I repertori pro-sociali dei cittadini italiani Una mappa Marco Marucci ISFOL (Area Risorse strutturali e umane dei sistemi formativi) Corso d’Italia, 33 00198 Roma, Tel. 06-44590200, [email protected] Gianfranco Zucca IREF (Istituto di Ricerche Educative e Formative) Via E. Bezzi, 23-25, 00153 Roma Tel. 06-5840521, [email protected] Paper for the EspanetConference “Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa” Milano, 29 Settembre — 1 Ottobre 2011 SESSIONE Terzo settore e partecipazione dei cittadini: volontariato, rappresentanza, cittadinanza attiva Abstract Sebbene negli ultimi decenni sia andata declinando, la partecipazione sociale dei cittadini italiani rimane un tema molto studiato. Ricerche recenti si sono occupate delle forme individuali d’impegno, di quelle collegate al consumo e alle mobilitazioni locali, evidenziandone il carattere pro-sociale e finanche politico. L’impegno sociale tende quindi a differenziarsi: ci si può limitare ad un sostegno economico, tramite una donazione o destinare il 5X1000 ad una specifica associazione; si può partecipare, in modo più o meno intenso, alle attività portate avanti dall’organizzazione alla quale si è deciso di aderire o esprimere la propria carica partecipativa in al di fuori dell’associazione, anche tramite affiliazioni plurime. I cittadini attraverso il volontariato, l’associazionismo, ma anche le donazioni e le forme alternative di consumo, assemblano un personale repertorio partecipativo, differente a seconda della collocazione sociale, delle esperienze e delle motivazioni.Nelpaper si cerca di ricondurre questi differenti repertori ad alcuni tipi di base. Attraverso i dati raccolti in due diverse indagini realizzate dall’ISFOL su particolari sottogruppi di cittadini si tracciano alcuni profili di partecipazione sociale. Con una survey su un campione di iscritti ad associazioni di promozione sociale analizza il nocciolo duro del civismo italiano: quei cittadini che decidono di spendersi in prima persona all’interno di un’organizzazione sociale (grande o piccola che sia); un’altra indagine campionaria (su un campione di cittadini che destinano il 5xmille alle organizzazioni sociali) analizza soggetti che, pur non essendo necessariamente attivi all’interno del terzo settore, manifestano una forte vicinanza al mondo dell’associazionismo. Il confronto tra i dati raccolti in queste due rilevazioni evidenzia ampi margini di sovrapposizione e una forte articolazione dei comportamenti pro-sociali. In entrambe le indagini si nota che accanto alle forme più tradizionali di partecipazione sociale si stanno facendo spazio, comportamenti e stili di vita che benché possano apparire lontani dal concetto di civismo, vengono vissuti da chi se ne fa interprete in piena continuità con il proprio impegno sociale. Anche l’uso sociale del denaro (5X1000 e donazioni) presenta elementi di comunanza, almeno a livello di motivazioni, con forme più strutturate e impegnative di coinvolgimento. Nel complesso, sembra che la base sociale del terzo settore italiano stia diventando sempre più composita e differenziata, tramonta, in altre parole, l’immagine unitaria del “militante” e all’orizzonte si delineano differenti profili di impegno. 2 1. Introduzione Uno degli elementi ricorrenti negli studi sulla partecipazione civica è che i comportamenti prosociali sono complementari tra loro. Un esempio in tal senso è il legame tra attività di volontariato e donazioni. A riguardo, in una delle ricerche fondamentali sull’argomento, Robert Putnam[2004: 151] afferma che: tra le pressioni della vita di tutti i giorni, donare tempo e donare denaro sembrano spesso vie alternative per manifestare generosità. In mancanza di uno dei due, possiamo dare l’altro. Generalmente però volontariato e filantropia sono complementari e non si escludono a vicenda. Alcuni danno molto di entrambi altri poco di tutti e due. […] Il volontariato è il predittore più forte per la filantropia e viceversa. Analogamente, chi dona il sangue mette a disposizione anche più tempo ed è più filantropico. I comportamenti altruistici tendono a stare insieme. È questo il punto di partenza del paper.Volontariato, donazioni (in denaro, sangue o altro) assieme alla partecipazione alle riunioni di gruppi e organizzazioni sociali sono gli indicatori maggiormente usati per studiare la partecipazione sociale al punto che sono stabilmente inseriti nell’Indagine multiscopo sulle famiglie, realizzata dall’Istat. Tuttavia, volontariato e donazioni non esauriscono lo spettro dei comportamenti civici. Ad esempio, nella sfera dei consumi sono sempre più diffuse forme socialmente consapevoli di spesa. Il cosiddetto consumo critico è stato a più riprese analizzato usando la lente della partecipazione sociale: i risultati di ricerca disponibili evidenziano la vicinanza di queste pratiche con la sfera della partecipazione sociale e politica [Sassatelli 2003; Tosi 2006; Lori, Volpi 2007; Rebughini, Sassatelli 2008; Ceccarini 2008a]. Più in generale, l’uso sociale del denaro ha ricevuto un forte impulso con l’introduzione della possibilità di destinare il 5x1000 dell’Irpef a organizzazioni del terzo settore o operanti nella ricerca medica. Sebbene questo meccanismo fiscale non sia ancora inserito in modo stabile nell’ordinamento italiano, i dati sul numero di contribuenti che se ne sono avvalsi evidenziano un’accoglienza decisamente positiva da parte dei cittadini1. Se invece si guarda alle mobilitazioni e ai movimenti sociali, piccoli o grandi che siano, si nota una rinnovata vitalità che si esprime in forme conflittuali e ambivalenti soprattutto rispetto alle questioni Marco Marucci si è occupato dei punti 3, 5 e 6, Gianfranco Zucca dei punti 1, 2 e 4. Per avere una misura delle dimensioni del fenomeno è sufficiente prendere in esame i dati diffusi dall’Agenzia delle Entrate in riferimento alle donazioni effettuate nel 2008: “per il terzo anno consecutivo, i contribuenti hanno indirizzato le proprie preferenze sulla categoria delle Onlus e del volontariato, che riceverà per il 2008 ben 265,8 milioni di euro. […] Sono 28.171 gli enti che beneficeranno del 5 per mille per il 2008. Di questi, 26.596 sono enti del volontariato, 333 gli enti della ricerca scientifica, 90 quelli della ricerca sanitaria e 1.152 le associazioni sportive dilettantistiche [Agenzia delle Entrate, 2010: 1] 1 3 dell’ambiente e della qualità della vita nelle città [Vitale 2007; Caruso 2011]. Anche le recenti elezioni amministrative sono state attraversate da un notevole fermento, laddove alcune candidature date per sfavorite hanno ribaltato il pronostico sospinte dal consenso popolare e da reti di volontari. Per non parlare poi di internet che sempre più spesso non è solo uno strumento di comunicazione ma uno spazio di media-attivismo2. L’impegno sociale tende quindi a differenziarsi. Ma se le pratiche si fanno sempre più eterogenee, i campi d’azione numerosi e distinti, l’idea della complementarietà dei comportamenti pro-sociali è ancora valida? In questo lavoro, cerchiamo di offrire qualche elemento per rispondere a questa domanda. Attraverso i dati di due indagini su sottogruppi particolari di cittadini italiani intendiamo analizzare la compresenza di comportamenti civici “nuovi” (consumo responsabile e 5x1000) e “vecchi” (volontariato e associazionismo). I due gruppi di cittadini analizzati sono un campione di iscritti ad associazioni di promozione sociale e un campione di contribuenti che hanno deciso di destinare il 5x1000 ad una organizzazione operante nel sociale. Trattandosi di individui scelti sulla base di una particolare caratteristica è opportuno in via preliminare offrire una misura della diffusione dei comportamenti pro-sociali più tradizionali (volontariato e donazioni) in Italia in Europa. Ciò risulta necessario perché nel nostro paese queste forme di impegno e solidarietà sono nettamente meno diffuse che in altri nazioni europee. 