abbiano rilevato gli
studiosi dell’età evolutiva e gli storici dell’infanzia – le condizioni di vita da “piccoli schiavi”
tolgono rapidamente ogni residua speranza di trovarsi di fronte a ragazzi che si percepiscano in fase
evolutiva della propria vita.
Diventati adulti a forza, con la violenza e/o attraverso le forme più bieche di corruzione, questi
ragazzi sono “irriconoscibili” – prima di tutto a se stessi, ma anche ai fruitori delle loro prestazioni e
ad una certa fetta della cosiddetta maggioranza silenziosa – in quanto portatori dei diritti propri di
tutti i minori.
Come si vedrà nel paragrafo su “il progetto educativo”, quest’ultimo consiste proprio nel condurre
questi minori a riconoscersi – e quindi a sapersi far riconoscere – in quanto soggetti di diritti.
Ma una gran parte di intervistati lamentano il fatto che le strutture per minorenni non siano adatti a
minori “trafficati” a scopo di prostituzione, proprio perché la storia di assoggettamento e di
corruzione che hanno vissuto, ne fa dei minori perduti e degli adulti mancati allo stesso tempo.
“Io sono d’accordo che siano inserite in strutture per minori, ma credo che per alcuni aspetti caratteriali e
comportamentali, le ragazze hanno bisogno di confrontarsi con ragazze che hanno vissuto lo stesso tipo di
esperienza. Deve essere fatto un lavoro caso per caso, quindi in qualche circostanza ci potrebbe essere la
necessità di altro. E comunque le strutture per minori hanno bisogno di avere informazioni su come
procedere, sull’art. 18 (vedi paragrafo sulla normativa), sui servizi sociali territoriali” (Centri di Pronto
Intervento per Minori – Caritas Roma).
“Noi che facciamo anche lo sportello di segretariato sociale presso la Questura, incontriamo lì tre o quattro
casi che ormai tutti gli operatori conoscono, che vengono sempre fermate, come una cosa di routine. Ormai
le conoscono anche i poliziotti, non possono espellerle (perché minorenni). Alcune vengono messe in case
famiglia per minori, che sono inadeguate perché, naturalmente, loro hanno una storia che le rende particolari
rispetto alle altre. Quindi scappano, poi le riprendono, poi scappano.(…) Le ragazze vengono portate nelle
case di accoglienza per minori, dalle quali scappano, perché non essendo questi posti attrezzati per il
problema della prostituzione, non sanno che fare. E’ difficile che si integrino con ragazzini che hanno tutti
altri tipi di problemi ” (Associazione Differenza Donna).
Alcuni testimoni chiave portano ad esempio di prassi di cui essi stessi, in qualità di operatori di
esperienze “pilota”, stanno verificando i buoni risultati. Sottolineano però nello stesso tempo la
necessità che si passi dalla fase della sperimentazione a quella della realizzazione programmata.
“Dal punto di vista della progettazione dei servizi, non esistono Centri di accoglienza proprio per minori che
si prostituiscono. Noi siamo un caso isolato, però non esistono strutture ad hoc. Non che le ragazze ex
vittime della tratta non potrebbero essere accolte nelle case famiglia per minori, ma rispetto ad altre coetanee
sono molto più mature, hanno altre esigenze, altri bisogni formativi” (Associazione Eritros).
“C’è il dubbio di fondo del ghetto: mettere una ragazza in una casa famiglia per minori non va bene, ma
neppure fare il ghetto va bene, e neanche va bene metterle con altre più grandi… Per questo secondo me il
centro antiviolenza sarebbe ideale” (Associazione Differenza Donna).
93
La corruzione delle aspettative, delle speranze, delle emozioni, dei progetti che ogni minore
dovrebbe poter esperire, per questi ragazzi diventa spesso non solo lo strumento del proprio autoassoggettamento (come si è visto, non importa quanto “volontario”), ma anche – in una sorta di
doppia corruzione – il grimaldello per diventare liberi (?), autonomi (?) protagonisti del proprio
progetto di vita attraverso l’assoggettamento di altri.
Le ragazze albanesi, a parere di qualche intervistato, avrebbero “fatto strada”: dal rapporto donna/sfruttatorefidanzato che la teneva nella rete di sfruttamento sulla strada, si è passati in qualche situazione ad una realtà
“dove si sono innestate ragazze rumene, ucraine, moldave, e dove evidentemente la ragazza albanese ha
acquisito un livello di potere nella rete di sfruttamento, molto spesso diventando anche, a sua volta, un
soggetto di controllo e di sfruttamento” (Comune Venezia)
Diventare donna
Gli intervistati sottolineano, in particolare, la valenza di genere dell’assoggettamento. Essere
femmina vuol dire non soltanto essere più povera, meno istruita, più ricattabile, ma – nelle società
di vecchio o rinato patriarcato (o semplicemente dominio della violenza bruta) – essere vittima della
disposizione “femminile” a conservare sentimenti positivi e fiducia nei valori umani di fondo.
“In genere le ragazze albanesi arrivavano con l’inganno in Italia, poi venivano obbligate a prostituirsi. In altri
casi c’era una sorta di plagio: me lo chiede il mio fidanzato, non abbiamo altre soluzioni in questo momento,
eccetera. Una sorta di dipendenza affettiva dallo sfruttatore” (Centri di Pronto Intervento per Minori –
Caritas Roma).
“L’assoggettamento per una ragazza così giovane è quasi sempre affettivo, non necessariamente da una
relazione sentimentale con il diretto sfruttatore, lo pseudo fidanzato. Mi sembra di vedere, nelle ragazze che
ho incontrato, che c’è la ricerca di un nucleo, la ricerca di una nuova possibilità “familiare”. Non ho avuto
l’impressione che, nella maggior parte, le ragazze minori arrivino qui col mandato familiare di andare in
Italia e portare soldi (come succede per i maschi). Arrivano qui da elementi di rottura, di difficoltà di
rapporto con le famiglie.(…). Quello che mi sembra di avere intravisto è che, in qualche modo, le minori che
arrivano qui appartengono alla fascia a rischio dove quello che viene a pesare è la condizione femminile.
Cioè l’idea che a 12 anni ti è già stato scelto quale marito, e come, perché, quando, dove, cosa farai”
(Comune Venezia, Servizio Città e Prostituzione).
Il destino della donna è dunque quello che porta dalla schiavitù degli affetti, alla schiavitù violenta,
alla schiavitù come progetto migratorio di “riscatto”?
“Mentre alcuni dicono che la prostituzione può essere anche una scelta, noi vediamo che è sempre una
violenza”. (Associazione Differenza Donna).
“Il suo sfruttatore per lei è tanto una brava persona, poverino non riesce a trovare un lavoro, per quello lei
deve prostituirsi. Non considera minimamente il fatto che lui l’abbia sfruttata, qualcosa che abbia violato la
sua persona. Lo ha fatto per amore, ma questo non riduce… è tutto riferibile alla percezione che ha di sé.
Non ha la percezione di una persona che ha una dignità, di una donna: è veramente una cosa che inerisce a
una prospettiva di genere” (OIM, area antitratta).
“Per molte ragazze minori il passaggio verso la fuoriuscita è legato all’affettività con un cliente o con un
amico, quando si crea la rottura dell’affettività che hanno stabilito con lo sfruttatore” (Associazione Eritros).
La persistenza della dipendenza da questo tipo di “scelta” – oltre alla presunta o reale autonomia
della scelta – sembra segnare un’altra differenza di genere. Ma nel caso dei minorenni la quasi
totalità degli intervistati escludono – a ragione – l’idea che possa esserci una scelta come modalità
94
di ingresso nella prostituzione, sia quando è imposta (come nella tratta) sia quando apparentemente
non sembrano esserci imposizioni.
Diventare uomo
Il traffico in entrata anche dei minori maschi è quasi sempre legato alle reti di moderni mercanti di
schiavi (anche se i minori di sesso maschile, almeno nelle intenzioni, dovrebbero essere avviati
all’accattonaggio, ad attività illecite, o da attività lavorative irregolari e coercitive).
“Per i minori maschi è un po’ diverso, anche come forma di reclutamento e di introduzione nel territorio. Le
minori femmine normalmente vengono avvicinate dai trafficanti con varie proposte. I minori maschi
normalmente sono consegnati dalle famiglie stesse ai trafficanti, consapevoli che i ragazzi andranno… I
ragazzi sentono un po’ il loro ruolo di salvatori della famiglia, sono come dei messaggeri inviati e sono
anche orgogliosi del loro ruolo. Le loro aspettative, quando vengono, sono molto alte, e comportano anche la
disillusione del tipo di progettualità che gli viene proposta quando entrano in contatto con i servizi” (OIM,
area antitratta).
“La prostituzione maschile è qualcosa di poco chiaro. Sappiamo ancora poco. Non ne ho notizie
approfondite. Non credo che un parente, anche non stretto, possa indurre un maschietto a questo tipo di
attività, piuttosto ne cerca di altre, più maschili: come lo spaccio, l’accattonaggio, il furto. Sono
utilizzatissimi al riguardo i bambini rumeni” (Associazione Parsec).
Il passaggio alla prostituzione è, per i più piccoli, quasi sempre legato a reti “prostituzionali”, per i
più grandi (similmente a quanto accade per i minori italiani che si prostituiscono in ambienti
omosessuali), ad iniziative (individuali o di gruppo) emulative di esperienze altrui, all’interno o
all’esterno del gruppo di propri connazionali.
“Si entra clandestinamente, si gira un po’ l’Italia, si conosce un connazionale o un italiano che da tempo fa
questo genere di cose e quindi si entra a far parte di un gruppo che può essere più o meno ampio. Gli
elementi che portano al determinarsi di questi percorsi, a permanere in questo circuito, sono prettamente
economici”. (Questura Roma)
“In una ricerca fatta di recente abbiamo riportato alcune storie di ragazzini del Bangladesh, dello Sri Lanka,
del Marocco, coinvolti nel traffico di droga che non riescono ad essere così abili e, per poter guadagnare
denaro, si prostituiscono. Diciamo che il bambino, una volta che è stato utilizzato per portare quei 10 Kg. di
droga, non serve più, rimane allo sbando. Per sopravvivere si coalizzano in piccoli gruppi dove un po’ si
fanno assistenza, un po’ incappano in questo tipo di attività, capiscono che per sopravvivere si possono
anche ottenere 50 mila lire da una prestazione sessuale” (OIM, area antitratta).
I testimoni intervistati ritengono anche che sia abbastanza frequente che i minori in questione,
sebbene inseriti in progetti di recupero, continuino la loro attività prostituiva come fonte di
guadagno facile (o di unico guadagno possibile?).
“Abbiamo avuto casi di ragazzi stranieri (di sesso maschile) che si sono prostituiti. Di ragazzi albanesi
abbiamo avuto un solo caso, e per gli Albanesi è difficile che venga fuori questa cosa. Invece molti ragazzi
rumeni, che sono spesso minori non accompagnati. Abbiamo avuto molte segnalazioni dalla Polizia, ma
anche dai ragazzi stessi ce lo raccontavano (…).
… detto sinceramente… si tratta di molti soldi e, considerate le condizioni economiche dei paesi da cui
provengono, questi facili guadagni attraggono. E’ un problema serio ed è difficile dare un’alternativa. Certo,
l’offerta di servizi, la regolarizzazione, che noi spesso usiamo come
aggancio… però in molti ragazzi non è un elemento che li distoglie dall’attività. Con i ragazzi con cui
abbiamo avuto rapporti di aiuto siamo riusciti a fare qualcosa, però sappiamo benissimo di ragazzi che pur
95
essendo inseriti in comunità quando sono in libera uscita tornano a prostituirsi” (Centri di Pronto Intervento
per Minori – Caritas Roma).
La prostituzione maschile, a parere degli intervistati, sembra, dunque, più che altro un mezzo per risolvere
problemi economici, si può parlare, come dice un testimone, di “’marchettari’ che accettano di farlo”.
(Caritas Torino, Ufficio Pastorale Migranti)
Anche se qualche testimone, rilevando che si tratta, per la maggior parte, di adolescenti di 15, 16 anni fino
alla maggiore età, ma che non mancano casi di ragazzini di età ancora inferiore, osserva che “ovviamente
essere prostituito in età così tenera è anche un nocumento per la percezione della tua stessa identità sessuale.
Non c’è niente di male se un omosessuale nasce per esserlo, ma può darsi che un ragazzo di questi non lo
fosse, possono cambiare le percezioni della propria realtà sessuale in modo coatto” (Associazione Differenza
Donna).
“A Roma la prostituzione minorile maschile è suddivisa in Italiani e stranieri. Numericamente sono più gli
stranieri”. (Questura Roma)
Gli intervistati, nel caso della prostituzione minorile maschile, sembrano propendere per una
“scelta” (per lo più temporanea) da parte del minore, perché non è conosciuta l’esistenza di vere e
proprie organizzazioni per l’induzione a, e lo sfruttamento di questo tipo di prostituzione di strada.
“Non abbiamo mai riscontrato fenomeni criminali intorno alla prostituzione minorile maschile: certo chi
gestisce il locale è chiaro che ha un introito da queste situazioni, ma non ci sono apparati criminali di chi sa
quale livello dietro a questa situazione”. (Questura Roma)
“I motivi che possono portare un minore a prostituirsi sono molteplici. Ne ho trovati alcuni che si sono
prostituiti per un tempo limitato per motivi strettamente economici, quindi lo hanno fatto sapendo cosa
facevano, ma sotto il bisogno economico. (…) Gli stranieri che ho incontrano sono quelli che rientrano nella
fascia di chi lo fa per necessità (…).
Non ho in mente casi di sfruttamento di prostituzione minorile maschile con violenza” (Magistrato Pool
contro violenza e abuso sessuale su minori).
Poiché si esplica maggiormente “in locali non aperti a tutto il pubblico”, la prostituzione minorile
maschile gode probabilmente di un qualche tipo di “protezione”, che però gli intervistati non
collegano tout court alla malavita violenta e/o organizzata.
Qualche intervistato suppone l’esistenza di organizzazioni per lo sfruttamento della prostituzione
minorile maschile (come accade per quella femminile) che si esercita al chiuso
“Poi c’è la prostituzione non di strada che coinvolge minorenni maschi e femmine e che praticamente è la
pedofilia ed è una prostituzione completamente differente. Coinvolge pure maschi e soprattutto bambini più
piccoli. Molti maschi e femmine minori sono coinvolti in giri di pedofilia in cui sono prostituiti”
(Associazione Differenza Donna).
Ma la presenza di minori stranieri oggetto di tratta e sfruttamento in questa forma è un dato non
accertabile dal punto di vista numerico neppure induttivamente, così come è molto più difficile
individuare le reti di induzione e favoreggiamento.
Che fare
I minori che vengono assoggettati ad una vera e propria riduzione in schiavitù per essere avviati ad
attività lavorative e/o illegali nei paesi ricchi, tra cui l’Italia, provengono da paesi che hanno forti
tensioni sociali e politiche, nonché economiche ed istituzioni fragili. Ai vuoti di potere e alla nascita
96
di mafie locali (capaci di collegarsi con quelle internazionali), si aggiunge la vulnerabilità del
tessuto connettivo di identità, di progettualità condivise, condizioni che producono anomia sociale.
“Nei Paesi in cui non c’è un sistema di sicurezza sociale o un sistema sanitario, ci sono mille contingenze per
un uomo o una donna che non hanno più modo di lavorare e perciò perdono i mezzi per sopravvivere e
mantenere i figli. Questi ragazzi vengono sicuramente da situazioni di bisogno economico, che ha le radici in
altri problemi più grandi” (Comune di Roma, Assessorato Politiche Sociali).
“Nell’Europa dell’Est spesso si trovano famiglie dove la figura maschile non esiste più o non è mai esistita.
Il contrasto con la madre, con la piccola che cresce, per tutta una serie di rivendicazioni naturali in quel
periodo, che risultano pericolose per il desiderio di indipendenza naturale nel processo di crescita… significa
scappare da casa e incontrare il tizio o il caio che ti reclutano, oppure rivolgersi ad amiche che ti
suggeriscono persone che ti possono aiutare ad andar via” (OIM, area antitratta).
Ma simile anomia è la condizione uguale e contraria, è la conseguenza, anzi – si potrebbe dire – di
quella anomia, ormai da tempo diffusa, da cui le opulente società occidentali si sono lasciate
pervadere per cui ogni corpo umano può essere mercanzia, anche quello di un bambino, e ciò può
diventare la base di una vera propria “industria”, nella quale il fine del profitto giustifica ogni
scellerato patto di compravendita.
“Di fatto all’interno della globalizzazione economica e dei suoi meccanismi anche l’industria del
sesso diviene impresa capitalistica che garantisce ingenti profitti a fronte di manodopera a costo
zero. Tale manodopera vive spesso in situazione di totale asservimento e di violazione dei diritti
umani più elementari ed il commercio di donne e bambini è diventato un’industria su larga scala
collegata allo sviluppo economico in diverse parti del mondo: il traffico porta le donne (e i bambini)
dei paesi in via di sviluppo verso l’occidente e gli uomini occidentali verso i paesi in via di
sviluppo”95 per praticare il turismo sessuale. Alimentando così un circolo vizioso.
Gli intervistati sostengono che ciò che è innanzi tutto importante è che, per arrivare ad ogni ipotesi
di soluzione e prevenzione di questo problema, sia necessario comprendere bene le cause che lo
producono e lo fanno perdurare e crescere nel tempo.
“Bisognerebbe prima di tutto studiare le differenze socio-culturali, per quanto riguarda tutti i Balcani. Sono
persone che hanno valori diversi dai nostri, come i nostri sono diversi da quelli della Svezia e della
Danimarca. Se si affronta il problema in modo intelligente, si riescono a capire delle realtà tanto diverse dalle
nostre, ma se si parte dal punto di vista della meraviglia e dello scandalo non si arriva a nulla, e lo stesso vale
se si parte da una posizione politica preconcetta. Bisogna avere la voglia di capire come sono fatte le persone
diverse da noi” (Servizio Sociale Internazionale).
“Siamo in contesti – come quelli da cui provengono i minori che si prostituiscono - nei quali l’individualità è
percepita in modo molto minore da come la percepiscono i nostri adolescenti. Il loro è un ruolo molto
familiare, fortemente collettivo, il destino della famiglia è il loro stesso destino e per loro è un onore di
vedere riconosciuto questo ruolo, venir percepito alla stessa stregua del padre” (OIM, area antitratta).
Altri intervistati ritengono molto utile (anche se certo non risolutivo) un atteggiamento
estremamente rigoroso nella repressione di sfruttatori, protettori e fruitori delle attività illecite cui i
minori sono costretti.
“Noi siamo convinti che Modena-città diventa una di quelle tappe pericolose per le organizzazioni devianti.
Si sono cioè accorti che lasciare una ragazza minore sulla strada significava che veniva subito portata via.
Hanno provato negli appartamenti, ma poi il fatto di essere stati denunciati per violenza ha creato un certo
problema. Grossi problemi anche ai clienti, sotto questo aspetto. (…)
95
De Rossi, C., Immigrazione clandestina e prostituzione : dall’analisi sociologica alla pratica di lavoro, in “La
Rivista di Servizio Sociale”, n.3/2001, p.6.
97
Questa azione, secondo me, ha fatto in modo che in città arrivassero molte meno minori” (Comune di
Modena, Servizio Minori).
Ma ciò su cui gli intervistati concordano è la prevenzione. Prevenzione attraverso concrete
iniziative di cooperazione internazionale (in merito alle quali si rimanda al paragrafo “Il perché
della scelta: Albania e Romania”), ma anche attraverso campagne di informazione e azioni
concordate di intelligence nei e coi paesi di provenienza dei minori.
“Il lavoro vero e proprio di prevenzione dovrebbe essere fatto nei paesi di provenienza. (..) Come lavoro di
informazione di massa nei luoghi in cui il fenomeno della tratta è appunto un fenomeno di massa (…).
Dovrebbero esserci grandi (iniziative) che fermano il discorso della tratta a monte, il problema non si deve
spezzare quando arriva, ma bisogna combatterlo altrove. Con la prevenzione, ma anche creando commissioni
d’indagine internazionali che rendano più facili gli interventi delle forze dell’ordine e i contatti tra le forze
dell’ordine dei vari paesi” (Associazione Eritros).
“Molti Stati, come l’Albania, la Moldavia, il Kossovo, la Serbia, Stati di quest’area balcanica che è quella
che negli ultimi anni è stata uno dei grandi serbatoi (e anche la stessa Nigeria), cominciano a modificare le
strutture normative. Ma lo si sta facendo con molta lentezza.
Le cose dovrebbero essere maggiormente legate, coordinate da una sorta di regia a queste iniziative dei
singoli Stati. Dato che il problema è transnazionale, dovrebbe essere favorita con maggiore celerità la
costruzione di banche dati, per combattere le organizzazioni implicate.
L’altro elemento forte è quello della cooperazione sociale, la possibilità che si possano istituire dei servizi,
dei programmi a carattere bipolare: ossia dei programmi che hanno la stessa capacità d’impatto in Italia e, ad
esempio, in Albania. Con la ricerca e la costruzione degli stessi standard d’intervento. Questo aiuterebbe
molto anche i rientri cosiddetti onorevoli” (Associazione Parsec).
4.7 Il progetto educativo
L’accesso ai servizi
Concepire e realizzare un progetto educativo e di recupero per minori così segnati dalla propria
esperienza di vita, non è facile.
Come è stato osservato a proposito di donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, “nel
contatto quotidiano con gli operatori l’immagine che rimandano è quella di persone per le quali
l’emigrazione o per meglio dire la loro tratta comporta perdita di sé, sradicamento e alienazione
sociale e culturale”96.
Si può solo immaginare, ma non facilmente comprendere in profondità, come tale condizione vada
ad incidere su personalità in evoluzione come quelle dei e delle minorenni, quella che un
intervistato ha definito “stato di totale soggezione del sé”.
“Il non aver potuto, all’epoca, usufruire di nulla, il non conoscere nulla fanno sì che le loro storie vadano
sempre peggiorando sul piano dei rapporti, della vita… perché poi è una discesa verticale, se non si
interviene in tempo.” (Associazione Differenza Donna).
La normativa (come si vedrà nell’apposito paragrafo) e la nascita di una rete di risorse del privato
sociale ed istituzionali, consentono nel nostro paese una risposta tempestiva quando si presentano
necessità di intervento per qualcuno di questi minori.
96
De Rossi, C., Immigrazione clandestina e prostituzione : dall’analisi sociologica alla pratica di lavoro, in “La
Rivista di Servizio Sociale”, n.3/2001, p.9.
98
I servizi, insomma, prendono immediatamente in carico il minore ridotto in schiavitù – quando ne
ricevono segnalazione – perché danno rilievo al fatto che sia minorenne e grazie al fatto,
sottolineato dagli intervistati, che la normativa lo consente.
Perché la risposta tempestiva diventi anche efficace, è però necessaria una serie di condizioni che
non sempre si verificano.
E’ innanzi tutto necessaria una certa misura di volontarietà nell’intraprendere un percorso:
volontarietà senza la quale ogni impegno da parte di operatori e volontari risulta inutile.
“Se non c’è una chiara richiesta d’aiuto le ragazze in genere scappano. Diciamo che di tutte le ragazze con
questi problemi che abbiamo accolto, il 5-7% sono quelle che siamo riusciti ad aiutare concretamente (…).
Faccio un esempio. Da questa estate abbiamo accolto tre ragazze di cui una veramente piccoletta, di neanche
15 anni. Ci veniva portata dalla Polizia ogni notte, perché lei puntualmente scappava appena i poliziotti
andavano via. Abbiamo cercato di capire che tipo di intervento si poteva fare con i poliziotti e l’unica
formula possibile, che fu adottata, era quella di prendere la ragazza alle prime ore della sera e trattenerla il
più possibile in Commissariato, e veniva portata da noi la mattina, per evitare che si potesse prostituire in
quell’arco di tempo. Ma era un intervento vano perché comunque tutte e tre scappavano appena raccolte”
(Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma).
Ci si domanda – per inciso - se non fosse possibile scoprire i “protettori” da cui evidentemente la
minore tornava ogni volta, o perseguire i “clienti” che la frequentavano in un posto evidentemente
noto, se è vero, come è vero, che la normativa del nostro paese offre ampie possibilità di manovra
all’autorità giudiziaria.
“Tutte le ragazze ci arrivano perché condotte dalle forze dell’ordine. Non abbiamo avuto che pochi casi in
cui c’è stata una segnalazione diversa: due o tre” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma).
“All’inizio le ragazze venivano intercettate dalle Forze dell’Ordine, attualmente – diciamo negli ultimi anni –
un ruolo importante lo svolgono le Associazioni territoriali e anche alcune fasce di clienti” (Associazione
Parsec)
Come osservano i testimoni, è molto difficile che ci sia iniziativa o scelta di fuoriuscire da parte dei
minori, dato che i tradimenti subiti, le condizioni di soggezione e violenza in cui hanno vissuto,
hanno prodotto in loro diffidenza, sfiducia e paura generalizzate.
“I minori sfruttati e ‘trafficati’ ricordano, ricostruiscono talvolta, nel contatto con gli operatori nel corso del
programma di recupero - o lo scoprono nel momento in cui si esamina la possibilità di un rientro – di essere
stati venduti da persone nelle quali avevano fiducia, o addirittura da familiari”. (Comunità Felix).
“E’ difficile. E’ un problema con tutte le ragazze che difficilmente danno la loro fiducia a qualcuno, avendo
incontrato persone così tremende. Con le minori è un po’ più difficile, perché il trauma è più grosso”
(Associazione Differenza Donna).
“Anche se viene approcciata, la minorenne è sottoposta a un grado di sudditanza maggiore, è molto faticoso
per l’operatore agganciarla emotivamente. E’ lì che bisogna avvicinarsi per riuscire ad avere un
comportamento proattivo da parte sua.
Percependosi più piccoli e vulnerabili, si attribuiscono al trafficante doti che lui non ha: “mi troverà
ovunque, si vendicherà in ogni caso, dovunque io scappi…” Il trafficante è il punto di riferimento, in
positivo o in negativo, e comunque ci si aggrappa. Quindi si dà meno fiducia all’operatore, perché sarà
sempre meno potente del trafficante che avrà già dato prova della sua potenza” (OIM, area antitratta).
La diffidenza e la fiducia
99
E questa diffidenza è vissuta nei confronti di chiunque, anche di coloro che istituzionalmente
dovrebbero e potrebbero aiutarli.
“Tutto è pericoloso perché è sconosciuto: la polizia si associa a quella del paese d’origine, i servizi sociali –
si chiedono – perché mai dovrebbero aiutarli? Magari pensano che si avvicinano per poi espellerli. Il
trafficante anche agisce in questo senso, dando questo tipo di informazioni deviate” (OIM, area antitratta).
La diffidenza può essere superata solo con una disponibilità durature ed a prova di fughe e
ripensamenti, da parte degli operatori con cui questi ragazzi entrano in contatto.
“E’ stata una vicenda molto lunga, perché lei è scappata più volte e ogni volta l’hanno ripresa, e noi eravamo
sempre qui pronte per lei, che sapeva che esistevamo, ma doveva capire fino a qual punto” (Associazione
Differenza Donna).
“Il motore, alla fine, è la costanza con la quale l’opportunità viene offerta” (OIM, area antitratta).
Altro elemento da neutralizzare è quello della vergogna, della autocolpevolizzazione.
“Nel centro antiviolenza c’è il presupposto che chiunque viene qui è vittima di violenza, e questo è
sollevante dal peso del giudizio” (Associazione Differenza Donna).
Stabilito il rapporto operatore-minore, questo deve svilupparsi e consolidarsi attraverso l’ascoltonarrazione, l’empatia-autobiografia, l’accettazione-ricostruzione della propria vicenda.
“La narrazione diventa lo strumento del rapporto. Quindi il bravo operatore analizza, ascolta, riflette sul
racconto e comincia la relazione dialogica, in termini tecnici” (Associazione Parsec).
Gli operatori intervistati mettono in evidenza il lungo e faticoso percorso che è necessario per
“agganciare” ed accompagnare un minore verso un programma di recupero, sottolineando che, una
volta superate la diffidenza e la paura, il nemico da battere può essere, in certi casi, l’ambivalenza.
Quando ci si trova di fronte a ragazzi i quali, accanto alla coazione fisica e psicologica, hanno
dovuto soggiacere a quella del guadagno, del denaro “facile”, si osserva che questa situazione
comporta anche una maggiore difficoltà nel cercare di condurre verso un percorso di recupero i
minori individuati ed avvicinati, specie se ciò comporta quella che considerano una “delazione” nei
confronti degli sfruttatori.
Come è noto, l’operatore tenuto alla segnalazione all’autorità, quando viene a conoscenza della
violenza sessuale perpetrata a danno di minori (e la violenza si configura anche nelle forme della
minaccia, dell’abuso di autorità, dell’abuso di inferiorità fisica o psichica che rendano possibile
qualunque atto avente una qualsiasi valenza sessuale) può e deve, attraverso il cosiddetto “consenso
informato” “effettuare con serenità la segnalazione, sicuro di non infrangere in alcun modo il
dovere di riservatezza, in quanto preventivamente abilitato a farlo dal proprio assistito – reso edotto
delle conseguenze della denuncia” 97
Il principio del “consenso informato”, al di là della sua applicazione nel caso di figure cui fa carico,
in presenza di reati perseguibili d’ufficio, l’obbligo penale della segnalazione (pubblico ufficiale,
incaricato di pubblico servizio, chi esercita una professione sanitaria), è un utile elemento di
riflessione e può diventare un ancor più utile strumento educativo per la acquisizione di
consapevolezza di quei minori che denunziano senza essere ancora consapevoli di ciò che questo
deve davvero comportare in termini di crescita personale, o – peggio – denunziano in prospettiva di
97
F. Frati, Il comportamento dello psicologo nei casi di presunto abuso sessuale nei confronti di minori, in “La
Professione di Psicologo. Giornale dell’Ordine Nazionale degli Psicologi”, n.3/2002, p.18.
100
adesione “libera” alla “scelta” prostituzionale che fino a quel momento percepivano, o mostravano
di percepire, come coatta.
“Questo fenomeno sta diventando frequente: le ragazze sono molto combattute, molte denunciano e poi
ritornano sulla strada. Non si capisce il perché. Probabilmente vogliono liberarsi dallo sfruttatore per poi
mettersi in proprio” (Comune Torino, Ufficio Minori stranieri).
Ovviamente la mancata volontarietà nella decisione di aderire ad un programma di recupero, la
ambivalenza nella scelta, comportano per alcuni gruppi di ragazze difficoltà di realizzazione
positiva di progetti di reinserimento sociale.
“C’è il riscontro anche dell’atteggiamento con cui queste ragazze si pongono nei confronti dell’inserimento
sociale. Perché siamo nel paradosso che molte sono in dubbio se poi conviene rimanere all’interno di un
percorso sociale che ti garantisce – certo – una certa tranquillità, un permesso di soggiorno, una vita normale,
a fronte di guadagni che nessun lavoro onesto e lecito sarebbe in grado di permettere”. (Comune Torino,
Ufficio Minori stranieri).
“Le cause a cui imputare gli allontanamenti dai servizi di accoglienza riguardano spesso uno scarso interesse
per gli studi o i corsi di formazione, una certa forma di attaccamento al danaro, un bisogno di guadagnare:
perciò una ridotta possibilità di concludere il percorso di reinserimento.
La ragazza non vede prospettive nell’immediato, le sue esigenze non vengono soddisfatte” (Associazione
Eritros).
Il percorso educativo basato sull’ascolto
Gli intervistati, dopo aver esposto e dettagliato le difficoltà per iniziare un percorso di recupero,
illustrano anche i passi che poi devono essere fatti perché il percorso iniziato proceda, e gli
ingredienti che reputano indispensabili al suo successo sono altrettanto significativi. Gli ingredienti
individuati sono sostanzialmente quelli che devono tendere ad un unico obiettivo di fondo: la
“normalità”. Queste ragazze devono essere accompagnate verso un’esistenza “normale”, in cui la
autostima ritrovata sia la loro vera difesa.
“I nostri minori si dice che siano protetti, ma in realtà è una finta protezione: l’unica protezione che essi
hanno è quella psicologica, di preparazione che noi gli diamo, che serve per non ricadere una seconda volta
in un tranello del genere” (Associazione Eritros).
“Hanno diritto di finire gli studi, di imparare un mestiere. (…) Insomma, normalità: il minore ha bisogno di
normalizzazione” (Associazione Differenza Donna).
Gli intervistati sottolineano l’importanza di un approccio che tenga conto innanzi tutto degli aspetti
psicologico ed educativo.
“Dietro ogni minore c’è un grosso lavoro fatto dagli psicologi, per aiutarlo a superare il trauma subito senza
sottolineare in modo diretto che si sta facendo un lavoro psicologico. Infatti l’approccio dei nostri psicologi è
quello di lavorare con le ragazze come operatori.
Questo, con i minori, è più efficace che non utilizzare uno psicologo “ufficiale”, esterno alla struttura, che si
presenta come specialista, aumentando così i problemi. Spesso nelle culture di provenienza lo psicologo è
associato all’idea di pazzia. (…).
Il lavoro dello psicologo e degli educatori è estremamente complesso e delicato, perché non bisogna
dimenticare che sono sempre delle vittime e portano su di sé i segni e le conseguenze di ciò che hanno
subito” (Associazione Eritros).
101
Il percorso educativo che, come viene sottolineato dagli intervistati, con soggetti che hanno questa
storia deve essere rigoroso ma allo stesso tempo sensibile alle differenze individuali nella capacità
di riavvicinarsi alla socialità ed alla legalità, deve essere orientato verso il recupero del rispetto di se
stessi e degli altri.
“Il nostro lavoro più grosso sta nell’insegnare alle nostre utenti un comportamento idoneo nei confronti della
società, rispettoso nei confronti di se stesse, e soprattutto che evitino comportamenti a rischio per se stesse.
(…)
La mera rigidità non è efficace nel processo educativo, nell’apprendimento di norme sociali: bisogna saper
coniugare fermezza ed elasticità” (Associazione Eritros).
Ovviamente l’accoglienza e la presa in carico di questi minori deve, accanto al fondamentale
elemento relazionale, mettere in moto tutta la indispensabile serie di risposte concrete a problemi
immediati.
“Il percorso che noi proponiamo è, intanto, l’accoglienza e l’ascolto. Cerchiamo di allacciare una buona
relazione d’aiuto, li teniamo fintanto che non si trova un’altra soluzione di accoglienza, facciamo tutti gli
screening sanitari. Poi c’è la parte burocratica: contattiamo il giudice tutelare, segnaliamo al Comitato minori
stranieri. Quindi si avviano più canali, per i vari aspetti, e cerchiamo di individuare un obiettivo finale. (…)
Siamo orientati per un’integrazione, quindi cerchiamo di capire le risorse della ragazza, le possibilità di
studiare o di lavorare” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma).
A parere di non pochi intervistati uno degli elementi principali che determinano la riuscita positiva
di un percorso di autonomia è il “completamento del percorso migratorio”, che inizia con
l’ottenimento del permesso di soggiorno mediante l’utilizzo dell’art. 18 – che dà o restituisce una
identità sociale e talvolta persino individuale – e successivamente con un inserimento sociale,
lavorativo e affettivo – che la completa. Ecco che, in quest’ottica, uno degli elementi di base del
percorso è quello della soluzione del problema del permesso di soggiorno.
“Il lavoro che stiamo facendo è quello di fargli avere i permessi ex art.18, avendo grande cura di aiutarle
nella ricerca di lavoro, in modo che dopo 6 mesi, quindi ancora nella minore età, riescono ad avere la
conversione per motivi di lavoro(il minore già dai 16 anni può lavorare) e non possono essere più mandate
via” (Associazione Differenza Donna).
“(E’ necessario) che la proposta del servizio sia legata alla prospettiva di completare il loro percorso
migratorio, anche per i minori. Nel loro sogno c’è un percorso da completare e tu devi garantire che questo
percorso giunga fino alla fine. La cosa primaria è l’ottenimento del permesso di soggiorno, che rappresenta il
primo passo di questa garanzia. Tutte le ragazze, anche quelle minorenni, sentono il peso della clandestinità”
(Associazione Eritros).
La normalità a cui si deve far arrivare questi ragazzi, come sottolineano i testimoni, deve essere
fatta, dunque, non solo di studio e lavoro, ma anche di socialità, di affettività, di autostima, di
amicizia, di fiducia, di spensieratezza persino amore.
“Seguono dei corsi di formazione e spesso qualcuno tende a finire gli studi. Successivamente c’è
l’inserimento lavorativo vero e proprio” (Associazione Eritros).
“Con i minori prostituiti, maschi e femmine, stiamo mettendo su, col progetto “Oblò”, una rete integrata di
servizi di agio, di cultura, di musica. Abbiamo rapporti con ludoteche, con laboratori, perché ci teniamo che,
dopo questo orrore, questa difficile ricostruzione del sé possa avvenire con tutto il supporto. Supporto
psicologico – abbiamo psicologhe specializzate per l’età evolutiva – ma anche con il “lusso” di poter
imparare a suonare, a ballare o a dipingere” (Associazione Differenza Donna).
102
Un intervistato, a proposito di una ragazza che, al termine del programma di recupero, oltre ad una
sua attività, ha anche un fidanzato, sottolinea l’importanza del riequilibrio affettivo.
“Per tutti noi la spia che la reintegrazione ha avuto successo è quando si fa pace con il proprio corpo e con
l’altro sesso, quando ci si apre di nuovo a poter dare e ricevere amore” (OIM, area antitratta).
Il rientro nel paese di origine
Le ipotesi e le reali possibilità di rientro nei propri paesi d’origine, come è noto, sono sempre meno
realistiche, possibili e – di fatto – realizzate di quanto si dica, si desideri, si ritenga utile, si tenti di
realizzare. Queste considerazioni valgono quando ci si riferisce a “normali” rientri di “normali”
migranti. Ciò che soprattutto rende difficili questi rientri è che sono legati dai singoli interessati ad
un “successo migratorio” che non sempre arriva (o che arriva quando ormai ci si è stabilizzati nel
paese d’accoglienza).
Questo elemento, a parere degli intervistati, è presente in alcune situazioni che riguardano i minori
soggetti a forme radicali di sfruttamento.
Ciò è in qualche maniera comprovato dal fatto, riferito da qualche testimone, che accanto ai
ragazzini più piccoli d’età che – una volta entrati in contatto con gli operatori – spesso vogliono
assolutamente ed al più presto tornare a casa, ci sono ragazzi per i quali “tornare è una grossa
umiliazione, perché in certo qual modo significa che hanno fallito la loro “missione””.
Ci si riferisce, ovviamente, a quella fascia di minori per i quali l’arrivo e la permanenza nel nostro
paese sono in qualche modo considerati una strategia migratoria.
“A volte il contatto con la famiglia fa sentire più forte il desiderio di tornare, ma non si può rientrare nel
proprio paese senza niente o con troppo poco, per questo occorre cercare di guadagnare denaro (…). Finché
l’emigrato è nel proprio paese anche se povero è qualcuno, ma quando arriva qui oltre ad essere povero non è
nessuno, e non riuscire a diventare qualcuno significa non avere il permesso di soggiorno, non poter tornare
nel proprio paese, non poter lavorare” (Associazione Eritros).
“Alcune lo vedono come il diavolo in terra (il ritorno). Pensano che sia comunque meglio restare in Italia,
con le opportunità che offre” (OIM, area antitratta).
Ma, per i minori di cui ci occupiamo, il rientro può spesso comportare problemi e rischi notevoli.
“Ci vuole molta cautela con le ragazze che sono state sfruttate nel giro della prostituzione. Perché se le
rimandiamo a casa nella situazione familiare o ambientale che è stata la causa dominante del loro
sfruttamento, può succedere che vengano minacciate da chi le ha sfruttate. Ci sono stati dei casi di ragazze
rimpatriate che hanno avuto dei problemi molto gravi” (Servizio Sociale Internazionale).
Gli operatori intervistati, escludono in partenza di prendere in esame la possibilità di espulsione per
questi minori, una volta diventati maggiorenni - ed a questo proposito plaudono all’art.18 e ne
auspicano una maggiore applicazione.
“Escludiamo il rimpatrio nel modo più assoluto. Da noi è sconsigliato, ma si è anche verificato che loro lo
chiedessero” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma).
I testimoni propendono per un inserimento di questi ragazzi, a completamento del programma di
recupero.
“Se anche una minorenne esprime questo pensiero, mi permetto di dire che l’associazione in primo luogo
cerca di suggerire di rimanere piuttosto che tornare.
103
Anche se ci sono poche possibilità di conversione del permesso di soggiorno per minore età” (OIM, area
antitratta).
Rispetto ad ipotesi concrete di rientro, gli interlocutori sottolineano che ci si deve attivare per
realizzare il rimpatrio come un progetto, in cui il giovane viene accompagnato e seguito.
“I minori non possono essere espulsi, devono essere studiati i singoli casi e fatta un’inchiesta possibilmente
nel paese d’origine per vedere qual è esattamente la situazione” (Servizio Sociale Internazionale).
Laddove è possibile di procede a quello che viene definito “rimpatrio protetto”, e quando ciò
avviene perché è stato verificato che è possibile, le famiglie, di solito, riaccolgono di buon grado il
ragazzo.
Quello che però gli intervistati tengono a sottolineare è che i programmi di rimpatrio devono essere
ben vagliati, soprattutto sotto l’aspetto della motivazione del ragazzo e sotto quello del tessuto
familiare e sociale che troverebbe al suo rientro, perché si potrebbe altrimenti andare incontro a
fallimenti dispendiosi, inutili e talvolta pericolosi.
“Anche noi facciamo un filtro, se non si è motivati il progetto di reintegrazione si mina alla base. Noi ci
faremmo autogol, pagando un viaggio e ritrovandocelo qui dopo 15 giorni” (OIM, area antitratta).
“Una ragazza bulgara è rientrata perché ha aderito al progetto dell’OIM che le dà un milione appena parte,
uno quando arriva e uno dopo tre mesi. Ora lei ha detto che vuole tornare. Il nostro atteggiamento è negativo
soprattutto perché, soprattutto con le ragazze Albanesi, è capitato che si sono verificati casi di connivenza
delle famiglie” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma).
4.8 Dalle risorse istituzionali e spontanee al lavoro in rete
Le risorse istituzionali e spontanee
Numerosi e con differenti attribuzioni sono gli organismi che agiscono o dovrebbero agire per la
prevenzione del fenomeno e per la sua repressione, nonché per il recupero dei minori coinvolti.
“Lo statuto del Tribunale Penale Internazionale è stato adottato nel 1998, attribuendo alla Corte la
competenza su un’ampia gamma di reati, compresi lo stupro, la schiavitù sessuale, la costrizione
alla prostituzione, la gravidanza forzata” 98.
“Viene istituito – presso la Presidenza del consiglio – un comitato per minori stranieri, con compiti
di vigilanza sulle modalità di soggiorno di questi ultimi, composto da membri di derivazione sia
governativa che da associazioni degli enti locali”99.
Come riferisce qualche intervistato il “Comitato Minori Stranieri non accompagnati, si occupa dell’archivio di
tutti i minori presenti. La lacuna è che le minori vittime della tratta non vengono passate ad un altro servizio
specifico. Ci dovrebbe essere un più stretto collegamento tra Comitato e il Dipartimento Pari Opportunità”
(Associazione Differenza Donna).
Il Servizio Sociale Internazionale mette in atto e rivendica un forte impegno nel campo, anche se
non è presente con la sufficiente forza nei paesi a rischio (nel caso che concerne la presente ricerca,
98
Cfr. Rifugiati, UNHCR, Roma, n.1/2002.
Callaioli A, Cerase M, Il testo unico delle disposizioni sull’immigrazione e delle norme sulla condizione dello
straniero:una legge organica per la programmazione dei flussi, il contrasto alla criminalità e la lotta alla
discriminazione, in “La legislazione penale”, n.1-2, 1999, p.272.
99
104
ad esempio, mentre esistono risorse e strutture organizzative adeguate in Albania, lo stesso non si
può dire per la Romania).
A Roma è stato istituito uno “sportello” presso la Questura, in cui gli operatori della cosiddetta rete
antiprostituzionale sono presenti ogni giorno e possono incontrare le ragazze fermate. Questa
risorsa informale consente,a quanto riferiscono i testimoni di tentare e spesso realizzare un
“aggancio” con le minori. Sembrerebbe utile che esperienze del genere si mettessero in atto almeno
in tutte le grandi città e/o nelle zone interessate al problema. Esperienze simili si registrano a
Venezia, Torino, Milano e anche in città più piccole.
Come si è visto la risorsa principale rispetto a questo fenomeno mutevole e sfuggente è quella
rappresentata dalla spontanea nascita e dal continuo flessibile adattamento delle risposte di
organismi del privato sociale, grandi e piccoli, laici o a sfondo religioso, specializzati in determinati
tipi o fasi d’intervento o “generalisti”, eccetera.
“E’ stato bello vedere come le associazioni si siano specializzate progressivamente in alcuni segmenti:
primo, accoglienza e secondo, assistenza legale. Bisogna andare sempre più nella direzione della
specializzazione e del lavoro di rete. Perché non possiamo chiedere alle suorine, che hanno tanto buon cuore,
di occuparsi dell’aspetto giuridico” (OIM, area antitratta).
“Il lavoro di rete a livello territoriale è ormai patrimonio delle Associazioni del settore” (Associazione
Parsec)
Questi organismi associativi, di volontariato, della cooperazione sociale – di volta in volta e di
luogo in luogo – anticipano, affiancano, sollecitano, spingono alla sinergia gli organismi ed i servizi
pubblici, precedendo riconoscimenti, convenzioni, protocolli formali che non sempre arrivano
(circostanza che certo non facilita l’intervento, ma che non lo vanifica).
I testimoni riportano, ad esempio, la circostanza che molti di questi organismi, forti dell’esperienza
sul campo, ideano progetti di intervento e di prevenzione che incontrano solitamente l’approvazione
e vengono finanziati
Come si vedrà appresso, questo affiancamento di risorse spontanee e risorse istituzionali non
rappresenta una struttura di lavoro di rete, ma si sta spontaneamente avviando verso questa modalità
operativa, che è indispensabile in un intervento come quello che è necessario attuare con questi
minori alle spalle dei quali non ci sono risorse né personali, né familiari, né scolastiche o culturali e
contro i quali agiscono (e continuano ad agire per tentare di sottrarli ai programmi di recupero) gli
appartenenti al racket.
“Spesso le cose vanno avanti grazie alla buona volontà degli operatori, perché non c’è un’organizzazione a
tutela di questi minori. Spesso le case famiglia hanno paura di ospitare ragazze minorenni prostitute, hanno
paura del pericolo che c’è dietro, che si faccia vivo lo sfruttatore, che ci possano essere, quindi episodi di
violenza. (…) Sono molto brave le responsabili delle case famiglia – che in genere sono donne – sono
persone di grande coraggio che rischiano di trovarsi faccia a faccia con questi criminali, perché si prendono
in casa ragazze che possono essere ancora contattate da queste organizzazioni criminali. Al riguardo,
comunque, è stata attivata una rete di protezione specifica per le donne trafficate che coinvolge circa 20
Associazioni del settore che è più specializzato e le case famiglia sono solo un anello della catena di
intervento complessivo” (Comune Roma, Assessorato Politiche Sociali).
Gli operatori sociali di interfaccia
I testimoni illustrano innanzi tutto il fatto che per rispondere ai bisogni di utenti con una storia così
dolorosa e complessa come i minori soggetti a tratta a scopo di sfruttamento, è necessaria una vasta
105
gamma di professionalità. Gamma di professionalità che gli organismi di privato sociale cercano di
approntare facendo ricorso, in tutto o in parte, al volontariato e alle organizzazioni no profit.
“Bisogna dire che le associazioni sono cresciute moltissimo sia nella qualità che nella varietà dei servizi, e
anche per il loro approccio sempre più culturalmente corretto.
Non si va più sprovvisti di una mediatrice culturale, si capisce quanto sia importante l’aggancio emotivo con
le minorenni” (…)100
Le professionalità sono parecchie. Le professionalità vanno dalle operatrici di strada, ai mediatori culturali,
ai tutor per l’inserimento. Ed è bene che ci siano anche delle psicologhe, formate proprio sulla psicologia di
genere, sul processo evolutivo, sulla formazione della personalità dei minori. Perché femmine si nasce, ma
non necessariamente donne si diventa: ed è bene supportare questo processo di crescita come donne” (OIM,
area antitratta).
“Coloro che lavorano in questo settore sono prevalentemente educatori, psicologi e assistenti sociali”
(Associazione Eritros).
Gli intervistati, anche e soprattutto in merito alla questione degli operatori impiegati e da impiegare,
sottolineano la dolorosa specificità degli utenti che richiede specificità nel progetto di reinserimento
e, quindi, nella professionalità di chi opera.
Gli intervistati si riferiscono anche ad operatori impegnati in organismi e servizi non direttamente
rivolti all’utenza minorile sfruttata lavorativamente o sessualmente, ma in attività collegate e rivolte
ad un pubblico più ampio (scuola, sanità, tempo libero, eccetera). Di particolare interesse notare che
lo scopo di questo allargamento del coinvolgimento operativo a differenti operatori di diversi settori
è quello di consentire ai minori il recupero di una progettualità di vita: progettualità senza la quale
non è possibile alcuna ipotesi di reinserimento, ma che non può essere “ad una dimensione”, non
può partire da e restare in un centro di prima accoglienza, per quanto fornito di ogni sorta di
preparatissimi operatori.
“Ovviamente, nel caso dei minori ci vorrebbe uno staff di insegnanti e di scuole collegate – o magari
dedicate – per ricostruire un percorso possibile per il minore. Perché è chiaro che, se hai bisogno di un
progetto a 50 anni quando vieni qui perché sei picchiata dal marito, figurati che bisogno ha di un progetto
quando sei così piccola (straniera, prostituita, schiava)” (Associazione Differenza Donna).
Particolare attenzione viene manifestata dagli intervistati per la formazione e l’aggiornamento
continuo degli operatori. Attenzione che non si limita ad una sottolineatura verbale, ma che dà
conto di concrete iniziative che nelle varie realtà sono già in atto.
Gli intervistati indirizzano, dunque, a considerare prioritari i fabbisogni formativi degli operatori e
a rivolgersi verso formazione giuridica, formazione alla costruzione di reti, formazione al sostegno
psicologico in particolare sotto il profilo del sostegno dell’autostima, ma anche formazione sulla
diversità delle culture e sulla identità dei valori umani di fondo.
“Gli operatori non sempre hanno una formazione giuridica, che è la grande mancanza degli operatori in
generale” (Ci vuole) anche maggiormente formazione sulle culture dei paesi d’origine. A volte ci si
abbandona troppo alle mediatrici, senza considerare che anche la mediatrice fa parte di quella cultura e
potrebbe non aver capito fino in fondo questa (quella italiana) di cultura. A volte si può creare un muro tra
l’utente e la mediatrice proprio perché condividono la stessa cultura: può crescere il senso di vergogna, più
che rispetto ad una estranea completa” (OIM, area antitratta).
100
A proposito dell’importanza del fattore emotivo nella funzione di mediazione culturale, cfr. D’Ottavi A., La
domanda sommersa, in Carchedi f. (cur) La risorsa inaspettata. Lavoro e formazione degli immigrati nell’Europa
mediterranea, Ediesse, Roma, 1999.
106
Il delicato percorso dalla schiavitù alla “normale” autonomia, deve passare attraverso
l’affrancamento dalla dipendenza (di genere, familiare, dallo sfruttatore, dal violento, dalla paura,
dal “protettore”), ma anche dal mediatore e dall’operatore.
“C’è una relazione molto forte tra l’educatore e la ragazza. Queste minori vanno in accoglienza, parlano con
gli educatori, parlano con le altre ragazze, instaurano una relazione affettiva con qualcuno di loro… Ma sono
molto dipendenti, con qualsiasi persona che si dimostri educata, carina, simpatica con loro, loro instaurano
subito una relazione di forte dipendenza” (Comune Modena, servizio minori)
La questione dell’affrancamento da ogni dipendenza del minore che deve necessariamente passare
attraverso una prima fase di “dipendenza” dall’operatore, richiede particolare considerazione nella
formazione e nell’aggiornamento continuo degli operatori, onde salvaguardarli da pericoloso
atteggiamento salvifico della “onnipotenza” o – viceversa – in quello della “impotenza”..
“(La mancanza di completamento di un progetto) porta un’estrema delusione delle persone. Le adolescenti
che hanno puntato tutte le loro aspettative sugli operatori, che paradossalmente si sostituiscono allo
sfruttatore nel continuare a dare alle minorenni l’impressione di essere vulnerabili e bisognose di aiuto. Non
si coltiva a sufficienza il sostegno dell’autostima, del diventare soggetti del proprio destino, delle proprie
scelte” (OIM, area antitratta).
La rete territoriale
In questo caso ancora più che in altri, il lavoro di rete – in particolare rete transnazionale –
rappresenta una necessità ed una impellenza.
Per quel che concerne le azioni in rete, o quantomeno in collegamento operativo, nel nostro paese,
servizi sociali (comunali, internazionali, della sanità), Questure, Carabinieri, volontariato cattolico e
laico eccetera, collaborano – seppur con difficoltà - e sono consapevoli della indispensabilità della
collaborazione.
“La rete dei servizi esistente è quella stessa che si occupa delle donne trafficate adulte, mentre per i minori
stranieri che potrebbero essere vittime della tratta, o disagiati, o ex carcerati, o minori a rischio i sistemi
reticolari sono ancora deboli, non specialistici. Specificamente sulla prostituzione minorile non esiste niente.
E’ chiaro che i nostri collegamenti sono con le associazioni e con le istituzioni per minori, ma la nostra
particolarità è che le nostre utenti sono anche vittime della tratta” (Associazione Eritros).
Lo spontaneismo delle forze vive del volontariato e dell’associazionismo sta “parando il colpo” e
sta, in qualche modo, insegnando alle istituzioni come affrontare il problema : dal rapporto di
collaborazione fra avvocati di sesso femminile appartenenti ad associazioni che si occupano di
violenza sulle donne e sui minori con i Pubblici Ministeri, a quella fra associazioni non
convenzionate e forze dell’ordine, fra servizi e volontariato sia laico che cattolico, eccetera.
In tutte le città esistono ormai reti di organizzazioni specializzate sulla tratta ma ancora poche sulle
problematiche minorili. Possiamo parlare di rete per le organizzazioni che operano in Toscana, in
Emilia Romagna, nel Veneto e Lombardia, nonché in Piemonte e in Puglia. Certo con momenti di
maggior o minor efficacia, ma comunque operanti con questa filosofia di fondo.
Quella che, però, gli intervistati definiscono “rete” (anche con un po’ d’orgoglio, per essere riusciti
a realizzarla quasi dal nulla), non è però diffusa omogeneamente e, spesso, non permette di attivare
un vero lavoro di rete in interconnessione operativa, bensì solo un rapporto di cooperazione.
107
“Dobbiamo vedere che cosa intendiamo per rete. Una rete che si crea per risolvere un problema, è un conto,
mentre una rete che è strutturata e agisce costantemente come tale, è un altro. Se consideriamo la rete come
una mobilitazione per risolvere i problemi specifici, io penso che a Roma e in altre città sia molto sviluppata.
Se invece parliamo di una rete che ha una guida collettiva, che si mantiene stabile nel tempo… direi che ci
sono più circuiti reticolari secondo le appartenenze culturali o anche secondo le appartenenze a federazioni
diverse (Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza, Caritas, eccetera)” (Associazione
Parsec).
“Noi lavoriamo con il settore sanitario, con l’Ospedale S. Gallicano, con la ASL RMB, con un consultorio
qui vicino, con l’Ambulatorio Caritas. Poi attiviamo, in base all’età, il Centro di aiuto del bambino
maltrattato, poi utilizziamo i mediatori della Fondazione Andolfi o del Forum interculturale della Caritas, e
abbiamo un discreto numero di indirizzi di comunità e centri che si occupano di ragazze. Poi abbiamo nella
banca dati indirizzi di altre strutture che lavorano su questo, anche con Eritros, per reperire posti, sistemare le
ragazze. Ma il contatto è molto occasionale, non è strutturato” (Centri di Pronto Intervento per Minori –
Caritas Roma).
All’ente locale si ritiene che competa l’azione di coordinamento della rete, anche se è ovvio che la
attiva interconnessione deve basarsi sulla interazione – e la retroazione – di tutti i soggetti
interessati.
Gli intervistati ritengono necessario pensare ad organismi di coordinamento e circolazione di
informazioni per promuovere la diffusione di un vero e proprio lavoro di rete, che in questo settore
di intervento è ancor più necessario che in altri campi del lavoro sociale.
“Qualche volta ci siamo rivolti, certo, per esempio alle unità di strada. Abbiamo nella nostra banca dati tutti i
nominativi, però non c’è un momento di riunione, un raccordo, un foglio informazioni, che sarebbe
veramente auspicabile perché ci permetterebbe di avere anche informazioni utili per poter intervenire per
sensibilizzare, motivare le ragazze a fare un percorso alternativo” (…). Ci dovrebbe essere un organismo,
una consulta, che va a raccogliere tutti i servizi sul territorio che sono parecchi, e aiuterebbe a consolidare il
lavoro di rete” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma).
4.9 Il risveglio delle coscienze
Ogni tanto qualche cittadino, qualche passante, qualche comune uomo o qualche comune donna
denuncia la presenza di piccoli schiavi e piccole schiave nelle strade alla mercé di tutto e di tutti.
"Ci sono state alcune retate in appartamenti proprio su soffiate di clienti che si rendevano conto che c'erano,
negli appartamenti, dei minori" (Comune di Modena, Servizio Minori).
Certo, anche qui, la molla può essere il moralismo o il non voler essere disturbati o scandalizzati,
ma la presunzione della “buona fede” è d'obbligo, dato che quelle sono forse, per questi ragazzi, le
prime persone che si sono occupate di loro per preoccuparsene e non per lucrare qualche vantaggio
più o meno abietto.
Da questi esempi gli intervistati non deducono, però che nel nostro paese si possa generalmente
ritenere che esista un'opinione pubblica matura ed avvertita in merito al problema, anche se in modo
disomogeneo e talvolta discontinuo.
"Non parlerei dell'atteggiamento dell'opinione pubblica, parlerei di atteggiamenti dei segmenti diversi
dell'opinione pubblica. Ci sono segmenti più attenti, più sensibili, al di là dell'appartenenza politica, che in
qualche modo esprimono un sincero desiderio d'attenzione. Altri settori, più conservatori in senso culturale,
che non hanno la capacità di distinguere" (Associazione Parsec).
108
Da una parte si nota che lo sfruttamento di bambini e minori - specie quello sessuale - è contro il
comune pensare dei nostri concittadini.
"L'opinione pubblica rispetta più facilmente il pietismo verso i ragazzini. Mentre si tende sempre a pensare
che la donna è colpevole da Eva in poi, sulla minorenne tutti hanno un po' più di attenzione. (...). L'opinione
pubblica penso sia piuttosto equilibrata, nel senso che non ho mai sentito difendere un pedofilo, anzi sono le
categorie più odiate... Sulla condanna della pedofilia, sulla pietà per la minorenne messa sulla strada, mi
auguro che non ci siano più porte da sfondare" (Associazione Differenza Donna).
Da un'altra parte si osserva, invece, una sostanziale indifferenza, una specie di ipnosi collettiva, se
non addirittura un voyeurismo pruriginoso e, comunque, una assenza di iniziativa, di protesta, di
proposta.
"Rispetto all'opinione pubblica ci sono situazioni altalenanti: c'è l'impressione di indifferenza, che non si
voglia approfondire un fenomeno che in realtà esiste. Non credo che ci sia una grande sensibilizzazione.
(Centri di Pronto Intervento per Minori - Caritas Roma).
"(La mia opinione sull'atteggiamento dell'opinione pubblica) è senz'altro di sdegno. Ho un'affermazione che
non è mia: i cittadini in media sono 'guardoni' che si affacciano alla finestra, guardano, ma poi non incidono
effettivamente con la loro indignazione. Nella nostra società tutto sembra uno schermo, sembra non ci sia
differenza tra affacciarsi alla finestra a guardare un fenomeno e stare seduto sulla poltrona a guardare la
televisione. (...) Un guardone qualche volta si indigna, ma è solo l'illuminazione di un secondo: subito dopo
viene cancellata dalla pubblicità” (Associazione Eritros)
Viene anche sottolineato dagli intervistati che se è vero, come sembra essere vero, che il fenomeno
dello sfruttamento dei minori è un problema che deve riguardare tutti, specie per quel che riguarda
la prostituzione, allora viene da domandarsi se l’indifferenza sostanziale di chi guarda, e passa, non
sia in qualche modo anche connivenza e complicità
“Quando fanno uno sceneggiato televisivo in cui si parla di sfruttamento minorile sono tutti lì a guardare,
rimangono emozionati, salvo, poi, quando le trovano per strada, gli stessi si girano dall’altra parte o le
ignorano (…). Credo che gli stessi che vedono queste trasmissioni, che sentono questi servizi, poi quando
vanno con una prostituta e trovano una minorenne, sono solo che contenti. Gli stessi che sono in poltrona e
dimostrano un minimo di solidarietà, di scandalo per questa situazione, poi sono i primi ad usufruirne
quando gli si prospetta l’occasione” (Comune Roma, Assessorato Politiche Sociali).
“Bisogna inoltre tener presente che (fra i cittadini che si indignano) alcuni sono anche clienti di queste
ragazze!" (Associazione Eritros).
Di questa situazione i testimoni attribuiscono una certa non irrilevante responsabilità al ruolo dei
mezzi di comunicazione di massa, rispetto al quale sono critici.
"Ho l'impressione che ci sia un'attenzione più morbosa che non orientata a fronteggiare il fenomeno, e questa
è una cosa negativa. Mi sembra si affronti più in chiave sensazionalistica, di curiosità morbosa" (Magistrato
Pool contro violenza e abuso sessuale su minori).
"Ho sentito una cosa di Bruno Vespa orribile: in una discussione su prostituzione, case chiuse, ha fatto una
battuta truce... qualcuno ha detto "se una va con una minorenne rischia la galera", e lui ha detto "eh, uno
rischia pure!", come dire che pur di andare con una minorenne..."(Associazione Differenza Donna).
Le agenzie di diffusione della comunicazione, in altri termini, a parere dei testimoni, cercano
l’audience a tutti i costi, dimenticando o travisando la loro funzione sociale.
“I mass media quando vogliono tirano fuori il “caso” per fare lo scoop, per fare ascolto” (Comune Roma,
Assessorato Politiche Sociali).
109
Gli intervistati, passando dalla critica pessimista ad un'ottica propositiva, ritengono che sia
fondamentale organizzare campagne di informazione e sensibilizzazione, e ritengono che di ciò si
dovrebbe far carico da una parte la scuola, dall'altra gli organismi del terzo settore..
"Secondo me l'Italiano ancora non sa che andare con una minorenne è reato, non lo ha ancora capito,
neanche il fatto che il consenso non ha nessuna valenza(...).
Bisognerebbe fare educazione civica nelle scuole. Perché se ci ritroviamo degli editori, dei giornalisti, degli
utenti - sia come cliente che come lettore - di questo tipo a mio avviso è perché non si conosce la
Costituzione, non si conoscono le leggi italiane, e non ci viene insegnato il valore degli esseri umani in
generale. Anche il discorso sull'immigrazione è trattato così: ci fa pensare che se sei Albanese sei di serie B,
sei solo un pezzo di carne. A quel punto minorenne o maggiorenne non ha importanza, e non mi faccio il
problema" (OIM, area antitratta).
4.10 Il perchè della scelta: Albania e Romania
Nella drammatica geografia che divide – e sempre più radicalizza la divisione – fra paesi opulenti e
dissipatori di risorse e paesi dove l’uomo, la donna e i loro figli, non avendo più neppure il rango di
forza-lavoro, magari da sfruttare, bensì solo quello di merce ‘usa e getta’, per sopravvivere non
possono fare altro che piegarsi a questo mercato, esiste una ferrea gerarchia tra paesi, appunto.
Non è difficile individuare, nella gerarchia discendente, i paesi dai quali, con una sorta di profezia
autoavverantesi, si prevede e si vede l’arrivo di piccoli schiavi.
“I minori Albanesi e Rumeni sono la maggioranza dei minori che arrivano ai servizi ed alle comunità di
accoglienza (insieme con Moldavi, Ucraini, Pakistani, Nigeriani, Marocchini, eccetera)”. (Comunità Felix)
I minori provenienti dall’Europa dell’Est, prima quasi esclusivamente Albanesi, ora vengono da
varie zone balcaniche, prevalentemente dalla Romania.
“Direi che Romania e Albania sono i due paesi dove abbiamo riscontrato il maggior numero di casi che
abbiamo assistito. Questo è un osservatorio particolare, perché ci occupiamo delle persone che vogliono
volontariamente fare ritorno nei paesi d’origine, non abbiamo informazioni sul fenomeno in generale” (OIM,
area antitratta).
“Una presenza significativa delle minori straniere che si prostituiscono, è quella delle Albanesi, che sono
anche molto giovani”. (Caritas Torino, Ufficio Pastorale Migranti)
Sembra però accertato che, al di là della maggiore visibilità delle ragazze nigeriane che sono tante e che sono
prevalentemente sulla strada (anche se dislocate sempre più in periferia), con l’aumento dell’afflusso dai
paesi dell’Est si registrino sia una presenza albanese sempre alta ma ultimamente in calo, sia – in forte
crescita – una presenza rumena, seguita da quelle moldava, ucraina, bulgara, eccetera. (Comune Torino,
Ufficio Minori stranieri)
Il “target” dell’Est è composto principalmente, negli ultimi tempi, da minori rumene. I “reclutatori”,
nei paesi di provenienza, “comprano” o rapiscono con violenza o inganno le ragazzine specialmente
nelle campagne. Anche se, negli ultimi tempi, come si è visto, anche per queste ragazze esiste la
consapevolezza di ciò che verranno a fare, anche se non della durezza delle condizioni di vita che
incontreranno.
Le storie individual-familiari che stanno dietro ad ogni soggetto, e di cui gli operatori tengono il
dovuto conto per poter costruire ipotesi credibili di recupero, non devono rischiare di
“psicologizzare” il problema della tratta. Queste storie così frequenti, così uguali una all’altra, così
prevedibili, sono il risultano del sovvertimento sociale, economico, politico che nei paesi dell’Est e
110
dei Balcani, si è verificato senza nessuna rete di protezione internazionale, anzi con l’attiva quanto
interessata partecipazione dei paesi ricchi a questo sovvertimento, a questa caduta libera, come se si
credesse davvero di andare vero un benefico laissez faire. Sovvertimento che disgregando culture,
economie, micro realtà sociali, famiglie e corrompendo ogni legame umano e sociale, ha prodotto
quell’anomia generalizzata di cui si parlava in un precedente paragrafo.
“Riferendoci ai paesi dell’Est, o in modo particolare all’Albania, sono persone che presentano disagi legati a
problemi familiari, fondamentalmente. La maggior parte di queste ragazze, nel loro paese di provenienza,
hanno avuto un tipo di vita poco regolare. Per esempio sono soggetti che sono scappati da casa, hanno
vissuto senza fissa dimora. Evidenziano dei problemi fondamentali all’interno della sfera familiare, poi
trovano dei soggetti, dei mercanti che si propongono come liberatori che le porteranno all’avventura, in
luoghi dove potranno essere autosufficienti. Ed invece le portano ad essere schiave” (Associazione Eritros).
Un cambiamento si starebbe verificando anche nel racket. Le organizzazioni albanesi, all’inizio
poco più che improvvisate, si sono “industrializzate” e, nello stesso tempo, nella organizzazione
della tratta e dello sfruttamento sono entrati anche elementi di altre nazionalità.
Le reti di tratta e sfruttamento si sono ampliate, organizzate e gerarchizzate, hanno acquisito
maggiore capacità di dissimulazione. Ora le stesse reti, che in precedenza, per le provenienze dai
paesi dell’Est, erano prevalentemente di Albanesi, sono anche serbe o rumene.
E’ ancora presto per affermare, dati alla mano, che la “sostituzione” dei e delle minori albanesi da
parte di altri minori provenienti dall’Est, sia davvero una sostituzione e non semplicemente una
somma.
Si intende dire che, in assenza di dati numerici affidabili, è difficile capire se gli Albanesi restino
numerosi perché molti ne erano entrati nel nostro paese – ma il loro flusso in entrata si sia ridotto
(per essere quindi rimpiazzato da quello di Rumeni ed altri) - oppure se gli Albanesi continuino ad
arrivare nella stessa misura e ad essi si aggiungano minori di più recente arrivo da altri paesi
dell’Est.
Qualche intervistato sottolinea che è difficile delineare una “tipologia” della prostituzione minorile:
quanti italiani e quanti stranieri, quanti maschi e quante femmine.
“Diciamo che le cose cambiano e seguono il flusso dell’immigrazione. Il flusso è cambiato ultimamente: gli
Albanesi hanno avuto un grosso crollo degli arrivi. Ultimamente sono poche le ragazze albanesi con questo
problema che accogliamo al centro” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma).
E’ però importante sottolineare che l’impegno in Albania (Uffici del Servizio Sociale Internazionale
per la prevenzione delle partenze e per l’accompagnamento dei rientri; progetti di cooperazione
internazionale) è in corso.
Tra i progetti di cooperazione tecnica finanziati dall’Italia nell’ambito del programma
internazionale dell’ILO per l’eliminazione del lavoro minorile (IPEC) , esiste un Programma
nazionale per l’eliminazione del lavoro minorile in Albania: “il programma si propone di ritirare dal
lavoro circa 10.000 giovani. Esso prevede lo sviluppo di una politica nazionale di lotta contro il
lavoro minorile, l’adeguamento della legislazione in materia e lo sviluppo di capacità istituzionali
per fronteggiare il problema. L’esito positivo di un certo numero di progetti pilota per la
scolarizzazione di minori ex-lavoratori di strada dovrebbe cambiare l’atteggiamento della società
albanese riguardo al lavoro minorile nelle aree rurali nonché riguardo al traffico di minori verso
l’Italia e la Grecia”101
101
ILO, Convegno “Prima giornata mondiale contro il Lavoro minorile”, Roma 12 giugno 2002, relazione introduttiva,
p.4.
111
La strada intrapresa sembra andare nella giusta direzione, anche se non si può affermare che sia
sufficiente e se non se ne possono ancora valutare gli esiti.
Il problema dovrà certo essere in maniera simile ed in tempi brevi in Romania, dato il picco di flussi
in entrati di minori clandestini da sfruttare lavorativamente o attraverso la prostituzione.
Ma i paesi della “gerarchia discendente” che possono subentrare nella triste graduatoria sono molti,
e i progetti di cooperazione devono acquistare un più ampio respiro.
112
5. Mascolinità albanesi, sex-work e migrazione: omosessualità e rischio di
infezioni da rapporti sessuali
di Nicola Mai
5.2 Premessa
Il proposito principale di questo capitolo è stato quello di esplorare le implicazioni culturali, sociali
ed epidemiologiche del modo in cui il fenomeno del sex-work maschile albanese è emerso come
una strategia di sopravvivenza importante per molti uomini (adulti e minori) nell'ambito della loro
emigrazione in Italia e in Grecia. L'associazione comune dell'Hiv/Aids ad una costruzione culturale
dell'omosessualità nei termini di una malattia morale, derivante da una natura repressiva ed
eteropatriarcale (Wilton 1997: 31) propria della società albanese, rappresenta il punto di vista più
diffuso per analizzare questo fenomeno.
Ossia rappresenta il modo più specifico con cui le mascolinità albanesi sono definite in contrasto ai
propri altri non mascolini. L'intreccio profondo di queste relazioni – e le dinamiche socio-culturali
che innescano – rappresentano, quindi, una delle prospettive maggioritarie che permette di leggere,
al contempo, la possibile potenzialità della diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili (in
primis il virus Hiv) presso il gruppo di sex worker omosessuali e non. L’attenzione verrà posta,
dunque, sul modo in cui la relazione fra identità di genere e le pratiche sessuali corrispondenti che
maturano e si chiarificano progressivamente durante il processo migratorio.
Il Capitolo affronterà alcuni aspetti della problematica omosessuale in Albania, in quanto si ritiene
che sia alla base del processo di emigrazione di alcune componenti sociali sia adulte che giovanili e
finanche minorili e alla base della pratica prostituzionale di alcuni segmenti di esse. Pratica che per
alcuni gruppi è libera, mentre per altri rappresenta il risultato di forme di soggezione e di
assoggettamento psicologico e affettivo, soprattutto per i gruppi minorili. La prospettiva
metodologica è quella di considerare queste tematiche sia dal punto di vista del paese di partenza –
cioè l’Albania – che da quello del paese di arrivo, cioè l’Italia ed in particolare Roma.
I dati e le informazioni analizzate sono state acquisite mediante interviste effettuate sia direttamente
in Albania che in Italia, in particolare a Roma. Durante la permanenza in Albania si è avuto
occasione di contattare, conoscere e collaborare con i membri della principale associazione
omosessuale albanese. Con questi operatori è stato possibile entrare in contatto con numerosi
ragazzi omosessuali che vivono in Albania ed all'estero. Tra il marzo e luglio del 2002, inoltre, sono
stati contattati ed intervistati oltre 20 ragazzi albanesi e rumeni di diverse età, comprese nella fascia
fra i 16 ed i 25 anni che vivono a Roma. Le interviste sono state fatte direttamente dallo scrivente,
frequentando i luoghi della prostituzione maschile di strada (Piazza della Repubblica e Valle Giulia)
ed alcuni locali gay frequentati dai giovani sex worker e dai loro clienti.
Si è cercato quindi di ottenere le informazioni attraverso l'osservazione diretta e, al contempo,
attraverso l’annotazione susseguente dei comportamenti dei ragazzi e dei minori medesimi. Le
conversazioni e i colloqui di intervista effettuati in parte sono stati spontanei ed in parte hanno
seguito una traccia scritta ma che seguiva il ritmo e le scansioni di una normale conversazione.
5.2. L’omosessualità invisibile e silenziosa. Marginalità sociale o emigrazione all’estero e in
Italia in particolare
113
Perché occuparsi del tema dell'omosessualità e dei sex worker maschili (adulti e minori) in
relazione ad un contesto socio-culturale in cui queste pratiche sono talmente stigmatizzate da essere
ridotte all'invisibilità e al silenzio quasi completo? La risposta sta nel fatto che in primo luogo
l’omosessualità - e in secondo luogo il subfenomeno dei sex worker maschili - sta svolgendo un
ruolo centrale in quanto rappresenta “l'altro costitutivo” (Hall 1996: 5) nell'ambito delle pratiche
discorsive che formano le mascolinità contemporanee. Ragion per cui diventano oggetto specifico
da analizzare tutte le tematiche inerenti alle narrazioni, ai saperi che si solidificano intorno ad esse,
nonché le conoscenze e i discorsi che le accompagnano e nell’accompagnarle le definiscono.
Quasi tutti gli studiosi che si sono occupati di descrivere l’evoluzione storica dell'omosessualità
sono d'accordo sul fatto che fu soltanto nella seconda metà del diciannovesimo secolo che il
fenomeno acquisita una sua specifica attenzione. Infatti, ci si accorse, tra l’altro, che sussisteva una
stretta correlazione e collegamento fra le pratiche sessuali esplicitate fra persone dello stesso sesso e
le forme identitarie diverse che assumevano conseguentemente, e viceversa, le persone coinvolte in
tali pratiche deliberatamente. Pratiche, tuttavia, che venivano catalogate - e poste in relazione
molto spesso - come delle forme particolari di “malattie” e di “'psicopatie”. La canonizzazione
dell'omosessualità in termini patologizzanti e positivisti doveva – e per certi versi deve ancora essere analizzata in relazione alla necessità di “modernizzare” continuamente gli statuti della
mascolinità in un mondo in piena trasformazione.
Il mantenimento e la stabilità della mascolinità eterosessuale contemporanea è intrinsecamente
dipendente dalla costruzione strategica di una distanza da e manipolazione di “altri costitutivi”
privilegiati e significativi, come l'omosessuale e la donna cosciente della sua soggettività
particolare. Insomma, l’eterosessualità ha necessità di determinarsi con pratiche sessuali oppositive
(riconoscendole solo ufficiosamente) a quelle considerate omosessuali allo scopo di potersi definire
come tale. Paradossalmente – parafrasando Jonathan Dollimore - è possibile affermare che la
negazione dell'omosessualità è quasi sempre direttamente proporzionale alla sua reale centralità
nelle diverse società umane, così come la sua marginalizzazione culturale è direttamente
proporzionale alla sua forte e altrettanta risoluta significatività culturale.
Questo diventa piuttosto importante in quanto ci permette di comprendere il modo in cui i canoni di
mascolinità e femminilità sono articolati e spesso intrecciati, nonché negoziati ed esperiti da parte
della società albanese nel suo complesso. Questo è particolarmente vero se si considera che la
maggior parte dei ragazzi che sono stati intervistati all'inizio della loro carriera di sex worker erano
al contempo protettori di giovani e giovanissime/mi che esercitavano la prostituzione con
differenti modalità.
In questi rapporti gli intervistati affermano di essere, comunque, sempre dei soggetti attivopenetrativi. Il processo di trasmissione delle malattie di carattere sessuale (in particolare l’Hiv e
l’epatite A), quindi, avviene con la loro diretta compartecipazione. Infatti, il virus viene trasmesso
nella maggior parte dei casi attraverso le pratiche sessuali di tipo penetrativo non protette fra
uomini e donne (Lewis 2002: 15) e fra uomini e uomini. Ad ogni modo, per via del suo status
egemonico, sia nei rapporto uomo-donna che nel rapporto uomo-uomo, il comportamento sessuale
maschile attivo - e il modo con cui questo è costruito e formato da nozioni di mascolinità
culturalmente determinate - tende a non farsi mettere in discussione né a farsi sottomettere. Non
accetta cioè nessuna critica – se non di tipo marginale - nelle pratiche e nei comportamenti sessuali
che possono procurare le malattie trasmissibili sessualmente (Lewis 2002; Wilson 1997), anche
quando esso stesso gioca un ruolo prioritario.
114
Come suggerisce Jill Lewis, “la mappa di genere su cui gli individui tracciano i loro comportamenti
ed interpretano quelli dei loro partner li invita a comportarsi come un uomo o come una donna in
conformità con i canoni morali della loro società” storicamente determinata (Lewis 2002: 16). Ciò
vuol dire – ad esempio – che in Albania, aspetto che si evidenzia anche dalle informazioni acquisite
dalle interviste effettuate a Roma – che “mettere in atto ed impersonare la mascolinità significa, in
prima approssimazione, dovere continuamente ribadire la propria differenza da una femminilità
stigmatizzata ed impotente e come questo atteggiamento generalizzato abbia un forte impatto, ad
esempio, sulle pratiche e politiche di prevenzione” delle infezioni da Hiv (Wilton 1997: 33).
Questa “cultura” – che inficia di sé tutta la società albanese – spinge le componenti maschili
omosessuali della popolazione (ma anche quelle femminili) ad un regime di invisibilità. Questo
significa che le relazioni uomo-uomo o donna-donna sono pressoché bandite e relegate a circuiti
talmente nascosti e mimetizzati che la loro pratica è ritenuta amorale e perseguibile in diverse
maniere, non ultima quella penale (anche se negli ultimi anni si registrano degli spiragli di
tolleranza, soprattutto in alcuni ambienti elitari). Questo clima culturale determina una forte
compressione della manifestazione e della pratica della soddisfazione dei bisogni sessuali da
ricercarsi tra persone appartenenti formalmente allo stesso sesso.
L'omosessualità è ancora molto stigmatizzata e negata ed i gay albanesi sono costretti a restare
dietro le quinte della società. Questo è particolarmente vero in quanto tra i gay albanesi vige un
criterio molto semplice per sondare la reciproca disponibilità ad avere rapporti sessuali che è quello
di chiedere al potenziale partner se è stato in Italia o in Grecia. L’esperienza migratoria, in sostanza,
attesta il grado di consapevolezza della condizione gay e la potenziale disponibilità delle persone
che possono ricoprire il ruolo di “oggetto” dei loro desideri. Essere omosessuale in Albania è una
esperienza drammatica sia per la persona coinvolta direttamente che per la famiglia. Le reazioni più
comuni variano dal far finta di niente alla marginalizzazione sociale e al senso del disgusto, fino ad
arrivare all’aperta discriminazione e sovente al maltrattamento e all’abuso.
La situazione in cui al momento si trovano a vivere gli omosessuali albanesi è di estrema
vulnerabilità sociale ed economica, nonché di pericolo psico-fisico soprattutto per quelli che
tentano di manifestare timidamente la propria identità sessuale. Inoltre, a causa dell'altissimo
livello di disoccupazione e della carenza di alloggi che si registra nel paese, quasi tutti gli
omosessuali albanesi sono costretti a vivere con le loro famiglie e soprattutto restano per molto
tempo dipendenti dalle stesse dal punto di vista economico. Inoltre la maggior parte degli
omosessuali albanesi non possono rivelare la propria natura nemmeno ai propri familiari per paura
di essere ripudiati e misconosciuti. Molti datori di lavoro rifiutano di assumere omosessuali per
paura di pagare le conseguenze del giudizio severissimo dell'opinione pubblica. Per tutte queste
ragioni gli omosessuali albanesi sono costretti a dissimulare la propria natura ed a vivere in
isolamento. Non vi sono luoghi di ritrovo specifici in tutto il paese e nessuna delle persone che sono
state faticosamente intervistate conosceva più di 4 o 5 altri omosessuali e ne parlava in maniera
molto discreta e quasi circospetta.
Questa situazione ambientale può essere annoverata come uno dei fattori di spinta all’emigrazione
di questi gruppi di popolazione omosessuale al pari delle condizioni di sottosviluppo da un lato e
delle aspettative di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle componenti migratorie
“classiche” dall’altro. Da questa prospettiva è possibile leggere ed interpretare la scelta migratoria
di interi gruppi omosessuali, sia in età adulta che in età adolescenziale e post-adolescenziale. Ossia
si registrano componenti che espatriano anche soli, cioè senza nessun adulto al seguito proprio al
fine di non dover sottostare a logiche di tutela di carattere gerarchico che ricordano quelle di stampo
patriarcale sopra ricordate.
115
Molti giovani albanesi, dunque, una volta espatriati fanno ricorso alla prostituzione come strategia
di sopravvivenza, in quanto in qualche modo giustifica la loro diversità. Una buona parte degli
intervistati, tra le altre cose, ammette di aver praticato la prostituzione da una parte perché non era
in condizione di procurare denaro in altro modo, ad esempio, lavorando; dall’altra parte perché
esercitare la prostituzione rientrava nell’orizzonte dei motivi per cui avevano lasciato il loro paese.
Insomma, prostituirsi diventa una possibilità di esprimere la propria identità sessuale. Tra questi
alcuni gruppi riferiscono di avere “conosciuto” l'omosessualità soltanto una volta fuori
dall'Albania, mentre altri – in misura minore – affermano che rapporti omosessuali erano stati
sperimentatati anche in patria, ma non in maniera continuativa e quasi mai dietro compenso
monetario.
5.3 Le disposizioni normative in relazione all’omosessualità e alla prostituzione
Gli omosessuali in Albania hanno sofferto particolarmente dalla repressione e dalle violenze che
hanno caratterizzato il regime dittatoriale di Enver Hoxha. Sebbene relazioni sessuali fra maschi
adulti fossero abbastanza comuni nella società albanese pre-socialista, come testimoniato da
numerosi diari di viaggio e resoconti etnografici del diciannovesimo secolo, dopo l'avvento del
comunismo nel 1944 l'omosessualità venne considerata un reato e molti omosessuali, fra i quali
molti artisti ed intellettuali, sono stati perseguitati ed anche uccisi. Molti altri invece sono stati
indotti al suicidio a causa della discriminazione, violenza e vergogna che improvvisamente furono
associate alla loro condizione in maniera nettamente discriminatoria.
Secondo l'articolo 137 del Codice Penale Albanese introdotto nel 1977 “la pederastia è punibile con
una pena di 10 anni di reclusione”. La definizione di pederastia nel contesto albanese è chiara e si
riferisce a qualsiasi forma di relazione sessuale fra uomini, a prescindere dal fatto che vi prendano
parte adulti consenzienti o minori inconsapevoli e vulnerabili. L'articolo 137 faceva parte di una
sezione intitolata ”Crimini contro la Morale Sociale” e gli altri due articoli inclusi trattavano di
prostituzione (Art. 135) e di pornografia (Art 136). Un articolo pubblicato sul quotidiano Gazeta
Shqiptare il 3 giugno 1994, affermava che l'ultimo processo effettuato in base all'Articolo 137 ha
avuto luogo nel 1993. Da allora vige un atteggiamento di maggior tolleranza.
Prima del 1995 l'omosessualità in Albania era illegale e punibile con 10 anni di reclusione.
Nell'estate del 1994, a seguito del tentativo di armonizzare il Codice penale albanese con i
parametri di democraticità previsti dal Consiglio Europeo, il governo albanese ha proposto una
revisione dell'articolo 137. La revisione però non depenalizzava l’omosessualità. Questa rimaneva
illegale, ma la pena massima applicabile veniva ridotta a tre anni di reclusione. A seguito di una
campagna di pressione internazionale orchestrata soprattutto dall'organizzazione ILGA
(International Gay and Lesbian Association) in collaborazione con il Consiglio Europeo,
quest'ultima proposta di legge è stata ritirata e, de iure, dal 1995, i rapporti fra omosessuali adulti
consenzienti non sono più un reato in Albania.
In ogni caso, l'articolo 116 del Codice Penale in vigore stabilisce a 18 l'età legale per i rapporti
omosessuali, con una pena di 5 anni per chi infrange la norma; mentre l'età minima per i rapporti
eterosessuali è di 14 anni. A tutt'oggi uno dei termini più comuni con cui vengono designati gli
omosessuali in Albania rimane pederasta. Purtroppo, il fatto che l'omosessualità de jure sia stata
legalizzata in Albania non ha significato de facto la fine degli abusi e della discriminazione contro
gli omosessuali. Nel 1998, un gruppo di circa 30 omosessuali albanesi furono arrestati, interrogati e
detenuti per ore della polizia di Elbasan, nell'Albania centrale, in relazione ad un caso di pedofilia e
vennero rilasciati dopo essere stati soggetti a maltrattamenti, minacce ed abusi fisici e psicologici.
