Terre des hommes Italia, Fondazione Internazionale Lelio Basso, Save the Children Italia e Associazione Parsec Ricerca: Il traffico internazionale di minori. Piccoli schiavi senza frontiere. Il caso dell’Albania e della Romania. di Francesco Carchedi Roma, dicembre 2002 1 “Il mestiere più vecchio del mondo non è la prostituzione, ma lo sfruttamento sessuale delle donne e dei bambini” (Giornalista di Famiglia Cristiana al Convegno Caritas di Roma sul Traffico di donne e bambini, presso la sede RAI di Roma, dicembre 2001) 2 IL GRUPPO DI RICERCA Gabriela Alexandrescu Paola Barone Giuliana Candia Francesco Carchedi (Direzione scientifica) Pippo Costella Anna Maria D’Ottavi Renato Frisanco Danila Indirli Simona La Rocca Bronwen Lewis Catalin Luca Nicola Mai Piera Marras (Coordinamento) Diana Matei Vjollca Mecaj Cristina Minguzzi Veslemoj Naerland Isabella Orfano Georgeta Paunescu Diana Serban Gil Vasile LA SEGRETERIA TECNICA Patrizia Bonanni (Editing) Maria Elvira Gomes Maria Ines Libanio IL COMITATO SCIENTIFICO Linda Bimbi, Segretario generale – Fondazione Internazionale L. Basso Melita Cavallo, Presidente Commissione nazionale adozioni internazionali, Presidenza del consiglio dei Ministri -–Membro direttivo Associazione italiana magistrati per i minorenni e per le famiglie Marina D’Amato, Docente di sociologia – Università di Roma Tre Maria Grazia Giammarinaro, Giudice per le indagini preliminari - Tribunale penale di Roma, Esperta del Consiglio del Consiglio d’Europa in materia di traffico di esseri umani Giovanni Mottura, Docente di Sociologia del lavoro – Università di Modena Mauro Valenti, Sociologo e Funzionario responsabile del Comitato minori stranieri – Ministero del lavoro e delle politiche sociali 3 ELENCO DEI TESTIMONI-CHIAVE INTERVISTATI 1. Padre Adriano Congregazione dei Comboniani, di Bari 2. Teresa Albano 3. Tiziana Bellavista 4. Amilcare Biancarelli Area anti-tratta dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni, di Roma Osservatorio sullo sfruttamento dei minori, Regione E. Romagna - Asl di Rimini Cooperativa Il Borgo, di Perugia 5. Marco Bufo Associazione On the road, di Martin Sicuro 6. Suor Chiara Carraro Centro ascolto Parrocchia San Pio X, di Padova 7. Mauro Carta Responsabile Comunità Felix – parsec servizi, di Roma 8. Alessandro Ciuffa Direttore del Servizio sociale internazionale, di Roma 9. Pino De Lucia Cooperativa Agorà, di Crotone 10. Mirta Del Pra Gruppo Abele, di Torino 11. Elena di Filippo Cooperativa Dedalus, di Napoli 12. Claudio Donatel Città prostituzione – Comune di Venezia 13. Claudia Forini Associazione Porta Aperta, di Milano 14. Gianni Fulvi 15. Pino Gulia 16. Don Cesare Lo Deserto già Responsabile del centro di pronto intervento minori della Caritas di Roma già Responsabile del Settore immigrazione della Caritas Diocesana Regina pacis, di Lecce 17. Laura Marzini Responsabile Ufficio Minori stranieri – Comune di Torino 18. Demetrio Missineo 19. Bruno Mitrugno 20. Stefano Montorfano Responsabile per i rapporti con l’Unione Europea sui temi dell’immigrazione straniera e membro della Commissione Interministeriale per l’attuazione dell’art. 18 del T.U. 289/98 Responsabile Area Balcani della Caritas diocesana di Brindisi-Ostuni Associazione Lule, di Abbiategrasso 21. Andrea Morniroli 22. Maura Muneretto Cooperativa Dedalus, Responsabile Progetto la Gatta, di Napoli Cooperativa Parsec, di Roma 23. Fredo Olivero Ufficio pastorale migranti – Caritas di Torino 24. Sara Pedroni Centro accoglienza Progetto Segnavia, di Mantova 25. Vanna Poli Responsabile Servizio minori del Comune di Modena 26. Silvio Premoli 27. Suor Rita Caritas Ambrosiana e Cooperativa Farsi prossimo, di Milano Comunità Ruth, di Caserta 28. Stefania Scodanibbio Associazione On the road, di Martin Sicuro 29. Mirko Tamagnini Consulente Asl di Rimini sui progetti di protezione sociale 30. Vittoria Tola 31. Daniel Zagghai già Responsabile Polite sociali del Dipartimento per le Pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri Associazione Eritros, di Roma 4 INTERVISTE COLLETTIVE 1. - Associazione Ala, di Milano Landai Phan Eugenia Lungu Miriam Gironi Dario Franchetti 2. - Associazione Black e White, di Castel Volturno (Caserta) Padre Giorgio Padre Franco Padre Nicola 3. - Comunità di accoglienza della Caritas, di Reggio Calabria -Bova Elena Sgrò Silvia Chianpella Eliana Romeo Giancarla Montanaro Rosi Impalà 4. - Associazione Casa dei diritti sociali, di Roma Carla Baiocchi Angelo Caivano Agata Magiac Silvano Boschin 5. - Cooperatica Cat, di Firenze Da Prato Michela Edith Okafor Adelina Lacaj Alessandro Tarlini Rebecca Rossi Roberto Versari Diou Vassilissa Monica Morsini 6. - Cooperativa Dedalus, di Napoli Nadia Hamdani Paola Esposito Carlo Russo Anila Xhemalaj 7. - Lega italiana Lotta all’Aids (Lila), di Roma Emanuela Mauriello Massimo Saija Elisabetta Marmigi Natascia Cobani Ines Maggio Andrea di Gianbattista Edna Arebudola 8. - Cooperativa Lotta all’emarginazione sociale, di Sesto San Giovanni Tiziana Bianchini Chiara Simoncini 5 - Nicola Locatelli Riccardo Di Facci 9. Associazione Lule, di Abbiategrasso Maddalena Mella Emanuele Omodeo Zorini Ilaria Bozzini 10. Cooperativa Magliana ’80, di Roma Ugoma Francisco Valeria Parrinello Francis Mbany Leon Miraha Mauro Silvestri Maria Flora Stamatti 11. Cooperativa La Mimosa, di Padova Antonio Pietrogrande Elisa Bedin 12. Cooperativa Nuovo Villaggio, di Padova Marina Ghiraldo Marco Baldini 13. - Cooperativa Oasi, di Trani (Bari) Antonella De Benedittis Daniela Simone Ivano Ventura Grazia Narciso Rita Leone Mino Di Lernia 14. - Associazione On the road, di Martin Sicuro (Ascoli Piceno) Zana Dhroso Romina Ciafardone Barbara Montanini Roberto Rossi 15. - Cooperativa Parsec, di Roma Deborah Di Cave Leila Daianis Laura Lagi Teresa Acuzie Nia Alico Cristina Minguzzi 16. - Comune di Venezia – Progetto città prostituzione, di Venezia Monica Paolini Loris Zampieri Cinzia Granagnolo 6 INDICE 1. Introduzione . di Francesco Carchedi PAG. . . . . . . . . 2. La tratta di donne adulte e bambine. Uno sguardo d’insieme di Francesco Carchedi e Renato Frisanco 2.1. Il fenomeno del traffico di esseri umani: rilevanza e definizione . . 2.2. Una conoscenza del fenomeno problematica e ancora parziale . . 2.3. Alcune delle principali cause dello sviluppo e i fattori strutturali che contraddistinguono il fenomeno nel nostro paese. . . . . 2.4. La tratta delle minorenni a scopo di sfruttamento sessuale: fasi e meccanismi di base del fenomeno . . . . . . . . 2.5. Il ciclo prostituzionale e la spirale dello sfruttamento . . . . 2.6. Il traffico e le forme di sfruttamento para-schiavistico dei minori stranieri . 2.7. Osservazioni conclusive . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . 1 15 17 19 26 29 40 47 49 3. Alcune caratteristiche di base dei meccanismi di sfruttamento delle donne e dei bambini. Aspetti quantitativi e qualitativi di Francesco Carchedi 3.1 Premessa. . . . . . . . . . 51 3.2 I dati ufficiali e i dati di stima dello sfruttamento sessuale . . . 53 3.3. I criteri di stima e le stime delle donne coinvolte nella prostituzione . . 59 3.4. La prostituzione stanziale e la prostituzione itinerante-camminante Gli assi territoriali di spostamento e la posizione dei minori . . . 66 3.5. La posizione dei minori e le caratteristiche delle modalità di sfruttamento . 77 3.6. Osservazioni conclusive . . . . . . . 86 4. Le condizioni di grave sfruttamento dei minori. Le interviste ai testimoni-chiave di Anna Maria D’Ottavi 4.1 Premessa . . . . . . . . . 90 4.2 Da minori stranieri a piccoli schiavi . . . . . . 91 4.3 La normativa di riferimento . . . . . . . 95 4.4 Le condizioni di vita oscure . . . . . . . 102 4.5 La schiavitù come progetto migratorio . . . . . 107 4.6 Cosa significa minore età e le differenze di genere . . . . 112 4.7 Il progetto educativo . . . . . . . . 119 4.8 Dalle risorse istituzionali e spontanee al lavoro in rete . . . 127 4.9 Il risveglio delle coscienze . . . . . . . 133 4.10Il perchè della scelta: Albania e Romania . . . . . 135 5. Mascolinità albanesi, sex-work e migrazione: omosessualità e rischio di infezioni da rapporti sessuali di Nicola Mai 5.1 Premessa . . . . . . . . . . 139 7 5.2. L’omosessualità invisibile e silenziosa. Marginalità sociale o emigrazione all’estero e in Italia in particolare . . 5.3 Le disposizioni normative in relazione all’omosessualità e alla prostituzione . . . . . . 5.4 Il discorso omosessuale, i diversi tipi di omosessualità e le pratiche prostituzionali . . . . . 5.5 Sex work come strategia rischiosa di fuoriuscita dalla condizione di povertà . . . . . . . 5.6. Sex work come “marchettaro” e sfruttatore di donne . 5.7. Le diverse strategie di sopravvivenza in rapporto ai rischi di infezione da Hiv . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . 140 . . 143 . . 145 . . . . 149 154 . . . . 157 160 6. Il traffico di minori dalla Romania e dall’Albania. Aspetti che determinano il fenomeno e i percorsi di contrasto e di inserimento possibili di Cristina Minguzzi 6.1 Premessa . . . . . . . . . 161 6.2 Alcune interazioni tra il traffico di donne a scopo di prostituzione e il traffico di minori. Aspetti comuni trai due fenomeni nei casi della Romania e dell’Albania. . . . . . . . 162 6.3 Modalità del traffico illegale di persone verso l’Italia. La Romania come paese di reclutamento e di transito, recentemente anche come luogo di destinazione . . . . . . . . . 167 6.4 Lo stato dell’arte in tema di lotta al traffico: la legislazione in vigore e l’efficacia della sua applicazione in Romania . . . . . 169 6.5 Le Organizzazioni non governative intervistate: potenzialità e criticità emerse 172 6.6 Le condizioni che determinano l’insorgere del fenomeno e il profilo dei soggetti coinvolti: le famiglie e i minori trafficati; i trafficanti e le modalità di reclutamento . . . . . . . 174 6.7 Rimpatrio delle vittime e valutazione degli strumenti di contrasto al traffico di esseri umani attivati in Italia . . . . . . 177 6.8 Il caso dell’Albania . . . . . . . . 178 6.9 Osservazioni conclusve . . . . . . . 190 Bibliografia . . . . . . . . . . 193 7. Il fenomeno migratorio regolare ed irregolare: flussi di transito, flussi migratori albanesi e traffico di bambini di Elisabetta Quarta 7.1 Premessa . . . . . . . . . 194 7.2 Definizione di “tratta” e disposizioni di legge . . . . 197 7.3 Aspetti quantitativi del fenomeno . . . . . . 198 7.4 La situazione in Albania . . . . . . . 202 7.5. Ragazzi di strada, nuove urbanizzazioni e prostituzione . . . 207 7.6 La tratta dei minori . . . . . . . . 211 7.7. I trafficanti . . . . . . . . . 215 7.8. Un breve inciso sui profitti . . . . . . . 216 7.9. Il “recupero” e il reinserimento sociale delle vittime della tratta: reinserimento di chi? dove? . . . . . . 217 7.10Osservazioni conclusive . . . . . . . 221 8 Bibliografia . . . . . . . . . . 224 8. Servizi di protezione e buone pratiche di re-inserimento sociale. Analisi dei casi nei paesi all’esame di Isabella Orfano 8.1 Premessa . . . . . . . . . 227 8.2 I servizi in Italia. Gli studi di caso . . . . . . 229 8.3 I servizi in Albania. Gli studi di caso . . . . . . 270 8.4 I servizi in Romania. Gli studi di caso . . . . . . 296 8.5 Osservazioni conclusive . . . . . . . 309 9. Le norme internazionali e nazionali dell’Unione europea sul traffico finalizzato allo sfruttamento lavorativo e sessuale dei minori di Simona La Rocca 9.1 Premessa . . . . . . . . . 313 9.2 Le Convenzioni e le iniziative internazionali . . . . . 314 9.3 La legislazione e le iniziative europee . . . . . . 329 9.4 La legislazione e le iniziative nazionali . . . . . 334 9.5 Osservazioni conclusive . . . . . . . 343 Bibliografia . . . . . . . . . . 345 10. Procedure giudiziarie e costruzione dell’iter processuale nell’ ambito dello sfruttamento sessuale dei minori stranieri. Analisi di alcuni casi. di Danila Indirli 10.1Premessa. . . . . . . . . . 348 10.2Audizione del minore . . . . . . . . 348 10.3La perizia psicodiagnostica e la valutazione giuridica di attendibilità . 351 10.4Indagini ed accertamento medico-legale . . . . . 353 10.5 L’intervento integrato delle istituzioni giudiziaria e socio-sanitaria insieme alle associazioni di volontariato. . . . . . 355 10.6Il procedimento penale tra garanzie dell’indagato e tutela del minore parte offesa 356 10.7Analisi di alcuni casi . . . . . . . . 360 10.8Osservazioni conclusive . . . . . . . 363 11 Aspetti del traffico di esseri umani in Romania. Le cause del fenomeno e il quasro normativo attuale di Gil Vasile 11.1Premessa . . . . . . . . . 364 11.2 Le principali cause alla base del fenomeno e i metodi di reclutamento maggiormente utilizzati . . . . . . . 365 11.3La legislazione nazionale e gli strumenti internazionali . . . 368 11.4Alcune informazioni statistiche . . . . . . 374 a. Iniziative volte a combattere il traffico e influenza dei nuovi provvedimenti legislativi e delle azioni intraprese sulla base di casi giudiziari seguiti . 377 b. Aspetti valutativi della legislazione nazionale: punti di forza e punti di debolezza . . . . . . . . 380 12. Osservazioni conclusive generali di Francesco Carchedi . . . . . . 383 9 1. Introduzione di Francesco Carchedi 1.1 I paesi all’esame L’indagine che la Fondazione Internazionale Lelio Basso ha svolto – all’interno del progetto più generale su: “Il traffico internazionale di minori: piccoli schiavi senza frontiere. I casi Albania e Romania” con capo-fila Terre des Hommes Italia (in collaborazione con Save the children Italia e Parsec – Ricerca ed interventi sociali) - è stata avviata, per conto del Ministero degli Esteri, nel gennaio 2002 e si è conclusa nel dicembre dello stesso anno. L’indagine ha preso in esame il fenomeno del traffico delle donne ed in particolare dei minori nei tre paesi allo studio, cioè l’Italia, l’Albania e la Romania. Questi paesi, con modalità e caratteristiche diverse, rappresentano, allo stesso tempo, almeno dall’ultimo decennio, delle aree privilegiate di insediamento e di transito di componenti minorili costrette (e destinate) a forme gravi di sfruttamento; ovvero quella condizione che si determina quando gli adulti traggono vantaggio economico dall'abuso continuato della propria posizione di dominio o di potere nei confronti dei minori o di altri adulti a loro sottomessi. Adulti, questi ultimi, che magari esercitano la prostituzione – o sottostanno ad altre forme di grave sfruttamento – da più anni e che il periodo di avvio di tale assoggettamento è collocabile a quando avevano la minore età. Dalla Romania, il paese dell’area balcanica più orientale, dunque, soprattutto a partire dall’ultimo quinquennio, si rilevano significativi traffici di esseri umani, con segmenti al proprio interno di persone minorenni. Questi traffici hanno una doppia connotazione: in parte si formano nella stessa Romania ( in particolare nel Banato, regione situata a Nord-est del paese) e in parte si formano nella Moldavia e nell’Ucraina. Questi ultimi transitano per qualche mese in Romania (soggiacendo in genere già a forme di grave sfruttamento) per esseri portati con forza o raggiro in Italia, seguendo due direttrici principali: quella meridionale, passando dalla Bulgaria o dalla Yugoslavia in direzione dell’Albania, oppure attraversando le regioni settentrionali in direzione dell’Ungheria e proseguendo verso Ovest in direzione dell’Austria o della Slovenia. Stessa situazione si rileva per l’Albania: da paese di nascita del traffico di donne e di minori a scopo di grave sfruttamento – soprattutto di carattere sessuale – verso l’Italia, è diventato, negli ultimi anni (a causa del peso assunto dalle organizzazioni criminali albanesi), anche paese di transito di persone trafficate provenienti dai paesi centrali dei Balcani (Serbia, Bulgaria), oppure da altri paesi limitrofi o più lontani. Nel senso che le medesime organizzazioni – o organizzazioni diverse ad esse funzionalmente collegate – gestiscono l’ultima fase del traffico, cioè quella che implica anche il passaggio di frontiera marittima e pertanto più difficile e rischiosa delle altre. Frontiera, quest’ultima che negli ultimi anni è andata affievolendosi a vantaggio di quelle terrestri sulla direttrice Nord (Kossovo e Slovenia) e sulla direttrice Sud (Grecia, Cipro, Malta) Malta) e da ultimo quelle ubicate nell’area meridionale tunisina e l’area occidentale libica (nella zona di confine sottostante l’isola di Gerba e la cittadina di Zuwarah). Infine, anche per l’Italia è possibile parlare di paese di transito e al contempo di grave sfruttamento, per il fatto che alcuni gruppi femminili di minorenni - sfruttate dapprima nel nostro paese – vengono portate in Francia, in Germania, in Austria, in Spagna e in Belgio (viceversa, si riscontrano casi di minorenni e di donne che da questi paesi vengono dopo qualche tempo riportate in Italia). Questi spostamenti di carattere transnazionale – e al contempo rotatorio - danno la misura 10 dell’importanza che il fenomeno ha assunto per le bande criminali coinvolte e di quanto alto sia diventato il loro grado di specializzazione ed efficienza tecnico-organizzativa; nonché la loro capacità di collegamento e di alleanza territoriale con altre bande criminali impegnate nei diversi paesi dove questo traffico di auto genera e si sviluppa. 1.2. La filosofia dell’indagine, definizioni di traffico e gli ambiti dello sfruttamento esplorati La filosofia che ha accompagnato il percorso di indagine è stata quella propria che si evince dalla legge n. 269/98 (“Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quale nuove forme di schiavitù”), in quanto non riconosce la volontarietà della scelta prostituzionale da parte dei minori di anni diciotto. In definitiva gli sfruttatori o i protettori – oppure qualunque altra persona a vario titolo – che induce le donne e gli uomini in età inferiore ai diciotto anni ad esercitare la prostituzione commettono un reato grave (come recita l’art. 9, “Chiunque commette tratta o comunque fa commercio di minori degli anni 18 al fine di indurli alla prostituzione è punito con la reclusione dai sei ai venti anni”). Si tratta quindi di un reato grave a prescindere della volontarietà o involontarietà (espressa o inespressa) dei diretti interessati e della presunta maturità psico-fisica che gli interessati medesimi possono dimostrare (art. 1 e 2) ad una superficiale osservazione dei tratti e degli atteggiamenti esteriori. Al riguardo anche la Convenzione Onu sui diritti dei fanciulli (di New York del 20 novembre 1989) richiama gli Stati (firmatari) ad adottare ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare i minori contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamento o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale (art. 19). L’art 3, inoltre, stabilisce che “l’interesse superiore del fanciullo” (concetto ripreso anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nel suo art. 24), deve essere alla base di qualsiasi intervento di protezione e di assistenza sociale attivato o attivabile da enti istituzionali e non, finalizzato a soddisfare le speciali e le specifiche esigenze che provengono dall’infanzia. Lo scopo del traffico di esseri umani, notoriamente, è quello di produrre guadagni illeciti a vantaggio delle organizzazioni (gestite quasi totalmente da adulti, prevalentemente maschi), in quanto consorzi criminali. Si rilevano, in aggiunta, forme individuali di grave sfruttamento messe in campo da singole persone non necessariamente collegate funzionalmente ad organizzazioni malavitose. Da un lato, quindi, siamo in presenza di un business organizzato da bande criminali in senso stretto1, perpetuato nel tempo anche con criteri imprenditoriali; dall’altro siamo in presenza di forme relazionali fortemente asimmetriche che si instaurano coercitivamente tra due persone: l’una 1 Al riguardo la definizione a cui facciamo riferimento è quella espressa dalla Convenzione Onu sulla criminalità organizzata transnazionale (Palermo, 12/15 dicembre 2000). Può definirsi criminale un gruppo organizzato quando esso “è strutturato, esistente per un certo periodo di tempo, composto di tre o più persone che agiscono di concerto al fine di commettere uno o più reati gravi, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale” (Art. 2). Occorre fare riferimento, dunque, ad una struttura composta di uomini, di mezzi e di ingenti capitali i cui fini principali possono essere individuati: a) nell’arricchimento ingente e rapido; b) nella ricerca dell’impunità; c) nell’acquisizione di posizioni di potere. Fattori che - secondo Van Duyne - permettono alla criminalità organizzata di agire come un’impresa che svolge una pluralità di attività, illecite e apparentemente lecite, tendendo alla massimizzazione del profitto mediante la riduzione ai minimi termini dei costi, sia economici che penali, che debbono o possono essere sostenuti. P.C. Van Duyne, Organized crime corruption and power, in Crime law and social change, Kluwer Academie publisher, Avenel, n. 26, 1997, pp. 201-238, cit. da P.P. Romani, la criminalità organizzata e la gestione del traffico di esseri umani, in Fondazione Internazionale L. Basso, Parsec, Traffico di esseri umani, criminalità organizzata e forme contemporanee di schiavitù, rapporto di ricerca, Ministero degli Esteri, Roma, giugno, 2002, p. 92 e segg. 11 più forte e con poteri assoggettanti, l’altra più fragile e sostanzialmente vulnerabile costretta alla subordinazione e costretta a seguire da un paese all’altro il proprio aguzzino e approfittatore. Si tratta dunque di fenomeni sociali abbastanza particolari che nelle manifestazioni più estreme si possono configurare come nuove forme di schiavitù, in quanto i rapporti che intercorrono tra gli attori coinvolti sono caratterizzati dalla violenza e dall’abuso della posizione di vulnerabilità, anche dovuta all’età. Infatti, i fenomeni di grave sfruttamento - pur nella loro gravità – non sono sempre rapportabili alle condizioni para-schiavistiche. Ciò che le colloca in tale condizione è la mancanza pressocchè assoluta di libertà, di possibilità di negoziazione, di possibilità di recidere la relazione assoggettante, in quanto perpetuata con la violenza, con relazioni abusive e con la coercizione reiterata. Questa impossibilità è determinata – come accennato - dal particolare rapporto di soggezione che si instaura tra le parti: l’una detentrice di potere coercitivo (fisico e psicologico), l’altra vulnerabile e debole e pertanto non in grado di opporre resistenza, né quella individuale o familiare e né quella collettiva ed ufficiale della Forza pubblica2. La Convenzione Onu sulla criminalità organizzata (Palermo, 12/15 dicembre ’00) nel Protocollo aggiuntivo assume la fattispecie di traffico di esseri umani. Nel suo art. 3 (ai commi a. e b.) il “traffico di persone” è inteso come “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggiamento forzato, attraverso la costrizione o uso della forza o di qualsiasi altra forma di coercizione o trattenimento coatto … sfruttando la condizione di vulnerabilità degli interessati … allo scopo di acquisire vantaggi economici e il controllo su altre persone … a scopo di sfruttamento … della prostituzione o di altre forme di sfruttamento sessuale … lavoro forzato o servizi, schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, servitù e rimozione degli organi”3. Mentre ai commi c. e d. il Protocollo indica, nella sostanza, che quando le vittime sono minori di 18 anni qualsiasi azione illecita perpetrata ai loro danni può essere considerata “traffico di persone”. Da questa definizione – che riprende ed estende quella proposta dalla Convenzione di Ginevra del ’56 – è possibile delineare gli ambiti dove possono riscontrarsi forme di grave sfruttamento comparabili con quelle para-schiavistiche4, e cioè: a. in ambito economico, prevedendo la cosidetta “servitù da debito” (ossia la condizione di assoggettamento derivante dalla contrazione di un debito in cui il processo di restituzione è soggetto a minacce e vessazioni violente); la “servitù domestica” (ossia la forma di assoggettamento di un coniuge o di altri familiari conviventi, nonché di terze persone a servizio presso la famiglia basata su rapporti di subordinazione coercitiva); la “servitù da lavoro 2 La Dichiarazione Ministeriale dell’Aja (del 26 aprile ’97) rafforza la sanzionalibità del traffico di donne e dei bambini a scopo di sfruttamento sessuale. Infatti, essa considera perseguibile penalmente: “ogni condotta che facilita l’ingresso, il traffico, la residenza o l’uscita dal territorio di uno Stato, legalmente o illegalmente, allo scopo di sfruttamento sessuale remunerativo, per mezzo di coercizione, in particolare violenza o minaccia, inganno, abuso di autorità o altro tipo di pressione tale da fare in modo che la persona non abbia scelta effettiva e accettabile se non sottomettersi alla costrizione o all’abuso subito”. 3 Le definizioni date dal Protocolli fuoriusciti a Palermo sembrano ricalcare in parte quelle della Convenzione supplementare di Ginevra del 1956 per quanto concerne gli ambiti di grave sfruttamento e la Risoluzione del Parlamento europeo (del 18 gennaio 1996) per quanto concerne il concetto di vulnerabilità. Infatti, nell’art. 3 del protocollo si sottolinea come fatto illegale “l’abuso della condizione di vulnerabilità” altrui, quando cioè l’abusato soggiace alle condizioni di servitù in quanto non possiede “ragionevoli alternative” che gli possano permettere l’interruzione del rapporto coercitivo. Viene altresì proposta una differenza sostanziale tra sfruttamento (inclusivo di azioni illecite), schiavitù in senso stretto (come mancanza di libertà) e condizione servile (servitud), ossia quella zona grigia fatta di ambiguità, di non detti, di raggiri e piccole e grosse truffe ai danni delle vittime. 4 Cfr. S. La Rocca, La schiavitù nel diritto nazionale ed internazionale, in Fondazione internazionale L. Basso – Parsec (a cura di), Lavoro servile e lavoro para-schiavistico, Commissione per l’integrazione, Dipartimento degli Affari sociali – Presidenza del Consiglio dei Ministri, Working paper, n. 19, Roma, p. 73 e segg. 12 forzato” (ossia la forma di assoggettamento derivante da relazioni e rapporti di lavoro particolarmente pesanti e vessatori, privi di qualsiasi garanzia personale e sindacale, nonché basati sulla sottomissione violenta ed abusiva) e tutte quelle forme di lavoro servile private della possibilità di qualsiasi negoziazione tra le parti; b. nell’ambito delle relazioni di genere, con le forme di subordinazione coatta derivante dalla tratta (cioè dalla traduzione forzata da un paese all’altro) delle donne e dei bambini finalizzata allo sfruttamento sessuale oppure – per quanto riguarda le donne (adulte e minorenni) - a forme variegate di “servitù matrimoniale” (si tratta di matrimoni formalmente ineccepibili ma che nascondono sostanzialmente relazioni basate sull’asservimento femminile); intendendo per tratta di donne il fenomeno di assoggettamento violento o abusivo che parte dal paese di origine delle vittime e si perpetua in un altro e per riduzione in schiavitù allorquando la sottomissione violenta o abusiva avviene nel paese di destinazione, come nel nostro caso in Italia (in quanto la decisione di partire può essere consensuale e condivisa tra gli attori coinvolti). Il concetto di tratta e di riduzione in schiavitù, dunque, inglobano quello di sottomissione violenza o abusiva, di soggezione vessatoria e subordinante con l’obiettivo di trarre profitto economico dalla persona assoggettata; c. nell’ambito delle relazioni intergenerazionali, con rapporti di assoluta sudditanza di bambini e adolescenti da parte degli adulti a scopo di grave sfruttamento; ad esempio attraverso forme organizzate coercitivamente di accattonaggio o di altre attività coattivamente esercitate da effettuarsi nel settore manifatturiero; si tratta dunque di particolari forme di subordinazione che rappresentano il segmento più estremo della catena di sfruttamento. Non siamo dunque in presenza di lavoro nero o di accattonaggio consensuale (cioè con una equa ripartizione degli utili o quantomeno della possibilità di negoziare le parti spettanti a ciascun contraente), ma di lavoro para-schiavistico e di accattonaggio basato sulla violenza e sull’accaparramento unilaterale dei proventi guadagnati dai minori. E’ il rapporto di violenza o di abuso minaccioso, dunque, che determina lo spartiacque tra forme di sfruttamento ordinario (che – nonostante restino riprovevoli – sono accettate e tollerate in qualche modo dalla società) e forme di sfruttamento straordinario, ossia comparabili a quelle classiche che caratterizzavano i rapporti schiavistici e para-schiavistici; d. nell’ambito delle relazioni tra persone, con la cosidetta “prostituzione mascherata” – non necessariamente originata da tratta delle donne coinvolte – in quanto coperta da attività di intrattenimento, come quelle di ballerina, di animatrice all’interno di locali, di massaggiatrice in “case di benessere”, di accompagnatrice dipendenti di agenzie specializzate, eccetera, fondate – anch’esse - su comportamenti costrittivi e violenti. Anche in questo ambito occorre sottolineare che non si tratta di forme di sfruttamento ordinarie (la ballerina straniera, adulta o minorenne, pagata male e al “nero”), ma di forme di sfruttamento straordinarie (cioè la ballerina straniera dopo lo spettacolo viene costretta a prostituirsi contro la sua volontà in quanto viene sistematicamente minacciata o circuita abusando della sua vulnerabilità). Insomma, per determinarsi come forma para-schiavistica il rapporto di lavoro deve essere caratterizzato da costrizione, da raggiro e da abuso derivante da violenza e da subordinazione coercitiva; e. nell’ambito della rimozione, amputazione e compra-vendita di organi umani ed installazione di tali organi ad altre persone al di fuori dei circuiti ufficiali e debitamente controllati dalle autorità giudiziarie e sanitarie. Si tratta di reati molto spesso di carattere collaterale a quelli che ruotano intorno allo sfruttamento sessuale e lavorativo. Infatti, possono essere perpetrati come proseguimento e corollario delle ripetute minacce e violenze che gli sfruttatori indirizzano alle vittime come pratica assoggettante e coercitiva. Nel senso che venuta meno la possibilità di controllo le organizzazioni criminali sopprimono la vittima e – continuando a sfruttarla anche da morta – ne vendono gli organi al mercato nero. Oppure, allorquando, sfruttando condizioni 13 di povertà e vulnerabilità estrema, vengono acquistati organi da persone che accettano, seppur volontariamente, di cederli in cambio di denaro. Tra questi ambiti, tuttavia, dove le forme di grave sfruttamento sono maggiormente evidenti e problematiche – e che la presente indagine a focalizzato la sua specifica attenzione - sono quelle che concernono la prostituzione coatta a danno di minori (e di donne adulte). Negli altri ambiti, al momento, come risulta da altre recenti indagini, le forme di lavoro para-schiavistico – ad esempio, come quello manifatturiero o come quello dell’accattonaggio forzato – non sembrano essere fenomeni diffusi e socialmente allarmanti, in quanto interessano casi isolati e tutto sommato sotto il controllo della forza pubblica5. Così come non appaiono rilevanti numericamente, al momento, le amputazioni di organi coercitive derivanti dal traffico di esseri umani. Con questo non si vuole sminuire la loro significatività sociale ma soltanto che sono fenomeni ancora in nuce e che al momento non si può valutare il loro eventuale sviluppo 1.3 L’oggetto della ricerca, gli obiettivi e i criteri metodologici L’area problematica oggetto della ricerca L’area problematica oggetto della ricerca è stata quella che possiamo definire come la comprensione e l’approfondimento di alcuni aspetti dello sfruttamento coatto che vede come attori subalterni componenti minorili (maschili e femminili), in particolare sottomessi alle pratiche di sfruttamento lavorativo6 e sessuale. Queste ultime, infatti, a tutt’oggi, appaiono, almeno nel nostro paese, senz’altro quelle più diffuse e socialmente più problematiche: sia per gli effetti traumatici che determinano nelle vittime e sia per la loro impossibilità a recidere il rapporto violento – oppure abusivo – con gli sfruttatori a causa della loro vulnerabilità fisica e psicologica (per le donne in particolare si può parlare di doppia vulnerabilità derivante specificamente dal fatto di essere donna e al contempo minorenne). Nello specifico parliamo di sfruttamento sessuale per designare la produzione, più o meno intensamente forzata, di servizi di natura sessuale da parte dei minori in cambio di una remunerazione che viene acquisita prepotentemente da altri, in genere dagli adulti. A proposito diventa opportuna la distinzione tra offerta di servizi di natura sessuale in cambio di denaro e forme di abuso sessuale che maturano in ambiti domestici o in collettività di tipo educativo (ad esempio, orfanotrofi, carceri minorili, case residenziali, eccetera) dove il denaro non rappresenta la caratteristica principale del rapporto. Diverse sono infatti le due situazioni, sia sotto il profilo delle relazioni che le caratterizzano, sia sotto il profilo delle possibilità di intervento sociale e sia sotto il profilo dell’intercettazione degli sfruttatori. Gli obiettivi perseguiti L’intero percorso di ricerca si è focalizzato alla raccolta di dati ed informazioni di campo7, allo scopo di comprendere alcuni aspetti che riguardano il fenomeno della tratta delle donne ed in 5 Al riguardo cfr. Fondazione Internazionale L. Basso – Parsec (a cura di), Lavoro servile e le forme di sfruttamento para-schiavistiche, Commissione per l’Integrazione – Dipartimento degli affari sociali presso la Presidenza del consiglio dei Ministri, Working paper, n. 19, Roma, 2001; 6 Su tale aspetto l’indagine ha riguardato soltanto gli aspetti di protezione normativa, mentre per gli aspetti più inerenti alle pratiche di sfruttamento si rimanda all’indagine della Fondazione Internazionale L. Basso – Parsec, Lavoro servile e lavoro para-schiavistico, Rapporto di ricerca, Dipartimento affari sociali, Roma, 2001; 7 Le interviste effettuate individualmente a testimoni-chiave (magistrati, responsabili di servivi per minori di alcune grandi città, studiosi del fenomeno, funzionari di polizia, funzionari dell’amministrazione pubblica) sono al momento 14 particolar modo quella dei minori a scopo di sfruttamento sessuale. L’obiettivo generale, appunto, riguarda la comprensione delle caratteristiche di base del segmento del traffico di esseri umani configurabile dalla presenza di minori che – come recita il Protocollo aggiuntivo di Palermo sopra citato – sono quelle persone che hanno un’età inferiore a diciotto anni. L’obiettivo perseguito dalla ricerca, inoltre, ha avuto la sua principale focalizzazione su due gruppi nazionali: quello albanese e quello rumeno; gruppi che più degli altri sono stati interessati da forme di sfruttamento radicale e dove le presenze di minori – che potremmo definire a rischio – appare piuttosto alto e consistente. Pensiamo, infatti, non solo ai quei minori che arrivano dall’Albania e dalla Romania già all’interno di circuiti problematici gestiti sovente da bande criminali che intendono soggiocarli per meglio sfruttarli e farli diventare fonti di guadagno asserviti alla loro logica speculativa, ma anche a quelle componenti giovanili che emigrano senza nessun adulto che li accompagni e che ne tuteli il processo di insediamento. Intendiamo quelle componenti composte dai cosi detti minori non accompagnati che - seppur trattandosi nella sostanza di giovani e giovanissimi emigranti -vengono, per variegate ragioni, a trovarsi in condizioni di vita non sempre facili e ottimali per intraprendere percorsi virtuosi di inserimento sociale ed economico. Al fine di meglio raggiungere l’obiettivo generale prefigurato l’indagine è stata finalizzata ad analizzare i seguenti aspetti: a. b. c. d. raccolta ed analisi della (scarsa) bibliografia esistente sull'argomento al fine di definire il quadro generale di riferimento conoscitivo entro il quale si produce lo sfruttamento sessuale dei minori; nonché sistematizzazione delle tematiche allo studio nella prospettiva di definirne le caratteristiche di fondo del fenomeno ed individuare le problematiche sulle quali impostare interventi di risposta sociale; analisi delle caratteristiche di base del fenomeno tramite acquisizione di dati ed informazioni provenienti dagli operatori che intervengono nel settore, sia in Italia che in Albania e in Romania. Lo scopo è stato quello di comprendere, da un lato, la consistenza del fenomeno della prostituzione coatta delle donne e dei minori e, dall’altro, alcuni aspetti che contraddistinguono l’esercizio prostituzionale coatto delle donne adulte e delle donne e dei maschi in minore età; individuazione di una rosa di servizi (pubblici e del privato sociale) attivi nei diversi contesti nazionali che a vario titolo intervengono nel settore del traffico dei minori in particolare a scopo di sfruttamento sessuale. Una volta individuati sono stati selezionati e studiati sulla base di variabili, quali: la visibilità sociale, l'anzianità dell'intervento nel settore minorile, l'efficacia dello stesso, la filosofia e l’elaborazione delle strategie di risposta, la capacità di costruire/ricostruire reti sociali di supporto, la capacità di coinvolgere le istituzioni locali. Si è trattato di studiare questi servizi in qualità di buone pratiche da poter pubblicizzare e creare scambi esperenziali, non sono tra quelli studiati in Italia ma anche tra quelli studiati in Albania e in Romania; analisi dei sistemi normativi di protezione dei minori dei paesi balcanici coinvolti, nell'ottica di definire il quadro normativo di riferimento. La comprensione dei diversi sistemi può facilitare il compito degli operatori sociali (nella loro accezione più ampia) impegnati nel settore del traffico di esseri umani, in modo da poter contrastare meglio il fenomeno anche a livello transnazionale; I criteri metodologici utilizzati una ventina; mentre ammontano ad una decina le interviste collettive, ossia le interviste effettuate ad intere équipe di operatori di strada per un totale di circa una sessantina di persone; 15 L’indagine, come più volte accennato, è stata condotta in tre paesi differenti, con una direzione unica ma con tre gruppi di ricerca distinti (uno in ciascun paese). In pratica si è cercato di studiare il fenomeno della tratta di minori attraverso i punti di vista dei gruppi di ricerca nazionali, proprio per poter cogliere percezioni diverse del fenomeno per poi tentare di rapportarle ad un discorso complessivo omogeneo (senza interferire sui contenuti che ciascun gruppo ha proposto in qualità di risultati della ricerca). Per la raccolta dei dati e delle informazioni è stata utilizzata una scheda di intervista in parte simile ed in parte diversa a seconda delle necessità locali. La raccolta è stata effettuata da operatori/ricercatori locali, mentre la stesura del rapporto è stata effettuata quasi sempre da ricercatori del gruppo italiano, in quanto non sono mancati problemi di comunicazione con i gruppi esteri. I criteri metodologici utilizzati sono stati diversi a seconda degli aspetti che si dovevano studiare/analizzare. Così che per la parte relativa all’indagine documentaria i criteri utilizzati sono stati quelli caratterizzati dalla raccolta, dalla successiva selezione ed analisi della letteratura che è stato possibile acquisire sull’argomento. Letteratura per lo più rara per non dire ancora del tutto assente, soprattutto dal punto di vista sociologico. Questa assenza ha messo ancora più in evidenza il fatto che la presente indagine al momento è pressoché l’unica del genere, almeno nel nostro paese. Invece, per la parte relativa all’indagine di campo i criteri utilizzati sono stati quelli dell’acquisizione delle informazioni tramite colloqui e interviste ad operatori del settore (in qualità di testimoni-chiave) e dell’osservazione diretta (soprattutto per l’analisi dei servizi di protezione). Ossia la tecnica dell’indagine di campo, dell’individuazione della scelta delle persone da intervistare, dalla realizzazione delle interviste, dall’analisi puntuale delle stesse e dalla stesura del rapporto di sintesi come luogo di confluenza dei dati e delle informazioni raccolte. La raccolta dei dati e delle informazioni è stata effettuata attraverso una traccia di intervista aperta, in maniera da lasciare liberi gli intervistati di entrare nella dovuta profondità argomentativa ed esprime quanto di meglio potevano (e volevano). Complessivamente le interviste sono state circa una cinquantina, di cui circa i due terzi (pari a 29 interviste) in Italia e le restanti negli altri due paesi allo studio. Quelle svolte in Italia, tuttavia, hanno coinvolto circa 70 operatori sociali, in quanto una buona metà di esse sono state di carattere collettivo. Nel senso che nella sedutaintervista hanno partecipato mediamente 4/5 operatori. Tale scelta è stata fatta con la consapevolezza che per approfondire la conoscenza del fenomeno in questione fosse necessaria una riflessione in progress con il coinvolgimento diretto degli operatori della stessa unità di intervento, in modo da facilitare il confronto delle conoscenze stimolate anche dal ricercatore-conduttore dell’intervista. Ciò si è rivelato molto utile – ad esempio – nell’affrontare le questioni quantitative del fenomeno e la percezione numerica che ciascun operatore aveva dello stesso all’interno del contesto specifico di intervento. Anche perché la percezione del fenomeno cambia se si considera l’insieme delle donne che esercitano la prostituzione e, al contempo, il segmento delle donne minorenni, molto spesso non facilmente identificabili. Infatti, non secondariamente, la percezione del fenomeno cambia ancora se si tenta di leggerlo e di percepirlo considerando non solo la variabile concernente dell’età nella sua certezza anagrafica (il che molto spesso è impossibile per la mancanza delle carte di identità e degli altri documenti, come il permesso di soggiorno), ma anche nella sua indeterminatezza in quanto età apparente, cioè ricavabile dall’osservazione esterna. Lo sforzo di stimare quante donne sono – o appaiono – minorenni tra quelle quotidianamente incontrate durante il lavoro di strada è stato l’argomento più 16 dibattuto negli incontri collettivi, così pure la loro suddivisione per nazionalità e soprattutto la loro mobilità geografico-territoriale. Aspetto, quest’ultimo, estremamente importante, giacchè lo spostamento continuo di componenti femminili da un quartiere all’altro o da una città all’altra (o da una regione o da un paese – anche estero – all’altro) può influenzare direttamente la percezione quantitativa del fenomeno degli operatori che intervengono in quel quartiere o in quella città. Di fatto il fenomeno può apparire molto esteso e consistente nella fase in cui quello specifico quartiere/città diventa meta di flussi prostituzionali o, al contrario, può apparire ridotto allorquando lo stesso quartiere/città è soggetto a deflussi in direzione di altri quartieri/città (magari limitrofi) o anche a causa di interventi mirati alle componenti prostituzionali delle forze dell’ordine. Per l’analisi dei servizi, invece – oltre al metodi dell’osservazione e dei sopralluoghi nelle strutture di riferimento –, è stata utilizzata la tecnica degli studi di caso. In pratica si è trattato di ri-costruire l'esperienza delle organizzazioni in questione e comprenderne le caratteristiche di eccellenza che le contraddistinguono, all'interno dei differenti interventi che attivano in contrasto al fenomeno soprattutto della tratta di esseri umani. Ovvero come le esperienze eccellenti - seppur nella loro specificità - possano a loro volta innescare meccanismi di riproducibilità e diventare pertanto referenti privilegiati per il cambiamento istituzionale (e sociale) e per le politiche di protezione sociale e di contrasto attive (attivabili) nel settore. Ovviamente per la riproducibilità non si intende nessun risultato o azione basata sul principio di causa/effetto, cioè di trasferimento meccanico di esperienze da un luogo all'altro, ma soltanto la possibilità di sviluppo e di nuove interazioni che possono attivarsi dall'incontro di esperienze sociali di livello elevato. Per tale ragione, lo studio dei casi trova fondamento epistemologico nel fatto che rende possibile - a partire dalle specificità degli stessi - definire le probabili traiettorie di sviluppo di altri organismi, a condizione che siano presenti alcuni dei medesimi fattori - chiave che caratterizzano l'esperienza - caso o quantomeno si sappia che sono quelli i fattori (e non altri) che possono facilitare il percorso di successo/eccellenza. 1.4 L’articolazione del rapporto Alla presente Introduzione - redatta da F. Carchedi – segue un secondo Capitolo realizzato da F. Carchedi e R. Frisanco che affronta, con una panoramica complessiva, il fenomeno della prostituzione minorile, come appare dalla scarsa letteratura nazionale sull’argomento. Il capitolo rileva, da un lato, come il fenomeno sia ancora da considerarsi all’interno di un cono d’ombra, quasi ancora sconosciuto nelle sue peculiarità derivanti dalla minore età dei diretti interessati, nonostante appai piuttosto visibile socialmente; dall’altro, mette in risalto le cause generali e particolari che stanno alla base della sua formazione e della direzionalità del flusso, in direzione cioè del nostro paese e finanche degli altri paesi europei. Il terzo Capitolo, redatto da F. Carchedi, propone un tentativo, con tutte le cautele del caso, della configurazione quantitativa del fenomeno della prostituzione di strada esercitata da donne adulte e da donne minorenni. Proposta che parte dalle cifre ufficiali per arrivare a cifre stimate con dati ed informazioni acquisite dagli operatori intervistati. Oltre alle stime il Capitolo si sofferma sulla mobilità che caratterizza la pratica di sfruttamento dei minori a causa della pressione che esercitano le forze dell’ordine e della severità della normativa di riferimento, nonché della possibilità che hanno le giovani coinvolte di ricorrere ai benefici normativi e denunciare le persone che le fanno sottostare in condizione para-schiavistica. Mobilità che avviene sulle grandi direttrici che si 17 incrociano da Nord a Sud e da Est ad Ovest e viceversa coinvolgendo aree importanti del territorio nazionale e quelle oltre il confine settentrionale. Anna Maria D’Ottavi nel quarto Capitolo, analizzando i dati e le informazioni acquisite tramite interviste a testimoni-chiave, ripercorre il percorso di sfruttamento dei minori ricostruendo le differenti fasi che lo caratteriscono sin dal momento del viaggio fino al momento di presa in carico dai servizi territoriali, mettendo l’accento anche sulle modalità di aiuto che ormai vengono intraprese da questi ultimi. Nel capitolo vengono altresì messe in evidenza le diverse percezioni che hanno gli operatori del fenomeno e le riflessioni che hanno sullo stesso a partire dalla loro esperienza specifica. Esperienza che varia in ordine della città dove si esprime l’esperienza medesima degli operatori sociali ed in ordine ai diversi convincimenti culturali e professionali di cui sono portatori. Il quinto Capitolo – redatto da Nicola Mai - affronta alcuni aspetti della prostituzione maschile straniera e non, esercitata da giovani e giovanissimi albanesi e rumeni. La prostituzione maschile appare – seppur esercitata da minorenni – appare piuttosto diversa da quella femminile: sia perché le forme di assoggettamento sono sovente diverse, sia perché le modalità di esercizio seguono canoni differenti e sia, soprattutto, perché si registra un continuo gioco dei ruoli tra chi offre servizi sessuali e chi li acquista. Questi ultimi sono perlopiù maschi che cercano esperienze di sesso a pagamento offerto da altri maschi e pertanto si caratterizzano diversamente quando l’offerta proviene da componenti femminili mirata ad una clientela maschile. Il sesto Capitolo, invece, redatto da Cristina Minguzzi affronta l’analisi del fenomeno della prostituzione minorile tenendo presente la composizione nazionale delle donne minorenni direttamente coinvolte. Le cause che contribuiscono a spingere i minori nei circuiti prostituzionali coercitivi sono da rintracciarsi nella condizione di vulnerabilità che caratterizza molto spesso le famiglie da cui essi provengono. La mancanza di presenze adulte con ruoli e funzioni di guida educativa verso i minori produce una condizione di disorientamento profondo che può determinare processi successivi di invischiamento prostituzionale o di altre forme radicali di sfruttamento. Questa situazione si riscontra sia in Albania (nonostante i flussi irregolari si siano affievoliti di molto) che in Romania, dove le condizioni di fragilità relazionali di tipo familiare ed economichesociali sono ancora più forti e radicali (almeno in alcune aree geografiche). Il settimo Capitolo – scritto da Elisabetta Quarta - affronta il fenomeno della prostituzione minorile albanese dal punto di vista degli operatori albanesi intervistati. Da questa prospettiva il fenomeno appare, ovviamente, diverso e tutto sommato meno drammatico di come appare nel nostro paese. Il Capitolo, oltre alla ricostruzione storiografica, pone la dovuta attenzione a non confondere le modalità di ingresso irregolare utilizzate dagli emigranti con quelle, invece, utilizzate dai trafficanti di esseri umani; oppure, quelle utilizzate dai trafficanti di armi e di droga, evitando così facili commistioni e pertanto errate interpretazioni dei diversi fenomeni che portano stesso a confondere i piani di sviluppo degli uni e degli altri.. L’ottavo Capitolo, a cura di Isabella Orfano, prende in considerazione una decina di servizi di protezione sociale e organizzazioni di contrasto al fenomeno prostituzionale. Si tratta di micro-studi di caso – una parte riguardano servizi operanti in Italia, un’altra parte quelli operanti in Albania ed una parte ancora in Romania – che affrontano questioni organizzative e filosofie di intervento nel settore della prostituzione minorile. Ciò che emerge con evidenza è il fatto che le organizzazioni del settore non sembrano proporsi verso il fenomeno in maniera specialistica, ossia mirando l’intervento in maniera specifica verso lo sfruttamento sessuale dei minori. L’approccio delle organizzazioni analizzate, al momento, appaiono più generaliste, nel senso che le stesse sembrano 18 perlopiù impegnate sul traffico degli esseri umani tout court e solo contingentemente su quello minorile. Il nono Capitolo è stato redatto da Simona la Rocca ed affronta le differenti normative che trattano il fenomeno dello sfruttamento minorile, sia dal punto di vista lavorativo che dal punto di vista sessuale. Il Capitolo mette anche in evidenza gli sforzi che molti paesi stanno facendo per “armonizzare” i loro sistemi legislativi e giudiziari delineati dal Protocollo aggiuntivo sul traffico di esseri umani emanato a Palermo nel dicembre 2000. L’adeguamento e l’armonizzazione (tra l’altro non facile) diventa necessario se si vuole contrastare la criminalità organizzata del settore che tende sempre più a caratterizzarsi come una costellazione di organizzazioni che agiscono a livello transnazionale. La risposta che appare la più adeguata è quella, dunque, di adeguare e “socializzare” gli strumenti operativi in modo da facilitare l’attivazione di forme di cooperazione multilaterali sia per prevenire che per contrastare il traffico di donne e minori che si forma o che transita sul territorio nazionale. Il decimo Capitolo, realizzato da Danila Indirli, affronta alcune problematiche inerenti alle procedure giudiziarie e alla costruzione dell’iter processuale nell’ambito dello sfruttamento sessuale dei minori. Questi istituti hanno iniziato a specializzarsi sul versante minorile nell’ultimo quinquennio. Infatti, prima di questo periodo non si faceva particolare attenzione alle modalità procedurali che avevano come protagonisti delle vittime in età minorile. Il Capitolo propone di tenere in considerazione il fatto che il minore quando si trova ad interloquire con il Tribunale ha necessità di essere accudito ed accompagnato dalle persone che nella quotidianità hanno con esso rapporti affettivi. Soltanto se questa condizione viene rispettata è possibile che i minori possano affrontare i suoi sfruttatori o quanti hanno abusato della sua vulnerabilità esistenziale. Per far questo il Tribunale deve aprirsi maggiormente alla società civile, coinvolgendo l’associazionismo di base e tutte quelle organizzazioni di prossimità dei minori, non ultima la scuola. L’undicesimo Capitolo, redatto da Gil Vasile, descrive il quadro normativo attualmente vigente in Romania in relazione al traffico di donne e di minori a scopo di sfruttamento sessuale e lavorativo, nonché quello riguardante l’emigrazione dei connazionali e l’immigrazione straniera nel territorio rumeno. Gli sforzi che sta facendo la Romania per armonizzare il quadro normativo a quello “europeo” e a quello internazionale è piuttosto significativo, anche in considerazione del fatto che la Romania rappresenta, attualmente, uno dei paesi di maggior esodo migratorio e pertanto anche prosituzionale. L’attuale normativa, secondo quanto emerge dal Capitolo, oltre a prevedere le forme di contrasto alla criminalità organizzata prende in dovuta considerazione anche la protezione sociale delle vittime prevedendo accordi e convenzioni con le organizzazioni non governative impegnate nel settore. Agli undici Capitoli che formano il rapporto di ricerca si aggiunge il dodicesimo che propone delle osservazioni conclusive ed alcune proposte di possibili interventi che si potrebbero attuare per contrastare il fenomeno della prostituzione coatta minorile proveniente dai paesi all’esame. 19 3. La tratta di donne adulte e bambine. Uno sguardo d’insieme di Francesco Carchedi e Renato Frisanco 2.1. Il fenomeno del traffico di esseri umani: rilevanza e definizione Il fenomeno del traffico di esseri umani in Italia, in particolare di donne e minori ha assunto, e in misura crescente negli ultimi 10 anni, proporzioni tali da preoccupare governi e istituzioni di controllo e da indurre un ricorso a misure sempre più severe di contrasto contro le organizzazioni criminali che lo gestiscono. Il traffico degli esseri umani e della prostituzione coercitiva appaiono come le nuove frontiere che scaturiscono dai processi di globalizzazione selvaggi tesi ad alimentare settori significativi del mercato mondiale del crimine organizzato. Si tratta ormai di una emergenza sociale che ripropone con forza nel terzo millennio condizioni di grave sfruttamento – configurabili come para-schiavistiche – proprie nel secolo scorso. Sono condizioni che si sviluppano in quanto vanno a soddisfare “bisogni sessuali” – da appare mediante offerta di denaro - di specifici settori della popolazione dei paesi ricchi e benestanti. Si tratta, dunque, di particolari forme di sfruttamento radicali che si innestano sulle altre, più tradizionali, che continuano a perpetuarsi in ambito economico-finanziario e culturale dei paesi terzi e dei paesi in via di sviluppo, in assenza di controlli internazionali e di forme di “global governace”8. La compra-vendita degli esseri umani da sfruttare a fini economici o a fini sessuali è correlabile e fungibile ad un commercio transnazionale e globale che si affianca in maniera significativa a quello delle armi e della droga nelle sue varie configurazioni. Tre sono le grandi aree di attività illecite che stanno emergendo con preponderanza nell’ultimo decennio: il traffico degli esseri umani destinato a particolari segmenti marginali di lavoro nero (quello cioè caratterizzato da rapporti coercitivi, laddove il lavoratore non può recidere unilateralmente il rapporto); lo sfruttamento della propensione all’emigrazione – mediante l’offerta di servizi illegali per il trasbordo delle frontiere che caratterizza particolari segmenti di popolazione residente nei paesi limitrofi (come i Balcani e i Paesi dell’ex Unione Sovietica e finanche di quelli più lontani come le comunità cinesi e pakistane – ed infine, fatto ancora più grave - il traffico di donne e bambini destinato all’esercizio della prostituzione. Sostanziali sono comunque le differenze tra i primi due e il terzo circa la motivazione della partenza (progetto migratorio volontario o emigrazione/immigrazione forzata), le modalità di pagamento del trasporto (in contanti per i lavoratori migranti, a credito per una buona parte delle donne destinate alla prostituzione coatta) e i rischi dei trafficanti (limitato al trasporto con abbandono prima dell’arrivo alle frontiere per gli immigrati per lavoro e l’accompagnamento e il “buon fine” dell’operazione d’ingresso delle donne trafficate e destinate sulla strada). Tuttavia è possibile che una stessa organizzazione criminale riesca a generare sia il traffico di mano d’opera in generale (ossia nella sua forma di contrabbando, offrendo cioè un servizio illecito a persone consapevoli) che di traffico di ragazze/donne a scopo di sfruttamento sessuale (ossia nella forma specifica di sequestro di persona o di reclutamento consenziente con ingresso in Italia mediante raggiro e con conseguente assoggettamento para-schiavistico una volta che si è riusciti ad entrare nel nostro paese). Nel caso dei minori il traffico può essere finalizzato anche al lavoro forzato o all’accattonaggio basati sulla violenza e sull’accaparramento unilaterale dei proventi guadagnati o alla rimozione di organi o, ancora, alle adozioni illegali. Aspetti che seppur presenti non sembrano tuttavia ancora 8 Per alcuni aspetti del dibattito intorno alla possibilità di global governance cfr. J. Habermas, La costellazione postnazionale, Feltrinelli, Milano, 1999, p.100 e segg. 20 eccessivamente estesi, secondo quanto emerso da una indagine specifica sull’argomento promossa dalla Fondazione Internazionale L. Basso (in collaborazione con Parsec)9. Interessano, dai risultati emersa da questa indagine, infatti, alcune centinaia di ragazzi perlopiù in una età compresa tra i 17/18 anni, ossia quell’età che in qualche modo rappresenta lo spartiacque convenzionalmente formalizzato tra la minore e la maggiore età. Si tratta pur tuttavia di un numero di ragazzi rilevante, se si considera che vengono sistematicamente sfruttati ed assoggettati in maniera comparabile alla condizione di schiavitù. Le pratiche di sfruttamento sessuale, che oscillano dalla pedofilia alla produzione pornografica con attori-bambini, dall’avviamento alla prostituzione coatta in strada alla segregazione in “case di appuntamento”, sono anche le più problematiche socialmente. Sono infatti, dense di effetti traumatici per le vittime impossibilitate – proprio a causa dell’assoggettamento – a recidere il rapporto violento o abusivo a causa della loro vulnerabilità fisica e psicologica10. Il fenomeno investe particolarmente il nostro Paese in quanto costituisce – insieme ad altri i paesi europei centro-meridionali e ai Paesi baltici tra i principali punti di approdo e d’ingresso per entrare in Europa. In particolare, per l’ingresso delle immigrate avviate alla prostituzione provenienti dall’Albania e dalla Romania (ma anche dalla Moldavia e dagli altri paesi balcanici). La definizione di tratta11 concerne l’azione violenta esercitata con continuità da parte di più persone12 tra loro organizzate e coordinate nei confronti di altre persone - soprattutto donne o minori - per rimuoverle dal loro paese di origine e trasferirle in un altro. Operazione che è strettamente finalizzata alla costrizione di esercitare la prostituzione in condizione di effettiva privazione di libertà, sotto ricatto o minaccia di ritorsioni, anche indirette13, allo scopo di ricavare da questa attività un vantaggio economico. La definizione si basa necessariamente su elementi quali sfruttamento, coercizione, inganno e vulnerabilità delle vittime nonché trasporto forzoso delle stesse. Esso costituisce un crimine che si distingue dal mero sfruttamento, anche in sede giuridica e giudiziaria14. La tratta ha lo scopo di produrre guadagni illeciti a vantaggio di consorzi criminali e talvolta di singoli adulti che instaurano un rapporto di dominio e di abuso su minori vulnerabili, incapaci di difendersi e di tutelarsi: o perché soli, o perché la famiglia è assente o invischiata, oppure perché entrati in circuiti che conducono – per stadi successivi – a forme di assoggettamento radicali. 2.2. Una conoscenza del fenomeno problematica e ancora parziale 9 Fondazione Internazionale Lelio Basso – Parsec, Lavoro servile e lavoro para-schiavistico, Rapporto di ricerca, Dipartimento per gli Affari sociali, luglio 2000; 10 Non è un caso che la legge n. 269/1998 (“Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”) assimili lo sfruttamento sessuale alla riduzione in schiavitù in ragione della fragilità psichica dei minori quali soggetti in età evolutiva. 11 Il Parlamento Europeo intende per tratta di esseri umani “l’atto illegale di chi, direttamente o indirettamente, favorisce l’entrata o il soggiorno di un cittadino preveniente da un paese terzo ai fini del suo sfruttamento utilizzando l’inganno o qualunque altra forma di costrizione o abusando di una situazione di vulnerabilità o di incertezza amministrativa”. 12 Si ritiene improbabile che tale traffico possa essere sostenuto da una sola persona senza alcuna collaborazione nel paese di origine o di destinazione delle vittime, soprattutto se si considera il fenomeno nella sua continuità e complessità organizzativa. 13 Anche sui familiari come è tipico proprio nel collettivo albanese. 14 L’abuso della condizione di “vulnerabilità e di incertezza amministrativa di un cittadino proveniente da uno stato terzo” per innescare processi di assoggettamento finalizzate allo sfruttamento, è considerato un “atto illegale”, come recita la Risoluzione del Parlamento europeo (18.1.1996). 21 Dal punto di vista della sua conoscenza il fenomeno è in un cono d’ombra, data la mancanza di indagini di respiro nazionale e di osservatori strutturati orientati alla rilevazione sistematica e periodica del suo andamento e sviluppo. Nonostante la marcata visibilità sociale che lo caratterizza è ancora sostanzialmente inesplorato anche perché vi sono oggettive difficoltà a rilevarlo per la sua natura sommersa, mimetica e mobile: coinvolge settori della popolazione straniera che passano frequentemente da una condizione di regolarità a una di irregolarità, in rapporto alle certificazioni di soggiorno. Così come è alta la mobilità geografica che caratterizza una parte considerevole delle ragazze/donne che si prostituiscono. Ciò determina la massima dispersione territoriale dei collettivi interessati e pertanto l’impossibilità di intercettarli, nonché di raccogliere e aggregare statisticamente coorti di dati attendibili in grado di definire l’universo di riferimento. I pochi dati a disposizione provengono da due fonti. La prima serie di dati è quella ricavabile delle statistiche giudiziarie, che sappiamo non rispecchiano il fenomeno nella sua realtà (poche le denunce rispetto alla stima del fenomeno e molte nei confronti di ignoti), né in tempo reale per il lungo e travagliato iter processuale medio15, né per completezza, in quanto non vi sono ancora dati specifici relativi al traffico di donne e minori. Nell’insieme la capacità del sistema giudiziario italiano di perseguire tali reati appare ancora modesta e quindi scarsamente utile a fornire una fedele rappresentatività statistica del fenomeno, anche se sforzi considerevoli vengono fatti dalla Procura centrale antimafia. Un secondo approccio alla conoscenza del fenomeno è quello consentito dai criteri di stima sociologica basati su specifiche tecniche di ricerca nei luoghi di visibilità del fenomeno. Criteri basati sulla raccolta di informazioni da analizzare allo scopo di descrivere qualitativamente il fenomeno (ed anche quantitativamente quando è possibile) mediante interviste focalizzate a osservatori privilegiati dello stesso, in particolare a operatori di strada e a volontari di associazioni di tutela e soccorso, nonchè raccogliendo, quando è possibile, le testimonianze dirette delle vittime. Il rischio in cui si incorre in questo caso è quello di operare delle generalizzazioni dallo studio di singoli o emblematici casi e quindi di leggere il fenomeno della tratta soltanto attraverso il loro punto di vista con un grossolano effetto distorsivo generato dall’attribuzione ad un intero universo (scarsamente conosciuto) dei caratteri del segmento dello stesso maggiormente conosciuto16. Le statistiche al riguardo sono approssimative ma indicative di una industria del sesso coatto che si alimenta con la tratta di esseri umani. La stima del fenomeno a livello mondiale, fornita dall’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), è di circa due milioni di donne trafficate a fini di prostituzione. In Europa l’industria del sesso ne traffica da 200.000 a 500.000 l’anno, destinate ai mercati soprattutto di Italia, Grecia, Belgio e Inghilterra. A tale stima va aggiunta anche quella ancora più problematica da calcolare dei minori non accompagnati, per lo più di genere maschile, anch’essi a elevato rischio di soggezione a logiche di vessazione e abuso. La tratta a fini di prostituzione rappresenta la metà del fenomeno stimato dall’IOM circa il traffico di esseri umani l’altra metà va riferito allo sfruttamento della forza-lavoro - che è pertanto di quattro milioni di migranti irregolari e frutta alle organizzazioni criminali tra i cinque e i sette miliardi di dollari l’anno. 15 Le statistiche sulle condanne per il reato di istigazione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione riferite al 1994 indicano che per quanto riguarda le condanne in primo grado i procedimenti hanno avuto la durata media di 30 mesi, per quelli in appello di 78 mesi, per quelli in cassazione di 75 mesi. 16 “In sostanza non sappiamo ancora quanto l’esperienza delle donne fuoriuscite dalla tratta che esercitavano in strada è generalizzabile a tutte le donne che esercitano la prostituzione in strada (o anche negli appartamenti, eccetera..)” cfr., di F. Carchedi, Le modalità di sfruttamento coatto e la prostituzione mascherata, in AAVV., Il lavoro servile e le forme di sfruttamento para-schiavistiche, Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, Dipartimento per gli Affari Sociali – Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 2001. 22 In Italia le scarne statistiche esistenti, oltre alle cronache ricorrenti, documentano che a partire dal decennio scorso Albania e Romania costituiscono aree privilegiate di insediamento e di transito del traffico di esseri umani, soprattutto minori. Il fenomeno viene alimentato in misura sempre più rilevante a scopo di sfruttamento sessuale e costituisce oggi uno dei commerci più redditizi - ancor più del traffico di droga e delle armi con cui spesso si intreccia e prospera - ed è sostenuto dalla connivenza accertata tra criminalità internazionale e malavita locale. 2.5. Alcune delle principali cause dello sviluppo e i fattori strutturali che contraddistinguono il fenomeno nel nostro paese Ingressi irregolari da lavoro e traffico di donne e bambini a scopo di sfruttamento sessuale Nel nostro paese il contrabbando di esseri umani, per quanto più ridotto e più invisibile - era già noto precedentemente - fin dagli anni ’80 -, allorquando diventa paese di immigrazione, allineandosi così alle esperienze degli altri paesi europei. Da allora gli ingressi di stranieri ed immigrati nel nostro paese sono avvenuti – in misura dell’70-80% circa17 - in maniera irregolare oppure con visti turistici non rinnovati, in quanto erano strumentali all’ingresso migratorio18. La pratica di utilizzare servizi illegali per entrare nel paese-meta di emigrazione è piuttosto diffusa e piuttosto usuale, allorquando le politiche di ingresso dei paesi di destinazione sono fortemente limitative e sottostanno ad indirizzi culturali-politici restrittivisti. Indirizzi che- in altra misura – teorizzano e sostengono fortemente la libera circolazione delle merci e dei capitali monetari e negano, con la stessa forza, quella degli esseri umani anche attraverso canali regolari di emigrazione-immigrazione (a seconda del punto di vista: o del paese di esodo o del paese di insediamento). Al contrabbando finalizzato all’ingresso di immigrati irregolari, dunque, si affianca successivamente quello della tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale. Questo particolare segmento di flusso migratorio nel corso degli anni‘80 riguardava quasi esclusivamente ragazze dei Paesi dell’America del Sud (ad esempio, le dominicane, le venezuelane19 e le colombiane20) e del Sud-Est Asiatico (in particolare filippine21 e thailandesi22). Questi gruppi arrivavano dietro false 17 G. Mottura, Necessari ma non garantiti. I fattori di vulnerabilità socio-economica presenti nella condizione di immigrato, in Fondazione Internazionale l. Basso –Parsec, Lavoro servile e lavoro para-schiavistico, Rapporto di ricerca, Roma, 2001 18 Cfr. anche G. Sciortino, La tratta delle donne da avviare alla prostituzione nel quadro dell’industria dell’ingresso irregolare, in M. Ambrosini (a cura di), Comprate e vendute. Una ricerca su tratta e sfruttamento di donne straniere nel mercato della prostituzione, Franco Angeli, Milano, 2002, p. 45-46; 19 Zoraida R. Rodriguez, Venezuela: Migration and traffiking in women, in Raimond et al. (a cura di), A comparative study of women traffiked in the migration process. Patterns, profiles and health consequences of explotation in five countries (Indonesia, the Philippines, Thailand, venezuela and the United States), Coalition against traffiking in women, North Amherst (Usa), s.d., p. 41. Il traffico di donne tra i diversi paesi dell’America latina sembra coinvolgere prioritariamente donne dominicane, venezuelane e carribe. Il traffico assume due configurazioni: l’una è tutta interna e coinvolge i paesi del centro-america e del sud-america (limitandosi all’area settentrionale) e quindi assume un carattere rotatorio di area; l’altra, invece, assume un carattere più ampio, in quanto investe i paese nord-americani e quelli europei (sia quelli del Nord – in particolare Germania ed Inghilterra - che quelli Mediterranei – in particolare Spagna, Italia e Francia meridionale). 20 F. Carchedi et al. (a cura di), I colori della notte, Franco Angeli, Milano, p.118 21 Aida F. Santos, Blazing tails, confronting changelles: the sexual exploitation of women and girls in the Philippines, in Coalitions against traffiking in women (a cura di), Making the harm visible: global sexual explotation of women and girls. Speaking out and providing services, Kingston – Rhode Island, 1999, p. 153. L’immagine stereotipata delle donne filippine – afferma Santos – fa si che la domanda da parte maschile aumenti: …“la donna filippina è “vergine”, “leale”, “obbediente”, “orientata alla famiglia”, “graziosa” e “ dolce e simpatica“ … “remissiva”, …. adatta (quindi) al 23 promesse – perlopiù matrimoniali (promosse da Agenzie a volte compiacenti) e lavorative – oppure con la consapevolezza di svolgere attività lavorative che mascheravano forme più o meno evidenti di prostituzione. In questi ultimi casi, però, ciò che non sapevano erano le modalità con le quali avrebbero svolto tali attività. La crescita significativa di questo fenomeno si è avuta negli anni ’90 - come documentano anche le statistiche penali23 - e si spiega per la concomitanza di due fenomeni diversi e al tempo stesso convergenti: a. la sostenuta pressione migratoria sui paesi europei, di cui l’Italia – come accennato - è una delle porte di ingresso principale nel Sud-europa (insieme alla Grecia per quanto riguarda la frontiera marittima, all’Austria e alla Germania ad Ovest per la frontiera terrestre e alla Svezia a Nord per la frontiera baltica), che trova sfogo nella domanda - sia pur timidamente regolamentata - di forza-lavoro straniera richiesta dai sistemi produttivi nazionali. L’Italia è diventata paese di immigrazione nel corso degli anni Settanta, anche a seguito delle politiche più restrittive varate dai paesi di vecchia immigrazione del Nord Europa nel biennio 1972-’73. Il nostro Paese nel corso degli ultimi due decenni è altresì necessitato ad incrementare le proprie risorse umane a causa della curva demografica decrescente tanto che da circa un decennio la componente immigrata garantisce il pur magro saldo attivo del nostro bilancio demografico. La stessa regolamentazione dei flussi in ingresso non è sufficiente a rappresentare il rapporto domanda-offerta e quindi a contenere la pressione migratoria sul nostro Paese che è periodicamente costretto a usare la leva della sanatoria o a riconoscere quel surplus di presenze che si accumula nei settori cruciali della domanda nazionale (badanti e cura delle persone e colf). In valori numerici gli immigrati registrati come legalmente soggiornanti in Italia erano 648.935 nel 1991 e 1.362.930 nel 2001, pari ad una crescita del 110%24. Albanesi e rumeni costituiscono dopo i marocchini le popolazioni di immigrati più consistenti (rispettivamente 144.000 e 75.000 unità). Di questi circa il 90% del totale sono entrati irregolarmente, al punto che il modello di ingresso e di permanenza caratteristico del nostro paese è stato da sempre quello caratterizzato dalla dialettica tra l’irregolarità dell’ingresso e la successiva regolarizzazione25. b. la caduta del muro di Berlino e lo sfaldarsi dei regimi a socialismo reale dei Balcani e dell’Est Europa con conseguente maggior libertà di movimento della popolazione e la ricerca di matrimonio, … al lavoro domestico … ad attività di intrattenimento e svago”. .. Con queste caratteristiche stereotipate è facile essere soggette a “violenza di tutti i tipi, da quelli fisici a quelli psicologici da quelli sociali a quelli economici”. La prostituzione – secondo la Santos - è soltanto una delle forme di sfruttamento della donna filippina. 22 Jean D’Cunha, Thailand traffiking and prostitution from a gender and human rights perspective the Thai experience, in A comparative study of women traffiked in the migration process, cit., p. 135. La prostituzione thailandese e il traffico di donne a scopo prostituzionale interessa gran parte dei paesi asiatici e finanche dell’Australia (con circa 50.000 donne, di cui una parte minori). Una piccola parte di queste donne (sia trafficate che non) esercitano in alcuni paesi europei, soprattutto Germania, Olanda e Svezia (considerati tradizionali paesi di destinazione delle donne thailandesi coinvolte nella prostituzione e nel traffico a scopo prostituzionale). Di questi gruppi, dalla ricostruzione fatte mediante interviste, una piccola parte arrivò in Italia alla fine degli anni Ottanta e fu collocata in particolare nei nigth club di alcune grandi città (Milano, Torino, Verona e Roma) e in alcuni centri di benessere (massaggi, saune, eccetera); 23 Le persone denunciate per istigazione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, per le quali l’Autorità giudiziaria ha iniziato l’azione penale, sono pressoché triplicate nel quinquennio 1990-1994 (+295,7%). Erano 327 nel 1990 e sono salite a 967 nel 1994. 24 A fine 2001 il numero complessivo degli immigrati sfiora le 1.600.000 unità con una incidenza sulla popolazione residente del 2,8% (1 presenza ogni 38 residenti). I minori sono invece raddoppiati in appena quattro anni, passando sa 126 mila alla fine del 1996 a 278 mila alla fine del 2000. 25 G. Mottura, Necessari ma non garantiti. I fattori di vulnerabilità socio-economica presenti nella condizione di immigrato, in F. Carchedi, G. Mottura e E. Pugliese, Lavoro servile e nuove servitù, Franco Angeli, in corso di pubblicazione, Milano, 2003; 24 migliori condizioni di vita tramite un progetto migratorio che, per alcuni gruppi, sembra valere il principio “costi quel che costi” (come reazione all’ideologia della “fortezza Europa”). Con l’inizio degli anni ’90 si determina così – all’interno di flussi migratori “tradizionali” (correlabili, cioè alla ricerca di occupazione e di migliori condizioni di vita) un ingresso cospicuo di donne destinate alla prostituzione (perché costrette dai loro aguzzini) e di minori non accompagnati provenienti dai paesi dell’Est. Alcuni di questi gruppi vengono intercettati da bande delinquenziali che li spingono nei circuiti emarginanti e finanche devianti. Si tratta di flussi derivanti dagli effetti espulsivi concernenti i processi profondi di trasformazione socio-economica e politica che ha interessato tutta l’area geografica della costellazione dell’ex Unione sovietica. La transizione post comunista di queste società, si caratterizza – e continua a caratterizzarsi – anche con la formazione di componenti di prostitute migranti e componenti che esercitano coattivamente la prostituzione. Queste ultime appaiono come delle “ordinarie” forme prostituzionali, ma che in realtà rappresentano fenomeni molti più gravi in quanto violano sistematicamente i diritti elementari di quante vengono coinvolte. La tratta di esseri umani, soprattutto di donne e bambini a scopo di grave sfruttamento, è un fenomeno che per la sua gravità e configurazione strutturale è rapportabile a nuove forme di schiavitù. L’Albania e la Romania nel commercio degli esseri umani destinati a forme di sfruttamento presentavano ruoli diversi all’inizio del decennio scorso. L’Albania oltre che paese di forte immigrazione, soprattutto clandestina, e di rifugiati (in particolare all’inizio degli anni Novanta), è stato uno dei maggiori paesi di formazione del traffico di donne e minori a scopo di sfruttamento, soprattutto di carattere sessuale26 e di transito verso il nostro paese. La Romania, invece, paese dell’entroterra balcanico, si è caratterizzato da sempre come area di formazione di flussi di migranti verso l’Italia e il resto d’Europa e soltanto sul finire degli anni Novanta ha iniziato a svilupparsi il fenomeno dei giovani migranti non accompagnati e delle giovani (e meno giovani) donne destinate alla prostituzione coatta. Attualmente, oltre a paese di formazione e reclutamento delle donne da destinare al mercato del sesso, è diventato anche paese di transito per quante provengono da altre nazioni dell’Est Europeo (in particolare dalla Moldavia e dall’Ucraina)27. Donne e minori che vengono successivamente trasferiti – utilizzando differenti rotte - sui mercati europei della prostituzione. Una delle direttrici principali è quella albanese e , soprattutto, negli ultimi due/tre anni anche quella bosniaca. La Bosnia, dal canto suo, sta attraversando una forte trasformazione, giacchè da paese di transito delle donne e dei minori destinati all’Italia e all’Europa sta diventando paese di prostituzione coatta di carattere stanziale (nonostante le truppe Nato si siano quantitativamente ridimensionate). Il fenomeno della tratta di donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale si sviluppa in concomitanza di congruenti fattori di pinta (dal paese di esodo) e di reclutamento ingannevole e forzoso e fattori di attrazione inerenti al paesi di arrivo e di insediamento. Da una parte vi sono le situazioni di povertà materiale endemica, di disoccupazione, di mancanza di accesso ai beni primari, di realizzazione delle proprie aspettative, di perdita di speranza rispetto all’uscita da questi problemi; dall’altra, vi è l’attrazione esercitata dal mondo occidentale economicamente più avanzato e teoricamente più “vicino” (facilità di comunicazioni ed esposizione mediatica). In mezzo sono cresciute e si sono sviluppate reti criminali sempre più evolute che si sono specializzate nell’immigrazione illegale, trasformando sia il contrabbando di esseri umani che la tratta a scopo di 26 Secondo la ricerca Child trafficking in Albania, presentata dall’organizzazione Save the Children nel 2001, le albanesi costrette a prostituirsi in paesi stranieri sarebbero almeno 30 mila, molte minorenni. E l’Italia avrebbe il triste primato del maggior numero di prostitute albanesi, circa 15.000. 27 Rodica Stanoiu, Le organizzazioni criminali e lo sfruttamento dei minori in Romania, in M. Cavallo (a cura di), Lavoratori eccellenti. Piccoli schiavi in una economia perversa, Franco Angeli, Milano, p. 197 e segg. 25 grave sfruttamento (in particolare quello sessuale) in uno degli affari più redditizi per un duplice fine: a. b. di alimentare forme di lavoro para-schiavistiche la cui rilevanza è connessa in ogni paese anche alle restrizioni poste al movimento delle persone, al bisogno di manodopera a basso costo e alle forme di sfruttamento (anche di tipo razzista) che si manifestano nei confronti di persone giuridicamente deboli e disinformate, negandogli così la possibilità di praticare adeguatamente i loro diritti; dello sfruttamento sessuale con l’imporsi di una nuova industria del sesso che recluta donne disposte ad esercitare la prostituzione e donne che invece diventano vittime dello sfruttamento sessuale con l’inganno o con la forza (fino a configurare – in certi casi - una vera e propria deportazione coatta all’estero) per poi ridurle a oggetti di consumo e di piacere sessuale. I fattori strutturali di sviluppo della prostituzione e della prostituzione da tratta Per queste ragioni il traffico di esseri umani è diventato un grosso affare poiché coinvolge gruppi criminali di molti paesi sia quelli direttamente coinvolti e sia quelli coinvolti in maniera diversa – più o meno centrale - ma non per questo meno interessati ai guadagni. Le posizioni che questi ultimi assumono nella catena di sfruttamento, le loro caratteristiche di base e le modalità attraverso le quali producono affari con la banda di sfruttatori più diretta sono alla base di processi di mimetizzazione e di nascondimento complessi. Nel senso che questi collaboratori – a prescindere se sono consapevoli o non consapevoli dell’apporto che danno alle bande criminali che gestiscono il traffico di donne e bambini - determinano quell’area di contiguità che contribuisce a creare una cintura di protezione all’operato delle forze dell’ordine. Si tratta, spesso, di persone o imprese che operano ad un doppio livello: il primo quasi sempre è legale (il personale è in regola, i permessi e le licenze commerciali in ordine, eccetera), mentre il secondo, invece, è illegale e disonesto. Quest’ultimo è quello che dialoga e interloquisce con i gruppi criminali manifesti, con logiche amorali e disoneste. Questa doppia immagine nel mondo dello sfruttamento della prostituzione – di donne adulte o di minori – è sempre presente, quasi ne rappresenta una sua configurazione strutturale. E’ l’aspetto che più degli altri conferisce a questo tipo di affari quella patina superficiale di presentabilità e di legittimazione che le permette di perpetuarsi. Potremmo dire che questa doppia configurazione è alla base del sistema strutturale dello sfruttamento sessuale e alla base dei fattori che lo determinano e ne permettono lo sviluppo. Secondo Raymond28 questi fattori (da noi re-interpretati) sono i seguenti: a. b. 28 le politiche economiche basate sul principio degli “aggiustamenti strutturali” attivate in molti paesi in via di sviluppo hanno causato, tra le altre cose, un processo allargato di privatizzazioni dei pubblici servizi e, dall’altro, conseguentemente, fatto lievitare la richiesta di aiuto personalizzato (nel settore sanitario, sociale ed educativo) alle famiglie. Richiesta che – dopo esser cresciuta in molti paesi del mondo – ha trovato sbocco soprattutto in quelli avanzati per la loro relativa disponibilità economica ad assorbirla , causando di fatto lo spostamento di significative componenti di donne dai paesi terzi (all’interno del quale ha trovato spazio anche il traffico di donne finalizzato a forme di grave sfruttamento); la diffusione a livello globale dell’industria del sesso e sua trasformazione in una industria senza confini. La prostituzione non è più l’effetto perverso dell’industrializzazione ma è essa stessa una industria, una forza economica autonoma ed indipendente, in grado di autogenerarsi, di fare investimenti ed attivare politiche di espansione in altri mercati a livello Janice G. Raymond, Introduction, in J.G.Raymond et al. (a cura di), a Comparative … cit. p. 2-3; 26 c. d. e. f. transnazionale. I fattori della produzione operano nel campo del reclutamento (andando nei villaggi e nelle periferie delle grandi metropoli), del trasporto (acquistando illegalmente servizi legali mediante collusione di interessi particolari imprese o corrompendo singole persone mediante denaro) e dello sfruttamento nel paese di insediamento. Al riguardo la pubblicità non è secondaria: via Internet, via carta stampata, via telecomunicazioni cellulari; la domanda di sesso da parte delle componenti maschili della popolazione, cioè quella dei così detti potenziali clienti, che rappresenta un network di promozione invisibile ed esteso a livello transnazionale. Domanda che si configura nelle aspettative e nei supposti bisogni sessuali maschili (insopprimibili e quindi non gestibili), affonda le radici nei miti della sessualità mascolina (trascurando oculatamente le sue miserie) e nella ambigua supremazia di questa (e pertanto tollerabile) su quella femminile (conseguentemente subordinata). Insomma, sulla cultura maschilista e sessista di comodo che concepisce la soddisfazione delle sue esigenze sessuali a pagamento – non importa con chi - come un diritto fondamentale; l’offerta sessuale femminile basata spesso sulla ineguaglianza delle condizioni socioeconomiche rispetto all’uomo, soprattutto nei paesi in via di sviluppo e finanche in quelli dell’Est europa. La condizione di subordinazione della donna, nei differenti contesti regionali, la rende maggiormente vulnerabile rispetto ad altri membri della famiglia soprattutto di genere maschile e la espone a forme di compra-vendita dove è incluso lo sfruttamento sessuale. Aspetto che apre un discorso molto importante, in quanto implica – almeno in via ipotetica – la distinzione tra prostituzione volontaria ed involontaria di non facile demarcazione; i miti razziali e gli stereotipi che accompagnano le donne delle diverse regioni e paesi. L’industria del sesso si basa anche sui miti della sessualità femminile e sulla cultura sessuale delle donne sulla base delle aree di origine, dei particolari contesti territoriali, eccetera. Insomma, un valore aggiunto sembrano essere le pratiche sessuali di determinate regioni finalizzate a stimolare l’immaginario maschile e ad alimentare la richiesta di donne provenienti dalle diverse e variegate regioni. Passa l’idea che alcuni gruppi di donne sono dedite alla prostituzione per cultura, quasi che fosse la loro predisposizione naturale ed intrinseca (secondo il principio “Sono fatte per questo, sono fatte per offrire servizi sessuali”). Questo aspetto così ”naturalizzato” gioca un ruolo ed una funzione tranquillizzante anche per alcune componenti maschili, in quanto tendono a non sentire sensi di colpa o preoccupazioni varie nel consumare rapporti sessuali con donne predisposte culturalmente al riguardo (facendo confusione tra “cultura” – spesso imposta dalle componenti maschili - e “natura”); la presenza militare degli eserciti nazionali e degli eserciti di altri paesi di stanza in particolari contesti territoriali in base a trattati tra Stati, o a causa di guerre civili latenti o manifeste o per l’ostilità esistente tra Stati diversi e per l’intreccio di alleanze statali multiple e complesse. Presenze che promuovono una domanda di sesso a pagamento molto sostenuta e che incontra una offerta altrettanto sostenuta (sulla base di quanto detto sopra), in quanto tesa a soddisfare la ricreazione e il tempo libero dei soldati. Da tali rapporti nascono, quasi inevitabilmente, flussi migratori tra i paesi originari dei soldati e donne coinvolte nella prostituzione e finanche nel traffico, compresi quelle in età minorile. Tutti questi fattori – come accennato – hanno al contempo una funzione apparentemente positiva (o comunque appartenente a scelte politiche di paesi sovrani) ma che ad una analisi più accurata emergono effetti negativi che concorrono ad alimentare forme irregolari di emigrazione, di ingressi irregolari di stranieri e di immigrati in altri paesi, di flussi prostituzionali e di flussi di donne e minori trafficati. 27 3.4. La tratta delle minorenni a scopo di sfruttamento sessuale: fasi e meccanismi di base del fenomeno La minore età delle prostitute è considerata come un valore aggiunto particolarmente appetibile sul mercato sessuale. La richiesta è quella di ragazze sempre più giovani e di bella presenza in modo da garantire maggiori fonti di reddito per i loro sfruttatori. Per garantire questa tipologia di ragazze le bande di reclutatori e di venditori specializzati sui diversi mercati balcanici (ed anche africani, nonché asiatici, pur se in misura minore soprattutto per il traffico in direzione dell’Italia) setacciano campagne, villaggi e contrade a ridosso dei grandi centri abitati al fine di intercettare donne con caratteristiche correlabili alla vulnerabilità sociale ed economica, nonché culturale ed esistenziale, da coinvolgere ed instradare alla prostituzione. Queste pratiche interessano gruppi nazionali diversi che vengono in maniera differente collocati sul mercato della prostituzione anche a seconda delle loro potenzialità di profitto: alcuni gruppi femminili in strada, altri negli appartamenti ed altri ancora nei locali di intrattenimento. Questa diversa collocazione varia anche in base alla possibilità o meno che hanno le donne coinvolte a negoziare la loro forma di sfruttamento a cui devono sottostare e alle caratteristiche dell’organizzazione che gestisce l’esercizio prostituzionale29, nonché al tipo di canali di sbocco che l’organizzazione sceglie per attuare gli sposamenti delle vittime. L’arrivo in Italia – perlopiù in maniera irregolare - delle ragazze albanesi è collocabile nei primi anni Novanta. Risultano spesso provenienti dalle principali città e accompagnate da parenti maschi o sedicenti fidanzati o, comunque, sollecitate sulla base di un’azione di convincimento e raggiro iniziale perpetrato spesso da amici senza scrupoli. Sovenete il reclutamento è stato effettuato anche attraverso veri e propri rapimenti di persona, in un paese dove il travaglio dell’ultimo decennio ha riversato sulla donna una carica di aggressività e violenza inedita nella recente storia dell’Albania30. A partire dalla metà degli anni ’90, in particolare tra il 1996 e il 1998, si assiste all’arrivo in Italia di donne provenienti da altri paesi dell’Est europeo tra cui anche dalla Romania e per rotte diverse. Ciò a seguito dell’intervento massiccio delle forze dell’Ordine sulla collettività albanese in generale (attraverso processi di stigmatizzazione) e sulle componenti delinquenziali in particolare, allo scopo di bloccarne i flussi da un lato e di facilitare le espulsioni dall’altro. Fatto che ha spinto una parte delle organizzazioni albanesi a procacciare donne da immettere nel mercato della prostituzione nei paesi limitrofi (come il Kossovo, la Romania e la Moldavia), e diversificarsi all’interno delle attività illecite e mantenendo, tra esse, canali di comune e reciproco rafforzamento ed alimentazione. Le caratteristiche del traffico rilevate attraverso testimonianze autorevoli di operatori impegnati sul campo attesta una sostanziale stabilità del fenomeno della tratta in ordine al dato quantitativo: sia in relazione alla bidirezionalità del flusso, verso l’Italia e dall’Italia verso altri Paesi europei - con modalità di ingresso che sono quelle più comuni31 -; sia per la tendenziale saturazione del mercato della prostituzione che ha propri meccanismi regolativi al fine di garantire nel tempo proventi stabili 29 F. Carchedi, La prostituzione straniera e la prostituzione derivante dal traffico di donne. Un quadro complessivo, in Fondazione internazionale Lelio Basso – Parsec, Traffico di esseri umani, criminalità organizzata e forme contemporanee di schiavitù, Rapporto di ricerca, Ministero degli esteri, Roma, luglio, 2002; 30 Non a caso secondo l’associazione femminile albanese Refleksione che ha condotto una ricerca il 63% delle donne subisce maltrattamenti dal coniuge o dal fidanzato. Inoltre la caduta del regime di Enver Hoxha nel 1990 con la drammatica crisi economica che ne è seguita “ha fatto ripiombare la donna in una condizione di subordinazione totale. E’ stata lei a perdere per prima il lavoro e a smettere di studiare e sono riemerse tradizioni patriarcali prima sopite”, cfr. di S. Pochettino, Parola D’ordine: prevenire, in ‘Volontari per lo Sviluppo’, anno XX, giugno-luglio 2002, p. 10. 31 Ciò avviene o in maniera irregolare attraversando in vario modo la frontiera o in maniera regolare con visti turistici o altra documentazione artefatta. 28 e lucrosi. Ciò richiede un inevitabile processo di distribuzione delle donne destinate alla prostituzione con il concorso di tante macro e micro organizzazioni che leggono la domanda e smistano l’offerta di prestazioni sul territorio nazionale. Rispetto alle minorenni la pratica del loro assoggettamento e sfruttamento è divenuta più rischiosa data la maggiore allerta sul fenomeno e la recente severità delle normative di contrasto e intensificata azione di vigilanza delle forze dell’ordine alla gestione criminale del fenomeno. Sul versante della conoscenza statistica del fenomeno – seppur limitata e controversa - si coglie con tutta evidenza il progressivo invischiamento nel fenomeno della tratta, sia come vittime che come “carnefici”, dei gruppi nazionali albanesi e rumeni. Negli anni Novanta si assiste ad un cambio di mano tra i cittadini africani ed ex-jugoslavi denunciati per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione e quelli albanesi e rumeni. Soprattutto gli albanesi, a partire dalla metà degli anni ’90, acquistano una posizione di spicco nella graduatoria dei soggetti sanzionati per questi tipi di reato (8.700 registrati complessivamente nel decennio passato, di cui quelli imputati agli albanesi rappresentano il 61,3%) e si caratterizzano diversamente dai nigeriani - altro tradizionale gruppo etnico particolarmente coinvolto - per l’efferatezza del trattamento nei confronti delle donne assoggettate che produce reazioni altrettanto drastiche da parte delle denuncianti. Anche i dati disponibili sui gruppi nazionali maggiormente interessati dalle proposte di aiuto e di protezione sociale (ex-art. 18 del T.U., n. 286/98) segnalano una corrispondente maggiore propensione delle minori albanesi, e in seconda istanza dalle rumene, a farsi prendere in carico da servizi che promuovono la loro fuoriuscita dalla prostituzione coatta. Nell’ultimo anno di riferimento (marzo 2000-febbraio 2001) sono stati 134 i casi di minori coinvolti nei programmi di protezione sociale. Va altresì rilevato che le minorenni albanesi e rumene (insieme a quelle moldave accomunate dalla medesima direttrice di transito) sembrano maturare prima delle ragazze di altri gruppi nazionali la necessità di avviare il processo di sganciamento dal giro prostituzionale coatto e proprio per la particolare violenza e pesantezza in cui esercitano la prostituzione. Sono generalmente anche le minorenni più propense a denunciare gli sfruttatori, ma al tempo stesso meno disposte ad utilizzare le risorse istituzionali per uscire dalla loro condizione. Anche dal punto di vista qualitativo si notano segni di cambiamento del fenomeno determinato proprio per l’inserimento nel mercato prostituzionale di minorenni. Il rischio imprenditoriale più elevato di chi tratta le prostitute più giovani ha infatti prodotto tre importanti cambiamenti: a. la riduzione del numero di minorenni che esercitano sulla strada - dove il fenomeno è più visibile e contrastato dalle Forze dell’ordine ed esposto agli interventi dei servizi di protezione sociale per l’aggancio “liberatorio” delle ragazze - e il passaggio dell’esercizio della prostituzione in appartamenti e in locali notturni, luoghi di intrattenimento e svago e siti web; b. l’elevata mobilità territoriale delle minorenni - molto più di quella delle donne adulte - e quindi il passaggio da un prostituzione tendenzialmente stanziale ad una itinerante o mobile, ovvero caratterizzata da elevata mobilità geografico-territoriale; quest’ultima, per altro, è correlata allo status delle donne che praticano la prostituzione: più è irregolare la loro posizione di immigrate, più è asimmetrico il loro rapporto con gli sfruttatori, più è vulnerabile la loro condizione per la violenza dell’assoggettamento che subiscono e maggiore risulta la loro mobilità; la necessità per le bande dei trafficanti-sfruttatori di operare in termini di imprenditorialità manageriale anche nella gestione della attività prostituzionale delle minorenni per organizzare la mobilità e la continuità del profitto. Essi sono in grado di organizzare forme di supporto c. 29 logistico centrate sulla violenza e sulla soggezione psico-fisica attuata dai cosiddetti “protettori”, i quali rappresentano spesso segmenti o gruppi legati direttamente o indirettamente alle diverse forme di criminalità organizzata presenti sul territorio. La mobilità si sviluppa, dunque, verso e da quelle aree interne delle grandi città dove per le bande coinvolte è possibile effettuare efficacemente il controllo sulle donne e sulle minorenni. Questi aspetti sono alla base dei cambiamenti che avvengono per adeguare le pratiche di sfruttamento al clima politico-sociale che il nostro paese impresso con il cambiamento del quadro normativo, soprattutto riconoscendo la vittima del traffico a scopo prostituzionale ed azionando interventi repressivi verso le organizzazioni criminali e di protezione verso le vittime del traffico32. 2.5. Il ciclo prostituzionale e la spirale dello sfruttamento Il ciclo prostituzionale coatto – ossia il percorso che forma normalmente la catena di assoggettamento e sfruttamento – è suddivisibile in quattro fasi principali. Prima fase La prima fase è quella del reclutamento delle donne – adulte o minorenni – finalizzato allo sfruttamento. In questa fase si individuano le potenziali vittime, si coinvolgono o meno le famiglie a seconda dei casi. E’ la fase caratterizzata dall’insieme di attività che mette in campo l’organizzazione criminale nei paesi di origine delle persone destinate al traffico e le relazioni di collegamento che si attivano con le bande che subentreranno nei diversi paesi per portare le vittime al paese di destinazione. I reclutatori studiano ed analizzano le potenziali vittime cercando di individuare quelle che hanno una certa propensione all’emigrazione. Tutto sembra aver inizio dalla strumentalizzazione delle aspettative da parte delle componenti più giovani delle comunità di origine ad attivare un progetto migratorio. Progetto che condivide con tutta la famiglia di appartenenza che a sua volta ne intravede un ritorno economico utile. In condizioni di precarietà economica e di sottoccupazione dei membri in età attiva qualsiasi opportunità di uscita dal proprio paese di origine viene perseguita anche correndo dei rischi. Per chi “decide” di emigrare è evidente la responsabilità che si carica, proprio perché intende corrispondere alle aspettative di tutta la famiglia. Egli diviene, infatti, una sorta di “emissario salvatore”, pur assumendosene totalmente il carico psicologico ed emotivo e sapendo di andare incontro ad un commiato che può essere anche definitivo e di lunga durata. Su questa proiezione esistenziale e su questo substrato di speranza fa quindi leva la malavita internazionale, tramite quella locale, che si è organizzata sfruttando le risorse di quanti partendo intendono cambiare il proprio e l’altrui destino. Soprattutto delle famiglie con più problemi e meno scrupoli e delle persone, donne e minori, più vulnerabili per tendenze personali e più labili da punto di vista psicologico33. Tali organizzazioni - mediante i propri reclutatori - riescono dunque a selezionare le persone “giuste” su cui stimolare l’incentivazione delle prospettive di una 32 Al riguardo cfr. M. Virgilio, Prostituzione e traffico di esseri umani tra legge i diritto giurisdizionale, e M.G. Giammarinaro, L’innovazione, le prospettive ed i limiti dell’art. 18 del D.lg. n. 286/98, in On the road (a cura di), Prostituzione e tratta. Manuale di intervento sociale, Franco Angeli, Milano, rispettivamente, pp. 38 e segg., e pp.60 e segg. 33 Non sempre e non per tutte le persone espatriate con tale raggiro si può parlare di progetto migratorio perché una componente del fenomeno è sicuramente transitata in altro paese contro ogni volontà di farlo trovandosi in un percorso di sfruttamento che non può essere assimilabile al fatto migratorio. 30 emigrazione e l’avverarsi di un sogno riuscendo ad organizzare le risposte di espatrio in maniera convincente e rispondente alle aspettative medesime, sebbene con modalità illeciti e discutibili. I reclutatori possono essere membri della stessa famiglia o persone di prossimità (estranei alla famiglia) della vittima predestinata o persone che fanno di tale attività la loro professione ordinaria (avvalendosi della collaborazione occasionale di altre persone che possono anche non sapere quello che stanno facendo non avendo il quadro complessivo dell’operazione; nel senso che intervengono soltanto in determinate fasi del processo di reclutamento). Il ruolo degli adulti appartenenti al nucleo familiare (o il ruolo dell’intero nucleo familiare stesso) può essere variamente connotato, e cioè: - - - in primo luogo quanto la famiglia partecipa attivamente e direttamente alla messa sul mercato della prole, per assicurarsi introiti necessari al bilancio familiare. Al riguardo le situazioni possono essere di duplice natura: la prole – anche minorenne - è inserita in pratiche prostituzionali già esercitate da altri membri della famiglia (e pertanto siamo in presenza di una forma di inclusione dei membri familiari più giovani nelle pratiche correnti di acquisizione dei redditi promossa dal nucleo familiare); oppure la prole viene indotta a prostituirsi per necessità familiari in assenza di altri membri della famiglia coinvolti nella prostituzione; in secondo luogo quando la famiglia stessa è costretta a spingere i suoi componenti minori ad entrare nel giro prostituzionale a causa delle condizione di asservimento nella quale soggiacciono rispetto ad altri adulti estranei alla famiglia medesima (ad esempio, per liberarsi di un debito contratto o per non subire minacce o ritorsioni di diversa natura). In questo caso è la minaccia esterna al nucleo familiare che gioca un ruolo di spinta verso l’invischiamento prostituzionale dei minori, come estrema ratio a pressioni di particolare aggressività e violenza che incombono sull’intera famiglia; in terzo luogo quando – sempre per far fronte a gravi condizioni economiche dell’intero nucleo familiare – i genitori (o i membri anziani della famiglia) spingono e persuadono i minori a prestare servizi (mediante un patto di affidamento) ad estranei senza una chiara consapevolezza di quanto gli potrà accadere. Al riguardo certe volte diventa decisivo il ruolo e la funzione di altri membri della famiglia allargata, in quanto loro stessi si candidano all’affidamento dei minori nella prospettiva di attivare commerci mirati a conseguire facili guadagni. In entrambi i casi – cioè con l’affidamento ad estranei o con l’affidamento a membri della famiglia – si possono attivare percorsi di assoggettamento servile dei minori e spingerli progressivamente nella condizione di grave sfruttamento. Le situazioni di contesto che vengono così a determinarsi scaturiscono allorquando la famiglia versa in gravi condizioni economico-culturali e socio-esistenziali 34e, in considerazione di queste condizioni, la famiglia stessa tende ad indebitarsi nella prospettiva di restituire quanto dovuto. Il ricorso alla prostituzione dei minori della famiglia viene vissuto e praticato – sia dai diretti interessati e sia dal resto del nucleo familiare - come una forma di auto-difesa collettiva della famiglia dalle minacce esterne. Condizione che giustifica ed aiuta a sopportare la pratica prostituzionale assoggettante sia negli uni (i minori coinvolti) che negli altri (gli adulti della famiglia). L’idea dell’aiuto alla famiglia sta alla base molto spesso anche dell’azione persuasiva dei 34 Non è raro il fatto che all’interno della famiglia ci siano membri in condizioni di tossicodipendenza, alcolismo o disoccupazione di lunga durata che contribuiscono ad alzare il grado di vulnerabilità complessiva della famiglia medesima e spingere alcuni di essi – i più deboli – ad intraprendere percorsi rischiosi che possono condurre a forme di grave sfruttamento. Aspetti evidenziati da A. Wolthuis e M. Blaak (a cura di), Traffiking in children for sexual purpose from eastern europe to western europe, Rapporto Ecpat Europe Law enforcement group, Amsterdam, 2001, p. 12 e segg.; 31 reclutatori extrafamiliari, nel senso che tendono a giustificare ideologicamente le loro offerte alla famiglia della vittima in quanto, tutto sommato, sono finalizzate ad accrescere l’economia familiare e a sviluppare il benessere collettivo della stessa35. In sostanza, tale fase si conclude con un accordo o contratto apparentemente vantaggioso per la vittima e la sua famiglia che “giustifica” lo sfruttamento della prima. Tale accordo può prevedere anche una concessione di credito da parte dei reclutatori/sfruttatori alla famiglia, come espressione di serietà e vantaggio reciproco del patto di cessione del minore. Il reclutatore può apparire anche come un benefattore della famiglia e pertanto può suscitare rispetto e benevolenza. La famiglia, molto spesso, ignora (almeno per quelle che non hanno al loro interno esperienze prostituzionali o di lavoro coatto) che il patto così stabilito costituisce la base di partenza per l’attivazione dei meccanismi di ricatto violento e di richiesta di pratiche di sfruttamento radicale finalizzate alla sua restituzione. Di conseguenza l’indebitamento diventa il primo e il più importante mezzo di subordinazione della ragazza (e al contempo della famiglia) destinata all’espatrio in maniera irregolare e al di fuori dei circuiti in qualche modo controllabili socialmente. Fattore che spiega anche il motivo della pressione che la famiglia medesima esercita verso la ragazza al fine di non fargli interrompere il lavoro che essa stessa sta svolgendo in emigrazione, a prescindere dal tipo effettivo di lavoro esercitato. La famiglia viene a trovarsi, così, in una posizione di forte ambiguità e opportunismo, in quanto rimuove il fatto che la ragazza possa fare la prostituta ed essere coattivamente costretta a farlo. Seconda fase La seconda fase è quella del viaggio e del risveglio dal “sogno” dell’evento migratorio (quando c’è consenso dei diretti interessati) o l’evento di trasferimento coatto (quando non c’è volontà cooperativa da parte della donna o dei minori coinvolti). In entrambi i casi, tuttavia, il viaggio diventa un evento particolarmente complesso e non privo di pericoli sia per i diretti interessati che per i trasportatori. In tale contesto avviene il passaggio di gestione delle donne e dei minori dai reclutatori ai membri delle organizzazioni (i reclutatori possono o meno far parte integrante della stessa organizzazione) che si occuperanno del viaggio e del trasporto, sia nella sua versione condivisa dalle dirette interessate che in quella non condivisa o coatta. L’insieme delle attività che mette in campo l’organizzazione ricevente delle persone destinate al contrabbando o al traffico finalizzato allo sfruttamento sessuale e le relazioni di collegamento che si attivano con le altre bande che subentreranno nei diversi paesi di attraversamento o di transito per portare le vittime nelle aree di destinazione sono molteplici e variegate, in quanto coinvolgono attori diversi con compiti ed aspettative differenti e spesso contrapposte. Per gli attori diversamente coinvolti, si tratta, infatti, di mettersi a dura prova, di intraprendere un viaggio non privo di pericoli e di difficoltà imprevedibili. Situazioni, che ovviamente, vengono vissute da due angolazioni diverse e contrapposte: per le donne e per i minori (nei casi in cui hanno acquistato un servizio illegale per entrare in maniera irregolare in un altro paese) si tratta di arrivare a destinazione secondo quanto stabilito con i trasportatori; per questi ultimi, invece, si tratta di portate a termine un lavoro (anche se illecito ed illegale) con maggiori o minori attenzioni alla incolumità dei “passeggeri” in considerazione del patto stabilito. Tale attenzione è dovuta al fatto che un servizio erogato dall’organizzazione 35 Ladda Saikaew, A non-governamental organization perspective, in United State. Department of Labor – Bureau of International Labor Affairs, Washington, 1996, p. 66; 32 trasportatrice secondo le aspettative della clientela permette, in ultima istanza, la produzione di una “immagine aziendale” positiva ed efficiente in grado di garantire la perpetuazione di questo tipo di affari con altri gruppi di persone intenzionate ad espatriare irregolarmente. Infatti, una immagine negativa - e per così dire “negriera” - potrebbe incidere sulla richiesta del servizio e dirottare la domanda di espatrio irregolare su altre organizzazioni che offrono maggiori garanzie36 sulla buona riuscita del trasbordo. La condizione delle donne o dei minori, tuttavia, nel corso del viaggio può modificarsi, giacchè da posizione iniziale volontariamente condivisa (ad intraprendere il viaggio in maniera irregolare) può trasformarsi in una posizione non condivisa; cioè può divenire una condizione caratterizzata dalla coercizione e dalla violenza. Ciò accade con maggior facilità quando i gruppi in viaggio sono numericamente piccoli e molto meno quando si tratta di gruppi numerosi (come, ad esempio, tra i passeggeri che usano le carrette del mare in quanto ammontano a centinaia di persone). I motivi di questa trasformazione possono essere imputati a fattori diversi che possono intrecciarsi o meno tra loro, e cioè: - i membri dell’organizzazione che gestisce il trasferimento possono ad un certo punto del viaggio svelare le loro reali intenzioni: ossia quelle di mirare allo sfruttamento sessuale della donna o del minore che hanno intrapreso - utilizzando i loro servizi - la via dell’emigrazione. Le donne e i minori coinvolti vengono fatti ripetutamente oggetto di violenza fisica e psicologica da parte degli stessi accompagnatori (o da persone coinvolte dall’organizzazione soltanto per mettere in campo comportamenti violenti finalizzato al mero assoggettamento della vittima). La violenza viene erogata anche in funzione della preparazione e dell’addestramento dei servizi che la donna dovrà garantire sulla strada o nel bordello dove verrà collocata oppure nel locale di intrattenimento dove andrà a lavorare e a prostituirsi. Si tratta spesso di comportamenti in qualche modo chiarificatori che vengono messi in atto brutalmente dagli sfruttatori quando ormai si sentono al sicuro e lontani da possibili intercettazioni da parte delle forze dell’ordine o dalle possibili vendette che possono produrre i genitori o i fratelli della vittime37. Con questi comportamenti - attivati dai trasportatori e accompagnatori perché costretti dalle circostanze e dalla possibilità di acquisire già nella fase di trasferimento guadagni insperati al momento della partenza - mirano a sciogliere malintesi, ambiguità o comportamenti sofisticati caratterizzati da mezze frasi, da cose dette e non dette, da furbizie varie, da piccoli e grandi raggiri perpetuati contro le donne e i minori. Non secondarie, sono le violenze che gli stessi mettono in atto utilizzando a proprio vantaggio le forme di invischiamento affettivo che sovente hanno con le donne e con le minorenni che trasportano in direzione dell’Italia (molte donne – anche minorenni – soprattutto albanesi e moldave parlano del viaggio intrapreso con il loro “fidanzato” o con il loro “marito” e molti minori delle stesse nazionalità dichiarano di esseri stati accompagnati dallo “zio”). Questa forma di smascheramento da parte dell’organizzazione avviene sovente in aree geografico-territoriali dove è più dinamico il mercato del sesso e dove l’organizzazione può iniziare lo sfruttamento della vittima al fine di rientrare dei costi fino allora sostenuti per l’intera operazione di trasferimento. Si tratta perlopiù di aree di confine, dove si concentrano gruppi di criminali e gruppi di avventori e consumatori del sesso a pagamento in una sorta di “terra franca” dove le forze dell’ordine molto spesso appaiono conniventi e finanche soggetti a comportamenti di corruzione da parte dei ricchi trafficanti; - alle rotte e ai mezzi di trasporto, nel senso che gli standard tipologici del viaggio cambiano con il variare dei percorsi che si intraprendono e alla qualità dei mezzi e delle strutture logistiche che man mano si potranno avere a disposizione per continuare in condizioni di relativo conforto il 36 Cfr. al riguardo l’intervista di Paolo Ruiz su “La Repubblica” di martedi 3 dicembre 2002, p. 13 dal titolo “Io, mercate di nuovi schiavi do un futuro ai clandestini”. 37 Save the children, Banbine in vendita, Mimesis, Milano, 2002, p. 68 e segg. 33 viaggio verso il paese di destinazione. I percorsi che intraprendono i trasportatori (trafficanti o semplici accompagnatori delle donne e dei minori) all’interno di un paese sono abbastanza semplici e quasi del tutto privi di difficoltà, a meno che non si tratta di rapimenti in senso stretto (dove la copertura della vittima diventa pressoché obbligatoria). Nel primo caso sono le strade di grande scorrimento interprovinciali e regionali che collegano diversi Stati e vari paesi. Strade che vengono percorse con facilità e sicurezza, in quanto all’esterno i trasportatori – anche quando le donne e i minori sono visibili – appaiono delle persone come tante altre che utilizzano ordinariamente i servizi stradali. Nel secondo caso, invece, le rotte da intraprendere sono quelle che danno maggior sicurezza preventiva in fatto di controlli stradali o ferroviari da parte delle forze dell’ordine e in caso di tentativi di fuga da parte delle donne o dei minori coinvolti. I problemi sorgono (solo in parte, per la verità) in prossimità delle frontiere interne, tra paese e paese e sulla base del livello di cooperazione che i trasportatori riescono ad avere – e a negoziare - con le vittime. In questi casi i trasportatori possono abbandonare le rotte comuni ed ordinarie: da un lato, allorquando le donne e i minori trasportati non collaborano e appaiono resistenti e inaffidabili e, dall’altro, allorquando questi ultimi non hanno ancora documenti adeguati (perché l’organizzazione ancora non li ha acquisiti); ed, infine, quando i diretti interessati (donne e minori) cooperano all’attraversamento della frontiera (o perché accondiscendenti o perché fortemente impauriti o minacciati) e sono in possesso di documentazione falsificata e non del tutto sicura (ad esempio, visti di ingresso per motivi turistici, visti per motivi correlabili ad attività di spettacolo o per motivi familiari o di lavoro domestico e di studio, eccetera); - alla compresenza di altre donne e bambini in qualità di compagni di viaggio e di sventura. Fattore che influenza e modifica – oltre che la struttura base dell’organizzazione nel numero di uomini e donne da coinvolgere - anche la scelta del mezzo di trasporto da utilizzare in termini di capienza, di sicurezza, di comodità, di efficienza, di possibilità e di capacità di mimetizzazione. Generalmente il numero di donne che si possono trasportare varia a secondo del rapporto esistente tra i membri o il membro dell’organizzazione e la donna e minore da trasportare. Nel caso che sussista una qualche forma di invischiamento affettivo-esistenziale (reale o strumentale) tra gli attori coinvolti, il numero dei viaggiatori è relativamente basso, cioè due o tre persone (una coppia e un’altra persona al seguito). Nel caso, contrario, ossia che tra gli attori non vige nessun rapporto affettivo ma solo quello strumentale e contrattualistico – ma con una sostanziale cooperazione - il numero dei viaggiatori può arrivare anche a cinque/dieci unità (uno o due trasportatori/accompagnatori e dai tre alle sette donne o minori). Se tra gli attori coinvolti non c’è nessuna cooperazione ma anzi soltanto conflitto (manifesto o latente) il numero dei viaggiatori si può ridurre in termini assoluti (due trasportatori/accompagnatori e una donna o multipli di questa combinazione). Quando si tratta di minori, tuttavia, è possibile che i viaggiatori coinvolti siano sempre due o al massimo tre in quanto vengono fatti passare per figli o per nipoti che stanno viaggiando per raggiungere altri parenti o i diretti genitori. A proposito non secondaria è l’esperienza e la professionalità del trasportatore e del resto degli accompagnatori. Insomma, i continui e scomodi trasferimenti da un’area all’altra del paese di esodo e da questo ad altri paesi di transito, oppure da una sede all’altra dell’organizzazione o per depistare eventuali tentativi di intercettazione da parte della forza pubblica o per avanzare nel processo di espatrio, hanno bisogno di “managerialità” e di capacità gestionali non indifferenti. Inoltre, è necessario che tutti i componenti della banda siano affiatati e ben integrati tra loro. Generalmente i gruppi specializzati nel trasporto sono formati da elementi facenti parte degli stessi nuclei familistico-parentali dove vige una cieca obbedienza al membro più anziano in quanto riconosciuto leader carismatico di tipo patriarcale. Il valore aggiunto, se così si può definire, è dato dal fatto che i membri di queste bande si conoscono molto bene e pertanto è difficile qualsiasi forma di infiltrazione da parte delle forze dell’ordine. Il raccordo con le altre bande che operano oltre le frontiere vengono effettuati e portati a termine da “pontieri”, ossia da persone che non necessariamente fanno parte delle bande coinvolte alla compra-vendita delle 34 donne o dei minori. Il loro compito è soltanto quello di effettuare il contatto e mettere le due organizzazioni – al di qua e al di la della frontiera o delle diverse frontiere - in condizione di portare a termine l’operazione e ricevere il compenso previsto. Terza fase La terza fase è quella dell’attivazione da parte dei membri dell’organizzazione - o da un singolo sfruttatore - del processo di invischiamento progressivo della donna nell’esercizio della prostituzione coatta. La prospettiva della prostituzione e dello sfruttamento sessuale è molto spesso il progetto - sovente inespresso nelle prime fasi del reclutamento - dei membri dell’organizzazione verso le donne e i minori coinvolti nel traffico sin dalla fase di reclutamento. Anzi, questa si caratterizza molto spesso per la ricerca di donne e minori da indirizzare allo sfruttamento. Pertanto l’avvio del processo di assoggettamento, di addestramento e di invischiamento nei circuiti prostituzionali delle donne e dei minori predestinati può essere di breve o di media durata. Nel senso che può avvenire sia nelle fasi che seguono immediatamente il reclutamento, sia – come accennato - durante il viaggio e nelle fasi precedenti all’ingresso nel nostro paese e sia nelle fasi successive del passaggio di frontiera e trovata la prima sistemazione logistica. In questo ultimo caso può avvenire nei giorni successivi all’ingresso o nelle settimane o mesi successivi, a seconda del tipo di rapporto esistente tra gli attori coinvolti, le forme di negoziazione esistenti e le forme di contrattazione stabilite. Va da sè, tuttavia, che i meccanismi di assoggettamento hanno una duplice caratteristica: da un lato, possono essere di tipo persuasivo, di ricerca di cooperazione e di coinvolgimento emotivo-esistenziale della donna o del minore nella pratica di sfruttamento oppure, dall’altro lato, possono essere di tipo violento ed aggressivo contornati da stupri, violenze carnali e torture di varia natura. L’interessata vede progressivamente ridotta la propria agibilità fisica e spaziale subendo una vita di isolamento, di controllo ravvicinato, di umiliazione continua, di stimolazione dei sensi di colpa verso la famiglia, di preoccupazione profonda per la propria incolumità, di timore di non farcela e frustrante desiderio di fuga. Insomma, i margini di manovra si restringono fino a limitarsi completamente. Gli aguzzini mirano a condizionare profondamente la vittima facendo leva sulla vulnerabilità che la caratterizza in funzione della posizione di assoggettamento nelle quali si trova. Vulnerabilità che è data, non solo dal fatto di essere donna e minorenne, ma anche dal fatto che si è privati della propria volontà ed identità. La spoliazione è completa: sia del nome (in quanto viene cambiato con un nome d’arte), sia dei vestiti (in quanto obbligate a usare “quelli da lavoro”), sia dei documenti di riconoscimento (passaporto, carta di identità, eccetera), sia delle relazioni sociali e di comunanza con altre donne e minori (magari coinvolti nello stesso viaggio), sia dei proventi dell’esercizio prostituzionale e sia dai legami familiari. Gli unici contatti restano quelli con i membri dell’organizzazione o con il “fidanzato-sfruttatore”. Entrambi gli attori – nell’uno e nell’altro caso – rappresentano l’intero universo della donna assoggettata, insieme alla clientela che fruisce dei servizi che esse coattivamente offrono. Alla fase di assoggettamento segue quella di addestramento, caratterizzata da un periodo in cui le donne, soprattutto quelle minorenni, vengono violentate dai membri della banda e dagli amici di questi, al fine di rendere docili le dirette interessate. La docilità è quella condizione particolare che spinge la giovane donna a mettere in campo comportamenti corrispondenti alla volontà degli aguzzini. Ossia comportamenti funzionali al proprio sfruttamento come se fossero normali ed accondiscendenti. All’esterno possono apparire anche come il risultato di una scelta più o meno 35 razionale e condivisa, ma in realtà rappresentano l’effetto manifesto delle violenze subite ex ante e delle intimidazione che continuano a ricevere in itinere, cioè durante il processo di addestramento. L’addestramento si estende anche a come stare in strada o nell’appartamento, a come ricevere e trattare con la clientela, a come contrattare gli spazi territoriali dove viene esercitata la prostituzione, a come farsi dare il denaro dai clienti e a come nasconderlo nelle borse a doppio fondo oppure nei pressi dei luoghi di prostituzione. Non secondarie sono le istruzioni di comportamento con le forze dell’ordine rispetto alle cose da dire e agli atteggiamenti da prendere con esse, negando – ad esempio – la giovane età e facendo loro credere di essere più grandi, nonché dai comportamenti da prendere se si è portati in Questura. Insomma, la fase di addestramento serve a istruire le donne invischiate a come esercitare il mestiere e a come praticare il principio di omertà. Principio su cui si fonda il rapporto prostituzionale e su cui si regge l’equilibrio che frena i membri dell’organizzazione a non compiere atti di violenza e di aggressione verso le vittime stesse e soprattutto verso i parenti rimasti nel paese di origine. All’addestramento segue la fase di esercizio vero e proprio della prostutizione. Questa, come si vedrà meglio in seguito, può essere eseguita in maniera evidente e manifesta oppure in maniera mascherata38. Quella esercitata in maniera manifesta è svolta perlopiù in strada e negli ultimi due anni anche in maniera significativa negli appartamenti. Invece, quella mascherata - ossia nascosta dietro una attività lavorativa ordinaria – viene esercitata in una variegata gamma di situazioni, ma tutte contraddistinte dal fatto che sono svolte all’interno di locali di intrattenimento. Locali che hanno trovato un largo sviluppo negli ultimi cinque anni e che appaiono destinati a soppiantare in parte la prostituzione di strada. Si tratta di donne e minorenni che lavorano come cameriere nei ristoranti e non disdegnano, quando sono invitate da clienti particolarmente disposti economicamente, ad appartarsi con loro in altri ambienti del locale. Oppure in locali di bellezza e di benessere del corpo e finanche nei club privè39 Non secondari, nell’economia del divertimento, si possono trovare donne e minorenni impiegate in locali dove si esibiscono gruppi musicali e dove si esibiscono ballerine e cantanti che possono offrire anche i loro servizi sessuali oppure donne e minorenni disponibili per clienti in alberghi di categorie medio-alte dove alle sale massaggi vengono offerte anche prestazioni sessuali. Insomma, la gamma di impiego della prostituzione si è molto estesa e molto spesso si tratta di prestazioni offerte da donne che si collocano al confine tra una prostituzione esercitata con certi livelli di volontarietà ed un’altra esercitata, al contrario, in maniera involontaria e coatta. In questi ultimi casi le donne e le minorenni coinvolte vengono costrette a prostituirsi a seguito di minacce, raggiri e abusi derivanti da violenza e da subordinazione coercitiva. I gruppi nazionali che maggiormente vengono impiegati in queste attività prostituzionali coperte sono soprattutto quelle provenienti dai Paesi dell'Est Europa e dal Sud.est asiatico (in particolare filippine, thailandesi, eccetera)40. Quarta fase La quarta fase è quella che si caratterizza per i tentativi di uscita dalla condizione para-schiavistica delle donne o dopo aver estinto il debito con la banda sfruttatrice (ma sappiamo che spesso questo 38 F. Carchedi ed al., I colori della notte, Franco Angeli, Milano, p. 140; F. Carchedi, G. Mottura, E. Pugliese, Lavoro servile e lavoro para-schiavistico, Franco Angeli, , in via di pubblicazione, Milano, 2003, p. 78; 40 Il termine di “prostitute” utilizzato per indicare la loro condizione è improprio anche in riferimento al fatto che esse sono donne “prostituite”, ovvero private anche in questo caso di libera scelta. 39 36 non basta) o a seguito dell’azione di servizi e opportunità alternative sul territorio che permettono loro di avviare processi di sganciamento dal giro prostituzionale e di avere qualche chances di inserimento normale nella società. Oppure, caso non marginale, perché la donna o la minorenne, riescono da sole o con l’aiuto di clienti ad innescare meccanismi di sganciamento dal giro prostituzionale41. Tuttavia, molto spesso, i meccanismi di fuoriuscita maturano attraverso l’effetto incrociato che scaturisce dall’azione convergente di più attori sociali che a diverso titolo sono coinvolti nel sistema prostituzionale. La loro ottima combinazione garantisce maggiore successo alle donne che tentano il distacco dal giro emarginante ed assoggettante. Oppure, un’alternativa che va nel senso della “riduzione del danno”, è quella che si configura come un processo di autonomizzazione decisionale che si accompagna al cambiamento del luogo di esercizio dell’attività prostituzionale42, al cambiamento dei rapporti che si hanno con gli sfruttatori, dalla capacità di negoziazione che la donna matura nei confronti dei suoi profittatori, dalle amicizie e dalle reti sociali che si riescono a mobilitare, eccetera. I problemi di sganciamento e di fuoriuscita dalla prostituzione appaiono, al momento, più lunghi per le ragazze albanesi e per quelle dei paesi dell’Est in quanto oggetto di maggior violenze e ricatti. La pressione psico-fisica degli sfruttatori rende la prospettiva di libertà generalmente impraticabile nel breve e medio periodo. La catena di violenze non termina sempre con la ritrovata libertà perché può esserci la possibile vendita della donna e della minorenne oppure una semplice ricaduta nel giro della prostituzione e quindi la riproposizione di una nuova fase di assoggettamento prostitutivo. Non secondari sono i trasferimenti delle donne ad altre organizzazioni e nel trasferimento la condizione delle stesse può cambiare in meglio o in peggio, a seconda della tipologia dell'organizzazione acquisitrice. La condizione delle dirette interessate all’interno ai meccanismi di sfruttamento può restare invariata, in quanto le medesime restano fortemente influenzate dalla pressione assoggettante che non riescono a trovare la forza di progettare alcun cambiamento. Sovente, pur nella possibilità di essere libera dallo sfruttamento, non riescono - pur volendolo - a tornare in patria e neppure a cercare altre opportunità nel nostro paese. Questa indecisione – o meglio l’impossibilità di progettare una pur minima risposta – scaturisce dalla complessa condizione psicologica ed emotiva in cui versano le donne sfruttate coercitivamente. Condizione che rende altresì vulnerabili e pertanto reclutabili da altre organizzazioni e assoggettabili ad altri aguzzini. Nei casi in cui la reazione emotiva alla condizione di sfruttamento risulta essere forte e decisa alcune di queste donne accettano di trasformarsi in sfruttatrici di altre connazionali, magari tra quelle arrivate da poco tempo e altrettanto vulnerabili. Diventano cioè complici delle organizzazioni che le hanno precedentemente sfruttate e tendono a praticare le stesse tecniche di coercizione subite in precedenza. Queste modalità, tuttavia, mutano con il cambiare delle culture e pratiche di sfruttamento in voga nelle diverse organizzazioni criminali su base nazionale: prostituzione a tempo determinato generalmente per le nigeriane e prostituzione a tempo indeterminato per le albanesi e le altre donne dell’Est43. 