2. Le tendenze di medio-periodo della partecipazione sociale Considerando i dati sulla partecipazione sociale raccolti dall’Istat tramite la Multiscopo sulle famiglie (tab. 1)3, tra il 2001 e il 2009 si riscontra una relativa stabilità dei principali indicatori di civismo. Si mantengono attorno al 2% gli italiani che prendono parte a riunioni in associazioni ecologiche, per i diritti civili e la pace; crescono leggermente sino ad arrivare al 9,3% della popolazione gli individui che partecipano ad incontri organizzati da associazioni culturali. Il volontariato è stabile anch’esso attorno al 9% mentre l’attività gratuita all’interno di un sindacato rimane negli ultimi anni al di sotto dell’1,5%. L’unica attività sociale che presenta un andamento in crescita (seppur irregolare) sono le donazioni nei confronti di associazioni che, nel 2009,ha interessato il 16,7% dei cittadini italiani. I dati Istat sono in parte confermati da quanto diffuso nelle diverse edizioni del Rapporto sull’associazionismo sociale, realizzato periodicamente dall’Istituto di Ricerche Educative e 2 Si pensi alla diffusione dei contenuti (news, video e commenti) prodotti dagli utenti della rete (user generated content). 3 Le tabelle e i grafici sono posti al termine del testo. 4 Formative di Roma. Le rilevazioni Iref (tab. 2) evidenziano che nel corso degli anni Novanta il tasso d’iscrizione alle organizzazioni sociali non ha subito cali particolari: in questi anni l’iscrizione alle associazioni sociali si mantiene attorno al 20%, per scendere al 18,2% nel 2002 e balzare al 23,1% nel 2006. Il tasso d’iscrizione non implica necessariamente una concreta partecipazione alle attività dell’organizzazioni per cui si può essere semplici simpatizzanti e non contribuire in alcun modo alla vita dell’organizzazione. Il secondo indicatore diffuso dall’Iref offre una misura più precisa dei livelli di partecipazione degli intervistati nell’indagine. Considerando il tasso di partecipazione attiva si nota una crescita relativa continua che nell’ultima rilevazione disponibile arriva a toccare il 48,1% degli iscritti alle associazioni. Sembra quindi essersi stabilizzato il rapporto di uno a due tra attivisti e iscritti. Se invece si esaminano i dati in prospettiva europea si nota come i valori fatti registrare tra la popolazione italiana siano nettamente più bassi di quelli presenti in altri paesi (graf. 1).Usando i dati della European Social Survey si riscontra che i tassi di adesione e partecipazione sono tra i più bassi d’Europa, sul livello di quelli fatti registrare negli altri paesi del bacino mediterraneo (fatta eccezione per la Francia). Con il 35% di iscritti e il 22% di soggetti attivi l’Italia è molto distante dalla media Ue (posta, rispettivamente, al 54% e al 34%) e ancor più distante dalle percentuali fatte registrare nei paesi dell’Europa continentale. Un altro termine di paragone a livello internazionale è dato dall’azione volontaria (graf. 2). In questo caso, il risultato pone l’Italia in coda alla graduatoria europea (appaiata alla Polonia e dopo la Grecia) con il 5% della popolazione che svolge attività non retribuita per una organizzazione della società civile. Tale dato appare sottostimato rispetto a quanto rilevato dall’Istat4, tuttavia si conferma una differenza molto forte con i paesi del Nord-Europa che presentano tassi di volontariato ampiamente al di sopra del 25% della popolazione Un terzo elemento di comparazione su scala europea è dato dalla quota di popolazione che nel corso di un anno effettua donazioni in denaro per cause sociali (graf. 3). Sempre secondo i dati elaborati sulla base dell’ESS, nel nostro paese il 12% della popolazione ha devoluto una qualche somma per il sociale. Tale percentuale è ben al di sotto della media riferita agli altri paesi considerati nell’indagine (25%) e quasi trenta punti più bassa rispetto all’Europa del Nord. Limitandosi a considerare gli indicatori standard di partecipazione sociale,la vitalità della società italiana appare alquanto limitata. 4 La differenza in negativo è probabilmente legata all’errore statistico dal momento che il campione dell’ESS è numericamente molto inferiore (1500 casi) a quello dell’Istituto nazionale di statistica (20mila nuclei familiari per quasi 50mila individui). 5 Varie sono le chiavi di lettura per questo stato di cose. Innanzitutto occorre ricordare che per decenni l’associazionismo italiano è stato legato a doppio filo con i principali partiti politici. Con la dissoluzione dei legami partitici5, iniziata nella Seconda Repubblica, si è messa in moto una trasformazione dell’associazionismo che ha comportato una perdita di adesioni. Secondo Biorcio [2008: 76-77]: la crisi dei partiti di massa, e la loro trasformazione in partiti professionali-elettorali ha reso tendenzialmente più autonome le associazioni e trasformato il significato della loro azione e le motivazioni per la partecipazione. […] Il forte ridimensionamento delle adesioni ai partiti politici rivela la minore capacità di attrazione di queste organizzazioni, e l’indebolimento del loro radicamento sociale. Ma rende anche evidente la fine del collateralismo: la drastica riduzione della capacità dei partiti politici e dei loro attivisti di esercitare influenza sulle molteplici reti organizzative esistenti nella società civile. In un’Italia nella quale i partiti della Seconda repubblica raccolgono qualche centinaio di migliaia di aderenti e i sindacati vedono di anno in anno calare gli iscritti, gli associati rappresentano una riserva di partecipazione, in un panorama segnato dal disimpegno. Non è quindi un caso che i partiti politici, di destra come di sinistra, cerchino di corteggiare la società civile, richiamandosi ad essa per offrire una legittimazione popolare alle proprie iniziative e proposte. La contenuta partecipazione civica degli italiani può essere anche letta in parallelo con una dinamica peculiare del contesto statunitense, ma in qualche modo presente anche in Italia. A partire dagli anni Ottanta, diversi studiosi di area nord-americana [Eliasoph 1998; Skocpol, Fiorina 1999; Skocpol 20036] hanno rilevato come al termine del ciclo dei movimenti per i diritti civili la partecipazione sociale pur rimanendo su livelli relativamente elevati abbia subito una metamorfosi. Una delle critiche più conosciute e incisive è quella formulata da Theda Skocpol [Skocpol 2003: 143] che riflettendo sulla civic culture arriva a concludere che il nuovo panorama associativo statunitense è composto essenzialmente da gruppi di advocacy e istituzioni non profit, guidate da professionisti del sociale e non da soggetti espressione di un determinato gruppo o comunità. Queste associazioni hanno grandi mailing list ma pochi membri; usano articolate strategie di comunicazione sociale e sviluppano la propria agenda di priorità attraverso azioni di lobbying e non di mobilitazione dei propri iscritti. [Skocpol 2003: 177–178]. La professionalizzazione del terzo settore italiano, sebbene sia un fattore che ne testimonia la maturazione [Forum del Terzo Settore 2010], può avere contribuito all’allontanamento dei cittadini dalle reti associative. 5 Ad essere precisi, la crisi riguarda il livello associativo-territoriale della membership (party on the ground),mentre il livello organizzativo e il ruolo degli apparati centrali (party in central office) non è stato soggetto ad alcuna forma di indebolimento (Raniolo 2008). 6 Per una sintesi di questa letteratura comprensiva di controcanti critici si veda Hoch2008. 