116
Successivamente un anziano completamente estraneo all'ambiente omosessuale venne accusato e
condannato per il crimine in oggetto.
Casi simili di arresto arbitrario, maltrattamento ed abuso di omosessuali in relazione a casi di
pedofilia od altri crimini con una componente sessuale sono tuttora frequenti in Albania. Inoltre gli
omosessuali albanesi sono costantemente oggetto di comportamenti abusivi ed arbitrari da parte
della polizia. Nel mesi di febbraio 2001 la polizia a Tirana ha fermato due omosessuali mentre
stavano ritornando a casa e trovandoli in possesso di preservativi li ha costretti ad una umiliante
ispezione anale nel cellulare della polizia, nel tentativo di verificare il loro orientamento sessuale.
Episodi come questi non sono rari e pertanto testimoniano il livello di maltrattamento ed abuso
quotidiano cui sono sottoposti gli omosessuali albanesi.
Nel maggio 2001 un giovane poeta omosessuale è stato trovato morto sulle rive del lago del parco
di Tirana. Nonostante che molte prove facessero pensare al coinvolgimento di più persone nella
morte del ragazzo, fatto che in circostanze normali avrebbe richiesto più approfondite indagini. Le
autorità hanno archiviato frettolosamente il caso come un “annegamento accidentale” ed a tutt'oggi
sul caso non sono state effettuate ricerche od inchieste supplementari.
A partire da questa breve analisi della condizione degli uomini omosessuali albanesi si possono
sottolineare quattro aspetti principali:
a.
l'associazione criminalizzante da parte del codice penale comunista delle relazioni sessuali fra
persone dello stesso sesso e l’esercizio della prostituzione senza distinguere tra quella
volontaria e quella coercitiva;
b. il modo in cui le relazioni sessuali fra persone dello stesso sesso sono state criminalizzate nei
termini di pederastia e l'assenza di qualsiasi menzione alla questione dell'omosessualità
femminile; questa appare a tutt’oggi quasi sconosciuta nel sentire comune;
c. il fatto che queste dinamiche di criminalizzazione sono state esasperate e promosse in quanto
parte integrante del progetto di modernizzazione del paese da parte del regime comunista
albanese e che il susseguirsi dei nuovi governanti non riesce ad invertire sostanzialmente la
rotta;
d. la particolare severità del processo di criminalizzazione, discriminazione e persecuzione degli
uomini che fanno sesso con altri uomini in Albania e che, soprattutto, nell’età adolescenziale e
post-adolescenziale sono in qualche modo costretti ad espatriare per poter soddisfare aspetti
significativi della propria identità sessuale. Pratica che li espone alla prostituzione e a forme di
traffico a scopo di sfruttamento sessuale di carattere coercitivo.
5.4. Il discorso omosessuale, i diversi tipi di omosessualità e le pratiche prostituzionali
Curiosamente, ma non casualmente, il termine albanese che più si avvicina al concetto occidentale
di omosessualità ed in particolare all'identità gay è la parola kurvë, che significa anche prostituta
femmina. Pensiamo che questa associazione semantica e simbolica fra la figura dell'omosessuale
maschio e quella della prostituta femmina sia particolarmente illuminante. Essa merita una ulteriore
analisi dal momento che potenzialmente essa rivela la micro-fisica focaultiana di desiderio, potere e
conoscenza che determinano il campo discorsivo dal quale emergono le mascolinità albanesi.
In altre parole, l'associazione simbolica del “frocio” e della “puttana” rimanda ad un ordine
simbolico fallocentrico ed eteropatriarcale in cui, per dirla con Lacan, non ci sono due sessi, ma uno
solo: l'Uno ed i suoi Altri. Secondo questo ordine simbolico autoritario ed omogeneo soltanto i veri
uomini, ovvero, per citare Herzfeld, soltanto gli uomini che sono “bravi a fare gli uomini” sono i
117
custodi e detentori dell'onorabilità e della rispettabilità ed hanno il diritto di amministrare il potere
affermando il loro predominio e dominazione sui loro “altri diversi” meno onorevoli e meno
mascolini.
La donna, la prostituta e l'omosessuale, non potendo aderire e conformarsi agli standard normativi,
mascolinizzati ed egemonici di onorabilità e rispettabilità, condividono la funzione di principali altri
costitutivi differenziandosi dai quali i soggetti mascolini privilegiati ed egemoni vengono costruiti
dal complesso delle interazioni socio-culturali. La posizione degli omosessuali nel campo sociale è
quella di una soggezione silenziosa ed impotente ad un soggetto morale fallocentrico ed
ideologicamente mascolinizzato che domina la scena simbolica e pertanto tutto il paesaggio socioculturale albanese.
Per potere comprendere pienamente le implicazioni dell'associazione della figura della “puttana” –
la donna disonorata- a quella del “frocio” - l'uomo disonorato- nell'ambito del campo discorsivo e
simbolico dal quale emergono le mascolinità albanesi occorre tracciare una breve genealogia dei
diversi e mutevoli modi in cui la attività sessuali fra persone dello stesso sesso sono state esperite e
costruite culturalmente in Albania. Al riguardo i principali set discorsivi relativi alle mascolinità
albanesi - con riferimento alle relazioni sessuali fra uomini - possono essere quelle che Huseyin
Tapinc (nel suo saggio 'Masculinity, Femininity, and Turkish Male Homosexuality del 1992)
propone per l’omosessualità turca. Infatti, per molti aspetti l'analisi di Tapinc puo' essere in parte
estesa all'Albania, la quale è stata politicamente, culturalmente ed economicamente parte
dell'Impero Ottomano per oltre cinque secoli.
Il saggio di Tapinc pertanto ci sembra un buon punto di partenza in quanto tutte le culture
balcaniche e mediterranee sembrano condividere una configurazione particolare di patriarcato,
misoginia ed omofobia. Al riguardo si possono delineare quattro scenari caratterizzati dal tipo di
relazione fra identità individuale, dai modelli egemonici di genere e dalle pratiche sessuali fra
persone dello stesso sesso. Il primo di questi scenari è quello fra due “eterosessuali mascolini” e
comprende pratiche sessuali che sono confinate alla masturbazione reciproca e che escludono il
sesso orale ed anale (Tapinc 1992: 40). Gli uomini che si conformano a questo tipo di
comportamento sessuale lo considerano una esperienza eterosessuale, dal momento che la
masturbazione fra uomini in Turchia, a differenza che in Albania, non è solitamente considerata un
comportamento omosessuale.
Il secondo e più rilevante scenario discorsivo per gli incontri sessuali fra uomini è quello fra un
eterosessuale mascolino ed un omosessuale femminino. L'aspetto chiave di questo modello è la
distinzione chiara fra il soggetto penetrante attivo e mascolino e quello penetrato passivo e
femminino, i quali considerano la loro identità sessuale e di genere rispettivamente come
eterosessuale ed omosessuale. Questa separazione socialmente riconosciuta fra il soggetto
penetrante attivo e quello penetrato passivo nel comportamento omosessuale consente a molti
uomini eterosessuali di avere rapporti omosessuali.
Questi rapporti che sono considerati come uno “sfogo sessuale secondario” dal momento che per
essi la relazione sessuale, sebbene abbia luogo in un “contesto omosessuale”, soddisfa un “bisogno
eterosessuale”. Aspetto che in effetti si riflette nella preferenza e la frequenza nell'ambito di questo
scenario del sesso anale, nel quale il partner mascolino attivo e penetrante (non necessariamente
omosessuale) rappresenta il potere non negoziabile del fallo mentre il penetrato passivo e
femminino (e omosessuale) rappresenta una dimensione di passività e mancanza di potere. Infatti
questa relazione di potere è analoga alla sessualità eterosessuale in cui l'uomo col suo fallo esercita
il potere sulla donna che ne è sprovvista (Tapinc 1992: 41).
118
Il terzo scenario omosessuale di Tapinc si riferisce alla relazione fra un omosessuale mascolino ed
un omosessuale femminino. Nonostante entrambi i partner coinvolti nella relazione internamente
assumano una identità omosessuale, la divisione fra i ruoli e le caratteristiche ascritte alla categoria
del maschile e del femminile sono ancora rigidamente rispettate. In questo modello le identità
sessuali e sociali di entrambi i partner sono costruiti a partire da ed in conformità con un contesto
sociale di ineguaglianza. Contesto che in Albania, come in Turchia, deriva da un investimento
fallocentrico nella superiorità della mascolinità, la quale si manifesta nella sessualità esclusivamente
penetrativa dell'eterosessuale mascolino od in quella esclusivamente passiva dell' omosessuale
mascolino. La maggior parte delle relazioni sessuali tra uomini di lunga durata in Albania ed in
Turchia avvengono secondo i canoni e le norme di questo modello. Nel quarto scenario, invece, le
frontiere morali e di genere fra partner attivo e passivo scompaiono, in quanto sono deliberatamente
scambievoli e complementari.
Il secondo ed il terzo scenario di tipo omosessuale riflettono le forme e le esperienze egemoniche
di omosessualità presenti nella “scena gay” di Tirana e sono consistenti con un set di pratiche
sociali, spazi e ruoli che finiscono per riprodurre e rinforzare una definizione normativa ed
eteropatriarcale di mascolinità. In Albania al centro della costruzione culturale dell'omosessualità e
della sua relazione con gli statuti normativi della mascolinità sta l'atto della penetrazione, dal
momento che kurvë (per designare gli omosessuali viene usato anche il termine bythqirë letteramente culo fottuto - ma questo è fortemente derogatorio e non viene utilizzato dai gay per
definire la propria condizione) è soltanto la persona che accetta di essere penetrata, non quella che
penetra.
Non solo lo status di mascolinità della persona coinvolta nel rapporto sessuale e svolgente un ruolo
attivo non è messa in discussione, ma raccontare di avere penetrato un uomo kurvë (ed ancor più un
bythqirë) nell'ambito delle conversazioni fra pari sulle proprie performance sessuali può addirittura
rinforzarlo, sia in Albania che nel contesto di emigrazione. Inoltre molti albanesi gay che
definiscono se stessi come kurvë o motra (termine ancor meno derogatorio di kurvë, che significa
“sorella”) hanno spiegato che non vorrebbero mai fare sesso con un altro kurvë dal momento che
questo potrebbe essere assimilato ad un atto lesbico!
D’altra parte in Grecia, per riferirci ad un altro contesto socio-culturale vicino a quello albanese,
secondo Faubion, “le categorie tradizionali che definiscono la persona in base alla sua sessualità
sono ancora in gran parte categorie performative legate alla posizionalità attiva o passiva del
soggetto sessuale piuttosto che categorie di desiderio o scelta sessuale' (Faubion 1993: 220). Queste
differenze nei processi di costruzione culturale delle omosessualità nelle società dei Balcani, del
Mediterraneo e del Medio Oriente rispetto a quanto avviene in occidente (che sono ovviamente
molto più sfumate e meno nette di come è possibile presentarle), devono essere prese in
considerazione quando si analizza la relazione fra genere e sessualità in contesti culturali diversi da
quello occidentale.
Per questo i termini gay ed omosessuale non hanno necessariamente lo stesso significato
nell'Unione europea ed in Albania, ma lo stesso potrebbe dirsi per alcuni contesti ed aree della
Grecia e dell'Italia. La possibilità, quindi, di una modalità di rapporto sessuale ed emotivo fra
soggetti costruiti culturalmente come femminini non esiste ancora nell'ordine simbolico e nelle
pratiche sessuali in Albania, dove il desiderio è una prerogativa esclusivamente maschile102.
L'analogia che i ragazzi gay albanesi tracciano fra la loro soggettività di omosessuali passivi e
102
In cinque anni di lavoro sul campo non ho mai incontrato una ragazza lesbica ed anche presso le associazioni che si
occupano di questioni di genere o prevenzione dell'Hiv/Aids e soprattutto in quelle omosessuali la categoria
dell'omosessualità è sempre stata identificata ed associata automaticamente all'omosessualità maschile.
119
quella delle prostitute è molto interessante e rilevante. Essa sottolinea il modo in cui la costruzione
culturale dei rapporti sessuali fra uomini non mette in discussione ma rinforza definizioni normative
ed egemoniche di mascolinità.
Negli ultimi dieci anni il modello occidentale e confessionale di omosessualità si è gradualmente
diffuso in Albania. Si incontrano ragazzi che definiscono se stessi come gay in quanto fanno sesso
con altri uomini. Tuttavia la loro comprensione ed interpretazione del termine gay rappresenta il
risultato di un processo di negoziazione fra narrative di mascolinità che fanno riferimento alla
concezione confessionale ed occidentale dell'identità sessuale come espressione di un soggetto
desiderante ed il modello performativo tuttora egemonico basato sulla dicotomia fondamentale fra
femminile/passivo e maschile/attivo.
Nonostante che gli uomini che fanno sesso con altri uomini abbiano a disposizione adesso a Tirana
un numero crescente di possibilità e modalità di identificazione e di rapporto, il secondo scenario
delineato da Tapinc, sulla base del quale gli uomini rispettabilmente ed onorevolmente mascolini
“si accoppiano con i froci” è il modello principale che regolamenta e definisce le relazioni sessuali
fra uomini in Albania.
5.5 Sex work come strategia rischiosa di fuoriuscita dalla condizione di povertà
L’importanza del così detto pubblico rilevante
Per comprendere il desiderio di emersione del sex-work come strategia di sopravvivenza da un lato
e di sviluppo ed auto-determinazione identitaria da praticare all'estero dall’altro, è importante
analizzare in maggiore dettaglio il modo in cui gli statuti normativi della mascolinità sono
interiorizzati culturalmente. Processo che trova legittimazione e consapevolezza a partire dalle
pratiche di riconoscimento e di conoscenza del sé omosessuale e che sono, per tale ragione,
culturalmente specifiche e determinate, in quanto corrispondono ad una articolazione particolare
della distinzione fra la dimensione pubblica e quella privata dei diretti interessati e non.
L'analisi del bolscevismo russo e del suo rapporto di continuità creativa con i meccanismi e le
pratiche religiose preesistenti delineata dallo studioso russo Oleg Kharkhordin è un esempio
importante in questa direzione. Nella sua analisi la penitenza pubblica e la rivelazione sono
analizzate come tecniche di conoscenza del sé che sono funzionali con un ordine politico, sociale e
collettivistico. Dopo aver ricordato l'opposizione focaultiana fra confessione e penitenza come i due
modi principali di conoscere se stessi nel mondo cristiano, Kharkhordin analizza l'oblichenie (la
rivelazione) come una pratica di costruzione sociale del soggetto ed una tecnica di conoscenza del
sé che ha costituito le fondamenta della civilizzazione russa nel corso dei secoli (Kharkhordin 1997:
341).
In sintesi, una società in cui la rivelazione è la tecnica di conoscenza egemonica del sé, un individuo
ha possibilità di accesso alla sua dimensione più intima – ossia la sfera del sé pensante che
costruisce progressivamente la sua stessa autobiografia - non solo attraverso un processo di
introspezione e riflessione rivolto all'interiorità, ma anche e soprattutto attraverso atti pubblici
virtuosi che gli consentono di acquisire pubblicamente una propria personalità ed identità
(Kharkhordin 1997: 241). Se adesso proviamo a contestualizzare questa tecnica di conoscenza del
sé nell'ambito dell'ordine simbolico eteropatriarcale che abbiamo analizzato prima, ci sono tre
implicazioni principali che hanno una certa significatività:
120
a. in primo luogo un uomo può conoscere se stesso soltanto attraverso gli occhi di un pubblico che
sia significativo e rilevante. Dal momento che il sé di un uomo è rivelato dalla produzione e
performance di azioni virtuose, allora una obbedienza disciplinata all'ordine cognitivo e
simbolico maschile all’interno del contesto o campo sociale della competizione e del confronto
fra pari diventa significativamente essenziale;
b. in secondo luogo, se un sé maschile viene costituito per e dallo sguardo di un pubblico rilevante,
per definizione non può essere segreto o tenuto nascosto. Deve essere tutto e sempre in mostra,
perché è soltanto attraverso questa esposizione, in publicatio sui, che un uomo “veramente tale”
ed onorevole può esistere e svolgere la sua funzione pubblica attraverso la partecipazione
sociale e politica;
c. in terzo luogo, il fatto che un sé mascolino non venga costituito dagli occhi di un pubblico
rilevante significa che potenzialmente l'orizzonte morale di riferimento del soggetto rimane
ancorato alla casa, all’abitazione privata. Ciò che importa socialmente sembrerebbe essere
soltanto l'abilità di sostenere e rafforzare la permanenza e la continuità di un sé moralmente
onorevole attraverso la produzione di azioni virtuose agli occhi di un pubblico rilevante; al
contrario, in assenza di quel pubblico molte barriere morali rischiano di evaporare in quanto
l’individuo entra nel campo delle azioni non contraddittorie perché non paragonabili con quelle
esterne e socialmente legittimate e codificate dal quel pubblico medesimo. Pertanto la frontiera
geografica che si affaccia all’esterno di ciascun individuo diventa una frontiera morale che
delimita il proprio interno e il proprio mondo vitale soggettivo di ciascuno individuo stesso.
Tutti questi fattori sono molto importanti nel sostenere un senso di continuità di un sé
mascolinizzato nel contesto dell'emigrazione e del coinvolgimento del sex-work all'estero. Le
diverse posizioni soggettive ricoperte dagli uomini albanesi che fanno sesso con altri uomini in
Albania ed all'estero – a prescindere se dietro compenso monetario o meno - emergono dall'incontro
fra diverse definizioni normative di mascolinità e di diverse esperienze storiche e culturali di
costruzione sociale del cittadino albanese. Queste hanno origine sia dal contesto culturale, sociale e
storico albanese e dai diversi paesaggi morali e culturali stranieri che vengono conosciuti e fatti
propri attraverso i media o le esperienze di emigrazione.
Nel contesto dell'emigrazione sia i sex worker albanesi gay che quelli etero hanno riposizionato e
rinegoziato la loro interpretazione ed esperienza delle proprie identità di genere in relazione alle
pratiche sessuali fra persone dello stesso sesso nell'ambito di un nuovo e mutato contesto sociale,
culturale ed economico. Questo è divenuto accessibile immediatamente dopo l'apertura delle
frontiere che ha accompagnato il passaggio dal regime comunista alle forme parlamentari attuali.
Da questo punto di vista è importante sottolineare tre fattori principali i quali hanno esercitato una
considerevole pressione e messo in discussione la concezione da parte di molti uomini del loro
ruolo nell'ampio processo di trasformazione post-comunista della società albanese.
Questi sono: la povertà materiale, la costruzione culturale dell'occidente come un contesto sociale e
materiale alternativo nonchè superiore a quello autoctono ed il collasso del sistema centralizzato di
amministrazione del potere e dell'economia che caratterizzava lo stato comunista albanese. In
particolare, secondo Jill Lewis (2002: 17) la povertà dovrebbe essere considerato un fattore
profondamente destabilizzante per le identità di genere, come un catalizzatore che, producendo
nuove condizioni di vulnerabilità e nuove strategie di sopravvivenza, ha un ruolo importante anche
nello sviluppo delle malattie sessualmente trasmissibili.
Infatti la povertà materiale riduce le chance di un supporto educativo o sanitario efficace, favorisce
la commercializzazione del sesso ai fini del profitto, aumentando la dipendenza economica delle
donne dagli uomini che ne restano invischiati o sono costretti ad esserlo. Inoltre, la disoccupazione
intensifica la percezione di emasculazione da parte degli uomini portandoli alla frustrazione, alla
121
depressione ed infine, per alcune componenti minoritarie, anche ad un loro coinvolgimento reattivo
nel crimine e nello sfruttamento delle donne e dei minori con azioni violente e coercitive. La
povertà crea una mancanza di opportunità e di prospettive fra i giovani e conduce ad assumere
atteggiamenti di indifferenza ed apatia sociale alimentati dal senso di impotenza e finanche di
disperazione.
La necessità di sopravvivere e fare i conti con la povertà rinforza il bisogno di conformarsi a
logiche che prevedono anche lo sfruttamento sessuali altrui. In questi casi si assumono modelli
culturali che tendono ad esasperare le condizioni di disuguaglianza inasprendo – dopo averle
innescate - dinamiche autoritarie e di dipendenza economica e psicologica delle componenti
femminili (sia delle donne che degli uomini femminilizzati, ossia propensi più ad assumere il ruolo
passivo nei rapporti con altri uomini) rispetto a quelle maschili (sia degli uomini eterosessuali che
di quelli omosessuali più propensi ad assumere il ruolo attivo nei rapporti con altri uomini).
La vulnerabilità economica e l'insicurezza sociale rinchiudono i giovani uomini e le giovani donne
in zone d'ombra di sopravvivenza, costringendoli, di fatto, ad attivare, comportamenti difensivi – a
volte caratterizzati anche da stati di disperazione - che li costringono a ricorre a strategie sessuali
che mettono a repentaglio il benessere loro e delle comunità da cui provengono. L'emersione del
fenomeno migratorio irregolare, del sex-work e del traffico e sfruttamento delle giovani donne e dei
giovani uomini albanesi sul mercato del sesso italiano (e non solo) trovano le loro radici nello stesso
contesto di povertà, vulnerabilità sociale e culturale. Ovvero nella mancanza di un sistema coerente
e condiviso di esercizio e di amministrazione democratica del potere, nonché di distribuzione di
risorse sociali fondamentali.
Come conseguenza di questo stato di cose oggi, in molte aree culturalmente e socialmente
periferiche del paese, si sta verificato un processo di ri-tradizionalizzazione (Schwandners-Sievers
2001), secondo il quale alcuni aspetti importanti dell'eredità culturale storicamente determinatesi
sono stati riscoperti – o meglio reinventati - per orientare la popolazione su obiettivi che
corrispondono grosso modo ai bisogni sociali emergenti da parte delle nuove identità sociali in
corso di definizione. Queste devono essere intese come il risultato di un processo di
riposizionamento di modelli e ruoli di genere preesistenti nell'ambito di un nuovo contesto sociale
in fase di transizione e cambiamento radicale, sia sotto il profilo culturale che sotto quello
economico.
La propensione migratoria come necessità di cambiamento
In questi inizi degli anno Novanta si riscontra che in contesti sociali collocabili ai margini del
processo di elaborazione ed implementazione di una nuova cultura democratica albanese, cioè in
contesti periurbani ed in località rurali isolate e periferiche, dove la presenza dello stato è sempre
stata molto debole e modesta, sono state create nuove istituzioni che trovano fondamento e
legittimazione su codici d'onore ri-modernizzati (Schwandners-Sievers 2001) o piuttosto postmodernizzati. All’interno di questa situazione si riscontrano componenti giovanili che tentano di
uscire da questo stato di isolamento geografico e culturale ed aspirano, in maniera manifesta, a
misconoscere i rapporti sociali e di genere basati sulla subordinazione e sulla violenza, sulla povertà
materiale ed immateriale, sui rapporti autoritari e paternalistici che si riscontrano nella cerchia
familistico-parentale e che sono stimolati ed attratti dal mondo di libertà, emancipazione personale e
ricchezza materiale che vedono trionfare sui canali televisivi stranieri.
Ci sono anche componenti giovanili maschili, disoccupati e pressoché analfabeti, che sono
direttamente coinvolti in nuovi tipi di violenza e dinamiche criminose, come il traffico di droga, di
armi e di persone, inclusi se stessi, nei paesi confinanti. Spesso ciò avviene alla luce della necessità
122
di conformarsi a comportamenti normativi ed egemonici di mascolinità che si basano sulla
dimostrazione attraverso gesti ed opere virtuose in pubblico della propria abilità di migliorare le
condizioni materiali di vita della famiglia estesa. Queste ultime sono misurate in relazione ad una
costruzione culturale che trova modelli di riferimento in Euroapa e in Italia soprattutto per la
vicinanza.
Scenario che, comunque, come sopra accennato, sta alla base dell’effetto spinta che coinvolge
componenti significative di giovani (e meno giovani) omosessuali, non solo per poter soddisfare
aspettative migliori relativamente alla dimensione economica ma anche – e sovente soprattutto –
per poter soddisfare aspettative di carattere sociale (manifestare in maniera più tranquilla la propria
identità sessuale) ed esistenziale (ricercare e attivare rapporti affettivi e relazionali con altri uomini
disposti all’attivazione di pratiche amorose a carattere omosessuale). All’interno di tale
componente però, non mancano segmenti e gruppi che vengono strumentalizzati, ossia vengono
raggirati, truffati e finanche assoggettati violentemente al fine di procurare denaro per la
soddisfazione di altri. Vengono cioè sfruttati sessualmente. Questi casi, pur tuttavia, dai dati e dalle
informazioni acquisite a Roma, ad esempio, non ne sono emersi che poche unità.
Questo, come hanno specificato i giovani intervistati al riguardo, non vuol dire che non ci sono.
Vuol dire soltanto che hanno – o sono costretti ad avere – altri percorsi, altri giri, altre dimensioni
relazionali. Ad esempio, quello delle case di appuntamento con minori costretti alla prostituzione
da un lato e con minori che sperimentano attraverso l’esercizio prostituzionale percorsi identitari
importanti senza essere sfruttati da nessuno dall’altro. Oppure quelle componenti minorili o postadolescenziali che esercitano la prostituzione nel ruolo attivo e di questo ne vanno quasi fieri.
Infatti, al riguardo i sex-worker albanesi, ma anche quelli rumeni, turchi e russo-pontici intervistati
definiscano la loro occupazione principale, ma più spesso occasionale o saltuaria, come quella di
“scopare i froci e fare i soldi”.
In questo ultimo caso, inoltre, i sex-worker all'estero vengono a trovarsi in piena continuità e
coerenza con il modo in cui i giovani uomini albanesi negoziano le loro identità di genere, la loro
sessualità e i loro corpi in relazione all’effettuazione di pratiche sessuali con altri uomini in Albania.
Da questa angolazione il sex-worker (omosessuale o meno) dovrebbero essere meglio visti come
soggetti nei quali le diverse identità di genere (che convivono usualmente in ciascun individuo)
emergono e si confrontano dall'incontro fra le diverse articolazioni narrative di mascolinità che
scaturiscono dalla società di appartenenza e dalle tradizioni culturali che le hanno prodotte nel
tempo.
Pertanto, il modo in cui “scopare i froci” viene vissuto ed interpretato in Italia ed in Grecia riflette
nuove condizioni di sfruttamento e vulnerabilità che potrebbero soltanto esasperare la percezione
già presente di pericolo forte di emasculazione e femminilizzazione dei giovani uomini albanesi.
Per i giovani sex-worker dell'Albania, ma anche per quelli provenienti dagli altri paesi sopra
ricordati, scambiarsi racconti relativi all'avere “scopato froci greci od italiani” è un modo per
primeggiare simbolicamente all’interno di un gruppo di pari. Al contempo vuol dire esercitare un
controllo potente e mascolino del soggetto immigrato che si percepisce come debole sul soggetto
percepito come più forte socialmente, cioè il maschio greco od italiano; si tratta di un modo di
riottenere una posizione di potere a partire da una posizione di marginalità e vulnerabilità estreme.
5.6. Sex work come “marchettaro” e sfruttatore di donne
Bowman (1991) nell’analizzare i racconti che si fanno sulle relazioni sessuali che intercorrono fra le
mogli dei turisti occidentali ed i venditori di souvenir palestinesi a Gerusalemme, arriva alla
123
seguente conclusione: coloro che sono strutturalmente fottuti – i venditori di souvenir in quanto
vittime di un mercato marginale e di sopravvivenza - cercano di rappresentarsi come coloro che
invece fottono le moglie dei turisti. Queste ultime, invece, apparentemente fottute (dai venditori)
sono quelle che nella sostanza fottono (data la loro ricchezza nei confronti dei venditori).
Meccanismo che spiega in parte anche alcuni meccanismi alla base del turismo sessuale quando la
disparità delle condizioni di vita sono fortemente squilibrati in favore delle componenti turistiche e
svantaggiate per le componenti autoctone.
Lo stesso meccanismo si ripete tra alcune componenti di sex work albanesi e i loro ricchi clienti
italiani o greci, in quanto avere rapporti con loro ed essere anche pagati vuol dire sostanzialmente
buggerarli (senza pensare che sono loro ad essere utilizzati e a finanche sfruttati). Se per i sexworker albanesi che si riconoscono come gay è relativamente più facile contenere l'ansia di demascolinizzazione relativa al loro coinvolgimento nella prostituzione, per quelli che si definiscono
eterosessuali invece può essere più complicato. In questi casi il sex work rappresenta una strategia
di sopravvivenza economica che è coerente con la loro costruzione culturale della mascolinità in
termini attivi e penetrativi.
Un altro aspetto interessanti è dato da fatto che una buona parte dei sex worker intervistati erano
anche protettori e sfruttatori di donne provenienti dallo stesso paese natale e finanche da altri paesi,
non solo della stessa Albania ma anche della Romania, della Moldavia e della Bulgaria. Questa
doppia attività lavorativa nel campo della prostituzione rappresenta una parte integrante delle loro
strategie di sopravvivenza e di sviluppo – e in alcuni casi di auto-emancipazione esistenziale - come
soggetti specificatamente di carattere mascolino. Infatti, la manipolazione, il controllo e il potere
esercitato sul corpo della donna sottomessa o coinvolta affettivamente consente ai giovani sexworker albanesi di acquisire il capitale finanziario e simbolico necessario ad enfatizzare e a
mostrare i loro sé mascolini di fronte ai loro due principali pubblici significativi: il gruppo dei pari e
la famiglia di origine.
Per quanto riguarda il gruppo dei pari, l'abilità di controllare e sfruttare il corpo di una donna viene
di solito rivelato attraverso l'esibizione di oggetti costosi (in particolare automobili e motociclette)
ed i racconti di performance sessuali ipermascoline che si racconta di avere con la partner e/o con
altre donne. Per quanto invece riguarda la famiglia il principale atto virtuoso attraverso il quale gli
intervistati vedono confermato il proprio senso mascolino del sé in termini di onorabilità e
rispettabilità è quello di dimostrare con regali e donazioni di denaro di essere capaci di mantenere se
stessi e la proprie famiglia, con la quale molti di essi hanno una relazione molto problematica in
merito alla loro omosessualità (quando essa è scoperta). In questo caso, la presenza della donna
(anche se costretta a praticare la prostituzione) posizionata accanto al giovane uomo e mostrata alla
famiglia come fidanzata e futura moglie serve a ribadire e recuperare l'onorabilità del figlio maschio
agli occhi della famiglia medesima, purché la natura della loro relazione e l'attività economica in
cui sono coinvolti sia tenuta segreta.
In sintesi, i giovani maschi albanesi che si sentono in pericolo di diventare un kurvë maschio a
causa del loro senso di appartenenza all' identità di genere mascolina e al contempo provare
desiderio sessuale per altri corpi maschili sentono il bisogno di esercitare il loro potere su una
kurvë femmina in modo da riaffermare e rinforzare la percezione della loro mascolinità. Facendo
riferimento all'esperienza di lavoro sul campo e alle informazioni acquisite dai colloqui diretti
siamo del parere che il reale elemento di continuità fra il ruolo del sex-worker e quello del
protettore/sfruttatore di donne sia la necessità di domare e controllare la parte della propria identità
che viene percepita come femminile, ovvero l'attrazione verso altri corpi maschili, attraverso due
principali strategie e cioè:
124
a. in primo luogo, lasciando che essa si esprima sempre e soltanto qualora ci sia un profitto
economico diretto od indiretto che la giustifichi in termini di convenienza personale e di alibi
esistenziale (“lo faccio per i soldi e non perché sono attratto dai corpi maschili”);
b. in secondo luogo, riproducendo e proiettando il desiderio di controllo di se stesso su un altro
soggetto femminino, che allo stesso tempo mitiga l'ansia di de-mascolinizzazione con la sua
presenza nell'ambito familiare e nel gruppo dei pari, realizza, simultaneamente, un fonte diretta
e lucrosa di guadagno ritenuta utilitaristicamente significativa. Questa doppia convenienza li
rafforza anche ai fini della presentazione del proprio sé mascolino di fronte al gruppo dei pari
(che non è a conoscenza della propensione omosessuale o lo è solo in parte) attraverso
l'esibizione di oggetti caricati di capitale simbolico specifico (come oggetti di consumo
tipicamente maschili).
Paradossalmente, la maggior parte dei giovani sex-worker albanesi intervistati sembrano essere
imprigionati in un ordine simbolico ipermascolinizzato che consente loro di esprimere altre
componenti identitarie del sé solo se queste ultime riconfermano e rinforzano una
autorappresentazione in termini di quasi onnipotenza, dominazione e rispettabilità morale. Inoltre, a
causa della natura rivelazionista della loro relazione con se stessi, molti degli intervistati sembrano
vivere fra due diversi e contrastanti sistemi di moralità.
In molti casi il mondo moralmente più significativo per queste componenti è quello associato alla
famiglia. Questo attaccamento alla famiglia sta a significare per molti di loro sottostare alle
pressioni sociali ed affettivo-comportamentali che ciò comporta. Al contrario, allentarle e non
curarsi di esse quando ci si trova lontano da casa, dal villaggio o quartiere. Ossia, essere liberi di
attivare fuori dal contesto familistico-parentale azioni e comportamenti che verrebbero considerati
da esso immorali ed improponibili. All’estero possono essere messi in campo senza senso di colpa o
responsabilità morale alcuna.
La pressione familiare e sociale contraria, dunque, può prevenire l'emergere di una coscienza o di
una forma di identità attorno al proprio orientamento sessuale. Questo vale anche per lo sviluppo
delle inclinazioni professionali. In pratica, si può essere frenati nelle proprie aspettative di sviluppo
quando il tema della responsabilità, correlabile alle proprie azioni soggettive, non viene affrontato
ma eluso mediante l'oscillazione fra due diversi e contraddittori mondi morali che non sono in
comunicazione fra di loro.
5.7. Le diverse strategie di sopravvivenza in rapporto ai rischi di infezione da Hiv
A Roma come ad Atene la pratica del sex work albanese avviene in un contesto micro o para
criminale nell'ambito del quale esso è una delle tre principali strategie di sopravvivenza e di
eventuale sviluppo ulteriore di un soggetto mascolino. Queste sono ordinate gerarchicamente in
termini di onorabilità e rispettabilità. La prima di queste strategie è appunto la possibilità di
prostituire se stessi “scopando i froci”. Questa possibilità occupa il livello più basso in termini di
rispettabilità ed onorevolezza in quanto mette a repentaglio la propria credibilità di maschio,
soprattutto se il coinvolgimento nella prostituzione maschile si prolunga nel tempo. Infatti la
maggior parte dei giovani sex-worker albanesi intervistati ad Atene e a Roma hanno dichiarato di
avere intenzione di smettere le pratiche prostituzionali al raggiungimento di una fascia di età
compresa fra i 22 ed i 24 anni o poco di più.
125
È proprio in questa fascia di età, ma talvolta anche molto prima, che avviene il passaggio alla
seconda strategia: ovvero dal concedersi per denaro allo sfruttamento di giovani donne. Sebbene
questa possibilità sia più accettabile in base ai canoni egemoni di onorabilità mascolina, tuttavia lo
sfruttatore viene di solito considerato “un mezzo uomo” in quanto sfrutta le donne e quindi ha
bisogno di loro per vivere. Questa opinione proviene sia dall’ambiente delinquenziale comunitario
caratterizzato da forme di devianza ritenute più maschile (furti in appartamenti, furti di auto, rapine,
spaccio di droga, eccetera), laddove si esaltano le capacità tecniche e la destrezza necessaria a
delinquere (“io rischio per procurarmi i soldi tu ti nascondi dietro una donna sfruttandola”); sia
dall’ambiente stesso dello sfruttamento da parte delle stesse donne o di una parte di esse (“sei solo
capace di sfruttare noi donne come un vigliacco che non sa affrontare i rischi relativi a rubare,
eccetera).
La terza strategia è quella di passare dalla condizione di sfruttatore (cioè “da mezzo uomo”) a quella
di ladro, di spacciatore, di rapinatore. Quest’ultima è considerata – per una parte degli
sfruttatori/marchettari – l’evoluzione più onorevole tra le diverse strategie di sopravvivenza. In
questa prospettiva la percezione mascolina del sé nel mondo para-criminale è significativa e può
diventare massima se si riesce a diventare un gangster professionista, attraverso il controllo diretto
di un gruppo di uomini, di gruppi di donne e di ingenti risorse finanziarie. In questo caso lo
sfruttamento delle donne diventa una specie di fiore all’occhiello in quanto corollario di un potere
che si esercita principalmente su altri gruppi maschili e pertanto la presenza di donne rende ancora
più forte la percezione della mascolinità ed “eroticizza” maggiormente la pratica di dominio sugli
altri.
Tutte queste possibilità sono vissute dai diretti interessati come strategie competitive ed alternative
l’una con l’altra finalizzate al sostenimento morale di un senso positivo del sé nel segno della
tendenziale coincidenza fra i canoni di onorabilità e quelli di mascolinità. Lo status di rispettabilità
mascolina – come accennato - può essere ottenuto soltanto rivelando ad un pubblico significativo la
propria abilità di conformarsi ai canoni egemonici della mascolinità attraverso atti pubblici come il
miglioramento delle condizioni economiche della propria famiglia, a prescindere dalla provenienza
delle risorse finanziarie necessarie. In questo contesto o “scopare i froci” o sfruttare le donne –
oppure fare l’uno e l’altro come tendono ad orientarsi la maggior parte degli intervistati a Roma sono strategie di sopravvivenza che sono legittimate da un ordine simbolico eteropatriarcale e
fallocentrico.
Ma “scopare i froci” vuol dire non solo sopravvivere ma anche correre dei rischi concreti. Di questo
la maggior parte – per non dire tutti – degli intervistati ne è pienamente convinto e trasmette questa
convinzione anche alle donne che sfrutta mediante l’esercizio della prostituzione. Al riguardo si
possono fare diverse osservazioni. La prima è data dal fatto che per la maggior parte degli
intervistati l'Hiv/Aids è principalmente una condizione morale associata a quella omosessuale e
quindi alla passività anale, piuttosto che una condizione medico-sanitaria che ha modalità specifiche
di trasmissione. Questa situazione corrisponde forse alla versione inversa rispetto alla logica che
Cindy Patton (1994: 19) ha nominato “il paradigma frocio”, secondo il quale le persone che sono
sieropositive o che vivono con l'Aids sono automaticamente gay in quanto acquisito con le pratiche
sessuali uomo-uomo (Wilton 1997: 3).
L'associazione dell'Hiv/Aids ad una condizione stigmatizzata in quanto relativa alla percezione
della perdita o diminuzione di mascolinità ed in particolare all'essere penetrati sessualmente si
riflette tragicamente nel modo in cui vengono usati i preservativi e quindi sulle pratiche di sesso più
sicuro. Sebbene tutte le persone intervistate hanno detto di fare regolare uso del preservativo, il
modo in cui questo viene usato corrisponde più alla relazione che i giovani albanesi hanno con la
necessità di sostenere la propria mascolinità piuttosto che alle modalità di trasmissione del virus.
126
Per esempio, la maggior parte degli intervistati afferma di fare uso di preservativi soltanto con i
clienti e con partner femminili occasionali, mai con le proprie partner, le quali, come abbiamo visto,
sono molto spesso sex-worker esse stesse.
Inoltre alcuni dei ragazzi che hanno ammesso di accettare un rapporto sessuale passivo hanno
raccontato di utilizzare il preservativo soltanto quando sono penetrati e non quando penetrano essi
stessi, come se il fatto che la posizionalità attiva sia conforme ai canoni di moralità mascolina li
rendesse invulnerabili al rischio di contagio. Infine, molti semplicemente ignoravano che i
preservativi si potessero usare una sola volta, che il lubrificante debba essere a base di acqua, che i
preservativi si possono deteriorare e quindi diventare inservibili in determinate condizioni
ambientali, che si devono cambiare se si penetrano due persone nell'ambito dello stesso rapporto.
Tale mancanza di informazione riguardo alle pratiche del sesso sicuro è molto grave e pericolosa se
si pensa che stiamo parlando di una popolazione sessualmente molto attiva sia con uomini che con
donne e con una età media che si attesta sui 21 anni. I dati epidemiologici al riguardo appaiono del
resto piuttosto preoccupanti. Infatti, secondo una recente analisi realizzata da Oim, oltre l'80% delle
persone infettate in Albania ha dichiarato di avere contratto il virus durante la permanenza
all'estero, mentre dei nuovi casi documentati nel 2001 oltre il 41% avrebbe contratto il virus dal
partner che vive all’estero.
I risultati preliminari di un’altra ricerca sul tema promossa dall’ Unicef in Albania sulle categorie
di giovani che sono particolarmente vulnerabili all'infezione da Hiv/Aids hanno evidenziato, già
adesso, un livello altissimo di comportamenti sessuali a rischio. In particolare la ricerca sottolinea
come il 18% dei giovani migranti albanesi che abitano in Grecia abbiano accettato di avere rapporti
sessuali in cambio di droga o denaro, il 94% dei quali erano ragazzi, tra cui alcune componenti di
minorenni. Dei 71 nuovi casi diagnosticati in Albania dal 1993, l'80 per cento si riferisce a giovani
uomini che risiedono come lavoratori temporanei in Italia e Grecia, mentre il gruppo di età più
colpito è quello fra 1 20 e i 40 anni.
Pertanto, sebbene tutti i sex-worker intervistati dichiarino di usare il preservativo, il modo in cui lo
usano non li aiuta a proteggersi dal rischio di infezione. Inoltre, nonostante che la maggior parte dei
giovani albanesi intervistati fosse provvisto di documenti, quasi nessuno di essi era a conoscenza
delle strutture e dei servizi cui rivolgersi in merito alle problematiche legate alla prevenzione delle
malattie sessualmente trasmissibili e del fatto che nella maggior parte dei casi questi servizi sono
gratuiti e confidenziali per tutti, inclusi i cittadini stranieri sprovvisti di documenti. La conseguenza
più grave di quest'ordine di cose è che molti giovani si rivolgono alle strutture e servizi preposti
quando ormai è troppo tardi per intervenire in modo efficace.
127
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128
6. Il traffico di minori dalla Romania e dall’Albania. Aspetti che
determinano il fenomeno e i percorsi di contrasto e di inserimento
possibili
di Cristina Minguzzi
6.1 Premessa
L’Albania e la Romania, come accennato nell’Introduzione, sono i due paesi che negli ultimi dieci
anni più che negli altri dell’area dei Balcani sono stati interessati dalla formazione di flussi
migratori al cui interno erano presenti significative componenti giovanili. Componenti che nella
loro generalità si sono caratterizzate per il fatto che sono espatriate da sole, cioè senza
l’accompagnamento degli adulti della famiglia. Condizione che li pone in una situazione di
maggior vulnerabilità rispetto a coetanei espatriati e soggiornanti nel nostro paese con componenti
adulti della famiglia che esercitano la loro tutela genitoriale. Inoltre, a fianco ai così detti minori
non accompagnati tra gli Albanesi e i Rumeni è stati rilevante anche l’espatrio di giovani minorenni
che – per ragioni diverse – sono entrati in contatto con i circuiti emarginanti e pertanto una parte di
essi si è trovata invischiata in meccanismi di sfruttamento e finanche in forme di grave sfruttamento
lavorativo e sessuale.
Quest’ultima forma di sfruttamento è quella maggiormente evidente e preoccupante, giacchè
assume delle connotazioni quantitative e qualitative particolarmente inquietanti, sia dal punto di
vista sociale che umanitario. Non secondarie sono anche le connotazioni che assume il fenomeno
dal punto di vista di genere, in quanto i gruppi minorenni maschili vengono perlopiù sfruttati
nell’accattonaggio coercitivo e violento – e nel commercio ambulante – e molto meno nel mercato
della prostituzione di strada, mentre le donne minorenni vengono sfruttate maggiormente nella
prostituzione di strada (o in appartamenti o locali di intrattenimento) e molto meno
nell’accattonaggio coercitivo e nel commercio. Tale distinzione sembra corrispondere anche a
criteri di maggior profitto che gli uni o le altre possono garantire ai loro profittatori: le giovani
donne con la vendita del loro corpo e i giovani maschi nella questua, nel commercio ambulante e
nei piccoli servizi offerti sulla strada ai passanti o agli automobilisti.
Il Capitolo prende in esame diversi aspetti del fenomeno, a partire dalle modalità principali di
reclutamento, del trasporto verso il nostro paese e le modalità di assoggettamento nelle forme di
sfruttamento. Si tratta, in definitiva, della descrizione dei risultati ottenuti mediante l’analisi di un
insieme di dati ed informazioni acquisiti tramite interviste approfondite realizzate nel corso del
primo semestre del 2002 a testimoni privilegiati impegnati in Albania e Romania presso
organizzazioni non governative e organismi governativi attivi nella lotta al traffico di esseri umani.
Queste interviste sono state svolte, rispettivamente, da operatori di Save the children operanti in
Albania e da operatori di Terres des Hommes operanti in Romania da più anni dove gestiscono
servizi specifici finalizzati ad offrire supporto ai gruppi di minori svantaggiati in generale e forme
di protezione sociale alle vittime della tratta in particolare.
6.4 Alcune interazioni tra il traffico di donne a scopo di prostituzione e il traffico di minori.
Aspetti comuni trai due fenomeni nei casi della Romania e dell’Albania.
Dall’esame delle interviste che costituiscono l’ossatura del presente Capitolo, così come dai dati e
dalle informazioni altrove disponibili sul traffico internazionale di minori, si evince come questo
fenomeno presenti aspetti comuni con quello più ampio del traffico di esseri umani, e in particolare
129
con la tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale. In questo paragrafo si cercherà di mettere
in luce alcune delle analogie e dei rapporti tra i due fenomeni, riscontrabili in entrambi i paesi che
sono al centro di questa ricerca.
In primo luogo le condizioni sociali ed economiche sottese alla tratta di donne e al traffico di minori
sono le medesime; inoltre le modalità di reclutamento, le strategie criminali messe in atto, le rotte
prescelte dai trafficanti non di rado presentano aspetti comuni. In secondo luogo le persone che
restano coinvolte nel traffico, minori al momento del reclutamento, possono essere trattenute dagli
sfruttatori anche per diversi anni fino a raggiungere la maggiore età e oltre. Pertanto, in questo caso,
lo status del minore cambia mentre la condizione di coercizione e sfruttamento è in atto.
In terzo luogo le donne trafficate talvolta lasciano bambini nel paese d’origine i quali, inizialmente
affidati a terze persone, possono essere in seguito trascurati, affidati a istituti o abbandonati (come
vedremo più avanti si tratta soprattutto di figli di madri divorziate). L’abbandono non corrisponde
quindi, in termini temporali, alla partenza della madre ma questa ne è una conseguenza diretta;
come nel caso in cui i bambini vengano affidati, come accade frequentemente, a una persona
anziana (in genere una nonna, ma a volte anche una vicina di casa) la quale, nel tempo, non riesce a
garantire al minore la continuità del suo mantenimento e delle cure necessarie.
L’aumento esponenziale del rischio di traffico da parte dei minori trascurati o abbandonati, che
colpisce in misura elevata i bambini appartenenti alla minoranza Rom – come risulta dalle interviste
ai testimoni albanesi – può riscontrarsi quindi, in generale, in tutti i casi nei quali al minore vengono
meno la presenza e le cure di una figura adulta e positiva appartenente alla famiglia. La
precisazione “positiva” è indispensabile poiché sappiamo, sulla base delle testimonianze dirette
riportate dalle ragazze trafficate a scopo di prostituzione, che eventi quali la morte della madre
possono determinare non solo l’abbandono della minore ma anche l’insediarsi o l’intensificarsi di
episodi di violenza a suo carico, come ad esempio l’“abitudine all’incesto” da parte del padre il
quale si rivolge alla figlia come sostitutivo della madre non solo nella cura della casa e dei fratelli
minori, ma anche nella ricerca di soddisfazione ai propri bisogni sessuali. Quando il padre si risposa
la bambina viene poi spesso allontanata o venduta, oppure abbandona lei stessa la famiglia.
Come accennato, gli intervistati reputano soggetti a rischio di traffico anche i minori accolti in
istituti a causa delle cure insufficienti che ricevono e della loro facile accessibilità da parte dei
procacciatori i quali, con l’inganno o la corruzione, riescono ad impossessarsi dei bambini. In tutti
questi casi i minori diventano una “merce” estremamente appetibile per i trafficanti sia perché essi
sono più facilmente reclutabili, sia perché la loro sparizione spesso non viene notata o non dà luogo
a denunce, condizione che fornisce ampie garanzie di impunità ai trafficanti.
In altri casi le donne, durante l’esperienza della tratta, partoriscono bambini che vengono poi
venduti dagli sfruttatori che li destinano a un mercato diverso da quello che ha coinvolto le madri:
ad esempio dalla prostituzione alle adozioni illegali. In particolare nella tratta a scopo di
sfruttamento sessuale, l’aborto viene praticato in maniera significativa (si registrano casi di donne
che hanno abortito anche sette, otto volte) poiché le ultime fasi della gravidanza e il parto,
impedendo alla donna di prostituirsi, rappresentano un mancato guadagno per lo sfruttatore.
Nonostante ciò si possano registrare alcuni casi di donne che si prostituiscono in visibile stato di
gravidanza. Dalle interviste risultano infatti esperienze di donne inserite nel mercato della
prostituzione le quali hanno portato a termine la gravidanza e che si vedono sottrarre i neonati che
vengono poi venduti dagli sfruttatori (anche se viene menzionato qualche caso di vendita del
neonato da parte della madre).
In entrambe le situazioni descritte – abbandono del bambino in patria successivo alla partenza della
madre e vendita del neonato conseguente all’ingresso di questa nel mercato della prostituzione – il
fenomeno criminale primario (tratta e sfruttamento della prostituzione) che ha coinvolto donne
130
adulte genera un fenomeno criminale di tipo secondario che ha per oggetto i minori. Questa
dinamica produce effetti particolarmente gravi sia dal punto di vista dell’accanimento nella
violazione dei diritti umani fondamentali, sia dal punto di vista della massimizzazione della
“redditività” del crimine da parte dei trafficanti e degli sfruttatori. Ci troviamo infatti di fronte a una
concatenazione di comportamenti criminali dei quali restano vittime più soggetti deboli: a partire
dalla tratta della donna, l’abbandono del minore da una parte e la maternità dall’altra permettono
alle organizzazioni criminali di accedere a nuove fasce del mercato di esseri umani incrementando
così i propri guadagni.
Un altro aspetto da tenere in considerazione riguarda l’intrinseca difficoltà del monitoraggio del
fenomeno secondario: il reclutamento di minori di cui non viene denunciata la scomparsa o la
vendita di neonati dei quali spesso non risulta traccia e che in qualche modo non sono “mai esistiti”
rendono molto difficile determinare le proporzioni del fenomeno e altrettanto complesse le possibili
azioni di contrasto. Pur trattandosi di casi apparentemente poco frequenti, quindi non
particolarmente rilevanti sul piano statistico, ci pare importante che essi non sfuggano all’attenzione
in quanto si tratta di fenomeni significativi sul piano dell’analisi sociale e dello studio dei
comportamenti criminali connessi al traffico di persone.
Inoltre, una tendenza preoccupante riferita da tutti i testimoni rumeni intervistati riguarda il
progressivo abbassamento dell’età delle vittime del traffico.103 Delle 511 donne assistite da IOMBucarest tra il gennaio 2001 e il maggio 2002 il 24% erano minori e il 33% comprendeva ragazze
tra i 18 e i 20 anni di età.104
Un altro aspetto che emerge dalle interviste, e che avvicina ancora una volta i minori alle donne
adulte trafficate, riguarda la presenza di elementi culturali tradizionali che hanno a che vedere con il
riconoscimento dell’autorità del maschio adulto all’interno della famiglia che può dar luogo a un
vero e proprio esercizio di potere nei confronti delle donne e dei bambini, ovvero dei soggetti più
vulnerabili nella sfera familiare come in quella sociale. Pur prescindendo dalle esperienze più gravi
sofferte dai minori appartenenti alle famiglie socialmente disagiate come gravi trascuratezze,
abbandono o violenze sessuali in ambito domestico, un testimone rumeno riferisce che picchiare i
bambini è considerato una pratica educativa comune nella quale non viene percepita alcuna forma
di abuso. Un testimone albanese sottolinea invece che il diffondersi delle gravi notizie circa la tratta
delle giovani donne a scopo di sfruttamento sessuale, pur costituendo in parte un deterrente al
traffico, ha rafforzato in alcune aree dell’Albania la cultura patriarcale “protettiva”105 e opprimente
nei confronti delle ragazze, al punto da indurre queste ultime ad abbandonare comunque le famiglie
nel tentativo di emigrare (illegalmente) esponendosi così al rischio di diventare facili prede dei
trafficanti.
La tendenza alla mortificazione dell’identità della persona (donna o bambino/a) corrisponde alla
svalutazione della figura femminile e di quella del minore nella famiglia e nella società. Troviamo
conferma di ciò nel fatto che i testimoni intervistati riconoscono come concause della vulnerabilità
al traffico tanto la mancanza di autostima da parte delle potenziali vittime quanto l’assenza di
prospettive accettabili che riguardano, significativamente, non solo il lavoro ma anche la vita
familiare e sociale. La donna o il/la minore, così svalorizzati nel gruppo familiare, finiscono per
essere visti come un peso economico e tornano a essere percepiti come una risorsa solo nel
momento in cui vengono venduti per somme che aumentano, se possibile, la drammaticità della loro
condizione e della realtà dalla quale questi fenomeni scaturiscono.
103
Gli intervistati albanesi definiscono al contrario in calo il traffico di minori dall’Albania.
Nel valutare questi dati è bene considerare che il campione preso in esame da IOM riguarda donne accolte nei
percorsi di aiuto. L’elevata presenza di minori potrebbe quindi essere dovuta a una maggiore propensione di queste
ultime a richiedere o accogliere proposte di sostegno da parte delle associazione rispetto alle donne adulte.
105
L’aggettivo è virgolettato nel testo originale.
104
131
Dai dati contenuti nelle interviste che riguardano la Romania risulta che quasi nessuna delle donne
coinvolte nel traffico successivamente accolte dalle Ong è sposata;106 il fenomeno coinvolge di
conseguenza donne nubili (minori o comunque giovani) o divorziate. L’assoluta prevalenza di
queste fasce della popolazione femminile nella tratta testimonia la loro maggiore vulnerabilità
socio-economica rispetto alle donne sposate e spiega anche la ragione del persistere della tradizione
del matrimonio in età giovanissima per le donne (al di sotto dell’età legale di sedici anni), come
viene documentato per l’Albania da Renton (2002). L’emigrazione maschile, che raggiunge punte
del 90% in alcune aree rurali, spiega l’autore, riduce drasticamente le prospettive di matrimonio
delle ragazze che si vedono indotte a sposarsi giovanissime, anche a tredici o quattordici anni, per
non perdere la possibilità del matrimonio. Anche gli uomini emigrati che tornano in patria per
cercare moglie scelgono ragazze giovanissime, cosicché una ragazza di diciotto o diciannove anni
può avere ormai poche opportunità di sposarsi. Questo fenomeno, continua Renton, spiega in parte
perché i trafficanti hanno successo nel proporre matrimoni falsi alle ragazze (e alle loro famiglie),
come viene peraltro riferito anche dai testimoni albanesi intervistati per questa ricerca.
Gli elementi introdotti fino a qui permettono di confermare la presenza di una stretta correlazione
tra il traffico delle donne adulte e quello che ha per oggetto i bambini e le bambine. Emerge inoltre
la presenza di una zona di influenza comune tra i due fenomeni, sebbene dai confini non facilmente
determinabili: dai minori coinvolti nel traffico che raggiungono la maturità nelle mani dei
trafficanti, alle madri trafficate che abbandonano i propri figli esponendoli al rischio di essere
trafficati a loro volta, fino alle donne-bambine che sono costrette a “scegliere” tra un matrimonio
necessario e l’emigrazione illegale vista come unica possibilità di sfuggire all’oppressione cui sono
sottoposte in famiglia; esperienza che può sfociare nella tratta a scopo di prostituzione. A questo
aggiungiamo la vendita dei bambini nati da donne trafficate o ancora la vendita di un figlio da parte
della madre, vista come unica possibilità di sostentamento per gli altri figli. Bambini e bambine che
vengono destinati nel migliore dei casi alle adozioni illegali ma spesso all’accattonaggio, alla
prostituzione o altro.
Infine, nell’analisi del fenomeno del traffico illegale che ha per oggetto minori, un altro aspetto che
meriterebbe di essere studiato con attenzione riguarda l’arruolamento degli stessi minori nelle vesti
di procacciatori e trafficanti, come risulta ormai evidente dalle informazioni acquisite dagli
operatori e da quelle riferite dalle vittime stesse. In questo caso si pongono nuovi problemi che
hanno a che vedere con il trattamento di questi casi dal punto di vista penale, con l’attivazione di
programmi di recupero (sia in Italia che nei paesi di provenienza) e, non ultima, con la possibilità
concreta del loro reinserimento nella comunità d’origine tenendo conto delle condizioni di disagio
sociale ed economico che hanno prodotto il fenomeno.107
L’insieme di questi aspetti indirizzano l’analisi verso un andamento che tenga conto
contemporaneamente di più fattori che finiscono per corrispondersi come concause ed effetti di un
unico complesso fenomeno. La vastità delle implicazioni del tema in discussione non impedisce
tuttavia di mettere in risalto le caratteristiche specifiche del traffico di minori dalla Romania e
dall’Albania verso l’Italia, estrapolandole dal fenomeno più generale del traffico di esseri umani. Le
testimonianze che sono oggetto di questo Capitolo si riferiscono in gran parte alla tratta a scopo di
prostituzione che coinvolge in larga parte le donne, sia adulte che minori.
106
La mancanza di dati corrispondenti nelle interviste che interessano l’Albania non ci permetterebbe di confermare la
stessa tendenza senza il supporto di altre informazioni. Un aiuto in questo senso ci viene da Daniel Renton, il quale
fornisce utili informazioni relative al matrimonio in Albania.
107
La questione del rientro assistito delle vittime e delle opportunità concrete del loro reinserimento nella comunità
d’origine verrà ripresa nel prosieguo del Capitolo.
132
Il caso della Romania108
M.B., diciassette anni, trafficata in Macedonia riesce a fare rientro in Romania dopo avere trascorso
un anno in mano ai trafficanti. Nel frattempo aveva tentato il suicidio e al momento della sua
accoglienza era incinta di sette mesi. Figlia di genitori alcolisti non vuole rientrare in famiglia ed è
determinata ad abbandonare il bambino che aspetta. Dopo essere stata seguita per un anno e mezzo
da un programma di aiuto, la ragazza ha un lavoro, studia e si sta diplomando, ha una bimba alla
quale è molto legata. Sta progettando di iscriversi all’università, alla facoltà di chimica (ROR).
I.T., stuprata per la prima volta dal fratello all’età di dodici anni, più tardi, dopo un’ennesima
minaccia di violenza, fugge di casa. Rimane coinvolta nel traffico di minori per sei mesi, senza mai
lasciare il paese. Dopo essere stata accolta da un’associazione esprime il desiderio di confessarsi.
Il sacerdote le fa sapere che Dio non l’avrebbe “perdonata” se non dopo una penitenza consistente
in una settimana di digiuno. La ragazza interrompe il digiuno richiesto per proprio riscatto morale
dopo due giorni, poi dichiara a un operatore di non avere più alcuna possibilità, perché nemmeno
Dio l’avrebbe ormai perdonata. Pochi giorni dopo scappa dal centro di accoglienza. Gli operatori
la stanno cercando, si sa che è in Turchia (ROR).
Questi due casi, dagli esiti così differenti, ci sembrano evocare in parte la situazione circa lo stato
dell’arte nella lotta al traffico di minori in Romania. Da quanto emerge dalle interviste il paese
mostra di essere attivo non solo sul piano giuridico, ma anche su quello della sensibilizzazione della
comunità sociale ai temi in discussione, volontà che dimostra a nostro avviso un impegno al
cambiamento anche di ordine più generalmente culturale. Lo sviluppo del paese è trattenuto da un
passato pesante: le conseguenze della sua storia recente hanno prodotto, oltre agli effetti economici
noti, percentuali elevate di aborto e di mortalità infantile, dovuti all’estrema povertà di vaste fasce
della popolazione. Contemporaneamente, sui temi della lotta al traffico di esseri umani e della tutela
dei minori, il paese ha intrapreso un cammino importante che ha prodotto come risultato un
programma legislativo che avvicina la Romania alle nazioni tradizionalmente più impegnate nella
tutela dei diritti umani e in particolare nella lotta alla criminalità organizzata.
6.3
Modalità del traffico illegale di persone verso l’Italia. La Romania come paese di
reclutamento e di transito, recentemente anche come luogo di destinazione
Per quanto riguarda la Romania, il flusso di migranti irregolari e il traffico di esseri umani, tra i
quali minori, segue due direttrici principali: da Est a Ovest e da Sud a Nord-ovest. Un testimone
(G.V.) individua in maniera particolareggiata sei zone di transito contraddistinte per le
caratteristiche specifiche di ciascuna area ma anche per i metodi utilizzati dai trafficanti e le rotte
del traffico:
a. zona Est, ai confini con la Moldavia. Il transito illegale ha origine da Russia, Ucraina, dalla
stessa Moldavia ma anche dai paesi afro-asiatici;
b. zona Ovest, ai confini con l’Ungheria. Il traffico in questo caso sembra interessare soprattutto
persone provenienti dai paesi afro-asiatici che oltrepassano i confini della Romania sia da Est
che da Ovest;
108
Le interviste hanno riguardato, per la Romania, le seguenti organizzazioni: Social Alternatives Association (di
seguito indicata come SAA), Reaching Out Romania (di seguito indicata come ROR), Save the Children – Romania
(StC), International Organization for Migration – Bucarest (IOM). Una testimonianza rilevante è quella fornita da G.V.,
magistrato, che esamina il programma legislativo recentemente messo in atto sulla lotta al traffico di esseri umani e le
modalità di applicazione delle norme in vigore.
133
c. zona Sud, ai confini con la Bulgaria. Questo confine è interessato da un doppio flusso di persone
che transitano in entrata (si tratta di popolazioni afro-asiatiche e curde e sono dirette verso i
paesi dell’Europa Occidentale) e in uscita (rumeni diretti verso la Grecia e l’Italia);
d. zona Sud-est, ai confini con l’Ucraina e il Mar Nero. Si tratta per lo più di persone in transito
attraverso la Romania che si spostano individualmente e di flussi gestiti da organizzazioni
criminali provenienti dall’ex Unione Sovietica e dai paesi afro-asiatici;
e . zona Sud-ovest, ai confini con la Serbia. In questa zona di confine agiscono diverse
organizzazioni criminali rumene ma anche internazionali che gestiscono il transito illegale
migranti (rumeni e provenienti da altri paesi) attraverso la Serbia, la Macedonia e la Grecia e la
tratta vera e propria proveniente dalla ex Unione Sovietica e dalla stessa Romania;
f. zona Nord, ai confini con l’Ucraina.
Per quanto riguarda la tratta di minori – come accennato, tutti gli intervistati concordano nel ritenere
le bambine maggiormente coinvolte nel traffico, principalmente destinato alla prostituzione – un
testimone (ROR) afferma che le aree rumene ritenute maggiormente interessate dal traffico sono
soprattutto la regione moldava, il Banato e il Sud del paese. Le ragazze che vengono fatte transitare
attraverso i paesi della ex Iugoslavia vengono “usate” temporaneamente in queste regioni per poi
essere rivendute in Albania e successivamente trasferite in Italia approdando sulle coste pugliesi, a
Brindisi in particolare. Altre rotte che interessano i/le minori passano per la Bulgaria, la Repubblica
Ceca e l’Ungheria. La domanda da parte dei paesi dell’Europa occidentale viene giudicata sempre
elevata perché se è vero che alcuni mercati sono considerati pressoché saturi (come accade per certe
regioni italiane – Carchedi, 2002), nuovi paesi hanno fatto la loro comparsa nelle mappe del traffico
come Spagna, Portogallo e Olanda (ROR).
Secondo la polizia di frontiera rumena, riferisce IOM, dopo il reclutamento i minori sprovvisti di
documenti o che risultano essere espatriati illegalmente in precedenza vengono forniti di documenti
falsi. La falsificazione avviene generalmente mediante la sostituzione delle fotografie dei passaporti
di coetanei. Quando sono provvisti di documenti e in assenza di precedente segnalazioni per
espatrio illegale, i minori vengono fatti espatriare “legalmente” con i propri documenti. In tutti i
casi i ragazzi sono accompagnati da adulti incaricati di gestire solo quella fase del percorso e che
successivamente li consegnano ad altri membri dell’organizzazione. E’ diffuso il ricorso a pratiche
miste – legali e illegali – per l’espatrio e per condurre a termine il viaggio con il coinvolgimento di
altre persone.
Un dato importante, riferito da diversi testimoni, riguarda i cambiamenti recenti intervenuti nel
traffico che coinvolge la Romania, che pur confermandosi principalmente come paese d’origine
delle vittime, ha registrato recentemente la presenza di donne e minori provenienti da altri paesi,
non solo in transito. Sembra quindi che, anche se in misura modesta, il paese si stia caratterizzando
anche come luogo di destinazione di donne e minori trafficati, provenienti in particolare
dall’Ucraina e dalla Moldavia. Non si può escludere tuttavia che la Romania costituisca, almeno in
parte, una destinazione intermedia. Il fenomeno potrebbe essere attribuibile alla volontà dei
trafficanti di “iniziare” alla prostituzione coatta le donne e i minori sui quali esercitano il controllo
in modo da rendere la “merce” immediatamente produttiva non appena immessa nei principali
mercati di sfruttamento.
6.8 Lo stato dell’arte in tema di lotta al traffico: la legislazione in vigore e l’efficacia della sua
applicazione in Romania.
La Legge n. 678/2001 destinata alla prevenzione e alla lotta al traffico di esseri umani rappresenta
“una norma moderna in accordo con gli strumenti internazionali esistenti” (G.V.) e costituisce un
134
completamento della legislazione nazionale in linea con le disposizioni adottate dal Protocollo delle
Nazioni Unite di Palermo del dicembre 2000. Nella stesura della legge si è tenuto conto degli
accordi sottoscritti a livello europeo e internazionale in tema di lotta al traffico di esseri umani, in
particolare di minori. L’approvazione di questa legge si aggiunge alle norme già previste dal Codice
Penale nazionale per reati diversamente correlati con il traffico di esseri umani, come la
“deprivazione illegale della libertà”109 o la riduzione in schiavitù; tra i reati collegati compaiono
anche la prostituzione e l’espatrio illegale.
La Legge n. 678, oltre a rafforzare l’impianto legislativo atto a combattere il traffico di persone, ha
promosso l’attivazione di una rete istituzionale di aiuto alle vittime in collaborazione con le
organizzazioni non governative; il Ministero dell’Istruzione, in collaborazione con altri dicasteri e
con agenzie non governative, ha il compito di attivare programmi di prevenzione rivolti soprattutto
a soggetti a rischio di essere coinvolti nella tratta; il Ministero del Lavoro promuove l’accesso al
lavoro di soggetti a rischio di traffico, in particolare di donne che vivono in aree economicamente
depresse e in condizioni di emarginazione sociale. Viene previsto inoltre il rafforzamento della
cooperazione internazionale allo scopo di stabilire collaborazioni tra i paesi interessati dal
fenomeno sul piano giuridico e penale e su quello investigativo in particolare.
Va detto che all’epoca dell’intervista (primavera 2002) la Romania non aveva definito le
responsabilità dei singoli organismi istituzionali nell’applicazione della Legge, circostanza che –
come dichiarano gli stessi testimoni – ha prodotto inadempienze e ridotto l’efficacia della norma, in
modo particolare per quanto riguarda le azioni di prevenzione e aiuto alle vittime. Tuttavia,
l’approvazione di uno specifico Regolamento attuativo e l’istituzione di un gruppo interministeriale
di applicazione della legge – del quale faranno parte rappresentanze delle organizzazioni non
governative e della società civile – dovrebbero dare impulso ai provvedimenti previsti dalla legge.
Dai dati presentati da un testimone (G.V.) risulta che nel corso del 2001 sono state condannate per
reati connessi con il traffico di esseri umani 1801 persone, di queste 82 erano minori. Sul totale
vengono contestati 131 reati di prostituzione (di cui 25 compiuti da minori) e 1331 di
attraversamento illegale dei confini nazionali (di cui 41 contestati a minori). Nel primo trimestre
del 2002 si registrano complessivamente 565 condanne collegate al traffico, 28 delle quali hanno
riguardato minori. A conferma di quanto accennato precedentemente, questi dati mettono in luce la
presenza di minorenni coinvolti nel traffico di esseri umani non solo come vittime ma anche come
autori di reato.
Un aspetto critico riguarda, come si sarà notato da quanto emerso in questo Capitolo, la coincidenza
della vittima di traffico con l’autore/autrice dei reati di prostituzione e di espatrio illegale. La Legge
n. 678 prevede nel primo caso che la persona trafficata che ha commesso il reato di prostituzione
non sia punibile per questo reato qualora lo denunci spontaneamente (prima dell’avvio delle
indagini) oppure favorisca in seguito l’arresto dei suoi sfruttatori.
L’intervistato ammette tuttavia che i provvedimenti legislativi emanati non si dimostrano sufficienti
a incoraggiare la persona trafficata coinvolta nel mercato della prostituzione a testimoniare contro i
trafficanti, soprattutto perché questa teme di incorrere comunque in sequele giudiziarie. Per quanto
riguarda l’espatrio illegale la situazione è ancora più contraddittoria poiché, sebbene il Codice
Penale preveda generiche eccezioni relative alla punibilità dell’accusato qualora sia riconosciuto il
109
Il testo originale, in lingua inglese, chiarisce: “illigal deprivation of liberty”. La precisazione “illigal” è
verosimilmente dovuta alla volontà di distinguere questo comportamento criminale da forme legali di privazione della
libertà, come la carcerazione a seguito di reato. La scelta di ricorrere a questa specificazione, tuttavia, suscita l’interesse
ad approfondire altri aspetti che hanno a che vedere con la libertà individuale e con la presenza di limitazioni a essa,
come ad esempio il concetto di esercizio/diritto di autorità in ambito familiare e la sua eventuale trattazione
giurisprudenziale nell’ordinamento rumeno.
135
suo status di vittima nell’esecuzione del reato medesimo, non esistono disposizioni specifiche che
rendano non perseguibile la vittima del traffico di esseri umani.
A questo proposito possiamo registrare il caso110 di una giovane donna rumena accolta nel percorso
di protezione sociale previsto in Italia dall’articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione. La
ragazza, minore all’epoca del suo ingresso nella tratta e dell’espatrio illegale dal paese d’origine e
dopo essersi sottratta agli sfruttatori, ha ricevuto in Italia protezione, accoglienza e sostegno
psicologico aderendo inoltre a un programma di formazione e avvio al lavoro della durata di un
anno con esiti molto positivi. La necessità del passaporto in vista di un’assunzione ha reso
necessario alla ragazza il rientro in patria dove è stata trattenuta e sottoposta a processo per aver
lasciato illegalmente il paese all’età di sedici anni.
Dalle informazioni raccolte si evince inoltre che il reato di prostituzione, anche quando non riguardi
minori, interessi comunque donne giovani in gran parte prive di occupazione.
Un ulteriore elemento di criticità nell’applicazione delle disposizioni relative alla lotta al traffico in
Romania riguarda, come emerge dalle interviste, la brevità del periodo di accoglienza presso i centri
concesso alle vittime, periodo che come previsto dalla Legge specificata raggiunge i dieci giorni,
anche se si prevede in alcuni casi la possibilità di prolungare l’accoglienza fino a tre mesi.
Se si tiene conto della complessità insita nell’attivazione di un percorso di sostegno personale e di
reinserimento sociale per una persona che abbia subìto gravi traumi –come quelli spesso connaturati
al fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento sessuale – risulta evidente come la durata
dell’accoglienza delle vittime prevista dalla legge rumena sia ampiamente inadeguata allo scopo, e
ciò a maggior ragione se si tratta di minori.
L’esperienza del lavoro sociale con le donne trafficate a scopo di prostituzione maturata anche in
Italia, mostra infatti come il tempo necessario a una ragazza per rielaborare l’esperienza vissuta e
recuperare la tranquillità necessaria alla costruzione di un percorso che permetta di riattivare le
risorse personali debba essere almeno di tre/quattro mesi. Questo periodo può superare un anno nel
caso in cui a questi primi obiettivi si aggiungano quelli della formazione e del reinserimento sociolavorativo, mentre le conseguenze psicologiche dell’esperienza traumatica perdurano a lungo nel
tempo, influenzando i comportamenti sociali e relazionali della persona.
6.9 Le Organizzazioni non governative intervistate: potenzialità e criticità emerse.
Prima di addentrarci nell’analisi delle testimonianze occorre precisare che i dati quantitativi relativi
al traffico di esseri umani riportati dagli operatori nelle interviste fanno riferimento alle persone
trafficate (adulte e minori) che hanno ricevuto qualche forma di aiuto dalle Ong interpellate, quindi
non alla totalità delle persone coinvolte nel traffico (il cui numero rimane oscuro). Essi pertanto non
possono fornire da soli indicazioni circa la realtà del traffico di minori che ha origine dal paese – o
che vi transita – se non in via ipotetica e per approssimazione statistica. Le informazioni presentate
si riferiscono alle organizzazioni che hanno aderito alle interviste:
Social Alternatives Association si occupa di minori trafficati dal febbraio 2001 e ha seguito
complessivamente 26 persone (tutte di sesso femminile e di nazionalità rumena) di età compresa tra
110
Il caso riguarda una ragazza accolta dalla Rete di servizi che aderiscono al Progetto Roxanne, attivato dal Comune di
Roma in accordo con le disposizioni previste dall’articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione. Il rimpatrio e il
conseguente processo al quale la giovane è stata sottoposta risale alla primavera del 2002, cioè allo stesso periodo nel
quale il magistrato rumeno intervistato rilasciava le dichiarazioni che sono oggetto di questo Capitolo.
136
i 16 e i 32 anni. Di queste, nessuna era sposata, 4 erano divorziate e 22 erano nubili; sul totale 5
avevano bambini.
Reaching Out Romania ha iniziato a occuparsi di minori trafficati nell’ottobre 1988. Ha accolto
complessivamente 56 persone (di sesso femminile, 3 di nazionalità moldava) 14 delle quali minori.
Di queste, le adulte vivono in maniera indipendente mentre le minori sono state reinserite nelle
famiglie d’origine. Sul totale, 5 donne sono state nel frattempo ri-trafficate.
Save the Children - Romania segue i minori trafficati dal gennaio 2002. L’associazione, che non si
occupa esclusivamente di bambini trafficati, ha accolto dalla data indicata 8 minori vittime della
tratta (di nazionalità rumena).
International Organization for Migration – Bucarest ha iniziato a occuparsi di vittime della tratta
nel dicembre 1999. Da gennaio 2001 a maggio 2002 ha seguito 511 persone (tutte di sesso
femminile, di cui 231 rumene, altre provenienti da Moldavia e Ucraina). Sul totale, 123 ragazze
erano minori (6 avevano meno di 14 anni e 117 avevano dai 15 ai 17 anni), 170 avevano un’età
compresa tra i 18 e i 20 anni, 120 avevano tra i 21 e i 23 anni, 59 andavano dai 24 ai 26 anni e 39
avevano un’età superiore ai 27 anni. Il 95% delle vittime assistite da IOM riferisce inoltre di essere
stata venduta più volte.
Confrontando le informazioni acquisite dagli intervistati dal punto di vista delle attività nelle quali
le organizzazioni sono impegnate, delle risorse da queste attivate, delle potenzialità e delle criticità
che i testimoni registrano, emerge quanto segue:
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-
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-
si tratta per lo più di strutture medio-piccole con un numero di addetti che va da sei a un
massimo di dodici. Solo in un caso viene fatto ricorso a personale volontario; in tutti i casi si
afferma la necessità di fare affidamento su personale qualificato, quindi sulla necessità di
promuovere una adeguata formazione professionale per gli operatori;
grande attenzione viene riservata alle azioni di prevenzione e sensibilizzazione, come previsto
dalla Legge antitraffico n. 678. Gli interventi interessano soprattutto la scuola e i mezzi di
comunicazione (giornali e televisione), ma vengono praticati anche avvicinando direttamente i
giovani per le strade e sensibilizzando il mondo del lavoro allo scopo di facilitare l’accesso
delle potenziali vittime al lavoro. Tutte queste azioni mirano ad aumentare la consapevolezza
del fenomeno e dei rischi, soprattutto per i minori, sia presso i diretti interessati che presso gli
adulti con i quali questi sono in rapporto (soprattutto insegnati e famiglie);
per volontà delle autorità rumene e in collaborazione con la televisione nazionale (TVR2) e la
stampa, le Ong (IOM in particolare) hanno avviato una campagna di sensibilizzazione
attraverso spot (“gli esseri umani non hanno prezzo” è uno degli slogan utilizzati), manifesti,
seminari destinati ad agenti di polizia, insegnanti, operatori sociali, campagne informative
dirette agli studenti e altro;
tra le azioni di prevenzione, va menzionato il monitoraggio di messaggi e annunci che
possono mascherare il reclutamento di persone da destinare al traffico (ad esempio le false
offerte di lavoro) o che trattano temi come l’emigrazione illegale;
alle vittime viene offerta accoglienza (con i limiti che abbiamo accennato), assistenza
sanitaria e psicologica, orientamento al lavoro, talvolta formazione o ricerca attiva di lavoro.
Il sostegno al rimpatrio viene offerto da IOM e così pure la ricerca sociale sul fenomeno;
vengono promosse attività di councelling, in particolare per promuovere e assistere il
reinserimento dei minori nelle famiglie d’origine. Questo passaggio, giudicato da tutti i
testimoni estremamente delicato, richiede un’attenta mediazione con le famiglie mirata a
facilitare la riaccoglienza del minore in un contesto nel quale perdurano spesso le condizioni
che sono state all’origine del traffico. Oltre alla mediazione familiare è previsto talvolta il
137
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-
supporto finanziario alle famiglie, allo scopo di prevenire il rischio dei minori di ricadere nel
traffico, poiché la povertà è riconosciuta da tutti come uno dei primi fattori di rischio;
tutte le organizzazioni dichiarano di godere di una buona credibilità e di essere ben accette
presso la popolazione locale; dichiarano inoltre di registrare un buon grado di soddisfazione
da parte delle persone accolte per i servizi resi e di mantenersi, in linea di massima, in
contatto con queste dopo il loro ritorno in famiglia o comunque dopo la loro uscita dai
progetti;
per quanto riguarda i rapporti con gli organismi governativi, vengono formulate dichiarazioni
contraddittorie che testimoniano da un lato un grado di collaborazione variabile e dall’altro
una carenza quasi strutturale di risorse per la gestione dei programmi.111 A proposito della
dotazione degli strumenti necessari a operare, diversi intervistati dichiarano ad esempio di non
avere un’automobile, cosa che rende problematico svolgere molte attività e particolarmente
raggiungere le zone rurali, nelle quali peraltro l’esposizione al rischio di traffico è
particolarmente elevata e la presenza degli operatori più importante;
un vuoto nella collaborazione con le istituzioni viene segnalato anche a proposito delle
difficoltà ad avviare il primo contatto con le vittime dovuta, si segnala, alla mancanza di
chiari reti di riferimento (ROR).
6.10 Le condizioni che determinano l’insorgere del fenomeno e il profilo dei soggetti
coinvolti: le famiglie e i minori trafficati; i trafficanti e le modalità di reclutamento.
Uno dei testimoni (G.V.) individua come cause o concause esterne al paese che concorrono al
determinarsi del traffico di esseri umani attraverso la Romania i seguenti fattori:
-
-
le ridotte potenzialità di crescita socio-economica dei paesi situati a Nord e a Sud della
Romania che determinano una elevata migrazione illegale in transito;
il forte potere di attrazione esercitato dai paesi sviluppati che richiama massicci flussi
migratori illegali;
l’esistenza di procedure permissive per la richiesta dei visti d’ingresso in paesi quali la Russia,
la Moldavia, l’Ucraina che richiamano a loro volta ingenti flussi migratori dall’Asia e
dall’Africa;112
la presenza di organizzazioni criminali nei paesi confinanti a Nord e a Est con la Romania che
hanno una precisa conoscenza dei confini comuni e che sono in grado di eludere facilmente i
controlli da parte della polizia rumena.
Rispetto alle cause del fenomeno originatesi all’interno del paese e attribuibili a condizioni locali
specifiche, lo stesso testimone distingue:
111
La collaborazione in alcuni casi viene ritenuta buona, in altri casi ampiamente insufficiente; vengono riportate:
difficoltà di ordine burocratico (SAA), insufficienza di risorse per la formazione degli operatori, mancanza di fondi in
generale, soprattutto per gli interventi destinati ai minori come la carenza di posti presso i centri di accoglienza (ROR) e
la mancanza di risorse per l’accoglienza di lungo termine (StC). Si lamentano inoltre costi elevati per l’accesso dei
minori alla formazione e ai servizi sanitari (in questo caso non solo per i minori) e la mancanza di servizi sociali
dedicati. Per completezza di informazione aggiungiamo che nel 1990 è stata creata l’ANPCA (Autorità nazionale per la
protezione del bambino e l’adozione) e nel 1997 un Dipartimento destinato alla protezione del benessere del bambino
che prevede il decentramento dei servizi dedicati. Per migliorare il coordinamento delle iniziative sul territorio è stata
promossa una “Strategia per la protezione e il benessere del bambino” per il periodo 2000-2004 (StC). Viene riferito
anche che i servizi sociali locali non sono chiamati a impegnarsi direttamente nei programmi di reinserimento delle
vittime, ma sono invitati a collaborare dalle singole Ong.
112
In “Osservatorio sui Balcani” (2002) si legge: “Nel corso del decennio (ultimo, n.d.r.) la Romania ha acquistato
importanza come tappa di transito nei flussi migratori tra est e ovest, anche in virtù di un regime di visti particolarmente
elastico”.
138
a. il processo di ristrutturazione economica in atto che riduce le possibilità di guadagno per coloro
che detengono un basso livello di istruzione;113
b. il basso livello di istruzione della popolazione che non solo riduce le opportunità di lavoro ma
impedisce l’adozione di un approccio realistico nella ricerca di alternative;
c. specifiche lacune presenti a livello legislativo;
d. micro-fattori sociali di rischio, soprattutto la presenza di ambienti familiari nei quali sono
presenti conflitti, violenza, alcolismo e dove il minore è spesso vittima di violenze, anche
sessuali, o di abbandono da parte dei genitori;
e. il comportamento fortemente antisociale dei trafficanti e di quanti si rendono loro complici
nell’esercizio delle attività illegali.
La povertà diffusa e in particolare la provenienza delle famiglie dalle aree più depresse del paese
(come la regione moldava, il Banato e le zone del Sud) vengono considerate dalla maggior parte
degli altri intervistati tra i fattori di maggiore esposizione al traffico per i minori; anche la
provenienza dalle città principali, dove il senso della comunità è debole o assente, aumenta il grado
di vulnerabilità delle potenziali vittime (SAA). Altri testimoni confermano alcuni dei fattori sopra
menzionati, come la correlazione tra la vulnerabilità al traffico del minore e le violenze (anche
sessuali) subite all’interno della famiglia o più in generale la forte trascuratezza della quale egli
soffre (SAS). Condizioni di rischio vengono riconosciute più in generale nell’adozione di pratiche
violente intese come forme educative: come abbiamo accennato nella premessa, un testimone (StC)
riferisce che picchiare i bambini è considerato il metodo educativo più comune e non un
comportamento abusivo. Altri fattori, correlati ai precedenti, hanno a che vedere con la mancanza di
autostima delle potenziali vittime e la presenza di discriminazioni a loro carico.
Per quanto riguarda il mercato della prostituzione, al quale è destinata la maggior parte delle donne
(adulte o minori), un intervistato (ROR) sostiene la presenza di una correlazione tra l’avvio alla
prostituzione volontaria e le esperienze di incesto subite in precedenza.
In base alle testimonianze raccolte, il profilo del minore-vittima del traffico viene quindi a comporsi
con una certa precisione. Si tratta di ragazze e ragazzi i quali:
a. sono abbandonati a se stessi (ragazzi di strada);
b. hanno sofferto violenze, nelle famiglie o negli istituti una volta abbandonati;
c. hanno sperimentato un rapporto affettivo-educativo carente con i genitori e l’assenza del senso
di appartenenza alla famiglia;
d. hanno un grado di istruzione basso o nullo;
e. condividono con gruppi di pari una forte valorizzazione del denaro e aspirano all’indipendenza,
soprattutto in termini economici;
f. non hanno relazioni con comunità che abbiano valore in termini di capacità di aggregazione,
quali la chiesa;
g. non hanno prospettive di lavoro e di guadagno nel paese;
h. sono ingenui e credono facilmente a storie di successi altrui;
i. si sentono maturi e pronti a sostenere i rischi della migrazione;
113
Riportiamo questa dichiarazione così come è contenuta nel testo originale nonostante ci sembri evidente che il
problema delle scarse possibilità di guadagno non interessi soltanto coloro che detengono un basso livello di istruzione,
bensì ampie fasce della popolazione. Ancora in “Osservatorio sui Balcani” (cit.) leggiamo che “la Romania conosce
consistenti fenomeni di brain drain. Buona parte di coloro che lasciano il paese sono infatti giovani e istruiti: circa la
metà dei 5000 laureati in informatica all’anno decide di emigrare, e un sondaggio del marzo 2001 ha rilevato che il 66%
degli studenti romeni emigrerebbe se potesse. Secondo il governo almeno 80.000 professionisti hanno abbandonato il
paese dal 1989.”
139
j. hanno un’età compresa per lo più tra i 15 e i 17 anni, in un contesto nel quale si assiste a un
abbassamento generalizzato dell’età, soprattutto per le ragazze (SAA; ROR).