41 Cfr. F. Carchedi, G. Mottura, E. Pugliese, Lavoro servile e lavoro para-schiavistico, in via di pubblicazione, Franco Angeli, Milano, p. 89 e segg. 42 In pratica la trasformazione delle modalità di esercizio della prostituzione in modo meno coatto e il passaggio dall’esercizio in strada a quello in hotels/appartamenti. 43 Secondo la fonte di Polizia di Stato, “i protettori albanesi sono padroni assoluti della vita delle loro ragazze, che controllano direttamente. Impongono luoghi, orari, spostamenti, modalità di esercizio della prostituzione e tariffe da applicare alle prestazioni”. Un rapporto della Caritas Ambrosiana rileva come “nel caso in cui non "rendano" a sufficienza vengano punite con metodi estremamente violenti e spesso vendute ad altri clan (..) La rete criminale albanese è molto violenta e vendicativa; le ragazze, quando riescono a scappare con l'aiuto di polizia, clienti o unità di strada, hanno molta paura ad affrontare l'iter della denuncia, anche per le reali possibilità di violenza e ritorsione sulla famiglia in Albania ed in particolare sulle sorelle minori. Al riguardo, comunque, cfr. anche, Fondazione Internazionale 37 2.6. Il traffico e le forme di sfruttamento para-schiavistico dei minori stranieri Negli anni ’90, oltre alla tratta delle donne adulte a scopo prostituzionale, si intensifica nel nostro Paese anche la presenza e il flusso di minori stranieri, sia a fronte delle nascite avvenute all’interno di famiglie di origine straniera insediatesi da tempo in Italia, sia in ragione di politiche di ricongiungimenti familiari che per l’arrivo di componenti migratorie composte da giovani e minorenni. Il loro numero è in Italia aumentato: nel 2000 c'erano nel nostro Paese 229.851 minori stranieri, con un aumento di 43.561 rispetto all'anno precedente e un incremento nei confronti delle statistiche del 1995 dell'83%. Alcuni indicatori inquadrano con preoccupazione il disagio di cui sono portatori alcuni segmenti di tale popolazione: dall'istituzionalizzazione e residenzialità protetta alla devianza in età preadolescenziale e adolescenziale. Nel 1998 le denunce nei confronti di minori stranieri non imputabili sono state 2.218, pari al 47,4% delle denunce totali, con un tetto del 56% nel 1995. La crescita della devianza nella fascia tra i 14 e i 18 anni è maggiore e costante, tra il 1991 e il 1998 sono raddoppiate le denunce nei confronti dei minori stranieri: nel 1998 sono state 7.127, pari al 20,7% del totale (incidevano nel 10,9% nel 1991)44. Il 30,8% erano nei confronti di minori albanesi e rumeni. Il numero delle denuncie nei confronti degli stranieri è nettamente superiore a quello dei denunciati: nel 1998 la differenza era di ben 2.600 casi per i quali si è trattato di un secondo (o terzo) reato commesso da minori già denunciati. "Questo sembra essere un fenomeno dovuto principalmente allo sfruttamento di minori stranieri, soprattutto non accompagnati e nomadi"45. Soprattutto i minori che emigrano da soli si trovano quindi in una condizione di oggettiva vulnerabilità e quindi possono più facilmente essere vittime di forme di sfruttamento più o meno radicale e coercitivo. Si tratta dei minori non accompagnati o “separati” (termine più appropriato per l’ACNUR), in quanto “si trovano fuori dal loro Paese di origine separati da entrambi i genitori o da adulti che per legge o per consuetudine sono responsabili della loro cura e della loro protezione”46. La separatezza dai propri genitori naturali o tutori acquisiti si manifesta con caratteristiche diverse che articolano il fenomeno in tre categorie di minori: quelli che arrivano con i genitori o con altri adulti legittimati ad esercitare la podestà genitoriale o tutoria, ma che nelle fasi successive all’ingresso restano da soli per loro scelta o, più frequentemente, perché subiscono la separazione degli adulti per svariati motivi; quella dei minori che arrivano con adulti facenti parte della famiglia allargata (fino al quarto grado). La categoria più diffusa è la terza, ovvero quella dei minori che Lelio Basso –Parsec, Traffico di esseri umani, criminalità organizzata e forme contemporanee di schiavitù, rapporto di ricerca, Roma, p. 22 e segg. 44 Mentre le denunce dei minori stranieri sono la quinta parte delle denunce degli italiani gli interventi custodialistici sono invece il 52% nei confronti dei minori stranieri. Nel 1999 negli istituti penali per minori avevamo 1.005 stranieri, contro 871 italiani; nel caso delle ragazze il rapporto è ancora più sfavorevole agli stranieri: 365 a 22. Un fenomeno in danno dei ragazzi stranieri non accompagnati che finiscono in carcere è quello discriminante della "deportazione carceraria". Pur arrestati e processati da tribunali per i Minorenni del Nord vengono transitati verso istituti penali del Sud, perdendo anche quei pochi legami affettivi con possibili parenti, amici o con la fidanzata oltre al fatto che i distacchi sono sempre dolorosi. 45 Lo afferma il presidente del tribunale per i minorenni di Bari, Franco Occhiogrosso, in, Disagio e devianza. Minori stranieri e carcere, a cura della Fondazione Federico Ozanam-Vincenzo De Paoli, Nuova editrice Grafica, Roma, 2002 , p. 22. 46 Per una definizione più articolata ed estensiva di quella proposta dalla “Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 26 giungo 1997” cfr., F. Carchedi e A. Castellani, op. cit., p. 94. 38 lasciano i loro genitori nel paese di origine ed emigrano autonomamente, affrontando il viaggio da soli o con gruppi di pari o connazionali adulti. Soprattutto i giovani/giovanissimi albanesi possono per lo più contare in Italia su reti sociali formate da connazionali precedentemente espatriati che svolgono un’azione di ponte e di primo sostegno nel momento dell’insediamento, o estinguendo per loro il debito del viaggio con i creditori del traffico (diventando creditori fiduciari) e/o sostenendoli nel momento dell’insediamento (aiutandoli a trovare lavoro, alloggio, etc.). Si determina in tal senso una sorta di solidarietà intraetnica e clanica, che svolge tra l’altro, sia una funzione di forte stimolo all’espatrio che di ricostituzione di microcontesti comunitari nel paese di arrivo. Il ragazzo o giovane contrarrà così un secondo debito con amici e parenti nel contesto di insediamento che cercherà di saldare entro qualche tempo cominciando dalle quote prestategli dalle persone con il grado di parentela e amicale più distante. Il loro profilo socio-anagrafico è ben delineato: per lo più di sesso maschile (88 su 100), di età di poco inferiore ai 18 anni, manifestano un progetto migratorio mediamente strutturato - non diversamente dagli adulti della stessa nazionalità47 - per lo più sostenuto dalle famiglie di origine, come strategia per acquisire le risorse necessarie per la sussistenza o lo sviluppo socio-economico delle stesse48. E’ altresì riscontrato che questa condizione “non sembra sottendere in genere gravi problematiche di rapporto con la famiglia di origine, né traspaiono particolari disagi psicologici o carenze affettivo-esistenziali nei ragazzi, né tanto meno si riscontrano evidenti e marcati deficit nell’educazione scolastica e non”. Il progetto migratorio viene messo in atto attraverso due modalità: a. b. la prima li accomuna alle donne della tratta e consiste nella stipula di un debito con terze persone ai fini di sostenere i costi del viaggio, costi che variano in relazione alla lunghezza del tragitto da percorrere, al numero di frontiere da attraversare e alle difficoltà che si ipotizzano all’ingresso per i pericoli di intercettazione da parte delle forze di contrasto. E’ evidente che questa modalità – che interessa soltanto una piccola parte - ha in sé i rischi conseguenti dell’instaurarsi di rapporti subordinati particolarmente violenti ed illegali; la seconda, che si ritiene più diffusa, consiste nella vendita di beni di proprietà della famiglia, anche modesti49, ma in genere sufficienti ad organizzare il viaggio e ad avere risorse necessarie nella prima fase del soggiorni nel Paese di arrivo. Per quanto concerne i minori albanesi si dispone anche di una testimonianza qualificata che spiega il contesto sociale e famigliare da cui essi provengono. Secondo le osservazioni della Delegazione albanese del Servizio Sociale Internazionale50 “il caso tipo è in ragazzo di età compresa tra i 16 e i 18 anni, 47 Va però precisato che “per una parte minoritaria, composta per lo più da minori di 14 anni, il progetto migratorio individuale tende a confondersi e a mescolarsi e spesso a sovrapporsi con quello degli adulti con i quali emigrano o che tendono a raggiungere successivamente quando le condizioni socio-economiche lo permettono”. Cfr. F.Carchedi e A. Castellani, in L’immigrazione e le condizioni di grave sfruttamento. Il Caso Roma, in ‘Il lavoro servile e le forme di sfruttamento para-schiavistico’, Dipartimento per gli Affari Sociali – presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 2001, p. 93. 48 La scelta migratoria è una “co-decisione” maturata all’interno delle rispettive famiglie e pertanto il giovane migrante viene “considerato consapevolmente come un agente dello sviluppo familiare e di conseguenza di quello microambientale del contesto territoriale di riferimento”, cfr. in F. Carchedi e A. Castellani, op. cit., p. 95. 49 Ciò vale soprattutto per i ragazzi albanesi e per quelli provenienti dai Balcani il cui viaggio non sembra essere particolarmente costoso. Secondo testimonianze dirette per l’attraversamento del canale di Otranto con lo scafo occorrono dai 300 ai 400 euro a seconda del porto di partenza e di quello di arrivo e questa cifra da diritto a tre tentativi di ingresso. 50 Servizio sociale internazionale (a cura di), Rapporto sul programma svolto dal Servizio sociale internazionale in Italia e in Albania negli anni 1998-1999, Rapporto di ricerca, Dipartimento Affari sociali, Roma, p.36. 39 proveniente da una famiglia povera, che ha concluso la scuola dell’obbligo, ma che non ha più voluto proseguire gli studi, perlopiù residente in un villaggio, oppure emigrato in città insieme alla famiglia originariamente proveniente da un villaggio. I suoi genitori hanno condiviso l’idea che la scuola non abbia più alcun valore ed hanno avallato la sua aspettativa di trovare una vita migliore in Italia una volta conclusa la scuola dell’obbligo. Attorno a lui altri cittadini albanesi sono partiti per l’Italia e sono tornati arricchiti per cui l’intera famiglia ha accettato di indebitarsi o di vendere un capo di bestiame, per pagare il viaggio”. La provenienza geografica dei minori separati è significativamente cambiata negli ultimi dieci anni. Se in una prima fase erano in gran parte marocchini di Khouribga a partire dagli anni 1995-1996 i ragazzi coinvolti nel fenomeno sono sempre più albanesi e rumeni. Talvolta sono soli perché i loro “padri” o “zii” o fratelli rientrano nel fenomeno dell’immigrazione irregolare (e talora pendolare). A partire dall’esodo di massa del 1991 un gran numero di questi ragazzini/e sono stati portati in Italia, soprattutto dall’Albania, e qualche volta sono entrati – o sono stati fatti entrare – nei circuiti emarginanti e contigui a quelli dove vengono praticate forme di sfruttamento radicale e tenuti in condizione di grave asservimento. Condizione difficile da comprovare in sede giudiziale dove sono rarissime le condanne per tale tipo di crimine51. Altri albanesi arrivano in gruppo, si uniscono agli adulti e vivono di lavori saltuari e di microcriminalità, i rumeni tendono invece ad aggregarsi agli adulti nel lavoro. Anch’essi sono spesso implicati in circuiti perversi di sfruttamento e abuso. Come attestano i dati dei servizi sociali delle principali città italiane dove finiscono per arrivare come vittime di traffico sessuale o di altro tipo di sfruttamento. Il sistema di raccolta dei dati sulla presenza di minori stranieri non accompagnati in Italia è notevolmente migliorato a partire dal 2000, grazie all’attribuzione al Comitato per i minori stranieri della competenza relativa al censimento di questi minori52. Tuttavia tali dati non corrispondono ancora all’effettiva presenza di minori non accompagnati in Italia, in quanto un certo numero di essi non viene comunque segnalato. Tra il primo luglio e il 30 novembre del 2001 sono stati segnalati al Comitato poco meno di 15 mila minori, per lo più di età tra i 16 e i 17 anni (68 su 100). Essi sono in aumento, in particolare dall’Albania che ha registrato in un solo anno un più 57,5%. Il 61% di essi è di nazionalità albanese e il 7,3% rumena (solo i ragazzi marocchini sono più numerosi di questi ultimi). Le regioni in cui sono maggiormente presenti sono, nell’ordine: la Puglia (dove spesso i minori sono segnalati al momento dello sbarco ma non si fermano, spostandosi invece in altre regioni), la Lombardia, il Lazio e la Toscana (tutte sopra il 10%). Se molti minori vengono segnalati ai servizi sociali delle grandi città (Roma, Milano e Torino, soprattutto) perché immigrati trovati soli e in situazione di disagio, è opinione prevalente fra gli operatori che sia una netta minoranza quella che si può configurare come assoggettata violentemente alla volontà di persone adulte che praticano verso di loro forme di grave sfruttamento, sia in termini lavorativi che sessuali. Si tratta di minori che hanno un’età che si avvicina maggiormente ai 18 che non ai 14 anni, dato che più bassa è l’età dei ragazzi (soprattutto maschi) e maggiore è l’influenza vessatoria che ricevono allo scopo di innescare meccanismi di invischiamento a livello psicologico e a livello di contenimento fisico. Le cause principali di ingresso nei circuiti dove possono prodursi gravi forme di sfruttamento sono quelle correlabili 51 La prima sentenza che applicò in Italia le norme sulla riduzione in schiavitù si ebbe a Milano all’inizio degli anni ’80. Tutti i minori stranieri non accompagnati, infatti, devono essere segnalati per l’obbligo di legge al Comitato per i minori stranieri, che successivamente elabora i dati a livello nazionale. 52 40 all’impossibilità di pagare il debito contratto per espatriare o per problemi legati alla famiglia53 o perché non scatta nei loro confronti il meccanismo di solidarietà del cosiddetto “secondo debito” sopra richiamato. In questi casi il creditore (o i creditori) prolunga artatamente l’estinguibilità del debito, giocando al rialzo del capitale prestato che viene gravato da interessi lucrativi - tipici dell’usura - per essere saldato generalmente entro un periodo che va da 1 a 2 anni. Si tratta di un periodo non lunghissimo, proprio per una tecnica di mercato che richiede di non intaccare il meccanismo di reclutamento di altri potenziali clienti da sfruttare in modo analogo (elevato turn over di soggetti sfruttati)54. L’estorsione del debito appare esercitata da organizzazioni meno strutturate e complesse di quelle che promuovono il traffico e la prostituzione femminile. Si tratta per lo più di piccolissimi gruppi, anche se agguerriti, di connazionali della vittima che esercitano sulla stessa anche l’illusoria funzione di protettori inducendone la ingannevole percezione “di appartenere ad una congregazione – anche se illegale – di connazionali disposti a prendere le loro parti e a difenderli in caso di necessità”. Una parte dei minori separati di genere maschile possono essere invischiati nella prostituzione coatta. Il fenomeno, a differenza che per il genere femminile, non sembra esteso e riguarda più i ragazzi provenienti dai paesi Sudamericani con tendenze transessuali. Un’altra modalità riscontrabile di grave sfruttamento para-schiavistico riguarda l’accattonaggio e la pratica della questua organizzata da adulti attraverso l’utilizzazione di minori ad essi coercitivamente subordinati. I casi finora segnalati indicano quali vittime soprattutto i ragazzi minorenni, anche al di sotto dei 14 anni e di origine albanese, rumena e kossovara. Non mancano esempi di sfruttamento di ragazzi con gravi deficit o handicap e orfani di entrambi i genitori o del padre. Le modalità di invischiamento fanno affidamento in questa fattispecie di reclutamento sulla fragilità della famiglia – come accennato in precedenza - come quando gli organizzatori del traffico, giocando sulla buona fede dei genitori e sulla loro necessità di acquisire più denaro per vivere decentemente, li inducono ad affittare i figli, magari per una intera stagione, in cambio di una promessa di facili guadagni. Non mancano testimonianze che segnalano veri e propri contratti scritti in maniera elementare dove si evidenziavano anche le percentuali spettanti a ciascuno dei contraenti. Anche in questo caso solo una piccola parte dei soldi incamerati dai minori vengono mandati ai genitori. Anche le pratiche di accattonaggio collettivo e organizzato riguardano gruppi non molto estesi di minori e sono difficili da mettere in campo perché sarebbero prontamente intercettate, anche per la forte pressione sociale di contrasto esistente. Il fenomeno dello sfruttamento dei minori separati che accusano condizioni di vita paraschiavistiche viene oggi stimato nel nostro Paese, nei pochi tentativi di ricognizione e analisi, nella consistenza di circa un migliaio di casi. Tuttavia è un fenomeno che richiede di essere indagato e monitorato con la massima attenzione dato il numero ingente di casi nascosti e la gravità - oltre agli effetti sociali - di questo grave misconoscimento dei diritti alla crescita, all’integrità, alla intangibilità della personalità di tanti ragazzi. Ciò determina anche una forte incidenza di minori 53 Un motivo è che la famiglia si è indebitata con terze persone senza scrupoli che chiedono - ricorrendo alla violenza la restituzione immediata del denaro prestato venendo meno alle modalità di restituzione concordate in precedenza proprio per innescare forme di subordinazione. 54 Come riferiscono F. Carchedi e M. Mazzonis, “Il periodo di sfruttamento sembra non sia più una variabile prioritaria, tanto il rimpiazzo immediato – e quindi le forme radicali di turn over – sembra essere piuttosto garantito”. 41 stranieri nella criminalità minorile. Le percentuali per gli stranieri non solo sono altissime ma anche in costante aumento55. I minori separati potrebbero chiedere asilo “…perché vittime di traffico sessuale o di altro tipo di sfruttamento..”. Le normative al riguardo sono in Italia arretrate e soggette da qualche anno a nuove formulazioni. La presenza di minori non accompagnati necessita anche di risposte adeguate di assistenza e di protezione nonché di meccanismi specifici che possono innescare processi di inserimento e di integrazione sociale. In pratica qualunque sia la condizione dei minori occorre attenersi all’interesse superiore dello stesso, come prevede la Convenzione sui diritti del fanciullo di New York (1989). Servono quindi interventi sociali ed educativi in grado di accompagnare la sua crescita e il suo sviluppo umano. Il rientro o il rimpatrio del minore si giustifica diversamente a seconda dell’approccio seguito: a. b. c. d. per alcuni il rientro nella famiglia di origine rappresenta – in teoria - la soluzione migliore per tutti i ragazzi senza accompagnatori adulti; a condizione che il rientro sia onorevole. L’approccio operativo è di stampo moderato, poiché le modalità e le condizioni di reingresso dei ragazzi nelle rispettive famiglie vengono analizzate dagli operatori coinvolti. Quando invece il ragazzo torna in patria in conseguenza di espulsioni il rientro, al contrario, è disonorevole. In questo caso l’approccio è di stampo radicale, in quanto gli operatori coinvolti (sovente sono operatori di pubblica sicurezza) si limitano, molto spesso, ad organizzare soltanto il viaggio ed accompagnare il minore alla frontiera come se fosse un adulto oppure di consegnarlo direttamente alla famiglia o ad un adulto della famiglia. Nell’uno e nell’altro caso non si tiene conto del fatto che l’emigrazione (o la cessione o la vendita del minore ad adulti che poi ingannevolmente li sfruttano) è originata dalla famiglia stessa. Un ritorno non previsto – e non accettato - può essere vissuto negativamente dalla famiglia e pertanto diventare pericoloso per il minore; per alcuni altri la soluzione migliore per i ragazzi non accompagnati è quella di accoglierli nella maniera più adeguata possibile nel nostro paese, secondo un approccio che possiamo definire di incorporazione; questo approccio si basa sul fatto che occorre accettare il ragazzo nel suo contesto di accoglienza nella sua veste di giovane immigrato e ne rispetta, di conseguenza, il progetto migratorio (lo scopo è quello di favorire le sue aspettative), cercando inoltre di supportarlo con intervento sociali ad hoc; per altri ancora – fautori di una posizione mediana – è necessario tener conto di entrambe le precedenti posizioni adeguandole ai diversi gruppi di minori. E’ una posizione che pone al centro dell’attenzione il ragazzo, sia nel caso che desideri tornare nel paese di origine, sia nel caso che invece voglia restare e implementare il suo progetto migratorio. Ciò comporta un’analisi dei bisogni del ragazzo e allo stesso tempo di quelle della famiglia di origine e successivamente una valutazione delle chance che possono essere vantaggiose per gli uni e gli altri. Quest’ultima sembra essere - a nostro parere - la soluzione che con maggior equilibrio e senso della giustizia, in quanto tende a soddisfare maggiormente i bisogni e i diritti del minore poiché tiene conto della sua volontà e coinvolgimento. 2.7. Osservazioni conclusive 55 Per altro, occorre considerare, che la risposta alla criminalità minorile straniera, al contrario di quanto avviene per la criminalità italiana, è quasi esclusivamente carceraria e sostanzialmente più repressiva che risocializzante. 42 La compra-vendita degli esseri umani da sfruttare a fini economici è fungibile ai processi perversi di un commercio ormai globalizzato aggiungendosi a quello delle armi e della droga. L’Albania è il paese dell’Europa dell’Est più colpito dal traffico di esseri umani, ma tutta l'area dei Balcani, e sempre più anche i territori dell'ex-Unione Sovietica, sono ormai interessati a tale fenomeno. Il traffico si basa principalmente sulla “servitù del debito” contratto per uscire dal proprio paese, con l’inganno o come in molti altri casi nella prospettiva di migliorare le proprie precarie condizioni di vita nel paese di origine. E' quindi un processo che si nutre, da una parte, della presenza di organizzazioni criminali internazionali e nazionali, tra loro collegate, per ricavare profitto dal commercio e sfruttamento di persone e, dall'altra, dalla aspirazione di ampie quote di popolazione dei paesi a basso tenore di vita di elevare la propria condizione socio-economica con l'emigrazione. L'Italia per la sua posizione geografica e vicinanza alle coste greco-balcaniche costituisce la prima frontiera e quindi la più esposta, fungendo sia da area di insediamento che di passaggio dei traffici illeciti di persone. Le altre frontiere, non secondarie, per l’ingresso in Europa - e quindi anche in Italia - sono quelle austriache e tedesce, nonché quelle dei Paesi baltici. Il fenomeno colpisce in particolare le giovani donne e i minorenni. Soprattutto i soggetti più vulnerabili sia nel loro paese di origine che in quello di arrivo. In quest'ultimo caso riguarda anche i minori non accompagnati che non hanno alcun ancoraggio nella accoglienza o solidarietà con i propri connazionali e pertanto restano isolati dalla collettività e dai loro gruppi di pari. Si tratta altresì di un fenomeno che se appare ormai sufficientemente noto per quanto concerne la conoscenza delle cause, dei processi e degli esiti sulle vite di migliaia di persone, risulta ancora largamente oscuro nei dati fattuali, nelle cifre che lo rappresentano fedelmente. Ma se le aride cifre sono scarne e indicative rispetto alle stime possibili i riscontri qualitativi di chi lo osserva direttamente sul campo e di chi lo vive (le vittime-testimoni) sono eloquenti ed estremamente utili alla comprensione del "come" si svolge il traffico, di come si diventa schiavi o soggetti eterodeterminati. Questa comprensione serve a definire e ad individuare le vie di uscita dall'incubo dopo essere usciti dal sogno di una stagione nuova e piena di speranze al momento della partenza. Il "che fare" è poi la sfida delle istituzioni e della società civile di un paese avanzato come l'Italia. Il nostro Paese si sta ponendo in una situazione di avanguardia nella lotta al traffico di esseri umani e nella difesa dei diritti umani delle vittime e ha messo in atto - sia pure non in misura ancora non del tutto sufficiente - azioni di salvaguardia delle vittime in quanto possono accedere a benefici, quali il permesso di soggiorno per lavoro o per studio. Occorre però che il Comitato Interministeriale per l’attuazione dell’art. 18, presso il Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio, sia in grado di coordinare tutto il lavoro che le organizzazioni non profit e gli Enti locali hanno portato avanti in questi ultimi anni e sappia orientare al meglio le strategie di contrasto come previste dall’art. 18 stesso, soprattutto nella sua duplice direzione, ossia quella giudiziaria e quella sociale. Non secondario è anche il problema di come affrontare e limitare le situazioni di sfruttamento dei minori in funzione principalmente delinquenziale. Anche il reato di tratta è stato al momento utilizzato soltanto in funzione dello sfruttamento sessuale e non, mentre sappiamo che la tratta può essere funzionale ad una pluralità di situazioni, tutte estremamente negative per la personalità del minore e degli adulti sottomessi a regimi di carattere para-schiavistico. Appare evidente che occorre lavorare su più versanti data la complessità del problema che chiama in causa molteplici fattori e richiede la mobilitazione di più forze, istituzioni centrali, enti locali e società civile di cui volontariato e altre risorse del Terzo settore costituiscono attori fondamentali e complementari. Nella strategia elettiva di contrasto sembra inevitabile agire anche a livello internazionale con 43 accordi e sviluppo di cooperazione che vadano a intaccare la causa prima del fenomeno dando profondità di significato all’intervento preventivo. 44 Bibliografia M. Ambrosini, Comprate e vendute, Franco Angeli, Milano, 2002; AA.VV., I bambini stranieri dal rifiuto e dalla separatezza all'accoglienza e all'integrazione, in 'Minori Giustizia', n. 3, 1999, Franco Angeli; AA.VV., I minori stranieri non accompagnati. Analisi di esperienze significative di intervento con minori stranieri non accompagnati a Roma. Considerazioni generali, rapporto di ricerca, Roma, 2000; F. Carchedi et al. (a cura di), I colori della notte, Franco Angeili, Milano, 2000; Caritas Italiana-Migrantes - USMI – UISG - ASPE, La tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale, in Documentazione Italiacaritas, n. 1, 1997; Melita Cavallo (a cura di), lavoratori eccellenti. Piccoli schiavi in una economia perversa, Franco Angeli, Milano, 2000; Censis, Sfruttamento sessuale e minori: nuove linee di tutela, Roma, 1998; M. Dematteis, S. Pochettino, Il ritorno impossibile. Viaggio nei luoghi dove inizia la tratta, in “Volontari per lo sviluppo”, , giugno-luglio 2002, anno XX, pp. 6-11; Donna M. Hughes and Claire Roche, Making the harm visible: Global sexeual explotation of women and girls. Speaking out and providing services, Coalition Against traffiking in women, Kingston, Rhode island (Usa),1999; Fondazione F. Ozanam-Vincenzo De Paoli - Disagio e devianza minori stranieri e carcere, Roma, Nuova Editrice Grafica, 2002. Fondazione Internazionale L. Basso -Parsec, Il lavoro servile e le forme di sfruttamento paraschiavistico, Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, Dipartimento per gli Affari Sociali – Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 2001. In particolare si segnalano i contributi di: F. Carchedi, M. Mazzonis, La condizione schiavistica. Uno sguardo d’insieme; F. Carchedi, A. Castellani, Le forme di sfruttamento para-schiavistico dei minori stranieri; F, Carchedi, Le modalità di sfruttamento coatto e la prostituzione mascherata; Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti del Fanciullo Italia, I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Rapporto supplementare alle Nazioni Unite, Roma, 2001; IOM, Trafficking in unaccompanied minors for sexual exploitation in the European Union, Brussels, 2001; IOM, Traffiking in women and prostitution in the Baltic states: socil and legal aspect, Helsinki, 2001; 45 Ministero dell’Interno, Traffico di esseri umani. Alla ricerca di nuove strategie di intervento, Atti del Convegno, Roma, 24-25 ottobre 2000; Parsec, Il traffico delle donne immigrate per sfruttamento sessuale: aspetti e problemi. Ricerca e analisi della situazione italiana e interventi sociali nel settore, Dipartimento per le pari Opportunità – Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma, 1998; Janice G. Raymond et al. (a cura di), A comparative study o women traffiked in the migration process. Patterns, profiles and health consequences of sexual explotation in five countries (Indonesia, the Philippines, Thailand, Venezuela and United States), Coalition against traffiking in women, North Amherst (Usa), s.d.; Save the children, Bambine in vendita. Un’indagine sul traffico dei minori dall’ Albania, Mimesis, Milano, 2002; Servizio Sociale Internazionale- Sezione italiana, I minori albanesi non accompagnati. Una ricerca coordinata fra l’Italia e l’Albania, Dipartimento per gli Affari sociali, Roma, 2001; Unicef, Rapporto UNICEF sullo sfruttamento sessuale dei bambini, Roma, 1999; United States Department of labour (a cura di), Forced labor: the prostitution of children, Symposium proceeing, Washington, 1996; A. Wolthius, M. Blaak (a cura di), Traffiking in children for sexual purposes from eastern Europe to western Europe, Ecapt Europe law enforcement group, Amsterdam, 2001; 46 3. Alcune caratteristiche di base dei meccanismi di sfruttamento delle donne e dei bambini. Aspetti quantitativi e qualitativi di Francesco Carchedi 3.1 Premessa Questa parte della ricerca affronta – per quanto ciò sia possibile – gli alcuni aspetti quantitativi del fenomeno del traffico di donne e di minori a scopo si sfruttamento sessuale ed alcuni altri di tipo qualitativo concernenti le modalità di sfruttamento. Ciò appare significativo per il fatto che la carenza di statistiche ufficiali da un lato e i tentativi che si effettuano (in prevalenza da parte di associazioni del settore) per stimare l’universo della prostituzione straniera - e all’interno di questa della tratta a scopo di sfruttamento sessuale -, rendono il fenomeno da questo punto di vista ancora del tutto problematico ed incerto, anche se le conoscenze qualitative sono, al contrario, piuttosto avanzate. Del resto non tutte le associazioni impegnante nel settore (o anche tra gli osservatori e gli studiosi) accettano la distinzione tra prostituzione e traffico di donne a scopo di sfruttamento sessuale, in quanto questa distinzione ne sottende un’altra: ossia quella – rapportata alle donne adulte - tra prostituzione volontaria e prostituzione involontaria. Per quanto concerne i minori, invece, la gran maggioranza delle associazioni che intervengono nel settore, ritengono, giustamente, che tale distinzione non ha senso alcuno, in quanto la prostituzione minorile va contrastata tout court a prescindere anche dall’età apparente. In definitiva se si accetta la distinzione – almeno quando si parla di adulti - tra prostituzione volontaria ed involontaria si deve convenire anche sul fatto che le due forme di prostituzione rappresentano due poli radicalmente contrapposti: giacchè la seconda è una forma para-schiavistica e trascende quindi da qualsiasi catalogazione all’interno delle pratiche prostituzionali, mentre la prima può rappresentare una esperienza di vita autonoma come qualsiasi altra e va garantita e tutelata al pari delle altre mediante la pratica dei diritti di cittadinanza. Così pure quando i soggetti dello sfruttamento sessuale sono i minori l’involontarietà della condizione di sfruttamento sessuale è la conditio sine qua non per analizzare ed interpretare il fenomeno. Pertanto quando affrontiamo la questione della prostituzione minorile l’accorpiamo, non solo di fatto ma anche concettualmente, in quella parte del fenomeno che si caratterizza per la sua subordinazione para-schiavistica e che non ha nulla a che fare con la prostituzione ordinaria, se non nelle sue manifestazioni esteriori e in alcune modalità di esercizio. Altre associazioni, al contrario, non accettando la distinzione tra prostituzione volontaria ed involontaria, non accettano di fatto - e neanche a livello concettuale - che possano esserci donne ed uomini che praticano la prostituzione (seppur contraddittoriamente e finanche con conflitti esistenziali) in maniera consapevole e sovente equiparandolo anche ad un lavoro redditizio. Non accettando questa distinzione chiunque esercita la prostituzione viene considerata come una persona assoggettata e trafficata contro la sua volontà. In pratica diventano tutte persone che esercitano in maniera coercitiva ed assoggettante, misconoscendo qualsiasi consapevolezza di quello che stanno facendo e relegandole, così, ad una condizione di inferiorità, di minorità psicologica, di incapaci di sviluppare la propria autonomia ed indipendenza personale. Diventa chiaro che un approccio finalizzato alla definizione quantitativa del fenomeno ed un altro finalizzato a descriverlo in maniera qualitativa risente significativamente, in entrambi i casi, della 47 visione generale che si assume per interpretarlo e descriverlo, nonché per trovare risposte esaustive per contrastarlo adeguatamente. Accettando, come ha fatto il gruppo di ricerca, la distinzione tra prostituzione volontaria ed involontaria – ed inserendo in quest’ultima quella minorile – è stato necessario procedere in due operazioni distinte: l’una finalizzata a circoscrivere la prostituzione volontaria e quella involontaria e l’altra a circoscrivere all’interno di quest’ultima quella praticata dalle donne adulte e quella praticata dalle minorenni o dai minorenni. Operazioni difficili (e finanche temerarie) effettuate sulla base dei dati e delle informazioni acquisite durante le interviste collettive agli operatori del settore – e le discussioni approfondite che ne sono derivate - effettuate dallo scrivente durante la fase di rilevazione di campo. Dalle informazioni acquisite è stato possibile anche tentare di sistematizzare altre conoscenze al riguardo. L’attenzione è stata posta sulla prostituzione straniera di strada, ossia quella più appariscente e più visibile. Su questo tipo di prostituzione – e non su quella “mascherata” o su quella praticata negli appartamenti - gli operatori di strada impegnati nell’attivazione di interventi di protezione sociale sono in grado mediante l’osservazione ravvicinata azzardare ipotesi di stime a carattere locale. Il nostro argomentare sul fenomeno è soltanto una proposta per nulla esaustiva e tantomeno definitiva (come potrebbe essere tale?), ma pensiamo che sia soprattutto trasparente e predisposta ad essere messa in discussione e criticata per far meglio ed aumentare le conoscenze del fenomeno medesimo nel suo insieme. Come ricorda Castelli “il mondo della prostituzione è un pianeta ambivalente, un contenitore di storie di vita diversificate e contraddittorie, un sistema complesso che appare difficile contenere in uno schematismo predefinito dagli esperti alchimisti dell’ingegneria sociale”56. 3.2 I dati ufficiali e i dati di stima dello sfruttamento sessuale I gruppi nazionali maggiormente invischiati nello sfruttamento della prostituzione Dai dati del Ministero dell’Interno è possibile rilevare – come si evince dalla Tab. 1 - che il numero dei cittadini stranieri denunciati nel corso del decennio scorso (1990-1999) per sfruttamento e di favoreggiamento della prostituzione è stato di circa 8.700 unità complessive. Il peso dei diversi gruppi nazionali implicati varia nel tempo. Gli albanesi avevano un peso molto basso nei primi anni Novanta per accrescersi in maniera rilevante alla fine dello stesso decennio: il numero di denunciati passa, infatti, dalle 54 unità nel quinquennio 1998-93 alle 3.652 unità complessive alla fine degli anni Novanta (con una punta di 801 denunciati nell’ultimo anno considerato, cioè il 1999). Il gruppo ex-Yugoslavo, invece, piuttosto implicato nel settore prostituzionale tra la fine degli anni Ottanta i primi anni del decennio successivo, perde progressivamente peso, fino ad arrivare alle 72 denuncie registrate nel 1999. Il terzo gruppo nazionale dove emergono più denuncie per sfruttamento della prostituzione – e dei reati ad esso correlabili - è quello nigeriano, che passa dalle 111 unità rilevate nel quinquennio ‘88-93 alle 709 della fine degli anni Novanta, con una punta più alta di denuncie registrata nel 1999. Infine, si rilevano le denuncie ai cittadini rumeni e ai macedoni. I primi, acquistano peso col passar degli anni: dapprima sono pressocchè irrilevanti (soltanto 7 casi registrati nel quinquennio ‘88-93), poi – alla fine degli anni Novanta – assumono un discreto peso nel panorama delinquenziale del settore (con 117 casi del 1999, per un totale complessivo di 281 unità). I 56 V. Castelli, Aspetti del fenomeno della prostituzione e della tratta in Italia, in On the road (a cura di), Prostituzione e tratta. Manuale di intervento sociale, Franco Angeli, Milano, p. 24; 48 macedoni, infine, rappresentano l’ultimo gruppo nella graduatoria in esame, con un numero di denuncie complessive di 165 casi. Tab. 1 – Numero di cittadini stranieri denunciati per sfruttamento e favoreggiamento alla prostituzione negli anni 1990, 1995 e 1999, v.a. e %) Nazionalità Anni 1988-1993 1995 1999 Totale decennio (‘90’99) v.a. % v.a. % v.a. % v.a. Albanesi 54 10,2 582 68,8 801 68,7 3.652 Nigeriani 111 21,1 65 7,7 140 12,0 709 Rumeni 7 1,3 23 2,7 117 10,4 281 Ex-Jugoslavi 354 67,2 152 18,0 72 6,0 1.153 Macedoni 1 0,2 24 2,8 34 2,9 165 Totale 527 100,0 846 100,0 1.164 100,0 5.960 (Totale stranieri (1.317) (40,0) (1.133) (74,7) (1.611) (72,2) (8.675) denunciati) Fonte: Rapporto del Ministero dell’Interno sullo stato della sicurezza in Italia, 2001 % 61,3 11,9 4,7 19,3 2,8 100,0 (69,0) Il gruppo albanese, dunque, a partire dalla metà degli anni Novanta acquista un peso delinquenziale nel settore della prostituzione piuttosto ragguardevole, al punto che il numero di denuncie che riguarda cittadini albanesi ammonta al 40% circa del totale di quelle registrate complessivamente nel corso dell’ultimo decennio (cioè 8.675 unità). Il dato che in qualche modo colpisce è la disparità di denuncie che si registrano tra il gruppo albanese e quello nigeriano, nel senso che quest’ultimo – pur sfruttando all’incirca lo stesso numero di donne – registra minori denuncie. Una delle spiegazioni possibili risiede nel fatto che il modello di sfruttamento nigeriano si basa molto sulla ricerca del consenso della donna, in quanto questa deve restituire all’organizzazione criminale il debito contratto alla partenza. Al contrario, il modello albanese si basa prevalentemente (e continua a basarsi) sull’assoggettamento della donna, sulla coercizione, sull’asservimento sessuale57 e quindi è maggiormente conflittuale e lacerante. Ragion per cui i rapporti tendono a rompersi in maniera netta ed inequivocabile e a spingere la donna (e in misura minore i suoi parenti più prossimi o i suoi amici più stretti che non accettano che essa stia in tali condizioni) ad attivare processi di fuoriuscita che contemplano anche la denuncia degli sfruttatori e dei favoreggiatori. 57 Per una visione dei differenti modelli prostituzionali su base nazionali, cfr. F. Carchedi, La prostituzione straniera e la tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale, in Agenzia romana per la preparazione del Giubileo (a cura di), Migrazioni. Scenari per il XXI secolo, Dossier di ricerca II, So.Gra.Ro., Roma, p.1036 e per i cambiamenti delle modalità di prostituzione su base nazionale cfr. Fondazione Internazionale Lelio Basso – Parsec, Il traffico di esseri umani, criminalità organizzata e forme contemporanee di schiavitù, Ministero degli esteri, Rapporto di ricerca, Roma, p.22 e segg. 49 I gruppi nazionali maggiormente coinvolti nei programmi di protezione sociale e la componente minorile coinvolta Un’altra serie di dati ufficiali di rilevante interesse sono quelli elaborati dalla Commissione interministeriale per l’attuazione dell’art. 18 (del T.U. n.286/98) presso il Dipartimento per le pari opportunità58. Dalla Tab. 2 – che sintetizza i dati in questione – si rilevano i gruppi nazionali maggiormente interessati dalle proposte di aiuto e di protezione sociale offerta dai servizi (pubblici e del privato sociale) territoriali. Anche da questi dati emerge una rilevante disparità tra le donne albanesi e le donne nigeriane che sono entrate nei circuiti dell’assistenza sociale. Queste ultime sembrano quelle maggiormente interessate ad avviare programmi di protezione sociale, in quanto le prese in carico raggiungono la metà del totale complessivo; mentre le donne albanesi si attestano sul 15% circa, seguite dalle donne moldave (con il 7,3%) e da quelle rumene e ucraine (con il 5,5% circa ciascuna. All’interno di questi gruppi di donne che esercitano la prostituzione le componenti minorili rappresentano il 4,3% del totale (5.577 casi), con una marcata preponderanza – in termini di valori assoluti - di minorenni albanesi. Queste, infatti, ammontano a 89 casi, pari al 37,1% del totale complessivo (cioè 240 minori). Gli altri gruppi minorili più consistenti – con percentuali pressoché simili – sono quello rumeno (con il 18,8%), quello moldavo e quello nigeriano (con il 16,7% per ciascuno). Pur tuttavia le percentuali maggiori dell’incidenza delle donne minorenni – rapportate al totale del gruppo nazionale di riferimento – sono quelle del gruppo rumeno, giacché raggiunge il 15,3%, seguite dal gruppo albanese e moldavo (con circa il 10% per ciascuno). Il gruppo nazionale rumeno è quello che registra una rilevante componente anche di minori non accompagnati, ossia minori che vivono soli in Italia avendo la famiglia in patria. 58 I dati sono quelli acquisiti mediante il lavoro di monitoraggio effettuato dal Dipartimento durante la realizzazione dei 48 progetti di protezione sociale nel periodo febbraio 2000 e febbraio-giugno 2001. I dati si riferiscono alle donne prese in carico dai servizi attivati dai progetti, ossia quelle donne che hanno accettato dagli operatori che le hanno contattate almeno un programma minimo di aiuto. 50 Tab. 2– Nazionalità delle donne trafficate prese in carico dai progetti di protezione sociale (art. 18, T.U. n. 286/98) per la maggiore o minore età delle stesse (marzo 2000 al febbraio 2001, v. a. e %) Nazionalità Adulte * v.a. % s.t.r. *** % minori 89 10,3 37,1 3 3,7 1,2 1 0,8 0,4 40 9,8 16,7 40 1,4 16,7 45 15,3 18,8 1 0,8 0,4 3 0,9 1,2 2 4,9 0,8 16** 4,2 6,7 240 100,0 (4,3%)**** Fonte: Ns elaborazione su dati del Dipartimento per le pari opportunità, 2001 * Nel primo semestre sono stati rilevati in aggiunta anche 22 maschi. ** Si tratta di 5 minori catalogati come provenienti dalla Ex Yugoslavia, di 2 Tunisini, di 1 Kossovaro, di 1 Ungherese, di 1 Statunitense e da 6 minori la cui nazionalità non viene specificata. *** s.t.r.= % sul totale di riferimento **** Il 4,3% è l’incidenza delle 240 unità di donne minorenni prese in carico rispetto al totale generale di 5.577. Albania Bulgaria Colombia Marocco Moldavia Nigeria Romania Russia Ucraina Italia Altre Totale v.a. 864 82 124 97 408 2.896 293 122 308 41 378 5.577 di cui: Minori % 15,4 1,5 2,1 1,7 7,3 51,8 5,3 2,1 5,5 0,6 6,7 100,0 Le considerazioni principali che si possono fare al riguardo sono quattro: a. il gruppo albanese, rumeno e moldavo sono quelli dove si registra una incidenza di donne trafficate minorenni maggiore rispetto agli altri gruppi nazionali, in particolare se confrontata con quella che le minorenni hanno nel gruppo nigeriano (tra l’altro, come accennato, uno dei gruppi maggiormente invischiato nella prostituzione); b. le donne trafficate minorenni appartenenti ai gruppi albanesi, rumeni e moldavi – tutte sfruttate da bande albanesi notoriamente molto aggressive – maturano prima delle altre la necessità di avviare il processo di sganciamento dal giro prostituzionale coatto (date le condizioni di particolare pesantezza in cui sono costrette ad esercitare la prostituzione); c. le donne trafficate minorenni albanesi, rumene e moldave sono maggiormente riconoscibili fisicamente come tali e pertanto gli attori che ruotano a vario titolo nel sistema prostituzionale (clienti, operatori sociali e Forze dell’ordine) attivano immediatamente le misure di protezione e di supporto alla fuoriuscita delle medesime dalla strada (anche grazie alle disposizioni legislative di protezione dell’infanzia); d. le donne nigeriane – considerando l’alto numero di prese in carico e il basso numero di denunciati per sfruttamento della prostituzione – sembrerebbero più propense ad usare le risorse istituzionali per uscire dal giro della prostituzione coatta, ma sostanzialmente senza denunciare i rispettivi sfruttatori. Al contrario, le donne albanesi – ed in parte anche quelle rumene e moldave – sembrerebbero più propense a denunciare gli sfruttatori (dato l’alto numero di denuncie registrate), ma meno disposte ad utilizzate le risorse istituzionali per uscire dal giro prostituzionale. L’età delle donne, quindi, in questi ultimi gruppi, sembrerebbe svolgere una funzione importante per attivare processi di fuoriuscita dal meccanismo di sfruttamento rispetto alle componenti nigeriane. 51 I permessi di soggiorno concessi in base all’art. 18 e le beneficiarie minorenni I dati relativi ai permessi di soggiorno rilasciati a donne trafficate in base all’art. 18 (della normativa citata) per nazionalità di provenienza delle beneficiarie (sia adulte che minorenni) si evincono dalla Tab. 3. I gruppi nazionali dove si registrano più beneficiarie sono quello moldavo (con il 27,3%) e a seguire quello albanese col 17,0%. Il gruppo nigeriano, quello rumeno e quello ucraino si attestano, invece, su percentuali comprese tra l’11 e il 13% del totale (cioè 1.044). I permessi rilasciati ai minori ammonterebbero a circa il 7% del totale (ossia 74 casi su 1.044 del biennio considerato), con una preponderanza delle donne minorenni moldave (che raggiungono il 27% circa del totale), seguite dalle giovani donne albanesi (con il 17,1%) e dalle donne appartenenti ad altri gruppi nazionali aventi percentuali abbastanza simili (sull’11/13% circa). Ciò che va rimarcato ancora una volta è lo scarso peso che hanno le donne minorenni nigeriane, nonostante il peso rilevante che invece hanno nell’avvicinamento ai servizi territoriali e nella propensione che dimostrano nell’intraprendere percorsi di fuoriuscita senza denunciare gli ex sfruttatori. Tab. 3 – Numero di donne straniere con permesso di soggiorno per protezione sociale (art. 18 T.U. n. 286/98) e stima dei permessi concessi a minorenni (anni 1999-2000, v.a. e %) Nazionalità Anni 1999 2000 Totale 1999-2000 Di cui: permessi di soggiorno a minori * v.a. % 28 37,8 18 24,3 2 2,7 19 25,8 1 1,3 1 1,3 5 6,8 74 100,0 v.a. % v.a. % v.a. % Moldavia 120 37,7 165 22,7 285 27,3 Albania 54 16,9 124 17,1 178 17,0 Nigeria 27 8,5 115 15,8 142 13,6 Romania 31 9,7 91 12,5 122 11,7 Ucraina 28 8,8 91 12,5 119 11,4 Marocco 17 5,3 15 2,1 32 3,1 Bulgaria 10 3,2 11 1,5 21 2,0 Jugoslavia 5 1,6 12 1,6 17 1,6 Altre nazionalità 31 8,3 124 26,7 128 12,6 Totale 318 100,0 726 100,0 1.044 100,0 Fonte: ns. elaborazione su dati del Ministro dell’Interno * Si tratta di stime extrapolate ipotizzando che i 1.044 permessi rilasciati attraverso l’art. 18 nel biennio 1999-2000 siano comparabili con il numero dei minori presi in carico dai progetti di protezione sociale (cioè 240), in quanto l’istruttoria per la richiesta avviene generalmente attraverso i servizi territoriali che prendono in carico la donna (ad esempio, per l’Albania: 864 – totale prese in carico - : a 89 – numero delle minori, cfr. Tab. 2, = 178 – numero del totale dei permessi rilasciati, cfr. Tab. 3, - : a x – per avere il numero dei permessi rilasciati ai minori Se consideriamo i dati prodotti dal Dipartimento delle pari opportunità59 si riscontra che le richiedenti il permesso di soggiorno per protezione sociale – nel periodo febbraio 2000/febbraio 2002 - ammontavano a 1.148 unità, ossia circa un quinto del totale di quante nello stesso periodo sono state prese in carico dai servizi (cioè 5.577)60. 59 Commissione interministeriale per l’attuazione dell’art. 18 (a cura di), “Analisi conclusiva dei dati relativi al monitoraggio dei progetti di protezione sociale art. 18 (T.U. n.286/98)”, Dipartimento per le pari opportunità, Avviso 1999, Roma, giugno 2001, p. 11 e segg. 60 Per l’analisi delle motivazioni di tale scarto si rimanda al documento elaborato dalla Commissione e citato alla nota precedente. 52 Delle 1.148 unità i permessi effettivamente accordati all’epoca erano circa 850, tenendo presente che dal momento della richiesta al momento del rilascio del permesso da parte delle autorità componenti passano anche otto/dieci mesi. Si tratta, tuttavia, di dati non trascurabili, se si considera che nel 1998 (quindi prima dell’attivazione del programma in questione) i permessi di soggiorno ottenuti per motivi correlabili a quelli previsti dall’art. 18 non superavano le cento unità61. Da informazioni più recenti, acquisite mediante intervista e riferibili al marzo 2002, il totale dei permessi di soggiorno per protezione sociale concessi complessivamente negli ultimi tre/quattro anni dal Ministero degll’Interno (autorità competente in materia) ammonterebbero a 1.500 unità, di cui una pecentuale oscillante tra il 4 e il 6% sono quelli concessi a donne minorenni (per un totale, dunque, compreso tra le 60 e le 90 unità). Come si vede le percentuali delle minorenni rispetto al totale complessivo di donne che esercitano (o sono costrette ad esercitare) la prostituzione ed attivano percorsi di sganciamento dai circuiti di sfruttamento che beneficiano dei programmi di protezione previsti dell’art. 18 si attestano, mediamente, intorno al 5%. 3.3. I criteri di stima e le stime delle donne coinvolte nella prostituzione Le interviste effettuate e i criteri di stima usati Le interviste effettuate in maniera qualitativa in quasi tutte le regioni italiane (in particolare nelle città capoluogo di provincia) hanno permesso di avere un quadro generale di conoscenze del fenomeno della prostituzione coatta (di donne adulte e minorenni) piuttosto rilevante. Gli aspetti che venivano ripetutamente proposti alla riflessione degli intervistati erano sostanzialmente tre: a. quali trasformazioni – quantitative e qualitative – si registrano nel fenomeno in relazione al contesto territoriale di intervento? Ossia: il fenomeno – rapportandolo ai differenti gruppi nazionali - è in aumento, è stazionario, è in riduzione e quali sono i motivi e le cause di tali evoluzioni? Inoltre, si registra una mobilità territoriale delle donne che esercitano in strada e quanto essa è valutabile percentualmente?, eccetera; b. quanto incide – in termini quantitativi e qualitativi – la presenza di donne (o ragazzi) minorenni sulla prostituzione straniera in generale, nonché: quali sono le nazionalità maggiormente interessate dalla presenza minorile e da cosa dipende tale incidenza a livello di singolo gruppo nazionale?. Questa valutazione ha tenuto conto, innanzitutto, della minore età anagrafica certa delle donne in questione e, secondariamente, anche di quella apparente?.62 Intendendo per età apparente quella percepita direttamente dagli operatori di contatto con le diverse componenti straniere che si prostituiscono, anche se non era possibile verificarla per varie ragioni (ad 61 Cfr. Risposta delle procure della repubblica alla Circolare PNA n. 1147/g/99 dell’8 luglio 1999, a cura della Direzione antimafia. 62 Durante le interviste veniva esplicitamente richiesto se nel lavoro sociale di strada gli operatori avevano sentore di trovarsi davanti donne minorenni e in caso affermativo quanto queste presenze incidevano sul totale generale. In molti casi le risposte sono state piuttosto precise, in altri meno. In questi ultimi, infatti, ciò che confondeva alcuni operatori era la valutazione dell’età delle donne centro-africane, mentre per quelle europee dell’est i giudizi erano piuttosto precisi e circostanziati. Tuttavia, sia nell’uno che nell’altro caso, l’impressione non era mai quella di avere di fronte donne in età minorile consistente, ma sempre in percentuali molto basse rispetto alle donne coinvolte nella prostituzione in generale. 53 esempio, la mancanza di documenti delle donne, la non fiducia da parte di queste verso gli interlocutori, la paura e le minacce degli sfruttatori, eccetera)63; c . quali sono le caratteristiche specifiche della prostituzione minorile femminile e maschile (modalità di reclutamento, di trasferimento e di assoggettamento prostituzionale, nonchè le modalità di esercizio della prostituzione e la propensione a fruire dei servizi sociali territoriali)? Come si differenza da quella adulta? Al contrario: la prostituzione minorile assume le stesse modalità di sfruttamento di quella adulta? I dati numerici e le informazioni raccolti, dunque, rappresentano il prodotto diretto della riflessione dei testimoni-chiave e degli operatori di strada intervistati; cioè le riflessioni che svolgono coloro che si interfacciano direttamente con le donne e le bambine che esercitano la prostituzione. I criteri metodologici maggiormente usati sono stati quelli che hanno condotto alle interviste dirette, alle discussioni approfondite avute con le équipe coinvolte, alle osservazioni sul campo effettuate durante la permanenza nei servizi. Gli operatori intervistati rappresentano, in sintesi, i depositari delle storie personali (e collettive) che le donne prese in carico dai loro servizi raccontano – in maniera più o meno dettagliata - una volta acquisita la necessaria confidenza e la reciproca fiducia. Da questa prospettiva gli operatori dei servizi, in altre parole, hanno rappresentato lo strumento principale di comunicazione (anche se indiretta) tra il gruppo di ricerca e le donne costrette alla prostituzione, sia adulte che minorenni. In tal maniera è stato possibile acquisire informazioni da quanti intervengono sul fenomeno da postazioni di maggior vicinanza con le vittime del traffico, abilitati, tra l’altro, all’offerta di prestazioni e all’erogazione dei servizi finalizzati all’attivazione di interventi di protezione sociale. L’andamento del fenomeno secondo la percezione degli operatori di campo Produrre stime numeriche di fenomeni complessi come quello all’esame non è facile e pertanto vanno intese come tentativi di approssimazione che si fondano su procedimenti logici che nella loro concatenazione portano alla produzione di coefficienti oggettivi e quindi a cifre concernenti l’universo che intende studiare. Pertanto queste non vanno valutate soltanto come prodotto finito, ma quanto come risultato di un processo logico soggetto a critica. Qualsiasi stima – in quanto prodotto a sestante – può avere la sua validità, ciò che cambia è l’analisi del processo di stima che lo sottende e che la sottopone a validazione critica. Per tale ragione occorre perciò mantenere sempre un certo scetticismo di fondo e verificare, innanzitutto, il processo di stima proposto64 e non la cifra in quanto tale. La stima di per sé è sempre opinabile, mentre il processo di stima deve poter essere soggetto a critica rigorosa e costruttiva. 63 Per definire l’età dei minori vengono anche eseguiti dei test allorquando sussistano dubbi fondati sulla veridicità delle informazioni fornite dai diretti interessati o da altri. Alcuni esperti sostengono, infatti, che i due controlli principali (raggi X dello scheletro e verifica della presenza o meno dei denti del giudizio o misurazione del polso) non siano per nulla soddisfacenti in quanto hanno un margine d’errore che può arrivare fino a due/tre anni. Margine che per un minore è piuttosto significativo. A proposito cfr. I. Meyer, T. Schwartz, Alcuni aspetti della condizione dei minori non accompagnati, in G. Campani, L. Zoran e F. Carchedi (a cura di), Le esperienze inascoltate. Giovani migranti tra accoglienza, indifferenza e ostilità, in via di pubblicazione, Franco Angeli, Milano, 2002, p. 147 e segg. 64 Di cifre sulla prostituzione straniera volontaria e involontaria ce ne sono molte, ma quasi mai è possibile risale al criterio metodologico di stima utilizzato. Per tale ragione queste cifre rappresentano soltanto l’opinione di chi le propone, in quanto qualsiasi cifra – che prescinde dai criteri utilizzati per poter rifare con trasparenza i calcoli numerici che le sottendono – può assumere una sua validità. E’ proprio la possibilità di poter rileggere il percorso di stima effettuato che permette alle medesime di avere una qualche validità conoscitiva. La critica, infatti, che si possono fare alle stime che ciascun operatore può proporre va fatta alla validità e trasparenza del processo metodologico che ha portato a quelle stime e non ad altre. 54 Il criterio, principalmente, utilizzato, come accennato in precedenza, è stato quello dell’interrogazione degli operatori e degli esperti che seguono a vario titolo l’andamento del fenomeno. I dati numerici da essi proposti localmente (ossia del territorio di loro competenza) hanno rappresentato l’unità del primo stadio di conoscenza. Gli operatori – appartenenti a diverse associazioni – hanno dato anche valutazioni diversificate sulla consistenza numerica della prostituzione di strada in quanto rispecchiavano la loro percezione nel contesto specifico di intervento. Queste diverse cifre sono state confrontate in occasione di ulteriori incontri avvenuti tra il gruppo di ricerca e alcuni degli operatori precedentemente coinvolti. In tali occasioni è stato possibile trovare accordi su medie numeriche ragionevoli in grado di poter definire quantitativamente il fenomeno ad un livello cittadino o a livello di area territoriale più ampia di quella dove l’équipe svolge la sua specifica attività di intervento. Questa operazione, congiuntamente, a quella effettuate a livello interregionale (discutendo con quegli operatori o studiosi che avevano una visione nazionale del fenomeno) ha permesso l’elaborazione di ulteriori medie numeriche di ampio raggio. Quest’ultima operazione ha rappresentato l’unità di secondo stadio che ha permesso di operare poi delle stime sia a carattere regionale che nazionale. Un altro aspetto non secondario è stato quello di valutare l’andamento del fenomeno negli ultimi due anni (primavera 2001- primavera 2002). Per la gran maggioranza degli operatori intervistati il fenomeno della prostituzione straniera in questo arco di tempo è rimasto – considerando i rispettivi territori di intervento - sostanzialmente stabile (e per approssimazione successiva possiamo affermare lo stesso a livello nazionale) per due ordini di motivi: a. il primo, perché è aumentata la caratteristica di transito dell’Italia rispetto al traffico di donne e di minorenni a scopo di sfruttamento sessuale. Nel senso che alcuni gruppi di donne arrivano, esercitano la prostituzione per qualche mese e poi si dirigono verso altri paesi europei, in particolare verso la Spagna (a Madrid e a Barcellona, soprattutto albanesi, moldave e rumene, nonché altri gruppi di donne di altri paesi dell’Est); verso la Francia (nell’area parigina e a Marsiglia, sempre albanesi e donne dell’Est), verso il Belgio e l’Olanda (rispettivamente nell’area di Bruxelles e in misura minore di Liegi e di Amsterdam), nonché l’Inghilterra (soprattutto nell’area londinese) e la Germania (sulla direttrice Monaco, Berlino ed Amburgo, in particolare albanesi, nigeriane e rumene). Al contrario, alcuni gruppi di donne straniere - che intendono esercitare la prostituzione oppure gruppi di donne trafficate (adulte e minori) e destinate pertanto con la forza alla prostituzione - arrivano dalla Spagna (soprattutto gruppi di nigeriane, di ghanesi, di latino-americane e in piccola parte marocchine) attraversando clandestinamente lo stretto di Gibilterra o arrivando con regolare visto turistico direttamente da Lagos o da Casablanca. Oppure dalla Francia (via Parigi o via Marsiglia, in particolare nigeriane e centro-africane in genere) ed anche dall’Inghilterra (via Londra, soprattutto nigeriane, centro-africane e latino-americane) e dalla Germania (via Amburgo e Berlino soprattutto donne ucraine, bielorusse, russe, rumene e bulgare). Le modalità di ingresso sono quelle più comuni: o in maniera irregolare attraversando in vario modo la frontiera o in maniera regolare con visti turistici o altra documentazione artefatta; b. il secondo, perché il mercato appare – dal lato dell’offerta - piuttosto saturo e completo, soprattutto nelle aree di vecchio insediamento prostituzionale (come le grandi città settentrionali e centrali) con la conseguente riduzione delle tariffe economiche per le prestazioni sessuali accordate. La necessità di calmierare i prezzi e di mantenere attraente l’offerta prostituzionale impone – soprattutto alle organizzazioni criminali – una certa regolazione del mercato. Per tale ragione interi gruppi di donne vengono spostate dalle aree settentrionali a 55 quelle meridionali (soprattutto in Campania, in Puglia ed in piccola parte in Calabria, in Sicilia e finanche in alcune aree urbane della Sardegna) e – come accennato al punto precedente – anche verso altri paesi europei. Questi spostamenti di carattere interregionale sulla direttrice Nord-Sud avvengono, da un lato, allo scopo di ridurre l’offerta nelle aree settentrionali – riportandola in equilibrio con la domanda di servizi sessuali in modo che possa permettere di perpetuare adeguatamente i guadagni previsti - e, dall’altro, coprire nuovi mercati, ridurre la concorrenza ed incrementare così nuove entrate economiche. Ovviamente, non c’è una centrale operativa criminale a livello nazionale che gestisce i processi di distribuzione delle donne destinate alla prostituzione, ma una miriadi di piccole e grandi organizzazioni che conoscono il territorio nazionale, ne sanno leggere i meccanismi che soggiacciono alle produzioni illecite, sanno accordarsi con la malavita nostrana per l’affitto continuato – o a tempo determinato - di strade ed aree dove insediare le donne da sfruttare, eccetera. Ciò che invece si è andato modificando in maniera rilevante (un po’ su tutto il territorio nazionale) è proprio la presenza delle donne minorenni dalla strada, la diversa composizione dei gruppi nazionali e i luoghi di esercizio della prostituzione. Non più la strada, o quasi esclusivamente la strada, dunque, ma anche, in misura più consistente, gli appartamenti oppure i club privè, le discoteche e tutta quella miriade di locali di intrattenimento e di divertimento. Locali che aprono (e sovente anche chiudono) in continuazione in molte grandi città settentrionali e in misura minore del Centro (ad eccezione dell’area romana, dove l’apertura di locali del genere è piuttosto accentuata in quanto aprono e chiudono continuamente quasi a livello stagionale)65. Questi luoghi sono frequentati in gran maggioranza da donne dei paesi dell’Est (e del Sud-est asiatico) e da qualche tempo anche da gruppi di albanesi e in misura molto minore da donne africane (piccoli gruppi di nigeriane e di ghanesi) e latino-americane (soprattutto di colombiane, peruviane e venezuelane), nonché asiatiche (soprattutto filippine e in misura appena visibile di donne thailandesi e cinesi). La trasformazione qualitativa – tra l’altro tuttora in corso dell’esercizio della prostituzione, in particolare per alcuni gruppi nazionali, implica una modifica sostanziale anche dei rapporti prostituzionali, in quanto fa supporre che tra i contraenti si siano aperti spazi di negoziazione delle condizioni di sfruttamento con qualche beneficio sostanziale per quelle femminili. Inoltre, dall’insieme delle informazioni acquisite, è possibile stimare che il passaggio dell’esercizio della prostituzione dalla strada agli appartamenti e nei locali di intrattenimento e svago interessa circa un terzo66 dell’intera componente coinvolta, volontariamente o involontariamente, nel settore. Ciò interessa in maniera predominante le componenti albanesi, moldave, rumene e in genere quelle degli altri paesi dell’Est europeo e molto meno le donne centro-africane. Al punto che in questa fase storica (intendendo grosso modo il periodo sopra accennato) la prostituzione di strada sembrerebbe in buona sostanza appannaggio di queste ultime componenti e in misura molto minore delle altre. Questo passaggio è iniziato soprattutto a causa delle azioni di contrasto attivate dalla Forza pubblica e a causa dell’offerta di servizi di protezione sociale avviate con disposizioni normative 65 A tale proposito cfr. Fondazione Internazionale L. Basso (a cura di), Lavoro servile e le forme di sfruttamento paraschiavisticche, cit. p. 93 e segg. 66 Questa percentuale è quella che una buona parte degli operatori intervistati usa per stimare le consistenze numeriche del processo in corso, ossia del passaggio dalla strada agli appartamenti o nei club di vario genere delle donne coinvolte nella prostituzione. Molti operatori, in relazione al loro contesto di intervento, affermano, infatti, che nel periodo considerato un numero consistente di donne dell’Est (comprese le componenti albanesi) hanno lasciato la strada in misura di due su tre. Pertanto sulla strada restano quasi esclusivamente le donne nigeriane e una piccola parte di donne dell’Europa orientale. 56 mirate. L’incisività delle azioni di contrasto contro lo sfruttamento e di protezione sociale in favore delle vittime ha innescato questi processi di trasformazione strutturale del fenomeno. Secondo altri operatori queste trasformazioni del fenomeno hanno interessato in profondità anche quella parte di prostituzione caratterizzata dalla presenza di donne minorenni. Infatti, essi spiegano il passaggio delle donne minorenni dalla strada agli appartamenti (e molto meno nei locali pubblici) con il fatto che in tal maniera possono sfuggire più facilmente ai controlli della Polizia e che pertanto i loro sfruttatori e “magnaccia” rischiano solo marginalmente di essere intercettati ed arrestati. Ipotesi di stima delle donne (adulte e minorenni) che esercitano la prostituzione di strada tra stanzialità e mobilità Le stime proposte Questa considerazione, secondo altri operatori ed esperti del fenomeno, è anche la ragione per cui le donne minorenni in strada appaiono in numero piuttosto ridotto rispetto a qualche anno addietro; mentre per altri operatori – si può dire per la grande maggioranza di essi - è la prostituzione minorile in generale che ha una incidenza bassa sull’interno fenomeno, proprio perché le pratiche di assoggettamento continuato sono molto più rischiose per gli sfruttatori e per gli approfittatori di ogni genere. In pratica – come vedremo meglio in seguito – pur in presenza di guadagni maggiori, derivanti dallo sfruttamento di minorenni, gli sfruttatori sono coscienti che anche i rischi di intercettazione e di arresto sono altrettanto maggiori. Dalle informazioni acquisite, inoltre, come accennato, è stato possibile definire anche l’ammontare dell’universo delle donne che esercitano la prostituzione a livello delle singole Regioni e stabilire, sempre secondo le stime elaborate sulle informazioni acquisite dagli operatori, l’incidenza della componente minorile, come evidenzia la seguente Tab. 5. Nella tabella è possibile rilevare - per il periodo considerato, cioè dalla primavera del 2001 alla primavera del 2002 – che la prostituzione di strada (e non la prostituzione straniera in generale) oscilla, attualmente, da un minimo di circa 10.000 unità ad un massimo di circa 13.000, con una incidenza delle minorenni del 4,3 al 6,2% (ossia del 5,2% medio)67, pari, in valori assoluti, ad una cifra compresa tra le 542 e le 663 unità. Si tratta di cifre che riflettono un fenomeno piuttosto grave, soprattutto dal punto di vista esistenziale ed emotivo delle vittime. Sono cifre altresì che riflettono – in prima approssimazione – la percezione degli operatori di strada che intervengono nel settore da tempo prolungato e pertanto hanno acquisito al riguardo una considerevole professionalità, sia nell’attivazione di programmi di protezione, sia nella lettura – anche numerica delle donne coinvolte - che nell’osservazione del fenomeno nella sua evoluzione e trasformazione quanto-qualitativa. Occorre aggiungere che sono stime che “fotografano”, in maniera sintetica, una situazione particolare rapportabile al periodo all’esame. Ciò sta a significare che il fenomeno – nel suo complesso – può trasformarsi ancora e cambiare la sua configurazione strutturale nel breve periodo. 67 Percentuale che è quasi identica a quella che si riferisce alle minorenni prese in carico dai servizi territoriali di protezione sociale (cfr. Tab. 2). 57 Tab. 5 – Stime di donne e minori che esercitano la prostituzione di strada per Regione (primavera 2001 – primavera 2002, v.a.) Regione Stime marzo/aprile 2000Di cui: Minorenni marzo/aprile 2002 Min Max Min Max C. * in % Piemonte 1.000 1.200 65 78 5-8 Lombardia 1.800 2.200 72 88 3-5 E. Romagna 800 1.000 72 90 8-10 Veneto 1.000 1.200 90 108 8-10 Altre Nord 500 800 35 35 6-8 Sub-totale 4.900 6.400 334 399 Lazio 2.000 2.300 100 115 4-6 Toscana 700 1.000 25 35 3-4 Altre Centro 500 700 21 30 3,5-5 Sub-totale 3.200 4.000 146 180 Abruzzo 300 500 12 20 3-5 Campania 800 1.100 32 44 3-5 Puglia 200 400 8 16 3-5 Calabria 100 150 4 6 3-5 Altre Sud 150 200 6 8 3-5 Sub-totale 1.550 2.350 62 94 Media coefficiente 4,3-6,2 Totale generale 10.450 12.750 542 673 C = Coefficiente medio. Il coefficiente per regione è quello proposto dagli operatori intervistati durante le interviste collettive; per le regioni, invece, dove sono state fatte interviste individuali (quelle di Torino, di Modena e di Rimini) si tratta di un coefficiente derivato dalla media aritmetica tra le diverse percentuali proposte, ma che comunque erano abbastanza simili. 3.4. La prostituzione stanziale e la prostituzione itinerante-camminante. Gli assi territoriali di spostamento e la posizione dei minori I fattori caratterizzanti Le interviste agli operatori, come accennato, hanno riguardato le principali città meridionali, centrali e settentrionali68 ed hanno coperto, in sostanza, gran parte del territorio nazionale, privilegiando le aree di maggior concentrazione del fenomeno prostituzionale. Ciò che emerge con altrettanta chiarezza dalle interviste è il fatto che non tutta la prostituzione di strada può definirsi stanziale, ossia ancorata a particolari aree geografiche, a particolari quartieri delle grandi o piccole città o a particolari tratti delle strade provinciali di grande e medio scorrimento. A fianco a questa forma di prostituzione – che gli operatori interpellati al riguardo stimano mediamente, a parte alcune eccezioni, tra il 60 e il 70% dei totali rilevabili nei contesti di riferimento – se ne rileva un’altra che possiamo definire mobile, cioè una prostituzione itinerante- camminante, nel senso che si caratterizza per la sua alta mobilità geografico-territoriale. 68 Le città del Sud coperte dalle interviste sono state: Crotone, Catanzaro, Reggio Calabria, Brindisi-Lecce, Bari, Napoli, Caserta ed Ascoli Piceno; quelle del Centro sono state: Roma, Perugia, Firenze, Livorno; quelle del Nord invece: Torino, Milano, Bergamo, Brescia, Mantova, Venezia, Modena, Bologna, Ravenna, Rimini. 58 Infatti, ciò che appare più accentuata, rispetto ad un anno e mezzo/due anni addietro, è l’alta mobilità di alcune componenti femminili che praticano la prostituzione. Secondo alcuni intervistati è possibile stabilire una equazione tra la regolarità delle certificazioni di soggiorno in possesso delle interessate, la maggiore o minore età delle donne invischiate nel settore, la condizione di volontarietà o involontarietà che caratterizza i differenti gruppi nazionali che esercitano o sono costrette ad esercitare la prostituzione e il loro tasso di stanzialità o mobilità. Nel senso che più consolidato appare lo status delle donne che praticano la prostituzione (possesso di certificati e documenti in regola, maggiore età, possibilità di negoziazione delle condizioni sottostanti il rapporto prostituzionale, compartecipazione ai guadagni che si acquisiscono, eccetera) e maggiore risulta essere la loro stanzialità o la propensione alla stanzialità e alla stabilizzazione territoriale. In tale condizione appare può conveniente alle parti coinvolte ad insediarsi in una specifica località è svolgere l’attività prostituzionale con maggior tranquillità o comunque all’interno di dinamiche negoziabili (anche se con vantaggi asimmetrici sfavorevoli alla donna). In questo ultimo caso è possibile anche parlare di prostituzione-negoziata, cioè di una forma di sfruttamento (e tale rimane) che tiene conto di alcune necessità di base della donna coinvolta e ne permette la realizzabilità (sono in pratica quelle minimamente indispensabili a non determinare ed alimentare conflitti laceranti all’interno del sistema prostituzionale). Al contrario, più vulnerabile appare lo status delle donne che praticano la prostituzione (mancanza di regolari documenti o sequestro degli stessi da parte degli sfruttatori, minore età e assenza assoluta di possibilità di negoziare le condizioni del rapporto prostituzionale, irrilevante compartecipazione ai guadagni acquisiti, assoggettamento abusivo, coercitivo e violento, eccetera) e maggiore risulta essere la loro mobilità geografico-territoriale o quantomeno la loro propensione a sostenere continui spostamenti. In altre parole a fare dei trasferimenti continui la caratteristica di fondo del modo di esercitare la prostituzione. Insomma, una prostituzione caratterizzata da forme di nomadismo camminante, con soste più meno prolungate, dettate sia dalle opportunità lavorative e sia, soprattutto, dalla possibilità di nascondersi ed evitare al massimo l’esposizione ai controlli da parte della Polizia, nonché ad evitare avvicinamenti continuati da parte di operatori sociali interessati all’intercettazione delle vittime del traffico. E’ una prostituzione non negoziabile, costrittiva ed assoggettante anche perché costretta alla mobilità continua ed alienante lungo diverse direttrici interne (sul territorio nazionale) ed esterne (sul territorio europeo) di traffico. Queste direttrici di traffico – o assi direzionali come vedremo meglio in seguito - hanno una loro significatività non solo perchè permettono di valutare gli spostamenti generali che avvengono all’interno delle componenti prostituzionali itineranti-camminanti, ma anche perché permettono di effettuare logicamente anche delle operazioni numeriche delle medesime componenti. Infatti, i gruppi che soggiornano per un breve periodo in una delle diverse aree geografico-territoriali che compongono l’asse direzionale di riferimento possono trovarsi poco tempo appresso in un’altra area limitrofa e così via. Questo vuol dire che gli operatori impegnati sul campo di una certa area intercettano minori che si prostituiscono e dopo qualche settimana – data la loro repentina mobilità - sono intercettati da altre équipe in un’altra area più a Nord o più a Sud dell’asse di riferimento. Entrambe l’équipe potrebbero avere la sensazione di trovarsi di fronte a gruppi diversi di minori costretti alla prostituzione e che in una ipotetica conta (o stima) dovrebbero essere sommati gli uni agli altri, mentre si tratta sostanzialmente delle stesse persone. 59 Tale considerazione trova una ulteriore conferma nel fatto che la stanzialità delle diverse componenti costrette (o meno) alla prostituzione si aggira – come sopra accennato - intorno 60/70% circa. Ciò vuol dire che soltanto una quota compresa tra il 30 e il 40% è soggetta a forme più o meno intense di mobilità e tra queste una piccola parte (circa il 2%) ha una età inferiore ai diciotto anni. Ne consegue che nel calcolo generale (sopra proposto come stima) una parte delle componenti mobili sono state conteggiate dal gruppo di ricerca una sola volta, in quanto si tratta delle stesse persone e tra queste si trovano anche gli stessi minorenni intercettati – ad esempio - una volta a Napoli, un’altra a Roma ed un’altra ancora a Firenze o a Torino. 60 I principali assi direzionali della prostituzione nomade e camminante sul territorio nazionale Da questa ultima prospettiva è possibile individuare sei assi direzionali maggiormente utilizzati per praticare la prostituzione nomade, itinerante o camminante. Il primo Il primo è l’asse tirrenico, ossia la direttrice che si snoda sul versante ovest del territorio nazionale che collega le grandi città di Salerno, Napoli-Caserta, Roma, Firenze-Livorno, Genova-Torino. Su questa direttrice gli operatori rilevano che molte donne che esercitano la prostituzione - con le quali intrattengono rapporti di intervento sociale - si attivano significativi e continui spostamenti: la componente stanziale è stimata intorno al 55/65% e di conseguenza quella mobile intorno al 35%45%. Gli spostamenti avvengono a partire da epicentri diversi e variabili nel tempo. Ad esempio, per un certo periodo di tempo è stata la città di Roma ad essere lo snodo di smistamento principale delle donne coinvolte nella prostituzione, sia verso meridione che verso settentrione; in altri periodi è stata invece la città di Firenze e in altri ancora la città di Torino per il Nord e l’area di Napoli-Caserta per il Sud (soprattutto l’area litoranea che abbraccia la Baia Domitia e in particolare Castel Volturno, che tra l’altro mantiene ancora adesso una certa importanza per tutto il meridione, in particolare per le componenti nigeriane). L’importanza di queste ultime città dipende anche dal fatto che le organizzazioni criminali specializzate nel traffico privilegiano (per motivi spesso contingenti e di opportunità logistica) le frontiere d’ingresso confinanti con la Francia oppure quelle marittime della costa salentina e in misura minore direttamente quella campana. In tutte le città dell’asse tirrenico, come accennato in precedenza (cfr. Tab. 5), l’incidenza delle donne minorenni è abbastanza omogeneo. Essa è generalmente compreso tra il 3 e il 5%, con una punta più alta rilevata in una specifica area romana (quella costiera a ridosso di Castel Fusano – Ostia – Fiumicino) che si aggira intorno al 10-12% e nell’area torinese in quanto gli operatori del luogo intervistati stimano una incidenza media compresa tra il 5 e l’8%. Un fatto che appare altrettanto significativo è che in tutte queste città la mobilità interessa mediamente poco più di un terzo circa delle donne invischiate nel settore; Il secondo Il secondo è l’asse adriatico, ossia la direttrice che si snoda sul versante orientale del territorio nazionale che collega le grandi città di Udine-Pordenone, Gorizia-Trieste, Venezia-Padova, Modena-Bologna, Rimini, Ancona, Pescara, Foggia, Bari e Brindisi-Lecce. Anche su questa direttrice gli operatori rilevano che molte donne che esercitano la prostituzione e con le quali intervengono con progetti di protezione sociale hanno una mobilità accentuata che si snoda, in periodi diversi, da differenti città: qualche anno fa l’epicentro di concentrazione e quindi di smistamento del traffico di donne era l’area triestina, successivamente si è spostato su Gorizia ed attualmente sembrerebbe essere nell’entroterra confinante delle provincie di Padova e Venezia. Infatti, su queste città gli operatori rilevano nell’ultimo anno un tasso di mobilità delle donne coinvolte nella prostituzione molto alto e con una incidenza di minorenni altrettanto alto. Le donne che compongono il bacino prostituzionale a Venezia-Mestre è complessivamente sempre lo stesso, 61 cioè di circa 100/120 donne insediate nel quartiere Piave, ma a differenza di qualche anno addietro è più alto il numero di donne mobili rispetto a quelle fisse e stanziali. Attualmente gli operatori stimano una mobilità – su base mensile - che interessa circa il 75/85% delle donne che si prostituiscono nell’area veneziana (ossia il contrario di quanto si rileva sulla sponda tirrenica). Ciò vuol dire che nel corso dell’anno sono transitate circa 900/1000 nuove donne con una incidenza delle minorenni stimata mediamente sull’arco dell’anno intorno all’8/10% del totale complessivo (con punte che arrivano anche al 12-15% in particolari mesi), cioè circa un centinaio. Il dato altrettanto significativo che tali percentuali –sia quelle relative al turn over che quelle relative all’incidenza delle minorenni – vengono registrate anche a Modena e a Rimini, ma non ad esempio a Bologna, a Ravenna e a Forlì. E’ come se si fosse in presenza di sub-direttrici che seguono percorsi preordinati e che non si confondono per nulla con altri che scorrono parallelamente ad essi, ma con altre caratteristiche strutturali. In altre parole si registra una concentrazione di donne nell’area Padova-Venezia che vengono immediatamente instradate alla prostituzione per uno/due mesi (e ciò spiegherebbe anche, secondo gli operatori del luogo, l’alto numero di minorenni e l’alto numero di turn over locale) e successivamente, una volta svezzate e rese docili ai voleri degli sfruttatori (che le comprano), vengono distribuite nelle aree più meridionali; ossia: in quella modenese e riminese soprattutto e non nelle altre limitrofe (ciò si desume dal fatto che i dati di queste ultime non sono comparabili con quelli registrati nelle altre città emiliano-romagnole citate). Inoltre, i dati registrati nel triangolo Padova-Venezia, Modena e Rimini non sono comparabili neanche con quelli registrati dagli operatori che intervengono nell’area anconitana e in quella picena. Di fatto, sia ad Ancona che nelle altre cittadine marchigiane e sia ad Ascoli Piceno che a Teramo e a Pescara, il rapporto percentuale tra le donne stanziali e quelle mobili e camminanti è mediamente minore rispetto a quello registrato più a Nord, in quanto si aggira intorno alla media registrata sull’asse tirrenico (cioè 55/65% di donne stanziali e il 35/45% di itineranti-camminanti); così pure l’incidenza delle minorenni appare più comparabile con quella tirrenica che non con quella del triangolo Padova-Venezia, Modena, Rimini. Scendendo ancora più a Sud sulla direttrice Foggia- Bari – Brindisi - Lecce si rileva che l’incidenza delle donne minorenni e le percentuali relative alla mobilità sono simili a quelle registrate nelle altre città dell’adriatico-centrale e a quelle centrali che si affacciano sulla sponda tirrenica; Il terzo Il terzo è l’asse padano, ossia la direttrice settentrionale che si snoda sul territorio nazionale a partire da Ovest (dalla frontiera con la Francia) verso Est (la frontiera orientale con l’Austria e la Slovenia) che collega le grandi città di Genova-Torino, Asti-Alessandria, Milano-Brescia, VeronaVicenza e Padova-Venezia, coinvolgendo anche le città di Piacenza e Mantova da un lato e quelle di Novara e Bergamo dall’altro. Anche su questa direttrice gli operatori rilevano alcuni aspetti che abbiamo riscontrato in precedenza, mentre ne emergono altri che appaiono significativamente diversi. Ad esempio, nell’area torinese l’incidenza delle minorenni sembra attestarsi a metà strada tra quella media riscontrata sul versante tirrenico e sul versante centro-adriatico (cioè tra il 3 e il 5%) e quella media riscontrata nel triangolo Padova-Venezia, Modena e Rimini (tra l’8 e il 10%). La spiegazione è dato dal fatto che Torino, al pari di Padova-Venezia, è una città tutto sommato di frontiera e quindi di arrivo e temporaneo concentramento dei flussi prostituzionali, in attesa di ulteriore distribuzione territoriale. In altre parole Torino sembra raccogliere flussi provenienti 62 dall’asse tirrenico e dalla frontiera francese (ed in parte svizzera), al pari di Padova-Venezia per quanto riguarda i flussi provenienti dalla frontiera orientale. Al contempo, l’area torinese è anche insediamento prostituzionale per componenti albanesi (in minoranza) e nigeriane (in maggioranza), nonché di donne maghrebine e donne provenienti da altri paesi dell’Est e dall’America latina. Mentre le nigeriane hanno una mobilità piuttosto alta – sia a livello provinciale che interprovinicale e interregionale – le altre componenti appaiono più stanziali: infatti, per le prime gli operatori stimano una mobilità del 40/60%, mentre per le seconde una mobilità minore (tra il 20 e il 30%). L’incidenza delle minorenni sembrerebbe piuttosto bassa tra le donne albanesi e leggermente più alta tra le donne nigeriane. Per le altre componenti l’incidenza minorile appare ancora più bassa e addirittura assente tra le latino-americane. L’area milanese, invece, rappresenta sia il terminale dei micro-flussi provenienti da Torino e sia il luogo di smistamento verso il territorio della Provincia (ma anche verso Bergamo e Brescia) di quante esercitano in maniera pendolare; nel senso che vivono a Milano ma esercitano la prostituzione nelle diverse zone dell’interland (ad esempio, spingendosi fino ad Abbiategrasso, Melegnano, Gallarate, eccetera). In questa città – e nella sua area metropolitana ed finanche a livello regionale – l’incidenza delle minorenni sembra piuttosto bassa rispetto alle percentuali registrate a Torino e a Padova-Venezia, in quanto si attestano su quelle attinenti alle città tirreniche e a quelle dell’adriatico centro-meridionale, cioè tra il 3 e il 5%. Tuttavia occorre segnalare l’area mantovana che, da almeno un anno, sembrerebbe, secondo gli operatori intervistati, un centro di raccolta e smistamento delle donne che esercitano nelle cittadine limitrofe (gli operatori stimano una presenza di 30/40 donne che esercitano la prostituzione, di cui circa il 10/15% sono minorenni). Ragion per cui l’incidenza delle donne minorenni sul totale di quelle complessive stimate nell’area sembrerebbe più alta; essa appare ancora più alta di quelle torinesi e padovane-veneziane e quasi il triplo di quelle registrate nelle città centro-meridionali tirreniche ed adriatiche. Una importanza rilevante sembra l’abbia anche Brescia, soprattutto nell’ultimo anno, ed in parte anche Bergamo e Monza. Queste città sono anch’esse al contempo meta di micro-flussi prostituzionali e meta di esercizio stanziale della prostituzione. L’incidenza delle minorenni è simile a quella milanese. Stesse considerazioni possono essere fatte per Verona. Questa città è stata qualche anno addietro un importante crocevia di raccolta e di smistamento verso le altre città lombardo-venete ed emilianoromagnole (sulla direttrice Mantova - Piacenza-Parma e su quella Modena-Bologna), mentre attualmente questa funzione è svolta per tutta l’area nord-orientale, come abbiamo già accennato, dalla città di Padova e di Venezia con ingressi soprattutto a Trieste e a Gorizia. Il quarto Il quarto è l’asse umbro-casentinese romagnolo (verso Nord-est) e senese (verso Ovest), ossia la direttrice centro-settentrionale interna che si snoda sul territorio nazionale che interessa direttamente l’area perugina dove confluiscono le arterie provenienti da Sud-ovest con epicentro Roma, quelle provenienti dalla costiera adriatica con epicentro l’area anconitana e picena e quelle provenienti da Nord che hanno come snodi principali da una parte Firenze e dall’altro ForlìCesana-Rimini. Le città che ne fanno parte sono Terni (a Sud in direzione di Roma- Viterbo), appunto Perugia, Arezzo-Siena e verso Nord Cesena-Forlì-Ravenna. E’ la direttrice meno visibile rispetto alle altre, ma non per questo meno significativa. Anzi, proprio la sua apparente marginalità rappresenta il punto di maggior forza ben utilizzata dalle 63 organizzazioni criminali e delinquenziali. L’area perugina, pertanto, è quella dove la mobilità delle donne coinvolte nella prostituzione raggiunge percentuali abbastanza alte, stimabili intorno al 60/70% ed una stanzialità, di conseguenza, che ammonta a cifre comprese tra il 30 e il 40%. Il bacino di utenza, tuttavia, non è molto alto. Gli operatori stimano una presenza regionale che non supera le 70/100 unità, con un turn over a carattere stagionale che si ferma nei periodi invernali ed interessa dalle 150 alle 200 donne all’incirca. L’incidenza delle minorenni – soprattutto tra le donne dell’Est e le donne nigeriane – si attesta sulle medie riscontrate nelle aree tirreniche e centro-adriatiche (cioè tra il 3 e il 5%). Per quanto riguarda Arezzo e Siena il fenomeno della prostituzione stanziale è abbastanza ridotto, sia nella componente adulta che in quella minorile. Rilevante sembra essere il flusso di transito (che ammonta tuttavia a poche decine di casi), ma con scarsa incidenza minorile. Per quanto concerne, invece, CesenaForlì e Ravenna occorre sottolineare il fatto che seppur situate all’interno dell’area che abbiamo definito il triangolo Padova-Venezia, Modena e Rimini – caratterizzato da un’alta incidenza di prostituzione mobile e camminate e con un’alta incidenza della prostituzione minorile – il fenomeno dal punto di vista quantitativo sembra essere piuttosto modesto. Infatti, la presenza delle adulte non supera qualche decina di casi e la prostituzione minorile – a parere degli operatori del luogo intervistati - sembra essere quasi del tutto inesistente. Il quinto Il quinto è l’asse irpino- salentino, ossia la direttrice trasversale che collega la Puglia settentrionale, con una parte della Basilicata e la Campania. E’ proprio nell’area di confine all’altezza della Provincia di Foggia con quella di Avellino-Benevento da un lato e quella di Isernia-Campobasso dall’altro che questo asse, abbandonando quello che abbiamo definito adriatico, acquista tutta la sua importanza nel traffico di donne a scopo prostituzionale. In sostanza è l’arteria principale di confluenza in direzione di Napoli-Caserta e di Roma, ossia gli snodi principali in direzione delle città centro-tirreniche. Le città coinvolte sono quelle, appunto, salentine, con Lecce come area di frontiera e pertanto di confluenza di flussi prostituzionali non indifferenti, soprattutto per quelli provenienti dall’Albania. E’ un’area appunto di frontiera e quindi di transito verso settentrione. La prostituzione stanziale è molto ridotta a diverse decine di donne, con una presenza minorile quasi trascurabile. A Lecce, a differenza di altre città-frontiera, come Geneva-Torino, Trieste-Gorizia, Padova-Venezia, non si registrano particolari concentramenti di donne da instradare alla prostituzione e non si rileva neanche, come accennato, una presenza minorile socialmente visibile. Ciò si può spiegare col fatto che tutta l’area è piuttosto controllata a causa degli attraversamenti marittimi illegali e pertanto i contrabbandieri (di esseri umani) sono costantemente sotto pressione da parte delle Forze dell’ordine. Una ulteriore pressione investigativa-giudiziaria, anche se contro la categoria dei trafficanti e degli sfruttatori della prostituzione minorile, la criminalità organizzata italo-albanese coinvolta nel settore non sarebbe, probabilmente, in grado di sostenere. Si preferisce, dunque, perpetuare gli illeciti derivanti dagli attraversamenti di frontiera che quelli correlabili alla prostituzione soprattutto minorile. Questa appare, tra l’altro, trascurabile anche nell’area brindisina e barese, nonché foggiana. Il fatto significativo è quello che, secondo gli operatori intervistati, molte delle donne che praticano la prostituzione più stanziale è quella che arriva dal Nord: o seguendo l’asse adriatico o quello all’esame, provenendo dalle aree di Frosinone-Roma da un verso e di Napoli-Caserta dall’altro; 64 entrambe queste aree si caratterizzano come luoghi di costituzione dei flussi prostituzionali che migrano – in parte stagionalmente e in parte in maniera più stanziale – verso le regioni meridionali. Si tratta in genere di donne che hanno i documenti in regola, che hanno una età maggiore dei diciotto anni, che hanno una certa autonomia e capacità di negoziazione con gli sfruttatori. Non mancano donne prive di certificazioni di soggiorno, specialmente nei gruppi nigeriani che attualmente, tra l’altro, appaiono quelli più numerosi. In pratica le donne dell’Est che entrano dalle coste salentine sono quasi completamente transitanti e si dirigono verso le aree settentrionali. Alcuni gruppi, invece, soprattutto di centro-africane (nigeriane e ghanesi), di colombiane e di peruviane esercitano la prostituzione itinerante-camminante (ad alta mobilità) e stanziale, in quanto si muovono in direzione contraria, scendendo, infatti, da Roma-Frosinone e da NapoliCaserta (con il particolare snodo formato dall’area domiziana) verso le provincie pugliesi e in minima parte lucane (che con l’area di Tricarico sono state per qualche tempo uno snodo importante in direzione Nord) e calabresi. Il sesto Il sesto è l’asse tarantino-calabro-peloritano, ossia la direttrice jonica che collega la città di Taranto, con quella di Metaponto, di Sibari-Rosarno, di Crotone, di Locri, di Reggio Calabria, di Messina-Catania e di Palermo. Si tratta di un asse ancora in rodaggio, nel senso che le donne che esercitano la prostituzione stimate sono alcune centinaia e distribuite in maniera eterogenea su tutto l’asse. Le aree di maggior presenza sono quelle tarantine-metapontine (in quanto rappresentano lo snodo stradale per la direttrice jonica, la statale 106), sibaresi-rosarnesi e in misura minore quella crotonese e della locrite. Mentre nell’area di Reggio Calabria e Messina – Catania la presenza è più marcata, così pure a Palermo. Nell’insieme queste città non raggiungono, comunque, nessuno dei livelli che si registrano in altre parti del territorio nazionale. L’incidenza della prostituzione minorile, a detta degli operatori intervistati, è quasi inesistente. Si rileva qualche caso isolato (due per la verità) e con esiti di accoglienza comunitaria sempre positivi di intervento. Si tratta di una prostituzione ad alta mobilità, in quanto – oltre a spostarsi longitudinalmente lungo l’asse – si sposta anche orizzontalmente verso il versante tirreno sulla direttrice Metaponto-Matera-Sapri, Sibari-Tarzia, Soverato-Lametia terme, Locri-Serra San Bruno-Tropea, oppure attraversando la Provincia di Reggio Calabria dall’entroterra cittadino. I principali assi direzionali della prostituzione nomade e camminante verso e da altri paesi europei La mobilità delle componenti minorili costrette alla prostituzione non avviene soltanto all’interno del territorio nazionale ma coinvolge, in un processo continuo di micro-flussi in entrata e microflussi in uscita, anche altri paesi europei limitrofi: sia come luogo di esercizio dello sfruttamento che come luogo di passaggio e di transito verso altri paesi ancora. In sostanza ciò che emerge dalle informazioni acquisite – e dalle riflessioni effettuate dal gruppo di ricerca – è il fatto che la mobilità dei minori all’interno dei circuiti prostituzionali coatti assume un andamento rotatorio che interessa simultaneamente aree del territorio nazionale (come abbiamo descritto sopra) ed aree del territorio europeo. 65 La simultaneità degli spostamenti a breve (città/area regionale), a medio (area interregionale/nazionale) e a lungo raggio (area transnazionale europea) e la comparabilità delle tecniche di spostamento ed organizzazione gestionale fa pensare ad un sistema di sfruttamento – soprattutto dei minori - a carattere europeo, ma con radici in sistemi locali impiantati nei diversi paesi nazionali. Anche in questa prospettiva il fatto caratterizzante è l’alta mobilità dovuta all’ansia e alla preoccupazione di prevenire qualsiasi opera di intercettazione da parte delle forze dell’ordine. Tre sono gli assi maggiormente utilizzati. a. il primo è l’asse alpino Nord-orientale sulla direttrice che - passando dal Brennero - arriva a Monaco e prosegue per Lipsia, Berlino per arrestarsi ad Amburgo. Gli snodi principali partono dall’area di Brescia, Bergamo e Verona per arrivare a Monaco ed alimentare gli Eros center, le case di appuntamento e i locali di intrattenimento sessuale “clandestini”. Da Monaco di diramano verso Nord-Est lambiscono le regioni dell’ex-Repubblica democratica per confluire nell’area di Berlino. Area che rappresenta al contempo un luogo di transito verso Amburgo da un lato e verso Praga e Varsavia dall’altro e viceversa, in quanto riceve micro-flussi di minori da queste ultime città. Berlino negli ultimi anni è diventato uno dei luoghi di maggior confluenza del traffico di donne e minori della frontiera orientale dell’Unione Europea. Ad Amburgo si attiva lo stesso meccanismo: sia perché interessa la prostituzione minorile a livello stanziale (anche se per brevi periodi) e sia perché interessa la prostituzione minorile a livello di transito verso l’Olanda ad Ovest e verso i paesi scandinavi e i Paesi Baltici a Nord-est; b. il secondo è l’asse alpino-sabaudo Nord-occidentale in direzione della Svizzera (Zurigo e Ginevra) e in direzione della Francia, in particolar modo di Lione. Città quest’ultima che funge da snodo francese: sia per gli ingressi in direzione dell’Italia (provenienti da Parigi e dalle grandi città spagnole) e sia per la distribuzione dei gruppi di minori finalizzati allo sfruttamento sessuale verso le altre grandi città, in particolare Parigi. Da qui le direzioni che si intraprendono sono quelle che portano a Bruxelles da un lato e a Londra (e alla Gran Bretagna in generale) dall’altro. Queste tre grandi città sono interessate da gruppi albanesi, rumeni ed ucraini, nonché dai gruppi nigeriani. Questi ultimi sembrano preferire soprattutto Londra dove possono contare sulle le reti comunitarie e i legami culturali derivanti dall’appartenenza della Nigeria al Commonwhelt britannico; c. Il terzo è l’asse alpino ligure-provenziale costiero ed interessa in primo luogo la città di Nizza e in secondo luogo la città di Marsiglia. Da quest’ultima arrivano direttamente micro-flussi di donne e minori da destinare alla prostituzione in Francia, in Italia e in misura minore per la Gran Bretagna e la Svizzera. Marsiglia compare piuttosto spesso nei racconti delle donne e delle minori costretti alla prostituzione sia come luogo di primo arrivo (sia di nigeriane che di albanesi e rumene) che come luogo di transito per altre destinazioni. Dalle città provenzali si snodano percorsi che portano verso Barcellona e a settentrione verso Madrid e a meridione verso l’Andalusia e la Costa Brava da un lato e verso Bordeaux e i Paesi baschi dall’altro. Sono aree anche di formazione dei flussi provenienti dal Sud, in particolare dal Marocco e dall’Algeria (soprattutto per le donne nigeriane, ghanesi e ivoriane, nonché argentine, colombiane e domenicane). In sintesi il coinvolgimento delle principali città europee nel traffico di donne ed anche di minori da inserire nel mercato dello sfruttamento sessuale è ormai evidente e accertato anche empiricamente. Ogni paese funge da area di sfruttamento e al contendo di passaggio per altre destinazioni. Queste sono le più varie e le più lontane l’una dall’altra. La lontananza in questo specifico traffico appare più un punto di forza che non un problema. Infatti, sembrerebbe che tanto maggiore è il giro territoriale che si intraprende e quanto minore sia la possibilità di essere intercettati dalle forze dell’ordine. La copertura da parte delle bande di trafficanti e sfruttatori degli spazi più nascosti ed impensabili all’interno delle diverse aree nazionali - e per approssimazioni 66 successive quelle transnazionali intra-europee - comporta necessariamente una maggiore mobilità. Fattore, quest’ultimo, ormai connaturato e strutturale al sistema di sfruttamento dei minori. 3.5. La posizione dei minori e le caratteristiche delle modalità di sfruttamento I diversi tipi di mobilità La minore età delle donne che esercitano la prostituzione da un lato e il rischio evidente di intercettazione da parte delle Forze dell’ordine che tale esercizio comporta per gli sfruttatori - a causa della severità delle normative di contrasto - dall’altro, sono i fattori che determinano, secondo molti intervistati, l’alto tasso di mobilità geografico-territoriale delle donne medesime e le sottostanti caratteristiche di sfruttamento. In sostanza, gli sfruttatori, per evitare di essere arrestati, producono delle forme di sfruttamento intensivo delle minorenni basate sulla mobilità che, come abbiamo accennato, è generalmente molto più alta di quella che caratterizza la prostituzione delle donne adulte. I diversi tipi di mobilità possono essere gestiti in maniera separata oppure rappresentare una catena susseguente di un programma pianificato di sfruttamento sulla base di periodi mediamente più lunghi. Un primo livello di mobilità è quello che possiamo definire mono-polare, ossia quello che avviene all’interno del singolo territorio cittadino e al massimo su quello provinciale. La minorenne viene costretta a prostituirsi in diverse parti della città o dell’area circostante, seguendo ritmi temporali che oscillano da qualche giorno fino a una/due settimane massimo per poi spostarsi in altre zone. Infatti, la minorenne esposta all’esercizio della prostituzione lavorerà in maniera intensiva e raccoglierà guadagni conseguentemente significativi. Questi, infatti, in alcuni contesti, si misurano – oltre che sulla prestanza fisica – anche sulla minore età delle prostitute concepita come un valore aggiuntivo particolarmente appetibile sul mercato sessuale. “Più sono piccole e più attirano clienti come mosche … anche quelli con gusti particolari … afferma uno degli operatori intervistati - …”lavorano in genere molto … sbaragliano la concorrenza delle adulte … guadagnano … due o tre volte di più a sera delle adulte della stessa nazionalità”, affermano degli altri. Ma il fatto che ci sono delle minorenni in strada – secondo altri interlocutori - crea comunque un allarme: “le stesse donne adulte telefonano alla Polizia (o per “solidarietà”, dicono alcuni operatori o per “eliminare la concorrenza sleale” dicono altri), oppure informano le Unità di strada o qualche servizio territoriale o – se hanno una qualche confidenza – informano anche i singoli operatori o poliziotti”. Ma una maggiore esposizione temporale finalizzata a ulteriori guadagni, che non sia quella caratterizzata dal giusto equilibrio tra il raggiungimento del massimo profitto con il minimo rischio di intercettazione, diventa controproducente per lo sfruttatore. Pertanto può evitare questo rischio soltanto aumentando il tasso di mobilità, sia per evitare l’intercettazione della minorenne e sia per evitare di farsi individuare, cambiando zona o territorio; oppure cedere la donna minorenne ad un’altra banda o un altro sfruttatore che la costringerà a prostituirsi nello stesso territorio per un tempo sufficiente ad intascare molti soldi e ad evitare nel contempo, a sua volta, di essere intercettato dalle Forze dell’ordine. Difficilmente, dunque, uno sfruttatore – o una banda di sfruttatori – mantiene una donna minorenne sulla stessa strada per molto tempo, ossia per più di quindici giorni/un mese per volta. “Quando accade, afferma uno degli intervistati, è perché gli sfruttatori (o lo sfruttatore) sono sicuri che la 67 donna non attiverà comportamenti finalizzati alla sua intercettazione e nel caso che ciò accadesse sono sicuri che lei negherà risolutamente la sua età a quanti gliela domandano”. “I ricatti e le minacce, in questi casi, affermano altri operatori, è in questi casi che svolgono la loro funzione assoggettante e producono quella sorta di paura paralizzante che costringe queste minori a perpetuare l’esercizio prostituzionale senza fiatare e senza porre problemi conflittuali. Diventano cioè docili e servizievoli allo scopo di non subire violenza”. Per gli sfruttatori, soprattutto a questo livello, avere delle minorenni sulla strada (o negli appartamenti) è una sosta di vanto, di orgoglio malavitoso-professionale, in quanto assume il valore di una certa sfida verso gli investigatori (“intercettatemi se siete capaci”) e di spavalderia e prestigio verso gli altri comparenti (“io posso avere una minorenne e sfruttarla per più tempo di voi perché sono il migliore”). In altre parole avere una minorenne è segno di maturità delinquenziale, di status malavitoso, di prestigio di nicchia, nonché di capacità di gestire i rischi che queste presenze comportano. Insomma, è un indicatore – per il milieux degli sfruttatori di donne – che misura la capacità degli sfruttatori di trovare il giusto equilibrio tra l’acquisizione di lauti guadagni e il rischio di non farsi intercettare, saper spingere più avanti possibile lo sfruttamento di una minorenne senza oltrepassare la linea di guardia utile a non farsi individuare ed arrestare. Un secondo livello di mobilità è quello che possiamo definire bi-polare, ossia quando avviene tra due aree territoriali specifiche che possono essere ubicate anche a distanza significativa l’una dall’altra ed abbracciare anche più regioni. Sono i collegamenti che possono attivarsi tra due o più grandi città situate sullo stesso asse direzionale (ad esempio, Napoli-Caserta-Roma), oppure su assi direzionali diversi (ad esempio, Firenze-Perugia), eccetera. La minorenne viene costretta a prostituirsi sia in differenti parti della stessa città o dell’area circostante e successivamente, dopo una certa esposizione temporale, viene costretta a prostituirsi nell’altra città, per poi tornare alla precedente con variazioni di percorsi occasionali in altre città ancora. “Questi passaggi da una città all’altra – o da aree diverse anche distanti – secondo il parere di uno degli intervistati, vengono organizzati tra persone che si riconoscono nella stessa banda (spesso familiari o compaesani provenienti dalle stesse zone di origine) e che svolgono attività di sfruttamento simili … ossia la banda di Perugia affida la minorenne – dietro un compenso che si paga anticipatamente – ad un’altra banda attiva a Cesena o a Siena o a Roma per un paio di settimane o poco più. Poi la riprende e magari la riaffida (sempre con compensi anticipati) ad un’altra banda che lavora su Mantova o su Torino e così via…”. Queste transazioni possono caratterizzarsi con scambi economici oppure con scambi di “merce”, cioè una donna in cambio di un’altra (se sono equiparabili come resa economica) oppure una donna in cambio di un’altra con l’aggiunta di denaro (se non sono considerate interscambiabili in quanto l'una frutta economicamente più dell’altra). “E’ ovvio, continua lo stesso intervistato, che la banda ricevente a sua volta può scambiare con le altre bande le donne minorenni in suo possesso. Infatti, invece di pagare in denaro la donna che riceve – e che le viene affidata per un certo tempo - può pagarla prestando ad altri le donne che lavorano per lui”. Il meccanismo che sembra caratterizzare questa forma di mobilità è quello della multiproprietà: ossia una serie di aguzzini che lavorano in diverse parti del territorio nazionale sfruttano, per un tempo limitato ma in maniera intensiva, delle donne che si passano reciprocamente l’uno con l’altro per prevenire il processo di intercettazione. Il vantaggio di questa pratica di reciproco scambio è la possibilità di gestire a rotazione le basi logistiche già sperimentate - e pertanto con margini elevati di sicurezza - di ciascun gruppo malavitoso senza dover cercarne di altri. L’altro vantaggio rilevante è che si abbattono i costi di 68 allestimento delle basi logistiche, della loro tenuta, del loro controllo e della loro disponibilità immediata. Non secondario è anche il fatto che l’insieme complessivo degli scambi che vengono effettuati da più organizzazioni produce un valore aggiunto che potremmo definire di sistema e quindi produce un meccanismo efficiente sempre pronto all’uso in qualsivoglia momento e periodo. Un terzo livello di mobilità è quello che possiamo definire multi-polare, ossia quando avviene tra molteplici aree territoriali specifiche che possono essere ubicate anche a distanza significativa l’una dall’altra ed abbracciare anche più regioni o paesi esteri contemporaneamente. Si tratta delle molteplici combinazioni che possono verificarsi allorquando le minorenni vengono spostate con maggior frequenza, sia dallo stesso sfruttatore che da sfruttatori diversi. Nel primo caso la relazione prostituzionale è vissuta da altri sfruttatori come un affare di coppia (sovente di tipo artigianale e “domestico”); mentre nel secondo caso siamo davanti a forme di sfruttamento più strutturate ed anonime, dove la coppia o la convivenza (a volte pur presenti) non rappresentano la caratteristica principale. Cioè vengono gestite da organizzazioni che hanno addentellamenti ramificati in differenti regioni e città capoluogo oppure in area agricole-rurali urbanizzate, sia all’interno del territorio nazionale che in quello transnazionale. In questo caso l’organizzazione agisce in maniera imprenditoriale, con maggior razionalità e distacco dalle dinamiche interpersonali con la vittima minorenne (e non). Giocano un ruolo decisivo le gerarchie tra quanti sono coinvolti nell’organizzazione e i loro livelli di conoscenza delle tecniche di sfruttamento e di gestione del “capitale umano” in dotazione. Non secondario è il grado di autonomia ciascun membro detiene nell’organizzazione medesima e che può liberamente – o in via condizionata – utilizzare o meno con discrezionalità. Significativo è anche il grado di autonomia dei singoli membri dell’organizzazione per attivare relazioni con altre organizzazioni, al fine di garantire le forniture di nuove minorenni o lo spostamento di quelle che già fanno parte della “scuderia” oppure di acquistarne o venderne delle altre e così via. Da un lato, dunque, le caratteristiche dello sfruttamento si basano sull’invischiamento emotivoesistenziale della donna allorquando sussiste un rapporto apparentemente privilegiato tra lo sfruttatore e la vittime stessa, dall’altro le caratteristiche dello sfruttamento sono quelle dell’imprenditorialità manageriale. Nell’uno e nell’altro caso per la vittima possono sussistere punti di forza e punti di debolezza dovuti alle diverse caratteristiche del rapporto. Nello sfruttamento a due si evidenzia con maggior facilità il fatto che il rapporto può evolvere in una direzione più vantaggiosa per la vittima, ma il controllo – per definizione – appare più serrato e vincolante. Nel rapporto imprenditoriale la vittima può godere di spazi relativamente più ampi a causa della lontananza che sussiste tra lei e la struttura di comando e di assoggettamento. Le figure intermedie dell’organizzazione (autisti, accompagnatori, addetti alla logistica, eccetera) possono funzionale da cuscinetti ed ammortizzatori in cambio di piccoli favori e di forme di connivenza reciproca. In entrambi i casi lo spostamento delle minorenni da un posto all’altro può essere affidato a degli autisti e/o accompagnatori. Nel caso che il rapporto sia a due tra sfruttatore/sfruttata, invece, il trasporto può essere effettuato anche dal così detto fidanzato. In genere gli accompagnatori sono persone adibite solo a questo compito, cioè portare le donne minorenni di città in città affidandole ogni volta ad altre persone che ne gestiscono lo sfruttamento temporaneo. Accompagnatori che non disdegnano – quando i guadagni sono maggiori – di spostarsi anche in altri paesi europei sulla base degli “assi alpini” sopra menzionati. In questi casi l’organizzazione necessità di forme di specializzazione più sofisticate, come la conoscenza delle lingue e la capacità di rapportarsi a bande delinquenziali e criminali straniere. 69 Una squadra di specialisti Per assolvere al meglio tale compito l’organizzazione ha a disposizione del personale che col tempo è andato via via specializzandosi. Si tratta di una vera e propria squadra di specialisti, le cui competenze variano col variare della complessità degli spostamenti, del reperimento di basi logistiche, di ambienti sicuri dove immettere le giovani vittime al fine di farle “lavorare” con elevati margini di sicurezza. Le figure principali con livelli di specializzazione adeguata in sintesi appaiono le seguenti: - - - l’accompagnatore (munito di patente e di certificazioni di soggiorno se straniero e di regolare cittadinanza se italiano) che gestisce i grandi spostamenti da un polo all’altro, continuamente, senza interruzioni di sorta, con una capacità di resistenza psico-fisica consistente. Ha una capacità di autocontrollo sperimentata e spiccate capacità di “recitazione”, anche in presenza di agenti di pubblica sicurezza. Conosce direttamente le persone a cui affidare le donne, si preoccupate di sistemarle adeguatamente in case che conosce altrettanto bene (spesso a fatto prima dei sopralluoghi) e di affidarle a persone di cui gode sufficiente fiducia. Persone che fanno parte direttamente delle organizzazioni (o comunque sono funzionali ad esse). L’accompagnatore verifica se tutto è a posto e in ordine. In caso contrario rileva le disfunzioni, cerca delle mediazioni dirette ad affievolirle oppure le segnala ai membri dell’organizzazione con competenze sanzionatorie e punitive. L’accompagnatore, pur di difendere la donna (considerata una “macchina che fa soldi”), può denunciare comportamenti scorretti provenienti da altri membri o da persone esterne all’organizzazione direttamente ai responsabili; l’autista che porta le donne minorenni sul luogo di esercizio della prostituzione e le riprende alla fine, occupandosi anche di risolvere problemi logistici e contingenti. Tra le nigeriane in genere sono donne quelle che svolgono queste attività di servizio; invece, tra i gruppi albanesi – che iniziano a praticare queste forme di specializzazione – , possono essere sia donne che uomini non particolarmente violenti. Anzi. Sono in genere uomini che sanno comunicare e farsi accettare dalle donne medesime, sanno prenderle dal verso giusto, riescono ad affievolire le contraddizioni e finanche i conflitti senza l’uso della violenza. Svolgono una funzione di mediazione tra le differenti figure che intervengono nel sistema di sfruttamento. L’autista – come l’accompagnatore – è la persona più vicina alla vittima, ne condivide, relativamente, anche alcune sofferenze, soprattutto affettive ed esistenziali. La donna gli fa piccoli regali in denaro, gli dà delle mance per chiudere un occhio quando serve, eccetera. Col tempo si stabilisce tra loro – e l’accompagnatore - una sorta di connivenza funzionale all’attività che reciprocamente svolgono; lo sfruttatore situato in aree dove il mercato del sesso è dinamico ed economicamente significativo che prende in consegna le donne e le fa lavorare secondo i ritmi usuali e standardizzati. cioè intensamente ed in maniera continuativa. Acquisisce i guadagni della giornata, li divide con gli altri membri dell’organizzazione, paga i servizi degli accompagnatori/trici e dell’autista (anche quelle figure coinvolte occasionalmente che non sempre sono persone organicamente affiliate all’organizzazione), fa piccoli investimenti (compartecipa all’acquisito di piccole e medie partite di droga, spende i soldi in beni di consumo e fa regali alle favorite, eccetera), affitta gli appartamenti (stando spesso in seconda linea). Insomma, è la persona specializzata nel gioco sporco è rappresenta il contraltare cattivo dell’organizzazione a fianco di quelli più discreti dell’accompagnatore e dell’autista. In altre parole è una delle figure di congiunzione tra le donne sfruttate, le figure di supporto logistico e i vertici dell’organizzazione (quando non si tratta delle stesse persone); 70 - il responsabile del gruppo (quando non è il diretto sfruttatore) è la figura di preminenza dell’organizzazione. Si tratta della figura di maggior responsabilità tecnico-organizzativa, in quanto assolve un ruolo quasi politico, cioè di contatto con le altre organizzazioni e con quanti – singoli individui o piccoli gruppi di persone – possono essere mobilitati e coinvolti nelle fasi di reclutamento, trasporto e assoggettamento delle giovani vittime. Inoltre, gestisce quasi completamente i proventi che le vittime guadagnano esercitando involontariamente la prostituzione. Sceglie come investirli, sceglie come distribuirli, sceglie come spenderli. Mantiene legami con le organizzazioni che possono far fruttare ancora di più i guadagni, diversificando il loro impiego in settori illegali altrettanto fruttuosi, come quello della droga e della compravendita delle armi, eccetera. Questa unità di sfruttamento (che può essere numericamente più piccola laddove i ruoli possono accorparsi in una o in quattro/cinque persone ed anche di più) svolge un’attività complessa in quanto complessa è la forma di mobilità multipolare che caratterizza questo livello organizzativo. E’ in sostanza il livello che più degli altri caratterizza la prostituzione itinerante-camminante, nel senso che gli spostamenti sono talmente tanti e frequenti che danno l’idea di stare sempre in movimento. Questa pratica prostituzionale costa molto e pertanto dalle minorenni sfruttate ed inserite in questo meccanismo i magnaccia-imprenditori si attendono molti guadagni. Rischiano anche di meno, in quanto i passaggi da sfruttatori a sfruttatori sono più frequenti ed avvengono in località distanti e sempre ritenute abbastanza sicure. Questo è il livello che si collega anche a forme di prostituzione mascherata, ossia a quella prostituzione coperta da altre attività lavorative lecite e formalmente legali, come accennato in precedenza. Inoltre, si rileva un’altra particolarità: chi si muove è la minorenne e il suo accompagnatore e quasi mai lo sfruttatore vero e proprio, cioè colui o coloro che materialmente gestiscono la pratica prostituzionale. Questi – o almeno una componente elitaria con caratteristiche imprenditoriali – aspettano la “merce”, dopo averla valutata, la comprano (o l’affittano oppure la scambiano con altre donne) e la sfruttano per un certo periodo di tempo e poi la rivendono o la ridanno indietro. La prostituzione minorile maschile. Similitudini e differenze con quella femminile All’interno del fenomeno della prostituzione minorile – in gran maggioranza di genere femminile – si evidenzia anche un segmento di prostituzione maschile (i cui contorni numerici sono di difficile definizione). Questa, a differenza di quella femminile, non sembra caratterizzarsi precipuamente come una prostituzione coercitiva e violenta, anche se la minore età dei diretti interessati, la colloca, giustamente, nella categoria della prostituzione involontaria (e pertanto perseguibile penalmente a prescindere). Dalle interviste effettuate al riguardo e dalle informazioni raccolte dagli operatori, è possibile, in linea di massima, tratteggiare sinteticamente la prostituzione maschile in tre categorie principali: a . la prima è quella che possiamo definire prostituzione da isolamento, ossia quel tipo di prostituzione che viene esercitata da minorenni isolati dal resto della comunità e dalle parentele di prossimità. E’ una forma di prostituzione che viene praticata principalmente per soddisfare bisogni di prima necessità in mancanza di altre possibilità di lavoro. Tra i gruppi di minorenni che esercitano tale attività con questo specifico scopo si evidenziano alcuni gruppi di curdi a Roma: sia per acquisire denaro per la propria sopravvivenza e sia per acquisire denaro per la sopravvivenza della famiglia, spesso al seguito ma in condizione di disoccupazione prolungata. 71 Si tratta di piccoli gruppi di minorenni stranieri che alternano la prostituzione serale con forme di accattonaggio ai semafori durante il giorno ed altre forme di lavoro avventizio e precario svolto intorno alle grandi aree commerciali del quartiere Esquilino e intorno alla Stazione Termini. Stessa pratica viene segnalata a Milano (sempre a ridosso della Stazione centrale), ma esercitata – secondo quanto appreso dagli operatori intervistati – da gruppi di minori rumeni e in qualche caso marocchini, soprattutto nelle primissime fasi di insediamento in città: o perché provenienti da altre città, ad esempio, da Torino o da Genova oppure da altre città straniere (da Barcellona, da Lione, da Marsiglia eccetera). Anche a Napoli vengono segnalati piccolissimi gruppi di minori maschi marocchini e tunisini che si prostituiscono perché in condizioni di povertà estrema, non soltanto perché senza lavoro ma anche perché senza adulti di riferimento e senza membri della comunità che possono offrirgli supporti logistici e relazionali. In questi casi gli operatori non sembrano propensi ad avallare la tesi dello sfruttamento coatto in quanto manca quasi sempre la figura dell’adulto che li sfrutta. Questa è una presenza gli operatori intervistati non l’hanno ancora registrata né a Roma, né a Napoli e né a Milano. Il che fa pensare a forme autonomo di prostituzione alternate con lo svolgimento di piccoli lavori di strada: dal lavavetri al venditore di fazzoletti e di accendini ai semafori. Ossia quelle attività lavorative al confine tra la questua e il piccolo commercio ambulante; b. la seconda è quella esercitata dai così detti “marchettari”, ossia minori che pur esercitando una forma di prostituzione (in quanto scambiano prestazioni sessuali dietro pagamento di denaro) non la definiscono tale e non vogliono che altri la considerino tale. L’ambiguità sta nel fatto che questa forma di prostituzione è esercitata da maschi (seppur minorenni) ed indirizzata ad una clientela altrettanto maschile, sovente adulta e in grado di pagare le prestazioni che riceve. Il marchettaro – che tra l’altro “si sente decisamente un maschio”, come riporta una operatrice intervistata - offre le prestazioni sessuali ad un altro maschio (“che in genere è un omosessuale”, come riporta la stessa intervistata) che le consuma svolgendo un “ruolo passivo di tipo femminile”. In questi rapporti c’è un doppio livello di ambiguità, giacchè l’adulto maschio-omosessuale (che nel rapporto svolge un ruolo “femminile”) paga un ragazzo (che nel rapporto svolge un ruolo “maschile”) come se fosse un uomo-cliente che paga per andare con una donna a pagamento (che nella realtà è un maschio che offre i suoi servizi sessuali). A parte questo scambio di ruoli in questi rapporti generalmente non c’è violenza, se non quella che potremmo definire fisiologica insita in questo tipo di scambi. Il fatto sanzionabile è dato sicuramente dal fatto che si tratta di scambi e compra-vendita di servizi sessuale tra adulti e minori dove la vulnerabilità di quest’ultimo appare evidente proprio in funzione della sua età; c. la terza è quella che potremmo definire come prostituzione transitoria in concomitanza di un processo di presa di coscienza della condizione di omosessualità da parte dei diretti interessati. Si tratta di una forma di prostituzione esercitata da gruppi di minorenni allorquando iniziano a maturare la convinzione di essere omosessuali. Trattandosi di un processo di maturazione anche conflittuale e contraddittorio l’esercizio della prostituzione può svolgere una funzione tranquillizzante. Nel senso che “il fatto di essere pagati – come dichiara un operatore intervistato - per l’esercizio della prostituzione svolta giustifica in qualche modo la sperimentazione che si sta facendo sulla propria identità sessuale”. Insomma, continua l’intervistato, per “una buona parte di questi ragazzi – sia di origine italiana che straniera – prostituirsi diventa un alibi per non accettare la propria omosessualità o quantomeno di sperimentarla fattivamente per meglio valutarla ed eventualmente accettarla”. “Svolgendo in maniera alternata un ruolo femminile e un ruolo maschile nell’esercizio della prostituzione – dice un altro degli intervistati – il minore in questione si mette doppiamente alla prova”. Se la sperimentazione riesce queste componenti minorili smettono quasi automaticamente di esercitare la prostituzione e, una volta accettata la propria identità sessuale, trovano altre modalità di esprimere la propria sessualità. 