I repertori pro-sociali dei cittadini italiani
Una mappa
Marco Marucci
ISFOL (Area Risorse strutturali e umane dei sistemi formativi)
Corso d’Italia, 33 00198 Roma,
Tel. 06-44590200, [email protected]
Gianfranco Zucca
IREF (Istituto di Ricerche Educative e Formative)
Via E. Bezzi, 23-25, 00153 Roma
Tel. 06-5840521, [email protected]
Paper for the EspanetConference
“Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa”
Milano, 29 Settembre — 1 Ottobre 2011
SESSIONE
Terzo settore e partecipazione dei cittadini: volontariato, rappresentanza, cittadinanza attiva
Abstract
Sebbene negli ultimi decenni sia andata declinando, la partecipazione sociale dei cittadini italiani
rimane un tema molto studiato. Ricerche recenti si sono occupate delle forme individuali
d’impegno, di quelle collegate al consumo e alle mobilitazioni locali, evidenziandone il carattere
pro-sociale e finanche politico. L’impegno sociale tende quindi a differenziarsi: ci si può limitare
ad un sostegno economico, tramite una donazione o destinare il 5X1000 ad una specifica
associazione; si può partecipare, in modo più o meno intenso, alle attività portate avanti
dall’organizzazione alla quale si è deciso di aderire o esprimere la propria carica partecipativa in
al di fuori dell’associazione, anche tramite affiliazioni plurime. I cittadini attraverso il
volontariato, l’associazionismo, ma anche le donazioni e le forme alternative di consumo,
assemblano un personale repertorio partecipativo, differente a seconda della collocazione sociale,
delle esperienze e delle motivazioni.Nelpaper si cerca di ricondurre questi differenti repertori ad
alcuni tipi di base. Attraverso i dati raccolti in due diverse indagini realizzate dall’ISFOL su
particolari sottogruppi di cittadini si tracciano alcuni profili di partecipazione sociale. Con una
survey su un campione di iscritti ad associazioni di promozione sociale analizza il nocciolo duro
del civismo italiano: quei cittadini che decidono di spendersi in prima persona all’interno di
un’organizzazione sociale (grande o piccola che sia); un’altra indagine campionaria (su un
campione di cittadini che destinano il 5xmille alle organizzazioni sociali) analizza soggetti che, pur
non essendo necessariamente attivi all’interno del terzo settore, manifestano una forte vicinanza al
mondo dell’associazionismo.
Il confronto tra i dati raccolti in queste due rilevazioni evidenzia ampi margini di sovrapposizione e
una forte articolazione dei comportamenti pro-sociali. In entrambe le indagini si nota che accanto
alle forme più tradizionali di partecipazione sociale si stanno facendo spazio, comportamenti e stili
di vita che benché possano apparire lontani dal concetto di civismo, vengono vissuti da chi se ne fa
interprete in piena continuità con il proprio impegno sociale. Anche l’uso sociale del denaro
(5X1000 e donazioni) presenta elementi di comunanza, almeno a livello di motivazioni, con forme
più strutturate e impegnative di coinvolgimento. Nel complesso, sembra che la base sociale del
terzo settore italiano stia diventando sempre più composita e differenziata, tramonta, in altre
parole, l’immagine unitaria del “militante” e all’orizzonte si delineano differenti profili di
impegno.
2
1. Introduzione
Uno degli elementi ricorrenti negli studi sulla partecipazione civica è che i comportamenti prosociali sono complementari tra loro. Un esempio in tal senso è il legame tra attività di volontariato e
donazioni. A riguardo, in una delle ricerche fondamentali sull’argomento, Robert Putnam[2004:
151] afferma che:
tra le pressioni della vita di tutti i giorni, donare tempo e donare denaro sembrano spesso vie alternative per
manifestare generosità. In mancanza di uno dei due, possiamo dare l’altro. Generalmente però volontariato e
filantropia sono complementari e non si escludono a vicenda. Alcuni danno molto di entrambi altri poco di tutti e
due. […] Il volontariato è il predittore più forte per la filantropia e viceversa. Analogamente, chi dona il sangue
mette a disposizione anche più tempo ed è più filantropico. I comportamenti altruistici tendono a stare insieme.
È questo il punto di partenza del paper.Volontariato, donazioni (in denaro, sangue o altro) assieme
alla partecipazione alle riunioni di gruppi e organizzazioni sociali sono gli indicatori maggiormente
usati per studiare la partecipazione sociale al punto che sono stabilmente inseriti nell’Indagine
multiscopo sulle famiglie, realizzata dall’Istat. Tuttavia, volontariato e donazioni non esauriscono lo
spettro dei comportamenti civici. Ad esempio, nella sfera dei consumi sono sempre più diffuse
forme socialmente consapevoli di spesa. Il cosiddetto consumo critico è stato a più riprese
analizzato usando la lente della partecipazione sociale: i risultati di ricerca disponibili evidenziano
la vicinanza di queste pratiche con la sfera della partecipazione sociale e politica [Sassatelli 2003;
Tosi 2006; Lori, Volpi 2007; Rebughini, Sassatelli 2008; Ceccarini 2008a]. Più in generale, l’uso
sociale del denaro ha ricevuto un forte impulso con l’introduzione della possibilità di destinare il
5x1000 dell’Irpef a organizzazioni del terzo settore o operanti nella ricerca medica. Sebbene questo
meccanismo fiscale non sia ancora inserito in modo stabile nell’ordinamento italiano, i dati sul
numero di contribuenti che se ne sono avvalsi evidenziano un’accoglienza decisamente positiva da
parte dei cittadini1.
Se invece si guarda alle mobilitazioni e ai movimenti sociali, piccoli o grandi che siano, si nota una
rinnovata vitalità che si esprime in forme conflittuali e ambivalenti soprattutto rispetto alle questioni
Marco Marucci si è occupato dei punti 3, 5 e 6, Gianfranco Zucca dei punti 1, 2 e 4.
Per avere una misura delle dimensioni del fenomeno è sufficiente prendere in esame i dati diffusi dall’Agenzia
delle Entrate in riferimento alle donazioni effettuate nel 2008: “per il terzo anno consecutivo, i contribuenti hanno
indirizzato le proprie preferenze sulla categoria delle Onlus e del volontariato, che riceverà per il 2008 ben 265,8
milioni di euro. […] Sono 28.171 gli enti che beneficeranno del 5 per mille per il 2008. Di questi, 26.596 sono enti del
volontariato, 333 gli enti della ricerca scientifica, 90 quelli della ricerca sanitaria e 1.152 le associazioni sportive
dilettantistiche [Agenzia delle Entrate, 2010: 1]
1
3
dell’ambiente e della qualità della vita nelle città [Vitale 2007; Caruso 2011]. Anche le recenti
elezioni amministrative sono state attraversate da un notevole fermento, laddove alcune candidature
date per sfavorite hanno ribaltato il pronostico sospinte dal consenso popolare e da reti di volontari.
Per non parlare poi di internet che sempre più spesso non è solo uno strumento di comunicazione
ma uno spazio di media-attivismo2.
L’impegno sociale tende quindi a differenziarsi. Ma se le pratiche si fanno sempre più eterogenee, i
campi d’azione numerosi e distinti, l’idea della complementarietà dei comportamenti pro-sociali è
ancora valida? In questo lavoro, cerchiamo di offrire qualche elemento per rispondere a questa
domanda. Attraverso i dati di due indagini su sottogruppi particolari di cittadini italiani intendiamo
analizzare la compresenza di comportamenti civici “nuovi” (consumo responsabile e 5x1000) e
“vecchi” (volontariato e associazionismo). I due gruppi di cittadini analizzati sono un campione di
iscritti ad associazioni di promozione sociale e un campione di contribuenti che hanno deciso di
destinare il 5x1000 ad una organizzazione operante nel sociale. Trattandosi di individui scelti sulla
base di una particolare caratteristica è opportuno in via preliminare offrire una misura della
diffusione dei comportamenti pro-sociali più tradizionali (volontariato e donazioni) in Italia in
Europa. Ciò risulta necessario perché nel nostro paese queste forme di impegno e solidarietà sono
nettamente meno diffuse che in altri nazioni europee.