Per quanto riguarda le organizzazioni criminali, dalle interviste emerge la compresenza di reti
familiari che occasionalmente si aggregano al traffico internazionale, ma anche di singoli individui
specializzati nella gestione di alcuni segmenti del traffico (reclutamento, trasporto, alloggio). Le
organizzazioni riescono a raggiungere un grado di complessità elevato e tra i membri nessuno
conosce la rete nel suo complesso ma solo gli intermediari locali (ROR).
I trafficanti possono avere un’età compresa tra i 18 e i 50 anni, più spesso sono uomini ma sono
presenti anche donne. Tuttavia il trafficante “tipo” è maschio e ha un’età compresa tra i 20 e i 30
anni (IOM). Viene descritto dai testimoni come distinto e persuasivo (racconta storie di successo).
Svolge un’attività – di copertura – che lo porta a intrattenere relazione con molte persone (barista,
cameriere o tassista); risulta chiaro il contrasto tra il lavoro che svolge e il tenore di vita piuttosto
elevato che sostiene (come si evince dall’abbigliamento, dall’automobile e dal possesso del telefono
cellulare) (SAA).
Le modalità di reclutamento delle potenziali vittime vanno dalle proposte di lavoro (66% secondo i
dati IOM) o altre promesse illusorie effettuate attraverso un approccio diretto, al ricorso ad annunci
di lavoro (dalla cameriera al lavoro in campo artistico, come la ballerina nei night club) che talvolta
possono lasciare supporre o dichiarare una qualche forma di attività prostituzionale, ma l’elemento
dell’obbligatorietà non è mai esplicitato. Vengono riportati, anche se in misura ridotta, casi di
rapimento (SAA) ma nella stragrande maggioranza dei casi il reclutamento avviene grazie alla
complicità di parenti o conoscenti, secondo quanto risulta dai casi seguiti da IOM.
6.11 Rimpatrio delle vittime e valutazione degli strumenti di contrasto al traffico di esseri
umani attivati in Italia.
A proposito della volontà delle vittime di rientrare in patria una volta fuoriuscite dall’esperienza
della tratta le opinioni dei testimoni convergono sulla generale disponibilità al rimpatrio. Un
intervistato (SAA) precisa che, per i casi nei quali le vittime non intendono far ritorno al paese
d’origine, ciò sia da attribuire alle medesime condizioni che le hanno indotte a partire: la povertà, la
mancanza di opportunità e di prospettive non solo rispetto al lavoro ma anche rispetto a una
condizione familiare e sociale accettabile per la donna. Un secondo intervistato (ROR) ritiene che la
presenza di programmi di aiuto al reinserimento e l’assenza di discriminazioni a loro carico
favoriscano la decisione del rimpatrio delle vittime, ma sostiene anche che la possibilità per loro di
essere regolarizzate in altri paesi le incoraggi invece all’espatrio. Secondo questo testimone infatti i
trafficanti che promettono lavoro in Italia risultano più convincenti grazie al fatto che la legge
italiana concede la possibilità della regolarizzazione.
Dalle interviste non emergono elementi che permettano di capire se, e in che misura, le ragazze
reclutate in Romania possano essere a conoscenza delle norme italiane in materia di immigrazione.
Nel caso in cui l’immigrato/a irregolare sia minore e non accompagnato/a, la legge italiana
effettivamente non ne prevede l’espulsione. Nel caso in cui l’immigrato/a irregolare sia
maggiorenne, questi dovrebbe essere a conoscenza del fatto che l’unico modo per entrare o
soggiornare irregolarmente in Italia ed essere successivamente regolarizzato è l’ingresso nel
programma di protezione sociale (come stabilito dal Decreto legislativo 286/98).114
114
Va fatta eccezione per la richiesta di asilo politico e per il recente decreto di regolarizzazione dei lavoratori e delle
lavoratrici in nero, che però ha avuto carattere straordinario.
140
Questo dispositivo richiede che siano comprovate le circostanze del traffico, dello sfruttamento e
dell’attualità del pericolo per l’incolumità della vittima. In questo caso però si dovrebbe riconoscere
che le giovani donne non solo sono consapevoli di entrare nel giro della prostituzione, ma
aderiscono esplicitamente al traffico e allo sfruttamento, almeno in fase di avvio. Il fenomeno,
sebbene non del tutto assente, come vedremo nel caso dell’Albania, risulta però in contrasto con
quanto affermato dagli intervistati rumeni, i quali sono concordi nel ritenere che, anche nei casi in
cui la decisione della donna di prostituirsi sia volontaria, le implicazioni coercitive non vengano
rese palesi dagli sfruttatori.
6.8 Il caso dell’Albania115
L’Albania è uscita nel 1991 da un lungo periodo di isolamento. Alla fine dell’era comunista il paese
è crollato. Forse perché la nostra società non ha sopportato il confronto, l’apertura improvvisa ad un
mondo molto più ricco. E’ crollata di colpo anche l’immagine che l’albanese aveva creato di se
stesso. Di sicuro la crisi albanese è stata ed è anche politica, economica, sociale, ma prima di tutto è
una crisi d’identità, una crisi del sistema dei valori (Misha, 2001).
La condizione di arretratezza dovuta a decenni di economia rigidamente pianificata, l’isolamento
internazionale, la “crisi d’identità” che ha pervaso il paese hanno fatto dell’Albania, insieme alla
sua collocazione geografica – a poche ore di mare dall’Italia – uno dei principali paesi “produttori”
ed esportatori nel mercato di esseri umani del continente europeo. Il disgregarsi del senso della
comunità e la sfiducia nelle possibilità di ripresa del paese, sovrapposti a una cultura tradizionale
improntata sull’affermazione dell’autorità maschile, hanno fatto sì che all’emigrazione che in
passato coinvolgeva in maggioranza uomini giovani in cerca di sostentamento per le famiglie, si sia
sovrapposta la migrazione forzata dei soggetti più deboli del sistema sociale, ovvero la tratta delle
donne e dei minori, destinati in larga misura al mercato del sesso.
Le modalità del traffico di persone verso l’Italia. L’Albania come paese di reclutamento e di
transito.
Un testimone stima che, a partire dal 1991, circa 20.000 giovani albanesi siano state coinvolte nella
tratta e nella prostituzione in Europa (P.S.). Secondo un altro testimone (A.J.) le vittime del traffico
provengono generalmente dalle aree rurali più depresse del paese ma negli anni 1997-1999, precisa
un terzo testimone (V.L), il reclutamento avveniva anche nelle aree urbane, dove il numero delle
ragazze rapite era piuttosto elevato. Gli intervistati concordano nel ritenere attualmente in calo il
traffico di minori destinati al mercato sessuale riconoscendo tuttavia l’esistenza di aree
particolarmente “calde” per il reclutamento: Fier, Kuçova, Elbasan, Lushnja, Skrapar, Gramsh e
Berat, sono le principali, luoghi nei quali “avere una vita decente è impossibile” ( F.G.), ma
vengono menzionate anche le stesse Durazzo e Tirana.
Il trasporto avviene dai luoghi d’origine verso Durazzo e Valona, dove le vittime vengono fatte
sostare per pochi giorni, quanto basta per organizzare il viaggio; per le persone prive di documenti
la sosta è di solito leggermente più lunga. Questo periodo di attesa, che viene trascorso anche presso
alberghi, è spesso caratterizzato da maltrattamenti e violenze sessuali ripetute, e rappresenta una
sorta di “iniziazione” alla nuova vita che attende le ragazze, per ottenerne la completa acquiescenza.
I mezzi di trasporto più utilizzati sono, come è noto, gli scafi che partono dai porti principali, ma si
115
Per la redazione di questa parte mi sono avvalsa delle testimonianze fornite da: A.J., responsabile dell’Ufficio
antitraffico del Ministero dell’Ordine Pubblico di Tirana, F.G., responsabile dell’Ufficio regionale antitraffico di
Durazzo, P.S., ex ispettore dell’Interpol di Tirana, H.S. dell’IOM di Tirana e V.L., del centro di accoglienza per donne
trafficate e a rischio di Valona.
141
fa ricorso anche ai grandi traghetti o all’aereo, soprattutto per i minori, per i quali si utilizzano
documenti falsificati attraverso la sostituzione delle fotografie dei bambini trasportati di volta in
volta (A.J.). Un testimone dichiara che i minori talvolta vengono anche nascosti nei grandi traghetti.
Per i minori che provengono dall’estero (dalla Moldavia e dalla Romania in particolare) una delle
rotte seguite dai trafficanti passa attraverso la Serbia e il Montenegro per poi entrare in Albania in
corrispondenza di Scutari. Questo flusso viene organizzato a partire da Timisoara, dove vengono
concentrati i minori per essere poi trasferiti in Albania. Sempre partendo da Timisoara, alcune
vittime ascoltate dai testimoni hanno dichiarato di essere state fatte transitare per la Serbia e la
Slovenia, seguendo cioè la rotta Nord che conduce in Italia (A.J.). I minori destinati in Italia sono
sempre accompagnati da adulti che li dichiarano figli propri. Sfruttamento della prostituzione,
pedofilia e pornografia costituiscono i principali mercati (V.L.).
Una parte del traffico di minori che interessa l’Albania si dirige verso la Grecia, dove i controlli di
frontiera sono quasi assenti e dove il tragitto e l’attraversamento dei confini vengono compiuti
facilmente a piedi eludendo le postazioni doganali di controllo (A.J.). In Grecia vengono indirizzati
in particolare i minori Rom di sesso maschile, destinati tuttavia anche all’Italia (F.G.).
Il fenomeno migratorio dall’Albania è stato nel corso degli anni Novanta di proporzioni massicce, si
calcola difatti che su una popolazione di poco più di tre milioni e trecentomila abitanti attualmente
circa sette/ottocentomila persone abbiano lasciato il paese, per lo più illegalmente. La capacità
migratoria dell’Albania viene ritenuta quindi pressoché esaurita: presso molte famiglie uno o due
componenti vivono ormai all’estero. I migranti illegali, che sono stati coinvolti – o hanno fatto
ricorso consapevolmente – alle organizzazioni che offrono servizi per l’espatrio illegale, sono
destinati a rimanere nelle mani di queste ultime fino a quando non avranno una possibilità di
regolarizzazione nel nuovo paese e nel lavoro; si tratta di persone che vivono in condizioni
estremamente disagiate e che non possono fare ricorso ai servizi come la scuola o la sanità, proprio
in quanto illegali (P.S.).
Lo stesso testimone afferma che il popolo albanese è incerto a proposito delle possibilità di ingresso
dell’Albania in Europa. Incapaci di intravedere un futuro migliore per il proprio paese, i giovani
non sono motivati a intraprendere o a continuare la scuola per elevare il livello della propria
istruzione, poiché questo non rappresenta più una garanzia di lavoro per il futuro. Inoltre, la piccola
quota di emigrazione legale verso l’Italia è controllata dal governo albanese e viene spesso
percepita come facilmente soggetta alla corruzione.
La prostituzione forzata è strettamente legata alla condizione – ritenuta necessaria – di immigrato/a
illegale. Alcune donne, continua l’intervistato, sono consapevoli di entrare nel giro della
prostituzione e compiono una scelta razionale che parte dalla constatazione della mancanza di
prospettive di una vita accettabile in Albania. E’ probabile che in parte esse ritengano,
ingenuamente, di restare invischiate nel mercato della prostituzione per qualche mese e di potersene
poi allontanare cercando un altro lavoro e rendendosi indipendenti. Pur essendo presenti donne che
decidono deliberatamente di diventare sex workers spinte dalla mancanza di altre opportunità, il
testimone ritiene che questa scelta interessi ancora una minoranza della popolazione femminile
coinvolta nel traffico.
Molte giovani che hanno trascorso anni nelle mani degli sfruttatori sono state più volte “riciclate”
passando da un’organizzazione criminale a un’altra e, come anticipato nella premessa, hanno
raggiunto la maggiore età vivendo in questa condizione; in diversi casi le donne che hanno trascorso
più tempo nel giro della prostituzione sono meno interessate a cercare aiuto perché ritengono di
essere ormai giunte alla fine del loro ciclo prostituzionale e che il momento in cui gli sfruttatori le
lasceranno libere di andarsene non sia lontano.
142
L’intervistato aggiunge che le ragazze seguite dalle Ong locali non costituiscono un esempio
completamente rappresentativo del fenomeno poiché queste si occupano dei casi più drammatici,
cioè quelli di donne che hanno subìto gravi violenze e delle quali gli sfruttatori vogliono sbarazzarsi
perché ormai incapaci di generare il profitto voluto.
Nel corso del 2001 la polizia ha intercettato 38 casi di traffico di minori; 27 di questi avevano meno
di 14 anni e 11 erano ragazze tra i 14 e i 18. In due casi le ragazze erano state rapite (A.J.).
Le condizioni socio-economiche di partenza e il profilo dei soggetti interessati: le famiglie e i
minori coinvolti; i trafficanti e le modalità di reclutamento.
I minori coinvolti provengono da famiglie che vivono in condizioni di povertà e di disagio sociale
nelle quali le relazioni familiari sono caratterizzate da deprivazioni affettive e da grave
trascuratezza. In questo contesto i bambini subiscono violenze anche a sfondo sessuale dagli stessi
membri maschi della famiglia, spesso dediti all’alcool e violenti; in molti casi si tratta di ragazzi che
hanno abbandonato o non hanno mai frequentato la scuola, come accade per i bambini appartenenti
alle minoranze Rom (A.J.) ma anche per gli altri, e soprattutto per le bambine.
Per quanto riguarda i gruppi Rom, i frequenti spostamenti che interessano le famiglie rendono
estremamente difficile verificare la presenza temporanea dei bambini nel territorio (in assenza di
dati come l’iscrizione a scuola) cosicché la comunità spesso non percepisce la loro scomparsa. Il
reclutamento che interessa i minori Rom riguarda soprattutto maschi diretti in Grecia, in percentuale
inferiore in Italia (F.G.). Un altro testimone dichiara che tra i minori trafficati, i più piccoli sono
Rom (H.S.) mentre la responsabile del centro di accoglienza di Valona dichiara di avere registrato
rari casi di minori Rom di sesso femminile provenienti dal mercato della prostituzione, fatto che
induce a ipotizzare una scarsa presenza di ragazze minori appartenenti a questo gruppo nel mercato
della prostituzione.
La vendita dei bambini da parte dei genitori viene riportata dalla maggior parte dei testimoni, e non
solo a proposito delle comunità Rom, anche se dalle interviste non emergono elementi sufficienti a
quantificare la portata del fenomeno. Si cita il caso di una sedicenne (poi assistita da una comunità)
che dichiara di essere stata venduta per sfamare i fratelli minori (V.L.); o piuttosto il caso di una
bambina Rom venduta dalla madre una prima volta la quale, riuscita a sottrarsi agli sfruttatori,
aveva fatto ritorno a casa ed era stata subito rivenduta dalla madre allo stesso trafficante (F.G.). Ma
si riporta anche il caso di una bambina – la cui madre, divorziata, era malata – che aveva dovuto
vendere il proprio sangue per procurare un po’ di denaro per sfamare i fratelli più piccoli (V.L.).
Una parte dei minori coinvolti nel traffico proviene da famiglie che hanno abbandonato le aree
rurali d’origine, spinte dalla povertà, per trasferirsi nelle maggiori aree urbane, dove peraltro
continuano a vivere in condizioni di emarginazione e povertà estrema. In questi casi i genitori sono
disoccupati oppure lavorano duramente e non si occupano dei bambini, della loro cura né della loro
istruzione. La mancanza di attività e di spazi di aggregazione dedicati ai bambini, ad eccezione
della scuola che essi spesso non frequentano, fa sì che i minori siano per lo più abbandonati a se
stessi. In altri casi possono essere orfani o avere un solo genitore, oppure appartenere a famiglie
molto numerose, altro fattore che viene identificato come fonte di rischio (H.S.).
Per quanto riguarda le forme di reclutamento dei minori più impiegate dai trafficanti un testimone
(A.J.) distingue principalmente tre modalità:
-
offerta immediata di denaro a un membro della famiglia che accondiscende consapevolmente
alla vendita del minore;
143
-
-
una sorta di accordo di collaborazione al quale i trafficanti inducono le famiglie – soprattutto
quelle che vivono nelle aree rurali – che avviene con la concessione di denaro in cambio del
bambino ma anche nell’illusione che in Italia (il luogo di destinazione viene quindi dichiarato)
il figlio avrà migliori possibilità di studio e di lavoro per sé, e in prospettiva di guadagno per
l’intera famiglia;
la ricerca di bambini abbandonati. Come abbiamo avuto modo di specificare, questo metodo è
il più sicuro per i trafficanti poiché nessuno ne denuncerà la scomparsa.
Altri testimoni descrivono ulteriori forme di raggiro come i falsi matrimoni che arrivano fino alla
simulazione di vere e proprie cerimonie nuziali – e che implicano la partecipazione di più complici
in veste di parenti dello sposo –, oppure il prestito di denaro alle famiglie, le quali non sono poi in
condizioni di restituirlo e ciò le costringe a “impegnare” il minore nel lavoro all’estero per la
restituzione del prestito. Anche il ricorso alla complicità di parenti o amici delle famiglie, che
assumono il ruolo di intermediari, viene giudicato molto frequente (F.G.). Per quanto riguarda le
forme di collaborazione tra famiglie e trafficanti queste possono essere sia esplicite rispetto alla
destinazione del minore che basate sull’inganno. Viene riportato ad esempio un caso nel quale la
famiglia ha pagato per consegnare il proprio figlio ai trafficanti, sperando di indirizzarlo verso un
futuro migliore all’estero.
Per quanto riguarda i membri delle organizzazioni criminali, viene confermata la presenza di donne,
sebbene limitata rispetto a quella maschile. Il “profilo tipo” del trafficante albanese corrisponde a
un uomo, tra i venticinque e i trent’anni, per lo più single, con un retroterra familiare e sociale
variabile, spesso proveniente da Fier o da Kurbin (A.J.). Il suo grado di istruzione viene giudicato
da alcuni basso, da altri medio; si tratta comunque un individuo capace, intelligente, generalmente
coinvolto in altre attività illegali in precedenza (V.L.). La sua avidità per facili e ingenti guadagni lo
rende molto violento (A.J.), un altro testimone definisce i trafficanti “ex criminali (…), gente
crudele che ha perduto i sentimenti umani” (F.G.).
Lo stato dell’arte in tema di lotta al traffico di minori in Albania.
A differenza della situazione rumena che – pur presentando ancora alcune incongruenze legislative
e difficoltà nell’attivazione capillare delle disposizioni antitraffico recentemente varate, soprattutto
per la carenza di risorse – dimostra la presenza di un impegno consistente nel contrasto al fenomeno
a livello legislativo, nonché di una crescente attenzione per la prevenzione del traffico e l’aiuto alle
vittime, tutte le testimonianze disponibili riguardanti il caso albanese mostrano una realtà che
presenta ancora forti elementi di criticità anche se si constata una sensibile riduzione dei flussi
irregolari destinati alla prostituzione. Sebbene la collaborazione con il governo italiano e
l’intensificarsi delle azioni di polizia abbiano permesso di raggiungere alcuni risultati significativi,
ancora oggi poco è stato fatto per la prevenzione e per l’aiuto alle vittime. Vengono citati ad
esempio accordi bilaterali stilati con l’Italia su aspetti specifici come il controllo dei confini, ma in
generale non emergono punti di eccellenza eccetto una maggiore efficacia delle azioni di polizia
giudicate, in quanto tali, non sempre positive (“sono necessarie risposte giudiziarie più efficaci, ma
non più aggressive azioni di polizia”, P.S.).
Per quanto riguarda la creazione di nuclei specializzati non solo nelle azioni di repressione ma
anche nel sostegno alle vittime, nel corso del 2001 rappresentanti della polizia albanese hanno preso
parte a un programma di formazione realizzato dalla polizia francese in collaborazione con IOM e
incentrato sulla creazione di percorsi di riaccoglienza nelle famiglie d’origine delle ragazze
trafficate, destinato a prevenire il reingresso nel traffico delle vittime, fenomeno peraltro molto
diffuso. Il programma di formazione prevede che gli agenti trasferiscano le competenze acquisite
144
diffondendo le nuove metodologie di approccio ad altri colleghi e, secondo le testimonianze, risulta
essere stato ben accolto dagli agenti coinvolti.
Le azioni di polizia hanno prodotto una riduzione del fenomeno anche per quanto riguarda il
traffico di minori (P.S.). Nel corso del 2001 sono stati arrestati 233 trafficanti, per i quali in 14 casi
è stato dimostrato il coinvolgimento di funzionari di polizia. Nel 2002 (fino a maggio) sono stati
arrestati 183 trafficanti; in 8 casi la polizia era coinvolta. All’intensificarsi degli interventi
repressivi, ritenuti complessivamente più efficaci che nel recente passato – si calcola che poco
meno di 2000 trafficanti siano rinchiusi nelle carceri albanesi (P.S.) –, non ha corrisposto un
adeguamento delle procedure investigative e giudiziarie giudicate ancora lente e inefficaci. Si
menziona tuttavia la predisposizione di nuove corti, specializzate nel trattare crimini di questa
gravità, allo scopo di affiancare alle azioni repressive della polizia strumenti giudiziari più adeguati
alle attuali esigenze (A.J.).
Un intervistato esprime comunque un certo scetticismo rispetto alla capacità dello Stato di colpire i
vertici delle organizzazioni criminali; egli testimonia infatti come il traffico di esseri umani sia
ormai considerato da queste ultime un’attività di basso status. Chi ha realizzato grandi profitti negli
ultimi anni non è più disposto a rischiare i propri capitali nel mercato degli esseri umani, soprattutto
in considerazione di maggiori rischi dovuti all’aumento dell’attività repressiva della polizia. Così
gli ex trafficanti di persone, ormai arricchitisi, investono il proprio capitale in altre attività illegali
(come il traffico di droga), oppure lo riciclano investendo in attività legali: “coloro che vengono
arrestati e incarcerati oggi sono «pesci piccoli» che non sono stati in grado di comprare la propria
impunità” (P.S.).
Un altro modo con il quale i criminali che continuano a dedicarsi al traffico di persone cercando di
garantirsi dal rischio di essere intercettati dalla polizia o denunciati delle vittime o dai loro familiari
(in caso di rapimento o inganno) è quello di comprare “l’omertà”116 delle vittime (P.S.). Altri
testimoni sembrano confermare questa dichiarazione affermando, come abbiamo accennato sopra,
che attualmente i trafficanti tentano di raggiungere accordi con le famiglie, anche promettendo di
dividere con loro i ricavi dello sfruttamento delle vittime (F.G.). Si riscontra quindi un tendenziale
cambiamento nelle strategie adottate dai trafficanti che sembrano sostituire alle pratiche di
reclutamento più violente forme di persuasione e di negoziazione con le famiglie delle vittime.
Un deterrente al traffico di esseri umani verso l’Italia potrebbe essere costituito da azioni in grado di
colpire i trafficanti di alto profilo comminando pene pesanti anche in Albania, e non solo in Italia.
Per quanto riguarda invece il traffico di minori verso la Grecia, i trafficanti non temono sanzioni
perché i rischi sono minimi e non si è a conoscenza di azioni giudiziarie efficaci in proposito (P.S.).
Azioni di repressione delle organizzazioni criminali quali la confisca dei beni sono di difficile
attuazione in Albania, riferisce il medesimo intervistato, perché non esiste una regolamentazione
specifica della proprietà dei beni e della loro registrazione e sono assenti, a differenza di altri paesi,
i dispositivi di controllo nel trasferimento di capitali attraverso le banche.
A proposito della volontà della prevenzione del traffico e delle azioni di aiuto alle persone a rischio
o alle vittime, una testimonianza (A.J) riassume come segue la situazione attuale: “l’Albania ha
compiuto soltanto sporadici tentativi di reintegrazione dei bambini trafficati. Sono indispensabili un
forte coordinamento dei programmi e centri di accoglienza (…). Se non saremo in grado di offrire
reali possibilità di integrazione è evidente che le vittime non torneranno nei luoghi d’origine”.
L’intervistato ritiene tuttavia che il governo sia consapevole della necessità di promuovere azioni di
sostegno alle vittime e soprattutto di allestire centri di accoglienza per i minori abbandonati. (A.J.).
116
Così riportato nel testo originale.
145
Ciò che deve essere fatto per rafforzare la lotta al traffico e la tutela dei minori.
Interpellati a proposito di ciò che si deve fare per contrastare il fenomeno del traffico di esseri
umani e di minori in particolare, i testimoni sembrano far convergere le priorità intorno a tre temi
principali:
-
-
-
la necessità di promuovere azioni di prevenzione – per la creazione di condizioni sociali non
discriminanti dei soggetti a rischio –, servizi per l’accoglienza delle vittime e interventi di
sensibilizzazione atti a favorire la riaccoglienza delle vittime nelle famiglie d’origine;
la necessità di rafforzare gli strumenti di contrasto nonché il coordinamento tra il sistema di
polizia, il sistema giudiziario e le Ong che operano sul territorio, attualmente insufficienti e
poco efficaci;
la necessità di rafforzare la cooperazione tra i governi dei paesi interessati dal fenomeno, in
particolare quella tra Albania e Italia, non solo per quanto riguarda le operazioni di polizia ma
anche per promuovere azioni di sostegno alle vittime anche in Albania.
Il modo nel quale vengono evidenziate le difficoltà e le carenze in ordine al primo punto richiama
gli aspetti toccati in apertura di questo capitolo, in particolare la presenza di una comunità sociale
disgregata, all’interno della quale la famiglia non esprime più coesione e appartenenza affettiva ma
piuttosto il tentativo di aggrapparsi a una tradizione patriarcale che, volendo contrapporsi allo
sgretolamento dell’identità culturale in atto, si è arroccata sulle sue manifestazioni più oppressive.
Gli intervistati ritengono che la prevenzione dovrebbe interessare prima di tutto le famiglie e in
secondo luogo gli insegnanti, che appaiono in questi commenti piuttosto assenti. Questi dovrebbero
contribuire a svolgere una forte azione di mediazione all’interno delle famiglie, compito che non
dovrebbe essere affidato solo alla polizia (A.J.). Gli insegnanti dovrebbero seguire a loro volta
programmi formativi che li rendessero capaci di affrontare il tema del traffico di minori nelle
scuole. Alle scuole come ai media viene richiesto infatti di farsi carico delle indispensabili azioni di
sensibilizzazione dirette sia ai bambini che alle famiglie (H.S., F.G.).
Rispetto alla sensibilizzazione al fenomeno un testimone sostiene che la società albanese e la
mentalità corrente sono dure nei confronti delle ragazze trafficate fuoriuscite dalla prostituzione e
che la stigmatizzazione nei loro confronti è forte (F.G.). Questo aspetto rende le ragazze trafficate
molto vulnerabili sia quando si trovano nelle mani dei trafficanti – i quali ottengono la loro
acquiescenza minacciandole di rivelare ai membri della famiglia o della comunità d’origine la loro
attività prostituzionale – sia quando queste fanno ritorno in patria. Qui le ragazze, che facilmente
vengono riconosciute come provenienti dal giro, sono sottoposte a nuovi ricatti e minacce. Le
famiglie stesse spesso le rifiutano, le minacciano e qualche volta possono arrivare a ucciderle. Per
questi motivi la mediazione con le famiglie viene ritenuta da tutti un impegno cruciale.
Tuttavia, rispetto alla sensibilizzazione al fenomeno e alla sua maggiore visibilità presso l’opinione
pubblica, un testimone (P.S.) raccomanda alle Ong di evitare drammatizzazioni che potrebbero
ingenerare una troppo facile associazione tra migrante illegale e vittima del traffico.
L’abbandono scolastico viene giudicato un grave problema, oltre che per le conseguenze che
complessivamente esso produce anche perché la sua correlazione con il traffico dei minori è
attestata da molti casi (A.J.). Ma il problema sembra riguardare in generale l’assenza di politiche
sociali per l’infanzia. Il medesimo testimone lamenta infatti la mancanza di attività o iniziative
dedicate ai minori e addirittura la mancanza di spazi aperti al gioco per i bambini.
Il coinvolgimento nel traffico da parte di membri delle forze di polizia, comprovato come abbiamo
visto nelle sedi processuali, fa sì che i cambiamenti sociali auspicati – che richiedono azioni
congiunte: repressive e di sensibilizzazione –, debbano includere tra essi la lotta alla corruzione
146
(V.L.), tema che è presente nelle interviste sebbene non venga segnalato come una questione
prioritaria.
Per quanto riguarda il rafforzamento degli strumenti di contrasto al traffico e la cooperazione tra i
soggetti coinvolti, sembra emergere una mancanza di coordinamento, talvolta una mancanza di
fiducia tra i vari organismi impegnati sul campo. Mentre un testimone (V.L.) afferma che le Ong
non possono essere lasciate sole e sottolinea la necessità di rafforzare il ruolo delle istituzioni
interessate al fenomeno e di formare adeguatamente il personale impegnato, lamentando al riguardo
l’assenza del Governo (“non mancano solo le risorse, qualche volta manca anche la motivazione”),
un altro intervistato sostiene al contrario che “la polizia non dovrebbe essere lasciata sola” e che le
Ong dovrebbero collaborare di più offrendo alle vittime councelling, accoglienza e assistenza legale
(F.G.). Un terzo testimone ritiene che le Ong dovrebbero essere sottoposte a controlli più accurati
poiché esistono agenzie fantasma o scarsamente professionali che sono comunque destinatarie di
fondi (P.S.). Un altro intervistato (F.C.) fa presente che il sistema giudiziario dovrebbe sostenere di
più l’operato della polizia, applicando normative severe nei confronti di crimini di questa portata.
L’insistenza dei testimoni su questi aspetti mostra la presenza di un sistema a diverse velocità nel
quale all’intensificarsi dello sforzo repressivo della polizia non corrispondono un sistema
giudiziario adeguato e sufficienti azioni di prevenzione, lacune che rischiano di vanificare i risultati
conseguiti sul piano della repressione.
Per quanto riguarda il terzo tema, e cioè il rafforzamento della cooperazione tra i paesi interessati al
traffico di esseri umani e in particolare ai rapporti dell’Albania con l’Italia, uno dei testimoni (P.S.)
fornisce ampi commenti in merito riconoscendo l’impegno dell’Italia nel far fronte al fenomeno ma
mettendo anche in luce lacune e criticità nelle azioni intraprese.
Sotto diversi aspetti egli ritiene che l’Italia abbia saputo rispondere con efficacia al fenomeno
rispetto ad altri paesi e in particolare rispetto alla Grecia che ha fatto invece molto poco per
prevenire il traffico di minori. Ma ancora molto potrebbe essere fatto, ad esempio estendendo i
benefici assicurati alle vittime dall’articolo 18 del T.U. sull’immigrazione anche alle ragazze
sfruttate in Italia e poi rimpatriate contro la loro volontà, alle quali dovrebbe essere offerta la
possibilità di rientrare in Italia se lo desiderano. Questa proposta viene vista come un atto
pragmatico; il riconoscimento di una realtà esistente, poiché molte delle ragazze rimpatriate
forzatamente tentano comunque di fare ritorno in Italia, e non di rado ricadono nuovamente nelle
reti criminali.
L’intervistato sostiene che per contrastare il traffico illegale di esseri umani dall’Albania l’Italia
dovrebbe facilitare l’immigrazione legale, rendendo così inutile per i cittadini albanesi il ricorso alle
organizzazioni del traffico illegale. In questo caso le famiglie ripristinerebbero la tradizione
migratoria che coinvolgeva giovani uomini in cerca di lavoro e non si rivolgerebbe più ai minori e
certamente non alle ragazze.
Ancora in tema di cooperazione, alcune delle scelte compiute dai due governi vengono giudicate
inefficaci, come l’accordo sottoscritto pochi anni fa che ha permesso alle autorità italiane di
espellere cittadini albanesi e non albanesi entrati illegalmente nel proprio territorio facendoli
rientrare in Albania (nei casi in cui quest’ultimo fosse il paese di partenza dei non albanesi). Ma
l’Albania non ha stretto accordi analoghi con i paesi di provenienza dei migranti illegali o delle
persone trafficate che attraversano il proprio territorio (o che vi vengono fatte rientrare), e
soprattutto non dispone di mezzi per accoglierli, assisterli e rimpatriarli a sua volta, e questo
rappresenta un grave problema per il paese.
Il testimone si dimostra contrario anche all’intensificazione massiccia dei controlli di frontiera, per
la quale si è fatto ricorso a tattiche “forti” nelle operazioni di polizia che hanno messo inutilmente a
rischio la vita dei migranti. Secondo l’intervistato, quando nel corso di queste azioni si verificano
147
incidenti che causano vittime tra i migranti le autorità fanno il possibile per non rendere note le
conseguenze, anche per ragioni politiche, ma aggiunge che “gli albanesi non saranno motivati a
rafforzare i controlli delle frontiere per arginare il passaggio attraverso l’Albania di cittadini
provenienti da paesi terzi e diretti in Europa Occidentale fino a quando il loro stesso diritto di
viaggiare liberamente non sarà garantito”.
Per arginare l’immigrazione illegale dall’Albania verso l’Italia potrebbero essere prodotti risultati
migliori, continua l’intervistato, trasferendo i fondi attualmente utilizzati (inefficacemente) in azioni
di polizia su larga scala per il controllo dei confini nella creazione di piccole unità composte da
agenti albanesi e italiani che sviluppino strategie di azione congiunte. E a proposito dei costi di tali
operazioni per l’Italia, questi suggerisce di fare una stima degli investimenti umani e finanziari
impiegati: dalle massicce operazioni di controllo delle coste, alle procedure di rimpatrio,
all’attivazione dei procedimenti giudiziari a carico dei trafficanti, alla loro detenzione, fino agli
interventi di aiuto alle vittime. Ma si dovrebbe tenere conto anche degli ingenti flussi di denaro che
contemporaneamente vengono intercettati – e incamerati – dalle organizzazioni criminali che
gestiscono il traffico illegale.
Questo immenso ammontare di risorse dovrebbe essere messo a confronto con i ricavi che
potrebbero derivare dalle attività di trasporto legale dei migranti e dal pagamento delle tasse
provenienti dal lavoro regolare di questi ultimi. Infatti, precisa il testimone, nella valutazione dei
costi delle scelte restrittive in tema di immigrazione, l’Italia dovrebbe considerare anche le mancate
entrate fiscali causate dal lavoro nero al quale i migranti illegali sono necessariamente destinati. Nel
valutare l’ipotesi di liberalizzazione dei flussi migratori dall’Albania – che potrebbe avere una
ricaduta positiva anche sulla gestione dell’ordine pubblico – dovrebbero essere considerate le scarse
probabilità di una emigrazione di massa117 ma anche il fatto che l’Albania è comunque destinata in
futuro a una integrazione con l’Europa, quindi alla libera circolazione dei suoi cittadini all’interno
dell’Unione.
Infine, per sostenere le azioni antitraffico e gli interventi di aiuto alle vittime viene auspicata
l’introduzione di una norma che destina alle Ong i capitale sequestrati alle organizzazioni criminali,
come avviene negli Usa.
Il rimpatrio delle vittime dall’Italia e gli effetti prodotti dall’articolo 18 del TU.
“Deve essere fatto un grande lavoro di coordinamento rispetto ai programmi di sostegno alle
vittime. Sono necessari più centri di accoglienza, come quelli realizzati in Italia” (A.J).
“Un modo per aiutare i minori trafficati in Italia è quello di metterli in condizioni di poter
riallacciare i rapporti con le famiglie d’origine”(P.S.).
“C’è una ragione per la quale la ragazza se n’è andata; come si può pensare che faccia ritorno a
una famiglia che l’ha venduta?” “Non esistono alternative per coloro che tornano, non c’è lavoro.
Certo, il Governo dovrebbe creare opportunità di lavoro ma parlando realisticamente il nostro
paese non è in grado di produrre cambiamenti al riguardo in un breve lasso di tempo” (V.L.).
“Molti dei minori provengono da famiglie violente. Alcune ragazze non sono riaccolte nelle
famiglie, vengono minacciate di morte per avere disonorato la famiglia” (H.S.).
117
Ricordiamo che l’intervistato ha dichiarato di considerare oggi pressoché esaurita la capacità emigratoria
dell’Albania valutando il rapporto tra popolazione residente e popolazione emigrata.
148
La possibilità del rimpatrio per le minori albanesi è condizionata in gran parte dai fattori che
emergono da queste dichiarazioni. La mancanza di risorse dedicate all’attivazione di percorsi di
reinserimento nella comunità d’origine – che comprendano accoglienza residenziale, creazione di
opportunità formative e occupazionali, mediazione con le famiglie e sensibilizzazione della
comunità – rappresenta, a detta degli intervistati, un ostacolo attualmente insuperabile. Ma è
soprattutto la condizione delle ragazze, la stigmatizzazione alla quale sono sottoposte, che assume
risvolti drammatici. Conosciamo i rischi che le ragazze corrono, una volta fuoriuscite dalla tratta a
scopo di prostituzione e accolte in Italia nel programma di protezione sociale, quando fanno rientro
in patria anche per brevi periodi, ad esempio per fare richiesta del passaporto che consentirà loro di
ottenere un lavoro nel nuovo paese. Oltre al rischio concreto di essere riconosciute e ri-trafficate
durante il viaggio, spesso non possono fare ritorno a casa e devono nascondersi dai familiari (se
questi sono al corrente dell’esperienza prostituzionale) per sfuggire alle punizioni che sarebbero
loro inflitte per avere – come dice un intervistato – “disonorato” la famiglia.
Viene testimoniata, come accennato, una diminuzione del numero dei minori trafficati dall’Albania,
attribuita all’intensificazione delle azioni di polizia e al rafforzamento della legge italiana
antitraffico. Alcune testimonianze riportano anche una tendenza delle vittime a rientrare in patria,
benché modesta, che riguarda soprattutto ragazze precedentemente rapite (H.S.).
L’articolo 18 del T.U. sull’immigrazione approvato in Italia nel 1998 viene giudicato (P.S.) un
passo importante per la protezione delle vittime, soprattutto perché permette di assicurare loro aiuto
e accoglienza in circostanze nelle quali il rimpatrio presenti rischi. La possibilità del soggiorno
regolare in Italia e della collaborazione con la giustizia ha permesso alle forze dell’ordine italiane di
acquisire dalle vittime informazioni utili all’azione investigativa, pervenute attraverso regolari
denunce ma anche attraverso semplici dichiarazioni o informazioni indirette, nei casi in cui le
vittime temano ritorsioni in caso di denuncia. Il potenziamento dell’azione investigativa dell’Italia,
specifica l’intervistato, è importante perché la maggior parte degli atti criminosi connessi al traffico,
e spesso i più gravi, sono stati perpetrati fuori dai confini albanesi.
Per quanto riguarda i riflessi prodotti sull’opinione pubblica albanese dalla legge italiana e dalle
notizie sull’esito dei viaggi delle giovani albanesi, vale la pena ribadire che quanto viene riportato
dai media, mentre da una parte agisce effettivamente come deterrente al traffico scoraggiando
avventure migratorie rischiose, dall’altra favorisce – soprattutto nelle comunità rurali e nelle
periferie – un rafforzamento della cultura patriarcale, finendo con l’indurre le ragazze ad assumersi
i rischi di una migrazione che sanno essere rischiosa pur di sfuggire alle condizioni oppressive nelle
quali vivono (P.S).
6.9 Osservazioni conclusive
Le interviste a testimoni rumeni e albanesi che sono state esaminate in questo Capitolo riferiscono
come il traffico dei minori da questi paesi verso l’Italia interessi in maggioranza adolescenti di
sesso femminile destinate alla prostituzione, nonostante siano presenti anche minori di sesso
maschile. Il traffico che ha per oggetto queste fasce della popolazione non di rado si intreccia con la
tratta delle donne adulte destinate alla prostituzione (minori trafficate che raggiungono la maggiore
età nelle mani dei trafficanti, donne divorziate che lasciano il paese affidando a terzi i loro bambini
che poi vengono trascurati o abbandonati trasformandosi a loro volta in soggetti a rischio di essere
trafficati).
Le condizioni sociali ed economiche che determinano la tratta di minori appaiono piuttosto simili
nei due paesi esaminati. La povertà, la mancanza di opportunità di lavoro e di una vita sociale e
familiare accettabile, la sfiducia nel futuro del proprio paese, insieme al disgregarsi del sistema dei
valori in seno alla famiglia e nella comunità, vengono riconosciuti infatti come cause e concause del
fenomeno in entrambi i paesi.
149
Tra i fattori di vulnerabilità individuale al traffico i testimoni sottolineano in particolare una
scolarità bassa o del tutto assente, l’assenza di qualsiasi rapporto con servizi dedicati ai minori, non
solo la scuola ma anche gli spazi di ascolto e aggregazione o semplicemente gli spazi ludici
(giudicati peraltro rari o assenti). L’esistenza di gravi deprivazioni affettive all’interno della
famiglia e l’uso della violenza ai danni del/della minore, rappresentano un altro tratto comune nelle
interviste, così come la mancanza di autostima e la presenza di discriminazioni ai danni delle
potenziali vittime. La mancanza di opportunità per le donne e la cultura oppressiva della loro
libertà, costringe le ragazze a “scegliere” tra un matrimonio a tredici, quattordici anni – per non
perdere l’occasione di sposarsi – e una migrazione che sanno essere rischiosa.
Quanto alle azioni di contrasto al fenomeno si riscontrano notevoli differenze tra i due paesi. La
Romania ha compiuto uno sforzo legislativo importante che l’avvicina alle nazioni tradizionalmente
più impegnate nella salvaguardia dei diritti umani e nella lotta al crimine organizzato. Sono presenti
tuttora forti difficoltà di carattere sociale ed economico, contraddizioni nel sistema giuridico,
nonché limiti dovuti alla mancanza di risorse che riducono l’efficacia delle norme di contrasto
varate di recente. Tuttavia dalle interviste emerge una chiara volontà degli organismi interessati al
fenomeno di dotarsi di strumenti adeguati per fare fronte al traffico di minori.
La situazione albanese mostra invece una situazione fortemente disorganica nella quale a fronte
delle azioni repressive messe in atto dalle forze dell’ordine – parte delle quali realizzate in
collaborazione con l’Italia – che hanno cominciato a produrre risultati, molto poco è stato fatto per
la sensibilizzazione della comunità sociale al fenomeno, per la prevenzione e per l’assistenza alle
vittime. Agli sporadici tentativi messi in atto a questo scopo si contrappongono nuovi e gravi fattori
di rischio come l’abbandono scolastico da parte delle bambine e l’intensificarsi dei comportamenti
più oppressivi verso la donna già presenti in una cultura tradizionale di stampo patriarcale, che sono
tali da spingere le ragazze ad abbandonare le famiglie esponendole al rischio di incappare nelle reti
criminali.
Dalle testimonianze emerge come Romania e Albania auspichino un rafforzamento della
cooperazione internazionale per quanto riguarda gli aspetti giuridici e investigativi connessi alla
lotta al traffico, ma anche per tutto ciò che attiene alla tutela delle vittime e alla realizzazione di
programmi che favoriscano il loro reinserimento sociale, all’estero ma anche nei luoghi d’origine.
Dalle testimonianze traspare non soltanto l’interesse per quanto viene realizzato dalle
organizzazioni internazionali e dai paesi Occidentali (dall’Italia in particolare) a favore delle
vittime, ma soprattutto una richiesta di sostegno nella creazione di programmi di reinserimento delle
vittime entro i propri confini nazionali.
Dalle voci degli intervistati si ha infatti l’impressione che la non disponibilità della persona
trafficata (adulta o minore) a rientrare in patria sia vista come uno scacco per il proprio paese.
Nonostante ciò, tutti i testimoni fanno dipendere la possibilità del rimpatrio dalla presenza di una
rete di supporto che possa aprire opportunità concrete alla donna e al minore: l’assenza di
discriminazioni a loro carico, l’accoglienza e il sostegno psicologico, la presenza di opportunità di
studio e di lavoro.
Ma come sostiene un intervistato albanese, realisticamente il suo paese non è in grado di assicurare
tutto ciò in tempi brevi. Così diventa fondamentale la creazione di un “ponte funzionale” tra il
luogo di insediamento e di sfruttamento della persona trafficata e quello d’origine (Tola, 2002). Le
reti della cooperazione decentrata e l’attivazione di servizi sociali nei paesi di provenienza – che
interagiscano con i servizi già esistenti in Italia – potrebbero rendere possibile il “rientro onorevole”
delle vittime del traffico e, aggiungiamo, contribuire progressivamente, con un’adeguata azione
preventiva e di sensibilizzazione, a superare alcune delle condizioni che sono alla base del traffico
delle donne e dei minori.
150
Bibliografia
Carchedi F. (2002), Il traffico internazionale di minori. Piccoli schiavi senza frontiere. Il caso
dell’Albania e della Romania – Progress Report, Fondazione internazionale L. Basso, Roma, luglio.
Misha P. (2001), Ciò che noi albanesi chiediamo all’Italia, in: “Limes – Rivista italiana di
geopolitica”, n.2, Gruppo editoriale l’Espresso, Roma.
Osservatorio sui Balcani (2002), Analisi dei flussi migratori e delle problematiche ad essi connesse
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Renton D. (2002), Bambine in vendita – un’indagine sul traffico dei minori in Albania (a cura di
Capra S.), Save the Children, Mimesis, Milano.
Tola V., Considerazioni conclusive e prospettive future per i progetti articolo 18, in: Minguzzi C.
(a cura di) “Il futuro possibile – tratta delle donne, inserimento sociale, lavoro”, Presidenza del
Consiglio dei Ministri – Dipartimento pari Opportunità, Comune di Roma – Dipartimento V,
volume in corso di pubblicazione.
151
7. Il fenomeno migratorio regolare ed irregolare: flussi di transito, flussi
migratori albanesi e traffico di bambini
di Elisabetta Quarta
7.1 Premessa
L’indagine sul campo in Albania, su un tema così delicato come quello della “tratta”, e la redazione
del presente rapporto sono state possibili grazie alle reti sociali - ufficiali ed ufficiose – costituitesi
nel corso delle attività di ricerca pregresse118. Il contesto di analisi era dunque già familiare e
questo ha reso più agevole la ricostruzione dei percorsi della tratta.
Il presente rapporto, oltre alla ricostruzione storiografica, si avvale del lavoro sul campo svolto in
Albania e in Italia. Si è proceduto dapprima ad una definizione terminologica del fenomeno,
attraverso la presa in esame dei risultati di attività istituzionali tenutesi in sede internazionale
[www.interno.it/index.htm], per poi individuare le disposizioni di legge in vigore in Italia, utilizzate
come strumenti di confronto e contrasto. Durante il lavoro si è posta molta attenzione perché non
nascessero commistioni con altre tematiche (come il traffico dei migranti), come spesso è avvenuto
e che sono alla base, spesso, di errate interpretazioni dei due fenomeni.
Parte di un certo rilievo critico è l’analisi delle fonti attraverso le quali si è quantificato il
fenomeno, un aspetto davvero controverso ed alla base di molte ambiguità.
Nell’ultima parte del lavoro si procede ad una riflessione sulla dimensione qualitativa, così come
delineata dalle diverse indagini e rapporti, vista nel contesto albanese e tenendo conto delle ricadute
in Italia. Particolare attenzione si è posta alle diverse cause che generano il problema, all’impatto
sociale, agli attori sociali coinvolti e alle reali possibilità di contrasto attraverso i progetti di
reinserimento sociale delle vittime della tratta, messi in cantiere in Italia e in Albania.
Dopo aver provveduto alla consueta analisi delle fonti esistenti, si è dedicata particolare attenzione
ai fatti di cronaca che si sono susseguiti, in maniera sempre più frequente, negli ultimi mesi che
hanno preceduto l’indagine119.
Ovviamente, capire un fenomeno significa coglierlo nella sua complessità, nelle sue diverse
dimensioni. Perciò, nella direzione di una visione “totalizzante” si è reso necessario indagare il
fenomeno anche sull’altra sponda dell’Adriatico, al fine di cogliere le due dimensioni del problema,
quella albanese e quella italiana. Tuttavia, quest’ovvio tale sempre non è. Cogliere i diversi “punti
di vista” dovrebbe essere il dovere di ogni ricercatore, ma così, purtroppo, non è. Un
118
Nell’ambito dell’attività di ricerca dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione di Lecce (OPI – www.opilecce.org), coordinato dal prof. Luigi Perrone – in più occasioni l’Albania è stata oggetto di indagini conoscitive,
condotte in collaborazione con l’Università di Tirana ed altri Centri di Ricerca albanesi. Non poteva che essere così
visto che l’Albania è un crocevia dei flussi migratori in entrata dal sud est in Europa. In una delle ultime indagini,
all’indomani della guerra del Kosova, si sono ricostruiti gli itinerari migratori dei profughi kosovari (dal Kosova sino in
Puglia), con una particolare attenzione alle risorse attivate per l’accoglienza ed al soggiorno nei Centri di Accoglienza
salentini.
L’occasione per tornare sul campo nel Paese delle Aquile, nella primavera 2002, si è presentata nel corso del tirocinio e
del relativo elaborato finale, previsti dalla frequenza al II ciclo del Master in Scienze Sociali con specializzazione in
Cooperazione allo Sviluppo, tenutosi presso l’Università degli Studi di Lecce. Nell’ambito di questa attività il tema
preso in considerazione è stato proprio quello della tratta, quindi una buona parte del network di riferimento era stato
già ricostruito in questa occasione. L’ulteriore approfondimento riguardante la tratta dei minori si è avvalso anche delle
precedenti esperienze e della documentazione accumulata.
119
Una rassegna stampa quotidiana delle principali testate giornalistiche e locali, nonché un’attenzione alle notizie
riportate in TV sono state utili strumenti per la comprensione delle modalità di presentazione delle notizie e per la
percezione del fenomeno.
152
“accorgimento” che, ancora una volta, si è determinato centrale anche per la comprensione del
nostro fenomeno oggetto d’indagine120.
La dimensione percettiva del fenomeno, in Italia, era già abbondantemente nota e dibattuta, la
questione che si presentava era dunque di analizzarlo in situazione, a partire dal contesto dal quale
ha origine e nell’ambito sociale di riferimento.
Dopo l’analisi della bibliografia esistente, si è proceduto alla cosiddetta “ricerca di sfondo”. Si
sono individuati i soggetti referenti rispetto al tema della tratta – con accentuato interesse a quella
dei minori, particolarmente con-fusa nel panorama della letteratura -, e si sono formulate delle
ipotesi di lavoro. Si è così proceduto - con una scaletta semi-strutturata – all’individuazione del
campione per delle interviste in profondità, fase in cui ci si è avvalsi del lavoro già svolto e della
nostra rete di conoscenze albanesi121.
In questa fase si è assunto l’obiettivo di mettere a fuoco gli “indicatori empirici accertabili” che
consentissero di descrivere il delicato fenomeno, ovviamente liberandolo dalle connotazioni
etnocentrate e moralisteggianti. Una delle connotazioni che serpeggiava lungo la letteratura
esistente era, infatti, una buona carica di moralismo che faceva perdere di vista il problema nella
sua complessità. Una dimensione dell’etnocentrismo dello studioso e degli operatori che è andava a
costituire una specie di peccato d’origine che ha inficiato o deviato, in buona parte, i risultati di
alcune indagini. Risaltava – sia nell’analisi della letteratura che nel corso dell’indagine - una grande
confusione sotto il cielo, che andava a ricadere, in primis, sulla dimensione quantitativa della tratta
dei minori.
Era del tutto evidente che la ricostruzione dell’universo, di fronte a tale situazione, assumeva una
certa importanza; avere un quadro quantitativo chiaro sarebbe stata una buona base di partenza per
l’analisi del fenomeno. Ma sia le fonti bibliografiche – i vari report pubblicati sul web – sia le
informazioni fornite dagli operatori del settore, non hanno consentito il raggiungimento del
risultato. Tranne rare eccezioni, infatti, gli interlocutori privilegiati non hanno mostrato di avere un
quadro chiaro della situazione. Impressionante, ma era proprio così. Spesso parlando di tratta di
minori ci si è ritrovati a parlarne congiuntamente al tema dalla tratta in generale. Spesso era proprio
questo ha impedito di tracciare delle linee di confine nette tra i due fenomeni, una condizione che
falsava cifre e morfologia. Inoltre, rispetto alla stima del fenomeno, risaltava, con grande evidenza,
come le fonti fossero autoreferenziali. C’era (e c’è) un rincorrersi di citazioni, l’uno cita l’altro, ma
non si riesce a comprendere quale sia la fonte “originaria”, chi ha detto cosa.
Gli unici sul territorio ad avere il polso della situazione e a fornire una chiave di lettura più critica e
realistica del fenomeno sono parsi gli operatori delle Ong locali. Ma anche qua risultava difficile
mettere in sequenza i diversi pareri, in conseguenza del pullulare di un numero impressionante di
Organizzazioni Internazionali che si occupano di minori, di diritti dell’infanzia , di sfruttamento, di
tratta e di quant’altro si muova intorno al tema in Albania.
Di difficile comprensione e interpretazione sono state le reticenze di alcuni operatori sociali (anche
referenti di ong di calibro internazionale) a fornire indicazioni utili. Nella scaletta d’intervista si
prevedeva il rilevamento del punto di vista degli operatori del settore, ma questa domanda veniva
120
Si notino i risultati di una riflessione all’interno di una ricerca di L. Perrone [1996], condotta in Albania sui temi
della migrazione. La metodologia adottata dall’autore ha comportato “un ribaltamento dei risultati, un cambio di
prospettiva”, rispetto a precedenti indagini. Sono le osservazioni che Perrone ha fatto in merito al “fenomeno degli
scafisti”, anch’esso molto discusso in Italia ed assunto a “fattore di crisi” nel rapporto tra le due sponde. Mentre i
“nuovi Caronte” in Italia erano fatti bersaglio di ogni tipo di connotazione, in Albania venivano considerati una specie
di “eroi nazionali” [L., 1996].
121
Nel corso del rapporto saranno riportati in maniera letterale – per conservarne ogni sfumatura - alcuni passi delle
interviste fatte in Albania e ciascun intervistato sarà citato con le iniziali di nome e cognome.
153
puntualmente sorvolata da parte di coloro i quali, dicevano, “attualmente non ci occupiamo del
problema”. Si era di fronte ad esponenti di organizzazioni che avevano prodotto rapporti e diffuso
dati e stime, ma si esimevano dall’esprimersi, perché non si occupavano più del tema. Ma si era di
fronte a gente che aveva prodotto stime e creato opinione!
7.5 Definizione di “tratta” e disposizioni di legge.
Un invito per una puntualizzazione terminologica ci viene dall’introduzione che viene fatta al
“problema del traffico di minori a scopo di sfruttamento sessuale”, curata dal Comitato
Parlamentare Schengen-Europol del luglio 2000 [www.interno.it/index.htm].
Secondo quanto definito dal documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla tratta degli
esseri umani di questo Comitato, il fenomeno viene ad essere ri-definito terminologicamente; da
quel momento sarà meglio nota come “tratta”, compresa all’interno della più ampia categoria del
“traffico degli esseri umani”. Per “traffico degli esseri umani” si intende genericamente l’insieme
di attività criminose volte al trasferimento di persone da uno Stato all’altro, in violazione delle
normative internazionali vigenti. Tra l’altro, è all’interno di tale categoria che si attua la distinzione
tra il “traffico finalizzato allo sfruttamento” (trafficking of human beings ) e il “traffico di migranti”
(smuggling of migrants) .
Il 3 dicembre 1998 il Consiglio dell’Unione Europea specifica ulteriormente la definizione di
“traffico”, definendolo in questi termini: “il fatto di sottoporre una persona al potere reale e illegale
di altre persone ricorrendo a violenze o a minacce o abusando di un rapporto di autorità o mediante
manovre in particolare per dedicarsi allo sfruttamento della prostituzione altrui o forme di
sfruttamento e di violenza sessuale nei confronti di minorenni o al commercio connesso con
l'abbandono dei figli. In tali forme di sfruttamento sono comprese le attività di produzione, vendita
o distribuzione di materiale pedopornografico” [idem].
In aiuto alla comprensione ed alla definizione del cosa intendere per “traffico” e “criminalità
organizzata transnazionale” intervengono i protocolli addizionali alla Convenzione delle Nazioni
Unite, i quali così si esprimono: “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'ospitare o
accogliere persone tramite l'impiego o la minaccia dell'impiego della forza o di altre forme di
coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di posizioni di vulnerabilità o tramite il
dare o ricevere somme di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha l'autorità
su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento
della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni
forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o prelievo di organi”122.
Infine, nell’allegato alla convenzione istitutiva dell’Ufficio europeo di polizia EUROPOL
(Bruxelles, 26 luglio 1995), si puntualizza che la tratta degli esseri umani non è necessariamente
connessa al trasporto della vittima oltre una frontiera internazionale, proprio perché il reato viene
considerato come una grave forma di criminalità internazionale e richiede l’intervento congiunto di
più Stati [www.cestim.it].
In Italia la normativa di riferimento, in materia di immigrazione, è il T.U. 286/98 (l.40/098)
aggiornato ai sensi della Legge 189/2002 123, che è perfettamente in sintonia con le disposizioni
internazionali. L’art. 12 (“Disposizioni contro le immigrazioni clandestine”) prevede, infatti, tanto
122
123
Protocollo sul traffico dei migranti, art. 3, lett. a. [http://testo.camera.it/_bicamerali/shengen /home.htm].
Meglio nota la prima come legge Turco-Napolitano e la seconda come Bossi-Fini.
154
il reato traffico di migranti (comma 1) quanto il traffico a scopo di sfruttamento sessuale (comma
3-ter). Nel primo caso la pena prevede la reclusione fino a tre anni e una multa fino a 15.000 _ per
ogni persona trafficata; nel secondo la reclusione da un minimo di 5 a un massimo di 15 anni e una
multa pari a 25.000 _, per ogni persona trafficata [www.interno.index.it].
Nel settembre ’02 il Parlamento italiano, all’unanimità, ha approvato l’applicazione, nei confronti
di chi risulti coinvolto nel traffico degli esseri umani, dell’art. 41-bis124 della legge 26 luglio 1975,
n. 354 (in materia di trattamento penitenziario) a sua volta previsto per i reati disciplinati dall’art.
416-bis125 del Codice Penale.
Un chiaro ulteriore irrigidimento penale, dunque. Con l’introduzione di questa normativa il traffico
degli esseri umani viene equiparato, in tutto e per tutto, ai reati di stampo mafioso.
7.6 Aspetti quantitativi del fenomeno
Al fine di ricostruire quantitativamente il fenomeno si è agito a due livelli:
•
•
da un lato si sono prese in considerazione le fonti ufficiali disponibili, ricorrendo anche ai siti
web, per reperire informazioni il più aggiornate possibile;
dall’altro sono state condotte interviste a interlocutori privilegiati in Albania, fra coloro che a
vario titolo si sono occupati della tematica (operatori sociali, rappresentanti di ong, giornalisti,
figure istituzionali).
Sin dal primo approccio, ci si è resi subito conto di non trovarci di fronte a “dati certi”, ma
semplicemente a stime, e spesso diverse tra loro. In molti casi, inoltre, è stato difficoltoso, se non
impossibile, capire quali fossero le metodologie utilizzate. Perciò la ricostruzione dell’universo si
presentava più complessa del previsto.
Secondo le fonti di riferimento, il fenomeno ha subito - nel tempo – notevoli variazioni.
Dal rapporto CENSIS del 1998 su “Sfruttamento sessuale e minori” emerge che, nell’anno di
riferimento, erano presenti in Italia 25.000 prostitute, di cui 2.200 minorenni; di queste ultime
2.000 erano minorenni immigrate, di cui 900 albanesi e 300 nigeriane. Come si può facilmente
notare, secondo queste stime, l’incidenza della prostituzione minorile sulla prostituzione sarebbe
dell’ 8,8% e, nell’ambito della prostituzione minorile, ben il 91% sarebbe costituito da minori
immigrate. Sempre secondo questa fonte, le minori albanesi da sole rappresenterebbero il 45%
della prostituzione minorile immigrata in Italia. [www.censis.it/censis/ricerche 1998/160798/16-0798.html.]
124
L’art. 41-bis al comma 2-ter , così recita: ”Le sospensioni delle regole trattamentali e degli istituti previsti nella
presente legge possono avere ad oggetto:
a. l'adozione di misure per l'elevazione delle precauzioni di sicurezza interna ed esterna;
b. la riduzione del numero e della frequenza dei colloqui e delle comunicazioni telefoniche, prevedendo per essi
speciali misure nonché la registrazione delle conversazioni, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria
competente e nel rispetto delle condizioni di legge;
c. il divieto o la limitazione di ricezione dall'esterno di somme di denaro in peculio ovvero di pacchi;
d. l'esclusione dalle rappresentanze dei detenuti;
e. la limitazione di ogni altra facoltà derivante dall'applicazione delle regole di trattamento previste dalla presente
legge, ove ne sia ravvisato il contrasto con le esigenze di cui al comma 1” [http://www.poliziapenitenziaria.it/normative/normative.asp].
125
Previsto per le associazioni di tipo mafioso, ma nel quale era già prevista anche la possibile estensione ad attività
affini a quelle mafiose che perseguissero fini simili con i medesimi strumenti.
155
Secondo le stime presentate da Save The Children126 nel rapporto Child trafficking in Albania, le
albanesi costrette a prostituirsi in paesi stranieri sarebbero 30.000, di cui una buona percentuale
minorenni. In particolare è indicata la presenza di circa 15mila prostitute albanesi in Italia e almeno
6mila in Grecia. Sempre secondo questo rapporto “la percentuale di minori coinvolte oscillerebbe
tra il 60% e l’80%” [www.savethechildren.it/index_e.html]. Valori percentuali che potrebbero
aumentare “in relazione al grado di povertà e alla carenza di istruzione dei villaggi considerati. In
alcune aree rurali, circa il 90% delle ragazze al di sotto dei 14 anni non frequenta più la scuola per
paura di cadere nelle mani dei trafficanti durante il tragitto” [idem].
Queste stime non sono state molto apprezzate dal Ministero dell’Interno Albanese il quale le ha
contestate - tramite il maggiore Tare Bequiri, responsabile dell'”Ufficio per la lotta al traffico di
esseri umani”-, ritenendole “assolutamente gonfiate, lontanissime dalla realtà”
[www.arpnet.it/migranti/prostit.htm].
Comunque, al di là delle contestazioni, resta interessante il piano di lavoro dell’indagine condotta
in Albania da Save the Children. L’obiettivo originario consisteva nel:
•
•
•
raccogliere e sistematizzare le informazioni circa l’estensione del traffico sui minori albanesi,
specificandone, numero, età e genere;
rilevare le condizioni socio-economiche delle vittime;
fornire dati affidabili relativamente alle località di reclutamento, mezzi di trasporto e
destinazione finale127 [Renton D., 2001, pag. 13; [www.savethechildren.it/ index_e.html].
L’indagine, nei distretti di Berat, Fier, Pukë, Lushnja, Lezhë e Shkodra 128, considerate “zone
calde” dell’Albania, e come tali prese in considerazione dall’’indagine, ha coinvolto, in qualità di
testimoni privilegiati, “preti, missionari, monache, insegnanti, medici, polizia, trafficanti, scafisti,
ong locali e sindaci” [idem]. In itinere, però, sono sorti ostacoli operativi.
Uno è stato quello del numero di questionari effettivamente compilati e sui quali si è poi basata la
ricerca: su 400 questionari distribuiti, solo 100 sono ritornati effettivamente compilati129. È stato
altresì necessario accontentarsi di informazioni indirette o anonime in quanto gli intervistati hanno
avuto paura di esporsi direttamente. Ciò detto, rimane da apprezzare la correttezza metodologica
del rapporto che avverte dei margini d’errore e di possibili contraddizioni delle informazioni
riportate [idem].
L’altra fonte presa in considerazione - ai fini della definizione quantitativa del fenomeno - è stata
l’Eurispes130. L’indagine condotta da questo Istituto, in realtà, prende in considerazione il
126
Save the Children è un organismo internazionale indipendente per la tutela e la promozione dei diritti dei bambini.
Nasce a Londra nel 1919 e attualmente opera in 120 Paesi del mondo attraverso una rete di 32 organizzazioni
volontarie. Save the Children è presente anche in Italia dalla fine del 1998 e, dalla primavera del 2000, ha una sede
operativa a Roma. [www.savethechildren.it]
127
Nostra traduzione. Il rapporto Save the Children sulla tratta è stato redatto solo in lingua inglese, tanto nella versione
web quanto in quella cartacea.
128
Tutte le città coinvolte nell’indagine si trovano nella parte ovest dell’Albania, alcune sono lungo la costa adriatica,
altre sono più interne. Berat, Fier e Lushnja si trovano al centro sud del Paese, mentre Pukë, Lezhë e Shkodra sono al
centro nord.
129
Nell’ambito dell’indagine sono stati organizzati otto focus-group, uno in ciascuno dei distretti presi in
considerazione - escluso il distretto di Pukë - più altri due rispettivamente a Tirana e a Durazzo e infine un gruppo di
studenti dell’Università di Tirana. Ciascun gruppo era costituito da circa 13 persone ad ognuna delle quali sono stati
affidati da 3 a 5 questionari in maniera tale che li somministrasse nel distretto di appartenenza. Come già detto, dei 400
questionari distribuiti, solo 100 sono tornati indietro [www.savethechildren.it/index_e.html].
130
“L'EURISPES è un istituto di studi senza fini di lucro che opera dal 1982 nel campo della ricerca politica, economica
e sociale. L'istituto realizza studi di ricerche per conto di Imprese, Enti pubblici e privati, di Istituzioni nazionali ed
internazionali. Nello stesso tempo, promuove e finanzia autonomamente indagini su temi di grande interesse sociale,
attività culturali, borse di studi, iniziative editoriali, proponendosi come centro autonomo di informazione ed
orientamento dell'opinione Pubblica e delle grandi aree decisionali che operano nel nostro Paese”
[http://www.eurispes.com/presentaz.htm].
156
fenomeno della prostituzione in generale e al suo interno si tratta anche della prostituzione
infantile. Le stime fornite dall’Istituto parlano di 50/70 mila prostitute in Italia, di cui 20mila
immigrate (ossia una percentuale che oscilla tra il 29% e il 40%). Ecco come presenta il fenomeno
l’Eurispes: “Le straniere provengono principalmente dall’Europa dell’Est (48%), dall’Africa (22%)
e dal Sud America (10%). Per quanto concerne l’età delle prostitute, a seconda della provenienza,
le africane hanno mediamente 23 anni, le slave 25, le sudamericane 30 e le italiane 33”
[http://www.eurispes.com/Eurispes/R01/default.htm]. Lo stesso rapporto fornisce, nel modo già
detto, stime sulla prostituzione infantile131, però non fa riferimento alcuno alla tratta dei minori a
scopo di sfruttamento sessuale.
Secondo le stime dell’Unicef, in Albania il 60% delle vittime della tratta sarebbe costituita da
minori. Sarebbero approssimativamente 3.000 i minori albanesi trafficati in Grecia e in Italia e
costretti all’accattonaggio. L’80% di quelli trafficati in Grecia subirebbe abusi sessuali e sarebbe
costretto alla prostituzione.
Rispetto alle stime relative alla tratta delle donne albanesi, in altri Paesi europei, l’Unicef cita le
stime fornite da Save the Children, ossia quelle 30.000, di cui una buona percentuale sarebbe
costituita da minorenni [Unicef, 2001; http://www.unicef.org].
Altra fonte è il documento conclusivo dell’indagine “sulla tratta degli esseri umani” condotta dal
Comitato Parlamentare Schegen-Europol. Secondo questo documento, le donne vittime di tratta
sarebbero 500.000 in tutta l'Europa occidentale [www.interno.it/index.htm].
Per quanto riguarda la dimensione quantitativa stimata in Italia, le stime sono state prodotte sulla
base delle testimonianze e dell’esperienza di molti operatori di strada. Da esse risulterebbero
50.000 donne trafficate, ossia il 10% del totale.
Un
terzo
di
queste
(poco
più
di
16.000)
sarebbero
minorenni
[http://testo.camera.it/bicamerali/schengen/indagini/docconclusivo.htm; Campani G., 2000, p. 42].
Dalle stime avanzate nel sopraindicato documento - presentate in maniera aggregata - non è
deducibile l’incidenza delle minori albanesi né il coinvolgimento dell’Albania come territorio di
transito e/o di organizzazione della tratta.
Infine, secondo un operatore di C.R.C.A. (Children’s Human Rights Centre of Tirana)132,
intervistato nel corso dell’indagine a Tirana, i minori albanesi, vittime di tratta in tutta Europa,
sarebbero 4.000. Egli stesso puntualizza che questa è solo una delle stime esistenti e che, data
l’impossibilità di accertarne l’attendibilità – di questa come delle altre -, è “assolutamente
approssimativa e non esaustiva”.
7.7
La situazione in Albania
Dopo aver preso visione del fenomeno, attraverso le fonti descritte, l’indagine è stata svolta “sul
campo”.
E’ stata questa la fase della ricerca che ha fornito elementi di maggiore interesse. Sono state le
interviste e la raccolta dati a livello informale condotte sul territorio (Tirana, Durazzo, Valona) a
permettere una visione più completa ed approfondita della tematica. E’ stata questa la fase che ha
permesso chiavi di lettura fortemente divergenti rispetto a quelle dominanti.
131
“I paesi maggiormente coinvolti sono il Brasile dove si stimano in 500mila i minori prostituiti, il Perù (500mila),
l’India
(300-500mila),
la
Cina
(200-500mila),
la
Tailandia
(200-300mila)”.
[[http://www.eurispes.com/Eurispes/R01/default.htm].
132
CRCA è una Ong, con sede a Tirana, che si occupa della tutela dei diritti dell’infanzia e, in questo ambito, della
tratta dei minori.
157
Sono stati intervistati soggetti istituzionali, operatori sociali, operatori di ong locali e
internazionali133 e raccolte informazioni attraverso l’antica e collaudata rete amicale e informale.
Alcuni colloqui hanno avuto origine e si sono dipanati in contesti ufficiosi, qualche interlocutore
ha chiesto cortesemente di mantenere l’anonimato, altri non hanno voluto parlare del problema pur
occupandosene.
Parlare del problema della tratta in Albania, senza delineare un profilo del contesto socioeconomico del territorio è cosa ardua. Ne tracciamo, dunque, brevemente ed approssimativamente i
contorni per favorire una maggiore comprensione.
Dalla caduta del regime enverista gli albanesi sono entrati nel vortice di quella che loro stessi
chiamano “transizione”134. Si sono ritrovati a confronto con un mondo del quale, fino quel
momento, non avevano avuto la possibilità di far parte e dal quale erano profondamente attratti ma
senza saperne nulla e “senza un soldo in tasca” [UAW, 1997]. Gettati nell’agone internazionale,
dove il denaro è tutto, qualsiasi metodo per fare soldi velocemente e facilmente non poteva essere
disprezzato. D'altronde non esistevano soluzioni alternative. Al disastro economico del Paese si
aggiungeva la totale anomia ed una caduta verticale di valori; non c’erano nemmeno i valori
religiosi che potessero fungere in qualche modo da baluardo ad una caduta senza freni135.
In un contesto siffatto, è indubbio che la disoccupazione e la povertà siano tra le maggiori cause
che hanno portato alla prostituzione. Per chi abbia voglia di far soldi, di farne tanti e subito, la
prostituzione e la tratta sono settori ad alto fatturato. Così come lo è stato il commercio di armi,
droga o qualsiasi altra merce che potesse essere trasformata in denaro.
Per parafrasare K. Marx, diremmo, ognuno valorizza ciò che ha. Si è tutti nella stessa barca,
trafficanti e trafficati: sono tutti nella sfera dell’indigenza, al limite della sopravvivenza e con il
canto della sirena, la TV, che invita all’Eden occidentale [Perrone L., 1996]. Vien da sé che molte
ragazze utilizzano (vendono) l’unica cosa che hanno: se stesse. L’alternativa è la fame, dimenticate
in un buco del mondo.
Quanto espresso da Serge Latouche in riferimento all’Africa si cuce drammaticamente addosso
anche all’Albania e a tutti i paesi c.d. poveri che possono solo guardare il lusso occidentale: “tutti i
traffici, dai più ridicoli […] ai più importanti, dai più innocenti […] ai più criminali […] hanno
come punto di partenza, come obiettivo, come movente e punto di arrivo il denaro” [Latouche S.,
1997, pag. 170].
Non considerare questa situazione è fuorviante e porta a posizioni moralistiche, dimentiche,
peraltro, che tutto ciò è stato regalato al popolo albanese dal mitico occidente. Chiunque abbia
messo piede almeno una volta in Albania non è difficile che comprenda come l’Occidente sia stata
e sia una meta agognata e un modello da seguire. L’Italia, tra i Paesi occidentali, è stato certamente
quello che più ha acceso aspettative, attraverso i suoi programmi televisivi, regolarmente captati in
gran parte del Paese delle Aquile [Perrone L., 1996].
Ogni qualvolta si sbarca a Durazzo i primi ad accorrere sono i rom; così dicasi alla partenza, sono
gli ultimi che volente o nolente saluterai: uomini, donne e bambini che, in pochi minuti, devono
mettere in atto tutte le proprie strategie per racimolare qualche spicciolo. Questa scena, che sembra
d’altri tempi per chi sbarca per la prima volta in Albania, contrasta ferocemente con le immagini
133
Si ringraziano cortesemente tutti coloro hanno dato il loro apporto per la stesura di questo lavoro. Un ringraziamento
particolare va alle operatrici di una ong di Tirana - UAW (Useful to Albanian Women) , che hanno messo a
disposizione dell’indagine il rapporto UAW sulla tratta dattiloscritto e non pubblicato.
134
È un po’ difficile stabilire l’arco di tempo che comprende la c.d. transizione. Certamente essa ha inizio nel 90-91 con
la caduta del regime comunista, ma non si può dire quando si sia conclusa, c’è infatti chi sostiene che sia ancora in atto
[Perrone L., 1996].
135
Giova ricordare che nel 1967 il regime impone l’ateismo di stato, quindi le ultime generazioni albanesi crescono
senza riferimenti religiosi [Perrone L., idem; Resta P., 1996].
158
che si presentano allo sguardo ancora prima di uscire dall’area portuale, con la polizia che maltratta
malamente costoro che – ormai adusi – si sottraggono e schermiscono come possono. Scenari
inediti si impongono all’attenzione del visitatore: già dal ponte della nave si vedono nuovi e
colorati palazzi che hanno preso il posto di quelli scalcinati, visibili appena qualche anno addietro.
La Durazzo-Tirana, che appena tre anni fa era sterrata come un percorso da cross, oggi è una
superstrada, costellata da nuovissimi distributori di carburante e da una quantità enorme di
autolavaggi; arterie collaterali sono in costruzione e dappertutto si costruisce qualcosa.
L’Albania è tutto un cantiere all’aperto e la struttura viaria uno dei più grandi problemi, per un
Paese che vuole crescere velocemente. Il contrasto tra vecchio e nuovo è impressionante e
onnipresente, impossibile non notare questo scenario diacronico. Sulla superstrada si vede
transitare di tutto, in un contrasto impressionante tra tradizione e modernità: autocarri, auto vecchie
e nuove, carri caratteristici trainati da asini e pedoni che ogni tanto attraversano la carreggiata.
Quanto quelle strade siano pericolose e quanto poco si sia data attenzione alla sicurezza lo
testimonia l’impressionate numero di cippi disseminati lungo il tragitto: la strada è anche un
cimitero di giovani giovanissimi e malcapitati. Ogni tanto si intravedono anche delle costruzioni
lussuose, delle oasi verdi. Dei grandi fabbricati, tutti nuovi di zecca, con prato all’inglese nel
giardinetto antistante l’ingresso ed uno steccato come recinzione: sono le sedi delle multinazionali.
Altro particolare che acuisce il contrasto tra passato e presente. Non può non colpire un’altra
caratteristica tutta albanese: le tante abitazioni in costruzione lungo tutto il tragitto, con delle
bandiere sui tetti. Non sono solo bandiere nazionali, ma dei Paesi in cui il proprietario è emigrato
che permettono di capire la diaspora di questo popolo. Accanto un pupazzo in stoffa o in plastica,
benaugurante, indica che il rustico è stato finito.
Un tempo il tragitto era un gran bel vialone contornato di altissimi pioppi centenari, ma la rabbia
popolare del ’90 ne ha fatto (in)giustizia, ed oggi, d’estate, non c’è un filo d’ombra. Poi si giunge
nella capitale, Tirana, ma solo dopo aver incontrato tantissime auto in panne (indicatore del parco
macchine decrepito) e tanti cimiteri di auto, disseminati qua e là, lungo la strada.
Le vie di comunicazione, subito prima dell’entrata in città, lungo la periferia, sono disseminate di
buche enormi che formano dei laghetti; e quando non ci sono le pozzanghere il passaggio delle auto
solleva un polverone insopportabile, specie se si è costretti a camminare a piedi. Abbandonate le
zone più disastrate, per le qualisi cerca di provvedere, si nota subito che Tirana vuole diventare
velocemente una città europea a tutti gli effetti. Ne va assumendo tutte le caratteristiche, traffico e
smog compresi. Enormi palazzi si ergono ovunque, in compenso è un sollievo notare la scomparsa
dei kioska136 che solo qualche anno fa deturpavano ogni angolo della città. I parchi e i giardini
pubblici sono tornati ad essere rigogliosi, con le aiuole curate e le panchine nuove; anche la riva del
fiume Lana, aggredita dall’abusivismo, va verso il risanamento. Molte delle costruzioni abusive
sono state già abbattute e le altre vanno inesorabilmente incontro a loro destino, su iniziativa di un
sindaco coraggioso137 e di un governo che ha preso questo impegno con i suoi elettori.
Il mercato della frutta, nel cuore della capitale, è una parata di colori; la frutta nelle casse è ben
ordinata, ogni frutto è millimetricamente allineato agli altri e, di tanto in tanto, il fruttivendolo la
riordina e spruzza dell’acqua perché la merce non perda freschezza. C’è proprio di tutto, anche
mango, ananas, ciliegie, nespole, meloni e angurie, sino a qualche anno fa del tutto sconosciuti. E i
prezzi non sono concorrenti a quelli occidentali, un disastro per la popolazione. A guardarli il
pensiero corre ai salari ed una domanda è d’obbligo: come vivono le fasce deboli della
popolazione?
136
137
Costruzioni abusive di piccole e medie dimensioni sorte lungo le strade della città adibite a bar, pizzerie e simili.
Edi Rama, esponente dello schieramento governativo.
159
I viali del centro pullulano di negozi di ogni tipo e nascono quelli specialistici: punti vendita di
cellulari, negozi di abbigliamento, negozi di elettrodomestici, profumerie, fiorai, bar, pub, pizzerie,
ristoranti, fast-food ecc. Accanto a negozi che vendono merci di prima necessità si affollano quelli
che vendono profumi e balocchi, merci symbol, immagine. Anche in tal caso un grazie alle TV
occidentali è d’obbligo. Così accanto ai negozi generici compaiono quelli delle grandi firme. La
moda è esclusivamente occidentale e le diversità, anche qui, si affermano attraverso l’avere.
L’occidentalizzazione del mondo avanza senza limiti. I telefoni cellulari, in questo panorama,
hanno un grande ruolo simbolico e tutti concorrono a “chi ce l’ha più piccolo”. E regolarmente li si
trova esposti - multifunzionali e con display dell’ultima generazione - nei mille negozi che
affollano centro e periferia delle città.
Tutto è in mutamento e le tracce del mimetismo che ricalca l’occidente, e l’Italia in particolare, si
trovano ovunque, in tutti i settori sociali. Molti programmi televisivi sono letteralmente una brutta
copia di quelli italiani. La stessa cosa dicasi per gli spot pubblicitari e per i Tg, in cui si
scimmiottano financo gli atteggiamenti delle nostre più famose presentatrici (Lilly Gruber è la più
emulata).
I supermercati sono affiliati di note catene italiane e vi si trovano tutti i prodotti italiani, ma non un
solo prodotto locale o di quelli che è possibile trovare nei negozietti sotto casa. Certo i prezzi non
sono proprio per i locali, essendo superiori anche del 100% a quelli italiani. D'altronde, la quasi
totalità delle merci sono importate e quelle là prodotte sono ancora ben poche.
Se per l’osservatore tutto sembra in veloce mutamento, non lo è per l’autoctono. Chi osserva
l’Albania non può non cogliere il fermento, la voglia di entrare in Europa quanto prima, i ritmi di
cambiamento stressanti e quasi disumani; chi invece vive o è costretto a vivere138 l’Albania,
paradossalmente, la vede lenta e farraginosa. Dice una giovane donna: “perché l’Albania cambi ci
vorrà molto tempo, adesso è ancora un caos, fare una qualsiasi cosa diventa un’impresa. Tutto
diventa difficile. Guarda le strade, una si lava, si veste bene per andare a lavoro, si pulisce le
scarpe, poi si ritrova sempre in mezzo a polvere e fango” [E. M.]. Insomma è una spasmodica
attesa del futuro, il presente non esiste.
Camminando lungo le strade dell’Albania saltano subito agli occhi i rischi più seri di una totale
assenza di vaglio critico del concetto di sviluppo. Il traffico della città e l’alto tasso di
inquinamento causato dai gas di scarico non fa presagire buoni effetti sulla salute della gente, ma
questo non sembra essere una grossa preoccupazione, almeno non più rilevante del fatto di non
possedere un’auto di grossa cilindrata. E che dire dello smaltimento dei rifiuti? Anche nelle riserve
naturali spuntano ristoranti come fossero funghi, salvo a scoprirvi, nemmeno ben nascoste,
montagne di rifiuti e di plastica (sino a qualche anno fa del tutto inesistente).
Quelle che erano, fino a pochi anni addietro, spiagge meravigliose oggi sono degli autodromi:
Mercedes, BMW e ogni genere di fuoristrada scorrazzano tranquillamente sulla battigia, incuranti
dei malcapitati bagnanti, che, a dire il vero, non manifestano grosso sconcerto per queste
inopportune, fastidiose e pericolose presenze. Pattuglie della Polizia, sempre automunite e sempre
sulla spiaggia, controllano che tutto fili liscio, ma non intervengono. Così si aggiungono allo
scempio ambientale. Una scena che richiama alla mente i Bay Watch americani, che, belli,
muscolosi, abbronzati e vincenti, sul litorale oceanico vigilano a bordo delle jeep per la
salvaguardia delle persone e sono pronti ad intervenire al minimo segnale di pericolo. La
conclusione è che la sabbia è diventata nera a causa dei gas di scarico. Là dove c’era un bellissimo
bosco, ora impera un abusivismo edilizio che ha abbattuto pini secolari e sfigurato l’ambiente. In
poco tempo sono sorti alberghi, abitazioni singole e in condominio, bar e tanto cemento che strazia
l’ambiente. Ovviamente non è il caso di approfondire lo smaltimento dei liquami.
138
Perché magari vorrebbe emigrare e non può farlo.
160
Anche tralasciando la suggestione mass-mediale, i modelli vincenti, simbolo del potere, sono
evidentissimi nel cuore della città. È questo, infatti, il quartier generale della presenza
internazionale nel Paese. Qui ci sono le sedi della cooperazione internazionale, delle istituzioni,
degli ambienti diplomatici, delle multinazionali. Sono questi i circuiti nei quali si circola con i
fuoristrada, si hanno a disposizioni computer e telefoni cellulari, si mangia nei ristoranti in, gli
stipendi sono occidentali e, quindi, completamente squilibrati rispetto a quelli medi del Paese.
Tanto per fare un esempio, un medico di famiglia in Albania guadagna 150 _ al mese, un operatore
di una ong può arrivare a guadagnarne 2.000.
Ma accanto a tutto questo esiste anche un altro mondo che, parallelamente, cerca di sopravvivere e
il confronto tra i due mondi è ancora più stridente. Agli angoli delle stesse strade dissestate e
polverose percorse dai macchinoni, magari di fronte alle gioiellerie, ci sono le donne anziane – la
cui età difficilmente è calcolabile perché le condizioni di esistenza hanno lasciato loro segni non
mimetizzabili – che trascorrono un’intera giornata sedute per terra a cercare di vendere per pochi
spiccioli – 50 lekë pari a 0,37 _ – una busta di verdure selvatiche. Oppure c’è chi, seduto sugli
scalini di una chiesa, vende 4 o 5 rose raccolte nel giardino di casa. Molti altri anziani vagano per le
strade oppure siedono davanti ai luoghi di culto e chiedono qualche spicciolo ai passanti. Un padre
e una figlia, di circa dieci anni, stanno seduti per terra, lungo uno dei viali principali della città, di
fronte ad un ministero: l’uomo tiene la ragazzina tra le braccia e lei sembra essere priva di sensi.
Stanno lì un’intera giornata confidando nel fatto che la gente commossa dia loro qualcosa e per
facilitare la generosità sono confezionati come in un film: pantaloni e scarpe di stracci, lui ed uno
straccio lacero e sporco lei. Chiusi gli uffici, finisce il loro lavoro: si alzano, piegano il cartone sul
quale l’uomo sedeva e vanno via. La scena è commovente. Messisi in piedi comprano qualcosa da
mettere sotto i denti, mentre la piccola che ha contribuito all’incasso spinge il padre verso una
cassetta di cartone, su cui un altro poveraccio ha esposto tutti i suoi averi: qualche braccialetto ed
alcuni oggetti di bigiotteria. Dopo qualche moina, adesso non più nella parte di malata-moribonda,
ma da ragazzina che vuole coinvolgere il padre, la spunta ed ottiene il suo braccialetto.
Ci sono ragazzini e ragazzine rom che fanno manghél139 o che, organizzati in squadre, aspettano il
semaforo rosso per pulire i vetri delle auto, sempre disposti a scambiare un sorriso con chi sia
disposto ad incrociare il loro sguardo. E si potrebbe continuare ad elencare una miriade di microuniversi che, con strategie affini, sopravvivono o ci provano, ma tutti sono espressione di
un’economia informale, o meglio, un’«economia popolare» che diventa l’unico strumento utile alla
sopravvivenza. “[…] Ci sarebbe lì tutto un vivaio di piccoli imprenditori «a piedi scalzi» che
vivono di espedienti all’interno del pianeta degli esclusi grazie allo sviluppo di un’attività quasi
professionale” [Latouche S., idem, pag. 176]
7.5. Ragazzi di strada, nuove urbanizzazioni e prostituzione.
Ci sono due mondi che vivono l’uno accanto all’altro; l’uno è la negazione dell’altro e, soprattutto,
solo uno dei due è oggetto di osservazione e di desiderio da parte dell’altro.