72 In tutte e tre le modalità di esercizio della prostituzione la violenza e la sottomissione che si riscontra per le componenti minorili femminili sembra non esserci. Questa caratteristica fa divergere significativamente la prostituzione minorile maschile da quella svolta – per lo più in maniera involontaria - dalle coetanee femmine. In quella maschile sembra esserci maggior consapevolezza, anche nella forma esercitata quanti restano isolati dalla comunità e dai membri adulti della famiglia. Ciò che in qualche caso gli operatori intervistati hanno riportato – e ci sembra utile sottolineare – è il fatto che nella squadra che gestisce lo sfruttamento delle minorenni a volte compaiono anche giovani minorenni maschi con funzioni tranquillizzanti e amicali oppure con funzioni coercitive. In questi casi il rapporto che i ragazzi hanno con i membri dell’organizzazione (o con uno di essi) è un rapporto di mero assoggettamento che i ragazzi tendono (incoraggiati a proposito) a riproporre alle giovani coetanee, ricalcandone pari pari la stessa violenza ed aggressività che subiscono dagli adulti 3.6. Osservazioni conclusive Nel delineare alcune osservazioni conclusive provvisorie di quanto è andato emergendo dall’analisi effettuata nei paragrafi precedenti, occorre, innanzitutto, sottolineare ancora una volta il fatto che il fenomeno della prostituzione straniera minorile appare in maniera estremamente complessa ed articolata. Da un lato, per la differente attenzione che pone la normativa nazionale ed internazionale sulla questione e per l’articolazione che assume in relazione agli ambiti sociali nel quale si sviluppa; dall’altro per il differente peso numerico che essa assume rispetto a quella adulta – anche in considerazione dell’incidenza delle minorenni nei diversi gruppi nazionali – e per il livello di mobilità che sembra caratterizzarla specificatamente. Non secondarie appaiono le differenti articolazioni che assumono le bande criminali dedite allo sfruttamento dei minori, al fine di prevenire l’intercettazione da parte delle Forze dell’ordine. Rispetto al primo aspetto, cioè quello della copertura normativa (nazionale ed internazionale), occorre rilevare che formalmente è un sistema che riesce a contrastare in parte il fenomeno, perlomeno a far sentire gli sfruttatori non del tutto sereni e tranquilli nel praticare le loro losche attività. Il parere pressoché unanime degli operatori è quello che non deve sussistere nessuna attenuante per gli sfruttatori – e per quanti concorrono a porre in essere le pratiche vessatorie - e tanto meno per lo sfruttamento e l’abuso sessuale in particolare. Viene meno cioè la distinzione tra esercizio volontario o involontario della prostituzione che si manifesta, seppur con contraddizioni, nel mondo delle pratiche prostituzionali che coinvolgono le adulte. Per le minori si tratta sempre di prostituzione coercitiva ed abusiva che lede l’interesse superiore del fanciullo come recita l’art. 3 della Convenzione Onu di New York. In questa prospettiva l’interesse superiore del fanciullo – oltre ad essere il principio ispiratore di qualsiasi intervento di protezione e di assistenza sociale attivato o attivabile da enti istituzionale e non, finalizzato a soddisfare le speciali e le specifiche esigenze che provengono dall’infanzia – deve anche potersi articolare nel diritto a non essere considerati oggetto di sfruttamento e pertanto ad avere garantito il diritto a non prostituirsi. Lo sfruttamento sessuale coatto ed abusivo è quello che più degli altri interessa le componenti minorili. Non si tratta, infatti, di coinvolgere i minori in attività lavorative deprecabili – e al contempo quasi tollerate in certi ambienti sociali -, ma di praticare su di essi modalità di assoggettamento che ricordano da vicino le pratiche para-schiavistiche. Ossia le pratiche che 73 spingono a vivere condizioni particolarmente dure che non è facile neanche modificarle allo scopo di uscirne fuori: o perché minacciati, violentati e percossi a ogni tentativo di contrapposizione, oppure perché vulnerabili ed invischiati in meccanismi servili che non permettono di prendere facilmente coscienza dello stato di asservimento. Rispetto al secondo aspetto, cioè quello dell’incidenza della componente minorile sull’universo complessivo della prostituzione femminile, occorre ricordare che i dati ufficiali – che tra l’altro negli ultimi anni vengono in qualche modo elaborati – ancora non permettono di cogliere adeguatamente l’entità del fenomeno. Però sia i dati del Ministero dell’Interno concernenti i reati di sfruttamento e di favoreggiamento alla prostituzione e quelli del Dipartimento per le pari opportunità concernenti le donne che ricevono protezione sociale in base all’art. 18 (T.U. n. 286/98), permettono di rilevare il rapporto tra prostituzione adulta e quella minorile riferibile alle rispettive utenze suddivise per nazionalità di provenienza. Sia nell’uno che nell’altro caso le minori ammontano ad una percentuale compresa tra il 4 e il 6% dei rispettivi totali, con una prevalenza di donne trafficate tra i gruppi nazionali dell’Est soprattutto albanesi, moldave e rumene (queste ultime fanno parte del gruppo nazionale che registra una incidenza di minori maggiore degli altri due). Un dato piuttosto significativo è quello concernente le donne nigeriane, in quanto – pur essendo il gruppo che ha attivato un percorso di protezione sociale in misura del 50% del totale (5.577 unità) – l’incidenza delle minorenni è piuttosto basso. Il numero di denuncie subite per lo sfruttamento e favoreggiamento interessano, in maniera diversa, i gruppi nazionali a seconda dei periodi storici presi in considerazione. Ad esempio, il gruppo aggregato come ex-jugoslavo nel quinquennio 1998-93 era quello maggiormente coinvolto, mentre alla fine degli anni Novanta il suo peso discende fino a diventare uno di quelli più bassi. Al contrario, il gruppo albanese, il gruppo moldavo e quello rumeno non avevano quasi nessun peso agli inizi degli anni Novanta, mentre alla fine del decennio il loro peso è fortemente aumentato. Tra i diversi gruppi delinquenziali dell’Est quello che si è sviluppato maggiormente rispetto agli altri è senz’altro quello albanese. Questo è passato dalle poche decine di denuncie registrate fino al 1993 alle circa 3.600 registrate negli anni successivi fino al 1999, rappresentando così il gruppo che detiene la gestione quasi monopolistica dello sfruttamento della prostituzione straniera: non solo quella delle connazionali, ma anche di altri gruppi femminili provenienti da paesi Balcani. Nel gruppo nigeriano il numero di denuncie è piuttosto ridotto. Dato che apparentemente è in contraddizione con quello rilevato dal Dipartimento per le pari opportunità. Infatti, i dati riguardanti il gruppo nigeriano rilevati da quest’ultima struttura sono, come accennato, piuttosto alti, mentre le denuncie agli sfruttatori sono piuttosto basse. Sembrerebbe, appunto, che le donne nigeriane tendono ad uscire dal giro prostituzionale senza conflitto una volta pagato il debito contratto con l’organizzazione e pertanto senza denunciare gli sfruttatori. Al contrario delle donne dell’Est che contribuiscono ad attivare denuncie, ma sono più caute nel chiedere servizi e protezione sociale. Rispetto al terzo aspetto, cioè quello della mobilità e delle caratteristiche dello sfruttamento prostituzionale minorile, va sottolineato il fatto che le bande di sfruttatori – sapendo di rischiare grosso con le minorenni – attivano modalità di sfruttamento molto flessibili. Lo scopo di tale scelta è quella di anticipare le pratiche investigative della Forza pubblica e sfuggire così alla loro intercettazione e conseguente arresto. La mobilità appare talmente alta che è possibile definire questa pratica prostituzionale itinerante-camminante, ossia una sorta di nomadismo a maglie strette lungo diversi assi direzionali. Assi che si caratterizzano sia per la loro verticalità (l’asse tirrenico, 74 l’asse adriatico e l’asse umbro-casentinese-romagnolo e senese), sia per la loro orizzontalità (l’asse padano e l’asse jonico) e sia per la loro trasversalità (l’asse irpino-salentino), mettendo in connessione grandi e piccole città quali luoghi dello sfruttamento sessuale. Mediamente la mobilità interessa tra il 30 e il 40% con variazioni a seconda dell’asse e degli snodi di concentrazione e di distribuzione che si sviluppano sull’asse medesimo. Non tutta la componente mobile è sovrapponibile a quella minorile, anche perché questa si attesta dalle 540 alle 670 unità (ossia quasi il 5% medio del totale stimato, cioè dalle 10.000 alle 12.700 unità). Cifre che si riferiscono alla prostituzione di strada, mentre quella che secondo gli operatori si svolge negli appartamenti raggiunge -–per le straniere – quasi il 30% del totale. Le aree geografico-territoriali maggiormente interessate dalla presenza della prostituzione straniera e – all’interno di questa – dalla presenza delle minorenni sono quelle settentrionali, seguite da quelle centrali e da quelle meridionali (a buona distanza dal punto di vista quantitativo). Le modalità di sfruttamento appaiono le stesse nei diversi contesti territoriali. Gli sfruttatori – in gran maggioranza - tengono le minorenni nello stesso luogo non più di una/due settimane fino ad un mese, poi le spostano in altre parti della città o le portano in altre città ancora; sovente le vendono - o le danno in affitto in cambio di denaro o di altre donne da assoggettare - ad altri sfruttatori che le tengono per un periodo altrettanto breve e poi le rivendono, eccetera. Questo continuo passaggio di minorenni da banda a banda serve agli sfruttatori appunto per non farsi intercettare. Avere, inoltre, una minorenne nel proprio business per alcuni sfruttatori è anche motivo di orgoglio, di vanto delinquenziale; giacchè significa “giocare a farsi intercettare e nel frattempo guadagno molti soldi”. Correre questo rischio per queste componenti di sfruttatori è la riprova del loro coraggio e della loro “maturità professionale”, in quanto riflette – secondo i canoni della loro sub-cultura - la capacità di coniugare alti guadagni in condizione di pressione investigativa da parte della Forza pubblica. Questa caratteristica determina anche forme gerarchiche delinquenziali: più capacità e destrezza si matura nello sfruttamento di minorenni e più prestigio ne viene in quanto fonte di rilevanti guadagni Ad un altro livello gli sfruttatori sono fermi e stanziali, in quanto sono le minorenni ad essere accompagnate in città diverse per essere sfruttate. La gestione viene effettuata da sfruttatori specializzate, con l’aiuto di fiancheggiatori che garantiscono servizi logistici alla minorenne e agli accompagnatori. Si tratta di un livello che tocca dimensioni imprenditoriali e che utilizzata le minorenni anche in ambienti che sono lontani dalla strada e per una clientela particolare. Riforniscono, cioè quelli che possiamo definire bordelli-ombra presenti in molte città ma mimetizzati da altre attività che fungono da copertura. Il fenomeno, dunque, seppur grave e preoccupante dal punto di vista qualitativo, ci sembra, con le dovute cautele, che non lo sia altrettanto dal punto di vista quantitativo. Le cifre proposte fanno sperare nella possibilità che il fenomeno possa essere affrontato Non siamo davanti ad un fenomeno che ci sovrasta e che per la sua grandezza inibisce qualsiasi tentativo di risposta. Al contrario, siamo davanti ad un fenomeno grave che si configura come para-schiavistico, ma che possiamo affrontare con interventi investigativi e giudiziari da un lato e di protezione sociale adeguate dall’altro. 75 4. Le condizioni di grave sfruttamento dei minori. Le interviste ai testimoni-chiave di Anna Maria D’Ottavi L’Europa intorno prosperava illesa (da “Fiumi di guerra” poesia di Erri De Luca) 4.1 Premessa La metodologia di ricerca adottata per cercare innanzi tutto di fotografare la situazione e poi di analizzarla e comprenderla, per quanto possibile, in profondità, è stata quella che si basa sulla effettuazione delle interviste a cosiddetti interlocutori privilegiati o testimoni chiave. Hanno cortesemente accondisceso a parlare con noi della delicata tematica dei “piccoli schiavi” oggetti di traffico internazionale a scopo di sfruttamento sessuale e/o lavorativo dei loro corpi e delle loro menti, responsabili ed operatori di istituzioni, servizi, organismi pubblici e del privato sociale che affrontano quotidianamente il problema. Gli interlocutori, con le loro parole, consentono – ognuno attraverso la propria ottica ed il proprio punto di vista operativo e di riflessione - un confronto ed una integrazione allo stesso tempo comparativa e cumulativa di conoscenze in un campo che si ritaglia un primato di dissimulazione, nascondimento e mascheramento di dati, presenze, condizioni di esistenza, biografie, all’interno di più vasti campi – quello dell’immigrazione clandestina, e segnatamente quello del “traffico” di persone da introdurre nei mercati della prostituzione e del lavoro paraschiavistico – a loro volta già fortemente caratterizzato, per definizione, da clandestinità, appunto, e da numeri e condizioni di vita perlopiù “oscuri”.69 Gli intervistati valutano che all’interno del non quantificabile universo dei cosiddetti “minori non accompagnati”, la quasi totalità dei soggetti sia utilizzata in forme paraschiavistiche di lavoro; una quota consistente, costituita prevalentemente da maschi, in forme di lavoro per di più illegali; una quota “residuale” ma non irrilevante - composta prevalentemente, ma non solo, da femmine – alla prostituzione. L’analisi dettagliata delle interviste non può prescindere dalla necessità di richiamare brevemente lo scenario in cui le stesse si pongono sia dal punto di vista della storia e del significato delle locuzioni che si useranno, sia da quello della cornice normativa. 4.2 Da minori stranieri a piccoli schiavi 69 Le persone sentite, che qui si ringraziano, appartengono alle seguenti organizzazioni: Associazione Differenza Donna, Associazione Eritros, Caritas CPM di Roma, Caritas di Torino Ufficio Pastorale Migranti, Caritas Roma Centri di Pronto Intervento per Minori, Comune di Modena -Servizio Minori, Comune di Roma - Assessorato alle Politiche Sociali, Comune di Torino - Ufficio Minori Stranieri, Comune di Venezia – Ufficio Città e Prostituzione , OIM area antitratta, Questura di Roma, Servizio Sociale Internazionale, Magistrato del Pool contro la violenza e l’abuso sessuale su minori, Associazione Parsec, Associazione On thr road, Associazione Lule, Associazione Regina Pacis, Cooperativa Magliana 80, Fondazione Internazionale L. Basso, Gruppo Abele di Torino, Cooperativa Lotta di Sesto San Giovanni, Lega italiana Lotta all’Aids del Lazio; cfr. lista testimoni chiave 76 “Secondo la Convenzione di Ginevra del 25 settembre 1926 e la Convenzione supplementare di Ginevra del 7 settembre 1956: ‘La schiavitù è lo stato o condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o alcuni di essi’. Pertanto ‘condizione analoga alla schiavitù’ deve interpretarsi come condizione in cui sia socialmente possibile, per prassi, tradizioni, circostanze ambientali, costringere una persona al proprio esclusivo servizio”70. E’ ormai noto da tempo, e viene posto in evidenza da parte di chi si occupa di minori stranieri che si trovano a vario titolo in Italia, che per bambini e ragazzi stranieri, è necessario innanzi tutto trovare un accordo sulla terminologia (e sul valore significante delle parole), da cui discende anche un possibile accordo sui dati numerici. Ciò in quanto, ad esempio, sono stati considerati come stranieri dei ragazzi che non lo sono (ad esempio, una parte dei Rom e Sinti nomadi con cittadinanza italiana) o, viceversa, si può voler ignorare il fatto che alcuni bambini provengono da una cultura differente (ad esempio i minori originari di paesi del terzo mondo adottati da coppie italiane che, come riferisce Von Blumenthal, erano valutati a ben 30.000 già nel 1994)71; o ancora perché si tende ad attribuire al "minore immigrato" una generica condizione di svantaggio rispetto ai ragazzi italiani; condizione di svantaggio che non tutti i ragazzi stranieri ed originari di paesi terzi necessariamente condividono (si pensi ai figli di dipendenti delle ambasciate e di organismi internazionali, oppure di intellettuali, artisti, eccetera). Esistono persino ragazzi nati in un paese straniero perché figli di emigranti italiani di ritorno, la cui rilevazione come "nati all'estero" ha talvolta falsato i dati relativi ai minori stranieri. Le ricerche che si sono maggiormente occupate dei minori stranieri sono quelle in ambito educativo, formativo, scolastico. Il recente rapporto Zincone72 così riporta all'attualità le possibili schematizzazioni di "un insieme composito di soggetti con caratteristiche personali e percorsi di vita tra loro differenti, che richiedono molteplici sforzi di comprensione e di elaborazione di risposte", e cioè: - bambini di seconda generazione nati in Italia da due genitori stranieri; bambini giunti nel nostro paese per ricongiungimento familiare;; bambini entrati in Italia, soli o con la famiglia, come profughi nomadi o ex nomadi Rom e Sinti, che non emergono se si considerano solo i dati sulla cittadinanza (possono essere italiani, ex iugoslavi, rumeni). Come, invece, alcune ricerche hanno da tempo sottolineato, esistono ormai da anni, quote crescenti di ragazzi stranieri "non accompagnati"73, portatori di notevoli e specifici bisogni, ma delle cui spesso miserevoli condizioni non si è preso atto se non di recente. I minori entrati in Italia come profughi o richiedenti asilo, rappresentano spesso una consistente presenza in termini percentuali, se è vero che in genere i minori non accompagnati rappresentano, durante eventi sociali di emergenza, tra il 2% e il 5% della popolazione di rifugiati 74, e che “le donne e i bambini costituiscono normalmente circa il 75% di ogni comunità di rifugiati”75. Ma accanto alla categoria di minori profughi o richiedenti asilo vanno considerati quei minori clandestini che entrano in Italia non soli o con familiari, ma con “trafficanti”. 70 Umani Ronchi G., Bolino G., Bonaccorso L., La tutela penalistica dei minori contro la violenza e lo sfruttamento sessuale (Leggi 66/96 e 269/98), in “Rivista Italiana di Medicina Legale”, XXI, 1999, p.854. 71 Von Blumenthal, V., L'educazione interculturale nelle scuole di Arezzo. Prime impressioni, in Susi, F. (cur.),"L'interculturalità possibile. L'inserimento scolastico degli stranieri", Anicia, Roma, 1995, p.185. 72 G. Zincone, (a cura di) “2° Rapporto sull’immigrazione degli immigrati, Il Mulino, Bologna, 2001 73 G. Campani, Z. Lapov, F. Carchedi, I minori stranieri non accompagnati, Rapporto di ricerca, Università di Firenze – Parsec, Roma, 2001 74 Cfr.Bambini in cifre, UNHCR, Roma, 2002. 75 Cfr. Rifugiati, UNHCR, Roma, n.1/2002. 77 “C’è una fascia di minori che è maggiormente a rischio, i minori non accompagnati, che significa che non hanno nessuna protezione tutoriale e, pertanto, alcuni segmenti di questi gruppi di minorenni possono incappare nei circuiti prostituzionali, sia per la sopravvivenza sia perché indotti da gruppi delinquenziali che abusano della loro vulnerabilità. Costoro li costringono a sottostare alla prostituzione coatta. Sono i segmenti più vulnerabili di questo insieme molto più ampio, che interessa il nostro paese negli ultimi anni, che sono, appunto, i minori non accompagnati” (Associazione Parsec). I minori stranieri hanno, ovviamente, i bisogni di tutti i loro coetanei da cui discendono quei diritti che, pur essendo definiti universali (diritto di avere una famiglia - possibilmente la propria un'abitazione, cibo sufficiente e vario, abiti decorosi e puliti; il diritto all'affetto e al gioco; il diritto a ricevere un'educazione e un'istruzione, eccetera), non per questo vengono di necessità soddisfatti. Essi hanno poi quelli che potrebbero definirsi bisogni "supplementari" i quali derivano dalla specifica condizione di piccoli migranti (in bilico tra due paesi, due mondi, due universi simbolici) e si differenziano in relazione alla loro provenienza (geografica e sociale), al loro sesso, al loro essere ancora bambini o già adolescenti, eccetera. (...) Queste considerazioni, danno la misura del deterioramento che la collocazione dei minori stranieri ha avuto in Italia, almeno per le sue fasce più marginali, quella che abbiamo definito dei “piccoli schiavi”, e di come per loro sia il riconoscimento che il godimento dei più elementari diritti di ogni minore, siano astralmente lontani. Nella presente ricerca la terminologia impone definizioni che vengono quasi rifiutate per l’eccessivo impatto intellettual-emotivo che possono provocare: definizioni, insomma che costringono a prendere atto di realtà che si vorrebbe ignorare, quale quella qui prescelta di “piccoli schiavi”. D’altra parte, dalla ricerca in questione, risulta che è particolarmente difficoltoso attingere a dati di una qualche ragionevole fondatezza: il fenomeno esiste, se ne vedono sintomi anche quando appaiono in maniera apparentemente sporadica nelle nostre strade, se ne avverte e se ne sottolinea la gravità e anche la non irrilevanza numerica da parte degli operatori delle strutture di recupero (alle quali strutture, si suppone, arriva però una minoranza dei minori sfruttati lavorativamente e sessualmente), ma è fenomeno quasi impossibile da “afferrare” per la debolezza, vulnerabilità ricattabilità estreme delle vittime. L’Ufficio internazionale del Lavoro (International Labour Office – ILO), con una manifestazione ufficiale tenuta il 12 giugno 2002 a Ginevra, e altre in diverse città del mondo, ha inteso lanciare la prima “Giornata mondiale contro il lavoro minorile”. Questa iniziativa può essere a ragione considerata il sintomo del fatto che, nonostante il crescente allarme, la situazione del lavoro minorile nel mondo va peggiorando. “Il rapporto globale A world without child labour 76– lo studio più approfondito finora realizzato sull’argomento – indica che lavorano nel mondo 246 milioni di minori – ossia uno ogni sei minori tra i 5 e i 17 anni. Fra i risultati più clamorosi, il rapporto segnala inoltre che circa 179 milioni di minori tra i 5 e i 17 anni (uno su otto) è tuttora esposto alle forme peggiori di lavoro: • Circa 111 milioni di bambini sotto i 15 anni sono costretti a lavori pericolosi dai quali dovrebbero essere immediatamente ritirati; 76 Rapporto globale presentato nel 2002 alla Conferenza internazionale del lavoro, come richiesto dalla “Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro” del 1998 (ILO, convegno “Prima giornata mondiale contro il lavoro minorile”, Roma, 12 giugno 2002). 78 • 59 milioni di giovani dai 15 ai 17 anni, anch’essi sottoposti a lavori pericolosi, hanno urgente necessità di protezione e dovrebbero essere ritirati dal lavoro; • 8,4 milioni di bambini sono sottoposti alle forme peggiori di lavoro minorile quali schiavitù, schiavitù per debiti, e altre forme di lavoro forzato come l’arruolamento forzato in vista di partecipazione a conflitti armati, prostituzione, pornografia e altre attività illecite. (…) Dal punto di vista della ripartizione geografica, il maggior numero di bambini al lavoro tra i 5 e i 14 anni si trova nella regione Asia-Pacifico: 127 milioni, il 60% del totale. Seguono l’Africa subsahariana con 48 milioni (23%), l’America latina e i Carabi con 17,4 milioni (8%) e il Medio Oriente e l’Africa del Nord con 13,4 milioni (6%).”77 La distribuzione di questi dati potrebbe spingere a considerazioni tranquillizzanti o “minimizzanti” circa il nostro paese, sia pur nella consapevolezza che “quando si parla di sfruttamento di lavoro minorile e ci si interroga su quello che si fa nel proprio paese per affrontare e debellare questa piaga, non ci si può limitare ad una visione esclusivamente ‘nazionale’, soprattutto quando in un paese industrializzato come il nostro, il fenomeno, alla pari di altri paesi avanzati, risulta abbastanza circoscritto e contenuto”78. Rimane la sensazione che le metodologie di indagine e rilevazione, nel nostro paese, seguano canali “ingessati” e poco aderenti ad una realtà sfuggente e mutevole. Ad esempio, il Report sui dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Inail intitolato al “Lavoro Minorile in Italia”, edito nel giugno 2002, riporta dati relativi all’anno 2000, risultanti da violazioni accertate nelle aziende ispezionate che occupano minori e da infortuni sul lavoro denunciati all’Inail: risulta abbastanza evidente che queste indagini lasciano fuori quel mondo “sommerso” di cui si occupa la nostra ricerca, e non solo quello. Quello che, però, è utile sottolineare, proprio per usare questi dati numerici – se è consentita questa forzatura metodologica – come elementi qualitativi descrittori di una temperie culturale, di una predisposizione etico-sociale, sono due “normali” aberrazioni di un paese in cui lo sfruttamento del lavoro minorile risulta, tutto sommato, circoscritto e contenuto. La prima è quella che tra le violazioni accertate (2.345 nel 1999, 2.525 nel 2000, 1.380 nel primo semestre del 2001) “le due violazioni che sono più gravi per il minore (lavori vietati ed età di assunzione) rappresentano, in media, all’incirca, l’11% del totale delle violazioni”79. La seconda è che “nel 2000, in Italia, gli infortuni sul lavoro di minori denunciati sono stati 24.776”80. E’ ben vero che qualcuno potrebbe dire “appena” 24.776 denunzie di infortuni sul lavoro occorsi a minori contro un totale di infortuni che assomma a 1.019.032 (sic!), ma è una magra consolazione sapere che, a fronte dei 25,7 infortuni sul totale infortuni su mille abitanti 15-65 anni, sono 13,6 gli infortuni di minori su mille abitanti della fascia15-17 anni81. 77 ILO, Convegno “Prima giornata mondiale contro il Lavoro minorile”, Roma 12 giugno 2002, relazione introduttiva, p.2. 78 ILO, Convegno “Prima giornata mondiale contro il Lavoro minorile”, Roma 12 giugno 2002, sintesi intervento C. Lenoci, Ufficio ILO Roma. 79 “Lavoro Minorile in Italia”, Report sui dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Inail, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Firenze, 2002. p.5. 80 “Lavoro Minorile in Italia”, Report sui dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Inail, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Firenze, 2002. p.9. 81 Cfr. “Lavoro Minorile in Italia”, Report sui dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Inail, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Firenze, 2002. tavole 5 e 6. 79 4.3 La normativa di riferimento Fin dal 1919 la Conferenza internazionale del Lavoro, alla sua prima sessione, adottò la Convenzione n.5 – sull’età minima di assunzione all’impiego nell’industria. Le date più recenti da ricordare sono: • “1998: la Conferenza adotta la Dichiarazione sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro. L’abolizione effettiva del lavoro minorile viene inserita nell’elenco dei quattro diritti fondamentali (gli altri tre sono: libertà di associazione e diritto di contrattazione collettiva; eliminazione di ogni forma di lavoro forzato; eliminazione della discriminazione nell’accesso al lavoro). La Dichiarazione prevede un rapporto globale annuale sulla situazione mondiale in relazione ai quattro diritti fondamentali: il rapporto del 2002 verte sul lavoro minorile) • 1999: la Conferenza adotta la Convenzione n.182 sulla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e l’azione immediata per la loro eliminazione (con relativa Raccomandazione n.190) • 2002: viene presentato alla conferenza internazionale del Lavoro il rapporto globale A future without child labour come richiesto dalla Dichiarazione fondamentale del 1998.” 82 Nonostante il crescente numero di ratifiche delle convenzioni ILO n.182 – sulla proibizione delle forme peggiori di lavoro minorile e l’azione immediata per la loro eliminazione – e ILO n.138 – sull’età minima per l’assunzione all’impiego -, come già evidenziato, lo sfruttamento del lavoro minorile è tornato a rappresentare una piaga endemica che i paesi occidentali non possono ignorare essendone spesso i mandanti ed i beneficiari. In particolare, poi, lo sfruttamento del lavoro minorile sta assumendo – in alcune componenti marginali - spesso le forme e le modalità che configurano la riduzione in schiavitù. In risposta all’allarme creato da queste nuove forme di riduzione in schiavitù, in particolare in quella odiosamente specifica dello sfruttamento di minori a scopo sessuale, il nostro paese si è dotato di una normativa apposita83. “Analogamente alle norme contro la violenza sessuale anche con l’art.1 della L.269/98 sono state apportate importanti modifiche al codice penale, avuto riguardo ai basilari principi contenuti nella Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre 1989 (ratificata dal Governo italiano con la L.27 maggio 1991, n.176) ed a quanto sancito nella dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996. Su tali basi viene quindi esplicitato che: “La tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale, costituisce obiettivo primario perseguito dall’Italia” (L.269/98, art.1). Proprio per dare pratica attuazione a siffatti ed elevati propositi gli articoli da 2 a 7 della L.268/98 vengono inseriti nella sezione I (dei delitti contro la personalità individuale), del capo III (dei delitti contro la libertà individuale), del titolo XII (dei delitti contro la persona), del libro secondo del codice penale, tra l’art.600 che riguarda la riduzione in schiavitù e l’art.601 relativo alla tratta e commercio di schiavi. (…) 82 ILO, Convegno “Prima giornata mondiale contro il Lavoro minorile”, Roma 12 giugno 2002, relazione introduttiva, p.2. 83 L. n.269 del 3 ago.98 “norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”; a cui si può far precedere dalla L. n.66 del 15 feb.96 “norme contro la violenza sessuale”. 80 Lo specifico riferimento a “nuove forme di riduzione in schiavitù” di cui al titolo stesso della L.269/98 appare a nostro avviso quanto mai opportuno per sottolineare da un lato l’attenzione dello Stato nei confronti del fenomeno dello sfruttamento sessuale del minore; dall’altro la giusta collocazione delle diverse fattispecie delittuose previste dal legislatore (ivi compresa la tratta dei minori) cui correlare la comminazione di adeguate sanzioni in relazione al bene giuridico protetto: la personalità individuale del minore ed il suo diritto ad un libero ed armonico sviluppo psicofisico”84. Come viene osservato, la normativa ha consentito all’Italia di rispondere agli impegni presi in consessi internazionali. Ma, come gli intervistati sottolineano, l’iniziativa ha dotato il nostro paese di una legge da molti considerata all’avanguardia. “Sull’onda emotiva di noti fatti di cronaca, il legislatore si è deciso, anche in adempimento di impegni internazionali, ad emanare nuove disposizioni per contrastare l’odioso e crescente fenomeno dello sfruttamento sessuale e pornografico dei minori. Il primo dato, che colpisce per l’impatto “simbolico” che è destinato a produrre, ma anche per i non pochi problemi interpretativi e pratico applicativi che può creare, è la collocazione sistematica dei nuovi reati tra quelli contro la “personalità individuale”. Più precisamente, il legislatore ravvisa nei fatti incriminati una forma tipizzata di “riduzione in schiavitù”85 . Nella norma del ’98, che prevede la fattispecie di “tratta e commercio di minori al fine di indurli alla prostituzione”, l’intenzione del legislatore è stata quella di rispondere alla “industrializzazione” di un fenomeno, di per sé non nuovo. “A noi pare che il fenomeno che il legislatore ha inteso colpire sia sicuramente proprio quello della mercificazione professionalmente organizzata del sesso minorile; con riguardo sia alle prestazioni sessuali vere e proprie che alla creazione e/o riproduzione di suoni e/o immagini più o meno “spettacolari” a contenuto erotico. In una parola ha inteso colpire “l’industria” del sesso minorile”86. Può essere utile, ai fini del presente lavoro, richiamare le idee-forza che hanno indirizzato queste innovazioni normative. “L’antitratta è una delle sei aree di servizio dell’OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni). Si dice antitraffiking focal point. La missione dell’Italia ha una particolare competenza per l’area balcanica e per il Maghreb: progetti regionali sui Balcani, principalmente di prevenzione. Quest’anno c’è anche il finanziamento di un progetto da parte del Ministero degli Esteri, sulla Nigeria. Questo esulerebbe dalla competenza della nostra missione, ma dato che è uno dei principali paesi di origine delle donne in Italia, lo abbiamo ottenuto e lo gestiamo con la Lila” (OIM, area antitratta). “Le linee guida percorse dal legislatore nella stesura della l.269/98 appaiono le seguenti: a. individuazione di precise figure di reato volte a reprimere specifiche fattispecie di sfruttamento dei minori a fini sessuali (art.2: prostituzione minorile; art.3: pornografia minorile; art.4: detenzione di materiale pornografico; art.5: iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile; art.9: tratta di minori; b. ampliamento delle possibilità di intervento repressivo da parte dell’autorità e della polizia giudiziaria (art.11: arresto obbligatorio in flagranza; art.12: intercettazioni; art.14: attività di contrasto; art.17: attività di coordinamento), con previsione anche dei fatti commessi all’estero (art.10); 84 Umani Ronchi et al., già cit. p.853. Flora G., La legge contro lo sfruttamento sessuale dei minori. Profili di diritto penale sostanziale, in “Studium Iuris”, 1999, pp.729-734, p.729. 86 Ibid. 85 81 c. recupero sociale del minore attraverso specifiche misure da adottarsi da parte del tribunale per i minorenni (art.2, 2°comma); tutela dell’immagine del minore (art.8) e della sua personalità, anche mediante particolari disposizioni processuali (art.13)”87. Nel corso del dibattito tecnico-giuridico sulla normativa è stato osservato che “la vera novità, sotto il profilo criminale, è rappresentata dall’incriminazione del fruitore delle prestazioni prostitutive effettuate da minori aventi un’età ricompressa fra quattordici e sedici anni (…); incriminazione che, grazie ad un’opportuna clausola di riserva, scatta solo quando non ricorrono gli estremi di più gravi reati quali ad esempio quelli di violenza sessuale”88. La norma, accanto ad una serie di circostanze aggravanti (relative all’età ed alle condizioni della vittima, ai rapporti tra colpevole e vittima; alle modalità di condotta del colpevole), prevede una attenuante: “l’unica circostanza attenuante speciale è costruita come condotta di ravvedimento postdelittuoso reintegrativo dell’offesa. Più precisamente viene prospettata una diminuzione di pena da un terzo alla metà ‘per chi si adopera concretamente in modo che il minore degli anni diciotto riacquisti la propria autonomia e libertà’, utilizzando una formula già ampiamente sperimentata in altri settori della legislazione penale”89. Sarebbe interessante – ma ciò non rientra tra gli scopi della presente ricerca – conoscere gli esiti, in termini processuali ma anche sociologici, dei primi anni di applicazione della normativa. E’ forse meglio specificare che non è reato per il “consumatore” quello di avvicinare minori fra i 16 e i 18 anni e usarne sessualmente, ma lo è per chi favoreggia e sfrutta, per di più ricorrendo alla tratta ed alla “riduzione in schiavitù”, con violenze, minacce abusi della inferiorità psichica o fisica del minore. Qualche intervistato, pur nella generale buona considerazione in cui viene tenuta la normativa, ne sottolinea l’incongruenza proprio sotto questo profilo. “Se ci si riferisce alla prostituzione di minori di 16 anni, quindi con l’ipotesi di reato prevista dalla legge 269/98 – e l’art. 600bis comma 2 del codice penale – che sanziona il rapporto con minori di anni dai 14 ai 16 dietro retribuzione di denaro o altre utilità, quello è un fenomeno. Poi c’è la prostituzione del minore degli anni 18 ma maggiore di anni 16, e quello non è sanzionabile. Quindi bisogna distinguere tra prostituzione volontaria e non volontaria, poi distinguere tra i casi rilevabili penalmente e non rilevabili penalmente”. “Qui colgo l’occasione – afferma lo stesso - per dire che una delle critiche, che ritengo più fondate, che sono state fatte alla legge, è che non si capisce perché si debba sanzionare il reato solo fino a 16 anni e la tutela non copra il minore fino a 18 anni” (Magistrato Pool contro violenza e abuso sessuale su minori). Viene anche sottolineato da alcuni testimoni che la norma può consentire – anche se non si tratta di casi generalizzabili – decisioni della magistratura che possono in qualche modo “risarcire” quanto subito dai minori schiavizzati e prostituiti. “Ultimamente abbiamo ottenuto un’altra sentenza, la liquidazione totale del danno biologico, il nocumento totale che un evento del genere può causare (come per un incidente). Questa cosa è stata riconosciuta ed è stata liquidata interamente per la prostituzione, per delle ragazze seguite da noi” (Associazione Differenza Donna). Altro elemento positivo della normativa in questione è la previsione formale della instaurazione del rapporto tra tribunale ordinario e tribunale dei minori. 87 Umani Ronchi et alii, già cit., p.855, ove ci si richiama a Forlenza O., Un pacchetto di misure a tutto campo per una legge dalle grandi aspettative, “Guida al diritto – Il Sole 24 Ore, 29 ago.1998, n.33, 40. 88 Flora G., già cit., p.730. 89 Flora G., già cit. pp.733-4. 82 “(La comunicazione tra tribunali dei minorenni e ordinari) non è facilissima. E’ sempre affidata all’iniziativa di alcuni: quindi quelli più sensibili dimostrano piena disponibilità. Poi è anche disciplinata dalla legge sulla pedofilia che prevede espressamente di avvertire il tribunale dei minori quando si procede per reati a danno di minori. E’ una disposizione che obbliga anche a formalizzare questo rapporto, e devo dire che è sicuramente utile” (Magistrato Pool contro violenza e abuso sessuale su minori). Altra norma di particolare interesse per la ricerca in questione è quella prevista dall’art.18 del Testo Unico sull’immigrazione. “Nell’ambito della materia penale, sia pur con una particolare “cittadinanza”, si pone anche la previsione, di cui all’art. 18, relativa alla possibilità di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale a favore dello straniero ammesso ad un programma di assistenza ed integrazione sociale adottato qualora siano accertate situazioni di violenza o grave sfruttamento nei suoi confronti ed emergano gravi pericoli per la sua incolumità connessi al tentativo di sottrarsi ai condizionamenti di associazioni finalizzate al compimento dei reati di cui all’art.380 Cpp o dei delitti in materia di prostituzione”90. Gli intervistati esprimono un apprezzamento per una norma che, come in altre occasioni si è verificato, mette il nostro paese all’avanguardia rispetto anche agli altri paesi “occidentali”. Come si vedrà anche nel seguito dell’analisi della lettura delle interviste, la preoccupazione è che poi, all’atto pratico (come pure in altre occasioni capitò), la norma non abbia “gambe” per camminare ed essere applicata in modo generalizzato ed omogeneo sull’intero territorio nazionale. “Innanzi tutto si devono fare i complimenti per l’art.18. Nonostante i limiti è una legislazione all’avanguardia e la sua applicazione ci è invidiata in Europa. Riguarda anche i minori, se sono vittime di tratta” (OIM, area antitratta). “L’articolo 18 ce lo invidia tutta l’Europa, la legge sui reati sessuali commessi all’estero è rispettabilissima. Questa tutela dobbiamo mantenerla nei confronti delle minori che, come dicevo, sono un “affare”, per la strada: perché non le possono mandare via, e perché fanno più clienti delle altre” (Associazione Differenza Donna). La norma – è bene ricordarlo, e gli intervistati lo fanno puntualmente – si applica o si dovrebbe applicare anche a casi di sfruttamento e pericolo non necessariamente legali alla prostituzione, ma anche ad attività lavorative. Ciò evidentemente non avviene se qualche interlocutore ritiene necessario che la norma venga interpretata in questo senso. “La norma deve essere chiarita, dal momento che è evidente che le minori in strada sono molte e che la legge tuteli tutte le persone vittime di sfruttamento. Poi noi abbiniamo sempre l’art.18 alla prostituzione, ma non è così. Riguarda la tratta e lo sfruttamento anche per fini lavorativi: per esempio il ragazzino cinese messo in un garage per fare le scarpe, può avere anche lui l’art.18” (Associazione Differenza Donna).. Rispetto alla concreta applicazione dell’art. 18 gli intervistati, oltre al chiarimento sopra richiesto, evidenziano, come già accennato, la sua rarità e la sua disomogeneità. La rarità dipende dal fatto che, per motivi vari, di solito per i minori risulta più semplice chiedere ed ottenere un permesso di soggiorno per minore età (e non l’applicazione dell’art.18 con relativo programma di protezione): rimedio che però vanifica ogni impegno educativo e di recupero dei minori che, al compimento del 18esimo anno d’età, vengono espulsi. “La prostituzione di strada riguarda queste minorenni che non possono essere espulse, che tra l’altro è dubbio, sul piano giuridico, se possono avere l’art.18, perché comunque spetta loro un permesso come minorenni, ma la logica attuale è che, scaduta la loro minore età, queste vengono mandate via” (…).Deve 90 Ibid, p.281. 83 essere chiaro che la persona deve essere tutelata, non è possibile che fino a 18 anni è accolto e poi mandato via” (Associazione Differenza Donna). La scarsa e ineguale applicazione dell’art. 18 può anche dipendere da impreparazione o “pigrizia” interpretativa degli operatori di polizia. Gli intervistati tengono a sottolineare l’importanza della distinzione fra le due diverse misure possibili e fra le diversissime conseguenze che possono verificarsi per il minore interessato sia che segua il percorso sociale, sia che segua quello giudiziario. “Di una persona si guarda in primo luogo l’età o cosa le è capitato? Perché questo comporta un percorso per il permesso di soggiorno diverso e con diverse opportunità. Se noi la guardiamo solo come minorenne opteremo per un permesso per minore età, che è più facile da ottenere e per il quale la maggior parte degli operatori è informata. A quel punto però hai determinato un percorso, perché a 18 anni scade. E’ come se ci fosse una miopia: adesso hanno 16 anni, e fanno come se li avessero per sempre. Nella classica mentalità italiana si pensa che in seguito si troverà un modo per arrangiarsi, dando per primi prova di poco senso della legalità a persone che nella legalità non ci sono mai state” (OIM, area antitratta). La disomogeneità nella applicazione dell’art.18 viene illustrata dai testimoni sia sotto il profilo territoriale (in alcune città o regioni la sua applicazione è ragionevolmente possibile, in altre difficilissima o impossibile); che sotto quello della interpretazione che diversi magistrati danno alla norma. “Oramai è consolidato che nei confronti dei minori stranieri viene rilasciato un permesso per minore età, ma ci stiamo attivando per cambiare questa situazione. (…) Gli strumenti che l’art.18 offre sono strumenti abbastanza validi, comunque su Roma e Lazio non credo che ci siano tante realtà che applicano queste disposizioni. O, almeno, non ne sono a conoscenza” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). “Noi ci siamo riuscite, altre associazioni hanno detto di non esserci riuscite. Devi avere un PM che prende a cuore la vicenda, che sa cos’è l’art.18 che non è un regalo che si fa alle persone prostituite, ma è una cosa giusta che si offre a persone che, denunciando, fanno sì che si facciano questi grandi processi con queste grandi sentenze (che poi sono 15 anni di galera). (…) Insomma, visto che ci sono questi grandi processi, devono dare una protezione a queste persone che lo permettono col loro coraggio. Non è un gentile omaggio l’art.18” (Associazione Differenza Donna). In merito alla diversa interpretazione della norma si sono espressi anche giuristi e studiosi poiché questa, oltre alle concrete disparità applicative, presenta anche scarsa chiarezza sotto il profilo della necessità di collaborazione anche da parte del minore che, pur bisognoso e desideroso di essere protetto, non sia in grado di rendere utili dichiarazioni alle autorità. “La norma non è chiara nello stabilire se le condizioni di rischio necessarie per la sua applicazione (tentativo di sottrarsi ai condizionamenti/sfruttamenti e dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari) debbano concorrere oppure siano previste in forma alternativa: difatti, mentre al 1° comma detti presupposti sembrano essere previsti in via alternativa, dato che si usa la disgiuntiva “o”, nel comma successivo le condizioni vengono collegate con la congiuntiva “e”. La rubrica del capo III (“Disposizioni di carattere umanitario”) sembrerebbe consentire un’interpretazione più ampia, al fine di riconoscere la possibilità del soggiorno allo straniero semplicemente in pericolo ed anche non collaborante, ma le scelte in materia di collaboratori di giustizia adottate dal legislatore da alcuni anni a questa parte potrebbero far propendere per l’opposta interpretazione”91. Complessivamente la citazione di un brano di intervista rilasciata da uno dei testimoni, può essere considerata rappresentativa del comune sentire degli intervistati a proposito della normativa. 91 Ibid., p.281. 84 Normativa buona, per certi versi invidiabile ma, come spesso capita nel nostro paese, priva delle gambe della volontà e della decisione politiche che la facciano camminare. “Qui stiamo parlando di minori che vengono sfruttati e sono costretti a prostituirsi. C’è poco da legiferare, la legislazione che tutela i minori è già un’ottima legislazione, quella italiana. Non è che dobbiamo inventare niente. Per questo fenomeno dei minori stranieri ci sarebbe bisogno di una decisione politica, o come la vogliamo chiamare. Sulla strada questi ragazzi li vediamo tutti, e non è un problema di legislazione, ma che qualcuno disponga che vengano aiutati ad uscire dalla strada” (Comune Roma, Assessorato Politiche Sociali). In merito alle innovazioni comportate dalla legge Bossi-Fini, intervenuta in fase di chiusura della ricerca e sulla quale saranno necessari ulteriori approfondimenti, si osserva che “i minori non accompagnati da nessun parente che sono ammessi per almeno tre anni a un progetto di integrazione sociale e civile di un ente pubblico o privato avranno il permesso di soggiorno al compimento dei diciotto anni. Una volta maggiorenne sarà l’ente gestore del progetto a dover garantire e provare che il ragazzo si trovava in Italia da non meno di quattro anni, che aveva seguito il progetto di integrazione da non meno di tre, che ha una casa e che frequenta corsi di studio oppure lavora. O, ancora, che è in possesso di un contratto di lavoro anche se non ha ancora iniziato l’attività. I permessi di soggiorno rilasciati a minori ed ex minori dovranno essere sottratti alle quote d’ingresso definite annualmente”92 . 4.4 Le condizioni di vita oscure I minori sfruttati e “trafficati” attraverso modalità coercitive e violente che configurano la riduzione in schiavitù, passano da condizioni di vita durissime nel paese di provenienza, a ripetuti episodi di violenze e minacce durante il viaggio (spesso a più tappe e per vari paesi) ed a continue cessioni, anche nel nostro paese, “da uno sfruttatore all’altro con successivi e continuati episodi di violenza” (Caritas Torino, Ufficio Pastorale Migranti). “Quelli fra i 10 e i 12 anni “sono spesso ‘venduti’ o addirittura ‘affittati’ nel senso che vengono affidati ad adulti che li fanno emigrare per usarli per acquisire redditi: accattonaggio, prostituzione, eccetera. Quelli fra i 14 e i 18 anni, invece, sono emigranti che arrivano per lavorare (e che poi finiscono in parte nella rete della prostituzione)” (Comunità Felix) “Ci sono ragazzi che arrivano senza niente e li troviamo sulla strada disorientati” (La Giraffa) Condizioni alla partenza e nel tragitto Gli intervistati evidenziano, innanzi tutto, le condizioni di deprivazione e violenza che i minori vivono spesso già nella loro “normalità” quotidiana nei propri Paesi di origine. “Scoprimmo, anni fa, che nei villaggi albanesi venivano appositamente scelti ragazzini che avevano delle menomazioni, perché potessero maggiormente impietosire le persone mentre chiedevano l’elemosina nelle strada”(Caritas, CPM) “Le ragazze dell’Est e le ragazze Albanesi senz’altro provengono da famiglie molto problematiche, problematiche nel senso che i parenti non si occupavano delle minori, fina da bambini, con genitori con patologie psichiatriche, alcolismo, con almeno un membro della coppia deceduto o mai visto. Ragazze che hanno già subito violenza nel paese d’origine (Comune di Modena, Servizio Minori). 92 Immigrazione: le innovazioni della legge Bossi-Fini punto per punto, Roma Caritas, n.4 2002. 85 “Nel ‘modello albanese’ è anche molto frequente la promessa di matrimonio, e i genitori credono in buona fede di fare il bene della figlia. O, alle volte, pur essendo consapevoli, pensano che sia sempre meglio la vita qui in Italia, per lei” (OIM, area antitratta). “Dalla Romania arrivano minori che scappano dagli orfanotrofi oppure da istituti di pena per minori” (On the road) Per arrivare in Italia, secondo le informazioni acquisite, i percorsi sono duri e violenti. Ad esempio: “Una minore all’età di 10 anni era stata rapita e venduta (probabilmente dal fratello maggiore). Dai suoi sfruttatori era stata inizialmente portata in Grecia e poi in giro per l’Europa. Subì violenze di ogni tipo e così piccola venne messa nel mercato della prostituzione. Dopo la Grecia andarono in Francia e la ragazza ci raccontò che dopo qualche tempo aveva avuto un bambino, che era stato fatto sparire una volta che era nato. In Francia era stata nella zona di Lione e poi era arrivata in Italia, a Torino. Qui era stata due anni. Aveva denunciato i suoi sfruttatori. (…) Lei ci raccontò delle torture e delle violenze terribili che aveva subito, insieme ad altre sue connazionali, cose molto forti” (Caritas CPM). “Molte ragazze minorenni dei paesi dell’Est spesso sono state sfruttate per i primi 7-8 mesi in Albania e in Kossovo, e poi vengono portate in Italia. I primi 7-8- mesi servono a condizionarle meglio” (Associazione Eritros). “Oggi molte ragazze dell’Est vengono vendute, trattate prevalentemente nei paesi extra-comunitari in cui transitano, e quelle che arrivano in Italia sono poche se si considera che in Grecia e in Turchia ne è presente un numero molto maggiore, perché i controlli sono meno rigorosi, le leggi favoriscono il traffico di esseri umani” (Associazione Parsec). “Una ragazza rumena che abbiamo seguito… Lei era molto giovane, confusa e ferita, veniva da una situazione deprivante, la mamma alcolista, il padre secondo me abusante. Era venuta senza sapere, ma è anche vero che a un certo punto si era innamorata di una persona che l’aveva levata da un giro di sfruttatori rumeni per inserirla in uno di sfruttatori albanesi.(…) La trappola sentimentale è una cosa terribile, e sulle minori è ancora peggiore” (Associazione Differenza Donna). Condizioni all’arrivo Qualche intervistato introduce elementi che chiariscono che l’assoggettamento del minore “trafficato” (sia per attività lavorativo/illegali che per attività prostituiva) prosegue nel nostro Paese, spesso sotto sfruttatori diversi a cui il minore viene ceduto a titolo oneroso. “Sporchissimi, senza scarpe che gli venivano tolte dagli sfruttatori cosicché avessero maggiori difficoltà a scappare. (…) Per un lungo periodo non si sono più visti questi ragazzini menomati ai semafori, mentre ora il fenomeno si sta ripresentando” (Caritas CPM) “(…) Era tenuta dai suoi aguzzini, insieme ad altre due ragazze, in una roulotte all’interno di un campo di zingari, e veniva picchiata e costretta a prostituirsi. Rimase lì per 5 mesi. Poi è stata liberata grazie alle indagini e al successivo intervento del commissariato” (Associazione Parsec). L’assoggettamento si esercita anche attraverso il ferreo e minuto controllo quotidiano dell’attività svolta dal minore e della sua vita: per sfruttarlo meglio e farlo “rendere” di più; per fargli sentire sempre il morso della paura e quello della soggezione; per reprimere ogni velleità di autonomia o – peggio – di fuga; per impedire lo stabilirsi di qualsiasi rapporto umano al di fuori da quello – disumano – di dipendenza totale dallo sfruttatore; e così via. 86 “Il modo, il dove, gli orari in cui ci si prostituisce lo decidono gli sfruttatori, che insegnano loro le cose più elementari per poter fare quel lavoro. Sono severi nei tempi perché non vogliono che si stabiliscano troppi contatti con il cliente” (Associazione Eritros). Viene poi evidenziato che le condizioni di vita e di esercizio delle attività lavorativo/prostitutive, cambiano a seconda che queste si esercitino per la strada o al chiuso. “Da alcune storie raccontateci recentemente possiamo desumere che, oltre alla strada, vengono utilizzati ambienti domestici, quali le case dei clienti dove le ragazze vengono accompagnate, o altri appartamenti privati” (Comune di Roma, Assessorato Politiche Sociali). “Nei nostri centri sono passate diverse delle minori prostituite in strada, perché la minore che viene prostituita in casa ha poche possibilità di scappare” (Associazione Differenza Donna). Resta poi nello sfondo il fatto che, nei casi in cui la famiglia del minore non sia in qualche modo consenziente (vedi par. su “La schiavitù come progetto migratorio”), la durezza delle condizioni di vita dei minori nel nostro Paese, dipende anche dalla paura di possibili ritorsioni sui propri familiari da parte degli elementi del racket che sono rimasti ne luogo di “reclutamento”. “In molti casi queste ragazze decidono di ribellarsi, ma non è facilissimo, perché il sistema di “incastro” prevede anche il ricatto, la minaccia di rifarsi sulla famiglia” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). “Abbiamo avuto recentemente il caso drammatico di una ragazza albanese che ha denunciato i suoi sfruttatori e poi è venuta a sapere che suo fratello è scomparso, probabilmente vittima di una vendetta. E da qui possiamo vedere anche tutta la pericolosità di questi individui che stanno dietro il traffico della prostituzione” (Caritas CPM) Gli intervistati sono quasi tutti concordi – salvo sporadiche eccezioni – sul fatto che l’arrivo e la presenza dei minori sia in aumento negli ultimi tempi, anche se ciò non significa necessariamente maggiore “visibilità” (sia perché molti minori vengono tenuti al chiuso di laboratori, cantine, appartamenti dove lavorano o sono costretti a prostituirsi, sia perché chi è in strada per elemosinare o esercitare la prostituzione non sono talvolta immediatamente riconoscibili o riconosciuti come minorenni). “I percorsi dei minori stranieri iniziano sempre con un discorso legato alla clandestinità” (Questura Roma). La clandestinità rende ancora più schiavi e rende la schiavitù sempre più pervasiva. Il nesso tra schiavitù e clandestinità può sciogliersi col tempo. Si riesce, però, ad uscire dalla schiavitù – ed in tal caso, talvolta, anche dalla clandestinità – spesso solo a prezzo di diventare prima schiavi consenzienti e poi complici della riduzione in schiavitù di altri (vedi paragrafo su “Che fare”). L’altro modo per spezzare quel nesso è riuscire ad inserirsi in un programma di recupero (vedi paragrafo su “Il progetto educativo”). Da tempo da parte degli operatori si osserva una tendenza all’abbassamento dell’età dei minori “trafficati” e prostituiti, e di questo danno conto i testimoni chiave più impegnati nella operatività quotidiana. Ciò che gli intervistati danno per certo è un numero oscuro di minori resi schiavi e prostituiti in appartamenti, e si tratta probabilmente dei più giovani, di quelli che in strada darebbero troppo nell’occhio. Il numero oscuro non permette di fare paragoni con il passato. Ossia quando si rileva che il fenomeno cresce o diminuisce ci si riferisce, ovviamente, a sensazioni, a valutazioni empiriche localistiche, cioè nel contesto dove si opera. 87 D’altra parte – data la visibilità – il rischio per chi espone i minori “su strada” è teoricamente molto alto, ma praticamente poco concreto: questo fa propendere per la previsione di un numero oscuro non quantificabile, certamente, ma altrettanto preoccupante. Da una parte, osservano i testimoni, gli sfruttatori non sono degli sprovveduti, sanno che lasciare questi minori nella stessa strada per un lungo periodo aumenta i rischi di intercettazione sia da parte della polizia che da parte degli operatori delle unità di strada, e ciò comporterebbe una rapida rotazione e una capillare diffusione. Qualche intervistato sottolinea il fatto che i trafficanti – sempre più spregiudicati – stanno addirittura prediligendo la tratta dei minori (possibilmente molto piccoli d’età) non solo per la loro maggiore debolezza che li rende più assoggettabili, e neppure soltanto per la loro maggiore “appetibilità” (!), ma anche per approfittare delle leggi che li tutelano o dovrebbero tutelarli. C’è però, tra i testimoni, anche chi ritiene che l’aumento del rischio abbia un effetto dissuasivo nei confronti dei trafficanti, i quali, di conseguenza, ricorrerebbero meno alla leggera alla tratta di minori. Nel bilancio rischio-profitto, secondo alcuni intervistati, è dunque la rincorsa del massimo profitto a vincere a motivo del fatto che si agisce in presenza di un rischio che non si percepisce come attuale, o che, addirittura si considera “virtuale”. A parere di qualche testimone uno degli elementi che consentono agli sfruttatori, o almeno ai più “temerari” tra di loro, di continuare il traffico e lo sfruttamento di minori e, anzi, in alcuni casi di incrementarlo, è il controllo delle forze dell’ordine che non è dappertutto attento, incisivo, costante nel tempo. “La mia sensazione è che le forze dell’ordine spesso chiudono gli occhi rispetto alle minorenni per strada. Un Commissariato qui vicino aveva proprio preso di mira le ragazze minorenni, ma non credo che tutti i Commissariati avessero lo stesso approccio” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). Gli intervistati non mancano di sottolineare anche il “movente” di queste condizioni di vita infami cui sono sottoposti questi ragazzini: il fatto, cioè, che alla base di tutto questo mercato di braccia e di carne “giovani”, c’è in Italia, una lunga teoria di persone che traggono frutto dal loro lavoro, dalla loro condizione di clandestinità, dalla loro brutalizzazione, dalle loro attività illegali, dalla loro prostituzione, fino ad arrivare ai fruitori ultimi, ai clienti di strada o di appartamento. “Sono aumentati gli intermediari nel business della prostituzione, e sempre più ci sono intermediari che si aggiungono. Intermediari rispetto alla casa, intermediari rispetto all’affitto del documento, eccetera: sono tutti elementi di intermediazione che rendono profitto. Pensare a una ragazza che lavora per pagarsi solo gli interessi del debito dovuto all’alloggio, al cibo e che fa fatica ormai a gestire il gravame di tutta questa piramide. Perché tanti, troppi vogliono guadagnare su questo business” (Comunità Felix) . “E’ ormai certo che alcune strade vengano affittate dalla malavita locale alle bande (di trafficanti) e che i marciapiedi vengono affittati a ore a prostitute di nazionalità diversa” (Associazione Eritros). “Ci sono molte minori. Naturalmente la legge dovrebbe tutelarle nel senso che la prostituzione non è reato, ma lo è essere cliente di una minorenne. Invece i clienti vanno normalmente da queste ragazze” (Associazione Differenza Donna). 4.5 La schiavitù come progetto migratorio L’effetto spinta 88 Gli intervistati, come è possibile rilevare nel corso di tutto questo capitolo, hanno ben presente la trasversalità e la globalità dello svantaggio dei minori ridotti in schiavitù e condotti nel nostro Paese. Trasversalità intesa nel senso che la vita di ciascuno di questi minori è segnata da questioni storico-economico-politiche che attraversano e in qualche modo accomunano (pur nelle differenze locali) i destini dei popoli “deboli”. Globalità nel senso che, quando si guarda alla vicenda del singolo individuo, del singolo minore, è inevitabile notare – come gli intervistati fanno – che la trasversalità della mondializzazione dello svantaggio socio-economico- politico, si estrinseca poi in storie individuali in cui ognuno e tutti gli aspetti della personalità (psiche, famiglia, socialità, rapporto coi pari, istruzione, affettività, sessualità, lavoro, autonomia, partecipazione, eccetera) sono coinvolti e travolti. “Dirò una cosa scontata, ma considero il fenomeno della prostituzione indissolubilmente legato ad un altro fenomeno molto importante: cioè quello del flusso di migrazione che parte da un bisogno sociale, da un bisogno economico. (…). Occorre tener ben presenti anche gli eventi storici: il flusso dell’immigrazione delle ragazze provenienti dall’Est ha avuto un aumento (soprattutto di ragazze slave e Kossovare) durante la guerra in Yugoslavia, il fenomeno delle persone dell’Est è scoppiato quando il muro di Berlino è crollato. E’ chiaro che non tutto il fenomeno della prostituzione è da imputare a disagi o a problemi personali derivanti da cambio di clima politico e dalle profonde trasformazioni sociali ed economiche che ne sono conseguite” (Associazione Eritros). “Poiché il lavoro dei minori è causa e conseguenza al tempo stesso della povertà, è evidente che, se non si aiutano prima di tutto le famiglie, sarà illusorio pensare di poter estirpare dal lavoro bambini ed adolescenti per restituirli al percorso educativo”93 All’interno di questa consapevolezza di fondo, gli intervistati delineano, però, uno scenario in cui, dalla schiavitù intesa in senso proprio, come coazione violenta, si passa ad una sorta di schiavitù “semiconsensuale” e poi alla schiavitù come “scelta”, all’assoggettamento come “progetto”. L’assoggettamento “Con una minorenne il grado di assoggettamento direi che è pressoché totale. La personalità non è ancora formata, non c’è la possibilità di contrattare un minimo di libertà sia in termini monetari che in termini di indipendenza. Il condizionamento può essere sia per la paura di sentirsi completamente abbandonata, sia per quello che capita molto spesso, che siano innamoratissime dello sfruttatore. Questo succede spesso tra le ragazze albanesi, ed è legato anche a un tipo di cultura molto patriarcale: le donne albanesi quasi non si concepiscono senza la figura maschile che gli dà un senso” (OIM, area antitratta). “Il ruolo delle organizzazioni è importantissimo. Non conosco una ragazza che si prostituisce in modo autonomo: o ha un protettore o uno sfruttatore” (Associazione Eritros). Dalle interviste emerge anche che tra i trafficanti e i ragazzi sfruttati si possono stabilire rapporti tra il violento ed il consensuale per i più prossimi alla maggiore età, o tra il violento ed il “persuasivo” per i più piccoli. “Più o meno l’elemento della violenza esiste. Tendenzialmente, però, c’è un rapporto contrattuale tra la ragazza che si prostituisce e lo sfruttatore. Uno degli elementi che caratterizzava il rapporto tra la ragazza albanese e lo sfruttatore-fidanzato albanese era anche un progetto: la ragazza affidava a lui tutti quanti i proventi perché l’uomo doveva realizzare un progetto, anche se poi non si realizzava ma c’era alla base questo come obiettivo condiviso” (Comune Venezia) 93 ILO, Convegno “Prima giornata mondiale contro il Lavoro minorile”, Roma 12 giugno 2002, sintesi intervento C. Lenoci. Ufficio ILO Roma 89 La scelta? Gli intervistati, come sì è accennato, parlano anche di una gamma di sfumature di possibile consensualità da parte dei minori trafficati, che può arrivare a fa parlare – in alcuni casi e sotto determinati aspetti – di scelta volontaria. Come si evince da altri paragrafi, questa gradualità ha a che vedere anche con le diverse fasi della tratta e delle risposte legislative, repressive, di recupero. “Più recentemente, forse proprio in forza dell’art 18 e dell’impegno degli operatori, le ragazze vengono trattenute con più con la sola violenza, ma anche con maggiori incentivi in termini di guadagno e di vita dispendiosa. Questo comporta una molto maggiore difficoltà nell’individuare le minorenni”. (Caritas Torino, Ufficio Pastorale Migranti) “Secondo me, per esempio, il cambiamento dei trafficanti albanesi è anche molto collegato all’art.18. Le ragazze albanesi sono state le prime a denunciare, dato che il “modello albanese” di sfruttamento era molto violento, molto pressante. (…) L’elemento nuovo di rischio li porta di più a sviluppare un modello basato sul consenso: ‘io rischio di essere denunciato, allora faccio negoziazioni nuove e tu puoi tenerti dei soldi in più” (Comune Venezia, Servizio Città e Prostituzione). Qui si vuole esaminare l’aspetto della “evoluzione” dei rapporti tra trafficanti e minori, nonché quello della “evoluzione” della imprenditorialità di sé stessi e della mercificazione del proprio corpo da parte di alcuni di questi ragazzi. Gli intervistati non mancano di sottolineare che spesso, il presunto o reale consenso iniziale, quando non si basa su un inganno vero e proprio perpetrato dai trafficanti (sul lavoro che si verrà a fare in Italia e sulle future condizioni di vita) si basa su una sorta di “autoinganno”. “Si possono trovare situazioni in cui si sono messi d’accordo sulla percentuale e la ragazza si trattiene dei soldi. Ma la gestione della sua vita è sempre del racket” (…). Già non lo credo per le maggiorenni che si possano considerare libere nello scegliere la prostituzione… Certo, delle ragazze dalla Moldavia possono venire pensando che è buona cosa guadagnare soldi, visto che non ce ne sono. Ma nessuna sa cosa è la prostituzione qui, perché nei loro paesi è a livello di fare l’entreneuse in locali, o la danza, o altro. Non sanno che significa stare su strada, poi sempre più in campagna, a causa delle continue retate” (Associazione Differenza Donna). “In una prima fase, secondo me, pur essendo traumatico l’impatto con la strada, rimane un consenso in virtù del fatto che si vede, comunque, una possibilità di cambiamento del proprio destino. Come se lavorare in strada fosse una tappa obbligatoria, un pedaggio che si deve pagare, uno scalino obbligato. Quando poi ci si accorge che questo non avviene, il consenso lo si perde” (Comune Venezia, Servizio Città e Prostituzione). Secondo qualche intervistato l’aspetto della prevalenza dell’elemento dell’assoggettamento piuttosto che di quello della “scelta”, può dipendere anche dalla provenienza dei minori (sia per la differenti circostanze “espulsive” dai paesi d’origine, sia per le diversità nella strutturazione dell’organizzazione e della “evoluzione” del racket). “Dipende dalla nazionalità: le Albanesi sono costrette, le ragazze dell’Est lo sono di meno, per le Nigeriane non abbiamo capito abbastanza fino a che punto ci potessero entrare i problemi legati ai debiti contratti” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). 90 Si dovrebbe fare una valutazione circa il grado di libertà o di coazione che ha il minore quando esercita la prostituzione? Si possono individuare indicatori del grado di libertà quali, ad esempio, la gestione del denaro, la autonomia nella vita quotidiana, la frequenza con cui si prostituisce, se gli vengono imposte modalità precise di prostituzione? Ed è “lecito” e proficuo fare ciò? “All’interno di questo contesto è di secondaria importanza parlare di “scelta” o meno da parte delle donne perché la forza regolatrice è costituita dal mercato, per soddisfare il quale in mancanza di donne che “scelgono” si ricorre a coercizioni violente e a rapimenti”94. L’argomentazione vale, a maggior ragione, quando si tratta di minori. “Il fenomeno in generale è decisamente cambiato in questo ultimo anno: probabilmente oggi il numero di ragazze minorenni inconsapevoli di quello che vengono a fare è proprio minimo. (…) Parlo di minorenni. Ormai minorenni che vengono qua e ci raccontano ‘ma io sono venuta con l’idea di fare la studentessa piuttosto che la ‘commessa’, in questo ultimo anno sono casi rarissimi. Magari lo dicono lì per lì, ma poi viene fuori che sapevano benissimo. (…) Le ragazze, ormai, sono brave imprenditrici di se stesse, allora credo che si possa affermare che la ragazza ingenua, rapita e portata in Italia a prostituirsi, la fanciulla che urla e dice ‘non voglio venire’, portata con la forza, non esista quasi più” (Comune Torino, Ufficio Minori stranieri). D’altra parte, come gli intervistati sottolineano, la schiavitù lavorativa e sessuale come “libera scelta”, che si osserva ora anche in minori di sesso femminile, era già da tempo osservata e considerata come tale a proposito dei maschi. “E’ difficile parlare di organizzazioni criminali nel caso della prostituzione minorile maschile: abbiamo visto che molti di questi minori sono molto autonomi, nel senso che scelgono la via della prostituzione perché è quella, per alcuni aspetti, più redditizia” (Questura Roma). “Quelli “conosciuti”, perché esercitano per strada - o in night o alberghi per le femmine dell’ultima generazione di arrivi – oppure per strada o in locali gay – per i maschi – sono ragazzini “diventati grandi presto, quindi sono autonomi, sono persone molto sveglie, sanno come muoversi, sanno che cosa chiedere, quindi sono persone autonome nella gestione di questa attività, se così si può chiamare”. (Questura Roma). La strategia migratoria I testimoni parlano delineando scenari in cui appare possibile – e talvolta verificato – che la tratta e la riduzione in schiavitù dei minori, faccia parte di una più ampia strategia migratoria che lega, fin dal paese d’origine, i familiari del minore, i trafficanti e, infine, i protettori nel paese d’arrivo. “Qui c’è un contratto relativo – e interno – all’attività prostituzionale, tra chi si prostituisce (o i suoi familiari) e chi fa da sfruttatore-protettore. (…). Molto spesso c’è l’obiettivo di comprare una casa, o altri obiettivi specifici e gli sfruttatori danno alcune possibilità di poter realizzare obiettivi. Ciò vuol dire chiaramente che tutto il guadagno non va allo sfruttatore, che una parte serve per realizzare questi obiettivi che nascono fin dall’inizio di questo, chiamiamolo così, progetto migratorio” (Comune Venezia) Esiste, inoltre, in molti casi, il fondato – e talvolta comprovato – sospetto che esista una accondiscenza dei familiari alla tratta dei figli come “strategia migratoria”. Non è improbabile che gli sfruttatori mandino direttamente denaro alle famiglie dei minori, “cosicché si crea una sorta di collaborazione tra famiglie d’origine e sfruttatori” (Servizio Sociale Internazionale). 94 De Rossi, C., Immigrazione clandestina e prostituzione : dall’analisi sociologica alla pratica di lavoro, in “La Rivista di Servizio Sociale”, n.3/2001, p.6. 91 “(Per i maschi) si instaura una sorta di processo di emulazione. I ragazzini (si parla di fasce d’età dai 13 ai 17 anni) possono vedere nel loro sfruttatore – che non è percepito come tale – un modello di persona che fa soldi in breve tempo. In loro scatta l’emulazione di quel comportamento: l’importante è guadagnare soldi in tempi brevi perché la famiglia ha bisogno” (OIM, area antitratta). 92 4.6 Cosa significa minore età e le differenze di genere Sapersi riconoscere E poi… cosa significa minore età? Questa è la domanda, apparentemente retorica, che si pone e ci pone un operatore intervistato. Come si vedrà in altre parti del lavoro, emerge con nettezza la circostanza che – al di là del fatto che diverse condizioni di provenienza rendono l’infanzia e l’adolescenza concetti meno oggettivi e “misurabili” in termini di età di quanto abbiano rilevato gli studiosi dell’età evolutiva e gli storici dell’infanzia – le condizioni di vita da “piccoli schiavi” tolgono rapidamente ogni residua speranza di trovarsi di fronte a ragazzi che si percepiscano in fase evolutiva della propria vita. Diventati adulti a forza, con la violenza e/o attraverso le forme più bieche di corruzione, questi ragazzi sono “irriconoscibili” – prima di tutto a se stessi, ma anche ai fruitori delle loro prestazioni e ad una certa fetta della cosiddetta maggioranza silenziosa – in quanto portatori dei diritti propri di tutti i minori. Come si vedrà nel paragrafo su “il progetto educativo”, quest’ultimo consiste proprio nel condurre questi minori a riconoscersi – e quindi a sapersi far riconoscere – in quanto soggetti di diritti. Ma una gran parte di intervistati lamentano il fatto che le strutture per minorenni non siano adatti a minori “trafficati” a scopo di prostituzione, proprio perché la storia di assoggettamento e di corruzione che hanno vissuto, ne fa dei minori perduti e degli adulti mancati allo stesso tempo. “Io sono d’accordo che siano inserite in strutture per minori, ma credo che per alcuni aspetti caratteriali e comportamentali, le ragazze hanno bisogno di confrontarsi con ragazze che hanno vissuto lo stesso tipo di esperienza. Deve essere fatto un lavoro caso per caso, quindi in qualche circostanza ci potrebbe essere la necessità di altro. E comunque le strutture per minori hanno bisogno di avere informazioni su come procedere, sull’art. 18 (vedi paragrafo sulla normativa), sui servizi sociali territoriali” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). “Noi che facciamo anche lo sportello di segretariato sociale presso la Questura, incontriamo lì tre o quattro casi che ormai tutti gli operatori conoscono, che vengono sempre fermate, come una cosa di routine. Ormai le conoscono anche i poliziotti, non possono espellerle (perché minorenni). Alcune vengono messe in case famiglia per minori, che sono inadeguate perché, naturalmente, loro hanno una storia che le rende particolari rispetto alle altre. Quindi scappano, poi le riprendono, poi scappano.(…) Le ragazze vengono portate nelle case di accoglienza per minori, dalle quali scappano, perché non essendo questi posti attrezzati per il problema della prostituzione, non sanno che fare. E’ difficile che si integrino con ragazzini che hanno tutti altri tipi di problemi ” (Associazione Differenza Donna). Alcuni testimoni chiave portano ad esempio di prassi di cui essi stessi, in qualità di operatori di esperienze “pilota”, stanno verificando i buoni risultati. Sottolineano però nello stesso tempo la necessità che si passi dalla fase della sperimentazione a quella della realizzazione programmata. “Dal punto di vista della progettazione dei servizi, non esistono Centri di accoglienza proprio per minori che si prostituiscono. Noi siamo un caso isolato, però non esistono strutture ad hoc. Non che le ragazze ex vittime della tratta non potrebbero essere accolte nelle case famiglia per minori, ma rispetto ad altre coetanee sono molto più mature, hanno altre esigenze, altri bisogni formativi” (Associazione Eritros). “C’è il dubbio di fondo del ghetto: mettere una ragazza in una casa famiglia per minori non va bene, ma neppure fare il ghetto va bene, e neanche va bene metterle con altre più grandi… Per questo secondo me il centro antiviolenza sarebbe ideale” (Associazione Differenza Donna). 93 La corruzione delle aspettative, delle speranze, delle emozioni, dei progetti che ogni minore dovrebbe poter esperire, per questi ragazzi diventa spesso non solo lo strumento del proprio autoassoggettamento (come si è visto, non importa quanto “volontario”), ma anche – in una sorta di doppia corruzione – il grimaldello per diventare liberi (?), autonomi (?) protagonisti del proprio progetto di vita attraverso l’assoggettamento di altri. Le ragazze albanesi, a parere di qualche intervistato, avrebbero “fatto strada”: dal rapporto donna/sfruttatorefidanzato che la teneva nella rete di sfruttamento sulla strada, si è passati in qualche situazione ad una realtà “dove si sono innestate ragazze rumene, ucraine, moldave, e dove evidentemente la ragazza albanese ha acquisito un livello di potere nella rete di sfruttamento, molto spesso diventando anche, a sua volta, un soggetto di controllo e di sfruttamento” (Comune Venezia) Diventare donna Gli intervistati sottolineano, in particolare, la valenza di genere dell’assoggettamento. Essere femmina vuol dire non soltanto essere più povera, meno istruita, più ricattabile, ma – nelle società di vecchio o rinato patriarcato (o semplicemente dominio della violenza bruta) – essere vittima della disposizione “femminile” a conservare sentimenti positivi e fiducia nei valori umani di fondo. “In genere le ragazze albanesi arrivavano con l’inganno in Italia, poi venivano obbligate a prostituirsi. In altri casi c’era una sorta di plagio: me lo chiede il mio fidanzato, non abbiamo altre soluzioni in questo momento, eccetera. Una sorta di dipendenza affettiva dallo sfruttatore” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). “L’assoggettamento per una ragazza così giovane è quasi sempre affettivo, non necessariamente da una relazione sentimentale con il diretto sfruttatore, lo pseudo fidanzato. Mi sembra di vedere, nelle ragazze che ho incontrato, che c’è la ricerca di un nucleo, la ricerca di una nuova possibilità “familiare”. Non ho avuto l’impressione che, nella maggior parte, le ragazze minori arrivino qui col mandato familiare di andare in Italia e portare soldi (come succede per i maschi). Arrivano qui da elementi di rottura, di difficoltà di rapporto con le famiglie.(…). Quello che mi sembra di avere intravisto è che, in qualche modo, le minori che arrivano qui appartengono alla fascia a rischio dove quello che viene a pesare è la condizione femminile. Cioè l’idea che a 12 anni ti è già stato scelto quale marito, e come, perché, quando, dove, cosa farai” (Comune Venezia, Servizio Città e Prostituzione). Il destino della donna è dunque quello che porta dalla schiavitù degli affetti, alla schiavitù violenta, alla schiavitù come progetto migratorio di “riscatto”? “Mentre alcuni dicono che la prostituzione può essere anche una scelta, noi vediamo che è sempre una violenza”. (Associazione Differenza Donna). “Il suo sfruttatore per lei è tanto una brava persona, poverino non riesce a trovare un lavoro, per quello lei deve prostituirsi. Non considera minimamente il fatto che lui l’abbia sfruttata, qualcosa che abbia violato la sua persona. Lo ha fatto per amore, ma questo non riduce… è tutto riferibile alla percezione che ha di sé. Non ha la percezione di una persona che ha una dignità, di una donna: è veramente una cosa che inerisce a una prospettiva di genere” (OIM, area antitratta). “Per molte ragazze minori il passaggio verso la fuoriuscita è legato all’affettività con un cliente o con un amico, quando si crea la rottura dell’affettività che hanno stabilito con lo sfruttatore” (Associazione Eritros). La persistenza della dipendenza da questo tipo di “scelta” – oltre alla presunta o reale autonomia della scelta – sembra segnare un’altra differenza di genere. Ma nel caso dei minorenni la quasi totalità degli intervistati escludono – a ragione – l’idea che possa esserci una scelta come modalità 94 di ingresso nella prostituzione, sia quando è imposta (come nella tratta) sia quando apparentemente non sembrano esserci imposizioni. Diventare uomo Il traffico in entrata anche dei minori maschi è quasi sempre legato alle reti di moderni mercanti di schiavi (anche se i minori di sesso maschile, almeno nelle intenzioni, dovrebbero essere avviati all’accattonaggio, ad attività illecite, o da attività lavorative irregolari e coercitive). “Per i minori maschi è un po’ diverso, anche come forma di reclutamento e di introduzione nel territorio. Le minori femmine normalmente vengono avvicinate dai trafficanti con varie proposte. I minori maschi normalmente sono consegnati dalle famiglie stesse ai trafficanti, consapevoli che i ragazzi andranno… I ragazzi sentono un po’ il loro ruolo di salvatori della famiglia, sono come dei messaggeri inviati e sono anche orgogliosi del loro ruolo. Le loro aspettative, quando vengono, sono molto alte, e comportano anche la disillusione del tipo di progettualità che gli viene proposta quando entrano in contatto con i servizi” (OIM, area antitratta). “La prostituzione maschile è qualcosa di poco chiaro. Sappiamo ancora poco. Non ne ho notizie approfondite. Non credo che un parente, anche non stretto, possa indurre un maschietto a questo tipo di attività, piuttosto ne cerca di altre, più maschili: come lo spaccio, l’accattonaggio, il furto. Sono utilizzatissimi al riguardo i bambini rumeni” (Associazione Parsec). Il passaggio alla prostituzione è, per i più piccoli, quasi sempre legato a reti “prostituzionali”, per i più grandi (similmente a quanto accade per i minori italiani che si prostituiscono in ambienti omosessuali), ad iniziative (individuali o di gruppo) emulative di esperienze altrui, all’interno o all’esterno del gruppo di propri connazionali. “Si entra clandestinamente, si gira un po’ l’Italia, si conosce un connazionale o un italiano che da tempo fa questo genere di cose e quindi si entra a far parte di un gruppo che può essere più o meno ampio. Gli elementi che portano al determinarsi di questi percorsi, a permanere in questo circuito, sono prettamente economici”. (Questura Roma) “In una ricerca fatta di recente abbiamo riportato alcune storie di ragazzini del Bangladesh, dello Sri Lanka, del Marocco, coinvolti nel traffico di droga che non riescono ad essere così abili e, per poter guadagnare denaro, si prostituiscono. Diciamo che il bambino, una volta che è stato utilizzato per portare quei 10 Kg. di droga, non serve più, rimane allo sbando. Per sopravvivere si coalizzano in piccoli gruppi dove un po’ si fanno assistenza, un po’ incappano in questo tipo di attività, capiscono che per sopravvivere si possono anche ottenere 50 mila lire da una prestazione sessuale” (OIM, area antitratta). I testimoni intervistati ritengono anche che sia abbastanza frequente che i minori in questione, sebbene inseriti in progetti di recupero, continuino la loro attività prostituiva come fonte di guadagno facile (o di unico guadagno possibile?). “Abbiamo avuto casi di ragazzi stranieri (di sesso maschile) che si sono prostituiti. Di ragazzi albanesi abbiamo avuto un solo caso, e per gli Albanesi è difficile che venga fuori questa cosa. Invece molti ragazzi rumeni, che sono spesso minori non accompagnati. Abbiamo avuto molte segnalazioni dalla Polizia, ma anche dai ragazzi stessi ce lo raccontavano (…). … detto sinceramente… si tratta di molti soldi e, considerate le condizioni economiche dei paesi da cui provengono, questi facili guadagni attraggono. E’ un problema serio ed è difficile dare un’alternativa. Certo, l’offerta di servizi, la regolarizzazione, che noi spesso usiamo come aggancio… però in molti ragazzi non è un elemento che li distoglie dall’attività. Con i ragazzi con cui abbiamo avuto rapporti di aiuto siamo riusciti a fare qualcosa, però sappiamo benissimo di ragazzi che pur 95 essendo inseriti in comunità quando sono in libera uscita tornano a prostituirsi” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). La prostituzione maschile, a parere degli intervistati, sembra, dunque, più che altro un mezzo per risolvere problemi economici, si può parlare, come dice un testimone, di “’marchettari’ che accettano di farlo”. (Caritas Torino, Ufficio Pastorale Migranti) Anche se qualche testimone, rilevando che si tratta, per la maggior parte, di adolescenti di 15, 16 anni fino alla maggiore età, ma che non mancano casi di ragazzini di età ancora inferiore, osserva che “ovviamente essere prostituito in età così tenera è anche un nocumento per la percezione della tua stessa identità sessuale. Non c’è niente di male se un omosessuale nasce per esserlo, ma può darsi che un ragazzo di questi non lo fosse, possono cambiare le percezioni della propria realtà sessuale in modo coatto” (Associazione Differenza Donna). “A Roma la prostituzione minorile maschile è suddivisa in Italiani e stranieri. Numericamente sono più gli stranieri”. (Questura Roma) Gli intervistati, nel caso della prostituzione minorile maschile, sembrano propendere per una “scelta” (per lo più temporanea) da parte del minore, perché non è conosciuta l’esistenza di vere e proprie organizzazioni per l’induzione a, e lo sfruttamento di questo tipo di prostituzione di strada. “Non abbiamo mai riscontrato fenomeni criminali intorno alla prostituzione minorile maschile: certo chi gestisce il locale è chiaro che ha un introito da queste situazioni, ma non ci sono apparati criminali di chi sa quale livello dietro a questa situazione”. (Questura Roma) “I motivi che possono portare un minore a prostituirsi sono molteplici. Ne ho trovati alcuni che si sono prostituiti per un tempo limitato per motivi strettamente economici, quindi lo hanno fatto sapendo cosa facevano, ma sotto il bisogno economico. (…) Gli stranieri che ho incontrano sono quelli che rientrano nella fascia di chi lo fa per necessità (…). Non ho in mente casi di sfruttamento di prostituzione minorile maschile con violenza” (Magistrato Pool contro violenza e abuso sessuale su minori). Poiché si esplica maggiormente “in locali non aperti a tutto il pubblico”, la prostituzione minorile maschile gode probabilmente di un qualche tipo di “protezione”, che però gli intervistati non collegano tout court alla malavita violenta e/o organizzata. Qualche intervistato suppone l’esistenza di organizzazioni per lo sfruttamento della prostituzione minorile maschile (come accade per quella femminile) che si esercita al chiuso “Poi c’è la prostituzione non di strada che coinvolge minorenni maschi e femmine e che praticamente è la pedofilia ed è una prostituzione completamente differente. Coinvolge pure maschi e soprattutto bambini più piccoli. Molti maschi e femmine minori sono coinvolti in giri di pedofilia in cui sono prostituiti” (Associazione Differenza Donna). Ma la presenza di minori stranieri oggetto di tratta e sfruttamento in questa forma è un dato non accertabile dal punto di vista numerico neppure induttivamente, così come è molto più difficile individuare le reti di induzione e favoreggiamento. Che fare I minori che vengono assoggettati ad una vera e propria riduzione in schiavitù per essere avviati ad attività lavorative e/o illegali nei paesi ricchi, tra cui l’Italia, provengono da paesi che hanno forti tensioni sociali e politiche, nonché economiche ed istituzioni fragili. Ai vuoti di potere e alla nascita 96 di mafie locali (capaci di collegarsi con quelle internazionali), si aggiunge la vulnerabilità del tessuto connettivo di identità, di progettualità condivise, condizioni che producono anomia sociale. “Nei Paesi in cui non c’è un sistema di sicurezza sociale o un sistema sanitario, ci sono mille contingenze per un uomo o una donna che non hanno più modo di lavorare e perciò perdono i mezzi per sopravvivere e mantenere i figli. Questi ragazzi vengono sicuramente da situazioni di bisogno economico, che ha le radici in altri problemi più grandi” (Comune di Roma, Assessorato Politiche Sociali). “Nell’Europa dell’Est spesso si trovano famiglie dove la figura maschile non esiste più o non è mai esistita. Il contrasto con la madre, con la piccola che cresce, per tutta una serie di rivendicazioni naturali in quel periodo, che risultano pericolose per il desiderio di indipendenza naturale nel processo di crescita… significa scappare da casa e incontrare il tizio o il caio che ti reclutano, oppure rivolgersi ad amiche che ti suggeriscono persone che ti possono aiutare ad andar via” (OIM, area antitratta). Ma simile anomia è la condizione uguale e contraria, è la conseguenza, anzi – si potrebbe dire – di quella anomia, ormai da tempo diffusa, da cui le opulente società occidentali si sono lasciate pervadere per cui ogni corpo umano può essere mercanzia, anche quello di un bambino, e ciò può diventare la base di una vera propria “industria”, nella quale il fine del profitto giustifica ogni scellerato patto di compravendita. “Di fatto all’interno della globalizzazione economica e dei suoi meccanismi anche l’industria del sesso diviene impresa capitalistica che garantisce ingenti profitti a fronte di manodopera a costo zero. Tale manodopera vive spesso in situazione di totale asservimento e di violazione dei diritti umani più elementari ed il commercio di donne e bambini è diventato un’industria su larga scala collegata allo sviluppo economico in diverse parti del mondo: il traffico porta le donne (e i bambini) dei paesi in via di sviluppo verso l’occidente e gli uomini occidentali verso i paesi in via di sviluppo”95 per praticare il turismo sessuale. Alimentando così un circolo vizioso. Gli intervistati sostengono che ciò che è innanzi tutto importante è che, per arrivare ad ogni ipotesi di soluzione e prevenzione di questo problema, sia necessario comprendere bene le cause che lo producono e lo fanno perdurare e crescere nel tempo. “Bisognerebbe prima di tutto studiare le differenze socio-culturali, per quanto riguarda tutti i Balcani. Sono persone che hanno valori diversi dai nostri, come i nostri sono diversi da quelli della Svezia e della Danimarca. Se si affronta il problema in modo intelligente, si riescono a capire delle realtà tanto diverse dalle nostre, ma se si parte dal punto di vista della meraviglia e dello scandalo non si arriva a nulla, e lo stesso vale se si parte da una posizione politica preconcetta. Bisogna avere la voglia di capire come sono fatte le persone diverse da noi” (Servizio Sociale Internazionale). “Siamo in contesti – come quelli da cui provengono i minori che si prostituiscono - nei quali l’individualità è percepita in modo molto minore da come la percepiscono i nostri adolescenti. Il loro è un ruolo molto familiare, fortemente collettivo, il destino della famiglia è il loro stesso destino e per loro è un onore di vedere riconosciuto questo ruolo, venir percepito alla stessa stregua del padre” (OIM, area antitratta). Altri intervistati ritengono molto utile (anche se certo non risolutivo) un atteggiamento estremamente rigoroso nella repressione di sfruttatori, protettori e fruitori delle attività illecite cui i minori sono costretti. “Noi siamo convinti che Modena-città diventa una di quelle tappe pericolose per le organizzazioni devianti. Si sono cioè accorti che lasciare una ragazza minore sulla strada significava che veniva subito portata via. Hanno provato negli appartamenti, ma poi il fatto di essere stati denunciati per violenza ha creato un certo problema. Grossi problemi anche ai clienti, sotto questo aspetto. (…) 95 De Rossi, C., Immigrazione clandestina e prostituzione : dall’analisi sociologica alla pratica di lavoro, in “La Rivista di Servizio Sociale”, n.3/2001, p.6. 97 Questa azione, secondo me, ha fatto in modo che in città arrivassero molte meno minori” (Comune di Modena, Servizio Minori). Ma ciò su cui gli intervistati concordano è la prevenzione. Prevenzione attraverso concrete iniziative di cooperazione internazionale (in merito alle quali si rimanda al paragrafo “Il perché della scelta: Albania e Romania”), ma anche attraverso campagne di informazione e azioni concordate di intelligence nei e coi paesi di provenienza dei minori. “Il lavoro vero e proprio di prevenzione dovrebbe essere fatto nei paesi di provenienza. (..) Come lavoro di informazione di massa nei luoghi in cui il fenomeno della tratta è appunto un fenomeno di massa (…). Dovrebbero esserci grandi (iniziative) che fermano il discorso della tratta a monte, il problema non si deve spezzare quando arriva, ma bisogna combatterlo altrove. Con la prevenzione, ma anche creando commissioni d’indagine internazionali che rendano più facili gli interventi delle forze dell’ordine e i contatti tra le forze dell’ordine dei vari paesi” (Associazione Eritros). “Molti Stati, come l’Albania, la Moldavia, il Kossovo, la Serbia, Stati di quest’area balcanica che è quella che negli ultimi anni è stata uno dei grandi serbatoi (e anche la stessa Nigeria), cominciano a modificare le strutture normative. Ma lo si sta facendo con molta lentezza. Le cose dovrebbero essere maggiormente legate, coordinate da una sorta di regia a queste iniziative dei singoli Stati. Dato che il problema è transnazionale, dovrebbe essere favorita con maggiore celerità la costruzione di banche dati, per combattere le organizzazioni implicate. L’altro elemento forte è quello della cooperazione sociale, la possibilità che si possano istituire dei servizi, dei programmi a carattere bipolare: ossia dei programmi che hanno la stessa capacità d’impatto in Italia e, ad esempio, in Albania. Con la ricerca e la costruzione degli stessi standard d’intervento. Questo aiuterebbe molto anche i rientri cosiddetti onorevoli” (Associazione Parsec). 4.7 Il progetto educativo L’accesso ai servizi Concepire e realizzare un progetto educativo e di recupero per minori così segnati dalla propria esperienza di vita, non è facile. Come è stato osservato a proposito di donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, “nel contatto quotidiano con gli operatori l’immagine che rimandano è quella di persone per le quali l’emigrazione o per meglio dire la loro tratta comporta perdita di sé, sradicamento e alienazione sociale e culturale”96. Si può solo immaginare, ma non facilmente comprendere in profondità, come tale condizione vada ad incidere su personalità in evoluzione come quelle dei e delle minorenni, quella che un intervistato ha definito “stato di totale soggezione del sé”. “Il non aver potuto, all’epoca, usufruire di nulla, il non conoscere nulla fanno sì che le loro storie vadano sempre peggiorando sul piano dei rapporti, della vita… perché poi è una discesa verticale, se non si interviene in tempo.” (Associazione Differenza Donna). La normativa (come si vedrà nell’apposito paragrafo) e la nascita di una rete di risorse del privato sociale ed istituzionali, consentono nel nostro paese una risposta tempestiva quando si presentano necessità di intervento per qualcuno di questi minori. 96 De Rossi, C., Immigrazione clandestina e prostituzione : dall’analisi sociologica alla pratica di lavoro, in “La Rivista di Servizio Sociale”, n.3/2001, p.9. 98 I servizi, insomma, prendono immediatamente in carico il minore ridotto in schiavitù – quando ne ricevono segnalazione – perché danno rilievo al fatto che sia minorenne e grazie al fatto, sottolineato dagli intervistati, che la normativa lo consente. Perché la risposta tempestiva diventi anche efficace, è però necessaria una serie di condizioni che non sempre si verificano. E’ innanzi tutto necessaria una certa misura di volontarietà nell’intraprendere un percorso: volontarietà senza la quale ogni impegno da parte di operatori e volontari risulta inutile. “Se non c’è una chiara richiesta d’aiuto le ragazze in genere scappano. Diciamo che di tutte le ragazze con questi problemi che abbiamo accolto, il 5-7% sono quelle che siamo riusciti ad aiutare concretamente (…). Faccio un esempio. Da questa estate abbiamo accolto tre ragazze di cui una veramente piccoletta, di neanche 15 anni. Ci veniva portata dalla Polizia ogni notte, perché lei puntualmente scappava appena i poliziotti andavano via. Abbiamo cercato di capire che tipo di intervento si poteva fare con i poliziotti e l’unica formula possibile, che fu adottata, era quella di prendere la ragazza alle prime ore della sera e trattenerla il più possibile in Commissariato, e veniva portata da noi la mattina, per evitare che si potesse prostituire in quell’arco di tempo. Ma era un intervento vano perché comunque tutte e tre scappavano appena raccolte” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). Ci si domanda – per inciso - se non fosse possibile scoprire i “protettori” da cui evidentemente la minore tornava ogni volta, o perseguire i “clienti” che la frequentavano in un posto evidentemente noto, se è vero, come è vero, che la normativa del nostro paese offre ampie possibilità di manovra all’autorità giudiziaria. “Tutte le ragazze ci arrivano perché condotte dalle forze dell’ordine. Non abbiamo avuto che pochi casi in cui c’è stata una segnalazione diversa: due o tre” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). “All’inizio le ragazze venivano intercettate dalle Forze dell’Ordine, attualmente – diciamo negli ultimi anni – un ruolo importante lo svolgono le Associazioni territoriali e anche alcune fasce di clienti” (Associazione Parsec) Come osservano i testimoni, è molto difficile che ci sia iniziativa o scelta di fuoriuscire da parte dei minori, dato che i tradimenti subiti, le condizioni di soggezione e violenza in cui hanno vissuto, hanno prodotto in loro diffidenza, sfiducia e paura generalizzate. “I minori sfruttati e ‘trafficati’ ricordano, ricostruiscono talvolta, nel contatto con gli operatori nel corso del programma di recupero - o lo scoprono nel momento in cui si esamina la possibilità di un rientro – di essere stati venduti da persone nelle quali avevano fiducia, o addirittura da familiari”. (Comunità Felix). “E’ difficile. E’ un problema con tutte le ragazze che difficilmente danno la loro fiducia a qualcuno, avendo incontrato persone così tremende. Con le minori è un po’ più difficile, perché il trauma è più grosso” (Associazione Differenza Donna). “Anche se viene approcciata, la minorenne è sottoposta a un grado di sudditanza maggiore, è molto faticoso per l’operatore agganciarla emotivamente. E’ lì che bisogna avvicinarsi per riuscire ad avere un comportamento proattivo da parte sua. Percependosi più piccoli e vulnerabili, si attribuiscono al trafficante doti che lui non ha: “mi troverà ovunque, si vendicherà in ogni caso, dovunque io scappi…” Il trafficante è il punto di riferimento, in positivo o in negativo, e comunque ci si aggrappa. Quindi si dà meno fiducia all’operatore, perché sarà sempre meno potente del trafficante che avrà già dato prova della sua potenza” (OIM, area antitratta). La diffidenza e la fiducia 99 E questa diffidenza è vissuta nei confronti di chiunque, anche di coloro che istituzionalmente dovrebbero e potrebbero aiutarli. “Tutto è pericoloso perché è sconosciuto: la polizia si associa a quella del paese d’origine, i servizi sociali – si chiedono – perché mai dovrebbero aiutarli? Magari pensano che si avvicinano per poi espellerli. Il trafficante anche agisce in questo senso, dando questo tipo di informazioni deviate” (OIM, area antitratta). La diffidenza può essere superata solo con una disponibilità durature ed a prova di fughe e ripensamenti, da parte degli operatori con cui questi ragazzi entrano in contatto. “E’ stata una vicenda molto lunga, perché lei è scappata più volte e ogni volta l’hanno ripresa, e noi eravamo sempre qui pronte per lei, che sapeva che esistevamo, ma doveva capire fino a qual punto” (Associazione Differenza Donna). “Il motore, alla fine, è la costanza con la quale l’opportunità viene offerta” (OIM, area antitratta). Altro elemento da neutralizzare è quello della vergogna, della autocolpevolizzazione. “Nel centro antiviolenza c’è il presupposto che chiunque viene qui è vittima di violenza, e questo è sollevante dal peso del giudizio” (Associazione Differenza Donna). Stabilito il rapporto operatore-minore, questo deve svilupparsi e consolidarsi attraverso l’ascoltonarrazione, l’empatia-autobiografia, l’accettazione-ricostruzione della propria vicenda. “La narrazione diventa lo strumento del rapporto. Quindi il bravo operatore analizza, ascolta, riflette sul racconto e comincia la relazione dialogica, in termini tecnici” (Associazione Parsec). Gli operatori intervistati mettono in evidenza il lungo e faticoso percorso che è necessario per “agganciare” ed accompagnare un minore verso un programma di recupero, sottolineando che, una volta superate la diffidenza e la paura, il nemico da battere può essere, in certi casi, l’ambivalenza. Quando ci si trova di fronte a ragazzi i quali, accanto alla coazione fisica e psicologica, hanno dovuto soggiacere a quella del guadagno, del denaro “facile”, si osserva che questa situazione comporta anche una maggiore difficoltà nel cercare di condurre verso un percorso di recupero i minori individuati ed avvicinati, specie se ciò comporta quella che considerano una “delazione” nei confronti degli sfruttatori. Come è noto, l’operatore tenuto alla segnalazione all’autorità, quando viene a conoscenza della violenza sessuale perpetrata a danno di minori (e la violenza si configura anche nelle forme della minaccia, dell’abuso di autorità, dell’abuso di inferiorità fisica o psichica che rendano possibile qualunque atto avente una qualsiasi valenza sessuale) può e deve, attraverso il cosiddetto “consenso informato” “effettuare con serenità la segnalazione, sicuro di non infrangere in alcun modo il dovere di riservatezza, in quanto preventivamente abilitato a farlo dal proprio assistito – reso edotto delle conseguenze della denuncia” 97 Il principio del “consenso informato”, al di là della sua applicazione nel caso di figure cui fa carico, in presenza di reati perseguibili d’ufficio, l’obbligo penale della segnalazione (pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio, chi esercita una professione sanitaria), è un utile elemento di riflessione e può diventare un ancor più utile strumento educativo per la acquisizione di consapevolezza di quei minori che denunziano senza essere ancora consapevoli di ciò che questo deve davvero comportare in termini di crescita personale, o – peggio – denunziano in prospettiva di 97 F. Frati, Il comportamento dello psicologo nei casi di presunto abuso sessuale nei confronti di minori, in “La Professione di Psicologo. Giornale dell’Ordine Nazionale degli Psicologi”, n.3/2002, p.18. 100 adesione “libera” alla “scelta” prostituzionale che fino a quel momento percepivano, o mostravano di percepire, come coatta. “Questo fenomeno sta diventando frequente: le ragazze sono molto combattute, molte denunciano e poi ritornano sulla strada. Non si capisce il perché. Probabilmente vogliono liberarsi dallo sfruttatore per poi mettersi in proprio” (Comune Torino, Ufficio Minori stranieri). Ovviamente la mancata volontarietà nella decisione di aderire ad un programma di recupero, la ambivalenza nella scelta, comportano per alcuni gruppi di ragazze difficoltà di realizzazione positiva di progetti di reinserimento sociale. “C’è il riscontro anche dell’atteggiamento con cui queste ragazze si pongono nei confronti dell’inserimento sociale. Perché siamo nel paradosso che molte sono in dubbio se poi conviene rimanere all’interno di un percorso sociale che ti garantisce – certo – una certa tranquillità, un permesso di soggiorno, una vita normale, a fronte di guadagni che nessun lavoro onesto e lecito sarebbe in grado di permettere”. (Comune Torino, Ufficio Minori stranieri). “Le cause a cui imputare gli allontanamenti dai servizi di accoglienza riguardano spesso uno scarso interesse per gli studi o i corsi di formazione, una certa forma di attaccamento al danaro, un bisogno di guadagnare: perciò una ridotta possibilità di concludere il percorso di reinserimento. La ragazza non vede prospettive nell’immediato, le sue esigenze non vengono soddisfatte” (Associazione Eritros). Il percorso educativo basato sull’ascolto Gli intervistati, dopo aver esposto e dettagliato le difficoltà per iniziare un percorso di recupero, illustrano anche i passi che poi devono essere fatti perché il percorso iniziato proceda, e gli ingredienti che reputano indispensabili al suo successo sono altrettanto significativi. Gli ingredienti individuati sono sostanzialmente quelli che devono tendere ad un unico obiettivo di fondo: la “normalità”. Queste ragazze devono essere accompagnate verso un’esistenza “normale”, in cui la autostima ritrovata sia la loro vera difesa. “I nostri minori si dice che siano protetti, ma in realtà è una finta protezione: l’unica protezione che essi hanno è quella psicologica, di preparazione che noi gli diamo, che serve per non ricadere una seconda volta in un tranello del genere” (Associazione Eritros). “Hanno diritto di finire gli studi, di imparare un mestiere. (…) Insomma, normalità: il minore ha bisogno di normalizzazione” (Associazione Differenza Donna). Gli intervistati sottolineano l’importanza di un approccio che tenga conto innanzi tutto degli aspetti psicologico ed educativo. “Dietro ogni minore c’è un grosso lavoro fatto dagli psicologi, per aiutarlo a superare il trauma subito senza sottolineare in modo diretto che si sta facendo un lavoro psicologico. Infatti l’approccio dei nostri psicologi è quello di lavorare con le ragazze come operatori. Questo, con i minori, è più efficace che non utilizzare uno psicologo “ufficiale”, esterno alla struttura, che si presenta come specialista, aumentando così i problemi. Spesso nelle culture di provenienza lo psicologo è associato all’idea di pazzia. (…). Il lavoro dello psicologo e degli educatori è estremamente complesso e delicato, perché non bisogna dimenticare che sono sempre delle vittime e portano su di sé i segni e le conseguenze di ciò che hanno subito” (Associazione Eritros). 101 Il percorso educativo che, come viene sottolineato dagli intervistati, con soggetti che hanno questa storia deve essere rigoroso ma allo stesso tempo sensibile alle differenze individuali nella capacità di riavvicinarsi alla socialità ed alla legalità, deve essere orientato verso il recupero del rispetto di se stessi e degli altri. “Il nostro lavoro più grosso sta nell’insegnare alle nostre utenti un comportamento idoneo nei confronti della società, rispettoso nei confronti di se stesse, e soprattutto che evitino comportamenti a rischio per se stesse. (…) La mera rigidità non è efficace nel processo educativo, nell’apprendimento di norme sociali: bisogna saper coniugare fermezza ed elasticità” (Associazione Eritros). Ovviamente l’accoglienza e la presa in carico di questi minori deve, accanto al fondamentale elemento relazionale, mettere in moto tutta la indispensabile serie di risposte concrete a problemi immediati. “Il percorso che noi proponiamo è, intanto, l’accoglienza e l’ascolto. Cerchiamo di allacciare una buona relazione d’aiuto, li teniamo fintanto che non si trova un’altra soluzione di accoglienza, facciamo tutti gli screening sanitari. Poi c’è la parte burocratica: contattiamo il giudice tutelare, segnaliamo al Comitato minori stranieri. Quindi si avviano più canali, per i vari aspetti, e cerchiamo di individuare un obiettivo finale. (…) Siamo orientati per un’integrazione, quindi cerchiamo di capire le risorse della ragazza, le possibilità di studiare o di lavorare” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). A parere di non pochi intervistati uno degli elementi principali che determinano la riuscita positiva di un percorso di autonomia è il “completamento del percorso migratorio”, che inizia con l’ottenimento del permesso di soggiorno mediante l’utilizzo dell’art. 18 – che dà o restituisce una identità sociale e talvolta persino individuale – e successivamente con un inserimento sociale, lavorativo e affettivo – che la completa. Ecco che, in quest’ottica, uno degli elementi di base del percorso è quello della soluzione del problema del permesso di soggiorno. “Il lavoro che stiamo facendo è quello di fargli avere i permessi ex art.18, avendo grande cura di aiutarle nella ricerca di lavoro, in modo che dopo 6 mesi, quindi ancora nella minore età, riescono ad avere la conversione per motivi di lavoro(il minore già dai 16 anni può lavorare) e non possono essere più mandate via” (Associazione Differenza Donna). “(E’ necessario) che la proposta del servizio sia legata alla prospettiva di completare il loro percorso migratorio, anche per i minori. Nel loro sogno c’è un percorso da completare e tu devi garantire che questo percorso giunga fino alla fine. La cosa primaria è l’ottenimento del permesso di soggiorno, che rappresenta il primo passo di questa garanzia. Tutte le ragazze, anche quelle minorenni, sentono il peso della clandestinità” (Associazione Eritros). La normalità a cui si deve far arrivare questi ragazzi, come sottolineano i testimoni, deve essere fatta, dunque, non solo di studio e lavoro, ma anche di socialità, di affettività, di autostima, di amicizia, di fiducia, di spensieratezza persino amore. “Seguono dei corsi di formazione e spesso qualcuno tende a finire gli studi. Successivamente c’è l’inserimento lavorativo vero e proprio” (Associazione Eritros). “Con i minori prostituiti, maschi e femmine, stiamo mettendo su, col progetto “Oblò”, una rete integrata di servizi di agio, di cultura, di musica. Abbiamo rapporti con ludoteche, con laboratori, perché ci teniamo che, dopo questo orrore, questa difficile ricostruzione del sé possa avvenire con tutto il supporto. Supporto psicologico – abbiamo psicologhe specializzate per l’età evolutiva – ma anche con il “lusso” di poter imparare a suonare, a ballare o a dipingere” (Associazione Differenza Donna). 102 Un intervistato, a proposito di una ragazza che, al termine del programma di recupero, oltre ad una sua attività, ha anche un fidanzato, sottolinea l’importanza del riequilibrio affettivo. “Per tutti noi la spia che la reintegrazione ha avuto successo è quando si fa pace con il proprio corpo e con l’altro sesso, quando ci si apre di nuovo a poter dare e ricevere amore” (OIM, area antitratta). Il rientro nel paese di origine Le ipotesi e le reali possibilità di rientro nei propri paesi d’origine, come è noto, sono sempre meno realistiche, possibili e – di fatto – realizzate di quanto si dica, si desideri, si ritenga utile, si tenti di realizzare. Queste considerazioni valgono quando ci si riferisce a “normali” rientri di “normali” migranti. Ciò che soprattutto rende difficili questi rientri è che sono legati dai singoli interessati ad un “successo migratorio” che non sempre arriva (o che arriva quando ormai ci si è stabilizzati nel paese d’accoglienza). Questo elemento, a parere degli intervistati, è presente in alcune situazioni che riguardano i minori soggetti a forme radicali di sfruttamento. Ciò è in qualche maniera comprovato dal fatto, riferito da qualche testimone, che accanto ai ragazzini più piccoli d’età che – una volta entrati in contatto con gli operatori – spesso vogliono assolutamente ed al più presto tornare a casa, ci sono ragazzi per i quali “tornare è una grossa umiliazione, perché in certo qual modo significa che hanno fallito la loro “missione””. Ci si riferisce, ovviamente, a quella fascia di minori per i quali l’arrivo e la permanenza nel nostro paese sono in qualche modo considerati una strategia migratoria. “A volte il contatto con la famiglia fa sentire più forte il desiderio di tornare, ma non si può rientrare nel proprio paese senza niente o con troppo poco, per questo occorre cercare di guadagnare denaro (…). Finché l’emigrato è nel proprio paese anche se povero è qualcuno, ma quando arriva qui oltre ad essere povero non è nessuno, e non riuscire a diventare qualcuno significa non avere il permesso di soggiorno, non poter tornare nel proprio paese, non poter lavorare” (Associazione Eritros). “Alcune lo vedono come il diavolo in terra (il ritorno). Pensano che sia comunque meglio restare in Italia, con le opportunità che offre” (OIM, area antitratta). Ma, per i minori di cui ci occupiamo, il rientro può spesso comportare problemi e rischi notevoli. “Ci vuole molta cautela con le ragazze che sono state sfruttate nel giro della prostituzione. Perché se le rimandiamo a casa nella situazione familiare o ambientale che è stata la causa dominante del loro sfruttamento, può succedere che vengano minacciate da chi le ha sfruttate. Ci sono stati dei casi di ragazze rimpatriate che hanno avuto dei problemi molto gravi” (Servizio Sociale Internazionale). Gli operatori intervistati, escludono in partenza di prendere in esame la possibilità di espulsione per questi minori, una volta diventati maggiorenni - ed a questo proposito plaudono all’art.18 e ne auspicano una maggiore applicazione. “Escludiamo il rimpatrio nel modo più assoluto. Da noi è sconsigliato, ma si è anche verificato che loro lo chiedessero” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). I testimoni propendono per un inserimento di questi ragazzi, a completamento del programma di recupero. “Se anche una minorenne esprime questo pensiero, mi permetto di dire che l’associazione in primo luogo cerca di suggerire di rimanere piuttosto che tornare. 103 Anche se ci sono poche possibilità di conversione del permesso di soggiorno per minore età” (OIM, area antitratta). Rispetto ad ipotesi concrete di rientro, gli interlocutori sottolineano che ci si deve attivare per realizzare il rimpatrio come un progetto, in cui il giovane viene accompagnato e seguito. “I minori non possono essere espulsi, devono essere studiati i singoli casi e fatta un’inchiesta possibilmente nel paese d’origine per vedere qual è esattamente la situazione” (Servizio Sociale Internazionale). Laddove è possibile di procede a quello che viene definito “rimpatrio protetto”, e quando ciò avviene perché è stato verificato che è possibile, le famiglie, di solito, riaccolgono di buon grado il ragazzo. Quello che però gli intervistati tengono a sottolineare è che i programmi di rimpatrio devono essere ben vagliati, soprattutto sotto l’aspetto della motivazione del ragazzo e sotto quello del tessuto familiare e sociale che troverebbe al suo rientro, perché si potrebbe altrimenti andare incontro a fallimenti dispendiosi, inutili e talvolta pericolosi. “Anche noi facciamo un filtro, se non si è motivati il progetto di reintegrazione si mina alla base. Noi ci faremmo autogol, pagando un viaggio e ritrovandocelo qui dopo 15 giorni” (OIM, area antitratta). “Una ragazza bulgara è rientrata perché ha aderito al progetto dell’OIM che le dà un milione appena parte, uno quando arriva e uno dopo tre mesi. Ora lei ha detto che vuole tornare. Il nostro atteggiamento è negativo soprattutto perché, soprattutto con le ragazze Albanesi, è capitato che si sono verificati casi di connivenza delle famiglie” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). 4.8 Dalle risorse istituzionali e spontanee al lavoro in rete Le risorse istituzionali e spontanee Numerosi e con differenti attribuzioni sono gli organismi che agiscono o dovrebbero agire per la prevenzione del fenomeno e per la sua repressione, nonché per il recupero dei minori coinvolti. “Lo statuto del Tribunale Penale Internazionale è stato adottato nel 1998, attribuendo alla Corte la competenza su un’ampia gamma di reati, compresi lo stupro, la schiavitù sessuale, la costrizione alla prostituzione, la gravidanza forzata” 98. “Viene istituito – presso la Presidenza del consiglio – un comitato per minori stranieri, con compiti di vigilanza sulle modalità di soggiorno di questi ultimi, composto da membri di derivazione sia governativa che da associazioni degli enti locali”99. Come riferisce qualche intervistato il “Comitato Minori Stranieri non accompagnati, si occupa dell’archivio di tutti i minori presenti. La lacuna è che le minori vittime della tratta non vengono passate ad un altro servizio specifico. Ci dovrebbe essere un più stretto collegamento tra Comitato e il Dipartimento Pari Opportunità” (Associazione Differenza Donna). Il Servizio Sociale Internazionale mette in atto e rivendica un forte impegno nel campo, anche se non è presente con la sufficiente forza nei paesi a rischio (nel caso che concerne la presente ricerca, 98 Cfr. Rifugiati, UNHCR, Roma, n.1/2002. Callaioli A, Cerase M, Il testo unico delle disposizioni sull’immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero:una legge organica per la programmazione dei flussi, il contrasto alla criminalità e la lotta alla discriminazione, in “La legislazione penale”, n.1-2, 1999, p.272. 99 104 ad esempio, mentre esistono risorse e strutture organizzative adeguate in Albania, lo stesso non si può dire per la Romania). A Roma è stato istituito uno “sportello” presso la Questura, in cui gli operatori della cosiddetta rete antiprostituzionale sono presenti ogni giorno e possono incontrare le ragazze fermate. Questa risorsa informale consente,a quanto riferiscono i testimoni di tentare e spesso realizzare un “aggancio” con le minori. Sembrerebbe utile che esperienze del genere si mettessero in atto almeno in tutte le grandi città e/o nelle zone interessate al problema. Esperienze simili si registrano a Venezia, Torino, Milano e anche in città più piccole. Come si è visto la risorsa principale rispetto a questo fenomeno mutevole e sfuggente è quella rappresentata dalla spontanea nascita e dal continuo flessibile adattamento delle risposte di organismi del privato sociale, grandi e piccoli, laici o a sfondo religioso, specializzati in determinati tipi o fasi d’intervento o “generalisti”, eccetera. “E’ stato bello vedere come le associazioni si siano specializzate progressivamente in alcuni segmenti: primo, accoglienza e secondo, assistenza legale. Bisogna andare sempre più nella direzione della specializzazione e del lavoro di rete. Perché non possiamo chiedere alle suorine, che hanno tanto buon cuore, di occuparsi dell’aspetto giuridico” (OIM, area antitratta). “Il lavoro di rete a livello territoriale è ormai patrimonio delle Associazioni del settore” (Associazione Parsec) Questi organismi associativi, di volontariato, della cooperazione sociale – di volta in volta e di luogo in luogo – anticipano, affiancano, sollecitano, spingono alla sinergia gli organismi ed i servizi pubblici, precedendo riconoscimenti, convenzioni, protocolli formali che non sempre arrivano (circostanza che certo non facilita l’intervento, ma che non lo vanifica). I testimoni riportano, ad esempio, la circostanza che molti di questi organismi, forti dell’esperienza sul campo, ideano progetti di intervento e di prevenzione che incontrano solitamente l’approvazione e vengono finanziati Come si vedrà appresso, questo affiancamento di risorse spontanee e risorse istituzionali non rappresenta una struttura di lavoro di rete, ma si sta spontaneamente avviando verso questa modalità operativa, che è indispensabile in un intervento come quello che è necessario attuare con questi minori alle spalle dei quali non ci sono risorse né personali, né familiari, né scolastiche o culturali e contro i quali agiscono (e continuano ad agire per tentare di sottrarli ai programmi di recupero) gli appartenenti al racket. “Spesso le cose vanno avanti grazie alla buona volontà degli operatori, perché non c’è un’organizzazione a tutela di questi minori. Spesso le case famiglia hanno paura di ospitare ragazze minorenni prostitute, hanno paura del pericolo che c’è dietro, che si faccia vivo lo sfruttatore, che ci possano essere, quindi episodi di violenza. (…) Sono molto brave le responsabili delle case famiglia – che in genere sono donne – sono persone di grande coraggio che rischiano di trovarsi faccia a faccia con questi criminali, perché si prendono in casa ragazze che possono essere ancora contattate da queste organizzazioni criminali. Al riguardo, comunque, è stata attivata una rete di protezione specifica per le donne trafficate che coinvolge circa 20 Associazioni del settore che è più specializzato e le case famiglia sono solo un anello della catena di intervento complessivo” (Comune Roma, Assessorato Politiche Sociali). Gli operatori sociali di interfaccia I testimoni illustrano innanzi tutto il fatto che per rispondere ai bisogni di utenti con una storia così dolorosa e complessa come i minori soggetti a tratta a scopo di sfruttamento, è necessaria una vasta 105 gamma di professionalità. Gamma di professionalità che gli organismi di privato sociale cercano di approntare facendo ricorso, in tutto o in parte, al volontariato e alle organizzazioni no profit. “Bisogna dire che le associazioni sono cresciute moltissimo sia nella qualità che nella varietà dei servizi, e anche per il loro approccio sempre più culturalmente corretto. Non si va più sprovvisti di una mediatrice culturale, si capisce quanto sia importante l’aggancio emotivo con le minorenni” (…)100 Le professionalità sono parecchie. Le professionalità vanno dalle operatrici di strada, ai mediatori culturali, ai tutor per l’inserimento. Ed è bene che ci siano anche delle psicologhe, formate proprio sulla psicologia di genere, sul processo evolutivo, sulla formazione della personalità dei minori. Perché femmine si nasce, ma non necessariamente donne si diventa: ed è bene supportare questo processo di crescita come donne” (OIM, area antitratta). “Coloro che lavorano in questo settore sono prevalentemente educatori, psicologi e assistenti sociali” (Associazione Eritros). Gli intervistati, anche e soprattutto in merito alla questione degli operatori impiegati e da impiegare, sottolineano la dolorosa specificità degli utenti che richiede specificità nel progetto di reinserimento e, quindi, nella professionalità di chi opera. Gli intervistati si riferiscono anche ad operatori impegnati in organismi e servizi non direttamente rivolti all’utenza minorile sfruttata lavorativamente o sessualmente, ma in attività collegate e rivolte ad un pubblico più ampio (scuola, sanità, tempo libero, eccetera). Di particolare interesse notare che lo scopo di questo allargamento del coinvolgimento operativo a differenti operatori di diversi settori è quello di consentire ai minori il recupero di una progettualità di vita: progettualità senza la quale non è possibile alcuna ipotesi di reinserimento, ma che non può essere “ad una dimensione”, non può partire da e restare in un centro di prima accoglienza, per quanto fornito di ogni sorta di preparatissimi operatori. “Ovviamente, nel caso dei minori ci vorrebbe uno staff di insegnanti e di scuole collegate – o magari dedicate – per ricostruire un percorso possibile per il minore. Perché è chiaro che, se hai bisogno di un progetto a 50 anni quando vieni qui perché sei picchiata dal marito, figurati che bisogno ha di un progetto quando sei così piccola (straniera, prostituita, schiava)” (Associazione Differenza Donna). Particolare attenzione viene manifestata dagli intervistati per la formazione e l’aggiornamento continuo degli operatori. Attenzione che non si limita ad una sottolineatura verbale, ma che dà conto di concrete iniziative che nelle varie realtà sono già in atto. Gli intervistati indirizzano, dunque, a considerare prioritari i fabbisogni formativi degli operatori e a rivolgersi verso formazione giuridica, formazione alla costruzione di reti, formazione al sostegno psicologico in particolare sotto il profilo del sostegno dell’autostima, ma anche formazione sulla diversità delle culture e sulla identità dei valori umani di fondo. “Gli operatori non sempre hanno una formazione giuridica, che è la grande mancanza degli operatori in generale” (Ci vuole) anche maggiormente formazione sulle culture dei paesi d’origine. A volte ci si abbandona troppo alle mediatrici, senza considerare che anche la mediatrice fa parte di quella cultura e potrebbe non aver capito fino in fondo questa (quella italiana) di cultura. A volte si può creare un muro tra l’utente e la mediatrice proprio perché condividono la stessa cultura: può crescere il senso di vergogna, più che rispetto ad una estranea completa” (OIM, area antitratta). 100 A proposito dell’importanza del fattore emotivo nella funzione di mediazione culturale, cfr. D’Ottavi A., La domanda sommersa, in Carchedi f. (cur) La risorsa inaspettata. Lavoro e formazione degli immigrati nell’Europa mediterranea, Ediesse, Roma, 1999. 106 Il delicato percorso dalla schiavitù alla “normale” autonomia, deve passare attraverso l’affrancamento dalla dipendenza (di genere, familiare, dallo sfruttatore, dal violento, dalla paura, dal “protettore”), ma anche dal mediatore e dall’operatore. “C’è una relazione molto forte tra l’educatore e la ragazza. Queste minori vanno in accoglienza, parlano con gli educatori, parlano con le altre ragazze, instaurano una relazione affettiva con qualcuno di loro… Ma sono molto dipendenti, con qualsiasi persona che si dimostri educata, carina, simpatica con loro, loro instaurano subito una relazione di forte dipendenza” (Comune Modena, servizio minori) La questione dell’affrancamento da ogni dipendenza del minore che deve necessariamente passare attraverso una prima fase di “dipendenza” dall’operatore, richiede particolare considerazione nella formazione e nell’aggiornamento continuo degli operatori, onde salvaguardarli da pericoloso atteggiamento salvifico della “onnipotenza” o – viceversa – in quello della “impotenza”.. “(La mancanza di completamento di un progetto) porta un’estrema delusione delle persone. Le adolescenti che hanno puntato tutte le loro aspettative sugli operatori, che paradossalmente si sostituiscono allo sfruttatore nel continuare a dare alle minorenni l’impressione di essere vulnerabili e bisognose di aiuto. Non si coltiva a sufficienza il sostegno dell’autostima, del diventare soggetti del proprio destino, delle proprie scelte” (OIM, area antitratta). La rete territoriale In questo caso ancora più che in altri, il lavoro di rete – in particolare rete transnazionale – rappresenta una necessità ed una impellenza. Per quel che concerne le azioni in rete, o quantomeno in collegamento operativo, nel nostro paese, servizi sociali (comunali, internazionali, della sanità), Questure, Carabinieri, volontariato cattolico e laico eccetera, collaborano – seppur con difficoltà - e sono consapevoli della indispensabilità della collaborazione. “La rete dei servizi esistente è quella stessa che si occupa delle donne trafficate adulte, mentre per i minori stranieri che potrebbero essere vittime della tratta, o disagiati, o ex carcerati, o minori a rischio i sistemi reticolari sono ancora deboli, non specialistici. Specificamente sulla prostituzione minorile non esiste niente. E’ chiaro che i nostri collegamenti sono con le associazioni e con le istituzioni per minori, ma la nostra particolarità è che le nostre utenti sono anche vittime della tratta” (Associazione Eritros). Lo spontaneismo delle forze vive del volontariato e dell’associazionismo sta “parando il colpo” e sta, in qualche modo, insegnando alle istituzioni come affrontare il problema : dal rapporto di collaborazione fra avvocati di sesso femminile appartenenti ad associazioni che si occupano di violenza sulle donne e sui minori con i Pubblici Ministeri, a quella fra associazioni non convenzionate e forze dell’ordine, fra servizi e volontariato sia laico che cattolico, eccetera. In tutte le città esistono ormai reti di organizzazioni specializzate sulla tratta ma ancora poche sulle problematiche minorili. Possiamo parlare di rete per le organizzazioni che operano in Toscana, in Emilia Romagna, nel Veneto e Lombardia, nonché in Piemonte e in Puglia. Certo con momenti di maggior o minor efficacia, ma comunque operanti con questa filosofia di fondo. Quella che, però, gli intervistati definiscono “rete” (anche con un po’ d’orgoglio, per essere riusciti a realizzarla quasi dal nulla), non è però diffusa omogeneamente e, spesso, non permette di attivare un vero lavoro di rete in interconnessione operativa, bensì solo un rapporto di cooperazione. 107 “Dobbiamo vedere che cosa intendiamo per rete. Una rete che si crea per risolvere un problema, è un conto, mentre una rete che è strutturata e agisce costantemente come tale, è un altro. Se consideriamo la rete come una mobilitazione per risolvere i problemi specifici, io penso che a Roma e in altre città sia molto sviluppata. Se invece parliamo di una rete che ha una guida collettiva, che si mantiene stabile nel tempo… direi che ci sono più circuiti reticolari secondo le appartenenze culturali o anche secondo le appartenenze a federazioni diverse (Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza, Caritas, eccetera)” (Associazione Parsec). “Noi lavoriamo con il settore sanitario, con l’Ospedale S. Gallicano, con la ASL RMB, con un consultorio qui vicino, con l’Ambulatorio Caritas. Poi attiviamo, in base all’età, il Centro di aiuto del bambino maltrattato, poi utilizziamo i mediatori della Fondazione Andolfi o del Forum interculturale della Caritas, e abbiamo un discreto numero di indirizzi di comunità e centri che si occupano di ragazze. Poi abbiamo nella banca dati indirizzi di altre strutture che lavorano su questo, anche con Eritros, per reperire posti, sistemare le ragazze. Ma il contatto è molto occasionale, non è strutturato” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). All’ente locale si ritiene che competa l’azione di coordinamento della rete, anche se è ovvio che la attiva interconnessione deve basarsi sulla interazione – e la retroazione – di tutti i soggetti interessati. Gli intervistati ritengono necessario pensare ad organismi di coordinamento e circolazione di informazioni per promuovere la diffusione di un vero e proprio lavoro di rete, che in questo settore di intervento è ancor più necessario che in altri campi del lavoro sociale. “Qualche volta ci siamo rivolti, certo, per esempio alle unità di strada. Abbiamo nella nostra banca dati tutti i nominativi, però non c’è un momento di riunione, un raccordo, un foglio informazioni, che sarebbe veramente auspicabile perché ci permetterebbe di avere anche informazioni utili per poter intervenire per sensibilizzare, motivare le ragazze a fare un percorso alternativo” (…). Ci dovrebbe essere un organismo, una consulta, che va a raccogliere tutti i servizi sul territorio che sono parecchi, e aiuterebbe a consolidare il lavoro di rete” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). 4.9 Il risveglio delle coscienze Ogni tanto qualche cittadino, qualche passante, qualche comune uomo o qualche comune donna denuncia la presenza di piccoli schiavi e piccole schiave nelle strade alla mercé di tutto e di tutti. "Ci sono state alcune retate in appartamenti proprio su soffiate di clienti che si rendevano conto che c'erano, negli appartamenti, dei minori" (Comune di Modena, Servizio Minori). Certo, anche qui, la molla può essere il moralismo o il non voler essere disturbati o scandalizzati, ma la presunzione della “buona fede” è d'obbligo, dato che quelle sono forse, per questi ragazzi, le prime persone che si sono occupate di loro per preoccuparsene e non per lucrare qualche vantaggio più o meno abietto. Da questi esempi gli intervistati non deducono, però che nel nostro paese si possa generalmente ritenere che esista un'opinione pubblica matura ed avvertita in merito al problema, anche se in modo disomogeneo e talvolta discontinuo. "Non parlerei dell'atteggiamento dell'opinione pubblica, parlerei di atteggiamenti dei segmenti diversi dell'opinione pubblica. Ci sono segmenti più attenti, più sensibili, al di là dell'appartenenza politica, che in qualche modo esprimono un sincero desiderio d'attenzione. Altri settori, più conservatori in senso culturale, che non hanno la capacità di distinguere" (Associazione Parsec). 