6 3. Due indagini sulla partecipazione sociale Tenendo sullo sfondo queste tendenze, nelle prossime pagine esamineremo due gruppi di cittadini che esprimono il proprio senso civico con modalità e gradi diversi. Da una parte lo zoccolo duro dell’associazionismo, gli iscritti alle associazioni di promozione sociale, dall’altra quei cittadini che attraverso la leva fiscale decidono di sostenere il terzo settore. L’obiettivo è comprendere se oltre ad una tessera o ad una firma sul 730 questi individui agiscano altre forme di partecipazione civica. Il presupposto dell’analisi coincide, almeno in parte, con la tesi di Putnam presentata in apertura del paper, la differenza è data dall’interesse nei confronti delle intersezioni tra i comportamenti civici. Entrando nel dettaglio delle due indagini, occorre innanzitutto precisare che entrambe sono state condotte dall’Isfol, Area Risorse strutturali e umane dei sistemi formativi. La prima survey, realizzata in collaborazione con l’Iref, risale al 2008 ed ha interessato 851 soggetti iscritti ad associazioni di promozione sociale7. La ricerca, commissionata dall’Osservatorio sull’associazionismo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, aveva l’obiettivo di esplorare il mondo degli iscritti alle Associazioni di Prommozione Sociale (d’ora in poi APS), cercando d’identificare eventuali differenze nel profilo e nei comportamenti rispetto agli individui che invece decidevano di aderire a forme associative meno strutturate. La seconda ricerca ha invece interessato 601 contribuenti che nel corso dell’anno fiscale 2009 hanno destinato il 5x1000 dell’Irpef ad organizzazioni del sociale. Lo studio ha avuto un taglio essenzialmente esplorativo poiché, sebbene siano stati milioni i cittadini che hanno deciso di usufruire di questa possibilità, l’unica indagine disponibile era stata realizzata nel 2007 [IREF 2007]. La ricerca oltre alle consuete informazioni demografiche, sonda anche la dimensione della partecipazione sociale, seguendo l’ipotesi che sussista una relazione tra civismo e uso sociale del denaro. Infine un’ulteriore area di attenzione trattata nell’indagine riguarda le opinioni dei contribuenti rispetto ai meccanismi di rendicontazione e valutazione8. 7 La ricerca è basata su un campione per quote. Le variabili di stratificazione sono state stimate attraverso i microdati dell’indagine multiscopo sulle famiglie italiane dell’Istat (anno 2006), con un errore statistico contenuto nella soglia del ±3%. Il sondaggio è stato realizzato dalla società di ricerche Codres di Roma. La rilevazione si è conclusa nella prima parte del mese di ottobre 2008. Le interviste sono state condotte con il metodo CATI. Per maggiori informazioni sulle specifiche tecniche della ricerca si veda Caramelli, Carlini, Gaudio 2010: 93-97. 8 La survey è stata realizzata in modalità CATI dalla società Pragma Research tra ottobre e novembre 2010. Nella definizione della metodologia di indagine è stato necessario prestare molta attenzione alla corretta identificazione dei soggetti eleggibili per l’intervista. Attraverso una serie di domande filtro si è giunti all’identificazione dello specifico target d’indagine. Per raggiungere questo gruppo di cittadini sono stati necessari un gran numero di contatti telefonici poiché, oltre a ricercare soggetti che avessero deciso di destinare quota parte dell’Irpef, si è dovuto selezionare solo coloro che avessero fatto tale donazione nei confronti di un’organizzazione del sociale. Tale operazione si è rivelata 7 L’obiettivo dell’analisi che segue è evidenziare come all’interno di specifici gruppi di cittadini si stiano delineando dei repertori partecipativi eterogenei che portano a superare l’immagine dell’homo reciprocus come soggetto che riassume in sé tutte le virtù civiche. Nel complesso, l’analisi cerca di offrire un contributo per allargare la definizione di cittadinanza attiva, includendo anche comportamenti e pratiche sinora trascurate. 4. I comportamenti pro-sociali degli associati: donazioni, consumi e volontariato Il coinvolgimento dei tesserati o semplici simpatizzati all’interno di un’associazione è variabile. Al di là della ricorrenza con cui si prende parte alle attività associative, si deve tener conto della qualità della partecipazione. Alcune persone si avvicinano in modo occasionale alle iniziative, magari solo per assistere a un evento o passare il proprio tempo libero; altri, invece, danno maggiore continuità al loro impegno, svolgendo un ruolo attivo nell’organizzazione. Un buon indicatore del grado di coinvolgimento è la frequenza con la quale si partecipa alle attività organizzate dall’associazione (tab. 3). Il campione è composto prevalentemente (52,5%) da persone che prendono parte alle iniziative associative almeno una volta a settimana; poco più di un quarto degli intervistati (27,4%) partecipa, invece, almeno una volta al mese. Nel complesso quindi gli individui contattati per l’indagine sono coinvolti in modo continuativo nella vita associativa: chi prende parte in modo sporadico alle attività rappresenta solo il 12,9%. Passando dai comportamenti all’auto definizione (tab. 4), si nota che nel 60,9% dei casi, gli intervistati si definiscono soci/simpatizzanti, mentre il 31,1% afferma di essere un membro coinvolto nelle iniziative. Infine l’8,1% si definisce un’attivista. Sebbene la cerchia degli attivisti sia più ristretta rispetto al nucleo allargato dei simpatizzanti e dei tesserati, non bisogna trascurare che oltre all’auto definizione ci sono i comportamenti agiti dagli associati all’interno e all’esterno dell’organizzazione (tab. 5). Innanzitutto, quasi la metà degli intervistati svolge attività di volontariato all’interno dell’APS (47,7%). Se poi si considera anche il volontariato all’esterno dell’associazione la percentuale dei volontari sale quasi al 60%: tra costoro il 22,2% fa volontariato sia all’interno che all’esterno dell’organizzazione alla quale è iscritto, il 25,5% invece solo all’interno della sua APS. Mentre il 12% fa volontariato solo al di fuori della associazione9. alquanto laboriosa (di qui l’elevata quota di rifiuti all’intervista, 4326). Nel complesso, per ottenere un’intervista valida, sono stati necessari in media dieci contatti. 9 Gli associati che praticano volontariato extra-associativo si riuniscono in piccoli gruppi, evitando le grandi organizzazioni e prediligendo ambiti dove, con tutta probabilità, l’azione volontaria si svolge in modo diretto e personalizzato. Questa tendenza a svolgere attività informali di volontariato, il più delle volte, risponde all’esigenza di 8 4.1 Il valore sociale del denaro Tenendo sullo sfondo l’esperienza associativa, occorre adesso procedere verso l’esterno analizzando altre forme di azione pro-sociale. Nel corso dei dodici mesi precedenti la rilevazione il 38% degli intervistati ha firmato per la destinazione del 5 per mille sulla dichiarazione dei redditi; il 17,3% ha, invece, versato del denaro per sostenere un bambino bisognoso (adozioni a distanza); mentre il 40,8% degli intervistati ha fatto almeno una donazione in denaro (tab. 6). Scomponendo i dati a seconda dell’ambito associativo di appartenenza degli associati, si riscontra una diffusione disuguale di ciascuno dei tre comportamenti. Nell’ambito delle associazioni legate ai temi della globalizzazione, il 56,5% degli intervistati ha destinato al sociale il 5 per mille dell’Irpef; valori superiori al dato campionario si riscontrano anche tra gli aderenti ad organizzazioni che operano in campo educativo e culturale 44,4%) e socio-assistenziale (49,2%). Lo stesso andamento si riscontra per quel che riguarda le adozioni a distanza, dove gli aderenti ad associazioni dei tre ambiti appena menzionati fanno riscontrare valori più alti a quelli dell’intero campione (rispettivamente 26,8%, 25,8% e 21%). Per quel che riguarda invece le donazioni, coloro che s’impegnano nell’ambito della critica alla globalizzazione sono anche molto più disponibili a donare somme di denaro a sostegno di cause a loro parere meritevoli (59,4% vs. 40,8%); una propensione simile ma meno marcata (49,2% vs. 40,8%) è presente nell’ambito socio-assistenziale. Analizzando i comportamenti donativi alla luce del rapporto con l’associazione (tab. 6) si può inoltre notare che tra semplici tesserati/simpatizzanti e coloro che si autodefiniscono membri ci sono dei significativi scostamenti percentuali nella quota di individui che ha effettuato una qualche elargizione in denaro. Ha fatto donazioni a scopo benefico il 29,8% dei simpatizzanti contro il 48,1% dei membri; per quel che riguarda il 5x1000 le percentuali sono rispettivamente 34,3% contro 46,9%10. Valori superiori nei comportamenti donativi si riscontrano anche considerando l’attività di volontariato (tab. 7). Coloro che fanno volontariato sia all’interno sia all’esterno della propria APS hanno fatto donazioni nel 52,9% dei casi, hanno firmato per il 5X1000 nel 48,1% e il 29,1% di questi intervistati ha sostenuto un bambino a distanza. Percentuali altrettanto alte si riscontrano tra confrontarsi con un problema specifico, incorporato nel quotidiano dell’individuo; cfr. Caramelli, Carlini, Gaudio 2010: 19-40 10 Nonostante la bassa numerosità campionaria per completezza si riportano anche i dati riferiti agli intervistati che si sono definiti attivisti: ha fatto almeno una donazione il 57,4% degli attivisti, mentre il 64,7% ha destinato il 5x1000 e il 41,2% ha inviato denaro per una adozione a distanza. Quest’ultimo valore tra i simpatizzanti ammonta al 14% tra i membri al 17,9%. 