In questo panorama variegato, ci sono poi quelli che a Tirana tutti conoscono come “ragazzi di
strada”. Comunemente si pensa a questi ragazzi come ragazzi in condizioni di forte precarietà,
senza una famiglia, che vivono di espedienti (come i ninos de rua brasiliani, o i ragazzi che vivono
nei condotte del riscaldamento della città di Bucarest). Nel nostro caso invece si tratta di bambini e
adolescenti, con famiglie in precarie condizioni economiche, che lavorano tutto il giorno per le
strade di Tirana [UAW, idem]. Non siamo di fronte a ragazzini senza famiglia e in conseguenza
139
“Il termine manghél è tradotto impropriamente con elemosinare, ma in romanés vuol dire andare in cerca ed indica
un’attività complessa basata su delicati equilibri di domanda e offerta tra nomadi e popolazioni sedentarie, per
l’utilizzazione delle risorse del territorio comune”[Sacco R., 1998, p. 100].
161
della mancanza della rete familiare diventano di strada, ma è la loro famiglia che li costringe alla
strada. Tutta l’intera famiglia sciama per le strade alla ricerca di spezzoni di reddito. Non sono
mendicanti, sono dei venditori ambulanti, delle formichine infaticabili che lavorano per un numero
indefinito di ore. Vendono sigarette, chewing gum, caramelle, mandorle salate, semi di girasole,
ricariche telefoniche, penne, custodie per cellulari e quant’altro richiede il mercato.
Ci sono due modi di lavorare: in proprio o alle dipendenze. Quando lavorano in proprio
guadagnano relativamente a ciò che vendono. Acquistano la merce presso alcuni grossisti e poi la
rivendono con un ricarico minimo. Secondo nostri calcoli, nella migliore delle ipotesi, guadagnano
sulle 10.000 lekë al giorno (circa 7 _). Altre volte lavorano per qualcuno. In tal caso hanno un
budget di base e guadagnano a percentuale sulle vendite, ma a condizione che ci sia un volume di
vendita, stabilito unicamente dal datore di lavoro.
Basta essere fermi in un “posto d’osservazione” (bar, ristoranti centrali) per pochi minuti per
incontrarne un numero esorbitante: un chiaro indicatore dell’affollamento del settore e del relativo
numero di famiglie costrette a quest’unico pseudo accesso alle risorse. La presenza così alta di tanti
ragazzi addetti a questo lavoro ci fa capire che il loro volume d’affari è necessariamente misero. E’
un gioco a cui sono costretti, in mancanza d’altro. Sembrano essersi addirittura professionalizzati:
infatti non sono invadenti, non cercano di impietosire, non fanno accattonaggio, offrono
dignitosamente un servizio e se non si è interessati vanno via per offrirlo ad altri. Li si trova per la
strade dal mattino a notte fonda (d’estate anche fino a mezzanotte o fino a che ci sono potenziali
clienti in giro).
Questi ragazzi sono l’unico sostegno della famiglia, per cui anche nei periodi in cui dovrebbero
andare a scuola hanno qualcosa di più pressante a cui pensare.
La maggiore preoccupazione per quanto riguarda questi ragazzi è la mortalità scolastica, ma, in
Albania, non si parla di sfruttamento dei minori. Non ci si trova di fronte solo ad una differenza
semantica, in realtà si tratta di una diversa concezione dello stesso fenomeno. Ed ecco come ciò che
in Italia sarebbe sfruttamento dei minori e violazione dei diritti del fanciullo, in Albania diventa
altro.
Per capire questo altro, basterebbe ricordare o farsi raccontare un po’ i nostri trascorsi, le
condizioni di vita di un cinquantennio fa. Chi si sarebbe permesso di parlare di sfruttamento dei
figli minori (7-8 per ogni famiglia) da parte di un genitore contadino o artigiano che portasse i suoi
figli in campagna o in bottega? Non era forse una forma di socializzazione, funzionale alla
produzione ed alla riproduzione? Non erano le forme codificate per la sopravvivenza dell’intera
famiglia?
Il passato dell’Italia, per molti aspetti, è il presente dell’Albania, come di molte altre parti del
mondo degli esclusi. Questi esempi di misere condizioni di vita sono molto diffusi nella
popolazione albanese, specialmente in città. Queste figure marginali, in gran parte conseguenti
all’urbanizzazione selvaggia della capitale, sono andate ad aggiungersi a quelle storicamente già
presenti in città, i Rom. Questa recente urbanizzazione è costituita principalmente da popolazioni
provenienti dal nord del Paese (Tropoja), che gli abitanti di Tirana chiamano dispregiativamente
“Ceceni”. Sono quei nuovi urbanizzati che hanno concorso a portare la popolazione di Tirana, in
dieci anni, da 200 mila a 800 mila abitanti, ovviamente in assenza di politiche atte a garantirne
dignitose condizioni di vita140.
L’analisi dei progetti di cooperazione internazionale mette in evidenza la totale assenza di politiche
sociali, con un privato sociale che si trova a sostituire un pubblico ormai inesistente, dopo la caduta
140
Ricordiamo che quest’urbanizzazione è stata voluta dalla politica di Berisha al fine di crearsi un elettorato nelle zone
al lui più sfavorevoli. L’esempio più evidente di questa urbanizzazione è certamente Tirana, ma anche alcune zone del
sud del Paese sono state interessate dal fenomeno [Perrone L., 1996].
162
del regime. Le fasce sociali maggiormente disagiate, cui sono diretti i progetti, sono gli anziani,
spesso senza famiglia e con una miserrima pensione, che in Albania ammonta a 38 $ mensili, con
un costo di medicinali e di cure mediche inaccessibili. Molti poi sono anche i progetti diretti alle
giovani donne e ai ragazzi.
In questo contesto, ben si capirà quale possa essere il richiamo che opera l’occidente, specialmente
tra le nuove generazioni. Virtuale cerniera rea i due mondi, il reale e la speranza dell’altro mondo
vicinissimo al di là del mare, sono i media italiani che“creano speranze e fanno sognare in una
situazione dove il valore d’acquisto dei salari cala vertiginosamente e la disoccupazione è in
costante aumento”[Perrone L., idem, p. 36]. E non dimentichiamo che quell’ammaliante e
seducente Occidente mediatico è effettivamente proprio lì a portata di mano, a soli 70 km (tanto
dista Valona da Otranto). “[…]Per migliaia e migliaia, forse milioni di donne e di uomini in fuga,
prevalentemente giovani, mediamente acculturati, l'occidente ha significato e continua a significare
la terra promessa[…]Perciò, se continua ad essere vero che la molla che spinge queste donne a
intraprendere viaggi disperati é il denaro, è altrettanto vero che la posta in gioco è la vita godibile,
non soltanto migliore” [www.luccioleonline.org/politici/sessocom.htm].
Elemento da non sottovalutare sono le politiche migratorie che rendono sempre più complicati i
meccanismi di ingresso regolare in Italia. E anche una volta ottenuto il permesso di soggiorno
questo, secondo l’ultima normativa italiana141in materia di immigrazione, è indissolubilmente
legato al contratto di lavoro. L’immigrato non è un uomo, ma un lavoratore da sfruttare e cessa di
avere diritti nel momento in cui dovesse cessare di essere lavoratore. Tant’è che la legge 189/’02
non rilascia un “permesso di soggiorno”, ma un “contratto di soggiorno”.
Un documento a cura del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute sintetizza mirabilmente
questo scenario: “Le quote d'immigrati preventivate di anno in anno non alludono forse al carattere
di merce dell'immigrato extracomunitario? E non è forse vero che un riconoscimento minimo di
diritti minimi è legato a questa realtà? Che, insomma, la messa al bando, l'essere clandestino e nuda
vita è il destino di chi si sottrae deliberatamente o è tagliato fuori perché soprannumerario? Le
prostitute sono questa nuda vita. Devono esserlo. L'assunzione di questa prospettiva rende possibile
la denuncia dei limiti di un approccio mercantile al problema. Ma anche questa è un'altra storia”.
[idem]
Un mix che produce una miscela esplosiva: la prostituzione e la tratta, paradossalmente, diventano
un’opportunità di vita.
Le donne e i minori albanesi non sono vittime della sola tratta. La prostituzione infatti si configura
anche come fenomeno“interno” al Paese: secondo i dati della Polizia di Tirana esiste una
prostituzione di strada, ma ci sono anche molte case in cui avviene lo sfruttamento. A Tirana ne
sono state individuate almeno 48. Secondo alcune testimonianze inoltre pare che la prostituzione
venga praticata nella “città degli studenti”142, dove le ragazze, provenienti dai villaggi, sarebbero
libere da qualsiasi forma di controllo sociale.
Rispetto al fenomeno proiettato all’esterno del Paese, si può con certezza affermare che all’inizio
degli anni ’90 le ragazze albanesi erano molto ricercate perché “si vendevano a poco” e perché non
avevano ancora conosciuto l’HIV.
La “tratta” verso l’estero ha inizio con il primo esodo del ’91 e anche le ragazze albanesi – ma non
solo loro, perché l’Albania diventa terra di transito anche per le ragazze rumene, bulgare, moldave,
ucraine – entrano a far parte di un circuito che fa registrare le cifre di cui si parlerà successivamente
[UAW, idem]. “La prostituzione è solo la punta dell’iceberg” puntualizza Vjollca Meçaj,
141
LEGGE 30 luglio 2002, n. 189 - Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo. La normativa è nota
anche come legge Bossi-Fini.
142
Che, situata a sud-est della città, ospita circa 15.000 studenti.
163
avvocatessa del Centro di avvocatura delle donne, studio legale che segue gratuitamente i casi di
donne maltrattate o trafficate [www.arpnet.it]. “Nel ‘90, caduto il regime di Enver Hoxha, l’80%
della popolazione aveva la scuola superiore e anche nei villaggi il livello d’impiego delle donne era
alto” continua l’avvocatessa [idem]. “Certo, il regime ‘usava’ l’emancipazione femminile a fini
politici, e non ha portato un vero cambio di mentalità. Così, con la sua caduta e la drammatica crisi
economica che ne è seguita, la donna è ripiombata in una condizione di subordinazione totale. È
stata lei la prima a perdere il lavoro (il tasso d’occupazione femminile è crollato dal 77,5% dell’89
al 59,5% del ‘99) e a smettere di studiare (solo il 28% delle ragazze in zona rurale sono iscritte alla
scuola superiore), e sono riemerse tradizioni patriarcali prima sopite, con un tasso impressionante
di violenza domestica” [idem] .
7.7
La tratta dei minori
Rispetto alla tratta dei minori nello specifico è necessaria una prima precisazione riguardo le
differenti “allocazioni” degli stessi sul mercato.
Secondo gli interlocutori intervistati le ragazze sarebbero destinate al mercato della prostituzione,
mentre i ragazzi avrebbero destinazioni differenti che, ad oggi, pare non confluiscano nell’ambito
dello sfruttamento sessuale.
I minori di sesso maschile sarebbero costretti all’accattonaggio, a fare i lavavetri o a rubare. Da più
parti si è ventilata l’ipotesi che possano essere sfruttati nell’ambito del mercato della pornografia
oppure che possano essere rapiti per l’espianto degli organi, ma non esiste alcun tipo di verifica
empirica in tal senso.
Secondo il rapporto Unicef 2001 la realtà avrebbe una sfumatura leggermente differente. Lo
sfruttamento sessuale dei minori di sesso maschile sarebbe una realtà meno conosciuta perché le
condizioni di emersione del fenomeno sarebbero più complesse rispetto alla prostituzione
femminile. La differenza afferirebbe alle categorie culturali di socializzazione, infatti un rapporto
sessuale con una donna, nel senso comune (anche del minore stesso), può essere considerato come
un’iniziazione o come una dimostrazione di virilità e quindi difficilmente viene denunciato. Un
rapporto sessuale con un uomo rientra per il minore in una sfera di devianza (la paura
dell’omosessualità) e per questo, anche in tal caso, è improbabile che il fatto venga denunciato
[Unicef, idem; http://www.unicef.org].
I gruppi ad alto rischio sono, in ogni caso, i minori provenienti da famiglie povere delle aree
periferiche e rurali del Paese la cui sopravvivenza è legata alla possibilità che i figli trovino una
qualsiasi fonte di reddito.
“La globalizzazione culturale ed il neo-liberismo […] rappresentano un ulteriore supporto al
traffico, sia per la legittimazione che forniscono a qualsiasi attività che produca ricchezza (quindi
perfino l’industria del sesso […]) sia per l’influenza che possono avere sulla mentalità dei trafficati
(che accettano di pagare, spesso individualmente, forti somme pur di partire). […] È proprio nella
contraddizione tra economia ed informazione globali e forza lavoro «nazionale», che si apre lo
spazio per il traffico. […] Una forza lavoro per la quale esistono delle frontiere in una economia
che non le ha più crea le condizioni necessarie e sufficienti per il traffico clandestino globale”
[Campani G., 2000, p. 45-46].
Fatta questa necessaria premessa è possibile individuare alcune tipologie di tratta dei minori: quella
più comune sembra essere la prostituzione delle ragazze minori sotto costrizione della famiglia.
La pressione che la famiglia esercita sulla ragazza è psicologica: il fatto che la ragazza si
prostituisca fa parte di una specie di “patto” che si instaura tra lei e i suoi familiari: lo deve fare per
il bene di tutti. Alla base di una considerazione di questo genere c’è ovviamente una drammatica
164
realtà, cioè l’estrema povertà economica e culturale in cui la gente, suo malgrado, è costretta a
vivere. In tal senso dunque il quadro si modifica, in quanto la “scelta” della ragazza e le “pressioni”
della famiglia possono essere letti come una sorta di “collaborazione” per il sostentamento della
famiglia da parte di chiunque sia in grado di apportare risorse. I concetti di “volontarietà” e di
“costrizione” diventano ambigui, è complicato comprendere dove cominci l’uno e dove finisca
l’altro in una situazione in cui la povertà, la miseria, e la negazione di qualsiasi opportunità di vita
sono così incombenti.
Quando si parla di costrizione da parte della famiglia si rende comunque necessario fare opportuni
distinguo, in quanto si può variare dalla pressione psicologica e dalla ricerca della complicità a
forme più violente.
Il vero problema è che le ragazze in Albania non sono indipendenti143. Un ragazzo riesce più
facilmente a trovare una forma di semi-indipendenza, nel senso che può trovare un lavoro che gli
consenta di avere un reddito minimo e di partecipare al sostentamento della famiglia. Per una
ragazza questo è quasi impossibile. È più controllata dalla famiglia, specialmente nei villaggi. È la
famiglia che deve scegliere il fidanzato “adatto” alla ragazza. Una cosa del genere è ovviamente
impensabile per un ragazzo.
Il fidanzamento della ragazza è, per la famiglia, un investimento: il fidanzato deve possibilmente
essere in una condizione economica tale da garantire, attraverso la ragazza, uno spezzone di reddito
alla famiglia. La ragazza, dal canto suo, non ha alternative, è obbligata ad accettare, diversamente
corre il rischio di subire anche violenza fisica dai familiari. Questa è una pratica ormai molto
diffusa e quasi tutti la conoscono, ma, a volte, tanto le ragazze quanto le famiglie fingono di non
sapere perché anche quella, paradossalmente, si trasforma in una opportunità di vita.
“[…]la famiglia albanese sta vivendo uno sconvolgimento totale, i rapporti tra coniugi sono molto
problematici, ogni cinque matrimoni (in alcune regioni ogni due) c'è un divorzio, le famiglie con
capofamiglia donna sono l'8%; al nord, nei paesi di montagna, le ragazze vengono spinte al
matrimonio sempre più presto dietro compenso di una dote; l'età media del matrimonio, che per le
donne nell'82 era di 24 anni, ora è di 16. Conflitto tra i sessi, quindi, fine del patriarcato, e qui si
capisce bene cosa questo significhi, non certo fine dell'aggressività e arroganza maschile, né della
complicità e soggezione femminile, ma crisi profonda di un ordine sociale che implode per le
trasformazioni interne ed è travolto dai processi di mondializzazione. Le donne, specie le più
giovani, cercano di salvarsi, come possono, "fidanzandosi" con qualche figuro che le porterà in
Italia o in Europa, disposte se non a tutto a tanto, pur di avere una prospettiva di vita”
[www.cestim.org/index_c.htm].
Tutto questo è drammaticamente ordinario nei villaggi, mentre è cosa sporadica in città.
Non mancano casi in cui è la ragazza a “scegliere” di prostituirsi. Ma anche in tal caso il concetto
di volontarietà non rende giustizia appieno delle condizioni che conducono a tale decisione.
Le parole di uno degli intervistati sono molto eloquenti a proposito: “Le ragazze fanno un
ragionamento di questo tipo: « Questa è la mia vita. Io non voglio fare la stessa vita di mia madre,
con le mucche, con un marito violento. Non voglio vivere tutta la mia vita nel villaggio dove non ci
sono più ragazzi perché sono tutti emigrati. Che cosa faccio? Voglio provare questa strada, tanto
se non ci provo, comunque dovrò subire la violenza di mio fratello, la violenza di mio padre. Cosa
143
Per comprendere le radici di questa condizione è necessario far riferimento al kanun di Ducagini ossia il “codice
tradizionale” tramandato oralmente “al quale si sono ispirati i comportamenti delle popolazioni del nord dell’Albania”
[Resta P., idem, pag. 37]. Per quanto nel frattempo sia stata prodotta una legislazione scritta, il kanun rimane ancora
fortemente radicato nelle coscienze della gente e ne condiziona il comportamento. In esso la donna era considerata priva
di ogni dignità, alla stregua di un “animale da lavoro”, “sempre subordinata all’uomo”. Questo rese le donne stesse
incapaci di pensarsi come soggetti attivi della società. In una lettura della donna in questi termini si intravedono le basi
della “tratta” delle donne [UAW, 1997].
165
ho da perdere? Niente. Ho qualcosa da perdere: la verginità. Ma a cosa mi serve la verginità? Mia
madre è stata con un solo uomo, ma cosa ne ha avuto?» [S. A, UAW].
E ancora quattro ragazze, tutte di 16/17 anni, a chi cercava di convincerle ad abbandonare la strada
e a seguire progetti di recupero, dicono: “Cosa ci offri tu? Io capisco perfettamente il tuo
ragionamento, è sacrosanto, ma io sono giovane oggi, oggi io ho l’unica cosa da vendere, domani
non avrò niente. Dammi un’alternativa in maniera tale che io possa vivere con dignità”. [idem]
Rispetto a questa condizione il Comitato dei Diritti Civili delle Prostitute propone una terza chiave
di lettura, certamente inusuale, forse per alcuni discutibile, ma forse anche utile alla comprensione
di alcune dinamiche psicologiche, sociali ed economiche. È presa in considerazione infatti l’ipotesi
di una messa in discussione delle categorie di “vittima” e di “criminale”; chi dice infatti che non
esista una terza possibilità, per esempio l’ “autodeterminazione sessuale”? il Comitato dei Diritti
Civili delle Prostitute, nella persona della sua presidentessa, Carla Corso, propone proprio questa
ipotesi, pur essendo cosciente che le condizioni economiche e sociali costituiscono un forte
incentivo. La Corso sostiene che intendere le prostitute sempre e solo come vittime o come
criminali è funzionale “alla costruzione di uno spazio di devianza e di marginalizzazione entro cui
chiudere le prostitute stesse” [www.luccioleoline.org]. La vittimizzazione e/o la criminalizzazione
sono funzionali anche all’annullamento dell’autosufficienza individuale. Si è legittimati a pensarle
come soggetti di cui farsi, in qualche modo, carico. Si pensa e si agisce “in nome e per conto di”,
“per il loro bene”e per il benessere collettivo.
Partendo, invece, dalla considerazione della Corso del principio di “autodeterminazione sessuale”si
riesce a comprendere meglio come sia possibile che si instaurino rapporti di complicità tra la
ragazza e il protettore, nella determinazione di un rapporto in cui entrambi hanno qualcosa da
guadagnare.
Anche in tal senso non è indifferente il processo di “occidentalizzazione”; emblematiche a tale
proposito le parole di Lara Giurato, volontaria Cefa144, da due anni a Gramsh, città a sud-est di
Tirana, nella zona di Elbasan: “Qui tutti hanno visto almeno tre volte Pretty Women145. Quel film
avrebbero dovuto vietarlo in Albania”. [www.arpnet.it]
Nell’ambito delle varie tipologie di tratta figura anche quella del rapimento, o meglio figurava in
quanto fenomeno alla ribalta della cronaca negli anni dal 1990 al 1998. Attualmente pare che
questa tipologia non esista più, in quegli anni però, quando in Albania la figura dello Stato era
totalmente assente, i rapimenti delle ragazze avvenivano impudentemente per strada senza troppi
problemi. La polizia faceva finta di non vedere e, all’occasione, cercava anche di trarre profitto dal
proprio silenzio. Negli ultimi anni il progressivo ritorno del Paese alla legalità ha eliminato questa
tipologia di tratta. Non sono note stime sul numero di soggetti finiti nel circuito della tratta
attraverso questo meccanismo. Ricollegandosi brevemente al discorso della corruzione e della
complicità delle forze dell’ordine, tutte le fonti – sia bibliografiche che orali – sono concordi sulle
responsabilità delle forze dell’ordine. “La polizia spesso è d'accordo, lascia fare". Ma anche: "A
volte è impotente, perché le ragazze non denunciano per paura di ritorsioni sulla famiglia".
[www.arpnet.it/migranti/prostit.htm]
144
Comitato Europeo per la Formazione e l’Agricoltura fondato nel 1972 dal Movimento Cristiano Lavoratori. In
Albania due sono i suoi ambiti di intervento:
_ Il settore agricolo con attività di sviluppo della produzione olivicola, attività zootecniche di profilassi contro le
malattie animali, attività di formazione degli agricoltori.
_ Il settore sociale con centri di accoglienza per minori e donne in stato di difficoltà, centro di aggregazione per i
giovani, attività sportive, attività scolastiche, attività formative. [www.cefa.bo.it]
145
Noto film in cui una prostituta è riscattata da un uomo bello e ricco.
166
A procurare il passaporto è il racket albanese, in pieno accordo con la polizia locale e la criminalità
organizzata italiana (sacra corona unita, mafia, camorra...) che accetta questa presenza di buon
grado per comuni interessi. È certo lo scambio "donne contro droga". Diverse dichiarazioni di
testimoni privilegiati albanesi ci confermano che "la polizia albanese – aumentata a dismisura – è
totalmente coinvolta... lo fa quasi apertamente... vende passaporti falsificati e visti per l’Italia, si
procura somme straordinarie di denaro". [www.arpnet.it/migranti/indart.htm]
Anche l’Unicef fa cenno alla collusione della polizia albanese con i trafficanti, tant’è che i minori
espulsi dai paesi nei quali erano stati trafficati tornano nella mani dei trafficanti non appena
oltrepassato il confine albanese. Il 10% delle donne vittime di tratta ha testimoniato contro
poliziotti corrotti dai trafficanti. Secondo una dichiarazione di un ufficiale del Ministero
dell’Ordine Pubblico in Albania la spiegazione di questo fenomeno è molto semplice: un poliziotto
in Albania guadagna 150$ al mese, mentre un trafficante lo paga dieci volte tanto perché non
interferisca con le sue attività [Unicef, idem; http://www.unicef.org].
7.7. I trafficanti
I trafficanti - generalmente ragazzi poco più che ventenni - sono strettamente collegati ai circuiti
degli scafisti e dei falsificatori dei documenti, per ovvi motivi di “condivisione di intenti”. Gli
scafisti però non sono parte integrante dell’organizzazione, nel senso che si occupano solo del
trasbordo e le ragazze sono “passeggeri”come altri. I veri complici, il cui ruolo è determinante ai
fini della buona riuscita dell’affare, sono quelli che attendono le ragazze sulla sponda italiana
dell’Adriatico.
La gestione del fenomeno non è, secondo gli operatori del settore, nelle mani della grande
criminalità internazionale; non si tratterebbe insomma della solita filiera della mafia, bensì di clan
locali, ben radicati sul territorio.
In queste organizzazioni il sistema di affiliazione non è necessariamente familiare, può avvenire
anche per affinità: si tratta, per esempio, di giovani della stessa regione, giovani che condividono le
stesse esperienze, gli stessi bisogni, gli stessi costumi.
Ovviamente la composizione delle organizzazioni non comprende solo giovani, è variegata e
stratificata. Quello che non esiste è una “filiera del male”, un’organizzazione rigidamente
strutturata e definita, in realtà ci sarebbe molta frammentazione.
Si creano delle alleanze, o meglio delle “dichiarazioni di intenti” che vengono contratte caso per
caso, sulla base di interessi e di contatti personali. È una criminalità che ha un interesse cospicuo e
promiscuo; promiscuo nel senso che la tratta è solo uno degli elementi che lo caratterizzano: nello
stesso scafo con cui vengono trafficate le ragazze ci sono anche droga, armi e clandestini, che non
sono oggetto di tratta.
“Il traffico […] obbedisce allo schema classico di costi-rischi-benefici, ed è costituito da imprese di
dimensioni variabili, che possono utilizzare, con maggiore o minore forza, relazioni di potere nei
paesi coinvolti[…] A livello «basso» […] un gran numero di persone, non necessariamente legate
alla criminalità, approfittano delle attività connesse all’esportazione dei migranti e non hanno
interesse a farlo cessare: infatti mentre le grandi organizzazioni criminali gestiscono le loro
operazioni di traffico a livello transnazionale, a livello locale, nel paese di partenza e in quello di
arrivo, sono necessarie delle basi di sostegno fornite sia dalla piccola criminalità che da privati
cittadini. La lotta contro il traffico si scontra qui con l’esistenza di una vasta rete di
interessi[…]”[Campani G., 2000, p. 43].
Ci sono referenti sia per l’acquisto che per la vendita, in Montenegro, in Macedonia, in Kosova, in
Italia e in Grecia. Le ragazze, che provengono da Moldavia, Romania, Ucraina, Bulgaria, vengono
167
comprate fuori dall’Albania, nella maggior parte dei casi in Montenegro. Nella periferia di
Podgoriça ci sono diversi Hotel che fungono da veri e propri mercati. La medesima cosa dicasi per
la Macedonia. Conclusi gli “acquisti” le ragazze vengono trasportate a Valona, da dove ripartono
con gli scafi verso le coste pugliesi.
Secondo alcune testimonianze di trafficanti l’avvio alla prostituzione segue il seguente iter:
-
il rapimento/convincimento della ragazza;
la permanenza a Valona, che di solito non supera le 24 ore, a parte casi eccezionali (per
esempio le cattive condizioni del mare che impediscono la partenza);
il viaggio in motoscafo;
l’arrivo e il rifugio in Italia (durante il quale le ragazze sono maltrattate, violentate e ricattate);
lo sfruttamento da parte dei protettori [UAW, idem].
7.8. Un breve inciso sui profitti
Si stima che la prostituzione sia la terza voce di guadagno per il crimine internazionale organizzato,
dopo le armi e la droga [Carchedi F., Piccolini A., Mottura G., Campani G., 2000, p. 13].
Si calcola che una prostituta possa fruttare almeno dieci milioni al mese. La media del lavoro delle
ragazze è di circa tre sere a settimana. In Italia, secondo un calcolo approssimativo, il business della
prostituzione delle donne immigrate si aggira sui 180 miliardi al mese [De Marco M., 2001].
Secondo stime INTERPOL, dal mercato del sesso si ricavano almeno 5-7 miliardi di dollari l'anno
e
ciascuna
donna
trattata
vale
120-150
mila
dollari
l'anno
[http://testo.camera.it/bicamerali/schengen/indagini/docconclusivo.htm].
La presenza delle ragazze minorenni potrebbe costituire una variabile estremamente significativa
ed importante per l’aumento dei profitti. Risulta infatti che una ragazza può essere comprata per
una cifra che oscilla tra 2.500$e 4.000$, quando è vergine il prezzo sale anche a 10.000$ [Unicef,
idem; http://www.unicef.org].
Un tale aumento del “prezzo di acquisto” deve necessariamente corrispondere ad un investimento
dal quale ci si attendono ottimi profitti. Ci sono molte ragioni che rendono le ragazze minorenni
“più appetibili sul mercato”:
•
•
•
•
le minori hanno scarsissimo potere contrattuale (sia rispetto al protettore che al cliente) proprio
in virtù (o, in tal caso, a causa) della loro giovane età: sono più fragili psicologicamente,
maggiormente influenzabili e/o impressionabili e quindi facilmente gestibili [www.cestim.it];
direttamente connesso con la motivazione precedente è il fatto che clienti e protettori si sentono
garantiti dall’omertà della minore (che difficilmente ha il coraggio di rifiutare una prestazione,
di ribellarsi o denunciare i suoi aguzzini), [idem];
“i clienti sono disposti a pagare una somma maggiore pur di poter disporre totalmente di
persone alle quali possono imporre prestazioni ritenute ormai rischiose che, in altri casi non
riescono ad ottenere (es. rapporto senza il preservativo)”, [idem];
la giovane età delle ragazze e la loro “breve esperienza lavorativa” fornirebbero maggiori
garanzie ai clienti rispetto alle possibilità di contrarre l’HIV, sebbene, da un punto di visto
scientifico, alcune indagini abbiano dimostrato che proprio la giovanissima età ponga le stesse
in una condizioni di maggiore vulnerabilità rispetto alla contrazione del virus.
7.9. Il “recupero” e il reinserimento sociale delle vittime della tratta: reinserimento di chi?
dove?
168
Rispetto alla tematica del reinserimento sociale delle ragazze vittime di tratta, le considerazioni
degli intervistati sono a dir poco allarmanti. Ecco cosa sostiene l’operatore di una Ong attiva in
questo ambito: “è una questione di denari, per tutte le organizzazioni internazionali. Nessuna delle
ONG che si sono occupate di tratta si è veramente interessata delle vittime. Pensano soltanto ai
soldi che questo problema può portare. Se le associazioni internazionali avessero veramente a
cuore le sorti di queste ragazze, dovrebbero realizzare un grande progetto di finanziamento per le
vittime, perché abbiano una reale possibilità di vita, perché possano aprire un’attività privata e
rimanere nel villaggio. Se queste ragazze avessero delle risorse per vivere, una motivazione di
vita, penserebbero che vivere e lavorare qui è meglio che prostituirsi in Italia. Se potessero aprire
qui in Albania un negozio, o se potessero avere un pezzo di terra e un trattore per lavorarla,
qualcosa la farebbero” [S. A. UAW].
Il tema del “recupero”e del reinserimento sociale delle vittime della tratta nel paese d’origine
accende grossi interessi per la sua portata sociale e umana, ma un aspetto trascurato (anche
mediaticamente) sulla sponda italiana dell’Adriatico è il fallimento aprioristico del reinserimento,
mentre molto viva è l’attenzione al finanziamento dei progetti146.
La parola d’ordine è “salvare” queste ragazze e aiutarle a tornare a casa, ma, rispetto a ciò, in
Albania sono tutti concordi: la reintegrazione totale di un’ex-prostituta nella società di provenienza
è un’utopia.
Secondo alcuni operatori intervistati anche l’inserimento lavorativo è un problema perché non c’è
lavoro. Secondo altri l’inserimento lavorativo al momento è possibile perché molte organizzazioni
internazionali promuovono dei corsi professionali e, tramite incentivi economici con gli
imprenditori autoctoni e non, riescono a creare posti di lavoro.
Ma il vero problema è, come accennato, l’inserimento sociale della ragazza, impossibile nelle zone
rurali e difficilissimo nelle grandi città.
Dice uno degli operatori intervistati: “Anche Tirana che è una grande città in realtà è un grande
villaggio. Ci sono 800.000 persone, ma tutti sanno cosa fanno gli altri. È un grande villaggio,
anche nella mentalità. Le persone non rispettano la privacy, questo è il problema. Non è facile per
un parente accettare la bambina o il bambino che si sono prostituiti perché c’è lo stigma sociale a
rimarcare costantemente il fatto. Per esempio nessuno mai si fidanzerebbe con un’ex-prostituta. Se
siamo in un villaggio si sa che quella ragazza è inserita, ma che è una ex-prostituta. Quindi questa
donna è rovinata per la vita. Si parla sempre di ex-prostitute, mai di vittime della tratta” [K. B.,
CRCA].
Diana Ciuli - responsabile dell'associazione Forum delle donne di Tirana – sostiene: "Sono
decisamente contraria al rimpatrio delle donne trafficate, sarebbe meglio aiutarle a inserirsi dove
vengono fermate. In Albania siamo tre milioni di persone, nelle cittadine e nei paesi si conoscono
tutti. La società è molto conservatrice e le ragazze sono discriminate a vita". Di tutte le donne
seguite dal Forum in questi anni non si è reinserita nessuna: "ci provano, ma dopo pochi mesi
scappano perché non reggono la situazione" [www.arpnet.it/migranti/prostit.htm].
Ci sono due elementi su cui vale la pena di riflettere a questo proposito. Da un lato
l’inassimilabilità sociale delle ragazze vittime di tratta (la società rigetta come corpo estraneo la
ragazza); dall’altra i profondi mutamenti che le ragazze subiscono durante questa esperienza rende
la società di appartenenza difficilmente assimilabile.
Il soggetto che deve essere reinserito non è più quello che è partito, volente o nolente. È un
soggetto che si è modificato, che è stato “culturalmente contaminato”.
146
Nel solo Salento sono stati approvati, il 3 ottobre 2002, nella Provincia di Lecce due progetti, “Libera”, coordinato
dalla stessa Provincia, e “Ali Nuove” coordinato dalla Fondazione “Regina Pacis”, filiazione diretta dall’Arcidiocesi di
Lecce [www.gdmland.it]. aggiungiamo noi, dove il fenomeno è del tutto assente.
169
Le ragazze, quando partono, sono già “contaminate”, la televisione ha già svolto efficacemente il
proprio ruolo, ha trasformato in necessari bisogni mediaticamente indotti. Quando vengono portate
in Italia, nonostante lo sfruttamento e le violenze di cui sono vittime, esse stesse si modificano, così
come si modificano i loro stili di vita.
Gli interventi di protezione sociale le liberano dallo sfruttamento dei protettori e, grazie a progetti
milionari, si occupano della loro “rieducazione e riabilitazione”, organizzano corsi di formazione
professionale e pianificano il rientro nel Paese d’origine.
Fin qui nessun problema, sembra tutto impeccabile, ma la vera domanda è: le ragazze, una volta
rientrate, a cosa vanno incontro?
Si ritrovano di fronte un triste scenario: non hanno un lavoro, né ci sono le condizioni perché
possano trovarlo, i servizi sociali locali non sono in grado di supportarle in alcun modo, le famiglie
le ripudiano e la società le stigmatizza.
Inoltre si ritrovano a dover scegliere tra guadagni certi, se continuano a prostituirsi, da un lato, e
una vita scialba, misera e marginale, dall’altro.
Nella ideazione del “recupero”viene saltata a piè pari quella fase, che nel ciclo di vita di un
progetto viene definita “rapporto preliminare di fattibilità”. Manca l’analisi del contesto, necessaria
ad inquadrare le dinamiche sociali, politiche ed economiche determinanti per la riuscita del
progetto di reinserimento.
Manca il coinvolgimento diretto dei “beneficiari” per capire se quello che viene pensato per loro sia
adeguato o meno. Insomma manca una completa e seria valutazione della “sostenibilità del
progetto”. Delle due l’una: ignoranza o malafede, non ci sono altre possibilità.
Il problema della tratta non riguarda solo le ragazze coinvolte, ma investe l’intera comunità, le
famiglie e le istituzioni; se questi livelli non comunicano tra di loro qualsiasi azione diventa priva
di efficacia. L’intervento non può essere soggettivo. È necessaria la sensibilizzazione dell’opinione
pubblica, attraverso la scuola e attraverso i media; la comunicazione deve essere capillare e
raggiungere anche i settori periferici per conseguire l’obiettivo. Ma non solo, bisogna offrire ogni
tipo di supporto che possa essere utile alle famiglie. Gli operatori intervistati sostengono che uno
dei momenti più delicati e più difficili è proprio quello del riallaccio dei rapporti della ragazza con
la famiglia. Le famiglie spesso vivono già in difficoltà e non sono in grado né economicamente né
culturalmente di fronteggiare un problema come questo. Inoltre anche le politiche migratorie
italiane creano non pochi guasti. Tutte coloro che, per vari motivi (per esempio il terrore di subire
violenze o di ritorsioni sulla famiglia), decidono di non collaborare – come previsto dall’art. 18147 vengono espulse e rimandate in Albania, ma nessuno che si ponga il problema di ciò che accadrà di
queste poveracce. “Ad aspettarle, fino a poco tempo fa, nei porti di Valona e Durazzo, c’erano le
stesse persone che le avevano messe sulla nave”[M. B, OIM-Tirana]. E’ poi così difficile da
supporlo, se realmente si fosse interessati alle loro sorti?
Anche nei casi in cui l’art. 18 venga applicato e porti al tentativo di reinserimento delle ragazze nel
proprio Paese, l’amministrazione albanese non è in grado di sostenere un impegno del genere, di
fare da sponda ad un serio progetto di recupero. Non ha le strutture, non ha i mezzi per poterlo fare
e non è preparata professionalmente a farlo.
147
Giova ricordare che l’art. 18, introdotto dal T.U. 286/1998 in materia di immigrazione, prevedeva la concessione del
permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale che veniva rilasciato alle vittime di sfruttamento e che era
vincolato alla partecipazione ad un “programma di assistenza e integrazione sociale”. Il permesso aveva, in prima
istanza, la durata di sei mesi e veniva rinnovato solo a condizione che la beneficiaria collaborasse con la magistratura,
anche senza sporgere denuncia contro gli sfruttatori
170
Da più parti, sull’altra sponda dell’Adriatico, le politiche del rimpatrio e del reinserimento vengono
fortemente criticate. Per esempio Silvana Mjeda dell'Oim148 fa delle interessanti riflessioni a questo
proposito: "le ragazze hanno subito violenze inimmaginabili, tornano con problemi psicologici
gravissimi e sono rifiutate dalle famiglie.[…] ma cosa succede in Italia? Negli ultimi mesi sono
aumentate in maniera esponenziale le espulsioni delle ragazze, una vera emergenza. Questa politica
dei "rimpatri facili" crea grossi problemi di accoglienza nel paese d'origine
[www.arpnet.it/migranti/prostit.htm].
In genere la polizia italiana consegna le ragazze a quella albanese dietro "presunto riconoscimento
di nazionalità", grazie a una normativa del '99, che permette di espellerle in 48 ore, anche senza
accertarne l'identità (a volte arrivano anche moldave o montenegrine scambiate per albanesi, ci
raccontano alla polizia). Giunte in Albania le ragazze, senza documenti, sono fermate in questura e
"a volte restano lì, su una sedia, anche giorni interi" [idem]. puntualizza Mjeda, "devono dare il
nome di un parente per l'identificazione, ma spesso sono terrorizzate o si vergognano a tornare a
casa e fanno il nome degli pseudo-cugini, i trafficanti, che se le riprendono. In pochi giorni sono di
nuovo sulla strada, in Italia" [idem]. Lo conferma l'ispettore Leonard Lame, capo dell'ufficio di
lotta al traffico del distretto di Elbasan: "abbiamo avuto casi di ragazze rimpatriate più volte. Noi le
consegniamo alle famiglie, ma poi non è più nostra competenza occuparcene, e scompaiono"
[idem].
Non si dimentichi inoltre che gli aiuti internazionali sono vincolati agli accordi bilaterali di
riammissione dei “clandestini”149. Ma l’unico obbligo che la polizia d’oltremare ha è di riaccogliere
le ragazze e consegnarle alla famiglia. Nessuno ovviamente verificherà mai che chi si presenta per
riprendere la ragazza sia effettivamente un familiare; ed ecco come facilmente la stessa ragazza
espulsa oggi sarà di nuovo sulla strada in Italia domani. Le ragazze ovviamente non hanno il
benché minimo interesse a smascherare i falsi familiari per una serie di banalissimi motivi:
innanzitutto per paura di ritorsioni contro la famiglia e contro se stesse; in secondo luogo perché
nessun familiare andrà mai a riprendersele; e, infine, perché la permanenza prolungata nei posti di
polizia è pericolosa per la loro incolumità.
Tralasciando l’aspetto umano dell’ andirivieni di queste giovani donne – trafficate da un lato e
rispedite al mittente come pacchi dall’altro – e volendo fare solo un semplice calcolo
economicistico c’è da chiedersi: quali siano i costi di queste manovre e che incidenza esse
effettivamente hanno ai fini della risoluzione del problema?*
7.10 Osservazioni conclusive
Sul reinserimento sociale delle ragazze vittime di tratta, tutti gli interlocutori intervistati si sono
espressi all’unisono: perché la reintegrazione nel Paese d’origine funzioni è necessario creare
reali prospettive di vita.
148 “L'Oim ha ricevuto il mandato dal ministero dell'Interno italiano di prendersi cura di minori e donne rimpatriati e di
seguirne il reinserimento[www.arpnet.it/migranti/prostit.htm]”.
149
LEGGE 30 luglio 2002, n. 189. Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.
Capo I - Disposizioni in materia di immigrazione Art. 1. (Cooperazione con Stati stranieri) […] 2. Nella elaborazione e
nella eventuale revisione dei programmi bilaterali di cooperazione e di aiuto per interventi non a scopo umanitario nei
confronti dei Paesi non appartenenti all'Unione europea, con esclusione delle iniziative a carattere umanitario, il
Governo tiene conto anche della collaborazione prestata dai Paesi interessati alla prevenzione dei flussi migratori
illegali e al contrasto delle organizzazioni criminali operanti nell'immigrazione clandestina, nel traffico di esseri umani,
nello sfruttamento della prostituzione, nel traffico di stupefacenti, di armamenti, nonché in materia di cooperazione
giudiziaria e penitenziaria e nella applicazione della normativa internazionale in materia di sicurezza della navigazione.
3. Si può procedere alla revisione dei programmi di cooperazione e di aiuto di cui al comma 2 qualora i Governi degli
Stati interessati non adottino misure di prevenzione e vigilanza atte a prevenire il rientro illegale sul territorio italiano di
cittadini espulsi. [www.interno.it]
171
Sono necessari cambiamenti di ampio respiro che coinvolgano l’intero tessuto sociale, e, in maniera
trasversale, anche la politica estera e le politiche dei paesi europei sull’immigrazione dovrebbero
incrociarsi.
Se è vero che il primo traguardo da raggiungere è la crescita dell’Albania il più velocemente
possibile, le migrazioni sono uno dei fattori fondamentali da prendere in considerazione. Non sono
sufficienti i progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo, non basta costruire strade e
ospedali per innescare un processo di crescita in un Paese con 3 milioni e mezzo di abitanti, di cui
700/800 mila sono all’estero.
Georges Tapinos nel 1991, in occasione della Conferenza internazionale delle Migrazioni,
sosteneva che “la cooperazione internazionale allo sviluppo può essere un’alternativa
all’emigrazione dei lavoratori” [Caritas-Roma, 2002, pp. 11-12]. L’argomentazione prodotta a
sostegno di questa posizione verteva principalmente sull’idea che le rimesse in patria avessero un
carattere “individualistico”, fossero ciò dirette alle famiglie senza favorire l’accumulazione di
capitale per le generazioni future.
Una posizione questa coniugabile con quella maggiormente diffusa secondo la quale era
l’emigrazione di ritorno ad essere utile al paese d’origine, in quanto l’individuo rientrava con una
buona formazione professionale e, generalmente, con un considerevole capitale da poter investire.
In realtà i Paesi di destinazione non si sono mai occupati effettivamente delle sorti dei Paesi di
origine dei migranti, non sono andati mai oltre gli enunciati di rito, essendosi preoccupati
esclusivamente dell’andamento dell’economia del loro Paese, agevolando o inibendo i rientri a
seconda delle loro congiunture [Caritas-Roma, idem].
Studi successivi più approfonditi hanno portato ad un capovolgimento di questa visione. Già nel
1996 l’OCSE ha preso le distanze dall’idea che le rimesse degli immigrati fossero improduttive.
Anche un investimento di fatto individualistico, come la costruzione di una casa, può stimolare, per
esempio, il mercato dell’edilizia. Da qui l’opportunità di avere le associazioni degli immigrati come
interlocutrici privilegiate nell’ambito delle politiche di cooperazione allo sviluppo, in maniera tale
da mediare tra il livello istituzionale e quello individuale [idem].
Le rimesse degli immigrati raggiungono i destinatari/beneficiari portando loro benefici effettivi,
molto più di quanto non riescano a fare gli aiuti pubblici. Sono queste risorse che consentono alle
famiglie di sostenere le spese quotidiane, di incrementare i livelli di scolarità, di acquistare case o
di avviare attività commerciali. È evidente dunque che risparmi “privati” possono trasformarsi,
attraverso adeguati incentivi, in investimenti produttivi per l’intera comunità [idem].
Attualmente i risultati di studi e ricerche portano inequivocabilmente a ritenere i migranti
“mediatori per lo sviluppo”, soprattutto nei casi in cui il loro Paese non sia in una fase iniziale di
sviluppo, ma in una fase già avanzata, come nel caso dell’Albania [idem].
Le rimesse e la relativa aumentata circolazione e disponibilità di denaro hanno favorito e sostenuto
i veloci e continui mutamenti che si possono osservare in Albania [Perrone L., 2001].
L’immigrazione dunque dovrebbe essere considerata da due punti di vista.
Da un lato i paesi di destinazione dovrebbero muoversi in direzione di una politica globale e
strutturale (non emergenziale) del fenomeno migratorio, affinché l’immigrazione sia programmata
e non subita. Ciò significherebbe porre attenzione ai propri interessi, ma anche e necessariamente
agli interessi e ai bisogni dei Paesi di provenienza degli immigrati stessi. Si tratta del
riconoscimento della capacità contrattuale, perché ad oggi il dialogo e la collaborazione con i c.d.
Paesi Terzi sono stati (e sono ancora) sfacciatamente sbilanciati a favore dell’occidente che ha
dettato le regole del gioco – le sue - e anteposto i propri interessi ad ogni altra cosa. Non è questa la
sede per una riflessione approfondita su questa tematica, sebbene sia facile intuirne la portata e le
ripercussioni.
172
D’altro canto un discorso di questo tipo pone la necessità, per i Paesi di emigrazione, di valorizzare
il dialogo non solo con i “cugini ricchi”, ma anche con quelli meno ricchi. Nel caso dell’Albania ci
si riferisce alla Moldavia, alla Macedonia, al Montenegro, alla Jugoslavia, al Kosova, al fine di
individuare gli elementi di congiunzione e produrre un impegno comune e maggiormente visibile
nella programmazione e ottimizzazione delle migrazioni.
Difficile, dunque, vedere il problema della tratta in modo distinto ed indipendente da ciò che la
muove. L’occidente ha acceso questo fuoco, ma non ha fatto molto per spegnerlo.
173
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8. Servizi di protezione e buone pratiche di re-inserimento sociale. Analisi dei
casi nei paesi all’esame
di Isabella Orfano
8.1 Premessa
In questa sezione del rapporto di ricerca vengono presentate sinteticamente alcune esperienze
maturate in Italia, in Albania e in Romania da agenzie del pubblico e del privato sociale locali, da
organizzazioni internazionali e da istituzioni intergovernative finalizzate alla tutela e all’inclusione
176
sociale di persone minori trafficate e sfruttate, in particolar modo nel mercato del sesso
commerciale. Si è inteso indagare la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del
traffico di minori, verificare la tipologia dei servizi offerti e delle équipe di lavoro impiegate e,
infine, rilevare i problemi e le proposte di cambiamento suggerite da chi quotidianamente si
confronta con i bisogni, le paure e i sogni di un target ad alto rischio di esclusione.
Per quanto riguarda l’Italia sono state selezionate 7 organizzazioni che da tempo si occupano di
progetti di sostegno e di protezione sociale di persone trafficate in generale in quanto non risultano
esistere enti che si occupano esclusivamente di minori trafficati. Negli ultimi 3-4 anni - soprattutto
quale risultato dell’implementazione del Programma di assistenza e integrazione sociale previsto
dal D.Lgs. 286/98 - in Italia é stato registrato un incremento molto significativo del numero di
interventi mirati a supportare le persone straniere trafficate nella fase di “sganciamento” da
condizioni di violenza e di sfruttamento e, conseguentemente, nei processi di empowerment
individuale tesi a favorire l’inclusione sociale e lavorativa sul territorio nazionale. La maggior parte
dei progetti finanziati però non prevede attività specifiche per persone minorenni. Nelle pagine
seguenti vengono quindi esaminati i servizi erogati e le metodologie di lavoro utilizzate sia dalle
poche organizzazioni che hanno strutturato (o sono in fase di strutturazione) interventi ad hoc rivolti
a minori sia dalle “organizzazioni generiche” che durante il loro lavoro quotidiano si ritrovano a
fornire aiuto ed assistenza ad un/a minorenne. Nello specifico, le organizzazioni considerate,
distribuite su tutto il territorio italiano, sono state: Gruppo Abele (Torino), Associazione Lule
(Abbiategrasso, MI), Azienda Sanitaria Locale di Rimini, Associazione On the Road (Martinsicuro,
TE), Cooperativa Sociale Dedalus (Napoli), Cooperativa Sociale Parsec (Roma), Fondazione
Regina Pacis (S. Foca di Melendugno, LE)150.
Per l’elaborazione degli studi di caso albanesi, sono state prese in considerazione le esperienze di 5
organizzazioni internazionali impegnate da tempo in Albania in attività di contrasto al traffico e allo
sfruttamento di minori. Sono stati esaminati i progetti realizzati da: Save the Children, Terre des
hommes Mission in Albania, Osce Presence in Albania, Interpol e Caritas Diocesana di BrindisiOstuni - Caritas di Valona151. Nella maggior parte dei casi si tratta di interventi ad ampio raggio
basati, da un lato, sulla collaborazione con organizzazioni non governative locali e, dall’altro, sul
coinvolgimento di istituzioni governative nazionali. Diversamente da quanto rilevato in Italia, sul
territorio albanese esistono alcuni progetti specificatamente mirati a minori sia trafficati che a
rischio di traffico. Ciò è probabilmente dovuto anche al fatto che tra i principali soggetti che
operano in questa area geografica vi sono le maggiori agenzie internazionali che si occupano della
tutela e del rispetto dei diritti dei/delle minori.
Infine, sono stati esaminati gli interventi di prevenzione del traffico, in particolare di minori, e le
attività di sostegno ed assistenza rivolte alle vittime realizzati in Romania da 2 agenzie del privato
sociale locale (Social Alternatives Association e Reaching Out Romania, da 1 organizzazione
intergovernativa (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e da 1 organizzazione
150
La redazione degli studi di caso si è basata sulle informazioni raccolte attraverso l’analisi di materiale documentale,
la consultazione dei siti web e la realizzazione di interviste a referenti delle organizzazioni considerate. A tal proposito
si ringraziano per la gentile e la preziosa disponibilità: Mirta Da Pra Pocchiesa (Gruppo Abele), Ilaria Bozzini
(Associazione Lule), Tiziana Bellavista (Azienda Sanitaria Locale di Rimini), Stefania Scodanibbio (Associazione On
the Road), Paola Esposito (Cooperativa Sociale Dedalus), Deborah De Cave (Cooperativa Sociale Parsec), Don Cesare
Lodeserto (Fondazione Regina Pacis).
151
Le schede degli studi di caso albanesi sono state compilate grazie alle informazioni raccolte attraverso le interviste
realizzate da Bronwen Lewis con i referenti delle organizzazioni esaminate, l’analisi di materiale documentale cartaceo
e telematico. Si ringraziano per la cortese collaborazione: Veslemoy Naerland (Save the Children Albania), Vincent
Tournecuillert (Terre des hommes Mission in Albania), Frank Ledwidge (Osce Presence in Albania), Pal Serreqi
(Interpol) e Bruno Mitrugno (Caritas Diocesana di Brindisi-Ostuni).
177
internazionale (Save the Children Romania)152. Sono state prese in considerazione esperienze
realizzate in città diverse di un paese che da tempo è coinvolto dal fenomeno del traffico in quanto
nazione di origine, di transito e di destinazione di persone sfruttate a livello sessuale e lavorativo. I
progetti di intervento sociale a favore delle vittime o delle potenziali vittime di tratta sono ancora
un’esperienza relativamente nuova in Romania ma di sicuro interesse per indagare le condizioni di
lavoro e rilevare i bisogni di un settore che necessita di un grande sostegno sia a livello locale che
internazionale per elaborare strategie e strumenti di prevenzione e tutela dei diritti di persone minori
e adulte che vengono ingannate o coercitivamente condotte in altri paesi per essere sottoposte a
gravi condizioni di schiavitù e di sfruttamento.
8.2 I servizi in Italia. Gli studi di caso
L’Associazione Lule (di Abbiate Grasso)
Cenni storici
Lule - “fiore” in albanese - nasce nel 1996 ad Abbiategrasso (Milano) ad opera della Caritas
Decanale che, considerato lo sviluppo del fenomeno dello sfruttamento sessuale nel milanese,
decide di intervenire direttamente per contrastarlo attraverso l’implementazione di un progetto a
favore di persone che si prostituiscono e/o che sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento
sessuale. Il lavoro promosso è stato quasi fin da subito sostenuto da diversi enti locali e,
attualmente, coinvolge 5 amministrazioni provinciali e 88 amministrazioni comunali. Costituitasi
formalmente in Associazione O.n.l.u.s. nel 1998 e avviata una cooperativa sociale nel 2001, Lule è
oggi una realtà consolidata e un punto di riferimento fondamentale nel territorio in cui è attiva,
ovvero, nella zona sud-ovest della provincia di Milano: i distretti di Abbiategrasso, Magenta,
Corsico, Rho, Rinasco, Rozzano, S. Giuliano Milanese; una parte della provincia di Pavia: i distretti
di Lomellino, i Comuni di Voghera, Pavia e S. Martino Siccomario; e, infine, una parte della
provincia di Bergamo. In questi territori, la prostituzione viene esercitata principalmente all’esterno
delle città, sulle vie di grande percorrenza, mentre coinvolge solo parzialmente i centri storici, in cui
è presente solo in alcune vie, e le aree industriali.
La prostituzione e il traffico di persone a scopo di sfruttamento sessuale hanno coinvolto il territorio
milanese a partire dai primi anni ’90, facendolo diventare una delle principali aree italiane di
destinazione delle persone trafficate provenienti da paesi dell’Europa dell’Est, dell’ex-Unione
Sovietica, dell’Africa e dell’America del Sud. Nel corso del 2001, in base ai contatti effettuati
quotidianamente dalle Unità Mobili di strada di Lule, la nazionalità maggiormente presente sulle
strade milanesi è stata quella nigeriana (53.6% delle donne incontrate), seguita dall’albanese
(19.8%), dalla cecena, dalla lettone, dalla lituana, dalla russa, dalla slovacca e dalla ucraina (6.8%),
dalla moldava (5.9%) e dalla sudamericana (5.7%). In percentuali molto inferiori, erano inoltre
presenti donne rumene, bulgare, croate, macedoni, kossovare, serbe ed europee occidentali.
Secondo gli operatori e le operatrici dell’Associazione la maggioranza delle donne che incontrano,
al momento della partenza dal proprio paese, sono consapevoli dell’attività che andranno a
svolgere, non sono però altrettanto informate rispetto alle forme di violenza e di coercizione che
152
Gli studi di caso rumeni sono stati compilati attraverso le informazioni raccolte dalle interviste con i seguenti
testimoni privilegiati: Gabriela Alexandrescu, Georgeta Paunescu e Diana Serban (Save the Children Romania);
Cristian Ionescu (Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, ufficio Romania); Luca Catalin (Social Alternatives
Association); e Iana Matei (Reaching Out Romania).
178
dovranno subire una volta arrivate a destinazione. Dalle mappature effettuate e dai dati raccolti
dalle équipe di lavoro, la percentuale di minori inserite nel mercato del sesso a pagamento sembra
essere diminuita nel corso degli ultimi due anni. Ciononostante, per rispondere ai bisogni specifici
delle ragazze minorenni accolte, Lule ha deciso di attivare un nuovo servizio (“Progetto Diana”) in
grado di dare risposte adeguate ad un target con problemi ed aspettative diverse rispetto alla
collettività delle donne maggiorenni.
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
Di fronte alla necessità di proporre una tipologia di accoglienza ad hoc per le minorenni prese in
carico, a partire dall’autunno 2001 Lule ha attivato il “Progetto Diana” in osservanza del principio
per cui “l’interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria attenzione”, come
ratificato dall’art. 3, comma 1, della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia delle
Nazioni Unite. “Diana” é una comunità di pronto intervento per minori, italiane e straniere, di età
compresa tra i 14 e i 18 anni vittime di abuso e sfruttamento, segnalate dai servizi sociali territoriali
provvisti di decreto del Tribunale per i Minorenni o di altro provvedimento dell’Autorità Pubblica
oppure inviate direttamente dalla stessa Autorità Pubblica nei casi di grave emergenza.
Attiva 24 al giorno, per 365 giorni all’anno, la casa è in grado di ospitare 5 persone a cui viene
offerta ospitalità, fino ad un massimo di 60 giorni circa, in un ambiente a dimensione familiare.
Tale comunità mira a garantire alle minori accolte protezione e tutela attraverso l’offerta di un
percorso individuale che permetta loro di inserirsi adeguatamente in un nuovo ambito sociale e
formativo attraverso l’acquisizione di un know-how comportamentale, sociale e formativo in grado
di favorire la costruzione di un progetto di vita positivo.
Il progetto educativo individuale prevede:
-
anamnesi personale e familiare finalizzata all’individuazione delle risorse e delle difficoltà
dell’utente;
obiettivi intermedi di crescita personalizzati;
acquisizione di strumenti operativi per il raggiungimento degli obiettivi individuati.
Gli strumenti principali utilizzati dall’équipe di lavoro sono:
-
schede di rilevazione dei comportamenti;
interviste di indagine;
colloqui individuali;
terapia di gruppo;
laboratori creativi.
Le attività previste all’interno della comunità sono:
-
corso di lingua italiana;
orientamento alla formazione e al lavoro;
visita settimanale alla biblioteca multimediale locale;
laboratori musicali;
laboratorio di attività creative e di arte terapia;
attività sportiva (piscina ed aerobica);
179
-
ciclo di incontri di educazione sessuale;
uscita settimanale serale;
gite mensili culturali o di svago giornaliero;
gruppo di “condivisione delle attività”;
turni per la pulizia della casa.
L’accoglienza è considerata una fase temporanea del percorso di inserimento sociale della minore
che deve essere informata e, quindi, resa consapevole delle caratteristiche e delle regole della
comunità. Per questa ragione, alla ragazza accolta vengono fin da subito spiegati i motivi della sua
presenza nella casa di accoglienza, le condizioni di permanenza e le attività progettuali a cui potrà
aderire. La condivisione continua degli obiettivi e la trasparenza procedurale costituiscono il
fondamento metodologico dell’intero intervento che permette alla persona presa in carico di essere
costantemente informata di quanto le accade. Il “Progetto Diana” garantisce alle minori un alto
grado di tutela e di cura che permette loro di acquisire maggiore conoscenza e consapevolezza di sé.
A tal fine sono state previste una serie di attività che, attraverso la strutturazione di una “relazione
terapeutica”, permettono di stabilire relazioni positive e di gettare le basi per la costruzione del
percorso individuale di inserimento.
La quotidianità viene considerata un elemento fondamentale dell’intervento in quanto essa
rappresenta “lo spazio della normalità” entro cui costruire la propria identità attraverso la relazione
e il confronto con le altre utenti e il gruppo degli operatori e delle operatrici. Si ritiene infatti che le
relazioni interpersonali rivestano un ruolo determinante nell’influenzare la (ri)elaborazione
dell’identità personale e la realizzazione di percorsi individuali significativi. Anche per questo
motivo si è ritenuto di avvalersi di un’équipe specializzata a cui è stato chiesto di partecipare ad un
corso di aggiornamento e a cui viene fornita una formazione continua attraverso moduli specifici
(sulla tematica dell’emergenza), trasversali (sulle diverse professionalità) e trasferibili (in altre
realtà territoriali). Il gruppo di lavoro è composto da: 1 coordinatore psicologo, 4 educatori a tempo
pieno, 1 psicologa, 1 assistente sociale, 1 supervisore, consulenti esterni per le attività di
formazione.
L’Associazione Lule collabora, sia a livello locale che nazionale, con altre associazioni ed enti
istituzionali impegnati a favore delle persone che si prostituiscono. In particolare, sul territorio
lombardo, nel corso degli anni è stata costruita una rete articolata di soggetti coinvolti in progetti di
prevenzione sanitaria e di protezione ed assistenza sociale, tra cui: agenzie del privato sociale,
amministrazioni locali, istituzioni sanitarie, istituti di formazione, forze dell’ordine. Garantire un
alto livello di sinergia e co-progettazione tra attori che, a vario titolo, partecipano alla definizione
degli interventi a favore dei/delle minori permette di elaborare progetti coordinati che rispondono
adeguatamente ai differenti bisogni del target in oggetto. Tre sono i principali nodi della rete che
interagiscono attivamente nel “Progetto Diana”: il sistema giudiziario penale, il sistema giudiziario
civile minorile e quello dei servizi sociosanitari. La collaborazione con i diversi rappresentanti della
rete sono stati formalizzati attraverso protocolli di intervento concertato e incontri periodici di
raccordo strategico ed operativo.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
L’Associazione Lule è iscritta al Registro Regionale Lombardo del Volontariato, aderisce al
Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (C.N.C.A.) e al Gruppo ad hoc, istituito
all’interno del C.N.C.A., sulla Prostituzione e la Tratta. E’ inoltre membro del “Coordinamento
interregionale tratta” lombardo, della rete dei progetti art. 18 a favore di vittime della tratta a scopo
di sfruttamento sessuale e delle postazioni territoriali del Numero Verde Nazionale contro la Tratta
180
(800-290.290). A livello locale, Lule mantiene una forte interconnessione con le Caritas territoriali
diffuse sul territorio. La Cooperativa Lule fa parte del Consorzio Sistema Imprese Sociali di Milano
aderente al Consorzio Nazionale per la Cooperative Sociale “Gino Matterelli”. Inoltre, dal 2000,
l’Associazione è iscritta nella Terza Sezione del Registro di enti e associazioni che svolgono attività
a favore degli stranieri immigrati ai sensi dell’art. 42 del D.Lgs. 286/98 “Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, e
dell’art. 54 del relativo “Regolamento di attuazione”.
Come già ricordato, l’Associazione Lule collabora fin dalla sua costituzione con una serie di enti
pubblici locali il cui numero, nel corso degli anni, è andato sempre più aumentando. In particolare,
la collaborazione con i principali enti locali di riferimento é stata consolidata attraverso il
finanziamento, da parte della Commissione interministeriale per l’attuazione dell’art. 18, dei
progetti di assistenza e protezione sociale a favore di vittime della tratta a scopo di sfruttamento
sessuale, previsti dall’art. 18 del D.Lgs. 286/98. Tali progetti, infatti, prevedono il finanziamento
del 70% da parte del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei
Ministri e il restante 30% da parte di uno o più enti locali. Lule, inoltre, in collaborazione con le
Aziende Sanitarie Locali dell’area operativa (Asl 1 e 2 della Provincia di Milano e l’Asl 12 di
Pavia) ha attivato un progetto rivolto alla prostituzione di strada, finanziato dalla Regione
Lombardia nell’ambito del Programma regionale triennale di prevenzione dell’infezione da Hiv.
Le attività progettuali vengono realizzate da circa 60 volontari/e specificatamente formati che fanno
parte di un’associazione costituitasi ad hoc e da una équipe composta da 15 figure professionali
specializzate aderenti ad una cooperativa sociale di tipo A e retribuite in base al contratto nazionale
per le cooperative. Nello specifico, l’équipe di lavoro è formata da: 3 assistenti sociali, 7
educatori/trici, 2 psicologi/ghe, 1 infermiera, 1 a.s.a., 1 operatore di base e 1 consulente legale
esterno. L’organigramma dell’Associazione evidenzia la suddivisione del lavoro nelle seguenti aree
(a capo di ciascuna delle quali c’è un/a referente): coordinamento, supervisione psicologica,
consulenza legale, interventi sanitari, mediazione linguistico-culturale, attività di strada, attività di
pronto intervento, attività di reinserimento sociale, attività culturale, comunità alloggio minori,
punto rete Numero Verde Nazionale contro la Tratta, attività di rete. Il personale volontario
dell’Associazione e le figure professionali della Cooperativa lavorano in team misti operanti nei
diversi settori di intervento.
Al fine di raggiungere gli obiettivi stabiliti (la promozione di donne e minori sottoposte a condizioni
di sfruttamento sessuale e la loro integrazione socio-professionale), l’Associazione propone una
serie di attività aventi come target finale sia le minori e le donne sessualmente sfruttate sia la
comunità locale. Tali attività mirano, quindi, ad intervenire sul fenomeno nel suo complesso, sui
fattori che lo determinano e sui protagonisti che lo caratterizzano:
-
-
attività culturale finalizzata all’informazione e alla sensibilizzazione territoriale attraverso
l’organizzazione di incontri pubblici e di seminari, incontri con le scuole superiori, interventi sui
media, pubblicazioni e ricerche, implementazione del sito web. Il numero di persone coinvolto
attraverso tali azioni è particolarmente alto: nel 2001, ad esempio, sono stati organizzati
complessivamente 47 incontri pubblici nelle scuole attraverso i quali sono state incontrate circa
1.700 persone. E’ importante sottolineare che gli interventi di sensibilizzazione che si svolgono
presso le scuole e sul territorio si rivelano delle occasioni utili per reclutare nuove risorse umane
per l’Associazione;
attività di strada finalizzata alla tutela della salute individuale e pubblica, alla costruzione di
relazioni significative atte a valorizzare l’identità personale e l’autostima, alla promozione dei
servizi territoriali e di percorsi formativi e di tutela rivolti alle ragazze/donne presenti in strada.
181
-
-
-
Prevede un costante lavoro di monitoraggio e di mappatura del territorio realizzato dalle Unità
Mobili di Strada (Ums) ciascuna delle quali operante in un’area circoscritta. Nel corso del 2001,
le Ums operative sono state 15; esse hanno svolto una media di 8,5 uscite diurne e 10 notturne a
settimana contattando complessivamente 1.228 donne, di cui: 691 nigeriane (53,6%), 255
albanesi (19,8%), 243 est europee (18,9%), e 99 di altre nazionalità (7,7%). L’èquipe operativa
è composta da: 1 coordinatore, 4 operatori/trici (1 assistente sociale, 1 educatrice, 1 infermiera,
1 operatore di base), 3 mediatrici culturali (nigeriana, albanese, rumena), 8 tirocinanti delle
scuole di formazione per operatori sociali, 20 volontari specificatamente formati, 1 supervisore
psicologo, 1 consulente legale, 1 valutatore, mediatrici linguistico-culturali (3), medici,
infermieri, operatori sociali dei servizi; il gruppo in uscita è formato da 2/3 persone tra cui, per
scelta metodologica, sono sempre presenti un uomo e una donna;
attività di segretariato sociale: per fornire informazioni, orientamento e consulenze tecniche
sulla normativa vigente, sui servizi territoriali, sui programmi di integrazione e assistenza
sociale. Il servizio viene erogato presso tre sportelli gestiti da altrettante associazioni in luoghi
geografici distinti: Milano (presso la Segreteria Donne della Cooperativa Farsi Prossimo),
Abbiategrasso (presso la sede di Lule) e Mantova (presso la sede dell’Associazione Porta
Aperta). A tali sportelli non si rivolgono solamente donne inserite in percorsi prostitutivi ma
anche clienti, cittadini/e e servizi territoriali. Dal luglio 2001 all’aprile 2002, i colloqui effettuati
sono stati 377, di cui 67 con uomini e 310 con donne, per un totale complessivo di 157 persone.
Infine, le risorse umane impiegate sono: 2 assistenti sociali, 1 educatrice, 1 segretaria, 1
consulente legale e 2 mediatrici culturali;
attività di accoglienza per vittime di tratta che desiderano attivare un percorso di fuoriuscita dal
mondo della prostituzione. Lule dispone di una serie diversificata di offerte alloggiative in base
alle esigenze del target e alle fasi del percorso di protezione. L’Associazione, infatti, gestisce
strutture di pronto intervento, prima accoglienza, seconda accoglienza, accoglienza in famiglie e
di presa in carico territoriale. L’inserimento in una struttura di accoglienza viene preceduto da
una serie di colloqui di orientamento e di verifica motivazionale a cui, dopo un’attenta
valutazione, può seguire la proposta di inserimento in un programma di assistenza e integrazione
sociale. A ciascuna tipologia di accoglienza corrispondono metodologie di lavoro distinte
rispondenti ai bisogni della fase specifica vissuta dalle utenti. A tutte le persone accolte é stato
garantito: vitto, alloggio, supporto educativo, counselling psicologico e legale, assistenza
sanitaria, attività di alfabetizzazione, orientamento formativo e lavorativo, inserimento
professionale e, se richiesto, contatto con la famiglia di origine ed eventuale rimpatrio assistito.
Dall’aprile 2001 all’aprile 2002, sono state effettuate 117 accoglienze, di cui 66 in pronto
intervento, 6 in prima accoglienza, 22 in seconda accoglienza, 7 in seconda accoglienza semiautonoma, 16 in presa in carico territoriale. Complessivamente sono state accolte 94 persone: 30
nigeriane, 22 moldave, 20 albanesi, 12 rumene, 5 ucraine, 1 bulgara, 1 croata, 1 ecuadoriana, 1
lituana e 1 somala;
attività di reinserimento sociale mirata all’inclusione sociale e lavorativa delle donne prese in
carico, in possesso di permesso di soggiorno o in procinto di ottenerlo. Tale fase include la
definizione di un programma individuale che prevede, oltre all’accoglienza in un appartamento
semi-autogestito, in famiglia o in autonomia, colloqui di orientamento professionale, percorsi di
formazione professionale, accompagnamento all’inserimento lavorativo (spesso attraverso l’uso
dello strumento della “borsa lavoro”) e alla piena integrazione sociale. Nel 2001, le donne che
hanno seguito un programma individuale di inserimento socio-professionale sono state 19.
L’èquipe di lavoro è composta da: 1 coordinatrice assistente sociale, 1 psicologa, 1 educatrice, 1
a.s.a., 4 volontari specificatamente formati, 2 tirocinanti delle scuole di formazione per operatori
sociali, 1 famiglia con formazione ed esperienza specifica, 1 consulente legale, 1 supervisore
metodologico, 1 supervisore psicologo, 1 valutatore;
182
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gestione della postazione locale del Numero Verde contro la Tratta (800-290.290), iniziativa
promossa dalla Commissione interministeriale per l’attuazione dell’art. 18 nell’ambito delle
azioni di sistema previste dal Programma di assistenza e integrazione sociale a favore delle
vittime di traffico a scopo di sfruttamento sessuale. Co-finanziato dal Dipartimento per le Pari
Opportunità e dalla Provincia di Milano, il Numero Verde é un servizio di orientamento e
consulenza telefonica che offre informazioni sui servizi sociali e sui dispositivi legali a favore
delle persone vittime di tratta. Nel 2001, le chiamate ricevute sono state 692, di cui il 52% da
parte di donne sfruttate, il 34% da clienti e/o amici e il restante 14% da operatori e operatrici di
servizi e di istituzioni che chiedevano consulenza. A questo servizio lavorano: 1 assistente
sociale albanese, 1 educatrice rumena, 1 educatrice italiana, 1 consulente legale, 1 supervisore
psicologo;
attività di rete è mirata al coinvolgimento e al raccordo dei soggetti e dei servizi coinvolti, a
livello territoriale (amministrazioni locali, Forze dell’Ordine, istituzioni sanitarie, enti di
formazione), nazionale ed internazionale (altri progetti, coordinamenti, istituti di ricerca, paesi
di origine) nelle attività progettuali; tale attività prevede inoltre lo scambio e il confronto di
buone pratiche di intervento nel campo della prostituzione e della tratta;
attività di formazione e di supervisione per garantire un costante aggiornamento e
approfondimento sui temi della prostituzione e la tratta agli operatori e alle operatrici.
Problemi e proposte di cambiamento
L’integrazione rispetto al gruppo dei pari, in particolare dell’altro sesso, é tra le difficoltà maggiori
sperimentate da Lule nel realizzare progetti ad hoc per minori. Gli operatori e le operatrici hanno
infatti sottolineato che, osservando le minori accolte, si è notato che, a causa del loro timore di
essere messe “a confronto” con coetanee/i italiane/i, esse tendono a preferire l’attivazione di
rapporti con altri pari stranieri riproducendo modalità relazionali già sperimentate in passato. Tale
tendenza può rappresentare un rischio in quanto potrebbe favorire per un eventuale nuovo contatto
con il contesto di provenienza da cui le minori sono state allontanate sia perché impedisce loro di
sperimentarsi in altri ambiti. E’ per questa ragione che l’équipe ritiene che un progetto indirizzato a
persone minori debba prevedere azioni specifiche rispetto alla socializzazione e all’aggregazione
con il gruppo dei pari. Partendo dal presupposto che tale target é portatore di bisogni e di istanze
distinte rispetto a quelle del target adulto, prevedere azioni mirate potrebbe favorire un processo più
veloce di integrazione culturale e relazionale nella società di accoglienza. L’esperienza maturata
nell’implementazione della comunità “Diana” dimostra inoltre che privilegiare l’inserimento di
minori in gruppi numericamente ristretti contribuisce a costruire più rapidamente il contesto
adeguato per favorire relazioni positive e supportare i processi individualizzati di inserimento.
Richiedere la tipologia di permesso di soggiorno più “tutelante” rappresenta un altro nodo cruciale
della presa in carico di minori. L’esperienza dell’Associazione dimostra che è preferibile, se
esistono gli estremi del caso, avviare la richiesta di permesso di soggiorno per protezione sociale
evitando così la possibilità che alla minore venga dato un permesso di soggiorno per affido.
Quest’ultimo, infatti, non risponde alle esigenze di tutela e di inserimento del target che si vede
negata la possibilità di accedere al mondo del lavoro e che rischia un rimpatrio immediato non
appena raggiunta la maggiore età. Il rimpatrio, secondo l’Associazione, dovrebbe essere uno
strumento da utilizzare con molta accuratezza, verificando caso per caso, in quanto il
ricongiungimento con la famiglia di origine non risulta essere sempre la scelta di tutela migliore per
chi, tornando a casa, può ritrovarsi ad affrontare gravi difficoltà di inserimento ed eventuali
ritorsioni da parte delle organizzazioni criminali. Considerata la scarsa presenza di reti di assistenza
e protezione nei paesi di origine, molto spesso rimpatriare significa rischiare di inficiare il percorso
183
di empowerment attivato in Italia. In quest’ottica, diventa ancor più rilevante realizzare corsi di
formazione congiunta con i servizi sociali territoriali che hanno in carico le minori - che tendono a
privilegiare lo strumento del rimpatrio - per costruire progetti di assistenza ed integrazione che
tengano conto della richiesta del target di attivare percorsi di inclusione sociale e lavorativa
finalizzati al raggiungimento dell’autonomia nel paese di destinazione.
Il Gruppo Abele (di Torino)
Cenni storici
Il Gruppo Abele nasce a Torino nel 1966 quale gruppo di impegno giovanile finalizzato a fornire
aiuto e supporto a persone in situazioni di disagio e a rischio di esclusione sociale. Costituitosi
formalmente in Associazione nel 1974, nel corso degli anni ha sviluppato una vasta gamma di
attività e di servizi diretti a tipologie di target specifici: persone tossicodipendenti, alcoliste, senza
fissa dimora, con Hiv o con Aids, detenute ed ex-detenute, immigrate, minori a rischio, trafficate a
scopo di sfruttamento sessuale. A distanza di tre decenni dalla sua fondazione, i settori in cui il
Gruppo Abele è suddiviso (Accoglienza, Lavoro e Cultura) offrono 45 attività distinte; l’impegno e
l’esperienza maturata con target diversi ha inoltre favorito la promozione e/o il supporto di una serie
di associazioni su temi specifici: “Libera” (lotta alle mafie), “Lila” (Aids), “Arnica” (sostegno alle
famiglie), “Aliseo” (alcoolismo). Tali attività impegnano complessivamente 110 operatori e
operatrici a tempo pieno (dipendenti dall'Associazione) e circa 200 altre persone fra
collaboratori/trici, volontari/e e giovani che svolgono il servizio civile.
Il Gruppo Abele si è occupato di prostituzione fin dalla sua costituzione attraverso la collaborazione
con l’Istituto di rieducazione femminile “Buon Pastore”, luogo in cui venivano accolte le donne che
interrompevano l’attività prostitutiva. All’epoca, nel capoluogo piemontese, la prostituzione era
praticata esclusivamente da persone italiane che lavoravano regolarmente in strada o che la
frequentavano occasionalmente per procurarsi il denaro necessario per soddisfare bisogni specifici.
A partire dagli anni ’70, a questo ultimo gruppo cominciarono ad appartenere soprattutto le giovani
tossicodipendenti che si prostituivano per procurarsi il denaro per acquistare le dosi di stupefacenti,
le transessuali per guadagnare il denaro necessario per sottoporsi a trattamenti o a operazioni
estetiche per adeguare il proprio corpo alla propria identità di genere (o semplicemente perché
prostituirsi era molto spesso l’unico mezzo di sostentamento a loro concesso) e, infine, un numero
significativo di operai e di operaie in cassa integrazione o espulse dalle fabbriche locali che
trovavano nella prostituzione un mezzo contingente di sopravvivenza in un periodo di grave crisi
economica.
Come nel resto d’Italia, anche a Torino lo scenario della prostituzione cambiò radicalmente con
l’arrivo, sul finire degli anni ’80 ma soprattutto nei primi anni ’90, di donne straniere provenienti da
paesi dell’ex-blocco sovietico e dell’Africa. Nel giro di poco tempo, infatti, - fatta eccezioni delle
oramai poche prostitute storiche e delle tossicodipendenti italiane - le donne nigeriane, albanesi,
rumene, bulgare, ucraine, moldave, russe hanno iniziato a popolare le strade della città e della
periferia torinese. Tra queste, però, le nigeriane costituiscono il gruppo più numeroso, non solo a
livello locale ma anche su quello nazionale al punto tale da far diventare Torino la capitale della
prostituzione nigeriana in Italia.
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
184
Negli anni ’70, il Gruppo Abele ha attivato il primo intervento a favore di donne che si
prostituivano gestendo una comunità-appartamento che offriva accoglienza a chi desiderava uscire
dalla strada. Le donne accolte venivano inoltre supportate nella ricerca di lavoro e di una soluzione
alloggiativa alternativa. Nel corso degli anni, il Gruppo ha continuato a sostenere donne che si
prostituivano che chiedevano aiuto fornendo loro accoglienza attraverso la propria rete di comunità
e di famiglie volontarie di appoggio. Nel 1996, il Gruppo Abele ha istituito, in collaborazione con
l’Usl 4 della Città di Torino, una unità di strada per contattare direttamente il target sui luoghi di
esercizio della prostituzione e nelle aree di transito verso tali luoghi quali il Parco Pellerina e le
stazioni ferroviarie di Porta Nuova e Porta Susa. Le trasformazioni che hanno caratterizzato lo
scenario della prostituzione in Italia e l’avvento del fenomeno del traffico di persone a scopo di
sfruttamento sessuale hanno spinto il Gruppo Abele ad elaborare strategie specifiche di contatto e di
accoglienza di persone trafficate, portatrici di bisogni nuovi rispetto a quelli a cui fino a quel
momento l’Associazione aveva dato risposta.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
Dal luglio 2000, il Gruppo Abele gestisce la postazione locale del Numero Verde contro la Tratta
800-290.290 e, da alcuni mesi, anche due progetti di protezione sociale finanziati dal Dipartimento
per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito del Programma di
assistenza e di integrazione sociale a favore di donne e minori vittime della tratta a scopo di
sfruttamento sessuale.
Numero Verde: fin dalla prima annualità di implementazione del servizio, il Gruppo Abele è stato
individuato dalla Provincia di Torino quale ente responsabile della postazione locale del Numero
Verde contro la Tratta per le regioni Piemonte e Valle d’Aosta. Prima dell’avvio ufficiale e durante
l’erogazione del servizio, alle operatrici coinvolte il Gruppo Abele ha fornito una formazione ad
hoc suddivisa in moduli tematici: conoscenza del fenomeno; la relazione d’aiuto; le modalità di
intervento; la mappa delle opportunità sul territorio locale, in Italia e all’estero. Nel corso dello
svolgimento dell’attività del Numero Verde, tutte le persone coinvolte a vario titolo nell’erogazione
del servizio hanno partecipato ad un incontro/confronto formativo mensile sui casi gestiti e una
riunione di aggiornamento trimestrale con le altre agenzie pubbliche e del privato sociale attive in
Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta nell’ambito dell’attività di assistenza e protezione delle vittime
di tratta. Infine, il personale è stato costantemente aggiornato su eventuali nuovi strumenti
legislativi e operativi posti in essere (uscita di circolari ministeriali, bandi, materiali informativi,
risorse formative, etc.). Diversamente dalla maggior parte delle altre postazione locali, il Gruppo
Abele ha strutturato il servizio in tre unità distinte ma interconnesse. Infatti, oltre alla gestione della
postazione telefonica, il progetto del Numero Verde regionale ha attivato anche l’attività di
accompagnamento ai servizi del target e l’attività di coordinamento. Le altre postazioni territoriali,
invero, o sono direttamente gestite da associazioni o enti che gestiscono progetti art. 18 (e quindi
erogano servizi di pronta accoglienza, segretariato sociale, counselling psicologico, legale, etc.) o
fungono da nodo di collegamento dei servizi offerti dalla rete dei progetti locale e nazionale.
Accoglienza: verificate le risorse esistenti sul territorio e rilevati i conseguenti bisogni, il Gruppo
Abele ha attivato tipologie alloggiative specializzate quali:
-
1 casa di fuga (“Comunità Gabriela”): in grado di rispondere all’eventuale necessità di pronta
accoglienza raccolta dall’èquipe del Numero Verde. Aperta 24 ore su 24, 7 giorni su 7, la
struttura offre uno spazio di prima accoglienza e la possibilità di prendersi una riflessione per
decidere se lasciare l’attività prostitutiva coatta e, eventualmente, attivare un percorso di
185
-
-
inserimento sociale. Aperta anche alle donne in difficoltà che subiscono violenza (e ai loro figli
o figlie), la comunità - che può ospitare fino ad un massimo di 7 persone - è gestita da una
operatrice a tempo pieno, da un operatore a tempo parziale e da un gruppo di volontari/e, con il
supporto di mediatrici culturali. L’équipe si riunisce settimanalmente con la referente della
comunità, l’unità di accoglienza e un rappresentante dell’Ufficio Stranieri del Comune. E’
inoltre prevista una supervisione quindicinale con tutta l’équipe.
1 casa di autonomia (“Progetto Patricia”): per coloro che hanno già attivato da tempo un
percorso di “sganciamento” dal mondo della prostituzione e sono in attesa dei documenti
necessari (permesso di soggiorno, tessera sanitaria, libretto di lavoro, etc.) per poter consolidare
il loro progetto di vita personale e professionale ed avere così le risorse individuali ed
economiche necessarie per trovare una soluzione abitativa autonoma. La casa di autonomia
permette, da un lato, di favorire il processo di autonomizzazione delle donne, dall’altro, di
aumentare la disponibilità alloggiativa delle strutture di prima e seconda accoglienza presenti sul
territorio. La disponibilità alloggiativa prevista é per 4-5 persone. Gli operatori e le operatrici
sono presenti nella struttura durante le ore preserali e serali e sono reperibili durante le ore
notturne. Durante il giorno, sono impegnati a supportare le utenti nell’individuazione di attività
formative e/o lavorative, nell’accompagnamento all’inserimento professionale, nel caso fosse
già in corso, e nella ricerca di risorse alloggiative.
Il Gruppo Abele ritiene di fondamentale importanza aiutare le donne inserite da tempo nei
percorsi previsti dai progetti art. 18 a trovare soluzione abitative alternative alla comunità
(“Progetto Dentro la città”). Fermo restando la necessità di valutare caso per caso i bisogni
individuali specifici, una lunga permanenza all’interno di una struttura di accoglienza può
innescare meccanismi di sfiducia e di perdita motivazionale che possono inficiare il lavoro di
empowerment sviluppato con l’utente. Trovare risorse abitative adeguate che permettano alle
donne di inserirsi socialmente e professionalmente nel contesto locale è diventato uno degli
obiettivi principali dell’Associazione.
Presa in carico e accompagnamenti: prevede l’attività di sostegno per coloro che intendono
fuoriuscire da condizioni di prostituzione coatta. Attraverso la cooperazione con altre
organizzazioni locali la donna viene accompagnata lungo tutto il percorso che mira a favorire la sua
inclusione sociale e lavorativa in Italia. In questa fase, si sostiene l’utenza nello sviluppo di knowhow relazionali e gestionali che le possono permettere un migliore inserimento nella società italiana.
In particolare, l’équipe si avvale della collaborazione con l’Ufficio Stranieri del Comune di Torino,
dell’Associazione Tampep per la mediazione linguistico-culturale, dell’A.S.G.I. (Associazione
Studi Giuridici sull’Immigrazione) per la consulenza legale, del Servizio Migranti della Caritas, del
Consorzio Abele Lavoro del Gruppo Abele, dell’ASCOM, dell’Unione Artigiani per l’inserimento
nel mondo lavorativo e di una serie di realtà laiche e cattoliche per l’accoglienza (Sindacati e
associazioni di inquilini e proprietari di immobili) e l’attivazione di borse lavoro. Il Gruppo Abele
gestisce inoltre un progetto di borse lavoro, finanziato dalla Regione Piemonte, per donne che
decidono di fuoriuscire da percorsi prostitutivi e chiedono di essere sostenute nel processo di
inserimento professionale.