2. Le tendenze di medio-periodo della partecipazione sociale
Considerando i dati sulla partecipazione sociale raccolti dall’Istat tramite la Multiscopo sulle
famiglie (tab. 1)3, tra il 2001 e il 2009 si riscontra una relativa stabilità dei principali indicatori di
civismo. Si mantengono attorno al 2% gli italiani che prendono parte a riunioni in associazioni
ecologiche, per i diritti civili e la pace; crescono leggermente sino ad arrivare al 9,3% della
popolazione gli individui che partecipano ad incontri organizzati da associazioni culturali. Il
volontariato è stabile anch’esso attorno al 9% mentre l’attività gratuita all’interno di un sindacato
rimane negli ultimi anni al di sotto dell’1,5%. L’unica attività sociale che presenta un andamento in
crescita (seppur irregolare) sono le donazioni nei confronti di associazioni che, nel 2009,ha
interessato il 16,7% dei cittadini italiani.
I dati Istat sono in parte confermati da quanto diffuso nelle diverse edizioni del Rapporto
sull’associazionismo sociale, realizzato periodicamente dall’Istituto di Ricerche Educative e
2
Si pensi alla diffusione dei contenuti (news, video e commenti) prodotti dagli utenti della rete (user generated
content).
3
Le tabelle e i grafici sono posti al termine del testo.
4
Formative di Roma. Le rilevazioni Iref (tab. 2) evidenziano che nel corso degli anni Novanta il
tasso d’iscrizione alle organizzazioni sociali non ha subito cali particolari: in questi anni l’iscrizione
alle associazioni sociali si mantiene attorno al 20%, per scendere al 18,2% nel 2002 e balzare al
23,1% nel 2006. Il tasso d’iscrizione non implica necessariamente una concreta partecipazione alle
attività dell’organizzazioni per cui si può essere semplici simpatizzanti e non contribuire in alcun
modo alla vita dell’organizzazione. Il secondo indicatore diffuso dall’Iref offre una misura più
precisa dei livelli di partecipazione degli intervistati nell’indagine. Considerando il tasso di
partecipazione attiva si nota una crescita relativa continua che nell’ultima rilevazione disponibile
arriva a toccare il 48,1% degli iscritti alle associazioni. Sembra quindi essersi stabilizzato il
rapporto di uno a due tra attivisti e iscritti.
Se invece si esaminano i dati in prospettiva europea si nota come i valori fatti registrare tra la
popolazione italiana siano nettamente più bassi di quelli presenti in altri paesi (graf. 1).Usando i dati
della European Social Survey si riscontra che i tassi di adesione e partecipazione sono tra i più bassi
d’Europa, sul livello di quelli fatti registrare negli altri paesi del bacino mediterraneo (fatta
eccezione per la Francia). Con il 35% di iscritti e il 22% di soggetti attivi l’Italia è molto distante
dalla media Ue (posta, rispettivamente, al 54% e al 34%) e ancor più distante dalle percentuali fatte
registrare nei paesi dell’Europa continentale.
Un altro termine di paragone a livello internazionale è dato dall’azione volontaria (graf. 2). In
questo caso, il risultato pone l’Italia in coda alla graduatoria europea (appaiata alla Polonia e dopo
la Grecia) con il 5% della popolazione che svolge attività non retribuita per una organizzazione
della società civile. Tale dato appare sottostimato rispetto a quanto rilevato dall’Istat4, tuttavia si
conferma una differenza molto forte
con i paesi del Nord-Europa che presentano tassi di
volontariato ampiamente al di sopra del 25% della popolazione
Un terzo elemento di comparazione su scala europea è dato dalla quota di popolazione che nel corso
di un anno effettua donazioni in denaro per cause sociali (graf. 3). Sempre secondo i dati elaborati
sulla base dell’ESS, nel nostro paese il 12% della popolazione ha devoluto una qualche somma per
il sociale. Tale percentuale è ben al di sotto della media riferita agli altri paesi considerati
nell’indagine (25%) e quasi trenta punti più bassa rispetto all’Europa del Nord.
Limitandosi a considerare gli indicatori standard di partecipazione sociale,la vitalità della società
italiana appare alquanto limitata.
4
La differenza in negativo è probabilmente legata all’errore statistico dal momento che il campione dell’ESS è
numericamente molto inferiore (1500 casi) a quello dell’Istituto nazionale di statistica (20mila nuclei familiari per quasi
50mila individui).
5
Varie sono le chiavi di lettura per questo stato di cose. Innanzitutto occorre ricordare che per
decenni l’associazionismo italiano è stato legato a doppio filo con i principali partiti politici. Con la
dissoluzione dei legami partitici5, iniziata nella Seconda Repubblica, si è messa in moto una
trasformazione dell’associazionismo che ha comportato una perdita di adesioni. Secondo Biorcio
[2008: 76-77]:
la crisi dei partiti di massa, e la loro trasformazione in partiti professionali-elettorali ha reso tendenzialmente più
autonome le associazioni e trasformato il significato della loro azione e le motivazioni per la partecipazione. […]
Il forte ridimensionamento delle adesioni ai partiti politici rivela la minore capacità di attrazione di queste
organizzazioni, e l’indebolimento del loro radicamento sociale. Ma rende anche evidente la fine del
collateralismo: la drastica riduzione della capacità dei partiti politici e dei loro attivisti di esercitare influenza
sulle molteplici reti organizzative esistenti nella società civile.
In un’Italia nella quale i partiti della Seconda repubblica raccolgono qualche centinaio di migliaia di
aderenti e i sindacati vedono di anno in anno calare gli iscritti, gli associati rappresentano una
riserva di partecipazione, in un panorama segnato dal disimpegno. Non è quindi un caso che i partiti
politici, di destra come di sinistra, cerchino di corteggiare la società civile, richiamandosi ad essa
per offrire una legittimazione popolare alle proprie iniziative e proposte.
La contenuta partecipazione civica degli italiani può essere anche letta in parallelo con una
dinamica peculiare del contesto statunitense, ma in qualche modo presente anche in Italia. A partire
dagli anni Ottanta, diversi studiosi di area nord-americana [Eliasoph 1998; Skocpol, Fiorina 1999;
Skocpol 20036] hanno rilevato come al termine del ciclo dei movimenti per i diritti civili la
partecipazione sociale pur rimanendo su livelli relativamente elevati abbia subito una metamorfosi.
Una delle critiche più conosciute e incisive è quella formulata da Theda Skocpol [Skocpol 2003:
143] che riflettendo sulla civic culture arriva a concludere che il nuovo panorama associativo
statunitense è composto essenzialmente da gruppi di advocacy e istituzioni non profit, guidate da
professionisti del sociale e non da soggetti espressione di un determinato gruppo o comunità.
Queste associazioni hanno grandi mailing list ma pochi membri; usano articolate strategie di
comunicazione sociale e sviluppano la propria agenda di priorità attraverso azioni di lobbying e non
di mobilitazione dei propri iscritti. [Skocpol 2003: 177–178]. La professionalizzazione del terzo
settore italiano, sebbene sia un fattore che ne testimonia la maturazione [Forum del Terzo Settore
2010], può avere contribuito all’allontanamento dei cittadini dalle reti associative.
5
Ad essere precisi, la crisi riguarda il livello associativo-territoriale della membership (party on the ground),mentre
il livello organizzativo e il ruolo degli apparati centrali (party in central office) non è stato soggetto ad alcuna forma di
indebolimento (Raniolo 2008).
6
Per una sintesi di questa letteratura comprensiva di controcanti critici si veda Hoch2008.
6
3. Due indagini sulla partecipazione sociale
Tenendo sullo sfondo queste tendenze, nelle prossime pagine esamineremo due gruppi di cittadini
che esprimono il proprio senso civico con modalità e gradi diversi. Da una parte lo zoccolo duro
dell’associazionismo, gli iscritti alle associazioni di promozione sociale, dall’altra quei cittadini che
attraverso la leva fiscale decidono di sostenere il terzo settore. L’obiettivo è comprendere se oltre ad
una tessera o ad una firma sul 730 questi individui agiscano altre forme di partecipazione civica. Il
presupposto dell’analisi coincide, almeno in parte, con la tesi di Putnam presentata in apertura del
paper, la differenza è data dall’interesse nei confronti delle intersezioni tra i comportamenti civici.