9 chi fa volontariato solo all’esterno dell’APS11. Al contrario nel sottogruppo di individui impegnato esclusivamente nel volontariato all’interno dell’associazione i comportamenti donativi si presentano con minore frequenza (donazioni: 23%, 5x1000: 24%, adozioni: 7,8%). Nel complesso, gli associati sembrano dimostrare una buona disponibilità verso le elargizioni in denaro (il 57% ha compiuto almeno una delle azioni di beneficenza appena esaminate), una propensione che però appare segmentata a seconda dell’ambito d’azione nel quale opera l’organizzazione e dipendente da altri comportamenti pro-sociali, primo su tutti il volontariato. Esaminando, infine, le diverse combinazioni che può assumere l’uso sociale del denaro si ottengono ulteriori elementi di riflessione. Lasciando da parte quella quota pur consistente d’intervistati che nel corso dell’ultimo anno non ha fatto nessun tipo di elargizione (43%), coloro che si sono limitati ad una sola azione rappresentano il 28,3% (il 13,6% ha destinato il 5 per mille, l’11,3% ha fatto una donazione e il 3,4% ha dato un contribuito per una adozione a distanza); il 18,3% degli associati ha invece deciso di usare il proprio denaro a scopi sociali in due occasioni (la combinazione maggiormente frequente è quella tra 5 per mille e donazioni 14,8%). Infine, dieci associati su cento hanno dato il proprio denaro attraverso tutti e tre i canali. Tornando ad un livello d’analisi più generale, è invece necessario comprendere le caratteristiche che distinguono gli associati che hanno elargito una qualche somma per cause sociali da coloro che invece non hanno ritenuto di fare altrettanto. La variabile che meglio aiuta a spiegare questa differenza è lo status socio-economico12 (tab.8). Dai dati si riscontra una spiccata correlazione tra condizione socio-economica e liberalità: tra gli intervistati con una posizione sociale elevata, il 70% ha, nel corso dell’anno passato, fatto una qualche elargizione in denaro; la percentuale diminuisce al calare dello status, passando al 56,4% per il livello medio e, infine, si ferma al 40,9% per i soggetti con una posizione socio-economica bassa: al di là, dell’ovvio influsso della componente economica dello status, è interessante notare come l’interazione tra vantaggi materiali e maggiori capacità cognitive (titolo di studio) influenzi positivamente i comportamenti donativi. Questo risultato sembra rappresentare una conferma nel campo dell’associazionismo del ben noto modello della centralità sociale. Sebbene l’analisi di questo nesso fornisca un buon contributo esplicativo, non bisogna dimenticare che alla base degli usi sociali del denaro spesso si ritrovano sostrati valoriali che portano gli 11 Rispetto ai tre indicatori considerati si ha: donazioni 51%, 5x1000 47,1%, adozioni 23,5%. Lo status è una variabile indice costruita in due fasi. Inizialmente si è incrociata la professione dell’intervistato con una domanda sulla difficoltà a far fronte ai consumi primari (tale quesito è stato considerato una proxy del reddito), una volta ridotto lo spazio d’attributi si è ottenuto un indice a tre posizioni che è stato a sua volta incrociato con il titolo di studio. Per “alto status” si intende quindi un individuo con una posizione professionale superiore (imprenditore, dirigente, quadro), che nel corso dell’ultimo anno non ha avuto problemi economici ed è in possesso di un titolo di studio elevato. 12 10 individui a superare i limiti oggettivi della propria condizione economica. Difatti, se accanto allo status s’introduce una variabile come la frequenza ai riti religiosi si notano elementi di notevole interesse per comprendere le motivazioni che sottostanno ai comportamenti donativi (tab. 9). A parità di posizione sociale, si riscontra una carica donativa superiore tra gli associati con un maggior livello di partecipazione ai riti religiosi: prendendo come termine di paragone gli intervistati con un’alta posizione socio-economica, laddove la partecipazione alle funzioni religiose è assente si ha il 57,1% di individui che hanno fatto una o più donazioni; tale percentuale sale al 66,4% nei casi di frequenza sporadica per arrivare all’87,1% tra coloro che partecipano in modo assiduo alla messa. Se, invece, si considerano le persone con un basso status si nota che in caso di assidua frequenza alle funzioni religiose il 60% ha fatto una qualche donazione, contro il 23,2% di chi non partecipa a tali funzioni. L’analisi tri-variata suggerisce che i comportamenti donativi dipendono sia dallo status, sia dalla religiosità dell’individuo, creando quello che si definisce un effetto cumulativo: ovvero l’influsso di queste due variabili prese assieme è superiore alla somma del contributo delle singole variabili (87,1% di effetto cumulativo contro il 70%13). Dalla disamina dei comportamenti filantropici degli associati si rileva, dunque, una netta propensione donativa: sia tramite esborsi diretti sia attraverso un meccanismo indiretto come il 5 per mille. Tale attitudine è più netta tra coloro che hanno uno status superiore e possono quindi contare su risorse economiche più consistenti. All’interno di questo gruppo si delinea anche un’ulteriore distinzione tra soggetti per i quali i comportamenti donativi rappresentano un modo per esprimere le proprie convinzioni religiose. 4.2 Il significato civico del consumo Un’altra azione pro-sociale che si esplica tramite un uso socialmente consapevole del denaro è legata alle forme di consumo alternativo. Il cosiddetto “consumo critico” e l’acquisto di prodotti del commercio equo e solidale sono due esempi di come le scelte di acquisto possano diventare, per aggregazione dei comportamenti individuali, tasselli di azione collettiva14. Sebbene, la connotazione “politica” di queste forme di consumo sia controversa [Sassatelli, 2003, 2008], non è inappropriato annoverare il consumo tra quelle azioni che, pur non avendo degli espliciti risvolti politici, evidenziano un maggior livello di attenzione nei confronti dell’interesse pubblico. In aggiunta a questa precisazione, bisogna rilevare che esiste un abbondante materiale 13 Dall’incrocio tra la variabile relativa alle donazioni e la frequenza ai riti religiosi si ricava che il 74,6% degli intervistati con una partecipazione religiosa assidua avevano fatto almeno una donazione nell’anno precedente. 14 Secondo Michele Micheletti [2003: xi] le forme più consapevoli di consumo critico possono essere definite “azioni collettive individualizzate”. 11 empirico che testimonia la maggiore diffusione di queste forme di comportamento tra coloro che già agiscono una qualche altra forma di partecipazione sociale e politica [Lori, Volpi 2007 e 2008]. Andando a controllare la diffusione di questi comportamenti all’interno del campione di associati (tab. 10) si riscontra che in generale il consumo critico interessa il 28,9% degli intervistati; mentre il 37,8% ha acquistato prodotti del commercio equo e solidale. Disaggregando le informazioni a seconda dell’ambito associativo, si nota che il consumo critico è maggiormente diffuso tra gli iscritti ad associazioni culturali/educative (41,3%) o socio-assistenziali (39,8%); in terza posizione ci sono gli iscritti ad associazioni impegnate sui temi della globalizzazione. Considerando l’acquisto di prodotti del commercio equo e solidale, le prime posizioni della graduatoria cambiano: compra prodotti solidali il 50,7% degli iscritti alle associazioni di critica della globalizzazione, il 50,4% di aderenti a realtà di ambito culturaleeducativo e il 44,5% di associati in ambito socio-assistenziale. La predominanza degli aderenti alle organizzazioni di critica alla globalizzazione nell’acquisto di prodotti equi e solidali può essere fatta risalire alla contiguità tra circuiti distribuitivi e movimenti alter-global: le botteghe del commercio equo e solidale sono spesso il collettore di altre esperienze di consumo alternativo (gruppi d’acquisto