108 Da una parte si nota che lo sfruttamento di bambini e minori - specie quello sessuale - è contro il comune pensare dei nostri concittadini. "L'opinione pubblica rispetta più facilmente il pietismo verso i ragazzini. Mentre si tende sempre a pensare che la donna è colpevole da Eva in poi, sulla minorenne tutti hanno un po' più di attenzione. (...). L'opinione pubblica penso sia piuttosto equilibrata, nel senso che non ho mai sentito difendere un pedofilo, anzi sono le categorie più odiate... Sulla condanna della pedofilia, sulla pietà per la minorenne messa sulla strada, mi auguro che non ci siano più porte da sfondare" (Associazione Differenza Donna). Da un'altra parte si osserva, invece, una sostanziale indifferenza, una specie di ipnosi collettiva, se non addirittura un voyeurismo pruriginoso e, comunque, una assenza di iniziativa, di protesta, di proposta. "Rispetto all'opinione pubblica ci sono situazioni altalenanti: c'è l'impressione di indifferenza, che non si voglia approfondire un fenomeno che in realtà esiste. Non credo che ci sia una grande sensibilizzazione. (Centri di Pronto Intervento per Minori - Caritas Roma). "(La mia opinione sull'atteggiamento dell'opinione pubblica) è senz'altro di sdegno. Ho un'affermazione che non è mia: i cittadini in media sono 'guardoni' che si affacciano alla finestra, guardano, ma poi non incidono effettivamente con la loro indignazione. Nella nostra società tutto sembra uno schermo, sembra non ci sia differenza tra affacciarsi alla finestra a guardare un fenomeno e stare seduto sulla poltrona a guardare la televisione. (...) Un guardone qualche volta si indigna, ma è solo l'illuminazione di un secondo: subito dopo viene cancellata dalla pubblicità” (Associazione Eritros) Viene anche sottolineato dagli intervistati che se è vero, come sembra essere vero, che il fenomeno dello sfruttamento dei minori è un problema che deve riguardare tutti, specie per quel che riguarda la prostituzione, allora viene da domandarsi se l’indifferenza sostanziale di chi guarda, e passa, non sia in qualche modo anche connivenza e complicità “Quando fanno uno sceneggiato televisivo in cui si parla di sfruttamento minorile sono tutti lì a guardare, rimangono emozionati, salvo, poi, quando le trovano per strada, gli stessi si girano dall’altra parte o le ignorano (…). Credo che gli stessi che vedono queste trasmissioni, che sentono questi servizi, poi quando vanno con una prostituta e trovano una minorenne, sono solo che contenti. Gli stessi che sono in poltrona e dimostrano un minimo di solidarietà, di scandalo per questa situazione, poi sono i primi ad usufruirne quando gli si prospetta l’occasione” (Comune Roma, Assessorato Politiche Sociali). “Bisogna inoltre tener presente che (fra i cittadini che si indignano) alcuni sono anche clienti di queste ragazze!" (Associazione Eritros). Di questa situazione i testimoni attribuiscono una certa non irrilevante responsabilità al ruolo dei mezzi di comunicazione di massa, rispetto al quale sono critici. "Ho l'impressione che ci sia un'attenzione più morbosa che non orientata a fronteggiare il fenomeno, e questa è una cosa negativa. Mi sembra si affronti più in chiave sensazionalistica, di curiosità morbosa" (Magistrato Pool contro violenza e abuso sessuale su minori). "Ho sentito una cosa di Bruno Vespa orribile: in una discussione su prostituzione, case chiuse, ha fatto una battuta truce... qualcuno ha detto "se una va con una minorenne rischia la galera", e lui ha detto "eh, uno rischia pure!", come dire che pur di andare con una minorenne..."(Associazione Differenza Donna). Le agenzie di diffusione della comunicazione, in altri termini, a parere dei testimoni, cercano l’audience a tutti i costi, dimenticando o travisando la loro funzione sociale. “I mass media quando vogliono tirano fuori il “caso” per fare lo scoop, per fare ascolto” (Comune Roma, Assessorato Politiche Sociali). 109 Gli intervistati, passando dalla critica pessimista ad un'ottica propositiva, ritengono che sia fondamentale organizzare campagne di informazione e sensibilizzazione, e ritengono che di ciò si dovrebbe far carico da una parte la scuola, dall'altra gli organismi del terzo settore.. "Secondo me l'Italiano ancora non sa che andare con una minorenne è reato, non lo ha ancora capito, neanche il fatto che il consenso non ha nessuna valenza(...). Bisognerebbe fare educazione civica nelle scuole. Perché se ci ritroviamo degli editori, dei giornalisti, degli utenti - sia come cliente che come lettore - di questo tipo a mio avviso è perché non si conosce la Costituzione, non si conoscono le leggi italiane, e non ci viene insegnato il valore degli esseri umani in generale. Anche il discorso sull'immigrazione è trattato così: ci fa pensare che se sei Albanese sei di serie B, sei solo un pezzo di carne. A quel punto minorenne o maggiorenne non ha importanza, e non mi faccio il problema" (OIM, area antitratta). 4.10 Il perchè della scelta: Albania e Romania Nella drammatica geografia che divide – e sempre più radicalizza la divisione – fra paesi opulenti e dissipatori di risorse e paesi dove l’uomo, la donna e i loro figli, non avendo più neppure il rango di forza-lavoro, magari da sfruttare, bensì solo quello di merce ‘usa e getta’, per sopravvivere non possono fare altro che piegarsi a questo mercato, esiste una ferrea gerarchia tra paesi, appunto. Non è difficile individuare, nella gerarchia discendente, i paesi dai quali, con una sorta di profezia autoavverantesi, si prevede e si vede l’arrivo di piccoli schiavi. “I minori Albanesi e Rumeni sono la maggioranza dei minori che arrivano ai servizi ed alle comunità di accoglienza (insieme con Moldavi, Ucraini, Pakistani, Nigeriani, Marocchini, eccetera)”. (Comunità Felix) I minori provenienti dall’Europa dell’Est, prima quasi esclusivamente Albanesi, ora vengono da varie zone balcaniche, prevalentemente dalla Romania. “Direi che Romania e Albania sono i due paesi dove abbiamo riscontrato il maggior numero di casi che abbiamo assistito. Questo è un osservatorio particolare, perché ci occupiamo delle persone che vogliono volontariamente fare ritorno nei paesi d’origine, non abbiamo informazioni sul fenomeno in generale” (OIM, area antitratta). “Una presenza significativa delle minori straniere che si prostituiscono, è quella delle Albanesi, che sono anche molto giovani”. (Caritas Torino, Ufficio Pastorale Migranti) Sembra però accertato che, al di là della maggiore visibilità delle ragazze nigeriane che sono tante e che sono prevalentemente sulla strada (anche se dislocate sempre più in periferia), con l’aumento dell’afflusso dai paesi dell’Est si registrino sia una presenza albanese sempre alta ma ultimamente in calo, sia – in forte crescita – una presenza rumena, seguita da quelle moldava, ucraina, bulgara, eccetera. (Comune Torino, Ufficio Minori stranieri) Il “target” dell’Est è composto principalmente, negli ultimi tempi, da minori rumene. I “reclutatori”, nei paesi di provenienza, “comprano” o rapiscono con violenza o inganno le ragazzine specialmente nelle campagne. Anche se, negli ultimi tempi, come si è visto, anche per queste ragazze esiste la consapevolezza di ciò che verranno a fare, anche se non della durezza delle condizioni di vita che incontreranno. Le storie individual-familiari che stanno dietro ad ogni soggetto, e di cui gli operatori tengono il dovuto conto per poter costruire ipotesi credibili di recupero, non devono rischiare di “psicologizzare” il problema della tratta. Queste storie così frequenti, così uguali una all’altra, così prevedibili, sono il risultano del sovvertimento sociale, economico, politico che nei paesi dell’Est e 110 dei Balcani, si è verificato senza nessuna rete di protezione internazionale, anzi con l’attiva quanto interessata partecipazione dei paesi ricchi a questo sovvertimento, a questa caduta libera, come se si credesse davvero di andare vero un benefico laissez faire. Sovvertimento che disgregando culture, economie, micro realtà sociali, famiglie e corrompendo ogni legame umano e sociale, ha prodotto quell’anomia generalizzata di cui si parlava in un precedente paragrafo. “Riferendoci ai paesi dell’Est, o in modo particolare all’Albania, sono persone che presentano disagi legati a problemi familiari, fondamentalmente. La maggior parte di queste ragazze, nel loro paese di provenienza, hanno avuto un tipo di vita poco regolare. Per esempio sono soggetti che sono scappati da casa, hanno vissuto senza fissa dimora. Evidenziano dei problemi fondamentali all’interno della sfera familiare, poi trovano dei soggetti, dei mercanti che si propongono come liberatori che le porteranno all’avventura, in luoghi dove potranno essere autosufficienti. Ed invece le portano ad essere schiave” (Associazione Eritros). Un cambiamento si starebbe verificando anche nel racket. Le organizzazioni albanesi, all’inizio poco più che improvvisate, si sono “industrializzate” e, nello stesso tempo, nella organizzazione della tratta e dello sfruttamento sono entrati anche elementi di altre nazionalità. Le reti di tratta e sfruttamento si sono ampliate, organizzate e gerarchizzate, hanno acquisito maggiore capacità di dissimulazione. Ora le stesse reti, che in precedenza, per le provenienze dai paesi dell’Est, erano prevalentemente di Albanesi, sono anche serbe o rumene. E’ ancora presto per affermare, dati alla mano, che la “sostituzione” dei e delle minori albanesi da parte di altri minori provenienti dall’Est, sia davvero una sostituzione e non semplicemente una somma. Si intende dire che, in assenza di dati numerici affidabili, è difficile capire se gli Albanesi restino numerosi perché molti ne erano entrati nel nostro paese – ma il loro flusso in entrata si sia ridotto (per essere quindi rimpiazzato da quello di Rumeni ed altri) - oppure se gli Albanesi continuino ad arrivare nella stessa misura e ad essi si aggiungano minori di più recente arrivo da altri paesi dell’Est. Qualche intervistato sottolinea che è difficile delineare una “tipologia” della prostituzione minorile: quanti italiani e quanti stranieri, quanti maschi e quante femmine. “Diciamo che le cose cambiano e seguono il flusso dell’immigrazione. Il flusso è cambiato ultimamente: gli Albanesi hanno avuto un grosso crollo degli arrivi. Ultimamente sono poche le ragazze albanesi con questo problema che accogliamo al centro” (Centri di Pronto Intervento per Minori – Caritas Roma). E’ però importante sottolineare che l’impegno in Albania (Uffici del Servizio Sociale Internazionale per la prevenzione delle partenze e per l’accompagnamento dei rientri; progetti di cooperazione internazionale) è in corso. Tra i progetti di cooperazione tecnica finanziati dall’Italia nell’ambito del programma internazionale dell’ILO per l’eliminazione del lavoro minorile (IPEC) , esiste un Programma nazionale per l’eliminazione del lavoro minorile in Albania: “il programma si propone di ritirare dal lavoro circa 10.000 giovani. Esso prevede lo sviluppo di una politica nazionale di lotta contro il lavoro minorile, l’adeguamento della legislazione in materia e lo sviluppo di capacità istituzionali per fronteggiare il problema. L’esito positivo di un certo numero di progetti pilota per la scolarizzazione di minori ex-lavoratori di strada dovrebbe cambiare l’atteggiamento della società albanese riguardo al lavoro minorile nelle aree rurali nonché riguardo al traffico di minori verso l’Italia e la Grecia”101 101 ILO, Convegno “Prima giornata mondiale contro il Lavoro minorile”, Roma 12 giugno 2002, relazione introduttiva, p.4. 111 La strada intrapresa sembra andare nella giusta direzione, anche se non si può affermare che sia sufficiente e se non se ne possono ancora valutare gli esiti. Il problema dovrà certo essere in maniera simile ed in tempi brevi in Romania, dato il picco di flussi in entrati di minori clandestini da sfruttare lavorativamente o attraverso la prostituzione. Ma i paesi della “gerarchia discendente” che possono subentrare nella triste graduatoria sono molti, e i progetti di cooperazione devono acquistare un più ampio respiro. 112 5. Mascolinità albanesi, sex-work e migrazione: omosessualità e rischio di infezioni da rapporti sessuali di Nicola Mai 5.2 Premessa Il proposito principale di questo capitolo è stato quello di esplorare le implicazioni culturali, sociali ed epidemiologiche del modo in cui il fenomeno del sex-work maschile albanese è emerso come una strategia di sopravvivenza importante per molti uomini (adulti e minori) nell'ambito della loro emigrazione in Italia e in Grecia. L'associazione comune dell'Hiv/Aids ad una costruzione culturale dell'omosessualità nei termini di una malattia morale, derivante da una natura repressiva ed eteropatriarcale (Wilton 1997: 31) propria della società albanese, rappresenta il punto di vista più diffuso per analizzare questo fenomeno. Ossia rappresenta il modo più specifico con cui le mascolinità albanesi sono definite in contrasto ai propri altri non mascolini. L'intreccio profondo di queste relazioni – e le dinamiche socio-culturali che innescano – rappresentano, quindi, una delle prospettive maggioritarie che permette di leggere, al contempo, la possibile potenzialità della diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili (in primis il virus Hiv) presso il gruppo di sex worker omosessuali e non. L’attenzione verrà posta, dunque, sul modo in cui la relazione fra identità di genere e le pratiche sessuali corrispondenti che maturano e si chiarificano progressivamente durante il processo migratorio. Il Capitolo affronterà alcuni aspetti della problematica omosessuale in Albania, in quanto si ritiene che sia alla base del processo di emigrazione di alcune componenti sociali sia adulte che giovanili e finanche minorili e alla base della pratica prostituzionale di alcuni segmenti di esse. Pratica che per alcuni gruppi è libera, mentre per altri rappresenta il risultato di forme di soggezione e di assoggettamento psicologico e affettivo, soprattutto per i gruppi minorili. La prospettiva metodologica è quella di considerare queste tematiche sia dal punto di vista del paese di partenza – cioè l’Albania – che da quello del paese di arrivo, cioè l’Italia ed in particolare Roma. I dati e le informazioni analizzate sono state acquisite mediante interviste effettuate sia direttamente in Albania che in Italia, in particolare a Roma. Durante la permanenza in Albania si è avuto occasione di contattare, conoscere e collaborare con i membri della principale associazione omosessuale albanese. Con questi operatori è stato possibile entrare in contatto con numerosi ragazzi omosessuali che vivono in Albania ed all'estero. Tra il marzo e luglio del 2002, inoltre, sono stati contattati ed intervistati oltre 20 ragazzi albanesi e rumeni di diverse età, comprese nella fascia fra i 16 ed i 25 anni che vivono a Roma. Le interviste sono state fatte direttamente dallo scrivente, frequentando i luoghi della prostituzione maschile di strada (Piazza della Repubblica e Valle Giulia) ed alcuni locali gay frequentati dai giovani sex worker e dai loro clienti. Si è cercato quindi di ottenere le informazioni attraverso l'osservazione diretta e, al contempo, attraverso l’annotazione susseguente dei comportamenti dei ragazzi e dei minori medesimi. Le conversazioni e i colloqui di intervista effettuati in parte sono stati spontanei ed in parte hanno seguito una traccia scritta ma che seguiva il ritmo e le scansioni di una normale conversazione. 5.2. L’omosessualità invisibile e silenziosa. Marginalità sociale o emigrazione all’estero e in Italia in particolare 113 Perché occuparsi del tema dell'omosessualità e dei sex worker maschili (adulti e minori) in relazione ad un contesto socio-culturale in cui queste pratiche sono talmente stigmatizzate da essere ridotte all'invisibilità e al silenzio quasi completo? La risposta sta nel fatto che in primo luogo l’omosessualità - e in secondo luogo il subfenomeno dei sex worker maschili - sta svolgendo un ruolo centrale in quanto rappresenta “l'altro costitutivo” (Hall 1996: 5) nell'ambito delle pratiche discorsive che formano le mascolinità contemporanee. Ragion per cui diventano oggetto specifico da analizzare tutte le tematiche inerenti alle narrazioni, ai saperi che si solidificano intorno ad esse, nonché le conoscenze e i discorsi che le accompagnano e nell’accompagnarle le definiscono. Quasi tutti gli studiosi che si sono occupati di descrivere l’evoluzione storica dell'omosessualità sono d'accordo sul fatto che fu soltanto nella seconda metà del diciannovesimo secolo che il fenomeno acquisita una sua specifica attenzione. Infatti, ci si accorse, tra l’altro, che sussisteva una stretta correlazione e collegamento fra le pratiche sessuali esplicitate fra persone dello stesso sesso e le forme identitarie diverse che assumevano conseguentemente, e viceversa, le persone coinvolte in tali pratiche deliberatamente. Pratiche, tuttavia, che venivano catalogate - e poste in relazione molto spesso - come delle forme particolari di “malattie” e di “'psicopatie”. La canonizzazione dell'omosessualità in termini patologizzanti e positivisti doveva – e per certi versi deve ancora essere analizzata in relazione alla necessità di “modernizzare” continuamente gli statuti della mascolinità in un mondo in piena trasformazione. Il mantenimento e la stabilità della mascolinità eterosessuale contemporanea è intrinsecamente dipendente dalla costruzione strategica di una distanza da e manipolazione di “altri costitutivi” privilegiati e significativi, come l'omosessuale e la donna cosciente della sua soggettività particolare. Insomma, l’eterosessualità ha necessità di determinarsi con pratiche sessuali oppositive (riconoscendole solo ufficiosamente) a quelle considerate omosessuali allo scopo di potersi definire come tale. Paradossalmente – parafrasando Jonathan Dollimore - è possibile affermare che la negazione dell'omosessualità è quasi sempre direttamente proporzionale alla sua reale centralità nelle diverse società umane, così come la sua marginalizzazione culturale è direttamente proporzionale alla sua forte e altrettanta risoluta significatività culturale. Questo diventa piuttosto importante in quanto ci permette di comprendere il modo in cui i canoni di mascolinità e femminilità sono articolati e spesso intrecciati, nonché negoziati ed esperiti da parte della società albanese nel suo complesso. Questo è particolarmente vero se si considera che la maggior parte dei ragazzi che sono stati intervistati all'inizio della loro carriera di sex worker erano al contempo protettori di giovani e giovanissime/mi che esercitavano la prostituzione con differenti modalità. In questi rapporti gli intervistati affermano di essere, comunque, sempre dei soggetti attivopenetrativi. Il processo di trasmissione delle malattie di carattere sessuale (in particolare l’Hiv e l’epatite A), quindi, avviene con la loro diretta compartecipazione. Infatti, il virus viene trasmesso nella maggior parte dei casi attraverso le pratiche sessuali di tipo penetrativo non protette fra uomini e donne (Lewis 2002: 15) e fra uomini e uomini. Ad ogni modo, per via del suo status egemonico, sia nei rapporto uomo-donna che nel rapporto uomo-uomo, il comportamento sessuale maschile attivo - e il modo con cui questo è costruito e formato da nozioni di mascolinità culturalmente determinate - tende a non farsi mettere in discussione né a farsi sottomettere. Non accetta cioè nessuna critica – se non di tipo marginale - nelle pratiche e nei comportamenti sessuali che possono procurare le malattie trasmissibili sessualmente (Lewis 2002; Wilson 1997), anche quando esso stesso gioca un ruolo prioritario. 114 Come suggerisce Jill Lewis, “la mappa di genere su cui gli individui tracciano i loro comportamenti ed interpretano quelli dei loro partner li invita a comportarsi come un uomo o come una donna in conformità con i canoni morali della loro società” storicamente determinata (Lewis 2002: 16). Ciò vuol dire – ad esempio – che in Albania, aspetto che si evidenzia anche dalle informazioni acquisite dalle interviste effettuate a Roma – che “mettere in atto ed impersonare la mascolinità significa, in prima approssimazione, dovere continuamente ribadire la propria differenza da una femminilità stigmatizzata ed impotente e come questo atteggiamento generalizzato abbia un forte impatto, ad esempio, sulle pratiche e politiche di prevenzione” delle infezioni da Hiv (Wilton 1997: 33). Questa “cultura” – che inficia di sé tutta la società albanese – spinge le componenti maschili omosessuali della popolazione (ma anche quelle femminili) ad un regime di invisibilità. Questo significa che le relazioni uomo-uomo o donna-donna sono pressoché bandite e relegate a circuiti talmente nascosti e mimetizzati che la loro pratica è ritenuta amorale e perseguibile in diverse maniere, non ultima quella penale (anche se negli ultimi anni si registrano degli spiragli di tolleranza, soprattutto in alcuni ambienti elitari). Questo clima culturale determina una forte compressione della manifestazione e della pratica della soddisfazione dei bisogni sessuali da ricercarsi tra persone appartenenti formalmente allo stesso sesso. L'omosessualità è ancora molto stigmatizzata e negata ed i gay albanesi sono costretti a restare dietro le quinte della società. Questo è particolarmente vero in quanto tra i gay albanesi vige un criterio molto semplice per sondare la reciproca disponibilità ad avere rapporti sessuali che è quello di chiedere al potenziale partner se è stato in Italia o in Grecia. L’esperienza migratoria, in sostanza, attesta il grado di consapevolezza della condizione gay e la potenziale disponibilità delle persone che possono ricoprire il ruolo di “oggetto” dei loro desideri. Essere omosessuale in Albania è una esperienza drammatica sia per la persona coinvolta direttamente che per la famiglia. Le reazioni più comuni variano dal far finta di niente alla marginalizzazione sociale e al senso del disgusto, fino ad arrivare all’aperta discriminazione e sovente al maltrattamento e all’abuso. La situazione in cui al momento si trovano a vivere gli omosessuali albanesi è di estrema vulnerabilità sociale ed economica, nonché di pericolo psico-fisico soprattutto per quelli che tentano di manifestare timidamente la propria identità sessuale. Inoltre, a causa dell'altissimo livello di disoccupazione e della carenza di alloggi che si registra nel paese, quasi tutti gli omosessuali albanesi sono costretti a vivere con le loro famiglie e soprattutto restano per molto tempo dipendenti dalle stesse dal punto di vista economico. Inoltre la maggior parte degli omosessuali albanesi non possono rivelare la propria natura nemmeno ai propri familiari per paura di essere ripudiati e misconosciuti. Molti datori di lavoro rifiutano di assumere omosessuali per paura di pagare le conseguenze del giudizio severissimo dell'opinione pubblica. Per tutte queste ragioni gli omosessuali albanesi sono costretti a dissimulare la propria natura ed a vivere in isolamento. Non vi sono luoghi di ritrovo specifici in tutto il paese e nessuna delle persone che sono state faticosamente intervistate conosceva più di 4 o 5 altri omosessuali e ne parlava in maniera molto discreta e quasi circospetta. Questa situazione ambientale può essere annoverata come uno dei fattori di spinta all’emigrazione di questi gruppi di popolazione omosessuale al pari delle condizioni di sottosviluppo da un lato e delle aspettative di migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle componenti migratorie “classiche” dall’altro. Da questa prospettiva è possibile leggere ed interpretare la scelta migratoria di interi gruppi omosessuali, sia in età adulta che in età adolescenziale e post-adolescenziale. Ossia si registrano componenti che espatriano anche soli, cioè senza nessun adulto al seguito proprio al fine di non dover sottostare a logiche di tutela di carattere gerarchico che ricordano quelle di stampo patriarcale sopra ricordate. 115 Molti giovani albanesi, dunque, una volta espatriati fanno ricorso alla prostituzione come strategia di sopravvivenza, in quanto in qualche modo giustifica la loro diversità. Una buona parte degli intervistati, tra le altre cose, ammette di aver praticato la prostituzione da una parte perché non era in condizione di procurare denaro in altro modo, ad esempio, lavorando; dall’altra parte perché esercitare la prostituzione rientrava nell’orizzonte dei motivi per cui avevano lasciato il loro paese. Insomma, prostituirsi diventa una possibilità di esprimere la propria identità sessuale. Tra questi alcuni gruppi riferiscono di avere “conosciuto” l'omosessualità soltanto una volta fuori dall'Albania, mentre altri – in misura minore – affermano che rapporti omosessuali erano stati sperimentatati anche in patria, ma non in maniera continuativa e quasi mai dietro compenso monetario. 5.3 Le disposizioni normative in relazione all’omosessualità e alla prostituzione Gli omosessuali in Albania hanno sofferto particolarmente dalla repressione e dalle violenze che hanno caratterizzato il regime dittatoriale di Enver Hoxha. Sebbene relazioni sessuali fra maschi adulti fossero abbastanza comuni nella società albanese pre-socialista, come testimoniato da numerosi diari di viaggio e resoconti etnografici del diciannovesimo secolo, dopo l'avvento del comunismo nel 1944 l'omosessualità venne considerata un reato e molti omosessuali, fra i quali molti artisti ed intellettuali, sono stati perseguitati ed anche uccisi. Molti altri invece sono stati indotti al suicidio a causa della discriminazione, violenza e vergogna che improvvisamente furono associate alla loro condizione in maniera nettamente discriminatoria. Secondo l'articolo 137 del Codice Penale Albanese introdotto nel 1977 “la pederastia è punibile con una pena di 10 anni di reclusione”. La definizione di pederastia nel contesto albanese è chiara e si riferisce a qualsiasi forma di relazione sessuale fra uomini, a prescindere dal fatto che vi prendano parte adulti consenzienti o minori inconsapevoli e vulnerabili. L'articolo 137 faceva parte di una sezione intitolata ”Crimini contro la Morale Sociale” e gli altri due articoli inclusi trattavano di prostituzione (Art. 135) e di pornografia (Art 136). Un articolo pubblicato sul quotidiano Gazeta Shqiptare il 3 giugno 1994, affermava che l'ultimo processo effettuato in base all'Articolo 137 ha avuto luogo nel 1993. Da allora vige un atteggiamento di maggior tolleranza. Prima del 1995 l'omosessualità in Albania era illegale e punibile con 10 anni di reclusione. Nell'estate del 1994, a seguito del tentativo di armonizzare il Codice penale albanese con i parametri di democraticità previsti dal Consiglio Europeo, il governo albanese ha proposto una revisione dell'articolo 137. La revisione però non depenalizzava l’omosessualità. Questa rimaneva illegale, ma la pena massima applicabile veniva ridotta a tre anni di reclusione. A seguito di una campagna di pressione internazionale orchestrata soprattutto dall'organizzazione ILGA (International Gay and Lesbian Association) in collaborazione con il Consiglio Europeo, quest'ultima proposta di legge è stata ritirata e, de iure, dal 1995, i rapporti fra omosessuali adulti consenzienti non sono più un reato in Albania. In ogni caso, l'articolo 116 del Codice Penale in vigore stabilisce a 18 l'età legale per i rapporti omosessuali, con una pena di 5 anni per chi infrange la norma; mentre l'età minima per i rapporti eterosessuali è di 14 anni. A tutt'oggi uno dei termini più comuni con cui vengono designati gli omosessuali in Albania rimane pederasta. Purtroppo, il fatto che l'omosessualità de jure sia stata legalizzata in Albania non ha significato de facto la fine degli abusi e della discriminazione contro gli omosessuali. Nel 1998, un gruppo di circa 30 omosessuali albanesi furono arrestati, interrogati e detenuti per ore della polizia di Elbasan, nell'Albania centrale, in relazione ad un caso di pedofilia e vennero rilasciati dopo essere stati soggetti a maltrattamenti, minacce ed abusi fisici e psicologici. 116 Successivamente un anziano completamente estraneo all'ambiente omosessuale venne accusato e condannato per il crimine in oggetto. Casi simili di arresto arbitrario, maltrattamento ed abuso di omosessuali in relazione a casi di pedofilia od altri crimini con una componente sessuale sono tuttora frequenti in Albania. Inoltre gli omosessuali albanesi sono costantemente oggetto di comportamenti abusivi ed arbitrari da parte della polizia. Nel mesi di febbraio 2001 la polizia a Tirana ha fermato due omosessuali mentre stavano ritornando a casa e trovandoli in possesso di preservativi li ha costretti ad una umiliante ispezione anale nel cellulare della polizia, nel tentativo di verificare il loro orientamento sessuale. Episodi come questi non sono rari e pertanto testimoniano il livello di maltrattamento ed abuso quotidiano cui sono sottoposti gli omosessuali albanesi. Nel maggio 2001 un giovane poeta omosessuale è stato trovato morto sulle rive del lago del parco di Tirana. Nonostante che molte prove facessero pensare al coinvolgimento di più persone nella morte del ragazzo, fatto che in circostanze normali avrebbe richiesto più approfondite indagini. Le autorità hanno archiviato frettolosamente il caso come un “annegamento accidentale” ed a tutt'oggi sul caso non sono state effettuate ricerche od inchieste supplementari. A partire da questa breve analisi della condizione degli uomini omosessuali albanesi si possono sottolineare quattro aspetti principali: a. l'associazione criminalizzante da parte del codice penale comunista delle relazioni sessuali fra persone dello stesso sesso e l’esercizio della prostituzione senza distinguere tra quella volontaria e quella coercitiva; b. il modo in cui le relazioni sessuali fra persone dello stesso sesso sono state criminalizzate nei termini di pederastia e l'assenza di qualsiasi menzione alla questione dell'omosessualità femminile; questa appare a tutt’oggi quasi sconosciuta nel sentire comune; c. il fatto che queste dinamiche di criminalizzazione sono state esasperate e promosse in quanto parte integrante del progetto di modernizzazione del paese da parte del regime comunista albanese e che il susseguirsi dei nuovi governanti non riesce ad invertire sostanzialmente la rotta; d. la particolare severità del processo di criminalizzazione, discriminazione e persecuzione degli uomini che fanno sesso con altri uomini in Albania e che, soprattutto, nell’età adolescenziale e post-adolescenziale sono in qualche modo costretti ad espatriare per poter soddisfare aspetti significativi della propria identità sessuale. Pratica che li espone alla prostituzione e a forme di traffico a scopo di sfruttamento sessuale di carattere coercitivo. 5.4. Il discorso omosessuale, i diversi tipi di omosessualità e le pratiche prostituzionali Curiosamente, ma non casualmente, il termine albanese che più si avvicina al concetto occidentale di omosessualità ed in particolare all'identità gay è la parola kurvë, che significa anche prostituta femmina. Pensiamo che questa associazione semantica e simbolica fra la figura dell'omosessuale maschio e quella della prostituta femmina sia particolarmente illuminante. Essa merita una ulteriore analisi dal momento che potenzialmente essa rivela la micro-fisica focaultiana di desiderio, potere e conoscenza che determinano il campo discorsivo dal quale emergono le mascolinità albanesi. In altre parole, l'associazione simbolica del “frocio” e della “puttana” rimanda ad un ordine simbolico fallocentrico ed eteropatriarcale in cui, per dirla con Lacan, non ci sono due sessi, ma uno solo: l'Uno ed i suoi Altri. Secondo questo ordine simbolico autoritario ed omogeneo soltanto i veri uomini, ovvero, per citare Herzfeld, soltanto gli uomini che sono “bravi a fare gli uomini” sono i 117 custodi e detentori dell'onorabilità e della rispettabilità ed hanno il diritto di amministrare il potere affermando il loro predominio e dominazione sui loro “altri diversi” meno onorevoli e meno mascolini. La donna, la prostituta e l'omosessuale, non potendo aderire e conformarsi agli standard normativi, mascolinizzati ed egemonici di onorabilità e rispettabilità, condividono la funzione di principali altri costitutivi differenziandosi dai quali i soggetti mascolini privilegiati ed egemoni vengono costruiti dal complesso delle interazioni socio-culturali. La posizione degli omosessuali nel campo sociale è quella di una soggezione silenziosa ed impotente ad un soggetto morale fallocentrico ed ideologicamente mascolinizzato che domina la scena simbolica e pertanto tutto il paesaggio socioculturale albanese. Per potere comprendere pienamente le implicazioni dell'associazione della figura della “puttana” – la donna disonorata- a quella del “frocio” - l'uomo disonorato- nell'ambito del campo discorsivo e simbolico dal quale emergono le mascolinità albanesi occorre tracciare una breve genealogia dei diversi e mutevoli modi in cui la attività sessuali fra persone dello stesso sesso sono state esperite e costruite culturalmente in Albania. Al riguardo i principali set discorsivi relativi alle mascolinità albanesi - con riferimento alle relazioni sessuali fra uomini - possono essere quelle che Huseyin Tapinc (nel suo saggio 'Masculinity, Femininity, and Turkish Male Homosexuality del 1992) propone per l’omosessualità turca. Infatti, per molti aspetti l'analisi di Tapinc puo' essere in parte estesa all'Albania, la quale è stata politicamente, culturalmente ed economicamente parte dell'Impero Ottomano per oltre cinque secoli. Il saggio di Tapinc pertanto ci sembra un buon punto di partenza in quanto tutte le culture balcaniche e mediterranee sembrano condividere una configurazione particolare di patriarcato, misoginia ed omofobia. Al riguardo si possono delineare quattro scenari caratterizzati dal tipo di relazione fra identità individuale, dai modelli egemonici di genere e dalle pratiche sessuali fra persone dello stesso sesso. Il primo di questi scenari è quello fra due “eterosessuali mascolini” e comprende pratiche sessuali che sono confinate alla masturbazione reciproca e che escludono il sesso orale ed anale (Tapinc 1992: 40). Gli uomini che si conformano a questo tipo di comportamento sessuale lo considerano una esperienza eterosessuale, dal momento che la masturbazione fra uomini in Turchia, a differenza che in Albania, non è solitamente considerata un comportamento omosessuale. Il secondo e più rilevante scenario discorsivo per gli incontri sessuali fra uomini è quello fra un eterosessuale mascolino ed un omosessuale femminino. L'aspetto chiave di questo modello è la distinzione chiara fra il soggetto penetrante attivo e mascolino e quello penetrato passivo e femminino, i quali considerano la loro identità sessuale e di genere rispettivamente come eterosessuale ed omosessuale. Questa separazione socialmente riconosciuta fra il soggetto penetrante attivo e quello penetrato passivo nel comportamento omosessuale consente a molti uomini eterosessuali di avere rapporti omosessuali. Questi rapporti che sono considerati come uno “sfogo sessuale secondario” dal momento che per essi la relazione sessuale, sebbene abbia luogo in un “contesto omosessuale”, soddisfa un “bisogno eterosessuale”. Aspetto che in effetti si riflette nella preferenza e la frequenza nell'ambito di questo scenario del sesso anale, nel quale il partner mascolino attivo e penetrante (non necessariamente omosessuale) rappresenta il potere non negoziabile del fallo mentre il penetrato passivo e femminino (e omosessuale) rappresenta una dimensione di passività e mancanza di potere. Infatti questa relazione di potere è analoga alla sessualità eterosessuale in cui l'uomo col suo fallo esercita il potere sulla donna che ne è sprovvista (Tapinc 1992: 41). 118 Il terzo scenario omosessuale di Tapinc si riferisce alla relazione fra un omosessuale mascolino ed un omosessuale femminino. Nonostante entrambi i partner coinvolti nella relazione internamente assumano una identità omosessuale, la divisione fra i ruoli e le caratteristiche ascritte alla categoria del maschile e del femminile sono ancora rigidamente rispettate. In questo modello le identità sessuali e sociali di entrambi i partner sono costruiti a partire da ed in conformità con un contesto sociale di ineguaglianza. Contesto che in Albania, come in Turchia, deriva da un investimento fallocentrico nella superiorità della mascolinità, la quale si manifesta nella sessualità esclusivamente penetrativa dell'eterosessuale mascolino od in quella esclusivamente passiva dell' omosessuale mascolino. La maggior parte delle relazioni sessuali tra uomini di lunga durata in Albania ed in Turchia avvengono secondo i canoni e le norme di questo modello. Nel quarto scenario, invece, le frontiere morali e di genere fra partner attivo e passivo scompaiono, in quanto sono deliberatamente scambievoli e complementari. Il secondo ed il terzo scenario di tipo omosessuale riflettono le forme e le esperienze egemoniche di omosessualità presenti nella “scena gay” di Tirana e sono consistenti con un set di pratiche sociali, spazi e ruoli che finiscono per riprodurre e rinforzare una definizione normativa ed eteropatriarcale di mascolinità. In Albania al centro della costruzione culturale dell'omosessualità e della sua relazione con gli statuti normativi della mascolinità sta l'atto della penetrazione, dal momento che kurvë (per designare gli omosessuali viene usato anche il termine bythqirë letteramente culo fottuto - ma questo è fortemente derogatorio e non viene utilizzato dai gay per definire la propria condizione) è soltanto la persona che accetta di essere penetrata, non quella che penetra. Non solo lo status di mascolinità della persona coinvolta nel rapporto sessuale e svolgente un ruolo attivo non è messa in discussione, ma raccontare di avere penetrato un uomo kurvë (ed ancor più un bythqirë) nell'ambito delle conversazioni fra pari sulle proprie performance sessuali può addirittura rinforzarlo, sia in Albania che nel contesto di emigrazione. Inoltre molti albanesi gay che definiscono se stessi come kurvë o motra (termine ancor meno derogatorio di kurvë, che significa “sorella”) hanno spiegato che non vorrebbero mai fare sesso con un altro kurvë dal momento che questo potrebbe essere assimilato ad un atto lesbico! D’altra parte in Grecia, per riferirci ad un altro contesto socio-culturale vicino a quello albanese, secondo Faubion, “le categorie tradizionali che definiscono la persona in base alla sua sessualità sono ancora in gran parte categorie performative legate alla posizionalità attiva o passiva del soggetto sessuale piuttosto che categorie di desiderio o scelta sessuale' (Faubion 1993: 220). Queste differenze nei processi di costruzione culturale delle omosessualità nelle società dei Balcani, del Mediterraneo e del Medio Oriente rispetto a quanto avviene in occidente (che sono ovviamente molto più sfumate e meno nette di come è possibile presentarle), devono essere prese in considerazione quando si analizza la relazione fra genere e sessualità in contesti culturali diversi da quello occidentale. Per questo i termini gay ed omosessuale non hanno necessariamente lo stesso significato nell'Unione europea ed in Albania, ma lo stesso potrebbe dirsi per alcuni contesti ed aree della Grecia e dell'Italia. La possibilità, quindi, di una modalità di rapporto sessuale ed emotivo fra soggetti costruiti culturalmente come femminini non esiste ancora nell'ordine simbolico e nelle pratiche sessuali in Albania, dove il desiderio è una prerogativa esclusivamente maschile102. L'analogia che i ragazzi gay albanesi tracciano fra la loro soggettività di omosessuali passivi e 102 In cinque anni di lavoro sul campo non ho mai incontrato una ragazza lesbica ed anche presso le associazioni che si occupano di questioni di genere o prevenzione dell'Hiv/Aids e soprattutto in quelle omosessuali la categoria dell'omosessualità è sempre stata identificata ed associata automaticamente all'omosessualità maschile. 119 quella delle prostitute è molto interessante e rilevante. Essa sottolinea il modo in cui la costruzione culturale dei rapporti sessuali fra uomini non mette in discussione ma rinforza definizioni normative ed egemoniche di mascolinità. Negli ultimi dieci anni il modello occidentale e confessionale di omosessualità si è gradualmente diffuso in Albania. Si incontrano ragazzi che definiscono se stessi come gay in quanto fanno sesso con altri uomini. Tuttavia la loro comprensione ed interpretazione del termine gay rappresenta il risultato di un processo di negoziazione fra narrative di mascolinità che fanno riferimento alla concezione confessionale ed occidentale dell'identità sessuale come espressione di un soggetto desiderante ed il modello performativo tuttora egemonico basato sulla dicotomia fondamentale fra femminile/passivo e maschile/attivo. Nonostante che gli uomini che fanno sesso con altri uomini abbiano a disposizione adesso a Tirana un numero crescente di possibilità e modalità di identificazione e di rapporto, il secondo scenario delineato da Tapinc, sulla base del quale gli uomini rispettabilmente ed onorevolmente mascolini “si accoppiano con i froci” è il modello principale che regolamenta e definisce le relazioni sessuali fra uomini in Albania. 5.5 Sex work come strategia rischiosa di fuoriuscita dalla condizione di povertà L’importanza del così detto pubblico rilevante Per comprendere il desiderio di emersione del sex-work come strategia di sopravvivenza da un lato e di sviluppo ed auto-determinazione identitaria da praticare all'estero dall’altro, è importante analizzare in maggiore dettaglio il modo in cui gli statuti normativi della mascolinità sono interiorizzati culturalmente. Processo che trova legittimazione e consapevolezza a partire dalle pratiche di riconoscimento e di conoscenza del sé omosessuale e che sono, per tale ragione, culturalmente specifiche e determinate, in quanto corrispondono ad una articolazione particolare della distinzione fra la dimensione pubblica e quella privata dei diretti interessati e non. L'analisi del bolscevismo russo e del suo rapporto di continuità creativa con i meccanismi e le pratiche religiose preesistenti delineata dallo studioso russo Oleg Kharkhordin è un esempio importante in questa direzione. Nella sua analisi la penitenza pubblica e la rivelazione sono analizzate come tecniche di conoscenza del sé che sono funzionali con un ordine politico, sociale e collettivistico. Dopo aver ricordato l'opposizione focaultiana fra confessione e penitenza come i due modi principali di conoscere se stessi nel mondo cristiano, Kharkhordin analizza l'oblichenie (la rivelazione) come una pratica di costruzione sociale del soggetto ed una tecnica di conoscenza del sé che ha costituito le fondamenta della civilizzazione russa nel corso dei secoli (Kharkhordin 1997: 341). In sintesi, una società in cui la rivelazione è la tecnica di conoscenza egemonica del sé, un individuo ha possibilità di accesso alla sua dimensione più intima – ossia la sfera del sé pensante che costruisce progressivamente la sua stessa autobiografia - non solo attraverso un processo di introspezione e riflessione rivolto all'interiorità, ma anche e soprattutto attraverso atti pubblici virtuosi che gli consentono di acquisire pubblicamente una propria personalità ed identità (Kharkhordin 1997: 241). Se adesso proviamo a contestualizzare questa tecnica di conoscenza del sé nell'ambito dell'ordine simbolico eteropatriarcale che abbiamo analizzato prima, ci sono tre implicazioni principali che hanno una certa significatività: 120 a. in primo luogo un uomo può conoscere se stesso soltanto attraverso gli occhi di un pubblico che sia significativo e rilevante. Dal momento che il sé di un uomo è rivelato dalla produzione e performance di azioni virtuose, allora una obbedienza disciplinata all'ordine cognitivo e simbolico maschile all’interno del contesto o campo sociale della competizione e del confronto fra pari diventa significativamente essenziale; b. in secondo luogo, se un sé maschile viene costituito per e dallo sguardo di un pubblico rilevante, per definizione non può essere segreto o tenuto nascosto. Deve essere tutto e sempre in mostra, perché è soltanto attraverso questa esposizione, in publicatio sui, che un uomo “veramente tale” ed onorevole può esistere e svolgere la sua funzione pubblica attraverso la partecipazione sociale e politica; c. in terzo luogo, il fatto che un sé mascolino non venga costituito dagli occhi di un pubblico rilevante significa che potenzialmente l'orizzonte morale di riferimento del soggetto rimane ancorato alla casa, all’abitazione privata. Ciò che importa socialmente sembrerebbe essere soltanto l'abilità di sostenere e rafforzare la permanenza e la continuità di un sé moralmente onorevole attraverso la produzione di azioni virtuose agli occhi di un pubblico rilevante; al contrario, in assenza di quel pubblico molte barriere morali rischiano di evaporare in quanto l’individuo entra nel campo delle azioni non contraddittorie perché non paragonabili con quelle esterne e socialmente legittimate e codificate dal quel pubblico medesimo. Pertanto la frontiera geografica che si affaccia all’esterno di ciascun individuo diventa una frontiera morale che delimita il proprio interno e il proprio mondo vitale soggettivo di ciascuno individuo stesso. Tutti questi fattori sono molto importanti nel sostenere un senso di continuità di un sé mascolinizzato nel contesto dell'emigrazione e del coinvolgimento del sex-work all'estero. Le diverse posizioni soggettive ricoperte dagli uomini albanesi che fanno sesso con altri uomini in Albania ed all'estero – a prescindere se dietro compenso monetario o meno - emergono dall'incontro fra diverse definizioni normative di mascolinità e di diverse esperienze storiche e culturali di costruzione sociale del cittadino albanese. Queste hanno origine sia dal contesto culturale, sociale e storico albanese e dai diversi paesaggi morali e culturali stranieri che vengono conosciuti e fatti propri attraverso i media o le esperienze di emigrazione. Nel contesto dell'emigrazione sia i sex worker albanesi gay che quelli etero hanno riposizionato e rinegoziato la loro interpretazione ed esperienza delle proprie identità di genere in relazione alle pratiche sessuali fra persone dello stesso sesso nell'ambito di un nuovo e mutato contesto sociale, culturale ed economico. Questo è divenuto accessibile immediatamente dopo l'apertura delle frontiere che ha accompagnato il passaggio dal regime comunista alle forme parlamentari attuali. Da questo punto di vista è importante sottolineare tre fattori principali i quali hanno esercitato una considerevole pressione e messo in discussione la concezione da parte di molti uomini del loro ruolo nell'ampio processo di trasformazione post-comunista della società albanese. Questi sono: la povertà materiale, la costruzione culturale dell'occidente come un contesto sociale e materiale alternativo nonchè superiore a quello autoctono ed il collasso del sistema centralizzato di amministrazione del potere e dell'economia che caratterizzava lo stato comunista albanese. In particolare, secondo Jill Lewis (2002: 17) la povertà dovrebbe essere considerato un fattore profondamente destabilizzante per le identità di genere, come un catalizzatore che, producendo nuove condizioni di vulnerabilità e nuove strategie di sopravvivenza, ha un ruolo importante anche nello sviluppo delle malattie sessualmente trasmissibili. Infatti la povertà materiale riduce le chance di un supporto educativo o sanitario efficace, favorisce la commercializzazione del sesso ai fini del profitto, aumentando la dipendenza economica delle donne dagli uomini che ne restano invischiati o sono costretti ad esserlo. Inoltre, la disoccupazione intensifica la percezione di emasculazione da parte degli uomini portandoli alla frustrazione, alla 121 depressione ed infine, per alcune componenti minoritarie, anche ad un loro coinvolgimento reattivo nel crimine e nello sfruttamento delle donne e dei minori con azioni violente e coercitive. La povertà crea una mancanza di opportunità e di prospettive fra i giovani e conduce ad assumere atteggiamenti di indifferenza ed apatia sociale alimentati dal senso di impotenza e finanche di disperazione. La necessità di sopravvivere e fare i conti con la povertà rinforza il bisogno di conformarsi a logiche che prevedono anche lo sfruttamento sessuali altrui. In questi casi si assumono modelli culturali che tendono ad esasperare le condizioni di disuguaglianza inasprendo – dopo averle innescate - dinamiche autoritarie e di dipendenza economica e psicologica delle componenti femminili (sia delle donne che degli uomini femminilizzati, ossia propensi più ad assumere il ruolo passivo nei rapporti con altri uomini) rispetto a quelle maschili (sia degli uomini eterosessuali che di quelli omosessuali più propensi ad assumere il ruolo attivo nei rapporti con altri uomini). La vulnerabilità economica e l'insicurezza sociale rinchiudono i giovani uomini e le giovani donne in zone d'ombra di sopravvivenza, costringendoli, di fatto, ad attivare, comportamenti difensivi – a volte caratterizzati anche da stati di disperazione - che li costringono a ricorre a strategie sessuali che mettono a repentaglio il benessere loro e delle comunità da cui provengono. L'emersione del fenomeno migratorio irregolare, del sex-work e del traffico e sfruttamento delle giovani donne e dei giovani uomini albanesi sul mercato del sesso italiano (e non solo) trovano le loro radici nello stesso contesto di povertà, vulnerabilità sociale e culturale. Ovvero nella mancanza di un sistema coerente e condiviso di esercizio e di amministrazione democratica del potere, nonché di distribuzione di risorse sociali fondamentali. Come conseguenza di questo stato di cose oggi, in molte aree culturalmente e socialmente periferiche del paese, si sta verificato un processo di ri-tradizionalizzazione (Schwandners-Sievers 2001), secondo il quale alcuni aspetti importanti dell'eredità culturale storicamente determinatesi sono stati riscoperti – o meglio reinventati - per orientare la popolazione su obiettivi che corrispondono grosso modo ai bisogni sociali emergenti da parte delle nuove identità sociali in corso di definizione. Queste devono essere intese come il risultato di un processo di riposizionamento di modelli e ruoli di genere preesistenti nell'ambito di un nuovo contesto sociale in fase di transizione e cambiamento radicale, sia sotto il profilo culturale che sotto quello economico. La propensione migratoria come necessità di cambiamento In questi inizi degli anno Novanta si riscontra che in contesti sociali collocabili ai margini del processo di elaborazione ed implementazione di una nuova cultura democratica albanese, cioè in contesti periurbani ed in località rurali isolate e periferiche, dove la presenza dello stato è sempre stata molto debole e modesta, sono state create nuove istituzioni che trovano fondamento e legittimazione su codici d'onore ri-modernizzati (Schwandners-Sievers 2001) o piuttosto postmodernizzati. All’interno di questa situazione si riscontrano componenti giovanili che tentano di uscire da questo stato di isolamento geografico e culturale ed aspirano, in maniera manifesta, a misconoscere i rapporti sociali e di genere basati sulla subordinazione e sulla violenza, sulla povertà materiale ed immateriale, sui rapporti autoritari e paternalistici che si riscontrano nella cerchia familistico-parentale e che sono stimolati ed attratti dal mondo di libertà, emancipazione personale e ricchezza materiale che vedono trionfare sui canali televisivi stranieri. Ci sono anche componenti giovanili maschili, disoccupati e pressoché analfabeti, che sono direttamente coinvolti in nuovi tipi di violenza e dinamiche criminose, come il traffico di droga, di armi e di persone, inclusi se stessi, nei paesi confinanti. Spesso ciò avviene alla luce della necessità 122 di conformarsi a comportamenti normativi ed egemonici di mascolinità che si basano sulla dimostrazione attraverso gesti ed opere virtuose in pubblico della propria abilità di migliorare le condizioni materiali di vita della famiglia estesa. Queste ultime sono misurate in relazione ad una costruzione culturale che trova modelli di riferimento in Euroapa e in Italia soprattutto per la vicinanza. Scenario che, comunque, come sopra accennato, sta alla base dell’effetto spinta che coinvolge componenti significative di giovani (e meno giovani) omosessuali, non solo per poter soddisfare aspettative migliori relativamente alla dimensione economica ma anche – e sovente soprattutto – per poter soddisfare aspettative di carattere sociale (manifestare in maniera più tranquilla la propria identità sessuale) ed esistenziale (ricercare e attivare rapporti affettivi e relazionali con altri uomini disposti all’attivazione di pratiche amorose a carattere omosessuale). All’interno di tale componente però, non mancano segmenti e gruppi che vengono strumentalizzati, ossia vengono raggirati, truffati e finanche assoggettati violentemente al fine di procurare denaro per la soddisfazione di altri. Vengono cioè sfruttati sessualmente. Questi casi, pur tuttavia, dai dati e dalle informazioni acquisite a Roma, ad esempio, non ne sono emersi che poche unità. Questo, come hanno specificato i giovani intervistati al riguardo, non vuol dire che non ci sono. Vuol dire soltanto che hanno – o sono costretti ad avere – altri percorsi, altri giri, altre dimensioni relazionali. Ad esempio, quello delle case di appuntamento con minori costretti alla prostituzione da un lato e con minori che sperimentano attraverso l’esercizio prostituzionale percorsi identitari importanti senza essere sfruttati da nessuno dall’altro. Oppure quelle componenti minorili o postadolescenziali che esercitano la prostituzione nel ruolo attivo e di questo ne vanno quasi fieri. Infatti, al riguardo i sex-worker albanesi, ma anche quelli rumeni, turchi e russo-pontici intervistati definiscano la loro occupazione principale, ma più spesso occasionale o saltuaria, come quella di “scopare i froci e fare i soldi”. In questo ultimo caso, inoltre, i sex-worker all'estero vengono a trovarsi in piena continuità e coerenza con il modo in cui i giovani uomini albanesi negoziano le loro identità di genere, la loro sessualità e i loro corpi in relazione all’effettuazione di pratiche sessuali con altri uomini in Albania. Da questa angolazione il sex-worker (omosessuale o meno) dovrebbero essere meglio visti come soggetti nei quali le diverse identità di genere (che convivono usualmente in ciascun individuo) emergono e si confrontano dall'incontro fra le diverse articolazioni narrative di mascolinità che scaturiscono dalla società di appartenenza e dalle tradizioni culturali che le hanno prodotte nel tempo. Pertanto, il modo in cui “scopare i froci” viene vissuto ed interpretato in Italia ed in Grecia riflette nuove condizioni di sfruttamento e vulnerabilità che potrebbero soltanto esasperare la percezione già presente di pericolo forte di emasculazione e femminilizzazione dei giovani uomini albanesi. Per i giovani sex-worker dell'Albania, ma anche per quelli provenienti dagli altri paesi sopra ricordati, scambiarsi racconti relativi all'avere “scopato froci greci od italiani” è un modo per primeggiare simbolicamente all’interno di un gruppo di pari. Al contempo vuol dire esercitare un controllo potente e mascolino del soggetto immigrato che si percepisce come debole sul soggetto percepito come più forte socialmente, cioè il maschio greco od italiano; si tratta di un modo di riottenere una posizione di potere a partire da una posizione di marginalità e vulnerabilità estreme. 5.6. Sex work come “marchettaro” e sfruttatore di donne Bowman (1991) nell’analizzare i racconti che si fanno sulle relazioni sessuali che intercorrono fra le mogli dei turisti occidentali ed i venditori di souvenir palestinesi a Gerusalemme, arriva alla 123 seguente conclusione: coloro che sono strutturalmente fottuti – i venditori di souvenir in quanto vittime di un mercato marginale e di sopravvivenza - cercano di rappresentarsi come coloro che invece fottono le moglie dei turisti. Queste ultime, invece, apparentemente fottute (dai venditori) sono quelle che nella sostanza fottono (data la loro ricchezza nei confronti dei venditori). Meccanismo che spiega in parte anche alcuni meccanismi alla base del turismo sessuale quando la disparità delle condizioni di vita sono fortemente squilibrati in favore delle componenti turistiche e svantaggiate per le componenti autoctone. Lo stesso meccanismo si ripete tra alcune componenti di sex work albanesi e i loro ricchi clienti italiani o greci, in quanto avere rapporti con loro ed essere anche pagati vuol dire sostanzialmente buggerarli (senza pensare che sono loro ad essere utilizzati e a finanche sfruttati). Se per i sexworker albanesi che si riconoscono come gay è relativamente più facile contenere l'ansia di demascolinizzazione relativa al loro coinvolgimento nella prostituzione, per quelli che si definiscono eterosessuali invece può essere più complicato. In questi casi il sex work rappresenta una strategia di sopravvivenza economica che è coerente con la loro costruzione culturale della mascolinità in termini attivi e penetrativi. Un altro aspetto interessanti è dato da fatto che una buona parte dei sex worker intervistati erano anche protettori e sfruttatori di donne provenienti dallo stesso paese natale e finanche da altri paesi, non solo della stessa Albania ma anche della Romania, della Moldavia e della Bulgaria. Questa doppia attività lavorativa nel campo della prostituzione rappresenta una parte integrante delle loro strategie di sopravvivenza e di sviluppo – e in alcuni casi di auto-emancipazione esistenziale - come soggetti specificatamente di carattere mascolino. Infatti, la manipolazione, il controllo e il potere esercitato sul corpo della donna sottomessa o coinvolta affettivamente consente ai giovani sexworker albanesi di acquisire il capitale finanziario e simbolico necessario ad enfatizzare e a mostrare i loro sé mascolini di fronte ai loro due principali pubblici significativi: il gruppo dei pari e la famiglia di origine. Per quanto riguarda il gruppo dei pari, l'abilità di controllare e sfruttare il corpo di una donna viene di solito rivelato attraverso l'esibizione di oggetti costosi (in particolare automobili e motociclette) ed i racconti di performance sessuali ipermascoline che si racconta di avere con la partner e/o con altre donne. Per quanto invece riguarda la famiglia il principale atto virtuoso attraverso il quale gli intervistati vedono confermato il proprio senso mascolino del sé in termini di onorabilità e rispettabilità è quello di dimostrare con regali e donazioni di denaro di essere capaci di mantenere se stessi e la proprie famiglia, con la quale molti di essi hanno una relazione molto problematica in merito alla loro omosessualità (quando essa è scoperta). In questo caso, la presenza della donna (anche se costretta a praticare la prostituzione) posizionata accanto al giovane uomo e mostrata alla famiglia come fidanzata e futura moglie serve a ribadire e recuperare l'onorabilità del figlio maschio agli occhi della famiglia medesima, purché la natura della loro relazione e l'attività economica in cui sono coinvolti sia tenuta segreta. In sintesi, i giovani maschi albanesi che si sentono in pericolo di diventare un kurvë maschio a causa del loro senso di appartenenza all' identità di genere mascolina e al contempo provare desiderio sessuale per altri corpi maschili sentono il bisogno di esercitare il loro potere su una kurvë femmina in modo da riaffermare e rinforzare la percezione della loro mascolinità. Facendo riferimento all'esperienza di lavoro sul campo e alle informazioni acquisite dai colloqui diretti siamo del parere che il reale elemento di continuità fra il ruolo del sex-worker e quello del protettore/sfruttatore di donne sia la necessità di domare e controllare la parte della propria identità che viene percepita come femminile, ovvero l'attrazione verso altri corpi maschili, attraverso due principali strategie e cioè: 124 a. in primo luogo, lasciando che essa si esprima sempre e soltanto qualora ci sia un profitto economico diretto od indiretto che la giustifichi in termini di convenienza personale e di alibi esistenziale (“lo faccio per i soldi e non perché sono attratto dai corpi maschili”); b. in secondo luogo, riproducendo e proiettando il desiderio di controllo di se stesso su un altro soggetto femminino, che allo stesso tempo mitiga l'ansia di de-mascolinizzazione con la sua presenza nell'ambito familiare e nel gruppo dei pari, realizza, simultaneamente, un fonte diretta e lucrosa di guadagno ritenuta utilitaristicamente significativa. Questa doppia convenienza li rafforza anche ai fini della presentazione del proprio sé mascolino di fronte al gruppo dei pari (che non è a conoscenza della propensione omosessuale o lo è solo in parte) attraverso l'esibizione di oggetti caricati di capitale simbolico specifico (come oggetti di consumo tipicamente maschili). Paradossalmente, la maggior parte dei giovani sex-worker albanesi intervistati sembrano essere imprigionati in un ordine simbolico ipermascolinizzato che consente loro di esprimere altre componenti identitarie del sé solo se queste ultime riconfermano e rinforzano una autorappresentazione in termini di quasi onnipotenza, dominazione e rispettabilità morale. Inoltre, a causa della natura rivelazionista della loro relazione con se stessi, molti degli intervistati sembrano vivere fra due diversi e contrastanti sistemi di moralità. In molti casi il mondo moralmente più significativo per queste componenti è quello associato alla famiglia. Questo attaccamento alla famiglia sta a significare per molti di loro sottostare alle pressioni sociali ed affettivo-comportamentali che ciò comporta. Al contrario, allentarle e non curarsi di esse quando ci si trova lontano da casa, dal villaggio o quartiere. Ossia, essere liberi di attivare fuori dal contesto familistico-parentale azioni e comportamenti che verrebbero considerati da esso immorali ed improponibili. All’estero possono essere messi in campo senza senso di colpa o responsabilità morale alcuna. La pressione familiare e sociale contraria, dunque, può prevenire l'emergere di una coscienza o di una forma di identità attorno al proprio orientamento sessuale. Questo vale anche per lo sviluppo delle inclinazioni professionali. In pratica, si può essere frenati nelle proprie aspettative di sviluppo quando il tema della responsabilità, correlabile alle proprie azioni soggettive, non viene affrontato ma eluso mediante l'oscillazione fra due diversi e contraddittori mondi morali che non sono in comunicazione fra di loro. 5.7. Le diverse strategie di sopravvivenza in rapporto ai rischi di infezione da Hiv A Roma come ad Atene la pratica del sex work albanese avviene in un contesto micro o para criminale nell'ambito del quale esso è una delle tre principali strategie di sopravvivenza e di eventuale sviluppo ulteriore di un soggetto mascolino. Queste sono ordinate gerarchicamente in termini di onorabilità e rispettabilità. La prima di queste strategie è appunto la possibilità di prostituire se stessi “scopando i froci”. Questa possibilità occupa il livello più basso in termini di rispettabilità ed onorevolezza in quanto mette a repentaglio la propria credibilità di maschio, soprattutto se il coinvolgimento nella prostituzione maschile si prolunga nel tempo. Infatti la maggior parte dei giovani sex-worker albanesi intervistati ad Atene e a Roma hanno dichiarato di avere intenzione di smettere le pratiche prostituzionali al raggiungimento di una fascia di età compresa fra i 22 ed i 24 anni o poco di più. 125 È proprio in questa fascia di età, ma talvolta anche molto prima, che avviene il passaggio alla seconda strategia: ovvero dal concedersi per denaro allo sfruttamento di giovani donne. Sebbene questa possibilità sia più accettabile in base ai canoni egemoni di onorabilità mascolina, tuttavia lo sfruttatore viene di solito considerato “un mezzo uomo” in quanto sfrutta le donne e quindi ha bisogno di loro per vivere. Questa opinione proviene sia dall’ambiente delinquenziale comunitario caratterizzato da forme di devianza ritenute più maschile (furti in appartamenti, furti di auto, rapine, spaccio di droga, eccetera), laddove si esaltano le capacità tecniche e la destrezza necessaria a delinquere (“io rischio per procurarmi i soldi tu ti nascondi dietro una donna sfruttandola”); sia dall’ambiente stesso dello sfruttamento da parte delle stesse donne o di una parte di esse (“sei solo capace di sfruttare noi donne come un vigliacco che non sa affrontare i rischi relativi a rubare, eccetera). La terza strategia è quella di passare dalla condizione di sfruttatore (cioè “da mezzo uomo”) a quella di ladro, di spacciatore, di rapinatore. Quest’ultima è considerata – per una parte degli sfruttatori/marchettari – l’evoluzione più onorevole tra le diverse strategie di sopravvivenza. In questa prospettiva la percezione mascolina del sé nel mondo para-criminale è significativa e può diventare massima se si riesce a diventare un gangster professionista, attraverso il controllo diretto di un gruppo di uomini, di gruppi di donne e di ingenti risorse finanziarie. In questo caso lo sfruttamento delle donne diventa una specie di fiore all’occhiello in quanto corollario di un potere che si esercita principalmente su altri gruppi maschili e pertanto la presenza di donne rende ancora più forte la percezione della mascolinità ed “eroticizza” maggiormente la pratica di dominio sugli altri. Tutte queste possibilità sono vissute dai diretti interessati come strategie competitive ed alternative l’una con l’altra finalizzate al sostenimento morale di un senso positivo del sé nel segno della tendenziale coincidenza fra i canoni di onorabilità e quelli di mascolinità. Lo status di rispettabilità mascolina – come accennato - può essere ottenuto soltanto rivelando ad un pubblico significativo la propria abilità di conformarsi ai canoni egemonici della mascolinità attraverso atti pubblici come il miglioramento delle condizioni economiche della propria famiglia, a prescindere dalla provenienza delle risorse finanziarie necessarie. In questo contesto o “scopare i froci” o sfruttare le donne – oppure fare l’uno e l’altro come tendono ad orientarsi la maggior parte degli intervistati a Roma sono strategie di sopravvivenza che sono legittimate da un ordine simbolico eteropatriarcale e fallocentrico. Ma “scopare i froci” vuol dire non solo sopravvivere ma anche correre dei rischi concreti. Di questo la maggior parte – per non dire tutti – degli intervistati ne è pienamente convinto e trasmette questa convinzione anche alle donne che sfrutta mediante l’esercizio della prostituzione. Al riguardo si possono fare diverse osservazioni. La prima è data dal fatto che per la maggior parte degli intervistati l'Hiv/Aids è principalmente una condizione morale associata a quella omosessuale e quindi alla passività anale, piuttosto che una condizione medico-sanitaria che ha modalità specifiche di trasmissione. Questa situazione corrisponde forse alla versione inversa rispetto alla logica che Cindy Patton (1994: 19) ha nominato “il paradigma frocio”, secondo il quale le persone che sono sieropositive o che vivono con l'Aids sono automaticamente gay in quanto acquisito con le pratiche sessuali uomo-uomo (Wilton 1997: 3). L'associazione dell'Hiv/Aids ad una condizione stigmatizzata in quanto relativa alla percezione della perdita o diminuzione di mascolinità ed in particolare all'essere penetrati sessualmente si riflette tragicamente nel modo in cui vengono usati i preservativi e quindi sulle pratiche di sesso più sicuro. Sebbene tutte le persone intervistate hanno detto di fare regolare uso del preservativo, il modo in cui questo viene usato corrisponde più alla relazione che i giovani albanesi hanno con la necessità di sostenere la propria mascolinità piuttosto che alle modalità di trasmissione del virus. 126 Per esempio, la maggior parte degli intervistati afferma di fare uso di preservativi soltanto con i clienti e con partner femminili occasionali, mai con le proprie partner, le quali, come abbiamo visto, sono molto spesso sex-worker esse stesse. Inoltre alcuni dei ragazzi che hanno ammesso di accettare un rapporto sessuale passivo hanno raccontato di utilizzare il preservativo soltanto quando sono penetrati e non quando penetrano essi stessi, come se il fatto che la posizionalità attiva sia conforme ai canoni di moralità mascolina li rendesse invulnerabili al rischio di contagio. Infine, molti semplicemente ignoravano che i preservativi si potessero usare una sola volta, che il lubrificante debba essere a base di acqua, che i preservativi si possono deteriorare e quindi diventare inservibili in determinate condizioni ambientali, che si devono cambiare se si penetrano due persone nell'ambito dello stesso rapporto. Tale mancanza di informazione riguardo alle pratiche del sesso sicuro è molto grave e pericolosa se si pensa che stiamo parlando di una popolazione sessualmente molto attiva sia con uomini che con donne e con una età media che si attesta sui 21 anni. I dati epidemiologici al riguardo appaiono del resto piuttosto preoccupanti. Infatti, secondo una recente analisi realizzata da Oim, oltre l'80% delle persone infettate in Albania ha dichiarato di avere contratto il virus durante la permanenza all'estero, mentre dei nuovi casi documentati nel 2001 oltre il 41% avrebbe contratto il virus dal partner che vive all’estero. I risultati preliminari di un’altra ricerca sul tema promossa dall’ Unicef in Albania sulle categorie di giovani che sono particolarmente vulnerabili all'infezione da Hiv/Aids hanno evidenziato, già adesso, un livello altissimo di comportamenti sessuali a rischio. In particolare la ricerca sottolinea come il 18% dei giovani migranti albanesi che abitano in Grecia abbiano accettato di avere rapporti sessuali in cambio di droga o denaro, il 94% dei quali erano ragazzi, tra cui alcune componenti di minorenni. Dei 71 nuovi casi diagnosticati in Albania dal 1993, l'80 per cento si riferisce a giovani uomini che risiedono come lavoratori temporanei in Italia e Grecia, mentre il gruppo di età più colpito è quello fra 1 20 e i 40 anni. Pertanto, sebbene tutti i sex-worker intervistati dichiarino di usare il preservativo, il modo in cui lo usano non li aiuta a proteggersi dal rischio di infezione. Inoltre, nonostante che la maggior parte dei giovani albanesi intervistati fosse provvisto di documenti, quasi nessuno di essi era a conoscenza delle strutture e dei servizi cui rivolgersi in merito alle problematiche legate alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e del fatto che nella maggior parte dei casi questi servizi sono gratuiti e confidenziali per tutti, inclusi i cittadini stranieri sprovvisti di documenti. La conseguenza più grave di quest'ordine di cose è che molti giovani si rivolgono alle strutture e servizi preposti quando ormai è troppo tardi per intervenire in modo efficace. 127 Bibliografia Bowman, G. (1991) 'Fucking Tourists' in Critique of Anthropology, (78)2, pp. 35-50. Faubion, J. D. (1993) Modern Greek Lessons, Princeton: Princeton University Press. Hall, S. (1996) 'Who Needs Identity?' in Hall, S. and Du Gay, P. (1996) Questions of Cultural Identity, London: Routledge, pp. 1-17. 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Condizione che li pone in una situazione di maggior vulnerabilità rispetto a coetanei espatriati e soggiornanti nel nostro paese con componenti adulti della famiglia che esercitano la loro tutela genitoriale. Inoltre, a fianco ai così detti minori non accompagnati tra gli Albanesi e i Rumeni è stati rilevante anche l’espatrio di giovani minorenni che – per ragioni diverse – sono entrati in contatto con i circuiti emarginanti e pertanto una parte di essi si è trovata invischiata in meccanismi di sfruttamento e finanche in forme di grave sfruttamento lavorativo e sessuale. Quest’ultima forma di sfruttamento è quella maggiormente evidente e preoccupante, giacchè assume delle connotazioni quantitative e qualitative particolarmente inquietanti, sia dal punto di vista sociale che umanitario. Non secondarie sono anche le connotazioni che assume il fenomeno dal punto di vista di genere, in quanto i gruppi minorenni maschili vengono perlopiù sfruttati nell’accattonaggio coercitivo e violento – e nel commercio ambulante – e molto meno nel mercato della prostituzione di strada, mentre le donne minorenni vengono sfruttate maggiormente nella prostituzione di strada (o in appartamenti o locali di intrattenimento) e molto meno nell’accattonaggio coercitivo e nel commercio. Tale distinzione sembra corrispondere anche a criteri di maggior profitto che gli uni o le altre possono garantire ai loro profittatori: le giovani donne con la vendita del loro corpo e i giovani maschi nella questua, nel commercio ambulante e nei piccoli servizi offerti sulla strada ai passanti o agli automobilisti. Il Capitolo prende in esame diversi aspetti del fenomeno, a partire dalle modalità principali di reclutamento, del trasporto verso il nostro paese e le modalità di assoggettamento nelle forme di sfruttamento. Si tratta, in definitiva, della descrizione dei risultati ottenuti mediante l’analisi di un insieme di dati ed informazioni acquisiti tramite interviste approfondite realizzate nel corso del primo semestre del 2002 a testimoni privilegiati impegnati in Albania e Romania presso organizzazioni non governative e organismi governativi attivi nella lotta al traffico di esseri umani. Queste interviste sono state svolte, rispettivamente, da operatori di Save the children operanti in Albania e da operatori di Terres des Hommes operanti in Romania da più anni dove gestiscono servizi specifici finalizzati ad offrire supporto ai gruppi di minori svantaggiati in generale e forme di protezione sociale alle vittime della tratta in particolare. 6.4 Alcune interazioni tra il traffico di donne a scopo di prostituzione e il traffico di minori. Aspetti comuni trai due fenomeni nei casi della Romania e dell’Albania. Dall’esame delle interviste che costituiscono l’ossatura del presente Capitolo, così come dai dati e dalle informazioni altrove disponibili sul traffico internazionale di minori, si evince come questo fenomeno presenti aspetti comuni con quello più ampio del traffico di esseri umani, e in particolare 129 con la tratta delle donne a scopo di sfruttamento sessuale. In questo paragrafo si cercherà di mettere in luce alcune delle analogie e dei rapporti tra i due fenomeni, riscontrabili in entrambi i paesi che sono al centro di questa ricerca. In primo luogo le condizioni sociali ed economiche sottese alla tratta di donne e al traffico di minori sono le medesime; inoltre le modalità di reclutamento, le strategie criminali messe in atto, le rotte prescelte dai trafficanti non di rado presentano aspetti comuni. In secondo luogo le persone che restano coinvolte nel traffico, minori al momento del reclutamento, possono essere trattenute dagli sfruttatori anche per diversi anni fino a raggiungere la maggiore età e oltre. Pertanto, in questo caso, lo status del minore cambia mentre la condizione di coercizione e sfruttamento è in atto. In terzo luogo le donne trafficate talvolta lasciano bambini nel paese d’origine i quali, inizialmente affidati a terze persone, possono essere in seguito trascurati, affidati a istituti o abbandonati (come vedremo più avanti si tratta soprattutto di figli di madri divorziate). L’abbandono non corrisponde quindi, in termini temporali, alla partenza della madre ma questa ne è una conseguenza diretta; come nel caso in cui i bambini vengano affidati, come accade frequentemente, a una persona anziana (in genere una nonna, ma a volte anche una vicina di casa) la quale, nel tempo, non riesce a garantire al minore la continuità del suo mantenimento e delle cure necessarie. L’aumento esponenziale del rischio di traffico da parte dei minori trascurati o abbandonati, che colpisce in misura elevata i bambini appartenenti alla minoranza Rom – come risulta dalle interviste ai testimoni albanesi – può riscontrarsi quindi, in generale, in tutti i casi nei quali al minore vengono meno la presenza e le cure di una figura adulta e positiva appartenente alla famiglia. La precisazione “positiva” è indispensabile poiché sappiamo, sulla base delle testimonianze dirette riportate dalle ragazze trafficate a scopo di prostituzione, che eventi quali la morte della madre possono determinare non solo l’abbandono della minore ma anche l’insediarsi o l’intensificarsi di episodi di violenza a suo carico, come ad esempio l’“abitudine all’incesto” da parte del padre il quale si rivolge alla figlia come sostitutivo della madre non solo nella cura della casa e dei fratelli minori, ma anche nella ricerca di soddisfazione ai propri bisogni sessuali. Quando il padre si risposa la bambina viene poi spesso allontanata o venduta, oppure abbandona lei stessa la famiglia. Come accennato, gli intervistati reputano soggetti a rischio di traffico anche i minori accolti in istituti a causa delle cure insufficienti che ricevono e della loro facile accessibilità da parte dei procacciatori i quali, con l’inganno o la corruzione, riescono ad impossessarsi dei bambini. In tutti questi casi i minori diventano una “merce” estremamente appetibile per i trafficanti sia perché essi sono più facilmente reclutabili, sia perché la loro sparizione spesso non viene notata o non dà luogo a denunce, condizione che fornisce ampie garanzie di impunità ai trafficanti. In altri casi le donne, durante l’esperienza della tratta, partoriscono bambini che vengono poi venduti dagli sfruttatori che li destinano a un mercato diverso da quello che ha coinvolto le madri: ad esempio dalla prostituzione alle adozioni illegali. In particolare nella tratta a scopo di sfruttamento sessuale, l’aborto viene praticato in maniera significativa (si registrano casi di donne che hanno abortito anche sette, otto volte) poiché le ultime fasi della gravidanza e il parto, impedendo alla donna di prostituirsi, rappresentano un mancato guadagno per lo sfruttatore. Nonostante ciò si possano registrare alcuni casi di donne che si prostituiscono in visibile stato di gravidanza. Dalle interviste risultano infatti esperienze di donne inserite nel mercato della prostituzione le quali hanno portato a termine la gravidanza e che si vedono sottrarre i neonati che vengono poi venduti dagli sfruttatori (anche se viene menzionato qualche caso di vendita del neonato da parte della madre). In entrambe le situazioni descritte – abbandono del bambino in patria successivo alla partenza della madre e vendita del neonato conseguente all’ingresso di questa nel mercato della prostituzione – il fenomeno criminale primario (tratta e sfruttamento della prostituzione) che ha coinvolto donne 130 adulte genera un fenomeno criminale di tipo secondario che ha per oggetto i minori. Questa dinamica produce effetti particolarmente gravi sia dal punto di vista dell’accanimento nella violazione dei diritti umani fondamentali, sia dal punto di vista della massimizzazione della “redditività” del crimine da parte dei trafficanti e degli sfruttatori. Ci troviamo infatti di fronte a una concatenazione di comportamenti criminali dei quali restano vittime più soggetti deboli: a partire dalla tratta della donna, l’abbandono del minore da una parte e la maternità dall’altra permettono alle organizzazioni criminali di accedere a nuove fasce del mercato di esseri umani incrementando così i propri guadagni. Un altro aspetto da tenere in considerazione riguarda l’intrinseca difficoltà del monitoraggio del fenomeno secondario: il reclutamento di minori di cui non viene denunciata la scomparsa o la vendita di neonati dei quali spesso non risulta traccia e che in qualche modo non sono “mai esistiti” rendono molto difficile determinare le proporzioni del fenomeno e altrettanto complesse le possibili azioni di contrasto. Pur trattandosi di casi apparentemente poco frequenti, quindi non particolarmente rilevanti sul piano statistico, ci pare importante che essi non sfuggano all’attenzione in quanto si tratta di fenomeni significativi sul piano dell’analisi sociale e dello studio dei comportamenti criminali connessi al traffico di persone. Inoltre, una tendenza preoccupante riferita da tutti i testimoni rumeni intervistati riguarda il progressivo abbassamento dell’età delle vittime del traffico.103 Delle 511 donne assistite da IOMBucarest tra il gennaio 2001 e il maggio 2002 il 24% erano minori e il 33% comprendeva ragazze tra i 18 e i 20 anni di età.104 Un altro aspetto che emerge dalle interviste, e che avvicina ancora una volta i minori alle donne adulte trafficate, riguarda la presenza di elementi culturali tradizionali che hanno a che vedere con il riconoscimento dell’autorità del maschio adulto all’interno della famiglia che può dar luogo a un vero e proprio esercizio di potere nei confronti delle donne e dei bambini, ovvero dei soggetti più vulnerabili nella sfera familiare come in quella sociale. Pur prescindendo dalle esperienze più gravi sofferte dai minori appartenenti alle famiglie socialmente disagiate come gravi trascuratezze, abbandono o violenze sessuali in ambito domestico, un testimone rumeno riferisce che picchiare i bambini è considerato una pratica educativa comune nella quale non viene percepita alcuna forma di abuso. Un testimone albanese sottolinea invece che il diffondersi delle gravi notizie circa la tratta delle giovani donne a scopo di sfruttamento sessuale, pur costituendo in parte un deterrente al traffico, ha rafforzato in alcune aree dell’Albania la cultura patriarcale “protettiva”105 e opprimente nei confronti delle ragazze, al punto da indurre queste ultime ad abbandonare comunque le famiglie nel tentativo di emigrare (illegalmente) esponendosi così al rischio di diventare facili prede dei trafficanti. La tendenza alla mortificazione dell’identità della persona (donna o bambino/a) corrisponde alla svalutazione della figura femminile e di quella del minore nella famiglia e nella società. Troviamo conferma di ciò nel fatto che i testimoni intervistati riconoscono come concause della vulnerabilità al traffico tanto la mancanza di autostima da parte delle potenziali vittime quanto l’assenza di prospettive accettabili che riguardano, significativamente, non solo il lavoro ma anche la vita familiare e sociale. La donna o il/la minore, così svalorizzati nel gruppo familiare, finiscono per essere visti come un peso economico e tornano a essere percepiti come una risorsa solo nel momento in cui vengono venduti per somme che aumentano, se possibile, la drammaticità della loro condizione e della realtà dalla quale questi fenomeni scaturiscono. 103 Gli intervistati albanesi definiscono al contrario in calo il traffico di minori dall’Albania. Nel valutare questi dati è bene considerare che il campione preso in esame da IOM riguarda donne accolte nei percorsi di aiuto. L’elevata presenza di minori potrebbe quindi essere dovuta a una maggiore propensione di queste ultime a richiedere o accogliere proposte di sostegno da parte delle associazione rispetto alle donne adulte. 105 L’aggettivo è virgolettato nel testo originale. 104 131 Dai dati contenuti nelle interviste che riguardano la Romania risulta che quasi nessuna delle donne coinvolte nel traffico successivamente accolte dalle Ong è sposata;106 il fenomeno coinvolge di conseguenza donne nubili (minori o comunque giovani) o divorziate. L’assoluta prevalenza di queste fasce della popolazione femminile nella tratta testimonia la loro maggiore vulnerabilità socio-economica rispetto alle donne sposate e spiega anche la ragione del persistere della tradizione del matrimonio in età giovanissima per le donne (al di sotto dell’età legale di sedici anni), come viene documentato per l’Albania da Renton (2002). L’emigrazione maschile, che raggiunge punte del 90% in alcune aree rurali, spiega l’autore, riduce drasticamente le prospettive di matrimonio delle ragazze che si vedono indotte a sposarsi giovanissime, anche a tredici o quattordici anni, per non perdere la possibilità del matrimonio. Anche gli uomini emigrati che tornano in patria per cercare moglie scelgono ragazze giovanissime, cosicché una ragazza di diciotto o diciannove anni può avere ormai poche opportunità di sposarsi. Questo fenomeno, continua Renton, spiega in parte perché i trafficanti hanno successo nel proporre matrimoni falsi alle ragazze (e alle loro famiglie), come viene peraltro riferito anche dai testimoni albanesi intervistati per questa ricerca. Gli elementi introdotti fino a qui permettono di confermare la presenza di una stretta correlazione tra il traffico delle donne adulte e quello che ha per oggetto i bambini e le bambine. Emerge inoltre la presenza di una zona di influenza comune tra i due fenomeni, sebbene dai confini non facilmente determinabili: dai minori coinvolti nel traffico che raggiungono la maturità nelle mani dei trafficanti, alle madri trafficate che abbandonano i propri figli esponendoli al rischio di essere trafficati a loro volta, fino alle donne-bambine che sono costrette a “scegliere” tra un matrimonio necessario e l’emigrazione illegale vista come unica possibilità di sfuggire all’oppressione cui sono sottoposte in famiglia; esperienza che può sfociare nella tratta a scopo di prostituzione. A questo aggiungiamo la vendita dei bambini nati da donne trafficate o ancora la vendita di un figlio da parte della madre, vista come unica possibilità di sostentamento per gli altri figli. Bambini e bambine che vengono destinati nel migliore dei casi alle adozioni illegali ma spesso all’accattonaggio, alla prostituzione o altro. Infine, nell’analisi del fenomeno del traffico illegale che ha per oggetto minori, un altro aspetto che meriterebbe di essere studiato con attenzione riguarda l’arruolamento degli stessi minori nelle vesti di procacciatori e trafficanti, come risulta ormai evidente dalle informazioni acquisite dagli operatori e da quelle riferite dalle vittime stesse. In questo caso si pongono nuovi problemi che hanno a che vedere con il trattamento di questi casi dal punto di vista penale, con l’attivazione di programmi di recupero (sia in Italia che nei paesi di provenienza) e, non ultima, con la possibilità concreta del loro reinserimento nella comunità d’origine tenendo conto delle condizioni di disagio sociale ed economico che hanno prodotto il fenomeno.107 L’insieme di questi aspetti indirizzano l’analisi verso un andamento che tenga conto contemporaneamente di più fattori che finiscono per corrispondersi come concause ed effetti di un unico complesso fenomeno. La vastità delle implicazioni del tema in discussione non impedisce tuttavia di mettere in risalto le caratteristiche specifiche del traffico di minori dalla Romania e dall’Albania verso l’Italia, estrapolandole dal fenomeno più generale del traffico di esseri umani. Le testimonianze che sono oggetto di questo Capitolo si riferiscono in gran parte alla tratta a scopo di prostituzione che coinvolge in larga parte le donne, sia adulte che minori. 106 La mancanza di dati corrispondenti nelle interviste che interessano l’Albania non ci permetterebbe di confermare la stessa tendenza senza il supporto di altre informazioni. Un aiuto in questo senso ci viene da Daniel Renton, il quale fornisce utili informazioni relative al matrimonio in Albania. 107 La questione del rientro assistito delle vittime e delle opportunità concrete del loro reinserimento nella comunità d’origine verrà ripresa nel prosieguo del Capitolo. 132 Il caso della Romania108 M.B., diciassette anni, trafficata in Macedonia riesce a fare rientro in Romania dopo avere trascorso un anno in mano ai trafficanti. Nel frattempo aveva tentato il suicidio e al momento della sua accoglienza era incinta di sette mesi. Figlia di genitori alcolisti non vuole rientrare in famiglia ed è determinata ad abbandonare il bambino che aspetta. Dopo essere stata seguita per un anno e mezzo da un programma di aiuto, la ragazza ha un lavoro, studia e si sta diplomando, ha una bimba alla quale è molto legata. Sta progettando di iscriversi all’università, alla facoltà di chimica (ROR). I.T., stuprata per la prima volta dal fratello all’età di dodici anni, più tardi, dopo un’ennesima minaccia di violenza, fugge di casa. Rimane coinvolta nel traffico di minori per sei mesi, senza mai lasciare il paese. Dopo essere stata accolta da un’associazione esprime il desiderio di confessarsi. Il sacerdote le fa sapere che Dio non l’avrebbe “perdonata” se non dopo una penitenza consistente in una settimana di digiuno. La ragazza interrompe il digiuno richiesto per proprio riscatto morale dopo due giorni, poi dichiara a un operatore di non avere più alcuna possibilità, perché nemmeno Dio l’avrebbe ormai perdonata. Pochi giorni dopo scappa dal centro di accoglienza. Gli operatori la stanno cercando, si sa che è in Turchia (ROR). Questi due casi, dagli esiti così differenti, ci sembrano evocare in parte la situazione circa lo stato dell’arte nella lotta al traffico di minori in Romania. Da quanto emerge dalle interviste il paese mostra di essere attivo non solo sul piano giuridico, ma anche su quello della sensibilizzazione della comunità sociale ai temi in discussione, volontà che dimostra a nostro avviso un impegno al cambiamento anche di ordine più generalmente culturale. Lo sviluppo del paese è trattenuto da un passato pesante: le conseguenze della sua storia recente hanno prodotto, oltre agli effetti economici noti, percentuali elevate di aborto e di mortalità infantile, dovuti all’estrema povertà di vaste fasce della popolazione. Contemporaneamente, sui temi della lotta al traffico di esseri umani e della tutela dei minori, il paese ha intrapreso un cammino importante che ha prodotto come risultato un programma legislativo che avvicina la Romania alle nazioni tradizionalmente più impegnate nella tutela dei diritti umani e in particolare nella lotta alla criminalità organizzata. 6.3 Modalità del traffico illegale di persone verso l’Italia. La Romania come paese di reclutamento e di transito, recentemente anche come luogo di destinazione Per quanto riguarda la Romania, il flusso di migranti irregolari e il traffico di esseri umani, tra i quali minori, segue due direttrici principali: da Est a Ovest e da Sud a Nord-ovest. Un testimone (G.V.) individua in maniera particolareggiata sei zone di transito contraddistinte per le caratteristiche specifiche di ciascuna area ma anche per i metodi utilizzati dai trafficanti e le rotte del traffico: a. zona Est, ai confini con la Moldavia. Il transito illegale ha origine da Russia, Ucraina, dalla stessa Moldavia ma anche dai paesi afro-asiatici; b. zona Ovest, ai confini con l’Ungheria. Il traffico in questo caso sembra interessare soprattutto persone provenienti dai paesi afro-asiatici che oltrepassano i confini della Romania sia da Est che da Ovest; 108 Le interviste hanno riguardato, per la Romania, le seguenti organizzazioni: Social Alternatives Association (di seguito indicata come SAA), Reaching Out Romania (di seguito indicata come ROR), Save the Children – Romania (StC), International Organization for Migration – Bucarest (IOM). Una testimonianza rilevante è quella fornita da G.V., magistrato, che esamina il programma legislativo recentemente messo in atto sulla lotta al traffico di esseri umani e le modalità di applicazione delle norme in vigore. 133 c. zona Sud, ai confini con la Bulgaria. Questo confine è interessato da un doppio flusso di persone che transitano in entrata (si tratta di popolazioni afro-asiatiche e curde e sono dirette verso i paesi dell’Europa Occidentale) e in uscita (rumeni diretti verso la Grecia e l’Italia); d. zona Sud-est, ai confini con l’Ucraina e il Mar Nero. Si tratta per lo più di persone in transito attraverso la Romania che si spostano individualmente e di flussi gestiti da organizzazioni criminali provenienti dall’ex Unione Sovietica e dai paesi afro-asiatici; e . zona Sud-ovest, ai confini con la Serbia. In questa zona di confine agiscono diverse organizzazioni criminali rumene ma anche internazionali che gestiscono il transito illegale migranti (rumeni e provenienti da altri paesi) attraverso la Serbia, la Macedonia e la Grecia e la tratta vera e propria proveniente dalla ex Unione Sovietica e dalla stessa Romania; f. zona Nord, ai confini con l’Ucraina. Per quanto riguarda la tratta di minori – come accennato, tutti gli intervistati concordano nel ritenere le bambine maggiormente coinvolte nel traffico, principalmente destinato alla prostituzione – un testimone (ROR) afferma che le aree rumene ritenute maggiormente interessate dal traffico sono soprattutto la regione moldava, il Banato e il Sud del paese. Le ragazze che vengono fatte transitare attraverso i paesi della ex Iugoslavia vengono “usate” temporaneamente in queste regioni per poi essere rivendute in Albania e successivamente trasferite in Italia approdando sulle coste pugliesi, a Brindisi in particolare. Altre rotte che interessano i/le minori passano per la Bulgaria, la Repubblica Ceca e l’Ungheria. La domanda da parte dei paesi dell’Europa occidentale viene giudicata sempre elevata perché se è vero che alcuni mercati sono considerati pressoché saturi (come accade per certe regioni italiane – Carchedi, 2002), nuovi paesi hanno fatto la loro comparsa nelle mappe del traffico come Spagna, Portogallo e Olanda (ROR). Secondo la polizia di frontiera rumena, riferisce IOM, dopo il reclutamento i minori sprovvisti di documenti o che risultano essere espatriati illegalmente in precedenza vengono forniti di documenti falsi. La falsificazione avviene generalmente mediante la sostituzione delle fotografie dei passaporti di coetanei. Quando sono provvisti di documenti e in assenza di precedente segnalazioni per espatrio illegale, i minori vengono fatti espatriare “legalmente” con i propri documenti. In tutti i casi i ragazzi sono accompagnati da adulti incaricati di gestire solo quella fase del percorso e che successivamente li consegnano ad altri membri dell’organizzazione. E’ diffuso il ricorso a pratiche miste – legali e illegali – per l’espatrio e per condurre a termine il viaggio con il coinvolgimento di altre persone. Un dato importante, riferito da diversi testimoni, riguarda i cambiamenti recenti intervenuti nel traffico che coinvolge la Romania, che pur confermandosi principalmente come paese d’origine delle vittime, ha registrato recentemente la presenza di donne e minori provenienti da altri paesi, non solo in transito. Sembra quindi che, anche se in misura modesta, il paese si stia caratterizzando anche come luogo di destinazione di donne e minori trafficati, provenienti in particolare dall’Ucraina e dalla Moldavia. Non si può escludere tuttavia che la Romania costituisca, almeno in parte, una destinazione intermedia. Il fenomeno potrebbe essere attribuibile alla volontà dei trafficanti di “iniziare” alla prostituzione coatta le donne e i minori sui quali esercitano il controllo in modo da rendere la “merce” immediatamente produttiva non appena immessa nei principali mercati di sfruttamento. 6.8 Lo stato dell’arte in tema di lotta al traffico: la legislazione in vigore e l’efficacia della sua applicazione in Romania. La Legge n. 678/2001 destinata alla prevenzione e alla lotta al traffico di esseri umani rappresenta “una norma moderna in accordo con gli strumenti internazionali esistenti” (G.V.) e costituisce un 134 completamento della legislazione nazionale in linea con le disposizioni adottate dal Protocollo delle Nazioni Unite di Palermo del dicembre 2000. Nella stesura della legge si è tenuto conto degli accordi sottoscritti a livello europeo e internazionale in tema di lotta al traffico di esseri umani, in particolare di minori. L’approvazione di questa legge si aggiunge alle norme già previste dal Codice Penale nazionale per reati diversamente correlati con il traffico di esseri umani, come la “deprivazione illegale della libertà”109 o la riduzione in schiavitù; tra i reati collegati compaiono anche la prostituzione e l’espatrio illegale. La Legge n. 678, oltre a rafforzare l’impianto legislativo atto a combattere il traffico di persone, ha promosso l’attivazione di una rete istituzionale di aiuto alle vittime in collaborazione con le organizzazioni non governative; il Ministero dell’Istruzione, in collaborazione con altri dicasteri e con agenzie non governative, ha il compito di attivare programmi di prevenzione rivolti soprattutto a soggetti a rischio di essere coinvolti nella tratta; il Ministero del Lavoro promuove l’accesso al lavoro di soggetti a rischio di traffico, in particolare di donne che vivono in aree economicamente depresse e in condizioni di emarginazione sociale. Viene previsto inoltre il rafforzamento della cooperazione internazionale allo scopo di stabilire collaborazioni tra i paesi interessati dal fenomeno sul piano giuridico e penale e su quello investigativo in particolare. Va detto che all’epoca dell’intervista (primavera 2002) la Romania non aveva definito le responsabilità dei singoli organismi istituzionali nell’applicazione della Legge, circostanza che – come dichiarano gli stessi testimoni – ha prodotto inadempienze e ridotto l’efficacia della norma, in modo particolare per quanto riguarda le azioni di prevenzione e aiuto alle vittime. Tuttavia, l’approvazione di uno specifico Regolamento attuativo e l’istituzione di un gruppo interministeriale di applicazione della legge – del quale faranno parte rappresentanze delle organizzazioni non governative e della società civile – dovrebbero dare impulso ai provvedimenti previsti dalla legge. Dai dati presentati da un testimone (G.V.) risulta che nel corso del 2001 sono state condannate per reati connessi con il traffico di esseri umani 1801 persone, di queste 82 erano minori. Sul totale vengono contestati 131 reati di prostituzione (di cui 25 compiuti da minori) e 1331 di attraversamento illegale dei confini nazionali (di cui 41 contestati a minori). Nel primo trimestre del 2002 si registrano complessivamente 565 condanne collegate al traffico, 28 delle quali hanno riguardato minori. A conferma di quanto accennato precedentemente, questi dati mettono in luce la presenza di minorenni coinvolti nel traffico di esseri umani non solo come vittime ma anche come autori di reato. Un aspetto critico riguarda, come si sarà notato da quanto emerso in questo Capitolo, la coincidenza della vittima di traffico con l’autore/autrice dei reati di prostituzione e di espatrio illegale. La Legge n. 678 prevede nel primo caso che la persona trafficata che ha commesso il reato di prostituzione non sia punibile per questo reato qualora lo denunci spontaneamente (prima dell’avvio delle indagini) oppure favorisca in seguito l’arresto dei suoi sfruttatori. L’intervistato ammette tuttavia che i provvedimenti legislativi emanati non si dimostrano sufficienti a incoraggiare la persona trafficata coinvolta nel mercato della prostituzione a testimoniare contro i trafficanti, soprattutto perché questa teme di incorrere comunque in sequele giudiziarie. Per quanto riguarda l’espatrio illegale la situazione è ancora più contraddittoria poiché, sebbene il Codice Penale preveda generiche eccezioni relative alla punibilità dell’accusato qualora sia riconosciuto il 109 Il testo originale, in lingua inglese, chiarisce: “illigal deprivation of liberty”. La precisazione “illigal” è verosimilmente dovuta alla volontà di distinguere questo comportamento criminale da forme legali di privazione della libertà, come la carcerazione a seguito di reato. La scelta di ricorrere a questa specificazione, tuttavia, suscita l’interesse ad approfondire altri aspetti che hanno a che vedere con la libertà individuale e con la presenza di limitazioni a essa, come ad esempio il concetto di esercizio/diritto di autorità in ambito familiare e la sua eventuale trattazione giurisprudenziale nell’ordinamento rumeno. 135 suo status di vittima nell’esecuzione del reato medesimo, non esistono disposizioni specifiche che rendano non perseguibile la vittima del traffico di esseri umani. A questo proposito possiamo registrare il caso110 di una giovane donna rumena accolta nel percorso di protezione sociale previsto in Italia dall’articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione. La ragazza, minore all’epoca del suo ingresso nella tratta e dell’espatrio illegale dal paese d’origine e dopo essersi sottratta agli sfruttatori, ha ricevuto in Italia protezione, accoglienza e sostegno psicologico aderendo inoltre a un programma di formazione e avvio al lavoro della durata di un anno con esiti molto positivi. La necessità del passaporto in vista di un’assunzione ha reso necessario alla ragazza il rientro in patria dove è stata trattenuta e sottoposta a processo per aver lasciato illegalmente il paese all’età di sedici anni. Dalle informazioni raccolte si evince inoltre che il reato di prostituzione, anche quando non riguardi minori, interessi comunque donne giovani in gran parte prive di occupazione. Un ulteriore elemento di criticità nell’applicazione delle disposizioni relative alla lotta al traffico in Romania riguarda, come emerge dalle interviste, la brevità del periodo di accoglienza presso i centri concesso alle vittime, periodo che come previsto dalla Legge specificata raggiunge i dieci giorni, anche se si prevede in alcuni casi la possibilità di prolungare l’accoglienza fino a tre mesi. Se si tiene conto della complessità insita nell’attivazione di un percorso di sostegno personale e di reinserimento sociale per una persona che abbia subìto gravi traumi –come quelli spesso connaturati al fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento sessuale – risulta evidente come la durata dell’accoglienza delle vittime prevista dalla legge rumena sia ampiamente inadeguata allo scopo, e ciò a maggior ragione se si tratta di minori. L’esperienza del lavoro sociale con le donne trafficate a scopo di prostituzione maturata anche in Italia, mostra infatti come il tempo necessario a una ragazza per rielaborare l’esperienza vissuta e recuperare la tranquillità necessaria alla costruzione di un percorso che permetta di riattivare le risorse personali debba essere almeno di tre/quattro mesi. Questo periodo può superare un anno nel caso in cui a questi primi obiettivi si aggiungano quelli della formazione e del reinserimento sociolavorativo, mentre le conseguenze psicologiche dell’esperienza traumatica perdurano a lungo nel tempo, influenzando i comportamenti sociali e relazionali della persona. 6.9 Le Organizzazioni non governative intervistate: potenzialità e criticità emerse. Prima di addentrarci nell’analisi delle testimonianze occorre precisare che i dati quantitativi relativi al traffico di esseri umani riportati dagli operatori nelle interviste fanno riferimento alle persone trafficate (adulte e minori) che hanno ricevuto qualche forma di aiuto dalle Ong interpellate, quindi non alla totalità delle persone coinvolte nel traffico (il cui numero rimane oscuro). Essi pertanto non possono fornire da soli indicazioni circa la realtà del traffico di minori che ha origine dal paese – o che vi transita – se non in via ipotetica e per approssimazione statistica. Le informazioni presentate si riferiscono alle organizzazioni che hanno aderito alle interviste: Social Alternatives Association si occupa di minori trafficati dal febbraio 2001 e ha seguito complessivamente 26 persone (tutte di sesso femminile e di nazionalità rumena) di età compresa tra 110 Il caso riguarda una ragazza accolta dalla Rete di servizi che aderiscono al Progetto Roxanne, attivato dal Comune di Roma in accordo con le disposizioni previste dall’articolo 18 del Testo Unico sull’immigrazione. Il rimpatrio e il conseguente processo al quale la giovane è stata sottoposta risale alla primavera del 2002, cioè allo stesso periodo nel quale il magistrato rumeno intervistato rilasciava le dichiarazioni che sono oggetto di questo Capitolo. 136 i 16 e i 32 anni. Di queste, nessuna era sposata, 4 erano divorziate e 22 erano nubili; sul totale 5 avevano bambini. Reaching Out Romania ha iniziato a occuparsi di minori trafficati nell’ottobre 1988. Ha accolto complessivamente 56 persone (di sesso femminile, 3 di nazionalità moldava) 14 delle quali minori. Di queste, le adulte vivono in maniera indipendente mentre le minori sono state reinserite nelle famiglie d’origine. Sul totale, 5 donne sono state nel frattempo ri-trafficate. Save the Children - Romania segue i minori trafficati dal gennaio 2002. L’associazione, che non si occupa esclusivamente di bambini trafficati, ha accolto dalla data indicata 8 minori vittime della tratta (di nazionalità rumena). International Organization for Migration – Bucarest ha iniziato a occuparsi di vittime della tratta nel dicembre 1999. Da gennaio 2001 a maggio 2002 ha seguito 511 persone (tutte di sesso femminile, di cui 231 rumene, altre provenienti da Moldavia e Ucraina). Sul totale, 123 ragazze erano minori (6 avevano meno di 14 anni e 117 avevano dai 15 ai 17 anni), 170 avevano un’età compresa tra i 18 e i 20 anni, 120 avevano tra i 21 e i 23 anni, 59 andavano dai 24 ai 26 anni e 39 avevano un’età superiore ai 27 anni. Il 95% delle vittime assistite da IOM riferisce inoltre di essere stata venduta più volte. Confrontando le informazioni acquisite dagli intervistati dal punto di vista delle attività nelle quali le organizzazioni sono impegnate, delle risorse da queste attivate, delle potenzialità e delle criticità che i testimoni registrano, emerge quanto segue: - - - - - - si tratta per lo più di strutture medio-piccole con un numero di addetti che va da sei a un massimo di dodici. Solo in un caso viene fatto ricorso a personale volontario; in tutti i casi si afferma la necessità di fare affidamento su personale qualificato, quindi sulla necessità di promuovere una adeguata formazione professionale per gli operatori; grande attenzione viene riservata alle azioni di prevenzione e sensibilizzazione, come previsto dalla Legge antitraffico n. 678. Gli interventi interessano soprattutto la scuola e i mezzi di comunicazione (giornali e televisione), ma vengono praticati anche avvicinando direttamente i giovani per le strade e sensibilizzando il mondo del lavoro allo scopo di facilitare l’accesso delle potenziali vittime al lavoro. Tutte queste azioni mirano ad aumentare la consapevolezza del fenomeno e dei rischi, soprattutto per i minori, sia presso i diretti interessati che presso gli adulti con i quali questi sono in rapporto (soprattutto insegnati e famiglie); per volontà delle autorità rumene e in collaborazione con la televisione nazionale (TVR2) e la stampa, le Ong (IOM in particolare) hanno avviato una campagna di sensibilizzazione attraverso spot (“gli esseri umani non hanno prezzo” è uno degli slogan utilizzati), manifesti, seminari destinati ad agenti di polizia, insegnanti, operatori sociali, campagne informative dirette agli studenti e altro; tra le azioni di prevenzione, va menzionato il monitoraggio di messaggi e annunci che possono mascherare il reclutamento di persone da destinare al traffico (ad esempio le false offerte di lavoro) o che trattano temi come l’emigrazione illegale; alle vittime viene offerta accoglienza (con i limiti che abbiamo accennato), assistenza sanitaria e psicologica, orientamento al lavoro, talvolta formazione o ricerca attiva di lavoro. Il sostegno al rimpatrio viene offerto da IOM e così pure la ricerca sociale sul fenomeno; vengono promosse attività di councelling, in particolare per promuovere e assistere il reinserimento dei minori nelle famiglie d’origine. Questo passaggio, giudicato da tutti i testimoni estremamente delicato, richiede un’attenta mediazione con le famiglie mirata a facilitare la riaccoglienza del minore in un contesto nel quale perdurano spesso le condizioni che sono state all’origine del traffico. Oltre alla mediazione familiare è previsto talvolta il 137 - - - supporto finanziario alle famiglie, allo scopo di prevenire il rischio dei minori di ricadere nel traffico, poiché la povertà è riconosciuta da tutti come uno dei primi fattori di rischio; tutte le organizzazioni dichiarano di godere di una buona credibilità e di essere ben accette presso la popolazione locale; dichiarano inoltre di registrare un buon grado di soddisfazione da parte delle persone accolte per i servizi resi e di mantenersi, in linea di massima, in contatto con queste dopo il loro ritorno in famiglia o comunque dopo la loro uscita dai progetti; per quanto riguarda i rapporti con gli organismi governativi, vengono formulate dichiarazioni contraddittorie che testimoniano da un lato un grado di collaborazione variabile e dall’altro una carenza quasi strutturale di risorse per la gestione dei programmi.111 A proposito della dotazione degli strumenti necessari a operare, diversi intervistati dichiarano ad esempio di non avere un’automobile, cosa che rende problematico svolgere molte attività e particolarmente raggiungere le zone rurali, nelle quali peraltro l’esposizione al rischio di traffico è particolarmente elevata e la presenza degli operatori più importante; un vuoto nella collaborazione con le istituzioni viene segnalato anche a proposito delle difficoltà ad avviare il primo contatto con le vittime dovuta, si segnala, alla mancanza di chiari reti di riferimento (ROR). 6.10 Le condizioni che determinano l’insorgere del fenomeno e il profilo dei soggetti coinvolti: le famiglie e i minori trafficati; i trafficanti e le modalità di reclutamento. Uno dei testimoni (G.V.) individua come cause o concause esterne al paese che concorrono al determinarsi del traffico di esseri umani attraverso la Romania i seguenti fattori: - - le ridotte potenzialità di crescita socio-economica dei paesi situati a Nord e a Sud della Romania che determinano una elevata migrazione illegale in transito; il forte potere di attrazione esercitato dai paesi sviluppati che richiama massicci flussi migratori illegali; l’esistenza di procedure permissive per la richiesta dei visti d’ingresso in paesi quali la Russia, la Moldavia, l’Ucraina che richiamano a loro volta ingenti flussi migratori dall’Asia e dall’Africa;112 la presenza di organizzazioni criminali nei paesi confinanti a Nord e a Est con la Romania che hanno una precisa conoscenza dei confini comuni e che sono in grado di eludere facilmente i controlli da parte della polizia rumena. Rispetto alle cause del fenomeno originatesi all’interno del paese e attribuibili a condizioni locali specifiche, lo stesso testimone distingue: 111 La collaborazione in alcuni casi viene ritenuta buona, in altri casi ampiamente insufficiente; vengono riportate: difficoltà di ordine burocratico (SAA), insufficienza di risorse per la formazione degli operatori, mancanza di fondi in generale, soprattutto per gli interventi destinati ai minori come la carenza di posti presso i centri di accoglienza (ROR) e la mancanza di risorse per l’accoglienza di lungo termine (StC). Si lamentano inoltre costi elevati per l’accesso dei minori alla formazione e ai servizi sanitari (in questo caso non solo per i minori) e la mancanza di servizi sociali dedicati. Per completezza di informazione aggiungiamo che nel 1990 è stata creata l’ANPCA (Autorità nazionale per la protezione del bambino e l’adozione) e nel 1997 un Dipartimento destinato alla protezione del benessere del bambino che prevede il decentramento dei servizi dedicati. Per migliorare il coordinamento delle iniziative sul territorio è stata promossa una “Strategia per la protezione e il benessere del bambino” per il periodo 2000-2004 (StC). Viene riferito anche che i servizi sociali locali non sono chiamati a impegnarsi direttamente nei programmi di reinserimento delle vittime, ma sono invitati a collaborare dalle singole Ong. 112 In “Osservatorio sui Balcani” (2002) si legge: “Nel corso del decennio (ultimo, n.d.r.) la Romania ha acquistato importanza come tappa di transito nei flussi migratori tra est e ovest, anche in virtù di un regime di visti particolarmente elastico”. 138 a. il processo di ristrutturazione economica in atto che riduce le possibilità di guadagno per coloro che detengono un basso livello di istruzione;113 b. il basso livello di istruzione della popolazione che non solo riduce le opportunità di lavoro ma impedisce l’adozione di un approccio realistico nella ricerca di alternative; c. specifiche lacune presenti a livello legislativo; d. micro-fattori sociali di rischio, soprattutto la presenza di ambienti familiari nei quali sono presenti conflitti, violenza, alcolismo e dove il minore è spesso vittima di violenze, anche sessuali, o di abbandono da parte dei genitori; e. il comportamento fortemente antisociale dei trafficanti e di quanti si rendono loro complici nell’esercizio delle attività illegali. La povertà diffusa e in particolare la provenienza delle famiglie dalle aree più depresse del paese (come la regione moldava, il Banato e le zone del Sud) vengono considerate dalla maggior parte degli altri intervistati tra i fattori di maggiore esposizione al traffico per i minori; anche la provenienza dalle città principali, dove il senso della comunità è debole o assente, aumenta il grado di vulnerabilità delle potenziali vittime (SAA). Altri testimoni confermano alcuni dei fattori sopra menzionati, come la correlazione tra la vulnerabilità al traffico del minore e le violenze (anche sessuali) subite all’interno della famiglia o più in generale la forte trascuratezza della quale egli soffre (SAS). Condizioni di rischio vengono riconosciute più in generale nell’adozione di pratiche violente intese come forme educative: come abbiamo accennato nella premessa, un testimone (StC) riferisce che picchiare i bambini è considerato il metodo educativo più comune e non un comportamento abusivo. Altri fattori, correlati ai precedenti, hanno a che vedere con la mancanza di autostima delle potenziali vittime e la presenza di discriminazioni a loro carico. Per quanto riguarda il mercato della prostituzione, al quale è destinata la maggior parte delle donne (adulte o minori), un intervistato (ROR) sostiene la presenza di una correlazione tra l’avvio alla prostituzione volontaria e le esperienze di incesto subite in precedenza. In base alle testimonianze raccolte, il profilo del minore-vittima del traffico viene quindi a comporsi con una certa precisione. Si tratta di ragazze e ragazzi i quali: a. sono abbandonati a se stessi (ragazzi di strada); b. hanno sofferto violenze, nelle famiglie o negli istituti una volta abbandonati; c. hanno sperimentato un rapporto affettivo-educativo carente con i genitori e l’assenza del senso di appartenenza alla famiglia; d. hanno un grado di istruzione basso o nullo; e. condividono con gruppi di pari una forte valorizzazione del denaro e aspirano all’indipendenza, soprattutto in termini economici; f. non hanno relazioni con comunità che abbiano valore in termini di capacità di aggregazione, quali la chiesa; g. non hanno prospettive di lavoro e di guadagno nel paese; h. sono ingenui e credono facilmente a storie di successi altrui; i. si sentono maturi e pronti a sostenere i rischi della migrazione; 113 Riportiamo questa dichiarazione così come è contenuta nel testo originale nonostante ci sembri evidente che il problema delle scarse possibilità di guadagno non interessi soltanto coloro che detengono un basso livello di istruzione, bensì ampie fasce della popolazione. Ancora in “Osservatorio sui Balcani” (cit.) leggiamo che “la Romania conosce consistenti fenomeni di brain drain. Buona parte di coloro che lasciano il paese sono infatti giovani e istruiti: circa la metà dei 5000 laureati in informatica all’anno decide di emigrare, e un sondaggio del marzo 2001 ha rilevato che il 66% degli studenti romeni emigrerebbe se potesse. Secondo il governo almeno 80.000 professionisti hanno abbandonato il paese dal 1989.” 139 j. hanno un’età compresa per lo più tra i 15 e i 17 anni, in un contesto nel quale si assiste a un abbassamento generalizzato dell’età, soprattutto per le ragazze (SAA; ROR). Per quanto riguarda le organizzazioni criminali, dalle interviste emerge la compresenza di reti familiari che occasionalmente si aggregano al traffico internazionale, ma anche di singoli individui specializzati nella gestione di alcuni segmenti del traffico (reclutamento, trasporto, alloggio). Le organizzazioni riescono a raggiungere un grado di complessità elevato e tra i membri nessuno conosce la rete nel suo complesso ma solo gli intermediari locali (ROR). I trafficanti possono avere un’età compresa tra i 18 e i 50 anni, più spesso sono uomini ma sono presenti anche donne. Tuttavia il trafficante “tipo” è maschio e ha un’età compresa tra i 20 e i 30 anni (IOM). Viene descritto dai testimoni come distinto e persuasivo (racconta storie di successo). Svolge un’attività – di copertura – che lo porta a intrattenere relazione con molte persone (barista, cameriere o tassista); risulta chiaro il contrasto tra il lavoro che svolge e il tenore di vita piuttosto elevato che sostiene (come si evince dall’abbigliamento, dall’automobile e dal possesso del telefono cellulare) (SAA). Le modalità di reclutamento delle potenziali vittime vanno dalle proposte di lavoro (66% secondo i dati IOM) o altre promesse illusorie effettuate attraverso un approccio diretto, al ricorso ad annunci di lavoro (dalla cameriera al lavoro in campo artistico, come la ballerina nei night club) che talvolta possono lasciare supporre o dichiarare una qualche forma di attività prostituzionale, ma l’elemento dell’obbligatorietà non è mai esplicitato. Vengono riportati, anche se in misura ridotta, casi di rapimento (SAA) ma nella stragrande maggioranza dei casi il reclutamento avviene grazie alla complicità di parenti o conoscenti, secondo quanto risulta dai casi seguiti da IOM. 6.11 Rimpatrio delle vittime e valutazione degli strumenti di contrasto al traffico di esseri umani attivati in Italia. A proposito della volontà delle vittime di rientrare in patria una volta fuoriuscite dall’esperienza della tratta le opinioni dei testimoni convergono sulla generale disponibilità al rimpatrio. Un intervistato (SAA) precisa che, per i casi nei quali le vittime non intendono far ritorno al paese d’origine, ciò sia da attribuire alle medesime condizioni che le hanno indotte a partire: la povertà, la mancanza di opportunità e di prospettive non solo rispetto al lavoro ma anche rispetto a una condizione familiare e sociale accettabile per la donna. Un secondo intervistato (ROR) ritiene che la presenza di programmi di aiuto al reinserimento e l’assenza di discriminazioni a loro carico favoriscano la decisione del rimpatrio delle vittime, ma sostiene anche che la possibilità per loro di essere regolarizzate in altri paesi le incoraggi invece all’espatrio. Secondo questo testimone infatti i trafficanti che promettono lavoro in Italia risultano più convincenti grazie al fatto che la legge italiana concede la possibilità della regolarizzazione. Dalle interviste non emergono elementi che permettano di capire se, e in che misura, le ragazze reclutate in Romania possano essere a conoscenza delle norme italiane in materia di immigrazione. Nel caso in cui l’immigrato/a irregolare sia minore e non accompagnato/a, la legge italiana effettivamente non ne prevede l’espulsione. Nel caso in cui l’immigrato/a irregolare sia maggiorenne, questi dovrebbe essere a conoscenza del fatto che l’unico modo per entrare o soggiornare irregolarmente in Italia ed essere successivamente regolarizzato è l’ingresso nel programma di protezione sociale (come stabilito dal Decreto legislativo 286/98).114 114 Va fatta eccezione per la richiesta di asilo politico e per il recente decreto di regolarizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici in nero, che però ha avuto carattere straordinario. 140 Questo dispositivo richiede che siano comprovate le circostanze del traffico, dello sfruttamento e dell’attualità del pericolo per l’incolumità della vittima. In questo caso però si dovrebbe riconoscere che le giovani donne non solo sono consapevoli di entrare nel giro della prostituzione, ma aderiscono esplicitamente al traffico e allo sfruttamento, almeno in fase di avvio. Il fenomeno, sebbene non del tutto assente, come vedremo nel caso dell’Albania, risulta però in contrasto con quanto affermato dagli intervistati rumeni, i quali sono concordi nel ritenere che, anche nei casi in cui la decisione della donna di prostituirsi sia volontaria, le implicazioni coercitive non vengano rese palesi dagli sfruttatori. 6.8 Il caso dell’Albania115 L’Albania è uscita nel 1991 da un lungo periodo di isolamento. Alla fine dell’era comunista il paese è crollato. Forse perché la nostra società non ha sopportato il confronto, l’apertura improvvisa ad un mondo molto più ricco. E’ crollata di colpo anche l’immagine che l’albanese aveva creato di se stesso. Di sicuro la crisi albanese è stata ed è anche politica, economica, sociale, ma prima di tutto è una crisi d’identità, una crisi del sistema dei valori (Misha, 2001). La condizione di arretratezza dovuta a decenni di economia rigidamente pianificata, l’isolamento internazionale, la “crisi d’identità” che ha pervaso il paese hanno fatto dell’Albania, insieme alla sua collocazione geografica – a poche ore di mare dall’Italia – uno dei principali paesi “produttori” ed esportatori nel mercato di esseri umani del continente europeo. Il disgregarsi del senso della comunità e la sfiducia nelle possibilità di ripresa del paese, sovrapposti a una cultura tradizionale improntata sull’affermazione dell’autorità maschile, hanno fatto sì che all’emigrazione che in passato coinvolgeva in maggioranza uomini giovani in cerca di sostentamento per le famiglie, si sia sovrapposta la migrazione forzata dei soggetti più deboli del sistema sociale, ovvero la tratta delle donne e dei minori, destinati in larga misura al mercato del sesso. Le modalità del traffico di persone verso l’Italia. L’Albania come paese di reclutamento e di transito. Un testimone stima che, a partire dal 1991, circa 20.000 giovani albanesi siano state coinvolte nella tratta e nella prostituzione in Europa (P.S.). Secondo un altro testimone (A.J.) le vittime del traffico provengono generalmente dalle aree rurali più depresse del paese ma negli anni 1997-1999, precisa un terzo testimone (V.L), il reclutamento avveniva anche nelle aree urbane, dove il numero delle ragazze rapite era piuttosto elevato. Gli intervistati concordano nel ritenere attualmente in calo il traffico di minori destinati al mercato sessuale riconoscendo tuttavia l’esistenza di aree particolarmente “calde” per il reclutamento: Fier, Kuçova, Elbasan, Lushnja, Skrapar, Gramsh e Berat, sono le principali, luoghi nei quali “avere una vita decente è impossibile” ( F.G.), ma vengono menzionate anche le stesse Durazzo e Tirana. Il trasporto avviene dai luoghi d’origine verso Durazzo e Valona, dove le vittime vengono fatte sostare per pochi giorni, quanto basta per organizzare il viaggio; per le persone prive di documenti la sosta è di solito leggermente più lunga. Questo periodo di attesa, che viene trascorso anche presso alberghi, è spesso caratterizzato da maltrattamenti e violenze sessuali ripetute, e rappresenta una sorta di “iniziazione” alla nuova vita che attende le ragazze, per ottenerne la completa acquiescenza. I mezzi di trasporto più utilizzati sono, come è noto, gli scafi che partono dai porti principali, ma si 115 Per la redazione di questa parte mi sono avvalsa delle testimonianze fornite da: A.J., responsabile dell’Ufficio antitraffico del Ministero dell’Ordine Pubblico di Tirana, F.G., responsabile dell’Ufficio regionale antitraffico di Durazzo, P.S., ex ispettore dell’Interpol di Tirana, H.S. dell’IOM di Tirana e V.L., del centro di accoglienza per donne trafficate e a rischio di Valona. 141 fa ricorso anche ai grandi traghetti o all’aereo, soprattutto per i minori, per i quali si utilizzano documenti falsificati attraverso la sostituzione delle fotografie dei bambini trasportati di volta in volta (A.J.). Un testimone dichiara che i minori talvolta vengono anche nascosti nei grandi traghetti. Per i minori che provengono dall’estero (dalla Moldavia e dalla Romania in particolare) una delle rotte seguite dai trafficanti passa attraverso la Serbia e il Montenegro per poi entrare in Albania in corrispondenza di Scutari. Questo flusso viene organizzato a partire da Timisoara, dove vengono concentrati i minori per essere poi trasferiti in Albania. Sempre partendo da Timisoara, alcune vittime ascoltate dai testimoni hanno dichiarato di essere state fatte transitare per la Serbia e la Slovenia, seguendo cioè la rotta Nord che conduce in Italia (A.J.). I minori destinati in Italia sono sempre accompagnati da adulti che li dichiarano figli propri. Sfruttamento della prostituzione, pedofilia e pornografia costituiscono i principali mercati (V.L.). Una parte del traffico di minori che interessa l’Albania si dirige verso la Grecia, dove i controlli di frontiera sono quasi assenti e dove il tragitto e l’attraversamento dei confini vengono compiuti facilmente a piedi eludendo le postazioni doganali di controllo (A.J.). In Grecia vengono indirizzati in particolare i minori Rom di sesso maschile, destinati tuttavia anche all’Italia (F.G.). Il fenomeno migratorio dall’Albania è stato nel corso degli anni Novanta di proporzioni massicce, si calcola difatti che su una popolazione di poco più di tre milioni e trecentomila abitanti attualmente circa sette/ottocentomila persone abbiano lasciato il paese, per lo più illegalmente. La capacità migratoria dell’Albania viene ritenuta quindi pressoché esaurita: presso molte famiglie uno o due componenti vivono ormai all’estero. I migranti illegali, che sono stati coinvolti – o hanno fatto ricorso consapevolmente – alle organizzazioni che offrono servizi per l’espatrio illegale, sono destinati a rimanere nelle mani di queste ultime fino a quando non avranno una possibilità di regolarizzazione nel nuovo paese e nel lavoro; si tratta di persone che vivono in condizioni estremamente disagiate e che non possono fare ricorso ai servizi come la scuola o la sanità, proprio in quanto illegali (P.S.). Lo stesso testimone afferma che il popolo albanese è incerto a proposito delle possibilità di ingresso dell’Albania in Europa. Incapaci di intravedere un futuro migliore per il proprio paese, i giovani non sono motivati a intraprendere o a continuare la scuola per elevare il livello della propria istruzione, poiché questo non rappresenta più una garanzia di lavoro per il futuro. Inoltre, la piccola quota di emigrazione legale verso l’Italia è controllata dal governo albanese e viene spesso percepita come facilmente soggetta alla corruzione. La prostituzione forzata è strettamente legata alla condizione – ritenuta necessaria – di immigrato/a illegale. Alcune donne, continua l’intervistato, sono consapevoli di entrare nel giro della prostituzione e compiono una scelta razionale che parte dalla constatazione della mancanza di prospettive di una vita accettabile in Albania. E’ probabile che in parte esse ritengano, ingenuamente, di restare invischiate nel mercato della prostituzione per qualche mese e di potersene poi allontanare cercando un altro lavoro e rendendosi indipendenti. Pur essendo presenti donne che decidono deliberatamente di diventare sex workers spinte dalla mancanza di altre opportunità, il testimone ritiene che questa scelta interessi ancora una minoranza della popolazione femminile coinvolta nel traffico. Molte giovani che hanno trascorso anni nelle mani degli sfruttatori sono state più volte “riciclate” passando da un’organizzazione criminale a un’altra e, come anticipato nella premessa, hanno raggiunto la maggiore età vivendo in questa condizione; in diversi casi le donne che hanno trascorso più tempo nel giro della prostituzione sono meno interessate a cercare aiuto perché ritengono di essere ormai giunte alla fine del loro ciclo prostituzionale e che il momento in cui gli sfruttatori le lasceranno libere di andarsene non sia lontano. 