Entrando nel dettaglio delle due indagini, occorre innanzitutto precisare che entrambe sono state
condotte dall’Isfol, Area Risorse strutturali e umane dei sistemi formativi. La prima survey,
realizzata in collaborazione con l’Iref, risale al 2008 ed ha interessato 851 soggetti iscritti ad
associazioni
di
promozione
sociale7.
La
ricerca,
commissionata
dall’Osservatorio
sull’associazionismo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, aveva l’obiettivo di esplorare
il mondo degli iscritti alle Associazioni di Prommozione Sociale (d’ora in poi APS), cercando
d’identificare eventuali differenze nel profilo e nei comportamenti rispetto agli individui che invece
decidevano di aderire a forme associative meno strutturate.
La seconda ricerca ha invece interessato 601 contribuenti che nel corso dell’anno fiscale 2009
hanno destinato il 5x1000 dell’Irpef ad organizzazioni del sociale. Lo studio ha avuto un taglio
essenzialmente esplorativo poiché, sebbene siano stati milioni i cittadini che hanno deciso di
usufruire di questa possibilità, l’unica indagine disponibile era stata realizzata nel 2007 [IREF
2007]. La ricerca oltre alle consuete informazioni demografiche, sonda anche la dimensione della
partecipazione sociale, seguendo l’ipotesi che sussista una relazione tra civismo e uso sociale del
denaro. Infine un’ulteriore area di attenzione trattata nell’indagine riguarda le opinioni dei
contribuenti rispetto ai meccanismi di rendicontazione e valutazione8.
7
La ricerca è basata su un campione per quote. Le variabili di stratificazione sono state stimate attraverso i microdati dell’indagine multiscopo sulle famiglie italiane dell’Istat (anno 2006), con un errore statistico contenuto nella
soglia del ±3%. Il sondaggio è stato realizzato dalla società di ricerche Codres di Roma. La rilevazione si è conclusa
nella prima parte del mese di ottobre 2008. Le interviste sono state condotte con il metodo CATI. Per maggiori
informazioni sulle specifiche tecniche della ricerca si veda Caramelli, Carlini, Gaudio 2010: 93-97.
8
La survey è stata realizzata in modalità CATI dalla società Pragma Research tra ottobre e novembre 2010. Nella
definizione della metodologia di indagine è stato necessario prestare molta attenzione alla corretta identificazione dei
soggetti eleggibili per l’intervista. Attraverso una serie di domande filtro si è giunti all’identificazione dello specifico
target d’indagine. Per raggiungere questo gruppo di cittadini sono stati necessari un gran numero di contatti telefonici
poiché, oltre a ricercare soggetti che avessero deciso di destinare quota parte dell’Irpef, si è dovuto selezionare solo
coloro che avessero fatto tale donazione nei confronti di un’organizzazione del sociale. Tale operazione si è rivelata
7
L’obiettivo dell’analisi che segue è evidenziare come all’interno di specifici gruppi di cittadini si
stiano delineando dei repertori partecipativi eterogenei che portano a superare l’immagine
dell’homo reciprocus come soggetto che riassume in sé tutte le virtù civiche. Nel complesso,
l’analisi cerca di offrire un contributo per allargare la definizione di cittadinanza attiva, includendo
anche comportamenti e pratiche sinora trascurate.
4. I comportamenti pro-sociali degli associati: donazioni, consumi e volontariato
Il coinvolgimento dei tesserati o semplici simpatizzati all’interno di un’associazione è variabile. Al
di là della ricorrenza con cui si prende parte alle attività associative, si deve tener conto della qualità
della partecipazione. Alcune persone si avvicinano in modo occasionale alle iniziative, magari solo
per assistere a un evento o passare il proprio tempo libero; altri, invece, danno maggiore continuità
al loro impegno, svolgendo un ruolo attivo nell’organizzazione.
Un buon indicatore del grado di coinvolgimento è la frequenza con la quale si partecipa alle attività
organizzate dall’associazione (tab. 3). Il campione è composto prevalentemente (52,5%) da persone
che prendono parte alle iniziative associative almeno una volta a settimana; poco più di un quarto
degli intervistati (27,4%) partecipa, invece, almeno una volta al mese. Nel complesso quindi gli
individui contattati per l’indagine sono coinvolti in modo continuativo nella vita associativa: chi
prende parte in modo sporadico alle attività rappresenta solo il 12,9%. Passando dai comportamenti
all’auto definizione (tab. 4), si nota che nel 60,9% dei casi, gli intervistati si definiscono
soci/simpatizzanti, mentre il 31,1% afferma di essere un membro coinvolto nelle iniziative. Infine
l’8,1% si definisce un’attivista.
Sebbene la cerchia degli attivisti sia più ristretta rispetto al nucleo allargato dei simpatizzanti e dei
tesserati, non bisogna trascurare che oltre all’auto definizione ci sono i comportamenti agiti dagli
associati all’interno e all’esterno dell’organizzazione (tab. 5). Innanzitutto, quasi la metà degli
intervistati svolge attività di volontariato all’interno dell’APS (47,7%). Se poi si considera anche il
volontariato all’esterno dell’associazione la percentuale dei volontari sale quasi al 60%: tra costoro
il 22,2% fa volontariato sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione alla quale è iscritto, il
25,5% invece solo all’interno della sua APS. Mentre il 12% fa volontariato solo al di fuori della
associazione9.
alquanto laboriosa (di qui l’elevata quota di rifiuti all’intervista, 4326). Nel complesso, per ottenere un’intervista valida,
sono stati necessari in media dieci contatti.
9
Gli associati che praticano volontariato extra-associativo si riuniscono in piccoli gruppi, evitando le grandi
organizzazioni e prediligendo ambiti dove, con tutta probabilità, l’azione volontaria si svolge in modo diretto e
personalizzato. Questa tendenza a svolgere attività informali di volontariato, il più delle volte, risponde all’esigenza di
8
4.1 Il valore sociale del denaro
Tenendo sullo sfondo l’esperienza associativa, occorre adesso procedere verso l’esterno
analizzando altre forme di azione pro-sociale. Nel corso dei dodici mesi precedenti la rilevazione il
38% degli intervistati ha firmato per la destinazione del 5 per mille sulla dichiarazione dei redditi; il
17,3% ha, invece, versato del denaro per sostenere un bambino bisognoso (adozioni a distanza);
mentre il 40,8% degli intervistati ha fatto almeno una donazione in denaro (tab. 6). Scomponendo i
dati a seconda dell’ambito associativo di appartenenza degli associati, si riscontra una diffusione
disuguale di ciascuno dei tre comportamenti. Nell’ambito delle associazioni legate ai temi della
globalizzazione, il 56,5% degli intervistati ha destinato al sociale il 5 per mille dell’Irpef; valori
superiori al dato campionario si riscontrano anche tra gli aderenti ad organizzazioni che operano in
campo educativo e culturale 44,4%) e socio-assistenziale (49,2%). Lo stesso andamento si riscontra
per quel che riguarda le adozioni a distanza, dove gli aderenti ad associazioni dei tre ambiti appena
menzionati fanno riscontrare valori più alti a quelli dell’intero campione (rispettivamente 26,8%,
25,8% e 21%). Per quel che riguarda invece le donazioni, coloro che s’impegnano nell’ambito della
critica alla globalizzazione sono anche molto più disponibili a donare somme di denaro a sostegno
di cause a loro parere meritevoli (59,4% vs. 40,8%); una propensione simile ma meno marcata
(49,2% vs. 40,8%) è presente nell’ambito socio-assistenziale.
Analizzando i comportamenti donativi alla luce del rapporto con l’associazione (tab. 6) si può
inoltre notare che tra semplici tesserati/simpatizzanti e coloro che si autodefiniscono membri ci
sono dei significativi scostamenti percentuali nella quota di individui che ha effettuato una qualche
elargizione in denaro. Ha fatto donazioni a scopo benefico il 29,8% dei simpatizzanti contro il
48,1% dei membri; per quel che riguarda il 5x1000 le percentuali sono rispettivamente 34,3%
contro 46,9%10.