solidale; turismo responsabile, ambientalismo e riciclo) [Ceccarini2008a, 2008b]; si tratta di spazi d’acquisto mediamente più “militanti”, anche perché spesso vicini alla galassia dell’autogestione e dei centri sociali [Famiglietti 2008]. Al di là delle differenze tra i vari comparti associativi, se si esaminano i dati a partire dal tipo di volontariato svolto si nota una forte correlazione tra i soggetti impegnati all’interno e all’esterno della propria associazione e i comportamenti di consumo responsabile (tab. 11): acquista criticamente il 46% dei doppi volontari (nel totale campionario tale valore è del 28,9%) e sostiene il commercio solidale il 51,3% (a fronte di una dato campionario del 37,8%). Il consumo è spesso un atto irriflesso che subisce una serie di condizionamenti esterni; decidere di non acquistare un determinato prodotto perché nella sua produzione non vengono rispettati i diritti delle persone, degli animali o dell’ambiente è un atto essenzialmente cognitivo, che implica la comprensione di meccanismi di produzione che il consumatore medio non conosce e che, molto spesso, i produttori si guardano bene dall’esplicitare. Sulla scia di queste considerazioni si può comprendere come l’influenza del livello di informazione sulle due forme di consumo responsabile sia notevole (tab. 12). Al salire del livello di informazione15 aumenta anche la percentuale di 15 Il livello di informazione è una variabile indice ottenuta in due fasi: in un primo momento è stata riaggregata la frequenza con la quale gli intervistati leggevano giornali non sportivi, seguivano programmi di approfondimento e acquistavano riviste di attualità (si è passati da una scala temporale a cinque posizioni ad una a tre); in un secondo momento, dopo aver incrociato le diverse modalità informative, si è proceduto ad una riduzione dello spazio di attributi cercando di bilanciare il contribuito delle diverse fonti d’informazione. 12 individui che dichiarano di “agire” forme di consumo critico (dal 17,4% degli associati con un basso livello di informazione si arriva al 42,6% di coloro che hanno un livello alto). Lo stesso andamento si riscontra rispetto ai prodotti del commercio equo e solidale: dal 21% al 52,6%. A ciò si aggiunga che il 47,6% dei consumatori critici usa in modo assiduo Internet.L’uso della rete ha una funzione di contro-informazione, poiché attraverso internetè possibile accedere a web-site, blog e forum all’interno dei quali si dibattono e si promuovono campagne e azioni legate al consumo responsabile [Forno 2008]. Tra i vari comportamenti pro-sociali il consumo responsabile è dunque quello con una maggiore componente cognitiva: la scelta di acquisto si basa sulla presa di consapevolezza che il proprio gesto è un contributo ad una più complessiva critica dei meccanismi del sistema produttivo; in questo senso, un esempio classico sono le azioni di “buycott”, ovvero la decisione di non acquistare un determinato bene di consumo perché l’azienda che lo produce è socialmente poco responsabile. Le persone che, ad esempio, scelgono di non acquistare i prodotti di una multinazionale è molto probabile che conoscano le violazioni ambientali e le vessazioni sui lavoratori che l’azienda compie nei paesi dove hanno sede i suoi stabilimenti produttivi. 5. Un passo verso la democrazia fiscale: un’indagine sui contribuenti che destinano il 5x1000 organizzazioni di terzo settore Le donazioni al terzo settore rappresentano un sottogruppo particolare delle quote Irpef distribuite tramite il meccanismo del 5X1000. Il contribuente difatti, al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi, può optare per diverse tipologie di beneficiari (enti di ricerca medica, associazioni sportive, enti locali). Offrire una quota delle proprie tasse ad associazioni, organizzazioni di volontariato e cooperative, rappresenta una scelta molto significativa, soprattutto per comprendere il ruolo sociale che i cittadini assegnano alla società civile organizzata. Il 5X1000, difatti, rappresenta un atto di fiducia nelle capacità del privato sociale di farsi interprete di istanze solidali e mutualistiche. Sotto questo profilo, le organizzazioni della società civile possono rappresentare un patrimonio importante soprattutto in uno scenario di riforma del modello sociale che pone una notevole enfasi sul concetto di sussidiarietà16. Sotto questo profilo, il 5X1000 va considerato come un primo passo verso un rinnovamento normativo ormai necessario. La scelta di 16 Il nuovo modello sociale delineato nel Libro bianco del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali poggia sull’idea che: “enormi, e in parte non ancora esplorate, sono le potenzialità del terzo settore nella rifondazione del nostro sistema sociale visto che già oggi associazioni, gruppi di volontariato, imprese sociali, fondazioni e corpi intermedi si caricano dei bisogni dei singoli e trovano soluzioni innovative a essi” [MLPS 2009: 21]. La valorizzazione della società civile organizzata passa per la creazione di strumenti adeguati a potenziare la funzione che il terzo settore già assolve. 13 mettere mano al riordino del terzo settore, cominciando dalla dimensione fiscale è di per se significativa. Difatti, se il Terzo settore rappresenta un soggetto in grado di “tessere i fili smarriti della comunità” [MLPS 2009: 21] occorre sostenerlo e far sì che l’azione sociale delle diverse organizzazioni che lo compongono sia il più autonoma possibile. È evidente che l’autonomia vada di pari passo con la possibilità di differenziare le fonti di finanziamento. Il superamento del contracting-out come fonte principale di sostegno economico al non-profit passa appunto per una decisa implementazione delle forme di democrazia fiscale. In generale le tre fonti caratteristiche di sostegno economico delle organizzazioni sociali (fondi pubblici, attività economiche in senso stretto e donazioni) assieme all’introduzione di meccanismi di Percentage Philanthropy dovrebbero arrivare a costituire quello che Hadzi-Miceva [2005] definisce “a supportive financing framework”, un quadro di supporto finanziario nel quale, a seconda del tipo di organizzazione, una fonte è sì preponderante, ma non esclusiva17. D’altro canto non bisogna dimenticare che, con l’introduzione del 5X1000, si accresce anche l’autonomia dei contribuenti, intesa sia come capacità di autogovernarsi sia come indipendenza delle decisioni. Per i cittadini, il 5X1000 rappresenta una prima – e certamente parziale – applicazione del concetto di taxation self-determination. In senso giuridico, difatti, il 5X1000 non è assimilabile ad una donazione, ma è una forma di allocazione delle tasse. In altre parole lo Stato conferisce un diritto a ciascun contribuente di decidere dove allocare, e quindi come usare, una certa percentuale del bilancio pubblico [Bullain 2004]18. 5.1 Gli orientamenti dei contribuenti Trattandosi di un gruppo di cittadini poco conosciuto è opportuno fornirne un primo identikit. I contribuenti che decidono di destinare il 5X1000 dell’Irpef ad organizzazioni sociali sono per lo più individui in età matura con famiglia e in molti casi con figli, dotati di un titolo di studio medio-alto (68,1%), lavorano alle dipendenze (32,3%) o sono in quiescenza (32,1%), con un reddito non superiore ai 30mila euro annui (69%), risiedono per lo più in piccoli centri (77,2%). Sotto il profilo valoriale, hanno un legame forte con la tradizione cattolica o comunque sono credenti (85,7%). 17 Si ricorda che secondo i risultati del Comparative Nonprofit Sector Projectd ella Johns Hopkins University di Baltimora la prevalenza delle fonti di finanziamento dipende dalla settore nel quale opera l’organizzazione. Ad esempio le organizzazioni “a dominanza di servizio” basano la propria operatività soprattutto su contributi pubblici [Salamon, Sokolowski, List 2004: 28-29]. 18 Va detto che questa opportunità nei Paesi dell’UE è ancora poco diffusa [Hadzi-Miceva 2005]. Ciò è dovuto al fatto che, a livello legislativo, esistono ancora importanti limitazioni (vedi il meccanismo di pagamento delle imposte tramite il datore di lavoro) che non permettono ai cittadini di monitorare e orientare l’operato della propria Tax Authority [MLPS-ISFOL 2010: 43]. Tali limitazioni appaiono minori nei Paesi con sistemi federali avanzati. 