Formazione: il Gruppo Abele ha organizzato un corso di primo livello sulla prostituzione e aiuto
alle vittime della tratta, finanziato dalla Regione Piemonte. Il corso ha registrato un successo molto
significativo testimoniato dall’elevato numero di persone iscritte: 700 tra operatori ed operatrici
sociali, sanitari, giudiziari e singoli individui a vario titolo interessate alle tematiche proposte.
Pubblicazione di periodici e libri: è da anni una delle principali attività del Gruppo Abele finalizzata
all’analisi e alla denuncia di una serie di tematiche tra cui la prostituzione e il traffico di persone a
scopo di sfruttamento sessuale. A partire dal 1983, infatti, attraverso il periodico ASPE, è stata
186
puntualmente registrata l’evoluzione del fenomeno in Italia e in Europa. Recentemente, inoltre,
sono stati pubblicati dei libri specifici sul tema della tratta e sugli strumenti legislativi implementati
per contrastarla.
Lavoro di rete: al fine di ottimizzare e condividere le risorse presenti sul territorio, il Gruppo Abele
ha stabilito delle collaborazioni con una serie di associazioni e di enti che, nella maggioranza dei
casi, gestiscono o collaborano all’implementazione di progetti art. 18 quali: A.s.g.i., Tampep,
Ufficio Migranti Caritas, Comunità Liberazione e Speranza di Novara, Associazione Giovanni
XXIII di Cuneo, Progetto Integrazione Accoglienza Migranti di Asti Onlus, La Bottega del
Commercio Equo-Solidale di Novi Ligure, Il Consorzio delle Cooperative Sociali di Ivrea, Croce
Rossa Italiana (Centro di accoglienza temporanea per stranieri), Alma Mater, Un Progetto al
Femminile. Ha inoltre stabilito dei contatti significativi con realtà di Cuneo, di Asti, di Alessandria,
di Ivrea, di Novi Ligure e di Novara. Punti nodali della rete sono inoltre i rappresentanti delle forze
dell’ordine e degli enti locali del territorio ma anche la rete dei progetti art. 18 presenti in Italia.
Infine, è da ricordare che il Gruppo Abele aderisce ad una serie di reti quali: C.n.c.a., Lila, Banca
Etica, Beati i costruttori di Pace, Commercio Equo e Solidale, Libera, C.i.c.a., M.a.g., Centro
Italiano di Mediazione, Forum Regionale del III° Settore, Coordinamento Regionale degli Enti
Ausiliari. Inoltre, il Gruppo Abele fa parte del Gruppo ad hoc del C.n.c.a. sulla prostituzione e tratta
delle persone e del Coordinamento Nazionale Caritas contro la tratta.
Problemi e proposte di cambiamento
Le prostitute minorenni, secondo i dati forniti dal Numero Verde locale, rappresentano circa il 10%
della collettività delle persone che si prostituiscono a Torino. Si tratta di una percentuale variabile
che, pur tuttavia, desta preoccupazione tra gli operatori e le operatrici che lavorano sul campo. Alle
minorenni, viene ribadito, è necessario assicurare un intervento ad hoc che tenga conto dei bisogni
specifici di un target particolarmente “vulnerabile” a cui bisogna garantire un costante lavoro di
accompagnamento e di maternage.
Il Gruppo Abele è in procinto di aprire due comunità per minori vittime di varie forme di abuso e di
sfruttamento in cui verranno ospitate anche minori vittime di tratta. L’Associazione ritiene
fondamentale istituire forme di accoglienza “miste” in quanto considera “ghettizzante” creare
comunità rigidamente suddivise per target specifici (ad esempio: solo per minori a rischio, minori e
donne vittime di violenza domestica, minori e donne vittime di sfruttamento sessuale, etc.).
Preferisce perciò inserire le persone vittime di tratta in comunità per donne che hanno subito
violenza anche per dare uno spiraglio, una possibilità di confronto e di accomunamento basata non
tanto sull’esperienza della prostituzione ma sull’aver subito una violenza. Le minori necessitano di
una struttura comunitaria perché hanno bisogno di essere accolte, seguite, rinforzate. L’inserimento
in famiglia viene considerata come una soluzione possibile, da valutare attentamente in base al
singolo caso ma che, soprattutto, deve garantire la disponibilità di una famiglia molto preparata, in
grado di affrontare e gestire la relazione con una minore. Particolarmente indicata per le minori di
17 anni, quasi 18, viene considerato l’inserimento in una casa di accoglienza di autonomia collocata
all’interno di una comunità di famiglie che garantisce un supporto e una genitorialità diffusa. Si
tratta di un modello di intervento basato sull’apporto delle “famiglie di vicinato” con cui le ragazze
si confrontano pur vivendo autonomamente.
Alle minori bisogna inoltre garantire una serie di servizi ed attività che tengano conto della
particolare esperienza traumatica di vita subita che rischia di influenzare negativamente i progetti di
vita individuali. Per tale motivo, il Gruppo Abele ritiene di fondamentale importanza servirsi di
figure professionali specializzate in grado di supportare il processo di affrancamento dalle violenze
187
subite delle persone prese in carico, soprattutto quando si tratta di minori. In particolare, nel
realizzare il percorso di inserimento sociale individualizzato viene auspicato l’utilizzo di
etnopsichiatri in grado di trattare il trauma esperito in relazione anche alle caratteristiche della
cultura di appartenenza delle minori; in questa prospettiva, il Gruppo Abele ha attivato una
collaborazione significativa con gli esperti di etnopsichiatria del Centro Fanon di Torino.
L’istruzione è un altro elemento che deve essere tenuto maggiormente in considerazione, da un lato,
valorizzando il background scolastico delle minori accolte, dall’altro, promuovendo percorsi di
alfabetizzazione e di scolarizzazione finalizzati ad un inserimento lavorativo qualificato. In questa
fase effettuare un bilancio di competenze diventa indispensabile per definire in maniera adeguata gli
obiettivi del progetto individuale personalizzato.
Il Gruppo Abele sottolinea inoltre la necessità di realizzare interventi adeguati anche per un’altra
fascia di minori: i figli e le figlie delle donne accolte nelle comunità. Si tratta di un numero di
minori in crescita per cui è indispensabile progettare e implementare forme di accoglienza che
rispondano ai bisogni specifici delle donne in qualità di madri e dei propri figli o figlie presi/e in
carico.
Le famiglie di origine rimangono una questione ancora poco affrontata negli interventi a favore di
minori trafficati. Nell’indecisione di considerarle come una risorsa o un problema, le agenzie
pubbliche e private del sociale preferiscono concentrarsi sul/la minore senza prendere
adeguatamente in considerazione il suo contesto di appartenenza originario. Il Gruppo Abele ritiene
invece opportuno, valutando caso per caso, allacciare eventuali rapporti telefonici o epistolari con i
membri della famiglia di origine, tale misura infatti potrebbe costituire un elemento positivo per il
ben-essere e il processo di crescita del/la minore accolto/a.
L’Osservatorio sulla Prostituzione Minorile (regione Emilia Romagna)
Cenni storici
L'Osservatorio sulla Prostituzione Minorile, realizzato nell’ambito delle attività del progetto art. 18
Oltre la strada della Regione Emilia-Romagna, è promosso e gestito dall'Azienda Sanitaria Locale
di Rimini. Attivato ufficialmente nel 2001, l’Osservatorio è espressione di un percorso progettuale
avviato da anni dalla Regione nel campo delle politiche sociali rivolte ai/alle minori ed adolescenti.
Fin dal primo Progetto Prostituzione (1996), la Regione Emilia-Romagna ha infatti posto
un’attenzione particolare ai bisogni specifici di minori trafficati e costretti a prostituirsi fino ad
arrivare ad istituire l’Osservatorio sulla Prostituzione Minorile al fine di monitorare costantemente
il fenomeno e contribuire all’elaborazione di strategie e politiche di intervento per la prevenzione ed
il contrasto del fenomeno del maltrattamento e di abuso a danno dei minori.
L’Emilia-Romagna è una delle principali regioni italiane di destinazione delle persone trafficate a
scopo di sfruttamento sessuale provenienti dai paesi dell’ex-blocco sovietico, dell’Europa dell’Est,
dell’Africa e dell’America Latina. Molte strade centrali e periferiche delle città della regione sono
popolate da donne e minori che offrono servizi sessuali ad un elevato numero di clienti. Il contesto
geografico qui considerato - il riminese - presenta però caratteristiche specifiche che lo distinguono
marcatamente dai territori limitrofi. Ci si riferisce, in particolar modo, all’assenza di prostituzione
sulle strade della cittadina romagnola e della relativa provincia quale conseguenza diretta della forte
politica di contrasto - o “tolleranza zero” - attivata dal 1998 dalla Prefettura, dalla Questura e dal
Comune. Tale approccio ha portato ad eliminare la visibilità del fenomeno prostitutivo e ad
188
aumentare le forme e le modalità della cosiddetta prostituzione “al chiuso”. Specchio del
mutamento avviato sono i sempre più numerosi annunci più o meno espliciti di offerta di
prestazioni sessuali che compaiono sui giornali locali e l’aumento del numero di night club e club
privè sulla costa e sull’entroterra riminese.
Tali trasformazioni rischiano di mettere maggiormente in pericolo le condizioni di vita e di
esercizio della prostituzione delle donne che vedono ridotti i propri spazi di contatto con l’esterno.
Tale situazione viene ritenuta particolarmente pericolosa per le minori che, data l’esperienza
inferiore, tendono ad avere molti meno strumenti di autodeterminazione rispetto alle persone adulte.
I dati raccolti dal progetto regionale Oltre la strada evidenziano che nella maggioranza dei casi
l’età media delle persone attive nel campo della prostituzione in Emilia-Romagna è compresa tra i
18 e i 24 anni (59% dei casi), mentre una percentuale inferiore (24%) è rappresentata da persone
con un’età compresa tra i 25 e i 29 anni, le persone minorenni invece costituiscono il 7% delle
presenze rilevate in strada. Si tratta in particolar modo di ragazze provenienti dall’Albania e, in
misura inferiore, dalla Nigeria, Romania e Ungheria. Rimini è stata scelta quale sede
dell’Osservatorio in virtù della consolidata esperienza del Servizio Minori dell’ASL che da molti
anni si occupa di minori che hanno subito un abuso.
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
Tappa decisiva per rafforzare l’idea della necessità di istituire l’Osservatorio sono stati i dati forniti
e le esigenze emerse durante il Seminario di approfondimento tra esperienze operative sulla
prostituzione minorile tenutosi a Rimini il 24 ottobre 1999. Organizzato dall'ASL e dal Servizio
Politiche per l'Accoglienza della Regione Emilia-Romagna, al seminario hanno partecipato
operatori ed operatrici dei servizi pubblici, del privato sociale, del volontariato, funzionari/e dei
Ministeri degli Affari Esteri, dell'Interno, di Grazia e Giustizia, delle Pari Opportunità, autorità
locali, il presidente dell'Osservatorio Nazionale sull'Infanzia e l'Adolescenza, dell'Istituto degli
Innocenti di Firenze. L’Osservatorio, quindi, si configura come una delle azioni innovative
implementate nell’ambito del progetto regionale Oltre la strada, che rappresenta una delle
principali reti di interventi strutturati e diversificati presenti in Italia. Il radicamento e l’articolazione
del progetto sul territorio permette all’Osservatorio di raccogliere e sistematizzare informazioni,
modelli e pratiche di lavoro in maniera funzionale agli obiettivi stabiliti. L’ASL di Rimini in
collaborazione con i/le rappresentanti del Comitato di pilotaggio del progetto Oltre la strada ha
individuato la necessità di predisporre uno strumento di monitoraggio costante del fenomeno della
prostituzione minorile partendo dal presupposto che era necessario conoscerne meglio le
caratteristiche per attivare interventi mirati ai bisogni specifici dei/delle minori.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
Al fine di individuare gli obiettivi e le attività adeguate da implementare attraverso l’Osservatorio
sulla Prostituzione Minorile, l’Azienda USL di Rimini ha promosso la creazione di un gruppo di
lavoro qualificato (Comitato tecnico scientifico) composto da rappresentati di istituzioni e di
agenzie specializzate negli interventi a favore di minori quali:
-
Servizio Politiche per l'accoglienza e l'integrazione sociale - Regione Emilia-Romagna;
Servizio Politiche familiari per l'infanzia e l'adolescenza - Regione Emilia-Romagna;
Tribunale per i Minorenni dell'Emilia-Romagna;
Ministero per la Solidarietà Sociale della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
189
-
Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Istituto degli Innocenti di Firenze;
Università degli Studi di Bologna;
Università degli Studi di Torino;
Terre des hommes.
Volendo contribuire in maniera sistematica e scientifica a raggiungere una maggiore conoscenza,
sia a livello quantitativo che qualitativo, del fenomeno della prostituzione minorile in Italia, il
Comitato tecnico scientifico ha individuato le seguenti tipologie di azioni che l’Osservatorio deve
implementare:
Costituzione di una banca dati:
_
_
Individuazione, raccolta e archiviazione sui dati relativi al fenomeno (Archivio minori);
Individuazione, raccolta e archiviazione dei dati relativi alle agenzie pubbliche e private che
svolgono attività di accoglienza e presa in carico (Archivio degli Enti/Associazioni/Ong).
Per svolgere tale attività è stata assunta 1 consulente laureata in scienze statistiche.
Raccolta della documentazione:
_
Individuazione, raccolta e catalogazione di monografie, articoli e letteratura grigia (ricerche, atti
di convegni e seminari, etc.);
_ Individuazione, raccolta e catalogazione della legislazione nazionale, regionale ed
internazionale;
_ Individuazione, raccolta e catalogazione degli interventi effettuati a livello locale da enti
pubblici e terzo settore.
Monitoraggio e implementazione dell’informazione:
_
_
_
Rassegna stampa periodica;
Creazione di un sito web per la diffusione dei materiali raccolti e per lo scambio di informazioni
tra utenti;
Pubblicazioni: segnalazioni bibliografiche e di atti seminariali.
Realizzazione di ricerche/azioni:
_
_
Ricerca sull’applicazione della legislazione penale (Legge 66/96, Legge 269/98);
Ricerca sullo sfruttamento sessuale dei/delle minori, sugli interventi di protezione sociale e sulle
prassi amministrative adottate sul territorio nazionale attraverso l’analisi di alcune aree
campione quali: costa romagnola, zona marchigiano-romagnola, Roma, Lecce, Napoli, Palermo
e Torino.
In qualità di coordinatrice del progetto è stata nominata 1 assistente sociale dell’ASL di Rimini già
referente, fin dalla sua istituzione, del Progetto Help (espressione locale del progetto regionale
Oltre la Strada), la quale è coadiuvata da un consulente laureato in pedagogia.
Problemi e proposte di cambiamento
190
L’Osservatorio sulla Prostituzione Minorile è un’attività di recente istituzione e, di conseguenza,
risulta prematuro valutare i risultati della sua implementazione. Si è scelto di presentare il progetto e
le azioni in fase di realizzazione in quanto si tratta dell’unica esperienza italiana censita che si è
posta come obiettivo specifico l’identificazione e il monitoraggio costante del fenomeno della
prostituzione minorile, praticata sia sulle strade che in luoghi chiusi. L’Osservatorio permetterà di
elaborare analisi più articolate e consentirà - attraverso le informazioni e i dati raccolti - di
progettare e sperimentare strategie e strumenti di intervento mirati alle esigenze del target
considerato.
In questa sede, si ritiene altrettanto interessante riportare l’esperienza maturata dall’Azienda
Sanitaria Locale di Rimini rispetto alle attività rivolte alle minori prostitute. L’ASL, come già
precedentemente ricordato, si occupa da anni di tale tematica in quanto servizio territoriale
competente e quale nodo della rete del progetto prostituzione regionale. Dal 1996 al 2001, le minori
prese in carico sono state 15, in maggioranza di origine albanese. La segnalazione al servizio viene
generalmente effettuata dalle forze dell’ordine, dal Tribunale dei Minori, dalla rete locale dei
progetti locali o da quella nazionale. Attraverso una convenzione stipulata con l’Associazione Papa
Giovanni XXIII, le minori vengono accolte in case-famiglia o inserite direttamente in famiglia. Si
privilegiano le strutture che ospitano donne in difficoltà in generale e non solamente donne
fuoriuscite da percorsi prostitutivi, tale scelta è motivata dalla volontà di offrire un contesto di
inserimento più articolato che si ritiene meno “ghettizzante”. Attraverso colloqui di orientamento
vengono quindi elaborati progetti individuali di inserimento in cui vengono stabiliti percorsi
scolastici e/o formativi o lavorativi in base all’analisi del bilancio di competenze effettuato con
l’utente. Considerate le caratteristiche dell’area geografica di inserimento, i corsi di formazione
professionali riguardano soprattutto l’ambito alberghiero, di ristorazione e turistico, settori che
permettono un’alta percentuale di inserimento diretto nel mercato del lavoro locale. Per chi
preferisce attivare direttamente un percorso lavorativo vengono offerte delle borse lavoro.
L’esperienza maturata fino ad oggi mette in luce la necessità di avviare programmi individualizzati
che tengano conto, da un lato, delle esigenze specifiche dei/delle minori e, dall’altro, dei bisogni
della singola persona presa in carico. La referente del progetto intervistata ha sottolineato infatti
l’esigenza di offrire diverse tipologie di accoglienza e di inserimento sociale, educativo e
professionale partendo dall’analisi dei bisogni e delle competenze sociali e educative di ogni
singola persona. In questa ottica, viene suggerito l’inserimento strutturale nelle équipe di lavoro di
operatori/trici specializzate in ambito clinico-terapeutico in grado di supportare le varie fasi del
percorso individuale attivato.
Il lavoro svolto nei 6 anni di implementazione del progetto ha beneficiato in termini positivi del
rapporto di collaborazione, pre-esistente e consolidato da anni, tra il Servizio minori dell’ASL, il
Tribunale dei Minori e il Giudice tutelare di Rimini. Risulta essere buono anche il rapporto con il
Servizio Sociale Internazionale quale referente per eventuali rimpatri assistiti e punto di raccolta
delle informazioni sulle famiglie dei paesi di origine. Mentre attraverso questo organismo sono state
contattate le famiglie in Albania, è risultato impossibile stabilire dei contatti con le famiglie di
origine in Nigeria. Tale difficoltà a volte rende difficile l’adempimento delle pratiche burocratiche
necessarie per attivare il percorso di inserimento individuale. Ad esempio, il mancato reperimento
della documentazione scolastica che attesti la frequenza regolare di almeno 9 anni di scuola nel
paese di origine non consente all’utente di accedere a corsi di formazione professionale in Italia.
Individuare canali e strumenti per garantire contatti diretti e proficui con le famiglie (dopo
un’attenta valutazione e se ritenuti auspicabili dalle utenti) e le istituzioni dei paesi di origine
diventa un elemento imprescindibile per il buon esito di un percorso individuale.
191
Nonostante venga valutato positivamente il rapporto con esse instaurato, alle forze dell’ordine viene
sollecitata una maggiore attenzione nell’individuazione della minore età. Sono stati registrati casi,
infatti, in cui - contrariamente a quanto prevede la normativa italiana - alcune minorenni sono state
incarcerate. Determinare l’età della persona straniera fermata risulta essere un problema da più parti
segnalato a cui gli attuali strumenti utilizzati non rispondono in maniera adeguata. L’esame
radiografico del polso non rivela infatti l’età anagrafica precisa della persona in quanto non tiene
conto della sua costituzione fisica specifica. Capita così che delle minorenni vengano schedate
come maggiorenni e, viceversa, delle maggiorenni come delle minorenni e, conseguentemente, si
rischia di attivare delle misure non rispondenti ai diritti sanciti dalla legislazione italiana in vigore.
Diventa fondamentale perciò - come sottolineato dalla responsabile del progetto - che la Questura,
in quanto istituzione preposta a farlo - adotti tecniche e strumenti di identificazione più sofisticati in
grado di determinare in maniera corretta l’età della persona e, di conseguenza, attivare misure di
tutela e protezione appropriate. Rispetto alla minore età, poi, è stata sottolineata la necessità di
tenere conto della variabile culturale di fronte a minori provenienti da culture altre. Pur nel rispetto
dei diritti sanciti dalle normative nazionali ed internazionali, l’équipe dell’Azienda Sanitaria di
Rimini ricorda infatti che è doveroso conciliare la tutela, che deve essere garantita a minori in base
alle leggi vigenti, con aspetti di tipo culturale e situazioni individuali (ad esempio, l’esistenza di
figli/e nei paesi di origine). Se non si tengono in considerazione le diverse variabili necessarie per
una corretta valutazione di ogni singolo caso, considerando anche lo scarto esistente tra il concetto
giuridico di minore età e la realtà effettiva, si rischia di attivare percorsi individuali non rispondenti
ai reali bisogni della persona presa in carico.
Associazione On the Road (di Martin Sicuro, AP)
Cenni storici
L’Associazione On the Road nasce a Martinsicuro (Teramo) nel 1990, anno in cui un gruppo di
volontari e volontarie iniziarono a stabilire i primi contatti con le persone che si prostituivano in
strada per individuare i loro bisogni e promuovere comportamenti finalizzati alla prevenzione
sanitaria e offrire opportunità di uscita dalla prostituzione e dallo sfruttamento e percorsi di
inserimento sociale. Gli obiettivi principali perseguiti dall’Associazione sono l’abbassamento dei
rischi e la riduzione dei fenomeni di disagio connessi all’esercizio della prostituzione e l’attivazione
di un processo di empowerment mirato all’autotutela e all’autodeterminazione di persone spesso
non consapevoli dei propri diritti sociali e civili e, in molti casi, soggette a forme di violenza e
sfruttamento.
Il target principale a cui si rivolge On the Road è rappresentato soprattutto da donne e minori
immigrate provenienti dall’Albania (26%), dalla Nigeria (25%), dai paesi dell’ex-Unione Sovietica
e dell’Est Europa (28%) e dell’America Latina (3%), ma anche da travestiti, transessuali (4%) e, in
misura minore, prostitute locali (sex workers di una certa età o tossicodipendenti). Dai dati rilevati
dalle Unità di Strada dell’Associazione, risulta che nel territorio delle regioni Marche, Abruzzo e
Molise si alternano nell’arco di un anno circa 700-800 prostitute extracomunitarie (di cui almeno
450 in strada, 150-200 in appartamento e 100-150 in locali notturni). Il territorio in cui
l’Associazione opera è particolarmente vasto comprendente tre differenti regioni (Marche, Abruzzo
e Molise). Il contatto con il target viene effettuato nei principali luoghi di prostituzione dei comuni
della Vallata del Tronto (Spinetoli, Castel di Lama, Colli del Tronto, Castorano, Monteprandone,
Offida, Folignano, Monsampolo, Appignano, Castignano), della costa adriatica (San Benedetto del
Tronto, Grottammare, Porto San Giorgio, Fermo, Porto Sant’Elpidio, Sant’Elpidio a Mare), della
192
provincia di Macerata (soprattutto Civitanova Marche), delle province di Teramo (Martinsicuro,
Colonnella, Controguerra, Ancorano, Alba Adriatica, Corrosoli, Neretto, Sant’Egidio alla Vibrata,
Sant’Omero, Torano Nuovo, Tortoreto, Silvi Marina), Chieti (Francavilla al Mare), Pescara
(Montesilvano, Pescara), dell’area di Termoli e zone limitrofe.
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
Da una prima fase caratterizzata esclusivamente dal lavoro di strada di poche persone volontarie,
On the Road è ora diventata una struttura qualificata di riferimento in grado di progettare e fornire
una gamma articolata di interventi gestiti da operatrici ed operatori professionali specializzati
coadiuvati da personale volontario. Nel corso degli anni, infatti, l’Associazione ha creato servizi e
metodologie di lavoro specifiche per l’accoglienza, l’accompagnamento, l’orientamento, la
formazione e l’inserimento socio-lavorativo delle persone prese in carico.
Il target principale dell’Associazione è rappresentato prevalentemente da donne straniere
maggiorenni ma esiste anche una percentuale minoritaria di minorenni. Nel corso del 2001, sono
stai effettuati 4.672 contatti su strada, 650 accompagnamenti ai servizi, seguiti 77 programmi di
protezione sociale. L’Associazione ha ritenuto necessario elaborare programmi di protezione
sociale individualizzati distinti per minorenni. A queste, infatti, si tende a proporre un’accoglienza
presso una famiglia piuttosto che in una struttura dell’Associazione in quanto l’ambiente sociorelazionale offerto da una famiglia opportunamente formata viene ritenuto più adeguato alle
esigenze di una minorenne in difficoltà. Tale sistemazione viene comunque valutata caso per caso
dall’èquipe di psicologhe in quanto ogni minore presenta esigenze e bisogni specifici che vengono
tenuti i considerazione.
Rispetto alle attività formative ed occupazionali, sempre in accordo con la minore interessata,
l’Associazione valuta la possibilità di attivare percorsi di studio (scuola dell’obbligo e corsi
professionali) piuttosto che inserire direttamente la minore al lavoro. In base all’esperienza
maturata, l’Associazione ha ritenuto infatti più efficace - sul medio-lungo periodo - tale scelta per
offrire uno spettro più ampio di possibilità socio-professionali alle minori prese in carico. Negli
ultimi anni, si è registrato anche un incremento del numero di figli/e al seguito delle donne accolte.
Anche per questi minori, l’Associazione ha cercato di sviluppare delle azioni specifiche per
garantire loro e alle madri un’accoglienza adeguata e l’attivazione dei servizi socio-sanitari
necessari. In particolare, si è destinata una struttura di On the Road all’accoglienza specifica di
donne con minori.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
Dal 1994, On the Road si è formalmente costituita in Associazione di volontariato iscrivendosi
all’Albo Regionale del Volontariato dell’Abruzzo e, dallo stesso anno, aderisce al Coordinamento
Nazionale Comunità di Accoglienza (C.N.C.A.); dal 1998, é membro del Comitato di
coordinamento delle azioni di governo contro la tratta di donne e minori a fini di sfruttamento
sessuale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; nello stesso anno, l’Associazione
si è fatta promotrice del Tavolo di Coordinamento Nazionale sulla Prostituzione e la Tratta e della
costituzione del Gruppo ad hoc del C.N.C.A. sulla Prostituzione e la Tratta. Inoltre, dal 2000,
l’Associazione è iscritta nella Terza Sezione del Registro di enti e associazioni che svolgono attività
a favore degli stranieri immigrati ai sensi dell’art. 42 del D.Lgs. 286/98 “Testo unico delle
193
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, e
dell’art. 54 del relativo “Regolamento di attuazione”.
L’Associazione On the Road collabora da tempo con una serie di Enti pubblici e agenzie del privato
sociale il cui numero, nel corso degli anni, è andato sempre più aumentando. Negli anni ha costruito
importanti reti di lavoro a livello locale, nazionale ed internazionale finalizzate alla realizzazione di
attività di sensibilizzazione, formazione, ricerca e di orientamento di politiche e strategie locali e
nazionali nel settore della prostituzione e della lotta al traffico di persone a scopo di sfruttamento
sessuale. Le attività dell’Associazione sono rese possibili attraverso il finanziamento di progetti che
vengono presentati nell’ambito di bandi pubblici di enti ed istituzioni a livello locale (Comuni,
Province e Regioni), nazionale (Ministero del Lavoro, Dipartimento Affari Sociali, Dipartimento
per le Pari Opportunità, Ministero della Sanità) ed europeo (Comunità Europea e Commissione
Europea). In particolare, la collaborazione con i principali enti locali di riferimento e gli attori del
territorio é stata consolidata attraverso il finanziamento dei progetti di assistenza e protezione
sociale a favore di vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale, previsti dall’art. 18 del
D.Lgs. 286/98. La rete costruita vede infatti la partecipazione di una serie articolata di soggetti quali
enti locali, servizi socio-sanitari territoriali, forze dell’ordine, Comitati per l’ordine pubblico,
organizzazioni non profit (associazioni locali e rete dei progetti art. 18 e delle postazioni locali del
Numero Verde contro la Tratta presenti su tutto il territorio nazionale), enti di formazione ed
istruzione, associazioni datoriali di categoria e sindacati, famiglie affidatarie, ex-clienti e/o partner,
soggetti privati e cittadinanza. Inoltre, ha rafforzato la collaborazione con altre reti di cui da tempo
fa parte, coltivato importanti contatti con organizzazioni ed istituzioni europee e allacciato rapporti
con i paesi di origine e le ambasciate delle utenti al fine di richiedere documenti, contattare le
famiglie ed organizzare percorsi di rimpatrio.
Le attività progettuali vengono realizzate da équipe specializzate suddivise in aree di intervento
specifiche. Il numero totale delle persone che lavorano per l’Associazione sono 35, a cui vanno
aggiunti/e circa 40 volontari/e. Per alcune attività è prevista anche la costituzione di team misti
operanti in azioni trasversali. Le principali attività implementate da On the Road, attraverso
l’utilizzo di un approccio globale e integrato, sono le seguenti:
Lavoro di strada e segretariato sociale finalizzato alla riduzione dei danni e dei rischi a cui le donne
sono sottoposte nell’esercizio della prostituzione. Tale obiettivo viene perseguito attraverso la
creazione di una relazione di fiducia, la diffusione di informazioni e materiale sanitario e di
orientamento all’accesso ai servizi socio-sanitari territoriali e ai percorsi di uscita (nelle varie lingue
di origine del target), l’offerta di aiuto e di accompagnamento ai servizi. Le unità di strada svolgono
un importante ruolo di monitoraggio del fenomeno; di sensibilizzazione e di raccordo con i servizi
territoriali; di raccolta dati e di coinvolgimento di attori-chiave per l’attuazione di ricerche-azioni
sulla prostituzione sommersa e sui clienti. Le unità di strada operative sono 3: una nell’area centrale
marchigiana (Fermano, Porto Sant’Elpidio, Sant’Elpidio a Mare e Civitanova Marche); una
nell’area meridionale marchigiana (Grottammare, San Benedetto, Vallata del Tronto) e
settentrionale dell’Abruzzo (Bonifica e territorio Val Vibrata); e, infine, una nell’area centrale
abruzzese (Pescara, Silvi Marina, Montesilvano, Francavilla al Mare). Il lavoro di strada viene
sviluppato da un’équipe specializzata composta da 1 coordinatrice, 7 operatori/operatrici, 3
mediatrici interculturali (1 albanese, 1 ucraina e 1 nigeriana), volontari/e. Il lavoro viene inoltre
accompagnato da una valutatrice e da un supervisore esterni.
Drop-in centers: svolgono l’importante ruolo di punto di incontro tra il target finale, i servizi
territoriali e la comunità locale. Funzionali a promuovere sia una maggiore conoscenza dei propri
diritti da parte del target finale sia una maggiore sensibilizzazione rispetto ai temi dell’esclusione
sociale di fasce deboli da parte della collettività, i drop-in centers attraverso figure professionali
194
diversificate forniscono una vasta gamma di offerte e di servizi differenziati: informazione
(sanitaria, sui diritti, sui servizi, su altre tematiche di interesse); accompagnamento ed educazione
all’accesso ai servizi socio-sanitari; consulenza psicologica; consulenza e assistenza legale;
orientamento all’uscita; orientamento ed eventuale avvio rispetto ai programmi di assistenza e
integrazione sociale; spazio relazionale e di aggregazione per lo sviluppo di attività di
socializzazione; spazio per incontri tematici su salute, diritti, alimentazione, problematiche
abitative, accesso ai servizi del territorio, etc. I drop-in center attivati dall’Associazione sono 4, così
distribuiti sul territorio: 1 a Porto Sant’Elpidio (area costiera centro Marche); 1 a Martinsicuro (area
sud Marche e nord Abruzzo); 1 a Pescara (area Pescara); e 1 a Grottammare. L’équipe che opera
nell’ambito dei 4 sportelli è composta da operatori/operatrici, mediatrici dell’Unità di Strada,
psicologhe e orientatrici, consulenti legali.
Presa in carico, accoglienza e accompagnamento all’autonomia: nel corso degli anni di lavoro e
sperimentazione, On the Road ha messo a punto dei modelli di accoglienza differenziati di cui le
donne e le minori accolte possono beneficiare. Partendo dal presupposto che è necessario fornire
risposte diversificate di accoglienza a persone che presentano caratteristiche e bisogni specifici
anche in base alle fasi del percorso di fuoriuscita dalla prostituzione e all’inclusione sociolavorativa in cui si trovano, l’Associazione ha attivato le seguenti tipologie di accoglienza:
alloggio di emergenza;
case di fuga;
case di accoglienza intermedia;
case di autonomia;
accoglienza presso famiglie;
presa in carico territoriale.
Lungo tutto il periodo di presa in carico, indipendentemente dalla modalità di accoglienza offerta,
alle donne vengono erogati una serie di servizi e proposte attività quali: co-elaborazione di progetti
individualizzati di autonomia; protezione e tutela; vitto e alloggio; mediazione linguistico-culturale;
assistenza sanitaria; assistenza psicologica; sostegno relazionale; supporto all’eventuale denuncia;
consulenza e assistenza legale e regolarizzazione; socializzazione; attività educative e formative;
alfabetizzazione della lingua italiana; laboratori di creazione/produzione; orientamento; avvio di
percorsi di inserimento socio-occupazionale. L’équipe dell’Accoglienza è composta da 1
responsabile di settore, 2 operatrici con funzioni di coordinamento, 10 operatrici professionali, 1
orientatrice, 15 volontari/e, 1 valutatrice, 1 supervisore, 1 consulente legale.
Orientamento, formazione e inserimento socio-lavorativo: mirato all’inclusione sociale e lavorativa
delle donne prese in carico, tale attività prevede una serie di azioni quali orientamento, formazione
di base, formazione di medio-lungo periodo, formazione pratica in impresa, inserimento diretto nel
mondo del lavoro. L’Associazione ha sviluppato negli anni una serie di modelli e di strumenti di
intervento diversificati e flessibili in questo specifico ambito lavorativo che sono diventati buone
pratiche a livello nazionale (cfr. formazione pratica in impresa). L’èquipe specializzata in questo
settore è composta da 1 responsabile di settore, 1 tutor di intermediazione, 1 consulente legale. Nel
corso del 2001, le donne che complessivamente hanno beneficiato delle attività di inserimento
socio-lavorativo sono state 27.
Gestione della postazione locale del Numero Verde contro la Tratta (800-290.290): co-finanziato
dal Dipartimento per le Pari Opportunità e dalle Province di Ascoli Piceno e di Teramo, nell’ambito
delle azioni di sistema previste dal Programma di assistenza e integrazione sociale a favore delle
donne vittime di traffico a scopo di sfruttamento sessuale, è un servizio di orientamento e
195
consulenza telefonica che fornisce informazioni sui servizi sociali e legali a favore di persone
trafficate.
L’équipe di lavoro è composta da 1 mediatrice linguistico-culturale albanese, 1 mediatrice
linguistico-culturale ucraina, 1 mediatrice linguistico-culturale nigeriana. Tra il 26.07.00 e il
31.12.01, la postazione locale del Numero Verde ha ricevuto 289 chiamate, di cui il 34.4% da parte
delle donne sfruttate, seguite da amici (compagne, conviventi, familiari) con il 13,5% dei casi e gli
amici occasionali o i clienti che hanno segnalato la situazione nel 8,0% dei casi. Significative anche
le percentuali relative alle chiamate effettuate da enti istituzionali (30,7%) e dalle postazione
centrale del Numero Verde (13,5%)
Attività di formazione e supervisione: al fine di garantire un costante livello di qualità dei servizi
offerti, On the Road promuove e sviluppa corsi di aggiornamento per il personale interno e percorsi
di supervisione attraverso l’ausilio di consulenti esterni/e. L’Associazione svolge inoltre attività di
supervisione e coordinamento progettuale per altre agenzie del pubblico e del privato sociale
operanti nell’ambito delle attività a favore dell’inclusione socio-professionale di soggetti ad alto
rischio di esclusione.
Sensibilizzazione della comunità locale e negoziazione dei conflitti attraverso il coinvolgimento
diretto delle agenzie e della popolazione del territorio interessate agli ambiti di intervento
dell’Associazione.
Attività di ricerca, pubblicazioni e documentazione: finalizzate a cogliere e ad analizzare le
continue evoluzioni dei fenomeni oggetto di intervento da parte dell’Associazione per poter
sviluppare interventi adeguati alle sempre nuove forme di marginalità e di esclusione sociale. Presso
la sede operativa, è stato inoltre attivato un Centro Documentazione sui temi della Prostituzione e
della Tratta e sui fenomeni correlati.
Problemi e proposte di cambiamento
La pluriennale esperienza dell’Associazione On the Road nel campo dell’intervento a favore di
donne e minori che si prostituiscono volontariamente o coattivamente ha permesso la messa a punto
di progetti articolati caratterizzati da un approccio di tipo globale integrato che mette sempre al
centro i bisogni della persona presa in carico. La percentuale delle minori contattate dalle varie
équipe di lavoro dell’Associazione risulta essere contenuta ma essa desta comunque un certo grado
di preoccupazione tra le operatrici e gli operatori, soprattutto alla luce dei nuovi scenari che
sembrano profilarsi rispetto all’esercizio della prostituzione. Una politica di “tolleranza zero” nei
confronti delle prostitute di strada e un inasprimento dei controlli di polizia sulle persone immigrate
clandestinamente porteranno molte donne ad abbandonare i marciapiedi e a trasferirsi in luoghi al
chiuso (alberghi, appartamenti, night club, saune, etc.). Ciò limiterà in maniera significativa il
contatto con gli operatori e le operatrici sociali che dovranno elaborare nuove metodologie e
strumenti di intervento per avvicinare il target. In questo nuovo scenario prossimo futuro, secondo
le operatrici intervistate, le minorenni saranno i soggetti maggiormente a rischio, da un lato, di
esclusione e, dall’altro, di sfruttamento. Diventa perciò fondamentale individuare quanto prima
prassi di intervento efficaci in grado di contattare le persone che si prostituiscono al chiuso, in
particolare quando si tratta di minorenni.
Maggiore attenzione a non applicare il modello culturale italiano ad una cultura altra è un elemento
sottolineato con forza dalle operatrici intervistate. Corsi di formazione di antropologia culturale e di
etnopsichiatria rivolti ad operatori ed operatrici delle agenzie del pubblico e del privato sociale sono
altamente auspicati per poter superare molti dei problemi di relazione interculturale che si
196
incontrano quotidianamente quando si lavora con persone straniere. Conoscere e comprendere i
codici culturali di un’altra società permetterebbe di leggere con maggiore cura e competenza il
sistema valoriale che sottende a comportamenti e a scelte che altrimenti risultano poco
comprensibili perché interpretati da un punto di vista che inevitabilmente diventa etnocentrico e
che, di conseguenza, produce interventi non adeguati al target preso in carico. Viene riportato come
esempio proprio la diversa concezione di “minore età” legata alle varie culture di appartenenza che
bisognerebbe analizzare ed interpretare per meglio capire le ragioni che portano le minori sulle
strade o nei locali dei paesi occidentali.
Il rimpatrio assistito deve essere uno strumento valutato con cura caso per caso onde evitare di
riconsegnare la minore (o anche una donna adulta) ad un futuro incerto e ghettizzante o addirittura
pericoloso se ricadesse in una nuova (o nella stessa) rete criminale di sfruttamento. Interventi diretti
nei paesi di origine attraverso campagne di sensibilizzazione e azioni di supporto ad iniziative locali
sono considerati necessari quali strumenti per la promozione di una cultura di genere fondata
sull’autodeterminazione femminile. In questa prospettiva, viene suggerita, da un lato,
l’implementazione di corsi di formazione “spendibili” sia nel paese di residenza che in quello di
origine, dall’altro, la promozione di progetti di microcredito che permettano alle donne di
“realizzarsi” nel paese di origine.
Infine, un aspetto fondamentale sottolineato riguarda i finanziamenti pubblici di progetti di
assistenza e integrazione sociale e il loro progressivo ridimensionamento nel corso degli anni.
Considerati i risultati ottenuti a livello nazionale attraverso i progetti art. 18 a favore di donne e
minori vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, si ritiene di fondamentale importanza
riconoscere agli enti pubblici e alle agenzie del privato sociale che hanno attuato tali progetti non
più il ruolo di sperimentatori ma di erogatori di servizi fondamentali e di soggetti attivi alla lotta
contro il traffico di persone a scopo di sfruttamento sessuale. Ridurre le risorse destinate ai progetti
di assistenza e di integrazione sociale significa non poter più dare continuità ai servizi posti in
essere, ridimensionarli e, comunque, non poter più rispondere adeguatamente ai bisogni del
territorio ma soprattutto di un target ad alto rischio di esclusione sociale, soprattutto quando si tratta
di minori.
Parsec (di Roma)
Cenni storici
La Cooperativa sociale Parsec inizia ad occuparsi delle tematiche relative alla prostituzione a partire
dalla prima metà degli anni ’90, da un lato, attraverso la realizzazione di studi e di ricerche sul
fenomeno, dall’altro, con l’implementazione di interventi rivolti direttamente alle persone che si
prostituivano nelle strade dell’area romana. L’attività di ricerca ha preso ufficialmente avvio
nell’autunno ‘95 quando l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) ha
commissionato a Parsec la realizzazione di un’indagine conoscitiva del fenomeno della
prostituzione e della tratta a scopo di sfruttamento sessuale in Italia. Condotta in collaborazione con
l’Università degli Studi di Firenze, la ricerca ha contribuito a raccogliere e a sistematizzare una
serie di dati che hanno permesso di effettuare - per la prima volta in Italia - un’analisi articolata
delle caratteristiche e delle specificità dei fenomeni in oggetto. I risultati della ricerca sono stati
presentati dall’OIM alla Conferenza di Vienna del giugno ‘96 per descrivere il quadro italiano della
prostituzione e della tratta. Per quanto riguarda gli interventi diretti al target, Parsec ha iniziato a
contattare “indirettamente” le donne che si prostituivano in strada a partire dal ‘94. In quell’anno
infatti viene attivata un’unità mobile di strada, finanziata dal Comune di Roma, rivolta a persone
tossicodipendenti e, tra queste, l’èquipe di lavoro cominciò ad incontrare diverse persone che si
197
prostituivano per procurarsi il denaro necessario per acquistare sostanze stupefacenti. Con l’arrivo
in quello stesso periodo di numerose prostitute straniere, le caratteristiche e le condizioni di lavoro
cambiano radicalmente fino a stravolgere completamente lo scenario della prostituzione che per
anni aveva caratterizzato le strade italiane.
A Roma la prostituzione di strada è un fenomeno antico che diventa particolarmente visibile negli
anni ‘40 con l’arrivo dei militari americani durante la seconda guerra mondiale e che si sviluppa in
maniera significativa soprattutto in seguito alla chiusura delle case chiuse, sancita dall’entrata in
vigore della Legge Merlin nel ‘58. Ma è a partire dalla fine degli anni ‘80 che nella capitale la
prostituzione cambia radicalmente volto dapprima con l’introduzione nel mercato desso a
pagamento delle trans sudamericane e, poi, con l’arrivo delle nigeriane e, successivamente, delle
albanesi e delle donne dei paesi dell’Est europeo e dell’ex-Urss. Come nelle altre aree italiane, le
poche donne italiane che si prostituiscono ancora per strada o sono tossicodipendenti o sono di età
avanzata. Secondo la ricerca sopra citata, le donne immigrate che si prostituivano a Roma e nelle
aree circostanti sul finire degli anni ’90 erano circa 3.500, provenienti soprattutto dalla Nigeria,
dall’Albania, dai paesi slavi e da quelli dell’ex blocco sovietico.
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
Parsec ha iniziato ad occuparsi operativamente di traffico degli esseri umani a scopo di sfruttamento
sessuale, in maniera generica, nel 1994 con l’attivazione dell’unità di strada rivolta a persone
tossicodipendenti e, in modo specifico, nel 1996 attraverso l’Unità Mobile Donna diretta alle donne
che si prostituivano al fine di ridurre i comportamenti sessuali a rischio. Da queste esperienze è
emersa l’esigenza di implementare progetti mirati in grado di dare risposte adeguate ai bisogni del
target straniero presente in diverse aree del territorio cittadino. Per rispondere a questa esigenza, nel
1998 Parsec, grazie ai fondi della Legge 309/90 messi a disposizione dal Comune di Roma, ha
attivato un’unità di strada nella zona nord-est della capitale rivolta in particolar modo a donne e
minori straniere e a persone transessuali. Tale attività ha permesso di mappare il territorio di
intervento e quelli limitrofi (centro storico), di individuare le problematiche sociali e sanitarie
connesse alle varie tipologie prostitutive (femminile, maschile, transessuale) e, infine, di avviare
servizi innovativi, tra cui una linea telefonica attiva una sera a settimana rivolta alle persone
transessuali (Linea trans). Tali attività hanno posto le premesse per la progettazione e la
realizzazione di progetti specificatamente rivolti a donne e minori vittime di tratta a scopo di
sfruttamento sessuale, implementate a partire dall’inizio del 1999.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
Il progetto Stardust nasce nel febbraio 1999 nell’ambito delle iniziative che il Comune di Roma ha
avviato per intervenire in favore delle persone che si prostituiscono e di coloro che - vittime di tratta
- intendono fuoriuscire da percorsi prostitutivi coatti. Al fine di coprire un più vasto territorio
possibile e di offrire una serie articolata di servizi, l’Ufficio Città Sana del V Dipartimento del
Comune ha finanziato l’attivazione di tre Unità di Strada e di tre Sportelli di ascolto nel territorio
cittadino, appaltati in seguito a bando a tre strutture del privato sociale: la Cooperativa Sociale
Parsec, Magliana 80 e Lila. La strutturazione di tale rete di servizi è stata successivamente
consolidata grazie al finanziamento dei progetti art. 18 erogati al Comune di Roma dal
Dipartimento per le Pari Opportunità nell’ambito del Programma di assistenza e integrazione
sociale a favore di donne e minori vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale previsto dal
D.Lgs. 286/98. Parsec ha continuato ad occuparsi dell’area nord-orientale di Roma gestendo
un’Unità di Strada e uno Sportello di accoglienza e orientamento.
198
Unità di Strada: operativa in tre diverse Circoscrizioni romane (VII, VIII e X), viene effettuata tre
volte a settimana. L’équipe è composta dalla coordinatrice del progetto e da 5 operatrici
specializzate, in maggioranza straniere, che svolgono anche la fondamentale funzione di
mediazione linguistico-culturale. Ciascuna delle operatrici parla differenti lingue, sia quelle del
paese di origine del target che quelle veicolari più comunemente parlate dal target (spagnolo,
inglese, francese). La scelta metodologica di strutturare un’équipe multietnica si è rivelata fin da
subito molto positiva in quanto permette di entrare in contatto e di costruire una relazione con i vari
gruppi etnici in un lasso di tempo significativamente più ridotto.
Lo Sportello informativo, basato sulla metodologia della riduzione del danno, è la sede preposta ai
contatti successivi a quelli stabiliti in strada che permettono di fornire informazioni specifiche, di
effettuare una decodifica della domanda espressa e di far emergere anche eventuali richieste di
aiuto. E’ infatti solo all’interno della relazione di fiducia che si instaura con l’operatrice che
emergono le eventuali situazioni di sfruttamento, di ricatto o di violenza vissute, per le quali si
offrono sostegno legale e sociale. In questa sede è prevista la possibilità di accompagnare le donne
vittime di tratta nel percorso di inclusione socio-lavorativa garantito dall’applicazione dell’art. 18,
illustrando le varie opportunità di fuoriuscita dalla prostituzione e di regolarizzazione offerte
attraverso il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale. Le funzioni principali dello
Sportello sono dunque quelle di segretariato sociale, di ascolto, di decodifica della domanda, di
consulenza medica, legale, psicologica e di orientamento verso gli altri servizi. Presso la sede stessa
vengono erogati una serie di prestazioni - secondo turni settimanali - grazie alla collaborazione di
medici ginecologi, di dentisti, di consulenti legali specializzati sull’immigrazione. Per le richieste di
tipo sanitario - che rappresentano una parte consistente delle domande - le donne vengono inviate o,
a volte, accompagnate agli ambulatori pubblici della rete comunale.
Parsec ha costruito negli anni una significativa rete di collaborazione sia a livello locale che
nazionale per meglio intervenire in favore delle vittime della tratta e delle persone che si
prostituiscono. Sul piano nazionale essa fa riferimento in primo luogo alle associazioni e alle
strutture iscritte al Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) di cui essa stessa
fa parte e, in particolar modo, al Gruppo Ad Hoc sulla Prostituzione e la Tratta del CNCA; sul piano
locale, Parsec collabora, da una parte, con le strutture del coordinamento cittadino sulla
prostituzione e, dall’altra, con il coordinamento - esistente da molto tempo - delle strutture che si
occupano della salute della popolazione immigrata. A questa rete appartengono sia l’Ospedale S.
Gallicano, da più di un decennio impegnato ad erogare cure a persone straniere clandestine, sia le
associazioni di volontariato e le strutture private che offrono servizi gratuiti di medicina
specialistica. Rispetto all’accoglienza alloggiativa - che rappresenta uno dei nodi fondamentali per
garantire una possibilità di fuga alle ragazze e alle donne che vogliono smettere di prostituirsi e
liberarsi dagli sfruttatori - il progetto si appoggia ad una rete di case gestite da suore e a strutture
residenziali finanziate dal Comune di Roma e amministrate da agenzie del privato sociale.
Problemi e proposte di cambiamento
In base ai dati raccolti dalla mappatura, dai contatti effettuati dall’unità di strada e dai servizi erogati
dallo Sportello informativo, risulta che la percentuale dei minori trafficati costretti a prostituirsi sul
territorio romano è relativamente bassa. Parsec, infatti, non ha fino a questo momento elaborato
metodologie di intervento specificatamente rivolte a minori. Ciononostante, il gruppo di lavoro
considera indispensabile approfondire la conoscenza del fenomeno del traffico di minori in quanto
ritiene che esistano delle nicchie di mercato del sesso a pagamento poco visibili (e quindi
difficilmente accessibili) in cui alta è la richiesta di minori e, di conseguenza, elevato è il livello di
199
sfruttamento sessuale di questo specifico target. Si sottolinea comunque la presenza di persone quasi
maggiorenni (17 anni, 17 anni e mezzo) a cui vengono forniti gli stessi servizi previsti per le
maggiorenni. L’èquipe di strada e dello sportello informativo ha sottolineato l’inadeguatezza delle
disposizioni normative relative alla presa in carico di minorenni trafficate e sessualmente sfruttate.
Di fronte alla necessità di scegliere tra l’attivazione di un percorso che prevede la richiesta di un
permesso di soggiorno per minore età o di uno che consente di richiedere un permesso di soggiorno
per motivi di protezione sociale, si preferisce il secondo in quanto più tutelante per il minore che, al
compimento del 18° anno di età, non si vede così costretto a far ritorno al proprio paese di origine.
Approfondire la conoscenza del fenomeno del traffico di minori permetterebbe di elaborare
metodologia di intervento più adeguate per un target i cui bisogni devono essere distinti da quelli
delle persone maggiorenni. Se l’esperienza di violenze continue e di sottomissione a forme di
coercizione caratterizza in maniera variamente trasversale le persone che si prostituiscono, di varie
età ed etnie, si ritiene fondamentale costruire percorsi di accompagnamento psico-sociale
soprattutto per le vittime minorenni. Queste ultime infatti sono ritenute soggetti particolarmente
vulnerabili e da tutelare in quanto l’esperienza particolarmente brutale subita nella loro fase di
crescita personale e di formazione della propria identità di genere, in cui non hanno ancora a
disposizione strumenti interpretativi ed emozionali adeguati, può condizionare ineluttabilmente in
maniera negativa la loro vita futura. Per questa ragione si consigliano, soprattutto per le minorenni,
cicli di psicoterapia per aiutarle ad elaborare i propri vissuti ed affrontare in maniera consapevole e
positiva i progetti di vita futuri.
Infine, si ritiene importante promuovere attività di sensibilizzazione pubblica sia nei paesi di origine
sia in quelli di destinazione delle minori e delle donne che si prostituiscono. Tali attività dovrebbero
essere mirate a target group specifici attraverso l’utilizzo di messaggi e di strumenti ad hoc; in
particolare si sottolinea la necessità di realizzare azioni di sensibilizzazione nelle scuole e presso le
comunità per diffondere informazioni reali rispetto al fenomeno e alle conseguenze che esso
comporta.
La Dedalus (di Napoli)
Cenni storici
La Cooperativa Dedalus nasce a Napoli nel 1981 ad opera di un gruppo di sociologi, economisti ed
operatori sociali impegnati nei campi dell’inclusione socio-professionale di soggetti ad alto rischio
di esclusione, dello sviluppo dell’economia locale, della qualità dei servizi territoriali, della piccola
e della media impresa. Dedalus offre servizi di progettazione e di realizzazione di studi e di ricerche
negli ambiti sopra citati, attività di formazione, consulenza per piccole imprese, promozione di
eventi culturali. Fin dalla seconda metà degli anni ’80, Dedalus ha sviluppato un particolare
interesse per le tematiche legate all’immigrazione e all’inserimento di persone straniere nel mercato
del lavoro locale realizzando studi sul tema, progettando e implementando interventi mirati al
miglioramento delle condizioni socio-economiche della popolazione immigrata, ideando e gestendo
corsi di ri/qualificazione professionale, erogando servizi di consulenza e orientamento. Dal 2000, la
Cooperativa ha allargato il proprio bacino di intervento includendo come destinatarie finali delle
proprie attività anche le persone straniere vittime di tratta e sfruttamento sessuale presenti sul
territorio napoletano.
200
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
A Napoli, la prostituzione straniera di strada viene esercitata nella zona orientale della città, nei
quartieri limitrofi alla stazione ferroviaria centrale quali: Poggioreale, S. Giovanni a Peduccio,
Vicaria S. Lorenzo, Mercato Pendino, Vasto. Secondo le stime della mappatura realizzata dall’unità
di strada della Cooperativa Dedalus, in città sono presenti circa 450 persone straniere che si
prostituiscono in loco e altre 200 che risiedono a Napoli ma che si spostano in altre aree per
esercitare la prostituzione (provincia di Caserta, area Domiziana, zona pugliese). Rispetto alle
nazionalità, sono maggiormente presenti persone provenienti dalla Nigeria, dall’Albania,
dall’Ucraina, dalla Moldavia, dalla Romania e, in misura minore, dalla Bulgaria, dalla Macedonia,
dall’Ex-Yugoslavia e dall’ex-Urss. Molto consistente risulta essere anche la percentuale delle donne
provenienti da Algeria, Marocco e Tunisia, gruppi etnici poco presenti in altri territori italiani.
Quest’ultima infatti risulta essere una specificità dell’area napoletana che la differenzia dagli altri
centri urbani italiani. Si tratta di donne di una fascia d’età più alta (30-45 anni), che vivono con la
propria famiglia, che spesso hanno figli che costringono a vivere in situazioni di clandestinità.
Infine, i dati raccolti dall’Unità di strada confermano la storica presenza di transessuali, soprattutto
di nazionalità italiana.
La presenza di minorenni che si prostituiscono sembra essere molto bassa sul territorio napoletano;
nel corso dei due anni di implementazione del progetto di assistenza e di integrazione sociale,
infatti, sono state prese in carico 4 persone di età compresa tra i 16 e i 18 anni, tutte di origine
albanese, di cui 3 ragazze e 1 ragazzo transessuale. Solamente due di queste utenti sono entrate in
un programma di protezione sociale, una ha chiesto di ritornare nel paese di origine mentre il
ragazzo, inizialmente deciso ad usufruire delle possibilità offerte dall’art. 18, ha successivamente
scelto di rinunciarvi e di ritornare in strada. L’unità di strada ha registrato sporadicamente la
presenza di minorenni al di sotto dei 16 anni mentre ha rilevato l’esistenza di un certo numero di
persone appena al di sotto dei 18 anni che possono essere scambiate per maggiorenni, tuttavia tale
impressione non è stato possibile verificarla concretamente.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
Con l’attivazione - nella primavera del 2000 - del progetto art. 18 “La gatta”, la Cooperativa
Dedalus ha iniziato ad occuparsi del fenomeno della tratta di persone a scopo di sfruttamento
sessuale, nell’ambito del Programma di assistenza e integrazione sociale finanziato e gestito dal
Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Promosso e cofinanziato dal Comune di Napoli, il progetto “La gatta” si rivolge alle persone straniere che si
prostituiscono, ai loro clienti, agli operatori e alle operatrici dei servizi socio-sanitari e assistenziali,
agli/alle agenti delle forze di pubblica sicurezza e alla cittadinanza. Gli obiettivi principali
perseguiti sono:
-
offrire informazioni sulla tutela della salute, in particolare per la prevenzione delle malattie
trasmissibili sessualmente;
promuovere l’accesso ai servizi socio-sanitari attraverso l’accompagnamento del target e la
mediazione con il personale socio-sanitario;
sostenere ed accompagnare processi e percorsi di autodeterminazione e di inclusione sociolavorativa delle destinatarie finali del progetto.
Le principali attività promosse per il raggiungimento degli obiettivi citati sono:
201
Lavoro di strada: attraverso l’utilizzo di un’unità mobile, un’èquipe composta da operatori/trici
sociali e mediatrici linguistico-culturali avvicinano il target offrendo loro opuscoli informativi sulla
salute, le leggi relative alla tutela dei propri diritti/doveri, le risorse territoriali a cui accedere;
distribuendo prodotti di prevenzione e riduzione del danno; e, soprattutto, attivando una relazione di
aiuto.
Centro di ascolto: è un luogo aperto in cui le persone possono incontrare gli operatori, le operatrici e
le mediatrici linguistico-culturali per:
-
chiedere consigli e/o aiuto;
essere accompagnate nei diversi servizio socio-sanitari e assistenziali del territorio;
essere supportate nelle procedure di regolarizzazione giuridica.
Casa di accoglienza: offre ospitalità e percorsi di orientamento ed inclusione socio-lavorativa a
donne e minori straniere che vivono in condizioni di disagio al fine di promuovere il pieno accesso
e la fruizione dei loro diritti di cittadinanza. Anche per questo servizio, è stata attivata un’èquipe di
lavoro specializzata composta da operatrici sociali e mediatrici linguistico-culturali con
un’esperienza consolidata nel settore dell’immigrazione. Spesso, quando si hanno casi di donne con
figli o figlie minori, questi ultimi vengono seguiti anche dagli operatori di un progetto di tutoraggio
e sostegno all’inclusione rivolto ai/alle bambini/e e agli/alle adolescenti stranieri/e, sempre del
Comune di Napoli e gestito dall’Associazione Priscilla.
Particolare attenzione è stata posta nella fase di costituzione dell’équipe di lavoro che, nelle
intenzioni della cooperativa, doveva essere formata da un gruppo di professionisti/e specializzati in
grado di condividere la filosofia e la metodologia del progetto e, soprattutto, capaci di gestire e
rielaborare il carico emotivo delle esperienze vissute. L’équipe è costituita dal responsabile del
progetto avente il compito di garantire il buon svolgimento delle attività, di curare il rapporto con la
committenza e il coordinamento con i partner, seguire il funzionamento e la “manutenzione”
dell’équipe; da un assistente sociale sociologo incaricato di approfondire la conoscenza del
fenomeno e di verificare le capacità e le dinamiche relazionali tra gli operatori e tra quest’ultimi e il
target; da un sociologo responsabile del coordinamento e della produzione dei materiali di
mappatura, monitoraggio e verifica sull’andamento delle attività progettuali; da un operatore
sociale preposto a coordinare le uscite dell’unità di strada e le attività ad essa connesse; da una
educatrice di strada avente la funzione di raccogliere i bisogni espressi dal target, di supportare il
lavoro delle mediatrici linguistico-culturali e, soprattutto, di costruire reti informali con i diversi
attori del territorio; e infine da cinque mediatrici linguistico-culturali (due nigeriane, una albanese,
una polacca, una marocchina) che curano la fase di aggancio e di consolidamento della relazione
con le donne in tutte le diverse fasi e azioni progettuali. Al fine di mantenere costantemente
aggiornate le varie figure professionali coinvolte, vengono organizzati moduli formativi su
tematiche specifiche (tutela della salute, educazione alimentare, aggiornamenti sulla normativa,
etc.) o si prevede la partecipazione di alcune elementi dell’èquipe a seminari formativi organizzati
da altre agenzie pubbliche o private sociali. Oltre alle riunioni quindicinali di équipe,
periodicamente sono previsti: il monitoraggio delle attività, l’auto-valutazione sul lavoro svolto, le
supervisioni di gruppo con il supporto di figure professionali esterne.
Grazie all’intenso lavoro di networking coltivato in anni di lavoro, la Cooperativa Dedalus ha esteso
la rete di collaborazioni con diversi soggetti sia a livello territorio che nazionale. In particolare, per
il progetto “La gatta”, è stato consolidato il partenariato con la Asl Napoli 1 che ha individuato nel
Distretto 53 (territorio a più alta concentrazione della popolazione target) un presidio a bassa soglia
con prestazioni afferenti all’area del Materno-Infantile ed alle branche di Pediatria, Ginecologia,
202
Dermatologia e Malattie Veneree. Sono state inoltre attivamente coinvolte altre realtà territoriali
quali la Caritas, il Consorzio di cooperative sociali GESCO, l’Associazione di volontariato Priscilla
che hanno messo a disposizione le diverse competenze in base alle esigenze richieste dai singolo
casi. Al fine di garantire un buon livello di coordinamento e rafforzarne l’operatività, si è inteso
formalizzare l’esistenza della rete attraverso la creazione di un Tavolo di coordinamento e di
confronto, in particolare con funzioni di monitoraggio; la messa a regime e valutazione del servizio
e dei suoi risultati; l’organizzazione di momenti di formazione/aggiornamento comuni; la
produzione di relazioni periodiche.
Nel corso del tempo, la rete si è ulteriormente allargata inserendo sia altri soggetti “formali”
(comunità straniere, altre unità mobili, questura, etc.) sia coinvolgendo alcuni cosiddetti “operatori
ed operatrici informali” (volontari/e, il barista della stazione, alcune opinion leader individuate tra il
target di riferimento). Di fondamentale importanza è stata la collaborazione con solo con gli altri
progetti art. 18 presenti sul territorio e la postazione locale del Telefono Verde contro la Tratta ma
anche con i progetti disseminati in Italia e la postazione centrale del Numero Verde. La rete di
collaborazioni attivate dalla Cooperativa Dedalus coinvolge un numero molto più elevato di
soggetti tra cui, rispetto agli enti istituzionali, sono da citare il Comune di Napoli,
l’Amministrazione Provinciale di Napoli, la Regione Campania, la Questura di Napoli, l’Università
degli Studi di Napoli “Federico II”, Università degli Studi di Venezia, i Comuni di Pompei,
Castellammare di Stabia, Gragnano, Casalnuovo, S. Valentino, Eboli, la CGIL Campania, la
Camera di Commercio, l’Istituto Professionale di Stato per i Servizi Sociali di Sarno, l’Agenzia per
l’Impiego della Campania, la Società per Imprenditorialità Giovanile, l’Erfes, la Fivol, l’Ires
Campania, l’Ires Nazionale e Parsec.
Molti i soggetti del terzo settore con cui Dedalus lavora da tempo, tra cui si segnalano Caritas
regionale e Caritas di Napoli, Movi, Comunità di S. Egidio, Legambiente, Opera Nomadi, Nea,
Laboratorio Città Nuova, O’Pappece, Associazione Quartieri Spagnoli, Auser Campania, Il Pioppo,
Comunità straniere presenti in Campania. Infine, la Cooperativa Dedalus aderisce alla Legacoop ed
è socia del Consorzio di Cooperative Sociali Gesco Campania e dell’Associazione studi giuridici
sull’immigrazione (Asgi). Partecipa al “Comitato Cittadino permanente per i confronto e la
concertazione di strategie di lotta all’esclusione sociale” del Comune di Napoli ed, infine, è
riconosciuta quale “ente culturale di rilevante interesse regionale” (legge regionale 49/85).
Problemi e proposte di cambiamento
Nel corso dei due anni di intervento, la Cooperativa Dedalus ha riscontrato un numero molto basso
di minori costretti a prostituirsi sulle strade dell’area napoletana. Ciononostante, si riconosce la
necessità di identificare strumenti di lavoro adeguati per l’identificazione di quella fascia di minori
che “sfuggono” durante le fasi di mappatura e di monitoraggio del target analizzato. Ci si riferisce
in modo particolare al gruppo di minori comprese/i tra i 16 e i 18 anni che spesso vengono
erroneamente considerate/i come maggiorenni. I casi in cui è stata riscontrata la minore età
dell’utente, è stato sviluppato un intervento ad hoc basato sulla capacità di risposta del territorio e
sulla capacità degli operatori e delle operatrici e dei servizi di adeguarsi in corso d’opera alla
situazione che ci si trova a fronteggiare. Essendo questo un problema presente su tutto il territorio
nazionale, la Cooperativa ritiene indispensabile che la rete operanti nel settore dell’inclusione sociolavorativa di donne e minori trafficate elabori strumenti comuni per meglio individuare e, quindi,
rispondere ai bisogni specifici di un target particolarmente vulnerabile e soggetto a forme di
violenze particolarmente gravi.
203
In quest’ottica, Dedalus sottolinea l’importanza della necessità di studiare e di analizzare in maniera
approfondita il fenomeno del traffico di minori per meglio comprendere i meccanismi di tale realtà
ma soprattutto per delineare programmi individualizzati specifici di protezione sociale per minori e,
quindi, offrire soluzioni adeguate in termini di alloggio, di formazione e di inserimento
professionale; particolare attenzione deve essere attribuita alle caratteristiche del territorio in cui il
progetto viene sviluppato al fine di evitare processi di inclusione socio-professionale dagli esiti
precari che possono risultare negativi per la persona presa in carico. Per tale ragione rafforzare la
rete dei progetti a livello locale e nazionale attraverso la condivisione di know-how e di risorse può
rivelarsi uno strumento molto utile soprattutto quando si prendono in carico delle persone minori.
Progettare interventi professionali atti, da un lato, a tutelare donne e minori trafficate, dall’altro, a
contrastare le reti criminali organizzate dedite al traffico risulta sembra più difficile se il lavoro
delle agenzie del pubblico e del privato sociale non vengono adeguatamente sostenute a livello
organizzativo e finanziario dagli organi centrali. Viene ritenuta molto preoccupante la tendenza in
atto di diminuire progressivamente le risorse economiche a favore dei programmi di assistenza e di
integrazione sociale. La continua diminuzione dei fondi disponibili inficia gravemente la possibilità
di mantenere alto lo standard della qualità degli interventi avviati, di garantire un servizio regolare
ed efficiente al target che rischia sempre più di ritornare nel cono d’ombra - spesso caratterizzato da
gravi forme di violenza e coercizione - da cui si è cercato di farlo uscire attraverso un lavoro
professionale e costante che ha permesso la sperimentazione e l’attivazione di una politica sociale di
welfare mix basata su una stretta collaborazione tra istituzioni pubbliche ed agenzie del pubblico e
del privato sociale. Non destinare le competenze economiche necessarie per poter continuare a
svolgere adeguatamente il proprio lavoro significa non riconoscere a tali agenzie il ruolo di primo
piano svolto negli ultimi tre anni nella lotta al traffico di persone a scopo di sfruttamento sessuale.
La Fondazione Regina Pacis (di Lecce)
Cenni storici
Nata nel 1997 a San Foca di Melendugno (Lecce) come Centro di accoglienza per stranieri, oggi la
Fondazione Regina Pacis è diventata uno dei principali Centri di Permanenza e Temporanea
Assistenza per immigrati presenti in Italia. Gestito dall’Arcidiocesi di Lecce e finanziato dal
Ministero dell’Interno, il Centro ha ospitato 2.500 persone nel 1997, 9.000 nel 1998, 12.000 nel
1999. A questo progressivo aumento del numero di persone accolte, è corrisposto un ampliamento
della struttura sia a livello logistico che organizzativo. Nel 1999, considerata la percentuale
significativa delle ragazze e delle donne trafficate che venivano accompagnate dalle forze
dell’ordine e vista la possibilità offerta dall’art. 18 del D.Lgs. 286/98 di contribuire al loro
inserimento socio-lavorativo in Italia, il Centro ha presentato alla Commissione interministeriale per
l’attuazione dell’art. 18 il progetto “Ali nuove”. Da allora, il Centro Regina Pacis – trasformatosi
poco dopo in Fondazione – gestisce uno dei principali progetti italiani di assistenza e integrazione
sociale rivolto a donne e minori vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale.
La Fondazione Regina Pacis opera in un contesto territoriale particolarmente significativo rispetto
al fenomeno oggetto della presente ricerca: il Salento. L’estremità meridionale della Puglia è infatti
diventata negli ultimi quindici anni terra di sbarco e di passaggio per migliaia di persone che,
emigrando clandestinamente verso i paesi ricchi dell’Europa occidentale, vanno alla ricerca di un
lavoro che consenta loro di migliorare le proprie condizioni di vita e quelle della famiglia di origine.
Il primo contingente di donne e minori trafficate sbarcate in Puglia è stato registrato nel 1990. Si
204
trattava di donne nigeriane giunte sulle coste pugliese dopo un lungo viaggio via terra e via mare.
Nel 1990/91, dopo la caduta della dittatura in Albania, ebbe inizio il flusso di immigrati/e albanesi
verso l’Italia. L’emigrazione da una costa dell’Adriatico all’altra non ha mai registrato una battuta
d’arresto ma solo variazioni cicliche rispetto al numero delle persone entrate illegalmente sul
territorio italiano, alle rotte percorse e alle strategie attivate per raggirare le forze dell’ordine. Fu
proprio negli anni ’90 che la criminalità organizzata albanese cominciò a conquistare ampi spazi nei
diversi settori illeciti legati al traffico di droga, armi e sfruttamento della prostituzione fino ad
arrivare, nel 1999, ad ottenere quasi il monopolio totale del mercato della tratta di donne a scopo di
sfruttamento sessuale, non solo nell’area pugliese ma in molte altre regioni della penisola. A partire
dal 1995, poi, anche migliaia di donne moldave, ucraine, rumene, russe, bulgare iniziarono ad
entrare illegalmente in Italia attraverso il territorio pugliese utilizzando l’intermediazione di
organizzazioni criminali albanesi da cui, una volta giunte a destinazione, venivano controllate e
sfruttate.
La “questione” delle donne trafficate e costrette a prostituirsi interessa quindi da anni il leccese
anche se in maniera molto limitata. Infatti, l’area salentina è soprattutto luogo di transito e di
smistamento, solo una percentuale molto bassa di donne si ferma a Lecce - per brevi periodi - nella
zona del centro storico oppure nel territorio compreso tra Gallipoli e Lecce. La maggior parte delle
minori e donne infatti transitano solamente per un tempo molto limitato sul territorio pugliese,
dirette verso altre destinazioni italiane e europee.
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
Il fenomeno dell’immigrazione clandestina ha trasformato la Puglia in una zona di confine a cui
viene richiesto di rispondere per prima alle emergenze derivanti dai periodici flussi di immigrati/e.
Non è un caso perciò se nell’area leccese sono presenti ben tre centri di accoglienza che dal
momento della loro apertura ad oggi hanno ospitato centinaia di migliaia di persone immigrate.
Oltre alla “Fondazione Regina Pacis”, infatti, operano sullo stesso territorio anche il centro di
accoglienza temporanea “Lorizzonte” di Casalabate, gestito da CTM/Movimondo, e il centro di
prima accoglienza “Don Tonino Bello” gestito dal Comune di Otranto.
Il target principale del progetto “Ali nuove” è costituito da minori e da donne che, appena sbarcate
illegalmente lungo le coste pugliesi, vengono intercettate dalle forze dell’ordine e, in attesa
dell’accertamento della loro posizione e dell’eventuale espulsione dal territorio italiano, inviate al
Centro di permanenza temporanea e assistenza per immigrati di Melendugno ovvero alla
Fondazione Regina Pacis. Si tratta quindi principalmente di clandestine ospitate nel Centro a cui,
appurata la condizione di persona trafficata a scopo di sfruttamento sessuale, viene proposto di
partecipare al programma di assistenza e integrazione sociale gestito dalla Fondazione. Nel periodo
compreso tra il 1 marzo 2000 ed il 28 febbraio 2001, la Fondazione Regina Pacis ha
complessivamente preso in carico 124 donne provenienti da Moldavia, Ucraina, Russia, Bielorussia,
Kazakistan, Romania, Bulgaria, Albania, Marocco, Colombia e Nigeria. La maggioranza delle
donne è però rappresentata da moldave (64) e ucraine (24) giunte in Italia attraverso l’Albania
seguendo una rotta che ha previsto l’attraversamento dei seguenti Paesi: Romania, Ungheria,
Yugoslavia, Montenegro, Albania. La percentuale delle minori accolte è stata del 7.2% e, nello
specifico, si è trattato di 5 ragazze moldave, 3 rumene e 1 albanese.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
205
Attraverso il progetto “Ali nuove”, la Fondazione Regina Pacis offre le seguenti attività:
Accoglienza: viene garantita una forma di accoglienza unica per tutta la durata del percorso art. 18.
Le utenti prese in carico vengono ospitate a gruppi di 4-5 in una casa singola facente parte di un
piccolo comprensorio di abitazioni indipendenti che si sviluppano attorno ad un cortile. Questo
insieme di case si trova all’interno del Centro di Accoglienza Temporaneo, da cui è separato da un
cancello che può essere aperto su richiesta dall’agente delle forze dell’ordine in servizio. Questa
tipologia specifica di accoglienza abitativa è presente solo in questo territorio, quale conseguenza
della collocazione fisica del progetto di protezione sociale all’interno di una struttura adibita a
centro di detenzione temporanea per persone clandestine. Ciò significa che le donne sono
costantemente a contatto con le forze dell’ordine che 24 ore su 24 sorvegliano il centro. Al periodo
di accoglienza viene attribuito un ruolo centrale nel percorso di sganciamento fisico e psicologico
della persona trafficata dalle sue esperienze di sfruttamento o di progetto di sfruttamento.
Generalmente, alle donne non è permesso di uscire nei primi due mesi di attuazione del percorso
individuale, tale periodo è considerato un momento di “necessaria riflessione”. La convivenza con
le altre ragazze e donne viene considerata il luogo della “coscientizzazione”, dell’assunzione di
responsabilità, della destrutturazione dell’esperienze negative e della tendenza a riprodurre e a
imporre modelli gerarchici arbitrari e di potere sperimentati in prima persona. In questo contesto, le
utenti hanno accesso a:
-
servizio psicologico;
servizio di assistenza sanitaria;
servizio di assistenza e segretariato sociale.
Formazione professionale e inserimento lavorativo: durante il primo anno di implementazione del
progetto “Ali nuove”, all’interno della Fondazione Regina Pacis, è sorta la Cooperativa “Nuova
Europa” quale risposta operativa all’esigenza di inserire a livello lavorativo le donne accolte nel
progetto di protezione sociale. La cooperativa organizza corsi di formazione “tessile” che vengono
tenuti all’interno del laboratorio di sartoria attivato dalla Cooperativa stessa. L’inserimento
lavorativo viene effettuato sia all’interno della Fondazione sia all’esterno. Le donne, infatti, o
lavorano nella mensa e nella sartoria interne oppure vengono aiutate a trovare un impiego
all’esterno generalmente come bariste, assistenti agli anziani, operaie, commesse.
Le figure professionali direttamente impegnate nel progetto “Ali nuove” sono il direttore della
Fondazione e una mediatrice moldava che ha anche il compito di seguire la parte burocraticoamministrativa, in particolare, rilascio dei permessi di soggiorno, dei codici fiscali e dei tesserini
Stp. La mediatrice è in grado di parlare molte lingue, oltre al moldavo, infatti, conosce l’italiano, il
russo, il serbo, il rumeno, l’inglese e il turco. Trasversalmente coinvolti nel progetto sono anche una
serie di figure che lavorano per il centro di accoglienza temporanea.
Durante il primo anno di sperimentazione hanno partecipato all’attuazione del progetto il
Consultorio “La Famiglia”, la cooperativa “Nuova Europa” e, in qualità di supervisori, le cattedre di
Pedagogia interculturale e di Pedagogia sperimentale dell’Università di Lecce. Un ruolo
significativo viene svolto dalla comunità locale attraverso la Diocesi di Lecce e molti privati
cittadini/e che, a vario titolo, contribuiscono alla buona realizzazione del progetto. Ci si riferisce
soprattutto a chi volontariamente ha prestato servizio sia all’interno della struttura (dentista, autisti,
etc.) che all’esterno fornendo generi alimentari e materiali di consumo e fungendo da rete informale
per l’individuazione di posti di lavoro. Le forze dell’ordine rappresentano gli interlocutori principali
del Centro e, quindi, anche del progetto “Ali nuove”. Ciò è dovuto alla peculiarità della
collocazione del progetto (all’interno di un Centro di Accoglienza Temporanea dello Stato italiano)
206
e alla specificità del territorio (terra di sbarco clandestino). Non è un caso, infatti, che la quasi
totalità delle donne inserite nel progetto siano state inviate o dalla Polizia o dai Carabinieri o dalla
Guardia di Finanza.
Il Progetto “Ali nuove” ha attivato una serie di collaborazioni con agenzie del privato sociale in
altre aree della penisola. In particolare con il Centro Regina Pacis di Quinstello (MN), il
Consultorio cattolico e con i Salesiani di Vercelli, le Acli tedesche di Bolzano, la Caritas di La
Spezia. A livello territoriale, il legame più forte è quello con la Diocesi di Lecce e, quindi, il mondo
cattolico locale. Sembra comunque attiva la collaborazione con altri progetti art. 18 al di fuori della
regione.
Problemi e proposte di cambiamento
Nell’ottica della promozione di misure trasversali a livello locale e transnazionale, secondo la
Fondazione Regina Pacis é fondamentale lavorare con i paesi di origine delle/dei minori trafficate,
in particolar modo, attraverso la costruzione di una rete di agenzie pubbliche e private (sia italiane
che dei paesi di provenienza) e la realizzazione di strutture gestite direttamente nei paesi da cui
proviene il target. La Fondazione, ad esempio, ha aperto dei centri nei due principali paesi di
origine delle donne e delle minori prese in carico: Moldavia e Ucraina. Nella capitale moldava,
sono stati acquistati due appartamenti: uno per l’accoglienza e uno per attività di segretariato
sociale. Questi centri fungono sia da punto di riferimento per le famiglie delle donne accolte nel
progetto “Ali nuove”, per le donne rimpatriate e le loro famiglie, sia da punto di orientamento per
coloro che intendono partire per l’Europa occidentale. Attraverso questi centri vengono fornite
notizie sul fenomeno della tratta e le relative modalità di reclutamento; consulenza e mediazione per
la ricerca e l’attivazione di percorsi lavorativi regolari in Italia; aiuto e supporto alle famiglie, in
particolare ai figli e alle figlie, delle donne prese in carico dal progetto in Italia; rimpatrio volontario
assistito e sostegno nella fase particolarmente delicata del rientro in famiglia; promozione di
progetti individuali di inclusione sociale e professionale sia delle donne rimpatriate che delle donne
che chiedono un aiuto in loco. Al fine di facilitare il buon esito di tali attività si ritiene necessario
coinvolgere anche le istituzioni locali e, soprattutto, le ambasciate e le rappresentanze diplomatiche
dei paesi coinvolti.
Il ruolo della famiglia di origine deve essere maggiormente preso in considerazione nell’attivazione
dei programmi di protezione sociale rivolti a minori trafficati. Secondo i/le testimoni privilegiati/e
intervistati/e la famiglia è un valore su cui si deve fondare il progetto individualizzato in quanto non
si deve dimenticare che nella maggioranza dei casi la persona trafficata mira a realizzare un
progetto migratorio avente come finalità principale il sostentamento della famiglia in patria, di
conseguenza, essa deve essere contemplata negli obiettivi dell’intervento. Il mantenimento di
collegamenti con le famiglie di origine dovrebbe essere favorito e consolidato anche con l’invio
obbligatorio di denaro da parte delle persone trafficate, dal momento in cui iniziano a svolgere un
lavoro retribuito. Sempre nell’ottica della tutela della famiglia, si ritiene necessario facilitare le
procedure dei ricongiungimenti familiari, spesso troppo burocratiche, lunghe e, di conseguenza,
demotivanti per le/i minori accolte/i.
Allargare lo spettro di analisi delle tipologie di traffico e di intervento a favore di minori trafficati è
uno dei principali suggerimenti proposti dalla Fondazione Regina Pacis. Le persone intervistate
infatti hanno sottolineato l’esistenza di diverse forme e finalità di traffico che non vengono
adeguatamente valutate nel discorso generale su tale fenomeno, che tende a concentrarsi solamente
sulla tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Sembrano esistere altri traffici più nascosti e meno
considerati che interessano i/le minori di paesi poveri: quello per sfruttamento lavorativo che
207
coinvolge soprattutto minori costretti a chiedere l’elemosina o a fare il lavavetri, e ragazzine
impiegate come operaie in laboratori tessili clandestini; quello della vendita di neonati a coppie che
non possono avere figli; quello della vendita di organi; e infine quello che gestisce gli aborti
clandestini. E’ doveroso sottolineare che rispetto a tali tipologie di traffico non esistono tuttavia dati
ufficiali.
8.3 I servizi in Albania. Gli studi di caso
Save the Children Albania
Cenni storici
International Save the Children Alliance è la più grande organizzazione internazionale indipendente
attiva da anni nella promozione dei diritti dei bambini e delle bambine. Dell’Alliance fanno parte 30
uffici Save the Children nazionali mentre più di 120 sono i paesi in cui vengono realizzati dei
programmi di intervento a favore di minori.
In Albania, Save the Children ha avviato le proprie attività nel 2000.
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
La filosofia di Save the Children si basa sulla considerazione che i/le minori hanno il diritto di
essere protetti dalla violenza e dall’abuso, di godere di buona salute e di avere accesso
all’istruzione. “I bambini e le bambine hanno il diritto di parlare, di dire cosa vogliono e cosa si
aspettano dalle persone adulte. Hanno il diritto di prendere parte alle decisioni che riguardano il loro
futuro. Save the Children considera i/le bambini/e e i/le giovani partner che partecipano ai progetti
da cui traggono giovamento”. In questo contesto, si collocano le azioni di contrasto al traffico di
minori a scopo di sfruttamento sessuale.
Dal momento del suo insediamento ufficiale sul territorio albanese, diverse sono state le iniziative
promosse e gestite da Save the Children:
-
-
-
incaricare un giornalista (Daniel Stanton) di svolgere una ricerca sul traffico di minori a scopo
di sfruttamento sessuale; i risultati di tale indagine sono contenuti nel rapporto “Child
Trafficking in Albania” (trad. it.: Bambine in vendita. Un’indagine sul traffico dei minori
dall’Albania, a cura di S. Capra, 2002);
supporto tecnico e finanziario a “Vatra”, una organizzazione non governativa di Valona, per
l’attivazione di una casa-rifugio per l’accoglienza di donne trafficate o a rischio di traffico. La
casa-rifugio è stata aperta nel dicembre 2001;
incontri con minori e comunità locali; da questa esperienza è nata la partnership con l’ong
“Help the Children” per lo svolgimento di attività di prevenzione in due città particolarmente
colpite dal fenomeno del traffico;
208
-
-
-
progettazione, finanziamento e gestione di un programma regionale (Sud-est Europa) contro il
traffico di minori, che prevede lo svolgimento di una ricerca-azione in Albania, Bulgaria,
Croazia, Kosovo, Serbia e Romania. Il lavoro di ricerca è iniziato nel maggio 2002;
networking con una serie di persone e gruppi dell’ambito ISCA, operanti nel campo del traffico
di minori, che svolgono attività di advocacy a livello internazionale e di rappresentanza
all’interno della Task Force sul Traffico del Patto di Stabilità; networking con molte altre
agenzie, incluse IOM, ICMC, OSCE, ECPAT, DCI, ISS, Terre des hommes;
partecipazione a due conferenze nazionali sul traffico e adesione al nuovo gruppo (soprattutto di
ong internazionali) “Together against Trafficking”, costituitosi in seguito alla seconda delle due
conferenze citate.
Per quanto riguarda la definizione di traffico di persone utilizzata, Save the Children fa riferimento
a quella contenuta nella Convenzione contro il Crimine Transnazionale Organizzato (Protocollo di
Palermo), adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel novembre 2000. Rispetto ai
minori, in tale Protocollo, tutte le forme di traffico a scopo di sfruttamento vengono considerate
“non volontarie”, indipendentemente dal fatto che sia o non sia stata utilizzata la forza o l’inganno,
di conseguenza, la tratta viene ritenuta a pieno titolo una violazione dei diritti dei/delle minori.
In alcuni paesi dell’Europa occidentale, l’età del cosiddetto “consenso legale” ad avere rapporti
sessuali è stata fissata al di sotto dei 18 anni e l’esercizio della prostituzione viene considerato
legittimo. Secondo Save the Children, non è molto chiaro come questo tipo di leggi influenzino i
diritti dei minori rispetto alla loro tutela contro lo sfruttamento sessuale e lavorativo.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
Save the Children, affiliata all’International Save the Children Alliance, é membro di “Together
against Trafficking”, una federazione di ong internazionali che lavorano in Albania, nel cui
consiglio consultivo siedono anche rappresentanti di alcuni ministeri albanesi. Ha stabilito
collaborazioni significative - attraverso lo stanziamento di fondi - con importanti agenzie locali che
lavorano specificatamente contro il traffico di persone. Inoltre, a breve, Save the Children entrerà a
far parte del nuovo gruppo contro la tratta di recente costituitosi in Albania.
I gruppi di lavoro Save the Children attualmente impegnati in Albania sono 8. essi realizzano la
maggior parte delle attività in collaborazione con il governo albanese e con organizzazioni partner
locali e internazionali. Lo staff é composto da persone regolarmente assunte a cui, per brevi periodi,
si aggiungono - quando le risorse lo permettono – dei/delle volontari/e (in genere si tratta di studenti
dell’ultimo anno dell’Università di Tirana). In certi casi, però, alcune attività vengono svolte da
personale volontario o semi-volontario appartenente alle agenzie partner. Save the Children
attribuisce un ruolo molto importante alla formazione e all’aggiornamento sia dello staff interno che
di quello delle organizzazioni con cui lavora. Le attività formative comprendono corsi, visite di
studio, scambi nazionali ed internazionali e formazione sul lavoro.