Valori superiori nei comportamenti donativi si riscontrano anche considerando l’attività di
volontariato (tab. 7). Coloro che fanno volontariato sia all’interno sia all’esterno della propria APS
hanno fatto donazioni nel 52,9% dei casi, hanno firmato per il 5X1000 nel 48,1% e il 29,1% di
questi intervistati ha sostenuto un bambino a distanza. Percentuali altrettanto alte si riscontrano tra
confrontarsi con un problema specifico, incorporato nel quotidiano dell’individuo; cfr. Caramelli, Carlini, Gaudio 2010:
19-40
10
Nonostante la bassa numerosità campionaria per completezza si riportano anche i dati riferiti agli intervistati che
si sono definiti attivisti: ha fatto almeno una donazione il 57,4% degli attivisti, mentre il 64,7% ha destinato il 5x1000 e
il 41,2% ha inviato denaro per una adozione a distanza. Quest’ultimo valore tra i simpatizzanti ammonta al 14% tra i
membri al 17,9%.
9
chi fa volontariato solo all’esterno dell’APS11. Al contrario nel sottogruppo di individui impegnato
esclusivamente nel volontariato all’interno dell’associazione i comportamenti donativi si presentano
con minore frequenza (donazioni: 23%, 5x1000: 24%, adozioni: 7,8%).
Nel complesso, gli associati sembrano dimostrare una buona disponibilità verso le elargizioni in
denaro (il 57% ha compiuto almeno una delle azioni di beneficenza appena esaminate), una
propensione che però appare segmentata a seconda dell’ambito d’azione nel quale opera
l’organizzazione e dipendente da altri comportamenti pro-sociali, primo su tutti il volontariato.
Esaminando, infine, le diverse combinazioni che può assumere l’uso sociale del denaro si ottengono
ulteriori elementi di riflessione. Lasciando da parte quella quota pur consistente d’intervistati che
nel corso dell’ultimo anno non ha fatto nessun tipo di elargizione (43%), coloro che si sono limitati
ad una sola azione rappresentano il 28,3% (il 13,6% ha destinato il 5 per mille, l’11,3% ha fatto una
donazione e il 3,4% ha dato un contribuito per una adozione a distanza); il 18,3% degli associati ha
invece deciso di usare il proprio denaro a scopi sociali in due occasioni (la combinazione
maggiormente frequente è quella tra 5 per mille e donazioni 14,8%). Infine, dieci associati su cento
hanno dato il proprio denaro attraverso tutti e tre i canali.
Tornando ad un livello d’analisi più generale, è invece necessario comprendere le caratteristiche
che distinguono gli associati che hanno elargito una qualche somma per cause sociali da coloro che
invece non hanno ritenuto di fare altrettanto. La variabile che meglio aiuta a spiegare questa
differenza è lo status socio-economico12 (tab.8). Dai dati si riscontra una spiccata correlazione tra
condizione socio-economica e liberalità: tra gli intervistati con una posizione sociale elevata, il 70%
ha, nel corso dell’anno passato, fatto una qualche elargizione in denaro; la percentuale diminuisce al
calare dello status, passando al 56,4% per il livello medio e, infine, si ferma al 40,9% per i soggetti
con una posizione socio-economica bassa: al di là, dell’ovvio influsso della componente economica
dello status, è interessante notare come l’interazione tra vantaggi materiali e maggiori capacità
cognitive (titolo di studio) influenzi positivamente i comportamenti donativi. Questo risultato
sembra rappresentare una conferma nel campo dell’associazionismo del ben noto modello della
centralità sociale.
Sebbene l’analisi di questo nesso fornisca un buon contributo esplicativo, non bisogna dimenticare
che alla base degli usi sociali del denaro spesso si ritrovano sostrati valoriali che portano gli
11
Rispetto ai tre indicatori considerati si ha: donazioni 51%, 5x1000 47,1%, adozioni 23,5%.
Lo status è una variabile indice costruita in due fasi. Inizialmente si è incrociata la professione dell’intervistato
con una domanda sulla difficoltà a far fronte ai consumi primari (tale quesito è stato considerato una proxy del reddito),
una volta ridotto lo spazio d’attributi si è ottenuto un indice a tre posizioni che è stato a sua volta incrociato con il titolo
di studio. Per “alto status” si intende quindi un individuo con una posizione professionale superiore (imprenditore,
dirigente, quadro), che nel corso dell’ultimo anno non ha avuto problemi economici ed è in possesso di un titolo di
studio elevato.
12
10
individui a superare i limiti oggettivi della propria condizione economica. Difatti, se accanto allo
status s’introduce una variabile come la frequenza ai riti religiosi si notano elementi di notevole
interesse per comprendere le motivazioni che sottostanno ai comportamenti donativi (tab. 9).
A parità di posizione sociale, si riscontra una carica donativa superiore tra gli associati con un
maggior livello di partecipazione ai riti religiosi: prendendo come termine di paragone gli
intervistati con un’alta posizione socio-economica, laddove la partecipazione alle funzioni religiose
è assente si ha il 57,1% di individui che hanno fatto una o più donazioni; tale percentuale sale al
66,4% nei casi di frequenza sporadica per arrivare all’87,1% tra coloro che partecipano in modo
assiduo alla messa. Se, invece, si considerano le persone con un basso status si nota che in caso di
assidua frequenza alle funzioni religiose il 60% ha fatto una qualche donazione, contro il 23,2% di
chi non partecipa a tali funzioni. L’analisi tri-variata suggerisce che i comportamenti donativi
dipendono sia dallo status, sia dalla religiosità dell’individuo, creando quello che si definisce un
effetto cumulativo: ovvero l’influsso di queste due variabili prese assieme è superiore alla somma
del contributo delle singole variabili (87,1% di effetto cumulativo contro il 70%13).
Dalla disamina dei comportamenti filantropici degli associati si rileva, dunque, una netta
propensione donativa: sia tramite esborsi diretti sia attraverso un meccanismo indiretto come il 5
per mille. Tale attitudine è più netta tra coloro che hanno uno status superiore e possono quindi
contare su risorse economiche più consistenti. All’interno di questo gruppo si delinea anche
un’ulteriore distinzione tra soggetti per i quali i comportamenti donativi rappresentano un modo per
esprimere le proprie convinzioni religiose.
4.2 Il significato civico del consumo
Un’altra azione pro-sociale che si esplica tramite un uso socialmente consapevole del denaro è
legata alle forme di consumo alternativo. Il cosiddetto “consumo critico” e l’acquisto di prodotti del
commercio equo e solidale sono due esempi di come le scelte di acquisto possano diventare, per
aggregazione dei comportamenti individuali, tasselli di azione collettiva14.
Sebbene, la connotazione “politica” di queste forme di consumo sia controversa [Sassatelli, 2003,
2008], non è inappropriato annoverare il consumo tra quelle azioni che, pur non avendo degli
espliciti risvolti politici, evidenziano un maggior livello di attenzione nei confronti dell’interesse
pubblico. In aggiunta a questa precisazione, bisogna rilevare che esiste un abbondante materiale
13
Dall’incrocio tra la variabile relativa alle donazioni e la frequenza ai riti religiosi si ricava che il 74,6% degli
intervistati con una partecipazione religiosa assidua avevano fatto almeno una donazione nell’anno precedente.
14
Secondo Michele Micheletti [2003: xi] le forme più consapevoli di consumo critico possono essere definite
“azioni collettive individualizzate”.
11
empirico che testimonia la maggiore diffusione di queste forme di comportamento tra coloro che
già agiscono una qualche altra forma di partecipazione sociale e politica [Lori, Volpi 2007 e 2008].
Andando a controllare la diffusione di questi comportamenti all’interno del campione di associati
(tab. 10) si riscontra che in generale il consumo critico interessa il 28,9% degli intervistati; mentre il
37,8% ha acquistato prodotti del commercio equo e solidale.
Disaggregando le informazioni a seconda dell’ambito associativo, si nota che il consumo critico è
maggiormente diffuso tra gli iscritti ad associazioni culturali/educative (41,3%) o socio-assistenziali
(39,8%); in terza posizione ci sono gli iscritti ad associazioni impegnate sui temi della
globalizzazione. Considerando l’acquisto di prodotti del commercio equo e solidale, le prime
posizioni della graduatoria cambiano: compra prodotti solidali il 50,7% degli iscritti alle
associazioni di critica della globalizzazione, il 50,4% di aderenti a realtà di ambito culturaleeducativo e il 44,5% di associati in ambito socio-assistenziale. La predominanza degli aderenti alle
organizzazioni di critica alla globalizzazione nell’acquisto di prodotti equi e solidali può essere fatta
risalire alla contiguità tra circuiti distribuitivi e movimenti alter-global: le botteghe del commercio
equo e solidale sono spesso il collettore di altre esperienze di consumo alternativo (gruppi
d’acquisto solidale; turismo responsabile, ambientalismo e riciclo) [Ceccarini2008a, 2008b]; si
tratta di spazi d’acquisto mediamente più “militanti”, anche perché spesso vicini alla galassia
dell’autogestione e dei centri sociali [Famiglietti 2008].