14 Nulla invece si può dire sulla provenienza geografica: per una volta l’Italia sembra unita nello spirito filantropico, anche in periodi di congiuntura economica sfavorevole. Volendo inquadrare il livello di impegno e di civismo, sono state rivolte alcune domande per capire se ci si trovasse di fronte a donatori una tantum o a donatori abituali: il 72% degli individui contattati ha dichiarato di aver fatto una donazione in denaro a scopo benefico nei dodici mesi precedenti l’intervista; più di un intervistato su cinque afferma di essere attualmente coinvolto in un’attività non retribuita all’interno di un’organizzazione di volontariato, quasi il 70% è iscritto a un’organizzazione non profit, l’88,2% aveva donato il 5x1000 anche l’anno precedente. Il donatoretipo quindi è ben inserito nel circuito dell’associazionismo. Passando alla scelta del beneficiario, in linea con un profilo di individuo altamente inserito nel mondo dell’attivismo sociale, si riscontra un’alta percentuale di persone (94,3%) che ha indicato un ente specifico (vi è infatti la possibilità, in sede di compilazione del 730 di devolvere il 5x1000 senza l’indicazione della specifica organizzazione di Terzo settore). Tra le caratteristiche che orientano la scelta del beneficiario, nel 40,4% dei casi c’è la vocazione territoriale dell’ente, ovvero il radicamento sociale ed operativo in un dato contesto locale; il 53,9% è orientato verso associazioni con una tradizione consolidata e una storia, solo il 10,8% ha invece indicato di preferire enti di recente costituzione. Infine si è chiesto agli intervistati di scegliere tra organizzazioni che aiutano le categorie svantaggiate e quelle che invece si occupano di questioni più generali come ambiente e cultura. Su questo elemento si registrano le differenze più marcate, poiché il “sostegno a persone a rischio di marginalità sociale” raccoglie quasi il 60% delle preferenze. In generale però si deve considerare che, per circa un intervistato su tre, vocazione territoriale, storia, dimensioni e settore d’intervento non orientano la scelta del beneficiario. Nel dettaglio (tab. 14), il settore che ha ricevuto il maggior numero di preferenze è quello sanitario: il 38,4% degli intervistati ha infatti dichiarato di aver donato il proprio 5X1000 ad organizzazioni sociali che lavorano nel settore del sostegno sanitario. Segue, con il 29,5%, l’assistenza sociale e il settore istruzione e ricerca (19%). Tutti gli altri settori previsti come modalità di risposta, ottengono percentuali nettamente inferiori al 10%. Gli intervistati sembrano poi essere orientati anche da una consonanza di valori (tab. 14): ai primi posti nella scelta del beneficiario si trova difatti la condivisione dell’ideologia (32,6%) o l’interessamento alle attività dell’ente (24,5%). Infine, il 74,5% degli intervistati ha confermato la scelta fatta l’anno precedente indicando lo stesso beneficiario. Ciò dimostra il legame di fiducia e conoscenza che il contribuente intrattiene con l’associazione scelta, una condivisione di pensiero che difficilmente viene smentita in breve tempo. Certamente dietro a queste affermazioni, si profila la questione dell’accountability e della 15 pubblicizzazione delle modalità di impiego dei fondi da parte degli enti che ne beneficiano, non solo per convincere il donatore del buon utilizzo del proprio contributo ma anche per sostenere il confronto con una sempre più folta schiera di enti che operano nello stesso campo o con gli stessi approcci ideologici. Cosa deve fare quindi un’organizzazione per stimolare il cittadino a versare il 5x1000 in proprio favore? Secondo i dati, il 48,3% dei cittadini devolve ad associazioni che conosce bene o all’interno delle quali si hanno delle amicizie. Ma anche un’efficace campagna di informazione e di sensibilizzazione sono alla base della scelta del beneficiario (il 28,3% sceglie l’ente per questo motivo). Questa tendenza invita a riflettere sulla necessità di incentivare pratiche di accountability più incisive: da un lato, rendendo pubblici i risultati del proprio operato si attraggono volontari e attivisti interessati a mettere a frutto il proprio tempo libero; dall’altro, si crea del materiale (opuscoli, schede fino ad arrivare al bilancio sociale) utile alle campagne di raccolta fondi, da diffondere nel periodo di aprile-maggio quando, cioè, si compilano le dichiarazioni dei redditi. Interessante infine sentire cosa i contribuenti vogliono finanziare destinando il 5x1000: a fronte di una scarsa propensione a sostenere i costi vivi dell’associazione (operatori, strutture), il 74,5% degli intervistati dichiara di voler finanziare i singoli progetti di sviluppo. Infine, il 91% dei donatori è concorde sulla necessità di controlli su enti che beneficiano del 5x1000 e la maggior parte (54,3%) affermano che lo Stato dovrebbe essere incaricato di tali controlli. Questi risultati sono in linea con la richiesta rivolta alle associazioni beneficiarie da parte del Ministero di compilare un breve resoconto delle attività finanziate con il 5x100019. C’è da segnalare però che gli introiti ricevuti non sono di norma vincolati ai progetti ma possono anche essere spesi per i costi di gestione (risorse umane, acquisto beni e servizi etc.). E’ quindi a discrezione dell’ente scegliere come utilizzare le risorse del 5x1000. Alla luce delle opinioni rilevate attraverso l’indagine è altresì consigliabile utilizzare tali risorse per finanziare direttamente i progetti e pubblicizzare tale uso a ridosso del periodo della raccolta fondi del 5x1000. Infine si è chiesta l’opinione dei cittadini sulla stabilizzazione dello strumento, attraverso l’emanazione di una legge che renda permanente l’istituto e lo liberi dai dettami che la legge finanziaria, di anno in anno, impone per attenersi ai vincoli di bilancio20. Il 66,7% è favorevole alla stabilizzazione, richiesta, ovviamente, a gran voce 19 La rendicontazione è stata introdotta a partire dal 2008.Sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali è possibile trovare tale modello e relative istruzionihttp://www.lavoro.gov.it/ (visitato il 18.5.2011) 20 Già nel 2008 ci fu la prima proposta di stabilizzazione attraverso il d.d.l. 486 del 12 maggio 2008, seguita dal d.d.l. 1366 del 5 febbraio 2009 “Disposizioni per la destinazione di una quota del 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a finalità scelte dai contribuenti”. Sottoscritta, quest’ultima, da quasi 100 senatori bipartisan e fermata alla Commissione Bilancio per mancanza di copertura economica. 16 anche dalle quasi 41.000 organizzazioni non profit iscritte al beneficio del 5x1000 nel 2010 e dall’Agenzia per le Onlus21. 5.2 Diverse visioni dell’autodeterminazione fiscale In un panorama nel quale il 5X1000 raccoglie ampi consensi occorre approfondire le sfumature che differenziano gli atteggiamenti dei contribuenti rispetto alle organizzazioni da premiare attraverso la quota Irpef. Si è visto in precedenza, attraverso la batteria di domande relative alle preferenze degli intervistati rispetto alle caratteristiche delle organizzazioni beneficiarie, che buona parte dei contribuenti ha le idee ben chiare su quali siano le caratteristiche di un ente al quale devolvere il 5X1000. Sulla scia di quelle indicazioni si è scelto di realizzare un’analisi multivariata dei dati per identificare le dimensioni essenziali del rapporto tra contribuenti e 5X1000. La strategia d’analisi adottata per analizzare e classificare i contribuenti è stata dettata dalla particolare natura del campione d’intervistati. I soggetti appartenenti al campione costituiscono un sottogruppo particolare di coloro i quali decidono di devolvere parte delle quote Irpef utilizzabili tramite il meccanismo del 5X1000: sia per caratteristiche demografiche sia rispetto ai comportamenti pro-sociali il collettivo analizzato è abbastanza omogeneo. Si è quindi optato per un approccio analitico che portasse in superficie differenze di opinione e ne offrisse una sintesi. In una prima fase è stata quindi realizzata una riduzione delle variabili con tecniche fattoriali e, successivamente, una volta individuate delle dimensioni ad esse sottostanti, un’analisi dei gruppi22. Il risultato dell’analisi mostra come i primi tre fattori siano in grado di riprodurre il 28,76% di inerzia globale23(rispettivamente 11,2% il primo e 21% i primi due sommati). Il grafico 4 rappresenta i due fattori fondamentali emersi dall’analisi delle corrispondenze multiple (d’ora in poi ACM)24. Sull’asse orizzontale si trova il fattore denominato “civicità del denaro”; lungo l’asse verticale invece c’è il fattore “preferenze sul terzo settore”. 