142 L’intervistato aggiunge che le ragazze seguite dalle Ong locali non costituiscono un esempio completamente rappresentativo del fenomeno poiché queste si occupano dei casi più drammatici, cioè quelli di donne che hanno subìto gravi violenze e delle quali gli sfruttatori vogliono sbarazzarsi perché ormai incapaci di generare il profitto voluto. Nel corso del 2001 la polizia ha intercettato 38 casi di traffico di minori; 27 di questi avevano meno di 14 anni e 11 erano ragazze tra i 14 e i 18. In due casi le ragazze erano state rapite (A.J.). Le condizioni socio-economiche di partenza e il profilo dei soggetti interessati: le famiglie e i minori coinvolti; i trafficanti e le modalità di reclutamento. I minori coinvolti provengono da famiglie che vivono in condizioni di povertà e di disagio sociale nelle quali le relazioni familiari sono caratterizzate da deprivazioni affettive e da grave trascuratezza. In questo contesto i bambini subiscono violenze anche a sfondo sessuale dagli stessi membri maschi della famiglia, spesso dediti all’alcool e violenti; in molti casi si tratta di ragazzi che hanno abbandonato o non hanno mai frequentato la scuola, come accade per i bambini appartenenti alle minoranze Rom (A.J.) ma anche per gli altri, e soprattutto per le bambine. Per quanto riguarda i gruppi Rom, i frequenti spostamenti che interessano le famiglie rendono estremamente difficile verificare la presenza temporanea dei bambini nel territorio (in assenza di dati come l’iscrizione a scuola) cosicché la comunità spesso non percepisce la loro scomparsa. Il reclutamento che interessa i minori Rom riguarda soprattutto maschi diretti in Grecia, in percentuale inferiore in Italia (F.G.). Un altro testimone dichiara che tra i minori trafficati, i più piccoli sono Rom (H.S.) mentre la responsabile del centro di accoglienza di Valona dichiara di avere registrato rari casi di minori Rom di sesso femminile provenienti dal mercato della prostituzione, fatto che induce a ipotizzare una scarsa presenza di ragazze minori appartenenti a questo gruppo nel mercato della prostituzione. La vendita dei bambini da parte dei genitori viene riportata dalla maggior parte dei testimoni, e non solo a proposito delle comunità Rom, anche se dalle interviste non emergono elementi sufficienti a quantificare la portata del fenomeno. Si cita il caso di una sedicenne (poi assistita da una comunità) che dichiara di essere stata venduta per sfamare i fratelli minori (V.L.); o piuttosto il caso di una bambina Rom venduta dalla madre una prima volta la quale, riuscita a sottrarsi agli sfruttatori, aveva fatto ritorno a casa ed era stata subito rivenduta dalla madre allo stesso trafficante (F.G.). Ma si riporta anche il caso di una bambina – la cui madre, divorziata, era malata – che aveva dovuto vendere il proprio sangue per procurare un po’ di denaro per sfamare i fratelli più piccoli (V.L.). Una parte dei minori coinvolti nel traffico proviene da famiglie che hanno abbandonato le aree rurali d’origine, spinte dalla povertà, per trasferirsi nelle maggiori aree urbane, dove peraltro continuano a vivere in condizioni di emarginazione e povertà estrema. In questi casi i genitori sono disoccupati oppure lavorano duramente e non si occupano dei bambini, della loro cura né della loro istruzione. La mancanza di attività e di spazi di aggregazione dedicati ai bambini, ad eccezione della scuola che essi spesso non frequentano, fa sì che i minori siano per lo più abbandonati a se stessi. In altri casi possono essere orfani o avere un solo genitore, oppure appartenere a famiglie molto numerose, altro fattore che viene identificato come fonte di rischio (H.S.). Per quanto riguarda le forme di reclutamento dei minori più impiegate dai trafficanti un testimone (A.J.) distingue principalmente tre modalità: - offerta immediata di denaro a un membro della famiglia che accondiscende consapevolmente alla vendita del minore; 143 - - una sorta di accordo di collaborazione al quale i trafficanti inducono le famiglie – soprattutto quelle che vivono nelle aree rurali – che avviene con la concessione di denaro in cambio del bambino ma anche nell’illusione che in Italia (il luogo di destinazione viene quindi dichiarato) il figlio avrà migliori possibilità di studio e di lavoro per sé, e in prospettiva di guadagno per l’intera famiglia; la ricerca di bambini abbandonati. Come abbiamo avuto modo di specificare, questo metodo è il più sicuro per i trafficanti poiché nessuno ne denuncerà la scomparsa. Altri testimoni descrivono ulteriori forme di raggiro come i falsi matrimoni che arrivano fino alla simulazione di vere e proprie cerimonie nuziali – e che implicano la partecipazione di più complici in veste di parenti dello sposo –, oppure il prestito di denaro alle famiglie, le quali non sono poi in condizioni di restituirlo e ciò le costringe a “impegnare” il minore nel lavoro all’estero per la restituzione del prestito. Anche il ricorso alla complicità di parenti o amici delle famiglie, che assumono il ruolo di intermediari, viene giudicato molto frequente (F.G.). Per quanto riguarda le forme di collaborazione tra famiglie e trafficanti queste possono essere sia esplicite rispetto alla destinazione del minore che basate sull’inganno. Viene riportato ad esempio un caso nel quale la famiglia ha pagato per consegnare il proprio figlio ai trafficanti, sperando di indirizzarlo verso un futuro migliore all’estero. Per quanto riguarda i membri delle organizzazioni criminali, viene confermata la presenza di donne, sebbene limitata rispetto a quella maschile. Il “profilo tipo” del trafficante albanese corrisponde a un uomo, tra i venticinque e i trent’anni, per lo più single, con un retroterra familiare e sociale variabile, spesso proveniente da Fier o da Kurbin (A.J.). Il suo grado di istruzione viene giudicato da alcuni basso, da altri medio; si tratta comunque un individuo capace, intelligente, generalmente coinvolto in altre attività illegali in precedenza (V.L.). La sua avidità per facili e ingenti guadagni lo rende molto violento (A.J.), un altro testimone definisce i trafficanti “ex criminali (…), gente crudele che ha perduto i sentimenti umani” (F.G.). Lo stato dell’arte in tema di lotta al traffico di minori in Albania. A differenza della situazione rumena che – pur presentando ancora alcune incongruenze legislative e difficoltà nell’attivazione capillare delle disposizioni antitraffico recentemente varate, soprattutto per la carenza di risorse – dimostra la presenza di un impegno consistente nel contrasto al fenomeno a livello legislativo, nonché di una crescente attenzione per la prevenzione del traffico e l’aiuto alle vittime, tutte le testimonianze disponibili riguardanti il caso albanese mostrano una realtà che presenta ancora forti elementi di criticità anche se si constata una sensibile riduzione dei flussi irregolari destinati alla prostituzione. Sebbene la collaborazione con il governo italiano e l’intensificarsi delle azioni di polizia abbiano permesso di raggiungere alcuni risultati significativi, ancora oggi poco è stato fatto per la prevenzione e per l’aiuto alle vittime. Vengono citati ad esempio accordi bilaterali stilati con l’Italia su aspetti specifici come il controllo dei confini, ma in generale non emergono punti di eccellenza eccetto una maggiore efficacia delle azioni di polizia giudicate, in quanto tali, non sempre positive (“sono necessarie risposte giudiziarie più efficaci, ma non più aggressive azioni di polizia”, P.S.). Per quanto riguarda la creazione di nuclei specializzati non solo nelle azioni di repressione ma anche nel sostegno alle vittime, nel corso del 2001 rappresentanti della polizia albanese hanno preso parte a un programma di formazione realizzato dalla polizia francese in collaborazione con IOM e incentrato sulla creazione di percorsi di riaccoglienza nelle famiglie d’origine delle ragazze trafficate, destinato a prevenire il reingresso nel traffico delle vittime, fenomeno peraltro molto diffuso. Il programma di formazione prevede che gli agenti trasferiscano le competenze acquisite 144 diffondendo le nuove metodologie di approccio ad altri colleghi e, secondo le testimonianze, risulta essere stato ben accolto dagli agenti coinvolti. Le azioni di polizia hanno prodotto una riduzione del fenomeno anche per quanto riguarda il traffico di minori (P.S.). Nel corso del 2001 sono stati arrestati 233 trafficanti, per i quali in 14 casi è stato dimostrato il coinvolgimento di funzionari di polizia. Nel 2002 (fino a maggio) sono stati arrestati 183 trafficanti; in 8 casi la polizia era coinvolta. All’intensificarsi degli interventi repressivi, ritenuti complessivamente più efficaci che nel recente passato – si calcola che poco meno di 2000 trafficanti siano rinchiusi nelle carceri albanesi (P.S.) –, non ha corrisposto un adeguamento delle procedure investigative e giudiziarie giudicate ancora lente e inefficaci. Si menziona tuttavia la predisposizione di nuove corti, specializzate nel trattare crimini di questa gravità, allo scopo di affiancare alle azioni repressive della polizia strumenti giudiziari più adeguati alle attuali esigenze (A.J.). Un intervistato esprime comunque un certo scetticismo rispetto alla capacità dello Stato di colpire i vertici delle organizzazioni criminali; egli testimonia infatti come il traffico di esseri umani sia ormai considerato da queste ultime un’attività di basso status. Chi ha realizzato grandi profitti negli ultimi anni non è più disposto a rischiare i propri capitali nel mercato degli esseri umani, soprattutto in considerazione di maggiori rischi dovuti all’aumento dell’attività repressiva della polizia. Così gli ex trafficanti di persone, ormai arricchitisi, investono il proprio capitale in altre attività illegali (come il traffico di droga), oppure lo riciclano investendo in attività legali: “coloro che vengono arrestati e incarcerati oggi sono «pesci piccoli» che non sono stati in grado di comprare la propria impunità” (P.S.). Un altro modo con il quale i criminali che continuano a dedicarsi al traffico di persone cercando di garantirsi dal rischio di essere intercettati dalla polizia o denunciati delle vittime o dai loro familiari (in caso di rapimento o inganno) è quello di comprare “l’omertà”116 delle vittime (P.S.). Altri testimoni sembrano confermare questa dichiarazione affermando, come abbiamo accennato sopra, che attualmente i trafficanti tentano di raggiungere accordi con le famiglie, anche promettendo di dividere con loro i ricavi dello sfruttamento delle vittime (F.G.). Si riscontra quindi un tendenziale cambiamento nelle strategie adottate dai trafficanti che sembrano sostituire alle pratiche di reclutamento più violente forme di persuasione e di negoziazione con le famiglie delle vittime. Un deterrente al traffico di esseri umani verso l’Italia potrebbe essere costituito da azioni in grado di colpire i trafficanti di alto profilo comminando pene pesanti anche in Albania, e non solo in Italia. Per quanto riguarda invece il traffico di minori verso la Grecia, i trafficanti non temono sanzioni perché i rischi sono minimi e non si è a conoscenza di azioni giudiziarie efficaci in proposito (P.S.). Azioni di repressione delle organizzazioni criminali quali la confisca dei beni sono di difficile attuazione in Albania, riferisce il medesimo intervistato, perché non esiste una regolamentazione specifica della proprietà dei beni e della loro registrazione e sono assenti, a differenza di altri paesi, i dispositivi di controllo nel trasferimento di capitali attraverso le banche. A proposito della volontà della prevenzione del traffico e delle azioni di aiuto alle persone a rischio o alle vittime, una testimonianza (A.J) riassume come segue la situazione attuale: “l’Albania ha compiuto soltanto sporadici tentativi di reintegrazione dei bambini trafficati. Sono indispensabili un forte coordinamento dei programmi e centri di accoglienza (…). Se non saremo in grado di offrire reali possibilità di integrazione è evidente che le vittime non torneranno nei luoghi d’origine”. L’intervistato ritiene tuttavia che il governo sia consapevole della necessità di promuovere azioni di sostegno alle vittime e soprattutto di allestire centri di accoglienza per i minori abbandonati. (A.J.). 116 Così riportato nel testo originale. 145 Ciò che deve essere fatto per rafforzare la lotta al traffico e la tutela dei minori. Interpellati a proposito di ciò che si deve fare per contrastare il fenomeno del traffico di esseri umani e di minori in particolare, i testimoni sembrano far convergere le priorità intorno a tre temi principali: - - - la necessità di promuovere azioni di prevenzione – per la creazione di condizioni sociali non discriminanti dei soggetti a rischio –, servizi per l’accoglienza delle vittime e interventi di sensibilizzazione atti a favorire la riaccoglienza delle vittime nelle famiglie d’origine; la necessità di rafforzare gli strumenti di contrasto nonché il coordinamento tra il sistema di polizia, il sistema giudiziario e le Ong che operano sul territorio, attualmente insufficienti e poco efficaci; la necessità di rafforzare la cooperazione tra i governi dei paesi interessati dal fenomeno, in particolare quella tra Albania e Italia, non solo per quanto riguarda le operazioni di polizia ma anche per promuovere azioni di sostegno alle vittime anche in Albania. Il modo nel quale vengono evidenziate le difficoltà e le carenze in ordine al primo punto richiama gli aspetti toccati in apertura di questo capitolo, in particolare la presenza di una comunità sociale disgregata, all’interno della quale la famiglia non esprime più coesione e appartenenza affettiva ma piuttosto il tentativo di aggrapparsi a una tradizione patriarcale che, volendo contrapporsi allo sgretolamento dell’identità culturale in atto, si è arroccata sulle sue manifestazioni più oppressive. Gli intervistati ritengono che la prevenzione dovrebbe interessare prima di tutto le famiglie e in secondo luogo gli insegnanti, che appaiono in questi commenti piuttosto assenti. Questi dovrebbero contribuire a svolgere una forte azione di mediazione all’interno delle famiglie, compito che non dovrebbe essere affidato solo alla polizia (A.J.). Gli insegnanti dovrebbero seguire a loro volta programmi formativi che li rendessero capaci di affrontare il tema del traffico di minori nelle scuole. Alle scuole come ai media viene richiesto infatti di farsi carico delle indispensabili azioni di sensibilizzazione dirette sia ai bambini che alle famiglie (H.S., F.G.). Rispetto alla sensibilizzazione al fenomeno un testimone sostiene che la società albanese e la mentalità corrente sono dure nei confronti delle ragazze trafficate fuoriuscite dalla prostituzione e che la stigmatizzazione nei loro confronti è forte (F.G.). Questo aspetto rende le ragazze trafficate molto vulnerabili sia quando si trovano nelle mani dei trafficanti – i quali ottengono la loro acquiescenza minacciandole di rivelare ai membri della famiglia o della comunità d’origine la loro attività prostituzionale – sia quando queste fanno ritorno in patria. Qui le ragazze, che facilmente vengono riconosciute come provenienti dal giro, sono sottoposte a nuovi ricatti e minacce. Le famiglie stesse spesso le rifiutano, le minacciano e qualche volta possono arrivare a ucciderle. Per questi motivi la mediazione con le famiglie viene ritenuta da tutti un impegno cruciale. Tuttavia, rispetto alla sensibilizzazione al fenomeno e alla sua maggiore visibilità presso l’opinione pubblica, un testimone (P.S.) raccomanda alle Ong di evitare drammatizzazioni che potrebbero ingenerare una troppo facile associazione tra migrante illegale e vittima del traffico. L’abbandono scolastico viene giudicato un grave problema, oltre che per le conseguenze che complessivamente esso produce anche perché la sua correlazione con il traffico dei minori è attestata da molti casi (A.J.). Ma il problema sembra riguardare in generale l’assenza di politiche sociali per l’infanzia. Il medesimo testimone lamenta infatti la mancanza di attività o iniziative dedicate ai minori e addirittura la mancanza di spazi aperti al gioco per i bambini. Il coinvolgimento nel traffico da parte di membri delle forze di polizia, comprovato come abbiamo visto nelle sedi processuali, fa sì che i cambiamenti sociali auspicati – che richiedono azioni congiunte: repressive e di sensibilizzazione –, debbano includere tra essi la lotta alla corruzione 146 (V.L.), tema che è presente nelle interviste sebbene non venga segnalato come una questione prioritaria. Per quanto riguarda il rafforzamento degli strumenti di contrasto al traffico e la cooperazione tra i soggetti coinvolti, sembra emergere una mancanza di coordinamento, talvolta una mancanza di fiducia tra i vari organismi impegnati sul campo. Mentre un testimone (V.L.) afferma che le Ong non possono essere lasciate sole e sottolinea la necessità di rafforzare il ruolo delle istituzioni interessate al fenomeno e di formare adeguatamente il personale impegnato, lamentando al riguardo l’assenza del Governo (“non mancano solo le risorse, qualche volta manca anche la motivazione”), un altro intervistato sostiene al contrario che “la polizia non dovrebbe essere lasciata sola” e che le Ong dovrebbero collaborare di più offrendo alle vittime councelling, accoglienza e assistenza legale (F.G.). Un terzo testimone ritiene che le Ong dovrebbero essere sottoposte a controlli più accurati poiché esistono agenzie fantasma o scarsamente professionali che sono comunque destinatarie di fondi (P.S.). Un altro intervistato (F.C.) fa presente che il sistema giudiziario dovrebbe sostenere di più l’operato della polizia, applicando normative severe nei confronti di crimini di questa portata. L’insistenza dei testimoni su questi aspetti mostra la presenza di un sistema a diverse velocità nel quale all’intensificarsi dello sforzo repressivo della polizia non corrispondono un sistema giudiziario adeguato e sufficienti azioni di prevenzione, lacune che rischiano di vanificare i risultati conseguiti sul piano della repressione. Per quanto riguarda il terzo tema, e cioè il rafforzamento della cooperazione tra i paesi interessati al traffico di esseri umani e in particolare ai rapporti dell’Albania con l’Italia, uno dei testimoni (P.S.) fornisce ampi commenti in merito riconoscendo l’impegno dell’Italia nel far fronte al fenomeno ma mettendo anche in luce lacune e criticità nelle azioni intraprese. Sotto diversi aspetti egli ritiene che l’Italia abbia saputo rispondere con efficacia al fenomeno rispetto ad altri paesi e in particolare rispetto alla Grecia che ha fatto invece molto poco per prevenire il traffico di minori. Ma ancora molto potrebbe essere fatto, ad esempio estendendo i benefici assicurati alle vittime dall’articolo 18 del T.U. sull’immigrazione anche alle ragazze sfruttate in Italia e poi rimpatriate contro la loro volontà, alle quali dovrebbe essere offerta la possibilità di rientrare in Italia se lo desiderano. Questa proposta viene vista come un atto pragmatico; il riconoscimento di una realtà esistente, poiché molte delle ragazze rimpatriate forzatamente tentano comunque di fare ritorno in Italia, e non di rado ricadono nuovamente nelle reti criminali. L’intervistato sostiene che per contrastare il traffico illegale di esseri umani dall’Albania l’Italia dovrebbe facilitare l’immigrazione legale, rendendo così inutile per i cittadini albanesi il ricorso alle organizzazioni del traffico illegale. In questo caso le famiglie ripristinerebbero la tradizione migratoria che coinvolgeva giovani uomini in cerca di lavoro e non si rivolgerebbe più ai minori e certamente non alle ragazze. Ancora in tema di cooperazione, alcune delle scelte compiute dai due governi vengono giudicate inefficaci, come l’accordo sottoscritto pochi anni fa che ha permesso alle autorità italiane di espellere cittadini albanesi e non albanesi entrati illegalmente nel proprio territorio facendoli rientrare in Albania (nei casi in cui quest’ultimo fosse il paese di partenza dei non albanesi). Ma l’Albania non ha stretto accordi analoghi con i paesi di provenienza dei migranti illegali o delle persone trafficate che attraversano il proprio territorio (o che vi vengono fatte rientrare), e soprattutto non dispone di mezzi per accoglierli, assisterli e rimpatriarli a sua volta, e questo rappresenta un grave problema per il paese. Il testimone si dimostra contrario anche all’intensificazione massiccia dei controlli di frontiera, per la quale si è fatto ricorso a tattiche “forti” nelle operazioni di polizia che hanno messo inutilmente a rischio la vita dei migranti. Secondo l’intervistato, quando nel corso di queste azioni si verificano 147 incidenti che causano vittime tra i migranti le autorità fanno il possibile per non rendere note le conseguenze, anche per ragioni politiche, ma aggiunge che “gli albanesi non saranno motivati a rafforzare i controlli delle frontiere per arginare il passaggio attraverso l’Albania di cittadini provenienti da paesi terzi e diretti in Europa Occidentale fino a quando il loro stesso diritto di viaggiare liberamente non sarà garantito”. Per arginare l’immigrazione illegale dall’Albania verso l’Italia potrebbero essere prodotti risultati migliori, continua l’intervistato, trasferendo i fondi attualmente utilizzati (inefficacemente) in azioni di polizia su larga scala per il controllo dei confini nella creazione di piccole unità composte da agenti albanesi e italiani che sviluppino strategie di azione congiunte. E a proposito dei costi di tali operazioni per l’Italia, questi suggerisce di fare una stima degli investimenti umani e finanziari impiegati: dalle massicce operazioni di controllo delle coste, alle procedure di rimpatrio, all’attivazione dei procedimenti giudiziari a carico dei trafficanti, alla loro detenzione, fino agli interventi di aiuto alle vittime. Ma si dovrebbe tenere conto anche degli ingenti flussi di denaro che contemporaneamente vengono intercettati – e incamerati – dalle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico illegale. Questo immenso ammontare di risorse dovrebbe essere messo a confronto con i ricavi che potrebbero derivare dalle attività di trasporto legale dei migranti e dal pagamento delle tasse provenienti dal lavoro regolare di questi ultimi. Infatti, precisa il testimone, nella valutazione dei costi delle scelte restrittive in tema di immigrazione, l’Italia dovrebbe considerare anche le mancate entrate fiscali causate dal lavoro nero al quale i migranti illegali sono necessariamente destinati. Nel valutare l’ipotesi di liberalizzazione dei flussi migratori dall’Albania – che potrebbe avere una ricaduta positiva anche sulla gestione dell’ordine pubblico – dovrebbero essere considerate le scarse probabilità di una emigrazione di massa117 ma anche il fatto che l’Albania è comunque destinata in futuro a una integrazione con l’Europa, quindi alla libera circolazione dei suoi cittadini all’interno dell’Unione. Infine, per sostenere le azioni antitraffico e gli interventi di aiuto alle vittime viene auspicata l’introduzione di una norma che destina alle Ong i capitale sequestrati alle organizzazioni criminali, come avviene negli Usa. Il rimpatrio delle vittime dall’Italia e gli effetti prodotti dall’articolo 18 del TU. “Deve essere fatto un grande lavoro di coordinamento rispetto ai programmi di sostegno alle vittime. Sono necessari più centri di accoglienza, come quelli realizzati in Italia” (A.J). “Un modo per aiutare i minori trafficati in Italia è quello di metterli in condizioni di poter riallacciare i rapporti con le famiglie d’origine”(P.S.). “C’è una ragione per la quale la ragazza se n’è andata; come si può pensare che faccia ritorno a una famiglia che l’ha venduta?” “Non esistono alternative per coloro che tornano, non c’è lavoro. Certo, il Governo dovrebbe creare opportunità di lavoro ma parlando realisticamente il nostro paese non è in grado di produrre cambiamenti al riguardo in un breve lasso di tempo” (V.L.). “Molti dei minori provengono da famiglie violente. Alcune ragazze non sono riaccolte nelle famiglie, vengono minacciate di morte per avere disonorato la famiglia” (H.S.). 117 Ricordiamo che l’intervistato ha dichiarato di considerare oggi pressoché esaurita la capacità emigratoria dell’Albania valutando il rapporto tra popolazione residente e popolazione emigrata. 148 La possibilità del rimpatrio per le minori albanesi è condizionata in gran parte dai fattori che emergono da queste dichiarazioni. La mancanza di risorse dedicate all’attivazione di percorsi di reinserimento nella comunità d’origine – che comprendano accoglienza residenziale, creazione di opportunità formative e occupazionali, mediazione con le famiglie e sensibilizzazione della comunità – rappresenta, a detta degli intervistati, un ostacolo attualmente insuperabile. Ma è soprattutto la condizione delle ragazze, la stigmatizzazione alla quale sono sottoposte, che assume risvolti drammatici. Conosciamo i rischi che le ragazze corrono, una volta fuoriuscite dalla tratta a scopo di prostituzione e accolte in Italia nel programma di protezione sociale, quando fanno rientro in patria anche per brevi periodi, ad esempio per fare richiesta del passaporto che consentirà loro di ottenere un lavoro nel nuovo paese. Oltre al rischio concreto di essere riconosciute e ri-trafficate durante il viaggio, spesso non possono fare ritorno a casa e devono nascondersi dai familiari (se questi sono al corrente dell’esperienza prostituzionale) per sfuggire alle punizioni che sarebbero loro inflitte per avere – come dice un intervistato – “disonorato” la famiglia. Viene testimoniata, come accennato, una diminuzione del numero dei minori trafficati dall’Albania, attribuita all’intensificazione delle azioni di polizia e al rafforzamento della legge italiana antitraffico. Alcune testimonianze riportano anche una tendenza delle vittime a rientrare in patria, benché modesta, che riguarda soprattutto ragazze precedentemente rapite (H.S.). L’articolo 18 del T.U. sull’immigrazione approvato in Italia nel 1998 viene giudicato (P.S.) un passo importante per la protezione delle vittime, soprattutto perché permette di assicurare loro aiuto e accoglienza in circostanze nelle quali il rimpatrio presenti rischi. La possibilità del soggiorno regolare in Italia e della collaborazione con la giustizia ha permesso alle forze dell’ordine italiane di acquisire dalle vittime informazioni utili all’azione investigativa, pervenute attraverso regolari denunce ma anche attraverso semplici dichiarazioni o informazioni indirette, nei casi in cui le vittime temano ritorsioni in caso di denuncia. Il potenziamento dell’azione investigativa dell’Italia, specifica l’intervistato, è importante perché la maggior parte degli atti criminosi connessi al traffico, e spesso i più gravi, sono stati perpetrati fuori dai confini albanesi. Per quanto riguarda i riflessi prodotti sull’opinione pubblica albanese dalla legge italiana e dalle notizie sull’esito dei viaggi delle giovani albanesi, vale la pena ribadire che quanto viene riportato dai media, mentre da una parte agisce effettivamente come deterrente al traffico scoraggiando avventure migratorie rischiose, dall’altra favorisce – soprattutto nelle comunità rurali e nelle periferie – un rafforzamento della cultura patriarcale, finendo con l’indurre le ragazze ad assumersi i rischi di una migrazione che sanno essere rischiosa pur di sfuggire alle condizioni oppressive nelle quali vivono (P.S). 6.9 Osservazioni conclusive Le interviste a testimoni rumeni e albanesi che sono state esaminate in questo Capitolo riferiscono come il traffico dei minori da questi paesi verso l’Italia interessi in maggioranza adolescenti di sesso femminile destinate alla prostituzione, nonostante siano presenti anche minori di sesso maschile. Il traffico che ha per oggetto queste fasce della popolazione non di rado si intreccia con la tratta delle donne adulte destinate alla prostituzione (minori trafficate che raggiungono la maggiore età nelle mani dei trafficanti, donne divorziate che lasciano il paese affidando a terzi i loro bambini che poi vengono trascurati o abbandonati trasformandosi a loro volta in soggetti a rischio di essere trafficati). Le condizioni sociali ed economiche che determinano la tratta di minori appaiono piuttosto simili nei due paesi esaminati. La povertà, la mancanza di opportunità di lavoro e di una vita sociale e familiare accettabile, la sfiducia nel futuro del proprio paese, insieme al disgregarsi del sistema dei valori in seno alla famiglia e nella comunità, vengono riconosciuti infatti come cause e concause del fenomeno in entrambi i paesi. 149 Tra i fattori di vulnerabilità individuale al traffico i testimoni sottolineano in particolare una scolarità bassa o del tutto assente, l’assenza di qualsiasi rapporto con servizi dedicati ai minori, non solo la scuola ma anche gli spazi di ascolto e aggregazione o semplicemente gli spazi ludici (giudicati peraltro rari o assenti). L’esistenza di gravi deprivazioni affettive all’interno della famiglia e l’uso della violenza ai danni del/della minore, rappresentano un altro tratto comune nelle interviste, così come la mancanza di autostima e la presenza di discriminazioni ai danni delle potenziali vittime. La mancanza di opportunità per le donne e la cultura oppressiva della loro libertà, costringe le ragazze a “scegliere” tra un matrimonio a tredici, quattordici anni – per non perdere l’occasione di sposarsi – e una migrazione che sanno essere rischiosa. Quanto alle azioni di contrasto al fenomeno si riscontrano notevoli differenze tra i due paesi. La Romania ha compiuto uno sforzo legislativo importante che l’avvicina alle nazioni tradizionalmente più impegnate nella salvaguardia dei diritti umani e nella lotta al crimine organizzato. Sono presenti tuttora forti difficoltà di carattere sociale ed economico, contraddizioni nel sistema giuridico, nonché limiti dovuti alla mancanza di risorse che riducono l’efficacia delle norme di contrasto varate di recente. Tuttavia dalle interviste emerge una chiara volontà degli organismi interessati al fenomeno di dotarsi di strumenti adeguati per fare fronte al traffico di minori. La situazione albanese mostra invece una situazione fortemente disorganica nella quale a fronte delle azioni repressive messe in atto dalle forze dell’ordine – parte delle quali realizzate in collaborazione con l’Italia – che hanno cominciato a produrre risultati, molto poco è stato fatto per la sensibilizzazione della comunità sociale al fenomeno, per la prevenzione e per l’assistenza alle vittime. Agli sporadici tentativi messi in atto a questo scopo si contrappongono nuovi e gravi fattori di rischio come l’abbandono scolastico da parte delle bambine e l’intensificarsi dei comportamenti più oppressivi verso la donna già presenti in una cultura tradizionale di stampo patriarcale, che sono tali da spingere le ragazze ad abbandonare le famiglie esponendole al rischio di incappare nelle reti criminali. Dalle testimonianze emerge come Romania e Albania auspichino un rafforzamento della cooperazione internazionale per quanto riguarda gli aspetti giuridici e investigativi connessi alla lotta al traffico, ma anche per tutto ciò che attiene alla tutela delle vittime e alla realizzazione di programmi che favoriscano il loro reinserimento sociale, all’estero ma anche nei luoghi d’origine. Dalle testimonianze traspare non soltanto l’interesse per quanto viene realizzato dalle organizzazioni internazionali e dai paesi Occidentali (dall’Italia in particolare) a favore delle vittime, ma soprattutto una richiesta di sostegno nella creazione di programmi di reinserimento delle vittime entro i propri confini nazionali. Dalle voci degli intervistati si ha infatti l’impressione che la non disponibilità della persona trafficata (adulta o minore) a rientrare in patria sia vista come uno scacco per il proprio paese. Nonostante ciò, tutti i testimoni fanno dipendere la possibilità del rimpatrio dalla presenza di una rete di supporto che possa aprire opportunità concrete alla donna e al minore: l’assenza di discriminazioni a loro carico, l’accoglienza e il sostegno psicologico, la presenza di opportunità di studio e di lavoro. Ma come sostiene un intervistato albanese, realisticamente il suo paese non è in grado di assicurare tutto ciò in tempi brevi. Così diventa fondamentale la creazione di un “ponte funzionale” tra il luogo di insediamento e di sfruttamento della persona trafficata e quello d’origine (Tola, 2002). Le reti della cooperazione decentrata e l’attivazione di servizi sociali nei paesi di provenienza – che interagiscano con i servizi già esistenti in Italia – potrebbero rendere possibile il “rientro onorevole” delle vittime del traffico e, aggiungiamo, contribuire progressivamente, con un’adeguata azione preventiva e di sensibilizzazione, a superare alcune delle condizioni che sono alla base del traffico delle donne e dei minori. 150 Bibliografia Carchedi F. (2002), Il traffico internazionale di minori. Piccoli schiavi senza frontiere. Il caso dell’Albania e della Romania – Progress Report, Fondazione internazionale L. Basso, Roma, luglio. Misha P. (2001), Ciò che noi albanesi chiediamo all’Italia, in: “Limes – Rivista italiana di geopolitica”, n.2, Gruppo editoriale l’Espresso, Roma. Osservatorio sui Balcani (2002), Analisi dei flussi migratori e delle problematiche ad essi connesse n e l p a e s e r u m e n o . T r a v e c c h i a e m i g r a z i o n e e f u g a d i c e r v e l l i, http://auth.unimondo.org/cfdocs/obpo. Renton D. (2002), Bambine in vendita – un’indagine sul traffico dei minori in Albania (a cura di Capra S.), Save the Children, Mimesis, Milano. Tola V., Considerazioni conclusive e prospettive future per i progetti articolo 18, in: Minguzzi C. (a cura di) “Il futuro possibile – tratta delle donne, inserimento sociale, lavoro”, Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento pari Opportunità, Comune di Roma – Dipartimento V, volume in corso di pubblicazione. 151 7. Il fenomeno migratorio regolare ed irregolare: flussi di transito, flussi migratori albanesi e traffico di bambini di Elisabetta Quarta 7.1 Premessa L’indagine sul campo in Albania, su un tema così delicato come quello della “tratta”, e la redazione del presente rapporto sono state possibili grazie alle reti sociali - ufficiali ed ufficiose – costituitesi nel corso delle attività di ricerca pregresse118. Il contesto di analisi era dunque già familiare e questo ha reso più agevole la ricostruzione dei percorsi della tratta. Il presente rapporto, oltre alla ricostruzione storiografica, si avvale del lavoro sul campo svolto in Albania e in Italia. Si è proceduto dapprima ad una definizione terminologica del fenomeno, attraverso la presa in esame dei risultati di attività istituzionali tenutesi in sede internazionale [www.interno.it/index.htm], per poi individuare le disposizioni di legge in vigore in Italia, utilizzate come strumenti di confronto e contrasto. Durante il lavoro si è posta molta attenzione perché non nascessero commistioni con altre tematiche (come il traffico dei migranti), come spesso è avvenuto e che sono alla base, spesso, di errate interpretazioni dei due fenomeni. Parte di un certo rilievo critico è l’analisi delle fonti attraverso le quali si è quantificato il fenomeno, un aspetto davvero controverso ed alla base di molte ambiguità. Nell’ultima parte del lavoro si procede ad una riflessione sulla dimensione qualitativa, così come delineata dalle diverse indagini e rapporti, vista nel contesto albanese e tenendo conto delle ricadute in Italia. Particolare attenzione si è posta alle diverse cause che generano il problema, all’impatto sociale, agli attori sociali coinvolti e alle reali possibilità di contrasto attraverso i progetti di reinserimento sociale delle vittime della tratta, messi in cantiere in Italia e in Albania. Dopo aver provveduto alla consueta analisi delle fonti esistenti, si è dedicata particolare attenzione ai fatti di cronaca che si sono susseguiti, in maniera sempre più frequente, negli ultimi mesi che hanno preceduto l’indagine119. Ovviamente, capire un fenomeno significa coglierlo nella sua complessità, nelle sue diverse dimensioni. Perciò, nella direzione di una visione “totalizzante” si è reso necessario indagare il fenomeno anche sull’altra sponda dell’Adriatico, al fine di cogliere le due dimensioni del problema, quella albanese e quella italiana. Tuttavia, quest’ovvio tale sempre non è. Cogliere i diversi “punti di vista” dovrebbe essere il dovere di ogni ricercatore, ma così, purtroppo, non è. Un 118 Nell’ambito dell’attività di ricerca dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione di Lecce (OPI – www.opilecce.org), coordinato dal prof. Luigi Perrone – in più occasioni l’Albania è stata oggetto di indagini conoscitive, condotte in collaborazione con l’Università di Tirana ed altri Centri di Ricerca albanesi. Non poteva che essere così visto che l’Albania è un crocevia dei flussi migratori in entrata dal sud est in Europa. In una delle ultime indagini, all’indomani della guerra del Kosova, si sono ricostruiti gli itinerari migratori dei profughi kosovari (dal Kosova sino in Puglia), con una particolare attenzione alle risorse attivate per l’accoglienza ed al soggiorno nei Centri di Accoglienza salentini. L’occasione per tornare sul campo nel Paese delle Aquile, nella primavera 2002, si è presentata nel corso del tirocinio e del relativo elaborato finale, previsti dalla frequenza al II ciclo del Master in Scienze Sociali con specializzazione in Cooperazione allo Sviluppo, tenutosi presso l’Università degli Studi di Lecce. Nell’ambito di questa attività il tema preso in considerazione è stato proprio quello della tratta, quindi una buona parte del network di riferimento era stato già ricostruito in questa occasione. L’ulteriore approfondimento riguardante la tratta dei minori si è avvalso anche delle precedenti esperienze e della documentazione accumulata. 119 Una rassegna stampa quotidiana delle principali testate giornalistiche e locali, nonché un’attenzione alle notizie riportate in TV sono state utili strumenti per la comprensione delle modalità di presentazione delle notizie e per la percezione del fenomeno. 152 “accorgimento” che, ancora una volta, si è determinato centrale anche per la comprensione del nostro fenomeno oggetto d’indagine120. La dimensione percettiva del fenomeno, in Italia, era già abbondantemente nota e dibattuta, la questione che si presentava era dunque di analizzarlo in situazione, a partire dal contesto dal quale ha origine e nell’ambito sociale di riferimento. Dopo l’analisi della bibliografia esistente, si è proceduto alla cosiddetta “ricerca di sfondo”. Si sono individuati i soggetti referenti rispetto al tema della tratta – con accentuato interesse a quella dei minori, particolarmente con-fusa nel panorama della letteratura -, e si sono formulate delle ipotesi di lavoro. Si è così proceduto - con una scaletta semi-strutturata – all’individuazione del campione per delle interviste in profondità, fase in cui ci si è avvalsi del lavoro già svolto e della nostra rete di conoscenze albanesi121. In questa fase si è assunto l’obiettivo di mettere a fuoco gli “indicatori empirici accertabili” che consentissero di descrivere il delicato fenomeno, ovviamente liberandolo dalle connotazioni etnocentrate e moralisteggianti. Una delle connotazioni che serpeggiava lungo la letteratura esistente era, infatti, una buona carica di moralismo che faceva perdere di vista il problema nella sua complessità. Una dimensione dell’etnocentrismo dello studioso e degli operatori che è andava a costituire una specie di peccato d’origine che ha inficiato o deviato, in buona parte, i risultati di alcune indagini. Risaltava – sia nell’analisi della letteratura che nel corso dell’indagine - una grande confusione sotto il cielo, che andava a ricadere, in primis, sulla dimensione quantitativa della tratta dei minori. Era del tutto evidente che la ricostruzione dell’universo, di fronte a tale situazione, assumeva una certa importanza; avere un quadro quantitativo chiaro sarebbe stata una buona base di partenza per l’analisi del fenomeno. Ma sia le fonti bibliografiche – i vari report pubblicati sul web – sia le informazioni fornite dagli operatori del settore, non hanno consentito il raggiungimento del risultato. Tranne rare eccezioni, infatti, gli interlocutori privilegiati non hanno mostrato di avere un quadro chiaro della situazione. Impressionante, ma era proprio così. Spesso parlando di tratta di minori ci si è ritrovati a parlarne congiuntamente al tema dalla tratta in generale. Spesso era proprio questo ha impedito di tracciare delle linee di confine nette tra i due fenomeni, una condizione che falsava cifre e morfologia. Inoltre, rispetto alla stima del fenomeno, risaltava, con grande evidenza, come le fonti fossero autoreferenziali. C’era (e c’è) un rincorrersi di citazioni, l’uno cita l’altro, ma non si riesce a comprendere quale sia la fonte “originaria”, chi ha detto cosa. Gli unici sul territorio ad avere il polso della situazione e a fornire una chiave di lettura più critica e realistica del fenomeno sono parsi gli operatori delle Ong locali. Ma anche qua risultava difficile mettere in sequenza i diversi pareri, in conseguenza del pullulare di un numero impressionante di Organizzazioni Internazionali che si occupano di minori, di diritti dell’infanzia , di sfruttamento, di tratta e di quant’altro si muova intorno al tema in Albania. Di difficile comprensione e interpretazione sono state le reticenze di alcuni operatori sociali (anche referenti di ong di calibro internazionale) a fornire indicazioni utili. Nella scaletta d’intervista si prevedeva il rilevamento del punto di vista degli operatori del settore, ma questa domanda veniva 120 Si notino i risultati di una riflessione all’interno di una ricerca di L. Perrone [1996], condotta in Albania sui temi della migrazione. La metodologia adottata dall’autore ha comportato “un ribaltamento dei risultati, un cambio di prospettiva”, rispetto a precedenti indagini. Sono le osservazioni che Perrone ha fatto in merito al “fenomeno degli scafisti”, anch’esso molto discusso in Italia ed assunto a “fattore di crisi” nel rapporto tra le due sponde. Mentre i “nuovi Caronte” in Italia erano fatti bersaglio di ogni tipo di connotazione, in Albania venivano considerati una specie di “eroi nazionali” [L., 1996]. 121 Nel corso del rapporto saranno riportati in maniera letterale – per conservarne ogni sfumatura - alcuni passi delle interviste fatte in Albania e ciascun intervistato sarà citato con le iniziali di nome e cognome. 153 puntualmente sorvolata da parte di coloro i quali, dicevano, “attualmente non ci occupiamo del problema”. Si era di fronte ad esponenti di organizzazioni che avevano prodotto rapporti e diffuso dati e stime, ma si esimevano dall’esprimersi, perché non si occupavano più del tema. Ma si era di fronte a gente che aveva prodotto stime e creato opinione! 7.5 Definizione di “tratta” e disposizioni di legge. Un invito per una puntualizzazione terminologica ci viene dall’introduzione che viene fatta al “problema del traffico di minori a scopo di sfruttamento sessuale”, curata dal Comitato Parlamentare Schengen-Europol del luglio 2000 [www.interno.it/index.htm]. Secondo quanto definito dal documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulla tratta degli esseri umani di questo Comitato, il fenomeno viene ad essere ri-definito terminologicamente; da quel momento sarà meglio nota come “tratta”, compresa all’interno della più ampia categoria del “traffico degli esseri umani”. Per “traffico degli esseri umani” si intende genericamente l’insieme di attività criminose volte al trasferimento di persone da uno Stato all’altro, in violazione delle normative internazionali vigenti. Tra l’altro, è all’interno di tale categoria che si attua la distinzione tra il “traffico finalizzato allo sfruttamento” (trafficking of human beings ) e il “traffico di migranti” (smuggling of migrants) . Il 3 dicembre 1998 il Consiglio dell’Unione Europea specifica ulteriormente la definizione di “traffico”, definendolo in questi termini: “il fatto di sottoporre una persona al potere reale e illegale di altre persone ricorrendo a violenze o a minacce o abusando di un rapporto di autorità o mediante manovre in particolare per dedicarsi allo sfruttamento della prostituzione altrui o forme di sfruttamento e di violenza sessuale nei confronti di minorenni o al commercio connesso con l'abbandono dei figli. In tali forme di sfruttamento sono comprese le attività di produzione, vendita o distribuzione di materiale pedopornografico” [idem]. In aiuto alla comprensione ed alla definizione del cosa intendere per “traffico” e “criminalità organizzata transnazionale” intervengono i protocolli addizionali alla Convenzione delle Nazioni Unite, i quali così si esprimono: “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'ospitare o accogliere persone tramite l'impiego o la minaccia dell'impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di posizioni di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha l'autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o prelievo di organi”122. Infine, nell’allegato alla convenzione istitutiva dell’Ufficio europeo di polizia EUROPOL (Bruxelles, 26 luglio 1995), si puntualizza che la tratta degli esseri umani non è necessariamente connessa al trasporto della vittima oltre una frontiera internazionale, proprio perché il reato viene considerato come una grave forma di criminalità internazionale e richiede l’intervento congiunto di più Stati [www.cestim.it]. In Italia la normativa di riferimento, in materia di immigrazione, è il T.U. 286/98 (l.40/098) aggiornato ai sensi della Legge 189/2002 123, che è perfettamente in sintonia con le disposizioni internazionali. L’art. 12 (“Disposizioni contro le immigrazioni clandestine”) prevede, infatti, tanto 122 123 Protocollo sul traffico dei migranti, art. 3, lett. a. [http://testo.camera.it/_bicamerali/shengen /home.htm]. Meglio nota la prima come legge Turco-Napolitano e la seconda come Bossi-Fini. 154 il reato traffico di migranti (comma 1) quanto il traffico a scopo di sfruttamento sessuale (comma 3-ter). Nel primo caso la pena prevede la reclusione fino a tre anni e una multa fino a 15.000 _ per ogni persona trafficata; nel secondo la reclusione da un minimo di 5 a un massimo di 15 anni e una multa pari a 25.000 _, per ogni persona trafficata [www.interno.index.it]. Nel settembre ’02 il Parlamento italiano, all’unanimità, ha approvato l’applicazione, nei confronti di chi risulti coinvolto nel traffico degli esseri umani, dell’art. 41-bis124 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (in materia di trattamento penitenziario) a sua volta previsto per i reati disciplinati dall’art. 416-bis125 del Codice Penale. Un chiaro ulteriore irrigidimento penale, dunque. Con l’introduzione di questa normativa il traffico degli esseri umani viene equiparato, in tutto e per tutto, ai reati di stampo mafioso. 7.6 Aspetti quantitativi del fenomeno Al fine di ricostruire quantitativamente il fenomeno si è agito a due livelli: • • da un lato si sono prese in considerazione le fonti ufficiali disponibili, ricorrendo anche ai siti web, per reperire informazioni il più aggiornate possibile; dall’altro sono state condotte interviste a interlocutori privilegiati in Albania, fra coloro che a vario titolo si sono occupati della tematica (operatori sociali, rappresentanti di ong, giornalisti, figure istituzionali). Sin dal primo approccio, ci si è resi subito conto di non trovarci di fronte a “dati certi”, ma semplicemente a stime, e spesso diverse tra loro. In molti casi, inoltre, è stato difficoltoso, se non impossibile, capire quali fossero le metodologie utilizzate. Perciò la ricostruzione dell’universo si presentava più complessa del previsto. Secondo le fonti di riferimento, il fenomeno ha subito - nel tempo – notevoli variazioni. Dal rapporto CENSIS del 1998 su “Sfruttamento sessuale e minori” emerge che, nell’anno di riferimento, erano presenti in Italia 25.000 prostitute, di cui 2.200 minorenni; di queste ultime 2.000 erano minorenni immigrate, di cui 900 albanesi e 300 nigeriane. Come si può facilmente notare, secondo queste stime, l’incidenza della prostituzione minorile sulla prostituzione sarebbe dell’ 8,8% e, nell’ambito della prostituzione minorile, ben il 91% sarebbe costituito da minori immigrate. Sempre secondo questa fonte, le minori albanesi da sole rappresenterebbero il 45% della prostituzione minorile immigrata in Italia. [www.censis.it/censis/ricerche 1998/160798/16-0798.html.] 124 L’art. 41-bis al comma 2-ter , così recita: ”Le sospensioni delle regole trattamentali e degli istituti previsti nella presente legge possono avere ad oggetto: a. l'adozione di misure per l'elevazione delle precauzioni di sicurezza interna ed esterna; b. la riduzione del numero e della frequenza dei colloqui e delle comunicazioni telefoniche, prevedendo per essi speciali misure nonché la registrazione delle conversazioni, previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria competente e nel rispetto delle condizioni di legge; c. il divieto o la limitazione di ricezione dall'esterno di somme di denaro in peculio ovvero di pacchi; d. l'esclusione dalle rappresentanze dei detenuti; e. la limitazione di ogni altra facoltà derivante dall'applicazione delle regole di trattamento previste dalla presente legge, ove ne sia ravvisato il contrasto con le esigenze di cui al comma 1” [http://www.poliziapenitenziaria.it/normative/normative.asp]. 125 Previsto per le associazioni di tipo mafioso, ma nel quale era già prevista anche la possibile estensione ad attività affini a quelle mafiose che perseguissero fini simili con i medesimi strumenti. 155 Secondo le stime presentate da Save The Children126 nel rapporto Child trafficking in Albania, le albanesi costrette a prostituirsi in paesi stranieri sarebbero 30.000, di cui una buona percentuale minorenni. In particolare è indicata la presenza di circa 15mila prostitute albanesi in Italia e almeno 6mila in Grecia. Sempre secondo questo rapporto “la percentuale di minori coinvolte oscillerebbe tra il 60% e l’80%” [www.savethechildren.it/index_e.html]. Valori percentuali che potrebbero aumentare “in relazione al grado di povertà e alla carenza di istruzione dei villaggi considerati. In alcune aree rurali, circa il 90% delle ragazze al di sotto dei 14 anni non frequenta più la scuola per paura di cadere nelle mani dei trafficanti durante il tragitto” [idem]. Queste stime non sono state molto apprezzate dal Ministero dell’Interno Albanese il quale le ha contestate - tramite il maggiore Tare Bequiri, responsabile dell'”Ufficio per la lotta al traffico di esseri umani”-, ritenendole “assolutamente gonfiate, lontanissime dalla realtà” [www.arpnet.it/migranti/prostit.htm]. Comunque, al di là delle contestazioni, resta interessante il piano di lavoro dell’indagine condotta in Albania da Save the Children. L’obiettivo originario consisteva nel: • • • raccogliere e sistematizzare le informazioni circa l’estensione del traffico sui minori albanesi, specificandone, numero, età e genere; rilevare le condizioni socio-economiche delle vittime; fornire dati affidabili relativamente alle località di reclutamento, mezzi di trasporto e destinazione finale127 [Renton D., 2001, pag. 13; [www.savethechildren.it/ index_e.html]. L’indagine, nei distretti di Berat, Fier, Pukë, Lushnja, Lezhë e Shkodra 128, considerate “zone calde” dell’Albania, e come tali prese in considerazione dall’’indagine, ha coinvolto, in qualità di testimoni privilegiati, “preti, missionari, monache, insegnanti, medici, polizia, trafficanti, scafisti, ong locali e sindaci” [idem]. In itinere, però, sono sorti ostacoli operativi. Uno è stato quello del numero di questionari effettivamente compilati e sui quali si è poi basata la ricerca: su 400 questionari distribuiti, solo 100 sono ritornati effettivamente compilati129. È stato altresì necessario accontentarsi di informazioni indirette o anonime in quanto gli intervistati hanno avuto paura di esporsi direttamente. Ciò detto, rimane da apprezzare la correttezza metodologica del rapporto che avverte dei margini d’errore e di possibili contraddizioni delle informazioni riportate [idem]. L’altra fonte presa in considerazione - ai fini della definizione quantitativa del fenomeno - è stata l’Eurispes130. L’indagine condotta da questo Istituto, in realtà, prende in considerazione il 126 Save the Children è un organismo internazionale indipendente per la tutela e la promozione dei diritti dei bambini. Nasce a Londra nel 1919 e attualmente opera in 120 Paesi del mondo attraverso una rete di 32 organizzazioni volontarie. Save the Children è presente anche in Italia dalla fine del 1998 e, dalla primavera del 2000, ha una sede operativa a Roma. [www.savethechildren.it] 127 Nostra traduzione. Il rapporto Save the Children sulla tratta è stato redatto solo in lingua inglese, tanto nella versione web quanto in quella cartacea. 128 Tutte le città coinvolte nell’indagine si trovano nella parte ovest dell’Albania, alcune sono lungo la costa adriatica, altre sono più interne. Berat, Fier e Lushnja si trovano al centro sud del Paese, mentre Pukë, Lezhë e Shkodra sono al centro nord. 129 Nell’ambito dell’indagine sono stati organizzati otto focus-group, uno in ciascuno dei distretti presi in considerazione - escluso il distretto di Pukë - più altri due rispettivamente a Tirana e a Durazzo e infine un gruppo di studenti dell’Università di Tirana. Ciascun gruppo era costituito da circa 13 persone ad ognuna delle quali sono stati affidati da 3 a 5 questionari in maniera tale che li somministrasse nel distretto di appartenenza. Come già detto, dei 400 questionari distribuiti, solo 100 sono tornati indietro [www.savethechildren.it/index_e.html]. 130 “L'EURISPES è un istituto di studi senza fini di lucro che opera dal 1982 nel campo della ricerca politica, economica e sociale. L'istituto realizza studi di ricerche per conto di Imprese, Enti pubblici e privati, di Istituzioni nazionali ed internazionali. Nello stesso tempo, promuove e finanzia autonomamente indagini su temi di grande interesse sociale, attività culturali, borse di studi, iniziative editoriali, proponendosi come centro autonomo di informazione ed orientamento dell'opinione Pubblica e delle grandi aree decisionali che operano nel nostro Paese” [http://www.eurispes.com/presentaz.htm]. 156 fenomeno della prostituzione in generale e al suo interno si tratta anche della prostituzione infantile. Le stime fornite dall’Istituto parlano di 50/70 mila prostitute in Italia, di cui 20mila immigrate (ossia una percentuale che oscilla tra il 29% e il 40%). Ecco come presenta il fenomeno l’Eurispes: “Le straniere provengono principalmente dall’Europa dell’Est (48%), dall’Africa (22%) e dal Sud America (10%). Per quanto concerne l’età delle prostitute, a seconda della provenienza, le africane hanno mediamente 23 anni, le slave 25, le sudamericane 30 e le italiane 33” [http://www.eurispes.com/Eurispes/R01/default.htm]. Lo stesso rapporto fornisce, nel modo già detto, stime sulla prostituzione infantile131, però non fa riferimento alcuno alla tratta dei minori a scopo di sfruttamento sessuale. Secondo le stime dell’Unicef, in Albania il 60% delle vittime della tratta sarebbe costituita da minori. Sarebbero approssimativamente 3.000 i minori albanesi trafficati in Grecia e in Italia e costretti all’accattonaggio. L’80% di quelli trafficati in Grecia subirebbe abusi sessuali e sarebbe costretto alla prostituzione. Rispetto alle stime relative alla tratta delle donne albanesi, in altri Paesi europei, l’Unicef cita le stime fornite da Save the Children, ossia quelle 30.000, di cui una buona percentuale sarebbe costituita da minorenni [Unicef, 2001; http://www.unicef.org]. Altra fonte è il documento conclusivo dell’indagine “sulla tratta degli esseri umani” condotta dal Comitato Parlamentare Schegen-Europol. Secondo questo documento, le donne vittime di tratta sarebbero 500.000 in tutta l'Europa occidentale [www.interno.it/index.htm]. Per quanto riguarda la dimensione quantitativa stimata in Italia, le stime sono state prodotte sulla base delle testimonianze e dell’esperienza di molti operatori di strada. Da esse risulterebbero 50.000 donne trafficate, ossia il 10% del totale. Un terzo di queste (poco più di 16.000) sarebbero minorenni [http://testo.camera.it/bicamerali/schengen/indagini/docconclusivo.htm; Campani G., 2000, p. 42]. Dalle stime avanzate nel sopraindicato documento - presentate in maniera aggregata - non è deducibile l’incidenza delle minori albanesi né il coinvolgimento dell’Albania come territorio di transito e/o di organizzazione della tratta. Infine, secondo un operatore di C.R.C.A. (Children’s Human Rights Centre of Tirana)132, intervistato nel corso dell’indagine a Tirana, i minori albanesi, vittime di tratta in tutta Europa, sarebbero 4.000. Egli stesso puntualizza che questa è solo una delle stime esistenti e che, data l’impossibilità di accertarne l’attendibilità – di questa come delle altre -, è “assolutamente approssimativa e non esaustiva”. 7.7 La situazione in Albania Dopo aver preso visione del fenomeno, attraverso le fonti descritte, l’indagine è stata svolta “sul campo”. E’ stata questa la fase della ricerca che ha fornito elementi di maggiore interesse. Sono state le interviste e la raccolta dati a livello informale condotte sul territorio (Tirana, Durazzo, Valona) a permettere una visione più completa ed approfondita della tematica. E’ stata questa la fase che ha permesso chiavi di lettura fortemente divergenti rispetto a quelle dominanti. 131 “I paesi maggiormente coinvolti sono il Brasile dove si stimano in 500mila i minori prostituiti, il Perù (500mila), l’India (300-500mila), la Cina (200-500mila), la Tailandia (200-300mila)”. [[http://www.eurispes.com/Eurispes/R01/default.htm]. 132 CRCA è una Ong, con sede a Tirana, che si occupa della tutela dei diritti dell’infanzia e, in questo ambito, della tratta dei minori. 157 Sono stati intervistati soggetti istituzionali, operatori sociali, operatori di ong locali e internazionali133 e raccolte informazioni attraverso l’antica e collaudata rete amicale e informale. Alcuni colloqui hanno avuto origine e si sono dipanati in contesti ufficiosi, qualche interlocutore ha chiesto cortesemente di mantenere l’anonimato, altri non hanno voluto parlare del problema pur occupandosene. Parlare del problema della tratta in Albania, senza delineare un profilo del contesto socioeconomico del territorio è cosa ardua. Ne tracciamo, dunque, brevemente ed approssimativamente i contorni per favorire una maggiore comprensione. Dalla caduta del regime enverista gli albanesi sono entrati nel vortice di quella che loro stessi chiamano “transizione”134. Si sono ritrovati a confronto con un mondo del quale, fino quel momento, non avevano avuto la possibilità di far parte e dal quale erano profondamente attratti ma senza saperne nulla e “senza un soldo in tasca” [UAW, 1997]. Gettati nell’agone internazionale, dove il denaro è tutto, qualsiasi metodo per fare soldi velocemente e facilmente non poteva essere disprezzato. D'altronde non esistevano soluzioni alternative. Al disastro economico del Paese si aggiungeva la totale anomia ed una caduta verticale di valori; non c’erano nemmeno i valori religiosi che potessero fungere in qualche modo da baluardo ad una caduta senza freni135. In un contesto siffatto, è indubbio che la disoccupazione e la povertà siano tra le maggiori cause che hanno portato alla prostituzione. Per chi abbia voglia di far soldi, di farne tanti e subito, la prostituzione e la tratta sono settori ad alto fatturato. Così come lo è stato il commercio di armi, droga o qualsiasi altra merce che potesse essere trasformata in denaro. Per parafrasare K. Marx, diremmo, ognuno valorizza ciò che ha. Si è tutti nella stessa barca, trafficanti e trafficati: sono tutti nella sfera dell’indigenza, al limite della sopravvivenza e con il canto della sirena, la TV, che invita all’Eden occidentale [Perrone L., 1996]. Vien da sé che molte ragazze utilizzano (vendono) l’unica cosa che hanno: se stesse. L’alternativa è la fame, dimenticate in un buco del mondo. Quanto espresso da Serge Latouche in riferimento all’Africa si cuce drammaticamente addosso anche all’Albania e a tutti i paesi c.d. poveri che possono solo guardare il lusso occidentale: “tutti i traffici, dai più ridicoli […] ai più importanti, dai più innocenti […] ai più criminali […] hanno come punto di partenza, come obiettivo, come movente e punto di arrivo il denaro” [Latouche S., 1997, pag. 170]. Non considerare questa situazione è fuorviante e porta a posizioni moralistiche, dimentiche, peraltro, che tutto ciò è stato regalato al popolo albanese dal mitico occidente. Chiunque abbia messo piede almeno una volta in Albania non è difficile che comprenda come l’Occidente sia stata e sia una meta agognata e un modello da seguire. L’Italia, tra i Paesi occidentali, è stato certamente quello che più ha acceso aspettative, attraverso i suoi programmi televisivi, regolarmente captati in gran parte del Paese delle Aquile [Perrone L., 1996]. Ogni qualvolta si sbarca a Durazzo i primi ad accorrere sono i rom; così dicasi alla partenza, sono gli ultimi che volente o nolente saluterai: uomini, donne e bambini che, in pochi minuti, devono mettere in atto tutte le proprie strategie per racimolare qualche spicciolo. Questa scena, che sembra d’altri tempi per chi sbarca per la prima volta in Albania, contrasta ferocemente con le immagini 133 Si ringraziano cortesemente tutti coloro hanno dato il loro apporto per la stesura di questo lavoro. Un ringraziamento particolare va alle operatrici di una ong di Tirana - UAW (Useful to Albanian Women) , che hanno messo a disposizione dell’indagine il rapporto UAW sulla tratta dattiloscritto e non pubblicato. 134 È un po’ difficile stabilire l’arco di tempo che comprende la c.d. transizione. Certamente essa ha inizio nel 90-91 con la caduta del regime comunista, ma non si può dire quando si sia conclusa, c’è infatti chi sostiene che sia ancora in atto [Perrone L., 1996]. 135 Giova ricordare che nel 1967 il regime impone l’ateismo di stato, quindi le ultime generazioni albanesi crescono senza riferimenti religiosi [Perrone L., idem; Resta P., 1996]. 158 che si presentano allo sguardo ancora prima di uscire dall’area portuale, con la polizia che maltratta malamente costoro che – ormai adusi – si sottraggono e schermiscono come possono. Scenari inediti si impongono all’attenzione del visitatore: già dal ponte della nave si vedono nuovi e colorati palazzi che hanno preso il posto di quelli scalcinati, visibili appena qualche anno addietro. La Durazzo-Tirana, che appena tre anni fa era sterrata come un percorso da cross, oggi è una superstrada, costellata da nuovissimi distributori di carburante e da una quantità enorme di autolavaggi; arterie collaterali sono in costruzione e dappertutto si costruisce qualcosa. L’Albania è tutto un cantiere all’aperto e la struttura viaria uno dei più grandi problemi, per un Paese che vuole crescere velocemente. Il contrasto tra vecchio e nuovo è impressionante e onnipresente, impossibile non notare questo scenario diacronico. Sulla superstrada si vede transitare di tutto, in un contrasto impressionante tra tradizione e modernità: autocarri, auto vecchie e nuove, carri caratteristici trainati da asini e pedoni che ogni tanto attraversano la carreggiata. Quanto quelle strade siano pericolose e quanto poco si sia data attenzione alla sicurezza lo testimonia l’impressionate numero di cippi disseminati lungo il tragitto: la strada è anche un cimitero di giovani giovanissimi e malcapitati. Ogni tanto si intravedono anche delle costruzioni lussuose, delle oasi verdi. Dei grandi fabbricati, tutti nuovi di zecca, con prato all’inglese nel giardinetto antistante l’ingresso ed uno steccato come recinzione: sono le sedi delle multinazionali. Altro particolare che acuisce il contrasto tra passato e presente. Non può non colpire un’altra caratteristica tutta albanese: le tante abitazioni in costruzione lungo tutto il tragitto, con delle bandiere sui tetti. Non sono solo bandiere nazionali, ma dei Paesi in cui il proprietario è emigrato che permettono di capire la diaspora di questo popolo. Accanto un pupazzo in stoffa o in plastica, benaugurante, indica che il rustico è stato finito. Un tempo il tragitto era un gran bel vialone contornato di altissimi pioppi centenari, ma la rabbia popolare del ’90 ne ha fatto (in)giustizia, ed oggi, d’estate, non c’è un filo d’ombra. Poi si giunge nella capitale, Tirana, ma solo dopo aver incontrato tantissime auto in panne (indicatore del parco macchine decrepito) e tanti cimiteri di auto, disseminati qua e là, lungo la strada. Le vie di comunicazione, subito prima dell’entrata in città, lungo la periferia, sono disseminate di buche enormi che formano dei laghetti; e quando non ci sono le pozzanghere il passaggio delle auto solleva un polverone insopportabile, specie se si è costretti a camminare a piedi. Abbandonate le zone più disastrate, per le qualisi cerca di provvedere, si nota subito che Tirana vuole diventare velocemente una città europea a tutti gli effetti. Ne va assumendo tutte le caratteristiche, traffico e smog compresi. Enormi palazzi si ergono ovunque, in compenso è un sollievo notare la scomparsa dei kioska136 che solo qualche anno fa deturpavano ogni angolo della città. I parchi e i giardini pubblici sono tornati ad essere rigogliosi, con le aiuole curate e le panchine nuove; anche la riva del fiume Lana, aggredita dall’abusivismo, va verso il risanamento. Molte delle costruzioni abusive sono state già abbattute e le altre vanno inesorabilmente incontro a loro destino, su iniziativa di un sindaco coraggioso137 e di un governo che ha preso questo impegno con i suoi elettori. Il mercato della frutta, nel cuore della capitale, è una parata di colori; la frutta nelle casse è ben ordinata, ogni frutto è millimetricamente allineato agli altri e, di tanto in tanto, il fruttivendolo la riordina e spruzza dell’acqua perché la merce non perda freschezza. C’è proprio di tutto, anche mango, ananas, ciliegie, nespole, meloni e angurie, sino a qualche anno fa del tutto sconosciuti. E i prezzi non sono concorrenti a quelli occidentali, un disastro per la popolazione. A guardarli il pensiero corre ai salari ed una domanda è d’obbligo: come vivono le fasce deboli della popolazione? 136 137 Costruzioni abusive di piccole e medie dimensioni sorte lungo le strade della città adibite a bar, pizzerie e simili. Edi Rama, esponente dello schieramento governativo. 159 I viali del centro pullulano di negozi di ogni tipo e nascono quelli specialistici: punti vendita di cellulari, negozi di abbigliamento, negozi di elettrodomestici, profumerie, fiorai, bar, pub, pizzerie, ristoranti, fast-food ecc. Accanto a negozi che vendono merci di prima necessità si affollano quelli che vendono profumi e balocchi, merci symbol, immagine. Anche in tal caso un grazie alle TV occidentali è d’obbligo. Così accanto ai negozi generici compaiono quelli delle grandi firme. La moda è esclusivamente occidentale e le diversità, anche qui, si affermano attraverso l’avere. L’occidentalizzazione del mondo avanza senza limiti. I telefoni cellulari, in questo panorama, hanno un grande ruolo simbolico e tutti concorrono a “chi ce l’ha più piccolo”. E regolarmente li si trova esposti - multifunzionali e con display dell’ultima generazione - nei mille negozi che affollano centro e periferia delle città. Tutto è in mutamento e le tracce del mimetismo che ricalca l’occidente, e l’Italia in particolare, si trovano ovunque, in tutti i settori sociali. Molti programmi televisivi sono letteralmente una brutta copia di quelli italiani. La stessa cosa dicasi per gli spot pubblicitari e per i Tg, in cui si scimmiottano financo gli atteggiamenti delle nostre più famose presentatrici (Lilly Gruber è la più emulata). I supermercati sono affiliati di note catene italiane e vi si trovano tutti i prodotti italiani, ma non un solo prodotto locale o di quelli che è possibile trovare nei negozietti sotto casa. Certo i prezzi non sono proprio per i locali, essendo superiori anche del 100% a quelli italiani. D'altronde, la quasi totalità delle merci sono importate e quelle là prodotte sono ancora ben poche. Se per l’osservatore tutto sembra in veloce mutamento, non lo è per l’autoctono. Chi osserva l’Albania non può non cogliere il fermento, la voglia di entrare in Europa quanto prima, i ritmi di cambiamento stressanti e quasi disumani; chi invece vive o è costretto a vivere138 l’Albania, paradossalmente, la vede lenta e farraginosa. Dice una giovane donna: “perché l’Albania cambi ci vorrà molto tempo, adesso è ancora un caos, fare una qualsiasi cosa diventa un’impresa. Tutto diventa difficile. Guarda le strade, una si lava, si veste bene per andare a lavoro, si pulisce le scarpe, poi si ritrova sempre in mezzo a polvere e fango” [E. M.]. Insomma è una spasmodica attesa del futuro, il presente non esiste. Camminando lungo le strade dell’Albania saltano subito agli occhi i rischi più seri di una totale assenza di vaglio critico del concetto di sviluppo. Il traffico della città e l’alto tasso di inquinamento causato dai gas di scarico non fa presagire buoni effetti sulla salute della gente, ma questo non sembra essere una grossa preoccupazione, almeno non più rilevante del fatto di non possedere un’auto di grossa cilindrata. E che dire dello smaltimento dei rifiuti? Anche nelle riserve naturali spuntano ristoranti come fossero funghi, salvo a scoprirvi, nemmeno ben nascoste, montagne di rifiuti e di plastica (sino a qualche anno fa del tutto inesistente). Quelle che erano, fino a pochi anni addietro, spiagge meravigliose oggi sono degli autodromi: Mercedes, BMW e ogni genere di fuoristrada scorrazzano tranquillamente sulla battigia, incuranti dei malcapitati bagnanti, che, a dire il vero, non manifestano grosso sconcerto per queste inopportune, fastidiose e pericolose presenze. Pattuglie della Polizia, sempre automunite e sempre sulla spiaggia, controllano che tutto fili liscio, ma non intervengono. Così si aggiungono allo scempio ambientale. Una scena che richiama alla mente i Bay Watch americani, che, belli, muscolosi, abbronzati e vincenti, sul litorale oceanico vigilano a bordo delle jeep per la salvaguardia delle persone e sono pronti ad intervenire al minimo segnale di pericolo. La conclusione è che la sabbia è diventata nera a causa dei gas di scarico. Là dove c’era un bellissimo bosco, ora impera un abusivismo edilizio che ha abbattuto pini secolari e sfigurato l’ambiente. In poco tempo sono sorti alberghi, abitazioni singole e in condominio, bar e tanto cemento che strazia l’ambiente. Ovviamente non è il caso di approfondire lo smaltimento dei liquami. 138 Perché magari vorrebbe emigrare e non può farlo. 160 Anche tralasciando la suggestione mass-mediale, i modelli vincenti, simbolo del potere, sono evidentissimi nel cuore della città. È questo, infatti, il quartier generale della presenza internazionale nel Paese. Qui ci sono le sedi della cooperazione internazionale, delle istituzioni, degli ambienti diplomatici, delle multinazionali. Sono questi i circuiti nei quali si circola con i fuoristrada, si hanno a disposizioni computer e telefoni cellulari, si mangia nei ristoranti in, gli stipendi sono occidentali e, quindi, completamente squilibrati rispetto a quelli medi del Paese. Tanto per fare un esempio, un medico di famiglia in Albania guadagna 150 _ al mese, un operatore di una ong può arrivare a guadagnarne 2.000. Ma accanto a tutto questo esiste anche un altro mondo che, parallelamente, cerca di sopravvivere e il confronto tra i due mondi è ancora più stridente. Agli angoli delle stesse strade dissestate e polverose percorse dai macchinoni, magari di fronte alle gioiellerie, ci sono le donne anziane – la cui età difficilmente è calcolabile perché le condizioni di esistenza hanno lasciato loro segni non mimetizzabili – che trascorrono un’intera giornata sedute per terra a cercare di vendere per pochi spiccioli – 50 lekë pari a 0,37 _ – una busta di verdure selvatiche. Oppure c’è chi, seduto sugli scalini di una chiesa, vende 4 o 5 rose raccolte nel giardino di casa. Molti altri anziani vagano per le strade oppure siedono davanti ai luoghi di culto e chiedono qualche spicciolo ai passanti. Un padre e una figlia, di circa dieci anni, stanno seduti per terra, lungo uno dei viali principali della città, di fronte ad un ministero: l’uomo tiene la ragazzina tra le braccia e lei sembra essere priva di sensi. Stanno lì un’intera giornata confidando nel fatto che la gente commossa dia loro qualcosa e per facilitare la generosità sono confezionati come in un film: pantaloni e scarpe di stracci, lui ed uno straccio lacero e sporco lei. Chiusi gli uffici, finisce il loro lavoro: si alzano, piegano il cartone sul quale l’uomo sedeva e vanno via. La scena è commovente. Messisi in piedi comprano qualcosa da mettere sotto i denti, mentre la piccola che ha contribuito all’incasso spinge il padre verso una cassetta di cartone, su cui un altro poveraccio ha esposto tutti i suoi averi: qualche braccialetto ed alcuni oggetti di bigiotteria. Dopo qualche moina, adesso non più nella parte di malata-moribonda, ma da ragazzina che vuole coinvolgere il padre, la spunta ed ottiene il suo braccialetto. Ci sono ragazzini e ragazzine rom che fanno manghél139 o che, organizzati in squadre, aspettano il semaforo rosso per pulire i vetri delle auto, sempre disposti a scambiare un sorriso con chi sia disposto ad incrociare il loro sguardo. E si potrebbe continuare ad elencare una miriade di microuniversi che, con strategie affini, sopravvivono o ci provano, ma tutti sono espressione di un’economia informale, o meglio, un’«economia popolare» che diventa l’unico strumento utile alla sopravvivenza. “[…] Ci sarebbe lì tutto un vivaio di piccoli imprenditori «a piedi scalzi» che vivono di espedienti all’interno del pianeta degli esclusi grazie allo sviluppo di un’attività quasi professionale” [Latouche S., idem, pag. 176] 7.5. Ragazzi di strada, nuove urbanizzazioni e prostituzione. Ci sono due mondi che vivono l’uno accanto all’altro; l’uno è la negazione dell’altro e, soprattutto, solo uno dei due è oggetto di osservazione e di desiderio da parte dell’altro. In questo panorama variegato, ci sono poi quelli che a Tirana tutti conoscono come “ragazzi di strada”. Comunemente si pensa a questi ragazzi come ragazzi in condizioni di forte precarietà, senza una famiglia, che vivono di espedienti (come i ninos de rua brasiliani, o i ragazzi che vivono nei condotte del riscaldamento della città di Bucarest). Nel nostro caso invece si tratta di bambini e adolescenti, con famiglie in precarie condizioni economiche, che lavorano tutto il giorno per le strade di Tirana [UAW, idem]. Non siamo di fronte a ragazzini senza famiglia e in conseguenza 139 “Il termine manghél è tradotto impropriamente con elemosinare, ma in romanés vuol dire andare in cerca ed indica un’attività complessa basata su delicati equilibri di domanda e offerta tra nomadi e popolazioni sedentarie, per l’utilizzazione delle risorse del territorio comune”[Sacco R., 1998, p. 100]. 161 della mancanza della rete familiare diventano di strada, ma è la loro famiglia che li costringe alla strada. Tutta l’intera famiglia sciama per le strade alla ricerca di spezzoni di reddito. Non sono mendicanti, sono dei venditori ambulanti, delle formichine infaticabili che lavorano per un numero indefinito di ore. Vendono sigarette, chewing gum, caramelle, mandorle salate, semi di girasole, ricariche telefoniche, penne, custodie per cellulari e quant’altro richiede il mercato. Ci sono due modi di lavorare: in proprio o alle dipendenze. Quando lavorano in proprio guadagnano relativamente a ciò che vendono. Acquistano la merce presso alcuni grossisti e poi la rivendono con un ricarico minimo. Secondo nostri calcoli, nella migliore delle ipotesi, guadagnano sulle 10.000 lekë al giorno (circa 7 _). Altre volte lavorano per qualcuno. In tal caso hanno un budget di base e guadagnano a percentuale sulle vendite, ma a condizione che ci sia un volume di vendita, stabilito unicamente dal datore di lavoro. Basta essere fermi in un “posto d’osservazione” (bar, ristoranti centrali) per pochi minuti per incontrarne un numero esorbitante: un chiaro indicatore dell’affollamento del settore e del relativo numero di famiglie costrette a quest’unico pseudo accesso alle risorse. La presenza così alta di tanti ragazzi addetti a questo lavoro ci fa capire che il loro volume d’affari è necessariamente misero. E’ un gioco a cui sono costretti, in mancanza d’altro. Sembrano essersi addirittura professionalizzati: infatti non sono invadenti, non cercano di impietosire, non fanno accattonaggio, offrono dignitosamente un servizio e se non si è interessati vanno via per offrirlo ad altri. Li si trova per la strade dal mattino a notte fonda (d’estate anche fino a mezzanotte o fino a che ci sono potenziali clienti in giro). Questi ragazzi sono l’unico sostegno della famiglia, per cui anche nei periodi in cui dovrebbero andare a scuola hanno qualcosa di più pressante a cui pensare. La maggiore preoccupazione per quanto riguarda questi ragazzi è la mortalità scolastica, ma, in Albania, non si parla di sfruttamento dei minori. Non ci si trova di fronte solo ad una differenza semantica, in realtà si tratta di una diversa concezione dello stesso fenomeno. Ed ecco come ciò che in Italia sarebbe sfruttamento dei minori e violazione dei diritti del fanciullo, in Albania diventa altro. Per capire questo altro, basterebbe ricordare o farsi raccontare un po’ i nostri trascorsi, le condizioni di vita di un cinquantennio fa. Chi si sarebbe permesso di parlare di sfruttamento dei figli minori (7-8 per ogni famiglia) da parte di un genitore contadino o artigiano che portasse i suoi figli in campagna o in bottega? Non era forse una forma di socializzazione, funzionale alla produzione ed alla riproduzione? Non erano le forme codificate per la sopravvivenza dell’intera famiglia? Il passato dell’Italia, per molti aspetti, è il presente dell’Albania, come di molte altre parti del mondo degli esclusi. Questi esempi di misere condizioni di vita sono molto diffusi nella popolazione albanese, specialmente in città. Queste figure marginali, in gran parte conseguenti all’urbanizzazione selvaggia della capitale, sono andate ad aggiungersi a quelle storicamente già presenti in città, i Rom. Questa recente urbanizzazione è costituita principalmente da popolazioni provenienti dal nord del Paese (Tropoja), che gli abitanti di Tirana chiamano dispregiativamente “Ceceni”. Sono quei nuovi urbanizzati che hanno concorso a portare la popolazione di Tirana, in dieci anni, da 200 mila a 800 mila abitanti, ovviamente in assenza di politiche atte a garantirne dignitose condizioni di vita140. L’analisi dei progetti di cooperazione internazionale mette in evidenza la totale assenza di politiche sociali, con un privato sociale che si trova a sostituire un pubblico ormai inesistente, dopo la caduta 140 Ricordiamo che quest’urbanizzazione è stata voluta dalla politica di Berisha al fine di crearsi un elettorato nelle zone al lui più sfavorevoli. L’esempio più evidente di questa urbanizzazione è certamente Tirana, ma anche alcune zone del sud del Paese sono state interessate dal fenomeno [Perrone L., 1996]. 162 del regime. Le fasce sociali maggiormente disagiate, cui sono diretti i progetti, sono gli anziani, spesso senza famiglia e con una miserrima pensione, che in Albania ammonta a 38 $ mensili, con un costo di medicinali e di cure mediche inaccessibili. Molti poi sono anche i progetti diretti alle giovani donne e ai ragazzi. In questo contesto, ben si capirà quale possa essere il richiamo che opera l’occidente, specialmente tra le nuove generazioni. Virtuale cerniera rea i due mondi, il reale e la speranza dell’altro mondo vicinissimo al di là del mare, sono i media italiani che“creano speranze e fanno sognare in una situazione dove il valore d’acquisto dei salari cala vertiginosamente e la disoccupazione è in costante aumento”[Perrone L., idem, p. 36]. E non dimentichiamo che quell’ammaliante e seducente Occidente mediatico è effettivamente proprio lì a portata di mano, a soli 70 km (tanto dista Valona da Otranto). “[…]Per migliaia e migliaia, forse milioni di donne e di uomini in fuga, prevalentemente giovani, mediamente acculturati, l'occidente ha significato e continua a significare la terra promessa[…]Perciò, se continua ad essere vero che la molla che spinge queste donne a intraprendere viaggi disperati é il denaro, è altrettanto vero che la posta in gioco è la vita godibile, non soltanto migliore” [www.luccioleonline.org/politici/sessocom.htm]. Elemento da non sottovalutare sono le politiche migratorie che rendono sempre più complicati i meccanismi di ingresso regolare in Italia. E anche una volta ottenuto il permesso di soggiorno questo, secondo l’ultima normativa italiana141in materia di immigrazione, è indissolubilmente legato al contratto di lavoro. L’immigrato non è un uomo, ma un lavoratore da sfruttare e cessa di avere diritti nel momento in cui dovesse cessare di essere lavoratore. Tant’è che la legge 189/’02 non rilascia un “permesso di soggiorno”, ma un “contratto di soggiorno”. Un documento a cura del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute sintetizza mirabilmente questo scenario: “Le quote d'immigrati preventivate di anno in anno non alludono forse al carattere di merce dell'immigrato extracomunitario? E non è forse vero che un riconoscimento minimo di diritti minimi è legato a questa realtà? Che, insomma, la messa al bando, l'essere clandestino e nuda vita è il destino di chi si sottrae deliberatamente o è tagliato fuori perché soprannumerario? Le prostitute sono questa nuda vita. Devono esserlo. L'assunzione di questa prospettiva rende possibile la denuncia dei limiti di un approccio mercantile al problema. Ma anche questa è un'altra storia”. [idem] Un mix che produce una miscela esplosiva: la prostituzione e la tratta, paradossalmente, diventano un’opportunità di vita. Le donne e i minori albanesi non sono vittime della sola tratta. La prostituzione infatti si configura anche come fenomeno“interno” al Paese: secondo i dati della Polizia di Tirana esiste una prostituzione di strada, ma ci sono anche molte case in cui avviene lo sfruttamento. A Tirana ne sono state individuate almeno 48. Secondo alcune testimonianze inoltre pare che la prostituzione venga praticata nella “città degli studenti”142, dove le ragazze, provenienti dai villaggi, sarebbero libere da qualsiasi forma di controllo sociale. Rispetto al fenomeno proiettato all’esterno del Paese, si può con certezza affermare che all’inizio degli anni ’90 le ragazze albanesi erano molto ricercate perché “si vendevano a poco” e perché non avevano ancora conosciuto l’HIV. La “tratta” verso l’estero ha inizio con il primo esodo del ’91 e anche le ragazze albanesi – ma non solo loro, perché l’Albania diventa terra di transito anche per le ragazze rumene, bulgare, moldave, ucraine – entrano a far parte di un circuito che fa registrare le cifre di cui si parlerà successivamente [UAW, idem]. “La prostituzione è solo la punta dell’iceberg” puntualizza Vjollca Meçaj, 141 LEGGE 30 luglio 2002, n. 189 - Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo. La normativa è nota anche come legge Bossi-Fini. 142 Che, situata a sud-est della città, ospita circa 15.000 studenti. 163 avvocatessa del Centro di avvocatura delle donne, studio legale che segue gratuitamente i casi di donne maltrattate o trafficate [www.arpnet.it]. “Nel ‘90, caduto il regime di Enver Hoxha, l’80% della popolazione aveva la scuola superiore e anche nei villaggi il livello d’impiego delle donne era alto” continua l’avvocatessa [idem]. “Certo, il regime ‘usava’ l’emancipazione femminile a fini politici, e non ha portato un vero cambio di mentalità. Così, con la sua caduta e la drammatica crisi economica che ne è seguita, la donna è ripiombata in una condizione di subordinazione totale. È stata lei la prima a perdere il lavoro (il tasso d’occupazione femminile è crollato dal 77,5% dell’89 al 59,5% del ‘99) e a smettere di studiare (solo il 28% delle ragazze in zona rurale sono iscritte alla scuola superiore), e sono riemerse tradizioni patriarcali prima sopite, con un tasso impressionante di violenza domestica” [idem] . 7.7 La tratta dei minori Rispetto alla tratta dei minori nello specifico è necessaria una prima precisazione riguardo le differenti “allocazioni” degli stessi sul mercato. Secondo gli interlocutori intervistati le ragazze sarebbero destinate al mercato della prostituzione, mentre i ragazzi avrebbero destinazioni differenti che, ad oggi, pare non confluiscano nell’ambito dello sfruttamento sessuale. I minori di sesso maschile sarebbero costretti all’accattonaggio, a fare i lavavetri o a rubare. Da più parti si è ventilata l’ipotesi che possano essere sfruttati nell’ambito del mercato della pornografia oppure che possano essere rapiti per l’espianto degli organi, ma non esiste alcun tipo di verifica empirica in tal senso. Secondo il rapporto Unicef 2001 la realtà avrebbe una sfumatura leggermente differente. Lo sfruttamento sessuale dei minori di sesso maschile sarebbe una realtà meno conosciuta perché le condizioni di emersione del fenomeno sarebbero più complesse rispetto alla prostituzione femminile. La differenza afferirebbe alle categorie culturali di socializzazione, infatti un rapporto sessuale con una donna, nel senso comune (anche del minore stesso), può essere considerato come un’iniziazione o come una dimostrazione di virilità e quindi difficilmente viene denunciato. Un rapporto sessuale con un uomo rientra per il minore in una sfera di devianza (la paura dell’omosessualità) e per questo, anche in tal caso, è improbabile che il fatto venga denunciato [Unicef, idem; http://www.unicef.org]. I gruppi ad alto rischio sono, in ogni caso, i minori provenienti da famiglie povere delle aree periferiche e rurali del Paese la cui sopravvivenza è legata alla possibilità che i figli trovino una qualsiasi fonte di reddito. “La globalizzazione culturale ed il neo-liberismo […] rappresentano un ulteriore supporto al traffico, sia per la legittimazione che forniscono a qualsiasi attività che produca ricchezza (quindi perfino l’industria del sesso […]) sia per l’influenza che possono avere sulla mentalità dei trafficati (che accettano di pagare, spesso individualmente, forti somme pur di partire). […] È proprio nella contraddizione tra economia ed informazione globali e forza lavoro «nazionale», che si apre lo spazio per il traffico. […] Una forza lavoro per la quale esistono delle frontiere in una economia che non le ha più crea le condizioni necessarie e sufficienti per il traffico clandestino globale” [Campani G., 2000, p. 45-46]. Fatta questa necessaria premessa è possibile individuare alcune tipologie di tratta dei minori: quella più comune sembra essere la prostituzione delle ragazze minori sotto costrizione della famiglia. La pressione che la famiglia esercita sulla ragazza è psicologica: il fatto che la ragazza si prostituisca fa parte di una specie di “patto” che si instaura tra lei e i suoi familiari: lo deve fare per il bene di tutti. Alla base di una considerazione di questo genere c’è ovviamente una drammatica 164 realtà, cioè l’estrema povertà economica e culturale in cui la gente, suo malgrado, è costretta a vivere. In tal senso dunque il quadro si modifica, in quanto la “scelta” della ragazza e le “pressioni” della famiglia possono essere letti come una sorta di “collaborazione” per il sostentamento della famiglia da parte di chiunque sia in grado di apportare risorse. I concetti di “volontarietà” e di “costrizione” diventano ambigui, è complicato comprendere dove cominci l’uno e dove finisca l’altro in una situazione in cui la povertà, la miseria, e la negazione di qualsiasi opportunità di vita sono così incombenti. Quando si parla di costrizione da parte della famiglia si rende comunque necessario fare opportuni distinguo, in quanto si può variare dalla pressione psicologica e dalla ricerca della complicità a forme più violente. Il vero problema è che le ragazze in Albania non sono indipendenti143. Un ragazzo riesce più facilmente a trovare una forma di semi-indipendenza, nel senso che può trovare un lavoro che gli consenta di avere un reddito minimo e di partecipare al sostentamento della famiglia. Per una ragazza questo è quasi impossibile. È più controllata dalla famiglia, specialmente nei villaggi. È la famiglia che deve scegliere il fidanzato “adatto” alla ragazza. Una cosa del genere è ovviamente impensabile per un ragazzo. Il fidanzamento della ragazza è, per la famiglia, un investimento: il fidanzato deve possibilmente essere in una condizione economica tale da garantire, attraverso la ragazza, uno spezzone di reddito alla famiglia. La ragazza, dal canto suo, non ha alternative, è obbligata ad accettare, diversamente corre il rischio di subire anche violenza fisica dai familiari. Questa è una pratica ormai molto diffusa e quasi tutti la conoscono, ma, a volte, tanto le ragazze quanto le famiglie fingono di non sapere perché anche quella, paradossalmente, si trasforma in una opportunità di vita. “[…]la famiglia albanese sta vivendo uno sconvolgimento totale, i rapporti tra coniugi sono molto problematici, ogni cinque matrimoni (in alcune regioni ogni due) c'è un divorzio, le famiglie con capofamiglia donna sono l'8%; al nord, nei paesi di montagna, le ragazze vengono spinte al matrimonio sempre più presto dietro compenso di una dote; l'età media del matrimonio, che per le donne nell'82 era di 24 anni, ora è di 16. Conflitto tra i sessi, quindi, fine del patriarcato, e qui si capisce bene cosa questo significhi, non certo fine dell'aggressività e arroganza maschile, né della complicità e soggezione femminile, ma crisi profonda di un ordine sociale che implode per le trasformazioni interne ed è travolto dai processi di mondializzazione. Le donne, specie le più giovani, cercano di salvarsi, come possono, "fidanzandosi" con qualche figuro che le porterà in Italia o in Europa, disposte se non a tutto a tanto, pur di avere una prospettiva di vita” [www.cestim.org/index_c.htm]. Tutto questo è drammaticamente ordinario nei villaggi, mentre è cosa sporadica in città. Non mancano casi in cui è la ragazza a “scegliere” di prostituirsi. Ma anche in tal caso il concetto di volontarietà non rende giustizia appieno delle condizioni che conducono a tale decisione. Le parole di uno degli intervistati sono molto eloquenti a proposito: “Le ragazze fanno un ragionamento di questo tipo: « Questa è la mia vita. Io non voglio fare la stessa vita di mia madre, con le mucche, con un marito violento. Non voglio vivere tutta la mia vita nel villaggio dove non ci sono più ragazzi perché sono tutti emigrati. Che cosa faccio? Voglio provare questa strada, tanto se non ci provo, comunque dovrò subire la violenza di mio fratello, la violenza di mio padre. Cosa 143 Per comprendere le radici di questa condizione è necessario far riferimento al kanun di Ducagini ossia il “codice tradizionale” tramandato oralmente “al quale si sono ispirati i comportamenti delle popolazioni del nord dell’Albania” [Resta P., idem, pag. 37]. Per quanto nel frattempo sia stata prodotta una legislazione scritta, il kanun rimane ancora fortemente radicato nelle coscienze della gente e ne condiziona il comportamento. In esso la donna era considerata priva di ogni dignità, alla stregua di un “animale da lavoro”, “sempre subordinata all’uomo”. Questo rese le donne stesse incapaci di pensarsi come soggetti attivi della società. In una lettura della donna in questi termini si intravedono le basi della “tratta” delle donne [UAW, 1997]. 165 ho da perdere? Niente. Ho qualcosa da perdere: la verginità. Ma a cosa mi serve la verginità? Mia madre è stata con un solo uomo, ma cosa ne ha avuto?» [S. A, UAW]. E ancora quattro ragazze, tutte di 16/17 anni, a chi cercava di convincerle ad abbandonare la strada e a seguire progetti di recupero, dicono: “Cosa ci offri tu? Io capisco perfettamente il tuo ragionamento, è sacrosanto, ma io sono giovane oggi, oggi io ho l’unica cosa da vendere, domani non avrò niente. Dammi un’alternativa in maniera tale che io possa vivere con dignità”. [idem] Rispetto a questa condizione il Comitato dei Diritti Civili delle Prostitute propone una terza chiave di lettura, certamente inusuale, forse per alcuni discutibile, ma forse anche utile alla comprensione di alcune dinamiche psicologiche, sociali ed economiche. È presa in considerazione infatti l’ipotesi di una messa in discussione delle categorie di “vittima” e di “criminale”; chi dice infatti che non esista una terza possibilità, per esempio l’ “autodeterminazione sessuale”? il Comitato dei Diritti Civili delle Prostitute, nella persona della sua presidentessa, Carla Corso, propone proprio questa ipotesi, pur essendo cosciente che le condizioni economiche e sociali costituiscono un forte incentivo. La Corso sostiene che intendere le prostitute sempre e solo come vittime o come criminali è funzionale “alla costruzione di uno spazio di devianza e di marginalizzazione entro cui chiudere le prostitute stesse” [www.luccioleoline.org]. La vittimizzazione e/o la criminalizzazione sono funzionali anche all’annullamento dell’autosufficienza individuale. Si è legittimati a pensarle come soggetti di cui farsi, in qualche modo, carico. Si pensa e si agisce “in nome e per conto di”, “per il loro bene”e per il benessere collettivo. Partendo, invece, dalla considerazione della Corso del principio di “autodeterminazione sessuale”si riesce a comprendere meglio come sia possibile che si instaurino rapporti di complicità tra la ragazza e il protettore, nella determinazione di un rapporto in cui entrambi hanno qualcosa da guadagnare. Anche in tal senso non è indifferente il processo di “occidentalizzazione”; emblematiche a tale proposito le parole di Lara Giurato, volontaria Cefa144, da due anni a Gramsh, città a sud-est di Tirana, nella zona di Elbasan: “Qui tutti hanno visto almeno tre volte Pretty Women145. Quel film avrebbero dovuto vietarlo in Albania”. [www.arpnet.it] Nell’ambito delle varie tipologie di tratta figura anche quella del rapimento, o meglio figurava in quanto fenomeno alla ribalta della cronaca negli anni dal 1990 al 1998. Attualmente pare che questa tipologia non esista più, in quegli anni però, quando in Albania la figura dello Stato era totalmente assente, i rapimenti delle ragazze avvenivano impudentemente per strada senza troppi problemi. La polizia faceva finta di non vedere e, all’occasione, cercava anche di trarre profitto dal proprio silenzio. Negli ultimi anni il progressivo ritorno del Paese alla legalità ha eliminato questa tipologia di tratta. Non sono note stime sul numero di soggetti finiti nel circuito della tratta attraverso questo meccanismo. Ricollegandosi brevemente al discorso della corruzione e della complicità delle forze dell’ordine, tutte le fonti – sia bibliografiche che orali – sono concordi sulle responsabilità delle forze dell’ordine. “La polizia spesso è d'accordo, lascia fare". Ma anche: "A volte è impotente, perché le ragazze non denunciano per paura di ritorsioni sulla famiglia". [www.arpnet.it/migranti/prostit.htm] 144 Comitato Europeo per la Formazione e l’Agricoltura fondato nel 1972 dal Movimento Cristiano Lavoratori. In Albania due sono i suoi ambiti di intervento: _ Il settore agricolo con attività di sviluppo della produzione olivicola, attività zootecniche di profilassi contro le malattie animali, attività di formazione degli agricoltori. _ Il settore sociale con centri di accoglienza per minori e donne in stato di difficoltà, centro di aggregazione per i giovani, attività sportive, attività scolastiche, attività formative. [www.cefa.bo.it] 145 Noto film in cui una prostituta è riscattata da un uomo bello e ricco. 166 A procurare il passaporto è il racket albanese, in pieno accordo con la polizia locale e la criminalità organizzata italiana (sacra corona unita, mafia, camorra...) che accetta questa presenza di buon grado per comuni interessi. È certo lo scambio "donne contro droga". Diverse dichiarazioni di testimoni privilegiati albanesi ci confermano che "la polizia albanese – aumentata a dismisura – è totalmente coinvolta... lo fa quasi apertamente... vende passaporti falsificati e visti per l’Italia, si procura somme straordinarie di denaro". [www.arpnet.it/migranti/indart.htm] Anche l’Unicef fa cenno alla collusione della polizia albanese con i trafficanti, tant’è che i minori espulsi dai paesi nei quali erano stati trafficati tornano nella mani dei trafficanti non appena oltrepassato il confine albanese. Il 10% delle donne vittime di tratta ha testimoniato contro poliziotti corrotti dai trafficanti. Secondo una dichiarazione di un ufficiale del Ministero dell’Ordine Pubblico in Albania la spiegazione di questo fenomeno è molto semplice: un poliziotto in Albania guadagna 150$ al mese, mentre un trafficante lo paga dieci volte tanto perché non interferisca con le sue attività [Unicef, idem; http://www.unicef.org]. 7.7. I trafficanti I trafficanti - generalmente ragazzi poco più che ventenni - sono strettamente collegati ai circuiti degli scafisti e dei falsificatori dei documenti, per ovvi motivi di “condivisione di intenti”. Gli scafisti però non sono parte integrante dell’organizzazione, nel senso che si occupano solo del trasbordo e le ragazze sono “passeggeri”come altri. I veri complici, il cui ruolo è determinante ai fini della buona riuscita dell’affare, sono quelli che attendono le ragazze sulla sponda italiana dell’Adriatico. La gestione del fenomeno non è, secondo gli operatori del settore, nelle mani della grande criminalità internazionale; non si tratterebbe insomma della solita filiera della mafia, bensì di clan locali, ben radicati sul territorio. In queste organizzazioni il sistema di affiliazione non è necessariamente familiare, può avvenire anche per affinità: si tratta, per esempio, di giovani della stessa regione, giovani che condividono le stesse esperienze, gli stessi bisogni, gli stessi costumi. Ovviamente la composizione delle organizzazioni non comprende solo giovani, è variegata e stratificata. Quello che non esiste è una “filiera del male”, un’organizzazione rigidamente strutturata e definita, in realtà ci sarebbe molta frammentazione. Si creano delle alleanze, o meglio delle “dichiarazioni di intenti” che vengono contratte caso per caso, sulla base di interessi e di contatti personali. È una criminalità che ha un interesse cospicuo e promiscuo; promiscuo nel senso che la tratta è solo uno degli elementi che lo caratterizzano: nello stesso scafo con cui vengono trafficate le ragazze ci sono anche droga, armi e clandestini, che non sono oggetto di tratta. “Il traffico […] obbedisce allo schema classico di costi-rischi-benefici, ed è costituito da imprese di dimensioni variabili, che possono utilizzare, con maggiore o minore forza, relazioni di potere nei paesi coinvolti[…] A livello «basso» […] un gran numero di persone, non necessariamente legate alla criminalità, approfittano delle attività connesse all’esportazione dei migranti e non hanno interesse a farlo cessare: infatti mentre le grandi organizzazioni criminali gestiscono le loro operazioni di traffico a livello transnazionale, a livello locale, nel paese di partenza e in quello di arrivo, sono necessarie delle basi di sostegno fornite sia dalla piccola criminalità che da privati cittadini. La lotta contro il traffico si scontra qui con l’esistenza di una vasta rete di interessi[…]”[Campani G., 2000, p. 43]. Ci sono referenti sia per l’acquisto che per la vendita, in Montenegro, in Macedonia, in Kosova, in Italia e in Grecia. Le ragazze, che provengono da Moldavia, Romania, Ucraina, Bulgaria, vengono 167 comprate fuori dall’Albania, nella maggior parte dei casi in Montenegro. Nella periferia di Podgoriça ci sono diversi Hotel che fungono da veri e propri mercati. La medesima cosa dicasi per la Macedonia. Conclusi gli “acquisti” le ragazze vengono trasportate a Valona, da dove ripartono con gli scafi verso le coste pugliesi. Secondo alcune testimonianze di trafficanti l’avvio alla prostituzione segue il seguente iter: - il rapimento/convincimento della ragazza; la permanenza a Valona, che di solito non supera le 24 ore, a parte casi eccezionali (per esempio le cattive condizioni del mare che impediscono la partenza); il viaggio in motoscafo; l’arrivo e il rifugio in Italia (durante il quale le ragazze sono maltrattate, violentate e ricattate); lo sfruttamento da parte dei protettori [UAW, idem]. 7.8. Un breve inciso sui profitti Si stima che la prostituzione sia la terza voce di guadagno per il crimine internazionale organizzato, dopo le armi e la droga [Carchedi F., Piccolini A., Mottura G., Campani G., 2000, p. 13]. Si calcola che una prostituta possa fruttare almeno dieci milioni al mese. La media del lavoro delle ragazze è di circa tre sere a settimana. In Italia, secondo un calcolo approssimativo, il business della prostituzione delle donne immigrate si aggira sui 180 miliardi al mese [De Marco M., 2001]. Secondo stime INTERPOL, dal mercato del sesso si ricavano almeno 5-7 miliardi di dollari l'anno e ciascuna donna trattata vale 120-150 mila dollari l'anno [http://testo.camera.it/bicamerali/schengen/indagini/docconclusivo.htm]. La presenza delle ragazze minorenni potrebbe costituire una variabile estremamente significativa ed importante per l’aumento dei profitti. Risulta infatti che una ragazza può essere comprata per una cifra che oscilla tra 2.500$e 4.000$, quando è vergine il prezzo sale anche a 10.000$ [Unicef, idem; http://www.unicef.org]. Un tale aumento del “prezzo di acquisto” deve necessariamente corrispondere ad un investimento dal quale ci si attendono ottimi profitti. Ci sono molte ragioni che rendono le ragazze minorenni “più appetibili sul mercato”: • • • • le minori hanno scarsissimo potere contrattuale (sia rispetto al protettore che al cliente) proprio in virtù (o, in tal caso, a causa) della loro giovane età: sono più fragili psicologicamente, maggiormente influenzabili e/o impressionabili e quindi facilmente gestibili [www.cestim.it]; direttamente connesso con la motivazione precedente è il fatto che clienti e protettori si sentono garantiti dall’omertà della minore (che difficilmente ha il coraggio di rifiutare una prestazione, di ribellarsi o denunciare i suoi aguzzini), [idem]; “i clienti sono disposti a pagare una somma maggiore pur di poter disporre totalmente di persone alle quali possono imporre prestazioni ritenute ormai rischiose che, in altri casi non riescono ad ottenere (es. rapporto senza il preservativo)”, [idem]; la giovane età delle ragazze e la loro “breve esperienza lavorativa” fornirebbero maggiori garanzie ai clienti rispetto alle possibilità di contrarre l’HIV, sebbene, da un punto di visto scientifico, alcune indagini abbiano dimostrato che proprio la giovanissima età ponga le stesse in una condizioni di maggiore vulnerabilità rispetto alla contrazione del virus. 7.9. Il “recupero” e il reinserimento sociale delle vittime della tratta: reinserimento di chi? dove? 168 Rispetto alla tematica del reinserimento sociale delle ragazze vittime di tratta, le considerazioni degli intervistati sono a dir poco allarmanti. Ecco cosa sostiene l’operatore di una Ong attiva in questo ambito: “è una questione di denari, per tutte le organizzazioni internazionali. Nessuna delle ONG che si sono occupate di tratta si è veramente interessata delle vittime. Pensano soltanto ai soldi che questo problema può portare. Se le associazioni internazionali avessero veramente a cuore le sorti di queste ragazze, dovrebbero realizzare un grande progetto di finanziamento per le vittime, perché abbiano una reale possibilità di vita, perché possano aprire un’attività privata e rimanere nel villaggio. Se queste ragazze avessero delle risorse per vivere, una motivazione di vita, penserebbero che vivere e lavorare qui è meglio che prostituirsi in Italia. Se potessero aprire qui in Albania un negozio, o se potessero avere un pezzo di terra e un trattore per lavorarla, qualcosa la farebbero” [S. A. UAW]. Il tema del “recupero”e del reinserimento sociale delle vittime della tratta nel paese d’origine accende grossi interessi per la sua portata sociale e umana, ma un aspetto trascurato (anche mediaticamente) sulla sponda italiana dell’Adriatico è il fallimento aprioristico del reinserimento, mentre molto viva è l’attenzione al finanziamento dei progetti146. La parola d’ordine è “salvare” queste ragazze e aiutarle a tornare a casa, ma, rispetto a ciò, in Albania sono tutti concordi: la reintegrazione totale di un’ex-prostituta nella società di provenienza è un’utopia. Secondo alcuni operatori intervistati anche l’inserimento lavorativo è un problema perché non c’è lavoro. Secondo altri l’inserimento lavorativo al momento è possibile perché molte organizzazioni internazionali promuovono dei corsi professionali e, tramite incentivi economici con gli imprenditori autoctoni e non, riescono a creare posti di lavoro. Ma il vero problema è, come accennato, l’inserimento sociale della ragazza, impossibile nelle zone rurali e difficilissimo nelle grandi città. Dice uno degli operatori intervistati: “Anche Tirana che è una grande città in realtà è un grande villaggio. Ci sono 800.000 persone, ma tutti sanno cosa fanno gli altri. È un grande villaggio, anche nella mentalità. Le persone non rispettano la privacy, questo è il problema. Non è facile per un parente accettare la bambina o il bambino che si sono prostituiti perché c’è lo stigma sociale a rimarcare costantemente il fatto. Per esempio nessuno mai si fidanzerebbe con un’ex-prostituta. Se siamo in un villaggio si sa che quella ragazza è inserita, ma che è una ex-prostituta. Quindi questa donna è rovinata per la vita. Si parla sempre di ex-prostitute, mai di vittime della tratta” [K. B., CRCA]. Diana Ciuli - responsabile dell'associazione Forum delle donne di Tirana – sostiene: "Sono decisamente contraria al rimpatrio delle donne trafficate, sarebbe meglio aiutarle a inserirsi dove vengono fermate. In Albania siamo tre milioni di persone, nelle cittadine e nei paesi si conoscono tutti. La società è molto conservatrice e le ragazze sono discriminate a vita". Di tutte le donne seguite dal Forum in questi anni non si è reinserita nessuna: "ci provano, ma dopo pochi mesi scappano perché non reggono la situazione" [www.arpnet.it/migranti/prostit.htm]. Ci sono due elementi su cui vale la pena di riflettere a questo proposito. Da un lato l’inassimilabilità sociale delle ragazze vittime di tratta (la società rigetta come corpo estraneo la ragazza); dall’altra i profondi mutamenti che le ragazze subiscono durante questa esperienza rende la società di appartenenza difficilmente assimilabile. Il soggetto che deve essere reinserito non è più quello che è partito, volente o nolente. È un soggetto che si è modificato, che è stato “culturalmente contaminato”. 146 Nel solo Salento sono stati approvati, il 3 ottobre 2002, nella Provincia di Lecce due progetti, “Libera”, coordinato dalla stessa Provincia, e “Ali Nuove” coordinato dalla Fondazione “Regina Pacis”, filiazione diretta dall’Arcidiocesi di Lecce [www.gdmland.it]. aggiungiamo noi, dove il fenomeno è del tutto assente. 169 Le ragazze, quando partono, sono già “contaminate”, la televisione ha già svolto efficacemente il proprio ruolo, ha trasformato in necessari bisogni mediaticamente indotti. Quando vengono portate in Italia, nonostante lo sfruttamento e le violenze di cui sono vittime, esse stesse si modificano, così come si modificano i loro stili di vita. Gli interventi di protezione sociale le liberano dallo sfruttamento dei protettori e, grazie a progetti milionari, si occupano della loro “rieducazione e riabilitazione”, organizzano corsi di formazione professionale e pianificano il rientro nel Paese d’origine. Fin qui nessun problema, sembra tutto impeccabile, ma la vera domanda è: le ragazze, una volta rientrate, a cosa vanno incontro? Si ritrovano di fronte un triste scenario: non hanno un lavoro, né ci sono le condizioni perché possano trovarlo, i servizi sociali locali non sono in grado di supportarle in alcun modo, le famiglie le ripudiano e la società le stigmatizza. Inoltre si ritrovano a dover scegliere tra guadagni certi, se continuano a prostituirsi, da un lato, e una vita scialba, misera e marginale, dall’altro. Nella ideazione del “recupero”viene saltata a piè pari quella fase, che nel ciclo di vita di un progetto viene definita “rapporto preliminare di fattibilità”. Manca l’analisi del contesto, necessaria ad inquadrare le dinamiche sociali, politiche ed economiche determinanti per la riuscita del progetto di reinserimento. Manca il coinvolgimento diretto dei “beneficiari” per capire se quello che viene pensato per loro sia adeguato o meno. Insomma manca una completa e seria valutazione della “sostenibilità del progetto”. Delle due l’una: ignoranza o malafede, non ci sono altre possibilità. Il problema della tratta non riguarda solo le ragazze coinvolte, ma investe l’intera comunità, le famiglie e le istituzioni; se questi livelli non comunicano tra di loro qualsiasi azione diventa priva di efficacia. L’intervento non può essere soggettivo. È necessaria la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, attraverso la scuola e attraverso i media; la comunicazione deve essere capillare e raggiungere anche i settori periferici per conseguire l’obiettivo. Ma non solo, bisogna offrire ogni tipo di supporto che possa essere utile alle famiglie. Gli operatori intervistati sostengono che uno dei momenti più delicati e più difficili è proprio quello del riallaccio dei rapporti della ragazza con la famiglia. Le famiglie spesso vivono già in difficoltà e non sono in grado né economicamente né culturalmente di fronteggiare un problema come questo. Inoltre anche le politiche migratorie italiane creano non pochi guasti. Tutte coloro che, per vari motivi (per esempio il terrore di subire violenze o di ritorsioni sulla famiglia), decidono di non collaborare – come previsto dall’art. 18147 vengono espulse e rimandate in Albania, ma nessuno che si ponga il problema di ciò che accadrà di queste poveracce. “Ad aspettarle, fino a poco tempo fa, nei porti di Valona e Durazzo, c’erano le stesse persone che le avevano messe sulla nave”[M. B, OIM-Tirana]. E’ poi così difficile da supporlo, se realmente si fosse interessati alle loro sorti? Anche nei casi in cui l’art. 18 venga applicato e porti al tentativo di reinserimento delle ragazze nel proprio Paese, l’amministrazione albanese non è in grado di sostenere un impegno del genere, di fare da sponda ad un serio progetto di recupero. Non ha le strutture, non ha i mezzi per poterlo fare e non è preparata professionalmente a farlo. 147 Giova ricordare che l’art. 18, introdotto dal T.U. 286/1998 in materia di immigrazione, prevedeva la concessione del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale che veniva rilasciato alle vittime di sfruttamento e che era vincolato alla partecipazione ad un “programma di assistenza e integrazione sociale”. Il permesso aveva, in prima istanza, la durata di sei mesi e veniva rinnovato solo a condizione che la beneficiaria collaborasse con la magistratura, anche senza sporgere denuncia contro gli sfruttatori 170 Da più parti, sull’altra sponda dell’Adriatico, le politiche del rimpatrio e del reinserimento vengono fortemente criticate. Per esempio Silvana Mjeda dell'Oim148 fa delle interessanti riflessioni a questo proposito: "le ragazze hanno subito violenze inimmaginabili, tornano con problemi psicologici gravissimi e sono rifiutate dalle famiglie.[…] ma cosa succede in Italia? Negli ultimi mesi sono aumentate in maniera esponenziale le espulsioni delle ragazze, una vera emergenza. Questa politica dei "rimpatri facili" crea grossi problemi di accoglienza nel paese d'origine [www.arpnet.it/migranti/prostit.htm]. In genere la polizia italiana consegna le ragazze a quella albanese dietro "presunto riconoscimento di nazionalità", grazie a una normativa del '99, che permette di espellerle in 48 ore, anche senza accertarne l'identità (a volte arrivano anche moldave o montenegrine scambiate per albanesi, ci raccontano alla polizia). Giunte in Albania le ragazze, senza documenti, sono fermate in questura e "a volte restano lì, su una sedia, anche giorni interi" [idem]. puntualizza Mjeda, "devono dare il nome di un parente per l'identificazione, ma spesso sono terrorizzate o si vergognano a tornare a casa e fanno il nome degli pseudo-cugini, i trafficanti, che se le riprendono. In pochi giorni sono di nuovo sulla strada, in Italia" [idem]. Lo conferma l'ispettore Leonard Lame, capo dell'ufficio di lotta al traffico del distretto di Elbasan: "abbiamo avuto casi di ragazze rimpatriate più volte. Noi le consegniamo alle famiglie, ma poi non è più nostra competenza occuparcene, e scompaiono" [idem]. Non si dimentichi inoltre che gli aiuti internazionali sono vincolati agli accordi bilaterali di riammissione dei “clandestini”149. Ma l’unico obbligo che la polizia d’oltremare ha è di riaccogliere le ragazze e consegnarle alla famiglia. Nessuno ovviamente verificherà mai che chi si presenta per riprendere la ragazza sia effettivamente un familiare; ed ecco come facilmente la stessa ragazza espulsa oggi sarà di nuovo sulla strada in Italia domani. Le ragazze ovviamente non hanno il benché minimo interesse a smascherare i falsi familiari per una serie di banalissimi motivi: innanzitutto per paura di ritorsioni contro la famiglia e contro se stesse; in secondo luogo perché nessun familiare andrà mai a riprendersele; e, infine, perché la permanenza prolungata nei posti di polizia è pericolosa per la loro incolumità. Tralasciando l’aspetto umano dell’ andirivieni di queste giovani donne – trafficate da un lato e rispedite al mittente come pacchi dall’altro – e volendo fare solo un semplice calcolo economicistico c’è da chiedersi: quali siano i costi di queste manovre e che incidenza esse effettivamente hanno ai fini della risoluzione del problema?* 7.10 Osservazioni conclusive Sul reinserimento sociale delle ragazze vittime di tratta, tutti gli interlocutori intervistati si sono espressi all’unisono: perché la reintegrazione nel Paese d’origine funzioni è necessario creare reali prospettive di vita. 148 “L'Oim ha ricevuto il mandato dal ministero dell'Interno italiano di prendersi cura di minori e donne rimpatriati e di seguirne il reinserimento[www.arpnet.it/migranti/prostit.htm]”. 149 LEGGE 30 luglio 2002, n. 189. Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo. Capo I - Disposizioni in materia di immigrazione Art. 1. (Cooperazione con Stati stranieri) […] 2. Nella elaborazione e nella eventuale revisione dei programmi bilaterali di cooperazione e di aiuto per interventi non a scopo umanitario nei confronti dei Paesi non appartenenti all'Unione europea, con esclusione delle iniziative a carattere umanitario, il Governo tiene conto anche della collaborazione prestata dai Paesi interessati alla prevenzione dei flussi migratori illegali e al contrasto delle organizzazioni criminali operanti nell'immigrazione clandestina, nel traffico di esseri umani, nello sfruttamento della prostituzione, nel traffico di stupefacenti, di armamenti, nonché in materia di cooperazione giudiziaria e penitenziaria e nella applicazione della normativa internazionale in materia di sicurezza della navigazione. 3. Si può procedere alla revisione dei programmi di cooperazione e di aiuto di cui al comma 2 qualora i Governi degli Stati interessati non adottino misure di prevenzione e vigilanza atte a prevenire il rientro illegale sul territorio italiano di cittadini espulsi. [www.interno.it] 171 Sono necessari cambiamenti di ampio respiro che coinvolgano l’intero tessuto sociale, e, in maniera trasversale, anche la politica estera e le politiche dei paesi europei sull’immigrazione dovrebbero incrociarsi. Se è vero che il primo traguardo da raggiungere è la crescita dell’Albania il più velocemente possibile, le migrazioni sono uno dei fattori fondamentali da prendere in considerazione. Non sono sufficienti i progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo, non basta costruire strade e ospedali per innescare un processo di crescita in un Paese con 3 milioni e mezzo di abitanti, di cui 700/800 mila sono all’estero. Georges Tapinos nel 1991, in occasione della Conferenza internazionale delle Migrazioni, sosteneva che “la cooperazione internazionale allo sviluppo può essere un’alternativa all’emigrazione dei lavoratori” [Caritas-Roma, 2002, pp. 11-12]. L’argomentazione prodotta a sostegno di questa posizione verteva principalmente sull’idea che le rimesse in patria avessero un carattere “individualistico”, fossero ciò dirette alle famiglie senza favorire l’accumulazione di capitale per le generazioni future. Una posizione questa coniugabile con quella maggiormente diffusa secondo la quale era l’emigrazione di ritorno ad essere utile al paese d’origine, in quanto l’individuo rientrava con una buona formazione professionale e, generalmente, con un considerevole capitale da poter investire. In realtà i Paesi di destinazione non si sono mai occupati effettivamente delle sorti dei Paesi di origine dei migranti, non sono andati mai oltre gli enunciati di rito, essendosi preoccupati esclusivamente dell’andamento dell’economia del loro Paese, agevolando o inibendo i rientri a seconda delle loro congiunture [Caritas-Roma, idem]. Studi successivi più approfonditi hanno portato ad un capovolgimento di questa visione. Già nel 1996 l’OCSE ha preso le distanze dall’idea che le rimesse degli immigrati fossero improduttive. Anche un investimento di fatto individualistico, come la costruzione di una casa, può stimolare, per esempio, il mercato dell’edilizia. Da qui l’opportunità di avere le associazioni degli immigrati come interlocutrici privilegiate nell’ambito delle politiche di cooperazione allo sviluppo, in maniera tale da mediare tra il livello istituzionale e quello individuale [idem]. Le rimesse degli immigrati raggiungono i destinatari/beneficiari portando loro benefici effettivi, molto più di quanto non riescano a fare gli aiuti pubblici. Sono queste risorse che consentono alle famiglie di sostenere le spese quotidiane, di incrementare i livelli di scolarità, di acquistare case o di avviare attività commerciali. È evidente dunque che risparmi “privati” possono trasformarsi, attraverso adeguati incentivi, in investimenti produttivi per l’intera comunità [idem]. Attualmente i risultati di studi e ricerche portano inequivocabilmente a ritenere i migranti “mediatori per lo sviluppo”, soprattutto nei casi in cui il loro Paese non sia in una fase iniziale di sviluppo, ma in una fase già avanzata, come nel caso dell’Albania [idem]. Le rimesse e la relativa aumentata circolazione e disponibilità di denaro hanno favorito e sostenuto i veloci e continui mutamenti che si possono osservare in Albania [Perrone L., 2001]. L’immigrazione dunque dovrebbe essere considerata da due punti di vista. Da un lato i paesi di destinazione dovrebbero muoversi in direzione di una politica globale e strutturale (non emergenziale) del fenomeno migratorio, affinché l’immigrazione sia programmata e non subita. Ciò significherebbe porre attenzione ai propri interessi, ma anche e necessariamente agli interessi e ai bisogni dei Paesi di provenienza degli immigrati stessi. Si tratta del riconoscimento della capacità contrattuale, perché ad oggi il dialogo e la collaborazione con i c.d. Paesi Terzi sono stati (e sono ancora) sfacciatamente sbilanciati a favore dell’occidente che ha dettato le regole del gioco – le sue - e anteposto i propri interessi ad ogni altra cosa. Non è questa la sede per una riflessione approfondita su questa tematica, sebbene sia facile intuirne la portata e le ripercussioni. 172 D’altro canto un discorso di questo tipo pone la necessità, per i Paesi di emigrazione, di valorizzare il dialogo non solo con i “cugini ricchi”, ma anche con quelli meno ricchi. Nel caso dell’Albania ci si riferisce alla Moldavia, alla Macedonia, al Montenegro, alla Jugoslavia, al Kosova, al fine di individuare gli elementi di congiunzione e produrre un impegno comune e maggiormente visibile nella programmazione e ottimizzazione delle migrazioni. Difficile, dunque, vedere il problema della tratta in modo distinto ed indipendente da ciò che la muove. L’occidente ha acceso questo fuoco, ma non ha fatto molto per spegnerlo. 173 Bibliografia Arlacchi P., 1999, Schiavi. Il nuovo traffico di esseri umani, Rizzoli, Milano. Barjaba K., 1996, “Dalle piramidi finanziarie alla ribellione armata: connivenze e implicazioni politiche”, in, Barjaba K., a cura di, Albania. Tutta d’un pezzo, in mille pezzi…e dopo?, in, Futuribili, Franco Angeli, Milano. Bufo M., Giuliodori D., 2001, Kaleidos. Materiali per la formazione e l’intervento sociale nella prostituzione e la tratta, Ed. On the Road, Martinsicuro (TE). Campani G., 2000, “Traffico a fine di sfruttamento sessuale e sex-business nel nuovo contesto delle migrazioni internazionali”, in, Carchedi F., Piccolini A., Mottura G., Campani G., a cura di, I colori della notte. Migrazioni, sfruttamento sessuale esperienze di intervento sociale, Ed. FrancoAngeli, Milano. Candia e Alii, 2001, Da vittime a cittadine. Percorsi di uscita dalla prostituzione e buone pratiche di inserimento sociale e lavorativo, Ed. Ediesse, Roma. Carchedi F., Picciolini A., Mottura G., Campani G., a cura di, 2000, I colori della notte. 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Analisi dei casi nei paesi all’esame di Isabella Orfano 8.1 Premessa In questa sezione del rapporto di ricerca vengono presentate sinteticamente alcune esperienze maturate in Italia, in Albania e in Romania da agenzie del pubblico e del privato sociale locali, da organizzazioni internazionali e da istituzioni intergovernative finalizzate alla tutela e all’inclusione 176 sociale di persone minori trafficate e sfruttate, in particolar modo nel mercato del sesso commerciale. Si è inteso indagare la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico di minori, verificare la tipologia dei servizi offerti e delle équipe di lavoro impiegate e, infine, rilevare i problemi e le proposte di cambiamento suggerite da chi quotidianamente si confronta con i bisogni, le paure e i sogni di un target ad alto rischio di esclusione. Per quanto riguarda l’Italia sono state selezionate 7 organizzazioni che da tempo si occupano di progetti di sostegno e di protezione sociale di persone trafficate in generale in quanto non risultano esistere enti che si occupano esclusivamente di minori trafficati. Negli ultimi 3-4 anni - soprattutto quale risultato dell’implementazione del Programma di assistenza e integrazione sociale previsto dal D.Lgs. 286/98 - in Italia é stato registrato un incremento molto significativo del numero di interventi mirati a supportare le persone straniere trafficate nella fase di “sganciamento” da condizioni di violenza e di sfruttamento e, conseguentemente, nei processi di empowerment individuale tesi a favorire l’inclusione sociale e lavorativa sul territorio nazionale. La maggior parte dei progetti finanziati però non prevede attività specifiche per persone minorenni. Nelle pagine seguenti vengono quindi esaminati i servizi erogati e le metodologie di lavoro utilizzate sia dalle poche organizzazioni che hanno strutturato (o sono in fase di strutturazione) interventi ad hoc rivolti a minori sia dalle “organizzazioni generiche” che durante il loro lavoro quotidiano si ritrovano a fornire aiuto ed assistenza ad un/a minorenne. Nello specifico, le organizzazioni considerate, distribuite su tutto il territorio italiano, sono state: Gruppo Abele (Torino), Associazione Lule (Abbiategrasso, MI), Azienda Sanitaria Locale di Rimini, Associazione On the Road (Martinsicuro, TE), Cooperativa Sociale Dedalus (Napoli), Cooperativa Sociale Parsec (Roma), Fondazione Regina Pacis (S. Foca di Melendugno, LE)150. Per l’elaborazione degli studi di caso albanesi, sono state prese in considerazione le esperienze di 5 organizzazioni internazionali impegnate da tempo in Albania in attività di contrasto al traffico e allo sfruttamento di minori. Sono stati esaminati i progetti realizzati da: Save the Children, Terre des hommes Mission in Albania, Osce Presence in Albania, Interpol e Caritas Diocesana di BrindisiOstuni - Caritas di Valona151. Nella maggior parte dei casi si tratta di interventi ad ampio raggio basati, da un lato, sulla collaborazione con organizzazioni non governative locali e, dall’altro, sul coinvolgimento di istituzioni governative nazionali. Diversamente da quanto rilevato in Italia, sul territorio albanese esistono alcuni progetti specificatamente mirati a minori sia trafficati che a rischio di traffico. Ciò è probabilmente dovuto anche al fatto che tra i principali soggetti che operano in questa area geografica vi sono le maggiori agenzie internazionali che si occupano della tutela e del rispetto dei diritti dei/delle minori. Infine, sono stati esaminati gli interventi di prevenzione del traffico, in particolare di minori, e le attività di sostegno ed assistenza rivolte alle vittime realizzati in Romania da 2 agenzie del privato sociale locale (Social Alternatives Association e Reaching Out Romania, da 1 organizzazione intergovernativa (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e da 1 organizzazione 150 La redazione degli studi di caso si è basata sulle informazioni raccolte attraverso l’analisi di materiale documentale, la consultazione dei siti web e la realizzazione di interviste a referenti delle organizzazioni considerate. A tal proposito si ringraziano per la gentile e la preziosa disponibilità: Mirta Da Pra Pocchiesa (Gruppo Abele), Ilaria Bozzini (Associazione Lule), Tiziana Bellavista (Azienda Sanitaria Locale di Rimini), Stefania Scodanibbio (Associazione On the Road), Paola Esposito (Cooperativa Sociale Dedalus), Deborah De Cave (Cooperativa Sociale Parsec), Don Cesare Lodeserto (Fondazione Regina Pacis). 151 Le schede degli studi di caso albanesi sono state compilate grazie alle informazioni raccolte attraverso le interviste realizzate da Bronwen Lewis con i referenti delle organizzazioni esaminate, l’analisi di materiale documentale cartaceo e telematico. Si ringraziano per la cortese collaborazione: Veslemoy Naerland (Save the Children Albania), Vincent Tournecuillert (Terre des hommes Mission in Albania), Frank Ledwidge (Osce Presence in Albania), Pal Serreqi (Interpol) e Bruno Mitrugno (Caritas Diocesana di Brindisi-Ostuni). 177 internazionale (Save the Children Romania)152. Sono state prese in considerazione esperienze realizzate in città diverse di un paese che da tempo è coinvolto dal fenomeno del traffico in quanto nazione di origine, di transito e di destinazione di persone sfruttate a livello sessuale e lavorativo. I progetti di intervento sociale a favore delle vittime o delle potenziali vittime di tratta sono ancora un’esperienza relativamente nuova in Romania ma di sicuro interesse per indagare le condizioni di lavoro e rilevare i bisogni di un settore che necessita di un grande sostegno sia a livello locale che internazionale per elaborare strategie e strumenti di prevenzione e tutela dei diritti di persone minori e adulte che vengono ingannate o coercitivamente condotte in altri paesi per essere sottoposte a gravi condizioni di schiavitù e di sfruttamento. 8.2 I servizi in Italia. Gli studi di caso L’Associazione Lule (di Abbiate Grasso) Cenni storici Lule - “fiore” in albanese - nasce nel 1996 ad Abbiategrasso (Milano) ad opera della Caritas Decanale che, considerato lo sviluppo del fenomeno dello sfruttamento sessuale nel milanese, decide di intervenire direttamente per contrastarlo attraverso l’implementazione di un progetto a favore di persone che si prostituiscono e/o che sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Il lavoro promosso è stato quasi fin da subito sostenuto da diversi enti locali e, attualmente, coinvolge 5 amministrazioni provinciali e 88 amministrazioni comunali. Costituitasi formalmente in Associazione O.n.l.u.s. nel 1998 e avviata una cooperativa sociale nel 2001, Lule è oggi una realtà consolidata e un punto di riferimento fondamentale nel territorio in cui è attiva, ovvero, nella zona sud-ovest della provincia di Milano: i distretti di Abbiategrasso, Magenta, Corsico, Rho, Rinasco, Rozzano, S. Giuliano Milanese; una parte della provincia di Pavia: i distretti di Lomellino, i Comuni di Voghera, Pavia e S. Martino Siccomario; e, infine, una parte della provincia di Bergamo. In questi territori, la prostituzione viene esercitata principalmente all’esterno delle città, sulle vie di grande percorrenza, mentre coinvolge solo parzialmente i centri storici, in cui è presente solo in alcune vie, e le aree industriali. La prostituzione e il traffico di persone a scopo di sfruttamento sessuale hanno coinvolto il territorio milanese a partire dai primi anni ’90, facendolo diventare una delle principali aree italiane di destinazione delle persone trafficate provenienti da paesi dell’Europa dell’Est, dell’ex-Unione Sovietica, dell’Africa e dell’America del Sud. Nel corso del 2001, in base ai contatti effettuati quotidianamente dalle Unità Mobili di strada di Lule, la nazionalità maggiormente presente sulle strade milanesi è stata quella nigeriana (53.6% delle donne incontrate), seguita dall’albanese (19.8%), dalla cecena, dalla lettone, dalla lituana, dalla russa, dalla slovacca e dalla ucraina (6.8%), dalla moldava (5.9%) e dalla sudamericana (5.7%). In percentuali molto inferiori, erano inoltre presenti donne rumene, bulgare, croate, macedoni, kossovare, serbe ed europee occidentali. Secondo gli operatori e le operatrici dell’Associazione la maggioranza delle donne che incontrano, al momento della partenza dal proprio paese, sono consapevoli dell’attività che andranno a svolgere, non sono però altrettanto informate rispetto alle forme di violenza e di coercizione che 152 Gli studi di caso rumeni sono stati compilati attraverso le informazioni raccolte dalle interviste con i seguenti testimoni privilegiati: Gabriela Alexandrescu, Georgeta Paunescu e Diana Serban (Save the Children Romania); Cristian Ionescu (Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, ufficio Romania); Luca Catalin (Social Alternatives Association); e Iana Matei (Reaching Out Romania). 