Al di là delle differenze tra i vari comparti associativi, se si esaminano i dati a partire dal tipo di
volontariato svolto si nota una forte correlazione tra i soggetti impegnati all’interno e all’esterno
della propria associazione e i comportamenti di consumo responsabile (tab. 11): acquista
criticamente il 46% dei doppi volontari (nel totale campionario tale valore è del 28,9%) e sostiene il
commercio solidale il 51,3% (a fronte di una dato campionario del 37,8%).
Il consumo è spesso un atto irriflesso che subisce una serie di condizionamenti esterni; decidere di
non acquistare un determinato prodotto perché nella sua produzione non vengono rispettati i diritti
delle persone, degli animali o dell’ambiente è un atto essenzialmente cognitivo, che implica la
comprensione di meccanismi di produzione che il consumatore medio non conosce e che, molto
spesso, i produttori si guardano bene dall’esplicitare. Sulla scia di queste considerazioni si può
comprendere come l’influenza del livello di informazione sulle due forme di consumo responsabile
sia notevole (tab. 12). Al salire del livello di informazione15 aumenta anche la percentuale di
15
Il livello di informazione è una variabile indice ottenuta in due fasi: in un primo momento è stata riaggregata la
frequenza con la quale gli intervistati leggevano giornali non sportivi, seguivano programmi di approfondimento e
acquistavano riviste di attualità (si è passati da una scala temporale a cinque posizioni ad una a tre); in un secondo
momento, dopo aver incrociato le diverse modalità informative, si è proceduto ad una riduzione dello spazio di attributi
cercando di bilanciare il contribuito delle diverse fonti d’informazione.
12
individui che dichiarano di “agire” forme di consumo critico (dal 17,4% degli associati con un
basso livello di informazione si arriva al 42,6% di coloro che hanno un livello alto). Lo stesso
andamento si riscontra rispetto ai prodotti del commercio equo e solidale: dal 21% al 52,6%. A ciò
si aggiunga che il 47,6% dei consumatori critici usa in modo assiduo Internet.L’uso della rete ha
una funzione di contro-informazione, poiché attraverso internetè possibile accedere a web-site, blog
e forum all’interno dei quali si dibattono e si promuovono campagne e azioni legate al consumo
responsabile [Forno 2008].
Tra i vari comportamenti pro-sociali il consumo responsabile è dunque quello con una maggiore
componente cognitiva: la scelta di acquisto si basa sulla presa di consapevolezza che il proprio
gesto è un contributo ad una più complessiva critica dei meccanismi del sistema produttivo; in
questo senso, un esempio classico sono le azioni di “buycott”, ovvero la decisione di non acquistare
un determinato bene di consumo perché l’azienda che lo produce è socialmente poco responsabile.
Le persone che, ad esempio, scelgono di non acquistare i prodotti di una multinazionale è molto
probabile che conoscano le violazioni ambientali e le vessazioni sui lavoratori che l’azienda compie
nei paesi dove hanno sede i suoi stabilimenti produttivi.
5. Un passo verso la democrazia fiscale: un’indagine sui contribuenti che destinano il
5x1000 organizzazioni di terzo settore
Le donazioni al terzo settore rappresentano un sottogruppo particolare delle quote Irpef distribuite
tramite il meccanismo del 5X1000. Il contribuente difatti, al momento della presentazione della
dichiarazione dei redditi, può optare per diverse tipologie di beneficiari (enti di ricerca medica,
associazioni sportive, enti locali). Offrire una quota delle proprie tasse ad associazioni,
organizzazioni di volontariato e cooperative, rappresenta una scelta molto significativa, soprattutto
per comprendere il ruolo sociale che i cittadini assegnano alla società civile organizzata. Il 5X1000,
difatti, rappresenta un atto di fiducia nelle capacità del privato sociale di farsi interprete di istanze
solidali e mutualistiche. Sotto questo profilo, le organizzazioni della società civile possono
rappresentare un patrimonio importante soprattutto in uno scenario di riforma del modello sociale
che pone una notevole enfasi sul concetto di sussidiarietà16. Sotto questo profilo, il 5X1000 va
considerato come un primo passo verso un rinnovamento normativo ormai necessario. La scelta di
16
Il nuovo modello sociale delineato nel Libro bianco del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali poggia
sull’idea che: “enormi, e in parte non ancora esplorate, sono le potenzialità del terzo settore nella rifondazione del
nostro sistema sociale visto che già oggi associazioni, gruppi di volontariato, imprese sociali, fondazioni e corpi
intermedi si caricano dei bisogni dei singoli e trovano soluzioni innovative a essi” [MLPS 2009: 21]. La valorizzazione
della società civile organizzata passa per la creazione di strumenti adeguati a potenziare la funzione che il terzo settore
già assolve.
13
mettere mano al riordino del terzo settore, cominciando dalla dimensione fiscale è di per se
significativa. Difatti, se il Terzo settore rappresenta un soggetto in grado di “tessere i fili smarriti
della comunità” [MLPS 2009: 21] occorre sostenerlo e far sì che l’azione sociale delle diverse
organizzazioni che lo compongono sia il più autonoma possibile. È evidente che l’autonomia vada
di pari passo con la possibilità di differenziare le fonti di finanziamento. Il superamento del
contracting-out come fonte principale di sostegno economico al non-profit passa appunto per una
decisa implementazione delle forme di democrazia fiscale. In generale le tre fonti caratteristiche di
sostegno economico delle organizzazioni sociali (fondi pubblici, attività economiche in senso
stretto e donazioni) assieme all’introduzione di meccanismi di Percentage Philanthropy dovrebbero
arrivare a costituire quello che Hadzi-Miceva [2005] definisce “a supportive financing framework”,
un quadro di supporto finanziario nel quale, a seconda del tipo di organizzazione, una fonte è sì
preponderante, ma non esclusiva17.
D’altro canto non bisogna dimenticare che, con l’introduzione del 5X1000, si accresce anche
l’autonomia dei contribuenti, intesa sia come capacità di autogovernarsi sia come indipendenza
delle decisioni. Per i cittadini, il 5X1000 rappresenta una prima – e certamente parziale –
applicazione del concetto di taxation self-determination. In senso giuridico, difatti, il 5X1000 non è
assimilabile ad una donazione, ma è una forma di allocazione delle tasse. In altre parole lo Stato
conferisce un diritto a ciascun contribuente di decidere dove allocare, e quindi come usare, una
certa percentuale del bilancio pubblico [Bullain 2004]18.
5.1 Gli orientamenti dei contribuenti
Trattandosi di un gruppo di cittadini poco conosciuto è opportuno fornirne un primo identikit. I
contribuenti che decidono di destinare il 5X1000 dell’Irpef ad organizzazioni sociali sono per lo più
individui in età matura con famiglia e in molti casi con figli, dotati di un titolo di studio medio-alto
(68,1%), lavorano alle dipendenze (32,3%) o sono in quiescenza (32,1%), con un reddito non
superiore ai 30mila euro annui (69%), risiedono per lo più in piccoli centri (77,2%). Sotto il profilo
valoriale, hanno un legame forte con la tradizione cattolica o comunque sono credenti (85,7%).
17
Si ricorda che secondo i risultati del Comparative Nonprofit Sector Projectd ella Johns Hopkins University di
Baltimora la prevalenza delle fonti di finanziamento dipende dalla settore nel quale opera l’organizzazione. Ad esempio
le organizzazioni “a dominanza di servizio” basano la propria operatività soprattutto su contributi pubblici [Salamon,
Sokolowski, List 2004: 28-29].
18
Va detto che questa opportunità nei Paesi dell’UE è ancora poco diffusa [Hadzi-Miceva 2005]. Ciò è dovuto al
fatto che, a livello legislativo, esistono ancora importanti limitazioni (vedi il meccanismo di pagamento delle imposte
tramite il datore di lavoro) che non permettono ai cittadini di monitorare e orientare l’operato della propria Tax
Authority [MLPS-ISFOL 2010: 43]. Tali limitazioni appaiono minori nei Paesi con sistemi federali avanzati.