I soggetti beneficiari dei programmi attivati non si rivolgono direttamente a Save the Children ma
alle agenzie con cui essa collabora e supporta finanziariamente. Elaborando i dati forniti dall’ong
“Vatra” - riferiti alle ragazze e alle donne ospitate nella casa-rifugio di Valona dal gennaio al marzo
2002 - è possibile tratteggiare un quadro generale, tuttavia non esaustivo, delle principali
caratteristiche del target. Nel periodo preso in esame, sono state accolte 86 donne albanesi e 8
donne straniere, di cui 71 risultavano essere state trafficate. Delle persone prese in carico, 17 erano
di anni 18 o minorenni; 28 di età compresa tra i 19 e i 25 anni; e 26 tra i 25 e i 30 anni. I luoghi
principali di origine sono risultati essere Tirana (15) e Valona (14), porto da cui é partita la
209
stragrande maggioranza delle utenti; le donne rimanenti provenivano da altre aree (sia rurali che
urbane) dell’Albania, e da paesi dell’ex-blocco sovietico. Il livello di istruzione registrato é di tipo
medio, nello specifico: 2 donne sono risultate essere analfabete; 3 con un diploma di scuola
elementare; 47 con un diploma di scuola media; 12 con un diploma di scuola superiore; e 4 con un
diploma universitario. Rispetto alle modalità di reclutamento, 24 hanno dichiarato di essersi recate
volontariamente all’estero; 17 in seguito ad una falsa promessa di matrimonio o subito dopo essersi
fidanzate; 11 per una promessa di impiego presto rivelatosi inesistente; mentre 5 sono state
trafficate da membri della propria famiglia. Le donne hanno dichiarato di essere soddisfatte del
supporto e dell’aiuto ottenuto nel periodo di permanenza nella casa-rifugio di Valona, e di essere
desiderose di ritornare a casa per riunirsi alla famiglia di origine. Ma secondo un’indagine
effettuata, nei 3 mesi successivi al ritorno in famiglia, quasi la metà delle donne risulta aver
abbandonato nuovamente il tetto familiare, si suppone che molte di esse siano ritornate,
volontariamente o no, a lavorare come prostitute.
Sono state distribuite 1.500 copie del rapporto “Child trafficking in Albania” a rappresentanti di
governo, scuole, ong, forze dell’ordine e magistratura, a cui è stato inviato in allegato anche un
questionario da compilare e restituire a Save the Children. Al momento della stesura del presente
rapporto di ricerca, erano stati ricevuti solamente 33 questionari compilati, un campione troppo
esiguo per poter trarre delle conclusioni significative, ciononostante si riportano qui alcuni dati
interessanti elaborati in base alle informazioni finora raccolte:
-
7 persone hanno dichiarato di non aver mai sentito parlare di traffico di minori;
i suggerimenti indicati per prevenire la tratta di minori sono stati: migliorare il livello di
istruzione (22); ridurre la povertà (18); sensibilizzare l’opinione pubblica (14); implementare
leggi specifiche contro il traffico (10); migliorare le politiche (8) e rafforzare le strutture
familiari (7).
Problemi e proposte di cambiamento
Save the Children ritiene fondamentale che il rimpatrio delle ragazze e delle donne debba essere
volontario e supportato da un programma di reintegrazione adeguato in grado di offrire alternative
reali a coloro che ritornano in patria e che devono affrontare una serie di ostacoli che possono
mettere in pericolo il loro processo di inserimento sociale e lavorativo. Applicare una politica di
rimpatrio coatto può produrre effetti negativi, in primis, incoraggiare le donne a fuggire
nuovamente; ed è proprio per questa ragione che Save the Children considera necessario prevedere
anche nei paesi di destinazione delle vittime del traffico programmi specifici di accoglienza e di
inclusione socio-professionale.
In base all’esperienza maturata sul territorio albanese, Save the Children ha individuato una serie di
elementi che tendono ad ostacolare il buon funzionamento di una politica efficace contro il traffico,
quali:
-
-
incapacità del governo di implementare una strategia ad ampio raggio contro il traffico di esseri
umani; e di allestire strutture adeguate in cui rinchiudere i responsabili di tale crimine;
risposte inadeguate e “irresponsabili” alla tratta di minori da parte dei paesi di destinazione,
come, ad esempio, effettuare rimpatri coatti senza appurare l’esistenza delle garanzie sufficienti
per poter attivare tale misura;
coordinamento inadeguato ed insufficiente tra le attività svolte dalle varie agenzie impegnate nel
settore, in particolar modo viene sottolineata la mancanza di strutture specializzate per la
cooperazione tra società civile e le istituzioni governative (ad es. le forze dell’ordine);
210
-
assenza di strutture necessarie, ad esempio, per l’avvio e la gestione di programmi di protezione
di testimoni;
carenza di servizi adeguati, ad esempio, luoghi e spazi per progetti di reintegrazione, servizi
sociali a favore di vittime di violenza domestica;
povertà e problematiche da essa derivanti, che continueranno ad incoraggiare i/le minori a
cercare un futuro migliore altrove;
assenza di opportunità legali per immigrare alla ricerca di un lavoro;
continua crescita della considerazione, presso alcune comunità, del traffico quale mezzo di
sopravvivenza; incapacità di reagire per paura;
discriminazioni e restrizioni a danno delle ragazze perpetrate nell’ambito della famiglia e della
società, che le spingono a scappare e che rendono la loro reintegrazione alquanto difficile.
In questo contesto, Save the Children offre consulenza specialistica rispetto alle tematiche connesse
al traffico e allo sfruttamento di minori, in particolare, attraverso l’utilizzo di ricerche-azione,
attività di advocacy e networking, sia a livello locale che europeo. Non ha ancora tuttavia concluso
il rapporto sul traffico di minori che le permetterà di condurre azioni di advocacy in maniera ancora
più mirata ed efficace. Sempre in questa prospettiva, Save the Children intende condurre, nell’area
del Sud-est europeo, una regolare attività di consultazione con i/le minori trafficate o a rischio di
traffico al fine di meglio rappresentare le loro opinioni e di lavorare nel loro interesse.
In Albania, Save the Children ha costruito legami significativi con gruppi della società civile, ritiene
tuttavia di non essere ancora riuscita a stabilire delle relazioni efficaci per realizzare le attività di
supporto e di lobbying con istituzioni del governo centrale e regionale. Secondo i testimoni
privilegiati intervistati, fino a poco tempo fa, il governo non accettava apertamente il fatto che
l’Albania fosse il paese di origine principale dei minori trafficati/e e, ad oggi, continua a contestare i
dati (molto alti) relativi a tale fenomeno indicati da Save the Children. La debolezza e le divisioni
esistenti all’interno della compagine governativa albanese hanno costituito un ostacolo e hanno
ritardato l’implementazione di azioni in cui è necessaria una presa di posizione istituzionale
nazionale molto forte, arrivando a negare l’impellente necessità di ottenere lo stanziamento di fondi
per combattere il traffico. La corruzione, poi, all’interno di strutture-chiave, quali quelle delle forze
dell’ordine e della magistratura, ha minato pesantemente l’efficacia degli sforzi messi in campo per
contrastare il fenomeno in oggetto; secondo Save the Children è doveroso sottolineare tuttavia che
molti rappresentanti della polizia si sono dimostrati disponibili a collaborare.
Positiva la valutazione dell’impegno delle ong locali, anche se il loro numero è ancora alquanto
esiguo e i servizi che sono in grado di erogare sono limitati a: case di accoglienza temporanea, un
programma di reintegrazione, attività di counselling. Un ruolo significativo risulta essere svolto dai
media locali che, attraverso la pubblicazione di notizie e la messa in onda di servizi e trasmissioni
ad hoc, contribuiscono a diffondere informazioni sul traffico di esseri umani. Infine, secondo Save
the Children non esiste ancora un supporto sufficiente a livello internazionale per
l’implementazione e il monitoraggio di progetti per contrastare il traffico di minori in Albania.
Dalle conoscenze e dalle competenze finora maturate, Save the Children propone le seguenti misure
per contrastare il fenomeno del traffico in Albania:
-
-
misure generali contro la povertà nei paesi di origine al fine di offrire la prospettiva di un futuro
dignitoso, e attivazione di attività specifiche (formazione professionale, costituzione di nuove
associazioni, etc.) rivolte a minorenni;
misure per garantire e promuovere forme di emigrazione legali, al fine di ridurre il numero di
persone che utilizzano canali irregolari per emigrare;
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-
-
-
riflessione sul ruolo esercitato dalla violenza domestica (fisica/psicologica/sessuale)
nell’incoraggiare i/le minori ad abbandonare il tetto familiare, e campagne di sensibilizzazione
in merito a tale argomento;
programmi continuativi di sensibilizzazione pubblica, mirati a target specifici e con messaggi ad
hoc, che comprendano sia campagne di sensibilizzazione dirette ai clienti delle prostitute che
campagne che incoraggino le comunità locali a proteggere i propri figli e le proprie figlie;
misure pratiche per stimolare i/le minori a frequentare la scuola e continuare gli studi, al fine di
dotarli delle capacità necessarie per competere su un mercato del lavoro in continuo e rapido
mutamento;
sostegno, a livello europeo, di una chiara politica unitaria sul traffico e la volontà e i mezzi per
implementarla;
promozione dell’attivazione di una struttura unica e chiara negli intenti, con la rappresentazione
obbligatoria, per la cooperazione tra le agenzie sia a livello regionale che nazionale, e di
organismi che assicurino l’assunzione delle responsabilità e la realizzazione concreta delle
azioni delineate nelle strategie nazionali;
promozione di migliori (e non ulteriori) politiche e cooperazione rafforzata tra le forze
dell’ordine a livello internazionale;
appoggio di una politica mirata a sradicare la corruzione all’interno delle forze dell’ordine e
della magistratura, e a mettere nelle condizioni di non avere paura delle intimidazioni coloro che
lavorano in prima linea contro il traffico;
sostegno (possibilmente anche da parte delle stesse prostitute) alle prostitute più giovani,
informandole sui rischi e le buone pratiche di lavoro relative alle malattie sessualmente
trasmissibili, all’Hiv/Aids, all’uso dei preservativi, e fornendo loro indicazioni specifiche sui
servizi sanitari e sulle forme e le strutture di aiuto disponibili per minori trafficati/e e costretti/e
a prostituirsi;
promozione di modifiche legislative e pratiche per fermare il rimpatrio coatto; offerta di
programmi di protezione per i/le testimoni, in un paese terzo se necessario, e per minori
trafficati/e a cui accordare la protezione speciale prevista dalla Convenzione dei Diritti del
Fanciullo e da altre convenzioni internazionali;
attivazione di nuovi servizi sociali specializzati per minori trafficati/e (case di accoglienza,
counselling e supporto medico, formazione professionale, protezione delle vittime, etc.).
Terre des hommes (Albania)
Cenni storici
Terre des hommes è una organizzazione no profit fondata nel 1959 a Losanna (Svizzera), diventata
in pochi anni un movimento internazionale e un punto di riferimento principale per la promozione
dei diritti dei bambini e delle bambine. Negli anni successivi alla sua nascita, infatti, altre sedi del
movimento sono state aperte in diversi paesi del mondo, costituitesi formalmente in una federazione
(International Federation Terre des Hommes) nel 1966. Nel corso degli anni, le attività di Terre des
hommes, da un iniziale modello di intervento basato sull’assistenza individuale dei/delle minori, si
sono orientate verso un approccio più ampio comprendente anche il coinvolgimento della comunità
locale e nazionale. L’obiettivo di Terre des hommes è di “affrontare alla radice le cause dei
problemi che colpiscono i bambini e le bambine, nel pieno rispetto delle loro culture di
appartenenza”.
212
I movimenti nazionali attivi sono 9 e sono dislocati nei seguenti paesi: Belgio, Canada, Danimarca,
Francia, Italia, Germania, Lussemburgo, Siria e Svizzera (in questo paese l’organizzazione è
suddivisa in due sezioni: Basilea e Ginevra); la sede centrale della Federazione internazionale si
trova a Losanna. La Federazione è costituita da organizzazioni nazionali “indipendenti che operano
autonomamente ma che condividono lo stesso nome, mirano allo stesso obiettivo, utilizzano metodi
di lavoro simili e collaborano a progetti comuni”. Le persone regolarmente impiegate negli uffici e
nei progetti sono 216 mentre ben 6470 circa sono i volontari e le volontarie che partecipano alle
attività promosse nei vari paesi.
La missione di Terre des hommes é la tutela dei diritti dei/delle minori e del loro processo di
crescita in un ambiente socio-culturale scevro da discriminazioni basate sull’etnia, la cultura, il
genere e la religione di appartenenza. Per realizzare tale obiettivo, Terre des hommes sostiene
progetti di sviluppo finalizzati a “migliorare le condizioni di vita di bambini e di bambine
svantaggiate, delle loro famiglie e delle loro comunità”. Attualmente Terre des hommes finanzia
806 progetti in 66 paesi del mondo e lavora in collaborazione con 519 ong locali e nazionali; essa è
inoltre particolarmente impegnata nelle attività di sensibilizzazione, advocacy e networking a livello
nazionale ed internazionale. Significativo risulta essere l’impegno e la collaborazione nell’ambito
del Group for the Convention on the Rights of the Child, una organizzazione non governativa di cui
è membro.
Terre des hommes ha iniziato le sue attività in Albania e in Grecia a partire dal gennaio 2000
attraverso la realizzazione di una ricerca esplorativa sulla tematica del traffico di minori. Il primo
progetto di prevenzione é stato invece implementato tra l’ottobre 2000 e il dicembre 2001, mentre
dal gennaio 2002 ha avviato un progetto più ampio denominato “Transnational Action against
Child Trafficking” (TACT) che comprende le seguenti aree di intervento; prevenzione, protezione,
rimpatrio volontario e reintegrazione assistita. Una larga parte delle attività è inoltre dedicata a
sostenere lo sviluppo di azioni coordinate e continuative con ong nazionali ed internazionali,
autorità nazionali (del paese di origine e di destinazione) e organizzazioni intra-governative.
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
Terre des hommes ha fatto propria la definizione adottata dal Protocollo di Palermo secondo cui il
traffico é: “il reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o accogliere persone, tramite
l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode,
inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme, di
danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di
sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o
altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche
analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”.
Secondo Terre des hommes l’equazione “traffico di minori = sfruttamento sessuale” non è corretta.
Le finalità del traffico si sottolinea variano in base all’età, al genere, al luogo di destinazione del/la
minore e alla tipologia delle rete criminale da cui viene trafficato/a e sfruttato/a. L’unico obiettivo
del trafficante è trarre il più alto profitto possibile dal suo “investimento”, in tale prospettiva, ad
esempio, può costringere un/a minore a vendere fiori di giorno e a prostituirsi di notte. Dalle
testimonianze raccolte risulta che alcune minori vengono inizialmente condotte in Grecia e, poi, in
Italia, passando attraverso l’Albania. L’età media è piuttosto bassa: sono state contattate bambine di
10 anni, ma è attorno ai 12 che una minore risulta essere particolarmente a rischio in quanto più
213
“interessante” dal punto di vista del trafficante. Violenza, coercizione e inganno sono gli strumenti
utilizzati per costringere i/le minori a prostituirsi.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
La missione Terre des hommes in Albania sta lavorando per la costituzione di un’organizzazione
ombrella - denominata “All Together Against Child Trafficking” (ATACT) - che raccoglie 9 ong
locali e internazionali. ATACT intende operare su quattro assi principali: Prevenzione, Protezione,
Rimpatrio volontario assistito e Reintegrazione. Nel “modello di azione” adottato, la reintegrazione
è l’obiettivo finale principale. Terre des hommes ha firmato degli accordi con il Ministero del
Lavoro e degli Affari Sociali albanese e con il Ministero dell’Istruzione e delle Scienze che
prevedono il suo coinvolgimento nell’attuazione della strategia quinquennale nazionale contro il
traffico di esseri umani. Ha inoltre stipulato accordi di co-finanziamento e di collaborazione con
agenzie intergovernative quali Unicef, Ilo Ipec e Oim; infine, ha coinvolto una serie di ong albanesi
e greche nelle attività di ATACT, a cui aderiscono anche rappresentanti di autorità nazionali e di
organismi internazionali.
La sede albanese principale di Terre des hommes si trova ad Elbasan, mentre altri 2 uffici sono stati
allestiti in altrettanti punti-chiave: Tirana e Korce. Nell’ufficio centrale lavorano 6 persone: il capo
missione responsabile dell’intervento in Albania e del coordinamento generale dei progetti; il
coordinatore delle attività organizzate nell’ambito del “Transnational Action against Child
Trafficking” nell’area dell’Albania centrale; 3 agenti di prevenzione incaricati di svolgere azioni
mirate nelle scuole, all’interno delle famiglie e nei quartieri. La sede di Tirana è gestita da 1
coordinatore di progetto che si occupa di coordinare le attività svolte con i partner nazionali e di
contribuire alle attività realizzate da “All Together Against Child Trafficking”. A Korce, invece, lo
staff è composto da: 1 coordinatore del progetto “Transnational Action against Child Trafficking”
nell’area dell’Albania meridionale e da 3 agenti di prevenzione. Terre des hommes ha aperto un
ufficio anche in Grecia, a Tessalonicco, in cui sono impiegati 2 ricercatori sociali che svolgono
attività di ricerca sul campo e si occupano di protezione e di rimpatrio volontario assistito. Terre des
hommes non utilizza direttamente personale volontario all’interno delle proprie équipe di lavoro,
tuttavia è possibile che le ong locali con cui collabora abbiano al proprio interne volontari/e. La
formazione è considerata un’attività molto importante che garantisce il trasferimento di know-how
specifico per poter lavorare adeguatamente in un dato contesto socio-culturale. Diverse infatti sono
state le sessioni formative organizzate da Terre des hommes per lo staff impiegato nei vari uffici in
Albania.
Nella tabella seguente si propongono in maniera schematica le caratteristiche del target e
l’approccio e gli strumenti adottati dai vari settori progettuali di intervento gestiti da Terre des
hommes in Albania:
214
Settore
Prevenzione
N.
beneficiari/e
6.000
Caratteristiche
target
Scolari dai 6 ai 14 anni che
vivono nelle aree povere del
paese, in cui i reclutatori sono
particolarmente attivi
Protezione
350
Minori considerati “a rischio”: in
genere si tratta di maschi (65%)
dai 4 ai 15 anni che sono già stati
trafficati o che sono già in
contatto con dei trafficanti. Si
tratta di minori con uno scarso
livello di istruzione e di
informazione, con famiglie
disfunzionali, il cui 95%
appartiene alla comunità zingara
“egiziana”.
Individuazione del
target attraverso visite
nelle scuole di
campagna, monitoraggio
delle famiglie e lavoro
di strada.
Obiettivo:
reintegrazione scolastica
e offerta di attività
formative.
12
Minori trafficati (6 maschi e 6
femmine) in Grecia, provenienti
da aree povere del paese e tutti
appartenenti a famiglie zingare
“egiziane” disfunzionali, con uno
scarso livello di istruzione e di
informazione.
Rimpatrio assistito in
collaborazione con ong
greche e le autorità
locali.
Obiettivo:
reintegrazione in
famiglia.
Rimpatrio volontario
assistito
Approccio/Strumenti
Proiezioni di video di
testimonianze sul
traffico e discussioni in
classe
Obiettivo: integrazione
scolastica
Nello schema qui sotto riportato vengono evidenziate le attività sviluppate dalla missione Terre des
hommes in Albania e le relative difficoltà incontrate dallo staff nella loro realizzazione:
Iniziative implementate
Ostacoli incontrati
Ricerca in Albania e in Grecia
Scarso livello di sicurezza e di cooperazione con le
autorità nazionali del paese di destinazione (Grecia)
Prevenzione (comprendente campagne di
sensibilizzazione nelle scuole; individuazione,
registrazione e raccolta di testimonianze, assistenza
e follow-up sociale alle famiglie, etc.)
Scarso livello di sicurezza
215
Rimpatrio volontario assistito
Protezione (indagini effettuate in Grecia sulla strada
in collaborazione con una ong locale, rimpatrio
volontario assistito nel paese di destinazione)
Reintegrazione
Scarso livello di sicurezza e di cooperazione con le
autorità nazionali del paese di destinazione
(Grecia); procedure molto lunghe e non adeguate
per il rimpatrio di minori (a livello statale e di ong)
Scarso livello di sicurezza e di cooperazione con le
autorità di polizia per i minori (in Grecia e Albania)
Scarso livello di sicurezza e rischio per i/le minori
di essere nuovamente trafficati/e attraverso altre
reti.
Problemi e proposte di cambiamento
Secondo la missione Terre des hommes albanese due sono le priorità principali da affrontare per
promuovere il lavoro di prevenzione e di reintegrazione di minori trafficati in Albania. Innanzitutto,
migliorare le condizioni socio-economiche della famiglia. Le famiglie ad “alto rischio” di traffico
sono quelle particolarmente povere, che vivono con 40-50 centesimi di euro per persona al giorno.
Determinante, quindi, diventa organizzare interventi per la distribuzione di cibo e beni primari e
garantire l’istruzione ai bambini e alle bambine. Quindi, investire in progetti mirati a garantire la
sicurezza. I legami tra componenti della famiglia, parenti e trafficanti sono forti. I rischi che un/a
minore venga ri-trafficato/a sono molto alti e continui. Di conseguenza, la necessità di proteggere i
bambini e le bambine è costante. Gli operatori e le operatrici che lavorano nell’ambito sociale e di
prevenzione sono spesso sottoposti a situazioni pericolose e, per di più, la cooperazione con le forze
di polizia è “delicata”, per queste ragioni si ritiene di estrema importanza attivare programmi che
tutelino i/le minori da un lato e chi opera in loro favore dall’altro.
In questo contesto, il ruolo di Terre des hommes è complementare a quello svolto dai servizi sociali,
dalla polizia e dalla magistratura. Negli ultimi mesi, è stato registrato un livello di collaborazione
particolarmente efficace con l’unità anti-traffico della polizia albanese, con la polizia greca
specializzata in minori e con il giudice greco dei minori di Tessalonicco. Si riscontra tuttavia un
tardivo riconoscimento del fenomeno del traffico di minori sia da parte del governo albanese che di
quello greco, di conseguenza, le risposte di contrasto finora attivate risultano essere inadatte e
insufficienti. Ciononostante, si riconosce al governo albanese di aver fatto, nel corso dell’ultimo
anno, degli sforzi significativi per la progettazione e l’implementazione di una strategia
quinquennale finalizzata a contrastare efficacemente il fenomeno e il cui successo dipenderà anche
dal supporto dei paesi confinanti e della comunità internazionale.
In Albania, il ruolo dei servizi sociali non è ritenuto ancora sufficientemente forte e strutturato per
poter contribuire al rafforzamento degli interventi contro il traffico di minori attualmente in corso.
Terre des hommes, attraverso la sua missione in Albania, intende coinvolgere sistematicamente i
servizi sociali in quanto essi rappresentano i nodi centrali della rete locale in grado di garantire la
diffusione di una cultura di tutela e di cura dei/delle minori.
Terre des hommes considera fondamentale che le autorità pubbliche, le organizzazioni non
governative locali ed internazionali, gli organismi transnazionali concentrino i propri sforzi su
azioni coordinate in grado di produrre risultati effettivi ed efficaci sia sul piano locale che su quello
internazionale. In particolare, ritiene necessario passare dalla fase della sperimentazione delle buone
pratiche a quella della loro definitiva applicazione, regolata da procedure formali. Le pratiche finora
implementate si sono dimostrate efficienti, adatte al contesto specifico e, soprattutto, rispettose dei
216
diritti dei/delle minori. Stipulare accordi bilaterali per il rimpatrio volontario assistito tra l’Albania e
i paesi di destinazione diventa, secondo Terre des hommes, l’unica soluzione possibile per garantire
il ritorno sicuro ed un efficace processo di reintegrazione dei/delle minori trafficate.
L’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (Presence in Albania)
Cenni storici
L’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OCSE), istituita nel 1961 con la
Convenzione sull’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico in sostituzione
dell’OECE, creata nel 1948 per amministrare il Piano Marshall nell’ambito della ricostruzione
postbellica dell’economia europea, rappresenta oggi la più grande organizzazione sulla sicurezza
regionale. Essa è infatti composta da 55 paesi dell’Europa, dell’Asia centrale e del Nord America ed
impiega circa 4.000 persone nei vari paesi partecipanti in qualità di promotori o di beneficiari delle
attività finanziate ed implementate, in particolare nelle missioni attive nelle aree del Sud-est
Europa, dell’Est Europa, del Caucaso e dell’Asia centrale.
Il mandato principale dell’OSCE è di “perseguire il ‘paradigma triangolare’ costituito da crescita
economica, coesione sociale e stabilità politica”. L’approccio ai temi della sicurezza è globale e
basato sulla cooperazione tra Stati membri e Stati partecipanti, a cui viene riconosciuto lo stesso
status e potere decisionale. Le questioni di cui l’OCSE si occupa riguardano un range piuttosto
ampio di tematiche concernenti la sicurezza: controllo delle armi, diplomazia “preventiva”, misure
di costruzione di sicurezza, diritti umani, democratizzazione, monitoraggio elettorale, sicurezza
economica e ambientale. Le attività principali promosse dall’OCSE per implementare e raggiungere
i propri obiettivi sono:
-
Raccolta e armonizzazione di dati;
Elaborazione di studi;
Disponibilità di uno spazio di incontro intergovernativo;
Attività preparatoria di incontri internazionali ad alto livello;
Stabilimento di principi comuni;
Predisposizione di intese con valore vincolante e di Convenzioni.
La sede principale dell’OCSE si trova a Vienna mentre altri uffici e istituzioni ad essa direttamente
afferenti sono stati istituiti in altre città europee, quali: Copenhagen, Ginevra, L’Aia, Praga e
Varsavia.
La Presenza OCSE in Albania ha avviato le proprie attività nell’aprile del 1997 con il mandato di
fornire assistenza e aiuto alle autorità albanesi sui temi relativi alla democratizzazione del paese,
allo sviluppo di mezzi di comunicazione liberi, alla promozione del rispetto dei diritti umani e alla
preparazione delle elezioni. A partire dalla fine dello stesso anno, il Consiglio Permanente ha
incaricato la Presenza di fungere anche da soggetto coordinatore tra le varie organizzazioni
internazionali impegnate in Albania a promuovere il processo di stabilizzazione e di
217
democratizzazione interna. Il quartiere generale dell’OCSE si trova a Tirana ma essa è presente su
tutto il territorio albanese attraverso 11 sedi periferiche.
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
Rispetto alle attività contro il traffico di persone, l’OCSE svolge il ruolo di agenzia di riferimento
per le istituzioni locali, le organizzazioni internazionali, le ong locali e straniere. Nell’ambito delle
proprie attività, a partire dal 1998 l’OCSE ha iniziato a promuovere e supportare azioni di contrasto
contro il traffico di persone, senza operare una distinzione specifica tra le varie forme di tratta. La
definizione di traffico adottata è quella contenuta nel Protocollo addizionale di Palermo che non
riconosce nessuna forma volontaria di tratta di minori, indipendentemente dal fatto che sia o non sia
stata utilizzata la forza o l’inganno nel condurre il/la minore in un altro paese per poi sfruttarlo.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
Il quartiere generale della Presenza OCSE in Albania si trova a Tirana, dove sono impiegate 45
persone, mentre in ciascuna delle 11 sedi distaccate vi lavorano 3 persone, con un mandato che
spazia dal controllo delle frontiere, alla raccolta delle armi, ai rapporti con i media, al rispetto dei
diritti umani, al monitoraggio delle carceri e della risoluzione dei conflitti politici. In particolare,
nella sede principale di Tirana, 2 persone lavorano specificatamente nell’ambito della promozione e
della tutela dei diritti umani, contesto in cui vengono collocate le attività contro il traffico. Tutto il
personale OCSE deve avere essere competente in materia di diritti umani di base e, per garantire
tale preparazione, viene fornita una formazione iniziale ad hoc a tutti i componenti dello staff che,
comunque, per ogni evenienza possono rivolgersi direttamente al personale esperto presso l’Ufficio
Diritti Umani del quartiere generale di Tirana.
Le attività principali implementate dalla Presenza OCSE in Albania sono gestite e coordinate dai
seguenti settori in cui l’organizzazione è suddivisa:
-
Affari Politici;
Osservazione Parlamentare;
Governo Locale;
Applicazione della Legge;
Economia e Ambiente;
Stampa e Informazione Pubblica;
Diritti Umani;
Gruppo Amici dell’Albania/Coordinamento dei Donatori;
Dimensione Umana/Supporto alle Ong.
E’ soprattutto negli ultimi 3 settori che vengono promosse le azioni a sostegno della lotta contro il
traffico.
Il settore Diritti Umani è parte dell’Ufficio dei Consulenti Legali, che ha il compito di monitorare il
rispetto e l’implementazione dei diritti umani in stretta collaborazione con le sedi distaccate sul
territorio e, in alcuni casi, anche con rappresentanti del governo locale. Attenzione particolare viene
data al monitoraggio dell’applicazione degli obblighi assunti dall’Albania nel campo del contrasto
al traffico e alla azioni di violenza della polizia perpetrate ai danni di persone. Lo staff di tale
218
settore fornisce consulenza e assistenza anche al neo-costituito Ufficio del Promotore delle Persone
(chiamato anche Ombudsman).
Fondato nel settembre del 1998, il settore Gruppo Amici dell’Albania/Coordinamento dei Donatori
è un gruppo informale composta da paesi donatori e organizzazioni internazionali, coordinato dal
responsabile OCSE in Albania. Il Gruppo si è trasformato nel principale forum per il coordinamento
dei partner stranieri e il monitoraggio internazionale delle riforme economiche e politiche albanesi.
Il settore Dimensione Umana/Supporto alle Ong lavora in collaborazione con le organizzazioni non
governative attive in Albania. Nel corso del 2001, quattro sono stati i principali progetti elaborati e
sostenuti da tale settore:
-
-
creazione di una banca dati completa sulle ong nazionali ed internazionali operanti in Albania
(suddivise per settore di intervento, collocazione geografica e tipologia di programma offerto);
creazione di un network nazionale di Centri di Sviluppo della Società Civile (in collaborazione
con l’Organizzazione allo Sviluppo dell’Olanda);
continuazione del Progetto Educazione ai Diritti delle Donne e contro il Traffico finalizzato alla
sensibilizzazione di specifici target group (insegnanti, assistenti sociali, personale sanitario,
impiegati pubblici, giudici e donne dei villaggi) sui diritti delle donne albanesi, sulla violenza
domestica e sul traffico di persone (in collaborazione con l’ODIHR);
attività di mainstreaming in conformità con il Gender Action Plan dell’OCSE, che ha previsto la
formazione per la sensibilizzazione di genere nell’ambito delle politiche, delle procedure e delle
attività condotte nei vari uffici della Presenza in Albania.
L’OCSE, pur non gestendo direttamente progetti rivolti alle vittime di traffico, è diventata in un
breve lasso di tempo un punto di riferimento importante per coloro che lavorano sul campo in
Albania. A sottolineare l’assunzione di tale ruolo è la sua partecipazione al Gruppo di Lavoro
impegnato ad elaborare la Strategia Nazionale sulla Lotta contro la Tratta di Esseri Umani. Il
Gruppo è composto da rappresentanti dei seguenti Ministeri: dell’Ordine Pubblico, degli Esteri,
della Cultura, della Gioventù e dello Sport, dell’Istruzione e della Scienza, dall’Ufficio del Procura
Generale del Ministero della Giustizia, dai Servizi Segreti Nazionali; da esperti in materia di
traffico (specialmente specialisti statunitensi che collaborano con il Ministero dell’Ordine Pubblico)
e da rappresentanti di organizzazioni internazionali, ong, tra cui: OCSE, la Missione della Comunità
Europea in Albania, la Missione ICITAP, la Missione Interforze, UNHCR, IOM, ICMC, Save the
Children, Terre des hommes, Vatra e Gruas Vlonjate.
Problemi e proposte di cambiamento
La Presenza OCSE in Albania ha costruito reti significative con/tra attori-chiave che si occupano di
vari aspetti ed ambiti della lotta contro il traffico di persone. Valuta infatti positivamente la
collaborazione costruita nei 5 anni di attività sia con le istituzioni e le organizzazioni nazionali e
locali che con le agenzie internazionali. Ritiene che tale partnership sia il risultato di un buon
lavoro di gruppo dello staff impegnato nei vari uffici centrali e distaccati della missione OCSE. Ciò
ha consentito di stabilire relazioni efficaci in particolare con la polizia locale, nazionale e con il
governo che le hanno permesso, conseguentemente, da un lato di esercitare un’ampia influenza
sugli attori-chiave, dall’altro di mettere in collegamento le istituzioni con le organizzazioni di base
(ad esempio, attraverso le sedi OCSE, la polizia informa le ong sugli spostamenti o sulle novità
relative a casi specifici di donne trafficate).
I referenti OCSE intervistati hanno espresso preoccupazione per la sempre più alta percentuale di
minori coinvolti/e nel traffico di esseri umani, sottolineando che, nonostante il grande impegno
dimostrato negli ultimi 2 anni dal governo albanese nel combattere il fenomeno, ancora insufficienti
219
o inadeguate risultano essere le azioni di contrasto e di condanna dei trafficanti perseguite dagli
organi di polizia e dalla magistratura. Anche il ruolo svolto dai servizi sociali viene considerato
deficitario, con il risultato che, in Albania, il lavoro di prevenzione e di supporto all’inclusione
socio-lavorativa delle vittime viene quasi esclusivamente realizzato da ong. Dal punto di vista
dell’organizzazione interna, per poter influire in maniera ancora più efficace nei vari campi di
intervento della Presenza in Albania, si ritiene essenziale rivedere gli obiettivi del mandato
riducendo gli ambiti progettuali implementati in quanto essi risultano essere troppo vasti e, di
conseguenza, dispersivi rispetto alle finalità da raggiungere. Per agire più efficacemente in questo
settore viene quindi suggerita una riorganizzazione logistica ed operativa da applicare ad ambiti
maggiormente circoscritti. Secondo l’OCSE, bisogna partire da una presa di coscienza
fondamentale: finché il rispetto dell’onore e l’oppressione delle donne continueranno ad essere i
caratteri decisivi della cultura dominante che permeano le pratiche quotidiane individuali e
collettive la lotta contro il traffico di minori e di donne sarà difficile da scardinare.
La Caritas di Valona e Caritas di Brindisi-Ostuni
Cenni storici
La Caritas Diocesana di Brindisi-Ostuni si occupa da anni di interventi a favore di persone
svantaggiate attraverso l’erogazione di una serie di servizi e di attività specifiche. L’impegno nel
settore della tratta a scopo di sfruttamento sessuale ha inizio tra il 1999 e il 2000, periodo in cui gli
sbarchi di minori e di donne da inserire nel mercato dello sfruttamento della prostituzione si
intensificano particolarmente nell’area brindisina. Per rispondere al fenomeno in maniera mirata ed
efficace, la Caritas locale decide di attivare un progetto di cooperazione decentrata da sviluppare
direttamente in Albania grazie alla collaborazione con la Caritas di Valona e al prezioso aiuto di
missionari e missionarie da anni attivi in loco. In particolare, la Caritas di Brindisi-Ostuni decide di
avvalersi del contributo delle suore appartenenti all’ordine religioso denominato “Serve di Maria
Riparatrici” con cui avevano già lavorato nel 1997 per l’installazione di una pompa idraulica in un
villaggio nei pressi di Valona.
La Caritas di Valona opera sul territorio albanese dal 1991 attraverso l’opera della comunità dei
Padri Servi di Maria e, appunto, delle Serve di Maria Riparatrici. E’ proprio la comunità delle
religiose ad occuparsi direttamente di casi di ragazze e donne trafficate e avviate alla prostituzione,
in collaborazione con confraternite e organizzazioni non governative locali e dei paesi di
destinazione coinvolti. La collaborazione consolidata tra la Caritas Diocesana di Brindisi-Ostuni e
quella di Valona ha così permesso di dare vita al progetto “Mai più schiave” al fine di contribuire ad
operare un cambiamento socio-culturale a livello locale che blocchi la catena migratoria di donne
alla ricerca - volontariamente o involontariamente - di un futuro migliore che non vedono possibile
in Albania.
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
Obiettivo principale del progetto implementato tra il febbraio 2001 e il gennaio 2002 nell’area di
Valona è stato prevenire la riduzione in schiavitù di giovani albanesi attraverso la realizzazione di
una serie di azioni basate sulla promozione del ruolo della donna nella società albanese e del suo
empowerment socio-culturale in un contesto in cui poco spazio viene dato all’autodeterminazione
femminile. Si è trattato di un intervento a carattere “formativo” ad ampio raggio con lo scopo
esplicitato di “oltre a sostenere le giovani, di creare anche in loro una nuova mentalità, centri di
220
attività ed iniziative dove la donna diventi protagonista e l’uomo impari a starle vicino, superando
atteggiamenti di orgoglio e superiorità”. La filosofia principale sottostante l’intervento è la
“promozione delle donna” e del suo ruolo all’interno della società di appartenenza, per fare ciò il
progetto si è fatto carico di sensibilizzare l’opinione pubblica generale alla conoscenza e al rispetto
dei diritti umani. Pur essendo la prevenzione della tratta a scopo di sfruttamento sessuale l’obiettivo
progettuale prioritario, volutamente il gruppo di lavoro ha evitato di utilizzare tale termine nelle
proprie attività e nei materiali prodotti ritenendo più strategico e funzionale al raggiungimento di
tale obiettivo l’uso pubblico di altri concetti-chiave.
I soggetti promotori del progetto ritengono inoltre fondamentale “andare oltre l’emergenza” e
lavorare invece nell’ottica della promozione all’auto-sviluppo; in questa prospettiva, quindi, fornire
aiuti materiali primari è certamente importante ma si tratta di una forma di supporto temporaneo che
non risolve le difficoltà strutturali della popolazione locale a cui, invece, bisogna rispondere
attraverso progetti sul medio e lungo periodo che coinvolgano direttamente il target e promuovano
una cultura nuova.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
Il progetto “Mai più schiave” coinvolge contemporaneamente la Caritas diocesana di BrindisiOstuni e quella di Valona: la prima offre il supporto logistico del progetto mentre la seconda è
impegnata direttamente sul piano operativo con un équipe di 20 persone (5 assistenti sociali, 1
medico, 2 infermieri e 12 educatori). Il progetto ha previsto l’attivazione di una serie di attività in
ambiti di intervento specifici come si può rilevare dal seguente schema riassuntivo:
221
Settore
Preve
nzione
Target
- studenti
Attività
- incontri nelle scuole;
Strumenti
- materiale informativo (brochure,
depliant, audiovisivo) sui diritti umani
e la promozione del ruolo della donna;
- giovani
- animazione estiva della durata di 15
gg. nei villaggi e nei quartieri;
- giochi e discussioni;
- ragazze e donne
- creazione di centri di incontro per
ragazze e donne;
- occasioni di incontro e corsi di taglio e
cucito, ricamo, computer, artigianato
locale;
- apertura di un ambulatorio per donne
in difficoltà;
- corsi di preparazione e di
approfondimento;
- visite mediche e distribuzione
materiale medico informativo;
- lezioni frontali e materiale formativo e
documentale;
- insegnanti
- incontri tematici;
- opinione pubblica
- festa della donna (8 marzo)
- lezioni frontali, materiale formativo e
documentale; discussioni di gruppo;
- diffusione di un volantino e la
partecipazione ad una trasmissione
televisiva locale;
- ragazze
- creazione di una rivista per giovani
realizzata da giovani;
- realizzazione di una rivista;
- operatori e
operatrici sociali,
delle forze
dell’ordine, etc., e
pubblico in
generale;
- seminario “Mai più schiave” (a
Valona);
- incontro pubblico, materiali
informativi, interviste e comunicati
stampa;
- pubblico in
generale;
- cineforum “Mai più schiave” per
l’approfondimento e la discussione
sulle tematiche relative alla
condizione femminile e al fenomeno
della tratta;
- film e discussioni di gruppo;
- équipe di lavoro;
Formazione
Sensibilizzazione
Lavoro di
comunità
Networking
Valutazione
operatori e operatrici - sito web quale centro di
sociali, delle forze
riferimento/documentazione (presso
dell’ordine, etc., e
la Caritas Diocesana di Brindisipubblico in
Ostuni)
generale albanese e
non;
- comunità locale
- incontri tematici;
- visita settimanale alle comunità
locali;
- visita alle famiglie;
- associazioni
incontri e scambi di lavoro;
religiose e laiche,
locali e straniere;
- progetto
analisi attività e risultati conseguiti
- presentazione del progetto, raccolta
dati sul fenomeno, raccolta di
testimonianze e storie significative
rispetto al fenomeno della tratta.
-
riunioni;
scambio documentazione;
attivazione collaborazioni;
strumenti di valutazione e report finale
223
Problemi e proposte di cambiamento
L’esperienza di intervento maturata sul campo dagli attori principali del progetto - in particolar
modo dalle suore missionarie che lavorano da anni in Albania - ha permesso di realizzare le attività
previste a partire da una profonda conoscenza del contesto socio-culturale, elemento fondamentale
per la buona riuscita di un progetto.
I testimoni privilegiati intervistati hanno sottolineato l’importanza di un maggior coinvolgimento
delle istituzioni e della comunità locale nel promuovere una cultura fondata sul rispetto del ruolo
della donna all’interno della famiglia e della società e sulla tutela dei diritti dei/delle minori. Il
fenomeno della tratta di donne e minori – sostengono - risulta essere il prodotto di una condizione
femminile alquanto disagiata e di una cultura che, da un lato, costringe le donne entro confini socioculturali tradizionali molto limitati, dall’altro, le “obbliga”, direttamente o indirettamente, ad
intraprendere un’attività (la prostituzione) fortemente sanzionata dai codici culturali albanesi. Tale
“double standard”, secondo gli intervistati, è evidente soprattutto al momento del rimpatrio
(non/coatto) delle ragazze e delle donne: generalmente esse vengono rifiutate dalle loro stesse
famiglie che non accettano la condizione di ex-prostituta della figlia.
Altro aspetto che deve essere tenuto debitamente in conto è la tutela delle donne che ritornano in
patria. Esse possono infatti essere oggetto di ricatti o di molestie da parte di reti criminali locali
intenzionate a trafficarle nuovamente; nel caso, poi, in cui le donne avessero sporto formale
denuncia contro i trafficanti e gli sfruttatori, si ritiene indispensabile provvedere a misure speciali di
sicurezza affinché esse e i propri familiari non debbano subire ritorsioni da parte delle reti
malavitose.
L’Interpol Sezione di Albania
Cenni storici
L’Interpol è l’organismo di polizia internazionale fondato nel 1923 per promuovere e facilitare la
cooperazione tra le forze di polizia e le agenzie impegnate a combattere il crimine transnazionale a
livello mondiale. Rappresentando 179 paesi membri, essa risulta essere la seconda organizzazione
più grande esistente al mondo, seconda solo alle Nazioni Unite,. L’Interpol si occupa solamente di
crimine internazionale, in particolar modo nelle seguenti aree di intervento: sicurezza pubblica e
terrorismo, crimine organizzato, produzione e traffico di sostanze stupefacenti, traffico di armi,
traffico di esseri umani, riciclaggio di denaro sporco, crimine finanziario e tecnologico e corruzione.
Gli strumenti individuati per raggiungere gli obiettivi stabiliti sono:
-
fornire una prospettiva globale e un focus regionale;
scambiare informazioni accurate, rilevanti, complete e in tempo reale;
facilitare la cooperazione internazionale;
coordinare attività operative congiunte tra paesi membri;
mettere a disposizione know-how, competenze e buone pratiche.
L’Interpol ha iniziato ad occuparsi di crimini contro i/le minori nel 1989 su richiesta personale
dell’allora Presidente francese Francois Mitterand, espressa in occasione dell’inaugurazione della
nuova sede centrale di Lione. Nel corso degli anni, l’Interpol ha rafforzato il lavoro e le risorse
umane impegnate in questo specifico settore costituendo l’Interpol Specialist Group on Crimes
225
Against Children (precedentemente denominato Standing Working Party on Offences Against
Minors). Si tratta di un gruppo di lavoro formato da esperti internazionali provenienti da 40 paesi
diversi che si riunisce due volte all’anno per scambiarsi informazioni, sviluppare e migliorare
relazioni e procedure operative relative alle seguenti tematiche: prostituzione minorile, pornografia
minorile, scomparsa di minori, traffico di minori e criminali accusati di reati di tipo sessuale a
danno di minori. Tale gruppo di lavoro ha prodotto l’Interpol Handbook of Good Practice for
Specialised Officers Dealing with Crimes Against Children, un manuale di buone pratiche per gli
ufficiali delle forze dell’ordine specializzate a perseguire i crimini contro i/le minori. Pubblicato nel
1998, tale manuale é stato tradotto in molte lingue ed è stato distribuito in 179 paesi; a breve é
prevista la pubblicazione di una nuova edizione rivista e aggiornata.
L’Interpol opera in Albania da tempo e, in questo paese, le sue attività riguardano in particolar
modo l’indagine e il contrasto alle reti criminali specializzate in traffico di armi, di droga e,
soprattutto, di esseri umani. Nei paragrafi successivi vengono presentate le informazioni e le
osservazioni di un ex ispettore dell’Interpol che per anni ha specificatamente lavorato nel campo
della lotta alla tratta di esseri umani in Albania maturando preziose competenze e significative
esperienze che ha messo a nostra disposizione per meglio inquadrare il fenomeno oggetto della
presente ricerca.
Un quadro del traffico di esseri umani in Italia
A partire dal 1991, è possibile affermare che oltre 20.000 ragazze e donne albanesi sono state
coinvolte nel settore della prostituzione in Europa, la maggior parte di esse è stata trafficata a fini di
sfruttamento sessuale. Nell’ultimo periodo la situazione ha però assunto nuove caratteristiche. Se
fino a pochi anni fa, infatti, molti erano i casi di ragazze trafficate con l’uso della forza e
dell’inganno, ora sono poche le persone minorenni coinvolte nel traffico e la maggioranza delle
donne si reca volontariamente all’estero per prostituirsi. Esse operano una scelta razionale alla luce
delle scarse possibilità di condurre un livello di vita decente in Albania. Si tratta di persone
tendenzialmente ingenue, che pensano di recarsi in un paese straniero per lavorare per pochi mesi
nel settore del sesso commerciale per poi trovare un impiego in un altro ambito produttivo.
Recentemente inoltre é stata registrata una sensibile diminuzione del numero di persone che per la
prima volta vengono inserite nel mercato della prostituzione; si è notato, infatti, che un alto
contingente di donne vengono “riciclate” e che tendono a non chiedere alcuna forma di aiuto in
quanto si sono adeguate alle condizioni di vita e di lavoro richieste dai propri sfruttatori. Le ragazze
e le donne accolte dalle organizzazioni non governative in Albania non costituiscono perciò un
campione indicativo delle donne trafficate in generale, esse rappresentano solo i casi più
drammatici: ragazze che hanno subito gravi forme di violenza fisica e psicologica e di cui gli
sfruttatori volevano sbarazzarsi poiché non risultavano essere più delle fonti di guadagno
vantaggiose. Ad esempio, delle 4 donne rimpatriate dalla polizia italiana incontrate in un’occasione:
1 aveva 15 anni ed aveva subito violenze gravi, un’altra era gravemente malata e un’altra ancora
aveva problemi mentali. Per ciascuna di queste ragazze ritornate in patria, ne esistono molte di più
che continuano a lavorare in Italia, più o meno volontariamente.
Gli albanesi non sono sicuri che il loro paese entrerà a far parte dell’Unione Europea e sono
incapaci di vedere davanti a sé un futuro migliore. Non sono motivati a frequentare la scuola e a
conseguire un livello di istruzione medio-alto perché non considerano ciò una garanzia per
conquistare un posto di lavoro sicuro. La quota di persone autorizzate ad emigrare legalmente in
Italia è gestita dal governo albanese, ciò fa supporre all’opinione pubblica che il meccanismo di
accesso alle procedure richieste per ottenere il visto sia altamente corrotto. Attualmente su una
popolazione di 3.300.000 persone, 700-800.000 lavorano all’estero, alcuni legalmente, altri
226
illegalmente. La capacità migratoria albanese si è oramai quasi esaurita; la maggior parte delle
famiglie ha uno o due componenti che lavorano oltre i confini nazionali. Le condizioni di vita delle
persone emigrate variano molto in base al loro status di immigrato regolare o irregolare. In caso di
clandestinità, la persona è costretta ad utilizzare canali criminali per espatriare e, di conseguenza, si
ritrova ad essere maggiormente esposta, da un lato, ai rischi derivanti dalla posizione irregolare
detenuta nel paese di destinazione e, dall’altro, ai ricatti delle organizzazioni criminali con cui é
venuta in contatto. La prostituzione coatta è fortemente collegata alle condizioni di vita delle
persone clandestine.
Nel corso degli ultimi anni, la gestione del traffico di esseri umani è passata nelle mani di
organizzazioni criminali minori. Chi ha guadagnato molto denaro negli anni passati non è più
disposto a rischiare i propri investimenti ora che viene applicata una politica più repressiva nei
confronti del reato di tratta e che un numero sempre più alto di trafficanti viene messo in prigione.
Gli ex-trafficanti comprano così l’omertà delle donne in precedenza sfruttate e si dedicano ad
attività più lucrose, quali il traffico di stupefacenti e il riciclaggio di denaro sporco investito in
attività legali. Di conseguenza, il traffico di esseri umani è ora gestito da criminali secondari e,
infatti, i trafficanti che vengono ora arrestati e incarcerati generalmente sono “pesci piccoli” che
non sono stati in grado di corrompere le persone giuste per evitare la prigione.
Il “caso Albania” è particolarmente brutale e violento. La consapevolezza generale rispetto ai temi
relativi al traffico di persone e le notizie riportate dai media locali (soprattutto su albanesi coinvolti
in casi giudiziari italiani) producono due effetti principali: servono da deterrente ma,
contemporaneamente, favoriscono il rafforzamento della struttura socio-culturale patriarcale
albanese, “protettiva” e fortemente restrittiva nei confronti delle donne - in particolare nelle aree
periferiche e rurali - spingendo di conseguenza le giovani donne ad emigrare utilizzando canali
illegali, a dispetto dei rischi che possono incontrare.
Risposte governative al traffico di esseri umani
Per certi aspetti, l’Italia è il paese che ha risposto in maniera più efficace al fenomeno del traffico di
esseri umani. Sono circa 2.000 le persone arrestate e rinchiuse nelle carceri albanesi e forse sono 5
volte tanti gli albanesi imprigionati in paesi europei. Migliaia di essi si trovano nelle carceri italiane,
molti dei quali per traffico di persone e sfruttamento della prostituzione. Questo indica che il
governo italiano sta lavorando in maniera più efficace rispetto ad altri per contrastare il traffico. Gli
albanesi verrebbero scoraggiati ad intraprendere tale attività criminale se anche in Albania venissero
comminate pene più severe a chi si macchia di un delitto così grave. I trafficanti non hanno alcuna
paura di “trasportare” e vendere i minori, ad esempio, in Grecia perché il rischio che corrono è
minimo e, in più, la risonanza mediatica rispetto ad azioni giudiziarie di contrasto efficaci contro il
traffico è quasi inesistente.
Il passo più importante compiuto dal governo italiano è stata l’introduzione dell’art. 18 del D.Lgs.
286/98, una legge che garantisce protezione ed assistenza a persone straniere trafficate e sfruttate,
fornendo loro un permesso di soggiorno temporaneo e la possibilità di intraprendere un percorso di
inclusione socio-lavorativa all’interno di un programma di protezione sociale. L’art. 18 ha permesso
a molte donne di poter rimanere in Italia, anche nel caso in cui non erano disposte a testimoniare
direttamente contro i propri sfruttatori e trafficanti. Questa legge si è rilevata efficace anche per le
forze dell’ordine italiane perché, anche se le donne sono troppo impaurite per denunciare
formalmente i propri sfruttatori, una volta ospitate ed inserite in un programma di protezione sociale
gestito da ong o da un ente locale, esse forniscono informazioni utili alle indagini.
227
Alcune attività intraprese dal governo italiano e da quello albanese si sono rivelate inefficaci. Il
controllo massiccio alle frontiere e l’impiego di un maggior numero di rappresentanti delle forze
dell’ordine non sono l’unica risposta possibile. L’utilizzo di tecniche che contemplano l’uso delle
armi per l’individuazione di clandestini può portare a morti inutili di immigrati clandestini e
costringe le reti criminali ad inventarsi nuove modalità operative per raggiungere i propri scopi.
Quando episodi di questo genere accadono – ovvero quando vengono uccise delle persone in azioni
di contrasto - solitamente non se ne dà notizia per ovvie ragioni politiche. Gli albanesi non si
sentiranno motivati a rafforzare i controlli alle frontiere contro le persone straniere che attraversano
l’Albania per raggiungere i paesi europei finché il loro stesso diritto di spostarsi liberamente viene
garantito. E’ importante ricordare che il fenomeno dell’immigrazione clandestina è sempre soggetto
a nuove e più gravi forme di sfruttamento organizzate e gestite dalle reti criminali nazionali e
transnazionali. Sono dunque necessarie risposte giudiziarie più forti, non politiche più forti. La
confisca dei beni è difficile da attuare in Albania, a causa della mancanza di strutture adeguate in
grado di regolare la proprietà privata o di monitorare le operazioni bancarie e finanziarie, ma in altri
paesi essa è possibile.
Attuare una politica di rimpatrio coatto non ha alcun senso in quanto le donne non vogliono tornare
a casa - o sono spaventate di ritornarvi - e fanno velocemente ritorno in Italia. Le persone straniere
deportate in Albania o fermate dentro i confini albanesi costituiscono un grosso problema. Le
risorse finanziarie e le capacità strutturali per assisterle o rimpatriarle nei loro paesi di origine sono
molto limitate. Inoltre, a rendere più difficoltoso tale processo è il fatto che l’Albania non ha
stipulato nessun accordo di rimpatrio immediato con i paesi di origine delle straniere che vengono
rintracciate sul suo territorio (come quello firmato con l’Italia e con altri paesi europei).
Raccomandazioni ai governi
-
-
-
-
Rendere la possibilità di emigrare più accessibile, al fine di far diventare inutile il ricorso a reti
criminali da parte di albanesi che desiderano viaggiare e trovare un lavoro all’estero. Se ciò
accadesse, le famiglie tornerebbero ad utilizzare il modello migratorio tradizionale inviando
all’estero i propri componenti maschi e non i/le minori né certamente le ragazze;
estendere i dispositivi previsti dall’art. 18 alle ragazze e alle donne albanesi sfruttate in Italia e
rimpatriate contro la loro volontà (ad es. permettendo loro di ritornare e di sistemarsi in Italia).
Questa sarebbe una decisione molto pragmatica perché molte (la maggior parte?) delle ragazze e
delle donne rimpatriate coattivamente ritorna comunque in Italia e cade nuovamente nella rete
criminale di sfruttamento. Il loro ritorno legale in Italia potrebbe essere di beneficio agli
obiettivi definitivi dall’art. 18 (sia a livello umanitario che giudiziario);
dare una nuova destinazione ai fondi attualmente utilizzati in maniera poco efficace (controllo
militare e di polizia massiccio alle frontiere, impiego della polizia su larga scala in Albania, etc.)
per finanziare piccole unità miste di polizia italiana e albanese e rafforzare le loro competenze e
le loro capacità di contrasto al fenomeno del traffico;
cooperare e rafforzare strutture e istituzioni europee dedite alla lotta contro il crimine
organizzato;
elaborare una stima generale dell’investimento umano e finanziario diretto a combattere
l’emigrazione clandestina albanese, prendendo in considerazione i soldi spesi per le massicce
operazioni militari, di polizia e di guardia costiera, per i rimpatri, i processi, i servizi di
assistenza sociale, la detenzione degli arrestati, etc. e, l’enorme somma di denaro incassata dai
criminali per la gestione illegale del trasporto e dell’entrata illegale nel paese di destinazione (e
metterla a confronto con il guadagno legale che se ne sarebbe potuto trarre attraverso il trasporto
legale), le tasse, e i soldi persi a causa del mercato nero del lavoro.
228
Il flusso regolare e legale di accesso in un paese straniero potrebbe contribuire ad una politica
amministrativa più efficace rispetto a temi di ordine pubblico - per non parlare di altri effetti sociali
che produrrebbe - e diminuirebbe il rischio di un’ulteriore emigrazione massiccia. Qualsiasi politica
che si intende implementare deve comunque partire dalla considerazione che l’Albania si adopererà
in maniera sempre più strategica per promuovere la sua possibile integrazione in Europa, e ciò
implicherà la libertà di movimento dei suoi cittadini e delle sue cittadine all’interno della Comunità.
Raccomandazione alle organizzazioni non governative
-
-
Non drammatizzare oltre modo il problema o considerare che tutte le persone immigrate
clandestine siano vittime di traffico;
aiutare i/le minori più deboli trafficati in Italia mettendoli in contatto e rendendoli raggiungibili
dalle proprie famiglie;
sostenere l’approvazione di una nuova legge simile a quella statunitense che permette alle ong
di utilizzare i soldi confiscati ai trafficanti o derivanti dalle multe a loro assegnate per
implementare le proprie attività contro il traffico;
istituire un sistema di auto-valutazione soprattutto per individuare le “ong fantasma” che non
operano realmente a favore delle vittime o le cui azioni non possono essere ritenute
professionalmente adeguate a tale target.
8.4 I servizi in Romania. Gli studi di caso
L’Organizzazione mondiale per le migrazioni
Cenni storici
L’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM) è stata fondata nel 1951 su iniziativa del
Belgio e degli Stati Uniti che, riunitesi a Bruxelles in occasione della Conferenza Internazionale
sull’Emigrazione, dettero vita al “Provisional Intergovernmental Committee for the Movements of
Migrants from Europe” (PICMME), divenuto poi “Intergovernmental Committee for the
Movements of Migrants from Europe” assumendo, infine, nel 1989, l’attuale denominazione. Nata
come agenzia intergovernativa dedita ad aiutare le persone deportate, rifugiate e migranti europee,
attualmente l’OIM offre i suoi servizi in tutto il mondo. L’OIM rappresenta infatti 93 Stati membri,
36 Stati osservatori a cui devono essere aggiunte una serie di organizzazioni internazionali a cui è
stato assegnato lo status di osservatori. La Romania è diventata uno Stato membro Osservatore
dell’OIM nel 1992, anno in cui venne aperta la sede a Bucharest. Il Parlamento rumeno ha ratificato
la Costituzione dell’OIM nel 1998 e da quel momento la Romania è diventata a pieno titolo uno
Stato Membro dell’OIM.
Nell’ambito della lotta al traffico di esseri umani, in particolare di donne e minori, l’OIM svolge fin
dall’inizio degli anni ’90 un ruolo di prima piano, in particolare attraverso le attività attuate
attraverso il suo Counter-trafficking Service attivo in molti paesi e che prevede la realizzazione di:
-
campagne di sensibilizzazione ed informazione;
servizi di counselling;
ricerche;
rimpatrio volontario assistito delle vittime e loro re-integrazione nel paese di origine;
229
-
sostegno ai governi per il miglioramento della legislazione nazionale e delle capacità tecniche
per combattere il traffico.
L’Ufficio OIM in Romania ha iniziato le proprie attività a favore delle vittime di traffico di esseri
umani nel dicembre 1999. Nel corso degli anni, ha strutturato interventi mirati, da un lato, ad aiutare
direttamente le persone coinvolte in tale fenomeno, dall’altro, a studiarne le caratteristiche e i
processi per meglio identificare progetti di aiuto e di supporto. In particolare, sono stati
implementati programmi di assistenza e di prevenzione al traffico di donne in Romania (2001);
ricerca e raccolta dati sulla tratta di donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale nei Balcani
quale area di origine, transito e destinazione (2001); programma di rimpatrio volontario assistito e
di re-integrazione delle vittime (2002); misure di contrasto al traffico di esseri umani, in particolare
di donne e minori, delle o attraverso le regioni balcaniche e adriatiche.
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha adottato la definizione di traffico contenuta
nel Protocollo addizionale della Convezione ONU contro il Crimine Transnazionale Organizzato
(Palermo, 2000) secondo cui il traffico é: “il reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o
accogliere persone, tramite l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di
coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o
tramite il dare o ricevere somme, di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che
ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo
sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o
prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”.
L’impegno e l’approccio dell’OIM al fenomeno del traffico di esseri umani si basa su quanto
stabilito nel suo stesso mandato costitutivo: “L’OIM è dedita al principio secondo cui le persone
che emigrano e la società traggono giovamento da una migrazione umana e regolata, ed è impegnata
nel risolvere le difficoltà pratiche derivanti dalla migrazione; promuove la comprensione delle
questioni legate all’emigrazione; incoraggia lo sviluppo sociale ed economico attraverso
l’emigrazione; e lavora per il rispetto effettivo della dignità umana e del benessere delle persone
migranti”. (Risoluzione n. 923, LXXI, del 27 novembre 1995).
Ritiene inoltre necessario operare una netta distinzione tra prostituzione volontaria quale servizio
sessuale deliberato e retribuito (legale o illegale, a seconda della legislazione nazionale vigente) e
prostituzione coatta (basata su schiavitù, vendita ripetuta, violenza fisica, psicologica ed emotiva,
coercizione attraverso rapimento, frode o inganno).
Una buona qualità dei servizi sociali sono la chiave per una reintegrazione positiva delle vittime. Al
momento, l’assistenza è fornita principalmente da organizzazioni non governative. La legge rumena
contro la tratta di persone (n. 678/2001) è ad ampio raggio ma la sua effettiva implementazione
registra un significativo ritardo.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
Le attività realizzate dalla sede OIM rumena vengono svolte all’interno di due programmi specifici:
•
Assistenza alle vittime del traffico di esseri umani per:
230
Rimpatrio volontario:
- sostegno nel paese di destinazione;
- produzione documenti di viaggio (passaporti e visti);
- organizzazione viaggio internazionale;
- assistenza all’arrivo (all’aeroporto o in un altro punto di arrivo);
- trasporto locale;
Assistenza nella fase di pre-reintegrazione (nel breve e medio periodo):
- accoglienza temporanea;
- assistenza sociale;
- assistenza sanitaria;
- counselling psicologico;
Reintegrazione (nel medio e lungo periodo):
- assistenza scolastica;
- orientamento e formazione al lavoro;
- supporto nella ricerca del lavoro.
•
Prevenzione contro il traffico di esseri umani:
-
Campagna nazionale di informazione sui rischi di traffico di esseri umani.
Dal gennaio al dicembre 2001 l’ufficio rumeno dell’OIM ha assistito 246 vittime di traffico, tutte di
genere femminile, di cui 231 erano rumene, 10 moldave e 5 ucraine. Tutte le vittime sono state
volontariamente rimpatriate, assistite dal personale OIM per garantire loro un ritorno sicuro nel
luogo di origine. Il servizio offerto ha previsto l’assistenza nel paese di destinazione, la
preparazione dei documenti di viaggio, il viaggio dal paese di destinazione a quello di origine,
l’accoglienza all’arrivo all’aeroporto o in altri porti di entrata, il viaggio all’interno del paese di
origine, l’eventuale accoglienza temporanea in una casa-rifugio, assistenza medica urgente e
sostegno psicologico.
Delle 231 donne assistite, 173 sono state inviate ad organizzazioni locali per il programma di
reintegrazione. I servizi offerti dalle ong partner sono di tipo individualizzato sulla base dei bisogni
espressi dalla persona presa in carico; in genere si tratta di: accoglienza temporanea, assistenza
sanitaria, consulenza psicologica, consulenza legale, assistenza sociale generale, percorsi di
accompagnamento scolastico, formativo, orientamento e supporto nella ricerca del lavoro. Il team
Assistenza dell’OIM svolge attività periodica di monitoraggio per verificare i progressi dei singoli
progetti individualizzati delle persone prese in carico attraverso delle visite in loco e il contatto
regolare con le vittime e le organizzazioni con cui collabora. Dai dati raccolti finora dalla sede OIM
rumena, la maggior parte delle vittime minori provengono da famiglie disfunzionali, con esperienze
di abuso, originarie della aree più povere del paese e di quelli limitrofi, in particolare dalla
Moldavia.
Lo staff impegnato nelle attività promosse in Romania è formato da 8 persone: 1 senior e 1
assistente operations officer, 1 coordinatore del counter-trafficking focal point, 1 coordinatore e 1
assistente del Programma Assistenza, 1 responsabile dell’ufficio amministrativo e 2 public
lnformation officers. L’OIM ritiene di fondamentale importanza garantire attività di formazione e
aggiornamento al personale impiegato presso i propri uffici.
Nel corso del 2001, la sede rumena dell’OIM ha firmato una serie di protocolli di intesa con le
seguenti istituzioni:
231
-
Ministero dell’Interno per l’apertura di un casa-rifugio per l’accoglienza temporanea delle
vittime in transito;
Ministero dell’Istruzione e della Ricerca per la realizzazione di una campagna di informazione
sul traffico e l’emigrazione da svolgere nelle scuole medie e superiori del paese;
Ministero del Lavoro e della Solidarietà Sociale per la realizzazione di attività di informazione
comuni;
Chiesa Ortodossa rumena per la realizzazione di attività di informazione e di assistenza alle
vittime;
ha inoltre firmato una serie di contratti con:
-
Fondazione Estuar per la gestione di una casa-rifugio temporanea a Bucharest e per l’assistenza
delle vittime prese in carico;
Association for Debate, Oratory and Rethorics (ARDOR) per la realizzazione di una campagna
di informazione da svolgersi nei campi estivi rivolti a studenti;
Romanian National Agency for Camps and Student Tourism per la realizzazione di una
campagna di informazione da svolgersi nei campi estivi rivolti a studenti;
Centro per le Risorse Legali per il supporto tecnico e finanziario per la redazione della proposta
di “Legge sulla prevenzione e sulla lotta al traffico di persone”;
Centro per la Ricerca Urbana e Regionale, l’Istituto per la Ricerca sulla Qualità della Vita,
Mercury Research and Marketing Consultants per l’effettuazione di una ricerca sul traffico;
Tempo Advertising per la creazione e la produzione di materiale informativo;
Media Image per il monitoraggio della rappresentazione dei media sulle tematiche relative
all’immigrazione e al traffico di persone;
Diverse organizzazioni non governative per la realizzazione di attività di assistenza rivolte
direttamente alle vittime;
Con una serie di sociologi e sociologhe per l’effettuazione di una ricerca sul traffico.
Problemi e proposte di cambiamento
Prevenire e combattere il traffico di esseri umani, in particolare di minori, richiede l’elaborazione e
l’utilizzo di una strategia che sappia fornire strumenti di supporto ed aiuto nel breve ma, soprattutto,
nel medio e nel lungo periodo, ed è proprio in questa prospettiva che le persone intervistate hanno
ritenuto fondamentale sottolineare l’importanza di implementare le seguenti azioni:
-
sostenere ed migliorare la cooperazione tra organizzazioni non governative locali e tra quelle
nazionali;
creare partnership pubblico- private per la gestione di case di accoglienza;
incentivare misure di prevenzione, che includano stabilmente come attori-chiavi le scuole, le
chiese e le comunità locali;
fornire programmi di assistenza completi;
elaborare degli standard di assistenza per garantire un alto livello di qualità dei servizi erogati;
realizzare corsi di formazione per le varie figure professionali coinvolte in attività di assistenza
alle vittime e alle loro famiglie;
rafforzare le attività delle forze dell’ordine mirate a combattere il traffico.
Save the Children (in Romania)
232
Cenni storici
Save the Children ha aperto la sede in Romania nel gennaio 2002, in collaborazione con
l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). La sede rumena di Save the Children è
un’affiliata dell’International Save the Children Alliance, la più grande organizzazione
internazionale indipendente dedita alla promozione dei diritti dei bambini e delle bambine. Attiva
da anni, l’Alliance ha aperto 30 uffici nazionali mentre più di 120 sono i paesi in cui vengono
realizzati dei programmi di intervento a favore di minori.
Save the Children Romania é membro dell’International Working Group on Child Labour,
dell’ECPAT - End Child Prostitution, Child Pornography and Trafficking in Children,
dell’European Network on Street Children Worldwide ed é il coordinatore regionale dell’Eastern
Europe of the Global March against Child Labour. A livello nazionale, é un componente del
Comitato Nazionale di Pilotaggio per l’Eliminazione del Lavoro Minorile in Romania, fondato il 4
luglio 2000 nell’ambito dell’Azione Nazionale per la Prevenzione e l’Eliminazione del Lavoro
Minorile in Romania, e della Federazione delle organizzazioni non governative Attive nella
Protezione dei Minori.
Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico
dei minori
La filosofia di Save the Children si fonda sul principio secondo cui i/le minori hanno il diritto ad
essere protetti dalla violenza e dall’abuso, di godere di buona salute e di avere accesso
all’istruzione, così come sottolineato nel suo mandato: “I bambini e le bambine hanno il diritto di
parlare, di dire cosa vogliono e cosa si aspettano dalle persone adulte. Hanno il diritto di prendere
parte alle decisioni che riguardano il loro futuro. Save the Children considera i/le bambini/e e i/le
giovani partner che partecipano ai progetti da cui traggono giovamento”. In questo contesto, si
collocano le azioni di contrasto al traffico di minori a scopo di sfruttamento sessuale.
Per quanto riguarda la definizione di traffico di persone utilizzata, Save the Children Romania fa
riferimento a quella contenuta nella Convenzione contro il Crimine Transnazionale Organizzato
(Protocollo di Palermo), adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel novembre 2000,
secondo cui il trafficking è: “il reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o accogliere
persone, tramite l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di
rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o
ricevere somme, di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su
un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della
prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate,
schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”. Rispetto ai minori, in tale
Protocollo, tutte le forme di traffico a scopo di sfruttamento vengono considerate “non volontarie”,
indipendentemente dal fatto che sia o non sia stata utilizzata la forza o l’inganno, di conseguenza, la
tratta viene ritenuta a pieno titolo una violazione dei diritti dei/delle minori.
Le cause principali del traffico di persone, e di minori in particolare, secondo il gruppo di lavoro di
Save the Children in Romania, devono essere ricercate in primo luogo nelle condizioni di povertà in
cui la maggior parte della popolazione rumena vive. Lo scarso livello di istruzione delle famiglie di
origine delle vittime e la mentalità che le caratterizza sono da considerarsi dei push factors che
influenzano le caratteristiche del traffico di esseri umani in questo paese. Particolarmente grave, ad
esempio, viene considerato dalle testimoni privilegiate intervistate il ruolo della violenza all’interno
233
delle mura domestiche in quanto essa è talmente strutturale alle dinamiche socio-familiari che non
viene percepita come un comportamento violento da parte delle vittime stesse. In un contesto
caratterizzato da abusi fisici e/o sessuali intrafamiliari e, a volte, da abbandoni, la vulnerabilità delle
vittime - soprattutto se minori - diventa particolarmente elevata.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
Considerata anche la sua recente costituzione, la sede rumena di Save the Children non ha
attualmente un programma rivolto specificatamente ai/alle minori vittime di traffico ma se ne
occupa nell’ambito di due progetti rivolti in generale a minori che sta realizzando in Romania. Il
primo progetto riguarda la gestione di 7 Centri di Consulenza per Minori e Famiglie, istituiti in
altrettante aree distinte del paese, che offrono servizi di cura e consulenza ai/alle minori che hanno
subito violenza fisica, psicologica e sessuale. Ad esempio, il Centro di Consulenza di Suceava, in
collaborazione con l’OIM, ha inserito nei suoi programmi di consulenza 8 ragazze vittime di
traffico provenienti dall’Albania e dalla Macedonia. Per questi casi, l’OIM si occupa di individuare
le vittime e di accompagnarle al paese di origine fornendo loro anche un supporto finanziario per
facilitare il processo di re-inserimento in famiglia e nella società, mentre il Centro di Consulenza
offre percorsi di supporto psicologico sia alle ragazze che alle loro famiglie. Il secondo progetto
(“Minori e giovani non accompagnati”), sviluppato in collaborazione con il Servizio Sociale
Internazionale, si occupa del re-inserimento in famiglia, attraverso l’attivazione di programmi
individualizzati, di minori non accompagnati rimpatriati. Come parte integrante del progetto, la
famiglia del/la minore riceve un contributo economico e viene inserita nel programma di
counselling e di assistenza sociale offerto dal Centro.
Sia ai/alle minori assistite attraverso il primo progetto sia a quelle supportate attraverso il secondo
vengono forniti servizi di assistenza medica e viene elaborato un piano individuale di counselling
psicologico finalizzato al ri-stabilimento dell’equilibrio psico-emotivo e alla re-integrazione sociale
dell’utente. Nel caso, il Centro non sia in grado di fornire l’aiuto necessario esso invia il/la minore
ad altri servizi sociali che possono fornire una soluzione al problema individuato (salute, scuola,
formazione professionale).
Dal momento della sua apertura ad oggi, l’ufficio rumeno di Save the Children ha seguito 22
minori. Si è trattato nel 100% dei casi di ragazze di origine rumena, con un’età compresa tra i 15 e i
35 anni, di cui solo 1 sposata con 2 figli. La maggior parte delle utenti assistite proveniva da
famiglie disfunzionali ed era caratterizzata da esperienze pregresse di abuso di diverso tipo, da un
basso livello di autostima e di istruzione.
Il personale impiegato nei progetti realizzati da Save the Children in Romania è composto da: 1
coordinatore del programma, 2 psicologhe/psicoterapeute, 2 assistenti sociali, 2 psichiatri e un
consulente legale. Vengono tenuti degli incontri settimanali tra lo staff e le utenti duranti i quali
vengono discusse le questioni e le problematiche emerse durante la settimana. Le beneficiarie
dell’intervento divengono così partecipanti attive dei processi decisionali dell’organizzazione.
Problemi e proposte di cambiamento
Dall’esperienza finora maturata dalla sede rumena di Save the Children emerge con forza la
necessità di un maggiore coinvolgimento e sostegno da parte del governo nazionale alle politiche
legislative e sociali rivolte ai/alle minori in generale e a quelle atte a combattere il traffico di esseri
umani in particolare. Nonostante venga riconosciuto l’impegno dimostrato dal governo nell’ultimo
234
periodo rispetto all’attivazione di misure di protezione dei minori, si ritiene di fondamentale
importanza che le autorità nazionali attivino, da un lato, una politica trasversale di lotta al fenomeno
del traffico e, dall’altro, un programma caratterizzato da un approccio globale e multidisciplinare di
assistenza e supporto alle vittime e alle loro famiglie.
Sostenere ed allargare i programmi governativi di sostegno ai minori diventa perciò essenziale per
non disperdere il know-how acquisito e le risorse già in campo. Ci si riferisce in particolare alle
agenzie create negli anni ’90, quali: l’Autorità Nazionale per la Protezione e l’Adozione del/la
Minore (ANPAM), un’istituzione specializzata della pubblica amministrazione centrale che
coordina tutte le attività di tutela dei minori a livello nazionale e monitora l’implementazione delle
riforme; e ai dipartimenti di tutela dei minori alle dipendenze dei comuni il cui compito è di tutelare
i minori e di prevenire situazioni di abuso e di sostenerli quando sono già state vittime di
abbandono, violenza, sfruttamento, compreso lo sfruttamento sessuale e il traffico. Al fine di
operare in maniera coordinata e unitaria, l’ANPAM ha proposto al governo la “Strategy on
Distressed Child Welfare Protection (2000-2004)”, approvata nel maggio 2002. Tale strategia è
stata collocata nell’area “questioni con interesse speciale” ed è stata dichiarata una priorità
nazionale da parte del governo rumeno. In base a questa proposta, ciascun comune ha il compito di
deve elaborare una strategia in base ai bisogni e alle specificità locali. Sulla base della “Strategy on
Distressed Child Welfare Protection”, l’ANPAM ha quindi elaborato il “Piano di Azione per
l’Implementazione della Riforma del Welfare per i Minori”, che deve essere periodicamente
aggiornato. Tale documento dedica, inoltre, un capitolo apposito alle tematiche relative
all’abbandono dei minori e alla prevenzione e allo sradicamento dell’abuso, allo sfruttamento
minorile e al traffico di minori.
Infine, Save the Children Romania considera di primaria rilevanza:
-
attivazione di nuovi servizi sociali specializzati per minori trafficati/e (case di accoglienza,
counselling e supporto medico, formazione professionale, protezione delle vittime, etc.).
promuovere corsi di formazione rivolti a personale delle varie agenzie a diretto contatto con le
vittime del traffico, in particolare con minori;
elaborare strategie ad hoc per eliminare la diffusa discriminazione nei confronti delle vittime;
erogare fondi adeguati per l’implementazione di programmi rivolti ai minori in generale e a
quelli vittime di traffico in particolare.
Reaching Out
Cenni storici
L’organizzazione Reaching Out opera in Romania dall’ottobre 1998.
Reaching Out lavora nell’ambito dell’intervento sociale a favore di persone trafficate a scopo di
sfruttamento sessuale, sia adulte che di minori età. Il traffico di esseri umani viene considerata una
forma di schiavitù moderna mentre la prostituzione volontaria viene ritenuta essere il prodotto delle
situazioni di incesto vissute dalle vittime e la prostituzione coatta il risultato di condizioni di
schiavitù a cui sono sottoposte le persone che, “se salvate in tempo, possono essere integrate
nuovamente” nel tessuto socio-familiare di appartenenza o in quello del paese di destinazione.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
235
Reaching Out offre assistenza ed aiuto a vittime di tratta, garantendo un ambiente protetto e sicuro,
attraverso l’elaborazione di piani individualizzati di breve e medio periodo che prevedono
l’erogazione dei seguenti servizi: assistenza medica, counselling psicologico individuale e/o di
gruppo, percorsi formativi, supporto nella ricerca del lavoro e dell’alloggio.
Ad oggi, le persone assistite sono state 56, di cui 5 sono state ri-trafficate nel giro dello sfruttamento
della prostituzione nei paesi dell’Europa occidentale mentre le rimanenti 51 sono tornate in famiglia
o vivono da sole. Delle persone accolte, il 100% era di genere femminile, di cui il 25% era
composto da minorenni. Rispetto al paese di origine, la maggior parte delle utenti proveniva dalla
Romania, solo 3 i casi registrati, infatti, di donne originarie dalla Moldavia. Secondo
l’Associazione, le vittime provenivano da famiglie povere, disfunzionali che non hanno garantito un
ambiente adeguato per la loro crescita individuale e che, nella maggioranza dei casi, hanno abusato
delle proprie figlie in vari modi.
Le principali figure individuate di invio delle utenti all’associazione sono state le seguenti: le forze
dell’ordine, la Child Protection e la famiglia di origine. Diverse sono le famiglie che contattano
l’associazione per avere informazioni sulle proprie figlie scomparse, a cui l’associazione cerca di
dare risposta raccogliendo le informazioni richieste sulla persona che si è allontanata da casa o è
stata costretta a farlo, per poi indicare ai parenti come raggiungerla. Una volta uscite dal
programma, tutte le utenti continuano a mantenere i contatti con l’Associazione e continuano a
fruire dei servizi di supporto e, in molti casi, esse stesse fungono da sostegno per le nuove utenti
prese in carico.
Lo staff di Reaching Out è composto da: 6 assistenti sociali a tempo pieno (3 in ciascun
appartamento gestito dall’associazione), che aiutano le ragazze e le donne nello svolgimento delle
loro attività quotidiane (lavori di casa, spesa, cucina, etc.); 4 assistenti sociali part-time che lavorano
specificatamente durante il week-end, quindi, 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 le ragazze e le donne
vengono supportate da personale specializzato. In più, fanno parte del team di lavoro: 1 contabile
part-time, 1 assistente coordinatore a tempo pieno e una psicologa che è anche la coordinatrice del
programma. Lo staff e le beneficiarie del programma si riuniscono collegialmente una volta alla
settimana per confrontarsi e discutere le problematiche emerse durante quel lasso di tempo. In
questo modo, le persone accolte prendono parte al processo decisionale rispetto alle questioni che le
riguardano direttamente. Due volte al mese, invece, vengono organizzati degli incontri di
formazione per lo staff. Contrariamente ad altre associazioni, Reaching Out si avvale della
collaborazione di personale volontario. Si tratta di studenti dell’Università di Potesti che, in diversi casi,
dopo un periodo di formazione ad hoc, diventano i referenti responsabili della campagna di prevenzione
condotta nelle scuole medie e superiori o tutor di sostegno per le studenti di tali ordini scolastici.
Reaching Out è membro di Famnet, una federazione di organizzazioni non governative che
lavorano nel campo della lotta al traffico in Romania; a tale rete fanno parte agenzie che lavorano
nel settore della prevenzione, della ricerca e dell’assistenza diretta alle vittime. Gli aderenti a
Famnet sono collegati costantemente grazie all’utilizzo di internet, attraverso il quale si scambiano
informazioni, soprattutto rispetto alla disponibilità recettiva dei pochi centri di accoglienza operanti
sul territorio. L’Associazione, infine, appartiene al gruppo delle ong che hanno stipulato un accordo
scritto nell’ambito del Piano Nazionale, approvato dal Parlamento, in base al quale le
organizzazioni non governative sono responsabili delle attività che forniscono.
Problemi e proposte di cambiamento
236
Nonostante i cambiamenti positivi registrati nel campo dell’intervento sociale a favore delle vittime
di tratta avvenuti nel corso dell’ultimo periodo in Romania, secondo i testimoni privilegiati
intervistati, molto ancora deve essere realizzato per produrre dei cambiamenti significativi in grado,
da un lato, di tutelare le potenziali vittime e, dall’altro, di offrire un programma di assistenza
efficace ed efficiente a chi desidera uscire da percorsi di sfruttamento coercitivi. In questa
prospettiva, viene ritenuto di fondamentale importanza:
-
-
realizzare corsi di formazione ad hoc rivolti al personale dei servizi che vengono a contatto
con le vittime o potenziali vittime per poterle riconoscere e fornire loro un’adeguata
assistenza, in particolare a: operatori ed operatrici sociali, sanitari, scolastici, di polizia,
magistrati;
istituire servizi sociali e realizzare programmi specificatamente rivolti a minori;
individuare metodologie e strumenti per identificare le vittime, in particolar modo quelle
minori di età;
erogare i fondi necessari per fornire un’assistenza sul lungo periodo;
potenziare la rete di assistenza e di supporto delle organizzazioni non governative, soprattutto
rispetto alla loro capacità di accoglienza del target (al momento assolutamente inadeguata);
intensificare la lotta alla corruzione.
Tale agenda, viene sottolineato, necessita però del sostegno del governo rumeno, una conditio sine
qua non per poter attivare un processo di natura olistica in grado di produrre dei cambiamenti
significativi finalizzati alla costruzione di politiche sociali, legislative ed economiche che non si
rivolgono solamente alle conseguenze generate dal fenomeno del traffico di esseri umani ma anche
– e soprattutto – alle cause che lo originano.
Social Alternatives Association
Cenni storici e filosofia dell’intervento
Social Alternatives Association ha iniziato le proprie attività nel febbraio 2001 a Iasi.
L’Associazione ha adottato la definizione di traffico di esseri umani contenuta nel Protocollo
Addizionale della Convenzione ONU contro il Crimine Organizzato Transnazionale (2000) secondo
la quale il traffico è il “reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o accogliere persone,
tramite l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento,
frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere
somme, di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a
scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della
prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate,
schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”.
Gli aspetti organizzativi e le attività svolte
Social Alternatives Association è tra le agenzie rumene del privato sociale che offrono programmi
di accompagnamento all’inserimento sociale e lavorativo alle persone trafficate in Romania, in
collaborazione con la sede di Bucharest dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni con
cui ha stipulato un protocollo.
237
Dalla sua costituzione ad oggi, l’Associazione ha assistito 26 ragazze/donne di nazionalità rumena
tra i 16 e i 32 anni di età. Delle donne accolte, 22 erano nubili e 4 divorziate, mentre 5 erano quelle
con figli/e. Le minori risultano provenire da ambienti socio-familiari poveri, con scarse prospettive
per il futuro; in alcuni casi si è trattato di minori abbandonate. In generale, tra le utenti accolte è
stata registrata una diffusa mancanza di autostima, un basso livello di istruzione e una serie di
esperienze di abusi fisici e/o psicologici maturate nell’ambiente familiare di origine.
Lo staff è composto da 2 psicologi, 1 pedagogista, 2 assistenti sociali, con cui collaborano anche 1
medico, 1 avvocato e rappresentanti delle autorità locali. Vista la mancanza di possibilità di
accedere a corsi di formazione sulla metodologia del lavoro sociale, in particolare, nel campo del
traffico, l’Associazione organizza attività formative per il proprio personale. Considerato l’alto
livello di riservatezza necessario per i singoli casi trattati e vista la mancanza di formazione
specifica nel settore, Social Alternatives Association ha deciso di non servirsi della collaborazioni di
volontari/e.
Problemi e proposte di cambiamento
Dotare i servizi sociali di personale specializzato ed istituire programmi di re-integrazione sociale
specifici rivolti a minori trafficati/e risulta essere il bisogno prioritario rilevato da Social
Alternatives Association. Allo stato attuale, infatti, solamente le organizzazioni non governative
locali grazie al supporto di organizzazioni internazionali provvedono a fornire aiuto alle vittime di
traffico. Le stesse ong, però, si trovano a volte in difficoltà a fornire progetti individualizzati basati
su un approccio globale a causa delle difficoltà di ordine economico, burocratico e formativo. A
volte si tratta di difficoltà materiali di base come, ad esempio, nel caso della Social Alternatives
Association, la mancanza della disponibilità di una macchina.