21 L’agenzia ha recentemente redatto un documento su “una disciplina legislativa per razionalizzare e rendere stabile l’istituto del cinque per mille”http://www.agenziaperleonlus.it/(visitato il 18.5.2011) 22 Nello specifico, preliminarmente è stata realizzata un’analisi delle corrispondenze multiple (ACM) sulle variabili relative ai comportamenti e le motivazioni dei contribuenti. Per l’analisi si è usato il software statistico Spad. Le variabili considerate sono riportate nella tabella 16. Come in tutte le tecniche fattoriali, l’obiettivo dell’analisi è individuare le relazioni esistenti tra un insieme di variabili attraverso la creazione di uno spazio “ottimale”, di dimensione ridotta, sintesi dell’informazione contenuta nei dati originari. In altre parole, con questa tecnica si definiscono delle variabili latenti (o fattori), frutto della combinazione delle variabili originali, che esprimono alcuni concetti non direttamente osservabili, ma presenti nel campo di indagine. 23 Si tratta di percentuale di inerzia pura, ovvero non rivalutata secondo la nota formula di Benzecrì. Per cui il risultato può dirsi soddisfacente. 24 Come di consueto per facilitare la lettura e il commento vengono rappresentati solo i primi due fattori. Nel commento dell’ACM non si prenderanno in esame i pesi fattoriali, rimandando alla discussione dei cluster i raffronti statistici. 17 Sebbene il 5X1000 sia giuridicamente distante dalle donazioni, una delle ipotesi di lavoro dell’indagine consisteva nell’idea che, per gli intervistati, questo strumento fosse contiguo alle altre forme di liberalità in denaro. L’analisi fattoriale offre elementi a sostegno di questa ipotesi. Il 5X1000, e con esso probabilmente anche il concetto di tax self determination, fa parte di un visione più ampia: le donazioni in denaro, le tasse (e probabilmente anche le eventuali quote associative versate dalle associazioni) rientrano in una concezione civica del denaro per la quale offrire dei soldi alle organizzazioni sociali non è beneficenza, ma una forma di partecipazione. Le somme destinate servono a mettere in comune delle risorse, a sostenere delle iniziative sociali. Occorre poi ricordare che il 5X1000 può anche assolvere una funzione di compensazione della mancanza di partecipazione. Il secondo fattore invece identifica le propensioni degli intervistati nei confronti delle organizzazioni di terzo settore. Lungo l’asse verticale si dispongono le variabili relative alle caratteristiche degli enti: le dimensioni, la storia, la scala d’intervento e il target dei beneficiari connotano un atteggiamento di attenzione e vigilanza rispetto agli enti che si decide di sostenere. In altre parole, non si offre il contributo Irpef a chiunque ma solo a seguito di attente valutazioni. La scelta del beneficiario, come già accennato, è un atto consapevole nel quale entrano i gioco valori e convinzioni personali. Nel complesso lo spazio concettuale che emerge dall’analisi delle corrispondenze multiple evidenzia che il 5X1000 è un comportamento radicato, innanzitutto, su un’idea sussidiaria di fisco all’interno della quale il sostegno in denaro viene visto come una forma di partecipazione all’azione sociale delle organizzazioni. Sulla scorta di questo primo step di analisi, si è poi passati ad individuare dei profili di risposta utili a definire alcuni gruppi di rispondenti25. Attraverso l’analisi del dendrogramma si è optato per scegliere la soluzione a quattro cluster. Nel complesso si evidenziano due gruppi, numericamente abbastanza folti (cfr. graf.4, punti C e D), per i quali il 5X1000 rappresenta uno strumento di democrazia fiscale apprezzato e utile: entrambi difatti si collocano nel semipiano positivo lungo l’asse della civicità del denaro. La principale differenza tra questi due gruppi è data dalle preferenze sul terzo settore. Gli altri due gruppi (A e B) sono invece, numericamente più esigui. Il gruppo A è caratterizzato da una scarsa consapevolezza del ruolo del 5X1000, nonostante i soggetti inclusi nel cluster lo usino e lo ritengano uno strumento utile. Il gruppo B. invece rappresenta una componente residuale del campione (si tratta di 33 individui pari al 5,5% del campione) composta da persone che non sembrano aver ben compreso 25 Sulla base dei punteggi fattoriali è stata realizzata un’analisi di cluster mediante procedura gerarchica (RECIP), così come implementata sul software Spad. 18 che cosa sia il 5X1000. Passando all’analisi per singolo cluster occorre avvertire che ci si limiterà al commento dei tre gruppi principali evitando di entrare nel merito del gruppo residuale26. Il primo gruppo d’intervistati ammonta al 25,3% del campione (tab. 19). Si tratta di individui che negli ultimi dodici mesi non hanno fatto nessuna donazione (all’interno del gruppo i non donatori sono la totalità; mentre nel campione erano il 27,9%); allo stesso modo questi intervistati non fanno attività di volontariato (85,5% nel gruppo contro 78,2% nel campione). Sotto il profilo demografico invece si rileva una preminenza di giovani (25-34 anni). Il profilo di questo gruppo è dunque caratterizzato da una distanza rispetto ai circuiti della società civile, ciò nonostante per gli individui appartenenti a questo gruppo il 5X1000 rappresenta uno strumento utile (45,4% nel gruppo contro 37,1% nel campione). Volendo trovare una formula che sintetizzi il punto di vista di questi intervistati, si potrebbe dire che costoro esprimono un sostegno spontaneo ed immediato verso il 5x1000. Pur avendo poca consuetudine con il mondo dell’associazionismo e del volontariato sembrano essere ben disposti verso le organizzazioni sociali. Questo atteggiamento ben si coniuga con la connotazione anagrafica degli intervistati. Allargando ulteriormente il discorso gli appartenenti a questo gruppo sono una sorta di “sostenitori esterni”.Se il sociale è supportato soprattutto dagli insider, ovvero da persone che, in un modo o nell’altro, sono venuti a diretto contatto con questo mondo, la presenza di individui per i quali offrire un contributo al terzo settore è importante a prescindere dalla conoscenza di qualche organizzazione specifica rappresenta un’importante riserva di consenso. Il secondo gruppo di intervistati corrisponde al 24,5% del campione (tab. 20). Le variabili che connotano maggiormente il cluster sono quelle relative alle preferenze sul terzo settore. Per gli appartenenti al gruppo le organizzazioni sociali vanno bene un po’ tutte: non hanno preferenze rispetto alle dimensioni (87,8% nel gruppo vs. 37,1% nel campione); cosi come la storia dell’ente non influisce sulla scelta di destinare il 5X1000 (77,5% contro 35,8%). Anche la mission non è rilevante (53% all’interno del cluster 32,3% nel totale campionario). L’unica caratteristica rilevante che l’ente al quale si destina il contributo Irpef operi a livello locale (65,9% nel gruppo, 35,1% nel campione). Rispetto all’uso civico del denaro, gli intervistati inseriti in questo gruppo hanno tutti fatto delle donazioni nell’ultimo anno; sia in occasione di eventi eccezionali sia in relazione a specifici progetti. Questo gruppo di soggetti si fa interprete di quella che può essere definita una forma di democrazia fiscale incondizionata: lo scarso interesse per la tipologia di organizzazione per la quale devolvono o intendono devolvere il 5x1000 sta ad indicare un’adesione senza se e 26 I dati riferiti a questo gruppo sono riportati nella tabella 17. 