178 dovranno subire una volta arrivate a destinazione. Dalle mappature effettuate e dai dati raccolti dalle équipe di lavoro, la percentuale di minori inserite nel mercato del sesso a pagamento sembra essere diminuita nel corso degli ultimi due anni. Ciononostante, per rispondere ai bisogni specifici delle ragazze minorenni accolte, Lule ha deciso di attivare un nuovo servizio (“Progetto Diana”) in grado di dare risposte adeguate ad un target con problemi ed aspettative diverse rispetto alla collettività delle donne maggiorenni. Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori Di fronte alla necessità di proporre una tipologia di accoglienza ad hoc per le minorenni prese in carico, a partire dall’autunno 2001 Lule ha attivato il “Progetto Diana” in osservanza del principio per cui “l’interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria attenzione”, come ratificato dall’art. 3, comma 1, della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia delle Nazioni Unite. “Diana” é una comunità di pronto intervento per minori, italiane e straniere, di età compresa tra i 14 e i 18 anni vittime di abuso e sfruttamento, segnalate dai servizi sociali territoriali provvisti di decreto del Tribunale per i Minorenni o di altro provvedimento dell’Autorità Pubblica oppure inviate direttamente dalla stessa Autorità Pubblica nei casi di grave emergenza. Attiva 24 al giorno, per 365 giorni all’anno, la casa è in grado di ospitare 5 persone a cui viene offerta ospitalità, fino ad un massimo di 60 giorni circa, in un ambiente a dimensione familiare. Tale comunità mira a garantire alle minori accolte protezione e tutela attraverso l’offerta di un percorso individuale che permetta loro di inserirsi adeguatamente in un nuovo ambito sociale e formativo attraverso l’acquisizione di un know-how comportamentale, sociale e formativo in grado di favorire la costruzione di un progetto di vita positivo. Il progetto educativo individuale prevede: - anamnesi personale e familiare finalizzata all’individuazione delle risorse e delle difficoltà dell’utente; obiettivi intermedi di crescita personalizzati; acquisizione di strumenti operativi per il raggiungimento degli obiettivi individuati. Gli strumenti principali utilizzati dall’équipe di lavoro sono: - schede di rilevazione dei comportamenti; interviste di indagine; colloqui individuali; terapia di gruppo; laboratori creativi. Le attività previste all’interno della comunità sono: - corso di lingua italiana; orientamento alla formazione e al lavoro; visita settimanale alla biblioteca multimediale locale; laboratori musicali; laboratorio di attività creative e di arte terapia; attività sportiva (piscina ed aerobica); 179 - ciclo di incontri di educazione sessuale; uscita settimanale serale; gite mensili culturali o di svago giornaliero; gruppo di “condivisione delle attività”; turni per la pulizia della casa. L’accoglienza è considerata una fase temporanea del percorso di inserimento sociale della minore che deve essere informata e, quindi, resa consapevole delle caratteristiche e delle regole della comunità. Per questa ragione, alla ragazza accolta vengono fin da subito spiegati i motivi della sua presenza nella casa di accoglienza, le condizioni di permanenza e le attività progettuali a cui potrà aderire. La condivisione continua degli obiettivi e la trasparenza procedurale costituiscono il fondamento metodologico dell’intero intervento che permette alla persona presa in carico di essere costantemente informata di quanto le accade. Il “Progetto Diana” garantisce alle minori un alto grado di tutela e di cura che permette loro di acquisire maggiore conoscenza e consapevolezza di sé. A tal fine sono state previste una serie di attività che, attraverso la strutturazione di una “relazione terapeutica”, permettono di stabilire relazioni positive e di gettare le basi per la costruzione del percorso individuale di inserimento. La quotidianità viene considerata un elemento fondamentale dell’intervento in quanto essa rappresenta “lo spazio della normalità” entro cui costruire la propria identità attraverso la relazione e il confronto con le altre utenti e il gruppo degli operatori e delle operatrici. Si ritiene infatti che le relazioni interpersonali rivestano un ruolo determinante nell’influenzare la (ri)elaborazione dell’identità personale e la realizzazione di percorsi individuali significativi. Anche per questo motivo si è ritenuto di avvalersi di un’équipe specializzata a cui è stato chiesto di partecipare ad un corso di aggiornamento e a cui viene fornita una formazione continua attraverso moduli specifici (sulla tematica dell’emergenza), trasversali (sulle diverse professionalità) e trasferibili (in altre realtà territoriali). Il gruppo di lavoro è composto da: 1 coordinatore psicologo, 4 educatori a tempo pieno, 1 psicologa, 1 assistente sociale, 1 supervisore, consulenti esterni per le attività di formazione. L’Associazione Lule collabora, sia a livello locale che nazionale, con altre associazioni ed enti istituzionali impegnati a favore delle persone che si prostituiscono. In particolare, sul territorio lombardo, nel corso degli anni è stata costruita una rete articolata di soggetti coinvolti in progetti di prevenzione sanitaria e di protezione ed assistenza sociale, tra cui: agenzie del privato sociale, amministrazioni locali, istituzioni sanitarie, istituti di formazione, forze dell’ordine. Garantire un alto livello di sinergia e co-progettazione tra attori che, a vario titolo, partecipano alla definizione degli interventi a favore dei/delle minori permette di elaborare progetti coordinati che rispondono adeguatamente ai differenti bisogni del target in oggetto. Tre sono i principali nodi della rete che interagiscono attivamente nel “Progetto Diana”: il sistema giudiziario penale, il sistema giudiziario civile minorile e quello dei servizi sociosanitari. La collaborazione con i diversi rappresentanti della rete sono stati formalizzati attraverso protocolli di intervento concertato e incontri periodici di raccordo strategico ed operativo. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte L’Associazione Lule è iscritta al Registro Regionale Lombardo del Volontariato, aderisce al Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (C.N.C.A.) e al Gruppo ad hoc, istituito all’interno del C.N.C.A., sulla Prostituzione e la Tratta. E’ inoltre membro del “Coordinamento interregionale tratta” lombardo, della rete dei progetti art. 18 a favore di vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale e delle postazioni territoriali del Numero Verde Nazionale contro la Tratta 180 (800-290.290). A livello locale, Lule mantiene una forte interconnessione con le Caritas territoriali diffuse sul territorio. La Cooperativa Lule fa parte del Consorzio Sistema Imprese Sociali di Milano aderente al Consorzio Nazionale per la Cooperative Sociale “Gino Matterelli”. Inoltre, dal 2000, l’Associazione è iscritta nella Terza Sezione del Registro di enti e associazioni che svolgono attività a favore degli stranieri immigrati ai sensi dell’art. 42 del D.Lgs. 286/98 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, e dell’art. 54 del relativo “Regolamento di attuazione”. Come già ricordato, l’Associazione Lule collabora fin dalla sua costituzione con una serie di enti pubblici locali il cui numero, nel corso degli anni, è andato sempre più aumentando. In particolare, la collaborazione con i principali enti locali di riferimento é stata consolidata attraverso il finanziamento, da parte della Commissione interministeriale per l’attuazione dell’art. 18, dei progetti di assistenza e protezione sociale a favore di vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale, previsti dall’art. 18 del D.Lgs. 286/98. Tali progetti, infatti, prevedono il finanziamento del 70% da parte del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il restante 30% da parte di uno o più enti locali. Lule, inoltre, in collaborazione con le Aziende Sanitarie Locali dell’area operativa (Asl 1 e 2 della Provincia di Milano e l’Asl 12 di Pavia) ha attivato un progetto rivolto alla prostituzione di strada, finanziato dalla Regione Lombardia nell’ambito del Programma regionale triennale di prevenzione dell’infezione da Hiv. Le attività progettuali vengono realizzate da circa 60 volontari/e specificatamente formati che fanno parte di un’associazione costituitasi ad hoc e da una équipe composta da 15 figure professionali specializzate aderenti ad una cooperativa sociale di tipo A e retribuite in base al contratto nazionale per le cooperative. Nello specifico, l’équipe di lavoro è formata da: 3 assistenti sociali, 7 educatori/trici, 2 psicologi/ghe, 1 infermiera, 1 a.s.a., 1 operatore di base e 1 consulente legale esterno. L’organigramma dell’Associazione evidenzia la suddivisione del lavoro nelle seguenti aree (a capo di ciascuna delle quali c’è un/a referente): coordinamento, supervisione psicologica, consulenza legale, interventi sanitari, mediazione linguistico-culturale, attività di strada, attività di pronto intervento, attività di reinserimento sociale, attività culturale, comunità alloggio minori, punto rete Numero Verde Nazionale contro la Tratta, attività di rete. Il personale volontario dell’Associazione e le figure professionali della Cooperativa lavorano in team misti operanti nei diversi settori di intervento. Al fine di raggiungere gli obiettivi stabiliti (la promozione di donne e minori sottoposte a condizioni di sfruttamento sessuale e la loro integrazione socio-professionale), l’Associazione propone una serie di attività aventi come target finale sia le minori e le donne sessualmente sfruttate sia la comunità locale. Tali attività mirano, quindi, ad intervenire sul fenomeno nel suo complesso, sui fattori che lo determinano e sui protagonisti che lo caratterizzano: - - attività culturale finalizzata all’informazione e alla sensibilizzazione territoriale attraverso l’organizzazione di incontri pubblici e di seminari, incontri con le scuole superiori, interventi sui media, pubblicazioni e ricerche, implementazione del sito web. Il numero di persone coinvolto attraverso tali azioni è particolarmente alto: nel 2001, ad esempio, sono stati organizzati complessivamente 47 incontri pubblici nelle scuole attraverso i quali sono state incontrate circa 1.700 persone. E’ importante sottolineare che gli interventi di sensibilizzazione che si svolgono presso le scuole e sul territorio si rivelano delle occasioni utili per reclutare nuove risorse umane per l’Associazione; attività di strada finalizzata alla tutela della salute individuale e pubblica, alla costruzione di relazioni significative atte a valorizzare l’identità personale e l’autostima, alla promozione dei servizi territoriali e di percorsi formativi e di tutela rivolti alle ragazze/donne presenti in strada. 181 - - - Prevede un costante lavoro di monitoraggio e di mappatura del territorio realizzato dalle Unità Mobili di Strada (Ums) ciascuna delle quali operante in un’area circoscritta. Nel corso del 2001, le Ums operative sono state 15; esse hanno svolto una media di 8,5 uscite diurne e 10 notturne a settimana contattando complessivamente 1.228 donne, di cui: 691 nigeriane (53,6%), 255 albanesi (19,8%), 243 est europee (18,9%), e 99 di altre nazionalità (7,7%). L’èquipe operativa è composta da: 1 coordinatore, 4 operatori/trici (1 assistente sociale, 1 educatrice, 1 infermiera, 1 operatore di base), 3 mediatrici culturali (nigeriana, albanese, rumena), 8 tirocinanti delle scuole di formazione per operatori sociali, 20 volontari specificatamente formati, 1 supervisore psicologo, 1 consulente legale, 1 valutatore, mediatrici linguistico-culturali (3), medici, infermieri, operatori sociali dei servizi; il gruppo in uscita è formato da 2/3 persone tra cui, per scelta metodologica, sono sempre presenti un uomo e una donna; attività di segretariato sociale: per fornire informazioni, orientamento e consulenze tecniche sulla normativa vigente, sui servizi territoriali, sui programmi di integrazione e assistenza sociale. Il servizio viene erogato presso tre sportelli gestiti da altrettante associazioni in luoghi geografici distinti: Milano (presso la Segreteria Donne della Cooperativa Farsi Prossimo), Abbiategrasso (presso la sede di Lule) e Mantova (presso la sede dell’Associazione Porta Aperta). A tali sportelli non si rivolgono solamente donne inserite in percorsi prostitutivi ma anche clienti, cittadini/e e servizi territoriali. Dal luglio 2001 all’aprile 2002, i colloqui effettuati sono stati 377, di cui 67 con uomini e 310 con donne, per un totale complessivo di 157 persone. Infine, le risorse umane impiegate sono: 2 assistenti sociali, 1 educatrice, 1 segretaria, 1 consulente legale e 2 mediatrici culturali; attività di accoglienza per vittime di tratta che desiderano attivare un percorso di fuoriuscita dal mondo della prostituzione. Lule dispone di una serie diversificata di offerte alloggiative in base alle esigenze del target e alle fasi del percorso di protezione. L’Associazione, infatti, gestisce strutture di pronto intervento, prima accoglienza, seconda accoglienza, accoglienza in famiglie e di presa in carico territoriale. L’inserimento in una struttura di accoglienza viene preceduto da una serie di colloqui di orientamento e di verifica motivazionale a cui, dopo un’attenta valutazione, può seguire la proposta di inserimento in un programma di assistenza e integrazione sociale. A ciascuna tipologia di accoglienza corrispondono metodologie di lavoro distinte rispondenti ai bisogni della fase specifica vissuta dalle utenti. A tutte le persone accolte é stato garantito: vitto, alloggio, supporto educativo, counselling psicologico e legale, assistenza sanitaria, attività di alfabetizzazione, orientamento formativo e lavorativo, inserimento professionale e, se richiesto, contatto con la famiglia di origine ed eventuale rimpatrio assistito. Dall’aprile 2001 all’aprile 2002, sono state effettuate 117 accoglienze, di cui 66 in pronto intervento, 6 in prima accoglienza, 22 in seconda accoglienza, 7 in seconda accoglienza semiautonoma, 16 in presa in carico territoriale. Complessivamente sono state accolte 94 persone: 30 nigeriane, 22 moldave, 20 albanesi, 12 rumene, 5 ucraine, 1 bulgara, 1 croata, 1 ecuadoriana, 1 lituana e 1 somala; attività di reinserimento sociale mirata all’inclusione sociale e lavorativa delle donne prese in carico, in possesso di permesso di soggiorno o in procinto di ottenerlo. Tale fase include la definizione di un programma individuale che prevede, oltre all’accoglienza in un appartamento semi-autogestito, in famiglia o in autonomia, colloqui di orientamento professionale, percorsi di formazione professionale, accompagnamento all’inserimento lavorativo (spesso attraverso l’uso dello strumento della “borsa lavoro”) e alla piena integrazione sociale. Nel 2001, le donne che hanno seguito un programma individuale di inserimento socio-professionale sono state 19. L’èquipe di lavoro è composta da: 1 coordinatrice assistente sociale, 1 psicologa, 1 educatrice, 1 a.s.a., 4 volontari specificatamente formati, 2 tirocinanti delle scuole di formazione per operatori sociali, 1 famiglia con formazione ed esperienza specifica, 1 consulente legale, 1 supervisore metodologico, 1 supervisore psicologo, 1 valutatore; 182 - - - gestione della postazione locale del Numero Verde contro la Tratta (800-290.290), iniziativa promossa dalla Commissione interministeriale per l’attuazione dell’art. 18 nell’ambito delle azioni di sistema previste dal Programma di assistenza e integrazione sociale a favore delle vittime di traffico a scopo di sfruttamento sessuale. Co-finanziato dal Dipartimento per le Pari Opportunità e dalla Provincia di Milano, il Numero Verde é un servizio di orientamento e consulenza telefonica che offre informazioni sui servizi sociali e sui dispositivi legali a favore delle persone vittime di tratta. Nel 2001, le chiamate ricevute sono state 692, di cui il 52% da parte di donne sfruttate, il 34% da clienti e/o amici e il restante 14% da operatori e operatrici di servizi e di istituzioni che chiedevano consulenza. A questo servizio lavorano: 1 assistente sociale albanese, 1 educatrice rumena, 1 educatrice italiana, 1 consulente legale, 1 supervisore psicologo; attività di rete è mirata al coinvolgimento e al raccordo dei soggetti e dei servizi coinvolti, a livello territoriale (amministrazioni locali, Forze dell’Ordine, istituzioni sanitarie, enti di formazione), nazionale ed internazionale (altri progetti, coordinamenti, istituti di ricerca, paesi di origine) nelle attività progettuali; tale attività prevede inoltre lo scambio e il confronto di buone pratiche di intervento nel campo della prostituzione e della tratta; attività di formazione e di supervisione per garantire un costante aggiornamento e approfondimento sui temi della prostituzione e la tratta agli operatori e alle operatrici. Problemi e proposte di cambiamento L’integrazione rispetto al gruppo dei pari, in particolare dell’altro sesso, é tra le difficoltà maggiori sperimentate da Lule nel realizzare progetti ad hoc per minori. Gli operatori e le operatrici hanno infatti sottolineato che, osservando le minori accolte, si è notato che, a causa del loro timore di essere messe “a confronto” con coetanee/i italiane/i, esse tendono a preferire l’attivazione di rapporti con altri pari stranieri riproducendo modalità relazionali già sperimentate in passato. Tale tendenza può rappresentare un rischio in quanto potrebbe favorire per un eventuale nuovo contatto con il contesto di provenienza da cui le minori sono state allontanate sia perché impedisce loro di sperimentarsi in altri ambiti. E’ per questa ragione che l’équipe ritiene che un progetto indirizzato a persone minori debba prevedere azioni specifiche rispetto alla socializzazione e all’aggregazione con il gruppo dei pari. Partendo dal presupposto che tale target é portatore di bisogni e di istanze distinte rispetto a quelle del target adulto, prevedere azioni mirate potrebbe favorire un processo più veloce di integrazione culturale e relazionale nella società di accoglienza. L’esperienza maturata nell’implementazione della comunità “Diana” dimostra inoltre che privilegiare l’inserimento di minori in gruppi numericamente ristretti contribuisce a costruire più rapidamente il contesto adeguato per favorire relazioni positive e supportare i processi individualizzati di inserimento. Richiedere la tipologia di permesso di soggiorno più “tutelante” rappresenta un altro nodo cruciale della presa in carico di minori. L’esperienza dell’Associazione dimostra che è preferibile, se esistono gli estremi del caso, avviare la richiesta di permesso di soggiorno per protezione sociale evitando così la possibilità che alla minore venga dato un permesso di soggiorno per affido. Quest’ultimo, infatti, non risponde alle esigenze di tutela e di inserimento del target che si vede negata la possibilità di accedere al mondo del lavoro e che rischia un rimpatrio immediato non appena raggiunta la maggiore età. Il rimpatrio, secondo l’Associazione, dovrebbe essere uno strumento da utilizzare con molta accuratezza, verificando caso per caso, in quanto il ricongiungimento con la famiglia di origine non risulta essere sempre la scelta di tutela migliore per chi, tornando a casa, può ritrovarsi ad affrontare gravi difficoltà di inserimento ed eventuali ritorsioni da parte delle organizzazioni criminali. Considerata la scarsa presenza di reti di assistenza e protezione nei paesi di origine, molto spesso rimpatriare significa rischiare di inficiare il percorso 183 di empowerment attivato in Italia. In quest’ottica, diventa ancor più rilevante realizzare corsi di formazione congiunta con i servizi sociali territoriali che hanno in carico le minori - che tendono a privilegiare lo strumento del rimpatrio - per costruire progetti di assistenza ed integrazione che tengano conto della richiesta del target di attivare percorsi di inclusione sociale e lavorativa finalizzati al raggiungimento dell’autonomia nel paese di destinazione. Il Gruppo Abele (di Torino) Cenni storici Il Gruppo Abele nasce a Torino nel 1966 quale gruppo di impegno giovanile finalizzato a fornire aiuto e supporto a persone in situazioni di disagio e a rischio di esclusione sociale. Costituitosi formalmente in Associazione nel 1974, nel corso degli anni ha sviluppato una vasta gamma di attività e di servizi diretti a tipologie di target specifici: persone tossicodipendenti, alcoliste, senza fissa dimora, con Hiv o con Aids, detenute ed ex-detenute, immigrate, minori a rischio, trafficate a scopo di sfruttamento sessuale. A distanza di tre decenni dalla sua fondazione, i settori in cui il Gruppo Abele è suddiviso (Accoglienza, Lavoro e Cultura) offrono 45 attività distinte; l’impegno e l’esperienza maturata con target diversi ha inoltre favorito la promozione e/o il supporto di una serie di associazioni su temi specifici: “Libera” (lotta alle mafie), “Lila” (Aids), “Arnica” (sostegno alle famiglie), “Aliseo” (alcoolismo). Tali attività impegnano complessivamente 110 operatori e operatrici a tempo pieno (dipendenti dall'Associazione) e circa 200 altre persone fra collaboratori/trici, volontari/e e giovani che svolgono il servizio civile. Il Gruppo Abele si è occupato di prostituzione fin dalla sua costituzione attraverso la collaborazione con l’Istituto di rieducazione femminile “Buon Pastore”, luogo in cui venivano accolte le donne che interrompevano l’attività prostitutiva. All’epoca, nel capoluogo piemontese, la prostituzione era praticata esclusivamente da persone italiane che lavoravano regolarmente in strada o che la frequentavano occasionalmente per procurarsi il denaro necessario per soddisfare bisogni specifici. A partire dagli anni ’70, a questo ultimo gruppo cominciarono ad appartenere soprattutto le giovani tossicodipendenti che si prostituivano per procurarsi il denaro per acquistare le dosi di stupefacenti, le transessuali per guadagnare il denaro necessario per sottoporsi a trattamenti o a operazioni estetiche per adeguare il proprio corpo alla propria identità di genere (o semplicemente perché prostituirsi era molto spesso l’unico mezzo di sostentamento a loro concesso) e, infine, un numero significativo di operai e di operaie in cassa integrazione o espulse dalle fabbriche locali che trovavano nella prostituzione un mezzo contingente di sopravvivenza in un periodo di grave crisi economica. Come nel resto d’Italia, anche a Torino lo scenario della prostituzione cambiò radicalmente con l’arrivo, sul finire degli anni ’80 ma soprattutto nei primi anni ’90, di donne straniere provenienti da paesi dell’ex-blocco sovietico e dell’Africa. Nel giro di poco tempo, infatti, - fatta eccezioni delle oramai poche prostitute storiche e delle tossicodipendenti italiane - le donne nigeriane, albanesi, rumene, bulgare, ucraine, moldave, russe hanno iniziato a popolare le strade della città e della periferia torinese. Tra queste, però, le nigeriane costituiscono il gruppo più numeroso, non solo a livello locale ma anche su quello nazionale al punto tale da far diventare Torino la capitale della prostituzione nigeriana in Italia. Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori 184 Negli anni ’70, il Gruppo Abele ha attivato il primo intervento a favore di donne che si prostituivano gestendo una comunità-appartamento che offriva accoglienza a chi desiderava uscire dalla strada. Le donne accolte venivano inoltre supportate nella ricerca di lavoro e di una soluzione alloggiativa alternativa. Nel corso degli anni, il Gruppo ha continuato a sostenere donne che si prostituivano che chiedevano aiuto fornendo loro accoglienza attraverso la propria rete di comunità e di famiglie volontarie di appoggio. Nel 1996, il Gruppo Abele ha istituito, in collaborazione con l’Usl 4 della Città di Torino, una unità di strada per contattare direttamente il target sui luoghi di esercizio della prostituzione e nelle aree di transito verso tali luoghi quali il Parco Pellerina e le stazioni ferroviarie di Porta Nuova e Porta Susa. Le trasformazioni che hanno caratterizzato lo scenario della prostituzione in Italia e l’avvento del fenomeno del traffico di persone a scopo di sfruttamento sessuale hanno spinto il Gruppo Abele ad elaborare strategie specifiche di contatto e di accoglienza di persone trafficate, portatrici di bisogni nuovi rispetto a quelli a cui fino a quel momento l’Associazione aveva dato risposta. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte Dal luglio 2000, il Gruppo Abele gestisce la postazione locale del Numero Verde contro la Tratta 800-290.290 e, da alcuni mesi, anche due progetti di protezione sociale finanziati dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito del Programma di assistenza e di integrazione sociale a favore di donne e minori vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Numero Verde: fin dalla prima annualità di implementazione del servizio, il Gruppo Abele è stato individuato dalla Provincia di Torino quale ente responsabile della postazione locale del Numero Verde contro la Tratta per le regioni Piemonte e Valle d’Aosta. Prima dell’avvio ufficiale e durante l’erogazione del servizio, alle operatrici coinvolte il Gruppo Abele ha fornito una formazione ad hoc suddivisa in moduli tematici: conoscenza del fenomeno; la relazione d’aiuto; le modalità di intervento; la mappa delle opportunità sul territorio locale, in Italia e all’estero. Nel corso dello svolgimento dell’attività del Numero Verde, tutte le persone coinvolte a vario titolo nell’erogazione del servizio hanno partecipato ad un incontro/confronto formativo mensile sui casi gestiti e una riunione di aggiornamento trimestrale con le altre agenzie pubbliche e del privato sociale attive in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta nell’ambito dell’attività di assistenza e protezione delle vittime di tratta. Infine, il personale è stato costantemente aggiornato su eventuali nuovi strumenti legislativi e operativi posti in essere (uscita di circolari ministeriali, bandi, materiali informativi, risorse formative, etc.). Diversamente dalla maggior parte delle altre postazione locali, il Gruppo Abele ha strutturato il servizio in tre unità distinte ma interconnesse. Infatti, oltre alla gestione della postazione telefonica, il progetto del Numero Verde regionale ha attivato anche l’attività di accompagnamento ai servizi del target e l’attività di coordinamento. Le altre postazioni territoriali, invero, o sono direttamente gestite da associazioni o enti che gestiscono progetti art. 18 (e quindi erogano servizi di pronta accoglienza, segretariato sociale, counselling psicologico, legale, etc.) o fungono da nodo di collegamento dei servizi offerti dalla rete dei progetti locale e nazionale. Accoglienza: verificate le risorse esistenti sul territorio e rilevati i conseguenti bisogni, il Gruppo Abele ha attivato tipologie alloggiative specializzate quali: - 1 casa di fuga (“Comunità Gabriela”): in grado di rispondere all’eventuale necessità di pronta accoglienza raccolta dall’èquipe del Numero Verde. Aperta 24 ore su 24, 7 giorni su 7, la struttura offre uno spazio di prima accoglienza e la possibilità di prendersi una riflessione per decidere se lasciare l’attività prostitutiva coatta e, eventualmente, attivare un percorso di 185 - - inserimento sociale. Aperta anche alle donne in difficoltà che subiscono violenza (e ai loro figli o figlie), la comunità - che può ospitare fino ad un massimo di 7 persone - è gestita da una operatrice a tempo pieno, da un operatore a tempo parziale e da un gruppo di volontari/e, con il supporto di mediatrici culturali. L’équipe si riunisce settimanalmente con la referente della comunità, l’unità di accoglienza e un rappresentante dell’Ufficio Stranieri del Comune. E’ inoltre prevista una supervisione quindicinale con tutta l’équipe. 1 casa di autonomia (“Progetto Patricia”): per coloro che hanno già attivato da tempo un percorso di “sganciamento” dal mondo della prostituzione e sono in attesa dei documenti necessari (permesso di soggiorno, tessera sanitaria, libretto di lavoro, etc.) per poter consolidare il loro progetto di vita personale e professionale ed avere così le risorse individuali ed economiche necessarie per trovare una soluzione abitativa autonoma. La casa di autonomia permette, da un lato, di favorire il processo di autonomizzazione delle donne, dall’altro, di aumentare la disponibilità alloggiativa delle strutture di prima e seconda accoglienza presenti sul territorio. La disponibilità alloggiativa prevista é per 4-5 persone. Gli operatori e le operatrici sono presenti nella struttura durante le ore preserali e serali e sono reperibili durante le ore notturne. Durante il giorno, sono impegnati a supportare le utenti nell’individuazione di attività formative e/o lavorative, nell’accompagnamento all’inserimento professionale, nel caso fosse già in corso, e nella ricerca di risorse alloggiative. Il Gruppo Abele ritiene di fondamentale importanza aiutare le donne inserite da tempo nei percorsi previsti dai progetti art. 18 a trovare soluzione abitative alternative alla comunità (“Progetto Dentro la città”). Fermo restando la necessità di valutare caso per caso i bisogni individuali specifici, una lunga permanenza all’interno di una struttura di accoglienza può innescare meccanismi di sfiducia e di perdita motivazionale che possono inficiare il lavoro di empowerment sviluppato con l’utente. Trovare risorse abitative adeguate che permettano alle donne di inserirsi socialmente e professionalmente nel contesto locale è diventato uno degli obiettivi principali dell’Associazione. Presa in carico e accompagnamenti: prevede l’attività di sostegno per coloro che intendono fuoriuscire da condizioni di prostituzione coatta. Attraverso la cooperazione con altre organizzazioni locali la donna viene accompagnata lungo tutto il percorso che mira a favorire la sua inclusione sociale e lavorativa in Italia. In questa fase, si sostiene l’utenza nello sviluppo di knowhow relazionali e gestionali che le possono permettere un migliore inserimento nella società italiana. In particolare, l’équipe si avvale della collaborazione con l’Ufficio Stranieri del Comune di Torino, dell’Associazione Tampep per la mediazione linguistico-culturale, dell’A.S.G.I. (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) per la consulenza legale, del Servizio Migranti della Caritas, del Consorzio Abele Lavoro del Gruppo Abele, dell’ASCOM, dell’Unione Artigiani per l’inserimento nel mondo lavorativo e di una serie di realtà laiche e cattoliche per l’accoglienza (Sindacati e associazioni di inquilini e proprietari di immobili) e l’attivazione di borse lavoro. Il Gruppo Abele gestisce inoltre un progetto di borse lavoro, finanziato dalla Regione Piemonte, per donne che decidono di fuoriuscire da percorsi prostitutivi e chiedono di essere sostenute nel processo di inserimento professionale. Formazione: il Gruppo Abele ha organizzato un corso di primo livello sulla prostituzione e aiuto alle vittime della tratta, finanziato dalla Regione Piemonte. Il corso ha registrato un successo molto significativo testimoniato dall’elevato numero di persone iscritte: 700 tra operatori ed operatrici sociali, sanitari, giudiziari e singoli individui a vario titolo interessate alle tematiche proposte. Pubblicazione di periodici e libri: è da anni una delle principali attività del Gruppo Abele finalizzata all’analisi e alla denuncia di una serie di tematiche tra cui la prostituzione e il traffico di persone a scopo di sfruttamento sessuale. A partire dal 1983, infatti, attraverso il periodico ASPE, è stata 186 puntualmente registrata l’evoluzione del fenomeno in Italia e in Europa. Recentemente, inoltre, sono stati pubblicati dei libri specifici sul tema della tratta e sugli strumenti legislativi implementati per contrastarla. Lavoro di rete: al fine di ottimizzare e condividere le risorse presenti sul territorio, il Gruppo Abele ha stabilito delle collaborazioni con una serie di associazioni e di enti che, nella maggioranza dei casi, gestiscono o collaborano all’implementazione di progetti art. 18 quali: A.s.g.i., Tampep, Ufficio Migranti Caritas, Comunità Liberazione e Speranza di Novara, Associazione Giovanni XXIII di Cuneo, Progetto Integrazione Accoglienza Migranti di Asti Onlus, La Bottega del Commercio Equo-Solidale di Novi Ligure, Il Consorzio delle Cooperative Sociali di Ivrea, Croce Rossa Italiana (Centro di accoglienza temporanea per stranieri), Alma Mater, Un Progetto al Femminile. Ha inoltre stabilito dei contatti significativi con realtà di Cuneo, di Asti, di Alessandria, di Ivrea, di Novi Ligure e di Novara. Punti nodali della rete sono inoltre i rappresentanti delle forze dell’ordine e degli enti locali del territorio ma anche la rete dei progetti art. 18 presenti in Italia. Infine, è da ricordare che il Gruppo Abele aderisce ad una serie di reti quali: C.n.c.a., Lila, Banca Etica, Beati i costruttori di Pace, Commercio Equo e Solidale, Libera, C.i.c.a., M.a.g., Centro Italiano di Mediazione, Forum Regionale del III° Settore, Coordinamento Regionale degli Enti Ausiliari. Inoltre, il Gruppo Abele fa parte del Gruppo ad hoc del C.n.c.a. sulla prostituzione e tratta delle persone e del Coordinamento Nazionale Caritas contro la tratta. Problemi e proposte di cambiamento Le prostitute minorenni, secondo i dati forniti dal Numero Verde locale, rappresentano circa il 10% della collettività delle persone che si prostituiscono a Torino. Si tratta di una percentuale variabile che, pur tuttavia, desta preoccupazione tra gli operatori e le operatrici che lavorano sul campo. Alle minorenni, viene ribadito, è necessario assicurare un intervento ad hoc che tenga conto dei bisogni specifici di un target particolarmente “vulnerabile” a cui bisogna garantire un costante lavoro di accompagnamento e di maternage. Il Gruppo Abele è in procinto di aprire due comunità per minori vittime di varie forme di abuso e di sfruttamento in cui verranno ospitate anche minori vittime di tratta. L’Associazione ritiene fondamentale istituire forme di accoglienza “miste” in quanto considera “ghettizzante” creare comunità rigidamente suddivise per target specifici (ad esempio: solo per minori a rischio, minori e donne vittime di violenza domestica, minori e donne vittime di sfruttamento sessuale, etc.). Preferisce perciò inserire le persone vittime di tratta in comunità per donne che hanno subito violenza anche per dare uno spiraglio, una possibilità di confronto e di accomunamento basata non tanto sull’esperienza della prostituzione ma sull’aver subito una violenza. Le minori necessitano di una struttura comunitaria perché hanno bisogno di essere accolte, seguite, rinforzate. L’inserimento in famiglia viene considerata come una soluzione possibile, da valutare attentamente in base al singolo caso ma che, soprattutto, deve garantire la disponibilità di una famiglia molto preparata, in grado di affrontare e gestire la relazione con una minore. Particolarmente indicata per le minori di 17 anni, quasi 18, viene considerato l’inserimento in una casa di accoglienza di autonomia collocata all’interno di una comunità di famiglie che garantisce un supporto e una genitorialità diffusa. Si tratta di un modello di intervento basato sull’apporto delle “famiglie di vicinato” con cui le ragazze si confrontano pur vivendo autonomamente. Alle minori bisogna inoltre garantire una serie di servizi ed attività che tengano conto della particolare esperienza traumatica di vita subita che rischia di influenzare negativamente i progetti di vita individuali. Per tale motivo, il Gruppo Abele ritiene di fondamentale importanza servirsi di figure professionali specializzate in grado di supportare il processo di affrancamento dalle violenze 187 subite delle persone prese in carico, soprattutto quando si tratta di minori. In particolare, nel realizzare il percorso di inserimento sociale individualizzato viene auspicato l’utilizzo di etnopsichiatri in grado di trattare il trauma esperito in relazione anche alle caratteristiche della cultura di appartenenza delle minori; in questa prospettiva, il Gruppo Abele ha attivato una collaborazione significativa con gli esperti di etnopsichiatria del Centro Fanon di Torino. L’istruzione è un altro elemento che deve essere tenuto maggiormente in considerazione, da un lato, valorizzando il background scolastico delle minori accolte, dall’altro, promuovendo percorsi di alfabetizzazione e di scolarizzazione finalizzati ad un inserimento lavorativo qualificato. In questa fase effettuare un bilancio di competenze diventa indispensabile per definire in maniera adeguata gli obiettivi del progetto individuale personalizzato. Il Gruppo Abele sottolinea inoltre la necessità di realizzare interventi adeguati anche per un’altra fascia di minori: i figli e le figlie delle donne accolte nelle comunità. Si tratta di un numero di minori in crescita per cui è indispensabile progettare e implementare forme di accoglienza che rispondano ai bisogni specifici delle donne in qualità di madri e dei propri figli o figlie presi/e in carico. Le famiglie di origine rimangono una questione ancora poco affrontata negli interventi a favore di minori trafficati. Nell’indecisione di considerarle come una risorsa o un problema, le agenzie pubbliche e private del sociale preferiscono concentrarsi sul/la minore senza prendere adeguatamente in considerazione il suo contesto di appartenenza originario. Il Gruppo Abele ritiene invece opportuno, valutando caso per caso, allacciare eventuali rapporti telefonici o epistolari con i membri della famiglia di origine, tale misura infatti potrebbe costituire un elemento positivo per il ben-essere e il processo di crescita del/la minore accolto/a. L’Osservatorio sulla Prostituzione Minorile (regione Emilia Romagna) Cenni storici L'Osservatorio sulla Prostituzione Minorile, realizzato nell’ambito delle attività del progetto art. 18 Oltre la strada della Regione Emilia-Romagna, è promosso e gestito dall'Azienda Sanitaria Locale di Rimini. Attivato ufficialmente nel 2001, l’Osservatorio è espressione di un percorso progettuale avviato da anni dalla Regione nel campo delle politiche sociali rivolte ai/alle minori ed adolescenti. Fin dal primo Progetto Prostituzione (1996), la Regione Emilia-Romagna ha infatti posto un’attenzione particolare ai bisogni specifici di minori trafficati e costretti a prostituirsi fino ad arrivare ad istituire l’Osservatorio sulla Prostituzione Minorile al fine di monitorare costantemente il fenomeno e contribuire all’elaborazione di strategie e politiche di intervento per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del maltrattamento e di abuso a danno dei minori. L’Emilia-Romagna è una delle principali regioni italiane di destinazione delle persone trafficate a scopo di sfruttamento sessuale provenienti dai paesi dell’ex-blocco sovietico, dell’Europa dell’Est, dell’Africa e dell’America Latina. Molte strade centrali e periferiche delle città della regione sono popolate da donne e minori che offrono servizi sessuali ad un elevato numero di clienti. Il contesto geografico qui considerato - il riminese - presenta però caratteristiche specifiche che lo distinguono marcatamente dai territori limitrofi. Ci si riferisce, in particolar modo, all’assenza di prostituzione sulle strade della cittadina romagnola e della relativa provincia quale conseguenza diretta della forte politica di contrasto - o “tolleranza zero” - attivata dal 1998 dalla Prefettura, dalla Questura e dal Comune. Tale approccio ha portato ad eliminare la visibilità del fenomeno prostitutivo e ad 188 aumentare le forme e le modalità della cosiddetta prostituzione “al chiuso”. Specchio del mutamento avviato sono i sempre più numerosi annunci più o meno espliciti di offerta di prestazioni sessuali che compaiono sui giornali locali e l’aumento del numero di night club e club privè sulla costa e sull’entroterra riminese. Tali trasformazioni rischiano di mettere maggiormente in pericolo le condizioni di vita e di esercizio della prostituzione delle donne che vedono ridotti i propri spazi di contatto con l’esterno. Tale situazione viene ritenuta particolarmente pericolosa per le minori che, data l’esperienza inferiore, tendono ad avere molti meno strumenti di autodeterminazione rispetto alle persone adulte. I dati raccolti dal progetto regionale Oltre la strada evidenziano che nella maggioranza dei casi l’età media delle persone attive nel campo della prostituzione in Emilia-Romagna è compresa tra i 18 e i 24 anni (59% dei casi), mentre una percentuale inferiore (24%) è rappresentata da persone con un’età compresa tra i 25 e i 29 anni, le persone minorenni invece costituiscono il 7% delle presenze rilevate in strada. Si tratta in particolar modo di ragazze provenienti dall’Albania e, in misura inferiore, dalla Nigeria, Romania e Ungheria. Rimini è stata scelta quale sede dell’Osservatorio in virtù della consolidata esperienza del Servizio Minori dell’ASL che da molti anni si occupa di minori che hanno subito un abuso. Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori Tappa decisiva per rafforzare l’idea della necessità di istituire l’Osservatorio sono stati i dati forniti e le esigenze emerse durante il Seminario di approfondimento tra esperienze operative sulla prostituzione minorile tenutosi a Rimini il 24 ottobre 1999. Organizzato dall'ASL e dal Servizio Politiche per l'Accoglienza della Regione Emilia-Romagna, al seminario hanno partecipato operatori ed operatrici dei servizi pubblici, del privato sociale, del volontariato, funzionari/e dei Ministeri degli Affari Esteri, dell'Interno, di Grazia e Giustizia, delle Pari Opportunità, autorità locali, il presidente dell'Osservatorio Nazionale sull'Infanzia e l'Adolescenza, dell'Istituto degli Innocenti di Firenze. L’Osservatorio, quindi, si configura come una delle azioni innovative implementate nell’ambito del progetto regionale Oltre la strada, che rappresenta una delle principali reti di interventi strutturati e diversificati presenti in Italia. Il radicamento e l’articolazione del progetto sul territorio permette all’Osservatorio di raccogliere e sistematizzare informazioni, modelli e pratiche di lavoro in maniera funzionale agli obiettivi stabiliti. L’ASL di Rimini in collaborazione con i/le rappresentanti del Comitato di pilotaggio del progetto Oltre la strada ha individuato la necessità di predisporre uno strumento di monitoraggio costante del fenomeno della prostituzione minorile partendo dal presupposto che era necessario conoscerne meglio le caratteristiche per attivare interventi mirati ai bisogni specifici dei/delle minori. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte Al fine di individuare gli obiettivi e le attività adeguate da implementare attraverso l’Osservatorio sulla Prostituzione Minorile, l’Azienda USL di Rimini ha promosso la creazione di un gruppo di lavoro qualificato (Comitato tecnico scientifico) composto da rappresentati di istituzioni e di agenzie specializzate negli interventi a favore di minori quali: - Servizio Politiche per l'accoglienza e l'integrazione sociale - Regione Emilia-Romagna; Servizio Politiche familiari per l'infanzia e l'adolescenza - Regione Emilia-Romagna; Tribunale per i Minorenni dell'Emilia-Romagna; Ministero per la Solidarietà Sociale della Presidenza del Consiglio dei Ministri; 189 - Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Istituto degli Innocenti di Firenze; Università degli Studi di Bologna; Università degli Studi di Torino; Terre des hommes. Volendo contribuire in maniera sistematica e scientifica a raggiungere una maggiore conoscenza, sia a livello quantitativo che qualitativo, del fenomeno della prostituzione minorile in Italia, il Comitato tecnico scientifico ha individuato le seguenti tipologie di azioni che l’Osservatorio deve implementare: Costituzione di una banca dati: _ _ Individuazione, raccolta e archiviazione sui dati relativi al fenomeno (Archivio minori); Individuazione, raccolta e archiviazione dei dati relativi alle agenzie pubbliche e private che svolgono attività di accoglienza e presa in carico (Archivio degli Enti/Associazioni/Ong). Per svolgere tale attività è stata assunta 1 consulente laureata in scienze statistiche. Raccolta della documentazione: _ Individuazione, raccolta e catalogazione di monografie, articoli e letteratura grigia (ricerche, atti di convegni e seminari, etc.); _ Individuazione, raccolta e catalogazione della legislazione nazionale, regionale ed internazionale; _ Individuazione, raccolta e catalogazione degli interventi effettuati a livello locale da enti pubblici e terzo settore. Monitoraggio e implementazione dell’informazione: _ _ _ Rassegna stampa periodica; Creazione di un sito web per la diffusione dei materiali raccolti e per lo scambio di informazioni tra utenti; Pubblicazioni: segnalazioni bibliografiche e di atti seminariali. Realizzazione di ricerche/azioni: _ _ Ricerca sull’applicazione della legislazione penale (Legge 66/96, Legge 269/98); Ricerca sullo sfruttamento sessuale dei/delle minori, sugli interventi di protezione sociale e sulle prassi amministrative adottate sul territorio nazionale attraverso l’analisi di alcune aree campione quali: costa romagnola, zona marchigiano-romagnola, Roma, Lecce, Napoli, Palermo e Torino. In qualità di coordinatrice del progetto è stata nominata 1 assistente sociale dell’ASL di Rimini già referente, fin dalla sua istituzione, del Progetto Help (espressione locale del progetto regionale Oltre la Strada), la quale è coadiuvata da un consulente laureato in pedagogia. Problemi e proposte di cambiamento 190 L’Osservatorio sulla Prostituzione Minorile è un’attività di recente istituzione e, di conseguenza, risulta prematuro valutare i risultati della sua implementazione. Si è scelto di presentare il progetto e le azioni in fase di realizzazione in quanto si tratta dell’unica esperienza italiana censita che si è posta come obiettivo specifico l’identificazione e il monitoraggio costante del fenomeno della prostituzione minorile, praticata sia sulle strade che in luoghi chiusi. L’Osservatorio permetterà di elaborare analisi più articolate e consentirà - attraverso le informazioni e i dati raccolti - di progettare e sperimentare strategie e strumenti di intervento mirati alle esigenze del target considerato. In questa sede, si ritiene altrettanto interessante riportare l’esperienza maturata dall’Azienda Sanitaria Locale di Rimini rispetto alle attività rivolte alle minori prostitute. L’ASL, come già precedentemente ricordato, si occupa da anni di tale tematica in quanto servizio territoriale competente e quale nodo della rete del progetto prostituzione regionale. Dal 1996 al 2001, le minori prese in carico sono state 15, in maggioranza di origine albanese. La segnalazione al servizio viene generalmente effettuata dalle forze dell’ordine, dal Tribunale dei Minori, dalla rete locale dei progetti locali o da quella nazionale. Attraverso una convenzione stipulata con l’Associazione Papa Giovanni XXIII, le minori vengono accolte in case-famiglia o inserite direttamente in famiglia. Si privilegiano le strutture che ospitano donne in difficoltà in generale e non solamente donne fuoriuscite da percorsi prostitutivi, tale scelta è motivata dalla volontà di offrire un contesto di inserimento più articolato che si ritiene meno “ghettizzante”. Attraverso colloqui di orientamento vengono quindi elaborati progetti individuali di inserimento in cui vengono stabiliti percorsi scolastici e/o formativi o lavorativi in base all’analisi del bilancio di competenze effettuato con l’utente. Considerate le caratteristiche dell’area geografica di inserimento, i corsi di formazione professionali riguardano soprattutto l’ambito alberghiero, di ristorazione e turistico, settori che permettono un’alta percentuale di inserimento diretto nel mercato del lavoro locale. Per chi preferisce attivare direttamente un percorso lavorativo vengono offerte delle borse lavoro. L’esperienza maturata fino ad oggi mette in luce la necessità di avviare programmi individualizzati che tengano conto, da un lato, delle esigenze specifiche dei/delle minori e, dall’altro, dei bisogni della singola persona presa in carico. La referente del progetto intervistata ha sottolineato infatti l’esigenza di offrire diverse tipologie di accoglienza e di inserimento sociale, educativo e professionale partendo dall’analisi dei bisogni e delle competenze sociali e educative di ogni singola persona. In questa ottica, viene suggerito l’inserimento strutturale nelle équipe di lavoro di operatori/trici specializzate in ambito clinico-terapeutico in grado di supportare le varie fasi del percorso individuale attivato. Il lavoro svolto nei 6 anni di implementazione del progetto ha beneficiato in termini positivi del rapporto di collaborazione, pre-esistente e consolidato da anni, tra il Servizio minori dell’ASL, il Tribunale dei Minori e il Giudice tutelare di Rimini. Risulta essere buono anche il rapporto con il Servizio Sociale Internazionale quale referente per eventuali rimpatri assistiti e punto di raccolta delle informazioni sulle famiglie dei paesi di origine. Mentre attraverso questo organismo sono state contattate le famiglie in Albania, è risultato impossibile stabilire dei contatti con le famiglie di origine in Nigeria. Tale difficoltà a volte rende difficile l’adempimento delle pratiche burocratiche necessarie per attivare il percorso di inserimento individuale. Ad esempio, il mancato reperimento della documentazione scolastica che attesti la frequenza regolare di almeno 9 anni di scuola nel paese di origine non consente all’utente di accedere a corsi di formazione professionale in Italia. Individuare canali e strumenti per garantire contatti diretti e proficui con le famiglie (dopo un’attenta valutazione e se ritenuti auspicabili dalle utenti) e le istituzioni dei paesi di origine diventa un elemento imprescindibile per il buon esito di un percorso individuale. 191 Nonostante venga valutato positivamente il rapporto con esse instaurato, alle forze dell’ordine viene sollecitata una maggiore attenzione nell’individuazione della minore età. Sono stati registrati casi, infatti, in cui - contrariamente a quanto prevede la normativa italiana - alcune minorenni sono state incarcerate. Determinare l’età della persona straniera fermata risulta essere un problema da più parti segnalato a cui gli attuali strumenti utilizzati non rispondono in maniera adeguata. L’esame radiografico del polso non rivela infatti l’età anagrafica precisa della persona in quanto non tiene conto della sua costituzione fisica specifica. Capita così che delle minorenni vengano schedate come maggiorenni e, viceversa, delle maggiorenni come delle minorenni e, conseguentemente, si rischia di attivare delle misure non rispondenti ai diritti sanciti dalla legislazione italiana in vigore. Diventa fondamentale perciò - come sottolineato dalla responsabile del progetto - che la Questura, in quanto istituzione preposta a farlo - adotti tecniche e strumenti di identificazione più sofisticati in grado di determinare in maniera corretta l’età della persona e, di conseguenza, attivare misure di tutela e protezione appropriate. Rispetto alla minore età, poi, è stata sottolineata la necessità di tenere conto della variabile culturale di fronte a minori provenienti da culture altre. Pur nel rispetto dei diritti sanciti dalle normative nazionali ed internazionali, l’équipe dell’Azienda Sanitaria di Rimini ricorda infatti che è doveroso conciliare la tutela, che deve essere garantita a minori in base alle leggi vigenti, con aspetti di tipo culturale e situazioni individuali (ad esempio, l’esistenza di figli/e nei paesi di origine). Se non si tengono in considerazione le diverse variabili necessarie per una corretta valutazione di ogni singolo caso, considerando anche lo scarto esistente tra il concetto giuridico di minore età e la realtà effettiva, si rischia di attivare percorsi individuali non rispondenti ai reali bisogni della persona presa in carico. Associazione On the Road (di Martin Sicuro, AP) Cenni storici L’Associazione On the Road nasce a Martinsicuro (Teramo) nel 1990, anno in cui un gruppo di volontari e volontarie iniziarono a stabilire i primi contatti con le persone che si prostituivano in strada per individuare i loro bisogni e promuovere comportamenti finalizzati alla prevenzione sanitaria e offrire opportunità di uscita dalla prostituzione e dallo sfruttamento e percorsi di inserimento sociale. Gli obiettivi principali perseguiti dall’Associazione sono l’abbassamento dei rischi e la riduzione dei fenomeni di disagio connessi all’esercizio della prostituzione e l’attivazione di un processo di empowerment mirato all’autotutela e all’autodeterminazione di persone spesso non consapevoli dei propri diritti sociali e civili e, in molti casi, soggette a forme di violenza e sfruttamento. Il target principale a cui si rivolge On the Road è rappresentato soprattutto da donne e minori immigrate provenienti dall’Albania (26%), dalla Nigeria (25%), dai paesi dell’ex-Unione Sovietica e dell’Est Europa (28%) e dell’America Latina (3%), ma anche da travestiti, transessuali (4%) e, in misura minore, prostitute locali (sex workers di una certa età o tossicodipendenti). Dai dati rilevati dalle Unità di Strada dell’Associazione, risulta che nel territorio delle regioni Marche, Abruzzo e Molise si alternano nell’arco di un anno circa 700-800 prostitute extracomunitarie (di cui almeno 450 in strada, 150-200 in appartamento e 100-150 in locali notturni). Il territorio in cui l’Associazione opera è particolarmente vasto comprendente tre differenti regioni (Marche, Abruzzo e Molise). Il contatto con il target viene effettuato nei principali luoghi di prostituzione dei comuni della Vallata del Tronto (Spinetoli, Castel di Lama, Colli del Tronto, Castorano, Monteprandone, Offida, Folignano, Monsampolo, Appignano, Castignano), della costa adriatica (San Benedetto del Tronto, Grottammare, Porto San Giorgio, Fermo, Porto Sant’Elpidio, Sant’Elpidio a Mare), della 192 provincia di Macerata (soprattutto Civitanova Marche), delle province di Teramo (Martinsicuro, Colonnella, Controguerra, Ancorano, Alba Adriatica, Corrosoli, Neretto, Sant’Egidio alla Vibrata, Sant’Omero, Torano Nuovo, Tortoreto, Silvi Marina), Chieti (Francavilla al Mare), Pescara (Montesilvano, Pescara), dell’area di Termoli e zone limitrofe. Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori Da una prima fase caratterizzata esclusivamente dal lavoro di strada di poche persone volontarie, On the Road è ora diventata una struttura qualificata di riferimento in grado di progettare e fornire una gamma articolata di interventi gestiti da operatrici ed operatori professionali specializzati coadiuvati da personale volontario. Nel corso degli anni, infatti, l’Associazione ha creato servizi e metodologie di lavoro specifiche per l’accoglienza, l’accompagnamento, l’orientamento, la formazione e l’inserimento socio-lavorativo delle persone prese in carico. Il target principale dell’Associazione è rappresentato prevalentemente da donne straniere maggiorenni ma esiste anche una percentuale minoritaria di minorenni. Nel corso del 2001, sono stai effettuati 4.672 contatti su strada, 650 accompagnamenti ai servizi, seguiti 77 programmi di protezione sociale. L’Associazione ha ritenuto necessario elaborare programmi di protezione sociale individualizzati distinti per minorenni. A queste, infatti, si tende a proporre un’accoglienza presso una famiglia piuttosto che in una struttura dell’Associazione in quanto l’ambiente sociorelazionale offerto da una famiglia opportunamente formata viene ritenuto più adeguato alle esigenze di una minorenne in difficoltà. Tale sistemazione viene comunque valutata caso per caso dall’èquipe di psicologhe in quanto ogni minore presenta esigenze e bisogni specifici che vengono tenuti i considerazione. Rispetto alle attività formative ed occupazionali, sempre in accordo con la minore interessata, l’Associazione valuta la possibilità di attivare percorsi di studio (scuola dell’obbligo e corsi professionali) piuttosto che inserire direttamente la minore al lavoro. In base all’esperienza maturata, l’Associazione ha ritenuto infatti più efficace - sul medio-lungo periodo - tale scelta per offrire uno spettro più ampio di possibilità socio-professionali alle minori prese in carico. Negli ultimi anni, si è registrato anche un incremento del numero di figli/e al seguito delle donne accolte. Anche per questi minori, l’Associazione ha cercato di sviluppare delle azioni specifiche per garantire loro e alle madri un’accoglienza adeguata e l’attivazione dei servizi socio-sanitari necessari. In particolare, si è destinata una struttura di On the Road all’accoglienza specifica di donne con minori. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte Dal 1994, On the Road si è formalmente costituita in Associazione di volontariato iscrivendosi all’Albo Regionale del Volontariato dell’Abruzzo e, dallo stesso anno, aderisce al Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (C.N.C.A.); dal 1998, é membro del Comitato di coordinamento delle azioni di governo contro la tratta di donne e minori a fini di sfruttamento sessuale, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri; nello stesso anno, l’Associazione si è fatta promotrice del Tavolo di Coordinamento Nazionale sulla Prostituzione e la Tratta e della costituzione del Gruppo ad hoc del C.N.C.A. sulla Prostituzione e la Tratta. Inoltre, dal 2000, l’Associazione è iscritta nella Terza Sezione del Registro di enti e associazioni che svolgono attività a favore degli stranieri immigrati ai sensi dell’art. 42 del D.Lgs. 286/98 “Testo unico delle 193 disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, e dell’art. 54 del relativo “Regolamento di attuazione”. L’Associazione On the Road collabora da tempo con una serie di Enti pubblici e agenzie del privato sociale il cui numero, nel corso degli anni, è andato sempre più aumentando. Negli anni ha costruito importanti reti di lavoro a livello locale, nazionale ed internazionale finalizzate alla realizzazione di attività di sensibilizzazione, formazione, ricerca e di orientamento di politiche e strategie locali e nazionali nel settore della prostituzione e della lotta al traffico di persone a scopo di sfruttamento sessuale. Le attività dell’Associazione sono rese possibili attraverso il finanziamento di progetti che vengono presentati nell’ambito di bandi pubblici di enti ed istituzioni a livello locale (Comuni, Province e Regioni), nazionale (Ministero del Lavoro, Dipartimento Affari Sociali, Dipartimento per le Pari Opportunità, Ministero della Sanità) ed europeo (Comunità Europea e Commissione Europea). In particolare, la collaborazione con i principali enti locali di riferimento e gli attori del territorio é stata consolidata attraverso il finanziamento dei progetti di assistenza e protezione sociale a favore di vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale, previsti dall’art. 18 del D.Lgs. 286/98. La rete costruita vede infatti la partecipazione di una serie articolata di soggetti quali enti locali, servizi socio-sanitari territoriali, forze dell’ordine, Comitati per l’ordine pubblico, organizzazioni non profit (associazioni locali e rete dei progetti art. 18 e delle postazioni locali del Numero Verde contro la Tratta presenti su tutto il territorio nazionale), enti di formazione ed istruzione, associazioni datoriali di categoria e sindacati, famiglie affidatarie, ex-clienti e/o partner, soggetti privati e cittadinanza. Inoltre, ha rafforzato la collaborazione con altre reti di cui da tempo fa parte, coltivato importanti contatti con organizzazioni ed istituzioni europee e allacciato rapporti con i paesi di origine e le ambasciate delle utenti al fine di richiedere documenti, contattare le famiglie ed organizzare percorsi di rimpatrio. Le attività progettuali vengono realizzate da équipe specializzate suddivise in aree di intervento specifiche. Il numero totale delle persone che lavorano per l’Associazione sono 35, a cui vanno aggiunti/e circa 40 volontari/e. Per alcune attività è prevista anche la costituzione di team misti operanti in azioni trasversali. Le principali attività implementate da On the Road, attraverso l’utilizzo di un approccio globale e integrato, sono le seguenti: Lavoro di strada e segretariato sociale finalizzato alla riduzione dei danni e dei rischi a cui le donne sono sottoposte nell’esercizio della prostituzione. Tale obiettivo viene perseguito attraverso la creazione di una relazione di fiducia, la diffusione di informazioni e materiale sanitario e di orientamento all’accesso ai servizi socio-sanitari territoriali e ai percorsi di uscita (nelle varie lingue di origine del target), l’offerta di aiuto e di accompagnamento ai servizi. Le unità di strada svolgono un importante ruolo di monitoraggio del fenomeno; di sensibilizzazione e di raccordo con i servizi territoriali; di raccolta dati e di coinvolgimento di attori-chiave per l’attuazione di ricerche-azioni sulla prostituzione sommersa e sui clienti. Le unità di strada operative sono 3: una nell’area centrale marchigiana (Fermano, Porto Sant’Elpidio, Sant’Elpidio a Mare e Civitanova Marche); una nell’area meridionale marchigiana (Grottammare, San Benedetto, Vallata del Tronto) e settentrionale dell’Abruzzo (Bonifica e territorio Val Vibrata); e, infine, una nell’area centrale abruzzese (Pescara, Silvi Marina, Montesilvano, Francavilla al Mare). Il lavoro di strada viene sviluppato da un’équipe specializzata composta da 1 coordinatrice, 7 operatori/operatrici, 3 mediatrici interculturali (1 albanese, 1 ucraina e 1 nigeriana), volontari/e. Il lavoro viene inoltre accompagnato da una valutatrice e da un supervisore esterni. Drop-in centers: svolgono l’importante ruolo di punto di incontro tra il target finale, i servizi territoriali e la comunità locale. Funzionali a promuovere sia una maggiore conoscenza dei propri diritti da parte del target finale sia una maggiore sensibilizzazione rispetto ai temi dell’esclusione sociale di fasce deboli da parte della collettività, i drop-in centers attraverso figure professionali 194 diversificate forniscono una vasta gamma di offerte e di servizi differenziati: informazione (sanitaria, sui diritti, sui servizi, su altre tematiche di interesse); accompagnamento ed educazione all’accesso ai servizi socio-sanitari; consulenza psicologica; consulenza e assistenza legale; orientamento all’uscita; orientamento ed eventuale avvio rispetto ai programmi di assistenza e integrazione sociale; spazio relazionale e di aggregazione per lo sviluppo di attività di socializzazione; spazio per incontri tematici su salute, diritti, alimentazione, problematiche abitative, accesso ai servizi del territorio, etc. I drop-in center attivati dall’Associazione sono 4, così distribuiti sul territorio: 1 a Porto Sant’Elpidio (area costiera centro Marche); 1 a Martinsicuro (area sud Marche e nord Abruzzo); 1 a Pescara (area Pescara); e 1 a Grottammare. L’équipe che opera nell’ambito dei 4 sportelli è composta da operatori/operatrici, mediatrici dell’Unità di Strada, psicologhe e orientatrici, consulenti legali. Presa in carico, accoglienza e accompagnamento all’autonomia: nel corso degli anni di lavoro e sperimentazione, On the Road ha messo a punto dei modelli di accoglienza differenziati di cui le donne e le minori accolte possono beneficiare. Partendo dal presupposto che è necessario fornire risposte diversificate di accoglienza a persone che presentano caratteristiche e bisogni specifici anche in base alle fasi del percorso di fuoriuscita dalla prostituzione e all’inclusione sociolavorativa in cui si trovano, l’Associazione ha attivato le seguenti tipologie di accoglienza: alloggio di emergenza; case di fuga; case di accoglienza intermedia; case di autonomia; accoglienza presso famiglie; presa in carico territoriale. Lungo tutto il periodo di presa in carico, indipendentemente dalla modalità di accoglienza offerta, alle donne vengono erogati una serie di servizi e proposte attività quali: co-elaborazione di progetti individualizzati di autonomia; protezione e tutela; vitto e alloggio; mediazione linguistico-culturale; assistenza sanitaria; assistenza psicologica; sostegno relazionale; supporto all’eventuale denuncia; consulenza e assistenza legale e regolarizzazione; socializzazione; attività educative e formative; alfabetizzazione della lingua italiana; laboratori di creazione/produzione; orientamento; avvio di percorsi di inserimento socio-occupazionale. L’équipe dell’Accoglienza è composta da 1 responsabile di settore, 2 operatrici con funzioni di coordinamento, 10 operatrici professionali, 1 orientatrice, 15 volontari/e, 1 valutatrice, 1 supervisore, 1 consulente legale. Orientamento, formazione e inserimento socio-lavorativo: mirato all’inclusione sociale e lavorativa delle donne prese in carico, tale attività prevede una serie di azioni quali orientamento, formazione di base, formazione di medio-lungo periodo, formazione pratica in impresa, inserimento diretto nel mondo del lavoro. L’Associazione ha sviluppato negli anni una serie di modelli e di strumenti di intervento diversificati e flessibili in questo specifico ambito lavorativo che sono diventati buone pratiche a livello nazionale (cfr. formazione pratica in impresa). L’èquipe specializzata in questo settore è composta da 1 responsabile di settore, 1 tutor di intermediazione, 1 consulente legale. Nel corso del 2001, le donne che complessivamente hanno beneficiato delle attività di inserimento socio-lavorativo sono state 27. Gestione della postazione locale del Numero Verde contro la Tratta (800-290.290): co-finanziato dal Dipartimento per le Pari Opportunità e dalle Province di Ascoli Piceno e di Teramo, nell’ambito delle azioni di sistema previste dal Programma di assistenza e integrazione sociale a favore delle donne vittime di traffico a scopo di sfruttamento sessuale, è un servizio di orientamento e 195 consulenza telefonica che fornisce informazioni sui servizi sociali e legali a favore di persone trafficate. L’équipe di lavoro è composta da 1 mediatrice linguistico-culturale albanese, 1 mediatrice linguistico-culturale ucraina, 1 mediatrice linguistico-culturale nigeriana. Tra il 26.07.00 e il 31.12.01, la postazione locale del Numero Verde ha ricevuto 289 chiamate, di cui il 34.4% da parte delle donne sfruttate, seguite da amici (compagne, conviventi, familiari) con il 13,5% dei casi e gli amici occasionali o i clienti che hanno segnalato la situazione nel 8,0% dei casi. Significative anche le percentuali relative alle chiamate effettuate da enti istituzionali (30,7%) e dalle postazione centrale del Numero Verde (13,5%) Attività di formazione e supervisione: al fine di garantire un costante livello di qualità dei servizi offerti, On the Road promuove e sviluppa corsi di aggiornamento per il personale interno e percorsi di supervisione attraverso l’ausilio di consulenti esterni/e. L’Associazione svolge inoltre attività di supervisione e coordinamento progettuale per altre agenzie del pubblico e del privato sociale operanti nell’ambito delle attività a favore dell’inclusione socio-professionale di soggetti ad alto rischio di esclusione. Sensibilizzazione della comunità locale e negoziazione dei conflitti attraverso il coinvolgimento diretto delle agenzie e della popolazione del territorio interessate agli ambiti di intervento dell’Associazione. Attività di ricerca, pubblicazioni e documentazione: finalizzate a cogliere e ad analizzare le continue evoluzioni dei fenomeni oggetto di intervento da parte dell’Associazione per poter sviluppare interventi adeguati alle sempre nuove forme di marginalità e di esclusione sociale. Presso la sede operativa, è stato inoltre attivato un Centro Documentazione sui temi della Prostituzione e della Tratta e sui fenomeni correlati. Problemi e proposte di cambiamento La pluriennale esperienza dell’Associazione On the Road nel campo dell’intervento a favore di donne e minori che si prostituiscono volontariamente o coattivamente ha permesso la messa a punto di progetti articolati caratterizzati da un approccio di tipo globale integrato che mette sempre al centro i bisogni della persona presa in carico. La percentuale delle minori contattate dalle varie équipe di lavoro dell’Associazione risulta essere contenuta ma essa desta comunque un certo grado di preoccupazione tra le operatrici e gli operatori, soprattutto alla luce dei nuovi scenari che sembrano profilarsi rispetto all’esercizio della prostituzione. Una politica di “tolleranza zero” nei confronti delle prostitute di strada e un inasprimento dei controlli di polizia sulle persone immigrate clandestinamente porteranno molte donne ad abbandonare i marciapiedi e a trasferirsi in luoghi al chiuso (alberghi, appartamenti, night club, saune, etc.). Ciò limiterà in maniera significativa il contatto con gli operatori e le operatrici sociali che dovranno elaborare nuove metodologie e strumenti di intervento per avvicinare il target. In questo nuovo scenario prossimo futuro, secondo le operatrici intervistate, le minorenni saranno i soggetti maggiormente a rischio, da un lato, di esclusione e, dall’altro, di sfruttamento. Diventa perciò fondamentale individuare quanto prima prassi di intervento efficaci in grado di contattare le persone che si prostituiscono al chiuso, in particolare quando si tratta di minorenni. Maggiore attenzione a non applicare il modello culturale italiano ad una cultura altra è un elemento sottolineato con forza dalle operatrici intervistate. Corsi di formazione di antropologia culturale e di etnopsichiatria rivolti ad operatori ed operatrici delle agenzie del pubblico e del privato sociale sono altamente auspicati per poter superare molti dei problemi di relazione interculturale che si 196 incontrano quotidianamente quando si lavora con persone straniere. Conoscere e comprendere i codici culturali di un’altra società permetterebbe di leggere con maggiore cura e competenza il sistema valoriale che sottende a comportamenti e a scelte che altrimenti risultano poco comprensibili perché interpretati da un punto di vista che inevitabilmente diventa etnocentrico e che, di conseguenza, produce interventi non adeguati al target preso in carico. Viene riportato come esempio proprio la diversa concezione di “minore età” legata alle varie culture di appartenenza che bisognerebbe analizzare ed interpretare per meglio capire le ragioni che portano le minori sulle strade o nei locali dei paesi occidentali. Il rimpatrio assistito deve essere uno strumento valutato con cura caso per caso onde evitare di riconsegnare la minore (o anche una donna adulta) ad un futuro incerto e ghettizzante o addirittura pericoloso se ricadesse in una nuova (o nella stessa) rete criminale di sfruttamento. Interventi diretti nei paesi di origine attraverso campagne di sensibilizzazione e azioni di supporto ad iniziative locali sono considerati necessari quali strumenti per la promozione di una cultura di genere fondata sull’autodeterminazione femminile. In questa prospettiva, viene suggerita, da un lato, l’implementazione di corsi di formazione “spendibili” sia nel paese di residenza che in quello di origine, dall’altro, la promozione di progetti di microcredito che permettano alle donne di “realizzarsi” nel paese di origine. Infine, un aspetto fondamentale sottolineato riguarda i finanziamenti pubblici di progetti di assistenza e integrazione sociale e il loro progressivo ridimensionamento nel corso degli anni. Considerati i risultati ottenuti a livello nazionale attraverso i progetti art. 18 a favore di donne e minori vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, si ritiene di fondamentale importanza riconoscere agli enti pubblici e alle agenzie del privato sociale che hanno attuato tali progetti non più il ruolo di sperimentatori ma di erogatori di servizi fondamentali e di soggetti attivi alla lotta contro il traffico di persone a scopo di sfruttamento sessuale. Ridurre le risorse destinate ai progetti di assistenza e di integrazione sociale significa non poter più dare continuità ai servizi posti in essere, ridimensionarli e, comunque, non poter più rispondere adeguatamente ai bisogni del territorio ma soprattutto di un target ad alto rischio di esclusione sociale, soprattutto quando si tratta di minori. Parsec (di Roma) Cenni storici La Cooperativa sociale Parsec inizia ad occuparsi delle tematiche relative alla prostituzione a partire dalla prima metà degli anni ’90, da un lato, attraverso la realizzazione di studi e di ricerche sul fenomeno, dall’altro, con l’implementazione di interventi rivolti direttamente alle persone che si prostituivano nelle strade dell’area romana. L’attività di ricerca ha preso ufficialmente avvio nell’autunno ‘95 quando l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) ha commissionato a Parsec la realizzazione di un’indagine conoscitiva del fenomeno della prostituzione e della tratta a scopo di sfruttamento sessuale in Italia. Condotta in collaborazione con l’Università degli Studi di Firenze, la ricerca ha contribuito a raccogliere e a sistematizzare una serie di dati che hanno permesso di effettuare - per la prima volta in Italia - un’analisi articolata delle caratteristiche e delle specificità dei fenomeni in oggetto. I risultati della ricerca sono stati presentati dall’OIM alla Conferenza di Vienna del giugno ‘96 per descrivere il quadro italiano della prostituzione e della tratta. Per quanto riguarda gli interventi diretti al target, Parsec ha iniziato a contattare “indirettamente” le donne che si prostituivano in strada a partire dal ‘94. In quell’anno infatti viene attivata un’unità mobile di strada, finanziata dal Comune di Roma, rivolta a persone tossicodipendenti e, tra queste, l’èquipe di lavoro cominciò ad incontrare diverse persone che si 197 prostituivano per procurarsi il denaro necessario per acquistare sostanze stupefacenti. Con l’arrivo in quello stesso periodo di numerose prostitute straniere, le caratteristiche e le condizioni di lavoro cambiano radicalmente fino a stravolgere completamente lo scenario della prostituzione che per anni aveva caratterizzato le strade italiane. A Roma la prostituzione di strada è un fenomeno antico che diventa particolarmente visibile negli anni ‘40 con l’arrivo dei militari americani durante la seconda guerra mondiale e che si sviluppa in maniera significativa soprattutto in seguito alla chiusura delle case chiuse, sancita dall’entrata in vigore della Legge Merlin nel ‘58. Ma è a partire dalla fine degli anni ‘80 che nella capitale la prostituzione cambia radicalmente volto dapprima con l’introduzione nel mercato desso a pagamento delle trans sudamericane e, poi, con l’arrivo delle nigeriane e, successivamente, delle albanesi e delle donne dei paesi dell’Est europeo e dell’ex-Urss. Come nelle altre aree italiane, le poche donne italiane che si prostituiscono ancora per strada o sono tossicodipendenti o sono di età avanzata. Secondo la ricerca sopra citata, le donne immigrate che si prostituivano a Roma e nelle aree circostanti sul finire degli anni ’90 erano circa 3.500, provenienti soprattutto dalla Nigeria, dall’Albania, dai paesi slavi e da quelli dell’ex blocco sovietico. Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori Parsec ha iniziato ad occuparsi operativamente di traffico degli esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale, in maniera generica, nel 1994 con l’attivazione dell’unità di strada rivolta a persone tossicodipendenti e, in modo specifico, nel 1996 attraverso l’Unità Mobile Donna diretta alle donne che si prostituivano al fine di ridurre i comportamenti sessuali a rischio. Da queste esperienze è emersa l’esigenza di implementare progetti mirati in grado di dare risposte adeguate ai bisogni del target straniero presente in diverse aree del territorio cittadino. Per rispondere a questa esigenza, nel 1998 Parsec, grazie ai fondi della Legge 309/90 messi a disposizione dal Comune di Roma, ha attivato un’unità di strada nella zona nord-est della capitale rivolta in particolar modo a donne e minori straniere e a persone transessuali. Tale attività ha permesso di mappare il territorio di intervento e quelli limitrofi (centro storico), di individuare le problematiche sociali e sanitarie connesse alle varie tipologie prostitutive (femminile, maschile, transessuale) e, infine, di avviare servizi innovativi, tra cui una linea telefonica attiva una sera a settimana rivolta alle persone transessuali (Linea trans). Tali attività hanno posto le premesse per la progettazione e la realizzazione di progetti specificatamente rivolti a donne e minori vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale, implementate a partire dall’inizio del 1999. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte Il progetto Stardust nasce nel febbraio 1999 nell’ambito delle iniziative che il Comune di Roma ha avviato per intervenire in favore delle persone che si prostituiscono e di coloro che - vittime di tratta - intendono fuoriuscire da percorsi prostitutivi coatti. Al fine di coprire un più vasto territorio possibile e di offrire una serie articolata di servizi, l’Ufficio Città Sana del V Dipartimento del Comune ha finanziato l’attivazione di tre Unità di Strada e di tre Sportelli di ascolto nel territorio cittadino, appaltati in seguito a bando a tre strutture del privato sociale: la Cooperativa Sociale Parsec, Magliana 80 e Lila. La strutturazione di tale rete di servizi è stata successivamente consolidata grazie al finanziamento dei progetti art. 18 erogati al Comune di Roma dal Dipartimento per le Pari Opportunità nell’ambito del Programma di assistenza e integrazione sociale a favore di donne e minori vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale previsto dal D.Lgs. 286/98. Parsec ha continuato ad occuparsi dell’area nord-orientale di Roma gestendo un’Unità di Strada e uno Sportello di accoglienza e orientamento. 198 Unità di Strada: operativa in tre diverse Circoscrizioni romane (VII, VIII e X), viene effettuata tre volte a settimana. L’équipe è composta dalla coordinatrice del progetto e da 5 operatrici specializzate, in maggioranza straniere, che svolgono anche la fondamentale funzione di mediazione linguistico-culturale. Ciascuna delle operatrici parla differenti lingue, sia quelle del paese di origine del target che quelle veicolari più comunemente parlate dal target (spagnolo, inglese, francese). La scelta metodologica di strutturare un’équipe multietnica si è rivelata fin da subito molto positiva in quanto permette di entrare in contatto e di costruire una relazione con i vari gruppi etnici in un lasso di tempo significativamente più ridotto. Lo Sportello informativo, basato sulla metodologia della riduzione del danno, è la sede preposta ai contatti successivi a quelli stabiliti in strada che permettono di fornire informazioni specifiche, di effettuare una decodifica della domanda espressa e di far emergere anche eventuali richieste di aiuto. E’ infatti solo all’interno della relazione di fiducia che si instaura con l’operatrice che emergono le eventuali situazioni di sfruttamento, di ricatto o di violenza vissute, per le quali si offrono sostegno legale e sociale. In questa sede è prevista la possibilità di accompagnare le donne vittime di tratta nel percorso di inclusione socio-lavorativa garantito dall’applicazione dell’art. 18, illustrando le varie opportunità di fuoriuscita dalla prostituzione e di regolarizzazione offerte attraverso il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale. Le funzioni principali dello Sportello sono dunque quelle di segretariato sociale, di ascolto, di decodifica della domanda, di consulenza medica, legale, psicologica e di orientamento verso gli altri servizi. Presso la sede stessa vengono erogati una serie di prestazioni - secondo turni settimanali - grazie alla collaborazione di medici ginecologi, di dentisti, di consulenti legali specializzati sull’immigrazione. Per le richieste di tipo sanitario - che rappresentano una parte consistente delle domande - le donne vengono inviate o, a volte, accompagnate agli ambulatori pubblici della rete comunale. Parsec ha costruito negli anni una significativa rete di collaborazione sia a livello locale che nazionale per meglio intervenire in favore delle vittime della tratta e delle persone che si prostituiscono. Sul piano nazionale essa fa riferimento in primo luogo alle associazioni e alle strutture iscritte al Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) di cui essa stessa fa parte e, in particolar modo, al Gruppo Ad Hoc sulla Prostituzione e la Tratta del CNCA; sul piano locale, Parsec collabora, da una parte, con le strutture del coordinamento cittadino sulla prostituzione e, dall’altra, con il coordinamento - esistente da molto tempo - delle strutture che si occupano della salute della popolazione immigrata. A questa rete appartengono sia l’Ospedale S. Gallicano, da più di un decennio impegnato ad erogare cure a persone straniere clandestine, sia le associazioni di volontariato e le strutture private che offrono servizi gratuiti di medicina specialistica. Rispetto all’accoglienza alloggiativa - che rappresenta uno dei nodi fondamentali per garantire una possibilità di fuga alle ragazze e alle donne che vogliono smettere di prostituirsi e liberarsi dagli sfruttatori - il progetto si appoggia ad una rete di case gestite da suore e a strutture residenziali finanziate dal Comune di Roma e amministrate da agenzie del privato sociale. Problemi e proposte di cambiamento In base ai dati raccolti dalla mappatura, dai contatti effettuati dall’unità di strada e dai servizi erogati dallo Sportello informativo, risulta che la percentuale dei minori trafficati costretti a prostituirsi sul territorio romano è relativamente bassa. Parsec, infatti, non ha fino a questo momento elaborato metodologie di intervento specificatamente rivolte a minori. Ciononostante, il gruppo di lavoro considera indispensabile approfondire la conoscenza del fenomeno del traffico di minori in quanto ritiene che esistano delle nicchie di mercato del sesso a pagamento poco visibili (e quindi difficilmente accessibili) in cui alta è la richiesta di minori e, di conseguenza, elevato è il livello di 199 sfruttamento sessuale di questo specifico target. Si sottolinea comunque la presenza di persone quasi maggiorenni (17 anni, 17 anni e mezzo) a cui vengono forniti gli stessi servizi previsti per le maggiorenni. L’èquipe di strada e dello sportello informativo ha sottolineato l’inadeguatezza delle disposizioni normative relative alla presa in carico di minorenni trafficate e sessualmente sfruttate. Di fronte alla necessità di scegliere tra l’attivazione di un percorso che prevede la richiesta di un permesso di soggiorno per minore età o di uno che consente di richiedere un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, si preferisce il secondo in quanto più tutelante per il minore che, al compimento del 18° anno di età, non si vede così costretto a far ritorno al proprio paese di origine. Approfondire la conoscenza del fenomeno del traffico di minori permetterebbe di elaborare metodologia di intervento più adeguate per un target i cui bisogni devono essere distinti da quelli delle persone maggiorenni. Se l’esperienza di violenze continue e di sottomissione a forme di coercizione caratterizza in maniera variamente trasversale le persone che si prostituiscono, di varie età ed etnie, si ritiene fondamentale costruire percorsi di accompagnamento psico-sociale soprattutto per le vittime minorenni. Queste ultime infatti sono ritenute soggetti particolarmente vulnerabili e da tutelare in quanto l’esperienza particolarmente brutale subita nella loro fase di crescita personale e di formazione della propria identità di genere, in cui non hanno ancora a disposizione strumenti interpretativi ed emozionali adeguati, può condizionare ineluttabilmente in maniera negativa la loro vita futura. Per questa ragione si consigliano, soprattutto per le minorenni, cicli di psicoterapia per aiutarle ad elaborare i propri vissuti ed affrontare in maniera consapevole e positiva i progetti di vita futuri. Infine, si ritiene importante promuovere attività di sensibilizzazione pubblica sia nei paesi di origine sia in quelli di destinazione delle minori e delle donne che si prostituiscono. Tali attività dovrebbero essere mirate a target group specifici attraverso l’utilizzo di messaggi e di strumenti ad hoc; in particolare si sottolinea la necessità di realizzare azioni di sensibilizzazione nelle scuole e presso le comunità per diffondere informazioni reali rispetto al fenomeno e alle conseguenze che esso comporta. La Dedalus (di Napoli) Cenni storici La Cooperativa Dedalus nasce a Napoli nel 1981 ad opera di un gruppo di sociologi, economisti ed operatori sociali impegnati nei campi dell’inclusione socio-professionale di soggetti ad alto rischio di esclusione, dello sviluppo dell’economia locale, della qualità dei servizi territoriali, della piccola e della media impresa. Dedalus offre servizi di progettazione e di realizzazione di studi e di ricerche negli ambiti sopra citati, attività di formazione, consulenza per piccole imprese, promozione di eventi culturali. Fin dalla seconda metà degli anni ’80, Dedalus ha sviluppato un particolare interesse per le tematiche legate all’immigrazione e all’inserimento di persone straniere nel mercato del lavoro locale realizzando studi sul tema, progettando e implementando interventi mirati al miglioramento delle condizioni socio-economiche della popolazione immigrata, ideando e gestendo corsi di ri/qualificazione professionale, erogando servizi di consulenza e orientamento. Dal 2000, la Cooperativa ha allargato il proprio bacino di intervento includendo come destinatarie finali delle proprie attività anche le persone straniere vittime di tratta e sfruttamento sessuale presenti sul territorio napoletano. 200 Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori A Napoli, la prostituzione straniera di strada viene esercitata nella zona orientale della città, nei quartieri limitrofi alla stazione ferroviaria centrale quali: Poggioreale, S. Giovanni a Peduccio, Vicaria S. Lorenzo, Mercato Pendino, Vasto. Secondo le stime della mappatura realizzata dall’unità di strada della Cooperativa Dedalus, in città sono presenti circa 450 persone straniere che si prostituiscono in loco e altre 200 che risiedono a Napoli ma che si spostano in altre aree per esercitare la prostituzione (provincia di Caserta, area Domiziana, zona pugliese). Rispetto alle nazionalità, sono maggiormente presenti persone provenienti dalla Nigeria, dall’Albania, dall’Ucraina, dalla Moldavia, dalla Romania e, in misura minore, dalla Bulgaria, dalla Macedonia, dall’Ex-Yugoslavia e dall’ex-Urss. Molto consistente risulta essere anche la percentuale delle donne provenienti da Algeria, Marocco e Tunisia, gruppi etnici poco presenti in altri territori italiani. Quest’ultima infatti risulta essere una specificità dell’area napoletana che la differenzia dagli altri centri urbani italiani. Si tratta di donne di una fascia d’età più alta (30-45 anni), che vivono con la propria famiglia, che spesso hanno figli che costringono a vivere in situazioni di clandestinità. Infine, i dati raccolti dall’Unità di strada confermano la storica presenza di transessuali, soprattutto di nazionalità italiana. La presenza di minorenni che si prostituiscono sembra essere molto bassa sul territorio napoletano; nel corso dei due anni di implementazione del progetto di assistenza e di integrazione sociale, infatti, sono state prese in carico 4 persone di età compresa tra i 16 e i 18 anni, tutte di origine albanese, di cui 3 ragazze e 1 ragazzo transessuale. Solamente due di queste utenti sono entrate in un programma di protezione sociale, una ha chiesto di ritornare nel paese di origine mentre il ragazzo, inizialmente deciso ad usufruire delle possibilità offerte dall’art. 18, ha successivamente scelto di rinunciarvi e di ritornare in strada. L’unità di strada ha registrato sporadicamente la presenza di minorenni al di sotto dei 16 anni mentre ha rilevato l’esistenza di un certo numero di persone appena al di sotto dei 18 anni che possono essere scambiate per maggiorenni, tuttavia tale impressione non è stato possibile verificarla concretamente. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte Con l’attivazione - nella primavera del 2000 - del progetto art. 18 “La gatta”, la Cooperativa Dedalus ha iniziato ad occuparsi del fenomeno della tratta di persone a scopo di sfruttamento sessuale, nell’ambito del Programma di assistenza e integrazione sociale finanziato e gestito dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Promosso e cofinanziato dal Comune di Napoli, il progetto “La gatta” si rivolge alle persone straniere che si prostituiscono, ai loro clienti, agli operatori e alle operatrici dei servizi socio-sanitari e assistenziali, agli/alle agenti delle forze di pubblica sicurezza e alla cittadinanza. Gli obiettivi principali perseguiti sono: - offrire informazioni sulla tutela della salute, in particolare per la prevenzione delle malattie trasmissibili sessualmente; promuovere l’accesso ai servizi socio-sanitari attraverso l’accompagnamento del target e la mediazione con il personale socio-sanitario; sostenere ed accompagnare processi e percorsi di autodeterminazione e di inclusione sociolavorativa delle destinatarie finali del progetto. Le principali attività promosse per il raggiungimento degli obiettivi citati sono: 201 Lavoro di strada: attraverso l’utilizzo di un’unità mobile, un’èquipe composta da operatori/trici sociali e mediatrici linguistico-culturali avvicinano il target offrendo loro opuscoli informativi sulla salute, le leggi relative alla tutela dei propri diritti/doveri, le risorse territoriali a cui accedere; distribuendo prodotti di prevenzione e riduzione del danno; e, soprattutto, attivando una relazione di aiuto. Centro di ascolto: è un luogo aperto in cui le persone possono incontrare gli operatori, le operatrici e le mediatrici linguistico-culturali per: - chiedere consigli e/o aiuto; essere accompagnate nei diversi servizio socio-sanitari e assistenziali del territorio; essere supportate nelle procedure di regolarizzazione giuridica. Casa di accoglienza: offre ospitalità e percorsi di orientamento ed inclusione socio-lavorativa a donne e minori straniere che vivono in condizioni di disagio al fine di promuovere il pieno accesso e la fruizione dei loro diritti di cittadinanza. Anche per questo servizio, è stata attivata un’èquipe di lavoro specializzata composta da operatrici sociali e mediatrici linguistico-culturali con un’esperienza consolidata nel settore dell’immigrazione. Spesso, quando si hanno casi di donne con figli o figlie minori, questi ultimi vengono seguiti anche dagli operatori di un progetto di tutoraggio e sostegno all’inclusione rivolto ai/alle bambini/e e agli/alle adolescenti stranieri/e, sempre del Comune di Napoli e gestito dall’Associazione Priscilla. Particolare attenzione è stata posta nella fase di costituzione dell’équipe di lavoro che, nelle intenzioni della cooperativa, doveva essere formata da un gruppo di professionisti/e specializzati in grado di condividere la filosofia e la metodologia del progetto e, soprattutto, capaci di gestire e rielaborare il carico emotivo delle esperienze vissute. L’équipe è costituita dal responsabile del progetto avente il compito di garantire il buon svolgimento delle attività, di curare il rapporto con la committenza e il coordinamento con i partner, seguire il funzionamento e la “manutenzione” dell’équipe; da un assistente sociale sociologo incaricato di approfondire la conoscenza del fenomeno e di verificare le capacità e le dinamiche relazionali tra gli operatori e tra quest’ultimi e il target; da un sociologo responsabile del coordinamento e della produzione dei materiali di mappatura, monitoraggio e verifica sull’andamento delle attività progettuali; da un operatore sociale preposto a coordinare le uscite dell’unità di strada e le attività ad essa connesse; da una educatrice di strada avente la funzione di raccogliere i bisogni espressi dal target, di supportare il lavoro delle mediatrici linguistico-culturali e, soprattutto, di costruire reti informali con i diversi attori del territorio; e infine da cinque mediatrici linguistico-culturali (due nigeriane, una albanese, una polacca, una marocchina) che curano la fase di aggancio e di consolidamento della relazione con le donne in tutte le diverse fasi e azioni progettuali. Al fine di mantenere costantemente aggiornate le varie figure professionali coinvolte, vengono organizzati moduli formativi su tematiche specifiche (tutela della salute, educazione alimentare, aggiornamenti sulla normativa, etc.) o si prevede la partecipazione di alcune elementi dell’èquipe a seminari formativi organizzati da altre agenzie pubbliche o private sociali. Oltre alle riunioni quindicinali di équipe, periodicamente sono previsti: il monitoraggio delle attività, l’auto-valutazione sul lavoro svolto, le supervisioni di gruppo con il supporto di figure professionali esterne. Grazie all’intenso lavoro di networking coltivato in anni di lavoro, la Cooperativa Dedalus ha esteso la rete di collaborazioni con diversi soggetti sia a livello territorio che nazionale. In particolare, per il progetto “La gatta”, è stato consolidato il partenariato con la Asl Napoli 1 che ha individuato nel Distretto 53 (territorio a più alta concentrazione della popolazione target) un presidio a bassa soglia con prestazioni afferenti all’area del Materno-Infantile ed alle branche di Pediatria, Ginecologia, 202 Dermatologia e Malattie Veneree. Sono state inoltre attivamente coinvolte altre realtà territoriali quali la Caritas, il Consorzio di cooperative sociali GESCO, l’Associazione di volontariato Priscilla che hanno messo a disposizione le diverse competenze in base alle esigenze richieste dai singolo casi. Al fine di garantire un buon livello di coordinamento e rafforzarne l’operatività, si è inteso formalizzare l’esistenza della rete attraverso la creazione di un Tavolo di coordinamento e di confronto, in particolare con funzioni di monitoraggio; la messa a regime e valutazione del servizio e dei suoi risultati; l’organizzazione di momenti di formazione/aggiornamento comuni; la produzione di relazioni periodiche. Nel corso del tempo, la rete si è ulteriormente allargata inserendo sia altri soggetti “formali” (comunità straniere, altre unità mobili, questura, etc.) sia coinvolgendo alcuni cosiddetti “operatori ed operatrici informali” (volontari/e, il barista della stazione, alcune opinion leader individuate tra il target di riferimento). Di fondamentale importanza è stata la collaborazione con solo con gli altri progetti art. 18 presenti sul territorio e la postazione locale del Telefono Verde contro la Tratta ma anche con i progetti disseminati in Italia e la postazione centrale del Numero Verde. La rete di collaborazioni attivate dalla Cooperativa Dedalus coinvolge un numero molto più elevato di soggetti tra cui, rispetto agli enti istituzionali, sono da citare il Comune di Napoli, l’Amministrazione Provinciale di Napoli, la Regione Campania, la Questura di Napoli, l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Università degli Studi di Venezia, i Comuni di Pompei, Castellammare di Stabia, Gragnano, Casalnuovo, S. Valentino, Eboli, la CGIL Campania, la Camera di Commercio, l’Istituto Professionale di Stato per i Servizi Sociali di Sarno, l’Agenzia per l’Impiego della Campania, la Società per Imprenditorialità Giovanile, l’Erfes, la Fivol, l’Ires Campania, l’Ires Nazionale e Parsec. Molti i soggetti del terzo settore con cui Dedalus lavora da tempo, tra cui si segnalano Caritas regionale e Caritas di Napoli, Movi, Comunità di S. Egidio, Legambiente, Opera Nomadi, Nea, Laboratorio Città Nuova, O’Pappece, Associazione Quartieri Spagnoli, Auser Campania, Il Pioppo, Comunità straniere presenti in Campania. Infine, la Cooperativa Dedalus aderisce alla Legacoop ed è socia del Consorzio di Cooperative Sociali Gesco Campania e dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi). Partecipa al “Comitato Cittadino permanente per i confronto e la concertazione di strategie di lotta all’esclusione sociale” del Comune di Napoli ed, infine, è riconosciuta quale “ente culturale di rilevante interesse regionale” (legge regionale 49/85). Problemi e proposte di cambiamento Nel corso dei due anni di intervento, la Cooperativa Dedalus ha riscontrato un numero molto basso di minori costretti a prostituirsi sulle strade dell’area napoletana. Ciononostante, si riconosce la necessità di identificare strumenti di lavoro adeguati per l’identificazione di quella fascia di minori che “sfuggono” durante le fasi di mappatura e di monitoraggio del target analizzato. Ci si riferisce in modo particolare al gruppo di minori comprese/i tra i 16 e i 18 anni che spesso vengono erroneamente considerate/i come maggiorenni. I casi in cui è stata riscontrata la minore età dell’utente, è stato sviluppato un intervento ad hoc basato sulla capacità di risposta del territorio e sulla capacità degli operatori e delle operatrici e dei servizi di adeguarsi in corso d’opera alla situazione che ci si trova a fronteggiare. Essendo questo un problema presente su tutto il territorio nazionale, la Cooperativa ritiene indispensabile che la rete operanti nel settore dell’inclusione sociolavorativa di donne e minori trafficate elabori strumenti comuni per meglio individuare e, quindi, rispondere ai bisogni specifici di un target particolarmente vulnerabile e soggetto a forme di violenze particolarmente gravi. 203 In quest’ottica, Dedalus sottolinea l’importanza della necessità di studiare e di analizzare in maniera approfondita il fenomeno del traffico di minori per meglio comprendere i meccanismi di tale realtà ma soprattutto per delineare programmi individualizzati specifici di protezione sociale per minori e, quindi, offrire soluzioni adeguate in termini di alloggio, di formazione e di inserimento professionale; particolare attenzione deve essere attribuita alle caratteristiche del territorio in cui il progetto viene sviluppato al fine di evitare processi di inclusione socio-professionale dagli esiti precari che possono risultare negativi per la persona presa in carico. Per tale ragione rafforzare la rete dei progetti a livello locale e nazionale attraverso la condivisione di know-how e di risorse può rivelarsi uno strumento molto utile soprattutto quando si prendono in carico delle persone minori. Progettare interventi professionali atti, da un lato, a tutelare donne e minori trafficate, dall’altro, a contrastare le reti criminali organizzate dedite al traffico risulta sembra più difficile se il lavoro delle agenzie del pubblico e del privato sociale non vengono adeguatamente sostenute a livello organizzativo e finanziario dagli organi centrali. Viene ritenuta molto preoccupante la tendenza in atto di diminuire progressivamente le risorse economiche a favore dei programmi di assistenza e di integrazione sociale. La continua diminuzione dei fondi disponibili inficia gravemente la possibilità di mantenere alto lo standard della qualità degli interventi avviati, di garantire un servizio regolare ed efficiente al target che rischia sempre più di ritornare nel cono d’ombra - spesso caratterizzato da gravi forme di violenza e coercizione - da cui si è cercato di farlo uscire attraverso un lavoro professionale e costante che ha permesso la sperimentazione e l’attivazione di una politica sociale di welfare mix basata su una stretta collaborazione tra istituzioni pubbliche ed agenzie del pubblico e del privato sociale. Non destinare le competenze economiche necessarie per poter continuare a svolgere adeguatamente il proprio lavoro significa non riconoscere a tali agenzie il ruolo di primo piano svolto negli ultimi tre anni nella lotta al traffico di persone a scopo di sfruttamento sessuale. La Fondazione Regina Pacis (di Lecce) Cenni storici Nata nel 1997 a San Foca di Melendugno (Lecce) come Centro di accoglienza per stranieri, oggi la Fondazione Regina Pacis è diventata uno dei principali Centri di Permanenza e Temporanea Assistenza per immigrati presenti in Italia. Gestito dall’Arcidiocesi di Lecce e finanziato dal Ministero dell’Interno, il Centro ha ospitato 2.500 persone nel 1997, 9.000 nel 1998, 12.000 nel 1999. A questo progressivo aumento del numero di persone accolte, è corrisposto un ampliamento della struttura sia a livello logistico che organizzativo. Nel 1999, considerata la percentuale significativa delle ragazze e delle donne trafficate che venivano accompagnate dalle forze dell’ordine e vista la possibilità offerta dall’art. 18 del D.Lgs. 286/98 di contribuire al loro inserimento socio-lavorativo in Italia, il Centro ha presentato alla Commissione interministeriale per l’attuazione dell’art. 18 il progetto “Ali nuove”. Da allora, il Centro Regina Pacis – trasformatosi poco dopo in Fondazione – gestisce uno dei principali progetti italiani di assistenza e integrazione sociale rivolto a donne e minori vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale. La Fondazione Regina Pacis opera in un contesto territoriale particolarmente significativo rispetto al fenomeno oggetto della presente ricerca: il Salento. L’estremità meridionale della Puglia è infatti diventata negli ultimi quindici anni terra di sbarco e di passaggio per migliaia di persone che, emigrando clandestinamente verso i paesi ricchi dell’Europa occidentale, vanno alla ricerca di un lavoro che consenta loro di migliorare le proprie condizioni di vita e quelle della famiglia di origine. Il primo contingente di donne e minori trafficate sbarcate in Puglia è stato registrato nel 1990. Si 204 trattava di donne nigeriane giunte sulle coste pugliese dopo un lungo viaggio via terra e via mare. Nel 1990/91, dopo la caduta della dittatura in Albania, ebbe inizio il flusso di immigrati/e albanesi verso l’Italia. L’emigrazione da una costa dell’Adriatico all’altra non ha mai registrato una battuta d’arresto ma solo variazioni cicliche rispetto al numero delle persone entrate illegalmente sul territorio italiano, alle rotte percorse e alle strategie attivate per raggirare le forze dell’ordine. Fu proprio negli anni ’90 che la criminalità organizzata albanese cominciò a conquistare ampi spazi nei diversi settori illeciti legati al traffico di droga, armi e sfruttamento della prostituzione fino ad arrivare, nel 1999, ad ottenere quasi il monopolio totale del mercato della tratta di donne a scopo di sfruttamento sessuale, non solo nell’area pugliese ma in molte altre regioni della penisola. A partire dal 1995, poi, anche migliaia di donne moldave, ucraine, rumene, russe, bulgare iniziarono ad entrare illegalmente in Italia attraverso il territorio pugliese utilizzando l’intermediazione di organizzazioni criminali albanesi da cui, una volta giunte a destinazione, venivano controllate e sfruttate. La “questione” delle donne trafficate e costrette a prostituirsi interessa quindi da anni il leccese anche se in maniera molto limitata. Infatti, l’area salentina è soprattutto luogo di transito e di smistamento, solo una percentuale molto bassa di donne si ferma a Lecce - per brevi periodi - nella zona del centro storico oppure nel territorio compreso tra Gallipoli e Lecce. La maggior parte delle minori e donne infatti transitano solamente per un tempo molto limitato sul territorio pugliese, dirette verso altre destinazioni italiane e europee. Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori Il fenomeno dell’immigrazione clandestina ha trasformato la Puglia in una zona di confine a cui viene richiesto di rispondere per prima alle emergenze derivanti dai periodici flussi di immigrati/e. Non è un caso perciò se nell’area leccese sono presenti ben tre centri di accoglienza che dal momento della loro apertura ad oggi hanno ospitato centinaia di migliaia di persone immigrate. Oltre alla “Fondazione Regina Pacis”, infatti, operano sullo stesso territorio anche il centro di accoglienza temporanea “Lorizzonte” di Casalabate, gestito da CTM/Movimondo, e il centro di prima accoglienza “Don Tonino Bello” gestito dal Comune di Otranto. Il target principale del progetto “Ali nuove” è costituito da minori e da donne che, appena sbarcate illegalmente lungo le coste pugliesi, vengono intercettate dalle forze dell’ordine e, in attesa dell’accertamento della loro posizione e dell’eventuale espulsione dal territorio italiano, inviate al Centro di permanenza temporanea e assistenza per immigrati di Melendugno ovvero alla Fondazione Regina Pacis. Si tratta quindi principalmente di clandestine ospitate nel Centro a cui, appurata la condizione di persona trafficata a scopo di sfruttamento sessuale, viene proposto di partecipare al programma di assistenza e integrazione sociale gestito dalla Fondazione. Nel periodo compreso tra il 1 marzo 2000 ed il 28 febbraio 2001, la Fondazione Regina Pacis ha complessivamente preso in carico 124 donne provenienti da Moldavia, Ucraina, Russia, Bielorussia, Kazakistan, Romania, Bulgaria, Albania, Marocco, Colombia e Nigeria. La maggioranza delle donne è però rappresentata da moldave (64) e ucraine (24) giunte in Italia attraverso l’Albania seguendo una rotta che ha previsto l’attraversamento dei seguenti Paesi: Romania, Ungheria, Yugoslavia, Montenegro, Albania. La percentuale delle minori accolte è stata del 7.2% e, nello specifico, si è trattato di 5 ragazze moldave, 3 rumene e 1 albanese. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte 205 Attraverso il progetto “Ali nuove”, la Fondazione Regina Pacis offre le seguenti attività: Accoglienza: viene garantita una forma di accoglienza unica per tutta la durata del percorso art. 18. Le utenti prese in carico vengono ospitate a gruppi di 4-5 in una casa singola facente parte di un piccolo comprensorio di abitazioni indipendenti che si sviluppano attorno ad un cortile. Questo insieme di case si trova all’interno del Centro di Accoglienza Temporaneo, da cui è separato da un cancello che può essere aperto su richiesta dall’agente delle forze dell’ordine in servizio. Questa tipologia specifica di accoglienza abitativa è presente solo in questo territorio, quale conseguenza della collocazione fisica del progetto di protezione sociale all’interno di una struttura adibita a centro di detenzione temporanea per persone clandestine. Ciò significa che le donne sono costantemente a contatto con le forze dell’ordine che 24 ore su 24 sorvegliano il centro. Al periodo di accoglienza viene attribuito un ruolo centrale nel percorso di sganciamento fisico e psicologico della persona trafficata dalle sue esperienze di sfruttamento o di progetto di sfruttamento. Generalmente, alle donne non è permesso di uscire nei primi due mesi di attuazione del percorso individuale, tale periodo è considerato un momento di “necessaria riflessione”. La convivenza con le altre ragazze e donne viene considerata il luogo della “coscientizzazione”, dell’assunzione di responsabilità, della destrutturazione dell’esperienze negative e della tendenza a riprodurre e a imporre modelli gerarchici arbitrari e di potere sperimentati in prima persona. In questo contesto, le utenti hanno accesso a: - servizio psicologico; servizio di assistenza sanitaria; servizio di assistenza e segretariato sociale. Formazione professionale e inserimento lavorativo: durante il primo anno di implementazione del progetto “Ali nuove”, all’interno della Fondazione Regina Pacis, è sorta la Cooperativa “Nuova Europa” quale risposta operativa all’esigenza di inserire a livello lavorativo le donne accolte nel progetto di protezione sociale. La cooperativa organizza corsi di formazione “tessile” che vengono tenuti all’interno del laboratorio di sartoria attivato dalla Cooperativa stessa. L’inserimento lavorativo viene effettuato sia all’interno della Fondazione sia all’esterno. Le donne, infatti, o lavorano nella mensa e nella sartoria interne oppure vengono aiutate a trovare un impiego all’esterno generalmente come bariste, assistenti agli anziani, operaie, commesse. Le figure professionali direttamente impegnate nel progetto “Ali nuove” sono il direttore della Fondazione e una mediatrice moldava che ha anche il compito di seguire la parte burocraticoamministrativa, in particolare, rilascio dei permessi di soggiorno, dei codici fiscali e dei tesserini Stp. La mediatrice è in grado di parlare molte lingue, oltre al moldavo, infatti, conosce l’italiano, il russo, il serbo, il rumeno, l’inglese e il turco. Trasversalmente coinvolti nel progetto sono anche una serie di figure che lavorano per il centro di accoglienza temporanea. Durante il primo anno di sperimentazione hanno partecipato all’attuazione del progetto il Consultorio “La Famiglia”, la cooperativa “Nuova Europa” e, in qualità di supervisori, le cattedre di Pedagogia interculturale e di Pedagogia sperimentale dell’Università di Lecce. Un ruolo significativo viene svolto dalla comunità locale attraverso la Diocesi di Lecce e molti privati cittadini/e che, a vario titolo, contribuiscono alla buona realizzazione del progetto. Ci si riferisce soprattutto a chi volontariamente ha prestato servizio sia all’interno della struttura (dentista, autisti, etc.) che all’esterno fornendo generi alimentari e materiali di consumo e fungendo da rete informale per l’individuazione di posti di lavoro. Le forze dell’ordine rappresentano gli interlocutori principali del Centro e, quindi, anche del progetto “Ali nuove”. Ciò è dovuto alla peculiarità della collocazione del progetto (all’interno di un Centro di Accoglienza Temporanea dello Stato italiano) 206 e alla specificità del territorio (terra di sbarco clandestino). Non è un caso, infatti, che la quasi totalità delle donne inserite nel progetto siano state inviate o dalla Polizia o dai Carabinieri o dalla Guardia di Finanza. Il Progetto “Ali nuove” ha attivato una serie di collaborazioni con agenzie del privato sociale in altre aree della penisola. In particolare con il Centro Regina Pacis di Quinstello (MN), il Consultorio cattolico e con i Salesiani di Vercelli, le Acli tedesche di Bolzano, la Caritas di La Spezia. A livello territoriale, il legame più forte è quello con la Diocesi di Lecce e, quindi, il mondo cattolico locale. Sembra comunque attiva la collaborazione con altri progetti art. 18 al di fuori della regione. Problemi e proposte di cambiamento Nell’ottica della promozione di misure trasversali a livello locale e transnazionale, secondo la Fondazione Regina Pacis é fondamentale lavorare con i paesi di origine delle/dei minori trafficate, in particolar modo, attraverso la costruzione di una rete di agenzie pubbliche e private (sia italiane che dei paesi di provenienza) e la realizzazione di strutture gestite direttamente nei paesi da cui proviene il target. La Fondazione, ad esempio, ha aperto dei centri nei due principali paesi di origine delle donne e delle minori prese in carico: Moldavia e Ucraina. Nella capitale moldava, sono stati acquistati due appartamenti: uno per l’accoglienza e uno per attività di segretariato sociale. Questi centri fungono sia da punto di riferimento per le famiglie delle donne accolte nel progetto “Ali nuove”, per le donne rimpatriate e le loro famiglie, sia da punto di orientamento per coloro che intendono partire per l’Europa occidentale. Attraverso questi centri vengono fornite notizie sul fenomeno della tratta e le relative modalità di reclutamento; consulenza e mediazione per la ricerca e l’attivazione di percorsi lavorativi regolari in Italia; aiuto e supporto alle famiglie, in particolare ai figli e alle figlie, delle donne prese in carico dal progetto in Italia; rimpatrio volontario assistito e sostegno nella fase particolarmente delicata del rientro in famiglia; promozione di progetti individuali di inclusione sociale e professionale sia delle donne rimpatriate che delle donne che chiedono un aiuto in loco. Al fine di facilitare il buon esito di tali attività si ritiene necessario coinvolgere anche le istituzioni locali e, soprattutto, le ambasciate e le rappresentanze diplomatiche dei paesi coinvolti. Il ruolo della famiglia di origine deve essere maggiormente preso in considerazione nell’attivazione dei programmi di protezione sociale rivolti a minori trafficati. Secondo i/le testimoni privilegiati/e intervistati/e la famiglia è un valore su cui si deve fondare il progetto individualizzato in quanto non si deve dimenticare che nella maggioranza dei casi la persona trafficata mira a realizzare un progetto migratorio avente come finalità principale il sostentamento della famiglia in patria, di conseguenza, essa deve essere contemplata negli obiettivi dell’intervento. Il mantenimento di collegamenti con le famiglie di origine dovrebbe essere favorito e consolidato anche con l’invio obbligatorio di denaro da parte delle persone trafficate, dal momento in cui iniziano a svolgere un lavoro retribuito. Sempre nell’ottica della tutela della famiglia, si ritiene necessario facilitare le procedure dei ricongiungimenti familiari, spesso troppo burocratiche, lunghe e, di conseguenza, demotivanti per le/i minori accolte/i. Allargare lo spettro di analisi delle tipologie di traffico e di intervento a favore di minori trafficati è uno dei principali suggerimenti proposti dalla Fondazione Regina Pacis. Le persone intervistate infatti hanno sottolineato l’esistenza di diverse forme e finalità di traffico che non vengono adeguatamente valutate nel discorso generale su tale fenomeno, che tende a concentrarsi solamente sulla tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Sembrano esistere altri traffici più nascosti e meno considerati che interessano i/le minori di paesi poveri: quello per sfruttamento lavorativo che 207 coinvolge soprattutto minori costretti a chiedere l’elemosina o a fare il lavavetri, e ragazzine impiegate come operaie in laboratori tessili clandestini; quello della vendita di neonati a coppie che non possono avere figli; quello della vendita di organi; e infine quello che gestisce gli aborti clandestini. E’ doveroso sottolineare che rispetto a tali tipologie di traffico non esistono tuttavia dati ufficiali. 8.3 I servizi in Albania. Gli studi di caso Save the Children Albania Cenni storici International Save the Children Alliance è la più grande organizzazione internazionale indipendente attiva da anni nella promozione dei diritti dei bambini e delle bambine. Dell’Alliance fanno parte 30 uffici Save the Children nazionali mentre più di 120 sono i paesi in cui vengono realizzati dei programmi di intervento a favore di minori. In Albania, Save the Children ha avviato le proprie attività nel 2000. Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori La filosofia di Save the Children si basa sulla considerazione che i/le minori hanno il diritto di essere protetti dalla violenza e dall’abuso, di godere di buona salute e di avere accesso all’istruzione. “I bambini e le bambine hanno il diritto di parlare, di dire cosa vogliono e cosa si aspettano dalle persone adulte. Hanno il diritto di prendere parte alle decisioni che riguardano il loro futuro. Save the Children considera i/le bambini/e e i/le giovani partner che partecipano ai progetti da cui traggono giovamento”. In questo contesto, si collocano le azioni di contrasto al traffico di minori a scopo di sfruttamento sessuale. Dal momento del suo insediamento ufficiale sul territorio albanese, diverse sono state le iniziative promosse e gestite da Save the Children: - - - incaricare un giornalista (Daniel Stanton) di svolgere una ricerca sul traffico di minori a scopo di sfruttamento sessuale; i risultati di tale indagine sono contenuti nel rapporto “Child Trafficking in Albania” (trad. it.: Bambine in vendita. Un’indagine sul traffico dei minori dall’Albania, a cura di S. Capra, 2002); supporto tecnico e finanziario a “Vatra”, una organizzazione non governativa di Valona, per l’attivazione di una casa-rifugio per l’accoglienza di donne trafficate o a rischio di traffico. La casa-rifugio è stata aperta nel dicembre 2001; incontri con minori e comunità locali; da questa esperienza è nata la partnership con l’ong “Help the Children” per lo svolgimento di attività di prevenzione in due città particolarmente colpite dal fenomeno del traffico; 208 - - - progettazione, finanziamento e gestione di un programma regionale (Sud-est Europa) contro il traffico di minori, che prevede lo svolgimento di una ricerca-azione in Albania, Bulgaria, Croazia, Kosovo, Serbia e Romania. Il lavoro di ricerca è iniziato nel maggio 2002; networking con una serie di persone e gruppi dell’ambito ISCA, operanti nel campo del traffico di minori, che svolgono attività di advocacy a livello internazionale e di rappresentanza all’interno della Task Force sul Traffico del Patto di Stabilità; networking con molte altre agenzie, incluse IOM, ICMC, OSCE, ECPAT, DCI, ISS, Terre des hommes; partecipazione a due conferenze nazionali sul traffico e adesione al nuovo gruppo (soprattutto di ong internazionali) “Together against Trafficking”, costituitosi in seguito alla seconda delle due conferenze citate. Per quanto riguarda la definizione di traffico di persone utilizzata, Save the Children fa riferimento a quella contenuta nella Convenzione contro il Crimine Transnazionale Organizzato (Protocollo di Palermo), adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel novembre 2000. Rispetto ai minori, in tale Protocollo, tutte le forme di traffico a scopo di sfruttamento vengono considerate “non volontarie”, indipendentemente dal fatto che sia o non sia stata utilizzata la forza o l’inganno, di conseguenza, la tratta viene ritenuta a pieno titolo una violazione dei diritti dei/delle minori. In alcuni paesi dell’Europa occidentale, l’età del cosiddetto “consenso legale” ad avere rapporti sessuali è stata fissata al di sotto dei 18 anni e l’esercizio della prostituzione viene considerato legittimo. Secondo Save the Children, non è molto chiaro come questo tipo di leggi influenzino i diritti dei minori rispetto alla loro tutela contro lo sfruttamento sessuale e lavorativo. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte Save the Children, affiliata all’International Save the Children Alliance, é membro di “Together against Trafficking”, una federazione di ong internazionali che lavorano in Albania, nel cui consiglio consultivo siedono anche rappresentanti di alcuni ministeri albanesi. Ha stabilito collaborazioni significative - attraverso lo stanziamento di fondi - con importanti agenzie locali che lavorano specificatamente contro il traffico di persone. Inoltre, a breve, Save the Children entrerà a far parte del nuovo gruppo contro la tratta di recente costituitosi in Albania. I gruppi di lavoro Save the Children attualmente impegnati in Albania sono 8. essi realizzano la maggior parte delle attività in collaborazione con il governo albanese e con organizzazioni partner locali e internazionali. Lo staff é composto da persone regolarmente assunte a cui, per brevi periodi, si aggiungono - quando le risorse lo permettono – dei/delle volontari/e (in genere si tratta di studenti dell’ultimo anno dell’Università di Tirana). In certi casi, però, alcune attività vengono svolte da personale volontario o semi-volontario appartenente alle agenzie partner. Save the Children attribuisce un ruolo molto importante alla formazione e all’aggiornamento sia dello staff interno che di quello delle organizzazioni con cui lavora. Le attività formative comprendono corsi, visite di studio, scambi nazionali ed internazionali e formazione sul lavoro. I soggetti beneficiari dei programmi attivati non si rivolgono direttamente a Save the Children ma alle agenzie con cui essa collabora e supporta finanziariamente. Elaborando i dati forniti dall’ong “Vatra” - riferiti alle ragazze e alle donne ospitate nella casa-rifugio di Valona dal gennaio al marzo 2002 - è possibile tratteggiare un quadro generale, tuttavia non esaustivo, delle principali caratteristiche del target. Nel periodo preso in esame, sono state accolte 86 donne albanesi e 8 donne straniere, di cui 71 risultavano essere state trafficate. Delle persone prese in carico, 17 erano di anni 18 o minorenni; 28 di età compresa tra i 19 e i 25 anni; e 26 tra i 25 e i 30 anni. I luoghi principali di origine sono risultati essere Tirana (15) e Valona (14), porto da cui é partita la 209 stragrande maggioranza delle utenti; le donne rimanenti provenivano da altre aree (sia rurali che urbane) dell’Albania, e da paesi dell’ex-blocco sovietico. Il livello di istruzione registrato é di tipo medio, nello specifico: 2 donne sono risultate essere analfabete; 3 con un diploma di scuola elementare; 47 con un diploma di scuola media; 12 con un diploma di scuola superiore; e 4 con un diploma universitario. Rispetto alle modalità di reclutamento, 24 hanno dichiarato di essersi recate volontariamente all’estero; 17 in seguito ad una falsa promessa di matrimonio o subito dopo essersi fidanzate; 11 per una promessa di impiego presto rivelatosi inesistente; mentre 5 sono state trafficate da membri della propria famiglia. Le donne hanno dichiarato di essere soddisfatte del supporto e dell’aiuto ottenuto nel periodo di permanenza nella casa-rifugio di Valona, e di essere desiderose di ritornare a casa per riunirsi alla famiglia di origine. Ma secondo un’indagine effettuata, nei 3 mesi successivi al ritorno in famiglia, quasi la metà delle donne risulta aver abbandonato nuovamente il tetto familiare, si suppone che molte di esse siano ritornate, volontariamente o no, a lavorare come prostitute. Sono state distribuite 1.500 copie del rapporto “Child trafficking in Albania” a rappresentanti di governo, scuole, ong, forze dell’ordine e magistratura, a cui è stato inviato in allegato anche un questionario da compilare e restituire a Save the Children. Al momento della stesura del presente rapporto di ricerca, erano stati ricevuti solamente 33 questionari compilati, un campione troppo esiguo per poter trarre delle conclusioni significative, ciononostante si riportano qui alcuni dati interessanti elaborati in base alle informazioni finora raccolte: - 7 persone hanno dichiarato di non aver mai sentito parlare di traffico di minori; i suggerimenti indicati per prevenire la tratta di minori sono stati: migliorare il livello di istruzione (22); ridurre la povertà (18); sensibilizzare l’opinione pubblica (14); implementare leggi specifiche contro il traffico (10); migliorare le politiche (8) e rafforzare le strutture familiari (7). Problemi e proposte di cambiamento Save the Children ritiene fondamentale che il rimpatrio delle ragazze e delle donne debba essere volontario e supportato da un programma di reintegrazione adeguato in grado di offrire alternative reali a coloro che ritornano in patria e che devono affrontare una serie di ostacoli che possono mettere in pericolo il loro processo di inserimento sociale e lavorativo. Applicare una politica di rimpatrio coatto può produrre effetti negativi, in primis, incoraggiare le donne a fuggire nuovamente; ed è proprio per questa ragione che Save the Children considera necessario prevedere anche nei paesi di destinazione delle vittime del traffico programmi specifici di accoglienza e di inclusione socio-professionale. In base all’esperienza maturata sul territorio albanese, Save the Children ha individuato una serie di elementi che tendono ad ostacolare il buon funzionamento di una politica efficace contro il traffico, quali: - - incapacità del governo di implementare una strategia ad ampio raggio contro il traffico di esseri umani; e di allestire strutture adeguate in cui rinchiudere i responsabili di tale crimine; risposte inadeguate e “irresponsabili” alla tratta di minori da parte dei paesi di destinazione, come, ad esempio, effettuare rimpatri coatti senza appurare l’esistenza delle garanzie sufficienti per poter attivare tale misura; coordinamento inadeguato ed insufficiente tra le attività svolte dalle varie agenzie impegnate nel settore, in particolar modo viene sottolineata la mancanza di strutture specializzate per la cooperazione tra società civile e le istituzioni governative (ad es. le forze dell’ordine); 210 - assenza di strutture necessarie, ad esempio, per l’avvio e la gestione di programmi di protezione di testimoni; carenza di servizi adeguati, ad esempio, luoghi e spazi per progetti di reintegrazione, servizi sociali a favore di vittime di violenza domestica; povertà e problematiche da essa derivanti, che continueranno ad incoraggiare i/le minori a cercare un futuro migliore altrove; assenza di opportunità legali per immigrare alla ricerca di un lavoro; continua crescita della considerazione, presso alcune comunità, del traffico quale mezzo di sopravvivenza; incapacità di reagire per paura; discriminazioni e restrizioni a danno delle ragazze perpetrate nell’ambito della famiglia e della società, che le spingono a scappare e che rendono la loro reintegrazione alquanto difficile. In questo contesto, Save the Children offre consulenza specialistica rispetto alle tematiche connesse al traffico e allo sfruttamento di minori, in particolare, attraverso l’utilizzo di ricerche-azione, attività di advocacy e networking, sia a livello locale che europeo. Non ha ancora tuttavia concluso il rapporto sul traffico di minori che le permetterà di condurre azioni di advocacy in maniera ancora più mirata ed efficace. Sempre in questa prospettiva, Save the Children intende condurre, nell’area del Sud-est europeo, una regolare attività di consultazione con i/le minori trafficate o a rischio di traffico al fine di meglio rappresentare le loro opinioni e di lavorare nel loro interesse. In Albania, Save the Children ha costruito legami significativi con gruppi della società civile, ritiene tuttavia di non essere ancora riuscita a stabilire delle relazioni efficaci per realizzare le attività di supporto e di lobbying con istituzioni del governo centrale e regionale. Secondo i testimoni privilegiati intervistati, fino a poco tempo fa, il governo non accettava apertamente il fatto che l’Albania fosse il paese di origine principale dei minori trafficati/e e, ad oggi, continua a contestare i dati (molto alti) relativi a tale fenomeno indicati da Save the Children. La debolezza e le divisioni esistenti all’interno della compagine governativa albanese hanno costituito un ostacolo e hanno ritardato l’implementazione di azioni in cui è necessaria una presa di posizione istituzionale nazionale molto forte, arrivando a negare l’impellente necessità di ottenere lo stanziamento di fondi per combattere il traffico. La corruzione, poi, all’interno di strutture-chiave, quali quelle delle forze dell’ordine e della magistratura, ha minato pesantemente l’efficacia degli sforzi messi in campo per contrastare il fenomeno in oggetto; secondo Save the Children è doveroso sottolineare tuttavia che molti rappresentanti della polizia si sono dimostrati disponibili a collaborare. Positiva la valutazione dell’impegno delle ong locali, anche se il loro numero è ancora alquanto esiguo e i servizi che sono in grado di erogare sono limitati a: case di accoglienza temporanea, un programma di reintegrazione, attività di counselling. Un ruolo significativo risulta essere svolto dai media locali che, attraverso la pubblicazione di notizie e la messa in onda di servizi e trasmissioni ad hoc, contribuiscono a diffondere informazioni sul traffico di esseri umani. Infine, secondo Save the Children non esiste ancora un supporto sufficiente a livello internazionale per l’implementazione e il monitoraggio di progetti per contrastare il traffico di minori in Albania. Dalle conoscenze e dalle competenze finora maturate, Save the Children propone le seguenti misure per contrastare il fenomeno del traffico in Albania: - - misure generali contro la povertà nei paesi di origine al fine di offrire la prospettiva di un futuro dignitoso, e attivazione di attività specifiche (formazione professionale, costituzione di nuove associazioni, etc.) rivolte a minorenni; misure per garantire e promuovere forme di emigrazione legali, al fine di ridurre il numero di persone che utilizzano canali irregolari per emigrare; 211 - - - - - - - - riflessione sul ruolo esercitato dalla violenza domestica (fisica/psicologica/sessuale) nell’incoraggiare i/le minori ad abbandonare il tetto familiare, e campagne di sensibilizzazione in merito a tale argomento; programmi continuativi di sensibilizzazione pubblica, mirati a target specifici e con messaggi ad hoc, che comprendano sia campagne di sensibilizzazione dirette ai clienti delle prostitute che campagne che incoraggino le comunità locali a proteggere i propri figli e le proprie figlie; misure pratiche per stimolare i/le minori a frequentare la scuola e continuare gli studi, al fine di dotarli delle capacità necessarie per competere su un mercato del lavoro in continuo e rapido mutamento; sostegno, a livello europeo, di una chiara politica unitaria sul traffico e la volontà e i mezzi per implementarla; promozione dell’attivazione di una struttura unica e chiara negli intenti, con la rappresentazione obbligatoria, per la cooperazione tra le agenzie sia a livello regionale che nazionale, e di organismi che assicurino l’assunzione delle responsabilità e la realizzazione concreta delle azioni delineate nelle strategie nazionali; promozione di migliori (e non ulteriori) politiche e cooperazione rafforzata tra le forze dell’ordine a livello internazionale; appoggio di una politica mirata a sradicare la corruzione all’interno delle forze dell’ordine e della magistratura, e a mettere nelle condizioni di non avere paura delle intimidazioni coloro che lavorano in prima linea contro il traffico; sostegno (possibilmente anche da parte delle stesse prostitute) alle prostitute più giovani, informandole sui rischi e le buone pratiche di lavoro relative alle malattie sessualmente trasmissibili, all’Hiv/Aids, all’uso dei preservativi, e fornendo loro indicazioni specifiche sui servizi sanitari e sulle forme e le strutture di aiuto disponibili per minori trafficati/e e costretti/e a prostituirsi; promozione di modifiche legislative e pratiche per fermare il rimpatrio coatto; offerta di programmi di protezione per i/le testimoni, in un paese terzo se necessario, e per minori trafficati/e a cui accordare la protezione speciale prevista dalla Convenzione dei Diritti del Fanciullo e da altre convenzioni internazionali; attivazione di nuovi servizi sociali specializzati per minori trafficati/e (case di accoglienza, counselling e supporto medico, formazione professionale, protezione delle vittime, etc.). Terre des hommes (Albania) Cenni storici Terre des hommes è una organizzazione no profit fondata nel 1959 a Losanna (Svizzera), diventata in pochi anni un movimento internazionale e un punto di riferimento principale per la promozione dei diritti dei bambini e delle bambine. Negli anni successivi alla sua nascita, infatti, altre sedi del movimento sono state aperte in diversi paesi del mondo, costituitesi formalmente in una federazione (International Federation Terre des Hommes) nel 1966. Nel corso degli anni, le attività di Terre des hommes, da un iniziale modello di intervento basato sull’assistenza individuale dei/delle minori, si sono orientate verso un approccio più ampio comprendente anche il coinvolgimento della comunità locale e nazionale. L’obiettivo di Terre des hommes è di “affrontare alla radice le cause dei problemi che colpiscono i bambini e le bambine, nel pieno rispetto delle loro culture di appartenenza”. 