14
Nulla invece si può dire sulla provenienza geografica: per una volta l’Italia sembra unita nello
spirito filantropico, anche in periodi di congiuntura economica sfavorevole.
Volendo inquadrare il livello di impegno e di civismo, sono state rivolte alcune domande per capire
se ci si trovasse di fronte a donatori una tantum o a donatori abituali: il 72% degli individui
contattati ha dichiarato di aver fatto una donazione in denaro a scopo benefico nei dodici mesi
precedenti l’intervista; più di un intervistato su cinque afferma di essere attualmente coinvolto in
un’attività non retribuita all’interno di un’organizzazione di volontariato, quasi il 70% è iscritto a
un’organizzazione non profit, l’88,2% aveva donato il 5x1000 anche l’anno precedente. Il donatoretipo quindi è ben inserito nel circuito dell’associazionismo.
Passando alla scelta del beneficiario, in linea con un profilo di individuo altamente inserito nel
mondo dell’attivismo sociale, si riscontra un’alta percentuale di persone (94,3%) che ha indicato un
ente specifico (vi è infatti la possibilità, in sede di compilazione del 730 di devolvere il 5x1000
senza l’indicazione della specifica organizzazione di Terzo settore).
Tra le caratteristiche che orientano la scelta del beneficiario, nel 40,4% dei casi c’è la vocazione
territoriale dell’ente, ovvero il radicamento sociale ed operativo in un dato contesto locale; il 53,9%
è orientato verso associazioni con una tradizione consolidata e una storia, solo il 10,8% ha invece
indicato di preferire enti di recente costituzione. Infine si è chiesto agli intervistati di scegliere tra
organizzazioni che aiutano le categorie svantaggiate e quelle che invece si occupano di questioni
più generali come ambiente e cultura. Su questo elemento si registrano le differenze più marcate,
poiché il “sostegno a persone a rischio di marginalità sociale” raccoglie quasi il 60% delle
preferenze. In generale però si deve considerare che, per circa un intervistato su tre, vocazione
territoriale, storia, dimensioni e settore d’intervento non orientano la scelta del beneficiario.
Nel dettaglio (tab. 14), il settore che ha ricevuto il maggior numero di preferenze è quello sanitario:
il 38,4% degli intervistati ha infatti dichiarato di aver donato il proprio 5X1000 ad organizzazioni
sociali che lavorano nel settore del sostegno sanitario. Segue, con il 29,5%, l’assistenza sociale e il
settore istruzione e ricerca (19%). Tutti gli altri settori previsti come modalità di risposta, ottengono
percentuali nettamente inferiori al 10%.
Gli intervistati sembrano poi essere orientati anche da una consonanza di valori (tab. 14): ai primi
posti nella scelta del beneficiario si trova difatti la condivisione dell’ideologia (32,6%) o
l’interessamento alle attività dell’ente (24,5%).
Infine, il 74,5% degli intervistati ha confermato la scelta fatta l’anno precedente indicando lo stesso
beneficiario. Ciò dimostra il legame di fiducia e conoscenza che il contribuente intrattiene con
l’associazione scelta, una condivisione di pensiero che difficilmente viene smentita in breve tempo.
Certamente dietro a queste affermazioni, si profila la questione dell’accountability e della
15
pubblicizzazione delle modalità di impiego dei fondi da parte degli enti che ne beneficiano, non
solo per convincere il donatore del buon utilizzo del proprio contributo ma anche per sostenere il
confronto con una sempre più folta schiera di enti che operano nello stesso campo o con gli stessi
approcci ideologici.
Cosa deve fare quindi un’organizzazione per stimolare il cittadino a versare il 5x1000 in proprio
favore? Secondo i dati, il 48,3% dei cittadini devolve ad associazioni che conosce bene o all’interno
delle quali si hanno delle amicizie. Ma anche un’efficace campagna di informazione e di
sensibilizzazione sono alla base della scelta del beneficiario (il 28,3% sceglie l’ente per questo
motivo). Questa tendenza invita a riflettere sulla necessità di incentivare pratiche di accountability
più incisive: da un lato, rendendo pubblici i risultati del proprio operato si attraggono volontari e
attivisti interessati a mettere a frutto il proprio tempo libero; dall’altro, si crea del materiale
(opuscoli, schede fino ad arrivare al bilancio sociale) utile alle campagne di raccolta fondi, da
diffondere nel periodo di aprile-maggio quando, cioè, si compilano le dichiarazioni dei redditi.
Interessante infine sentire cosa i contribuenti vogliono finanziare destinando il 5x1000: a fronte di
una scarsa propensione a sostenere i costi vivi dell’associazione (operatori, strutture), il 74,5% degli
intervistati dichiara di voler finanziare i singoli progetti di sviluppo. Infine, il 91% dei donatori è
concorde sulla necessità di controlli su enti che beneficiano del 5x1000 e la maggior parte (54,3%)
affermano che lo Stato dovrebbe essere incaricato di tali controlli. Questi risultati sono in linea con
la richiesta rivolta alle associazioni beneficiarie da parte del Ministero di compilare un breve
resoconto delle attività finanziate con il 5x100019. C’è da segnalare però che gli introiti ricevuti non
sono di norma vincolati ai progetti ma possono anche essere spesi per i costi di gestione (risorse
umane, acquisto beni e servizi etc.). E’ quindi a discrezione dell’ente scegliere come utilizzare le
risorse del 5x1000. Alla luce delle opinioni rilevate attraverso l’indagine è altresì consigliabile
utilizzare tali risorse per finanziare direttamente i progetti e pubblicizzare tale uso a ridosso del
periodo della raccolta fondi del 5x1000. Infine si è chiesta l’opinione dei cittadini sulla
stabilizzazione dello strumento, attraverso l’emanazione di una legge che renda permanente
l’istituto e lo liberi dai dettami che la legge finanziaria, di anno in anno, impone per attenersi ai
vincoli di bilancio20. Il 66,7% è favorevole alla stabilizzazione, richiesta, ovviamente, a gran voce
19
La rendicontazione è stata introdotta a partire dal 2008.Sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali è
possibile trovare tale modello e relative istruzionihttp://www.lavoro.gov.it/ (visitato il 18.5.2011)
20
Già nel 2008 ci fu la prima proposta di stabilizzazione attraverso il d.d.l. 486 del 12 maggio 2008, seguita dal
d.d.l. 1366 del 5 febbraio 2009 “Disposizioni per la destinazione di una quota del 5 per mille dell’imposta sul reddito
delle persone fisiche a finalità scelte dai contribuenti”. Sottoscritta, quest’ultima, da quasi 100 senatori bipartisan e
fermata alla Commissione Bilancio per mancanza di copertura economica.
16
anche dalle quasi 41.000 organizzazioni non profit iscritte al beneficio del 5x1000 nel 2010 e
dall’Agenzia per le Onlus21.
5.2 Diverse visioni dell’autodeterminazione fiscale
In un panorama nel quale il 5X1000 raccoglie ampi consensi occorre approfondire le sfumature che
differenziano gli atteggiamenti dei contribuenti rispetto alle organizzazioni da premiare attraverso la
quota Irpef. Si è visto in precedenza, attraverso la batteria di domande relative alle preferenze degli
intervistati rispetto alle caratteristiche delle organizzazioni beneficiarie, che buona parte dei
contribuenti ha le idee ben chiare su quali siano le caratteristiche di un ente al quale devolvere il
5X1000. Sulla scia di quelle indicazioni si è scelto di realizzare un’analisi multivariata dei dati per
identificare le dimensioni essenziali del rapporto tra contribuenti e 5X1000.
La strategia d’analisi adottata per analizzare e classificare i contribuenti è stata dettata dalla
particolare natura del campione d’intervistati. I soggetti appartenenti al campione costituiscono un
sottogruppo particolare di coloro i quali decidono di devolvere parte delle quote Irpef utilizzabili
tramite il meccanismo del 5X1000: sia per caratteristiche demografiche sia rispetto ai
comportamenti pro-sociali il collettivo analizzato è abbastanza omogeneo. Si è quindi optato per un
approccio analitico che portasse in superficie differenze di opinione e ne offrisse una sintesi. In una
prima fase è stata quindi realizzata una riduzione delle variabili con tecniche fattoriali e,
successivamente, una volta individuate delle dimensioni ad esse sottostanti, un’analisi dei gruppi22.