19 senza ma ad una concezione rinnovata del fisco. Mettere le organizzazioni sociali nella condizione di rafforzare la propria azione è per questi intervistati l’unica priorità. Il terzo gruppo di intervistati è quello più numeroso (44,8% del campione – tab. 21). Come nel gruppo precedente, l’uso sociale del denaro è ampiamente diffuso: tutti gli intervistati inseriti nel cluster hanno fatto donazioni; sia in occasione di eventi eccezionali (44,2%), sia per progetti specifici (38,6%) o in entrambe le situazioni (31,6%). Le differenze con i sostenitori della sussidiarietà incondizionata emergono rispetto alle caratteristiche delle organizzazioni da sostenere. Il primo elemento rilevante la storia dell’organizzazione: per il 75,8% degli appartenenti al gruppo è importante che l’ente beneficiario abbia una tradizione consolidata (la percentuale nel campione è di venti punti più bassa – 53,9%). In seconda battuta è necessario che l’organizzazione sia conosciuta e dei grandi dimensioni (60,9% nel gruppo contro il 41,8% del campione). Anche sulla mission ci sono opinioni precise: per il 69,9% degli appartenenti al gruppo occorre premiare le organizzazioni che aiutano le persone svantaggiate (nel campione la percentuale relativa a questa modalità è 59,4%). Infine nel 50,9% dei casi (40,4% nel campione) è da preferire un’organizzazione attiva su scala locale. All’interno di questo gruppo il 5X1000 viene visto come uno strumento per sostenere la componente più strutturata del terzo settore. L’interesse di questi intervistati non è rivolto verso le cosiddette grassroots organizations, ma verso le grandi centrali associative. Soggetti esperti e consolidati che offrono servizi di qualità elevata e realizzati con professionalità. Si tratta della spina dorsale del welfare mix: associazioni di promozione sociale e organizzazioni di volontariato attive da anni e ramificate sul territorio che con il tempo hanno acquisito la fiducia dei cittadini. La concezione della sussidiarietà espressa da questo gruppo di intervistati è decisamente radicale: si ipotizza che tramite il 5X1000 la società civile possa allargare la propria sfera di intervento, con il traino delle grandi organizzazioni. 6. Leggendo in parallelo le due indagini Le dinamiche assunte dall’impegno pro-sociale sono varie. Tra gli iscritti alle APS, influiscono sui diversi profili partecipativi, l’ambito operativo dell’associazione, l’essere disponibili a prestare aiuto gratuito all’interno e soprattutto all’esterno dell’associazione, il livello d’infomazione (indicatore indiretto di un atteggiamento riflessivo nei confronti della realtà nella quale si vive), lo status socio-economico dell’individuo e le convinzioni religiose. In generale, i comportamenti prosociali continuano a stare assieme: si aggiornano i repertori, ma il passo tra associazionismo e altre forme di impegno continua ad essere abbastanza breve. 20 Nel contesto di un’elevata propensione all’uso socialmente responsabile del denaro, l’elemento di spicco è che le elargizioni liberali e (in misura minore) le pratiche alternative di consumo dipendono dallo status dell’individuo. Non si tratta solo di una maggiore disponibilità di risorse economiche, ma anche di una superiore capacità di comprendere come, quella che è una piccola rinuncia per una persona media, possa incidere positivamente sulle condizioni di vita di individui maggiormente bisognosi. Il caso del consumo critico è in questo senso esemplare: anche se taluni prodotti hanno un prezzo maggiorato o sono difficili da reperire, alcuni associati sono dell’avviso che valga la pena di mettere da parte il risparmio (o la comodità) per acquistare beni di consumo che non arrechino danno all’ambiente o alla comunità. Anche l’indagine sui contribuenti suggerisce elementi utili a meglio definire i repertori pro-sociali dei cittadini. Occorre innanzitutto rimarcare che questa innovazione fiscale raccoglie consensi molto ampi: i cittadini sembrano averne compreso appieno il senso. Sanno che per le organizzazioni del sociale questa forma di sostegno è vitale, ma allo stesso tempo ritengono che gli introiti derivanti dalle quote Irpef debbano essere spesi per sviluppare progetti innovativi. È altrettanto diffusa la consapevolezza che il 5x1000, come anche le deduzioni da imposta sulle donazioni al Terzo settore (il “Più dai meno versi” - l. 80/2005), se decisamente piegati verso obiettivi di utilità pubblica, spesso in risposta ad una mancanza offerta dello Stato, è un asse fondamentale per la riforma del modello sociale italiano;come, peraltro, richiamato nel “Libro Bianco sul futuro del modello sociale” [MLPS 2009]. Nel più ampio contesto dei rapporti tra sussidiarietà verticale e orizzontale [Antonini 2005, Cipollina 2007]27, la partecipazione e della responsabilizzazione dei cittadini passa, innanzitutto, attraverso forme che ne incentivano l’autonomia decisionale: quando sono messi nelle condizioni di decidere i cittadini lo fanno. I risultati dell’indagine sui contribuenti sembrano delineare una situazione nella quale l’antico principio no taxation without representationil contributo individuale alle risorse collettive (tecnicamente rappresentato dalla tassazione pubblica) va inestricabilmente collegato alla rappresentanza democratica delle istanze dei cittadini trova un diffuso sostegno. Ci sono coloro che in questa transizione preferiscono dare fiducia soprattutto alle grandi organizzazioni, ai professionisti del sociale; ci sono poi quei cittadini che hanno una fiducia incondizionata nelle capacità della società civile. Legare la questione fiscale a quella della democrazia significa infine riconoscere che l’asse elettore, beneficiario della spesa pubblica, contribuente non è più cosi lineare. Il paradigma classico della democrazia fiscale è quindi in piena crisi: i cittadini se ne sono accorti e reclamano la propria autonomia. 27 La sola sussidiarietà verticale (di per sé fondamentale per mantenere la coesione sociale e garantire un’erogazione di servizi equivalente a tutti i cittadini), non è stata in grado di rispondere alle esigenze di legittimazione e democraticità dei sistemi istituzionali, colpiti dalla crisi di sovranità degli ultimi decenni [Antonini 2006]. 21 Certamente, non bisogna sottacere i rischi di autoreferenzialità di questi fenomeni: i donatori, i volontari come i contribuenti che destinano il 5x1000 al sociale sono individui ben inseriti nei circuiti associativi. Sorge il dubbio che il sostegno al terzo settore sia una priorità solo per la base sociale della società civile organizzata, soprattutto quella più strutturata, in grado di drenare risorse attraverso azioni di fund raising svolte in modo professionale e capillare. Sotto questo profilo, il parallelismo con la tesi della professionalizzazione del sociale suggerita da Skocpol non appare fuori luogo. Di qui, infine, occorre richiamare quello che è storicamente uno dei limiti dell’associazionismo italiano. La capacità inclusiva delle reti associative non è assoluta. Il ruolo dello status socio-economico nell’indirizzare i comportamenti civici conferma la scarsa capacità del terzo settore italiano di coinvolgere gli strati inferiori della popolazione [Biorcio, Vitale 2010: 460].Questo limite si riscontra anche sul fronte del 5x1000. Il profilo sociale dei contribuenti che decidono di avvalersi di questo strumento e molto connotato: in altre parole, fatta eccezione per un gruppo di nuovi contribuenti (giovani e anche meno consapevoli), il 5x1000 non sembra aver sfondato al di fuori delle pur ampie popolazioni associative italiane. Nel complesso, le due indagini restituiscono uno scenario composito, dove la partecipazione sociale dei cittadiniha diversi gradi di intensità: laddove c’è una compresenza di azioni dirette (volontariato e attivismo all’interno dell’associazione) e indirette (donazioni, 5x1000 e consumo responsabile), si delinea un profilo di cittadino impegnato e attivo. Anche coloro che agiscono la solidarietà mettendo soprattutto “mano al portafoglio” sono mediamente più attivi, e socialmente sensibili, del resto dei cittadini italiani. Resta da affrontare la questione dell’impegno sociale al di fuori delle grandi reti associative. Sotto questo profilo, il confronto internazionale è negativo. Le vitalità interna al segmento del terzo settore non deve spingere a trascurare il più ampio tema della mancata diffusione di una cultura civica condivisa all’interno dei vari strati della popolazione italiana. 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