212 I movimenti nazionali attivi sono 9 e sono dislocati nei seguenti paesi: Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Italia, Germania, Lussemburgo, Siria e Svizzera (in questo paese l’organizzazione è suddivisa in due sezioni: Basilea e Ginevra); la sede centrale della Federazione internazionale si trova a Losanna. La Federazione è costituita da organizzazioni nazionali “indipendenti che operano autonomamente ma che condividono lo stesso nome, mirano allo stesso obiettivo, utilizzano metodi di lavoro simili e collaborano a progetti comuni”. Le persone regolarmente impiegate negli uffici e nei progetti sono 216 mentre ben 6470 circa sono i volontari e le volontarie che partecipano alle attività promosse nei vari paesi. La missione di Terre des hommes é la tutela dei diritti dei/delle minori e del loro processo di crescita in un ambiente socio-culturale scevro da discriminazioni basate sull’etnia, la cultura, il genere e la religione di appartenenza. Per realizzare tale obiettivo, Terre des hommes sostiene progetti di sviluppo finalizzati a “migliorare le condizioni di vita di bambini e di bambine svantaggiate, delle loro famiglie e delle loro comunità”. Attualmente Terre des hommes finanzia 806 progetti in 66 paesi del mondo e lavora in collaborazione con 519 ong locali e nazionali; essa è inoltre particolarmente impegnata nelle attività di sensibilizzazione, advocacy e networking a livello nazionale ed internazionale. Significativo risulta essere l’impegno e la collaborazione nell’ambito del Group for the Convention on the Rights of the Child, una organizzazione non governativa di cui è membro. Terre des hommes ha iniziato le sue attività in Albania e in Grecia a partire dal gennaio 2000 attraverso la realizzazione di una ricerca esplorativa sulla tematica del traffico di minori. Il primo progetto di prevenzione é stato invece implementato tra l’ottobre 2000 e il dicembre 2001, mentre dal gennaio 2002 ha avviato un progetto più ampio denominato “Transnational Action against Child Trafficking” (TACT) che comprende le seguenti aree di intervento; prevenzione, protezione, rimpatrio volontario e reintegrazione assistita. Una larga parte delle attività è inoltre dedicata a sostenere lo sviluppo di azioni coordinate e continuative con ong nazionali ed internazionali, autorità nazionali (del paese di origine e di destinazione) e organizzazioni intra-governative. Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori Terre des hommes ha fatto propria la definizione adottata dal Protocollo di Palermo secondo cui il traffico é: “il reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o accogliere persone, tramite l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme, di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”. Secondo Terre des hommes l’equazione “traffico di minori = sfruttamento sessuale” non è corretta. Le finalità del traffico si sottolinea variano in base all’età, al genere, al luogo di destinazione del/la minore e alla tipologia delle rete criminale da cui viene trafficato/a e sfruttato/a. L’unico obiettivo del trafficante è trarre il più alto profitto possibile dal suo “investimento”, in tale prospettiva, ad esempio, può costringere un/a minore a vendere fiori di giorno e a prostituirsi di notte. Dalle testimonianze raccolte risulta che alcune minori vengono inizialmente condotte in Grecia e, poi, in Italia, passando attraverso l’Albania. L’età media è piuttosto bassa: sono state contattate bambine di 10 anni, ma è attorno ai 12 che una minore risulta essere particolarmente a rischio in quanto più 213 “interessante” dal punto di vista del trafficante. Violenza, coercizione e inganno sono gli strumenti utilizzati per costringere i/le minori a prostituirsi. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte La missione Terre des hommes in Albania sta lavorando per la costituzione di un’organizzazione ombrella - denominata “All Together Against Child Trafficking” (ATACT) - che raccoglie 9 ong locali e internazionali. ATACT intende operare su quattro assi principali: Prevenzione, Protezione, Rimpatrio volontario assistito e Reintegrazione. Nel “modello di azione” adottato, la reintegrazione è l’obiettivo finale principale. Terre des hommes ha firmato degli accordi con il Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali albanese e con il Ministero dell’Istruzione e delle Scienze che prevedono il suo coinvolgimento nell’attuazione della strategia quinquennale nazionale contro il traffico di esseri umani. Ha inoltre stipulato accordi di co-finanziamento e di collaborazione con agenzie intergovernative quali Unicef, Ilo Ipec e Oim; infine, ha coinvolto una serie di ong albanesi e greche nelle attività di ATACT, a cui aderiscono anche rappresentanti di autorità nazionali e di organismi internazionali. La sede albanese principale di Terre des hommes si trova ad Elbasan, mentre altri 2 uffici sono stati allestiti in altrettanti punti-chiave: Tirana e Korce. Nell’ufficio centrale lavorano 6 persone: il capo missione responsabile dell’intervento in Albania e del coordinamento generale dei progetti; il coordinatore delle attività organizzate nell’ambito del “Transnational Action against Child Trafficking” nell’area dell’Albania centrale; 3 agenti di prevenzione incaricati di svolgere azioni mirate nelle scuole, all’interno delle famiglie e nei quartieri. La sede di Tirana è gestita da 1 coordinatore di progetto che si occupa di coordinare le attività svolte con i partner nazionali e di contribuire alle attività realizzate da “All Together Against Child Trafficking”. A Korce, invece, lo staff è composto da: 1 coordinatore del progetto “Transnational Action against Child Trafficking” nell’area dell’Albania meridionale e da 3 agenti di prevenzione. Terre des hommes ha aperto un ufficio anche in Grecia, a Tessalonicco, in cui sono impiegati 2 ricercatori sociali che svolgono attività di ricerca sul campo e si occupano di protezione e di rimpatrio volontario assistito. Terre des hommes non utilizza direttamente personale volontario all’interno delle proprie équipe di lavoro, tuttavia è possibile che le ong locali con cui collabora abbiano al proprio interne volontari/e. La formazione è considerata un’attività molto importante che garantisce il trasferimento di know-how specifico per poter lavorare adeguatamente in un dato contesto socio-culturale. Diverse infatti sono state le sessioni formative organizzate da Terre des hommes per lo staff impiegato nei vari uffici in Albania. Nella tabella seguente si propongono in maniera schematica le caratteristiche del target e l’approccio e gli strumenti adottati dai vari settori progettuali di intervento gestiti da Terre des hommes in Albania: 214 Settore Prevenzione N. beneficiari/e 6.000 Caratteristiche target Scolari dai 6 ai 14 anni che vivono nelle aree povere del paese, in cui i reclutatori sono particolarmente attivi Protezione 350 Minori considerati “a rischio”: in genere si tratta di maschi (65%) dai 4 ai 15 anni che sono già stati trafficati o che sono già in contatto con dei trafficanti. Si tratta di minori con uno scarso livello di istruzione e di informazione, con famiglie disfunzionali, il cui 95% appartiene alla comunità zingara “egiziana”. Individuazione del target attraverso visite nelle scuole di campagna, monitoraggio delle famiglie e lavoro di strada. Obiettivo: reintegrazione scolastica e offerta di attività formative. 12 Minori trafficati (6 maschi e 6 femmine) in Grecia, provenienti da aree povere del paese e tutti appartenenti a famiglie zingare “egiziane” disfunzionali, con uno scarso livello di istruzione e di informazione. Rimpatrio assistito in collaborazione con ong greche e le autorità locali. Obiettivo: reintegrazione in famiglia. Rimpatrio volontario assistito Approccio/Strumenti Proiezioni di video di testimonianze sul traffico e discussioni in classe Obiettivo: integrazione scolastica Nello schema qui sotto riportato vengono evidenziate le attività sviluppate dalla missione Terre des hommes in Albania e le relative difficoltà incontrate dallo staff nella loro realizzazione: Iniziative implementate Ostacoli incontrati Ricerca in Albania e in Grecia Scarso livello di sicurezza e di cooperazione con le autorità nazionali del paese di destinazione (Grecia) Prevenzione (comprendente campagne di sensibilizzazione nelle scuole; individuazione, registrazione e raccolta di testimonianze, assistenza e follow-up sociale alle famiglie, etc.) Scarso livello di sicurezza 215 Rimpatrio volontario assistito Protezione (indagini effettuate in Grecia sulla strada in collaborazione con una ong locale, rimpatrio volontario assistito nel paese di destinazione) Reintegrazione Scarso livello di sicurezza e di cooperazione con le autorità nazionali del paese di destinazione (Grecia); procedure molto lunghe e non adeguate per il rimpatrio di minori (a livello statale e di ong) Scarso livello di sicurezza e di cooperazione con le autorità di polizia per i minori (in Grecia e Albania) Scarso livello di sicurezza e rischio per i/le minori di essere nuovamente trafficati/e attraverso altre reti. Problemi e proposte di cambiamento Secondo la missione Terre des hommes albanese due sono le priorità principali da affrontare per promuovere il lavoro di prevenzione e di reintegrazione di minori trafficati in Albania. Innanzitutto, migliorare le condizioni socio-economiche della famiglia. Le famiglie ad “alto rischio” di traffico sono quelle particolarmente povere, che vivono con 40-50 centesimi di euro per persona al giorno. Determinante, quindi, diventa organizzare interventi per la distribuzione di cibo e beni primari e garantire l’istruzione ai bambini e alle bambine. Quindi, investire in progetti mirati a garantire la sicurezza. I legami tra componenti della famiglia, parenti e trafficanti sono forti. I rischi che un/a minore venga ri-trafficato/a sono molto alti e continui. Di conseguenza, la necessità di proteggere i bambini e le bambine è costante. Gli operatori e le operatrici che lavorano nell’ambito sociale e di prevenzione sono spesso sottoposti a situazioni pericolose e, per di più, la cooperazione con le forze di polizia è “delicata”, per queste ragioni si ritiene di estrema importanza attivare programmi che tutelino i/le minori da un lato e chi opera in loro favore dall’altro. In questo contesto, il ruolo di Terre des hommes è complementare a quello svolto dai servizi sociali, dalla polizia e dalla magistratura. Negli ultimi mesi, è stato registrato un livello di collaborazione particolarmente efficace con l’unità anti-traffico della polizia albanese, con la polizia greca specializzata in minori e con il giudice greco dei minori di Tessalonicco. Si riscontra tuttavia un tardivo riconoscimento del fenomeno del traffico di minori sia da parte del governo albanese che di quello greco, di conseguenza, le risposte di contrasto finora attivate risultano essere inadatte e insufficienti. Ciononostante, si riconosce al governo albanese di aver fatto, nel corso dell’ultimo anno, degli sforzi significativi per la progettazione e l’implementazione di una strategia quinquennale finalizzata a contrastare efficacemente il fenomeno e il cui successo dipenderà anche dal supporto dei paesi confinanti e della comunità internazionale. In Albania, il ruolo dei servizi sociali non è ritenuto ancora sufficientemente forte e strutturato per poter contribuire al rafforzamento degli interventi contro il traffico di minori attualmente in corso. Terre des hommes, attraverso la sua missione in Albania, intende coinvolgere sistematicamente i servizi sociali in quanto essi rappresentano i nodi centrali della rete locale in grado di garantire la diffusione di una cultura di tutela e di cura dei/delle minori. Terre des hommes considera fondamentale che le autorità pubbliche, le organizzazioni non governative locali ed internazionali, gli organismi transnazionali concentrino i propri sforzi su azioni coordinate in grado di produrre risultati effettivi ed efficaci sia sul piano locale che su quello internazionale. In particolare, ritiene necessario passare dalla fase della sperimentazione delle buone pratiche a quella della loro definitiva applicazione, regolata da procedure formali. Le pratiche finora implementate si sono dimostrate efficienti, adatte al contesto specifico e, soprattutto, rispettose dei 216 diritti dei/delle minori. Stipulare accordi bilaterali per il rimpatrio volontario assistito tra l’Albania e i paesi di destinazione diventa, secondo Terre des hommes, l’unica soluzione possibile per garantire il ritorno sicuro ed un efficace processo di reintegrazione dei/delle minori trafficate. L’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (Presence in Albania) Cenni storici L’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OCSE), istituita nel 1961 con la Convenzione sull’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico in sostituzione dell’OECE, creata nel 1948 per amministrare il Piano Marshall nell’ambito della ricostruzione postbellica dell’economia europea, rappresenta oggi la più grande organizzazione sulla sicurezza regionale. Essa è infatti composta da 55 paesi dell’Europa, dell’Asia centrale e del Nord America ed impiega circa 4.000 persone nei vari paesi partecipanti in qualità di promotori o di beneficiari delle attività finanziate ed implementate, in particolare nelle missioni attive nelle aree del Sud-est Europa, dell’Est Europa, del Caucaso e dell’Asia centrale. Il mandato principale dell’OSCE è di “perseguire il ‘paradigma triangolare’ costituito da crescita economica, coesione sociale e stabilità politica”. L’approccio ai temi della sicurezza è globale e basato sulla cooperazione tra Stati membri e Stati partecipanti, a cui viene riconosciuto lo stesso status e potere decisionale. Le questioni di cui l’OCSE si occupa riguardano un range piuttosto ampio di tematiche concernenti la sicurezza: controllo delle armi, diplomazia “preventiva”, misure di costruzione di sicurezza, diritti umani, democratizzazione, monitoraggio elettorale, sicurezza economica e ambientale. Le attività principali promosse dall’OCSE per implementare e raggiungere i propri obiettivi sono: - Raccolta e armonizzazione di dati; Elaborazione di studi; Disponibilità di uno spazio di incontro intergovernativo; Attività preparatoria di incontri internazionali ad alto livello; Stabilimento di principi comuni; Predisposizione di intese con valore vincolante e di Convenzioni. La sede principale dell’OCSE si trova a Vienna mentre altri uffici e istituzioni ad essa direttamente afferenti sono stati istituiti in altre città europee, quali: Copenhagen, Ginevra, L’Aia, Praga e Varsavia. La Presenza OCSE in Albania ha avviato le proprie attività nell’aprile del 1997 con il mandato di fornire assistenza e aiuto alle autorità albanesi sui temi relativi alla democratizzazione del paese, allo sviluppo di mezzi di comunicazione liberi, alla promozione del rispetto dei diritti umani e alla preparazione delle elezioni. A partire dalla fine dello stesso anno, il Consiglio Permanente ha incaricato la Presenza di fungere anche da soggetto coordinatore tra le varie organizzazioni internazionali impegnate in Albania a promuovere il processo di stabilizzazione e di 217 democratizzazione interna. Il quartiere generale dell’OCSE si trova a Tirana ma essa è presente su tutto il territorio albanese attraverso 11 sedi periferiche. Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori Rispetto alle attività contro il traffico di persone, l’OCSE svolge il ruolo di agenzia di riferimento per le istituzioni locali, le organizzazioni internazionali, le ong locali e straniere. Nell’ambito delle proprie attività, a partire dal 1998 l’OCSE ha iniziato a promuovere e supportare azioni di contrasto contro il traffico di persone, senza operare una distinzione specifica tra le varie forme di tratta. La definizione di traffico adottata è quella contenuta nel Protocollo addizionale di Palermo che non riconosce nessuna forma volontaria di tratta di minori, indipendentemente dal fatto che sia o non sia stata utilizzata la forza o l’inganno nel condurre il/la minore in un altro paese per poi sfruttarlo. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte Il quartiere generale della Presenza OCSE in Albania si trova a Tirana, dove sono impiegate 45 persone, mentre in ciascuna delle 11 sedi distaccate vi lavorano 3 persone, con un mandato che spazia dal controllo delle frontiere, alla raccolta delle armi, ai rapporti con i media, al rispetto dei diritti umani, al monitoraggio delle carceri e della risoluzione dei conflitti politici. In particolare, nella sede principale di Tirana, 2 persone lavorano specificatamente nell’ambito della promozione e della tutela dei diritti umani, contesto in cui vengono collocate le attività contro il traffico. Tutto il personale OCSE deve avere essere competente in materia di diritti umani di base e, per garantire tale preparazione, viene fornita una formazione iniziale ad hoc a tutti i componenti dello staff che, comunque, per ogni evenienza possono rivolgersi direttamente al personale esperto presso l’Ufficio Diritti Umani del quartiere generale di Tirana. Le attività principali implementate dalla Presenza OCSE in Albania sono gestite e coordinate dai seguenti settori in cui l’organizzazione è suddivisa: - Affari Politici; Osservazione Parlamentare; Governo Locale; Applicazione della Legge; Economia e Ambiente; Stampa e Informazione Pubblica; Diritti Umani; Gruppo Amici dell’Albania/Coordinamento dei Donatori; Dimensione Umana/Supporto alle Ong. E’ soprattutto negli ultimi 3 settori che vengono promosse le azioni a sostegno della lotta contro il traffico. Il settore Diritti Umani è parte dell’Ufficio dei Consulenti Legali, che ha il compito di monitorare il rispetto e l’implementazione dei diritti umani in stretta collaborazione con le sedi distaccate sul territorio e, in alcuni casi, anche con rappresentanti del governo locale. Attenzione particolare viene data al monitoraggio dell’applicazione degli obblighi assunti dall’Albania nel campo del contrasto al traffico e alla azioni di violenza della polizia perpetrate ai danni di persone. Lo staff di tale 218 settore fornisce consulenza e assistenza anche al neo-costituito Ufficio del Promotore delle Persone (chiamato anche Ombudsman). Fondato nel settembre del 1998, il settore Gruppo Amici dell’Albania/Coordinamento dei Donatori è un gruppo informale composta da paesi donatori e organizzazioni internazionali, coordinato dal responsabile OCSE in Albania. Il Gruppo si è trasformato nel principale forum per il coordinamento dei partner stranieri e il monitoraggio internazionale delle riforme economiche e politiche albanesi. Il settore Dimensione Umana/Supporto alle Ong lavora in collaborazione con le organizzazioni non governative attive in Albania. Nel corso del 2001, quattro sono stati i principali progetti elaborati e sostenuti da tale settore: - - creazione di una banca dati completa sulle ong nazionali ed internazionali operanti in Albania (suddivise per settore di intervento, collocazione geografica e tipologia di programma offerto); creazione di un network nazionale di Centri di Sviluppo della Società Civile (in collaborazione con l’Organizzazione allo Sviluppo dell’Olanda); continuazione del Progetto Educazione ai Diritti delle Donne e contro il Traffico finalizzato alla sensibilizzazione di specifici target group (insegnanti, assistenti sociali, personale sanitario, impiegati pubblici, giudici e donne dei villaggi) sui diritti delle donne albanesi, sulla violenza domestica e sul traffico di persone (in collaborazione con l’ODIHR); attività di mainstreaming in conformità con il Gender Action Plan dell’OCSE, che ha previsto la formazione per la sensibilizzazione di genere nell’ambito delle politiche, delle procedure e delle attività condotte nei vari uffici della Presenza in Albania. L’OCSE, pur non gestendo direttamente progetti rivolti alle vittime di traffico, è diventata in un breve lasso di tempo un punto di riferimento importante per coloro che lavorano sul campo in Albania. A sottolineare l’assunzione di tale ruolo è la sua partecipazione al Gruppo di Lavoro impegnato ad elaborare la Strategia Nazionale sulla Lotta contro la Tratta di Esseri Umani. Il Gruppo è composto da rappresentanti dei seguenti Ministeri: dell’Ordine Pubblico, degli Esteri, della Cultura, della Gioventù e dello Sport, dell’Istruzione e della Scienza, dall’Ufficio del Procura Generale del Ministero della Giustizia, dai Servizi Segreti Nazionali; da esperti in materia di traffico (specialmente specialisti statunitensi che collaborano con il Ministero dell’Ordine Pubblico) e da rappresentanti di organizzazioni internazionali, ong, tra cui: OCSE, la Missione della Comunità Europea in Albania, la Missione ICITAP, la Missione Interforze, UNHCR, IOM, ICMC, Save the Children, Terre des hommes, Vatra e Gruas Vlonjate. Problemi e proposte di cambiamento La Presenza OCSE in Albania ha costruito reti significative con/tra attori-chiave che si occupano di vari aspetti ed ambiti della lotta contro il traffico di persone. Valuta infatti positivamente la collaborazione costruita nei 5 anni di attività sia con le istituzioni e le organizzazioni nazionali e locali che con le agenzie internazionali. Ritiene che tale partnership sia il risultato di un buon lavoro di gruppo dello staff impegnato nei vari uffici centrali e distaccati della missione OCSE. Ciò ha consentito di stabilire relazioni efficaci in particolare con la polizia locale, nazionale e con il governo che le hanno permesso, conseguentemente, da un lato di esercitare un’ampia influenza sugli attori-chiave, dall’altro di mettere in collegamento le istituzioni con le organizzazioni di base (ad esempio, attraverso le sedi OCSE, la polizia informa le ong sugli spostamenti o sulle novità relative a casi specifici di donne trafficate). I referenti OCSE intervistati hanno espresso preoccupazione per la sempre più alta percentuale di minori coinvolti/e nel traffico di esseri umani, sottolineando che, nonostante il grande impegno dimostrato negli ultimi 2 anni dal governo albanese nel combattere il fenomeno, ancora insufficienti 219 o inadeguate risultano essere le azioni di contrasto e di condanna dei trafficanti perseguite dagli organi di polizia e dalla magistratura. Anche il ruolo svolto dai servizi sociali viene considerato deficitario, con il risultato che, in Albania, il lavoro di prevenzione e di supporto all’inclusione socio-lavorativa delle vittime viene quasi esclusivamente realizzato da ong. Dal punto di vista dell’organizzazione interna, per poter influire in maniera ancora più efficace nei vari campi di intervento della Presenza in Albania, si ritiene essenziale rivedere gli obiettivi del mandato riducendo gli ambiti progettuali implementati in quanto essi risultano essere troppo vasti e, di conseguenza, dispersivi rispetto alle finalità da raggiungere. Per agire più efficacemente in questo settore viene quindi suggerita una riorganizzazione logistica ed operativa da applicare ad ambiti maggiormente circoscritti. Secondo l’OCSE, bisogna partire da una presa di coscienza fondamentale: finché il rispetto dell’onore e l’oppressione delle donne continueranno ad essere i caratteri decisivi della cultura dominante che permeano le pratiche quotidiane individuali e collettive la lotta contro il traffico di minori e di donne sarà difficile da scardinare. La Caritas di Valona e Caritas di Brindisi-Ostuni Cenni storici La Caritas Diocesana di Brindisi-Ostuni si occupa da anni di interventi a favore di persone svantaggiate attraverso l’erogazione di una serie di servizi e di attività specifiche. L’impegno nel settore della tratta a scopo di sfruttamento sessuale ha inizio tra il 1999 e il 2000, periodo in cui gli sbarchi di minori e di donne da inserire nel mercato dello sfruttamento della prostituzione si intensificano particolarmente nell’area brindisina. Per rispondere al fenomeno in maniera mirata ed efficace, la Caritas locale decide di attivare un progetto di cooperazione decentrata da sviluppare direttamente in Albania grazie alla collaborazione con la Caritas di Valona e al prezioso aiuto di missionari e missionarie da anni attivi in loco. In particolare, la Caritas di Brindisi-Ostuni decide di avvalersi del contributo delle suore appartenenti all’ordine religioso denominato “Serve di Maria Riparatrici” con cui avevano già lavorato nel 1997 per l’installazione di una pompa idraulica in un villaggio nei pressi di Valona. La Caritas di Valona opera sul territorio albanese dal 1991 attraverso l’opera della comunità dei Padri Servi di Maria e, appunto, delle Serve di Maria Riparatrici. E’ proprio la comunità delle religiose ad occuparsi direttamente di casi di ragazze e donne trafficate e avviate alla prostituzione, in collaborazione con confraternite e organizzazioni non governative locali e dei paesi di destinazione coinvolti. La collaborazione consolidata tra la Caritas Diocesana di Brindisi-Ostuni e quella di Valona ha così permesso di dare vita al progetto “Mai più schiave” al fine di contribuire ad operare un cambiamento socio-culturale a livello locale che blocchi la catena migratoria di donne alla ricerca - volontariamente o involontariamente - di un futuro migliore che non vedono possibile in Albania. Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori Obiettivo principale del progetto implementato tra il febbraio 2001 e il gennaio 2002 nell’area di Valona è stato prevenire la riduzione in schiavitù di giovani albanesi attraverso la realizzazione di una serie di azioni basate sulla promozione del ruolo della donna nella società albanese e del suo empowerment socio-culturale in un contesto in cui poco spazio viene dato all’autodeterminazione femminile. Si è trattato di un intervento a carattere “formativo” ad ampio raggio con lo scopo esplicitato di “oltre a sostenere le giovani, di creare anche in loro una nuova mentalità, centri di 220 attività ed iniziative dove la donna diventi protagonista e l’uomo impari a starle vicino, superando atteggiamenti di orgoglio e superiorità”. La filosofia principale sottostante l’intervento è la “promozione delle donna” e del suo ruolo all’interno della società di appartenenza, per fare ciò il progetto si è fatto carico di sensibilizzare l’opinione pubblica generale alla conoscenza e al rispetto dei diritti umani. Pur essendo la prevenzione della tratta a scopo di sfruttamento sessuale l’obiettivo progettuale prioritario, volutamente il gruppo di lavoro ha evitato di utilizzare tale termine nelle proprie attività e nei materiali prodotti ritenendo più strategico e funzionale al raggiungimento di tale obiettivo l’uso pubblico di altri concetti-chiave. I soggetti promotori del progetto ritengono inoltre fondamentale “andare oltre l’emergenza” e lavorare invece nell’ottica della promozione all’auto-sviluppo; in questa prospettiva, quindi, fornire aiuti materiali primari è certamente importante ma si tratta di una forma di supporto temporaneo che non risolve le difficoltà strutturali della popolazione locale a cui, invece, bisogna rispondere attraverso progetti sul medio e lungo periodo che coinvolgano direttamente il target e promuovano una cultura nuova. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte Il progetto “Mai più schiave” coinvolge contemporaneamente la Caritas diocesana di BrindisiOstuni e quella di Valona: la prima offre il supporto logistico del progetto mentre la seconda è impegnata direttamente sul piano operativo con un équipe di 20 persone (5 assistenti sociali, 1 medico, 2 infermieri e 12 educatori). Il progetto ha previsto l’attivazione di una serie di attività in ambiti di intervento specifici come si può rilevare dal seguente schema riassuntivo: 221 Settore Preve nzione Target - studenti Attività - incontri nelle scuole; Strumenti - materiale informativo (brochure, depliant, audiovisivo) sui diritti umani e la promozione del ruolo della donna; - giovani - animazione estiva della durata di 15 gg. nei villaggi e nei quartieri; - giochi e discussioni; - ragazze e donne - creazione di centri di incontro per ragazze e donne; - occasioni di incontro e corsi di taglio e cucito, ricamo, computer, artigianato locale; - apertura di un ambulatorio per donne in difficoltà; - corsi di preparazione e di approfondimento; - visite mediche e distribuzione materiale medico informativo; - lezioni frontali e materiale formativo e documentale; - insegnanti - incontri tematici; - opinione pubblica - festa della donna (8 marzo) - lezioni frontali, materiale formativo e documentale; discussioni di gruppo; - diffusione di un volantino e la partecipazione ad una trasmissione televisiva locale; - ragazze - creazione di una rivista per giovani realizzata da giovani; - realizzazione di una rivista; - operatori e operatrici sociali, delle forze dell’ordine, etc., e pubblico in generale; - seminario “Mai più schiave” (a Valona); - incontro pubblico, materiali informativi, interviste e comunicati stampa; - pubblico in generale; - cineforum “Mai più schiave” per l’approfondimento e la discussione sulle tematiche relative alla condizione femminile e al fenomeno della tratta; - film e discussioni di gruppo; - équipe di lavoro; Formazione Sensibilizzazione Lavoro di comunità Networking Valutazione operatori e operatrici - sito web quale centro di sociali, delle forze riferimento/documentazione (presso dell’ordine, etc., e la Caritas Diocesana di Brindisipubblico in Ostuni) generale albanese e non; - comunità locale - incontri tematici; - visita settimanale alle comunità locali; - visita alle famiglie; - associazioni incontri e scambi di lavoro; religiose e laiche, locali e straniere; - progetto analisi attività e risultati conseguiti - presentazione del progetto, raccolta dati sul fenomeno, raccolta di testimonianze e storie significative rispetto al fenomeno della tratta. - riunioni; scambio documentazione; attivazione collaborazioni; strumenti di valutazione e report finale 223 Problemi e proposte di cambiamento L’esperienza di intervento maturata sul campo dagli attori principali del progetto - in particolar modo dalle suore missionarie che lavorano da anni in Albania - ha permesso di realizzare le attività previste a partire da una profonda conoscenza del contesto socio-culturale, elemento fondamentale per la buona riuscita di un progetto. I testimoni privilegiati intervistati hanno sottolineato l’importanza di un maggior coinvolgimento delle istituzioni e della comunità locale nel promuovere una cultura fondata sul rispetto del ruolo della donna all’interno della famiglia e della società e sulla tutela dei diritti dei/delle minori. Il fenomeno della tratta di donne e minori – sostengono - risulta essere il prodotto di una condizione femminile alquanto disagiata e di una cultura che, da un lato, costringe le donne entro confini socioculturali tradizionali molto limitati, dall’altro, le “obbliga”, direttamente o indirettamente, ad intraprendere un’attività (la prostituzione) fortemente sanzionata dai codici culturali albanesi. Tale “double standard”, secondo gli intervistati, è evidente soprattutto al momento del rimpatrio (non/coatto) delle ragazze e delle donne: generalmente esse vengono rifiutate dalle loro stesse famiglie che non accettano la condizione di ex-prostituta della figlia. Altro aspetto che deve essere tenuto debitamente in conto è la tutela delle donne che ritornano in patria. Esse possono infatti essere oggetto di ricatti o di molestie da parte di reti criminali locali intenzionate a trafficarle nuovamente; nel caso, poi, in cui le donne avessero sporto formale denuncia contro i trafficanti e gli sfruttatori, si ritiene indispensabile provvedere a misure speciali di sicurezza affinché esse e i propri familiari non debbano subire ritorsioni da parte delle reti malavitose. L’Interpol Sezione di Albania Cenni storici L’Interpol è l’organismo di polizia internazionale fondato nel 1923 per promuovere e facilitare la cooperazione tra le forze di polizia e le agenzie impegnate a combattere il crimine transnazionale a livello mondiale. Rappresentando 179 paesi membri, essa risulta essere la seconda organizzazione più grande esistente al mondo, seconda solo alle Nazioni Unite,. L’Interpol si occupa solamente di crimine internazionale, in particolar modo nelle seguenti aree di intervento: sicurezza pubblica e terrorismo, crimine organizzato, produzione e traffico di sostanze stupefacenti, traffico di armi, traffico di esseri umani, riciclaggio di denaro sporco, crimine finanziario e tecnologico e corruzione. Gli strumenti individuati per raggiungere gli obiettivi stabiliti sono: - fornire una prospettiva globale e un focus regionale; scambiare informazioni accurate, rilevanti, complete e in tempo reale; facilitare la cooperazione internazionale; coordinare attività operative congiunte tra paesi membri; mettere a disposizione know-how, competenze e buone pratiche. L’Interpol ha iniziato ad occuparsi di crimini contro i/le minori nel 1989 su richiesta personale dell’allora Presidente francese Francois Mitterand, espressa in occasione dell’inaugurazione della nuova sede centrale di Lione. Nel corso degli anni, l’Interpol ha rafforzato il lavoro e le risorse umane impegnate in questo specifico settore costituendo l’Interpol Specialist Group on Crimes 225 Against Children (precedentemente denominato Standing Working Party on Offences Against Minors). Si tratta di un gruppo di lavoro formato da esperti internazionali provenienti da 40 paesi diversi che si riunisce due volte all’anno per scambiarsi informazioni, sviluppare e migliorare relazioni e procedure operative relative alle seguenti tematiche: prostituzione minorile, pornografia minorile, scomparsa di minori, traffico di minori e criminali accusati di reati di tipo sessuale a danno di minori. Tale gruppo di lavoro ha prodotto l’Interpol Handbook of Good Practice for Specialised Officers Dealing with Crimes Against Children, un manuale di buone pratiche per gli ufficiali delle forze dell’ordine specializzate a perseguire i crimini contro i/le minori. Pubblicato nel 1998, tale manuale é stato tradotto in molte lingue ed è stato distribuito in 179 paesi; a breve é prevista la pubblicazione di una nuova edizione rivista e aggiornata. L’Interpol opera in Albania da tempo e, in questo paese, le sue attività riguardano in particolar modo l’indagine e il contrasto alle reti criminali specializzate in traffico di armi, di droga e, soprattutto, di esseri umani. Nei paragrafi successivi vengono presentate le informazioni e le osservazioni di un ex ispettore dell’Interpol che per anni ha specificatamente lavorato nel campo della lotta alla tratta di esseri umani in Albania maturando preziose competenze e significative esperienze che ha messo a nostra disposizione per meglio inquadrare il fenomeno oggetto della presente ricerca. Un quadro del traffico di esseri umani in Italia A partire dal 1991, è possibile affermare che oltre 20.000 ragazze e donne albanesi sono state coinvolte nel settore della prostituzione in Europa, la maggior parte di esse è stata trafficata a fini di sfruttamento sessuale. Nell’ultimo periodo la situazione ha però assunto nuove caratteristiche. Se fino a pochi anni fa, infatti, molti erano i casi di ragazze trafficate con l’uso della forza e dell’inganno, ora sono poche le persone minorenni coinvolte nel traffico e la maggioranza delle donne si reca volontariamente all’estero per prostituirsi. Esse operano una scelta razionale alla luce delle scarse possibilità di condurre un livello di vita decente in Albania. Si tratta di persone tendenzialmente ingenue, che pensano di recarsi in un paese straniero per lavorare per pochi mesi nel settore del sesso commerciale per poi trovare un impiego in un altro ambito produttivo. Recentemente inoltre é stata registrata una sensibile diminuzione del numero di persone che per la prima volta vengono inserite nel mercato della prostituzione; si è notato, infatti, che un alto contingente di donne vengono “riciclate” e che tendono a non chiedere alcuna forma di aiuto in quanto si sono adeguate alle condizioni di vita e di lavoro richieste dai propri sfruttatori. Le ragazze e le donne accolte dalle organizzazioni non governative in Albania non costituiscono perciò un campione indicativo delle donne trafficate in generale, esse rappresentano solo i casi più drammatici: ragazze che hanno subito gravi forme di violenza fisica e psicologica e di cui gli sfruttatori volevano sbarazzarsi poiché non risultavano essere più delle fonti di guadagno vantaggiose. Ad esempio, delle 4 donne rimpatriate dalla polizia italiana incontrate in un’occasione: 1 aveva 15 anni ed aveva subito violenze gravi, un’altra era gravemente malata e un’altra ancora aveva problemi mentali. Per ciascuna di queste ragazze ritornate in patria, ne esistono molte di più che continuano a lavorare in Italia, più o meno volontariamente. Gli albanesi non sono sicuri che il loro paese entrerà a far parte dell’Unione Europea e sono incapaci di vedere davanti a sé un futuro migliore. Non sono motivati a frequentare la scuola e a conseguire un livello di istruzione medio-alto perché non considerano ciò una garanzia per conquistare un posto di lavoro sicuro. La quota di persone autorizzate ad emigrare legalmente in Italia è gestita dal governo albanese, ciò fa supporre all’opinione pubblica che il meccanismo di accesso alle procedure richieste per ottenere il visto sia altamente corrotto. Attualmente su una popolazione di 3.300.000 persone, 700-800.000 lavorano all’estero, alcuni legalmente, altri 226 illegalmente. La capacità migratoria albanese si è oramai quasi esaurita; la maggior parte delle famiglie ha uno o due componenti che lavorano oltre i confini nazionali. Le condizioni di vita delle persone emigrate variano molto in base al loro status di immigrato regolare o irregolare. In caso di clandestinità, la persona è costretta ad utilizzare canali criminali per espatriare e, di conseguenza, si ritrova ad essere maggiormente esposta, da un lato, ai rischi derivanti dalla posizione irregolare detenuta nel paese di destinazione e, dall’altro, ai ricatti delle organizzazioni criminali con cui é venuta in contatto. La prostituzione coatta è fortemente collegata alle condizioni di vita delle persone clandestine. Nel corso degli ultimi anni, la gestione del traffico di esseri umani è passata nelle mani di organizzazioni criminali minori. Chi ha guadagnato molto denaro negli anni passati non è più disposto a rischiare i propri investimenti ora che viene applicata una politica più repressiva nei confronti del reato di tratta e che un numero sempre più alto di trafficanti viene messo in prigione. Gli ex-trafficanti comprano così l’omertà delle donne in precedenza sfruttate e si dedicano ad attività più lucrose, quali il traffico di stupefacenti e il riciclaggio di denaro sporco investito in attività legali. Di conseguenza, il traffico di esseri umani è ora gestito da criminali secondari e, infatti, i trafficanti che vengono ora arrestati e incarcerati generalmente sono “pesci piccoli” che non sono stati in grado di corrompere le persone giuste per evitare la prigione. Il “caso Albania” è particolarmente brutale e violento. La consapevolezza generale rispetto ai temi relativi al traffico di persone e le notizie riportate dai media locali (soprattutto su albanesi coinvolti in casi giudiziari italiani) producono due effetti principali: servono da deterrente ma, contemporaneamente, favoriscono il rafforzamento della struttura socio-culturale patriarcale albanese, “protettiva” e fortemente restrittiva nei confronti delle donne - in particolare nelle aree periferiche e rurali - spingendo di conseguenza le giovani donne ad emigrare utilizzando canali illegali, a dispetto dei rischi che possono incontrare. Risposte governative al traffico di esseri umani Per certi aspetti, l’Italia è il paese che ha risposto in maniera più efficace al fenomeno del traffico di esseri umani. Sono circa 2.000 le persone arrestate e rinchiuse nelle carceri albanesi e forse sono 5 volte tanti gli albanesi imprigionati in paesi europei. Migliaia di essi si trovano nelle carceri italiane, molti dei quali per traffico di persone e sfruttamento della prostituzione. Questo indica che il governo italiano sta lavorando in maniera più efficace rispetto ad altri per contrastare il traffico. Gli albanesi verrebbero scoraggiati ad intraprendere tale attività criminale se anche in Albania venissero comminate pene più severe a chi si macchia di un delitto così grave. I trafficanti non hanno alcuna paura di “trasportare” e vendere i minori, ad esempio, in Grecia perché il rischio che corrono è minimo e, in più, la risonanza mediatica rispetto ad azioni giudiziarie di contrasto efficaci contro il traffico è quasi inesistente. Il passo più importante compiuto dal governo italiano è stata l’introduzione dell’art. 18 del D.Lgs. 286/98, una legge che garantisce protezione ed assistenza a persone straniere trafficate e sfruttate, fornendo loro un permesso di soggiorno temporaneo e la possibilità di intraprendere un percorso di inclusione socio-lavorativa all’interno di un programma di protezione sociale. L’art. 18 ha permesso a molte donne di poter rimanere in Italia, anche nel caso in cui non erano disposte a testimoniare direttamente contro i propri sfruttatori e trafficanti. Questa legge si è rilevata efficace anche per le forze dell’ordine italiane perché, anche se le donne sono troppo impaurite per denunciare formalmente i propri sfruttatori, una volta ospitate ed inserite in un programma di protezione sociale gestito da ong o da un ente locale, esse forniscono informazioni utili alle indagini. 227 Alcune attività intraprese dal governo italiano e da quello albanese si sono rivelate inefficaci. Il controllo massiccio alle frontiere e l’impiego di un maggior numero di rappresentanti delle forze dell’ordine non sono l’unica risposta possibile. L’utilizzo di tecniche che contemplano l’uso delle armi per l’individuazione di clandestini può portare a morti inutili di immigrati clandestini e costringe le reti criminali ad inventarsi nuove modalità operative per raggiungere i propri scopi. Quando episodi di questo genere accadono – ovvero quando vengono uccise delle persone in azioni di contrasto - solitamente non se ne dà notizia per ovvie ragioni politiche. Gli albanesi non si sentiranno motivati a rafforzare i controlli alle frontiere contro le persone straniere che attraversano l’Albania per raggiungere i paesi europei finché il loro stesso diritto di spostarsi liberamente viene garantito. E’ importante ricordare che il fenomeno dell’immigrazione clandestina è sempre soggetto a nuove e più gravi forme di sfruttamento organizzate e gestite dalle reti criminali nazionali e transnazionali. Sono dunque necessarie risposte giudiziarie più forti, non politiche più forti. La confisca dei beni è difficile da attuare in Albania, a causa della mancanza di strutture adeguate in grado di regolare la proprietà privata o di monitorare le operazioni bancarie e finanziarie, ma in altri paesi essa è possibile. Attuare una politica di rimpatrio coatto non ha alcun senso in quanto le donne non vogliono tornare a casa - o sono spaventate di ritornarvi - e fanno velocemente ritorno in Italia. Le persone straniere deportate in Albania o fermate dentro i confini albanesi costituiscono un grosso problema. Le risorse finanziarie e le capacità strutturali per assisterle o rimpatriarle nei loro paesi di origine sono molto limitate. Inoltre, a rendere più difficoltoso tale processo è il fatto che l’Albania non ha stipulato nessun accordo di rimpatrio immediato con i paesi di origine delle straniere che vengono rintracciate sul suo territorio (come quello firmato con l’Italia e con altri paesi europei). Raccomandazioni ai governi - - - - Rendere la possibilità di emigrare più accessibile, al fine di far diventare inutile il ricorso a reti criminali da parte di albanesi che desiderano viaggiare e trovare un lavoro all’estero. Se ciò accadesse, le famiglie tornerebbero ad utilizzare il modello migratorio tradizionale inviando all’estero i propri componenti maschi e non i/le minori né certamente le ragazze; estendere i dispositivi previsti dall’art. 18 alle ragazze e alle donne albanesi sfruttate in Italia e rimpatriate contro la loro volontà (ad es. permettendo loro di ritornare e di sistemarsi in Italia). Questa sarebbe una decisione molto pragmatica perché molte (la maggior parte?) delle ragazze e delle donne rimpatriate coattivamente ritorna comunque in Italia e cade nuovamente nella rete criminale di sfruttamento. Il loro ritorno legale in Italia potrebbe essere di beneficio agli obiettivi definitivi dall’art. 18 (sia a livello umanitario che giudiziario); dare una nuova destinazione ai fondi attualmente utilizzati in maniera poco efficace (controllo militare e di polizia massiccio alle frontiere, impiego della polizia su larga scala in Albania, etc.) per finanziare piccole unità miste di polizia italiana e albanese e rafforzare le loro competenze e le loro capacità di contrasto al fenomeno del traffico; cooperare e rafforzare strutture e istituzioni europee dedite alla lotta contro il crimine organizzato; elaborare una stima generale dell’investimento umano e finanziario diretto a combattere l’emigrazione clandestina albanese, prendendo in considerazione i soldi spesi per le massicce operazioni militari, di polizia e di guardia costiera, per i rimpatri, i processi, i servizi di assistenza sociale, la detenzione degli arrestati, etc. e, l’enorme somma di denaro incassata dai criminali per la gestione illegale del trasporto e dell’entrata illegale nel paese di destinazione (e metterla a confronto con il guadagno legale che se ne sarebbe potuto trarre attraverso il trasporto legale), le tasse, e i soldi persi a causa del mercato nero del lavoro. 228 Il flusso regolare e legale di accesso in un paese straniero potrebbe contribuire ad una politica amministrativa più efficace rispetto a temi di ordine pubblico - per non parlare di altri effetti sociali che produrrebbe - e diminuirebbe il rischio di un’ulteriore emigrazione massiccia. Qualsiasi politica che si intende implementare deve comunque partire dalla considerazione che l’Albania si adopererà in maniera sempre più strategica per promuovere la sua possibile integrazione in Europa, e ciò implicherà la libertà di movimento dei suoi cittadini e delle sue cittadine all’interno della Comunità. Raccomandazione alle organizzazioni non governative - - Non drammatizzare oltre modo il problema o considerare che tutte le persone immigrate clandestine siano vittime di traffico; aiutare i/le minori più deboli trafficati in Italia mettendoli in contatto e rendendoli raggiungibili dalle proprie famiglie; sostenere l’approvazione di una nuova legge simile a quella statunitense che permette alle ong di utilizzare i soldi confiscati ai trafficanti o derivanti dalle multe a loro assegnate per implementare le proprie attività contro il traffico; istituire un sistema di auto-valutazione soprattutto per individuare le “ong fantasma” che non operano realmente a favore delle vittime o le cui azioni non possono essere ritenute professionalmente adeguate a tale target. 8.4 I servizi in Romania. Gli studi di caso L’Organizzazione mondiale per le migrazioni Cenni storici L’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM) è stata fondata nel 1951 su iniziativa del Belgio e degli Stati Uniti che, riunitesi a Bruxelles in occasione della Conferenza Internazionale sull’Emigrazione, dettero vita al “Provisional Intergovernmental Committee for the Movements of Migrants from Europe” (PICMME), divenuto poi “Intergovernmental Committee for the Movements of Migrants from Europe” assumendo, infine, nel 1989, l’attuale denominazione. Nata come agenzia intergovernativa dedita ad aiutare le persone deportate, rifugiate e migranti europee, attualmente l’OIM offre i suoi servizi in tutto il mondo. L’OIM rappresenta infatti 93 Stati membri, 36 Stati osservatori a cui devono essere aggiunte una serie di organizzazioni internazionali a cui è stato assegnato lo status di osservatori. La Romania è diventata uno Stato membro Osservatore dell’OIM nel 1992, anno in cui venne aperta la sede a Bucharest. Il Parlamento rumeno ha ratificato la Costituzione dell’OIM nel 1998 e da quel momento la Romania è diventata a pieno titolo uno Stato Membro dell’OIM. Nell’ambito della lotta al traffico di esseri umani, in particolare di donne e minori, l’OIM svolge fin dall’inizio degli anni ’90 un ruolo di prima piano, in particolare attraverso le attività attuate attraverso il suo Counter-trafficking Service attivo in molti paesi e che prevede la realizzazione di: - campagne di sensibilizzazione ed informazione; servizi di counselling; ricerche; rimpatrio volontario assistito delle vittime e loro re-integrazione nel paese di origine; 229 - sostegno ai governi per il miglioramento della legislazione nazionale e delle capacità tecniche per combattere il traffico. L’Ufficio OIM in Romania ha iniziato le proprie attività a favore delle vittime di traffico di esseri umani nel dicembre 1999. Nel corso degli anni, ha strutturato interventi mirati, da un lato, ad aiutare direttamente le persone coinvolte in tale fenomeno, dall’altro, a studiarne le caratteristiche e i processi per meglio identificare progetti di aiuto e di supporto. In particolare, sono stati implementati programmi di assistenza e di prevenzione al traffico di donne in Romania (2001); ricerca e raccolta dati sulla tratta di donne e minori a scopo di sfruttamento sessuale nei Balcani quale area di origine, transito e destinazione (2001); programma di rimpatrio volontario assistito e di re-integrazione delle vittime (2002); misure di contrasto al traffico di esseri umani, in particolare di donne e minori, delle o attraverso le regioni balcaniche e adriatiche. Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha adottato la definizione di traffico contenuta nel Protocollo addizionale della Convezione ONU contro il Crimine Transnazionale Organizzato (Palermo, 2000) secondo cui il traffico é: “il reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o accogliere persone, tramite l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme, di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”. L’impegno e l’approccio dell’OIM al fenomeno del traffico di esseri umani si basa su quanto stabilito nel suo stesso mandato costitutivo: “L’OIM è dedita al principio secondo cui le persone che emigrano e la società traggono giovamento da una migrazione umana e regolata, ed è impegnata nel risolvere le difficoltà pratiche derivanti dalla migrazione; promuove la comprensione delle questioni legate all’emigrazione; incoraggia lo sviluppo sociale ed economico attraverso l’emigrazione; e lavora per il rispetto effettivo della dignità umana e del benessere delle persone migranti”. (Risoluzione n. 923, LXXI, del 27 novembre 1995). Ritiene inoltre necessario operare una netta distinzione tra prostituzione volontaria quale servizio sessuale deliberato e retribuito (legale o illegale, a seconda della legislazione nazionale vigente) e prostituzione coatta (basata su schiavitù, vendita ripetuta, violenza fisica, psicologica ed emotiva, coercizione attraverso rapimento, frode o inganno). Una buona qualità dei servizi sociali sono la chiave per una reintegrazione positiva delle vittime. Al momento, l’assistenza è fornita principalmente da organizzazioni non governative. La legge rumena contro la tratta di persone (n. 678/2001) è ad ampio raggio ma la sua effettiva implementazione registra un significativo ritardo. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte Le attività realizzate dalla sede OIM rumena vengono svolte all’interno di due programmi specifici: • Assistenza alle vittime del traffico di esseri umani per: 230 Rimpatrio volontario: - sostegno nel paese di destinazione; - produzione documenti di viaggio (passaporti e visti); - organizzazione viaggio internazionale; - assistenza all’arrivo (all’aeroporto o in un altro punto di arrivo); - trasporto locale; Assistenza nella fase di pre-reintegrazione (nel breve e medio periodo): - accoglienza temporanea; - assistenza sociale; - assistenza sanitaria; - counselling psicologico; Reintegrazione (nel medio e lungo periodo): - assistenza scolastica; - orientamento e formazione al lavoro; - supporto nella ricerca del lavoro. • Prevenzione contro il traffico di esseri umani: - Campagna nazionale di informazione sui rischi di traffico di esseri umani. Dal gennaio al dicembre 2001 l’ufficio rumeno dell’OIM ha assistito 246 vittime di traffico, tutte di genere femminile, di cui 231 erano rumene, 10 moldave e 5 ucraine. Tutte le vittime sono state volontariamente rimpatriate, assistite dal personale OIM per garantire loro un ritorno sicuro nel luogo di origine. Il servizio offerto ha previsto l’assistenza nel paese di destinazione, la preparazione dei documenti di viaggio, il viaggio dal paese di destinazione a quello di origine, l’accoglienza all’arrivo all’aeroporto o in altri porti di entrata, il viaggio all’interno del paese di origine, l’eventuale accoglienza temporanea in una casa-rifugio, assistenza medica urgente e sostegno psicologico. Delle 231 donne assistite, 173 sono state inviate ad organizzazioni locali per il programma di reintegrazione. I servizi offerti dalle ong partner sono di tipo individualizzato sulla base dei bisogni espressi dalla persona presa in carico; in genere si tratta di: accoglienza temporanea, assistenza sanitaria, consulenza psicologica, consulenza legale, assistenza sociale generale, percorsi di accompagnamento scolastico, formativo, orientamento e supporto nella ricerca del lavoro. Il team Assistenza dell’OIM svolge attività periodica di monitoraggio per verificare i progressi dei singoli progetti individualizzati delle persone prese in carico attraverso delle visite in loco e il contatto regolare con le vittime e le organizzazioni con cui collabora. Dai dati raccolti finora dalla sede OIM rumena, la maggior parte delle vittime minori provengono da famiglie disfunzionali, con esperienze di abuso, originarie della aree più povere del paese e di quelli limitrofi, in particolare dalla Moldavia. Lo staff impegnato nelle attività promosse in Romania è formato da 8 persone: 1 senior e 1 assistente operations officer, 1 coordinatore del counter-trafficking focal point, 1 coordinatore e 1 assistente del Programma Assistenza, 1 responsabile dell’ufficio amministrativo e 2 public lnformation officers. L’OIM ritiene di fondamentale importanza garantire attività di formazione e aggiornamento al personale impiegato presso i propri uffici. Nel corso del 2001, la sede rumena dell’OIM ha firmato una serie di protocolli di intesa con le seguenti istituzioni: 231 - Ministero dell’Interno per l’apertura di un casa-rifugio per l’accoglienza temporanea delle vittime in transito; Ministero dell’Istruzione e della Ricerca per la realizzazione di una campagna di informazione sul traffico e l’emigrazione da svolgere nelle scuole medie e superiori del paese; Ministero del Lavoro e della Solidarietà Sociale per la realizzazione di attività di informazione comuni; Chiesa Ortodossa rumena per la realizzazione di attività di informazione e di assistenza alle vittime; ha inoltre firmato una serie di contratti con: - Fondazione Estuar per la gestione di una casa-rifugio temporanea a Bucharest e per l’assistenza delle vittime prese in carico; Association for Debate, Oratory and Rethorics (ARDOR) per la realizzazione di una campagna di informazione da svolgersi nei campi estivi rivolti a studenti; Romanian National Agency for Camps and Student Tourism per la realizzazione di una campagna di informazione da svolgersi nei campi estivi rivolti a studenti; Centro per le Risorse Legali per il supporto tecnico e finanziario per la redazione della proposta di “Legge sulla prevenzione e sulla lotta al traffico di persone”; Centro per la Ricerca Urbana e Regionale, l’Istituto per la Ricerca sulla Qualità della Vita, Mercury Research and Marketing Consultants per l’effettuazione di una ricerca sul traffico; Tempo Advertising per la creazione e la produzione di materiale informativo; Media Image per il monitoraggio della rappresentazione dei media sulle tematiche relative all’immigrazione e al traffico di persone; Diverse organizzazioni non governative per la realizzazione di attività di assistenza rivolte direttamente alle vittime; Con una serie di sociologi e sociologhe per l’effettuazione di una ricerca sul traffico. Problemi e proposte di cambiamento Prevenire e combattere il traffico di esseri umani, in particolare di minori, richiede l’elaborazione e l’utilizzo di una strategia che sappia fornire strumenti di supporto ed aiuto nel breve ma, soprattutto, nel medio e nel lungo periodo, ed è proprio in questa prospettiva che le persone intervistate hanno ritenuto fondamentale sottolineare l’importanza di implementare le seguenti azioni: - sostenere ed migliorare la cooperazione tra organizzazioni non governative locali e tra quelle nazionali; creare partnership pubblico- private per la gestione di case di accoglienza; incentivare misure di prevenzione, che includano stabilmente come attori-chiavi le scuole, le chiese e le comunità locali; fornire programmi di assistenza completi; elaborare degli standard di assistenza per garantire un alto livello di qualità dei servizi erogati; realizzare corsi di formazione per le varie figure professionali coinvolte in attività di assistenza alle vittime e alle loro famiglie; rafforzare le attività delle forze dell’ordine mirate a combattere il traffico. Save the Children (in Romania) 232 Cenni storici Save the Children ha aperto la sede in Romania nel gennaio 2002, in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). La sede rumena di Save the Children è un’affiliata dell’International Save the Children Alliance, la più grande organizzazione internazionale indipendente dedita alla promozione dei diritti dei bambini e delle bambine. Attiva da anni, l’Alliance ha aperto 30 uffici nazionali mentre più di 120 sono i paesi in cui vengono realizzati dei programmi di intervento a favore di minori. Save the Children Romania é membro dell’International Working Group on Child Labour, dell’ECPAT - End Child Prostitution, Child Pornography and Trafficking in Children, dell’European Network on Street Children Worldwide ed é il coordinatore regionale dell’Eastern Europe of the Global March against Child Labour. A livello nazionale, é un componente del Comitato Nazionale di Pilotaggio per l’Eliminazione del Lavoro Minorile in Romania, fondato il 4 luglio 2000 nell’ambito dell’Azione Nazionale per la Prevenzione e l’Eliminazione del Lavoro Minorile in Romania, e della Federazione delle organizzazioni non governative Attive nella Protezione dei Minori. Le fasi di sviluppo e la filosofia dell’organizzazione rispetto al fenomeno specifico del traffico dei minori La filosofia di Save the Children si fonda sul principio secondo cui i/le minori hanno il diritto ad essere protetti dalla violenza e dall’abuso, di godere di buona salute e di avere accesso all’istruzione, così come sottolineato nel suo mandato: “I bambini e le bambine hanno il diritto di parlare, di dire cosa vogliono e cosa si aspettano dalle persone adulte. Hanno il diritto di prendere parte alle decisioni che riguardano il loro futuro. Save the Children considera i/le bambini/e e i/le giovani partner che partecipano ai progetti da cui traggono giovamento”. In questo contesto, si collocano le azioni di contrasto al traffico di minori a scopo di sfruttamento sessuale. Per quanto riguarda la definizione di traffico di persone utilizzata, Save the Children Romania fa riferimento a quella contenuta nella Convenzione contro il Crimine Transnazionale Organizzato (Protocollo di Palermo), adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel novembre 2000, secondo cui il trafficking è: “il reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o accogliere persone, tramite l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme, di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”. Rispetto ai minori, in tale Protocollo, tutte le forme di traffico a scopo di sfruttamento vengono considerate “non volontarie”, indipendentemente dal fatto che sia o non sia stata utilizzata la forza o l’inganno, di conseguenza, la tratta viene ritenuta a pieno titolo una violazione dei diritti dei/delle minori. Le cause principali del traffico di persone, e di minori in particolare, secondo il gruppo di lavoro di Save the Children in Romania, devono essere ricercate in primo luogo nelle condizioni di povertà in cui la maggior parte della popolazione rumena vive. Lo scarso livello di istruzione delle famiglie di origine delle vittime e la mentalità che le caratterizza sono da considerarsi dei push factors che influenzano le caratteristiche del traffico di esseri umani in questo paese. Particolarmente grave, ad esempio, viene considerato dalle testimoni privilegiate intervistate il ruolo della violenza all’interno 233 delle mura domestiche in quanto essa è talmente strutturale alle dinamiche socio-familiari che non viene percepita come un comportamento violento da parte delle vittime stesse. In un contesto caratterizzato da abusi fisici e/o sessuali intrafamiliari e, a volte, da abbandoni, la vulnerabilità delle vittime - soprattutto se minori - diventa particolarmente elevata. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte Considerata anche la sua recente costituzione, la sede rumena di Save the Children non ha attualmente un programma rivolto specificatamente ai/alle minori vittime di traffico ma se ne occupa nell’ambito di due progetti rivolti in generale a minori che sta realizzando in Romania. Il primo progetto riguarda la gestione di 7 Centri di Consulenza per Minori e Famiglie, istituiti in altrettante aree distinte del paese, che offrono servizi di cura e consulenza ai/alle minori che hanno subito violenza fisica, psicologica e sessuale. Ad esempio, il Centro di Consulenza di Suceava, in collaborazione con l’OIM, ha inserito nei suoi programmi di consulenza 8 ragazze vittime di traffico provenienti dall’Albania e dalla Macedonia. Per questi casi, l’OIM si occupa di individuare le vittime e di accompagnarle al paese di origine fornendo loro anche un supporto finanziario per facilitare il processo di re-inserimento in famiglia e nella società, mentre il Centro di Consulenza offre percorsi di supporto psicologico sia alle ragazze che alle loro famiglie. Il secondo progetto (“Minori e giovani non accompagnati”), sviluppato in collaborazione con il Servizio Sociale Internazionale, si occupa del re-inserimento in famiglia, attraverso l’attivazione di programmi individualizzati, di minori non accompagnati rimpatriati. Come parte integrante del progetto, la famiglia del/la minore riceve un contributo economico e viene inserita nel programma di counselling e di assistenza sociale offerto dal Centro. Sia ai/alle minori assistite attraverso il primo progetto sia a quelle supportate attraverso il secondo vengono forniti servizi di assistenza medica e viene elaborato un piano individuale di counselling psicologico finalizzato al ri-stabilimento dell’equilibrio psico-emotivo e alla re-integrazione sociale dell’utente. Nel caso, il Centro non sia in grado di fornire l’aiuto necessario esso invia il/la minore ad altri servizi sociali che possono fornire una soluzione al problema individuato (salute, scuola, formazione professionale). Dal momento della sua apertura ad oggi, l’ufficio rumeno di Save the Children ha seguito 22 minori. Si è trattato nel 100% dei casi di ragazze di origine rumena, con un’età compresa tra i 15 e i 35 anni, di cui solo 1 sposata con 2 figli. La maggior parte delle utenti assistite proveniva da famiglie disfunzionali ed era caratterizzata da esperienze pregresse di abuso di diverso tipo, da un basso livello di autostima e di istruzione. Il personale impiegato nei progetti realizzati da Save the Children in Romania è composto da: 1 coordinatore del programma, 2 psicologhe/psicoterapeute, 2 assistenti sociali, 2 psichiatri e un consulente legale. Vengono tenuti degli incontri settimanali tra lo staff e le utenti duranti i quali vengono discusse le questioni e le problematiche emerse durante la settimana. Le beneficiarie dell’intervento divengono così partecipanti attive dei processi decisionali dell’organizzazione. Problemi e proposte di cambiamento Dall’esperienza finora maturata dalla sede rumena di Save the Children emerge con forza la necessità di un maggiore coinvolgimento e sostegno da parte del governo nazionale alle politiche legislative e sociali rivolte ai/alle minori in generale e a quelle atte a combattere il traffico di esseri umani in particolare. Nonostante venga riconosciuto l’impegno dimostrato dal governo nell’ultimo 234 periodo rispetto all’attivazione di misure di protezione dei minori, si ritiene di fondamentale importanza che le autorità nazionali attivino, da un lato, una politica trasversale di lotta al fenomeno del traffico e, dall’altro, un programma caratterizzato da un approccio globale e multidisciplinare di assistenza e supporto alle vittime e alle loro famiglie. Sostenere ed allargare i programmi governativi di sostegno ai minori diventa perciò essenziale per non disperdere il know-how acquisito e le risorse già in campo. Ci si riferisce in particolare alle agenzie create negli anni ’90, quali: l’Autorità Nazionale per la Protezione e l’Adozione del/la Minore (ANPAM), un’istituzione specializzata della pubblica amministrazione centrale che coordina tutte le attività di tutela dei minori a livello nazionale e monitora l’implementazione delle riforme; e ai dipartimenti di tutela dei minori alle dipendenze dei comuni il cui compito è di tutelare i minori e di prevenire situazioni di abuso e di sostenerli quando sono già state vittime di abbandono, violenza, sfruttamento, compreso lo sfruttamento sessuale e il traffico. Al fine di operare in maniera coordinata e unitaria, l’ANPAM ha proposto al governo la “Strategy on Distressed Child Welfare Protection (2000-2004)”, approvata nel maggio 2002. Tale strategia è stata collocata nell’area “questioni con interesse speciale” ed è stata dichiarata una priorità nazionale da parte del governo rumeno. In base a questa proposta, ciascun comune ha il compito di deve elaborare una strategia in base ai bisogni e alle specificità locali. Sulla base della “Strategy on Distressed Child Welfare Protection”, l’ANPAM ha quindi elaborato il “Piano di Azione per l’Implementazione della Riforma del Welfare per i Minori”, che deve essere periodicamente aggiornato. Tale documento dedica, inoltre, un capitolo apposito alle tematiche relative all’abbandono dei minori e alla prevenzione e allo sradicamento dell’abuso, allo sfruttamento minorile e al traffico di minori. Infine, Save the Children Romania considera di primaria rilevanza: - attivazione di nuovi servizi sociali specializzati per minori trafficati/e (case di accoglienza, counselling e supporto medico, formazione professionale, protezione delle vittime, etc.). promuovere corsi di formazione rivolti a personale delle varie agenzie a diretto contatto con le vittime del traffico, in particolare con minori; elaborare strategie ad hoc per eliminare la diffusa discriminazione nei confronti delle vittime; erogare fondi adeguati per l’implementazione di programmi rivolti ai minori in generale e a quelli vittime di traffico in particolare. Reaching Out Cenni storici L’organizzazione Reaching Out opera in Romania dall’ottobre 1998. Reaching Out lavora nell’ambito dell’intervento sociale a favore di persone trafficate a scopo di sfruttamento sessuale, sia adulte che di minori età. Il traffico di esseri umani viene considerata una forma di schiavitù moderna mentre la prostituzione volontaria viene ritenuta essere il prodotto delle situazioni di incesto vissute dalle vittime e la prostituzione coatta il risultato di condizioni di schiavitù a cui sono sottoposte le persone che, “se salvate in tempo, possono essere integrate nuovamente” nel tessuto socio-familiare di appartenenza o in quello del paese di destinazione. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte 235 Reaching Out offre assistenza ed aiuto a vittime di tratta, garantendo un ambiente protetto e sicuro, attraverso l’elaborazione di piani individualizzati di breve e medio periodo che prevedono l’erogazione dei seguenti servizi: assistenza medica, counselling psicologico individuale e/o di gruppo, percorsi formativi, supporto nella ricerca del lavoro e dell’alloggio. Ad oggi, le persone assistite sono state 56, di cui 5 sono state ri-trafficate nel giro dello sfruttamento della prostituzione nei paesi dell’Europa occidentale mentre le rimanenti 51 sono tornate in famiglia o vivono da sole. Delle persone accolte, il 100% era di genere femminile, di cui il 25% era composto da minorenni. Rispetto al paese di origine, la maggior parte delle utenti proveniva dalla Romania, solo 3 i casi registrati, infatti, di donne originarie dalla Moldavia. Secondo l’Associazione, le vittime provenivano da famiglie povere, disfunzionali che non hanno garantito un ambiente adeguato per la loro crescita individuale e che, nella maggioranza dei casi, hanno abusato delle proprie figlie in vari modi. Le principali figure individuate di invio delle utenti all’associazione sono state le seguenti: le forze dell’ordine, la Child Protection e la famiglia di origine. Diverse sono le famiglie che contattano l’associazione per avere informazioni sulle proprie figlie scomparse, a cui l’associazione cerca di dare risposta raccogliendo le informazioni richieste sulla persona che si è allontanata da casa o è stata costretta a farlo, per poi indicare ai parenti come raggiungerla. Una volta uscite dal programma, tutte le utenti continuano a mantenere i contatti con l’Associazione e continuano a fruire dei servizi di supporto e, in molti casi, esse stesse fungono da sostegno per le nuove utenti prese in carico. Lo staff di Reaching Out è composto da: 6 assistenti sociali a tempo pieno (3 in ciascun appartamento gestito dall’associazione), che aiutano le ragazze e le donne nello svolgimento delle loro attività quotidiane (lavori di casa, spesa, cucina, etc.); 4 assistenti sociali part-time che lavorano specificatamente durante il week-end, quindi, 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 le ragazze e le donne vengono supportate da personale specializzato. In più, fanno parte del team di lavoro: 1 contabile part-time, 1 assistente coordinatore a tempo pieno e una psicologa che è anche la coordinatrice del programma. Lo staff e le beneficiarie del programma si riuniscono collegialmente una volta alla settimana per confrontarsi e discutere le problematiche emerse durante quel lasso di tempo. In questo modo, le persone accolte prendono parte al processo decisionale rispetto alle questioni che le riguardano direttamente. Due volte al mese, invece, vengono organizzati degli incontri di formazione per lo staff. Contrariamente ad altre associazioni, Reaching Out si avvale della collaborazione di personale volontario. Si tratta di studenti dell’Università di Potesti che, in diversi casi, dopo un periodo di formazione ad hoc, diventano i referenti responsabili della campagna di prevenzione condotta nelle scuole medie e superiori o tutor di sostegno per le studenti di tali ordini scolastici. Reaching Out è membro di Famnet, una federazione di organizzazioni non governative che lavorano nel campo della lotta al traffico in Romania; a tale rete fanno parte agenzie che lavorano nel settore della prevenzione, della ricerca e dell’assistenza diretta alle vittime. Gli aderenti a Famnet sono collegati costantemente grazie all’utilizzo di internet, attraverso il quale si scambiano informazioni, soprattutto rispetto alla disponibilità recettiva dei pochi centri di accoglienza operanti sul territorio. L’Associazione, infine, appartiene al gruppo delle ong che hanno stipulato un accordo scritto nell’ambito del Piano Nazionale, approvato dal Parlamento, in base al quale le organizzazioni non governative sono responsabili delle attività che forniscono. Problemi e proposte di cambiamento 236 Nonostante i cambiamenti positivi registrati nel campo dell’intervento sociale a favore delle vittime di tratta avvenuti nel corso dell’ultimo periodo in Romania, secondo i testimoni privilegiati intervistati, molto ancora deve essere realizzato per produrre dei cambiamenti significativi in grado, da un lato, di tutelare le potenziali vittime e, dall’altro, di offrire un programma di assistenza efficace ed efficiente a chi desidera uscire da percorsi di sfruttamento coercitivi. In questa prospettiva, viene ritenuto di fondamentale importanza: - - realizzare corsi di formazione ad hoc rivolti al personale dei servizi che vengono a contatto con le vittime o potenziali vittime per poterle riconoscere e fornire loro un’adeguata assistenza, in particolare a: operatori ed operatrici sociali, sanitari, scolastici, di polizia, magistrati; istituire servizi sociali e realizzare programmi specificatamente rivolti a minori; individuare metodologie e strumenti per identificare le vittime, in particolar modo quelle minori di età; erogare i fondi necessari per fornire un’assistenza sul lungo periodo; potenziare la rete di assistenza e di supporto delle organizzazioni non governative, soprattutto rispetto alla loro capacità di accoglienza del target (al momento assolutamente inadeguata); intensificare la lotta alla corruzione. Tale agenda, viene sottolineato, necessita però del sostegno del governo rumeno, una conditio sine qua non per poter attivare un processo di natura olistica in grado di produrre dei cambiamenti significativi finalizzati alla costruzione di politiche sociali, legislative ed economiche che non si rivolgono solamente alle conseguenze generate dal fenomeno del traffico di esseri umani ma anche – e soprattutto – alle cause che lo originano. Social Alternatives Association Cenni storici e filosofia dell’intervento Social Alternatives Association ha iniziato le proprie attività nel febbraio 2001 a Iasi. L’Associazione ha adottato la definizione di traffico di esseri umani contenuta nel Protocollo Addizionale della Convenzione ONU contro il Crimine Organizzato Transnazionale (2000) secondo la quale il traffico è il “reclutamento, trasporto, trasferimento, l'ospitare o accogliere persone, tramite l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme, di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”. Gli aspetti organizzativi e le attività svolte Social Alternatives Association è tra le agenzie rumene del privato sociale che offrono programmi di accompagnamento all’inserimento sociale e lavorativo alle persone trafficate in Romania, in collaborazione con la sede di Bucharest dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni con cui ha stipulato un protocollo. 237 Dalla sua costituzione ad oggi, l’Associazione ha assistito 26 ragazze/donne di nazionalità rumena tra i 16 e i 32 anni di età. Delle donne accolte, 22 erano nubili e 4 divorziate, mentre 5 erano quelle con figli/e. Le minori risultano provenire da ambienti socio-familiari poveri, con scarse prospettive per il futuro; in alcuni casi si è trattato di minori abbandonate. In generale, tra le utenti accolte è stata registrata una diffusa mancanza di autostima, un basso livello di istruzione e una serie di esperienze di abusi fisici e/o psicologici maturate nell’ambiente familiare di origine. Lo staff è composto da 2 psicologi, 1 pedagogista, 2 assistenti sociali, con cui collaborano anche 1 medico, 1 avvocato e rappresentanti delle autorità locali. Vista la mancanza di possibilità di accedere a corsi di formazione sulla metodologia del lavoro sociale, in particolare, nel campo del traffico, l’Associazione organizza attività formative per il proprio personale. Considerato l’alto livello di riservatezza necessario per i singoli casi trattati e vista la mancanza di formazione specifica nel settore, Social Alternatives Association ha deciso di non servirsi della collaborazioni di volontari/e. Problemi e proposte di cambiamento Dotare i servizi sociali di personale specializzato ed istituire programmi di re-integrazione sociale specifici rivolti a minori trafficati/e risulta essere il bisogno prioritario rilevato da Social Alternatives Association. Allo stato attuale, infatti, solamente le organizzazioni non governative locali grazie al supporto di organizzazioni internazionali provvedono a fornire aiuto alle vittime di traffico. Le stesse ong, però, si trovano a volte in difficoltà a fornire progetti individualizzati basati su un approccio globale a causa delle difficoltà di ordine economico, burocratico e formativo. A volte si tratta di difficoltà materiali di base come, ad esempio, nel caso della Social Alternatives Association, la mancanza della disponibilità di una macchina. Fornire counselling psicologico e assistenza sociale alle famiglie di origine delle persone minori trafficate, prevedendo percorsi di sostegno al processo di reintegrazione, è una delle proposte suggerite dall’Associazione per facilitare il superamento del trauma e delle difficoltà vissute dai familiari delle vittime e, di conseguenza, favorire il processo di inclusione della vittima stessa. In generale, quindi, viene ritenuto necessario un maggiore coinvolgimento da parte delle autorità governative, in particolare, per: - sostenere programmi a favore delle persone minori trafficate; promuovere il loro accesso facilitato ai servizi sanitari; realizzare corsi di qualificazione per personale da impiegare in questo specifico settore del lavoro sociale; sviluppare programmi di prevenzione nelle scuole, nelle strade, etc.; realizzare progetti di inserimento professionale attraverso il coinvolgimento diretto dei comparti produttivi proponendo loro l’assunzione di vittime di traffico in cambio di sgravi fiscali. 8.5 Osservazioni conclusive Le esperienze qui presentate, indipendentemente dalle diversità che le caratterizzano, mettono in rilievo alcuni elementi che sono ritenuti fondamentali per intervenire in maniera efficace sul fenomeno del traffico di minori, principalmente a scopo di sfruttamento sessuale. Essenziale diventa riconoscere le dimensioni internazionali della tratta e le sue estrinsecazioni locali, la stretta correlazione tra emigrazione e caratteristiche dell’economia locale e globale (in primo luogo, la 238 femminilizzazione della povertà), la povertà, lo squilibrio di potere tra i generi, la diffusione di pratiche consolidate di corruzione in diversi apparati di molti paesi coinvolti dal fenomeno, e così via. Dalle interviste raccolte viene sottolineata con forza la necessità di studiare il fenomeno del traffico di minori in quanto molto spesso esso risulta ancora poco esplorato o associato e confuso a quello delle persone trafficate adulte. Conoscere i fenomeni, le loro diverse caratteristiche e le continue trasformazioni è una delle principali esigenze individuate dalle organizzazioni non governative, dalle agenzie internazionali e dai servizi istituzionali esaminati per poter meglio tutelare i diritti di minori trafficati e rispondere correttamente ai loro bisogni specifici. Ciò permetterebbe di elaborare interventi ad hoc specializzati in grado di promuovere in maniera più efficace il processo di empowerment delle vittime e favorire così un loro reale inserimento sociale e lavorativo nel paese di origine o in quello di residenza. In particolar modo, le organizzazioni italiane sottolineano l’esigenza di identificare metodologie e strumenti adeguati per il monitoraggio del fenomeno e l’implementazione di progetti mirati. Approfondire la conoscenza del fenomeno del traffico di minori in Italia permetterebbe di costruire modelli di intervento maggiormente rispondenti alle esigenze del target. Rispetto alle forme di accoglienza per i/le minori, ad esempio, diverse sono le posizioni raccolte attraverso le interviste realizzate; vi sono operatori ed operatrici che ritengono fondamentale l’accoglienza in comunità, altri che considerano la famiglia la soluzione più appropriata, altri ancora che preferiscono adottare il modello delle famiglie di vicinato. Maggiore attenzione a valutare le singole storie personali e le variabili culturali di cui un/a minore è portatrice è un elemento sottolineato con forza dai/dalle testimoni-chiave intervistati/e. Promuovere l’organizzazione di corsi di formazione di antropologia culturale e di etnopsichiatria tra le varie agenzie del pubblico e del privato sociale è considerata un’azione necessaria non più procrastinabile per poter superare le “incomprensioni” culturali quotidiane tra operatori/operatrici e target straniero. In questa prospettiva deve essere collocata l’analisi della diversa concezione di “minore età” legata alle varie culture di appartenenza delle persone minori accolte. E’ stato sottolineato da più parti, pur nel rispetto della tutela dei diritti delle persone minorenni, la difficoltà di applicare indistintamente la categoria “minore età”: “attivare un progetto individualizzato per una ragazza di 14-15 anni è molto diverso che doverlo fare per una di 17 anni, 17 anni e mezzo; esse hanno bisogni distinti e probabilmente progetti migratori basati su un livello di consapevolezza differenziato e su finalità alquanto difformi”. Anche in questo caso, viene ribadito da più parti, conoscere meglio le storie individuali e le culture di appartenenza potrebbe aiutare a costruire percorsi di supporto e di inclusione sociale più efficaci. L’uso dello strumento del rimpatrio coatto dei/delle minori stranieri nel paese di origine viene valutato negativamente da tutte le persone intervistate se esso non è supportato da una politica di reintegrazione assistita. Esso deve essere valutato attentamente caso per caso, in accordo con la persona minore e raccogliendo il maggior numero di informazioni possibili sulle condizioni familiari, sociali e di sicurezza esistenti nel luogo di origine per evitare di mettere in pericolo la vita del/la minore una volta tornato/a a casa, di consegnarlo/a ad un futuro incerto che potrebbe condurlo/a nuovamente a cadere nelle maglie di organizzazioni criminali ed essere così ritrafficato/a. Il ruolo della famiglia di origine, secondo le testimonianze raccolte, non è ancora stato sufficientemente valutato. Nell’incertezza di considerarla come risorsa o come un “problema” da rimuovere, la maggior parte dei progetti attivati tende a non adottare un approccio sistemico e 239 considerare il/la minore come un soggetto “isolato” dal suo contesto originario di appartenenza. Alcuni operatori ed operatrici italiane hanno invece evidenziato l’opportunità, valutando caso per caso, di allacciare rapporti telefonici o epistolari con i membri della famiglia di origine, quale misura fondamentale per favorire il benessere e il processo di crescita del/la minore accolto/a. Ugualmente, le organizzazioni operanti sul territorio albanese hanno sottolineato l’importanza di coinvolgere le famiglie nei processi di re-inclusione in patria. Sostenere e finanziare progetti nei paesi di origine è una necessità sottolineata da tutti gli attorichiave attivi sia in Italia che in Albania. In particolare, si ritiene fondamentale organizzare campagne di sensibilizzazione dirette a target specifici e supportare le iniziative gestite da associazioni locali. Tali azioni dovrebbero, da un lato, contribuire a diffondere una maggiore conoscenza rispetto al fenomeno del traffico di minori, dall’altro, promuovere la tutela dei diritti fondamentali dei/delle minori e una cultura di genere diffusa. La forte discriminazione perpetrata ai danni delle minori e delle donne è considerata una delle cause dell’origine del fenomeno del traffico, diventa imprescindibile perciò implementare progetti di “promozione femminile” mirando a rafforzare il loro ruolo all’interno del contesto familiare di appartenenza e della società albanese attraverso attività finalizzate all’”acquisizione e all’attribuzione di potere” (empowerment) a livello individuale e socio-culturale. I soggetti intervistati ritengono necessario andare oltre l’emergenza e organizzare interventi strutturati e continuativi sia in Italia che in Albania. In quest’ottica è di primaria importanza che le istituzioni nazionali e quelle intergovernative riconoscano alle agenzie del pubblico e del privato sociale la funzione di erogatori di servizi fondamentali e di soggetti attivi alla lotta contro il traffico di persone a scopo di sfruttamento. Di conseguenza, devono essere a loro riconosciute le risorse finanziarie necessarie per dare continuità ai servizi posti in essere e per rispondere adeguatamente ai bisogni di un target ad alto rischio di esclusione sociale; inoltre viene sollecitata l’implementazione di politiche sociali e di dispositivi legislativi che tutelino a 360 gradi i/le minori trafficati. Utilizzare gli strumenti legislativi internazionali a disposizione (in particolare la Convenzione delle Nazioni Unite contro il Crimine Transnazionale Organizzato e i relativi Protocolli, e la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia delle Nazioni Unite) e rafforzare la lotta contro il traffico sul piano giudiziario assicurando i criminali e le figure istituzionali corrotte (politici, forze dell’ordine, magistrati, etc.) alla giustizia sono tra le priorità principali che le varie organizzazioni intervistate chiedono ai vari governi interessati al fenomeno del traffico di minori di mettere nelle loro agende di lavoro. Costruire reti locali, nazionali e transnazionali è uno degli strumenti-chiave per condividere il know-how acquisito, creare banche dati specializzate, progettare interventi mirati e fornire servizi adeguati al target individuato. In questa prospettiva viene auspicato un maggior coordinamento del lavoro realizzato a livello territoriale, nazionale e internazionale per ottimizzare le risorse disponibili e condividere le buone pratiche sperimentate. E’ altrettanto necessario il coinvolgimento delle diverse agenzie interessate a contrastare il fenomeno del traffico di minori e a fornire assistenza e aiuto alle vittime: magistratura, polizia, governi locali e nazionali, agenzie intergovernative, servizi socio-sanitari, ong, scuole, comunità locali e il target destinatario finale degli interventi: i/le minori trafficati/e. Infine, secondo tutte le organizzazioni intervistate, l’approccio olistico al fenomeno del traffico di minori deve essere il comune denominatore caratterizzante gli interventi promossi. Esso è considerato uno strumento imprescindibile e una conditio sine qua non affinché le agenzie non governative, le istituzioni e gli organismi nazionali ed internazionali possano realizzare interventi 240 efficaci e significativi non solo nel breve ma soprattutto nel medio e lungo periodo per contribuire alla lotta contro una delle più gravi forme di violazione dei diritti umani - il traffico di persone - e alla promozione dei diritti dei/delle minori. 241 9. Le norme internazionali e nazionali dell’Unione europea sul traffico finalizzato allo sfruttamento lavorativo e sessuale dei minori di Simona La Rocca 9.1 Premessa Assordanti silenzi. Le ripetute violazioni dei diritti dell’infanzia sono percepite come dei silenzi assordanti poiché perpetrati a danno di chi non ha voce, perché più debole, per potersi difendere. La storia dell’umanità, purtroppo, è costellata, in ogni epoca e Paese, da innumerevoli forme di violenza, abuso e sfruttamento a danno dei minori. Il diverso grado di tutela che una società mostra nei confronti dei suoi soggetti più deboli riflette il livello di civiltà raggiunto: oggigiorno, non siamo ancora in grado di tutelare e difendere i minori dall’essere considerati una merce. Il secolo appena terminato si è contraddistinto per l’elaborazione, sia a livello internazionale che nazionale, di un’ampia tutela giuridica e per le innumerevoli iniziative - delle istituzioni internazionali153, delle ong154 e degli istituti di ricerca155 -, volte a proteggere il minore. Eppure, mai come in questi ultimi anni si sono registrate in tutti i Paesi del mondo fenomeni così diffusi di violenza e sfruttamento: lavoro minorile, tratta, turismo sessuale, prostituzione e pornografia infantile, impiego nelle attività della criminalità organizzata e nei conflitti armati. Esiste, dunque, un’ampia tutela del minore a livello giuridico che però non si concretizza in una sua reale protezione. Lo sfruttamento dei minori può assumere diverse forme e caratteristiche specifiche e peculiari ai contesti socio-economici di riferimento. Il lavoro domestico, sfruttamento sessuale a fini commerciali, lavoro in famiglia, lavoro forzato, lavoro nelle industrie e nelle piantagioni sono soltanto alcune delle possibili forme di sfruttamento. Molteplici sono le cause: femminilizzazione della povertà; immiserimento economico di molte famiglie unito alla perdita delle garanzie sociali; disoccupazione; mancanza di istruzione; crisi della famiglia; comportamenti sessuali irresponsabili; lo sviluppo delle nuove tecnologie che hanno influito notevolmente anche sul modo di operare delle organizzazioni criminali dotate ora di reti telematiche, fax, telefoni cellulari, strumenti veloci per spostarsi e comunicare; il divario sempre più netto tra i diversi Paesi del Mondo in termini di pace, libertà, benessere, possibilità lavorative; la crescita delle barriere d’ingresso agli immigrati da parte degli Stati più ricchi. 153 Tra le più importanti ricordiamo: nel 1959 l’Assemblea Generale dell’ONU approva la Dichiarazione dei Diritti dei Bambini; il 1979 viene dichiarato Anno internazionale del Bambino; nel 1989 viene approvata la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia; nel 1990 viene sottoscritta la Dichiarazione Mondiale sulla Sopravvivenza, la Protezione e lo Sviluppo dell’infanzia ed un Piano Mondiale d’Azione; nel giugno del 1996 la Conferenza dell’Organizzazione internazionale del Lavoro di Oslo, sul lavoro minorile, adotta una risoluzione sull’eliminazione di questa pratica abietta; nell’agosto dello stesso anno si tiene a Stoccolma, sotto l’egida del governo svedese e dell’Unicef, il primo Congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei minori a fini commerciali che porta all’adozione di un Piano d’Azione basato sulla prevenzione la tutela ed il recupero delle piccole vittime. 154 Importanti progetti di prevenzione e di recupero dei minori sono stati portati avanti soprattutto grazie al notevole sforzo di ong, grandi e piccole, che, in varie parti del mondo, hanno cercato di arginare i danni derivati dallo sfruttamento dei minori. 155 Nel 1995 “La violazione dei diritti fondamentali dell’Infanzia e dei Minori” è stata oggetto di un approfondito studio del Tribunale permanente dei Popoli, Tribunale d’opinione, nel corso di tre sessioni: Trento, 27-29 marzo; Macerata, 30 marzo-1aprile; Napoli, 1-4 aprile 1995. Il testo della sentenza nonché le finalità e le attività del Tribunale sono reperibili nel sito web della Fondazione Internazionale Lelio Basso: www.grisnet.it/filb. Tribunale Permanente dei Popoli, La violazione dei diritti fondamentali dell’infanzia e dei minori, Nova Cultura Editrice, Rovigo 1995. 242 9.2 Le Convenzioni e le iniziative internazionali Al fine di poter meglio comprendere il grado di tutela raggiunto verranno esaminate le norme internazionali, europee e nazionali in relazione agli interventi di prevenzione, protezione e di contrasto allo sfruttamento dei minori. Con la presente trattazione non si ha la pretesa di essere stati esaustivi rispetto al complesso e ampio fenomeno dello sfruttamento minorile, ma semmai, di averne esaminato una parte importante, quella relativa allo sfruttamento sessuale e al lavoro minorile. 9.2.2 Lavoro minorile Sono milioni i bambini sfruttati in tutti i Paesi del mondo e, paradossalmente, molteplici le Convenzioni Internazionali156 che li tutelano. Sin dal 1919 l’OIL157 ha messo a punto una serie di importanti strumenti normativi contro lo sfruttamento dei minori, tra i più importanti ricordiamo: la Convenzione del 1919 n. 5 fissa a 14 anni l’età minima per l’impiego nell’industria, limite elevato a 15 anni nella Convenzione del 1973 n. 138 e non prima di 18 anni per lavori che possono compromettere la loro salute, sicurezza o moralità. La n. 138 costituisce la più completa Convenzione dell’OIL158 sull’età minima ed è considerata lo strumento internazionale fondamentale nella lotta al lavoro minorile. E’ una delle sette Convenzioni, la 182 è l’ottava, a cui fa riferimento la Risoluzione della Conferenza sul lavoro minorile, del giugno 1996, dove si afferma la responsabilità dei governi, dei datori di lavoro e della società tutta riguardo al lavoro minorile soprattutto nei suoi aspetti più intollerabili quali l’impiego di bambini in condizioni di schiavitù, lo sfruttamento sessuale e l’impiego in attività pericolose e nocive. L’eliminazione del lavoro minorile, specie nei Paesi economicamente più poveri, è un obiettivo che può essere raggiunto soltanto in maniera graduale159. E’ necessario trovare delle alternative per i bambini che vengono allontanati dalle fabbriche e ciò per evitare che possano trovarsi in situazioni peggiori, ad esempio essere costretti a prostituirsi. A tal proposito sono stati attuati dei programmi di protezione sociale che includono l’istruzione e la formazione professionale160. L’Unicef, partendo dal presupposto che in alcune zone del mondo il lavoro minorile è in un certo senso un male necessario distingue tra: child labour, che include tutti quei lavori pesanti, inadeguati all’età del bambino, che ne impediscono l’accesso all’istruzione di base e ne pregiudicano lo sviluppo fisico e psichico e child work, comprendente tutte quelle attività, che essendo più leggere, e permettendo l’accesso all’istruzione non interferiscono con la crescita del bambino. Si auspica la piena eliminazione del lavoro minorile in tutte le sue forme però, laddove ciò non sia possibile nell’immediato, si consente il child work ma non il child labour. La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989161 è considerata il più avanzato e completo atto giuridico internazionale riguardante i minori, una sorta di Carta Universale dei Diritti dell’infanzia. La Convenzione si pone l’obiettivo di tutelare integralmente il bambino da qualsiasi situazione che possa ledere la salute fisica e psichica dello stesso. I bambini e gli adolescenti non sono più visti come “oggetto” di tutela ma “soggetti” di diritto; si afferma il principio del “superiore interesse del bambino”. In questo strumento giuridico tutte le disposizioni già contemplate in 156 Per approfondimenti: http://www.minori.it/lavminorile/legis/internazionali.htm ; Organizzazione Internazionale del lavoro. www.ilo.org 158 L’OIL ha adottato ben 11 Convenzioni sull’età minima di accesso al lavoro; 159 Questo approccio è seguito anche dall’UNICEF per le stesse motivazioni; cfr. UNICEF, La Condizione dell’Infanzia nel mondo 1997. Speciale Lavoro minorile, 1997; 160 OIL, Il lavoro minorile. Problemi e linee d’azione, in Educazione e lavoro, 1997/3, n. 108, pag.6; 161 Convention on the Rights of the Child (CRC). La Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia è stata approvata il 20 novembre 1989 e recepita nell’ordinamento giuridico italiano, con la legge n. 176 del 27 maggio 1991; 157 243 materia di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza si integrano con norme di nuova concezione. In base alla prospettiva da noi considerata, molteplici risultano gli articoli importanti: nell’art. 24.3 le Parti si impegnano ad adottare tutte le misure efficaci ed appropriate al fine di abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli alla salute del bambino; nell’art. 32.1 si afferma il diritto del fanciullo ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e da qualsiasi tipo di lavoro rischioso, che interferisca con la sua educazione o sia nocivo alla sua salute o allo sviluppo fisico, mentale, morale o sociale. Nell’art 32.2 le Parti si impegnano ad adottare misure legislative, amministrative, sociali ed educative al fine di garantire l’applicazione dello stesso articolo; nell’art. 34 è prevista la protezione del fanciullo contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale e, a tal fine, si invitano gli Stati ad adottare misure adeguate; negli artt. 35, 36 e 38 si ravvisano le ipotesi: di rapimento, vendita e traffico dei fanciulli, di protezione da ogni forma di sfruttamento pregiudizievole al benessere del fanciullo, di partecipazione alle attività belliche per i minori di quindici anni. Fondamentale per la tutela del minore, sia riguardo allo sfruttamento del lavoro minorile che sessuale, risulta essere la Convenzione sulle forme peggiori di lavoro minorile, approvata dall’OIL all’unanimità. La nuova Convenzione n. 182 sulla Proibizione ed immediata azione per l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile è stata approvata, il 17 giugno 2000 nel corso dell’87a sessione di lavoro162. Alla Convenzione si accompagna la Raccomandazione n. 190 che completa e specifica le norme previste dalla prima. Molto importante risulta essere l’art. 1 nel quale gli Stati si impegnano a “prendere misure immediate ed efficaci atte a garantire la proibizione e l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile con procedure d’urgenza”. All’art. 3 sono esplicitate le “forme peggiori di lavoro minorile”: “a)tutte le forme di schiavitù o pratiche analoghe alla schiavitù, quali la vendita o la tratta di minori, la servitù per debiti e l’asservimento, lavoro forzato o obbligatorio, compreso il reclutamento forzato o obbligatorio di minori ai fini di un loro impiego nei conflitti armati; b)l’impiego l’ingaggio o l’offerta di un minore ai fini di prostituzione, di produzione di pornografia o di spettacoli pornografici; c)l’impiego, l’ingaggio o l’offerta di un minore ai fini di attività illecite, quali in particolare, quelle per la produzione e per il traffico di stupefacenti, così come sono definiti dai trattati internazionali pertinenti; d)qualsiasi altro tipo di lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui viene svolto, rischi di compromettere la salute, la sicurezza o la moralità del minore.” Gli Stati sono tenuti ad attuare, previa consultazione con le parti sociali163, una serie di obblighi, quali ad es: prevedere un costante aggiornamento dei lavori a rischio (4.3) istituire o designare meccanismi per sorvegliare l’applicazione delle norme (art. 5) avviare programmi d’azione volti ad eliminare le forme peggiori di lavoro minorile (art.6), garantire l’applicazione dei provvedimenti necessari ad attuare l’applicazione della Convenzione (art.7.1), promuovere l’educazione (art.7.2) e la cooperazione internazionale (art.8). La Convenzione è dotata di un buon apparato normativo che però non viene applicato dai singoli Stati. Oltre alla promozione di normative volte alla lotta del lavoro minorile e alla loro armonizzazione, l’OIL ha elaborato un programma tecnico atto a prevenire il fenomeno. Il Programma IPEC (Programma Internazionale dell’OIL sull’eliminazione del lavoro minorile), lanciato nel 1992, si 162 L’Italia ha ratificato la Convenzione n. 182 con la legge del 25 maggio 2000 n. 148. Si riafferma in questo modo il ruolo delle parti sociali nella definizione dei programmi, delle norme e delle misure sanzionatorie. 163 244 pone come obiettivo quello di rafforzare le capacità dei singoli Stati di affrontare il problema promovendo lo sviluppo, offrendo ai bambini alternative educative adeguate e ai genitori un lavoro. Sono finanziati interventi diretti a consolidare le capacità peculiari ad ogni Paese di combattere il fenomeno. Le soluzioni durature devono essere trovate all’interno di ciascun Paese, per questo l’IPEC viene definito come un programma di “proprietà nazionale”. 9.2.3 La tratta e lo sfruttamento sessuale dei minori Trafficare in esseri umani rappresenta oggi la terza voce di introito per le organizzazioni criminali dopo il commercio di armi e droga. Il turpe commercio costituisce un fenomeno molto complesso ed articolato ed è una delle questioni riguardanti le violazione di diritti umani più urgenti a cui gli Stati e le organizzazioni internazionali sono chiamati a rispondere. Sebbene i minori sfruttati sessualmente siano in maggioranza di sesso femminile, il fenomeno investe anche i minori di sesso maschile anch’essi vittime della prostituzione e della pornografia. Lo sfruttamento sessuale ai fini commerciali viene definito dalle Nazioni Unite come “l’uso di un bambino per scopi sessuali in cambio di denaro o di favori fra il cliente, l’intermediario o l’agente, e altri soggetti che traggono profitto dal commercio di bambini esercitato a questo scopo”. Si distinguono tre forme di sfruttamento: prostituzione minorile; tratta e vendita di bambini, sia a livello internazionale che nazionale, per fini sessuali; pornografia infantile. Lo sfruttamento sessuale dei minori è, da tempo, oggetto di grande attenzione da parte degli organismi delle Nazioni Unite. Nel 1990 la Commissione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite nomina il primo relatore speciale sulla vendita di minori, la prostituzione minorile e la pornografia infantile164; Vitit Muntarbhorn primo relatore sarà avvicendato, nel 1994, da Ofelia Calcetas-Santos. La stessa Commissione elabora, nel 1992, un Programma d’Azione per la prevenzione della vendita, pornografia, la prostituzione e lo sfruttamento della manodopera infantile e, nel 1995, istituisce un Gruppo di lavoro per l’elaborazione di un Protocollo facoltativo alla CRC. Nel 1996 si svolge, a Stoccolma, il primo Congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale a fini commerciali dei minori. La Conferenza di Stoccolma è considerata un traguardo importante da cui partire; per la prima volta si parlò di un argomento considerato fino a quel momento un tabù. Nell’Agenda sono specificati gli standard da adottare in campo giuridico per assicurare la protezione e si sottolinea l’urgenza di sviluppare, rafforzare e attuare leggi nazionali volte stabilire la responsabilità penale di coloro che risultano essere implicati in simili traffici e attività. Purtroppo, nel secondo congresso mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei minori, svoltosi a Yokohama dal 17 al 20 dicembre 2001, i delegati di oltre 134 Paesi e i rappresentati di organizzazioni internazionali e ong hanno potuto constatare ancora una carenza normativa a livello nazionale a fronte di un notevole sviluppo dei fenomeni grazie, soprattutto, al coinvolgimento della criminalità organizzata e all’uso di internet. Si rileva, inoltre, che anche laddove esistono norme che perseguono legalmente la tratta e lo sfruttamento a fini sessuali, le sanzioni previste spesso non riflettono la gravità del crimine. Sempre nel 2001 si è svolta a New York la Sessione Speciale delle Nazioni Unite dedicata all’Infanzia (UNGASS). Il documento finale, approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 maggio 2002, si compone di tre parti: la dichiarazione, il rapporto sull’esperienza pregressa rispetto all’attuazione degli impegni presi nel corso del Vertice Mondiale sull’Infanzia del 1990, il Piano d’Azione. Il documento finale della Conferenza ONU ravvisa 21 obiettivi per promuovere e proteggere i diritti dei bambini e degli adolescenti in tutto il mondo e soprattutto di 164 Risoluzione ONU 1990/68. 245 preservarli da ogni forma di abuso, sfruttamento e violenza. Si tratta di un documento di 23 pagine che i singoli Stati devono trasformare in Piani di Azione concreti, da presentare alle Nazioni Unite entro un anno. Infine, la Commissione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite ha recentemente enucleato, settembre 2002, in una serie di principi e raccomandazioni gli aspetti più salienti della tratta degli esseri umani.165. Speciale attenzione è dedicata, nei Principi, alla tutela dei diritti umani dalla quale non si deve prescindere in nessuno degli aspetti riguardanti la tratta: prevenzione, protezione e assistenza delle vittime. Tra le Direttive contemplate, quella riguardante le misure speciali destinate a proteggere e aiutare i minori vittime della tratta (Direttiva 8) risulta essere la più importante ai fini della presente trattazione. Oltre a riprendere i principi fondamentali della tutela del minore quali, ad es., il superiore interesse del minore, sono introdotti importanti elementi di novità come il diritto del minore di beneficiare di un trattamento diverso da quello degli adulti che tenga conto dei suoi peculiari bisogni. Sostanziali progressi sono stati compiuti nell’ambito del diritto internazionale. Le Convenzioni internazionali che considerano il fenomeno della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei minori sono molteplici166 ci si limiterà in questa sede ad esaminarne le più importanti. In generale possiamo affermare che gli strumenti di diritto internazionale posti a tutela del minore contro lo sfruttamento sessuale sono ampi si può altresì riconoscere nel principio internazionale che impone agli Stati la lotta allo sfruttamento sessuale dei minori lo status di norma consuetudinaria167; in essa si ravvisano sia la diuturnitas che l’opinio juris ac necessitatis elementi necessari affinché si possa parlare di norma consuetudinaria. Ne consegue che l’obbligo a reprimere lo sfruttamento sessuale dei minori non deriva soltanto sulla base di disposizioni convenzionali, ma direttamente da un principio di diritto internazionale generale. Una prima forma di lotta al fenomeno dello sfruttamento sessuale delle donne si ebbe con l’istituzione, nel 1899, dell’Ufficio Internazionale per la Soppressione del traffico di Donne e Bambini. L’Accordo Internazionale di Parigi, del 18 maggio 1904, costituisce il primo accordo in materia; in esso si prevedeva la lotta a quella che, allora, era definita “white slave traffic” poiché si faceva riferimento al traffico di donne che dall’Europa erano portate negli imperi coloniali. Nel 1910 fu firmata la Convenzione per la Soppressione del traffico delle Bianche seguita dalle Convenzioni di Ginevra del 30 settembre del 1921 sulla repressione della tratta delle donne e dei bambini la prima e la Convenzione per la repressione della tratta delle donne maggiorenni, dell’11 ottobre del 1933, la seconda. Le Convenzioni prevedevano un’estensione della tutela ai minori di entrambi i sessi e un aumento dell’età prevista per legittimare il consenso168. Nel 1949 viene firmata 165 Haut Commisariat des Nations Unies aux Droits de l’Homme, Principes et directives concernant les droits de l’homme et la traite des êtres humains: reccomendations, Nations Unies, Geneve 2002; 166 Ricordiamo le più importanti, la Slavery Convention del 1926 e la Convenzione Supplementare del 1956. La tratta è considerata anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, del 1948, nell’art. 4 si dichiara che “Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibiti sotto qualsiasi forma”. La tratta di esseri umani è considerata come una forma moderna di schiavitù. La Dichiarazione ed il Programma d’Azione di Pechino, del 1995, nel capitolo 4 tra le forme di violenza alle donne include la prostituzione forzata ed il traffico intendendosi per quest’ultimo anche il matrimonio servile e il lavoro forzato. Questo fenomeno è stato considerato anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea approvata, nel dicembre 2000 a Nizza, dal Consiglio europeo. Nella Carta, all’art.5, si afferma: che “Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio. E’ proibita la tratta degli esseri umani”. 167 Per approfondimenti cfr Lenzerini F., Sfruttamento sessuale dei minori e norme internazionali sulla schiavitù, in La Comunità internazionale, Vol. LIV, n. 3 Editoriale Scientifica 1999. 168 La Convenzione Internazionale per la Soppressione del Traffico di Donne e Bambini del 1921 e la Convenzione per la Soppressione del Traffico di Donne di Maggiore Età, del 1933, nella quale si vieta il traffico di donne 246 a New York la Convenzione per la Soppressione del Traffico di Persone e lo Sfruttamento della Prostituzione Altrui169. Questa Convenzione è stata, finora, lo strumento giuridico più importante relativamente al fenomeno del traffico. Negli artt. 1 e 2 le Parti convengono: “di punire chiunque, allo scopo di soddisfare le passioni di un terzo: assuma, prepari o svii un terzo, anche nel caso che questi sia consenziente, a scopo di prostituzione; sfrutti la prostituzione di un terzo, anche nel caso che questi sia consenziente”(art. 1). “altresì di punire chi: possieda, diriga o, consapevolmente finanzi o contribuisca a finanziare una casa di prostituzione; dia o prenda in affitto intenzionalmente, interamente o in parte, un edificio o un altro luogo per la prostituzione di terzi” (art. 2). Nell’art 4 sono considerati passibili di estradizione gli imputati dei reati previsti dalla Convenzione. Si enfatizza la questione dell’emigrazione e l’immigrazione in rapporto al fenomeno della tratta delle persone (art. 17); gli Stati si impegnano a proteggere in particolare le donne e i bambini in tutto il percorso migratorio (art. 17.1), a pubblicizzare il rischio di tratta, a sorvegliare stazioni, aeroporti e porti (art. 17.2) ed a favorire le comunicazioni relative ai reati commessi fra le autorità dei diversi paesi (art.17.3). Nell’art. 19 le Parti si impegnano ad adottare le misure appropriate al fine di provvedere alle necessità delle vittime del commercio sessuale fintantoché le stesse siano rimpatriate, il rimpatrio può avvenire soltanto dopo aver raggiunto un accordo con lo Stato di destinazione. Nell’art. 20 gli Stati aderenti si impegnano a sorvegliare le agenzie di collocamento allo scopo di evitare che le persone che ad esse si rivolgono, soprattutto donne, siano esposte al rischio dello sfruttamento sessuale. Si sottolinea l’importanza delle misure contemplate in queste ultime due disposizioni: volte alla tutela delle vittime nel primo caso e alla prevenzione del fenomeno nel secondo. La Convenzione del ’49, nonostante l’accennata importanza, non è stata ratificata da molti Stati, poiché in essa si sono scontrati opposti modi di vedere ed intendere il fenomeno della prostituzione: da una parte vi erano gli abolizionisti, dall’altra i proibizionisti. Nella Convenzione si afferma: l’illegittimità delle case di tolleranza; l’esigenza di depenalizzare la prostituzione in quanto tale; la necessità di tutelare ed assistere le vittime (art.16). Altro elemento di debolezza della Convenzione è la mancanza di un idoneo sistema di monitoraggio attraverso il quale verificare l’applicazione dei provvedimenti intrapresi dalle Parti in applicazione degli impegni assunti con l’adesione alla Convenzione. Gli interessi contrastanti e le opposte posizioni hanno reso questo strumento, importante per le disposizioni previste, debole nell’attuazione. Nel 1962 fu adottata la Convenzione sul consenso al matrimonio che si pone come obiettivo quello di impedire che, attraverso "finti matrimoni", si possano assoggettare donne e bambini alle forme più crudeli di sfruttamento (soprattutto sessuale), quest’ultimo principio è ribadito anche nei Patti Internazionali sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, nell’art. 10 è sottolineata la necessità del libero consenso di entrambi gli sposi. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici170 sancisce che “Nessuno può essere tenuto in stato di schiavitù: la schiavitù e la tratta degli schiavi sono proibite sotto qualsiasi forma (art. 8.1)”, “nessuno può essere tenuto in stato di servitù (art. 8.2)” “nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio (art. 8.3)”. Infine, indipendentemente dall’età e dal consenso espresso. Adottate dalla Società delle Nazioni. Le Convenzioni sono state emendate dal Protocollo di Lake Success del 12 novembre 1947. Per i testi delle Convenzioni cfr.http://untreaty.un.org/English/TreatyEvent2001; 169 Recepita dall’ordinamento italiano con la Legge n. 1173 del 23 novembre 1966; 170 Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione n. 2200 A (XXI) del 16 dicembre 1966. Firmata dall’Italia il 18 gennaio 1967 e ratificata il 15 settembre 1978 in seguito ad autorizzazione disposta con la legge del 25 ottobre 1977, n. 881; 247 ricordiamo la Convenzione del 1979 sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione delle donne, in particolare, nell’art. 6 è sancito l’obbligo per gli Stati di “sopprimere tutte le forme171 di traffico di donne e di sfruttamento della prostituzione femminile”172. Nel 1989 viene approvata la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia173, di cui risultano particolarmente interessanti gli artt. 34, 35 e 36 nei quali le Parti: “..si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e violenza sessuale. A tal fine gli Stati devono prendere in particolare ogni misura adeguata sul piano nazionale, bilaterale e multilaterale, per prevenire: l’induzione o la coercizione di un fanciullo per coinvolgerlo in attività sessuali illecite; lo sfruttamento dei fanciulli nella prostituzione o in altre pratiche sessuali illecite; lo sfruttamento dei fanciulli in spettacoli e materiale pornografico (art.34).” “..devono prendere ogni misura appropriata sul piano nazionale, bilaterale e multilaterale per prevenire il rapimento, la vendita o il traffico di fanciulli a qualsiasi fine o sotto qualsiasi forma (art. 35)”. “..devono proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento pregiudizievole a qualsiasi aspetto del suo benessere (art.36)”. Oltre alle disposizioni esaminate molte altre, oltre ai principi generali, risultano di particolare interesse quali: l’illecito trasferimento di minori all’estero (l’art. 11); l’adozione internazionale non può comportare un guadagno illecito (art. 21); la protezione del minore contro lo sfruttamento economico, sessuale e di ogni altro tipo (artt. 32, 34, 36); il diritto del minore al recupero fisico e psicologico e alla reintegrazione sociale nel caso in cui sia vittima di sfruttamento, abuso o di qualsiasi forma di negligenza (art 39). Nella Convenzione la tutela prevista per i minori è ampia e tiene conto dell’esigenza di adottare misure volte soprattutto alla prevenzione del fenomeno e alla necessaria cooperazione internazionale Un elemento di debolezza è costituita dalla mancata previsione di definizioni e di fattispecie giuridiche di riferimento. La Convenzione per la Soppressione del Traffico di Persone e lo Sfruttamento della Prostituzione Altrui174, firmata a New York nel 1949, è finora considerata lo strumento giuridico più importante relativamente al fenomeno della tratta ed il primo nel quale è stata utilizzata l’espressione traffic in persons. Nella Convenzione si enfatizza la questione della migrazione in rapporto al fenomeno della tratta delle persone (art. 17). Gli Stati si impegnano a proteggere in particolare le donne e i bambini in tutto il percorso migratorio (art. 17.1), a pubblicizzare il rischio di tratta, a sorvegliare, aeroporti e porti (art. 17.2) ed a favorire le comunicazioni, relative ai reati commessi, fra le autorità dei diversi Paesi (art.17.3). Nell’art. 19 le Parti si impegnano ad adottare le misure appropriate al fine di provvedere alle necessità delle vittime del commercio sessuale fintantoché le stesse siano rimpatriate; il rimpatrio può avvenire soltanto in seguito alla conclusione di un accordo con lo Stato di destinazione. 171 Il corsivo è mio; Convention on the Elimination of Discrimination of Women (CEDAW). Adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979 e ratificata dall’Italia il 10 giugno 1985 con la legge del 14 marzo 1985, n. 132; 173 Il 28 agosto 1997 il Parlamento italiano ha varato la legge n. 285 dal titolo “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” in attuazione della Convenzione CRC. 174 Convention for the Suppression of the Traffic in Persons and of the Exploitation of the Prostitution of Others. Recepita dall’ordinamento italiano con la Legge n. 1173 del 23 novembre 1966. untreaty.un.org/English/TreatyEvent2001/19.htm 172 248 Nell’art. 20 gli Stati Parte si impegnano a sorvegliare le agenzie di collocamento allo scopo di evitare che le persone che ad esse si rivolgono, soprattutto donne, siano esposte al rischio dello sfruttamento sessuale. Si sottolinea l’importanza delle misure contemplate in queste ultime due disposizioni: volte alla tutela delle vittime nel primo caso e alla prevenzione del fenomeno nel secondo. La Convenzione del ’49, nonostante l’accennata importanza, non è stata ratificata da molti Stati, poiché in essa si sono scontrati opposti modi di vedere ed intendere il fenomeno della prostituzione: da una parte vi erano gli abolizionisti, dall’altra i proibizionisti. Ulteriori elementi di debolezza sono ravvisabili nella mancanza di un idoneo sistema di monitoraggio attraverso il quale verificare l’applicazione dei provvedimenti adottati dalle Parti in applicazione degli impegni assunti con l’adesione alla Convenzione, nell’assenza di una definizione di trafficking, nel limitato ambito di applicazione della Convenzione che considera soltanto la tratta di donne a scopo di sfruttamento sessuale175. Gli interessi contrastanti e le opposte posizioni hanno reso questo strumento, importante per le disposizioni previste, debole nell’attuazione. Si rilevano altresì ulteriori elementi di debolezza nell’aver considerato la tratta esclusivamente come un aspetto della prostituzione, di non aver considerato altre fattispecie di sfruttamento sessuale né forme diverse da quelle sessuali, nonché sussiste una limitazione di genere in quanto si applica soltanto alle donne e ai minori di sesso femminile. La Convenzione Internazionale per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne176, del 1979, è un ulteriore strumento di lotta al trafficking. La Convenzione considera la tratta a scopo di sfruttamento sessuale come una forma di grave discriminazione contro le donne in quanto le priva dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Si rileva l’assenza di una definizione di “tratta” e, d’altro canto è previsto nell’art. 6, per gli Stati Parte, l’obbligo di adottare tutte le misure atte ad eliminare ogni forma di tratta delle donne e di sfruttamento della prostituzione. Dal momento che la Convenzione non esplicita chiaramente quali sono le fattispecie considerate, ogni Stato Parte stabilirà quali misure adottare. L’aver considerato “ogni forma di tratta” è valutabile come un elemento positivo soprattutto in una prospettiva futura. Un ulteriore elemento positivo è la predisposizione di un meccanismo di monitoraggio: il Comitato Internazionale sui diritti delle donne. Gli Stati Parte sono, infatti, tenuti a sottoporre a tale Comitato rapporti iniziali e periodici rispetto alle misure concretamente adottate alla luce delle disposizioni contenute nella Convenzione. Con l’entrata in vigore del Protocollo Opzionale alla CEDAW177 - approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 6 ottobre del 1999, la tutela dei diritti di tutte le donne risulta rafforzata. Il Protocollo contempla due procedure di intervento: di denuncia e di indagine. La prima, communication procedure, può essere utilizzata da singole donne o da gruppi per denunciare al Comitato casi di violazione delle disposizioni previste dalla CEDAW; la seconda procedura attiene, invece, al potere conferito al Comitato di condurre indagini sulle violazioni gravi o sistematiche dei diritti umani delle donne laddove il Paese è Parte. Nel complesso la tutela prevista è ampia però si rileva una lacuna costituita dalla mancata predisposizione di misure comuni a cui gli Stati debbano attenersi. 175 Sono, dunque, escluse dalla Convenzione le altre fattispecie di tratta e le vittime di sesso maschile. Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women (CEDAW). Entrato in vigore il 3 settembre 1981. http://untreaty.un.org/English/TreatyEvent2001/1.htm 177 Entrato in vigore il 22 dicembre 2000. Al 18 ottobre 2002 gli Stati firmatari erano 75 e 47 le ratifiche. L’Italia ha firmato il Protocollo il 10 dicembre 1999 e ratificato il 22 settembre del 2000 consentendo l’entrata in vigore del Protocollo. . 176 249 La tratta, in quanto crimine, è contemplata anche nell’ambito dello Statuto istitutivo della Corte Penale Internazionale178, nell’art. 7 par. 1 c., le pratiche schiavistiche sono considerate crimini contro l’umanità e la schiavitù è definita come: “l’esercizio su una persona di uno o dell’insieme dei poteri inerenti al diritto di proprietà179, anche nell’ambito del traffico di persone, in particolare di donne e bambini a fini di sfruttamento sessuale”. La tratta è, dunque, contemplata tra i crimini che ricadono nell’ambito della giurisdizione della Corte. Si rileva altresì che la nozione di tratta non è limitata al mero sfruttamento sessuale ma è comprensivo delle altre forme. Dall’esame dell’intero articolato l’esigenza di una maggiore tutela risulta contemplato non soltanto nel Preambolo, ma anche in altri articoli: divieto di coscrivere o reclutare bambini in età inferiore ai quindici anni nelle forze armate (art. 8); esclusione di giurisdizione delle persone di età inferiore ai diciotto anni (art. 26); necessità di includere magistrati con un’esperienza giuridica su materie specifiche, incluso, ma non solo, la violenza contro donne o bambini (art. 36); il Procuratore deve valersi di persone con una competenza giuridica su materie specifiche, incluso ma non solo, la violenza sessuale di genere e la violenza contro i bambini (art. 42); protezione delle vittime e dei testimoni e la loro partecipazione al processo (art.68). Lo Statuto dell’ICC pone in primo piano l’esigenza di assicurare una specifica tutela ai minori vittime dei cosiddetti core crimes contemplati e perseguiti dallo stesso Statuto. Altro strumento di particolare rilevanza è il Protocollo Opzionale alla CRC sulla vendita, prostituzione e pornografia dei minori, adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 maggio del 2000180, si pone come obiettivo fondamentale la lotta alla tratta di minori allo scopo di vendita, prostituzione, turismo sessuale e pornografia181. Nel Preambolo sono richiamati e riaffermati i principi e i diritti riconosciuti ai minori dalla Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dalle altre Convenzioni in materia e le preoccupazioni espresse nella Conferenza internazionale per combattere la pornografia Infantile su Internet, svoltasi a Vienna nel 1999, nella quale si sottolineava la crescente disponibilità di materiale pornografico e l’importanza di una collaborazione più stretta fra governi e operatori del settore. L’art 1 del Protocollo proibisce la vendita, la prostituzione e la pornografia minorile le cui fattispecie sono definite, per la prima volta in uno strumento giuridicamente vincolante182, negli artt. 2 e 3: per vendita di bambini si intende “qualsiasi atto o transazione che comporta il trasferimento di un bambino, di qualsiasi persona o gruppo di persone ad altra persona o gruppo di persone dietro compenso o qualsiasi altro vantaggio”. Essa comprende l’offerta, la consegna o l’accettazione di un minore ai fini di sfruttamento sessuale, espianto di organi a fini di lucro, lavoro forzato nonché il consenso, ottenuto indebitamente in quanto intermediario, all’adozione di un minore; 178 Rome Statute of the International Criminal Court (ICC). Adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma il 17 luglio 1998 e ratificato dall’Italia con la legge n. 232 del 12 luglio 1999. Il primo luglio 2002 la ICC è entrata in vigore essendo stata raggiunta la sessantesima ratifica richiesta dal suo Statuto. 179 La nozione del diritto di proprietà è un concetto chiave riguardo al fenomeno della schiavitù e della tratta. 180 Optional Protocol to the Convention on the Rights of the Child on the sale of children, child prostitution and child pornography. Il Protocollo è divenuto uno strumento giuridicamente vincolante dal gennaio 2002; al 31 ottobre 2002 il Protocollo è stato firmato da 105 Paesi e ratificato da 42. L’Italia lo ha ratificato il 9 maggio 2002. 