Fornire counselling psicologico e assistenza sociale alle famiglie di origine delle persone minori
trafficate, prevedendo percorsi di sostegno al processo di reintegrazione, è una delle proposte
suggerite dall’Associazione per facilitare il superamento del trauma e delle difficoltà vissute dai
familiari delle vittime e, di conseguenza, favorire il processo di inclusione della vittima stessa. In
generale, quindi, viene ritenuto necessario un maggiore coinvolgimento da parte delle autorità
governative, in particolare, per:
-
sostenere programmi a favore delle persone minori trafficate;
promuovere il loro accesso facilitato ai servizi sanitari;
realizzare corsi di qualificazione per personale da impiegare in questo specifico settore del
lavoro sociale;
sviluppare programmi di prevenzione nelle scuole, nelle strade, etc.;
realizzare progetti di inserimento professionale attraverso il coinvolgimento diretto dei comparti
produttivi proponendo loro l’assunzione di vittime di traffico in cambio di sgravi fiscali.
8.5 Osservazioni conclusive
Le esperienze qui presentate, indipendentemente dalle diversità che le caratterizzano, mettono in
rilievo alcuni elementi che sono ritenuti fondamentali per intervenire in maniera efficace sul
fenomeno del traffico di minori, principalmente a scopo di sfruttamento sessuale. Essenziale diventa
riconoscere le dimensioni internazionali della tratta e le sue estrinsecazioni locali, la stretta
correlazione tra emigrazione e caratteristiche dell’economia locale e globale (in primo luogo, la
238
femminilizzazione della povertà), la povertà, lo squilibrio di potere tra i generi, la diffusione di
pratiche consolidate di corruzione in diversi apparati di molti paesi coinvolti dal fenomeno, e così
via.
Dalle interviste raccolte viene sottolineata con forza la necessità di studiare il fenomeno del traffico
di minori in quanto molto spesso esso risulta ancora poco esplorato o associato e confuso a quello
delle persone trafficate adulte. Conoscere i fenomeni, le loro diverse caratteristiche e le continue
trasformazioni è una delle principali esigenze individuate dalle organizzazioni non governative,
dalle agenzie internazionali e dai servizi istituzionali esaminati per poter meglio tutelare i diritti di
minori trafficati e rispondere correttamente ai loro bisogni specifici. Ciò permetterebbe di elaborare
interventi ad hoc specializzati in grado di promuovere in maniera più efficace il processo di
empowerment delle vittime e favorire così un loro reale inserimento sociale e lavorativo nel paese di
origine o in quello di residenza.
In particolar modo, le organizzazioni italiane sottolineano l’esigenza di identificare metodologie e
strumenti adeguati per il monitoraggio del fenomeno e l’implementazione di progetti mirati.
Approfondire la conoscenza del fenomeno del traffico di minori in Italia permetterebbe di costruire
modelli di intervento maggiormente rispondenti alle esigenze del target. Rispetto alle forme di
accoglienza per i/le minori, ad esempio, diverse sono le posizioni raccolte attraverso le interviste
realizzate; vi sono operatori ed operatrici che ritengono fondamentale l’accoglienza in comunità,
altri che considerano la famiglia la soluzione più appropriata, altri ancora che preferiscono adottare
il modello delle famiglie di vicinato.
Maggiore attenzione a valutare le singole storie personali e le variabili culturali di cui un/a minore è
portatrice è un elemento sottolineato con forza dai/dalle testimoni-chiave intervistati/e. Promuovere
l’organizzazione di corsi di formazione di antropologia culturale e di etnopsichiatria tra le varie
agenzie del pubblico e del privato sociale è considerata un’azione necessaria non più procrastinabile
per poter superare le “incomprensioni” culturali quotidiane tra operatori/operatrici e target straniero.
In questa prospettiva deve essere collocata l’analisi della diversa concezione di “minore età” legata
alle varie culture di appartenenza delle persone minori accolte. E’ stato sottolineato da più parti, pur
nel rispetto della tutela dei diritti delle persone minorenni, la difficoltà di applicare indistintamente
la categoria “minore età”: “attivare un progetto individualizzato per una ragazza di 14-15 anni è
molto diverso che doverlo fare per una di 17 anni, 17 anni e mezzo; esse hanno bisogni distinti e
probabilmente progetti migratori basati su un livello di consapevolezza differenziato e su finalità
alquanto difformi”. Anche in questo caso, viene ribadito da più parti, conoscere meglio le storie
individuali e le culture di appartenenza potrebbe aiutare a costruire percorsi di supporto e di
inclusione sociale più efficaci.
L’uso dello strumento del rimpatrio coatto dei/delle minori stranieri nel paese di origine viene
valutato negativamente da tutte le persone intervistate se esso non è supportato da una politica di
reintegrazione assistita. Esso deve essere valutato attentamente caso per caso, in accordo con la
persona minore e raccogliendo il maggior numero di informazioni possibili sulle condizioni
familiari, sociali e di sicurezza esistenti nel luogo di origine per evitare di mettere in pericolo la vita
del/la minore una volta tornato/a a casa, di consegnarlo/a ad un futuro incerto che potrebbe
condurlo/a nuovamente a cadere nelle maglie di organizzazioni criminali ed essere così
ritrafficato/a.
Il ruolo della famiglia di origine, secondo le testimonianze raccolte, non è ancora stato
sufficientemente valutato. Nell’incertezza di considerarla come risorsa o come un “problema” da
rimuovere, la maggior parte dei progetti attivati tende a non adottare un approccio sistemico e
239
considerare il/la minore come un soggetto “isolato” dal suo contesto originario di appartenenza.
Alcuni operatori ed operatrici italiane hanno invece evidenziato l’opportunità, valutando caso per
caso, di allacciare rapporti telefonici o epistolari con i membri della famiglia di origine, quale
misura fondamentale per favorire il benessere e il processo di crescita del/la minore accolto/a.
Ugualmente, le organizzazioni operanti sul territorio albanese hanno sottolineato l’importanza di
coinvolgere le famiglie nei processi di re-inclusione in patria.
Sostenere e finanziare progetti nei paesi di origine è una necessità sottolineata da tutti gli attorichiave attivi sia in Italia che in Albania. In particolare, si ritiene fondamentale organizzare
campagne di sensibilizzazione dirette a target specifici e supportare le iniziative gestite da
associazioni locali. Tali azioni dovrebbero, da un lato, contribuire a diffondere una maggiore
conoscenza rispetto al fenomeno del traffico di minori, dall’altro, promuovere la tutela dei diritti
fondamentali dei/delle minori e una cultura di genere diffusa. La forte discriminazione perpetrata ai
danni delle minori e delle donne è considerata una delle cause dell’origine del fenomeno del
traffico, diventa imprescindibile perciò implementare progetti di “promozione femminile” mirando
a rafforzare il loro ruolo all’interno del contesto familiare di appartenenza e della società albanese
attraverso attività finalizzate all’”acquisizione e all’attribuzione di potere” (empowerment) a livello
individuale e socio-culturale.
I soggetti intervistati ritengono necessario andare oltre l’emergenza e organizzare interventi
strutturati e continuativi sia in Italia che in Albania. In quest’ottica è di primaria importanza che le
istituzioni nazionali e quelle intergovernative riconoscano alle agenzie del pubblico e del privato
sociale la funzione di erogatori di servizi fondamentali e di soggetti attivi alla lotta contro il traffico
di persone a scopo di sfruttamento. Di conseguenza, devono essere a loro riconosciute le risorse
finanziarie necessarie per dare continuità ai servizi posti in essere e per rispondere adeguatamente ai
bisogni di un target ad alto rischio di esclusione sociale; inoltre viene sollecitata l’implementazione
di politiche sociali e di dispositivi legislativi che tutelino a 360 gradi i/le minori trafficati.
Utilizzare gli strumenti legislativi internazionali a disposizione (in particolare la Convenzione delle
Nazioni Unite contro il Crimine Transnazionale Organizzato e i relativi Protocolli, e la
Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia delle Nazioni Unite) e rafforzare la lotta contro
il traffico sul piano giudiziario assicurando i criminali e le figure istituzionali corrotte (politici,
forze dell’ordine, magistrati, etc.) alla giustizia sono tra le priorità principali che le varie
organizzazioni intervistate chiedono ai vari governi interessati al fenomeno del traffico di minori di
mettere nelle loro agende di lavoro.
Costruire reti locali, nazionali e transnazionali è uno degli strumenti-chiave per condividere il
know-how acquisito, creare banche dati specializzate, progettare interventi mirati e fornire servizi
adeguati al target individuato. In questa prospettiva viene auspicato un maggior coordinamento del
lavoro realizzato a livello territoriale, nazionale e internazionale per ottimizzare le risorse
disponibili e condividere le buone pratiche sperimentate. E’ altrettanto necessario il coinvolgimento
delle diverse agenzie interessate a contrastare il fenomeno del traffico di minori e a fornire
assistenza e aiuto alle vittime: magistratura, polizia, governi locali e nazionali, agenzie
intergovernative, servizi socio-sanitari, ong, scuole, comunità locali e il target destinatario finale
degli interventi: i/le minori trafficati/e.
Infine, secondo tutte le organizzazioni intervistate, l’approccio olistico al fenomeno del traffico di
minori deve essere il comune denominatore caratterizzante gli interventi promossi. Esso è
considerato uno strumento imprescindibile e una conditio sine qua non affinché le agenzie non
governative, le istituzioni e gli organismi nazionali ed internazionali possano realizzare interventi
240
efficaci e significativi non solo nel breve ma soprattutto nel medio e lungo periodo per contribuire
alla lotta contro una delle più gravi forme di violazione dei diritti umani - il traffico di persone - e
alla promozione dei diritti dei/delle minori.
241
9. Le norme internazionali e nazionali dell’Unione europea sul traffico
finalizzato allo sfruttamento lavorativo e sessuale dei minori
di Simona La Rocca
9.1 Premessa
Assordanti silenzi. Le ripetute violazioni dei diritti dell’infanzia sono percepite come dei silenzi
assordanti poiché perpetrati a danno di chi non ha voce, perché più debole, per potersi difendere. La
storia dell’umanità, purtroppo, è costellata, in ogni epoca e Paese, da innumerevoli forme di
violenza, abuso e sfruttamento a danno dei minori. Il diverso grado di tutela che una società mostra
nei confronti dei suoi soggetti più deboli riflette il livello di civiltà raggiunto: oggigiorno, non siamo
ancora in grado di tutelare e difendere i minori dall’essere considerati una merce.
Il secolo appena terminato si è contraddistinto per l’elaborazione, sia a livello internazionale che
nazionale, di un’ampia tutela giuridica e per le innumerevoli iniziative - delle istituzioni
internazionali153, delle ong154 e degli istituti di ricerca155 -, volte a proteggere il minore. Eppure, mai
come in questi ultimi anni si sono registrate in tutti i Paesi del mondo fenomeni così diffusi di
violenza e sfruttamento: lavoro minorile, tratta, turismo sessuale, prostituzione e pornografia
infantile, impiego nelle attività della criminalità organizzata e nei conflitti armati. Esiste, dunque,
un’ampia tutela del minore a livello giuridico che però non si concretizza in una sua reale
protezione.
Lo sfruttamento dei minori può assumere diverse forme e caratteristiche specifiche e peculiari ai
contesti socio-economici di riferimento. Il lavoro domestico, sfruttamento sessuale a fini
commerciali, lavoro in famiglia, lavoro forzato, lavoro nelle industrie e nelle piantagioni sono
soltanto alcune delle possibili forme di sfruttamento. Molteplici sono le cause: femminilizzazione
della povertà; immiserimento economico di molte famiglie unito alla perdita delle garanzie sociali;
disoccupazione; mancanza di istruzione; crisi della famiglia; comportamenti sessuali irresponsabili;
lo sviluppo delle nuove tecnologie che hanno influito notevolmente anche sul modo di operare delle
organizzazioni criminali dotate ora di reti telematiche, fax, telefoni cellulari, strumenti veloci per
spostarsi e comunicare; il divario sempre più netto tra i diversi Paesi del Mondo in termini di pace,
libertà, benessere, possibilità lavorative; la crescita delle barriere d’ingresso agli immigrati da parte
degli Stati più ricchi.
153
Tra le più importanti ricordiamo: nel 1959 l’Assemblea Generale dell’ONU approva la Dichiarazione dei Diritti dei
Bambini; il 1979 viene dichiarato Anno internazionale del Bambino; nel 1989 viene approvata la Convenzione
Internazionale sui Diritti dell’Infanzia; nel 1990 viene sottoscritta la Dichiarazione Mondiale sulla Sopravvivenza, la
Protezione e lo Sviluppo dell’infanzia ed un Piano Mondiale d’Azione; nel giugno del 1996 la Conferenza
dell’Organizzazione internazionale del Lavoro di Oslo, sul lavoro minorile, adotta una risoluzione sull’eliminazione di
questa pratica abietta; nell’agosto dello stesso anno si tiene a Stoccolma, sotto l’egida del governo svedese e
dell’Unicef, il primo Congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei minori a fini commerciali che porta
all’adozione di un Piano d’Azione basato sulla prevenzione la tutela ed il recupero delle piccole vittime.
154
Importanti progetti di prevenzione e di recupero dei minori sono stati portati avanti soprattutto grazie al notevole
sforzo di ong, grandi e piccole, che, in varie parti del mondo, hanno cercato di arginare i danni derivati dallo
sfruttamento dei minori.
155
Nel 1995 “La violazione dei diritti fondamentali dell’Infanzia e dei Minori” è stata oggetto di un approfondito studio
del Tribunale permanente dei Popoli, Tribunale d’opinione, nel corso di tre sessioni: Trento, 27-29 marzo; Macerata, 30
marzo-1aprile; Napoli, 1-4 aprile 1995. Il testo della sentenza nonché le finalità e le attività del Tribunale sono reperibili
nel sito web della Fondazione Internazionale Lelio Basso: www.grisnet.it/filb. Tribunale Permanente dei Popoli, La
violazione dei diritti fondamentali dell’infanzia e dei minori, Nova Cultura Editrice, Rovigo 1995.
242
9.2 Le Convenzioni e le iniziative internazionali
Al fine di poter meglio comprendere il grado di tutela raggiunto verranno esaminate le norme
internazionali, europee e nazionali in relazione agli interventi di prevenzione, protezione e di
contrasto allo sfruttamento dei minori. Con la presente trattazione non si ha la pretesa di essere stati
esaustivi rispetto al complesso e ampio fenomeno dello sfruttamento minorile, ma semmai, di
averne esaminato una parte importante, quella relativa allo sfruttamento sessuale e al lavoro
minorile.
9.2.2 Lavoro minorile
Sono milioni i bambini sfruttati in tutti i Paesi del mondo e, paradossalmente, molteplici le
Convenzioni Internazionali156 che li tutelano. Sin dal 1919 l’OIL157 ha messo a punto una serie di
importanti strumenti normativi contro lo sfruttamento dei minori, tra i più importanti ricordiamo: la
Convenzione del 1919 n. 5 fissa a 14 anni l’età minima per l’impiego nell’industria, limite elevato a
15 anni nella Convenzione del 1973 n. 138 e non prima di 18 anni per lavori che possono
compromettere la loro salute, sicurezza o moralità. La n. 138 costituisce la più completa
Convenzione dell’OIL158 sull’età minima ed è considerata lo strumento internazionale fondamentale
nella lotta al lavoro minorile. E’ una delle sette Convenzioni, la 182 è l’ottava, a cui fa riferimento
la Risoluzione della Conferenza sul lavoro minorile, del giugno 1996, dove si afferma la
responsabilità dei governi, dei datori di lavoro e della società tutta riguardo al lavoro minorile
soprattutto nei suoi aspetti più intollerabili quali l’impiego di bambini in condizioni di schiavitù, lo
sfruttamento sessuale e l’impiego in attività pericolose e nocive. L’eliminazione del lavoro
minorile, specie nei Paesi economicamente più poveri, è un obiettivo che può essere raggiunto
soltanto in maniera graduale159. E’ necessario trovare delle alternative per i bambini che vengono
allontanati dalle fabbriche e ciò per evitare che possano trovarsi in situazioni peggiori, ad esempio
essere costretti a prostituirsi. A tal proposito sono stati attuati dei programmi di protezione sociale
che includono l’istruzione e la formazione professionale160. L’Unicef, partendo dal presupposto che
in alcune zone del mondo il lavoro minorile è in un certo senso un male necessario distingue tra:
child labour, che include tutti quei lavori pesanti, inadeguati all’età del bambino, che ne
impediscono l’accesso all’istruzione di base e ne pregiudicano lo sviluppo fisico e psichico e child
work, comprendente tutte quelle attività, che essendo più leggere, e permettendo l’accesso
all’istruzione non interferiscono con la crescita del bambino. Si auspica la piena eliminazione del
lavoro minorile in tutte le sue forme però, laddove ciò non sia possibile nell’immediato, si consente
il child work ma non il child labour.
La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989161 è considerata il più avanzato e
completo atto giuridico internazionale riguardante i minori, una sorta di Carta Universale dei Diritti
dell’infanzia. La Convenzione si pone l’obiettivo di tutelare integralmente il bambino da qualsiasi
situazione che possa ledere la salute fisica e psichica dello stesso. I bambini e gli adolescenti non
sono più visti come “oggetto” di tutela ma “soggetti” di diritto; si afferma il principio del “superiore
interesse del bambino”. In questo strumento giuridico tutte le disposizioni già contemplate in
156
Per approfondimenti: http://www.minori.it/lavminorile/legis/internazionali.htm ;
Organizzazione Internazionale del lavoro. www.ilo.org
158
L’OIL ha adottato ben 11 Convenzioni sull’età minima di accesso al lavoro;
159
Questo approccio è seguito anche dall’UNICEF per le stesse motivazioni; cfr. UNICEF, La Condizione dell’Infanzia
nel mondo 1997. Speciale Lavoro minorile, 1997;
160
OIL, Il lavoro minorile. Problemi e linee d’azione, in Educazione e lavoro, 1997/3, n. 108, pag.6;
161
Convention on the Rights of the Child (CRC). La Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia è stata approvata il 20
novembre 1989 e recepita nell’ordinamento giuridico italiano, con la legge n. 176 del 27 maggio 1991;
157
243
materia di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza si integrano con norme di nuova concezione. In
base alla prospettiva da noi considerata, molteplici risultano gli articoli importanti: nell’art. 24.3 le
Parti si impegnano ad adottare tutte le misure efficaci ed appropriate al fine di abolire le pratiche
tradizionali pregiudizievoli alla salute del bambino; nell’art. 32.1 si afferma il diritto del fanciullo
ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e da qualsiasi tipo di lavoro rischioso, che
interferisca con la sua educazione o sia nocivo alla sua salute o allo sviluppo fisico, mentale, morale
o sociale.
Nell’art 32.2 le Parti si impegnano ad adottare misure legislative, amministrative, sociali ed
educative al fine di garantire l’applicazione dello stesso articolo; nell’art. 34 è prevista la protezione
del fanciullo contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale e, a tal fine, si invitano gli Stati
ad adottare misure adeguate; negli artt. 35, 36 e 38 si ravvisano le ipotesi: di rapimento, vendita e
traffico dei fanciulli, di protezione da ogni forma di sfruttamento pregiudizievole al benessere del
fanciullo, di partecipazione alle attività belliche per i minori di quindici anni.
Fondamentale per la tutela del minore, sia riguardo allo sfruttamento del lavoro minorile che
sessuale, risulta essere la Convenzione sulle forme peggiori di lavoro minorile, approvata dall’OIL
all’unanimità. La nuova Convenzione n. 182 sulla Proibizione ed immediata azione per
l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile è stata approvata, il 17 giugno 2000 nel corso
dell’87a sessione di lavoro162. Alla Convenzione si accompagna la Raccomandazione n. 190 che
completa e specifica le norme previste dalla prima. Molto importante risulta essere l’art. 1 nel quale
gli Stati si impegnano a “prendere misure immediate ed efficaci atte a garantire la proibizione e
l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile con procedure d’urgenza”.
All’art. 3 sono esplicitate le “forme peggiori di lavoro minorile”:
“a)tutte le forme di schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù, quali la vendita o la tratta di minori,
la servitù per debiti e l’asservimento, lavoro forzato o obbligatorio, compreso il reclutamento
forzato o obbligatorio di minori ai fini di un loro impiego nei conflitti armati; b)l’impiego
l’ingaggio o l’offerta di un minore ai fini di prostituzione, di produzione di pornografia o di
spettacoli pornografici; c)l’impiego, l’ingaggio o l’offerta di un minore ai fini di attività illecite,
quali in particolare, quelle per la produzione e per il traffico di stupefacenti, così come sono definiti
dai trattati internazionali pertinenti; d)qualsiasi altro tipo di lavoro che, per sua natura o per le
circostanze in cui viene svolto, rischi di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del
minore.”
Gli Stati sono tenuti ad attuare, previa consultazione con le parti sociali163, una serie di obblighi,
quali ad es: prevedere un costante aggiornamento dei lavori a rischio (4.3) istituire o designare
meccanismi per sorvegliare l’applicazione delle norme (art. 5) avviare programmi d’azione volti ad
eliminare le forme peggiori di lavoro minorile (art.6), garantire l’applicazione dei provvedimenti
necessari ad attuare l’applicazione della Convenzione (art.7.1), promuovere l’educazione (art.7.2) e
la cooperazione internazionale (art.8). La Convenzione è dotata di un buon apparato normativo che
però non viene applicato dai singoli Stati.
Oltre alla promozione di normative volte alla lotta del lavoro minorile e alla loro armonizzazione,
l’OIL ha elaborato un programma tecnico atto a prevenire il fenomeno. Il Programma IPEC
(Programma Internazionale dell’OIL sull’eliminazione del lavoro minorile), lanciato nel 1992, si
162
L’Italia ha ratificato la Convenzione n. 182 con la legge del 25 maggio 2000 n. 148.
Si riafferma in questo modo il ruolo delle parti sociali nella definizione dei programmi, delle norme e delle misure
sanzionatorie.
163
244
pone come obiettivo quello di rafforzare le capacità dei singoli Stati di affrontare il problema
promovendo lo sviluppo, offrendo ai bambini alternative educative adeguate e ai genitori un lavoro.
Sono finanziati interventi diretti a consolidare le capacità peculiari ad ogni Paese di combattere il
fenomeno. Le soluzioni durature devono essere trovate all’interno di ciascun Paese, per questo
l’IPEC viene definito come un programma di “proprietà nazionale”.
9.2.3 La tratta e lo sfruttamento sessuale dei minori
Trafficare in esseri umani rappresenta oggi la terza voce di introito per le organizzazioni criminali
dopo il commercio di armi e droga. Il turpe commercio costituisce un fenomeno molto complesso
ed articolato ed è una delle questioni riguardanti le violazione di diritti umani più urgenti a cui gli
Stati e le organizzazioni internazionali sono chiamati a rispondere. Sebbene i minori sfruttati
sessualmente siano in maggioranza di sesso femminile, il fenomeno investe anche i minori di sesso
maschile anch’essi vittime della prostituzione e della pornografia.
Lo sfruttamento sessuale ai fini commerciali viene definito dalle Nazioni Unite come “l’uso di un
bambino per scopi sessuali in cambio di denaro o di favori fra il cliente, l’intermediario o l’agente, e
altri soggetti che traggono profitto dal commercio di bambini esercitato a questo scopo”. Si
distinguono tre forme di sfruttamento: prostituzione minorile; tratta e vendita di bambini, sia a
livello internazionale che nazionale, per fini sessuali; pornografia infantile.
Lo sfruttamento sessuale dei minori è, da tempo, oggetto di grande attenzione da parte degli
organismi delle Nazioni Unite. Nel 1990 la Commissione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite
nomina il primo relatore speciale sulla vendita di minori, la prostituzione minorile e la pornografia
infantile164; Vitit Muntarbhorn primo relatore sarà avvicendato, nel 1994, da Ofelia Calcetas-Santos.
La stessa Commissione elabora, nel 1992, un Programma d’Azione per la prevenzione della
vendita, pornografia, la prostituzione e lo sfruttamento della manodopera infantile e, nel 1995,
istituisce un Gruppo di lavoro per l’elaborazione di un Protocollo facoltativo alla CRC.
Nel 1996 si svolge, a Stoccolma, il primo Congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale a fini
commerciali dei minori. La Conferenza di Stoccolma è considerata un traguardo importante da cui
partire; per la prima volta si parlò di un argomento considerato fino a quel momento un tabù.
Nell’Agenda sono specificati gli standard da adottare in campo giuridico per assicurare la
protezione e si sottolinea l’urgenza di sviluppare, rafforzare e attuare leggi nazionali volte stabilire
la responsabilità penale di coloro che risultano essere implicati in simili traffici e attività. Purtroppo,
nel secondo congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei minori, svoltosi a Yokohama
dal 17 al 20 dicembre 2001, i delegati di oltre 134 Paesi e i rappresentati di organizzazioni
internazionali e ong hanno potuto constatare ancora una carenza normativa a livello nazionale a
fronte di un notevole sviluppo dei fenomeni grazie, soprattutto, al coinvolgimento della criminalità
organizzata e all’uso di internet. Si rileva, inoltre, che anche laddove esistono norme che
perseguono legalmente la tratta e lo sfruttamento a fini sessuali, le sanzioni previste spesso non
riflettono la gravità del crimine.
Sempre nel 2001 si è svolta a New York la Sessione Speciale delle Nazioni Unite dedicata
all’Infanzia (UNGASS). Il documento finale, approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite il 10 maggio 2002, si compone di tre parti: la dichiarazione, il rapporto sull’esperienza
pregressa rispetto all’attuazione degli impegni presi nel corso del Vertice Mondiale sull’Infanzia del
1990, il Piano d’Azione. Il documento finale della Conferenza ONU ravvisa 21 obiettivi per
promuovere e proteggere i diritti dei bambini e degli adolescenti in tutto il mondo e soprattutto di
164
Risoluzione ONU 1990/68.
245
preservarli da ogni forma di abuso, sfruttamento e violenza. Si tratta di un documento di 23 pagine
che i singoli Stati devono trasformare in Piani di Azione concreti, da presentare alle Nazioni Unite
entro un anno.
Infine, la Commissione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite ha recentemente enucleato, settembre
2002, in una serie di principi e raccomandazioni gli aspetti più salienti della tratta degli esseri
umani.165. Speciale attenzione è dedicata, nei Principi, alla tutela dei diritti umani dalla quale non si
deve prescindere in nessuno degli aspetti riguardanti la tratta: prevenzione, protezione e assistenza
delle vittime. Tra le Direttive contemplate, quella riguardante le misure speciali destinate a
proteggere e aiutare i minori vittime della tratta (Direttiva 8) risulta essere la più importante ai fini
della presente trattazione. Oltre a riprendere i principi fondamentali della tutela del minore quali, ad
es., il superiore interesse del minore, sono introdotti importanti elementi di novità come il diritto del
minore di beneficiare di un trattamento diverso da quello degli adulti che tenga conto dei suoi
peculiari bisogni.
Sostanziali progressi sono stati compiuti nell’ambito del diritto internazionale. Le Convenzioni
internazionali che considerano il fenomeno della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale
dei minori sono molteplici166 ci si limiterà in questa sede ad esaminarne le più importanti. In
generale possiamo affermare che gli strumenti di diritto internazionale posti a tutela del minore
contro lo sfruttamento sessuale sono ampi si può altresì riconoscere nel principio internazionale che
impone agli Stati la lotta allo sfruttamento sessuale dei minori lo status di norma consuetudinaria167;
in essa si ravvisano sia la diuturnitas che l’opinio juris ac necessitatis elementi necessari affinché si
possa parlare di norma consuetudinaria. Ne consegue che l’obbligo a reprimere lo sfruttamento
sessuale dei minori non deriva soltanto sulla base di disposizioni convenzionali, ma direttamente da
un principio di diritto internazionale generale.
Una prima forma di lotta al fenomeno dello sfruttamento sessuale delle donne si ebbe con
l’istituzione, nel 1899, dell’Ufficio Internazionale per la Soppressione del traffico di Donne e
Bambini. L’Accordo Internazionale di Parigi, del 18 maggio 1904, costituisce il primo accordo in
materia; in esso si prevedeva la lotta a quella che, allora, era definita “white slave traffic” poiché si
faceva riferimento al traffico di donne che dall’Europa erano portate negli imperi coloniali. Nel
1910 fu firmata la Convenzione per la Soppressione del traffico delle Bianche seguita dalle
Convenzioni di Ginevra del 30 settembre del 1921 sulla repressione della tratta delle donne e dei
bambini la prima e la Convenzione per la repressione della tratta delle donne maggiorenni, dell’11
ottobre del 1933, la seconda. Le Convenzioni prevedevano un’estensione della tutela ai minori di
entrambi i sessi e un aumento dell’età prevista per legittimare il consenso168. Nel 1949 viene firmata
165
Haut Commisariat des Nations Unies aux Droits de l’Homme, Principes et directives concernant les droits de
l’homme et la traite des êtres humains: reccomendations, Nations Unies, Geneve 2002;
166
Ricordiamo le più importanti, la Slavery Convention del 1926 e la Convenzione Supplementare del 1956. La tratta è
considerata anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, del 1948, nell’art. 4 si dichiara che “Nessun
individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibiti sotto
qualsiasi forma”. La tratta di esseri umani è considerata come una forma moderna di schiavitù. La Dichiarazione ed il
Programma d’Azione di Pechino, del 1995, nel capitolo 4 tra le forme di violenza alle donne include la prostituzione
forzata ed il traffico intendendosi per quest’ultimo anche il matrimonio servile e il lavoro forzato. Questo fenomeno è
stato considerato anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea approvata, nel dicembre 2000 a Nizza,
dal Consiglio europeo. Nella Carta, all’art.5, si afferma: che “Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di
servitù. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio. E’ proibita la tratta degli esseri
umani”.
167
Per approfondimenti cfr Lenzerini F., Sfruttamento sessuale dei minori e norme internazionali sulla schiavitù, in La
Comunità internazionale, Vol. LIV, n. 3 Editoriale Scientifica 1999.
168
La Convenzione Internazionale per la Soppressione del Traffico di Donne e Bambini del 1921 e la Convenzione per
la Soppressione del Traffico di Donne di Maggiore Età, del 1933, nella quale si vieta il traffico di donne
246
a New York la Convenzione per la Soppressione del Traffico di Persone e lo Sfruttamento della
Prostituzione Altrui169. Questa Convenzione è stata, finora, lo strumento giuridico più importante
relativamente al fenomeno del traffico. Negli artt. 1 e 2 le Parti convengono:
“di punire chiunque, allo scopo di soddisfare le passioni di un terzo: assuma, prepari o svii un terzo,
anche nel caso che questi sia consenziente, a scopo di prostituzione; sfrutti la prostituzione di un
terzo, anche nel caso che questi sia consenziente”(art. 1).
“altresì di punire chi: possieda, diriga o, consapevolmente finanzi o contribuisca a finanziare una
casa di prostituzione; dia o prenda in affitto intenzionalmente, interamente o in parte, un edificio o
un altro luogo per la prostituzione di terzi” (art. 2).
Nell’art 4 sono considerati passibili di estradizione gli imputati dei reati previsti dalla Convenzione.
Si enfatizza la questione dell’emigrazione e l’immigrazione in rapporto al fenomeno della tratta
delle persone (art. 17); gli Stati si impegnano a proteggere in particolare le donne e i bambini in
tutto il percorso migratorio (art. 17.1), a pubblicizzare il rischio di tratta, a sorvegliare stazioni,
aeroporti e porti (art. 17.2) ed a favorire le comunicazioni relative ai reati commessi fra le autorità
dei diversi paesi (art.17.3). Nell’art. 19 le Parti si impegnano ad adottare le misure appropriate al
fine di provvedere alle necessità delle vittime del commercio sessuale fintantoché le stesse siano
rimpatriate, il rimpatrio può avvenire soltanto dopo aver raggiunto un accordo con lo Stato di
destinazione.
Nell’art. 20 gli Stati aderenti si impegnano a sorvegliare le agenzie di collocamento allo scopo di
evitare che le persone che ad esse si rivolgono, soprattutto donne, siano esposte al rischio dello
sfruttamento sessuale. Si sottolinea l’importanza delle misure contemplate in queste ultime due
disposizioni: volte alla tutela delle vittime nel primo caso e alla prevenzione del fenomeno nel
secondo. La Convenzione del ’49, nonostante l’accennata importanza, non è stata ratificata da molti
Stati, poiché in essa si sono scontrati opposti modi di vedere ed intendere il fenomeno della
prostituzione: da una parte vi erano gli abolizionisti, dall’altra i proibizionisti. Nella Convenzione si
afferma: l’illegittimità delle case di tolleranza; l’esigenza di depenalizzare la prostituzione in quanto
tale; la necessità di tutelare ed assistere le vittime (art.16). Altro elemento di debolezza della
Convenzione è la mancanza di un idoneo sistema di monitoraggio attraverso il quale verificare
l’applicazione dei provvedimenti intrapresi dalle Parti in applicazione degli impegni assunti con
l’adesione alla Convenzione. Gli interessi contrastanti e le opposte posizioni hanno reso questo
strumento, importante per le disposizioni previste, debole nell’attuazione.
Nel 1962 fu adottata la Convenzione sul consenso al matrimonio che si pone come obiettivo quello
di impedire che, attraverso "finti matrimoni", si possano assoggettare donne e bambini alle forme
più crudeli di sfruttamento (soprattutto sessuale), quest’ultimo principio è ribadito anche nei Patti
Internazionali sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, nell’art. 10 è sottolineata la necessità del
libero consenso di entrambi gli sposi. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici170 sancisce
che “Nessuno può essere tenuto in stato di schiavitù: la schiavitù e la tratta degli schiavi sono
proibite sotto qualsiasi forma (art. 8.1)”, “nessuno può essere tenuto in stato di servitù (art. 8.2)”
“nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio (art. 8.3)”. Infine,
indipendentemente dall’età e dal consenso espresso. Adottate dalla Società delle Nazioni. Le Convenzioni sono state
emendate dal Protocollo di Lake Success del 12 novembre 1947. Per i testi delle Convenzioni
cfr.http://untreaty.un.org/English/TreatyEvent2001;
169
Recepita dall’ordinamento italiano con la Legge n. 1173 del 23 novembre 1966;
170
Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione n. 2200 A (XXI) del 16 dicembre 1966.
Firmata dall’Italia il 18 gennaio 1967 e ratificata il 15 settembre 1978 in seguito ad autorizzazione disposta con la legge
del 25 ottobre 1977, n. 881;
247
ricordiamo la Convenzione del 1979 sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione delle
donne, in particolare, nell’art. 6 è sancito l’obbligo per gli Stati di “sopprimere tutte le forme171 di
traffico di donne e di sfruttamento della prostituzione femminile”172.
Nel 1989 viene approvata la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia173, di cui risultano
particolarmente interessanti gli artt. 34, 35 e 36 nei quali le Parti:
“..si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e violenza
sessuale. A tal fine gli Stati devono prendere in particolare ogni misura adeguata sul piano
nazionale, bilaterale e multilaterale, per prevenire: l’induzione o la coercizione di un fanciullo per
coinvolgerlo in attività sessuali illecite; lo sfruttamento dei fanciulli nella prostituzione o in altre
pratiche sessuali illecite; lo sfruttamento dei fanciulli in spettacoli e materiale pornografico
(art.34).”
“..devono prendere ogni misura appropriata sul piano nazionale, bilaterale e multilaterale per
prevenire il rapimento, la vendita o il traffico di fanciulli a qualsiasi fine o sotto qualsiasi forma (art.
35)”.
“..devono proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento pregiudizievole a qualsiasi
aspetto del suo benessere (art.36)”.
Oltre alle disposizioni esaminate molte altre, oltre ai principi generali, risultano di particolare
interesse quali: l’illecito trasferimento di minori all’estero (l’art. 11); l’adozione internazionale non
può comportare un guadagno illecito (art. 21); la protezione del minore contro lo sfruttamento
economico, sessuale e di ogni altro tipo (artt. 32, 34, 36); il diritto del minore al recupero fisico e
psicologico e alla reintegrazione sociale nel caso in cui sia vittima di sfruttamento, abuso o di
qualsiasi forma di negligenza (art 39). Nella Convenzione la tutela prevista per i minori è ampia e
tiene conto dell’esigenza di adottare misure volte soprattutto alla prevenzione del fenomeno e alla
necessaria cooperazione internazionale Un elemento di debolezza è costituita dalla mancata
previsione di definizioni e di fattispecie giuridiche di riferimento.
La Convenzione per la Soppressione del Traffico di Persone e lo Sfruttamento della Prostituzione
Altrui174, firmata a New York nel 1949, è finora considerata lo strumento giuridico più importante
relativamente al fenomeno della tratta ed il primo nel quale è stata utilizzata l’espressione traffic in
persons. Nella Convenzione si enfatizza la questione della migrazione in rapporto al fenomeno della
tratta delle persone (art. 17). Gli Stati si impegnano a proteggere in particolare le donne e i bambini
in tutto il percorso migratorio (art. 17.1), a pubblicizzare il rischio di tratta, a sorvegliare, aeroporti
e porti (art. 17.2) ed a favorire le comunicazioni, relative ai reati commessi, fra le autorità dei
diversi Paesi (art.17.3).
Nell’art. 19 le Parti si impegnano ad adottare le misure appropriate al fine di provvedere alle
necessità delle vittime del commercio sessuale fintantoché le stesse siano rimpatriate; il rimpatrio
può avvenire soltanto in seguito alla conclusione di un accordo con lo Stato di destinazione.
171
Il corsivo è mio;
Convention on the Elimination of Discrimination of Women (CEDAW). Adottata dall’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite il 18 dicembre 1979 e ratificata dall’Italia il 10 giugno 1985 con la legge del 14 marzo 1985, n. 132;
173
Il 28 agosto 1997 il Parlamento italiano ha varato la legge n. 285 dal titolo “Disposizioni per la promozione di diritti
e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” in attuazione della Convenzione CRC.
174
Convention for the Suppression of the Traffic in Persons and of the Exploitation of the Prostitution of Others.
Recepita dall’ordinamento italiano con la Legge n. 1173 del 23 novembre 1966.
untreaty.un.org/English/TreatyEvent2001/19.htm
172
248
Nell’art. 20 gli Stati Parte si impegnano a sorvegliare le agenzie di collocamento allo scopo di
evitare che le persone che ad esse si rivolgono, soprattutto donne, siano esposte al rischio dello
sfruttamento sessuale. Si sottolinea l’importanza delle misure contemplate in queste ultime due
disposizioni: volte alla tutela delle vittime nel primo caso e alla prevenzione del fenomeno nel
secondo.
La Convenzione del ’49, nonostante l’accennata importanza, non è stata ratificata da molti Stati,
poiché in essa si sono scontrati opposti modi di vedere ed intendere il fenomeno della prostituzione:
da una parte vi erano gli abolizionisti, dall’altra i proibizionisti. Ulteriori elementi di debolezza sono
ravvisabili nella mancanza di un idoneo sistema di monitoraggio attraverso il quale verificare
l’applicazione dei provvedimenti adottati dalle Parti in applicazione degli impegni assunti con
l’adesione alla Convenzione, nell’assenza di una definizione di trafficking, nel limitato ambito di
applicazione della Convenzione che considera soltanto la tratta di donne a scopo di sfruttamento
sessuale175. Gli interessi contrastanti e le opposte posizioni hanno reso questo strumento, importante
per le disposizioni previste, debole nell’attuazione. Si rilevano altresì ulteriori elementi di debolezza
nell’aver considerato la tratta esclusivamente come un aspetto della prostituzione, di non aver
considerato altre fattispecie di sfruttamento sessuale né forme diverse da quelle sessuali, nonché
sussiste una limitazione di genere in quanto si applica soltanto alle donne e ai minori di sesso
femminile.
La Convenzione Internazionale per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti
delle donne176, del 1979, è un ulteriore strumento di lotta al trafficking. La Convenzione considera
la tratta a scopo di sfruttamento sessuale come una forma di grave discriminazione contro le donne
in quanto le priva dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Si rileva l’assenza di una
definizione di “tratta” e, d’altro canto è previsto nell’art. 6, per gli Stati Parte, l’obbligo di adottare
tutte le misure atte ad eliminare ogni forma di tratta delle donne e di sfruttamento della
prostituzione. Dal momento che la Convenzione non esplicita chiaramente quali sono le fattispecie
considerate, ogni Stato Parte stabilirà quali misure adottare.
L’aver considerato “ogni forma di tratta” è valutabile come un elemento positivo soprattutto in una
prospettiva futura. Un ulteriore elemento positivo è la predisposizione di un meccanismo di
monitoraggio: il Comitato Internazionale sui diritti delle donne. Gli Stati Parte sono, infatti, tenuti a
sottoporre a tale Comitato rapporti iniziali e periodici rispetto alle misure concretamente adottate
alla luce delle disposizioni contenute nella Convenzione. Con l’entrata in vigore del Protocollo
Opzionale alla CEDAW177 - approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 6 ottobre
del 1999, la tutela dei diritti di tutte le donne risulta rafforzata. Il Protocollo contempla due
procedure di intervento: di denuncia e di indagine. La prima, communication procedure, può essere
utilizzata da singole donne o da gruppi per denunciare al Comitato casi di violazione delle
disposizioni previste dalla CEDAW; la seconda procedura attiene, invece, al potere conferito al
Comitato di condurre indagini sulle violazioni gravi o sistematiche dei diritti umani delle donne
laddove il Paese è Parte.
Nel complesso la tutela prevista è ampia però si rileva una lacuna costituita dalla mancata
predisposizione di misure comuni a cui gli Stati debbano attenersi.
175
Sono, dunque, escluse dalla Convenzione le altre fattispecie di tratta e le vittime di sesso maschile.
Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women (CEDAW). Entrato in vigore il 3
settembre 1981. http://untreaty.un.org/English/TreatyEvent2001/1.htm
177
Entrato in vigore il 22 dicembre 2000. Al 18 ottobre 2002 gli Stati firmatari erano 75 e 47 le ratifiche. L’Italia ha
firmato il Protocollo il 10 dicembre 1999 e ratificato il 22 settembre del 2000 consentendo l’entrata in vigore del
Protocollo. .
176
249
La tratta, in quanto crimine, è contemplata anche nell’ambito dello Statuto istitutivo della Corte
Penale Internazionale178, nell’art. 7 par. 1 c., le pratiche schiavistiche sono considerate crimini
contro l’umanità e la schiavitù è definita come: “l’esercizio su una persona di uno o dell’insieme dei
poteri inerenti al diritto di proprietà179, anche nell’ambito del traffico di persone, in particolare di
donne e bambini a fini di sfruttamento sessuale”. La tratta è, dunque, contemplata tra i crimini che
ricadono nell’ambito della giurisdizione della Corte. Si rileva altresì che la nozione di tratta non è
limitata al mero sfruttamento sessuale ma è comprensivo delle altre forme. Dall’esame dell’intero
articolato l’esigenza di una maggiore tutela risulta contemplato non soltanto nel Preambolo, ma
anche in altri articoli: divieto di coscrivere o reclutare bambini in età inferiore ai quindici anni nelle
forze armate (art. 8); esclusione di giurisdizione delle persone di età inferiore ai diciotto anni (art.
26); necessità di includere magistrati con un’esperienza giuridica su materie specifiche, incluso, ma
non solo, la violenza contro donne o bambini (art. 36); il Procuratore deve valersi di persone con
una competenza giuridica su materie specifiche, incluso ma non solo, la violenza sessuale di genere
e la violenza contro i bambini (art. 42); protezione delle vittime e dei testimoni e la loro
partecipazione al processo (art.68). Lo Statuto dell’ICC pone in primo piano l’esigenza di assicurare
una specifica tutela ai minori vittime dei cosiddetti core crimes contemplati e perseguiti dallo stesso
Statuto.
Altro strumento di particolare rilevanza è il Protocollo Opzionale alla CRC sulla vendita,
prostituzione e pornografia dei minori, adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25
maggio del 2000180, si pone come obiettivo fondamentale la lotta alla tratta di minori allo scopo di
vendita, prostituzione, turismo sessuale e pornografia181. Nel Preambolo sono richiamati e
riaffermati i principi e i diritti riconosciuti ai minori dalla Convenzione sui diritti dell’Infanzia e
dalle altre Convenzioni in materia e le preoccupazioni espresse nella Conferenza internazionale per
combattere la pornografia Infantile su Internet, svoltasi a Vienna nel 1999, nella quale si
sottolineava la crescente disponibilità di materiale pornografico e l’importanza di una
collaborazione più stretta fra governi e operatori del settore.
L’art 1 del Protocollo proibisce la vendita, la prostituzione e la pornografia minorile le cui
fattispecie sono definite, per la prima volta in uno strumento giuridicamente vincolante182, negli artt.
2 e 3:
per vendita di bambini si intende “qualsiasi atto o transazione che comporta il trasferimento di un
bambino, di qualsiasi persona o gruppo di persone ad altra persona o gruppo di persone dietro
compenso o qualsiasi altro vantaggio”. Essa comprende l’offerta, la consegna o l’accettazione di un
minore ai fini di sfruttamento sessuale, espianto di organi a fini di lucro, lavoro forzato nonché il
consenso, ottenuto indebitamente in quanto intermediario, all’adozione di un minore;
178
Rome Statute of the International Criminal Court (ICC). Adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite
a Roma il 17 luglio 1998 e ratificato dall’Italia con la legge n. 232 del 12 luglio 1999. Il primo luglio 2002 la ICC è
entrata in vigore essendo stata raggiunta la sessantesima ratifica richiesta dal suo Statuto.
179
La nozione del diritto di proprietà è un concetto chiave riguardo al fenomeno della schiavitù e della tratta.
180
Optional Protocol to the Convention on the Rights of the Child on the sale of children, child prostitution and child
pornography. Il Protocollo è divenuto uno strumento giuridicamente vincolante dal gennaio 2002; al 31 ottobre 2002 il
Protocollo è stato firmato da 105 Paesi e ratificato da 42. L’Italia lo ha ratificato il 9 maggio 2002.
181
A tal riguardo, viene espressamente condannato l’uso di Internet o di altre tecnologie per il commercio di materiale
pornografico riguardante i minori;
182
Definizioni relative alle ipotesi considerate sono state oggetto di analisi e approfondimento nei documenti delle
Nazioni Unite, cfr United Nations Commission on Human Rights, Report of the Special Rapporteur on the sale of
children, child prostitution and child pornography, Ms Ofelia Calcetas-Santos, Jan. 1998- 2000.
250
La prostituzione minorile è intesa come “ il coinvolgimento di un bambino in attività sessuali dietro
compenso o qualsiasi altro vantaggio” e comprende il fatto di ottenere, procurare o fornire un
bambino a fini di prostituzione;
Infine, per pornografia minorile si intende “qualsiasi rappresentazione, mediante qualsiasi mezzo, di
un bambino impegnato in attività sessuali esplicite, siano esse reali o simulate, o qualsiasi
rappresentazione delle parti intime di un bambino per scopi che siano soprattutto sessuali”,
comprende la produzione, la distribuzione, la diffusione, l’importazione, l’esportazione, l’offerta, la
vendita o la detenzione di materiale pornografico infantile.
L’adozione di misure adeguate ed il pieno recepimento nel proprio ordinamento interno, di quanto
stabilito, è l’impegno assunto da ciascuno Stato affinché sia garantito il perseguimento dei reati a
prescindere dal luogo in cui sono commessi, sia a livello interno che transnazionale, da un individuo
o in modo organizzato (art.3). La predisposizione delle definizioni è un aspetto importante del
protocollo in quanto gli Stati avranno delle fattispecie omogenee cui far riferimento.Le disposizioni
previste in questo articolo risultano essere molto interessanti poiché comprensive anche dei reati
commessi a livello interno e da un singolo individuo quindi, la tutela è più ampia di quella prevista
nel Protocollo di Palermo sulla tratta. Inoltre, anche nelle definizioni le formule utilizzate sono
ampie tali da considerare come fine non soltanto il guadagno economico ma anche qualunque altro
tipo di retribuzione e di contemplare il generico concetto di “attività sessuali”.
Dall’esame dell’intero articolato l’aspetto di maggiore rilevanza che caratterizza il Protocollo è
l’utilizzo di un approccio onnicomprensivo basato sulla prevenzione e assistenza, dunque, sulla
tutela dei diritti delle vittime e sull’applicazione di adeguati strumenti tecnico-giuridici volti alla sua
protezione. E’ contemplato il principio dell’extraterritorialità e l’applicazione degli accordi di
estradizione per tutte le fattispecie criminose contemplate. Speciale protezione viene riconosciuta,
nell’art. 8, in ogni fase del procedimento penale sulla base della particolare vulnerabilità e dei
peculiari bisogni dei minori specie se coinvolti come testimoni. A tale scopo ai minori viene
garantita: l’informazione sui diritti riconosciuti, la tutela della loro identità e della propria famiglia,
la protezione da intimidazioni e rappresaglie, l’adozione del criterio del superiore interesse del
minore in ogni fase del procedimento, la formazione adeguata, in particolare in ambito giuridico e
psicologico, degli operatori.
Infine, negli artt. 9 e 10 è previsto l’impegno degli Stati Parte volto a rafforzare, adottare, applicare,
divulgare: misure amministrative, politiche e programmi sociali al fine di prevenire i reati;
campagne di informazione, istruzione e formazione per sensibilizzare l’opinione pubblica, ivi
compresi i bambini, aumentando in tal modo la consapevolezza sui rischi; misure adeguate di
assistenza e riabilitazione delle vittime; programmi di cooperazione e collaborazione internazionale
in grado di debellare le cause alla radice di tali fenomeni. E’ previsto, inoltre, l’obbligo per ciascuno
Stato di presentare, ogni due anni , alla Commissione per i Diritti del Fanciullo una relazione sulle
misure adottate alla luce delle disposizioni contemplate nel Protocollo.
Nel dicembre del 2000 si è svolta, a Palermo, la Conferenza ONU che ha portato all’approvazione
della Convenzione sulla criminalità organizzata transnazionale dei due Protocolli addizionali: sul
traffico di migranti via terra, via mare e via aria il primo; sulla prevenzione, repressione e punizione
della tratta di persone, in particolare di donne e bambini, il secondo183. Oggetto di uno specifico
Protocollo il trafficking in persons è, definito per la prima volta, nell’art 3184 come:
183
Elaborata da un Comitato ad hoc istituito dall’Assemblea Generale dell’ONU con la Risoluzione del 9 dicembre
1998. DOC A/55/383. Il testo della Convenzione è reperibile al sito web: www.odccp.org. I Protocolli aggiunti sono:
Protocol to Prevent, suppress and punish trafficking in persons, especially women and children, supplementing the
United Nations Convention against transnational organized crime (per la tratta); Protocol against the smuggling of
251
“….il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l'impiego o la
minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso
di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di danaro o vantaggi
per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo
sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di
sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe,
l’asservimento o il prelievo di organi”.
Nel caso in cui nella tratta di persone sia coinvolto un minore il comma successivo statuisce che le
condotte si considerano integranti la tratta di persone, anche nel caso in cui la minaccia, l’uso della
forza, il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di potere non siano stati utilizzati. Nella definizione
si rilevata l’introduzione del concetto l’introduzione del concetto di abuso della condizione di
vulnerabilità185, peculiare situazione ravvisabile quando una persona non ha ragionevoli alternative.
Questo è un concetto importante destinato ad influenzare in via interpretativa186 la nozione di
servitù, compresa anch’essa nella definizione187. Nel Protocollo non è stata data una definizione di
sfruttamento ma sono elencate delle fattispecie esemplificative188 che ciascuno Stato dovrà
considerare come base minima da cui partire, per poter individuare altre ipotesi nei singoli contesti
nazionali. Nel Preambolo sono contemplati tre livelli di azione: la prevenzione e la repressione del
traffico e la protezione delle vittime.
Il traffico è considerato, tendenza consolidata a livello internazionale, “una fattispecie complessa
destinata a comprendere più scopi illeciti”, questa formula si ritrova nei negoziati a Palermo ed è il
frutto di una mediazione tra Paesi d’origine e di destinazione. Gli scopi illeciti sono inclusi nella
categoria “sfruttamento” che però è un fenomeno qualitativamente diverso dalla “schiavitù”. A tal
proposito è importante il termine servitude, il quale consente di comprendere quelle situazioni
ancora poco indagate, le cosiddette “zone grigie”. La consapevolezza che la repressione e la
protezione dei diritti delle vittime sono due aspetti strettamente correlati risulta trasfuso nell’art. 2
del Protocollo che considera gli obiettivi. In un primo momento gli obiettivi prefissi erano soltanto
quelli di combattere e prevenire il traffico, successivamente sono stati inseriti anche l’assistenza e la protezione
delle vittime nel pieno rispetto dei loro diritti umani189.
migrants by land, air and sea, supplementing the United Nations Convention against transnational organized crime (per
il contrabbando)
184
Protocol to Prevent, suppress and punish trafficking in persons, especially women and children, supplementing the
United Nations Convention against transnational organized crime. DOC A/55/383. Adottato dall’Assemblea Generale
dell’ONU con la risoluzione A/RES/55/25. Non è ancora in vigore per il mancato raggiungimento del numero di
ratifiche previste. Per verificare lo stato delle ratifiche è possibile consultare il sito web:
www.odccp.org/crime_cicp_signatures.html
185
Questo concetto, già considerato nella Risoluzione del Parlamento europeo sulla tratta di esseri umani (18 gennaio
1996), nel Protocollo viene maggiormente precisato. Interpretative note (63), Protocol to Prevent, Suppress and Punish
Trafficking in Person “The travaux preparatoires should indicate that the reference to the abuse of a position of
vulnerability is understood to refer to any situation in which the person involved has no real and acceptable alternative
but submit to the abused involved”;
186
M.G. Giammarinaro, intervista;
187
Il concetto non è nuovo, si parla di servitù nella Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo del 1950 e nella
Convenzione Internazionale sulla protezione dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie del 1990 (non
ancora entrata in vigore);
188
Come nella Convenzione Supplementare.
189
Aspetto innovativo in quanto si sottolinea l’importanza della tutela dei diritti umani delle vittime di traffico. La
collocazione di questa tutela è molto importante in quanto si inserisce tra gli scopi e le finalità di carattere generale, ciò
indica il riconoscimento dell’approccio. La posizione dell’Italia, con l’esperienza dell’art. 18, ha influito nei negoziati.
Da parte della delegazione italiana è stata sottolineata l’importanza della tutela delle vittime da un punto di vista di
politica del diritto ma anche di politica criminale. E’ un dato di fatto che la collaborazione delle vittime è anche una
risorsa per la repressione.
252
Gli obiettivi del Protocollo, contemplati nell’art. 3, sono la prevenzione e la lotta alla tratta di
persone, con particolare attenzione alle donne e ai bambini; la tutela e l’assistenza delle vittime; ed
infine, la promozione della cooperazione tra gli Stati Parte.
Un aspetto molto importante del Protocollo è che non sono state ammesse riserve anche se, come è
stato sottolineato da alcuni190, sono state adottate delle formule più sfumate al fine di ottenere
l’adesione anche dei Paesi dalle posizioni più ostiche come ad es. quelli africani, che sono
contemporaneamente Paesi di destinazione e di transito, ciò per un problema di costi. Fondamentale
risulta essere l’affermazione del principio di non discriminazione delle persone vittime di traffico,
in quanto le norme contenute nel Protocollo non possono essere utilizzate come causa di
discriminazione nei confronti delle stesse vittime. Nel complesso il Protocollo può essere valutato
positivamente, nonostante la non obbligatorietà di molte disposizioni ed il mancato riconoscimento
di un vero e proprio diritto della persona trafficata a restare nel Paese di destinazione o di rientrare
in quello di residenza. Il permesso di soggiorno è considerato un’eccezione ed è previsto soltanto in
alcuni casi valutati con discrezionalità, d’altra parte però è contemplata la possibilità di ottenere un
permesso di soggiorno definitivo. Un elemento di debolezza è ravvisabile nella norma sul rimpatrio
in quanto non è stata affermata la volontarietà da parte della vittima, si è stabilito soltanto che esso
dovrebbe essere preferibilmente volontario. Da questo elemento di discrezionalità consegue una
minore tutela della vittima.. Il problema nel caso del rimpatrio è costituito dal fatto che esso è stato
esaminato congiuntamente dai due Protocolli, dunque, si ritiene che valutazioni riguardanti
l’immigrazione illegale abbiano fatto propendere per normative meno flessibili. Ulteriore elemento
di debolezza è ravvisabile nell’estensione del Protocollo ai soli casi in cui è coinvolta la criminalità
organizzata a livello transnazionale rimangono, dunque, esclusi i reati di tratta commessi da
individui e quelli realizzati da gruppi criminali all’interno di uno Stato.
9.3 La legislazione e le iniziative europee
L’Unione europea, già da qualche anno, ha assunto un ruolo molto importante nella lotta allo
sfruttamento dei minori. Il Trattato di Maastricht o Trattato dell’Unione Europea (TUE), del 7
febbraio 1992191, rappresenta il primo passo verso una comune gestione, da parte dei Paesi europei,
di alcune fondamentali materie considerate fino a quel momento di esclusiva prerogativa statale.
L’adozione del Titolo VI concernente la “cooperazione nei settori della giustizia e degli affari
interni” e la creazione di quello che viene chiamato il “terzo pilastro” dell’Unione europea
rappresentano, infatti, il primo tentativo verso una comunitarizzazione di tematiche quali l’asilo,
l’immigrazione, la sicurezza, la cooperazione giudiziaria. In questa fase però non vi è ancora
attenzione nei confronti della tratta di esseri umani come dimostra la mancanza di un esplicito
riferimento alla stessa tra le forme di criminalità organizzata contemplate nell’ex art. K1 (art. 29 del
testo consolidato).
La lotta al trafficking diverrà obiettivo prioritario con il Trattato di Amsterdam divenendo, all’art.
29192, una condizione imprescindibile per realizzare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il
Vertice straordinario di Tampere193 dei capi di Stato e di governo dell’Unione europea, svoltosi il
15-16 ottobre 1999, ha impresso un’accelerazione verso questa direzione. Sono stati fissati, in
190
M.G. Giammarinaro, intervista;
Entrato in vigore il 1°novembre 1993. Ratificato dall’Italia con la legge n. 388 del 30 settembre 1993.
192
In questo articolo è contemplato l’obbligo per gli Stati di adottare tutti gli strumenti di cooperazione necessari al fine
di contrastare in maniera incisiva la tratta di esseri umani.
193
Risoluzione B5-0116/1999, GU C 54 del 25.02.2000, pag.93;
191
253
maniera puntuale, una serie di impegni e di priorità da attuare in armonia con il Piano d’Azione, del
dicembre 1998, approvato dal Consiglio europeo a Vienna.
Priorità nell’intervento deve essere data ad alcuni settori quali: il controllo delle frontiere esterne,
l’asilo, la libera circolazione delle persone, la cooperazione giudiziaria fra le forze dell’ordine. Il
traffico degli esseri umani, soprattutto di donne e minori è considerato tra i settori prioritari. A tal
proposito, è stata evidenziata l’importanza: della cooperazione internazionale, dello scambio di
informazioni e best practices, della tutela delle vittime, della prevenzione dei fenomeni criminali,
dell’istituzione di apposite squadre investigative composte da funzionari di diversi Paesi
rafforzando, in tal modo, l’impegno dell'UE alla lotta ad ogni forma di criminalità organizzata. La
tendenza verso una gestione comune del fenomeno migratorio e del traffico di esseri umani è stata
recentemente confermata dai Vertici europei di Laeken194, di Santiago de Compostela195 e di
Siviglia196.
La tratta e lo sfruttamento di minori nelle diverse forme, compreso l’utilizzo di Internet e dei mezzi
audiovisivi, sono oggetto di numerosi atti normativi da parte delle istituzioni europee, tra i più
importanti ricordiamo: le Risoluzioni del Parlamento sulla violenza contro le donne197, sullo
sfruttamento della prostituzione e sulla tratta di esseri umani198, sulla tratta delle donne199, ancora
sulla tratta degli esseri umani200; la direttiva del Consiglio europeo concernente la tutela dei giovani
sul lavoro201; l’Azione comune adottata dal Consiglio per la lotta contro la tratta degli esseri umani
e lo sfruttamento sessuale dei bambini202 elaborata sulla base dell’art. K3 del Trattato sull’Unione
europea; la Dichiarazione ministeriale sugli orientamenti europei per misure efficaci di prevenzione
e di lotta contro la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale203; la Risoluzione del Consiglio
per la protezione dei minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi204; il Piano d’Azione del
Parlamento e del Consiglio per promuovere l’uso sicuro di internet attraverso la lotta alle
informazioni di contenuto illegale e nocivo diffuse attraverso le reti globali205; le Risoluzioni del
Parlamento europeo sul traffico illegale di neonati provenienti dal Guatemala206, le Risoluzioni
sull’attuazione delle misure di lotta contro il turismo sessuale che coinvolge l’infanzia207 e sulle
ulteriori azioni nella lotta contro la tratta delle donne208.
Al fine di promuovere una maggiore conoscenza del fenomeno e di contrastare in maniera più
efficace e puntuale la tratta di donne e minori l’Unione europea, da qualche anno, ha messo a punto
due importanti programmi209: il programma Stop e Daphne. Il programma “Stop” è stato adottato
nel 1996, quando il fenomeno della tratta ha cominciato a destare allarme ed è stato avvertito come
una grave violazione dei diritti umani, soprattutto nei confronti delle donne e dei minori. Si tratta di
un programma quinquennale volto al finanziamento di ricerche, corsi di formazione, seminari e alla
194
14 -15 dicembre 2001
14 - 15 febbraio 2002
196
21 - 22 giugno 2002
197
Dell’11 giugno 1986,GU C 176 del 14 luglio 1986;
198
Del 14 aprile 1989, GU C 120 del 16 maggio 1989;
199
Del 16 settembre 1993, GU C 268 del 4 ottobre 1993;
200
Del 18 gennaio 1996, Doc. A4-0326/95.GU C 32 del 5 febbraio 1996;
201
Del 22 giugno 1994, direttiva 94/33/Ce;
202
Del 24 febbraio 1997, GU L 63 del 4 marzo 1997;
203
Aja 24-26 aprile 1997.
204
Del 26 giugno 1997,97/C 221/03;
205
Del 25 gennaio 1999 adottato con la decisione n.276/1999/Cee;
206
GU C 104 del 14 aprile 1999;
207
Del 29 febbraio 2000, A5-0052/2000;
208
Del 2 maggio 2000, A5-0127/2000;
209
Confermati fino al 2003;
195
254
promozione dello scambio di informazioni ed operatori del settore. Esso è rivolto a coloro che si
occupano della tratta: giudici, pubblici ministeri, forze dell’ordine, organizzazioni pubbliche e
private, ong, assistenti sociali. Principi fondamentali su cui poggia il programma sono: necessità di
affrontare il problema tenendo in considerazione tutti i livelli della catena della tratta (chi recluta,
ma anche coloro che trasportano, sfruttano fino ad arrivare ai clienti), nonché importanza
dell’approccio multiculturale. L’iniziativa “Daphne”, invece, avviata nel 1997 a sostegno delle
azioni contro la violenza sulle donne e i minori, è stata sostituita nel 1999 dal Programma Daphne.
Ha un campo d’azione più ampio rispetto al programma Stop in quanto possono partecipare anche
le organizzazioni provenienti dai Paesi candidati all’UE e i progetti da realizzare possono essere
pluriennali.
Ulteriori iniziative di particolare rilevanza, in ambito europeo, riguardanti la lotta al traffico di
esseri umani sono: l’In.C.E., la S.E.C.I., il Patto di Stabilità, il Budapest Process. L’Iniziativa
Centro Europea (In.C.E.) è un’organizzazione di cooperazione regionale, nata nel 1989, che
riunisce 16 Paesi210 e si pone come obiettivo la cooperazione in diversi settori: economico,
commerciale, industriale, culturale, sociale e scientifico. In seguito alla raccomandazione della
Conferenza di Sarajevo, del novembre 1997, fu istituito un Gruppo ad hoc per la lotta alla
criminalità organizzata; si tratta di un gruppo di esperti sotto l’egida della presidenza congiunta
dell’Italia e della Slovacchia. Nel 1998 è stata adottata, a Trieste, la “Dichiarazione sulla lotta alla
criminalità organizzata”. L’importanza della Dichiarazione di Trieste è ravvisabile dal fatto che, per
la prima volta, i Ministri dell’Interno dei Paesi aderenti affrontano congiuntamente il problema
stabilendo linee programmatiche, obiettivi da raggiungere e modalità di cooperazione nel settore.
Tra i settori di intervento sono contemplati sia il trafficking in persons che lo smuggling.
La S.E.C.I. (Southeast European Cooperative Iniziative) è un’iniziativa, avviata nel dicembre 1996,
che si propone lo sviluppo della cooperazione e l’armonizzazione delle legislazioni fra gli Stati
membri211. Ulteriore obiettivo è la formazione degli operatori di polizia e di dogana. A tale scopo è
stato istituito a Bucarest un Centro di Cooperazione Regionale per la lotta alla corruzione ed alla
criminalità in ambito transfrontaliero. I rappresentanti dei Paesi aderenti, che operano nel Centro,
svolgono un importante lavoro di raccolta e di scambio delle informazioni necessarie a contrastare il
fenomeno.
Il Patto di Stabilità, nato su iniziativa212 dei Ministri degli Affari Esteri dell’Unione Europea e dei
Paesi balcanici, si pone come principale obiettivo la collaborazione con i Paesi dell'Europa del SudEst al fine di promuovere la pace, la democrazia, il rispetto dei diritti umani, la prosperità
economica e, di conseguenza, la stabilità della Regione. Nell’ambito del Patto sono stati creati tre
Tavoli di lavoro213, il terzo si occupa della sicurezza e della lotta ai fenomeni criminali. Particolare
importanza è stata riconosciuta alle iniziative riguardanti il traffico di esseri umani214, la criminalità
organizzata transfrontaliera e i controlli delle frontiere esterne. A tal fine è stato approvato un piano
210
Italia, Austria, Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Bielorussia, Croazia, Polonia, Romania, Slovacchia, Moldavia,
Macedonia, Slovenia, Ungheria, Repubblica Ceca, Ucraina. La Federazione Russa partecipa in qualità di osservatore
211
Gli Stati Membri sono attualmente 11, Albania, Bosnia, Bulgaria, Croazia, Grecia, Ungheria, Moldavia, Romania,
Slovenia, Macedonia, e Turchia; gli Stati sostenitori sono Austria, Italia, Russia, Svizzera e Stati Uniti.
212
Successivamente adottato, nel settembre del 1999, dai Capi di Stato e di Governo dell’UE e balcanici, più gli USA, il
Giappone, la Norvegia ed altri Paesi aderenti all’OSCE.
213
Tre Tavoli di Lavoro su: 1) democratizzazione e diritti umani; 2) ricostruzione economica, sviluppo e cooperazione;
3) problemi della sicurezza. L’obiettivo che si vuole perseguire con l’istituzione dei Tavoli di lavoro è quello di
individuare le aree nelle quali deve essere concentrata l’attenzione della Comunità internazionale al fine di conferire
priorità all’attuazione dei progetti considerati più importanti.
214
E’ stata istituita una task force sul traffico di persone che risulta essere molto attiva nella promozione di una serie di
iniziative riguardanti soprattutto la prevenzione del fenomeno e la protezione delle vittime. Per approfondimenti cfr. sito
web www.stabilitypact.org/antitraffickingtaskforce
255
sul crimine organizzato ad ampio respiro che si pone come obiettivo quello di rafforzare le capacità
di contrasto nella regione balcanica istituendo una sorta di coordinamento di tutti gli interventi che
si vogliono attuare. L’Italia svolge, in questo ambito, un importante ruolo poiché è il maggior
donatore del Patto nonché co-presidente del Gruppo di lavoro sulla lotta alla criminalità organizzata
dell’In.C.E.
Ulteriore iniziativa degna di nota è il Budapest Process. Si tratta di un forum paneuropeo di
consultazione e cooperazione del quale fanno parte circa quaranta governi (Ministri dell’Interno) e
dieci organizzazioni internazionali, che si prefiggono come obiettivo quello di prevenire le
migrazioni irregolari, lo sfruttamento dei migranti e la tratta cercando di attuare un sistema di
migrazioni controllate. Il Budapest process è stato istituito nel 1991 su iniziativa del Ministero
dell’Interno tedesco allo scopo di arginare la crescente migrazione irregolare. La flessibilità ed il
carattere informale che lo contraddistinguono ne fanno un efficace strumento di lotta al trafficking e
allo smuggling. Le iniziative e le attività svolte sono realizzate spesso in collaborazione con gli
organismi del Patto di Stabilità.
Infine, è necessario ricordare due organizzazioni che hanno svolto e, che tuttora svolgono, un ruolo
di rafforzamento dei vincoli tra i Paesi appartenenti a questa area geografica: l’OSCE ed il
Consiglio d’Europa.
L’OSCE215 è l’organizzazione regionale sulla sicurezza più grande del mondo. L’approccio
utilizzato è basato sulla cooperazione e gestione di una serie di tematiche afferenti, direttamente o
indirettamente, la sicurezza quali, ad es., la diplomazia preventiva, la confidence and security
building, la sicurezza economica e ambientale, i diritti umani. La lotta al traffico di esseri umani, in
particolare di donne e bambini, costituisce una priorità in linea con gli obiettivi216 e le decisioni
delle sue istituzioni217. Nell’ambito dell’ODIHR218, principale istituzione dell’OSCE in tema di
diritti umani, è stata creata un’unità ad hoc anti-trafficking con sede a Varsavia che, attraverso
progetti, interventi in numerosi Paesi, seminari, conferenze, linee guida, pubblicazioni e campagne
di sensibilizzazione, contribuisce notevolmente alla lotta alla tratta219.
Il Consiglio d’Europa è considerata l’organizzazione da cui è derivato il primo esperimento di tutela
internazionale organica dei diritti dell’uomo220. Il conseguimento di una più stretta unione fra i suoi
membri allo scopo di salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi che costituiscono il loro
comune patrimonio, oltre che il perseguimento del progresso economico e sociale rappresentano le
finalità che il Consiglio persegue. Questa organizzazione riveste un ruolo strategico riguardo alla
tematica considerata essendo l’unica istituzione che comprende tutti i Paesi interessati in Europa221.
Si propone quindi, come interlocutore privilegiato che potrebbe fungere da “cerniera” e da
collegamento tra i Paesi UE e i Paesi dell’Est eliminando, di conseguenza, la mancanza di
coordinamento tra i Paesi d’origine e transito della tratta e quelli di destinazione.
215
Fanno parte dell’OSCE 55 Paesi. Per approfondimenti cfr. www.osce.org
Charter for European Security, Part. III “The Human Dimension”: The Charter for European Security commits
participating States to “undertake measures to eliminate all forms of discrimination against women, and to end violence
against women and children as well as sexual exploitation and all forms of trafficking in human beings" and to
"promote the adoption or strengthening of legislation to hold accountable persons responsible for these acts and
strengthening the protection of victims (art.24). La Carta è stata adottata ad Istanbul nel 1999;
217
Decision of the Eighth Meeting of the Ministerial Council, “Compilation of OSCE Human Division Commitments”.
In essa gli Stati Membri sono chiamati a firmare e ratificare il Protocollo di Palermo sulla tratta e a prendere adeguate
misure al fine di contrastare il fenomeno. Vienna, 27-28 October 2000; www.osce.org/odihr/documents/commitments
218
Office for Democratic Institutions and Human Rights
219
www.osce.org/odihr/projects/activities
220
Conforti B., Diritto Internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli 1987, p.169.
221
Dei 44 Paesi Membri fanno parte anche i Paesi di destinazione della tratta ma anche quelli di origine e transito.
216
256
Le raccomandazioni adottate dalle istituzioni del Consiglio d’Europa allo scopo di combattere il
traffico di minori sono molteplici222; in esse emerge la necessità di avere un approccio globale al
fenomeno che comprenda misure volte alla prevenzione, all’assistenza e alla protezione delle
vittime, alla promozione della collaborazione e cooperazione tra gli Stati ed il conseguimento di
adeguate legislazioni nazionali. Inoltre, si pone una particolare attenzione al legame tra la
criminalità organizzata e le molte forme di sfruttamento sessuale dei minori e all’utilizzo di Internet
per la divulgazione di materiale pedo-pornografico, da qui l’importanza della Convenzione del 2001
sui crimini commessi attraverso l’utilizzo di Internet223.
9.4 La legislazione e le iniziative nazionali
9.4.1.Il lavoro minorile
E’ nella povertà e nella mancanza d’istruzione che affonda le proprie radici il lavoro minorile anche
in Italia. In un mercato caratterizzato dal lavoro irregolare e marginale il lavoro dei più piccoli può
risultare una risorsa economica dalla quale il nucleo familiare non può prescindere. Lo stato di
bisogno, le precarie condizioni di vita, le ristrettezze economiche, la scarsa scolarizzazione e la
mancanza di assistenza familiare sono tra le cause principali di questa forma di sfruttamento. Nel
nostro Paese tale fenomeno riguarda anche minori italiani, ma le forme più gravi afferiscono,
soprattutto, i minori stranieri. Accattonaggio, impiego nelle concerie o nelle industrie
manifatturiere, coinvolgimento nelle attività della microcriminalità sono soltanto alcune delle forme
di sfruttamento a cui questi minori sono sottoposti.
In Italia le prime leggi poste a tutela dei minori riflettono la consapevolezza che il problema per
essere risolto alla radice doveva essere affiancato da un valido programma di istruzione popolare;
ciò è tuttora valido. La perdita del valore-istruzione è, infatti, la chiave di lettura più importante per
poter leggere il fenomeno del lavoro minorile224 in Italia.
Molte sono le leggi che si sono susseguite nel corso del tempo225, ne analizzeremo soltanto le più
importanti. Innanzitutto, ricordiamo l’art. 37 della Costituzione italiana nella quale si afferma:
222
Recommendation 1065 (1987) on the traffic in children and other forms of child exploitation; Recommendation Rec
(91) 11 of the Committee of Ministers to member States on sexual exploitation, pornography and prostitution of, and
trafficking in, children and young adults; Recommendation 1325 (1997) on traffic in women and forced prostitution in
Council of Europe member States; Recommendation Rec (2000) 11 of the Committee of Ministers to member States on
trafficking in human beings for the purpose of sexual exploitation; Recommendation Rec (2001) 16 of the Committee of
Ministers to member States on the protection of children against sexual exploitation;
Recommendation 1526 (2001) on a campaign against trafficking in minors to put a stop to the east European route: the
example of Moldova; Recommendation Rec (2002) 5 of the Committee of Ministers to member States on the protection
of women against violence; Recommendation 1545 (2002) on a campaign against trafficking in women;
223
Convention on Cybercrime 2001
224
Coletti C. ( intervista) in La Rocca S., Fondazione Internazionale Lelio Basso, Il lavoro servile e le forme di
sfruttamento para-schiavistico, Commissione per l’integrazione, Dipartimento per gli Affari Sociali, Presidenza del
Consiglio dei Ministri, Working Paper n. 19 . Roma giugno 2001;
225
L’ 11.2.1886, n. 3657 e relativo Regolamento esecutivo. Approvato con R.D. del 17.9.1886, n. 4082, che
disciplinava esclusivamente il lavoro dei fanciulli; a questo sono seguiti la Legge 19.6.1902, n. 242; il R.D. 29.1.1903,
n. 41, contenente il Regolamento esecutivo; il T.U. sul lavoro delle donne e dei fanciulli, approvato con R.D.
10.11.1907, n. 818, che venne poi sostituito dalla Legge del 26.4.1934, n. 653, modificata successivamente con quella
del 20.11.1961, n. 1325. Questi provvedimenti accomunavano le cosiddette mezze forze, ossia le donne e i minori.
Infine, ricordiamo la legge del 19.1.1955, n. 25 sull’apprendistato. Per ulteriori approfondimenti cfr AA.VV., Indagine
conoscitiva sul fenomeno “lavoro minorile” in Italia, consultabile dal sito www.cgil.it
257
“…la legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro
dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di
retribuzione”.
Nella Costituzione si prevede una tutela differenziata per il lavoro minorile sancita nel 3° comma
dell’art.37; nel 2° comma, invece, si rinvia al legislatore ordinario la determinazione del limite
minimo per poter svolgere un lavoro salariato. E’ ravvisabile, dunque, uno specifico intervento
statuale al fine di regolamentare il fenomeno e tutelare i fanciulli vietando: l’impiego prima di una
determinata età, il lavoro notturno, i lavori pesanti226, insalubri e pericolosi.
Il testo base della legislazione italiana in materia di lavoro minorile è la legge n. 977, del
17.10.1967, sulla “Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti” 227. In essa si distingue, per la
prima volta, tra il lavoro minorile e quello femminile; sono, inoltre, previste diverse forme di tutela;
infatti, per i minori vi è l’esigenza di “raccordare l’attività lavorativa con la necessità di tutelare lo
sviluppo fisico e la formazione scolastica e professionale volta al pieno inserimento nel mercato del
lavoro”228. Le novità introdotte dalla legge 977/67 sono molteplici, ricordiamo le più importanti:
distingue i minori in fanciulli (che non hanno ancora compiuto i 15 anni) e adolescenti (dai 15 ai 18
anni); fissa l’età minima per lavorare a 15 anni229 (14 per attività agricole, servizi familiari e
mansioni leggere nell’industria); proibisce l’impiego dei minori di anni 16 per lavori pericolosi,
faticosi, di pulizia e per i mestieri girovaghi. Si rileva però una debolezza rispetto alle sanzioni
previste riguardo l’inosservanza della normativa e, soprattutto, ai sistemi di controllo l’inasprimento
dei quali potrebbe garantire una più efficace tutela dei minori.
9.4.2. Lo sfruttamento sessuale
226
Il lavoro deve considerarsi “leggero” solo quando lo svolgimento di esso sia compatibile con le particolari esigenze
di tutela della salute del fanciullo, non comporti trasgressione dell’obbligo scolastico (Sentenza della Corte di
Cassazione, 13.8.1982, n. 4602, in Diritto del lavoro, II,1983, p. 85) e non sia svolto durante la notte e nei giorni festivi
(Sentenza della Corte di Cassazione, Pen., 23.10.1972, in Giustizia Penale, n. 2, 1974, p. 626);
227
Ricordiamo inoltre: il D.P.R. del 4.1.1971, n. 36, “Determinazione dei lavori leggeri nei quali possono essere
occupati fanciulli di età non inferiore ai 14 anni compiuti, ai sensi dell’art. 4 della legge del 17.10. 1967, n. 977, sulla
tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”; il D.P.R. del 17.6.1975, n. 479, “Regolamento di esecuzione dell’art.
9, ultimo comma, della legge del 17 ottobre 1967, n. 977, relativo alla periodicità delle visite mediche per i minori
occupati in attività non industriali che espongono all’azione di sostanze tossiche od infettanti o che risultano comunque
nocive”; il D.P.R. del 20.1.1976, n. 432 “Determinazione dei lavori pericolosi, faticosi e insalubri ai sensi dell’art.6
della legge del 17 ottobre 1967, n. 977, sulla tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”; il D.P.R. del 31.7.1980,
n. 619 “Istituzione dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (art. 23 della legge n. 833 del
1978); la legge del 6.12.1993, n. 499, “Delega al Governo per la riforma dell’appartato sanzionatorio in materia di
lavoro”; il D.P.R. del 20.4.1994, n. 365, “Regolamento recente semplificazione dei procedimenti amministrativi di
autorizzazione all’impiego di minori nel settore dello spettacolo”; il D.Lgs. del 9.9.1994, n. 566, “Modificazioni alla
disciplina sanzionatoria in materia di tutela del lavoro minorile, delle lavoratrici madri e dei lavoratori a domicilio”; il
Dl. del 4 8.1999, n. 345, “Attuazione della direttiva 94/33 sulla protezione dei giovani sul lavoro”; il Dl. del 22.2.2000,
n. 31, “Differimento dell’efficacia di disposizioni del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 345, in materia di protezione
dei giovani sul lavoro;
228
Treu, T., I commi 2° e 3° dell’art. 37, in Comm. cost. , Branca, Bologna, 1979, p. 204;
229
Si ha un adeguamento alle Convenzioni OIL n. 59 del 3.6.1937, ratificata in Italia con la legge 2.8.1952, n. 1305, e la
Convenzione n. 138 del 26.6.1973, ratificata con la legge del 10.4.1981, n. 157. Quest’ultima fissa due importanti
principi: l’età minima lavorativa non può essere inferiore al termine fissato per il completamento della scuola
dell’obbligo; l’assunzione di minori di anni 18 è vietata per tutti i lavori che possono arrecare danno alla salute e alla
sicurezza dei minori;
258
Nell’ordinamento giuridico italiano i reati previsti, rispetto al fenomeno considerato, sono quelli di
schiavitù e tratta sanciti da quattro norme del Codice Penale230: l’art. 600 prevede e sanziona la
riduzione in schiavitù o in una condizione analoga231; l’art. 601 condanna la tratta ed il commercio
di schiavi; l’art. 602 condanna l’alienazione e l’acquisto di schiavi; ed infine, l’art. 604 prevede
l’applicazione delle disposizioni anche quando il fatto è commesso all’estero a danno di un cittadino
italiano. In adesione ai principi enunciati dalla Convenzione sui diritti del fanciullo232, ed in virtù di
quanto sancito dalla Dichiarazione finale della Conferenza internazionale di Stoccolma, 31 agosto
1996, sono state apportate delle modifiche e delle aggiunte al Codice Penale. Tali modifiche,
introdotte dall’art. 9 della legge n. 269, 3 agosto 1998, “Norme contro lo sfruttamento della
prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di
riduzione in schiavitù”233, inseriscono nel Codice Penale delle importanti fattispecie di reato
riguardanti il minore: artt. 600-bis (Prostituzione minorile), 600-ter (Pornografia minorile), 600quater (Detenzione di materiale pornografico), 600-quinquies (Iniziative turistiche volte allo
sfruttamento della prostituzione minorile), 600-sexies (Circostanze aggravanti e attenuanti), 600septies (Pene accessorie).
La legge 269/1998 è stata un’importante tappa verso un’efficace tutela giuridica del minore nel
nostro Paese. Con questa legge la produzione, il commercio, la diffusione e la semplice detenzione
di materiale pornografico riguardanti i minori sono finalmente perseguibili; tra le pene accessorie è
contemplata anche la confisca del materiale sequestrato, la chiusura dell’esercizio e la revoca della
licenza per le emittenti televisive e radiofoniche. Ulteriori elementi di novità introdotti dalla legge
sono: l’istituzione di un fondo, cui sono destinati i beni confiscati e le multe irrogate, per il
finanziamento dei programmi di prevenzione, assistenza e recupero delle vittime234 e per il recupero
di chi è stato condannato per reati sessuali235; il principio di extraterritorialità mediante il quale è
possibile perseguire i reati di sfruttamento della prostituzione minorile e della pornografia
commessi all’estero; la criminalizzazione di coloro che organizzano iniziative turistiche legate al
turismo sessuale e alla prostituzione minorile; la tutela delle generalità e dell’immagine del minore.
Dopo molti anni di scarsa applicazione l’orientamento attuale della giurisprudenza italiana è quello
di applicare l’art. 600 del c.p. sia alle situazioni di diritto che di fatto236. Tale evoluzione ha
permesso di effettuare una serie di condanne per il delitto di riduzione in schiavitù. In passato, per
l’imputazione si ricorreva ad altre ipotesi di reato quali ad es. lo sfruttamento della prostituzione e
gli altri delitti previsti dalla legge Merlin, il sequestro di persona, la violenza sessuale, il tentato
omicidio. Il ricorso ad altre fattispecie è giustificato dalla difficoltà che si incontrava nel dimostrare
lo stato di riduzione in schiavitù se era ravvisabile un minimo di autodeterminazione. Ben diversa è
la situazione del minore in quanto non sussistendo il problema dell’autodeterminazione,
l’applicazione dell’art. 600 è relativamente più semplice237.
230
Nella Sezione I del Capo III del Titolo XII del Libro secondo del Codice Penale “Dei delitti contro la personalità
individuale”;
231
Esplicito richiamo alla Convenzione Supplementare sulla schiavitù del 1956;
232
Ratificata dall’Italia con la legge n. 176 del 27 maggio 1991;
233
G.U. 10 agosto 1998 n. 185
234
Sono destinati i 2/3 del fondo
235
A costoro è destinata la parte residuale del fondo
236
Fondamentale a tal proposito è la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione V, del 20.03.1990, n. 3909, CED (RV
183777) , nella quale si afferma: La schiavitù e la condizione analoga alla schiavitù previste dagli artt. 600 e 602 del
c.p. non sono necessariamente solo condizioni di diritto e possono essere costituite anche da situazioni di fatto. La
decisione del 9 febbraio 1990 della V Sezione penale della Corte di Cassazione sancisce che: condizione analoga alla
schiavitù deve interpretarsi come condizione in cui sia socialmente possibile, per prassi, tradizioni, circostanze
ambientali, costringere una persona al proprio esclusivo servizio;
237
A tal proposito ricordiamo alcune sentenze: La Corte di Cassazione ha affermato che sussiste ipotesi di reato di
schiavitù, nel caso in cui un minorenne venga ceduto dai genitori ai fini dello sfruttamento della sua persona o del suo
259
Oltre agli articoli menzionati ci sono altre disposizioni riguardanti lo sfruttamento dei minori: l’art.
3 della legge Merlin, n.75 del 1958, che prevede il delitto di associazione al fine di reclutare
persone da destinare alla prostituzione; gli artt. della legge n. 66 del 1996 sulla violenza sessuale238;
gli artt. 416 e 416 bis del c.p. che contemplano rispettivamente il reato di associazione per
delinquere il primo e associazione di tipo mafioso il secondo; gli artt. 1152 e 1153 del codice della
navigazione riguardanti rispettivamente la tratta e il commercio di schiavi l’uno e le disposizioni
riguardanti una nave destinata alla tratta l’altro; l’art. 12 del Dlgs 286 del 1998239 per il delitto di
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina volta anche al reclutamento di persone da destinare
alla prostituzione o all’impiego di minori in attività illecite.