Il risultato dell’analisi mostra come i primi tre fattori siano in grado di riprodurre il 28,76% di
inerzia globale23(rispettivamente 11,2% il primo e 21% i primi due sommati). Il grafico 4
rappresenta i due fattori fondamentali emersi dall’analisi delle corrispondenze multiple (d’ora in poi
ACM)24. Sull’asse orizzontale si trova il fattore denominato “civicità del denaro”; lungo l’asse
verticale invece c’è il fattore “preferenze sul terzo settore”.
21
L’agenzia ha recentemente redatto un documento su “una disciplina legislativa per razionalizzare e rendere stabile
l’istituto del cinque per mille”http://www.agenziaperleonlus.it/(visitato il 18.5.2011)
22
Nello specifico, preliminarmente è stata realizzata un’analisi delle corrispondenze multiple (ACM) sulle variabili
relative ai comportamenti e le motivazioni dei contribuenti. Per l’analisi si è usato il software statistico Spad. Le
variabili considerate sono riportate nella tabella 16. Come in tutte le tecniche fattoriali, l’obiettivo dell’analisi è
individuare le relazioni esistenti tra un insieme di variabili attraverso la creazione di uno spazio “ottimale”, di
dimensione ridotta, sintesi dell’informazione contenuta nei dati originari. In altre parole, con questa tecnica si
definiscono delle variabili latenti (o fattori), frutto della combinazione delle variabili originali, che esprimono alcuni
concetti non direttamente osservabili, ma presenti nel campo di indagine.
23
Si tratta di percentuale di inerzia pura, ovvero non rivalutata secondo la nota formula di Benzecrì. Per cui il
risultato può dirsi soddisfacente.
24
Come di consueto per facilitare la lettura e il commento vengono rappresentati solo i primi due fattori. Nel
commento dell’ACM non si prenderanno in esame i pesi fattoriali, rimandando alla discussione dei cluster i raffronti
statistici.
17
Sebbene il 5X1000 sia giuridicamente distante dalle donazioni, una delle ipotesi di lavoro
dell’indagine consisteva nell’idea che, per gli intervistati, questo strumento fosse contiguo alle altre
forme di liberalità in denaro.
L’analisi fattoriale offre elementi a sostegno di questa ipotesi. Il 5X1000, e con esso probabilmente
anche il concetto di tax self determination, fa parte di un visione più ampia: le donazioni in denaro,
le tasse (e probabilmente anche le eventuali quote associative versate dalle associazioni) rientrano
in una concezione civica del denaro per la quale offrire dei soldi alle organizzazioni sociali non è
beneficenza, ma una forma di partecipazione. Le somme destinate servono a mettere in comune
delle risorse, a sostenere delle iniziative sociali. Occorre poi ricordare che il 5X1000 può anche
assolvere una funzione di compensazione della mancanza di partecipazione.
Il secondo fattore invece identifica le propensioni degli intervistati nei confronti delle
organizzazioni di terzo settore. Lungo l’asse verticale si dispongono le variabili relative alle
caratteristiche degli enti: le dimensioni, la storia, la scala d’intervento e il target dei beneficiari
connotano un atteggiamento di attenzione e vigilanza rispetto agli enti che si decide di sostenere. In
altre parole, non si offre il contributo Irpef a chiunque ma solo a seguito di attente valutazioni. La
scelta del beneficiario, come già accennato, è un atto consapevole nel quale entrano i gioco valori e
convinzioni personali.
Nel complesso lo spazio concettuale che emerge dall’analisi delle corrispondenze multiple
evidenzia che il 5X1000 è un comportamento radicato, innanzitutto, su un’idea sussidiaria di fisco
all’interno della quale il sostegno in denaro viene visto come una forma di partecipazione all’azione
sociale delle organizzazioni. Sulla scorta di questo primo step di analisi, si è poi passati ad
individuare dei profili di risposta utili a definire alcuni gruppi di rispondenti25.
Attraverso l’analisi del dendrogramma si è optato per scegliere la soluzione a quattro cluster. Nel
complesso si evidenziano due gruppi, numericamente abbastanza folti (cfr. graf.4, punti C e D), per
i quali il 5X1000 rappresenta uno strumento di democrazia fiscale apprezzato e utile: entrambi
difatti si collocano nel semipiano positivo lungo l’asse della civicità del denaro. La principale
differenza tra questi due gruppi è data dalle preferenze sul terzo settore. Gli altri due gruppi (A e B)
sono invece, numericamente più esigui. Il gruppo A è caratterizzato da una scarsa consapevolezza
del ruolo del 5X1000, nonostante i soggetti inclusi nel cluster lo usino e lo ritengano uno strumento
utile. Il gruppo B. invece rappresenta una componente residuale del campione (si tratta di 33
individui pari al 5,5% del campione) composta da persone che non sembrano aver ben compreso
25
Sulla base dei punteggi fattoriali è stata realizzata un’analisi di cluster mediante procedura gerarchica (RECIP),
così come implementata sul software Spad.
18
che cosa sia il 5X1000. Passando all’analisi per singolo cluster occorre avvertire che ci si limiterà al
commento dei tre gruppi principali evitando di entrare nel merito del gruppo residuale26.
Il primo gruppo d’intervistati ammonta al 25,3% del campione (tab. 19). Si tratta di individui che
negli ultimi dodici mesi non hanno fatto nessuna donazione (all’interno del gruppo i non donatori
sono la totalità; mentre nel campione erano il 27,9%); allo stesso modo questi intervistati non fanno
attività di volontariato (85,5% nel gruppo contro 78,2% nel campione). Sotto il profilo demografico
invece si rileva una preminenza di giovani (25-34 anni). Il profilo di questo gruppo è dunque
caratterizzato da una distanza rispetto ai circuiti della società civile, ciò nonostante per gli individui
appartenenti a questo gruppo il 5X1000 rappresenta uno strumento utile (45,4% nel gruppo contro
37,1% nel campione).
Volendo trovare una formula che sintetizzi il punto di vista di questi intervistati, si potrebbe dire
che costoro esprimono un sostegno spontaneo ed immediato verso il 5x1000. Pur avendo poca
consuetudine con il mondo dell’associazionismo e del volontariato sembrano essere ben disposti
verso le organizzazioni sociali. Questo atteggiamento ben si coniuga con la connotazione anagrafica
degli intervistati. Allargando ulteriormente il discorso gli appartenenti a questo gruppo sono una
sorta di “sostenitori esterni”.Se il sociale è supportato soprattutto dagli insider, ovvero da persone
che, in un modo o nell’altro, sono venuti a diretto contatto con questo mondo, la presenza di
individui per i quali offrire un contributo al terzo settore è importante a prescindere dalla
conoscenza di qualche organizzazione specifica rappresenta un’importante riserva di consenso.
Il secondo gruppo di intervistati corrisponde al 24,5% del campione (tab. 20). Le variabili che
connotano maggiormente il cluster sono quelle relative alle preferenze sul terzo settore. Per gli
appartenenti al gruppo le organizzazioni sociali vanno bene un po’ tutte: non hanno preferenze
rispetto alle dimensioni (87,8% nel gruppo vs. 37,1% nel campione); cosi come la storia dell’ente
non influisce sulla scelta di destinare il 5X1000 (77,5% contro 35,8%). Anche la mission non è
rilevante (53% all’interno del cluster 32,3% nel totale campionario). L’unica caratteristica rilevante
che l’ente al quale si destina il contributo Irpef operi a livello locale (65,9% nel gruppo, 35,1% nel
campione). Rispetto all’uso civico del denaro, gli intervistati inseriti in questo gruppo hanno tutti
fatto delle donazioni nell’ultimo anno; sia in occasione di eventi eccezionali sia in relazione a
specifici progetti. Questo gruppo di soggetti si fa interprete di quella che può essere definita una
forma di democrazia fiscale incondizionata: lo scarso interesse per la tipologia di organizzazione
per la quale devolvono o intendono devolvere il 5x1000 sta ad indicare un’adesione senza se e
26
I dati riferiti a questo gruppo sono riportati nella tabella 17.
19
senza ma ad una concezione rinnovata del fisco. Mettere le organizzazioni sociali nella condizione
di rafforzare la propria azione è per questi intervistati l’unica priorità.