181 A tal riguardo, viene espressamente condannato l’uso di Internet o di altre tecnologie per il commercio di materiale pornografico riguardante i minori; 182 Definizioni relative alle ipotesi considerate sono state oggetto di analisi e approfondimento nei documenti delle Nazioni Unite, cfr United Nations Commission on Human Rights, Report of the Special Rapporteur on the sale of children, child prostitution and child pornography, Ms Ofelia Calcetas-Santos, Jan. 1998- 2000. 250 La prostituzione minorile è intesa come “ il coinvolgimento di un bambino in attività sessuali dietro compenso o qualsiasi altro vantaggio” e comprende il fatto di ottenere, procurare o fornire un bambino a fini di prostituzione; Infine, per pornografia minorile si intende “qualsiasi rappresentazione, mediante qualsiasi mezzo, di un bambino impegnato in attività sessuali esplicite, siano esse reali o simulate, o qualsiasi rappresentazione delle parti intime di un bambino per scopi che siano soprattutto sessuali”, comprende la produzione, la distribuzione, la diffusione, l’importazione, l’esportazione, l’offerta, la vendita o la detenzione di materiale pornografico infantile. L’adozione di misure adeguate ed il pieno recepimento nel proprio ordinamento interno, di quanto stabilito, è l’impegno assunto da ciascuno Stato affinché sia garantito il perseguimento dei reati a prescindere dal luogo in cui sono commessi, sia a livello interno che transnazionale, da un individuo o in modo organizzato (art.3). La predisposizione delle definizioni è un aspetto importante del protocollo in quanto gli Stati avranno delle fattispecie omogenee cui far riferimento.Le disposizioni previste in questo articolo risultano essere molto interessanti poiché comprensive anche dei reati commessi a livello interno e da un singolo individuo quindi, la tutela è più ampia di quella prevista nel Protocollo di Palermo sulla tratta. Inoltre, anche nelle definizioni le formule utilizzate sono ampie tali da considerare come fine non soltanto il guadagno economico ma anche qualunque altro tipo di retribuzione e di contemplare il generico concetto di “attività sessuali”. Dall’esame dell’intero articolato l’aspetto di maggiore rilevanza che caratterizza il Protocollo è l’utilizzo di un approccio onnicomprensivo basato sulla prevenzione e assistenza, dunque, sulla tutela dei diritti delle vittime e sull’applicazione di adeguati strumenti tecnico-giuridici volti alla sua protezione. E’ contemplato il principio dell’extraterritorialità e l’applicazione degli accordi di estradizione per tutte le fattispecie criminose contemplate. Speciale protezione viene riconosciuta, nell’art. 8, in ogni fase del procedimento penale sulla base della particolare vulnerabilità e dei peculiari bisogni dei minori specie se coinvolti come testimoni. A tale scopo ai minori viene garantita: l’informazione sui diritti riconosciuti, la tutela della loro identità e della propria famiglia, la protezione da intimidazioni e rappresaglie, l’adozione del criterio del superiore interesse del minore in ogni fase del procedimento, la formazione adeguata, in particolare in ambito giuridico e psicologico, degli operatori. Infine, negli artt. 9 e 10 è previsto l’impegno degli Stati Parte volto a rafforzare, adottare, applicare, divulgare: misure amministrative, politiche e programmi sociali al fine di prevenire i reati; campagne di informazione, istruzione e formazione per sensibilizzare l’opinione pubblica, ivi compresi i bambini, aumentando in tal modo la consapevolezza sui rischi; misure adeguate di assistenza e riabilitazione delle vittime; programmi di cooperazione e collaborazione internazionale in grado di debellare le cause alla radice di tali fenomeni. E’ previsto, inoltre, l’obbligo per ciascuno Stato di presentare, ogni due anni , alla Commissione per i Diritti del Fanciullo una relazione sulle misure adottate alla luce delle disposizioni contemplate nel Protocollo. Nel dicembre del 2000 si è svolta, a Palermo, la Conferenza ONU che ha portato all’approvazione della Convenzione sulla criminalità organizzata transnazionale dei due Protocolli addizionali: sul traffico di migranti via terra, via mare e via aria il primo; sulla prevenzione, repressione e punizione della tratta di persone, in particolare di donne e bambini, il secondo183. Oggetto di uno specifico Protocollo il trafficking in persons è, definito per la prima volta, nell’art 3184 come: 183 Elaborata da un Comitato ad hoc istituito dall’Assemblea Generale dell’ONU con la Risoluzione del 9 dicembre 1998. DOC A/55/383. Il testo della Convenzione è reperibile al sito web: www.odccp.org. I Protocolli aggiunti sono: Protocol to Prevent, suppress and punish trafficking in persons, especially women and children, supplementing the United Nations Convention against transnational organized crime (per la tratta); Protocol against the smuggling of 251 “….il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite l'impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o prestazioni forzate, schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi”. Nel caso in cui nella tratta di persone sia coinvolto un minore il comma successivo statuisce che le condotte si considerano integranti la tratta di persone, anche nel caso in cui la minaccia, l’uso della forza, il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di potere non siano stati utilizzati. Nella definizione si rilevata l’introduzione del concetto l’introduzione del concetto di abuso della condizione di vulnerabilità185, peculiare situazione ravvisabile quando una persona non ha ragionevoli alternative. Questo è un concetto importante destinato ad influenzare in via interpretativa186 la nozione di servitù, compresa anch’essa nella definizione187. Nel Protocollo non è stata data una definizione di sfruttamento ma sono elencate delle fattispecie esemplificative188 che ciascuno Stato dovrà considerare come base minima da cui partire, per poter individuare altre ipotesi nei singoli contesti nazionali. Nel Preambolo sono contemplati tre livelli di azione: la prevenzione e la repressione del traffico e la protezione delle vittime. Il traffico è considerato, tendenza consolidata a livello internazionale, “una fattispecie complessa destinata a comprendere più scopi illeciti”, questa formula si ritrova nei negoziati a Palermo ed è il frutto di una mediazione tra Paesi d’origine e di destinazione. Gli scopi illeciti sono inclusi nella categoria “sfruttamento” che però è un fenomeno qualitativamente diverso dalla “schiavitù”. A tal proposito è importante il termine servitude, il quale consente di comprendere quelle situazioni ancora poco indagate, le cosiddette “zone grigie”. La consapevolezza che la repressione e la protezione dei diritti delle vittime sono due aspetti strettamente correlati risulta trasfuso nell’art. 2 del Protocollo che considera gli obiettivi. In un primo momento gli obiettivi prefissi erano soltanto quelli di combattere e prevenire il traffico, successivamente sono stati inseriti anche l’assistenza e la protezione delle vittime nel pieno rispetto dei loro diritti umani189. migrants by land, air and sea, supplementing the United Nations Convention against transnational organized crime (per il contrabbando) 184 Protocol to Prevent, suppress and punish trafficking in persons, especially women and children, supplementing the United Nations Convention against transnational organized crime. DOC A/55/383. Adottato dall’Assemblea Generale dell’ONU con la risoluzione A/RES/55/25. Non è ancora in vigore per il mancato raggiungimento del numero di ratifiche previste. Per verificare lo stato delle ratifiche è possibile consultare il sito web: www.odccp.org/crime_cicp_signatures.html 185 Questo concetto, già considerato nella Risoluzione del Parlamento europeo sulla tratta di esseri umani (18 gennaio 1996), nel Protocollo viene maggiormente precisato. Interpretative note (63), Protocol to Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Person “The travaux preparatoires should indicate that the reference to the abuse of a position of vulnerability is understood to refer to any situation in which the person involved has no real and acceptable alternative but submit to the abused involved”; 186 M.G. Giammarinaro, intervista; 187 Il concetto non è nuovo, si parla di servitù nella Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo del 1950 e nella Convenzione Internazionale sulla protezione dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie del 1990 (non ancora entrata in vigore); 188 Come nella Convenzione Supplementare. 189 Aspetto innovativo in quanto si sottolinea l’importanza della tutela dei diritti umani delle vittime di traffico. La collocazione di questa tutela è molto importante in quanto si inserisce tra gli scopi e le finalità di carattere generale, ciò indica il riconoscimento dell’approccio. La posizione dell’Italia, con l’esperienza dell’art. 18, ha influito nei negoziati. Da parte della delegazione italiana è stata sottolineata l’importanza della tutela delle vittime da un punto di vista di politica del diritto ma anche di politica criminale. E’ un dato di fatto che la collaborazione delle vittime è anche una risorsa per la repressione. 252 Gli obiettivi del Protocollo, contemplati nell’art. 3, sono la prevenzione e la lotta alla tratta di persone, con particolare attenzione alle donne e ai bambini; la tutela e l’assistenza delle vittime; ed infine, la promozione della cooperazione tra gli Stati Parte. Un aspetto molto importante del Protocollo è che non sono state ammesse riserve anche se, come è stato sottolineato da alcuni190, sono state adottate delle formule più sfumate al fine di ottenere l’adesione anche dei Paesi dalle posizioni più ostiche come ad es. quelli africani, che sono contemporaneamente Paesi di destinazione e di transito, ciò per un problema di costi. Fondamentale risulta essere l’affermazione del principio di non discriminazione delle persone vittime di traffico, in quanto le norme contenute nel Protocollo non possono essere utilizzate come causa di discriminazione nei confronti delle stesse vittime. Nel complesso il Protocollo può essere valutato positivamente, nonostante la non obbligatorietà di molte disposizioni ed il mancato riconoscimento di un vero e proprio diritto della persona trafficata a restare nel Paese di destinazione o di rientrare in quello di residenza. Il permesso di soggiorno è considerato un’eccezione ed è previsto soltanto in alcuni casi valutati con discrezionalità, d’altra parte però è contemplata la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno definitivo. Un elemento di debolezza è ravvisabile nella norma sul rimpatrio in quanto non è stata affermata la volontarietà da parte della vittima, si è stabilito soltanto che esso dovrebbe essere preferibilmente volontario. Da questo elemento di discrezionalità consegue una minore tutela della vittima.. Il problema nel caso del rimpatrio è costituito dal fatto che esso è stato esaminato congiuntamente dai due Protocolli, dunque, si ritiene che valutazioni riguardanti l’immigrazione illegale abbiano fatto propendere per normative meno flessibili. Ulteriore elemento di debolezza è ravvisabile nell’estensione del Protocollo ai soli casi in cui è coinvolta la criminalità organizzata a livello transnazionale rimangono, dunque, esclusi i reati di tratta commessi da individui e quelli realizzati da gruppi criminali all’interno di uno Stato. 9.3 La legislazione e le iniziative europee L’Unione europea, già da qualche anno, ha assunto un ruolo molto importante nella lotta allo sfruttamento dei minori. Il Trattato di Maastricht o Trattato dell’Unione Europea (TUE), del 7 febbraio 1992191, rappresenta il primo passo verso una comune gestione, da parte dei Paesi europei, di alcune fondamentali materie considerate fino a quel momento di esclusiva prerogativa statale. L’adozione del Titolo VI concernente la “cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni” e la creazione di quello che viene chiamato il “terzo pilastro” dell’Unione europea rappresentano, infatti, il primo tentativo verso una comunitarizzazione di tematiche quali l’asilo, l’immigrazione, la sicurezza, la cooperazione giudiziaria. In questa fase però non vi è ancora attenzione nei confronti della tratta di esseri umani come dimostra la mancanza di un esplicito riferimento alla stessa tra le forme di criminalità organizzata contemplate nell’ex art. K1 (art. 29 del testo consolidato). La lotta al trafficking diverrà obiettivo prioritario con il Trattato di Amsterdam divenendo, all’art. 29192, una condizione imprescindibile per realizzare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il Vertice straordinario di Tampere193 dei capi di Stato e di governo dell’Unione europea, svoltosi il 15-16 ottobre 1999, ha impresso un’accelerazione verso questa direzione. Sono stati fissati, in 190 M.G. Giammarinaro, intervista; Entrato in vigore il 1°novembre 1993. Ratificato dall’Italia con la legge n. 388 del 30 settembre 1993. 192 In questo articolo è contemplato l’obbligo per gli Stati di adottare tutti gli strumenti di cooperazione necessari al fine di contrastare in maniera incisiva la tratta di esseri umani. 193 Risoluzione B5-0116/1999, GU C 54 del 25.02.2000, pag.93; 191 253 maniera puntuale, una serie di impegni e di priorità da attuare in armonia con il Piano d’Azione, del dicembre 1998, approvato dal Consiglio europeo a Vienna. Priorità nell’intervento deve essere data ad alcuni settori quali: il controllo delle frontiere esterne, l’asilo, la libera circolazione delle persone, la cooperazione giudiziaria fra le forze dell’ordine. Il traffico degli esseri umani, soprattutto di donne e minori è considerato tra i settori prioritari. A tal proposito, è stata evidenziata l’importanza: della cooperazione internazionale, dello scambio di informazioni e best practices, della tutela delle vittime, della prevenzione dei fenomeni criminali, dell’istituzione di apposite squadre investigative composte da funzionari di diversi Paesi rafforzando, in tal modo, l’impegno dell'UE alla lotta ad ogni forma di criminalità organizzata. La tendenza verso una gestione comune del fenomeno migratorio e del traffico di esseri umani è stata recentemente confermata dai Vertici europei di Laeken194, di Santiago de Compostela195 e di Siviglia196. La tratta e lo sfruttamento di minori nelle diverse forme, compreso l’utilizzo di Internet e dei mezzi audiovisivi, sono oggetto di numerosi atti normativi da parte delle istituzioni europee, tra i più importanti ricordiamo: le Risoluzioni del Parlamento sulla violenza contro le donne197, sullo sfruttamento della prostituzione e sulla tratta di esseri umani198, sulla tratta delle donne199, ancora sulla tratta degli esseri umani200; la direttiva del Consiglio europeo concernente la tutela dei giovani sul lavoro201; l’Azione comune adottata dal Consiglio per la lotta contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei bambini202 elaborata sulla base dell’art. K3 del Trattato sull’Unione europea; la Dichiarazione ministeriale sugli orientamenti europei per misure efficaci di prevenzione e di lotta contro la tratta delle donne a fini di sfruttamento sessuale203; la Risoluzione del Consiglio per la protezione dei minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi204; il Piano d’Azione del Parlamento e del Consiglio per promuovere l’uso sicuro di internet attraverso la lotta alle informazioni di contenuto illegale e nocivo diffuse attraverso le reti globali205; le Risoluzioni del Parlamento europeo sul traffico illegale di neonati provenienti dal Guatemala206, le Risoluzioni sull’attuazione delle misure di lotta contro il turismo sessuale che coinvolge l’infanzia207 e sulle ulteriori azioni nella lotta contro la tratta delle donne208. Al fine di promuovere una maggiore conoscenza del fenomeno e di contrastare in maniera più efficace e puntuale la tratta di donne e minori l’Unione europea, da qualche anno, ha messo a punto due importanti programmi209: il programma Stop e Daphne. Il programma “Stop” è stato adottato nel 1996, quando il fenomeno della tratta ha cominciato a destare allarme ed è stato avvertito come una grave violazione dei diritti umani, soprattutto nei confronti delle donne e dei minori. Si tratta di un programma quinquennale volto al finanziamento di ricerche, corsi di formazione, seminari e alla 194 14 -15 dicembre 2001 14 - 15 febbraio 2002 196 21 - 22 giugno 2002 197 Dell’11 giugno 1986,GU C 176 del 14 luglio 1986; 198 Del 14 aprile 1989, GU C 120 del 16 maggio 1989; 199 Del 16 settembre 1993, GU C 268 del 4 ottobre 1993; 200 Del 18 gennaio 1996, Doc. A4-0326/95.GU C 32 del 5 febbraio 1996; 201 Del 22 giugno 1994, direttiva 94/33/Ce; 202 Del 24 febbraio 1997, GU L 63 del 4 marzo 1997; 203 Aja 24-26 aprile 1997. 204 Del 26 giugno 1997,97/C 221/03; 205 Del 25 gennaio 1999 adottato con la decisione n.276/1999/Cee; 206 GU C 104 del 14 aprile 1999; 207 Del 29 febbraio 2000, A5-0052/2000; 208 Del 2 maggio 2000, A5-0127/2000; 209 Confermati fino al 2003; 195 254 promozione dello scambio di informazioni ed operatori del settore. Esso è rivolto a coloro che si occupano della tratta: giudici, pubblici ministeri, forze dell’ordine, organizzazioni pubbliche e private, ong, assistenti sociali. Principi fondamentali su cui poggia il programma sono: necessità di affrontare il problema tenendo in considerazione tutti i livelli della catena della tratta (chi recluta, ma anche coloro che trasportano, sfruttano fino ad arrivare ai clienti), nonché importanza dell’approccio multiculturale. L’iniziativa “Daphne”, invece, avviata nel 1997 a sostegno delle azioni contro la violenza sulle donne e i minori, è stata sostituita nel 1999 dal Programma Daphne. Ha un campo d’azione più ampio rispetto al programma Stop in quanto possono partecipare anche le organizzazioni provenienti dai Paesi candidati all’UE e i progetti da realizzare possono essere pluriennali. Ulteriori iniziative di particolare rilevanza, in ambito europeo, riguardanti la lotta al traffico di esseri umani sono: l’In.C.E., la S.E.C.I., il Patto di Stabilità, il Budapest Process. L’Iniziativa Centro Europea (In.C.E.) è un’organizzazione di cooperazione regionale, nata nel 1989, che riunisce 16 Paesi210 e si pone come obiettivo la cooperazione in diversi settori: economico, commerciale, industriale, culturale, sociale e scientifico. In seguito alla raccomandazione della Conferenza di Sarajevo, del novembre 1997, fu istituito un Gruppo ad hoc per la lotta alla criminalità organizzata; si tratta di un gruppo di esperti sotto l’egida della presidenza congiunta dell’Italia e della Slovacchia. Nel 1998 è stata adottata, a Trieste, la “Dichiarazione sulla lotta alla criminalità organizzata”. L’importanza della Dichiarazione di Trieste è ravvisabile dal fatto che, per la prima volta, i Ministri dell’Interno dei Paesi aderenti affrontano congiuntamente il problema stabilendo linee programmatiche, obiettivi da raggiungere e modalità di cooperazione nel settore. Tra i settori di intervento sono contemplati sia il trafficking in persons che lo smuggling. La S.E.C.I. (Southeast European Cooperative Iniziative) è un’iniziativa, avviata nel dicembre 1996, che si propone lo sviluppo della cooperazione e l’armonizzazione delle legislazioni fra gli Stati membri211. Ulteriore obiettivo è la formazione degli operatori di polizia e di dogana. A tale scopo è stato istituito a Bucarest un Centro di Cooperazione Regionale per la lotta alla corruzione ed alla criminalità in ambito transfrontaliero. I rappresentanti dei Paesi aderenti, che operano nel Centro, svolgono un importante lavoro di raccolta e di scambio delle informazioni necessarie a contrastare il fenomeno. Il Patto di Stabilità, nato su iniziativa212 dei Ministri degli Affari Esteri dell’Unione Europea e dei Paesi balcanici, si pone come principale obiettivo la collaborazione con i Paesi dell'Europa del SudEst al fine di promuovere la pace, la democrazia, il rispetto dei diritti umani, la prosperità economica e, di conseguenza, la stabilità della Regione. Nell’ambito del Patto sono stati creati tre Tavoli di lavoro213, il terzo si occupa della sicurezza e della lotta ai fenomeni criminali. Particolare importanza è stata riconosciuta alle iniziative riguardanti il traffico di esseri umani214, la criminalità organizzata transfrontaliera e i controlli delle frontiere esterne. A tal fine è stato approvato un piano 210 Italia, Austria, Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Bielorussia, Croazia, Polonia, Romania, Slovacchia, Moldavia, Macedonia, Slovenia, Ungheria, Repubblica Ceca, Ucraina. La Federazione Russa partecipa in qualità di osservatore 211 Gli Stati Membri sono attualmente 11, Albania, Bosnia, Bulgaria, Croazia, Grecia, Ungheria, Moldavia, Romania, Slovenia, Macedonia, e Turchia; gli Stati sostenitori sono Austria, Italia, Russia, Svizzera e Stati Uniti. 212 Successivamente adottato, nel settembre del 1999, dai Capi di Stato e di Governo dell’UE e balcanici, più gli USA, il Giappone, la Norvegia ed altri Paesi aderenti all’OSCE. 213 Tre Tavoli di Lavoro su: 1) democratizzazione e diritti umani; 2) ricostruzione economica, sviluppo e cooperazione; 3) problemi della sicurezza. L’obiettivo che si vuole perseguire con l’istituzione dei Tavoli di lavoro è quello di individuare le aree nelle quali deve essere concentrata l’attenzione della Comunità internazionale al fine di conferire priorità all’attuazione dei progetti considerati più importanti. 214 E’ stata istituita una task force sul traffico di persone che risulta essere molto attiva nella promozione di una serie di iniziative riguardanti soprattutto la prevenzione del fenomeno e la protezione delle vittime. Per approfondimenti cfr. sito web www.stabilitypact.org/antitraffickingtaskforce 255 sul crimine organizzato ad ampio respiro che si pone come obiettivo quello di rafforzare le capacità di contrasto nella regione balcanica istituendo una sorta di coordinamento di tutti gli interventi che si vogliono attuare. L’Italia svolge, in questo ambito, un importante ruolo poiché è il maggior donatore del Patto nonché co-presidente del Gruppo di lavoro sulla lotta alla criminalità organizzata dell’In.C.E. Ulteriore iniziativa degna di nota è il Budapest Process. Si tratta di un forum paneuropeo di consultazione e cooperazione del quale fanno parte circa quaranta governi (Ministri dell’Interno) e dieci organizzazioni internazionali, che si prefiggono come obiettivo quello di prevenire le migrazioni irregolari, lo sfruttamento dei migranti e la tratta cercando di attuare un sistema di migrazioni controllate. Il Budapest process è stato istituito nel 1991 su iniziativa del Ministero dell’Interno tedesco allo scopo di arginare la crescente migrazione irregolare. La flessibilità ed il carattere informale che lo contraddistinguono ne fanno un efficace strumento di lotta al trafficking e allo smuggling. Le iniziative e le attività svolte sono realizzate spesso in collaborazione con gli organismi del Patto di Stabilità. Infine, è necessario ricordare due organizzazioni che hanno svolto e, che tuttora svolgono, un ruolo di rafforzamento dei vincoli tra i Paesi appartenenti a questa area geografica: l’OSCE ed il Consiglio d’Europa. L’OSCE215 è l’organizzazione regionale sulla sicurezza più grande del mondo. L’approccio utilizzato è basato sulla cooperazione e gestione di una serie di tematiche afferenti, direttamente o indirettamente, la sicurezza quali, ad es., la diplomazia preventiva, la confidence and security building, la sicurezza economica e ambientale, i diritti umani. La lotta al traffico di esseri umani, in particolare di donne e bambini, costituisce una priorità in linea con gli obiettivi216 e le decisioni delle sue istituzioni217. Nell’ambito dell’ODIHR218, principale istituzione dell’OSCE in tema di diritti umani, è stata creata un’unità ad hoc anti-trafficking con sede a Varsavia che, attraverso progetti, interventi in numerosi Paesi, seminari, conferenze, linee guida, pubblicazioni e campagne di sensibilizzazione, contribuisce notevolmente alla lotta alla tratta219. Il Consiglio d’Europa è considerata l’organizzazione da cui è derivato il primo esperimento di tutela internazionale organica dei diritti dell’uomo220. Il conseguimento di una più stretta unione fra i suoi membri allo scopo di salvaguardare e promuovere gli ideali e i principi che costituiscono il loro comune patrimonio, oltre che il perseguimento del progresso economico e sociale rappresentano le finalità che il Consiglio persegue. Questa organizzazione riveste un ruolo strategico riguardo alla tematica considerata essendo l’unica istituzione che comprende tutti i Paesi interessati in Europa221. Si propone quindi, come interlocutore privilegiato che potrebbe fungere da “cerniera” e da collegamento tra i Paesi UE e i Paesi dell’Est eliminando, di conseguenza, la mancanza di coordinamento tra i Paesi d’origine e transito della tratta e quelli di destinazione. 215 Fanno parte dell’OSCE 55 Paesi. Per approfondimenti cfr. www.osce.org Charter for European Security, Part. III “The Human Dimension”: The Charter for European Security commits participating States to “undertake measures to eliminate all forms of discrimination against women, and to end violence against women and children as well as sexual exploitation and all forms of trafficking in human beings" and to "promote the adoption or strengthening of legislation to hold accountable persons responsible for these acts and strengthening the protection of victims (art.24). La Carta è stata adottata ad Istanbul nel 1999; 217 Decision of the Eighth Meeting of the Ministerial Council, “Compilation of OSCE Human Division Commitments”. In essa gli Stati Membri sono chiamati a firmare e ratificare il Protocollo di Palermo sulla tratta e a prendere adeguate misure al fine di contrastare il fenomeno. Vienna, 27-28 October 2000; www.osce.org/odihr/documents/commitments 218 Office for Democratic Institutions and Human Rights 219 www.osce.org/odihr/projects/activities 220 Conforti B., Diritto Internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli 1987, p.169. 221 Dei 44 Paesi Membri fanno parte anche i Paesi di destinazione della tratta ma anche quelli di origine e transito. 216 256 Le raccomandazioni adottate dalle istituzioni del Consiglio d’Europa allo scopo di combattere il traffico di minori sono molteplici222; in esse emerge la necessità di avere un approccio globale al fenomeno che comprenda misure volte alla prevenzione, all’assistenza e alla protezione delle vittime, alla promozione della collaborazione e cooperazione tra gli Stati ed il conseguimento di adeguate legislazioni nazionali. Inoltre, si pone una particolare attenzione al legame tra la criminalità organizzata e le molte forme di sfruttamento sessuale dei minori e all’utilizzo di Internet per la divulgazione di materiale pedo-pornografico, da qui l’importanza della Convenzione del 2001 sui crimini commessi attraverso l’utilizzo di Internet223. 9.4 La legislazione e le iniziative nazionali 9.4.1.Il lavoro minorile E’ nella povertà e nella mancanza d’istruzione che affonda le proprie radici il lavoro minorile anche in Italia. In un mercato caratterizzato dal lavoro irregolare e marginale il lavoro dei più piccoli può risultare una risorsa economica dalla quale il nucleo familiare non può prescindere. Lo stato di bisogno, le precarie condizioni di vita, le ristrettezze economiche, la scarsa scolarizzazione e la mancanza di assistenza familiare sono tra le cause principali di questa forma di sfruttamento. Nel nostro Paese tale fenomeno riguarda anche minori italiani, ma le forme più gravi afferiscono, soprattutto, i minori stranieri. Accattonaggio, impiego nelle concerie o nelle industrie manifatturiere, coinvolgimento nelle attività della microcriminalità sono soltanto alcune delle forme di sfruttamento a cui questi minori sono sottoposti. In Italia le prime leggi poste a tutela dei minori riflettono la consapevolezza che il problema per essere risolto alla radice doveva essere affiancato da un valido programma di istruzione popolare; ciò è tuttora valido. La perdita del valore-istruzione è, infatti, la chiave di lettura più importante per poter leggere il fenomeno del lavoro minorile224 in Italia. Molte sono le leggi che si sono susseguite nel corso del tempo225, ne analizzeremo soltanto le più importanti. Innanzitutto, ricordiamo l’art. 37 della Costituzione italiana nella quale si afferma: 222 Recommendation 1065 (1987) on the traffic in children and other forms of child exploitation; Recommendation Rec (91) 11 of the Committee of Ministers to member States on sexual exploitation, pornography and prostitution of, and trafficking in, children and young adults; Recommendation 1325 (1997) on traffic in women and forced prostitution in Council of Europe member States; Recommendation Rec (2000) 11 of the Committee of Ministers to member States on trafficking in human beings for the purpose of sexual exploitation; Recommendation Rec (2001) 16 of the Committee of Ministers to member States on the protection of children against sexual exploitation; Recommendation 1526 (2001) on a campaign against trafficking in minors to put a stop to the east European route: the example of Moldova; Recommendation Rec (2002) 5 of the Committee of Ministers to member States on the protection of women against violence; Recommendation 1545 (2002) on a campaign against trafficking in women; 223 Convention on Cybercrime 2001 224 Coletti C. ( intervista) in La Rocca S., Fondazione Internazionale Lelio Basso, Il lavoro servile e le forme di sfruttamento para-schiavistico, Commissione per l’integrazione, Dipartimento per gli Affari Sociali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Working Paper n. 19 . Roma giugno 2001; 225 L’ 11.2.1886, n. 3657 e relativo Regolamento esecutivo. Approvato con R.D. del 17.9.1886, n. 4082, che disciplinava esclusivamente il lavoro dei fanciulli; a questo sono seguiti la Legge 19.6.1902, n. 242; il R.D. 29.1.1903, n. 41, contenente il Regolamento esecutivo; il T.U. sul lavoro delle donne e dei fanciulli, approvato con R.D. 10.11.1907, n. 818, che venne poi sostituito dalla Legge del 26.4.1934, n. 653, modificata successivamente con quella del 20.11.1961, n. 1325. Questi provvedimenti accomunavano le cosiddette mezze forze, ossia le donne e i minori. Infine, ricordiamo la legge del 19.1.1955, n. 25 sull’apprendistato. Per ulteriori approfondimenti cfr AA.VV., Indagine conoscitiva sul fenomeno “lavoro minorile” in Italia, consultabile dal sito www.cgil.it 257 “…la legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione”. Nella Costituzione si prevede una tutela differenziata per il lavoro minorile sancita nel 3° comma dell’art.37; nel 2° comma, invece, si rinvia al legislatore ordinario la determinazione del limite minimo per poter svolgere un lavoro salariato. E’ ravvisabile, dunque, uno specifico intervento statuale al fine di regolamentare il fenomeno e tutelare i fanciulli vietando: l’impiego prima di una determinata età, il lavoro notturno, i lavori pesanti226, insalubri e pericolosi. Il testo base della legislazione italiana in materia di lavoro minorile è la legge n. 977, del 17.10.1967, sulla “Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti” 227. In essa si distingue, per la prima volta, tra il lavoro minorile e quello femminile; sono, inoltre, previste diverse forme di tutela; infatti, per i minori vi è l’esigenza di “raccordare l’attività lavorativa con la necessità di tutelare lo sviluppo fisico e la formazione scolastica e professionale volta al pieno inserimento nel mercato del lavoro”228. Le novità introdotte dalla legge 977/67 sono molteplici, ricordiamo le più importanti: distingue i minori in fanciulli (che non hanno ancora compiuto i 15 anni) e adolescenti (dai 15 ai 18 anni); fissa l’età minima per lavorare a 15 anni229 (14 per attività agricole, servizi familiari e mansioni leggere nell’industria); proibisce l’impiego dei minori di anni 16 per lavori pericolosi, faticosi, di pulizia e per i mestieri girovaghi. Si rileva però una debolezza rispetto alle sanzioni previste riguardo l’inosservanza della normativa e, soprattutto, ai sistemi di controllo l’inasprimento dei quali potrebbe garantire una più efficace tutela dei minori. 9.4.2. Lo sfruttamento sessuale 226 Il lavoro deve considerarsi “leggero” solo quando lo svolgimento di esso sia compatibile con le particolari esigenze di tutela della salute del fanciullo, non comporti trasgressione dell’obbligo scolastico (Sentenza della Corte di Cassazione, 13.8.1982, n. 4602, in Diritto del lavoro, II,1983, p. 85) e non sia svolto durante la notte e nei giorni festivi (Sentenza della Corte di Cassazione, Pen., 23.10.1972, in Giustizia Penale, n. 2, 1974, p. 626); 227 Ricordiamo inoltre: il D.P.R. del 4.1.1971, n. 36, “Determinazione dei lavori leggeri nei quali possono essere occupati fanciulli di età non inferiore ai 14 anni compiuti, ai sensi dell’art. 4 della legge del 17.10. 1967, n. 977, sulla tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”; il D.P.R. del 17.6.1975, n. 479, “Regolamento di esecuzione dell’art. 9, ultimo comma, della legge del 17 ottobre 1967, n. 977, relativo alla periodicità delle visite mediche per i minori occupati in attività non industriali che espongono all’azione di sostanze tossiche od infettanti o che risultano comunque nocive”; il D.P.R. del 20.1.1976, n. 432 “Determinazione dei lavori pericolosi, faticosi e insalubri ai sensi dell’art.6 della legge del 17 ottobre 1967, n. 977, sulla tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”; il D.P.R. del 31.7.1980, n. 619 “Istituzione dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (art. 23 della legge n. 833 del 1978); la legge del 6.12.1993, n. 499, “Delega al Governo per la riforma dell’appartato sanzionatorio in materia di lavoro”; il D.P.R. del 20.4.1994, n. 365, “Regolamento recente semplificazione dei procedimenti amministrativi di autorizzazione all’impiego di minori nel settore dello spettacolo”; il D.Lgs. del 9.9.1994, n. 566, “Modificazioni alla disciplina sanzionatoria in materia di tutela del lavoro minorile, delle lavoratrici madri e dei lavoratori a domicilio”; il Dl. del 4 8.1999, n. 345, “Attuazione della direttiva 94/33 sulla protezione dei giovani sul lavoro”; il Dl. del 22.2.2000, n. 31, “Differimento dell’efficacia di disposizioni del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 345, in materia di protezione dei giovani sul lavoro; 228 Treu, T., I commi 2° e 3° dell’art. 37, in Comm. cost. , Branca, Bologna, 1979, p. 204; 229 Si ha un adeguamento alle Convenzioni OIL n. 59 del 3.6.1937, ratificata in Italia con la legge 2.8.1952, n. 1305, e la Convenzione n. 138 del 26.6.1973, ratificata con la legge del 10.4.1981, n. 157. Quest’ultima fissa due importanti principi: l’età minima lavorativa non può essere inferiore al termine fissato per il completamento della scuola dell’obbligo; l’assunzione di minori di anni 18 è vietata per tutti i lavori che possono arrecare danno alla salute e alla sicurezza dei minori; 258 Nell’ordinamento giuridico italiano i reati previsti, rispetto al fenomeno considerato, sono quelli di schiavitù e tratta sanciti da quattro norme del Codice Penale230: l’art. 600 prevede e sanziona la riduzione in schiavitù o in una condizione analoga231; l’art. 601 condanna la tratta ed il commercio di schiavi; l’art. 602 condanna l’alienazione e l’acquisto di schiavi; ed infine, l’art. 604 prevede l’applicazione delle disposizioni anche quando il fatto è commesso all’estero a danno di un cittadino italiano. In adesione ai principi enunciati dalla Convenzione sui diritti del fanciullo232, ed in virtù di quanto sancito dalla Dichiarazione finale della Conferenza internazionale di Stoccolma, 31 agosto 1996, sono state apportate delle modifiche e delle aggiunte al Codice Penale. Tali modifiche, introdotte dall’art. 9 della legge n. 269, 3 agosto 1998, “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù”233, inseriscono nel Codice Penale delle importanti fattispecie di reato riguardanti il minore: artt. 600-bis (Prostituzione minorile), 600-ter (Pornografia minorile), 600quater (Detenzione di materiale pornografico), 600-quinquies (Iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile), 600-sexies (Circostanze aggravanti e attenuanti), 600septies (Pene accessorie). La legge 269/1998 è stata un’importante tappa verso un’efficace tutela giuridica del minore nel nostro Paese. Con questa legge la produzione, il commercio, la diffusione e la semplice detenzione di materiale pornografico riguardanti i minori sono finalmente perseguibili; tra le pene accessorie è contemplata anche la confisca del materiale sequestrato, la chiusura dell’esercizio e la revoca della licenza per le emittenti televisive e radiofoniche. Ulteriori elementi di novità introdotti dalla legge sono: l’istituzione di un fondo, cui sono destinati i beni confiscati e le multe irrogate, per il finanziamento dei programmi di prevenzione, assistenza e recupero delle vittime234 e per il recupero di chi è stato condannato per reati sessuali235; il principio di extraterritorialità mediante il quale è possibile perseguire i reati di sfruttamento della prostituzione minorile e della pornografia commessi all’estero; la criminalizzazione di coloro che organizzano iniziative turistiche legate al turismo sessuale e alla prostituzione minorile; la tutela delle generalità e dell’immagine del minore. Dopo molti anni di scarsa applicazione l’orientamento attuale della giurisprudenza italiana è quello di applicare l’art. 600 del c.p. sia alle situazioni di diritto che di fatto236. Tale evoluzione ha permesso di effettuare una serie di condanne per il delitto di riduzione in schiavitù. In passato, per l’imputazione si ricorreva ad altre ipotesi di reato quali ad es. lo sfruttamento della prostituzione e gli altri delitti previsti dalla legge Merlin, il sequestro di persona, la violenza sessuale, il tentato omicidio. Il ricorso ad altre fattispecie è giustificato dalla difficoltà che si incontrava nel dimostrare lo stato di riduzione in schiavitù se era ravvisabile un minimo di autodeterminazione. Ben diversa è la situazione del minore in quanto non sussistendo il problema dell’autodeterminazione, l’applicazione dell’art. 600 è relativamente più semplice237. 230 Nella Sezione I del Capo III del Titolo XII del Libro secondo del Codice Penale “Dei delitti contro la personalità individuale”; 231 Esplicito richiamo alla Convenzione Supplementare sulla schiavitù del 1956; 232 Ratificata dall’Italia con la legge n. 176 del 27 maggio 1991; 233 G.U. 10 agosto 1998 n. 185 234 Sono destinati i 2/3 del fondo 235 A costoro è destinata la parte residuale del fondo 236 Fondamentale a tal proposito è la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione V, del 20.03.1990, n. 3909, CED (RV 183777) , nella quale si afferma: La schiavitù e la condizione analoga alla schiavitù previste dagli artt. 600 e 602 del c.p. non sono necessariamente solo condizioni di diritto e possono essere costituite anche da situazioni di fatto. La decisione del 9 febbraio 1990 della V Sezione penale della Corte di Cassazione sancisce che: condizione analoga alla schiavitù deve interpretarsi come condizione in cui sia socialmente possibile, per prassi, tradizioni, circostanze ambientali, costringere una persona al proprio esclusivo servizio; 237 A tal proposito ricordiamo alcune sentenze: La Corte di Cassazione ha affermato che sussiste ipotesi di reato di schiavitù, nel caso in cui un minorenne venga ceduto dai genitori ai fini dello sfruttamento della sua persona o del suo 259 Oltre agli articoli menzionati ci sono altre disposizioni riguardanti lo sfruttamento dei minori: l’art. 3 della legge Merlin, n.75 del 1958, che prevede il delitto di associazione al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione; gli artt. della legge n. 66 del 1996 sulla violenza sessuale238; gli artt. 416 e 416 bis del c.p. che contemplano rispettivamente il reato di associazione per delinquere il primo e associazione di tipo mafioso il secondo; gli artt. 1152 e 1153 del codice della navigazione riguardanti rispettivamente la tratta e il commercio di schiavi l’uno e le disposizioni riguardanti una nave destinata alla tratta l’altro; l’art. 12 del Dlgs 286 del 1998239 per il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina volta anche al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o all’impiego di minori in attività illecite. Fondamentale risulta essere l’art. 18 del Testo Unico240 sull’immigrazione. L'art.18 prevede il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno "per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale". In questa norma oltre agli aspetti preventivi e repressivi della lotta al traffico di esseri umani è stata contemplata la tutela dei diritti delle vittime. Questo nuovo approccio si concretizza nella predisposizione di un regime di doppio binario, ossia nell’individuazione di due distinti percorsi per il rilascio del permesso di soggiorno: uno giudiziario e l’altro sociale. Gli aspetti positivi dell’art. 18 sono molteplici: la tutela della persona trafficata241, la concessione del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale sganciata dalla necessaria collaborazione giudiziale, l’aver previsto un’ampia fattispecie nella quale rientrano, nella disciplina, non soltanto i casi di violenza ma anche quelli in cui sia ravvisabile una situazione di grave sfruttamento242. L’art 18 è considerato come un importante traguardo raggiunto da cui partire per ampliare ulteriormente la tutela delle vittime. Si possono altresì rilevare delle lacune: il mancato lavoro: “costituisce istituzione o pratica analoga alla schiavitù quella in forza della quale un fanciullo o un adolescente minore degli anni diciotto è consegnato dai suoi genitori o da uno di loro o dal suo tutore a un terzo, contro pagamento o meno, in vista dello sfruttamento della persona o del lavoro di detto fanciullo o adolescente. Risponde, pertanto, del reato in questione colui che utilizzi dei minori albanesi, ceduti dai genitori, ai fini di accattonaggio, sottoponendoli a massacranti orari di “lavoro”, facendoli vivere in condizioni personali, igieniche ed ambientali estremamente misere e precarie”. Sentenza della Corte di Cassazione, Sez. V, del 24 gennaio 1996, n. 2390, in Archivio penale della Corte di Cassazione, CED (RV 204369). Riguardo al reato di accattonaggio quale forma di schiavitù alcuni hanno parlato di bande di adulti marocchini che sfruttano i minori per accattonaggio o come lavavetri agli angoli delle strade. Lo sfruttamento sarebbe, a volte, realizzato con la stessa complicità dei genitori che affidano allo “zio” i minori che li porterà in Italia per sfruttarli. Interviste: Carmine Corvo, Elisabetta Colla e Orlando Iannace. Secondo Carmine Corvo “questa forma di sfruttamento è considerata quasi un lavoro, dietro non c’è un vero e proprio racket. Stesso discorso vale per i cinesi. Ci sono forme di sfruttamento, la comunità è molto chiusa, difficilmente penetrabile, comunque si hanno dei riscontri”. 238 Legge n. 66/96 Norme sulla violenza sessuale, gli articoli riguardanti i minori sono: art 609/bis Violenze sessuali (compresi i reati di violenza carnale e gli atti di libidine), art 609/ter Violenza sessuale contro i minori di 14 anni, art 609/quater Atti sessuali con minorenne, art. 609/quinquies Corruzione di minorenne, art. 609/octies Violenza sessuale di gruppo, art 14 Audizione protetta del minore. 239 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Ulteriori disposizioni riguardanti i minori sono ravvisabili negli artt. 18 e 19: diritto all'unità familiare, alla tutela dei minori, all’accesso ai servizi assistenziali e all’istruzione, all’alloggio, alla partecipazione alla vita pubblica e all’integrazione sociale, al divieto di espulsione salvo nei casi previsti dalla legge. 240 Dlgs 25 luglio 1998 n, 286 e D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 per il regolamento di attuazione. Per approfondimenti cfr. Maria Grazia Giammarinaro, Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale previsto dall’art.18 del T.U. sull’immigrazione, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, Franco Angeli, , n. 4, Milano, 1999, pag. 34 e segg.; 241 Ricordiamo che da tale approccio sono derivati notevoli risultati: la collaborazione tra alcune Procure della Repubblica, in particolare quella di Lecce, e le vittime di tratta hanno portato gli investigatori ad acquisire importanti elementi d’indagine. I procedimenti contro i trafficanti di minori costretti a prostituirsi nel nostro Paese si sono conclusi, grazie anche all’art. 18, con condanne per riduzione in schiavitù. 242 Sono, dunque, compresi: lo sfruttamento sessuale, il lavoro forzato, la servitù domestica e il debt bondage che si ha quando una persona è costretta a svolgere un’attività fino al pagamento del debito; 260 monitoraggio della legge e la mancata estensione della protezione anche ai familiari delle vittime, in particolare ai figli. La tutela del minore è contemplata anche in altre disposizioni normative: legge n. 184 del 4 maggio 1983243 nella quale è prevista la facoltà di segnalare all’autorità pubblica situazioni di abbandono di minori e, nell’art 2, l’affidamento: “il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un'altra famiglia, possibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione”; legge n. 223 del 1990 sulla disciplina del sistema radio-televisivo; legge n. 216 del 19 luglio 1991 “Primi interventi in favore di minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose”; DPR n. 365 del 1994 sulla procedura per il rilascio dell’autorizzazione alla partecipazione dei minori nella preparazione o rappresentazione di spettacoli; legge n. 285 del 28 agosto 1997 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”; DPR n. 369 del 5 ottobre 1998 “Regolamento recante norme per l'organizzazione dell'osservatorio nazionale per l'infanzia”244; art. 403 del codice civile prevede che “la pubblica autorità deve provvedere con interventi di urgenza per sottrarre il minore a situazioni di pericolo…”; art. 528 del c.p. sulle pubblicazioni e spettacoli osceni “chiunque allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni immagini o altri oggetti osceni di qualsiasi specie, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni”; art. 671 del c.p. sull’impiego di minori nell’accattonaggio “chiunque si vale, per mendicare di una persona minore degli anni quattordici o, comunque non imputabile, la quale sia sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, ovvero permette che tale persona mendichi, o che altri se ne valga per mendicare, è punito con l’arresto da tre a un anno”; art. 725 del c.p. relativo al commercio di scritti, disegni o altri oggetti contrari alla pubblica decenza. Recentemente, 30 luglio 2002, è stata promulgata la legge n. 189 del 30 luglio 2002 “Modifica della normativa in materia di immigrazione e di asilo” la cosiddetta Bossi-Fini245. La legge nasce dalla necessità, indicata dallo stesso Governo246, di garantire il benessere e soprattutto la sicurezza dei cittadini, da qui una normativa che si propone come obiettivo fondamentale quello di contrastare il fenomeno dell’immigrazione clandestina permettendo l’ingresso e la permanenza dello straniero sul territorio nazionale per “soggiorni duraturi solo in relazione all’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa sicura e lecita”. Le principali modifiche relative ai minori riguardano la limitazione ai ricongiungimenti familiari e, all’art. 25, la disciplina dei minori stranieri non accompagnati, categoria che comprende anche i minori vittime di tratta. La Risoluzione del Consiglio dell’Unione europea, del 26 giugno 1997, sui minori non accompagnati cittadini di Paesi terzi247, considera minori non accompagnati o separati248 i minori di anni diciotto che si trovano fuori dal loro Paese di origine e che entrano o soggiornano irregolarmente nel territorio di un Paese terzo, separati da entrambi i genitori o dall’adulto che, per legge o per consuetudine, è tenuto alla loro tutela. Al 243 GU n. 133 del 17 maggio 1983. Suppl. Ordinario G.U. 26 ottobre 1998 n. 250; 245 GU n. 189 del 26 agosto 2002. Il disegno di legge S. 795, convertito in legge - (approvato dal Senato) (ddl AC. 2454 modifiche apportate alla Camera) - modifica il Dlg n. 286 del 25 luglio 1998 e il Decreto legge n. 416 del 30 dicembre 1989, convertito nella legge n. 39 del 28 febbraio 1990. Il testo è reperibile dal sito della Camera: www.camera.it. Importanti documenti relativi all’immigrazione e all’asilo, nonché il quadro sinottico con le modifiche apportate, sono reperibili sul sito web di Sergio Briguglio www.briguglio.frascati.enea.it/immigrazione-e-asilo/index.htm 246 La Relazione illustrativa è reperibile dal sito del Senato: www.senato.it 247 In G. U. C. E. n. C 221 del 19 luglio 1997. 248 Per approfondimenti Cfr. Separated children in Europe Programme, Statement of good practice, October 2000, in www.sce.ac.uk 244 261 termine “non accompagnato” si preferisce quello di “separato” 249 in quanto comprensivo di una categoria più ampia di minori quali: vittime della tratta, richiedenti asilo, minori che migrano per motivi economici250. Infine, in questi giorni è in discussione un provvedimento molto importante: il disegno di legge che dovrebbe introdurre nel nostro Paese il reato di tratta di persone. Questa lacuna normativa finora è stata colmata attraverso il ricorso all’art. 600 del c.p. Il testo proposto dalla Commissione Giustizia è il ddl S 885251, approvato dalla Camera dei deputati il 21 novembre 2001252, testo risultante dall’unificazione del disegno di legge 1255253 e del disegno di legge n. 1584, che propone l’assorbimento dei ddl nn. 505254 e 576255. I ddl ripropongono la necessità di introdurre questa fattispecie di reato nell’ordinamento italiano dal momento che l’iter del disegno di legge256, presentato nella passata legislatura e approvato con voto unanime dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati il 28 febbraio 2001, non è stato ultimato. In tal modo si risponde alla necessità di armonizzare le legislazioni nazionali espresse dall’UE257 e dall’ONU258 proponendo l’introduzione nel Codice Penale di un’apposita fattispecie di reato: il reato di tratta di persone. L’introduzione di questo reato avrebbe molteplici effetti positivi: costituirebbe un’importante risposta morale di condanna del fenomeno nel nostro Paese; eviterebbe incertezze interpretative relative all’imputazione che si sono avute in passato259. Finora si è fatto ricorso ad un’interpretazione estensiva del concetto di schiavitù: oggi è necessario un concetto nuovo che disciplini anche altre situazioni. Nei testi si contempla l’ipotesi della servitù, “condizione di soggezione di una persona costretta o indotta” a rendere prestazioni e questo è l’altro elemento distintivo perché “l’induzione” non sempre richiede l’uso esplicito della forza. La servitù dovrebbe coprire tutte quelle situazioni nelle quali non è ravvisabile l’uso esplicito della forza e in cui generalmente esiste un legame anche di tipo personale tra la persona che vive in condizione di soggezione e le persona che usufruisce di queste prestazioni, siano esse sessuali o di altra natura e quindi anche quelle prestazioni sessuali non necessariamente coperte dalla prostituzione coatta. 249 Separated children in Europe Programme Cfr. per approfondimenti sulla tematica dei minori non accompagnati e sulle modifiche apportate dalla legge BossiFini: Rozzi E., Minori stranieri non accompagnati tra accoglienza e rimpatrio. Aspetti giuridici, 2000; Rozzi E., I minori stranieri non accompagnati, Newsletter n. 4 ottobre 2002, Reperibili dal sito web www.savethechildren.it/minori/normativa; www.separatedchildreneurope.gla.ac.uk; International Organisation for Migration, Trafficking in unaccompanied minors for sexual exploitation in the European Union, Brussels 2001; Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Nota del Comitato per i Minori Stranieri sull’art . 25 della legge 189/02, 14.10.02 251 I testi in allegato. 252 Comunicato alla Presidenza il 13 giugno 2002. 253 Testo unificato del progetto di legge C 1255 (iniziativa Anna Finocchiaro e altri)presentato il 9 luglio 2001 e del disegno di legge n. 1584 (Berlusconi, Prestigiacomo) presentato il 18 settembre 2001. E’ composto da sette articoli. La II Commissione permanente (Giustizia) il 15 novembre 2001 ha deliberato favorevolmente al testo unificato. Il 21 novembre il testo è stato discusso e approvato dall’Assemblea. E’ stato trasmesso al Senato S 885. www.camera.it 254 Di iniziativa dei senatori De Zulueta e altri. Il testo è scaricabile dal sito del Senato: www.senato.it 255 Di iniziativa dei senatori dei senatori Toia e altri. Comunicato Alla Presidenza Il 1º Agosto 2001 256 Il testo è il risultato dell’unificazione dei disegni di legge C 5350, 5839 e della proposta di legge 5881; 257 “Azione comune contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei minori” adottata dal Consiglio dell’unione europea il 24 febbraio 1997 ma anche nel Vertice di Tampere del 1999. 258 Ricordiamo la Convenzione delle Nazioni Unite sulla criminalità organizzata e i due Protocolli aggiuntivi riguardanti lo smuggling e il trafficking in persons. 259 Le difficoltà di ricorso agli articoli 600 e seg del C.P. ed il conseguente utilizzo di altre fattispecie di reato. De Zulueta, intervista: Occorre una legge ad hoc perché noi abbiamo constatato una certa impotenza, una cronica sottovalutazione penale del fenomeno dovuta alle difficoltà processuali e di indagine. I magistrati non avevano altra possibilità se non quella di ricorrere ad altri reati quali ad es. lo sfruttamento della prostituzione. In questo modo del reato di“tratta” non risultava nulla dall’azione giudiziaria. E’ dunque, importante che nel c.p. riconosca la figura di reato proprio come particolarmente grave. 250 262 Il concetto di servitù260 è importante in quanto serve a distinguere e a disciplinare tutte quelle situazioni che non si prestano ad essere interpretate secondo categorie tradizionali né sociologiche, né giuridiche. In questi casi la costrizione non è determinata dall’uso o dalla minaccia della forza, ma dalla drastica limitazione di autodeterminazione causata da una complessa situazione di dipendenza che si identifica, spesso, in una situazione relazionale di condizionamento derivante dalla società di appartenenza. Nel testi dei ddl presentati sono ravvisabili interessanti disposizioni relative: all’introduzione di una fattispecie associativa finalizzata alla tratta di esseri umani; all’estensione degli artt. 416 e 416 bis c.p. ai reati di tratta; alla introduzioni di attività sotto copertura e di disposizioni relative ai collaboratori di giustizia; all’istituzione di un programma speciale di assistenza per le vittime dei reati; ed infine, le disposizioni riguardanti la confisca dei beni. I ddl prevedono un aggravamento della pena se i reati in questione sono commessi a danno dei minori. Sono numerose le iniziative realizzate in Italia nel corso degli anni volte a favorire la nascita di una cultura di tutela e di lotta contro lo sfruttamento dei minori sotto qualsiasi forma, ricordiamo le più rilevanti: la creazione di un Centro di documentazione e analisi, con sede a Firenze, con il compito di elaborare le informazioni riguardanti i vari aspetti della condizione di vita dei minori261, il Piano Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza realizzato per affrontare i problemi dell’infanzia non più in maniera episodica, ma organica, la Commissione Nazionale per il coordinamento degli interventi in materia di maltrattamenti, abusi e sfruttamento sessuale dei minori, il Nucleo Operativo di Polizia delle Telecomunicazioni composto da specialisti in materia di sicurezza, l’istituzione di un Ufficio Minori in tutte le Questure, l’approntamento di linee guida della Cooperazione italiana relativa ai minori nelle quali si auspica “la prevenzione e lo sradicamento delle situazioni di sistematico sfruttamento e commercio sessuale aventi ad oggetto i minori”. 9.5 Osservazioni conclusive Fra tutte le violazioni dei diritti umani, quelle commesse ai danni dei minori sono le più abiette. I danni, sia fisici che psichici, derivanti dagli abusi e dallo sfruttamento sono, molto spesso, irreparabili:scarsa autostima, sentimento di inadeguatezza e di diffidenza nei confronti degli altri, comportamenti autolesionisti e propensione a ripetere le violenze subite trasformandosi in carnefici, ma anche gravidanze precoci, infezioni trasmesse per via sessuale, uso di sostanze stupefacenti. Gli strumenti giuridici rappresentano soltanto uno degli strumenti da approntare al fine di debellare tutte le forme di sfruttamento ai danni di minori. Le mere dichiarazioni di principio e di intenti contenute negli strumenti di soft law, gli obblighi contemplati nelle Convenzioni internazionali e nelle normative nazionali non sono, infatti, sufficienti da soli a fermare questo abominio. E’ necessario predisporre una serie di strumenti e di politiche che mirino soprattutto ad eliminare le cause della violenza e dello sfruttamento dei minori. La ratifica delle Convenzioni internazionali non è sufficiente, è necessario che si dia seguito a quanto previsto nelle stesse in termini di tutela e garanzie dei minori. La lotta allo sfruttamento minorile presuppone che ci sia un’ampia e coordinata azione multidisciplinare a tutti i livelli in 260 Il termine servitù deriva da servitù della gleba e si riallaccia al concetto originario che considera il destino di una persona legato a quello di uno status o di una cosa di sua volontà. In esso c’è la mancanza di alternative, l’impossibilità di mutare la propria condizione, l’assenza di autodeterminazione.Ciò che caratterizza la domestic servitude è l’invischiamento in una rete di relazioni personali che, talvolta, possono condurre la persona all’erronea sensazione di trovarsi in una situazione amicale o di rapporto di coppia. 261 La documentazione raccolta è consultabile nel sito web http://www.minori.it 263 grado di affrontare in maniera efficace l’insieme degli aspetti riguardanti la protezione del minore ed in primo luogo l’educazione, la salute, ma anche il sostegno alle famiglie. E’ necessario affrontare in maniera strutturale le cause, quale ad es. la povertà, che portano, direttamente o indirettamente, allo sfruttamento dei minori. Questa lotta richiede interventi di ampio respiro e l’adozione di un approccio di carattere globale e multisettoriale nonché di una programmazione a medio e lungo termine nei confronti dei fenomeni considerati. Adeguate forme di prevenzione, assistenza e protezione oltre che di riabilitazione e reinserimento del minore sono gli altri strumenti necessari. Altro aspetto che meriterebbe di essere approfondito è la domanda di sfruttamento di minori. Nell’ambito della tratta ai fini di sfruttamento sessuale la distinzione tra minori e donne è confusa poiché lo sfruttamento, molto spesso inizia con le minorenni, mentre sarebbe auspicabile predisporre per queste ultime delle misure ad hoc. Per quanto riguarda l’Italia, in generale, la legislazione italiana assicura un’ampia tutela dei minori vittime di sfruttamento sia sessuale che di altro tipo. Ci si auspica la ratifica, da parte del Parlamento Italiano della Convenzione di Palermo sul crimine organizzato e i Protocolli aggiuntivi sulla tratta e sul contrabbando di persone del dicembre 2000 e della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, del 25 gennaio 1996, la quale estende e rafforza il diritto del minore di essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano. La normativa italiana mostra di non essere in ritardo circa la tutela dei minori però la sua efficacia risulta essere limitata dalla mancanza di sanzioni adeguate nei confronti di coloro che violano le disposizioni poste a tutela del minore. Nel complesso emerge la mancanza di una cultura dell’infanzia. Nell’era del consumismo ogni cosa ha un prezzo persino la vita umana. Un bambino diviene così una merce alla stregua di un qualsiasi oggetto che si può acquistare, vendere o gettare via. E’ necessaria la definizione di una politica globale, coerente e di lungo periodo per la tutela e la promozione dei diritti del minore. Se il XX è stato il secolo della coscientizzazione dell’esistenza del grave problema dello sfruttamento minorile e dello sviluppo della legislazione, sia a livello internazionale che nazionale, ci si auspica che il XXI sia, invece, il secolo dell’azione e della protezione concreta del minore. Non è più possibile promettere è necessario agire poiché la misura del tempo è data dal numero di minori sfruttati. 264 Bibliografia Agenzia Romana per la preparazione del Giubileo (a cura di), Migrazioni. Scenari per il XXI secolo. Dossier di ricerca, Volumi I, II. Convegno Internazionale, Roma 12-14 luglio 2000 Assante G., Giannino P., Mazziotti F., Manuale di diritto minorile, Editori Laterza, Roma, 2000. 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Analisi di alcuni casi. di Danila Indirli 10.1 Premessa Il Codice di procedura penale in vigore dal 1989 non prevedeva alcun divieto di testimonianza per la persona di minore età. Solo negli ultimi anni i minori hanno varcato la soglia delle aule dei Tribunali penali, purtroppo sempre più spesso come parti offese di maltrattamenti in famiglia, lesioni, percosse, abusi sessuali (interni ed esterni alla famiglia), favoreggiamento e sfruttamento della loro attività prostituiva considerata sempre coercitiva. Al riguardo, quindi, si è avvertita la necessità di disciplinare in modo più compiuto ed adeguato alle peculiarità dell’età il loro ingresso nel procedimento penale ordinario, che a differenza di quello minorile, non si era ancora attrezzato per far fronte a tale evenienza. Le leggi n. 66 del 15 febbraio 1996 e n. 269 del 3 agosto 1998, hanno, rispettivamente, rivisitato la disciplina in materia di violenza sessuale, in particolare la prima ed introdotto il reato di prostituzione di persone di minore età (precedentemente previsto come aggravante del reato di prostituzione), di pornografia minorile, di detenzione di materiale pornografico, del cosiddetto “turismo sessuale”; mentre la seconda, ha – come vedremo - anche dettato alcune norme “ad hoc” di natura procedurale concernenti l’audizione del/della minore. Anche nella procedura penale italiana si è voluto, così, garantire concretamente il diritto del/della minore ad essere ascoltato/a in tutte le procedure che lo/la riguardano sancito dalla Convenzione del fanciullo di New York. 10.2 Audizione del minore Momento centrale della procedura giudiziaria è l’ audizione del minore che racconta di essere stato sfruttato o abusato sessualmente262. Qual è il segreto perché il minore riesca a parlare senza sentirsi traumatizzato? Ripensiamo al “ Piccolo principe” di Antoine Saint-Exupéry: è necessario il tempo, l’addomesticamento, il rito, il colore! E quindi un’ aula un po’ colorata, giocosa anche se inserita nella struttura austera di un palazzo di giustizia, un intervallo di tempo ampio e non ricavato frettolosamente tra incombenti vari, la previsione di più incontri per favorire il contatto, la creazione di una relazione di fiducia, l’ instaurarsi del “rito” dell’ audizione giudiziaria. E soprattutto è importante cercare di coniugare il “tempo interiore” del minore con il “tempo processuale”, fare in modo che l’ audizione decisiva in sede giudiziaria cada in un momento in cui l’ elaborazione emotiva consenta (o meglio favorisca ) il racconto a terzi estranei. Questo ambizioso obiettivo è raggiungibile se si riesce a far convergere le energie, la sensibilità, le intelligenze di chi lavora nei servizi sociali, sanitari, giudiziari. Questo intervento integrato è auspicato dalla legge n. 66 del 16 febbraio ’96, la quale ha innovato il codice di procedura penale introducendo con il proprio art. 15 l’ art. 609 decies, il cui dettato prevede che nei casi di abuso sessuale su minori o di sfruttamento sessuale degli stessi “…L’assistenza affettiva e psicologica della persona offesa minorenne è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne e ammesse dall’ Autorità Giudiziaria 262 Al testimone è equiparato il minore di anni quattordici, anche se non presta giuramento (art. 497/II co. c.p.p.) Vds Cass. Pen. -Sez.III- 25/10/1984 – in Giust. Pen.1985, III,227 (s.m.); Cass.Pen. –sez. III- 20/06/1984 – in Giust. Pen. 1985, III, 420 (s.m.); Cass.Pen.-sez. III- 19/12/1986- in Giust.Pen.-1987, III, 629 (s.m.). 267 che procede. In ogni caso al minorenne è assicurata l’assistenza dei servizi minorili dell’ Amministrazione della Giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali. Di tali servizi si avvale altresì l’ Autorità Giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento”. L’ esperienza sin qui svolta ha evidenziato la necessità di un sostegno psicologico la cui tempestività deve essere inversamente proporzionale all’età dell’abusato/a. Più la parte offesa è piccina, più è importante che tale apporto la sostenga già nella prima audizione da parte del Pubblico Ministero (P.M.) che coordina le indagini o di un funzionario della Questura appartenente alla sezione della Squadra Mobile specializzata nelle indagini relative a reati contro la persona (sezione nella quale sono confluite le competenze investigative dell’ ex Ufficio Minori), delegato dal P.M.. L’ audizione decisiva è, peraltro, quella davanti al Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.): le dichiarazioni rese in questa sede costituiscono una prova, lì dove quelle rese al P.M. o alla polizia giudiziaria - su delega - costituiscono fonti di prova. Tale audizione si svolge, infatti, in contraddittorio con la difesa dell’ accusato ed alla presenza di questi. Per evitare che il minore di anni sedici possa essere intimidito dalla mimica o anche solo dalla mera presenza di colui che accusa, la prassi giudiziaria prima e la legge 269/98 poi hanno introdotto l’uso del vetro a specchio. Tale accorgimento consente di separare lo spazio della stanza dove prendono posto il minore, il Giudice per le indagini preliminari e l’ausiliario esperto in psicologia dallo spazio in cui prendono posto l’ indagato, il suo difensore, il Pubblico Ministero, l’eventuale parte civile con il suo difensore. Grazie a tale accorgimento il minore non vede chi c’è dall’altra parte del vetro a specchio e l’indagato ( o l’ imputato ) può invece osservare colui il quale lo accusa, in omaggio al principio del contraddittorio. Il procedimento penale italiano è, infatti, preordinato all’individuazione ed alla punizione del colpevole di un determinato fatto costituente reato secondo la legge penale. La raccolta ed il vaglio delle prove della eventuale colpevolezza devono avvenire assicurando le garanzie del diritto di difesa dell’imputato (che il codice di procedura penale estende all’indagato), la cui principale espressione è costituita dal contraddittorio tra le parti. Peraltro, la legge prevede alcuni istituti a tutela della parte offesa, soprattutto se minorenne, in attuazione dell’ art.3 comma II della Costituzione in forza del quale situazioni diverse richiedono trattamenti differenziati, tesi a ristabilire ( o instaurare ) l’ equilibrio. E’ di tutta evidenza che la minore età rende una persona più vulnerabile di una persona adulta e, quindi, le norme, soprattutto quelle introdotte dalla legislazione più recente, prevedono dei meccanismi di bilanciamento di tale disparità. Oltre al vetro a specchio, sono da ricordare ove fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano minori di anni sedici: la possibilità che il P.M. o la persona sottoposta ad indagini chiedano l’audizione del minore in contraddittorio davanti al G.I.P. Durante il corso delle indagini preliminari, senza attendere che il procedimento giunga alla fase dell’ istruzione dibattimentale; la possibilità che l’audizione si svolga “anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l’ abitazione dello stesso minore”; ove fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano minori di anni diciotto: la conduzione dell’ esame da parte del presidente, evitando così la suggestività e l’ aggressività propria dell’ esame condotto dalle parti, l’ausilio di un neuropsichiatria dell’ età evolutiva o la presenza - autorizzata dal giudice - di un genitore che tranquillizzi il minore, mettendolo a proprio agio. La legge prevede, inoltre, che le dichiarazioni testimoniali rese dal minore debbano essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva, proprio per fare in modo che nessuna sillaba, nessun gesto vada perso e possa in qualsiasi momento essere a 268 disposizione del giudice e delle parti, evitando successive audizioni che potrebbero mortificare il minore ingenerando in lui la convinzione di non essere creduto e costringerlo a rivivere il trauma, sia nei casi in cui il fatto storico dello sfruttamento o dell’ abuso si è realmente verificato, sia nei casi in cui il racconto di tale fatto costituisca una metafora della quale il minore “si serve” per esprimere una situazione di forte disagio interiore. Nel caso del/della minore straniera sarà poi indispensabile un bravo interprete che sia anche un mediatore culturale. E’ necessario che tutti gli operatori che per educazione, custodia o assistenza dei minorenni vengono in contatto con il minore – primo fra tutti il giudice – coniughino ascolto partecipe ed analisi riflessiva, accolgano la sofferenza e discernano se la stessa è causata da un fatto che la legge riconosce come reato oppure no. Nella prima ipotesi il procedimento penale deve fare il proprio corso ai fini dell’accertamento delle responsabilità ed il minore deve essere sostenuto psicologicamente in questo iter da psicologi, assistenti sociali, qualora ve ne sia la necessità, ma soprattutto dalle persone che quotidianamente gli sono vicine affettivamente. Nella seconda ipotesi il procedimento sarà, all’esito delle indagini, archiviato per insussistenza del fatto costituente reato ed il minore dovrà essere preso in carico dai servizi sanitari e sociali al fine di elaborare la propria sofferenza, evitando così che diventi un tarlo che lo corrode. Qualora la famiglia non riesca a far valere i diritti del minore, per l’ esistenza di un conflitto di interessi tra il/la minore ed i genitori esercenti la potestà, la legge prevede la nomina di un curatore speciale – identificato di solito nell’ operatore sociale che segue il minore - da parte del Giudice per le indagini preliminari, su richiesta del Pubblico Ministero o degli enti che hanno per scopo la cura (art. 338 c.p.p.). 10.3 La perizia psicodiagnostica e la valutazione giuridica di attendibilità La testimonianza del minore parte offesa deve essere valutata dal giudice sia con riferimento alla credibilità della presunta vittima sia con riferimento alla attendibilità intrinseca ed estrinseca del racconto. Con riferimento al profilo della credibilità, la prassi giudiziaria instauratasi negli ultimi dieci anni ha previsto l’ espletamento di una consulenza tecnica psicodiagnostica, resa possibile dal dettato normativo dell’ art.196 comma II c.p.p., che recita: “Qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone sia necessario verificarne l’ idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice, anche d’ufficio, può ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge”. Sulla base di tale previsione normativa, il Giudice delle Indagini Preliminari263 nomina come proprio perito un esperto in neuropsichiatria dell’ età evolutiva o in psicologia al fine di far luce 263 All’inizio dell’ introduzione di tale prassi, l’ accertamento, ritenuto ripetibile, era disposto dal Pubblico Ministero nell’ ambito dell’ indagine preliminare oppure da lui acquisito perché già disposto ed espletato dal Giudice del tribunale per i Minorenni. Si era, infatti, in presenza di due indirizzi: quello, fatto proprio dall’ esperienza del distretto giudiziario della Regione Lombardia,il quale riteneva più idonea la nomina di tale perito da parte del Giudice del Tribunale per i Minorenni sottolineando come: “Tal genere di psicodiagnosi, infatti, essendo funzionale ad un progetto educativo e/o terapeutico, appare maggiormente rispettosa della personalità del minore, in confronto ad un accertamento, di stampo penalistico, sulla sua attendibilità: accertamento che, in questi termini, non pare ammissibile nella misura in cui delega ad uno specialista un compito che è squisitamente proprio dell’ attività giurisdizionale” ( Pietro Forno – Sost. Proc. Tribunale Milano: “L accertamento dell abuso nel procedimento penale”, in Minori giustizia – n.1/1995 ); l’ altro, adottato nell’ esperienza del distretto giudiziario dell’ Emilia Romagna, il quale riteneva più idonea la nomina di un consulente da parte del Pubblico Ministero, sottolineando che la consulenza tecnica psicodiagnostica esplora tutti gli aspetti della personalità del minore, ivi compresi quelli afferenti all’ esame di realtà, avvalendosi degli strumenti analitici che le sono propri (colloquio clinico, test proiettivo,analisi del gioco e del disegno). 269 sulla personalità del minore e sull’interazione di questi con le figure più significative del contesto familiare e sociale nel quale è inserito il minore stesso. Il perito si avvale di colloqui clinici, test proiettivi, analisi del gioco e del disegno, per l’esame di realtà del minore, per la diagnosi differenziale fra sindromi tipicamente psichiatriche (disturbi di personalità, sindromi borderline, sindromi psicotiche, ecc.) e sindromi post-traumatiche da stress eventualmente ricollegabili ad abusi subiti, per la verifica dell’eventuale tendenza alla fabulazione o all’inclinazione del minore ad essere plagiato/a o suggestionato/a. Il perito264, alla luce degli elementi su indicati, effettua una cosiddetta “validation” delle dichiarazioni nel corso del procedimento, escludendo, in ipotesi, la “falsità” di tale racconto. In tal caso, posto che il racconto è credibile da un punto di vista clinico, toccherà poi al giudice stabilire se sia attendibile da un punto di vista giuridico e, più precisamente, se sia scevro da contraddizioni interne e non in contrasto con altre risultanze processuali. Ovviamente in riferimento all’ età ed al conseguente grado di sviluppo della persona minorenne, per cui se un/una minore di sette anni dice che la nonna e la sorella maggiore hanno la stessa età perché sono della stessa altezza, le contraddizioni interne eventualmente ravvisabili a prima vista vanno analizzate con buon senso e professionalità; sarà necessario, infatti, tener conto della circostanza che la dimensione temporale è percepita ed espressa in autonomia da quella spaziale solo dopo il settimo anno di età, circa e non sarà quindi possibile ravvisare in quel caso una contraddizione intrinseca, bensì solo un’ informazione da decodificare in relazione allo sviluppo cognitivo.265 Qualora le indagini consentano di raccogliere di elementi di prova dello sfruttamento o dell’ abuso estrinseci al racconto del minore, l’attendibilità della testimonianza del minore parte offesa ne risulterà rafforzata fortemente. La giurisprudenza e la dottrina ritengono che le testimonianze rese dalle persone di minore età in qualità di parti offese debbono essere valutate con estremo rigore sia per il grado di sviluppo – ancora incompleto - della persona sia per l’essere, come tutte le parti offese, portatrici del proprio interesse specifico nel procedimento; in particolare ritengono imprescindibile un vaglio rigoroso del linguaggio usato e dei dettagli riferiti in relazione alle conoscenze in campo sessuale tipiche dell’ età e sottolineano l’opportunità di modalità non suggestive di porre le domande.266 10.4 Indagini ed accertamento medico-legale 264 Nell’ espletamento della perizia psicodiagnostica il perito è la “longa manus”del Magistrato che lo ha nominato ed il suo intervento è finalizzato, quindi, all’ accertamento e non alla cura. E’ chiaro, però che tale intervento si pone come un momento dell’ elaborazione interiore e che dovrà raccordarsi con l’ intervento dell’ operatore che ha il minore già in carico o lo avrà per l’ effettuazione della terapia. L’ accertamento svolto con la psicodiagnosi comporta, infatti, come già detto, lo svolgimento di colloqui e la somministrazione di tests che fanno riaffiorare il vissuto emotivo relativo ai fatti che il/la minore narra. 265 Jean Piaget, “Che cos’è la psicologia”, Tascabili Newton,1989;G.M.Pace a colloquio con Luigi Amaducci, “Come funziona la memoria”- Ponte alle Grazie Editore. 266 Vds. per tutti: Luisella De Cataldo Neuburger, Salvatore Pino, Piero Magri: “Il bambino come prova negli abusi sessuali”, in Psicologia della Prova a cura di Cristina Cabras – Giuffrè Editore; Luisella De Cataldo Neuburger: “La testimonianza e l’eta’”; Adele Cavedon, Cristina Mairate: “La suggestionabilita’ del bambino testimone . Un contenuto sperimentale”, in La tutela del minore tra norme, psicologia ed etica a cura di Anna Mestiz – Giuffrè Editore; Patrzi Castellani e Daniela Paiardi: “ La testimonianza dei minori in psicologia e i problemi giuridici”, a cura di Assunto Quadrio – Giuffrè Editore; Marziano Pontin: “Riferimenti normativi per la testimonianza del minore vittima di abuso sessuale” , in Critica del Diritto ed in Atti del seminario su : “Processo Penale ed Abuso Sessuale sul Minore : Ruoli e Responsabilità, Noto, 7/9 giugno 1996 – Cedam Edizioni; Davide Dottore, Carla Fuligni : “L’abuso sessuale sui minori, valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili” – McGraw-Hill Editore (collana di psicologia). Vds. in giurisprudenza: Corte Cost. Ordin. N.115/92; Cass. Pen. – sez.III – 22/10/1980 – Giust. Pen.1981- III –168 (s.m.); Corte Cass. Pen. - sez .III - 25/09/1987 – Giust. Pen.198 -III- 444 (s.m.); Corte Cass. Civ. – sez.III – 19/06/1997 n.5485, in Giust. Civ. mass.1997,1014; Cass. Pen.-sez II n.3438/98. 270 In presenza di una notizia (denuncia, querela, informazione pura e semplice) di abuso o sfruttamento sessuale di un minore, più ancora che rispetto ad altre notizie di reato, gli organi inquirenti ( Pubblico Ministero e Polizia Giudiziaria ) non possono permettersi il lusso di “perdere tempo”, correndo il rischio che le tracce materiali del reato vengano alterate o disperse. E’ necessario, per esempio, repertare il liquido seminale se la denuncia concerne una violenza perpetrata mediante coito vaginale (vestibolare) e conservarlo con le dovute precauzioni che ne consentano l’ analisi al fine di stabilire il DNA dell’ autore della violenza, fotografare (con il consenso della persona offesa o di chi ne esercita la potestà) le eventuali tracce delle lesioni e delle percosse sul corpo della persona che denuncia l’abuso al fine di verificarne poi la compatibilità con il racconto; ma soprattutto mettere la persona che ha subito i comportamenti violenti in condizioni di raccontare accadimenti ed emozioni che appartengono al proprio vissuto più intimo. Ciò va tenuto conto in considerazione soprattutto in una situazione di estrema difficoltà psicologica6, qual è quella di trovarsi di fronte ad un organo di polizia o ad un organo, qual è quello dello magistratura, che vengono ancora vissuti come distanti se non addirittura separati dalla vita quotidiana dei cittadini. Da tale racconto nasce spesso la necessità di ricostruire le modalità dei contatti, degli spostamenti prodromici agli incontri in modo da essere in grado di intervenire al momento opportuno per interrompere l’azione criminosa. Di solito dapprima si acquisiscono i tabulati telefonici268 per verificare la sussistenza di contatti e, in caso positivo, la frequenza degli stessi tra i presunti autori dei fatti. Poi - dal momento che l’autorizzazione di intercettazioni telefoniche da parte del G.I.P., su richiesta del P.M., è subordinata all’ impossibilità di proseguire le indagini con altre modalità meno lesive della riservatezza degli individui nei confronti dei quali sussistano gravi indizi per i reati “de quo”269 - si effettuano intercettazioni telefoniche per poter essere a conoscenza della “rete” di persone coinvolte (presunte vittime e presunti autori). Infine si effettuano intercettazioni tra persone presenti in un determinato luogo – sempre autorizzate dal G.I.P. su richiesta del P.M.- qualora, oltre alla sussistenza di gravi indizi, vi sia fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’ attività criminosa. Questa intercettazione cosiddetta “ambientale”, è supportata ovviamente da un’attività di pedinamento degli indagati da parte di ufficiali della polizia giudiziaria, in collegamento con i loro colleghi che seguono l’intercettazione ambientale e che sono, perciò, pronti ad intervenire per interrompere l’azione criminosa evitando un nuovo atto di sfruttamento e, nei casi in cui il codice di procedura penale lo prevede, arrestando in flagranza l’autore/gli autori del reato270. Gli ufficiali di polizia giudiziaria effettuano, quindi, un’accurata perquisizione nel luogo in cui si constata che si stava consumando il reato rilevano le tracce, sequestrano gli eventuali corpi di reato o delle cose pertinenti271 necessarie per l’accertamento dei fatti. Spesso infatti i minori sono adescati con spinelli o altre droghe o giornali pornografici e la consumazione del rapporto sessuale è preceduta dalla visione di videocassette pornografiche. Frequentemente, quando la seduzione non 267 “…c’ è qualcosa dentro di te che non te la fa accettare , ti senti sporca,…” – dal racconto di Diana, resa oggetto di atti di libidine di un convivente della madre all’età di quattro anni, riportato da :Marinella Malacrea – neuropsichiatria infantile e terapeuta della famiglia – in “Trauma e riparazione” Raffaello Cortina Editore. 268 I tabulati telefonici sono stati ritenuti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione “documenti” e, pertanto, l’ acquisizione degli stessi può essere effettuata dal P.M., prescindendo da una richiesta di autorizzazione al G.I.P., necessaria per atti che si formano in funzione del procedimento penale. 269 Artt.266 ss. c.p.p. capo IV –Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni 270 Art. 380c.p.p. (arresto obbligatorio in flagranza; 381 c.p.p. (arresto facoltativo in flagranza); 382 c.p.p. (stato di flagranza); 383 c.p.p.( stato di flagranza) 271 Art.253 c.p.p. (Oggetto e formalità del sequestro) … Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo. 271 è più sufficiente ad ottenere la “collaborazione” del/la minore (come degli adulti), gli sfruttatori passano ai modi “bruschi”: picchiano, maltrattano, usano violenza anche sessuale. E’ fondamentale, in tal caso, disporre immediatamente un accertamento medico-legale e ginecologico272, prima che gli esiti si attenuino o si disperdano. Dovendo tale accertamento riprodurre, e “fotografare” la situazione di quel particolare momento, al fine di valutare, da un lato, l’entità delle lesioni e dall’altro essere di ausilio alla ricostruzione dei fatti, costituisce un atto irripetibile e quindi deve essere espletato con le garanzie difensive273. Peraltro, è opportuno disporre anche un accertamento medico-legale relativo ad eventuali esiti traumatici di natura psichica che concretano lesioni e percosse (artt.582, 583, 585 c.p.). 10.5 L’intervento integrato delle istituzioni giudiziaria e socio-sanitaria insieme alle associazioni di volontariato L’organo inquirente, attivandosi per raccogliere le prove per la ricostruzione del fatto e l’individuazione del colpevole, informa il Tribunale per i Minorenni che sta procedendo per un reato di natura sessuale commesso nei confronti di un minore, attivando, così, la procedura di tutela nei suoi confronti. Il Tribunale per i minorenni, dal canto suo, prende i provvedimenti necessari per tutelare il/la minore, investendo i Servizi Sociali. Nei casi di abuso consumato con la complicità della famiglia d’origine, il Tribunale dispone l’affidamento al Servizio Sociale ed il contestuale allontanamento dalla famiglia stessa, qualora sia in Italia. L’art. 403 del codice civile prevede che il/la minore possa essere allontanato dalla propria famiglia nei casi in cui in cui il minore è materialmente o moralmente abbandonato. L’allontanamento può essere disposto dall’Autorità Amministrativa (di solito dalla Questura o dai Servizi Sociali), che spesso si rivolge alle associazioni di volontariato operanti sul territorio per trovare una collocazione idonea al/alla minore, nonché per la “mediazione culturale” che inevitabilmente tale intervento necessita. Gli operatori del Servizio incontrano così l’ indagine penale, con le relative esigenze di segretezza che impongono, ad esempio, di non rivelare subito che la ragione dell’ allontanamento è stata la presunta (perché in fase di accertamento) complicità della famiglia d’origine. Altre volte sono gli operatori stessi a portare a conoscenza dell’ Autorità Giudiziaria o del Forze di Polizia l’esistenza di episodi di sfruttamento, quando, ad esempio, una donna maggiorenne che abbia usufruito del permesso di soggiorno di cui all’ art. 18 del decreto legislativo n. 296/1998 decida di raccontare i comportamenti di cui fino ad allora è stata vittima agli organi inquirenti competenti, spesso denuncia, oltre al proprio sfruttamento, quello delle proprie figlie minorenni. Sarà poi compito del Pubblico Ministero vagliare gli elementi raccolti nel corso delle indagini, richiedendo rispettivamente al G.I.P. il rinvio a giudizio a l’ archiviazione. 10.6 Il procedimento penale tra garanzie dell’indagato e tutela del minore parte offesa 272 Maria Stella D’Andrea in : “Gli abusi all’infanzia. Dalla ricerca all’intervento clinico” a cura di F. Montecchi – NIS Editore 273 Qualora lo disponga il P.M., essendo accertamento tecnico irripetibile ex art.360 c.p.p., la difesa ha diritto di nominare un proprio consulente; qualora, su richiesta del P.M. o della persona sottoposta alle indagini lo disponga il G.I.P. ex art.292 ss. c.p.p., entrambe le parti hanno facoltà di nominare i propri consulenti. 272 Il discrimine tra la richiesta di rinvio a giudizio e la richiesta di archiviazione sta nel fatto che gli elementi raccolti nella fase delle indagini preliminari siano o meno idonei a sostenere l’ accusa in giudizio, ai sensi dell’ art. 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. Gli elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio possono non essere sufficienti a motivare una pronuncia di condanna. Tale pronuncia, infatti, deve fondarsi su prove rigorose che riguardano l’esistenza di un fatto che non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi, concordanti (art. 192 c.p.p.)274 Talvolta può accadere di non riuscire a raggiungere la prova che il fatto-reato si è consumato ed allora il magistrato giudicante pronuncia sentenza di assoluzione (magari ai sensi dell’art. 530 comma. II c.p.p.), perché “manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussista, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è commesso da persona imputabile”. La Costituzione sancisce, all’art. 27 comma II, la presunzione di non colpevolezza dell’imputato fino alla sentenza di condanna definitiva, passata in giudicato. L’imputato ha diritto quindi di difendersi per dimostrare la propria innocenza nei tre gradi di giudizio. E’ l’accusa (e l’eventuale parte civile costituita) che deve ricostruire il fatto e provarlo poi in dibattimento.275 Questo è un principio irrinunciabile di civiltà di cui il principio del contraddittorio nel corso del processo è la principale esplicazione. Le indagini devono essere svolte ricercando sia gli elementi a carico che gli elementi a discarico dell’indagato (ai sensi dell’art. 358 c.p.p.), in quanto il Pubblico Ministero, nel nostro sistema costituzionale, è un organo di giustizia, è un magistrato inquadrato nell’ordinamento giudiziario.276 L’azione penale è obbligatoria ed il P.M. deve quindi necessariamente avviare le indagini quando viene a conoscenza di un reato, secondo la previsione dell’art.112 della Costituzione. La completezza delle indagini è indispensabile nell’ impianto del codice di procedura penale del 1989, che potenzia il ruolo delle parti e prevede la facoltà dell’imputato di accedere ai cosiddetti “riti alternativi”, quali l’applicazione di pena su richiesta delle parti ed il rito abbreviato. Quest’ultimo si chiama così perché consta di un giudizio - in gran parte -277 “allo stato degli atti”, in quanto prevede l’utilizzazione degli atti assunti durante le indagini dal P.M., con la rinuncia all’acquisizione in contraddittorio da parte dell’imputato che in questo modo consente una 274 L’ indizio è una prova logica –indiretta- che consiste nel desumere un fatto ignoto da un fatto noto, mediante il ragionamento c.d. “inferenziale”:meno sono i passaggi logici, più l’indizio è “grave” e viceversa. Elvio Fassone, giudice a Torino prima e membro del Consiglio Superiore della Magistratura poi sostiene che la prova logica è più rigorosa della prova storica o diretta, tenuto conto delle ricerche neurologiche e psicologiche sulla percezione e sul ricordo per quanto concerne la testimonianza e dell’ esperienza giudiziaria concernente la confessione, un tempo considerata la regina delle prove, dopo processi come quello in cui un nonno ottantaduenne si è assunta la responsabilità di un omicidio in realtà commesso dal proprio nipote ventenne per evitargli l’ esperienza dolorosa del carcere, usufruendo della normativa in forza della quale è previsto che gli ultraottantenni scontino la condanna agli arresti domiciliari e non in carcere. Inoltre, l’indizio deve essere “preciso”, cioè circostanziato e “concordante” con ciascun altro per poter fondare una pronuncia di condanna. 275 Gianfranco Dosi, avvocato del Foro di Roma in: “Procedure e tecniche d’indagine e Nell’accertamento dei reati familiari e contro minorenni” in Documenti Giustizia a cura del C.S.M. 276 Il P.M. gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario ex art. 107 comma II della Costituzione Vds. Anche gli artt.108-109-110-111-112-113 Cost.; la Corte costituzionale ha sottolineato la necessità della completezza delle indagini svolte dal P.M. nella sent. n. 88/92 277 La legge n. 479/1999 ha integrato con l’art. 27 il previgente art. 438 c.p.p., prevedendo la possibilità per l’imputato di subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria che risulti per il giudice necessaria ai fini della decisione e compatibile con le necessità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili. Tale modifica legislativa ha anche escluso la necessità dell’espressione del consenso da parte del P.M. per la scelta di questo rito, proprio per evitare che un’inerzia o una pigrizia del P.M. nel corso delle indagini possa avere una ricaduta negativa sull’ imputato. 273 celebrazione in tempi rapidi del processo, e che, qualora condannato, ha diritto allo sconto di un terzo della pena inflitta. L’ applicazione della pena su richiesta delle parti - detto anche patteggiamento - postula un accordo tra l’ imputato (o l’indagato, potendo verificarsi anche prima della chiusura delle indagini preliminari) su l’ entità della pena che il giudice dovrà applicare, previa valutazione di congruità e controllo della corretta qualificazione giuridica del fatto e della mancanza di condizioni di proscioglimento dell’ imputato (indagato). L’istituto del patteggiamento, “importato” dal modello statunitense, può, però applicarsi solo quando la pena detentiva da applicare in concreto, sola o congiunta alla pena pecuniaria, sia non superiore a due anni. Il ricorso al patteggiamento è quindi meno frequente del ricorso al rito abbreviato nei reati concernenti lo sfruttamento sessuale di minorenni, per l’ entità delle pene previste dalla legge 269/1998, che ha innovato il codice penale introducendo gli articoli da 600 bis a 600 septies che contemplano i reati di prostituzione minorile, pornografia minorile, detenzione di materiale pornografici, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile. E’ possibile, quindi, che lo sfruttamento (come l’abuso, il maltrattamento, etc.) si sia consumato, ma che non si riesca a provarlo, che la verità processuale non coincida con la verità storica. Ed un risultato di questo tipo è deludente e frustante in primo luogo per chi lo ha subìto. Solo l’intervento tempestivo, professionalmente qualificato ed integrato sia a livello nazionale sia a livello internazionale delle forze di polizia tra loro e con gli operatori giuridici, sanitari, sociali, e pedagogici può ridurre al minimo il verificarsi di tali situazioni,278 potenziando le possibilità di successo nel far coincidere verità storica e verità processuale ed evitando sia la condanna di innocenti capri espiatori sia l’impunità di sfruttatori. Solo un ripensamento da parte di ciascuno ed una formazione integrata che ne valorizzi le competenze specifiche in un intervento integrato può fornire al /alla minore la massima tutela sia in ambito sociale, sanitario, educativo che in ambito giudiziario. L’intervento a tutela del/della minore è un mosaico le cui tessere sono i tasselli posti da ciascun operatore: nessuno può rinunciare alle proprie valutazioni, ma il perimetro deve essere compatibile con quello degli altri. Sono, pertanto, imprescindibili i momenti di formazione comune alle varie figure professionali con metodologie didattiche adeguate ad obiettivi, contenuti, destinatari. “… Il termine “didattiche” non deve far pensare che la sede formativa sia sempre necessariamente un luogo dove c’è qualcuno che insegna ad altri che imparano (metodi passivi), in quanto rispetto a certi obiettivi sono preferibili i metodi attivi, che perseguono non già un mero aumento delle conoscenze, bensì una ristrutturazione delle concezioni e degli atteggiamenti e lo sviluppo di nuove capacità, tra cui quella di pensare o di ripensare alla propria routine operativa”.279 278 L’Interpol è, com’è noto, un prezioso organo investigativo a livello internazionale , in collegamento con il quale è possibile costituire squadre investigative comuni specializzate che consentano di “rompere” il limite che il territorio pone all’ esercizio della sovranità degli stati e, quindi, anche alla cogenza della normativa penale sostanziale e processuale. Parallelamente è stata auspicata la creazione di un’agenzia internazionale delle risorse per gli interventi di cooperazione sociale, in grado di creare contatti e legami tra famiglie d’ origine e famiglie affidatarie rispettivamente del Paese donante e del Paese ospitante, dei rispettivi Servizi Sociali, delle comunità del cui contesto le stese fanno parte, in modo da attenuare l’impatto emotivo del minore, da consentire una stima delle risorse nonché l’omogeneizzazione della formazione degli operatori sociali ( Vds. Intervento di Francesco Carchedi, sociologo, consulente della Fondazione Lelio Basso al Convegno Internazionale di Terres des Hommes sulla “Tratta internazionale di minori, svoltosi a Roma in data 11 e 12 luglio 2002 ). 279 Giancristoforo Turri –Procuratore presso il Tribunale per i Minorenni di Trento: “Per la formazione dei magistrati minorili”, intendendo per tali tutti i magistrati che, esclusivamente o ricorrentemente si occupano di questioni concernenti i minorenni. Quindi, non solo i magistrati operanti presso gli organi giudiziari minorili, ma anche giudici tutelari, giudici delle separazioni e dei divorzi, magistrati del tribunale per i minorenni ,pubblici ministeri e giudici penali che si occupano di reati con minori parti offese. 274 Presupposto fondamentale è quello di superare le perplessità che nell’ ambito dei servizi sociosanitari (talvolta anche in quello della magistratura minorile) la denuncia ed il procedimento penale, ancorché ritenuti necessari ed inevitabili sul piano giuridico, suscitano sul piano “etico”. Ci si chiede se la tutela del minore possa essere contraddetta dalla preoccupazione, pure ineccepibile, di mettere lo sfruttatore (l’abusante, il maltrattante, etc.) nell’impossibilità di nuocere: quasi che una logica retributiva e “punitiva”, che ha per focus d’attenzione il presunto reo finisse per appannare la vera ed unica ottica necessaria, e cioè la protezione della vittima. Quello che in termini logici è pura contraddizione (dovrebbe essere evidente che mettere il persecutore nell’impossibilità di nuocere, identificandolo come tale, è in se stesso un atto – e non di poco conto – di protezione della vittima) ha delle giustificazioni del tutto comprensibili. Il punto dolente è costituito da quel nodo di congiunzione tra le varie istanze che passa proprio attraverso la vittima come testimone. L’attitudine a “curare”, a sottrarre al dolore ed alla sofferenza, vorrebbe evitare alla vittima quel particolare momento di “diagnosi” che è costituito dall’ accertamento penale della sua credibilità ed attendibilità nonchè dell’assunzione della sua testimonianza contro il presunto colpevole. Si teme ad esempio che la difficoltà ad intendersi con le giovani vittime possa finire per penalizzare ed umiliare la verità che la vittima vorrebbe comunicare. D’altra parte c’è da porsi questa domanda: prescindendo dagli obblighi di legge in termini di vissuto, è davvero evitabile il processo penale? In altre parole: si può realmente rinunciare ad un serio accertamento della credibilità della vittima ad aiutarla a farsi giustizia, a chiarire fino in fondo le responsabilità del presunto sfruttatore (abusante, maltrattante, etc.), a riformulare decisamente e senza ritorno la relazioni e gli schieramenti familiari facendo luce sulla verità? E’ davvero possibile, anche per un magistrato minorile proteggere “alla cieca”, senza un orientamento definito nel “balletto delle opposte verità”? E per un professionista che deve curare la vittima ed aiutarla a prepararsi un avvenire diverso dal passato è davvero possibile tener la “verità” nel chiuso del proprio studio o dell’indagine sul “mondo interno”, senza che questa verità possa esercitare l’effetto ristrutturante che merita sul mondo esterno? E per la vittima, aggirare l’ostacolo evitando il processo penale ed in particolar l’ audizione testimoniale per un eccesso di protezione, non costituirebbe una conferma del proprio vissuto di impotenza? Alla luce di tutte le perplessità su enunciate è più facile vedere – almeno spero – come tra tutela della vittima e processo penale dovrebbe sussistere una forte sinergia di fondo. La sfida da raccogliere, infatti, è quella di permettere a questa sinergia di esprimersi positivamente nelle procedure, nelle cautele, nell’integrazione costante degli obiettivi,280 per dar voce ad un silenzio che urla. 10.7 Analisi di alcuni casi Non sarà mai possibile dimenticare il sorriso riconoscente di “Arianna” (il nome è ovviamente diverso da quello reale per tutela della riservatezza), una ragazza albanese di 13 anni, mentre mi indicava al collegio giudicante come “zia”, esprimendomi la sua gratitudine perché, dopo la prima audizione con me in qualità di P.M., la persona da lei denunciata come sfruttatore fu portato in carcere su disposizione del G.I.P., il quale aveva accolto la mia richiesta di misura cautelare. Infatti, qualora sussista pericolo di reiterazione del reato o di inquinamento probatorio o di fuga dell’indagato, il codice di procedura penale prevede che il G.I.P.281, su richiesta del P.M., possa 280 Marinella Malacrea - neuropsichiatria infantile e terapeuta familiare – C.B.M. Milano – in “L’audizione del minore tra psicodiagnosi e processo penale” – in Documenti Giustizia a cura del C.S.M. 281 Art. 274 ss. c.p.p. 275 applicare all’indagato nei cui confronti vi siano gravi indizi di reità , una misura cautelare idonea a preservare la situazione in attesa della decisione finale del giudice circa la responsabilità o meno dell’accusato. Tali misure sono il divieto di espatrio, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, l’allontanamento dalla casa familiare il divieto e l’obbligo di dimora, gli arresti domiciliari, la custodia cautelare in carcere quando nessuna altra misura sia idonea a salvaguardare le esigenze cautelari su menzionate.282 Ricordiamo ancora “Alma” e “Dorina”, “Marica”. ”Anna”, una ragazza slava di sedici anni la quale, essendo stata testimone oculare di un omicidio di un protettore e di una sua amica e collega di lavoro di strada, trovò il coraggio di testimoniare, raccontando ciò che aveva visto e consentendo così di ricostruire la dinamica dei fatti ed individuare l’esecutore materiale di tale efferato delitto e, contemporaneamente, di denunciare gli sfruttatori suoi e dell’amica uccisa. Gli sfruttatori avevano “superato” il limite, il livello non scritto di accettazione della violenza di cui il loro rapporto si nutriva e che le ragazze subivano, pur di guadagnare. Mi aiutò a ricostruire le dinamiche dei rapporti tra loro esortandomi ad abbandonare la mentalità cui ero abituata e ad “entrare” in un’altra dimensione per poterla comprendere: non vi era alcuna ragione precisa perché due persone che sino alla mattina avevano fatto colazione insieme, appena sveglie, la sera si accoltellassero o si sparassero, era così e basta! “Alma” è stata affidata ai Servizi Sociali, ha seguito un percorso progettato con loro, ha cambiato vita: fa la fotografa, è rimasta in Italia. “Dorina”, una sedicenne rumena, figlia di genitori divorziati da quando lei aveva sei anni, è vissuta con i nonni materni fino all’adolescenza. Contattata da un connazionale, è arrivata in Italia, a Padova il 9 marzo 2002, insieme ad un’ amica tramite il proprio sfruttatore ed altre due ragazze sfruttate da un uomo “complice” del loro sfruttatore. E’ poi stata portata a Lido di Savio, una località marina vicino a Ravenna, in un appartamento abitato da due sorelle dello sfruttatore,che costituivano il suo punto di riferimento. Il giorno dopo il suo arrivo ha iniziato a lavorare sulla strada ed il 21 marzo, nel corso di un controllo effettuato dalle forze di polizia sul territorio, ha deciso denunciare i suoi sfruttatori. Gli ufficiali di Polizia Giudiziaria, infatti, vista la giovane età della ragazza, che aveva passaporto e documenti attestanti le vere generalità, le hanno fatto presente le opportunità che la legge italiana offre ai minori stranieri che collaborano. Attualmente gode di un permesso per affidamento ed è stata aperta una procedura di tutela presso il Giudice Tutelare. “Marica”, di quattordici anni, è arrivata in Italia il 19 febbraio 2002, con un passaporto da cui risaltava maggiorenne, a conoscenza del lavoro di prostituta cui era destinato dal suo sfruttatore. Sua madre si è risposata con un uomo alcolista, che la trattava come una persona scomoda. Il patrigno era con lei aggressivo e violento, a differenza che con il figlio da lui avuto insieme alla madre di “Marica”. La ragazza ha provato a chiedere a sua madre di lasciare quest’uomo, ma lei non ha voluto. In seguito a tale rifiuto,la ragazza è scappata per un periodo in Romania, dove è stata ospitata da alcune amiche. Poiché la madre l’ha cercata, rivolgendosi anche alla TV, in particolare ad una trasmissione simile a “Chi l’ha visto?” “Marica” è tornata a casa sperando in un cambiamento, che però non si è verificato; anzi il patrigno ha iniziato a rivolgerle insistenti attenzioni sessuali. Così è finita in un giro di prostituzione, insieme ad un’amica e con altre ragazze è stata portata in Italia, a Verona e poi a Bologna, dove ha lavorato fino a quando non ha deciso di collaborare con le forze di polizia, peraltro mantenendo le false generalità secondo le quali risulta maggiorenne. E’ stata persino sentita nel corso dell’incidente probatorio con le false generalità. Solo di recente, nel corso di un’indagine a carico degli sfruttatori della sua amica e di altre ragazze, ha confidato ad un’Ispettrice della Questura le sue vere generalità, rendendo così possibile l’apertura di una tutela e della procedura per ottenere un permesso di soggiorno per affidamento. Peraltro ora pende un procedimento a suo carico per aver rilasciato false generalità. 282 Art. 280 ss. c.p.p. 276 Uno stimolo per un ripensamento legislativo può venire, invece, dalla vicenda di “Giacomo”, “Sasa”, “Giuseppe” ed altri ragazzi (alcuni slavi ed altri italiani), in età tra i quattordici ed i sedici anni, caduti in un adescamento messo in atto da una rete di pedofili che si serviva di alcuni minorenni italiani per adescare gli altri. In seguito ad un racconto di uno di loro ad un educatore, iniziarono le indagini da me coordinate. Dopo alcuni accertamenti preliminari, il G.I.P., su mia richiesta, dispose un’ intercettazione delle comunicazioni tra presenti nell’auto di uno degli indagati per la sera e l’ora in cui si erano dati appuntamento come le volte precedenti, stando alle dichiarazioni rese dal ragazzo. Due dei ragazzi si incontrarono con due presunti pedofili, che li fecero salire in auto dirigendosi dalla città verso il mare. Giunti presso una spiaggia, offrirono loro uno spinello e poi, dopo un po’, iniziarono le “avances”, tese ad ottenere prestazioni sessuali orali in cambio dell’ offerta di danaro. Alcuni ispettori di polizia giudiziaria seguivano, ovviamente, tale vicenda dall’ Ufficio di Procura, dove erano ubicati i traslatori, ma non poterono trarre in arresto i due presunti pedofili, in quanto l’ art. 600 bis comma II c. p., che contempla tale reato, prevede come pena quella della reclusione da sei mesi a tre anni, alternativa alla multa e, nel nostro sistema, l’ arresto facoltativo è previsto per i reati la cui pena edittale – cioè prevista in astratto dalla norma - sia superiore nel massimo ai tre anni di reclusione, salvo una previsione specifica, che nel caso di specie il legislatore non ha varato. Gli ufficiali sono così intervenuti per interrompere la consumazione del reato ed interrogare, su delega del P.M., i presunti colpevoli, i quali si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. E solo dopo ulteriori indagini è stato possibile raccogliere a carico dei due indagati gravi indizi di colpevolezza del delitto previsto dal I comma dell’art. 600 bis c.p., il quale prevede che chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a dodici anni, oltre che con la multa. E’ stato allora possibile chiedere al G.I.P. – che l’ha disposta, ritenendone sussistenti i presupposti, - la misura della custodia cautelare in carcere, dal momento che il nostro codice di procedura penale ne prevede l’applicazione nei casi in cui sussiste il concreto pericolo che l’indagato commetta delitti della stessa specie di quelli per cui si procede, solo per i delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. Le vite di Arianna, Alma, Sasa e di altri come loro dimostrano che la “magia” che si respira ed emerge dalla lettura del Piccolo Principe è possibile. Questo “incarna un’infanzia cui non fu dato realizzarsi; non la vita risorta ma la vita già al fondo soffocata vive in lui: egli incarna le attitudini che erano nell’uomo, ciò cui egli sarebbe chiamato, se dal di fuori il gelo non cadesse troppo presto sui primi germogli di primavera”283. 10.8 Osservazioni conclusive Ripercorrendo le riflessioni svolte nei paragrafi precedenti, emerge con chiarezza che solo un intervento ed una formazione integrati tra i vari operatori sociali, sanitari, giuridici, del volontariato e delle forze dell’ ordine, consente di attuare pienamente il diritto del/della minore straniero/a ad essere ascoltato/a, a veder riconosciuti i propri diritti anche in campo giudiziario. Solo la “messa in rete” di operatori delle istituzioni e del volontariato professionalmente capaci e consapevoli delle reciproche competenze può eliminare – o almeno attenuare - la posizione in partenza svantaggiosa del minore straniero rispetto al processo penale, dovuta sia alla minore età sia alla differente identità 283 Eugen Drewermann: “L’essenziale è invisibile”- Una interpretazione psicanalitica del Piccolo Principe- Queriniana Editore 277 linguistica e culturale, senza per questo creare capi espiatori ed affievolire o derogare alle preziose garanzie difensive del nostro ordinamento. Al tempo stesso, solo il pieno dispiegarsi delle opportunità contemplate dalla normativa vigente, consente di verificare in che misura la legislazione sia idonea ad intervenire efficacemente in questo campo così delicato e di progettare un assetto normativo più rispondente alle nuove esigenze che “l’ingresso di minori” italiani e, soprattutto, stranieri nelle aule dei Palazzi di giustizia richiede. Questo consentirebbe di dar voce alle storie drammatiche di altri/e “Alma”, “Dorina”, “Sasa”, comprendendone la diversa identità culturale e linguistica, evitando che le oscillazioni emotive dell’opinione pubblica rispetto a delitti così raccapriccianti porti all’introduzione di norme eccezionali, ossia di emergenza che attenuino – o peggio sospendano – le garanzie sostanziali di rilevanza costituzionale, imprescindili in uno Stato di diritto, qual è il nostro. 12 Aspetti del traffico di esseri umani in Romania. Le cause del fenomeno e il quasro normativo attuale di Gil Vasile 11.1 Premessa Il traffico di individui è, anzitutto, una grave violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali precisamente del diritto di cui è titolare qualsiasi persona a non essere tenuta in schiavitù o in condizione di servitù, del diritto alla sua libertà e alla sua sicurezza personale, del diritto a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti ed infine al diritto di godere della libertà di movimento. Il traffico di esseri umani negli ultimi dieci anni è sempre di più divenuto un fenomeno generalizzato a livello mondiale, sviluppatosi in seguito a gravi crisi di intere aree geograficoterritoriali a causa di situazioni politiche conflittuali, di condizioni economiche depauperizzanti e di altrettanti condizioni sociali. Situazioni, in definitiva, che hanno spinto – e per certi versi continuano a spingere - interi gruppi di persone e fasce consistenti di popolazione a lasciare il proprio paese e a tentare di trovare una vita migliore altrove, specialmente nell’Unione europea. Anche la Romania è colpita da tale fenomeno ed è divenuta in maniera molto rapida un paese di emigrazione da un lato e di traffico di esseri umani dall’altro. In entrambi i casi svolge una funzione di paese di formazione di gruppi sociali che mirano all’espatrio per motivi di lavoro e di formazione di gruppi che sono costretti ad emigrare per poi essere coercitivamente sfruttati e, al contempo, svolge la funzione di paese di transito sia per i primi che per i secondi tipi di gruppi che si formano in altri paesi limitrofi. Recentemente, informazioni riguardanti il traffico di persone, evidenziano che la Romania sta diventando, anche, un paese di destinazione e di sfruttamento in loco della prostituzione. La Romania, comunque, ha attivato processi di contrasto al traffico di esseri umani che iniziano a dare i propri frutti, anche se il cammino è ancora agli inizi. Gli interventi sono diretti in una triplice direzione: di contrasto all’emigrazione e all’immigrazione irregolare, al contrasto al traffico di esseri umani – sia di donne adulte che di minorenni – sia per quello che si forma sul proprio territorio nazionale che per quello che si forma in altri paesi e transita per la Romania ed, in ultimo, per quello che tende ad essere sfruttato in loco. 278 11.2 Le principali cause alla base del fenomeno e i metodi di reclutamento maggiormente utilizzati Riguardo le cause alla base della formazione del fenomeno all’esame si possono individuare fattori interni ed esterni: a. fattori esterni: - lo scarso potenziale economico dei paesi a Nord e a Sud della Romania che provoca una percentuale importante di migrazione illegale un numero crescente di paesi di provenienza dei flussi prostituzionali e non l’attrattiva che i paesi sviluppati esercitano su gruppi massicci di migranti provenienti dall’Africa, dall’Asia meridionale o zone di conflitto come l’Afghanistan e la Palestina la presenza di reti criminali sul territorio Russo, Moldavo ed Ucraino, che conoscono molto bene la topografia del confine Nord-est della Romania e le possibilità di attraversarlo illegalmente. b. fattori interni - - - - i fattori socio-economici: nel processo di ristrutturazione economica, le possibilità di trovare un impiego ben retribuito con un basso livello di istruzione sono molto ridotte. Anche la precaria situazione materiale della popolazione in alcune parti della Romania in una certa misura contribuisce alla formazione dei flussi l’istruzione: il basso livello di istruzione riduce la possibilità di avere sbocchi professionali alternativi per numerose donne e soprattutto per quelle che poi restano invischiate nel meccanismo della tratta e pertanto diventano vittime alcuni vuoti legislativi che permettono alle organizzazioni criminali di operare negli interstizi normativi e sfuggire al contrasto delle forze dell’ordine i fattori micro-sociali: il caratteristico ambiente familiare delle vittime si delinea generalmente con la presenza di membri adulti (padri, zii, eccetera) alcolisti che generano conflitti interni e violenza sul resto della famiglia. Questi aspetti sono abbastanza costanti. In molti casi le vittime sono soggette a violenza sessuale (in famiglia e fuori), ad incesto, ad abusi sessuali diversi, nonché – a volte come diretta conseguenza – anche ad abbandono familiare altri fattori: forte connotazione anti-sociale nella personalità dei trafficanti e forme di devianza presenti sin dall’adolescenza. Uno studio ad hoc effettuato per la Romania e la ex-Jugoslavia nel periodo 1997-2000 mostra che il 78% di coloro che adescano ragazze a scopo di prostituzione sono uomini, mentre il restante 22% sono donne che hanno precedentemente esercitato la prostituzione. L’85% - di entrambi i gruppi sono specializzati nel reclutare e nel gestire le reti delinquenziali e criminali in Romania e finanche all’estero. Il resto – ossia il 15% - solo occasionalmente si occupano di tale attività. Si tratta spesso di persone insospettabili o di persone che per denaro si fanno corrompere oppure di persone che svolgono attività limitata senza sapere bene la cornice generale entro il quale la svolgono. Alcuni di loro (30%) sono specializzati nell’adescare donne, fornire loro documenti d’identità falsi e documenti per il viaggio, nonchè assicurare il superamento illegale del confine. Un’altra importante categoria (44%) è costituita da coloro che ingannano le donne promettendo loro un impiego ben retribuito all’estero, ma costringendole poi alla prostituzione. Numerosi studi fatti su questa materia mostrano che le categorie di persone ad alto rischio di essere sottoposte a traffico sono le seguenti: 279 - - donne che praticano la prostituzione in Romania e che accettano di andare all’estero per prostituirsi, anche nella consapevolezza dei rischi ma puntando sugli alti guadagni sperati donne reclutate che, sebbene non siano prostitute, accettano di praticare la prostituzione con lo scopo di ottenere elevati guadagni in tempi brevi donne che accettano - mediante contratti di diritto civile – di andare all’estero per trovare un lavoro; queste donne vengono raggirate e truffate ed immesse nel mercato della prostituzione con la violenza e costrette a farsi sfruttare sessualmente cittadine straniere che arrivano legalmente o illegalmente in Romania, con l’intenzione di entrare illegalmente nell’area dell’Unione Europea che restano coinvolte nel traffico a scopo prostituzionale. Lo stesso studio mostra che, sul territorio della Romania, una percentuale importante (72%) delle vittime accettano un protettore per avere un certo grado di sicurezza e praticare la prostituzione senza interferenze di altri sfruttatori. La restante parte agisce indipendentemente in zone differenti quali: parcheggi, distributori di benzina, stazioni ferroviarie, locali e discoteche. Le vittime, ossia coloro che sono costrette a prostituirsi: - sono private dei loro documenti di identità e di viaggio sono private della loro libertà di movimento e di relazione (17%) sono sottoposte a violenze (21%) come: lesioni corporali, danni fisici e psicologici, elettroshock, violenza sessuale e altri abusi di carattere sessuale sono minacciate (28%), per esempio di essere portate dalle autorità giudiziarie o negli uffici per stranieri ed essere spulsi non hanno adeguato accesso a cibo e a indumenti di ricambio (5%) sono obbligate a fare uso di droga (1%) Generalmente le vittime, senza documenti di viaggio o con visa falsi e trovandosi in una situazione di illegalità, diventano obbedienti creando così una ancor maggiore dipendenza verso i loro sfruttatori. Sono inoltre caricate di ulteriori obblighi per poter pagare i debiti agli organizzatori, relativamente alle somme elevate dovute per passare illegalmente i confini, ai servizi di mediazione per la ricerca del lavoro, ai permessi di lavoro, eccetera. I metodi più frequenti conosciuti per reclutare le persone sono: - promesse di lavoro in regola in ristoranti, hotels e locali come personale qualificato e non, come camerieri ai piani, come addetti alla reception , al trasporto clienti, eccetera promesse di lavoro in regola in case o istituzioni private come baby-sitters, badanti, segretarie (specialmente in paesi come Germania, Austria, Olanda) promesse di lavoro nel campo artistico come ballerine, cantanti, modelle (specialmente in paesi come Giappone, Austria, Italia, Svizzera, Germania, Spagna, Cipro) agenzie matrimoniali. Tutte queste attività sono realizzate direttamente, attraverso il coinvolgimento di amici o di parenti oppure dei mass media (annunci sui giornali locali). Nel corso di una indagine a livello nazionale per monitorare gli annunci sui giornali, specialmente nel settore artistico, la polizia ha riscontrato 430 persone coinvolte in crimini collegati al traffico di esseri umani. Il principale flusso di migrazione illegale e traffico di esseri umani avviene dall’Est all’Ovest e dal Sud al Nord-ovest. Al riguardo possiamo definire sei zone geografiche, ciascuna avente alcune caratteristiche particolari e ben determinate rispetto ai mezzi e dai metodi usati dai trafficanti, nonché dalla destinazione finale e dallo scopo perseguito. In sintesi si rileva: 280 a. b. c. d. e. f. la zona Est al confine con la Repubblica di Moldavia dove si registrano continui tentativi di passare illegalmente il confine da parte di persone provenienti dalla Russia, dalla Moldavia e dall’Ucraina e anche di persone provenienti da paesi africani ed asiatici, guidate da membri di differenti organizzazioni criminali; la zona Ovest a ridosso con l’Ungheria dove si registra una tendenza a passare illegalmente il confine da parte di persone provenienti da paesi africani ed asiatici che entrano in Romania dal Sud o dall’Est; la zona Sud al confine con la Bulgaria utilizzata per l’entrata illegale di afro - asiatici e curdi che sono in transito sul territorio rumeno con l’obiettivo di entrare illegalmente nel territorio dei paesi membri dell’Unione Europea. E’ anche utilizzato per lasciare illegalmente il paese verso la Grecia e l’Italia; la zona Sud-est e litorale al confine con l’Ucraina utilizzata per entrare illegalmente in Romania e, in seguito, per lasciarla, sia da parte di persone che agiscono da sole, sia di persone appartenenti a clan della criminalità organizzata provenienti dall’area dell’ex-Unione Sovietica e da paesi africani ed asiatici; la zona Sud-ovest al confine con la ex Repubblica di Jugoslavia dove si registrano varie attività coordinate da clan della criminalità organizzata, non solo rumeni, ma anche di altre nazionalità che svolgono la loro attività a carattere internazionale. I loro obiettivi sono: - facilitare il transito per i migranti (rumeni e stranieri) attraverso la ex - Jugoslavia verso la Macedonia e poi la Grecia - facilitare il traffico di esseri umani provenienti dalla ex-Unione Sovietica e dalla Romania. La zona Nord al confine con l’Ucraina per intraprendere la direzione verso l’Austria e verso la Germania da un lato e verso la Bosnia e la Slovenia dall’altro. Ciò dimostra come il traffico di esseri umani abbia raggiunto in Romania una certa capillarità e come riesce ormai a sfruttare corridoi e percorsi collaudati non solo dalla criminalità locale (che comunque gioca un ruolo di primo piano) ma anche da altri clan di origine straniera. La diversa presenza di bande nazionali e di bande transnazionali – e la loro alleanza strategica – rende complementari le loro conoscenze e le loro capacità di movimento e di creazioni di supporti logistici lungo le diverse direttrici sopracitate. 11.3 La legislazione nazionale e gli strumenti internazionali Certi aspetti del traffico di esseri umani sono punibili secondo il Codice Penale come segue: prostituzione (art. 328), adescamento a scopo di prostituzione (art. 329) , percosse o altre violenze (art. 180), lesioni fisiche (art. 181), gravi lesioni fisiche (art. 182), privazione illegale della libertà (art. 189), schiavitù (art. 190), lavoro forzato (art. 191), minacce (art. 193), estorsione (art. 194), crimini sessuali (art. 197-204), contaminazione HIV (art. 309), associazione a delinquere (art. 323), diffusione di materiale pornografico (art. 327). Per alcuni di essi i limiti della pena sono stati recentemente elevati dalla legge n. 169/2002. Deve essere menzionata, al riguardo, l’Ordinanza d’Emergenza del Governo n. 25/1997 sulle adozioni, che nell’art. 26 rende reato penale quelle che si dimostrino illegali. Tuttavia, oltre all’Ordinanza, altre recenti misure del governo rumeno mostrano la volontà di compiere seri sforzi per prevenire e combattere il traffico di persone. Il primo passo è stato quello legislativo, con l’obiettivo di creare strumenti di sostegno nella lotta contro tale fenomeno, ma anche di fornire i mezzi necessari per una struttura istituzionale di protezione e assistenza per le vittime. Così, il Governo rumeno ha redatto - e il Parlamento ha approvato la legge n. 678/2001 sulla prevenzione e la lotta al traffico di esseri umani - una legislazione moderna in accordo con gli 281 strumenti internazionali. Questa legge rappresenta un adeguamento e un completamento della legislazione interna in relazione alle disposizioni del Protocollo sulla prevenzione, repressione e punizione del traffico di esseri umani , specialmente donne e bambini, allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale del dicembre 2000 a Palermo (la Romania ha firmato sia il Protocollo che la Convenzione). La legge è stata adottata anche in considerazione di altri documenti internazionali relativi a tale materia, quali: a. l’ Azione comune sulla lotta al traffico di esseri umani e allo sfruttamento sessuale dei bambini (del 24 febbraio 1997) adottata dal Consiglio dell’Unione Europea sulla base dell’art. K3 del Trattato sull’Unione Europea; b. le seguenti Raccomandazioni del Consiglio d’Europa: R(2000)11 sulla lotta contro il traffico di esseri umani allo scopo di sfruttamento sessuale; R(91)11 sullo sfruttamento sessuale, pornografia, prostituzione e traffico di bambini e adolescenti; n. 1325(1997) sul traffico di donne e prostituzione forzata negli Stati membri della Comunità Europea; n. 1099(1996) sullo sfruttamento sessuale di bambini; n. 1065(1995) sul traffico di bambini e altre forme di sfruttamento dei bambini. La legge è stata inoltre adottata considerando i documenti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, quale per esempio, la Convenzione n. 182 sul divieto e la tempestiva eliminazione delle forme più pericolose di lavoro per i bambini (1999). Il capitolo I contiene disposizioni generali che forniscono alcune definizioni importanti quali: “traffico di esseri umani” o “sfruttamento di una persona”. L’ultima include non solo la prostituzione ma anche il lavoro forzato, la schiavitù o altre forme di privazione della libertà, come il contrabbando di organi eccetera. Il capitolo II contiene disposizioni sulla prevenzione, con importanti compiti per alcuni ministeri e istituzioni governative, organizzazioni non governative e altre componenti della società civile. Per esempio: - alcuni ministeri sono coinvolti nel rafforzamento del Piano di Azione Nazionale per la Lotta al Traffico di Esseri Umani Il Ministero dell’Educazione e della Ricerca, con il sostegno di altri ministeri attinenti e in cooperazione col le ONG, sviluppa programmi educativi per genitori e bambini, specialmente per gruppi a rischio di divenire vittime, con l’obiettivo di prevenire il traffico di esseri umani. Il Ministero del Lavoro e della Solidarietà Sociale attua speciali misure per l’integrazione nel mercato del lavoro di persone a rischio di essere sottoposte a traffico di esseri umani, specialmente donne in aree molto povere e socialmente emarginate. Il terzo capitolo è dedicato al reato di traffico di esseri umani e considera separatamente il caso di adulti e minorenni. I trafficanti, siano essi minorenni o adulti, rischiano serie sanzioni fino a 25 anni di carcere. Di conseguenza chiunque recluti, trasporti, trasferisca, dia asilo o riceva una persona mediante l’uso di minacce o violenza, o l’uso di forme di coercizione, attraverso il sequestro, la frode o falsa dichiarazione, l’abuso di potere o approfittando di persone incapaci di difendersi o di esprimere la propria volontà, o dando/ricevendo denaro o altri benefici in modo da ottenere l’accordo di una persona che ha il controllo su un’altra persona, con l’intento di sfruttare quest’ultima, dovrebbe essere punito con la prigione da 3 a 12 anni e la sospensione definitiva di un certo numero di diritti. In alcuni casi ci sono aggravanti quali: - la morte della vittima; se il reato è commissionato in maniera strutturata/organizzata; se la vittima è di età compresa tra i 15 e i 18 anni; 282 - se la vittima ha meno di 15 anni è previsto dalla legge che l’accusa di traffico di esseri umani non esonera il trasgressore dalla responsabilità penale. Il quarto capitolo riguarda i crimini connessi al traffico di esseri umani, quali il favorire l’ingresso o la permanenza in territorio rumeno di persone oggetto di traffico o il reato di pornografia infantile. Il quinto capitolo, invece, è dedicato alle questioni procedurali. È stabilito che: - - le autorità competenti hanno il diritto di fare uso degli ufficiali in incognito e possono intercettare le comunicazioni. Inoltre le garanzie necessarie richieste dalla Convenzione Europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali sono entrambe presenti; l’indagine è condotta sin dall’inizio dal Pubblico Ministero; il tribunale è la corte competente in prima istanza. Il sesto capitolo è intitolato “La protezione e l’assistenza delle vittime” e contiene norme riguardanti forma speciali di assistenza – fisica, giuridica e sociale, - il che necessariamente coinvolge diverse istituzioni. Infine, il capitolo sette tratta la norme tese al rafforzamento della cooperazione internazionale. Esse prevedono la nomina di funzionari di collegamento all’interno del Ministero degli Interni e di magistrati di collegamento all’interno degli uffici dei Pubblici Ministeri legati ai tribunali. Tra le altre competenze hanno anche l’incarico di operare scambio di informazioni con altri ufficiali o magistrati di collegamento, nell’eventualità di dover lavorare in altri paesi, così da coordinare le diverse azioni durante l’indagine. La creazione di punti di contatto è anche garantita dalla presenza di controparti istituzionali di altri paesi, e all’interno del Ministero degli Interni e dell’ufficio del Pubblico Ministero legato alla Corte Suprema di Giustizia. Al momento, una seconda legislazione è in stato di elaborazione per poter stabilire, nel dettaglio le responsabilità per i ministri nella prevenzione e nella lotta al traffico di persone. Il Ministero rumeno di Giustizia sta elaborando il Regolamento per il rafforzamento della legge n.678/2001. Il regolamento sancisce che tutte le attività fatte per prevenire e combattere il traffico, dovrebbero essere coordinate e valutate da un gruppo Inter-ministeriale. In accordo con tale Regolamento, rappresentanti di tutte le istituzioni impegnate in quest’area compongono il gruppo, comprendendo anche i rappresentanti delle organizzazioni non governative e della società civile. Un altro pezzo importante della legislazione nell’area è la Decisione governativa n.1216/2001 per l’approvazione d