Fondamentale risulta essere l’art. 18 del Testo Unico240 sull’immigrazione. L'art.18 prevede il
rilascio di uno speciale permesso di soggiorno "per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza
e ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza
ed integrazione sociale". In questa norma oltre agli aspetti preventivi e repressivi della lotta al
traffico di esseri umani è stata contemplata la tutela dei diritti delle vittime. Questo nuovo approccio
si concretizza nella predisposizione di un regime di doppio binario, ossia nell’individuazione di due
distinti percorsi per il rilascio del permesso di soggiorno: uno giudiziario e l’altro sociale. Gli
aspetti positivi dell’art. 18 sono molteplici: la tutela della persona trafficata241, la concessione del
permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale sganciata dalla necessaria collaborazione
giudiziale, l’aver previsto un’ampia fattispecie nella quale rientrano, nella disciplina, non soltanto i
casi di violenza ma anche quelli in cui sia ravvisabile una situazione di grave sfruttamento242.
L’art 18 è considerato come un importante traguardo raggiunto da cui partire per ampliare
ulteriormente la tutela delle vittime. Si possono altresì rilevare delle lacune: il mancato
lavoro: “costituisce istituzione o pratica analoga alla schiavitù quella in forza della quale un fanciullo o un adolescente
minore degli anni diciotto è consegnato dai suoi genitori o da uno di loro o dal suo tutore a un terzo, contro pagamento
o meno, in vista dello sfruttamento della persona o del lavoro di detto fanciullo o adolescente. Risponde, pertanto, del
reato in questione colui che utilizzi dei minori albanesi, ceduti dai genitori, ai fini di accattonaggio, sottoponendoli a
massacranti orari di “lavoro”, facendoli vivere in condizioni personali, igieniche ed ambientali estremamente misere e
precarie”. Sentenza della Corte di Cassazione, Sez. V, del 24 gennaio 1996, n. 2390, in Archivio penale della Corte di
Cassazione, CED (RV 204369). Riguardo al reato di accattonaggio quale forma di schiavitù alcuni hanno parlato di
bande di adulti marocchini che sfruttano i minori per accattonaggio o come lavavetri agli angoli delle strade. Lo
sfruttamento sarebbe, a volte, realizzato con la stessa complicità dei genitori che affidano allo “zio” i minori che li
porterà in Italia per sfruttarli. Interviste: Carmine Corvo, Elisabetta Colla e Orlando Iannace. Secondo Carmine Corvo
“questa forma di sfruttamento è considerata quasi un lavoro, dietro non c’è un vero e proprio racket. Stesso discorso
vale per i cinesi. Ci sono forme di sfruttamento, la comunità è molto chiusa, difficilmente penetrabile, comunque si
hanno dei riscontri”.
238
Legge n. 66/96 Norme sulla violenza sessuale, gli articoli riguardanti i minori sono: art 609/bis Violenze sessuali
(compresi i reati di violenza carnale e gli atti di libidine), art 609/ter Violenza sessuale contro i minori di 14 anni, art
609/quater Atti sessuali con minorenne, art. 609/quinquies Corruzione di minorenne, art. 609/octies Violenza sessuale
di gruppo, art 14 Audizione protetta del minore.
239
Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
Ulteriori disposizioni riguardanti i minori sono ravvisabili negli artt. 18 e 19: diritto all'unità familiare, alla tutela dei
minori, all’accesso ai servizi assistenziali e all’istruzione, all’alloggio, alla partecipazione alla vita pubblica e
all’integrazione sociale, al divieto di espulsione salvo nei casi previsti dalla legge.
240
Dlgs 25 luglio 1998 n, 286 e D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 per il regolamento di attuazione. Per approfondimenti
cfr. Maria Grazia Giammarinaro, Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale previsto dall’art.18 del T.U.
sull’immigrazione, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, Franco Angeli, , n. 4, Milano, 1999, pag. 34 e segg.;
241
Ricordiamo che da tale approccio sono derivati notevoli risultati: la collaborazione tra alcune Procure della
Repubblica, in particolare quella di Lecce, e le vittime di tratta hanno portato gli investigatori ad acquisire importanti
elementi d’indagine. I procedimenti contro i trafficanti di minori costretti a prostituirsi nel nostro Paese si sono conclusi,
grazie anche all’art. 18, con condanne per riduzione in schiavitù.
242
Sono, dunque, compresi: lo sfruttamento sessuale, il lavoro forzato, la servitù domestica e il debt bondage che si ha
quando una persona è costretta a svolgere un’attività fino al pagamento del debito;
260
monitoraggio della legge e la mancata estensione della protezione anche ai familiari delle vittime, in
particolare ai figli.
La tutela del minore è contemplata anche in altre disposizioni normative: legge n. 184 del 4 maggio
1983243 nella quale è prevista la facoltà di segnalare all’autorità pubblica situazioni di abbandono di
minori e, nell’art 2, l’affidamento: “il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente
familiare idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia, possibilmente con figli minori, o ad una
persona singola, o ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento,
l'educazione e l'istruzione”; legge n. 223 del 1990 sulla disciplina del sistema radio-televisivo; legge
n. 216 del 19 luglio 1991 “Primi interventi in favore di minori soggetti a rischio di coinvolgimento
in attività criminose”; DPR n. 365 del 1994 sulla procedura per il rilascio dell’autorizzazione alla
partecipazione dei minori nella preparazione o rappresentazione di spettacoli; legge n. 285 del 28
agosto 1997 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e
l’adolescenza”; DPR n. 369 del 5 ottobre 1998 “Regolamento recante norme per l'organizzazione
dell'osservatorio nazionale per l'infanzia”244; art. 403 del codice civile prevede che “la pubblica
autorità deve provvedere con interventi di urgenza per sottrarre il minore a situazioni di
pericolo…”; art. 528 del c.p. sulle pubblicazioni e spettacoli osceni “chiunque allo scopo di farne
commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello
Stato, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni immagini o altri oggetti
osceni di qualsiasi specie, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni”; art. 671 del c.p.
sull’impiego di minori nell’accattonaggio “chiunque si vale, per mendicare di una persona minore
degli anni quattordici o, comunque non imputabile, la quale sia sottoposta alla sua autorità o
affidata alla sua custodia o vigilanza, ovvero permette che tale persona mendichi, o che altri se ne
valga per mendicare, è punito con l’arresto da tre a un anno”; art. 725 del c.p. relativo al commercio
di scritti, disegni o altri oggetti contrari alla pubblica decenza.
Recentemente, 30 luglio 2002, è stata promulgata la legge n. 189 del 30 luglio 2002 “Modifica della
normativa in materia di immigrazione e di asilo” la cosiddetta Bossi-Fini245. La legge nasce dalla
necessità, indicata dallo stesso Governo246, di garantire il benessere e soprattutto la sicurezza dei
cittadini, da qui una normativa che si propone come obiettivo fondamentale quello di contrastare il
fenomeno dell’immigrazione clandestina permettendo l’ingresso e la permanenza dello straniero sul
territorio nazionale per “soggiorni duraturi solo in relazione all’effettivo svolgimento di un’attività
lavorativa sicura e lecita”. Le principali modifiche relative ai minori riguardano la limitazione ai
ricongiungimenti familiari e, all’art. 25, la disciplina dei minori stranieri non accompagnati,
categoria che comprende anche i minori vittime di tratta. La Risoluzione del Consiglio dell’Unione
europea, del 26 giugno 1997, sui minori non accompagnati cittadini di Paesi terzi247, considera
minori non accompagnati o separati248 i minori di anni diciotto che si trovano fuori dal loro Paese di
origine e che entrano o soggiornano irregolarmente nel territorio di un Paese terzo, separati da
entrambi i genitori o dall’adulto che, per legge o per consuetudine, è tenuto alla loro tutela. Al
243
GU n. 133 del 17 maggio 1983. Suppl. Ordinario
G.U. 26 ottobre 1998 n. 250;
245
GU n. 189 del 26 agosto 2002. Il disegno di legge S. 795, convertito in legge - (approvato dal Senato) (ddl AC. 2454
modifiche apportate alla Camera) - modifica il Dlg n. 286 del 25 luglio 1998 e il Decreto legge n. 416 del 30 dicembre
1989, convertito nella legge n. 39 del 28 febbraio 1990. Il testo è reperibile dal sito della Camera: www.camera.it.
Importanti documenti relativi all’immigrazione e all’asilo, nonché il quadro sinottico con le modifiche apportate, sono
reperibili sul sito web di Sergio Briguglio www.briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/index.htm
246
La Relazione illustrativa è reperibile dal sito del Senato: www.senato.it
247
In G. U. C. E. n. C 221 del 19 luglio 1997.
248
Per approfondimenti Cfr. Separated children in Europe Programme, Statement of good practice, October 2000, in
www.sce.ac.uk
244
261
termine “non accompagnato” si preferisce quello di “separato” 249 in quanto comprensivo di una
categoria più ampia di minori quali: vittime della tratta, richiedenti asilo, minori che migrano per
motivi economici250.
Infine, in questi giorni è in discussione un provvedimento molto importante: il disegno di legge che
dovrebbe introdurre nel nostro Paese il reato di tratta di persone. Questa lacuna normativa finora è
stata colmata attraverso il ricorso all’art. 600 del c.p. Il testo proposto dalla Commissione Giustizia
è il ddl S 885251, approvato dalla Camera dei deputati il 21 novembre 2001252, testo risultante
dall’unificazione del disegno di legge 1255253 e del disegno di legge n. 1584, che propone
l’assorbimento dei ddl nn. 505254 e 576255. I ddl ripropongono la necessità di introdurre questa
fattispecie di reato nell’ordinamento italiano dal momento che l’iter del disegno di legge256,
presentato nella passata legislatura e approvato con voto unanime dalla Commissione Giustizia
della Camera dei Deputati il 28 febbraio 2001, non è stato ultimato. In tal modo si risponde alla
necessità di armonizzare le legislazioni nazionali espresse dall’UE257 e dall’ONU258 proponendo
l’introduzione nel Codice Penale di un’apposita fattispecie di reato: il reato di tratta di persone.
L’introduzione di questo reato avrebbe molteplici effetti positivi: costituirebbe un’importante
risposta morale di condanna del fenomeno nel nostro Paese; eviterebbe incertezze interpretative
relative all’imputazione che si sono avute in passato259. Finora si è fatto ricorso ad
un’interpretazione estensiva del concetto di schiavitù: oggi è necessario un concetto nuovo che
disciplini anche altre situazioni. Nei testi si contempla l’ipotesi della servitù, “condizione di
soggezione di una persona costretta o indotta” a rendere prestazioni e questo è l’altro elemento
distintivo perché “l’induzione” non sempre richiede l’uso esplicito della forza. La servitù dovrebbe
coprire tutte quelle situazioni nelle quali non è ravvisabile l’uso esplicito della forza e in cui
generalmente esiste un legame anche di tipo personale tra la persona che vive in condizione di
soggezione e le persona che usufruisce di queste prestazioni, siano esse sessuali o di altra natura e
quindi anche quelle prestazioni sessuali non necessariamente coperte dalla prostituzione coatta.
249
Separated children in Europe Programme
Cfr. per approfondimenti sulla tematica dei minori non accompagnati e sulle modifiche apportate dalla legge BossiFini: Rozzi E., Minori stranieri non accompagnati tra accoglienza e rimpatrio. Aspetti giuridici, 2000; Rozzi E., I
minori stranieri non accompagnati,
Newsletter n. 4 ottobre 2002,
Reperibili dal sito web www.savethechildren.it/minori/normativa;
www.separatedchildreneurope.gla.ac.uk; International Organisation for Migration, Trafficking in unaccompanied
minors for sexual exploitation in the European Union, Brussels 2001; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali,
Nota del Comitato per i Minori Stranieri sull’art . 25 della legge 189/02, 14.10.02
251
I testi in allegato.
252
Comunicato alla Presidenza il 13 giugno 2002.
253
Testo unificato del progetto di legge C 1255 (iniziativa Anna Finocchiaro e altri)presentato il 9 luglio 2001 e del
disegno di legge n. 1584 (Berlusconi, Prestigiacomo) presentato il 18 settembre 2001. E’ composto da sette articoli. La
II Commissione permanente (Giustizia) il 15 novembre 2001 ha deliberato favorevolmente al testo unificato. Il 21
novembre il testo è stato discusso e approvato dall’Assemblea. E’ stato trasmesso al Senato S 885. www.camera.it
254
Di iniziativa dei senatori De Zulueta e altri. Il testo è scaricabile dal sito del Senato: www.senato.it
255
Di iniziativa dei senatori dei senatori Toia e altri. Comunicato Alla Presidenza Il 1º Agosto 2001
256
Il testo è il risultato dell’unificazione dei disegni di legge C 5350, 5839 e della proposta di legge 5881;
257
“Azione comune contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei minori” adottata dal Consiglio
dell’unione europea il 24 febbraio 1997 ma anche nel Vertice di Tampere del 1999.
258
Ricordiamo la Convenzione delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata e i due Protocolli aggiuntivi riguardanti
lo smuggling e il trafficking in persons.
259
Le difficoltà di ricorso agli articoli 600 e seg del C.P. ed il conseguente utilizzo di altre fattispecie di reato. De
Zulueta, intervista: Occorre una legge ad hoc perché noi abbiamo constatato una certa impotenza, una cronica
sottovalutazione penale del fenomeno dovuta alle difficoltà processuali e di indagine. I magistrati non avevano altra
possibilità se non quella di ricorrere ad altri reati quali ad es. lo sfruttamento della prostituzione. In questo modo del
reato di“tratta” non risultava nulla dall’azione giudiziaria. E’ dunque, importante che nel c.p. riconosca la figura di
reato proprio come particolarmente grave.
250
262
Il concetto di servitù260 è importante in quanto serve a distinguere e a disciplinare tutte quelle
situazioni che non si prestano ad essere interpretate secondo categorie tradizionali né sociologiche,
né giuridiche. In questi casi la costrizione non è determinata dall’uso o dalla minaccia della forza,
ma dalla drastica limitazione di autodeterminazione causata da una complessa situazione di
dipendenza che si identifica, spesso, in una situazione relazionale di condizionamento derivante
dalla società di appartenenza.
Nel testi dei ddl presentati sono ravvisabili interessanti disposizioni relative: all’introduzione di una
fattispecie associativa finalizzata alla tratta di esseri umani; all’estensione degli artt. 416 e 416 bis
c.p. ai reati di tratta; alla introduzioni di attività sotto copertura e di disposizioni relative ai
collaboratori di giustizia; all’istituzione di un programma speciale di assistenza per le vittime dei
reati; ed infine, le disposizioni riguardanti la confisca dei beni. I ddl prevedono un aggravamento
della pena se i reati in questione sono commessi a danno dei minori.
Sono numerose le iniziative realizzate in Italia nel corso degli anni volte a favorire la nascita di una
cultura di tutela e di lotta contro lo sfruttamento dei minori sotto qualsiasi forma, ricordiamo le più
rilevanti: la creazione di un Centro di documentazione e analisi, con sede a Firenze, con il compito
di elaborare le informazioni riguardanti i vari aspetti della condizione di vita dei minori261, il Piano
Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza realizzato per affrontare i problemi dell’infanzia non più
in maniera episodica, ma organica, la Commissione Nazionale per il coordinamento degli interventi
in materia di maltrattamenti, abusi e sfruttamento sessuale dei minori, il Nucleo Operativo di Polizia
delle Telecomunicazioni composto da specialisti in materia di sicurezza, l’istituzione di un Ufficio
Minori in tutte le Questure, l’approntamento di linee guida della Cooperazione italiana relativa ai
minori nelle quali si auspica “la prevenzione e lo sradicamento delle situazioni di sistematico
sfruttamento e commercio sessuale aventi ad oggetto i minori”.
9.5 Osservazioni conclusive
Fra tutte le violazioni dei diritti umani, quelle commesse ai danni dei minori sono le più abiette. I
danni, sia fisici che psichici, derivanti dagli abusi e dallo sfruttamento sono, molto spesso,
irreparabili:scarsa autostima, sentimento di inadeguatezza e di diffidenza nei confronti degli altri,
comportamenti autolesionisti e propensione a ripetere le violenze subite trasformandosi in carnefici,
ma anche gravidanze precoci, infezioni trasmesse per via sessuale, uso di sostanze stupefacenti. Gli
strumenti giuridici rappresentano soltanto uno degli strumenti da approntare al fine di debellare
tutte le forme di sfruttamento ai danni di minori. Le mere dichiarazioni di principio e di intenti
contenute negli strumenti di soft law, gli obblighi contemplati nelle Convenzioni internazionali e
nelle normative nazionali non sono, infatti, sufficienti da soli a fermare questo abominio. E’
necessario predisporre una serie di strumenti e di politiche che mirino soprattutto ad eliminare le
cause della violenza e dello sfruttamento dei minori.
La ratifica delle Convenzioni internazionali non è sufficiente, è necessario che si dia seguito a
quanto previsto nelle stesse in termini di tutela e garanzie dei minori. La lotta allo sfruttamento
minorile presuppone che ci sia un’ampia e coordinata azione multidisciplinare a tutti i livelli in
260
Il termine servitù deriva da servitù della gleba e si riallaccia al concetto originario che considera il destino di una
persona legato a quello di uno status o di una cosa di sua volontà. In esso c’è la mancanza di alternative, l’impossibilità
di mutare la propria condizione, l’assenza di autodeterminazione.Ciò che caratterizza la domestic servitude è
l’invischiamento in una rete di relazioni personali che, talvolta, possono condurre la persona all’erronea sensazione di
trovarsi in una situazione amicale o di rapporto di coppia.
261
La documentazione raccolta è consultabile nel sito web http://www.minori.it
263
grado di affrontare in maniera efficace l’insieme degli aspetti riguardanti la protezione del minore
ed in primo luogo l’educazione, la salute, ma anche il sostegno alle famiglie. E’ necessario
affrontare in maniera strutturale le cause, quale ad es. la povertà, che portano, direttamente o
indirettamente, allo sfruttamento dei minori. Questa lotta richiede interventi di ampio respiro e
l’adozione di un approccio di carattere globale e multisettoriale nonché di una programmazione a
medio e lungo termine nei confronti dei fenomeni considerati. Adeguate forme di prevenzione,
assistenza e protezione oltre che di riabilitazione e reinserimento del minore sono gli altri strumenti
necessari. Altro aspetto che meriterebbe di essere approfondito è la domanda di sfruttamento di
minori. Nell’ambito della tratta ai fini di sfruttamento sessuale la distinzione tra minori e donne è
confusa poiché lo sfruttamento, molto spesso inizia con le minorenni, mentre sarebbe auspicabile
predisporre per queste ultime delle misure ad hoc.
Per quanto riguarda l’Italia, in generale, la legislazione italiana assicura un’ampia tutela dei minori
vittime di sfruttamento sia sessuale che di altro tipo. Ci si auspica la ratifica, da parte del
Parlamento Italiano della Convenzione di Palermo sul crimine organizzato e i Protocolli aggiuntivi
sulla tratta e sul contrabbando di persone del dicembre 2000 e della Convenzione di Strasburgo
sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, del 25 gennaio 1996, la quale estende e rafforza il diritto del
minore di essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano. La normativa italiana mostra di
non essere in ritardo circa la tutela dei minori però la sua efficacia risulta essere limitata dalla
mancanza di sanzioni adeguate nei confronti di coloro che violano le disposizioni poste a tutela del
minore.
Nel complesso emerge la mancanza di una cultura dell’infanzia. Nell’era del consumismo ogni cosa
ha un prezzo persino la vita umana. Un bambino diviene così una merce alla stregua di un qualsiasi
oggetto che si può acquistare, vendere o gettare via. E’ necessaria la definizione di una politica
globale, coerente e di lungo periodo per la tutela e la promozione dei diritti del minore. Se il XX è
stato il secolo della coscientizzazione dell’esistenza del grave problema dello sfruttamento minorile
e dello sviluppo della legislazione, sia a livello internazionale che nazionale, ci si auspica che il
XXI sia, invece, il secolo dell’azione e della protezione concreta del minore. Non è più possibile
promettere è necessario agire poiché la misura del tempo è data dal numero di minori sfruttati.
264
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266
10. Procedure giudiziarie e costruzione dell’iter processuale nell’ ambito dello
sfruttamento sessuale dei minori stranieri. Analisi di alcuni casi.
di Danila Indirli
10.1 Premessa
Il Codice di procedura penale in vigore dal 1989 non prevedeva alcun divieto di testimonianza per
la persona di minore età. Solo negli ultimi anni i minori hanno varcato la soglia delle aule dei
Tribunali penali, purtroppo sempre più spesso come parti offese di maltrattamenti in famiglia,
lesioni, percosse, abusi sessuali (interni ed esterni alla famiglia), favoreggiamento e sfruttamento
della loro attività prostituiva considerata sempre coercitiva.
Al riguardo, quindi, si è avvertita la necessità di disciplinare in modo più compiuto ed adeguato alle
peculiarità dell’età il loro ingresso nel procedimento penale ordinario, che a differenza di quello
minorile, non si era ancora attrezzato per far fronte a tale evenienza.
Le leggi n. 66 del 15 febbraio 1996 e n. 269 del 3 agosto 1998, hanno, rispettivamente, rivisitato la
disciplina in materia di violenza sessuale, in particolare la prima ed introdotto il reato di
prostituzione di persone di minore età (precedentemente previsto come aggravante del reato di
prostituzione), di pornografia minorile, di detenzione di materiale pornografico, del cosiddetto
“turismo sessuale”; mentre la seconda, ha – come vedremo - anche dettato alcune norme “ad hoc”
di natura procedurale concernenti l’audizione del/della minore.
Anche nella procedura penale italiana si è voluto, così, garantire concretamente il diritto del/della
minore ad essere ascoltato/a in tutte le procedure che lo/la riguardano sancito dalla Convenzione del
fanciullo di New York.
10.2 Audizione del minore
Momento centrale della procedura giudiziaria è l’ audizione del minore che racconta di essere stato
sfruttato o abusato sessualmente262. Qual è il segreto perché il minore riesca a parlare senza sentirsi
traumatizzato? Ripensiamo al “ Piccolo principe” di Antoine Saint-Exupéry: è necessario il tempo,
l’addomesticamento, il rito, il colore!
E quindi un’ aula un po’ colorata, giocosa anche se inserita nella struttura austera di un palazzo di
giustizia, un intervallo di tempo ampio e non ricavato frettolosamente tra incombenti vari, la
previsione di più incontri per favorire il contatto, la creazione di una relazione di fiducia, l’
instaurarsi del “rito” dell’ audizione giudiziaria.
E soprattutto è importante cercare di coniugare il “tempo interiore” del minore con il “tempo
processuale”, fare in modo che l’ audizione decisiva in sede giudiziaria cada in un momento in cui
l’ elaborazione emotiva consenta (o meglio favorisca ) il racconto a terzi estranei.
Questo ambizioso obiettivo è raggiungibile se si riesce a far convergere le energie, la sensibilità, le
intelligenze di chi lavora nei servizi sociali, sanitari, giudiziari. Questo intervento integrato è
auspicato dalla legge n. 66 del 16 febbraio ’96, la quale ha innovato il codice di procedura penale
introducendo con il proprio art. 15 l’ art. 609 decies, il cui dettato prevede che nei casi di abuso
sessuale su minori o di sfruttamento sessuale degli stessi “…L’assistenza affettiva e psicologica
della persona offesa minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza
dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall’ Autorità Giudiziaria
262
Al testimone è equiparato il minore di anni quattordici, anche se non presta giuramento (art. 497/II co. c.p.p.) Vds
Cass. Pen. -Sez.III- 25/10/1984 – in Giust. Pen.1985, III,227 (s.m.); Cass.Pen. –sez. III- 20/06/1984 – in Giust. Pen.
1985, III, 420 (s.m.); Cass.Pen.-sez. III- 19/12/1986- in Giust.Pen.-1987, III, 629 (s.m.).
267
che procede. In ogni caso al minorenne è assicurata l’assistenza dei servizi minorili dell’
Amministrazione della Giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali. Di tali servizi si avvale altresì
l’ Autorità Giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento”.
L’ esperienza sin qui svolta ha evidenziato la necessità di un sostegno psicologico la cui
tempestività deve essere inversamente proporzionale all’età dell’abusato/a. Più la parte offesa è
piccina, più è importante che tale apporto la sostenga già nella prima audizione da parte del
Pubblico Ministero (P.M.) che coordina le indagini o di un funzionario della Questura appartenente
alla sezione della Squadra Mobile specializzata nelle indagini relative a reati contro la persona
(sezione nella quale sono confluite le competenze investigative dell’ ex Ufficio Minori), delegato
dal P.M..
L’ audizione decisiva è, peraltro, quella davanti al Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.): le
dichiarazioni rese in questa sede costituiscono una prova, lì dove quelle rese al P.M. o alla polizia
giudiziaria - su delega - costituiscono fonti di prova. Tale audizione si svolge, infatti, in
contraddittorio con la difesa dell’ accusato ed alla presenza di questi. Per evitare che il minore di
anni sedici possa essere intimidito dalla mimica o anche solo dalla mera presenza di colui che
accusa, la prassi giudiziaria prima e la legge 269/98 poi hanno introdotto l’uso del vetro a specchio.
Tale accorgimento consente di separare lo spazio della stanza dove prendono posto il minore, il
Giudice per le indagini preliminari e l’ausiliario esperto in psicologia dallo spazio in cui prendono
posto l’ indagato, il suo difensore, il Pubblico Ministero, l’eventuale parte civile con il suo
difensore.
Grazie a tale accorgimento il minore non vede chi c’è dall’altra parte del vetro a specchio e
l’indagato ( o l’ imputato ) può invece osservare colui il quale lo accusa, in omaggio al principio del
contraddittorio. Il procedimento penale italiano è, infatti, preordinato all’individuazione ed alla
punizione del colpevole di un determinato fatto costituente reato secondo la legge penale. La
raccolta ed il vaglio delle prove della eventuale colpevolezza devono avvenire assicurando le
garanzie del diritto di difesa dell’imputato (che il codice di procedura penale estende all’indagato),
la cui principale espressione è costituita dal contraddittorio tra le parti.
Peraltro, la legge prevede alcuni istituti a tutela della parte offesa, soprattutto se minorenne, in
attuazione dell’ art.3 comma II della Costituzione in forza del quale situazioni diverse richiedono
trattamenti differenziati, tesi a ristabilire ( o instaurare ) l’ equilibrio. E’ di tutta evidenza che la
minore età rende una persona più vulnerabile di una persona adulta e, quindi, le norme, soprattutto
quelle introdotte dalla legislazione più recente, prevedono dei meccanismi di bilanciamento di tale
disparità. Oltre al vetro a specchio, sono da ricordare ove fra le persone interessate all’assunzione
della prova vi siano minori di anni sedici: la possibilità che il P.M. o la persona sottoposta ad
indagini chiedano l’audizione del minore in contraddittorio davanti al G.I.P. Durante il corso delle
indagini preliminari, senza attendere che il procedimento giunga alla fase dell’ istruzione
dibattimentale; la possibilità che l’audizione si svolga “anche in luogo diverso dal tribunale,
avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l’
abitazione dello stesso minore”; ove fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano
minori di anni diciotto: la conduzione dell’ esame da parte del presidente, evitando così la
suggestività e l’ aggressività propria dell’ esame condotto dalle parti, l’ausilio di un neuropsichiatria
dell’ età evolutiva o la presenza - autorizzata dal giudice - di un genitore che tranquillizzi il minore,
mettendolo a proprio agio.
La legge prevede, inoltre, che le dichiarazioni testimoniali rese dal minore debbano essere
documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva, proprio per fare in
modo che nessuna sillaba, nessun gesto vada perso e possa in qualsiasi momento essere a
268
disposizione del giudice e delle parti, evitando successive audizioni che potrebbero mortificare il
minore ingenerando in lui la convinzione di non essere creduto e costringerlo a rivivere il trauma,
sia nei casi in cui il fatto storico dello sfruttamento o dell’ abuso si è realmente verificato, sia nei
casi in cui il racconto di tale fatto costituisca una metafora della quale il minore “si serve” per
esprimere una situazione di forte disagio interiore. Nel caso del/della minore straniera sarà poi
indispensabile un bravo interprete che sia anche un mediatore culturale.
E’ necessario che tutti gli operatori che per educazione, custodia o assistenza dei minorenni
vengono in contatto con il minore – primo fra tutti il giudice – coniughino ascolto partecipe ed
analisi riflessiva, accolgano la sofferenza e discernano se la stessa è causata da un fatto che la legge
riconosce come reato oppure no. Nella prima ipotesi il procedimento penale deve fare il proprio
corso ai fini dell’accertamento delle responsabilità ed il minore deve essere sostenuto
psicologicamente in questo iter da psicologi, assistenti sociali, qualora ve ne sia la necessità, ma
soprattutto dalle persone che quotidianamente gli sono vicine affettivamente. Nella seconda ipotesi
il procedimento sarà, all’esito delle indagini, archiviato per insussistenza del fatto costituente reato
ed il minore dovrà essere preso in carico dai servizi sanitari e sociali al fine di elaborare la propria
sofferenza, evitando così che diventi un tarlo che lo corrode.
Qualora la famiglia non riesca a far valere i diritti del minore, per l’ esistenza di un conflitto di
interessi tra il/la minore ed i genitori esercenti la potestà, la legge prevede la nomina di un curatore
speciale – identificato di solito nell’ operatore sociale che segue il minore - da parte del Giudice per
le indagini preliminari, su richiesta del Pubblico Ministero o degli enti che hanno per scopo la cura
(art. 338 c.p.p.).
10.3 La perizia psicodiagnostica e la valutazione giuridica di attendibilità
La testimonianza del minore parte offesa deve essere valutata dal giudice sia con riferimento alla
credibilità della presunta vittima sia con riferimento alla attendibilità intrinseca ed estrinseca del
racconto.
Con riferimento al profilo della credibilità, la prassi giudiziaria instauratasi negli ultimi dieci anni
ha previsto l’ espletamento di una consulenza tecnica psicodiagnostica, resa possibile dal dettato
normativo dell’ art.196 comma II c.p.p., che recita: “Qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del
testimone sia necessario verificarne l’ idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice,
anche d’ufficio, può ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge”.
Sulla base di tale previsione normativa, il Giudice delle Indagini Preliminari263 nomina come
proprio perito un esperto in neuropsichiatria dell’ età evolutiva o in psicologia al fine di far luce
263
All’inizio dell’ introduzione di tale prassi, l’ accertamento, ritenuto ripetibile, era disposto dal Pubblico Ministero
nell’ ambito dell’ indagine preliminare oppure da lui acquisito perché già disposto ed espletato dal Giudice del
tribunale per i Minorenni. Si era, infatti, in presenza di due indirizzi: quello, fatto proprio dall’ esperienza del distretto
giudiziario della Regione Lombardia,il quale riteneva più idonea la nomina di tale perito da parte del Giudice del
Tribunale per i Minorenni sottolineando come: “Tal genere di psicodiagnosi, infatti, essendo funzionale ad un progetto
educativo e/o terapeutico, appare maggiormente rispettosa della personalità del minore, in confronto ad un
accertamento, di stampo penalistico, sulla sua attendibilità: accertamento che, in questi termini, non pare ammissibile
nella misura in cui delega ad uno specialista un compito che è squisitamente proprio dell’ attività giurisdizionale” (
Pietro Forno – Sost. Proc. Tribunale Milano: “L accertamento dell abuso nel procedimento penale”, in Minori
giustizia – n.1/1995 ); l’ altro, adottato nell’ esperienza del distretto giudiziario dell’ Emilia Romagna, il quale riteneva
più idonea la nomina di un consulente da parte del Pubblico Ministero, sottolineando che la consulenza tecnica
psicodiagnostica esplora tutti gli aspetti della personalità del minore, ivi compresi quelli afferenti all’ esame di realtà,
avvalendosi degli strumenti analitici che le sono propri (colloquio clinico, test proiettivo,analisi del gioco e del
disegno).
269
sulla personalità del minore e sull’interazione di questi con le figure più significative del contesto
familiare e sociale nel quale è inserito il minore stesso. Il perito si avvale di colloqui clinici, test
proiettivi, analisi del gioco e del disegno, per l’esame di realtà del minore, per la diagnosi
differenziale fra sindromi tipicamente psichiatriche (disturbi di personalità, sindromi borderline,
sindromi psicotiche, ecc.) e sindromi post-traumatiche da stress eventualmente ricollegabili ad
abusi subiti, per la verifica dell’eventuale tendenza alla fabulazione o all’inclinazione del minore ad
essere plagiato/a o suggestionato/a. Il perito264, alla luce degli elementi su indicati, effettua una
cosiddetta “validation” delle dichiarazioni nel corso del procedimento, escludendo, in ipotesi, la
“falsità” di tale racconto. In tal caso, posto che il racconto è credibile da un punto di vista clinico,
toccherà poi al giudice stabilire se sia attendibile da un punto di vista giuridico e, più precisamente,
se sia scevro da contraddizioni interne e non in contrasto con altre risultanze processuali.
Ovviamente in riferimento all’ età ed al conseguente grado di sviluppo della persona minorenne,
per cui se un/una minore di sette anni dice che la nonna e la sorella maggiore hanno la stessa età
perché sono della stessa altezza, le contraddizioni interne eventualmente ravvisabili a prima vista
vanno analizzate con buon senso e professionalità; sarà necessario, infatti, tener conto della
circostanza che la dimensione temporale è percepita ed espressa in autonomia da quella spaziale
solo dopo il settimo anno di età, circa e non sarà quindi possibile ravvisare in quel caso una
contraddizione intrinseca, bensì solo un’ informazione da decodificare in relazione allo sviluppo
cognitivo.265
Qualora le indagini consentano di raccogliere di elementi di prova dello sfruttamento o dell’ abuso
estrinseci al racconto del minore, l’attendibilità della testimonianza del minore parte offesa ne
risulterà rafforzata fortemente. La giurisprudenza e la dottrina ritengono che le testimonianze rese
dalle persone di minore età in qualità di parti offese debbono essere valutate con estremo rigore sia
per il grado di sviluppo – ancora incompleto - della persona sia per l’essere, come tutte le parti
offese, portatrici del proprio interesse specifico nel procedimento; in particolare ritengono
imprescindibile un vaglio rigoroso del linguaggio usato e dei dettagli riferiti in relazione alle
conoscenze in campo sessuale tipiche dell’ età e sottolineano l’opportunità di modalità non
suggestive di porre le domande.266
10.4 Indagini ed accertamento medico-legale
264
Nell’ espletamento della perizia psicodiagnostica il perito è la “longa manus”del Magistrato che lo ha nominato ed il
suo intervento è finalizzato, quindi, all’ accertamento e non alla cura. E’ chiaro, però che tale intervento si pone come
un momento dell’ elaborazione interiore e che dovrà raccordarsi con l’ intervento dell’ operatore che ha il minore già in
carico o lo avrà per l’ effettuazione della terapia. L’ accertamento svolto con la psicodiagnosi comporta, infatti, come
già detto, lo svolgimento di colloqui e la somministrazione di tests che fanno riaffiorare il vissuto emotivo relativo ai
fatti che il/la minore narra.
265
Jean Piaget, “Che cos’è la psicologia”, Tascabili Newton,1989;G.M.Pace a colloquio con Luigi Amaducci, “Come
funziona la memoria”- Ponte alle Grazie Editore.
266
Vds. per tutti: Luisella De Cataldo Neuburger, Salvatore Pino, Piero Magri: “Il bambino come prova negli abusi
sessuali”, in Psicologia della Prova a cura di Cristina Cabras – Giuffrè Editore; Luisella De Cataldo Neuburger: “La
testimonianza e l’eta’”; Adele Cavedon, Cristina Mairate: “La suggestionabilita’ del bambino testimone . Un contenuto
sperimentale”, in La tutela del minore tra norme, psicologia ed etica a cura di Anna Mestiz – Giuffrè Editore; Patrzi
Castellani e Daniela Paiardi: “ La testimonianza dei minori in psicologia e i problemi giuridici”, a cura di Assunto
Quadrio – Giuffrè Editore; Marziano Pontin: “Riferimenti normativi per la testimonianza del minore vittima di abuso
sessuale” , in Critica del Diritto ed in Atti del seminario su : “Processo Penale ed Abuso Sessuale sul Minore : Ruoli e
Responsabilità, Noto, 7/9 giugno 1996 – Cedam Edizioni; Davide Dottore, Carla Fuligni : “L’abuso sessuale sui
minori, valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili” – McGraw-Hill Editore (collana di psicologia). Vds. in
giurisprudenza: Corte Cost. Ordin. N.115/92; Cass. Pen. – sez.III – 22/10/1980 – Giust. Pen.1981- III –168 (s.m.);
Corte Cass. Pen. - sez .III - 25/09/1987 – Giust. Pen.198 -III- 444 (s.m.); Corte Cass. Civ. – sez.III – 19/06/1997
n.5485, in Giust. Civ. mass.1997,1014; Cass. Pen.-sez II n.3438/98.
270
In presenza di una notizia (denuncia, querela, informazione pura e semplice) di abuso o
sfruttamento sessuale di un minore, più ancora che rispetto ad altre notizie di reato, gli organi
inquirenti ( Pubblico Ministero e Polizia Giudiziaria ) non possono permettersi il lusso di “perdere
tempo”, correndo il rischio che le tracce materiali del reato vengano alterate o disperse. E’
necessario, per esempio, repertare il liquido seminale se la denuncia concerne una violenza
perpetrata mediante coito vaginale (vestibolare) e conservarlo con le dovute precauzioni che ne
consentano l’ analisi al fine di stabilire il DNA dell’ autore della violenza, fotografare (con il
consenso della persona offesa o di chi ne esercita la potestà) le eventuali tracce delle lesioni e delle
percosse sul corpo della persona che denuncia l’abuso al fine di verificarne poi la compatibilità con
il racconto; ma soprattutto mettere la persona che ha subito i comportamenti violenti in condizioni
di raccontare accadimenti ed emozioni che appartengono al proprio vissuto più intimo. Ciò va
tenuto conto in considerazione soprattutto in una situazione di estrema difficoltà psicologica6, qual
è quella di trovarsi di fronte ad un organo di polizia o ad un organo, qual è quello dello
magistratura, che vengono ancora vissuti come distanti se non addirittura separati dalla vita
quotidiana dei cittadini.
Da tale racconto nasce spesso la necessità di ricostruire le modalità dei contatti, degli spostamenti
prodromici agli incontri in modo da essere in grado di intervenire al momento opportuno per
interrompere l’azione criminosa. Di solito dapprima si acquisiscono i tabulati telefonici268 per
verificare la sussistenza di contatti e, in caso positivo, la frequenza degli stessi tra i presunti autori
dei fatti. Poi - dal momento che l’autorizzazione di intercettazioni telefoniche da parte del G.I.P., su
richiesta del P.M., è subordinata all’ impossibilità di proseguire le indagini con altre modalità meno
lesive della riservatezza degli individui nei confronti dei quali sussistano gravi indizi per i reati “de
quo”269 - si effettuano intercettazioni telefoniche per poter essere a conoscenza della “rete” di
persone coinvolte (presunte vittime e presunti autori).
Infine si effettuano intercettazioni tra persone presenti in un determinato luogo – sempre autorizzate
dal G.I.P. su richiesta del P.M.- qualora, oltre alla sussistenza di gravi indizi, vi sia fondato motivo
di ritenere che ivi si stia svolgendo l’ attività criminosa. Questa intercettazione cosiddetta
“ambientale”, è supportata ovviamente da un’attività di pedinamento degli indagati da parte di
ufficiali della polizia giudiziaria, in collegamento con i loro colleghi che seguono l’intercettazione
ambientale e che sono, perciò, pronti ad intervenire per interrompere l’azione criminosa evitando un
nuovo atto di sfruttamento e, nei casi in cui il codice di procedura penale lo prevede, arrestando in
flagranza l’autore/gli autori del reato270.
Gli ufficiali di polizia giudiziaria effettuano, quindi, un’accurata perquisizione nel luogo in cui si
constata che si stava consumando il reato rilevano le tracce, sequestrano gli eventuali corpi di reato
o delle cose pertinenti271 necessarie per l’accertamento dei fatti. Spesso infatti i minori sono
adescati con spinelli o altre droghe o giornali pornografici e la consumazione del rapporto sessuale
è preceduta dalla visione di videocassette pornografiche. Frequentemente, quando la seduzione non
267
“…c’ è qualcosa dentro di te che non te la fa accettare , ti senti sporca,…” – dal racconto di Diana, resa oggetto di
atti di libidine di un convivente della madre all’età di quattro anni, riportato da :Marinella Malacrea – neuropsichiatria
infantile e terapeuta della famiglia – in “Trauma e riparazione” Raffaello Cortina Editore.
268
I tabulati telefonici sono stati ritenuti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione “documenti” e, pertanto, l’
acquisizione degli stessi può essere effettuata dal P.M., prescindendo da una richiesta di autorizzazione al G.I.P.,
necessaria per atti che si formano in funzione del procedimento penale.
269
Artt.266 ss. c.p.p. capo IV –Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni 270
Art. 380c.p.p. (arresto obbligatorio in flagranza; 381 c.p.p. (arresto facoltativo in flagranza); 382 c.p.p. (stato di
flagranza); 383 c.p.p.( stato di flagranza)
271
Art.253 c.p.p. (Oggetto e formalità del sequestro) … Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il
reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
271
è più sufficiente ad ottenere la “collaborazione” del/la minore (come degli adulti), gli sfruttatori
passano ai modi “bruschi”: picchiano, maltrattano, usano violenza anche sessuale.
E’ fondamentale, in tal caso, disporre immediatamente un accertamento medico-legale e
ginecologico272, prima che gli esiti si attenuino o si disperdano. Dovendo tale accertamento
riprodurre, e “fotografare” la situazione di quel particolare momento, al fine di valutare, da un lato,
l’entità delle lesioni e dall’altro essere di ausilio alla ricostruzione dei fatti, costituisce un atto
irripetibile e quindi deve essere espletato con le garanzie difensive273. Peraltro, è opportuno disporre
anche un accertamento medico-legale relativo ad eventuali esiti traumatici di natura psichica che
concretano lesioni e percosse (artt.582, 583, 585 c.p.).
10.5 L’intervento integrato delle istituzioni giudiziaria e socio-sanitaria insieme alle
associazioni di volontariato
L’organo inquirente, attivandosi per raccogliere le prove per la ricostruzione del fatto e
l’individuazione del colpevole, informa il Tribunale per i Minorenni che sta procedendo per un
reato di natura sessuale commesso nei confronti di un minore, attivando, così, la procedura di tutela
nei suoi confronti. Il Tribunale per i minorenni, dal canto suo, prende i provvedimenti necessari per
tutelare il/la minore, investendo i Servizi Sociali.
Nei casi di abuso consumato con la complicità della famiglia d’origine, il Tribunale dispone
l’affidamento al Servizio Sociale ed il contestuale allontanamento dalla famiglia stessa, qualora sia
in Italia.
L’art. 403 del codice civile prevede che il/la minore possa essere allontanato dalla propria famiglia
nei casi in cui in cui il minore è materialmente o moralmente abbandonato. L’allontanamento può
essere disposto dall’Autorità Amministrativa (di solito dalla Questura o dai Servizi Sociali), che
spesso si rivolge alle associazioni di volontariato operanti sul territorio per trovare una collocazione
idonea al/alla minore, nonché per la “mediazione culturale” che inevitabilmente tale intervento
necessita.
Gli operatori del Servizio incontrano così l’ indagine penale, con le relative esigenze di segretezza
che impongono, ad esempio, di non rivelare subito che la ragione dell’ allontanamento è stata la
presunta (perché in fase di accertamento) complicità della famiglia d’origine.
Altre volte sono gli operatori stessi a portare a conoscenza dell’ Autorità Giudiziaria o del Forze di
Polizia l’esistenza di episodi di sfruttamento, quando, ad esempio, una donna maggiorenne che
abbia usufruito del permesso di soggiorno di cui all’ art. 18 del decreto legislativo n. 296/1998
decida di raccontare i comportamenti di cui fino ad allora è stata vittima agli organi inquirenti
competenti, spesso denuncia, oltre al proprio sfruttamento, quello delle proprie figlie minorenni.
Sarà poi compito del Pubblico Ministero vagliare gli elementi raccolti nel corso delle indagini,
richiedendo rispettivamente al G.I.P. il rinvio a giudizio a l’ archiviazione.
10.6 Il procedimento penale tra garanzie dell’indagato e tutela del minore parte offesa
272
Maria Stella D’Andrea in : “Gli abusi all’infanzia. Dalla ricerca all’intervento clinico” a cura di F. Montecchi – NIS
Editore
273
Qualora lo disponga il P.M., essendo accertamento tecnico irripetibile ex art.360 c.p.p., la difesa ha diritto di
nominare un proprio consulente; qualora, su richiesta del P.M. o della persona sottoposta alle indagini lo disponga il
G.I.P. ex art.292 ss. c.p.p., entrambe le parti hanno facoltà di nominare i propri consulenti.
272
Il discrimine tra la richiesta di rinvio a giudizio e la richiesta di archiviazione sta nel fatto che gli
elementi raccolti nella fase delle indagini preliminari siano o meno idonei a sostenere l’ accusa in
giudizio, ai sensi dell’ art. 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.
Gli elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio possono non essere sufficienti a motivare una
pronuncia di condanna.
Tale pronuncia, infatti, deve fondarsi su prove rigorose che riguardano l’esistenza di un fatto che
non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi, concordanti (art. 192
c.p.p.)274
Talvolta può accadere di non riuscire a raggiungere la prova che il fatto-reato si è consumato ed
allora il magistrato giudicante pronuncia sentenza di assoluzione (magari ai sensi dell’art. 530
comma. II c.p.p.), perché “manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussista,
che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è commesso da persona
imputabile”.
La Costituzione sancisce, all’art. 27 comma II, la presunzione di non colpevolezza dell’imputato
fino alla sentenza di condanna definitiva, passata in giudicato. L’imputato ha diritto quindi di
difendersi per dimostrare la propria innocenza nei tre gradi di giudizio. E’ l’accusa (e l’eventuale
parte civile costituita) che deve ricostruire il fatto e provarlo poi in dibattimento.275 Questo è un
principio irrinunciabile di civiltà di cui il principio del contraddittorio nel corso del processo è la
principale esplicazione.
Le indagini devono essere svolte ricercando sia gli elementi a carico che gli elementi a discarico
dell’indagato (ai sensi dell’art. 358 c.p.p.), in quanto il Pubblico Ministero, nel nostro sistema
costituzionale, è un organo di giustizia, è un magistrato inquadrato nell’ordinamento giudiziario.276
L’azione penale è obbligatoria ed il P.M. deve quindi necessariamente avviare le indagini quando
viene a conoscenza di un reato, secondo la previsione dell’art.112 della Costituzione. La
completezza delle indagini è indispensabile nell’ impianto del codice di procedura penale del 1989,
che potenzia il ruolo delle parti e prevede la facoltà dell’imputato di accedere ai cosiddetti “riti
alternativi”, quali l’applicazione di pena su richiesta delle parti ed il rito abbreviato.
Quest’ultimo si chiama così perché consta di un giudizio - in gran parte -277 “allo stato degli atti”, in
quanto prevede l’utilizzazione degli atti assunti durante le indagini dal P.M., con la rinuncia
all’acquisizione in contraddittorio da parte dell’imputato che in questo modo consente una
274
L’ indizio è una prova logica –indiretta- che consiste nel desumere un fatto ignoto da un fatto noto, mediante il
ragionamento c.d. “inferenziale”:meno sono i passaggi logici, più l’indizio è “grave” e viceversa. Elvio Fassone,
giudice a Torino prima e membro del Consiglio Superiore della Magistratura poi sostiene che la prova logica è più
rigorosa della prova storica o diretta, tenuto conto delle ricerche neurologiche e psicologiche sulla percezione e sul
ricordo per quanto concerne la testimonianza e dell’ esperienza giudiziaria concernente la confessione, un tempo
considerata la regina delle prove, dopo processi come quello in cui un nonno ottantaduenne si è assunta la
responsabilità di un omicidio in realtà commesso dal proprio nipote ventenne per evitargli l’ esperienza dolorosa del
carcere, usufruendo della normativa in forza della quale è previsto che gli ultraottantenni scontino la condanna agli
arresti domiciliari e non in carcere. Inoltre, l’indizio deve essere “preciso”, cioè circostanziato e “concordante” con
ciascun altro per poter fondare una pronuncia di condanna.
275
Gianfranco Dosi, avvocato del Foro di Roma in: “Procedure e tecniche d’indagine e Nell’accertamento dei reati
familiari e contro minorenni” in Documenti Giustizia a cura del C.S.M.
276
Il P.M. gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario ex art. 107 comma II
della Costituzione Vds. Anche gli artt.108-109-110-111-112-113 Cost.; la Corte costituzionale ha sottolineato la
necessità della completezza delle indagini svolte dal P.M. nella sent. n. 88/92
277
La legge n. 479/1999 ha integrato con l’art. 27 il previgente art. 438 c.p.p., prevedendo la possibilità per l’imputato
di subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria che risulti per il giudice necessaria ai fini della decisione e
compatibile con le necessità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed
utilizzabili. Tale modifica legislativa ha anche escluso la necessità dell’espressione del consenso da parte del P.M. per
la scelta di questo rito, proprio per evitare che un’inerzia o una pigrizia del P.M. nel corso delle indagini possa avere
una ricaduta negativa sull’ imputato.
273
celebrazione in tempi rapidi del processo, e che, qualora condannato, ha diritto allo sconto di un
terzo della pena inflitta.
L’ applicazione della pena su richiesta delle parti - detto anche patteggiamento - postula un accordo
tra l’ imputato (o l’indagato, potendo verificarsi anche prima della chiusura delle indagini
preliminari) su l’ entità della pena che il giudice dovrà applicare, previa valutazione di congruità e
controllo della corretta qualificazione giuridica del fatto e della mancanza di condizioni di
proscioglimento dell’ imputato (indagato). L’istituto del patteggiamento, “importato” dal modello
statunitense, può, però applicarsi solo quando la pena detentiva da applicare in concreto, sola o
congiunta alla pena pecuniaria, sia non superiore a due anni. Il ricorso al patteggiamento è quindi
meno frequente del ricorso al rito abbreviato nei reati concernenti lo sfruttamento sessuale di
minorenni, per l’ entità delle pene previste dalla legge 269/1998, che ha innovato il codice penale
introducendo gli articoli da 600 bis a 600 septies che contemplano i reati di prostituzione minorile,
pornografia minorile, detenzione di materiale pornografici, iniziative turistiche volte allo
sfruttamento della prostituzione minorile.
E’ possibile, quindi, che lo sfruttamento (come l’abuso, il maltrattamento, etc.) si sia consumato,
ma che non si riesca a provarlo, che la verità processuale non coincida con la verità storica. Ed un
risultato di questo tipo è deludente e frustante in primo luogo per chi lo ha subìto. Solo l’intervento
tempestivo, professionalmente qualificato ed integrato sia a livello nazionale sia a livello
internazionale delle forze di polizia tra loro e con gli operatori giuridici, sanitari, sociali, e
pedagogici può ridurre al minimo il verificarsi di tali situazioni,278 potenziando le possibilità di
successo nel far coincidere verità storica e verità processuale ed evitando sia la condanna di
innocenti capri espiatori sia l’impunità di sfruttatori.
Solo un ripensamento da parte di ciascuno ed una formazione integrata che ne valorizzi le
competenze specifiche in un intervento integrato può fornire al /alla minore la massima tutela sia in
ambito sociale, sanitario, educativo che in ambito giudiziario. L’intervento a tutela del/della minore
è un mosaico le cui tessere sono i tasselli posti da ciascun operatore: nessuno può rinunciare alle
proprie valutazioni, ma il perimetro deve essere compatibile con quello degli altri. Sono, pertanto,
imprescindibili i momenti di formazione comune alle varie figure professionali con metodologie
didattiche adeguate ad obiettivi, contenuti, destinatari. “… Il termine “didattiche” non deve far
pensare che la sede formativa sia sempre necessariamente un luogo dove c’è qualcuno che insegna
ad altri che imparano (metodi passivi), in quanto rispetto a certi obiettivi sono preferibili i metodi
attivi, che perseguono non già un mero aumento delle conoscenze, bensì una ristrutturazione delle
concezioni e degli atteggiamenti e lo sviluppo di nuove capacità, tra cui quella di pensare o di
ripensare alla propria routine operativa”.279
278
L’Interpol è, com’è noto, un prezioso organo investigativo a livello internazionale , in collegamento con il quale è
possibile costituire squadre investigative comuni specializzate che consentano di “rompere” il limite che il territorio
pone all’ esercizio della sovranità degli stati e, quindi, anche alla cogenza della normativa penale sostanziale e
processuale. Parallelamente è stata auspicata la creazione di un’agenzia internazionale delle risorse per gli interventi di
cooperazione sociale, in grado di creare contatti e legami tra famiglie d’ origine e famiglie affidatarie rispettivamente
del Paese donante e del Paese ospitante, dei rispettivi Servizi Sociali, delle comunità del cui contesto le stese fanno
parte, in modo da attenuare l’impatto emotivo del minore, da consentire una stima delle risorse nonché
l’omogeneizzazione della formazione degli operatori sociali ( Vds. Intervento di Francesco Carchedi, sociologo,
consulente della Fondazione Lelio Basso al Convegno Internazionale di Terres des Hommes sulla “Tratta internazionale
di minori, svoltosi a Roma in data 11 e 12 luglio 2002 ).
279
Giancristoforo Turri –Procuratore presso il Tribunale per i Minorenni di Trento: “Per la formazione dei magistrati
minorili”, intendendo per tali tutti i magistrati che, esclusivamente o ricorrentemente si occupano di questioni
concernenti i minorenni. Quindi, non solo i magistrati operanti presso gli organi giudiziari minorili, ma anche giudici
tutelari, giudici delle separazioni e dei divorzi, magistrati del tribunale per i minorenni ,pubblici ministeri e giudici
penali che si occupano di reati con minori parti offese.
274
Presupposto fondamentale è quello di superare le perplessità che nell’ ambito dei servizi sociosanitari (talvolta anche in quello della magistratura minorile) la denuncia ed il procedimento penale,
ancorché ritenuti necessari ed inevitabili sul piano giuridico, suscitano sul piano “etico”. Ci si
chiede se la tutela del minore possa essere contraddetta dalla preoccupazione, pure ineccepibile, di
mettere lo sfruttatore (l’abusante, il maltrattante, etc.) nell’impossibilità di nuocere: quasi che una
logica retributiva e “punitiva”, che ha per focus d’attenzione il presunto reo finisse per appannare la
vera ed unica ottica necessaria, e cioè la protezione della vittima.
Quello che in termini logici è pura contraddizione (dovrebbe essere evidente che mettere il
persecutore nell’impossibilità di nuocere, identificandolo come tale, è in se stesso un atto – e non di
poco conto – di protezione della vittima) ha delle giustificazioni del tutto comprensibili. Il punto
dolente è costituito da quel nodo di congiunzione tra le varie istanze che passa proprio attraverso la
vittima come testimone. L’attitudine a “curare”, a sottrarre al dolore ed alla sofferenza, vorrebbe
evitare alla vittima quel particolare momento di “diagnosi” che è costituito dall’ accertamento
penale della sua credibilità ed attendibilità nonchè dell’assunzione della sua testimonianza contro il
presunto colpevole. Si teme ad esempio che la difficoltà ad intendersi con le giovani vittime possa
finire per penalizzare ed umiliare la verità che la vittima vorrebbe comunicare.
D’altra parte c’è da porsi questa domanda: prescindendo dagli obblighi di legge in termini di
vissuto, è davvero evitabile il processo penale? In altre parole: si può realmente rinunciare ad un
serio accertamento della credibilità della vittima ad aiutarla a farsi giustizia, a chiarire fino in fondo
le responsabilità del presunto sfruttatore (abusante, maltrattante, etc.), a riformulare decisamente e
senza ritorno la relazioni e gli schieramenti familiari facendo luce sulla verità? E’ davvero possibile,
anche per un magistrato minorile proteggere “alla cieca”, senza un orientamento definito nel
“balletto delle opposte verità”? E per un professionista che deve curare la vittima ed aiutarla a
prepararsi un avvenire diverso dal passato è davvero possibile tener la “verità” nel chiuso del
proprio studio o dell’indagine sul “mondo interno”, senza che questa verità possa esercitare
l’effetto ristrutturante che merita sul mondo esterno? E per la vittima, aggirare l’ostacolo evitando il
processo penale ed in particolar l’ audizione testimoniale per un eccesso di protezione, non
costituirebbe una conferma del proprio vissuto di impotenza?
Alla luce di tutte le perplessità su enunciate è più facile vedere – almeno spero – come tra tutela
della vittima e processo penale dovrebbe sussistere una forte sinergia di fondo. La sfida da
raccogliere, infatti, è quella di permettere a questa sinergia di esprimersi positivamente nelle
procedure, nelle cautele, nell’integrazione costante degli obiettivi,280 per dar voce ad un silenzio che
urla.
10.7 Analisi di alcuni casi
Non sarà mai possibile dimenticare il sorriso riconoscente di “Arianna” (il nome è ovviamente
diverso da quello reale per tutela della riservatezza), una ragazza albanese di 13 anni, mentre mi
indicava al collegio giudicante come “zia”, esprimendomi la sua gratitudine perché, dopo la prima
audizione con me in qualità di P.M., la persona da lei denunciata come sfruttatore fu portato in
carcere su disposizione del G.I.P., il quale aveva accolto la mia richiesta di misura cautelare.
Infatti, qualora sussista pericolo di reiterazione del reato o di inquinamento probatorio o di fuga
dell’indagato, il codice di procedura penale prevede che il G.I.P.281, su richiesta del P.M., possa
280
Marinella Malacrea - neuropsichiatria infantile e terapeuta familiare – C.B.M. Milano – in “L’audizione del minore
tra psicodiagnosi e processo penale” – in Documenti Giustizia a cura del C.S.M.
281
Art. 274 ss. c.p.p.
275
applicare all’indagato nei cui confronti vi siano gravi indizi di reità , una misura cautelare idonea a
preservare la situazione in attesa della decisione finale del giudice circa la responsabilità o meno
dell’accusato. Tali misure sono il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione alla polizia
giudiziaria, l’allontanamento dalla casa familiare il divieto e l’obbligo di dimora, gli arresti
domiciliari, la custodia cautelare in carcere quando nessuna altra misura sia idonea a salvaguardare
le esigenze cautelari su menzionate.282
Ricordiamo ancora “Alma” e “Dorina”, “Marica”.
”Anna”, una ragazza slava di sedici anni la quale, essendo stata testimone oculare di un omicidio di
un protettore e di una sua amica e collega di lavoro di strada, trovò il coraggio di testimoniare,
raccontando ciò che aveva visto e consentendo così di ricostruire la dinamica dei fatti ed individuare
l’esecutore materiale di tale efferato delitto e, contemporaneamente, di denunciare gli sfruttatori
suoi e dell’amica uccisa. Gli sfruttatori avevano “superato” il limite, il livello non scritto di
accettazione della violenza di cui il loro rapporto si nutriva e che le ragazze subivano, pur di
guadagnare. Mi aiutò a ricostruire le dinamiche dei rapporti tra loro esortandomi ad abbandonare la
mentalità cui ero abituata e ad “entrare” in un’altra dimensione per poterla comprendere: non vi era
alcuna ragione precisa perché due persone che sino alla mattina avevano fatto colazione insieme,
appena sveglie, la sera si accoltellassero o si sparassero, era così e basta!
“Alma” è stata affidata ai Servizi Sociali, ha seguito un percorso progettato con loro, ha cambiato
vita: fa la fotografa, è rimasta in Italia.
“Dorina”, una sedicenne rumena, figlia di genitori divorziati da quando lei aveva sei anni, è vissuta
con i nonni materni fino all’adolescenza. Contattata da un connazionale, è arrivata in Italia, a
Padova il 9 marzo 2002, insieme ad un’ amica tramite il proprio sfruttatore ed altre due ragazze
sfruttate da un uomo “complice” del loro sfruttatore. E’ poi stata portata a Lido di Savio, una
località marina vicino a Ravenna, in un appartamento abitato da due sorelle dello sfruttatore,che
costituivano il suo punto di riferimento. Il giorno dopo il suo arrivo ha iniziato a lavorare sulla
strada ed il 21 marzo, nel corso di un controllo effettuato dalle forze di polizia sul territorio, ha
deciso denunciare i suoi sfruttatori. Gli ufficiali di Polizia Giudiziaria, infatti, vista la giovane età
della ragazza, che aveva passaporto e documenti attestanti le vere generalità, le hanno fatto presente
le opportunità che la legge italiana offre ai minori stranieri che collaborano. Attualmente gode di un
permesso per affidamento ed è stata aperta una procedura di tutela presso il Giudice Tutelare.
“Marica”, di quattordici anni, è arrivata in Italia il 19 febbraio 2002, con un passaporto da cui
risaltava maggiorenne, a conoscenza del lavoro di prostituta cui era destinato dal suo sfruttatore.
Sua madre si è risposata con un uomo alcolista, che la trattava come una persona scomoda. Il
patrigno era con lei aggressivo e violento, a differenza che con il figlio da lui avuto insieme alla
madre di “Marica”. La ragazza ha provato a chiedere a sua madre di lasciare quest’uomo, ma lei
non ha voluto. In seguito a tale rifiuto,la ragazza è scappata per un periodo in Romania, dove è stata
ospitata da alcune amiche. Poiché la madre l’ha cercata, rivolgendosi anche alla TV, in particolare
ad una trasmissione simile a “Chi l’ha visto?” “Marica” è tornata a casa sperando in un
cambiamento, che però non si è verificato; anzi il patrigno ha iniziato a rivolgerle insistenti
attenzioni sessuali. Così è finita in un giro di prostituzione, insieme ad un’amica e con altre ragazze
è stata portata in Italia, a Verona e poi a Bologna, dove ha lavorato fino a quando non ha deciso di
collaborare con le forze di polizia, peraltro mantenendo le false generalità secondo le quali risulta
maggiorenne. E’ stata persino sentita nel corso dell’incidente probatorio con le false generalità. Solo
di recente, nel corso di un’indagine a carico degli sfruttatori della sua amica e di altre ragazze, ha
confidato ad un’Ispettrice della Questura le sue vere generalità, rendendo così possibile l’apertura di
una tutela e della procedura per ottenere un permesso di soggiorno per affidamento. Peraltro ora
pende un procedimento a suo carico per aver rilasciato false generalità.
282
Art. 280 ss. c.p.p.
276
Uno stimolo per un ripensamento legislativo può venire, invece, dalla vicenda di “Giacomo”,
“Sasa”, “Giuseppe” ed altri ragazzi (alcuni slavi ed altri italiani), in età tra i quattordici ed i sedici
anni, caduti in un adescamento messo in atto da una rete di pedofili che si serviva di alcuni
minorenni italiani per adescare gli altri. In seguito ad un racconto di uno di loro ad un educatore,
iniziarono le indagini da me coordinate. Dopo alcuni accertamenti preliminari, il G.I.P., su mia
richiesta, dispose un’ intercettazione delle comunicazioni tra presenti nell’auto di uno degli indagati
per la sera e l’ora in cui si erano dati appuntamento come le volte precedenti, stando alle
dichiarazioni rese dal ragazzo.
Due dei ragazzi si incontrarono con due presunti pedofili, che li fecero salire in auto dirigendosi
dalla città verso il mare. Giunti presso una spiaggia, offrirono loro uno spinello e poi, dopo un po’,
iniziarono le “avances”, tese ad ottenere prestazioni sessuali orali in cambio dell’ offerta di danaro.
Alcuni ispettori di polizia giudiziaria seguivano, ovviamente, tale vicenda dall’ Ufficio di Procura,
dove erano ubicati i traslatori, ma non poterono trarre in arresto i due presunti pedofili, in quanto l’
art. 600 bis comma II c. p., che contempla tale reato, prevede come pena quella della reclusione da
sei mesi a tre anni, alternativa alla multa e, nel nostro sistema, l’ arresto facoltativo è previsto per i
reati la cui pena edittale – cioè prevista in astratto dalla norma - sia superiore nel massimo ai tre
anni di reclusione, salvo una previsione specifica, che nel caso di specie il legislatore non ha varato.
Gli ufficiali sono così intervenuti per interrompere la consumazione del reato ed interrogare, su
delega del P.M., i presunti colpevoli, i quali si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
E solo dopo ulteriori indagini è stato possibile raccogliere a carico dei due indagati gravi indizi di
colpevolezza del delitto previsto dal I comma dell’art. 600 bis c.p., il quale prevede che chiunque
induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta
la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni, oltre che con la multa. E’ stato allora
possibile chiedere al G.I.P. – che l’ha disposta, ritenendone sussistenti i presupposti, - la misura
della custodia cautelare in carcere, dal momento che il nostro codice di procedura penale ne prevede
l’applicazione nei casi in cui sussiste il concreto pericolo che l’indagato commetta delitti della
stessa specie di quelli per cui si procede, solo per i delitti per i quali è prevista la pena della
reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.
Le vite di Arianna, Alma, Sasa e di altri come loro dimostrano che la “magia” che si respira ed
emerge dalla lettura del Piccolo Principe è possibile. Questo “incarna un’infanzia cui non fu dato
realizzarsi; non la vita risorta ma la vita già al fondo soffocata vive in lui: egli incarna le attitudini
che erano nell’uomo, ciò cui egli sarebbe chiamato, se dal di fuori il gelo non cadesse troppo presto
sui primi germogli di primavera”283.
10.8 Osservazioni conclusive
Ripercorrendo le riflessioni svolte nei paragrafi precedenti, emerge con chiarezza che solo un
intervento ed una formazione integrati tra i vari operatori sociali, sanitari, giuridici, del volontariato
e delle forze dell’ ordine, consente di attuare pienamente il diritto del/della minore straniero/a ad
essere ascoltato/a, a veder riconosciuti i propri diritti anche in campo giudiziario. Solo la “messa in
rete” di operatori delle istituzioni e del volontariato professionalmente capaci e consapevoli delle
reciproche competenze può eliminare – o almeno attenuare - la posizione in partenza svantaggiosa
del minore straniero rispetto al processo penale, dovuta sia alla minore età sia alla differente identità
283
Eugen Drewermann: “L’essenziale è invisibile”- Una interpretazione psicanalitica del Piccolo Principe- Queriniana
Editore
277
linguistica e culturale, senza per questo creare capi espiatori ed affievolire o derogare alle preziose
garanzie difensive del nostro ordinamento.
Al tempo stesso, solo il pieno dispiegarsi delle opportunità contemplate dalla normativa vigente,
consente di verificare in che misura la legislazione sia idonea ad intervenire efficacemente in questo
campo così delicato e di progettare un assetto normativo più rispondente alle nuove esigenze che
“l’ingresso di minori” italiani e, soprattutto, stranieri nelle aule dei Palazzi di giustizia richiede.
Questo consentirebbe di dar voce alle storie drammatiche di altri/e “Alma”, “Dorina”, “Sasa”,
comprendendone la diversa identità culturale e linguistica, evitando che le oscillazioni emotive
dell’opinione pubblica rispetto a delitti così raccapriccianti porti all’introduzione di norme
eccezionali, ossia di emergenza che attenuino – o peggio sospendano – le garanzie sostanziali di
rilevanza costituzionale, imprescindili in uno Stato di diritto, qual è il nostro.
12 Aspetti del traffico di esseri umani in Romania. Le cause del fenomeno e il
quasro normativo attuale
di Gil Vasile
11.1 Premessa
Il traffico di individui è, anzitutto, una grave violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali
precisamente del diritto di cui è titolare qualsiasi persona a non essere tenuta in schiavitù o in
condizione di servitù, del diritto alla sua libertà e alla sua sicurezza personale, del diritto a non
essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti ed infine al diritto di godere della libertà di
movimento. Il traffico di esseri umani negli ultimi dieci anni è sempre di più divenuto un fenomeno
generalizzato a livello mondiale, sviluppatosi in seguito a gravi crisi di intere aree geograficoterritoriali a causa di situazioni politiche conflittuali, di condizioni economiche depauperizzanti e di
altrettanti condizioni sociali. Situazioni, in definitiva, che hanno spinto – e per certi versi
continuano a spingere - interi gruppi di persone e fasce consistenti di popolazione a lasciare il
proprio paese e a tentare di trovare una vita migliore altrove, specialmente nell’Unione europea.
Anche la Romania è colpita da tale fenomeno ed è divenuta in maniera molto rapida un paese di
emigrazione da un lato e di traffico di esseri umani dall’altro. In entrambi i casi svolge una funzione
di paese di formazione di gruppi sociali che mirano all’espatrio per motivi di lavoro e di formazione
di gruppi che sono costretti ad emigrare per poi essere coercitivamente sfruttati e, al contempo,
svolge la funzione di paese di transito sia per i primi che per i secondi tipi di gruppi che si formano
in altri paesi limitrofi. Recentemente, informazioni riguardanti il traffico di persone, evidenziano
che la Romania sta diventando, anche, un paese di destinazione e di sfruttamento in loco della
prostituzione.
La Romania, comunque, ha attivato processi di contrasto al traffico di esseri umani che iniziano a
dare i propri frutti, anche se il cammino è ancora agli inizi. Gli interventi sono diretti in una triplice
direzione: di contrasto all’emigrazione e all’immigrazione irregolare, al contrasto al traffico di
esseri umani – sia di donne adulte che di minorenni – sia per quello che si forma sul proprio
territorio nazionale che per quello che si forma in altri paesi e transita per la Romania ed, in ultimo,
per quello che tende ad essere sfruttato in loco.
278
11.2 Le principali cause alla base del fenomeno e i metodi di reclutamento maggiormente
utilizzati
Riguardo le cause alla base della formazione del fenomeno all’esame si possono individuare fattori
interni ed esterni:
a. fattori esterni:
-
lo scarso potenziale economico dei paesi a Nord e a Sud della Romania che provoca una
percentuale importante di migrazione illegale
un numero crescente di paesi di provenienza dei flussi prostituzionali e non
l’attrattiva che i paesi sviluppati esercitano su gruppi massicci di migranti provenienti
dall’Africa, dall’Asia meridionale o zone di conflitto come l’Afghanistan e la Palestina
la presenza di reti criminali sul territorio Russo, Moldavo ed Ucraino, che conoscono molto
bene la topografia del confine Nord-est della Romania e le possibilità di attraversarlo
illegalmente.
b. fattori interni
-
-
-
-
i fattori socio-economici: nel processo di ristrutturazione economica, le possibilità di trovare
un impiego ben retribuito con un basso livello di istruzione sono molto ridotte. Anche la
precaria situazione materiale della popolazione in alcune parti della Romania in una certa
misura contribuisce alla formazione dei flussi
l’istruzione: il basso livello di istruzione riduce la possibilità di avere sbocchi professionali
alternativi per numerose donne e soprattutto per quelle che poi restano invischiate nel
meccanismo della tratta e pertanto diventano vittime
alcuni vuoti legislativi che permettono alle organizzazioni criminali di operare negli interstizi
normativi e sfuggire al contrasto delle forze dell’ordine
i fattori micro-sociali: il caratteristico ambiente familiare delle vittime si delinea
generalmente con la presenza di membri adulti (padri, zii, eccetera) alcolisti che generano
conflitti interni e violenza sul resto della famiglia. Questi aspetti sono abbastanza costanti. In
molti casi le vittime sono soggette a violenza sessuale (in famiglia e fuori), ad incesto, ad
abusi sessuali diversi, nonché – a volte come diretta conseguenza – anche ad abbandono familiare
altri fattori: forte connotazione anti-sociale nella personalità dei trafficanti e forme di
devianza presenti sin dall’adolescenza.
Uno studio ad hoc effettuato per la Romania e la ex-Jugoslavia nel periodo 1997-2000 mostra che il
78% di coloro che adescano ragazze a scopo di prostituzione sono uomini, mentre il restante 22%
sono donne che hanno precedentemente esercitato la prostituzione. L’85% - di entrambi i gruppi sono specializzati nel reclutare e nel gestire le reti delinquenziali e criminali in Romania e finanche
all’estero. Il resto – ossia il 15% - solo occasionalmente si occupano di tale attività. Si tratta spesso
di persone insospettabili o di persone che per denaro si fanno corrompere oppure di persone che
svolgono attività limitata senza sapere bene la cornice generale entro il quale la svolgono.
Alcuni di loro (30%) sono specializzati nell’adescare donne, fornire loro documenti d’identità falsi
e documenti per il viaggio, nonchè assicurare il superamento illegale del confine. Un’altra
importante categoria (44%) è costituita da coloro che ingannano le donne promettendo loro un
impiego ben retribuito all’estero, ma costringendole poi alla prostituzione. Numerosi studi fatti su
questa materia mostrano che le categorie di persone ad alto rischio di essere sottoposte a traffico
sono le seguenti:
279
-
-
donne che praticano la prostituzione in Romania e che accettano di andare all’estero per
prostituirsi, anche nella consapevolezza dei rischi ma puntando sugli alti guadagni sperati
donne reclutate che, sebbene non siano prostitute, accettano di praticare la prostituzione con lo
scopo di ottenere elevati guadagni in tempi brevi
donne che accettano - mediante contratti di diritto civile – di andare all’estero per trovare un
lavoro; queste donne vengono raggirate e truffate ed immesse nel mercato della prostituzione
con la violenza e costrette a farsi sfruttare sessualmente
cittadine straniere che arrivano legalmente o illegalmente in Romania, con l’intenzione di
entrare illegalmente nell’area dell’Unione Europea che restano coinvolte nel traffico a scopo
prostituzionale.
Lo stesso studio mostra che, sul territorio della Romania, una percentuale importante (72%) delle
vittime accettano un protettore per avere un certo grado di sicurezza e praticare la prostituzione
senza interferenze di altri sfruttatori. La restante parte agisce indipendentemente in zone differenti
quali: parcheggi, distributori di benzina, stazioni ferroviarie, locali e discoteche.
Le vittime, ossia coloro che sono costrette a prostituirsi:
-
sono private dei loro documenti di identità e di viaggio
sono private della loro libertà di movimento e di relazione (17%)
sono sottoposte a violenze (21%) come: lesioni corporali, danni fisici e psicologici,
elettroshock, violenza sessuale e altri abusi di carattere sessuale
sono minacciate (28%), per esempio di essere portate dalle autorità giudiziarie o negli uffici per
stranieri ed essere spulsi
non hanno adeguato accesso a cibo e a indumenti di ricambio (5%)
sono obbligate a fare uso di droga (1%)
Generalmente le vittime, senza documenti di viaggio o con visa falsi e trovandosi in una situazione
di illegalità, diventano obbedienti creando così una ancor maggiore dipendenza verso i loro
sfruttatori. Sono inoltre caricate di ulteriori obblighi per poter pagare i debiti agli organizzatori,
relativamente alle somme elevate dovute per passare illegalmente i confini, ai servizi di mediazione
per la ricerca del lavoro, ai permessi di lavoro, eccetera.
I metodi più frequenti conosciuti per reclutare le persone sono:
-
promesse di lavoro in regola in ristoranti, hotels e locali come personale qualificato e non,
come camerieri ai piani, come addetti alla reception , al trasporto clienti, eccetera
promesse di lavoro in regola in case o istituzioni private come baby-sitters, badanti, segretarie
(specialmente in paesi come Germania, Austria, Olanda)
promesse di lavoro nel campo artistico come ballerine, cantanti, modelle (specialmente in paesi
come Giappone, Austria, Italia, Svizzera, Germania, Spagna, Cipro)
agenzie matrimoniali.
Tutte queste attività sono realizzate direttamente, attraverso il coinvolgimento di amici o di parenti
oppure dei mass media (annunci sui giornali locali). Nel corso di una indagine a livello nazionale
per monitorare gli annunci sui giornali, specialmente nel settore artistico, la polizia ha riscontrato
430 persone coinvolte in crimini collegati al traffico di esseri umani. Il principale flusso di
migrazione illegale e traffico di esseri umani avviene dall’Est all’Ovest e dal Sud al Nord-ovest. Al
riguardo possiamo definire sei zone geografiche, ciascuna avente alcune caratteristiche particolari e
ben determinate rispetto ai mezzi e dai metodi usati dai trafficanti, nonché dalla destinazione finale
e dallo scopo perseguito. In sintesi si rileva:
280
a.
b.
c.
d.
e.
f.
la zona Est al confine con la Repubblica di Moldavia dove si registrano continui tentativi di
passare illegalmente il confine da parte di persone provenienti dalla Russia, dalla Moldavia e
dall’Ucraina e anche di persone provenienti da paesi africani ed asiatici, guidate da membri di
differenti organizzazioni criminali;
la zona Ovest a ridosso con l’Ungheria dove si registra una tendenza a passare illegalmente il
confine da parte di persone provenienti da paesi africani ed asiatici che entrano in Romania
dal Sud o dall’Est;
la zona Sud al confine con la Bulgaria utilizzata per l’entrata illegale di afro - asiatici e curdi
che sono in transito sul territorio rumeno con l’obiettivo di entrare illegalmente nel territorio
dei paesi membri dell’Unione Europea. E’ anche utilizzato per lasciare illegalmente il paese
verso la Grecia e l’Italia;
la zona Sud-est e litorale al confine con l’Ucraina utilizzata per entrare illegalmente in
Romania e, in seguito, per lasciarla, sia da parte di persone che agiscono da sole, sia di
persone appartenenti a clan della criminalità organizzata provenienti dall’area dell’ex-Unione
Sovietica e da paesi africani ed asiatici;
la zona Sud-ovest al confine con la ex Repubblica di Jugoslavia dove si registrano varie
attività coordinate da clan della criminalità organizzata, non solo rumeni, ma anche di altre
nazionalità che svolgono la loro attività a carattere internazionale. I loro obiettivi sono:
- facilitare il transito per i migranti (rumeni e stranieri) attraverso la ex - Jugoslavia verso
la Macedonia e poi la Grecia
- facilitare il traffico di esseri umani provenienti dalla ex-Unione Sovietica e dalla
Romania.
La zona Nord al confine con l’Ucraina per intraprendere la direzione verso l’Austria e verso la
Germania da un lato e verso la Bosnia e la Slovenia dall’altro.
Ciò dimostra come il traffico di esseri umani abbia raggiunto in Romania una certa capillarità e
come riesce ormai a sfruttare corridoi e percorsi collaudati non solo dalla criminalità locale (che
comunque gioca un ruolo di primo piano) ma anche da altri clan di origine straniera. La diversa
presenza di bande nazionali e di bande transnazionali – e la loro alleanza strategica – rende
complementari le loro conoscenze e le loro capacità di movimento e di creazioni di supporti
logistici lungo le diverse direttrici sopracitate.
11.3 La legislazione nazionale e gli strumenti internazionali
Certi aspetti del traffico di esseri umani sono punibili secondo il Codice Penale come segue:
prostituzione (art. 328), adescamento a scopo di prostituzione (art. 329) , percosse o altre violenze
(art. 180), lesioni fisiche (art. 181), gravi lesioni fisiche (art. 182), privazione illegale della libertà
(art. 189), schiavitù (art. 190), lavoro forzato (art. 191), minacce (art. 193), estorsione (art. 194),
crimini sessuali (art. 197-204), contaminazione HIV (art. 309), associazione a delinquere (art. 323),
diffusione di materiale pornografico (art. 327).
Per alcuni di essi i limiti della pena sono stati recentemente elevati dalla legge n. 169/2002. Deve
essere menzionata, al riguardo, l’Ordinanza d’Emergenza del Governo n. 25/1997 sulle adozioni,
che nell’art. 26 rende reato penale quelle che si dimostrino illegali. Tuttavia, oltre all’Ordinanza,
altre recenti misure del governo rumeno mostrano la volontà di compiere seri sforzi per prevenire e
combattere il traffico di persone. Il primo passo è stato quello legislativo, con l’obiettivo di creare
strumenti di sostegno nella lotta contro tale fenomeno, ma anche di fornire i mezzi necessari per
una struttura istituzionale di protezione e assistenza per le vittime.
Così, il Governo rumeno ha redatto - e il Parlamento ha approvato la legge n. 678/2001 sulla
prevenzione e la lotta al traffico di esseri umani - una legislazione moderna in accordo con gli
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strumenti internazionali. Questa legge rappresenta un adeguamento e un completamento della
legislazione interna in relazione alle disposizioni del Protocollo sulla prevenzione, repressione e
punizione del traffico di esseri umani , specialmente donne e bambini, allegato alla Convenzione
delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale del dicembre 2000 a Palermo
(la Romania ha firmato sia il Protocollo che la Convenzione).
La legge è stata adottata anche in considerazione di altri documenti internazionali relativi a tale
materia, quali: a. l’ Azione comune sulla lotta al traffico di esseri umani e allo sfruttamento sessuale
dei bambini (del 24 febbraio 1997) adottata dal Consiglio dell’Unione Europea sulla base dell’art.
K3 del Trattato sull’Unione Europea; b. le seguenti Raccomandazioni del Consiglio d’Europa:
R(2000)11 sulla lotta contro il traffico di esseri umani allo scopo di sfruttamento sessuale; R(91)11
sullo sfruttamento sessuale, pornografia, prostituzione e traffico di bambini e adolescenti; n.
1325(1997) sul traffico di donne e prostituzione forzata negli Stati membri della Comunità Europea;
n. 1099(1996) sullo sfruttamento sessuale di bambini; n. 1065(1995) sul traffico di bambini e altre
forme di sfruttamento dei bambini.
La legge è stata inoltre adottata considerando i documenti dell’Organizzazione Internazionale del
Lavoro, quale per esempio, la Convenzione n. 182 sul divieto e la tempestiva eliminazione delle
forme più pericolose di lavoro per i bambini (1999). Il capitolo I contiene disposizioni generali che
forniscono alcune definizioni importanti quali: “traffico di esseri umani” o “sfruttamento di una
persona”. L’ultima include non solo la prostituzione ma anche il lavoro forzato, la schiavitù o altre
forme di privazione della libertà, come il contrabbando di organi eccetera.
Il capitolo II contiene disposizioni sulla prevenzione, con importanti compiti per alcuni ministeri e
istituzioni governative, organizzazioni non governative e altre componenti della società civile.
Per esempio:
-
alcuni ministeri sono coinvolti nel rafforzamento del Piano di Azione Nazionale per la Lotta al
Traffico di Esseri Umani
Il Ministero dell’Educazione e della Ricerca, con il sostegno di altri ministeri attinenti e in
cooperazione col le ONG, sviluppa programmi educativi per genitori e bambini, specialmente
per gruppi a rischio di divenire vittime, con l’obiettivo di prevenire il traffico di esseri umani.
Il Ministero del Lavoro e della Solidarietà Sociale attua speciali misure per l’integrazione nel
mercato del lavoro di persone a rischio di essere sottoposte a traffico di esseri umani, specialmente
donne in aree molto povere e socialmente emarginate.
Il terzo capitolo è dedicato al reato di traffico di esseri umani e considera separatamente il caso di
adulti e minorenni. I trafficanti, siano essi minorenni o adulti, rischiano serie sanzioni fino a 25
anni di carcere. Di conseguenza chiunque recluti, trasporti, trasferisca, dia asilo o riceva una
persona mediante l’uso di minacce o violenza, o l’uso di forme di coercizione, attraverso il
sequestro, la frode o falsa dichiarazione, l’abuso di potere o approfittando di persone incapaci di
difendersi o di esprimere la propria volontà, o dando/ricevendo denaro o altri benefici in modo da
ottenere l’accordo di una persona che ha il controllo su un’altra persona, con l’intento di sfruttare
quest’ultima, dovrebbe essere punito con la prigione da 3 a 12 anni e la sospensione definitiva di un
certo numero di diritti.
In alcuni casi ci sono aggravanti quali:
-
la morte della vittima;
se il reato è commissionato in maniera strutturata/organizzata;
se la vittima è di età compresa tra i 15 e i 18 anni;
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-
se la vittima ha meno di 15 anni è previsto dalla legge che l’accusa di traffico di esseri umani
non esonera il trasgressore dalla responsabilità penale.
Il quarto capitolo riguarda i crimini connessi al traffico di esseri umani, quali il favorire l’ingresso o
la permanenza in territorio rumeno di persone oggetto di traffico o il reato di pornografia infantile.
Il quinto capitolo, invece, è dedicato alle questioni procedurali. È stabilito che:
-
-
le autorità competenti hanno il diritto di fare uso degli ufficiali in incognito e possono
intercettare le comunicazioni. Inoltre le garanzie necessarie richieste dalla Convenzione Europea
sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali sono entrambe presenti;
l’indagine è condotta sin dall’inizio dal Pubblico Ministero;
il tribunale è la corte competente in prima istanza.
Il sesto capitolo è intitolato “La protezione e l’assistenza delle vittime” e contiene norme riguardanti
forma speciali di assistenza – fisica, giuridica e sociale, - il che necessariamente coinvolge diverse
istituzioni.
Infine, il capitolo sette tratta la norme tese al rafforzamento della cooperazione internazionale. Esse
prevedono la nomina di funzionari di collegamento all’interno del Ministero degli Interni e di
magistrati di collegamento all’interno degli uffici dei Pubblici Ministeri legati ai tribunali. Tra le
altre competenze hanno anche l’incarico di operare scambio di informazioni con altri ufficiali o
magistrati di collegamento, nell’eventualità di dover lavorare in altri paesi, così da coordinare le
diverse azioni durante l’indagine. La creazione di punti di contatto è anche garantita dalla presenza
di controparti istituzionali di altri paesi, e all’interno del Ministero degli Interni e dell’ufficio del
Pubblico Ministero legato alla Corte Suprema di Giustizia.
Al momento, una seconda legislazione è in stato di elaborazione per poter stabilire, nel dettaglio le
responsabilità per i ministri nella prevenzione e nella lotta al traffico di persone. Il Ministero
rumeno di Giustizia sta elaborando il Regolamento per il rafforzamento della legge n.678/2001. Il
regolamento sancisce che tutte le attività fatte per prevenire e combattere il traffico, dovrebbero
essere coordinate e valutate da un gruppo Inter-ministeriale. In accordo con tale Regolamento,
rappresentanti di tutte le istituzioni impegnate in quest’area compongono il gruppo, comprendendo
anche i rappresentanti delle organizzazioni non governative e della società civile.
Un altro pezzo importante della legislazione nell’area è la Decisione governativa n.1216/2001 per
l’approvazione d
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Il traffico internazionale di minori. Piccoli schiavi senza frontiere. Il