Il terzo gruppo di intervistati è quello più numeroso (44,8% del campione – tab. 21). Come nel
gruppo precedente, l’uso sociale del denaro è ampiamente diffuso: tutti gli intervistati inseriti nel
cluster hanno fatto donazioni; sia in occasione di eventi eccezionali (44,2%), sia per progetti
specifici (38,6%) o in entrambe le situazioni (31,6%). Le differenze con i sostenitori della
sussidiarietà incondizionata emergono rispetto alle caratteristiche delle organizzazioni da sostenere.
Il primo elemento rilevante la storia dell’organizzazione: per il 75,8% degli appartenenti al gruppo è
importante che l’ente beneficiario abbia una tradizione consolidata (la percentuale nel campione è
di venti punti più bassa – 53,9%). In seconda battuta è necessario che l’organizzazione sia
conosciuta e dei grandi dimensioni (60,9% nel gruppo contro il 41,8% del campione). Anche sulla
mission ci sono opinioni precise: per il 69,9% degli appartenenti al gruppo occorre premiare le
organizzazioni che aiutano le persone svantaggiate (nel campione la percentuale relativa a questa
modalità è 59,4%). Infine nel 50,9% dei casi (40,4% nel campione) è da preferire
un’organizzazione attiva su scala locale. All’interno di questo gruppo il 5X1000 viene visto come
uno strumento per sostenere la componente più strutturata del terzo settore. L’interesse di questi
intervistati non è rivolto verso le cosiddette grassroots organizations, ma verso le grandi centrali
associative. Soggetti esperti e consolidati che offrono servizi di qualità elevata e realizzati con
professionalità. Si tratta della spina dorsale del welfare mix: associazioni di promozione sociale e
organizzazioni di volontariato attive da anni e ramificate sul territorio che con il tempo hanno
acquisito la fiducia dei cittadini. La concezione della sussidiarietà espressa da questo gruppo di
intervistati è decisamente radicale: si ipotizza che tramite il 5X1000 la società civile possa allargare
la propria sfera di intervento, con il traino delle grandi organizzazioni.
6. Leggendo in parallelo le due indagini
Le dinamiche assunte dall’impegno pro-sociale sono varie. Tra gli iscritti alle APS, influiscono sui
diversi profili partecipativi, l’ambito operativo dell’associazione, l’essere disponibili a prestare
aiuto gratuito all’interno e soprattutto all’esterno dell’associazione, il livello d’infomazione
(indicatore indiretto di un atteggiamento riflessivo nei confronti della realtà nella quale si vive), lo
status socio-economico dell’individuo e le convinzioni religiose. In generale, i comportamenti prosociali continuano a stare assieme: si aggiornano i repertori, ma il passo tra associazionismo e altre
forme di impegno continua ad essere abbastanza breve.
20
Nel contesto di un’elevata propensione all’uso socialmente responsabile del denaro, l’elemento di
spicco è che le elargizioni liberali e (in misura minore) le pratiche alternative di consumo
dipendono dallo status dell’individuo. Non si tratta solo di una maggiore disponibilità di risorse
economiche, ma anche di una superiore capacità di comprendere come, quella che è una piccola
rinuncia per una persona media, possa incidere positivamente sulle condizioni di vita di individui
maggiormente bisognosi. Il caso del consumo critico è in questo senso esemplare: anche se taluni
prodotti hanno un prezzo maggiorato o sono difficili da reperire, alcuni associati sono dell’avviso
che valga la pena di mettere da parte il risparmio (o la comodità) per acquistare beni di consumo
che non arrechino danno all’ambiente o alla comunità.
Anche l’indagine sui contribuenti suggerisce elementi utili a meglio definire i repertori pro-sociali
dei cittadini. Occorre innanzitutto rimarcare che questa innovazione fiscale raccoglie consensi
molto ampi: i cittadini sembrano averne compreso appieno il senso. Sanno che per le organizzazioni
del sociale questa forma di sostegno è vitale, ma allo stesso tempo ritengono che gli introiti
derivanti dalle quote Irpef debbano essere spesi per sviluppare progetti innovativi. È altrettanto
diffusa la consapevolezza che il 5x1000, come anche le deduzioni da imposta sulle donazioni al
Terzo settore (il “Più dai meno versi” - l. 80/2005), se decisamente piegati verso obiettivi di utilità
pubblica, spesso in risposta ad una mancanza offerta dello Stato, è un asse fondamentale per la
riforma del modello sociale italiano;come, peraltro, richiamato nel “Libro Bianco sul futuro del
modello sociale” [MLPS 2009]. Nel più ampio contesto dei rapporti tra sussidiarietà verticale e
orizzontale [Antonini 2005, Cipollina 2007]27, la partecipazione e della responsabilizzazione dei
cittadini passa, innanzitutto, attraverso forme che ne incentivano l’autonomia decisionale: quando
sono messi nelle condizioni di decidere i cittadini lo fanno. I risultati dell’indagine sui contribuenti
sembrano delineare una situazione nella quale l’antico principio no taxation without representationil contributo individuale alle risorse collettive (tecnicamente rappresentato dalla tassazione
pubblica) va inestricabilmente collegato alla rappresentanza democratica delle istanze dei cittadini trova un diffuso sostegno. Ci sono coloro che in questa transizione preferiscono dare fiducia
soprattutto alle grandi organizzazioni, ai professionisti del sociale; ci sono poi quei cittadini che
hanno una fiducia incondizionata nelle capacità della società civile. Legare la questione fiscale a
quella della democrazia significa infine riconoscere che l’asse elettore, beneficiario della spesa
pubblica, contribuente non è più cosi lineare. Il paradigma classico della democrazia fiscale è
quindi in piena crisi: i cittadini se ne sono accorti e reclamano la propria autonomia.
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La sola sussidiarietà verticale (di per sé fondamentale per mantenere la coesione sociale e garantire un’erogazione
di servizi equivalente a tutti i cittadini), non è stata in grado di rispondere alle esigenze di legittimazione e democraticità
dei sistemi istituzionali, colpiti dalla crisi di sovranità degli ultimi decenni [Antonini 2006].
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Certamente, non bisogna sottacere i rischi di autoreferenzialità di questi fenomeni: i donatori, i
volontari come i contribuenti che destinano il 5x1000 al sociale sono individui ben inseriti nei
circuiti associativi. Sorge il dubbio che il sostegno al terzo settore sia una priorità solo per la base
sociale della società civile organizzata, soprattutto quella più strutturata, in grado di drenare risorse
attraverso azioni di fund raising svolte in modo professionale e capillare. Sotto questo profilo, il
parallelismo con la tesi della professionalizzazione del sociale suggerita da Skocpol non appare
fuori luogo. Di qui, infine, occorre richiamare quello che è storicamente uno dei limiti
dell’associazionismo italiano. La capacità inclusiva delle reti associative non è assoluta. Il ruolo
dello status socio-economico nell’indirizzare i comportamenti civici conferma la scarsa capacità del
terzo settore italiano di coinvolgere gli strati inferiori della popolazione [Biorcio, Vitale 2010:
460].Questo limite si riscontra anche sul fronte del 5x1000. Il profilo sociale dei contribuenti che
decidono di avvalersi di questo strumento e molto connotato: in altre parole, fatta eccezione per un
gruppo di nuovi contribuenti (giovani e anche meno consapevoli), il 5x1000 non sembra aver
sfondato al di fuori delle pur ampie popolazioni associative italiane.
Nel complesso, le due indagini restituiscono uno scenario composito, dove la partecipazione sociale
dei cittadiniha diversi gradi di intensità: laddove c’è una compresenza di azioni dirette (volontariato
e attivismo all’interno dell’associazione) e indirette (donazioni, 5x1000 e consumo responsabile), si
delinea un profilo di cittadino impegnato e attivo.
Anche coloro che agiscono la solidarietà
mettendo soprattutto “mano al portafoglio” sono mediamente più attivi, e socialmente sensibili, del
resto dei cittadini italiani.
Resta da affrontare la questione dell’impegno sociale al di fuori delle grandi reti associative. Sotto
questo profilo, il confronto internazionale è negativo. Le vitalità interna al segmento del terzo
settore non deve spingere a trascurare il più ampio tema della mancata diffusione di una cultura
civica condivisa all’interno dei vari strati della popolazione italiana.
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